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Storia di
MONCASACCO
Cahiers de la Malmostosa
___ __ __ ___ __ __ __ ___ __ __ __ __ ___
Monc asac co M MI
1
2
INDICE
Pag.
5 - premessa
5 - ringraziamenti
5 - abbreviazioni
Parte pri ma
Cons i dera zion i ge ogra fic he
Parte se co nd a
Not i zie st ori ch e
Parte te rza
Ap pen d ice
3
4
PREMESSA
***
RINGRAZIAMENTI
Avremmo scritto ben poco senza il racconto e le precisazioni di queste persone (alcune
purtroppo scomparse) : signor RINO BELLINZONA; signor GIOVANNI GANELLI; signor
GIUSEPPE QUADRELLI; signor AGOSTINO CALATRONI; signor PIETRO
CALATRONI; signor TINO ACHILLE; signor PRIMINO CALATRONI; signora
GIUSEPPINA SCARANI in CALATRONI; signora ANNAMARIA ACHILLI in
CALATRONI ; signor LIVIO CALATRONI; signor PIETRO CAI; signor QUINTINO CAI
presidente della pro loco di Pometo; signor Antonio VISERTA.
Un grazie alla signora CARLA CALATRONI segretaria del Comune di Caminata; alla
geometra CLAUDIA CALATRONI che ci ha fornito della documentazione molto utile; allo
storico commendatore VINCENZO STALTARI.
Un ringraziamento particolare rivolgiamo a tutti i componenti della famiglia ACHILLE
della Rossarola, che per più di un anno abbiamo “importunato” per avere notizie e precisazioni
sulle vecchie tradizioni che è stato possibile “ricostruire” grazie alla “memoria storica” del signor
GUIDO ACHILLE e della signora LINA REMUZZI in ACHILLE.
Nella ricerca bibliografica siamo debitori a due persone ora scomparse: l’avvocato
ALDOGRECO BERGAMASCHI, noto storico della Val Tidone e al ragioniere ROMEO
RAZZINI che, sapendo del nostro interesse, ci segnalava articoli di storia locale.
Nonostante l’autorevolezza del contributo delle molte persone citate la responsabilità
degli errori e delle valutazioni è da attribuirsi unicamente agli autori.
ABBREVIAZIONI
5
6
PARTE PRIMA
Considerazioni geografiche
7
8
I.- L’ISOLA DI MONCASACCO
11
Sono poco meno di un terzo dell’intera superfice del comune di Caminata che è di 317 ettari.
2 Informazione forniteci dall’Istituto Geografico Militare (Firenze) con lettera del 21 maggio
1979: A.d.c.C.
3 FABRIZIO CAPECCHI, Un altro Oltrepo’ (Pavese, Piacentino, Tortonese), Ed. Croma (Pavia, 1996).
9
Da un esame di un campione di terreno, prelevato nel dicembre 1998 in
Moncasacco alta, è risultato:
da cm. 0,20 a 0,60 suolo argilloso agrario con radici e resti vegetali;
da cm. 0,60 a 0,90 limi sabbiosi compatti, marne fessurate e alterate.
questo torrente scaturisce nei colli presso Moncasacco sui limiti del Piacentino,
passa per le terre di Canevino, Montecalvo, Soriasco6, Donelasco, Montescano,
taglia la via Regia a levante di Stradella e si scarica nel Po a Port’Albera.
4 PIERMARIA GREPPI, L’Oltrepo’ Pavese collinare e montano, Greppi Editore (Piacenza, 2000),
pag.- 37.
5 GOFFREDO CASALIS, Dizionario geografico-storico-statistico degli Stati di S.M. il Re di Sardegna,
parte relativa a Voghera, pg. 61, 1ª edizione del 1833, riedizione anastatica a cura dell’editore
Arnaldo Forni (Bologna, 1972)
6 Fino al 1890 Soriasco era comune e Santa Maria della Versa frazione.
10
il marin ha una forza impetuosa, arriva improvvisamente e fischiando fra i coppi
e comignoli scioglie i ricami di cristallo che ornano le grondaie. Quest’aria
proveniente dal mare riesce a trasformare i lastroni di ghiaccio ai bordi delle
strade e i cumuli di neve indurita in acqua gocciolante.
Non sempre il marin porta benessere: spesso dal Penice porta temporale8
con nubi basse e grige, il suo soffiare qualche danno alla stagionatura dei
salami lo arreca se riesce a penetrare nelle cantine.
Altri venti sono: il piacentino che spira gelido da nord-est e può durare
per più giorni; il vento d’la vall che spira dalla Val Versa e porta cattivo tempo.
La tramontana che spira da nord- nord ovest perde umidità nella zona alpina
e arriva su Moncasacco senza nubi e permette giornate di rara limpidezza.
Sulla variabilità del tempo a Moncasacco riportiamo quanto descritto
da Fabrizio Capecchi:
Mi trovavo in pieno vento, che continuava a soffiare da nord-ovest, sulla costa
tra Pometo e Moncasacco. Nel giro di pochi minuti il vento era scemato. L’aria
era ancora limpida, si distinguevano facilmente città e paesi in pianura. Avvertii
alle spalle una folata: il vento improvvisamente aveva virato da nord est. Osservai
la pianura in quella direzione e vidi un’onda di foschia grigia che avanzava veloce.
In un quarto d’ora invase tutto il settore che rientrava nella fotografia. Non potei
fare altro che riporre l’attrezzatura e rientrare9.
11
La vetta che domina paesaggisticamente l’isola di Moncasacco è il
Monte Penice, che al di là del Tidone si erge maestoso con i suoi 1460
metri s.m. Anche se deturpato da alcuni ripetitori della televisione,
guardandolo non si può non avvertire un che di maestoso, quasi di sacro. In
antico la vetta del monte Penice era luogo di culto pagano10 come
testimonia il ritrovamento di una statuetta11 del I-II secolo d.C. raffigurante
un sacerdote con in mano una patera12. Nel VII secolo d.C. i Monaci
dell’abbazia di Bobbio sostituirono il culto pagano col culto cristiano
dedicando il Monte Penice alla Madonna. Scrive il Tosi13:
10 MICHELE TOSI, Santuario Millenario di Monte Penice, Edizione a cura del Santuario (Bobbio,
1980).
11 Conservata a Genova nella collezione de Albertis nel castello di Montegalletto.
12 Recipiente usato dai Romani per i sacrifici.
13 MICHELE TOSI, Bobbio, guida storica, artistica, ambientale della città e dintorni, Edizione degli
12
IV.- LA FLORA E LA FAUNA DI MONCASACCO
13
(pradarö o fons da prà). Fra gli altri abbiamo: il gallinaccio (galinâta) che spicca
nel verde col suo bel cappello carnoso di color arancione chiaro; il gelone
(urgéna) aggregato alle latifoglie, che nasce sia d’autunno che di inverno, dalla
buona pasta bianca e soda. La vescia (lofa ad lu) si trova di preferenza nelle
faggete o sui tronchi morti ed è commestibile solo in giovane età.
Da ottobre fino alla caduta della prima neve cresce spontaneo e
succulento il tartufo nero (strüfel).
Quando d’inverno la neve ricopre tutto e tutti, saltella da un ramo
nudo all’altro, alla ricerca di cibo, l’ôslèin däl frëd grande come un pollice, e il
passero invernale (passrèin). Dorme sotto i cespugli o nel cavo degli alberi il
tasso (tass) e lo scoiattolo rosso (girëta rôssa) si avvicina alle case e si vedono
le orme sulla neve fresca e quelle piccole e saltellanti della lepre (levör) e
quelle grosse e profonde del cinghiale (gugn salvadegh). Con i primi tepori
primaverili si sveglia la puzzola (gatt spuss o spussõ) che si avvicina alle corti
rustiche in cerca di alimento. La notte fanno sentire il loro canto-pianto i
piccoli predatori: la civetta (murit) e l’allocco (ciod) entrambi hanno un
richiamo amoroso piuttosto lugubre, che in antico si considerava di
malaugurio fautore di qualche magia (striozz).
Non lontano dalle case abitate fanno le loro tane le volpi rosse che
appaiono in gran numero durante la falciatura dell’erba. E’ facile trovare
“tracce” che a seconda della stagione contengono noccioli di ciliegie o
bacche di rosa selvatica (rösla salvâdga).
La voce della primavera sono le rondini che arrivano puntuali
dall’Africa in numero sempre minore e ritrovano il vecchio nido volando
alte nel cielo. Più in basso volteggia il pipistrello (rat sgulatèn) che ha il suo
ricovero nei vecchi portici dove un tempo si conservava il fieno. Anche il
batticoda (bôareina) arriva in primavera e il picchio (picõsson o catlinon) batte la
corteccia degli alberi. Nelle giornate terse e ventose fa il volo a vela, fra le
due valli della Versa e dello Scuropasso, la poana (pôiana) parente stretto
delle aquile che ha timore delle cornacchie, ma in realtà è molto astuta:
stanzia in località ricche di selvaggina e vola in picchiata sulle prede. La
tortora (türdla) ha sistemato il suo nido nel bosco dell’Inferno e la si sente
tortoreggiare in cerca di cibo. Finito il suo tempo parte per luoghi lontani,
mentre rimane la tortora dal collare ormai da lungo tempo stanziale che
contende la pastura al colombaccio. A Moncasacco hanno trovato il loro
habitat ideale anche le quaglie e il fagiano così domestici da attraversare a
volo radente i giardini recintati. Le trasparenze dell’inverno permettono di
vedere alti sugli alberi i nidi (nid) delle gazze simili a enormi cestini. La
cornacchia bianca e nera (sgasla) e la cornacchia grigio scura (berta) sono in
concorrenza nella caccia con la poana e si adattano anche al rigore della
stagione, quando nel silenzio si ode il loro roco verseggiare.
14
V.- ETIMOLOGIA DI ALCUNI NOMI GEOGRAFICI
Dal momento che non possiamo che condividere questa tesi cercheremo di
indagare sull’etimologia dei principali toponimi dell’isola di Moncasacco.
Mon cas ac co
Moncasacco, l’oggetto della nostra narrazione, in antico era chiamato18
anche Moncastracum o Montesacco o Mongasacco . Questa ultima voce è frutto
dell’italianizzazione delle termine dialettale Mongasac.
Certezza sull’etimologia del nome non c’è. Il dottore Pierino Boselli, noto
studioso di etimologia, da noi interpellato in proposito, ci ha scritto19:
del toponimo MONCASACCO posso fare solo un’ipotesi circa la sua etimologia.
Così come è oggi, il toponimo sembra composto da queste tre radici: mon
“troncamento di monte”, cà “troncamento di casa” e sacco “via senza uscita”.
Potrebbe quindi Moncasacco significare “casa del monte senza uscita”. Noi
guardando i due cocuzzoli che sovrastano Moncasacco abbiamo pensato a
due corni di un sacco capovolto e sosteniamo che Moncasacco voglia dire
“casa del monte sacco ” . Del resto in antico era anche chiamato Montesacco.
Tutt’altra etimologia venne attribuita nell’ottocento da Francesco Nicolli
che fece riferimento alla posizione di terra di confine20 dove prosperava il
contrabbando. Scrive21 il Nicolli:
MANCASACCO o MONCASACCO = in qualsiasi maniera si legge tale nome,
egli sembra derivato in odiosità delle gabelle cui ivano soggetti i sacchi di merce i
quali in conseguenza venivano a ritrovarsi monchi o mancanti in una parte delle
medesime.
15
Cano va
Canova ( in dialetto Kanöva) è un paesino dell’isola di Moncasacco.
L’etimologia ci dice che in origine era costituito da una “casa di nuova
costruzione”, infatti in una relazione del 1767 si menziona una “cascina nuova”
che sicuramente rappresentò il primo nucleo abitativo dell’attuale paese.
Most ari na
un tempo vi erano due cascinali chiamati Mostarina di Sotto e Mostarina di
Sopra: quest’ultimo da tempo è diroccato. Il nome Mostarina deriva
probabilmente da “ most “ (= mosto) che è il prodotto della pigiatura
dell’uva o dal verbo môstà (= pigiare).
Bre gne
strada comunale che fino al 1977 circa collegava (usiamo l’imperfetto perché
una frana l’ha interrotta) Moncasacco alta con la strada provinciale che porta
a Canova. Potrebbe derivare il nome dal piacentino “brugna” cioè la prugna
selvatica. Alcuni invece pensano possa derivare dalla voce ligure o gallica
preen (= bosco) che potrebbe significare “strada nel bosco “.
Iin fer no
bosco che da Moncasacco si estende verso il territorio comunale di
Canevino: è chiamato Inferno (in dialetto Infèran) perché d’autunno le querce,
che lo formano, prendono una colorazione rossa che ricorda l’Inferno.
Rasp a
nel 1747 il confine (conteso) fra il Comune di Moncasacco e il Comune di
Ruino era costituito dal fosso della Raspa. In dialetto râsp significa “scabro,
ruvido”, ma potrebbe significare anche “erta, salita”.
Bu b bi ano
in dialetto Bubiàn è una località nelle vicinanze della Mostarina di Sopra. Nel
milanese c’è un paese che si chiama Bubbiano: il Boselli22 scrive che la
radice probabilmente è da ritrovarsi nel nome proprio Bubbius. Noi
avanziamo l’ipotesi che derivi dal vocabolo latino bivium che vuol dire
“punto d’incontro di due strade”.
Bu i
è un terreno, ora inglobato nella Malmostosa, dove un tempo c’era un
pozzo. Secondo il Sertoli Salis23 Bui vorrebbe dire “buglio, fonte, sorgente, vasca,
conca”.
PIERINO BOSELLI, Toponimi lombardi, Sugarco Edizioni (Milano, 1977), pg. 57.
22
23RENEO SERTOLI SALIS, I principali toponimi in Valtellina e Val Chiavenna, dott. A. Giuffrè
Editore (Milano, 1955), pg. 29.
16
Versa
è il torrente che nasce nell’avvallamento fra Moncasacco e Canova. Un
tempo era chiamato “Versula” o “Anversa” o “Aversa”. L’Olivieri24 dice che il
toponimo significherebbe “storta” o “risolta”, mentre il Boselli25 avanza
l’ipotesi che significhi “riversare ai lati, sulle sponde” con riferimento alle piene
torrenziali.
Ti do ne
è un importante affluente del Po che scorre a sud di Moncasacco. Del
toponimo ne sono state fornite due etimologie26:
Da un etimo ligure trarrebbe nome il Tidone. Deriverebbe dalle voci Tid che
significava “tempo” e On abbreviativo di “Avon”, acqua. Dall’unione dei due
termini, risulta una parola di senso compiuto: “acqua di ore”, ossia acqua
temporanea, vale a dire torrente. E’ questa appunto la natura del Tidone.
Di questo nome piace però riferire una spiegazione più leggendaria, che sebbene
sicuramente priva di fondamento storico, ha il calore della poesia con cui gli
uomini di un tempo popolavano monti, boschi e fiumi di ninfe e di numi.
L’antica leggenda ci riporta alla battaglia della Trebbia, combattuta nel 218 avanti
Cristo non lungi dalle nostre terre. Apprestandosi a rinchiudere di sorpresa
l’esercito romano in una morsa, Annibale, in segno di gratitudine per aver potuto
varcare senza difficoltà il torrente che alle pendici del Monte Penice scende verso
il Po, si sarebbe sfilato un anello dal dito e, gettandolo nella corrente avrebbe
esclamato: “Te dono”, ossia “Ti dono”, da cui Tidone.
Cav ag lio ne
in dialetto Kavaion è il torrente che nasce a sud di Moncasacco ed entra nel
Tidone nei pressi di Caminata. Trattasi di toponimo frequente in Lombardia
e nel Veneto che deriva da “cav”= fosso e che unito al suffisso “ion”
significa “grande fosso”.
Lo C h alet
villetta costruita nel 1973 dai coniugi Panelli su progetto del geometra Mario
Bollati. Chalet è parola che significa “piccola costruzione turistica” la cui
etimologia27 è da rintracciarsi nei “dialetti della Svizzera Romanda;
diminutivo in -et di una base di partenza cala = “rientranza, riparo sotto la
roccia.”
Il Gl ic ine
24 DANTE OLIVIERI, Dizionario di toponomastica lombarda, Ceschina editore (Milano, 1961), voce
“Versa”.
25 PIERINO BOSELLI, op. cit., voce “Versa”.
26 CARLO ALBERTO FACCHINO, ANTONIO TRAZI, ENRICO BALDAZZI, Zavattarello
pagine di storia e di vita, Associazione Amici di Zavattarello (Pavia, 1972), pg. 28.
27 GIACOMO DEVOTO e GIAN CARLO OLI, Vocabolario illustrato della lingua italiana,
17
casa di proprietà Montalbano deriva il suo nome da un glicine che fu
piantato intorno al 1974.
L’E de n
villa costruita nel 1975 dall’avvocato Sebastiano Triscari che significa il “il
paradiso terrestre” dall’ebraico28 ´Êden.
La Ma lm ostos a
casa di proprietà Clerici che deriva il suo nome dall’aggettivo del dialetto
milanese “malmostos” che significa “sgraziato, malcontento”. Nell’ambito
della Malmostosa è stato incorporato il terreno che gli abitanti di
Moncasacco chiamavano Bui .
Via de ll’ Orator io
strada che dalla piazza della Chiesa porta a Moncasacco alta. Oratorio è il
nome italiano per indicare una piccola chiesetta per l’appunto quella di
Moncasacco.
Via Sa n Co lom ba no
strada, indicata da un targa in marmo, che poco dopo casa Viserta al termine
della via dell’Oratorio porta oltre il cancello della “Malmostosa”. Il nome
della via è stato dato nel 1987 a ricordo di un miracolo, legato a San
Colombano, che si verificò più di mille anni fa alle pendici del paese di
Canevino. Il 17 luglio 929 d.C. era partito da Bobbio un corteo di Monaci
che, in processione, doveva portare a Pavia il corpo di San Colombano. Il
corteo passò29 per Arcello, Pianello, Nibbiano, Caminata, Montelungo ed il
giorno 18 transitò nei pressi di Canevino, dove avvenne il miracolo. La
descrizione la ricaviamo dal “Miracula S. Colombani 30”, un opuscolo di uno
scrittore anonimo che probabilmente31 era un monaco del monastero di
Bobbio che partecipò alla “traslazione”. Narra l’anonimo che:
un contadino del villaggio di Canevino aveva un figlio muto dalla nascita. Proprio
quel giorno, egli e suo figlio si trovavano a lavorare nei campi. All’improvviso, il
ragazzo, rivolto al padre, disse:«Papà, papà. c’è San Colombano!» Il genitore
sorpreso e contento gli rispose: «Che vuoi, o figlio?» e quello riprese: «Non senti,
papà? Arrivano i monaci che trasportano San Colombano!» Il padre, salito su di
una altura, stando con orecchi ed occhi intenti, cercava di scoprire un qualche
segno di ciò che aveva udito dal figlio. A lungo aspettare, di lontano, lungo il
monte che si chiama Longo32, percepì voci di persone che si avvicinavano e
28 idem
29 Monsignor MICHELE TOSI, Il trasferimento di san Colombano da Bobbio a Pavia: 17-30 luglio [929],
articolo in Archivium Bobiense, anno III, maggio 1981, pg. 129-150.
30 L’edizione critica fu curata da H. BRESSAU in M.G.H. SS. 3012, Lipsiae 1934.
31 TOSI, opera citata, pg. 135.
32 Il corteo proveniva da Montelungo dove il Monastero di Bobbio aveva una cella monastica e
18
cantavano “Krieeleyson”. Constata la verità di ciò che aveva udito dal figlio,
corse alla Chiesa per avvertire il Sacerdote. Questi all’annuncio, indossate le vesti
sacre, ordinò di riempire un vaso di vino. Uscito sulla strada, per la quale
sarebbero giunti, gli andò incontro. Arrivati alfine i monaci. Con modi, umili e
supplici pregava il santo e narrava a tutti l’accaduto. Egli offrì da bere a tutti.
Reso grazie a Dio il corteo col corpo di San Colombano riprese il cammino
per dirigersi a Pavia attraverso la Val Versa.
19
20
PARTE SECONDA
NOTIZIE STORICHE
21
22
VI.- GLI ABITANTI I VERI ARTEFICI DELLA STORIA DI
MONCASACCO
23
Stato di Milano33, alcuni Moncasacchesi che possedevano terre in comune di
Canevino erano individuati col nome di battesimo seguito dalla dizione “da
Moncasacho” o “da Moncasaco”.
I cognomi fecero a Moncasacco la comparsa qualche decennio dopo.
Nell’agosto 1688 abitavano34 a Moncasacco queste famiglie:
BERINZONA35, CHIAPPINO, DALL’OCCHIO, DA PIAZZO,
JANVELLA, MOLINARO, MONTEMARTINO, NONINO, PISANO,
ZUFFADA.
Qualche anno più tardi, cioè nel 1718, abitavano36 a Moncasacco le famiglie:
ALESSI, BELLINZONA, BORGOGNONI, CALATRONE,
CHIAPPINI, DELLA COLOMBA, DALL’OCCHIO, DA PIAGGIO,
FARANELLI, FASOLI, MARTINONI, MOLINARI, PISANI, PISANO,
ZANARDA, ZUFFADA.
A Moncasacco nel 1687 c’erano 19 fuochi che equivalevano a più di
un centinaio di persone; nella prima metà dell’ottocento il Molossi scrisse
che c’erano a Moncasacco centotrenta abitanti. Dati più precisi sul numero
degli abitanti li abbiamo dal 1871 grazie ai censimenti che prima il Regno
d’Italia e poi la Repubblica italiana indissero. L’ISTAT (Istituto Centrale di
Statistica) ci ha comunicato i dati dei vari censimenti:
1861
il dato non si può ricavare perché confuso con altri del Comune di
Caminata. Secondo il censimento gli abitanti del comune di Caminata erano
627 (326 uomini e 301 donne).
1871
l’isola di Moncasacco aveva 126 abitanti così suddivisi:
- 87 a Moncasacco
- 39 a Canova e alle Mostarine
1881
l’isola aveva 129 abitanti così suddivisi:
- 112 a Moncasacco-Canova
- 14 alle Mostarine
- 3 assenti
1901
gli abitanti dell’isola erano 143 così suddivisi:
- 130 a Moncasacco – Canova
33 A.S.M., sezione censo – parte antica – cartella 263.
34 Dall’atto di infeudazione del 1688. Ci siamo serviti della copia conservata in A.S.T.
35 probabilmente Bellinzona.
36 A.S.T.
24
- 13 alle Mostarine
1911
Il dato del censimento comprende il numero degli abitanti dell’isola (148) e
quello delle famiglie (30) così distribuiti:
- a Moncasacco – Canova 118 abitanti (suddivisi in 27 famiglie);
- alle Mostarine 15 abitanti (suddivisi in 3 famiglie);
- 15 abitanti risultavano temporaneamente assenti
1921
Gli abitanti dell’isola erano 155 di cui 5 temporaneamente assenti. Le
famiglie erano 27.
1931
Gli abitanti dell’isola erano 150 così suddivisi:
- 136 a Moncasacco- Canova
- 14 alle Mostarine
1936
Gli abitanti dell’isola di Moncasacco erano138 di cui :
- 78 a Moncasacco
- 60 in case sparse (Canova e Mostarina).
193837
Gli abitanti dell’isola erano 137
1951
Gli abitanti dell’isola di Moncasacco erano 93 di cui:
- 32 a Moncasacco
- 54 a Canova
- 7 in case sparse (Mostarina)
1961
Gli abitanti dell’isola di Moncasacco erano 67 di cui:
- 23 a Moncasacco
- 40 a Canova
- 4 in case sparse ( Mostarina di Sotto)
1971
Gli abitanti dell’isola di Moncasacco erano 47 di cui:
- 7 a Moncasacco
- 37 a Canova
37 dato rilevato nell’atto di aggregazione di Moncasacco al comune di Pometo-Ruino.
25
- 3 in case sparse (Mostarina di Sotto)
1981
gli abitanti dell’isola di Moncasacco erano 42 di cui:
- 5 a Moncasacco
- 35 a Canova
- 2 alla Mostarina di Sotto
26
fornace. Che ci fosse un castelliere? Dove? Dove c’è l’acquedotto o dove
sorge dal 1976 la Malmostosa? Per ora sono domande senza risposta.
Poco distante da Moncasacco alcuni anni fa affiorarono dei reperti di
interesse archeologico e l’avvocato Aldo Greco Bergamaschi scrisse38
in località «Monte Pioggia» (a quota 592 s.m.) sita in Stadera, frazione del comune
di Nibbiano, da testimoni oculari si conferma l’esistenza di affioramenti, tracce
murarie di un’antica fortificazione dominante la via di comunicazione che (in
epoca romana) risalendo la Val Tidone si dirigeva a Libarna.
Presenza di vestigia romane si sono trovate anche in Val Versa40. Sul muro
della Chiesa di Volpara si trova una lapide sepolcrale pagana, del secondo
secolo dopo Cristo, che reca sul timpano la mitica Gorgona41.
Baruffi e Lonati gli autori di una bella storia di Santa Maria della
Versa nell’esaminare la leggenda sostengono che la Rosara più che una città
vera e propria poteva essere
un vasto susseguirsi di nuclei insediativi, tanto esteso da essere definito città.
38 ALDO GRECO BERGAMASCHI, La Val Tidone dalla preistoria alla romanità, in studi raccolti
in occasione del Convegno Storico tenuto a Pianello V.T. a cura della sezione di Piacenza della
Deputazione di Storia Patria per le Province Parmensi, estratto dell’Archivio Storico Parmense
1964 (Parma 1966) dal titolo “La Val Tidone “. L’articolo citato a pg. 12.
39 BERGAMASCHI, idem, pag. 12-13.
40 G. BARUFFI- C. LANATI, S. Maria della Versa e il suo territorio, Luigi Porzio e figlio Editori in
27
linguistici locali, che produssero il noto Rusèra, italianizzazione avvenuta in
Rosara.
La Rosara, quindi, più che una città, sarà stata una terra molto popolata che
subì, intorno al secolo II e III d. C., uno spopolamento repentino. Una
Rosara che si trovava vicino a Pianello arrivò fino al 1244 d.C. e fu distrutta
dalle truppe imperiali. Certamente non è la Rosara alla quale presumiamo
facesse parte Moncasacco. Scrive il Molossi43 che
un quarto di miglio all’E, S-E dalla borgata (n.aa. Pianello) è un luogo
denominato le Campagne, lagrimevol sepolcro di un paese antichissimo, dalla
tradizione ricordatoci col nome di Rosara, e che dalle immani soldatesche di
Federico II o del re Enzo suo figlio, siccome altri deliziosi luoghi della Valtidone,
dannato al ferro e al fuoco dell’anno 1244.
L’eruzione avrebbe dovuto essere di tale portata da fare della Rosara un’altra
Ercolano o Pompei, ma non ce n’è giunta notizia alcuna. Probabilmente la
distruzione avvenne a causa di un terremoto, la vicina zona di Varzi è
sismica: questa ipotesi sarebbe in linea con quanto si raccontava.
Che la Rosara fosse stata distrutta da un’invasione potrebbe essere la terza
ipotesi. Che si trattasse dei Biturigi45?
Come siano andate realmente le cose non ci è dato sapere: è rimasto
solamente il ricordo in una leggenda che i giovani ignorano e che per noi un
qualche fondamento di verità lo potrebbe avere.
Fra qualche anno di questa leggenda e di altre se ne perderà la memoria
impoverendo il patrimonio culturale di Moncasacco e dell’Oltrepo.
43 LORENZO MOLOSSI, Vocabolario Topografico dei Ducati di Parma, Piacenza, Guastalla, edito a
Parma nel 1832 dalla Tipografia Ducale, sotto la voce Pianello pgg. 409-410.
44 MOLOSSI, op. cit.
45 ipotesi avanzata nella già citata Storia di Santamaria, pg. 36.
28
VIII.- MONCASACCO NEL MEDIOEVO FEUDO DEI
MALVICINI FONTANA
di AA.VV., Rovescala (1192-1992), a cura del Comune di Rovescala (Azzate, 1992), pag. 43.
48 alcuni lo chiamano Monte Poggio. In un documento del 1203 è menzionato come “Mons
Pioglosi” Notizie si possono trovare in CARMEN ARTOCCHINI, Castelli piacentini, Edizioni TEP
(Piacenza, 1983),voce “Stadera (Nibbiano)”, pg.114.
49 ARTOCCHINI, idem, voce “Torre Gandini (Nibbiano)”.
50 ARTOCCHINI, idem, “Trebecco (Nibbiano)”, pgg. 114-118.
29
A Zav attarello 51 c’era il castello che nel X secolo era stato fatto
costruire dal Monastero di Sant’Ambrogio di Milano. Nel 1327 era divenuto
feudo di Manfredi Landi, dopo essere stato conteso fra Piacenza e Bobbio.
A Ruin o c’era un castello costruito dai Da Ruino, che erano stati
infeudati dal Monastero di Bobbio.
30
Casorate (12 novembre 1356) Bernabò Visconti, come ha scritto lo
Scarabelli56,
per vendicarsi de’ Beccaria che gli avevano arso Moncasacco di qua dal Po
(Mocastracum), li fece espellere da Pavia.
56
LUCIANO SCARABELLI, Istoria civile dei Ducati di Parma, Piacenza, Guastalla, 1ª edizione
stampata nel 1846 e pubblicata nel 1858; riedizione anastatica Arnaldo Forni Editore (Sala Bolognese,
1989), volume II, pag. 108.
57 Con diploma 8 maggio 1408 Giovanni Maria Visconti, Duca di Milano, investì Francesco
Malvicini Fontana dei feudi di Nibbiano, Stadera, Genepreto, Tassara e Vicobarone.
58 Libro d’Oro della Nobiltà Italiana,edizione XXI, volume XXIV (1995-1999), edito dal
Collegio Araldico, pg. 843.
59 KARL FERDINAND WERNER, Nascita della Nobiltà, Giulio Einaudi Editore (Torino, 2000),
pagg. 221-222.
60 GIANCARLO ALBERTO BARUFFI, La via Franchigena- sulle vie dei pellegrini in provincia di
31
IX.- MONCASACCO TERRA DELLO STATO DELLA CHIESA
(1521-1545) E DEL DUCATO DI PIACENZA SOTTO I FARNESE
Nel 1521 Moncasacco, che dalla seconda metà del trecento faceva
parte del Ducato di Milano, passò col Piacentino a far parte dello Stato
della Chiesa. Il nuovo confine fra le due entità statali (Ducato di Milano e
Stato della Chiesa) passava a nord di Moncasacco e coincideva col confine
del territorio di Moncasacco con quello dei comuni di Canevino e di Ruino:
grosso modo il confine fra i due Stati nel 1521 era dove ora passa il confine
fra le regioni Emilia e Lombardia.
Alcuni Moncasacchesi, pur abitando nello Stato della Chiesa,
possedevano terre nel Ducato di Milano, che nel 1530 era passato sotto gli
Spagnoli, così per lavorarle varcavano spesso il confine. Nel 1537
risultavano avere terre nel territorio comunale di Canevino63, cioè nel
Ducato di Milano, i seguenti proprietari:
- Cabro da Moncasacho
- Jacomino da Moncasaco
- Bassino da Moncasaco
- Zanino da Moncasaco
- Rancino da Moncasaco
- Her(edi) di Albertino Bertolame da Moncasaco
Nel 1545 papa Paolo III creò in favore del proprio figlio (Pier Luigi
Farnese) il Ducato di Parma e Piacenza, donandogli terre che
appartenevano allo Stato della Chiesa. Dal 1545 la situazione era questa:
Moncasacco apparteneva al Ducato di Piacenza, mentre Ruino, Canevino e
Caminata erano paesi sudditi del Re di Spagna che tramite un Governatore
amministrava il Ducato di Milano.
Moncasacco era un comune retto da un Console assistito da due Savi;
religiosamente dipendeva dalla parrocchia di Pieve di Stadera; feudatari
erano sempre i Malvicini Fontana.
Signore di Moncasacco fu anche il celebre condottiero Erasmo II
Malvicini Fontana che militò prima al servizio di Carlo IX, Re di Francia,
e poi passò al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia che lo
nominò governatore di Verona. La morte di Erasmo II Malvicini Fontana
diede luogo a una lunga bega riguardante i diritti feudali di Moncasacco.
Riportiamo quanto è stato scritto64:
63 A.S.M., sezione censo- parte antica- cartella 263. Elenco riportato anche nel libro di
GIUSEPPE MODICA e FABRIZIO BERNINI, Canevino terra dell’Alta Val Versa, a cura del
Comune di Canevino (Broni, 1989), pagg. 53-54.
64 SERAFINO MAGGI- CARMEN ARTOCCHINI, I Castelli del Piacentino nella storia e nella
32
sorse una controversia per la successione tant’è che i beni di Vicobarone,
Moncasacco, Stadera e Campremoldo nel 1603 furono «presi» dallo
Eccellentissimo Consiglio di Piacenza per togliere gli scandali che potevano
nascere tra il marchese Pier Francesco figlio primogenito e i marchesi Alberico e
Sforza figli secondogeniti del detto marchese Erasmo avuti da due donne.
Dagli atti della Camera Ducale farnesiana si rileva che nel 1625 si ebbero varie
convenzioni e composizioni fra la Camera stessa e i Malvicini riguardo alle terre
di Stadera, Moncasacco e Vicobarone confiscate tanto al marchese Sforza
Malvicini per aver commesso un «delitto capitale», quanto al marchese Fortunato
resosi colpevole di aver abbandonato gli Stati Parmensi senza il debito permesso.
e delle Parrocchie delle Diocesi di Tortona, Liticoop (Tortona 1973, 3ª edizione) pg. 315 (voce: Rocca de
Giorgi).
68 Atti del convegno ecc., pg. 562- 563.
69 Fanno eccezione, oltre alle carte catastali (Catasto di Piacenza) le carte geografiche dell’Istituto
Geografico Militare (Firenze) fatte in scala 1: 50.000 (quadrante Voghera) e 1:25.000 (quadrante:
Montalto).
70 la carta si trova riprodotta nel volume di VITTORIO PRINA, Vedute di Pavia dal ‘500 al ‘700,
33
commissione di Ottavio Ballada ed incisa da “Jacobus Cotta Bergomensis”.
Nella carta il torrente Versa è indicato col nome Aversa.
71 Per la storia di questo ramo si consulti AA:VV., Le antiche Famiglie di Piacenza e i loro stemmi,
Edizioni Tep (Piacenza, 1979) pg.119.
72
castello situato in Val Luretta in comune di Piozzano.
73 Ci siamo avvalsi di documenti che si trovano in A.S.T. (feudi) e in A.S.P. (Archivio Arcelli di
34
- Una di Mario Molinaro n°1
- Una di detto Francesco Pisano vuota n°1
- Una di Francesca Murano abitata da Stefano Morino n°1
- Una di Riccardo Faravelli dal medesimo abitata n°1
- Una dal medesimo abitata da Carlo Montemartino n°1
- Una di Giacomo Berinzona dal medesimo abitata n°1
- Una di Giô. Campesio vuota n°1
- Una di Giacomo da Piazzo dal medesimo abitata n°1
- Una di detto Riccardo vuota n°1
- Una di Francesco Piazzo dal medesimo abitata n°1
- Una del Co. Giovanni Anguissola abitata dal Fittabile n°1
---------------
Sicchè i fuochi sono in tutto n° 19
che a ragione di Ducatoni a £. 18 sono 3.420
Vi sono poi due case diroccate che formano due
fuochi che a una ragione imputiamo 360
----------
3.780
35
I Questori della Camera Ducale chiesero l’assenso del Sovrano. A Parma nel
Palazzo Ducale il Duca Ranuccio Farnese, il 13 luglio 1688, autorizzò i
Questori a vendere il feudo di Moncasacco. Leggiamo nel rescritto ducale:
Illustrissimi e molto Magnifici nostri Amatissimi
Contentandoci Noi di dare in vendita il feudo di Moncasacco a Ottavio
ed al sacerdote Giô. Battista suo fratello degli Arcelli col titolo di Contea, e colle
condizioni espresse nell’ingionto Loro foglio, e nella stima fatta del medesimo
feudo per lire otto mille da essi esibiti, ne stipulerete con loro di conformità il
contratto in nome della nostra Camera, ne manderete poscia in nostra mano la
Supplica secondo il solito, che così vi ordiniamo, e vi preghiamo da Dio ogni
bene. Parma 13 luglio 1688
RANUCCIO FARNESE
36
Io Ottavio Arcelli di man propria a nome anche di Giô Battista Arcelli mio
fratello Sacerdote.
37
avevano “mero et mixto imperio”, giurisdizione e potestà del gladio con i
diritti (Regali) derivanti dall’osteria, forno e macelleria e che gli abitanti
dovevano ogni anno prestare loro alcune giornate di lavoro gratuito. In fine
il notaio Malaragia Cani lesse, ad alta e chiara voce, la formula del
giuramento e chiamò a prestarlo, ad uno ad uno, gli uomini di Moncasacco.
Dopo aver fatto la riverenza ognuno si inginocchiava e giurava fedeltà al
feudatario e ai suoi successori toccando il Vangelo che era tenuto fra le mani
dal conte Ottavio Arcelli assiso in trono.
Giurò per primo il Console (Giovanni Maria Molinari) che giurò anche
per conto del fratello (Giovanni Molinari), poi il savio Carlo da Piazzi, e
dopo di lui gli uomini:
- Francesco Pisani
- Riccardo Faranelli79
- Pellegrino Pisani
- Stefano Morini
- Giacomo Berinzona80
- Francesco Morelli
- Franco da Piazza figlio di Giacomo
- Franco da Piazza figlio del fu Gerolamo
- Giô. Guglielmo Quadrelli
- Giô. Antonio Chiappini del fu Giovanni detto della Colomba
- Giô. Dell’Occhio
- Bartolomeo Zuffada
- Carlo Montemartini
- Giovanni Antonio Chiappini del fu Filippo.
38
Inoltre si fa intendere d’ordine e come sopra a ciascuno de’
Sudditi del Signor Conte di detto feudo, che nelle cause civili e criminali si
osserveranno non solo li Statuti di Piacenza, ma anche le Grida e Ordini
pubblicati d’ordine del Serenissimo Principe in questo luogo e sue
pertinenze, e questo sino a nuovo ordine.
Dato nel luogo di Moncasacco Li 26 agosto 1688.
Le carte non ci dicono se seguì una bicchierata con buon vino prodotto a
Moncasacco. Di certo sappiamo, perché lo troviamo scritto, che da
Moncasacco si mosse un corteo formato dal Conte, dai tre gentiluomini
piacentini, dal notaio, dal podestà, dal console, dal savio e da tutti gli uomini
di Moncasacco. Andarono a Pieve di Stadera perché Moncasacco
apparteneva a quella parrocchia: nella chiesa dedicata a San Martino il Conte
ed i Moncasacchesi assistettero alla Messa celebrata dall’arciprete don
Angelo Matteo Casali, dottore in teologia. Questo ci farebbe pensare che
l’oratorio a Moncasacco non fosse ancora stato costruito.
In Francia gli Araldi, dopo la morte del Re, annunciavano al
popolo:”è morto il Re viva il Re”; non sappiamo se a Moncasacco quando
moriva il feudatario si dicesse:” è morto il Conte, viva il Conte”. Quando
morì il conte Ottavio gli successe nel titolo di conte di Moncasacco il figlio
conte Giambattista.
I Moncasacchesi erano, comunque, sempre tenuti a prestare ognuno
le tre giornate di lavoro gratuite al feudatario. Nell’archivio di Stato di
Torino abbiamo trovato questo elenco che trascriviamo:
Nota degli Uomini che devono le Giornate annue al
Feudatario di Moncasacco conte Arcelli:
- Giô. Antonio Chiappino
- Agostino Chiappini della Colomba
- Giô. Bellinzona
- Fratelli Zuffada
- Pellegro Pisani
- Carlo da Piaggio
- Carlo dall’Occhio
- Bartolomeo Faranelli
- Giacomo e Figli Bellinzona
- Giô. Da Piaggio
- Contardo Martinoni e suoi Eredi
- Giô. Calatrone
- Margherita Zuffada
- DomenicaAngela da Piaggio
- Antonio Castagnola
- Angela Maria Bersolotti
- Giô. Maria Molinari
- Carlo Alessi
39
- Antonio Maria Borgognoni
- Giacomo da Piaggio
- Carlo Fasoli
- Francesco Pisano
- Angela Maria Zanarda
- Pietro Borgognoni
1718 29 Julii
datus ordo executionis realis
***
40
In seguito a segnalazione del console di Moncasacco, il marchese Tedaldi,
che era commissario generale dei confini del Piacentino, ordinò
un’ispezione che fu affidata a Giacomo Franco Pisani di Roccapolzona,
ispettore dei confini nel distretto di Tassara e Stadera. Il Pisani si recò a
Moncasacco e interrogò gli uomini del Paese che gli dissero che il confine
fra il Ducato di Piacenza e l’Oltrepò era costituito da sempre dal fosso della
Raspa e che le quindici pertiche che il Gatti voleva attribuire a Ruino (cioè
all’Oltrepò) erano di proprietà enfiteutica del conte Giacomo dal Verme di
Zavattarello, che non aveva mai pagato tasse al Ducato di Piacenza perché
quei terreni da sempre li avevano goduti gli abitanti di Moncasacco. Le
quindici pertiche in discussione confinavano: nel Piacentino con terre di
proprietà della Casa Arcelli e da parte pavese con le proprietà del conte
Giacomo dal Verme di Zavattarello e con dei beni parrocchiali.
La disputa sembrò quietarsi, ma due anni dopo il podestà di Zavattarello
rivendicò per Ruino il possesso delle quindici pertiche.
Il 6 luglio 1746 il marchese Tedaldi, commissario generale dei confini del
piacentino, scriveva da Piacenza a Felice Gazzotti, podestà feudale di
Zavattarello, questa lettera:
Molto illustre Signore,
non mi giunge nuova la controversia territoriale ultimamente insorta fra il
comune di Ruino Pavese, e quello di Moncasacco Piacentino, ma mi è
egualmente noto che alla medesima ha dato nocumento la novità irregolare
innestata dal signor Gerolamo Gatti agrimensore col volere di propria autorità, e
contro ogni ragione mettere mano a tirare linee di confine di Stato, il che non
solo a lui non spetta, ma lo rende colpevole d’uno dei più animosi attentati. I
sudditi dell’una e dell’altra giurisdizione devono restare nei rispettivi loro antichi
possessi senza la minima innovazione e quando dovesse farsi qualche variazione
per alcuna concorrente circostanza che lo richiederebbe per maggior comodo e
quiete dei Paesi finitimi, non sarebbe ciò eseguibile senza un’intima cognizione di
causa, e senza l’ordine superiore del Sovrano. Se la S.V. volesse portarsi sulla
faccia del luogo insieme col Sig. Giacomo Francesco Pisani di Roccapolzana, mio
delegato in quelle parti alla Cura dei Confini, non avrò difficoltà di accordarglielo,
quando Ella si compiaccia di darmene nuovo motivo, prevenendola però, che
non potrò attribuirgli altra facoltà, che di pura e semplice oculare ispezione,
mentre in ordine al concertare, o stabilire alcuna ben minima cosa, ciò resta
riservato alla mia disanima e alle sovrane disposizioni della Corte. Per…83 del più
riservato contegno per la parte di questi sudditi Piacentini, quando lo stesso
venga ugualmente praticato anche per la parte dei Pavesi di che non posso
dubitare, e tutto disposto al di Lei servizio con vera stima mi riaffermo.
***
41
Un’altra contesa confinaria Moncasacco la ebbe col Comune di
Canevino. Nell’Archivio di Stato di Torino84 si conserva il « Tipo dimostrativo
delle contese territoriali tra Canevino e Moncasacco colla relazione alli Numeri delle
Mappe di detti territori di Canevino, Volpara». Canevino rivendicava alcuni
terreni (pertiche 263 e tavole 13) che erano quasi tutti (n°. 632, 639, 640,
641) di proprietà del conte Anguissola, mentre 6 pertiche e 23 tavole (n°.
633) erano del signor Andrea Dappiagio.
Non erano certamente tempi tranquilli perché si era in piena guerra:
la guerra di successione austriaca. Nel 1747 i Moncasacchesi avranno
senz’altro visto, con qualche apprensione, il fumo che saliva dal castello di
Zavattarello: l’incendio era stato appiccato dalle truppe franco-liguri, al
comando del generale Lintz85.
nel 1766 nella Stamperia Reale. In A.d.c.C. si conserva la fotocopia integrale del regolamento.
42
fissare un regolamento dei confini che fosse di reciproca soddisfazione delle Due
Corti…e con un sodo stabilimento de’ Limiti radicalmente togliere le occasioni di
dispute sempre contrarie al buon vicinato e alla quiete de rispettivi Sudditi.
43
contestazione tra questo medesimo territorio, e quello di Canevino, apparteranno
alla medesima S.M.
si procederà alla piantumazione de’ termini necessari per far constare dalla
divisione delli due Stati nell’estensione della nuova ed antica linea de’ confini, e se
ne farà processo verbale, colla formazione di una Carta di limitazione.
Fino al 1975 circa almeno tre di questi termini erano ben visibili nell’isola di
Moncasacco: ora l’unico ben visibile si trova nelle vicinanze di Canova sulla
destra, dopo il cimitero, venendo da Moncasacco.
***
Nell’ancien règime vigeva un sistema di governo complesso:
governavano, nel caso di Moncasacco, i Savoia con la loro burocrazia e un
qualche potere lo avevano i feudatari : i conti Arcelli, che sebbene abitassero
in altro Stato (a Piacenza) mantennero i loro diritti feudali come prevedeva
l’articolo XIX del Regolamento sottoscritto a Stradella nel marzo 1767.
Conti di Moncasacco furono nel Regno sardo: Giambattista Arcelli (1727-
1792) e Carlo Arcelli (dal 1792). Il 7 aprile 1770 Re Carlo Emanuele III
aveva emanato nuove “Regie Costituzioni 90“ che obbligavano i Feudatari a
44
presentare i documenti che legittimavano il possesso del feudo. Gli Arcelli
consegnarono la copia dell’atto di investitura del feudo all’Intendenza
dell’Oltrepò che aveva sede a Voghera. La documentazione fu trasmessa a
Torino dall’Intendenza. Con lettera firmata Cappa, datata Torino 31 luglio
1771, e indirizzata a Voghera all’intendente conte d’Hautville si diceva:
Ho ricevuto col compitissimo foglio di V.S. Ill.ma la desiderata notizia del
Feudatario di Moncasacco unitamente all’Atto d’Infeudazione, quale ho l’onore
qui compiegato restituirle senza averne nemmeno fatta fare la Copia in vista, che
rilevo dal precitato suo foglio, che V.S. Ill.ma è in disposizione di farlo passare
quanto prima unitamente ad altri titoli agli Archivi di Corte e sensibile alla di Lei
attenzione ho l’onore di dichiararmi con tutto il rispetto. Di V.S. Ill.ma Div.mo
Obb.mo Ser.e”
45
la strada che portava a Moncasacco92. Le piogge dell’aprile 1767 avevano
creato guai alla viabilità tanto da allarmare il Comandante del Cordone
Militare93 che inviò una memoria alla Segreteria di Guerra con cui avvisava
di una certa rovina seguita sulla strada confinante collo Stato Piacentino nel
territorio di Moncasacco fra i termini 61 e 62 della nuova limitazione stabilita fra i
due Stati.
far fare per mezzo di un ingegnere la ricognizione di detta rovina e dello stato
della strada, con farne rilevare l’opportuno disegno accompagnato di tutte quelle
informazioni di fatto, che potessero mettere la M.S.94 in grado di dare le sue
determinazioni circa l’oggetto.
92 ricostruzione fatta con documenti che si trovano in A.S.T. (fondo” Confini verso il
Piacentino”).
93 Il Cordone Militare era un rafforzamento di truppe che avevano il compito di sorvegliare la
frontiera.
94 la sigla va letta “Maestà Sua”.
95 Datata 1 luglio 1767 scritta fitta in tre facciate. Si trova nell’Archivio di Stato di Torino.
96 Voce antica per frana.
97 Canevino
46
viaggiatori erano costretti, per passare, a sconfinare nel Ducato di Piacenza
ed avevano creato un sentiero che permetteva, a loro e agli animali, di
superare la strada franata. Per porvi rimedio l’ingegnere escludeva la
costruzione di muri o palificate, costosi e, per la natura franosa del terreno,
inutili. Proponeva di tenere buono il tratto della strada spianandola e
facendola
ingiarare con pietre e scaglie in buona forma che nel paese non sono scarse la
quale con tutta diligenza va in ogni bisogno riparata e mantenuta, con nuovi
ingiaramenti, espianamenti, a misura che la libbia la rimovesse, senza mai inoltrar
gli spianamenti verso il Piacentino, già che si ha il luogo di poterla sbassare
quanto si vuole, che sarà sempre men male che dilatarsi oltre lo Stato. In questo
modo è facile abolire l’accennato sentiero, poiché essendo conveniente la strada
gli stessi possessori de’ fondi della parte del Piacentino, che sono campi e vigne si
difenderebbero dal danno con impedirne il passo.
98 l’attuale Canova.
99 Piemonte
100 Cascina sopra Canova attualmente è in territorio del comune di Nibbiano.
47
credo di conseguenza poiché nella buona stagione si riprende la strada grossa
perché più comoda, né soggetta a fessure o libbie: oltre di che qui la strada è
divisoria fra gli Stati .
101 CORNELIO MORARI e DANIELA BOTTO, Voghera e l’Oltrepo Pavese, Edibooks (Milano,
1994), pagg. 202-203.
102 Il testo integrale del Manifesto lo si può trovare nella “ raccolta delle leggi 1681-1798” curata da
48
per un proclama ufficiale allo scopo. Il feudalesimo fu dunque soppresso in
Oltrepò’103.
103
FABRIZIO BERNINI, Quando Napoleone pranzò a Broni, articolo in “Il Popolo” del 27 gennaio
2000.
104 Facevano parte del dipartimento di Genova gli arrondissements (circondari) di Novi,
Tortona, Voghera e Bobbio.
105 V. PALTRINIERI, I moti contro Napoleone negli Stati di Parma e Piacenza (1805-1806), (Bologna,
1927)- FRANCESCO LEONI, Storia della controrivoluzione in Italia (1788-1959), Guida Editori
(Napoli, 1975), pagg. 37-40.
49
terreni che si affacciano sulla Val Tidone, quando espatriavano per andare a
lavorarli dicevano: «vo’ né lla Maria Luisa».
Movimenti di truppe lungo il confine ce n’erano spesso: ora per
reprimere il contrabbando, ora per evitare ingressi non desiderati. Nel
settembre 1831 lungo il confine le autorità piemontesi rafforzarono la
sorveglianza nel timore di un espatrio di agitatori carbonari provenienti dal
Ducato di Parma e Piacenza106.
I Moncasacchesi i loro prodotti li vendevano nei mercati che si
tenevano nei paesi vicini. Di questi mercati scriveva nella prima metà
dell’ottocento Lorenzo Molossi:
Pianello…è floridissimo il mercato di bestiame, granaglie, polli, frutte, cuoi ed
altro che si tiene ogni mercoledì, al quale concorrono circa 3.000 persone dalla
bella e popolosa vallata del Tidone, ed anche dal Pavese. Vi si tiene pure una fiera
negli ultimi lunedì, martedì e mercoledì di agosto (decreto 9 agosto 1827)107.
106 G. BARUFFI e C. LANATI, S. Maria della Versa ed il suo territorio, Luigi Ponzio e Figlio (Pavia,
1994), pg. 254.
107 LORENZO MOLOSSI, Vocabolario Topografico dei Ducati di Parma, Piacenza, Guastalla, edito a
50
sabato di ogni settimana, ed una fiera pure da tenersi nella stessa borgata nel
lunedì immediatamente successivo al giorno sedici luglio di ogni anno114.
Alfredo Clerici.
51
favorevoli contro 504 “no”) Questa annessione qualche riflesso l’ebbe:
dopo secoli Moncasacco non fu più terra di confine fra Stati.
Amministrativamente Moncasacco frazione del comune di Caminata,
circondario di Bobbio, fu aggregato alla provincia di Pavia.
A Bobbio i giovani Moncasacchesi andavano a fare la visita di leva.
Era una “impresa” che durò fin quasi ai tempi della seconda guerra
mondiale. A piedi i coscritti andavano a Bobbio attraverso la montagna.
Impiegavano un giorno e mezzo ad andare ed altrettanto tempo a tornare.
Se dichiarati abili i Moncasacchesi erano soggetti al servizio militare che dal
1861 al 1875 era di otto anni; ridotto a tre dal 1875 al 1887 e a due dal 1888
in poi. Indubbiamente il servizio militare era un “balzello” molto gravoso
che toglieva braccia preziose alle famiglie. Unico elemento positivo era
costituito dal fatto che i Moncasacchesi potevano “vedere” luoghi diversi
dalla Val Versa e dalla Val Tidone. Certamente ne avrebbero fatto a meno!
Anche il nuovo Regno d’Italia, che era stato proclamato a Torino nel
1861, non fu foriero di grandi progressi sociali. Osservava giustamente
Giovanni Spadolini116
Il Risorgimento politico della Nazione italiana non coincise con il Risorgimento
sociale del suo popolo.
52
Nel 1879 arrivò l’infezione della peronospera. Ci vorranno dieci anni
per debellarla spruzzando sulle viti, con una pompa a pressione azionata a
mano, una miscela di solfato di rame e calce.
Negli anni 1867 e 1886 fece la sua comparsa il colera. Raramente
arrivava il medico condotto, il più delle volte si ricorreva a qualche
“medicone” che conosceva le proprietà delle erbe medicinali. Fra questi
ricordiamo don Giovanni Guasone, prevosto di Canevino dal 1873 al 1908,
che aveva
fama di medico, ordinava erbe e unguenti e una quantità di ammalati si recavano
da lui118.
118 Dalla Cronistoria della Parrocchia di Canevino scritta dal prevosto don Antonio Grassi e
pubblicata nel libro di GIUSEPPE MODICA e FABRIZIO BERNINI, Canevino terra dell’Alta
Val Versa, a cura del comune di Canevino (Broni, 1988), pg. 157.
119 GIORGIO CASELLA, Le cantine sociali nell’Oltrepo. Origini e primi sviluppi, articolo in Bollettino
53
della diga che ha dato origine al lago di Molato120. Il 21 marzo 1917 era stato
costituito il “Consorzio di irrigazione della Val Tidone” che incaricò l’ingegnere
Augusto Ballerio di fare il progetto per una diga che doveva sbarrare il
Tidone a 250 metri a monte della confluenza del torrente Molato. Il 15
giugno 1923 Benito Mussolini, presidente del Consiglio dei Ministri, venne
ad inaugurare i lavori della diga che durarono per sei anni. Il lavoro di scavo
e la gettata in calcestruzzo121 furono fatti a mano da lavoratori che venivano
dalla Val Tidone e… anche da Moncasacco. Costruirono una diga, che
poteva trattenere 12 milioni di metri cubi d’acqua, di
un’altezza di 48 metri dal piano dell’alveo a valle; la parte centrale con struttura
ad archi multipli, consta di 17 volte in calcestruzzo armato che scaricano su 16
speroni intermedi e, alle estremità, su tronchi di diga a gravità massiccia122.
Scoppiò nella Alta Val Tidone una piccola rivoluzione123 che durò dal luglio
1925 al dicembre 1926. Il ponte di legno (ora è in muratura) della strada
120 ANTONIO e MARCO ZAVATTARELLI, La diga di Molato, Trebecco, la Madonna della
Torrazza, edizioni Pontegobbo (Fidenza, 1995).
121 Una cementiera fu impiantata poco fuori il paese di Caminata e ancora nell’anno 2001 se ne
pagine di storia e di vita, stampato a cura dell’Associazione Amici di Zavattarello- Pro Loco (Pavia,
1972) pgg. 103-114.
54
Zavattarello-Caminata una notte venne bruciato. La linea telefonica con
Piacenza fu più volte interrotta perché i pali di sostegno furono segati o fatti
saltare con la dinamite. Nel dicembre 1925 più di mille uomini della
Valtidone marciarono su Bobbio, allora sede di una sottoprefettura. In
seguito a questo episodio il Governo di Roma il 27 febbraio 1926 indisse un
Referendum: la maggioranza votò per il ritorno alla provincia di Pavia.
Con la legge 23 dicembre 1926, n. 2246 (in Gazzetta Ufficiale n. 8 del
12 gennaio 1927) i comuni di Zavattarello, Romagnese e Ruino passarono di
nuovo sotto la provincia di Pavia. Moncasacco, quale frazione di Caminata,
restò alla provincia di Piacenza.
Moncasacco fu ed è terra piacentina, staccata dal Ducato di Parma
e Piacenza dal trattato di Worms del 1743, restò separata dalla madre patria
(il Piacentino) per centottanta anni. Non avverrà mai, ma nel caso si dovesse
ripristinare il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla certamente si dovrebbe
includere nel Ducato l’isola di Moncasacco che per tanto tempo fu “terra
irredenta”124; al contrario Caminata (sede del Comune) è da considerarsi
terra di tradizione pavese.
Gli sconvolgimenti amministrativi dell’isola di Moncasacco, aggregata
al comune di Caminata non erano certamente finiti!
Il Regio Decreto 13 dicembre 1928, n. 3173 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 25 del 30 gennaio 1929) dispose la soppressione dei comuni di
Caminata e di Trebecco e la loro aggregazione al comune di Nibbiano.
Moncasacco divenne così frazione di Nibbiano, cessando di essere
un’isola amministrativa perché non era più separata dal territorio comunale.
Con legge 30 dicembre 1937 Moncasacco, Canova e le Mostarine,
con i loro 137 abitanti, passarono sotto il comune di Pometo125 che
apparteneva alla provincia di Pavia.
Nel 1938 arrivò a Moncasacco anche la luce elettrica. La scuola era in
due stanze del castello (proprietà Anguissola) e dipendeva prima dalla
direzione didattica di Caminata e poi (1938) da quella di Pometo.
Ancora nel decennio 1930-40 i Moncasacchesi si muovevano a piedi;
sulle strade vi era un gran passaggio di pedoni: automobili se ne vedevano
poche. Da Moncasacco a piedi per sentieri molti suoi abitanti andavano a
Nibbiano. Fra tutti ricordiamo il signor Giuseppe Bellinzona e la signora
Giuseppina Scarani che sposò poi il signor Leonida Calatroni che si recava
in Val Tidone per rifornirsi di tabacchi per la privativa che gestiva prima con
124 Sulla pretensione al Trono del Ducato di Parma e Piacenza si consulti di PAOLO RINALDO
CONFORTI,Il patrimonio araldico della Real Casa di Borbone Parma – L’Ordine di San Lodovico, Silva
Editore (Parma, 1998). Cfr. articolo in “Libertà” del 27 settembre 2000 di LUDOVICO
LALATTA, Carlo Ugo di Borbone a Piacenza.
125
Il regio decreto 3 settembre 1936, n. 1758 (in Gazzetta Ufficiale del Regno n. 233 del 7
ottobre 1936) stabilì che i comuni di Ruino e di Canevino si unissero in un unico comune
denominato Pometo.
55
la madre e poi lei stessa. La privativa era un negozietto che, oltre ai generi
del monopolio di Stato (tabacchi, sale, chinino, fiammiferi) vendeva di tutto.
In locale separato c’era l’osteria che aveva la stessa conduzione della
privativa. L’osteria era un’istituzione: abbiamo visto che esisteva a
Moncasacco già nel 1688. Come in tutte le osterie si
parlava dei fatti della settimana (non arrivavano giornali), dei campi, dei raccolti,
dell’andamento del tempo e delle stagioni. L’Osteria era luogo d’incontro, di
discussioni, di confronti, di scambi di pareri, di affari, di informazioni e quindi di
emancipazione e, perché no, anche di cultura e di formazione professionale126.
126 Da articolo di EMILIO del GOBBO contenuto nel libro di ENZO DRIUSSI, Vecchie osterie
friulane solo un ricordo?, CCIAA Servizi (Udine, 1995), pag. 67.
56
La costituzione della Repubblica Sociale permise, per breve tempo, ai
fascisti di affacciarsi nella alta Val Versa. Poterono farlo per poco tempo
perché la zona venne occupata dai partigiani.
A Pometo e Ruino c’era il gruppo di Tiziano Marchesi, detto il Tungra, mentre il
gruppo “Montù” comandato da Cesare Pozzi (detto Fusco) si muoveva nella Val
Versa e, pur mantenendo i suoi punti di forza nella zona collinare e montana di
Casa Matti, Scagno, Torre Alberi, Calghera, Ruino, etc. ha come principale
obiettivo la via Emilia, importantissima arteria di collegamenti e dei
vettovagliamenti nazi-fascisti127.
127 Paesi e Gente di quassù, Centro Culturale “Nuova presenza” (Varzi, 1979) pgg. 143-144.
128 UGO SCAGNI, guerriglia partigiana e popolazione in un settore dell’Oltrepo’ pavese, Editoriale dei
Corsi Serali di Stradella, pg. 63.
129
UGO SCAGNI, La Resistenza e i suoi Caduti tra il Lesima e il Po, Edizioni Guardamagna (Varzi,
1995), pag. 171.
130
AA.VV., Cento Croci e Cento pagine di Storia della Resistenza nell’Oltrepo, ANPI di Stradella (Broni,
1980), pag. 13.
131 Grande unità dell’esercito tedesco composta in gran parte da truppe turcomanne ed impiegata
57
Passarono da Pometo e dal Carmine. A Moncasacco tirarono un respiro di
sollievo quando appresero che i “mongoli” si erano diretti verso il Pavese
montano (Zavattarello, Romagnese).
I partigiani “prudenzialmente” si erano ritirati in luoghi più sicuri, poi nel
gennaio 1945, allentata la morsa tedesca, rioccuparono l’alta Val Versa con
tre brigate (Togni, Milazzo, Matteotti).
La brigata Togni formatasi il 10 gennaio 1945 presidiò la Val Ghiaia
e il costone che dal castello di Montù Berchielli arrivava alla Chiesa di
Canevino. L’8 febbraio 1945 la brigata Togni occupò Pometo.
La brigata GL. Milazzo-Deniri, comandata dal tenente Guido,
aveva inizialmente il comando a Cascina Rossarola, poi da metà gennaio
1945 si trasferì a Casa Calatroni.
La brigata Matteotti nel novembre 1944, sotto la pressione della
divisione tedesca Turchestan era stata costretta a rifugiarsi sulle montagne
della alta Val Curone. Verso Natale i partigiani della brigata Matteotti
ritornarono alla spicciolata in Oltrepo’. Fusco,132 il comandante della brigata
decise di occupare Moncasacco
essenzialmente per la sua posizione, allora più difficile di adesso da raggiungere.
Si lasciavano le strade innevate si da rendere difficoltoso il traffico di mezzi a
motore; difendibile, per quanto lo potevamo difendere, abbastanza defilato, per
vederlo bisognava entrarci ma soprattutto perché offriva varie possibilità di
ritirata in particolare per la vicinanza al piacentino. Tra le forze avversarie pavesi
e piacentine non esisteva quel collegamento atto a produrre unità nelle
operazioni. Sul piacentino si stava meglio, non vi era la Sichereits (la SS
italiana)133.
58
vi era una piccola scuola elementare, due locali ed una scala per accedervi. Ne
facemmo un ufficio e vi collocammo una vecchia Olivetti e dove tenevamo i
processi136.
Fino al 1985 questa trincea era ben visibile sul terreno sotto l’acquedotto,
poi il proprietario (Romeo Razzini) fece livellare il terreno da una ruspa,
cancellando la trincea.
I Partigiani non avevano bisogno di “depredare” gli abitanti di Moncasacco
perché erano ben forniti di denaro e potevano acquistare ciò di cui avevano
bisogno sia a Moncasacco che al mercato di Nibbiano. Questo facilitò i
rapporti con i Moncasacchesi. L’atmosfera che c’era in paese in quel periodo
la possiamo ricavare da due lettere del comandante Fusco che ha scritto:
gli abitanti di Moncasacco, in quel tempo, vivevano sui terreni che lavoravano
traendone il sostentamento, agricoltura e bestiame. Le stalle erano piene di buoi.
Ovviamente una vita semplice, non vi era certamente il consumismo di oggi. Una
vita dignitosa. Nessuno è mai venuto a lamentarsi ne chiederci aiuti di sorta139.
Nel dramma non mancarono anche i momenti della commedia, momenti
felici con la gente del paese140.
59
da un tedesco che aveva disertato, fucili e sten americani, oltre a molte
bombe a mano142.
Il 14 febbraio 1945, era il giorno delle Ceneri143, verso le otto del
mattino le vedette partigiane che erano appostate sulla linea Mollio-Costa
Piaggi diedero l’allarme. Il comandante Fusco, giunto da Moncasacco, ha
poi raccontato144 che cosa vide:
…scorsi nel cerchio del binocolo un autobus che, alla grande svolta della
provinciale che da Santa Maria della Versa porta a Montecalvo dove è il bivio per
Volpara e cioè la strada che arriva fino a noi, scaricava uomini. Feci girare le lenti
e al bivio Volpara-Golferenzo vidi una lunga fila indiana che si snodava per la
strada tortuosa tra la neve sino al nostro torrente.
Venivano, infatti, dopo un attimo di sosta al bivio (probabilmente la guida non
sapeva la strada) scelsero la destra.
142 idem
143 CARLO ALFREDO CLERICI ed ENRICO E. CLERICI, La battaglia delle Ceneri (14 febbraio
1945), in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria dell’anno 1996 pagg. 391-399.
144 memoria del comandante Fusco pubblicata nel libro di GIUSEPPE MODICA e FABRIZIO
BERNINI, Canevino, terra della Alta Val Versa, a cura del Comune di Canevino, (Broni, 1988) pag.
177.
145 Sulla strada per Nibbiano al bivio per Moncasacco. Ora vi è un misero monumento a ricordo
della battaglia.
146 Il capitano Hofman in realtà si chiamava Luis Ferdinand Bisping.
147 testimonianza di Cesare Pozzi (Fusco).
148 Il suo vero nome era Werner Schlneter.
60
Centrale dei telefoni di Montù Beccaria, sempre tramite don Diana,
arrivarono due casse da morto, cosicché
martedì 20 febbraio alle quattro del pomeriggio le spoglie mortali di Hofmann,
con quel tram salito giorni prima con tanta sicurezza, arrivarono a Stradella.
Il Parroco di Canevino (don Grassi) scrisse subito una bella poesia per
celebrare la vittoria:
il nemico è battuto ed in rotta
mentre Hofmann è ucciso al Bacà.
La sera del 14 marzo nei paesi occupati dai Partigiani si fece festa. La felicità
dei Moncasacchesi per la vittoria era più che giustificata perché il nemico era
stato fermato sul costone di Costa Piaggi e quindi il paese era stato
risparmiato sia dalle bombe che dalla rappresaglia nazi-fascista. Scrive 149
Fusco:
indubbiamente dopo la battaglia vi fu allegria in tutte le popolazioni della zona.
Da un documento trovato nelle tasche del sergente tedesco, caduto, nell’itinerario
che avrebbe dovuto percorrere quel giorno (se andava bene) vi era anche
Moncasacco e il rastrellamento (così si chiamavano le incursioni nazi-fasciste)
doveva essere di terzo grado, incendiare i nostri rifugi.
61
Il partigiano Romano Bongiorni guarì grazie alla perizia di quel medico, il
cui nome ignoriamo.
L’occupazione di Moncasacco da parte della Brigata Matteotti durò
poco più di due mesi (dal gennaio al marzo 1945). Scrive153 il Fusco:
levammo le tende da Moncasacco verso la metà di marzo, un reggimento di
soldati slovacchi aveva disertato, esigenze logistiche esigevano l’occupazione di
zone più a nord così ci portammo a Costa Calatroni, sopra Volpara, da dove
partimmo per la pianura il 25 aprile.
1995)
62
Il Fascismo aveva soppresso i piccoli Comuni, la neo Repubblica
invece volle ripristinarli. La legge 21 gennaio 1950, n. 25 (in Gazzetta
Ufficiale n. 41 del 18 febbraio 1950) decretò la “Ricostruzione del Comune di
Caminata” con la circoscrizione preesistente all’entrata in vigore del regio
decreto 13 dicembre 1928, n. 3173 che aveva stabilita l’aggregazione del
comune di Caminata a quello di Nibbiano. Ope legis l’isola di Moncasacco
passò dal comune di Ruino-Pometo a quello di Caminata. Si ridiventava
piacentini! La cosa non piacque a tutti: alcuni Moncasacchesi guidati da
Giuseppe Quadrelli protestarono energicamente.
Fra le famiglie residenti in quel tempo a Moncasacco ricordiamo:
Bellinzona, Cagnani, Calatroni, Dalmini, Duca, Ordali, Pezzina, Quadrelli,
Varini, Vornucci.
Ancor oggi si racconta di un evento naturale che sconvolse la zona
fra Pometo e Moncasacco: nel giugno 1950 il cielo si oscurò e si scatenò una
terribile grandinata che fece ingenti danni distruggendo i raccolti…come al
solito gli aiuti del governo furono pochi.
I dati dei censimenti parlano chiaro: nel dopoguerra l’isola di
Moncasacco cominciò a spopolarsi. La gente migrò nei paesi vicini
(Pometo, Broni, Stradella) e nelle grandi città (Pavia, Milano). Prima della
seconda guerra mondiale (ci riferiamo ai dati del censimento del 1936) i
residenti erano 138; nel 1951 erano scesi a 93, nel 1961 a 67 e nel 1971 a 47.
I Moncasacchesi se ne andavano altrove: la privativa e l’osteria
vennero chiuse; i pochi che rimasero dovettero fare i conti col molto
silenzio: poterono però ampliare i loro possedimenti acquistando terre da
chi lasciava il paese. L’esercizio dell’agricoltura anche a Moncasacco,
nonostante il governo di Roma, divenne più redditizio grazie alla
meccanizzazione e al maggior numero di terreni da coltivare soprattutto a
vigna: un’unica scelta che ha anche condizionato il paesaggio156. Intorno al
1975 ad uno degli autori capitò di assistere a uno scambio di “impressioni
nostalgiche” fra i signori Agostino Calatroni e Giuseppe Quadrelli che
rimpiangevano la qualità del vino d’un tempo, quando la vigna si lavorava
tutta col vanghetto…sembrava che parlassero dell’ambrosia, la bevanda
degli Dei dell’Olimpo.
Se esaminiamo nel dettaglio i dati dei censimenti ci accorgiamo che lo
spopolamento fu più marcato nella capitale dell’isola che a Canova. Nel
1936 i residenti a Moncasacco erano 78 e nel 1971 erano solo 7; mentre a
Canova nel 1936 i residenti erano circa157 55 , erano scesi a 37 nel 1971. Già
156 articolo di CORRADO BARBERIS intitolato “il paesaggio agrario” contenuto nel volume Il
Paesaggio Italiano, Touring Editore (Milano, 2000).
157 Il dato della Canova non era scorporato da quello della Mostarina di sotto ed indicato sotto la
63
nel 1951 gli abitanti di Canova (54 residenti) superavano quelli di
Moncasacco (32 residenti).
Fin verso il 1970 la spesa si poteva farla a domicilio: passavano con i
loro carretti sia Pipotu (Giuseppe Labò), che vendeva alimentari, carne di
maiale, mostarda che teneva in mastelle di legno di castagno sia “ad Gilon ”
(Mario Pezzati) che vendeva frutta e verdura. Quest’ultimo arrivava su un
carretto trainato da un mulo, che aveva la caratteristica di fermarsi davanti
alle porte delle osterie.
La scuola fino al 1968 si tenne, come sempre, in due stanzette del
castello di Moncasacco: vi insegnò anche la maestra Anna Maria Achilli. Nel
1969 la scuola fu spostata a Canova in una casa di proprietà del signor
Primino Calatroni, dove vi insegnarono le maestre: Mariuccia Tagliani, che
veniva da Borgonuovo, Nicoletta Zuffada e Mariangela Chiesa. Lo scuola-bus e
il decremento demografico fecero chiudere la scuola: i pochi ragazzi furono
costretti ad andare a Pometo dove, oltre alle elementari, era stata istituita la
scuola media, divenuta scuola dell’obbligo. L’isola di Moncasacco ebbe i
suoi primi geometri e ragionieri, ma anche questo traguardo fu conquistato a
costo di fatica perchè per frequentare a Stradella le superiori i giovani
Moncasacchesi dovettero sobbarcarsi delle “levatacce”.
Una delle cause dell’abbandono di Moncasacco era il frazionamento
della proprietà che non dava reddito sufficiente per tutti. Gli autori di questa
breve storia il 20 febbraio 1971 a Stradella, davanti al notaio Giovanni
Adamo, acquistarono due stallette e dieci pertiche di terreno dove nel 1976
cominciarono la costruzione de “La Malmostosa”. I venditori di quella poca
terra erano ben dodici (cinque Bellinzona; un Dalmini e sei Calatroni), tutti
nati nell’isola di Moncasacco, ma al momento dell’atto solo cinque residenti.
Il più vecchio, nato il 28 ottobre 1884, era il signor Ernesto Calatroni che da
“patriarca” venne a Stradella accompagnato dai suoi cinque figli.
Il Comune di Caminata non era in grado di provvedere “ad una curata
e ordinata manutenzione delle strade158“. Per poter beneficiare dell’intervento
dello Stato (come prevedeva la legge n. 181 del 21 aprile 1962) nella seduta
del 4 gennaio 1965 il Consiglio Comunale classificò le strade comunali ad
uso pubblico. Le strade dell’isola di Moncasacco furono così classificate:
b) Strade vicinali
1. Canova-Rossella-Pieve di Stadera Km. 2,560
2. Moncasacco-Mostarina Km. 1,852
3. Rio Cavaione-Moncasacco Km. 0,772
64
Dal 1970 si verificò il fenomeno del ripopolamento durante il fine
settimana. Le case disabitate (erano in maggioranza a Moncasacco paese)
vennero poste in vendita. Uno degli artefici di questa operazione fu il
mediatore Attilio Zandalassini che si pubblicizzava sul quotidiano “La
Provincia Pavese”. In archivio conserviamo questo annuncio apparso il 21
marzo 1970:
Casetta 3 locali, 4 pertiche terreno, collina pavese, vista panoramica vendo
700.000.- Zandalassini Attilio, Albergo Belvedere, Carmine di Ruino tel. 0385-
79743.
65
I “milanesi” di diverse estrazioni portarono la loro cultura e
purtroppo qualcuno, contro il più elementare senso dell’estetica, portò la
“cultura della periferia“ che consisteva nel far baracche di lamiera e
nell’ammonticchiare i “residuati” degli straccivendoli, svilendo la bellezza
del posto e col rischio, fortunatamente sventato, di trasformare il paese in
una “favela”.
Nel 1977 le famiglie presenti163 nell’isola di Moncasacco erano:
66
acquedotto fu risolto dal nuovo Sindaco di Caminata (dottore Eugenio
Dovati) che fece fare alcuni lavori risolutivi. Dal 15 settembre 1980 si può
dire che l’acquedotto funzionò bene.
Il “problema acquedotto”, può sembrare strano, ebbe “anche” un
risvolto positivo. Dal 1972 al 1980 indubbiamente fu motivo di
aggregazione perché si fecero riunioni su riunioni: ci si “doveva” incontrare,
parlare, discutere. Quando l’acquedotto fu sistemato a Moncasacco trionfò il
“privato” quello che Guicciardini chiamava il “particulare”.
Sotto l’amministrazione del dottor Eugenio Dovati a Moncasacco si
fecero delle consistenti migliorie: fognatura, servizio spazzatura, raccolta
differenziata del vetro165, asfaltatura di alcune strade. Come annunciava un
articolo apparso il 24 dicembre 1987 sul quotidiano “Libertà”, l’acquedotto
di Moncasacco-Canova fu potenziato.
Nel luglio 1980 vi fu una raccolta di adesioni per il telefono privato e
l’allacciamento fu fatto nel 1981: prima vi era un posto pubblico a Canova.
Nel 1989 il Comune di Caminata prese la decisione di metanizzare
anche Moncasacco. Il 4 novembre 1989 chiese agli abitanti una adesione di
massima. Vi fu una riunione in Municipio e presto anche a Moncasacco e
Canova arrivò il metano (i contatori furono installati nell’ottobre 1990)
distribuito dalla società CO.RE.GAS con sede a Cremona.
Fra coloro che in vari tempi rappresentarono l’isola di Moncasacco
nel Consiglio Comunale di Caminata è doveroso citare i Consiglieri: sig.
Rino Bellinzona, signora Luciana Calatroni, il signor Angelo Calatroni, il
veterinario dottore Gianfranco Negri, e il signor Gian Pietro Calatroni che
per circa trenta anni partecipò attivamente alla amministrazione del Comune
sia come consigliere che come Assessore166.
Nel periodo 1970-2000 a Moncasacco si ristrutturano vecchie case e
se ne costruirono di nuove. Un “vincolo estetico” avrebbe evitata qualche
costruzione di “stile mediterraneo”, ma è un discorso soggettivo! Del resto
in tutto l’Oltrepò il patrimonio edilizio della antica civiltà rurale è stato
“violentato” da case con le tapparelle, da verande in allumio anodizzato,
ecc.167
La storia di Moncasacco dal 1970 ad oggi registra: beghe di confine e
di vicinato; la visita del Vescovo di Piacenza; la concessione del cavalierato
di Vittorio Veneto a Giuseppe Quadrelli che era stato un ardito durante la
prima guerra mondiale; buoni e cattivi raccolti; l’ordinazione sacerdotale di
don Chiesa della Mostarina di Sotto; la laurea in informatica di Roberto
1973.
67
Bellinzona; la permanenza (intorno al 1975) durante qualche fine settimana
dei componenti del complesso dei Dick-Dick, ospiti dell’architetto Marabelli.
Fra il 1973 e il 1980 l’isola di Moncasacco fu attraversata da diverse
competizioni sportive: il Rally Automobilistico e la Marcia Internazionale dell’Alta
Val Versa. Di quest’ultima se ne fecero diverse edizioni. I marciatori,
provenendo da Campasso-Ortaiolo, attraversavano Canova e transitavano
sulla provinciale che lambisce Moncasacco per ritornare verso Santa Maria
della Versa dove era posto il traguardo.
Negli ultimi anni alcune seconde case sono state poste in vendita: i
dimoranti con più di trenta anni di presenza sono rimasti in pochi (Triscari,
Milani, Montalbano, Clerici). Nella primavera 1982 una immobiliare
milanese (San Giorgio) faceva mettere sui parabrezza delle macchine
posteggiate a Milano un volantino dove si leggeva:
CANOVA di CAMINATA (Oltrepo’ Pavese) rustico su due piani
completamente ristrutturato e rimesso a nuovo, completamente arredato, due
camini, orto, nel centro di un magnifico paesino a 700 metri di altitudine, per un
totale di mq. 180 circa, vista magnifica, possibilità mutuo all’80%, minimo
contante.
Nel volantino era indicato il prezzo che era di lire cinquantasei milioni a
condizione che l’acquisto fosse fatto entro il giugno 1982.
Un’importante conquista si ebbe nel 1992: ai vigneti dell’isola di
Moncasacco, facenti parte del sistema orografico della Val Versa, venne
estesa la “Doc Oltrepo’ Pavese” 168. Fu un provvedimento doveroso perché da
molti anni le uve prodotte in questi terreni venivano conferite a Cantine
Pavesi (Cantina La Versa, Faravelli, ecc.) che dichiararono, durante
l’istruttoria, che le uve di Moncasacco non dimostravano diversità rispetto
alle altre uve della Val Versa169.
Nell’ottobre 2000 i comuni di Caminata, Pecorara, Nibbiano e
Pianello hanno presentata alla Regione Emilia Romagna la domanda per
ottenere la costituzione della Comunità Montana della Val Tidone170.
68
La marginalizzazione di Moncasacco ha un suo fascino, tuttavia non
si può non essere preoccupati dalla “marginalizzazione” dei paesi vicini: gli
uffici postali, le scuole, i negozi e le pompe di benzina chiudono.
Per eleggere le amministrazioni comunali la legge italiana dà diritto di
voto ai soli residenti, così a Moncasacco i numerosi “dimoranti” non hanno
voce. Questi pagano, senza sconto171 alcuno, l’ICI (= imposta comunale
sugli immobili), ma non possono decidere sul suo impiego. Da questo punto
di vista nel Regno del Lombardo-Veneto, soggetto al “retrivo” Impero
d’Austria, vi era una legge che concedeva ai possessori di beni immobili (sia
residenti che dimoranti) il diritto di partecipare al Convocato che era
un’Assemblea che si riuniva ogni anno per approvare il bilancio del Comune
e nominare gli ufficiali (medico, maestro, ostetrica).
Per ovviare a questa “palese ingiustizia” andrebbe riformato lo Statuto del
Comune di Caminata che potrebbe istituire un Consiglio di Frazione,
eletto fra “residenti” e “dimoranti”. Un Consiglio che abbia solo un potere
consultivo e propositivo: sarebbe certamente un passo avanti!
Parlando del futuro di Moncasacco una domanda pare legittima: il
paesaggio muterà? Un tempo i boschi erano molto estesi, poi si disboscò
per piantarvi le vigne, forse un giorno, sia per mancanza di addetti
all’agricoltura o per accordi internazionali (globalizzazione), si potrebbe
ritornare per forza di cose al bosco.
69
70
PARTE TERZA
APPE ND ICE
71
72
XVIII.- BLASONARIO MONCASACCHESE
ARCE LLI
Inquartato: al 1° d’azzurro alla mezza aquila coronata d’oro, uscente dalla
partizione; al 2° inquartato: a) e d) d’argento (o oro) a tre cani di nero, correnti,
posti uno sopra l’altro; b) e c) scaccato d’argento e di rosso di sei pile 2,1.
AYA LA VA LVA ( d’ )
Partito nel 1° d’argento a 2 lupi di nero uno sull’altro colla bordatura di rosso,
caricata di otto decussi d’oro; nel 2° d’argento alla fascia di rosso, accompagnato
da nove uccelli di nero, cinque in campo (3 e 2), quello di mezzo ed in capo
coronato d’oro, e quattro in punta rivoltati (2 e 2).
CLERICI
D’oro allo scaglione di rosso, accompagnato in capo da due stelle dello stesso e
in punta da una granata fiammeggiante di porpora, crociata d’argento. Capo
d’azzurro carico di una spada da parata, posta in fascia, d’argento, con l’elsa e
l’impugnatura pomellata d’oro.
MA LVICI NI F ONT A NA
Inquartato: nel 1° e 4° d’azzurro alla croce d’oro trifogliata, nel 2° e 3° di rosso
alla croce d’argento e d’azzurro.
M ONT A LBA N O
D’azzurro al monte a cinque vette d’oro emergente da un mare mosso di nero
con le onde d’oro.
VISER TA
D’azzurro all’albero di quercia, sostenente un nido con un uccello, nodrito su un
prato verde fiorito, accompagnato in capo da tre stelle (8) male ordinate.
73
EMI LIA R OM AG NA (regione)
trapezoide rettangolo, di colore verde, con lato superiore di andamento
sinusoidale, inserito in un campo quadrato bianco confinato di verde.172
PIACE NZ A (provincia)
Dado d’argento in campo rosso
CA MIN AT A V A L TI D ON E (comune)
Lo storico avvocato Aldogreco Bergamaschi ha scritto173:
XIX.- LA CHIESA
Queste poche annotazioni mettono in luce che già nel 1856 a Moncasacco
esisteva l’oratorio, che noi pensiamo risalire a metà del settecento. Intorno
al 1975 il costruttore Quadrelli da Nibbiano raccontò che suo trisavolo
cadde (e morì) mentre riparava il tetto dell’oratorio.
La Chiesa di Pieve di Stadera, che per secoli fu la parrocchia di
Moncasacco, già nel Medioevo era molto importante perché era collegiata
e l’Arciprete unitamente ai canonici, che erano cinque, aveva il diritto di eleggere i
cappellani di Nibbiano, di Montemartino, di Ginepreto, di Santa Maria del Monte
e della Tassara174.
74
La crisi delle vocazioni sacerdotali rese vacante la parrocchia di Pieve
di Stadera. Fra il 1972 e il 1975 il Parroco di Tassara (don Dino Merli) fece
da delegato Vescovile della Parrocchia, così nei mesi estivi veniva a
celebrare Messa a Moncasacco. Nel 1975 il Vescovo di Piacenza chiese al
Vescovo di Bobbio di provvedere alla cura delle anime di Moncasacco. Fu
incaricato il Parroco di Pometo: monsignor Martino Marini, fino al 31
ottobre 1993, don Giampiero Culacciati dal 1993 al 1995, don Claudio
Carbeni, fra Arnaldo Pellesi e dal gennaio 2001 don Donato Casella.
Un tempo i Morti dell’isola di Moncasacco venivano seppelliti a Pieve
di Stadera solamente nel 1965 Moncasacco ebbe il suo cimitero.
La religione fino agli inizi del novecento era molto sentita, anche se vi
erano usanze che avevano “radici superstiziose”. In tutta la Val Tidone nella
settimana santa alcuni battevano il rollo (barloca175) o dei tolloni (tola)
provocando un suono che si sentiva molto lontano e serviva a mezzogiorno
ad avvisare chi lavorava in assenza delle campane che erano “legate”. In
antico176 si pensava così di battere i peccati (bat i pcà) o Ponzio Pilato (bat
Pilàt) o Giuda (bat Giuda). Il venerdì santo con paglia sottratta nei fienili si
faceva un fantoccio, che simboleggiava Barabba e che dopo la processione
veniva bruciato (brusà Baraba).
XX.- LE FESTE
movimento delle bacchette o di altri simili corpi sopra il tamburo od altro arnese sonoro per cui
ne nasce unsuono particolare. La pavese voce barloca indica quel rollo particolare che si fa nelle
nostre cascine sopra il fondo del secchione capovolto, onde chiamare i famigli al lavoro.»
176 CARMEN ARTOCCHINI, Le superstizioni nel Piacentino attraverso i Sinodi diocesani post-tridentini,
75
che non ballavano. I ballerini paganti erano separati, da quelli che volevano
ballare senza pagare, da una fune che ogni due o tre balli177 veniva tesa da un
lato all’altro della pista. Accorrevano a piedi dal circondario molti giovani, si
facevano gare di danza: Agostino Calatroni della Canova è ancor oggi
ricordato come provetto ballerino. Si eleggeva anche una Miss: una Ordali
vinse la sfida.
I ragazzini spesso si divertivano ad “alleggerire” il carretto del
gelataio, nascevano nuovi amori, ci si divertiva molto e… con poco!
2.-Cal en di ma gg io
Se la regiora era stata generosa nel dare uova il gruppo le faceva lodi
sperticate; se la regiora era stata sparagnina il gruppo non le lesinava insulti
mordaci.
76
l’originalità non stava tanto nel travestimento, quanto nel divertire il pubblico
con le loro trovate179.
4. La not t d ì gr asb
XXI.- LA CASA
77
canestro (cavagneù) per tenere le verdure o quando c’era la frutta, ed era festa
quando attorno aleggiava il profumo del “crescente” o della “schisla”.
Appoggiata allo stipite della porta d’entrata immancabilmente c’era la scopa
fatta di rami di sangonella(scuon o scova), per tenere pulita l’aia e a scacciare il
malocchio quando cantavano il “ciod” e il ”murit”.
Una scaletta di legno (scalëta) a pioli conduceva al piano superiore
costituito da un’unica stanza da letto in qualche caso due. Nella camera
prendevano posto il letto (lett), due comodini (cumoden), l’armadio per gli
abiti (vestè) e l’armadio per la biancheria (armàri), il cassettone (cumô), il
portacatino (portacatei) e il baule (bavül).
Un portico (pòrtich), anche se di piccole dimensioni, era sempre nelle
vicinanze della casa o addossato ad essa. Al piano terreno si tenevano gli
attrezzi d’uso: la forca (fôrca), il forcone (fôrcòn), il rastrello (rastè o rastèll), il
marazzo (marass), la vanga (badìl), il badile con pala più leggera (badila), la
falce da fieno (fèrr da pra), la falce messoria (msôra), il falcetto per tagliare
l’erba nel campo (msôrein).
Non era raro vedere nei giorni di pioggia, quando non era possibile
lavorare nei campi, gli uomini seduti ad intrecciare “cavagnei ” o a preparare
la cesta per la chioccia (ciösa), usando i giovani rami del salice bianco (gabba),
o i tralci sottili (broca) per legare la vigna o intenti ad usare la mola (meùla)
per macinare i cereali secondo la stagione. Al riparo del portico c’erano i
conigli da carne (cunili).
In un angolo dell’aia, protetto dai rigori dell’inverno e dal sole, c’era il
pollaio con il gallo (gal), le galline (galène), la chioccia (ciösa) e i pulcini
(pulestren) e più distaccato il porcile con la mangiatoia (arbi) per il maiale (gugn
o animâl) la ricchezza della famiglia.
La cantina (cantena) doveva per necessità essere buia (scur), fresca e
ben orientata. Al suo interno troneggiava la botte (bôta) col suo tappo
(stoplòn) e sotto di questa il mastello per il travaso (travasen ), ed accanto la
botte per il vino da imbottigliare (buttarlèn) e la bigoncia (nävassa) capovolta
in attesa della vendemmia o il recipiente (bigoncen) dove si schiacciava l’uva a
piedi nudi. Appeso al muro il setaccio (sdàsa de la cantèna), in un angolo a
testa in sù la pala per rimuovere il graspo e le vinacce (pala per le racche). Varie
assi sovrapposte reggevano le bottiglie destinate all’invecchiamento.
Possibilmente distante dal vino c’era la botticella per l’aceto (buttarlen per
l’asèd). Da un muro all’altro veniva teso del filo di ferro al quale si
appendevano i salami (saläm), la pancetta e le bondiole per la stagionatura.
Su di un ripiano di legno (ass) qualche formagetta (formagela) ad indurire.
78
XXII.- IL CORREDO DELLA SPOSA
XXIII.- IL FORNO
180Strumento che un tempo serviva per battere il grano ed era fatto di due bastoni, uno che si
teneva in mano detto manfanile, altro che serviva a battere detto vetta e questi erano legati insieme,
per i capi, con gombina o correggia.
79
XXIV.- IL DESINARE DI OGNI GIORNO E QUELLO DELLA
FESTA
181 La patata fece la sua comparsa a Moncasacca agli inizi del milleottocento.
80
verdure, e per finire ciambelle (buslan) fatte con farina, burro, latte e
zucchero, e croccanti con le noci (crocant coi nös). Salvo il giorno dopo dover
invocare:
81
Per le Cresime i padrini (gudàss e gudàssa) regalavano collane di
ciambelline (brassadè, buslanëi) che si mettevano al collo dei festeggiati.
San Giovanni: (San Giôan la giurna pussè lunga dl’ann). E’ il tempo del
gran lavoro: la massaia accompagnava il marito nei campi e il cibo
ridiventava frettoloso e frugale.
XXV.- LA STALLA
82
tenere fino a vederne dei piccoli vermi, questo era il momento giusto per
tagliarle a pezzi e metterle in un vaso di vetro con panna o vino bianco e
zucchero, tutto ben impastato; dopo qualche tempo si ripuliva il formaggio
dai residui, si amalgamava bene e serviva per condire le fette di polenta o
spalmarlo sul pane.
184 OSVALDO GALLI, äl masulàr, edizioni Guardamagna (Varzi, 1991), pag. 63.
185 Idem pagg. 31-35.
83
XXVII.- LA VEGLIA
84
Tutto il paese partecipava al funerale: il corteo si avviva da
Moncasacco per la strada, che dopo l’attuale cimitero, passa per Monte
Pioggia per giungere a Pieve di Stadera nella cui chiesa si celebrava il rito
funebre al termine del quale la salma veniva accolta nel locale cimitero. La
famiglia del defunto faceva intervenire alle esequie dei cantori che lo
facevano di professione.
85
l’influenza dell’italiano. Di alcune parole non siamo riusciti a trovare il
riscontro in altri dialetti tanto che pensiamo siano vocaboli formatisi
nell’area di Moncasacco quando l’isolamento era più marcato. Spesso
abbiamo avuta difficoltà a scrivere alcune parole, infatti quando non è stato
possibile un riscontro sui dizionari dialettali abbiamo trascritto i vocaboli
così come si pronunciano. Soluzione adottata anche dai più autorevoli
cultori del dialetto189.
XXX.- IL COSTUME
189CESARE ZILOCCHI, Asé, azé o aseo? Il dubbio resta. Breverant potrebbe derivare da ebreo errante,
articolo nella “Libertà” del 5 febbraio 2000.
190 Indumento che si tiene sopra la camicia.
86
BIBLIOGRAFIA
Oltre alle fonti archivistiche, che abbiamo citato nelle note e alle testimonianze, che abbiamo indicate
nel ringraziamento, ci siamo avvalsi di alcuni volumi e articoli di periodici che si trovano a Moncasacco
nella biblioteca de «la Malmostosa» a disposizione di chi li volesse consultare.
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