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CASSEFORTI A COMBINAZIONE
MECCANICA
Queste pagine sono riservate ai ricercatori a solo scopo di studio teorico. Gli autori
del libro declinano sin da ora ogni responsabilità sull’eventuale uso illecito delle
informazioni fornite o delle apparecchiature descritte.
Infatti, questo libro vuole avere solamente uno scopo didattico ed esplicativo, teso a
mostrare i limiti dei mezzi forti di custodia e dei loro sistemi di chiusura con il solo fine di
approfondire la conoscenza dell’argomento da parte dei ricercatori e degli utenti finali per una
scelta consapevole. Non è pertanto da intendersi come un invito o un incoraggiamento a
mettere in pratica quanto descritto.
Il semplice fatto di proseguire nella lettura, implica l’accettazione di quanto sopra.
Eventuali marchi di fabbrica o di servizio, nomi di prodotti o di aziende che compaiano nel
presente volume sono utilizzati a solo scopo informativo. Gli autori non rivendicano alcun diritto in
relazione ad essi, né il loro utilizzo indica legami societari tra i proprietari dei marchi e gli autori del
volume o appoggio dei prodotti da parte degli stessi.
INTRODUZIONE
Il punto di vista degli autori di questo libro si può, quindi, sintetizzare così: nel campo
serraturiero e delle casseforti è in vigore la nozione del “security through obscurity”; mantenere
segrete le informazioni al fine di non dare vantaggi agli attaccanti.
Il suo opposto, diffuso soprattutto in campo informatico, è la “full disclosure”; rendere pubblici
i dettagli allo scopo di permettere agli esperti di analizzarli ed evidenziarne i difetti e i limiti.
Indubbiamente l’età enormemente più giovane della scienza informatica, rispetto alla
meccanica serraturiera, gioca a favore di una maggiore apertura mentale della prima.
La “full disclosure” deriva dalla "legge di Kerckhoffs": "Un sistema crittografico dovrebbe
essere sicuro, anche se ogni cosa che riguarda il sistema, ad eccezione della chiave, è di pubblico
dominio".
Per quel che riguarda le serrature e le casseforti, è fin troppo facile acquistare un modello da
studiare per trovarne le vulnerabilità, pertanto la sicurezza attraverso "l’oscuramento" delle
informazioni, verrà meno. Inevitabilmente.
Ma forse le ragioni che sottendono a tale ostinazione nel voler mantenere riservato ciò che, alla
cruda luce della realtà, non può essere ragionevolmente segretato, sono altre.
Lasciamo volentieri ai lettori trarre le conclusioni.
PROFILO BIOGRAFICO DEGLI AUTORI
Sorprendentemente, gli autori di questo libro non sono dei serraturieri professionisti o dei
commercianti nell’ambito delle casseforti.
L’uno si occupa principalmente dell’aspetto forense della meccanica serraturiera e dei mezzi
forti di custodia, l’altro è ricercatore nel campo della psicologia della sicurezza correlata all’uso
delle armi da fuoco.
Certamente sono ambedue degli appassionati di meccanica di precisione, da sempre interessati
a conoscere il funzionamento delle cose. Proprio i tipi che, nell’infanzia, ricevendo un nuovo
giocattolo, per prima cosa lo smontavano per scoprire come fosse fatto “dentro”.
Oggi, smontati tutti i giocattoli possibili, rimangono inguaribilmente curiosi di conoscere i
segreti di serrature e casseforti, i loro limiti per quanto concerne la resistenza ai tentativi di
manipolazione e, in definitiva, la loro sicurezza.
Claudio Ballicu è nato a Roma nel 1949, dove vive e lavora. E’ perito in elettronica industriale e
telecomunicazioni.
Ex Vigile del Fuoco, si è interessato “da sempre” allo studio delle serrature e dei dispositivi
anticrimine in generale. Durante gli anni di
servizio nei V.V.F. sempre operativo sui
mezzi antincendio, si è dedicato, come
istruttore professionale, a insegnare le
tecniche di apertura delle serrature negli
interventi di urgenza.
E’ autore di pubblicazioni nel campo della
meccanica serraturiera, del misterioso settore
dello spionaggio elettronico e dell’indagine
sulle cause di incendio, sulla rivista del settore “Force-Security”.
Oggi, effettua perizie forensi e consulenze nel campo serraturiero-casseforti e dei dispositivi
elettronici anticrimine per il Tribunale di Roma, ove è iscritto dal 2005 nelle liste dei Consulenti
Tecnici di Ufficio, e per privati e compagnie assicurative.
Carlo Clerici è nato a Genova nel 1969. Vive e lavora a Milano. Laureato con lode in Medicina
e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano, ha svolto il servizio militare con il grado di
sottotenente medico di complemento presso
la Regione Carabinieri Lombardia.
Specialista in Psicologia Clinica, è
ricercatore universitario nel settore della
Psicologia Generale presso la Facoltà di
Medicina e Chirurgia dell’Università degli
Studi di Milano
E’ autore di numerose pubblicazioni
mediche e psicologiche su riviste
scientifiche internazionali.
Fra gli altri temi di ricerca si occupa di psicologia della sicurezza e anche per questo motivo si
interessa alla meccanica di serrature e casseforti.
Studioso di storia e tecnica militare è stato anche in questo campo autore di numerose
pubblicazioni.
1. LE CASSEFORTI
Da una stampa del 1879 che reclamizza la resistenza delle casseforti “Diebold Safes and Locks
Company”, questo il nome dell’azienda in quel periodo.
L’invenzione della cassaforte o meglio, del suo equivalente ancestrale, per la protezione di beni
preziosi ha radici antichissime che si perdono nel buio dei millenni.
Nell’antico Egitto i tesori dei faraoni erano protetti in luoghi deputati, grazie a finte stanze del
tesoro e trabocchetti capaci di bloccare gli intrusi in meandri e stanze impedendo loro di tornare
indietro e condannandoli, spesso, a una morte lenta e atroce.
Nella Grecia antica i tesori erano collocati in stanze protette con pesanti porte di bronzo dotate
di ingegnose serrature metalliche, mentre nella Roma antica erano in uso forzieri di legno e metallo
per contenere il denaro.
Nel corso dei secoli sono stati sviluppati mezzi tecnici sempre più raffinati e complessi per la
protezione dei beni.
Antenati delle casseforti erano contenitori di legno rinforzati con piastre metalliche fissate con
chiodi ribaditi. Si trattava di oggetti prodotti artigianalmente e realizzati da fabbri o falegnami in
base all’esperienza propria o della bottega di appartenenza.
All’inizio dell’Ottocento, con l’affermarsi della borghesia, ma anche con il procedere della
rivoluzione industriale e con l’aumentata capacità di lavorazione dei metalli, crebbe la richiesta di
sistemi per la protezione del denaro e dei preziosi. Grazie al contemporaneo svilupparsi
dell’industria, diversi produttori iniziarono così a realizzare e a mettere in commercio le prime
casseforti moderne (fr. Coffre-fort; sp. Caja de caudales; ted. Geldschrank ; ingl. Safe).
In questi nuovi prodotti industriali il legno fu gradualmente sostituito dal metallo. Le tecniche
metallurgiche ebbero quindi un’importanza crescente nella realizzazione di questi manufatti.
Obiettivo della produzione industriale era ottenere un materiale abbastanza duro da resistere al
taglio e alla perforazione ma abbastanza flessibile per non cedere se sottoposto a percussione.
Il ferro, ovviamente, fu il materiale più spesso usato all’inizio, ma presto fu usato in lega con il
carbonio per ottenere l’acciaio.
Nell’Europa Occidentale si era diffusa, all’inizio del Seicento, una tecnica di produzione
artigianale dell’acciaio, chiamata “cementazione”, basata sull’arricchimento del ferro, battuto e
scaldato in presenza di carbone.
Produrre industrialmente l’acciaio richiedeva però, ancora, costosi altiforni e complesse
tecniche per l’affinazione della ghisa che, per lungo tempo, furono impraticabili o comunque
estremamente costose.
La tecnica del “puddellaggio” che fu in uso fino al 1860 prevedeva di versare la ghisa in un
crogiolo riscaldato dal carbone posto in una camera di combustione separata. In questo modo il
bagno di metallo contenuto era riscaldato e si poteva procedere all’affinazione della ghisa; la
temperatura ottenibile, tuttavia, non era sufficiente per mantenere la massa metallica fluida e fusa.
Vi era quindi la necessità di scaldare e agitare continuamente il bagno per evitarne il
raffreddamento e la solidificazione (da qui il nome della tecnica, dal verbo inglese “to puddle” che
significa mescolare).
Nella prima parte dell’Ottocento l’acciaio continuò a essere fabbricato per lo più tramite
cementazione, seguita a volte dalla rifusione per produrre acciaio in crogiolo.
Il problema di produrre industrialmente acciai a costi economicamente ragionevoli, fu risolto
nel 1855 da Henry Bessmer con l’introduzione del convertitore che prese il suo nome.
Con questa tecnica, nata a Sheffield in Inghilterra, (guarda caso, la patria della rivoluzione
industriale e dove erano disponibili grandi quantità di carbone) la ghisa grezza fusa prodotta
dall’altoforno era inserita in un crogiolo di grandi dimensioni. Veniva poi insufflata dell’aria
attraverso il materiale fuso, con il risultato di bruciare il carbonio disciolto dal coke. Con la
combustione del coke, il punto di fusione del materiale aumentava, ma il calore proveniente dal
carbonio in fiamme assicurava che la miscela restasse allo stato fluido.
Finalmente l’impiego dei convertitori ad aria, consentiva di abbandonare le precedenti tecniche
di produzione dell’acciaio troppo lente ed antieconomiche.
L’acciaio che prima era un metallo molto costoso ed era impiegato soltanto dove era necessario
disporre di un metallo estremamente duro o flessibile, come negli attrezzi da taglio e nelle molle,
divenne materia prima anche per la produzione industriale di oggetti su larga scala.
Iniziò inoltre ad essere prodotto in leghe con metalli diversi come, ad esempio, il manganese,
con il risultato di esaltare le particolari caratteristiche durezza, conduttività termica e resistenza alla
perforazione.
Grazie alla produzione industriale di acciai la fabbricazione di casseforti ebbe importanti
progressi.
Nel 1860, Chatwood, fabbricante inglese di casseforti, introdusse l’uso di due lamiere d’acciaio
entro cui era fuso del metallo, ottenendo lastre estremamente difficili da perforare. Questa tecnica
risultò più efficace rispetto alla semplice moltiplicazione del numero di lamiere d’acciaio.
Lastre d’acciaio ad alto tenore di carbonio poste attorno ad uno strato di acciaio meno duro
permettevano di ottenere pareti resistenti, nello stesso tempo, al taglio e alla fiamma ossidrica.
Lastre di rame poste fra le piastre d’acciaio furono usate per impedire che la barriera d’acciaio
raggiungesse il punto di fusione, grazie all’elevata conducibilità termica del rame che dissipava il
calore su un’ampia superficie.
Dalla metà dell’Ottocento gli scassinatori iniziarono a disporre di esplosivi e di mezzi di scasso
sempre più sofisticati mentre, contemporaneamente, i fabbricanti di casseforti sviluppavano difese
sempre più efficaci. Furono introdotte in quel periodo varie migliorie per proteggere le casseforti
dagli incendi e dalle azioni di scasso.
Nel 1857 John Chubb, l’inglese inventore della serratura a leve, brevettò un sistema contro le
aggressioni con i trapani mediante piastre di acciaio al manganese poste a protezione dei
meccanismi.
Fra le diverse migliorie che videro la luce negli anni successivi, dobbiamo ricordare
l’evoluzione delle tecniche per unire le diverse parti metalliche delle casseforti; viti, rivetti e
saldature furono gradualmente sostituiti dall’impiego di fusioni monoblocco.
In quegli anni la concorrenza fra i costruttori portò a organizzare dimostrazioni comparative
condotte in pubblico. Sulla scia della “London Exhibition” la mostra delle invenzioni e della
tecnologia che si teneva annualmente nel Regno Unito, nacque la “Paris Universal Exibition”
l’equivalente francese della mostra londinese, tenuta nei famosi Champ de Mars, un grande spazio
pubblico situato a Parigi nei pressi della Tour Eiffel e dell’Ecole Militaire.
Qui, nel 1867, Samuel Chatwood insieme ad altri fabbricanti di casseforti, diede pubblica
dimostrazione della loro resistenza e degli attrezzi necessari ad attaccarle, come riportato
nell’immagine seguente. (fig.1)
Il premio in palio, per chi fosse riuscito nell’impresa, era di 30.000 franchi, una cifra davvero
notevole, per l’epoca.
Fig.1
Da un giornale dell’epoca: “La battaglia delle casseforti alla fiera campionaria di Parigi del 1867”
2. I maggiori fabbricanti, nel mondo
Nel corso degli anni i fabbricanti di casseforti continuarono a sviluppare e impiegare diverse
combinazioni di metalli e loro leghe, per migliorare la sicurezza dei prodotti.
Molte industrie di casseforti, sorte nell’Ottocento, sono tuttora in attività e occupano posizioni
leader in questo particolare mercato.
Difficile elencarle tutte senza tralasciare aziende che hanno comunque dato il loro fondamentale
contributo allo sviluppo delle tecnologie metallurgiche e meccaniche che gravitano intorno al
mondo dei mezzi forti di custodia.
Proviamo almeno a ricordarne alcune, in ordine cronologico:
Fichet-Bauche
Nel 1825 Alexandre Fichet aprì a Parigi un “atelier” di
serrature e nel 1840 creò la sua prima cassaforte
resistente all’incendio. Subito le richieste per questo
tipo di forziere divennero pressanti, tanto che Fichet
dovette aprire due officine di produzione, a Lione e
Marsiglia.
Auguste Nicolas Bauche, uno specialista dei sistemi di protezione contro gli incendi, nel 1864
iniziò la produzione di casseforti in un’officina a Gueux, nei pressi di Reims.
Nel 1879 l’azienda di Fichet costruì il suo primo caveau bancario, dotato di cassette di sicurezza,
mentre Bauche mostrava le qualità delle sue casseforti antincendio chiudendo in una di esse
100.000 franchi. Dopo aver esposto il forziere alle fiamme, le banconote risultarono intatte. Un
successo enorme, nel settore bancario, che portò immediatamente numerosi ordinativi.
Siamo nel 1917, la seconda guerra mondiale volgeva al termine, quando Fichet aprì una nuova
fabbrica a Sens sur Seille. Gli affari andavano tanto bene che, un decennio più tardi, aprirà filiali in
Italia, Argentina, Spagna, Belgio, Romania e Brasile.
Nel 1926 Fichet installò il suo primo sistema di allarme antifurto estendendo così il suo campo di
azione nel mondo della sicurezza.
Nel 1967 i due imprenditori, Alexandre Fichet e Auguste Nicolas Bauche, unirono le loro capacità
tecniche; formando il gruppo Fichet-Bauche che continuò le sue attività fino al 1999 quando fu
assorbito dalla svedese Gunnebo, leader europeo nel campo della sicurezza.
(Per saperne di più: http://www.fichet-bauche.it/)
Milners’ safe
Il giovane Thomas Milner iniziò il suo apprendistato
nell’officina di fabbro del padre nel 1791 dove, per i
successivi undici anni, apprese l’arte della
fabbricazione di casse di ferro e contenitori metallici
rinforzati.
Nel 1830, Thomas Milner fondava a Liverpool la ditta
“Thomas Milner & Son”, destinata a diventare una
delle società più importanti del Regno Unito in materia
di sicurezza delle casseforti nel 19° secolo.
Fin dall’inizio la sua giovane ditta annoverò tra i suoi
clienti il Duca di Wellington e il “War Office” inglese.
Le cassette di sicurezza Milner sono note anche per essere state installate a bordo dello sfortunato
transatlantico Titanic.
Milner fu tra i pionieri nello sviluppo di casseforti e cassette di sicurezza resistenti al fuoco,
adottando doppie corazze separate da un’intercapedine riempita con un composto atto a isolare il
contenuto, spesso materiale cartaceo e documenti riservati. Si impiegò generalmente segatura di
legno umida che, emettendo vapore acqueo quando riscaldata, sottraeva calore abbassando il punto
d’infiammabilità e impedendo la trasmissione del calore all’interno della cassaforte.
In numerose occasioni dimostrò l'eccellenza delle sue cassette di sicurezza ponendole al centro di
enormi falò, recuperando poi, intatto, il contenuto.
Nel 1840, Thomas Milner depositò il suo primo brevetto per una sua progettazione. Anni dopo,
sulla parete frontale delle sue casseforti applicava, orgogliosamente, una placca di ottone con
scritto, in rilievo, “Milner, 212 brevetti di resistenza al fuoco”.
Chatwood
Nato nel 1833 a Edenfield, nei pressi di Ramsbottom nel
Lancashire, Samuel Chatwood era figlio di un ingegnere
impiegato nella costruzione di strade.
Probabilmente da questo acquisì le sue prime conoscenze
ingegneristiche, applicandole nella costruzione di macchine
per cucire.
Tuttavia Chatwood era portato per il commercio, più che per
la meccanica così, nel 1861, rivolgendo la sua attenzione alla
fabbricazione di casseforti, prese in partnership William
Dawes, un ingegnere meccanico.
La nuova azienda prese quindi la denominazione commerciale di Chatwood & Dawes, con sede in
Bow Street, Liverpool.
La sua “visione commerciale” del proprio prodotto emerse ben presto quando, volendo evitare che
il suo nome fosse disperso fra le centinaia di piccoli produttori già esistenti, dichiarò alla stampa
che la sicurezza di un forziere doveva basarsi su uno spessore della corazza di almeno due pollici.
Presentò quindi la sua cassaforte costituita da due piastre parallele, di cui quella esterna aveva, sul
lato interno, delle fusioni di forma conica.
Lo spessore tra le due piastre era riempito con una fusione di ghisa che realizzava degli incastri a
“coda di rondine” dotati di straordinaria resistenza contro i tentativi di trapanazione.
A quel tempo era effettivamente impossibile praticare fori in questo laminato e Chatwood era
giustamente orgoglioso della sua invenzione, un'altra pietra miliare sulla strada del progresso.
Verso la fine del 1862 sorse una controversia con un altro partner della Chatwood & Dawes,
Robert Wharton Parkin, in merito alla paternità di un’invenzione che risolveva alcuni problemi di
resistenza delle serrature, brevettata il 28 maggio 1860, che divenne nota come “leva di
Chatwood”.
Nello stesso anno William Dawes si staccò dalla società. Al suo posto subentrò il famoso
produttore George Price di Wolverhampton.
Dopo la morte di Samuel Chatwood nel 1909 il controllo dell'azienda passò ai suoi due figli,
Samuel R. e Arthur Brunel. In questo periodo la precaria situazione finanziaria portò alla
liquidazione volontaria dell’impresa.
Durante la guerra del 1914-1918, la società era passata, come molte altre in quel difficile periodo,
alla produzione di munizioni, riuscendo in qualche modo a sopravvivere.
Terminato il conflitto, la Hall e Pickles Ltd, divenuta proprietaria delle industrie Chatwood,
rilanciò la società espandendo la forza lavoro e trasferendosi in locali più grandi a Shrewsbury.
Nel 1924, dopo una serie di viaggi di aggiornamento presso alcune aziende americane, per avere
una panoramica delle tecnologie delle casseforti, la società, ora denominata “The Safe Chatwood
Co Ltd” diede inizio alla fabbricazione di una porta circolare, con inserti a gradini, da 35 tonnellate
per la camera blindata della Midland Bank di Londra che, nonostante il peso enorme, poteva essere
manovrata quasi senza sforzo.
Altri clienti, negli anni successivi, furono una banca svizzera, la Standard Bank del Sud Africa, e il
Credito Italiano.
Siamo nell’aprile 1956, quando il Financial Times annunciò la fusione tra le industrie Chatwood e
la fabbrica di casseforti Milner.
Appena tre anni dopo la Chubb comprò la Chatwood-Milner, che fu gestita come una società
distinta per undici anni prima di integrarsi pienamente nelle “Chubbs industries” nel 1970.
Scompare in questo modo il nome Chatwood, che aveva introdotto la maggior parte dei
miglioramenti nelle casseforti e camere blindate in Inghilterra, molti dei quali erano poi copiati dai
loro concorrenti.
Yale
Nel 1840 Linus Yale, emigrato nel “nuovo mondo”
dal Galles inglese, iniziò a progettare e produrre una
serie di serrature di alta sicurezza, con
caratteristiche innovative, nel suo negozio di
Newport, a New York. Era specializzato in serrature
realizzate a mano per le banche, molto costose.
Nel 1862, Yale Jr. introdusse la "Monitor Bank Lock"
i cui principi di funzionamento rappresentano
ancora oggi gli standard di mercato Statunitensi, introducendo, nelle serrature bancarie, la
transizione dalla chiave alla combinazione meccanica.
Nel secolo scorso alcune joint ventures con marchi quali Chubb, Locks, Parkes e C. E. Marshall
hanno posto il marchio Yale fra i più conosciuti al mondo. Nel 2000 la Yale è stata acquistata dal
gruppo Assa Abloy, leader mondiale nella sicurezza.
(Per saperne di più: http://www.yale.it/it/yale/yale-italy-Italiano/Prodotti/Casseforti/)
F. Wertheim & C.
Franz Von Wertheim, nato in una famiglia di
mercanti a Krems, una cittadina rurale della
Bassa Austria, fondò una società per la
fabbricazione di casseforti resistenti al fuoco a
Vienna, nel 1852.
I suoi progetti, nel campo delle casseforti, furono
innovativi ricevendo numerosi brevetti. Fu il
primo imprenditore austro-ungarico a iniziare la
fabbricazione di cassette di sicurezza per i caveau
bancari.
Le sue casseforti guadagnarono presto la sua fama internazionale.
In un solo anno, il 1869, la sua azienda vendette oltre 20.000 unità di casseforti a prova d’incendio,
un articolo molto richiesto, in quel periodo.
Per festeggiare il grande successo commerciale Von Wertheim decise di organizzare un ballo.
A tal proposito chiamò Josef Strauss, e gli commissionò una polka dal titolo inequivocabile ed
evocativo del suo prodotto: "Feuerfest!", cioè "Ininfiammabile!".
Dopo la morte di Franz Wertheim nel 1883, la società si ampliò dedicandosi alla fabbricazione di
ascensori, mobili in acciaio e scale mobili.
Per oltre 150 anni le cassette di sicurezza Wertheim sono state sinonimo di prodotti di sicurezza di
alta qualità con un mercato che spaziava dall’Austria, attraverso i Balcani, al Medio Oriente.
Nel 1969, la maggioranza delle quote della Wertheim Werke AG è stata acquisita dallo svizzero
Gruppo Schindler.
(Per saperne di più: http://www.wertheim.at/0e_Produkte.htm)
agente di vendita per l’azienda serraturiera Yale & Greenleaf, nel Massachusetts, aveva deciso di
mettere a frutto il suo genio meccanico, cosa che poi fece per tutta la vita, costruendo una serratura
che offrisse una sicurezza di gran lunga maggiore di quella di qualsiasi dispositivo disponibile al
tempo.
Il riconoscimento, da parte dei fabbricanti di serrature di alta sicurezza e del Dipartimento del
Tesoro degli Stati Uniti, portò la necessaria stabilità finanziaria aprendo così la strada al geniale
inventore che proseguì portando nuove idee e prodotti per l'industria della sicurezza.
Nel 1873, assemblando parti di serrature e una coppia di sveglie da cucina, Sargent inventò il
primo sistema di bloccaggio a tempo per una cassaforte, installandolo, nel maggio 1874, sulla porta
del caveau della First National Bank di Morrison, Illinois. Questo dispositivo di bloccaggio
continuò a garantire la sicurezza della cassaforte per quasi quaranta anni fino a quando la banca fu
ristrutturata con la costruzione di un caveau di maggiori dimensioni.
Nel 1880, Sargent collegò una delle sue serrature a combinazione ad un timer ritardato, creando il
“Combination Lock”, una serratura che sarebbe rimasta bloccata per un periodo predeterminato di
tempo dopo la chiusura. Questo meccanismo è stato il precursore dell’odierno “Timebination”
Sargent & Greenleaf.
Alla fine della seconda guerra mondiale un altro giovane pieno d’inventiva, Harry C. Miller, entrò
nell’azienda. Miller perfezionò l'arte della manipolazione sulle serrature di sicurezza, studiando un
metodo per determinare la combinazione di una serratura dall’esterno della cassaforte senza
lasciare alcuna traccia dell’avvenuta compromissione. Parleremo ancora di H. C. Miller nel
capitolo dedicato alle tecniche di manipolazione.
La collaborazione di Miller con Sargent portò alla creazione del lucchetto a combinazione M-6700,
subito adottato da numerose agenzie governative per la protezione dei documenti “classificati”.
Un successivo modello di lucchetto, progettato dopo il 1980, ha incontrato il favore delle
compagnie ferroviarie statunitensi, grazie alla sua capacità di resistere alle intemperie, funzionando
sempre, anche se coperto di neve o fango.
Oggi l’azienda è cambiata, dai tempi di Rochester. Dal 1975 la Sargent & Greenleaf occupa
100.000 metri quadrati con le officine di produzione e 22.000 metri quadrati di uffici, a
Nicholasville, nel Kentucky. Per i clienti europei, la società dispone di una struttura in Svizzera.
I prodotti Sargent & Greenleaf, che hanno sempre risposto a normative militari e civili, sono
accettati in 150 paesi, e forniti a oltre 600 costruttori di casseforti.
Dal 2005, la Sargent & Greenleaf è stata acquisita dalla Stanley Security Solutions Group.
(Per saperne di più: http://www.sargentandgreenleaf.com/)
di appalto per costruire il caveau più grande del mondo. Un lavoretto da “appena” 100.000
dollari dell’epoca!
Il cliente era la Safe Deposit Company di San Francisco, diretta da Joseph C. Duncan, un
importante banchiere proprietario anche della Pioneer Bank.
Si trattava di realizzare una camera blindata di 27 metri di larghezza, 32 di lunghezza e 12 di
altezza, contenente 4.600 cassette di sicurezza, chiusa da un sistema di porte triple, con la più
esterna resistente al fuoco e le due interne assolutamente impenetrabili anche per gli scassinatori
più organizzati. Ci sarebbero volute settimane per forare i quindici centimetri di acciaio della
porta esterna e i nove centimetri di acciaio delle porte interne.
Il manufatto era così immenso che, per trasportarne le sezioni, prefabbricate nella città di
Canton, nell’Ohio, fino a destinazione, fu affittato un treno speciale di 47 vagoni.
Il 7 maggio 1875, a otto mesi e sedici giorni dal suo esordio, il lavoro fu portato a termine, anche
se con 76 giorni di ritardo sul termine di consegna, ciò che provocò l’applicazione di una penale
38.000 dollari.
Durante la seconda guerra mondiale, La Diebold fu incaricata dal governo statunitense, di
costruire le corazze per i carri armati e per altri mezzi bellici.
La Diebold è stata una delle pochissime aziende a raggiungere e superare la veneranda età di 150
anni! Ancora oggi è attiva con il nome societario di “Diebold Incorporated” ed è leader
mondiale, in società con la IBM, nella costruzione di ATM, le macchine “bancomat”, che ha
introdotto nel 1974 e che sono oggi una delle sue attività cardine.
Un alto dirigente Diebold, Robert Mahoney, amava dire: ho girato due volte tutti i continenti,
vendendo i nostri ATM, ad eccezione dell’Antartide. Ma quando i pinguini avranno bisogno di
prelevare del contante, non mancherò di recarmi anche laggiù!
(Per saperne di più: http://www.diebold.com/)
Kaba
Nel 1862, a Zurigo, Franz Bauer aprì la sua bottega di
fabbro, dove costruiva registratori di cassa. In seguito,
con il marchio Kaba, iniziò la costruzione di casseforti.
Nel 1934 depositò la domanda di brevetto per la
fabbricazione di un cilindro di sicurezza. Nel 1984
brevettò il primo sistema che coniugava l’elettronica
con la meccanica serraturiera.
Più recentemente, nel 1993, la controllata Kaba Legic
ha sviluppato la tecnologia RFID (radio frequency identification) a 13,56 MHz. Ancora oggi la
società resta un fornitore leader nella tecnologia smart card senza contatti, basate su RFID.
Il marchio Kaba incorpora, oggi, il marchio La Gard
(Per saperne di più: http://www.kaba.com/)
E ancora: John Tann’s, Samuel Withers, Cyrus Price, Charles Hobbs, Ratcliff & Horner
(Ratner), Joseph Bates, Edwin Cotterill, Frederic Whitfield. Davvero impossibile ricordarli tutti!
Lips-Vago
In Italia, nel 1800, Francesco Vago faceva il fabbro
nella sua bottega artigiana a Milano. La sua
specializzazione in serrature aveva fatto sì che il suo
nome girasse in tutta la città che, all’epoca, era fra i più
importanti crocevia europei per gli scambi commerciali, centro di affari e alternanza di ingenti
fortune. Insomma, il lavoro non mancava.
Nel 1910, durante l’esposizione mondiale di Bruxelles, Francesco Vago incontrò Mr. Lips, titolare
di un’importante azienda fondata nel 1870, in olanda, dall’omonima famiglia e cresciuta, negli
anni, fino a darsi un’impronta d’industria internazionale.
Scattarono, misteriosamente, quelle affinità elettive che spesso uniscono persone diverse
accomunate da passioni simili; nel 1911 avvenne la fusione fra le due aziende.
La neonata Lips-Vago inizialmente produceva scaffalature metalliche per biblioteche e archivi e
solo in un secondo tempo iniziò a produrre casseforti. Il 1970 fu l’anno di una radicale
trasformazione societaria con l’entrata della Lips-Vago nel gruppo multinazionale Chubb Security
Plc, leader mondiale nel campo della sicurezza elettronica e fisica. Due anni dopo nasceva la Lips-
Vago Elettronica, prima azienda italiana a introdurre le tecnologie elettroniche nel campo della
sicurezza.
Nel 2004, siamo ormai ai nostri giorni, l’azienda entra a far parte del gruppo multinazionale
svedese Gunnebo, compiendo quel salto qualitativo necessario alle grandi aziende moderne per
rimanere concorrenziali sui mercati mondiali. Le attività del nuovo gruppo sono finalizzate alla
protezione di persone, strutture proprietà e informazioni attraverso sistemi di sicurezza elettronici e
fisici.
Oggi la Lips Vago S.p.A. ha assunto, nel nostro paese, la denominazione di Gunnebo Italia S.p.A. con sede a Vimodrone
(MI).
Roma, e della Banca dello Stato Vaticano portano il simbolo dell’azienda lombarda, così come i
forzieri delle banche centrali di Perù, Colombia e Venezuela, tutti ancora perfettamente
funzionanti.
Uno degli incarichi più importanti dei primi anni fu la costruzione del sistema di custodia del pallio
d'oro del Volvinio, situato nell'altare maggiore della basilica di Sant'Ambrogio a Milano.
Il meccanismo, una corazzatura mobile fornita di congegni di chiusura disposti sui quattro lati,
risultò così efficace e perfetto da non essere più modificato fino al 1974.
Nel primo decennio del Novecento la ditta sviluppò la costruzione di impianti completi di cassette
di sicurezza per le banche.
Nel 1902 l’azienda fu trasferita a Saronno. Nel nuovo stabilimento l'attrezzatura e la disposizione
dei reparti, furono concepiti per una produzione in serie. La ditta creò e costruì dispositivi
esclusivi, tanto da renderne impossibile l'imitazione.
Nell'impresa entrarono uno dopo l'altro i figli del fondatore e nel 1922 la ragione sociale fu
modificata in Parma Antonio & Figli.
Nel 1929 l’azienda costruì, per il Banco di Chiavari, una porta corazzata da 600 quintali con
chiusura a pressione e ottanta centimetri di spessore, che è tuttora la più pesante al mondo.
La Parma Antonio & Figli, con quasi 140 anni di vita, è oggi la più importante fabbrica italiana ed
una delle più conosciute in Europa per la costruzione di impianti di sicurezza e casseforti,
mantenendo sempre il controllo gestionale nelle mani della famiglia.
Dall’anno 2003 la terza e quarta generazione della famiglia Parma guida l’azienda, con Piero
Parma presidente e amministratore delegato e i figli Alberto ed Emanuele.
A 140 anni dalla sua fondazione, nei due stabilimenti operativi, il primo di 13.000 metri quadrati a
Saronno, l'altro di 8.000 metri quadrati presso Solaro, questa industria italiana, tra le poche aziende
mondiali che continuano a ideare e progettare al proprio interno casseforti, serrature, chiavi e
dispositivi elettronici, si accinge ad affrontare le sfide del nuovo millennio realizzando prodotti
unici ed estremamente affidabili.
(Per saperne di più: http://www.parmacasseforti.it/ita/)
Conforti
Nel 1912, nasce la Premiata ditta Conforti.
Inizialmente una tipica bottega artigiana creata da
Silvio Conforti grazie alla vincita di un concorso
indetto dalla Camera di Commercio Veronese, con la
presentazione di una cassaforte-capolavoro e negli anni, cresciuta fino a diventare, nel ’49, società
per azioni.
(Per saperne di più: http://www.conforti.it/)
Juwel
Nel 1922 nasce, in provincia di Milano, la Juwel SpA,
un’importante azienda costruttrice di casseforti da
muro, a mobile e per hotel.
Oggi la dinamica azienda, con uffici amministrativi a
Vanzago, nell’hinterland milanese, produce una vasta gamma di serrature (a marchio Sercas),
molte delle quali certificate UNI EN 1300, classe B, nella sua fabbrica di Polverigi, nell’entroterra
anconetano.
Tutte le casseforti Juwel montano serrature SERCAS, anch’esse di fabbricazione interamente
italiana, con chiave a doppia mappa antimanipolazione e con combinazioni meccaniche a 2-3-4
dischi. Non mancano, naturalmente, le moderne serrature a combinazione elettronica.
Molti prodotti hanno ottenuto prestigiose certificazioni riconosciute a livello Europeo, come la
EN1143.1 per le casseforti a mobile Professionali e la EN 14450 per le casseforti da muro uso
domestico. (Per saperne di più: http://www.juwel.it/)
di custodia, nel 1984 è la prima azienda italiana a realizzare le casse automatizzate antirapina.
Appena due anni dopo produce la prima cassa continua elettronica in Italia e, nel 1987 realizza il
primo minicaveau compatto omologato secondo le normative Ania.
(Per saperne di più: http://www.fiamca.it/
Vi.Ro.
Nel 1942 Vincenzo Rossetti fonda a Casalecchio (BO) la
VI.RO (dalle iniziali del suo nome), fabbrica di serrature,
lucchetti e casseforti. (Per saperne di più: http://www.viro.it/ )
Bordogna
Nel 1943, l'imprenditore Ottorino Bordogna apre la
sua “bottega” di artigiano a Palazzolo sull’Oglio.
Inizialmente l’attività consisteva nel realizzare
componenti metallici per il settore tessile e caloriferi
Mottura
Venne fondata a Torino negli anni del maggiore
sviluppo industriale dell’Italia del dopoguerra.
L’azienda crebbe rapidamente, espandendosi a livello
nazionale, specializzandosi nei prodotti di sicurezza
per l’edilizia privata. In breve le officine originali non bastarono più e la Mottura aprì un nuovo
stabilimento industriale di 35.000 m2, di cui 20.000 coperti, nella zona fra sant’Ambrogio e
Avigliana, nei pressi di Torino.
Negli anni ’80 furono sviluppati i progetti legati alla costruzione di casseforti per uso privato,
rispondendo così ad una domanda in costante aumento. I “mezzi forti di custodia” iniziavano ad
essere sempre più richiesti anche dagli hotel, per le camere dei loro clienti, e persino dai proprietari
di yacht.
Inizialmente Mottura realizzava le sue casseforti manualmente ma, in seguito, per rispondere alla
crescente domanda, installò moderni impianti robotizzati implementando le innovative tecnologie
di taglio delle lamiere con il laser.
Oggi Mottura è una dinamica azienda, una delle poche in grado di costruire le serrature per le
proprie casseforti, che ha saputo dotarsi di un reparto di ricerca e sviluppo e di sofisticati laboratori
interni per le prove e i collaudi, in collaborazione con i più importanti istituti di certificazione a
livello internazionale.
(Per saperne di più: http://www.mottura.it/)
L’Italiana casseforti
L’Italiana casseforti opera dal 1960 nello
stabilimento produttivo di Castelfiorentino, in
provincia di Firenze, nel settore della sicurezza dei
mezzi forti di custodia. La produzione comprende tutto
quello che si possa intendere come "costruzioni
meccaniche di sicurezza" e spazia dalla costruzione di
casseforti alle camere corazzate, fino alle porte blindate
e di sicurezza.
(Per saperne di più:http://www.italianacasseforti.it/index.php)
Molte altre aziende sono tuttora presenti in Italia (Lem, Nuova Comar, Orem per gli armadi
corazzati, Technomax, Stark ecc.) ed è difficile elencarle tutte senza dimenticanze.
Alcune aziende sono state fagocitate dalla concorrenza, altre hanno chiuso i battenti per altri
motivi (Vincenzo Toldi, Focis (Fonderie Officine Casseforti Impianti di Sicurezza), A. Sereni di
Torino ecc.).
Nell’esoterico mondo della sicurezza, alcune hanno lasciato tracce indelebili nella storia. Altre
hanno avuto il raro privilegio di scrivere di proprio pugno l’emozionante storia della serratura, della
cassaforte e delle tante geniali invenzioni che ne hanno caratterizzato l’evoluzione, nel corso dei
secoli
3. La cassaforte, ai nostri giorni
Nel ventesimo secolo, siamo ormai ai giorni nostri, divennero parametri essenziali per una
cassaforte l’inviolabilità delle serrature, l’incombustibilità e la coibenza delle pareti, la resistenza
assoluta ai cannelli ossidrico e ossiacetilenico e all’arco elettrico.
Nelle casseforti di grandi dimensioni e nei caveau si ricorse anche a doppie pareti di acciaio con
intercapedini riempiti con diversi materiali. Il migliore si dimostrò il calcestruzzo e i fabbricanti ne
studiarono formule speciali con cementi fusi, al silicio e al quarzo. Si aggiunsero poi materiali
diversi per ottenere incombustibilità, indeformabilità a caldo e a freddo, durezza e resistenza a tutte
le sollecitazioni meccaniche.
Una curiosità: uno dei materiali con funzione antitrapanazione più frequentemente usati in
miscela con il calcestruzzo è il corindone (nei paesi anglofoni viene a volte chiamato “aloxite” o
anche “corundum”).
Si tratta di un materiale estremamente duro e fortemente abrasivo, tale da danneggiare le punte
di trapano con le quali si tentasse di penetrare una cassaforte.
La sua durezza, misurata dalla scala “Mohs” è pari a 9. Il diamante, notoriamente il materiale
più duro che si conosca, ha una durezza pari a 10.
Sorprenderà sapere che il corindone è, chimicamente, un sesquiossido di alluminio (dal latino
sesqui, ossia una volta e mezzo), cristallizzato in forma bi-piramidale. Infatti il corindone è una
pietra dura formata da tre atomi di ossigeno legati a due di alluminio. Incredibilmente l’intima
unione di un gas e di un metallo notoriamente tenero, dà luogo a questo composto di eccezionale
durezza.
Un’evoluzione ulteriore nelle tecniche di produzione delle casseforti si ebbe utilizzando le
leghe impiegate per la produzione delle corazzature militari, in particolare quelle navali, negli anni
a cavallo del primo conflitto mondiale.
Per resistere al cannello ossiacetilenico furono adottate leghe complesse di rame, acciaio,
manganese, carbonio, cromo, silicio e altri minerali. Per gli spessori più grandi furono usate lastre
formate da strati di acciai al cromo in cui si alternavano rame, amianto, mica, eternit, collegati fra
loro da ghisa inserita in fori praticati entro gli strati.
Fig.2
Da “Popular Mechanics”; un’ampolla di vetro, contenente gas lacrimogeno,
si rompe durante un tentativo di scasso con cannello ossiacetilenico.
Come difesa estrema contro le tecniche di perforazione erano impiegati, soprattutto in passato,
ampolle di gas lacrimogeno o altri aggressivi chimici, poste in corrispondenza dei punti più
vulnerabili. (fig.2)
Queste difese non costituivano mai un ostacolo di per sé insormontabile contro gli scassinatori
professionisti ma li costringevano a lavorare molto più faticosamente indossando maschere antigas.
Analogamente le intercapedini fra le corazze possono essere riempite con sostanze coloranti che
macchiano indelebilmente chi sta compiendo un tentativo di perforazione.
Negli anni Trenta la Chubb e altre società, introdussero i meccanismi a trappola (relockers)
nelle serrature, come difesa contro l’uso degli esplosivi e il cannello ossiacetilenico. Possiamo
vedere un esempio di tale dispositivo nel capitolo “Come funzione una cassaforte a combinazione
meccanica”, più avanti.
Meccanismi a trappola, di altro tipo, sono usati anche a difesa dei catenacci delle casseforti di
maggiori dimensioni. Si tratta essenzialmente di meccanismi formati da perni di acciaio, messi in
tensione da molle e tenuti a riposo da cordini di nylon o dacron di forte spessore o da segmenti di
vetro temperato.In caso di attacco con trapani, carotatrici o con il cannello ossiacetilenico, il
cordino di nailon fonde o il segmento di vetro si frantuma liberando i perni di acciaio che vanno a
interferire irreversibilmente con i catenacci impedendone per sempre l’apertura.
A quel punto l’unica soluzione è il taglio della corazza della cassaforte, quindi la sua
distruzione.
Infatti, i meccanismi-trappola, chiamati anche ribloccatori o relockers, sono la ”extrema ratio”
in caso di attacco violento da parte di malviventi attrezzati.
A partire dagli anni Settanta con l’avvento della grande distribuzione anche nel settore della
carpenteria e del “fai da te”, si diffusero modelli di casseforti di fascia abbastanza economica, adatte
all’uso privato, con modelli di varie dimensioni, pensate soprattutto per l’installazione incassata a
parete.
Da una pagina de
“Le Monde Illustré”del 1918:
Il caveau della “Banque de France”.
4. CLASSIFICAZIONE DELLE CASSEFORTI
Difese:
- Corpo monolitico e battente
- Spessore della corazza
- Difese passive, fra la corazza esterna e la lamiera interna
- Catenacci mobili
- Rostri (catenacci fissi)
- Ribloccaggi reversibili o irreversibili
- Peso
Dispositivi di chiusura:
(I meccanismi fondamentali di chiusura sono di tre tipi e possono essere presenti anche
in combinazione)
- a serratura, azionanti catenacci anche multipli o a lama continua
- a combinazione meccanica
- a combinazione elettronica
Le diverse tipologie comprendono quindi:
- casseforti a muro (o a pavimento)
- casseforti a mobile
- camere blindate
con chiusura:
- a chiave (una o più serrature)
- a combinazione meccanica
- a chiave e combinazione meccanica
- a combinazione tramite tastiera digitale
- a chiave e combinazione tramite tastiera digitale
- a riconoscimento dell’impronta digitale
Per maggiore chiarezza, riassumiamo, in una tabella, i vantaggi e gli svantaggi di ciascun sistema:
Nota: Questo testo è dedicato alle casseforti a combinazione meccanica, poiché quelle
elettroniche richiedono una trattazione “ad hoc” che comprenda anche elementi sui circuiti e i
processori.
Per quanto riguarda i sistemi di chiusura a chiave, presentano caratteristiche trattate
ampiamente in altri testi pertanto, nella presente pubblicazione, ne faremo solo dei rapidi accenni.
4.1 CLASSI DI OMOLOGAZIONE DELLE CASSEFORTI
Le norme che si occupano di certificare le caratteristiche dei mezzi di custodia e delle relative
serrature, sono decisamente numerose. Si va dalla francese APSAD (Assemblée Pleinière des
Sociétés d'Assurance Dommage) alla tedesca VDS (Verband Deutscher Schadenversicherer), alla
statunitense UL (Underwriters Laboratories) all’italiana UNI (Ente Nazionale Italiano di
Unificazione).
In questo paragrafo ci occuperemo delle normative europee UNI-EN e di quanto viene
applicato in Italia nel campo delle casseforti e delle serrature dall’ICIM (Istituto di Certificazione
Industriale per la Meccanica) e dall’ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici).
Fino al 1976, le classificazioni delle casseforti si riferivano esclusivamente al loro peso.
Successivamente, nel 1976, l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA) propose
delle normative di classificazione basate sulla resistenza all’effrazione.
Nel 1994 fu adottata la certificazione ICIM che faceva riferimento al pr. EN1143-1, integrata
dalle norme particolari 70R002.
Infine, nel gennaio 1997, fu pubblicata la normativa europea UNI-EN 1143-1. (Per le casseforti
ATM, meglio conosciute come “bancomat”, alla suddetta norma 1143-1 si applica l’”emendamento
A1”).
Per le casseforti a muro a uso privato, la normativa di riferimento è la UNI-EN 14450:2005, (in
sostituzione della precedente UNI EN 10868:2000), con riferimento anche alle casseforti da
pavimento, (dette anche casseforti da appoggio).
Esistono anche normative per quanto riguarda la resistenza al fuoco delle casseforti, a garanzia
della protezione offerta da questi contenitori ai materiali cartacei eventualmente contenuti.
Infatti, non dobbiamo dimenticare che una cassaforte non sempre è utilizzata per la sola
custodia di preziosi ma anche, in determinati contesti, per la difesa di documenti che possono avere,
per ragioni di riservatezza, altrettanto valore.
La norma in questione, la UNI EN 1047-2:2009, specifica i requisiti concernenti i contenitori resistenti al fuoco e
stabilisce metodi di prova atti a certificare la capacità di proteggere i materiali sensibili alla temperatura e all'umidità contro gli effetti del fuoco
all'esterno del contenitore.
Il test prevede la resistenza del prodotto al fuoco per 60 o 120 minuti nonché la caduta da
un’altezza di 9,15 metri per verificarne la resistenza al crollo dell’edificio.
In queste pagine saranno prese in considerazione solamente le normative relative alla resistenza
all’effrazione.
Nota: L’UNI, Ente Nazionale Italiano di Unificazione, è un’associazione privata riconosciuta
con DPR 1522/55 e direttiva 83/189, recepita con la legge 317/86, che svolge attività normativa in
tutti i settori industriali, commerciali e del terziario. Rappresenta l’Italia in ambito ISO e CEN. Per
maggiori informazioni, si veda il sito internet dell’UNI, http://www.uni.com/it/.
Esiste un modo veramente sicuro per riconoscere le casseforti “a prova di ladro” al di là delle
tante normative che, complice la scarsa informazione di molti rivenditori, rischia di confondere le
acque mettendo sullo stesso piano le casseforti a uso privato e quelle a uso professionale, perdendo
di vista la reale efficacia di questi mezzi di custodia davanti ad un attacco violento e determinato?
La norma UNI-EN 14450 classifica le casseforti a uso privato in base alla loro resistenza allo
scasso attuato con gli attrezzi tipici dei professionisti del furto, come ad es. leve, piedi di porco,
trapani elettrici, martelli ecc.
Prevede inoltre l’obbligo, per il fabbricante, di apporre sul manufatto, in modo indelebile, le
seguenti informazioni: i propri dati identificativi, il numero della norma, il livello di sicurezza (S1 o
S2) e l’anno di produzione.
Le casseforti devono inoltre essere provviste di un manuale d’uso, recante le istruzioni per
l’installazione, il montaggio e il fissaggio e di tutta la documentazione tecnica necessaria, che dovrà
contenere, ad esempio, i disegni tecnici dei campioni di prova e le caratteristiche del prodotto (peso,
dimensioni interne ed esterne, quantità, posizionamento e tipologia delle serrature e dei dispositivi
di chiusura, posizione e dimensioni di tutti gli eventuali fori che attraversano la corazza di
protezione, nonché la specifica dei materiali utilizzati per la costruzione).
Le casseforti a mobile con un peso inferiore alla tonnellata devono essere dotate di almeno due
fori per il loro fissaggio/ancoraggio al fine di renderne difficoltosa l’asportazione. Ciascun foro del
sistema di ancoraggio deve resistere alla forza di 20 KiloNewton per il livello S1 e 30 KiloNewton
per il livello S2.
Scopo della normativa, pertanto, è certificare al consumatore finale l’acquisto di un manufatto
realmente efficace e robusto, specificando dettagliatamente i requisiti e i metodi di prova ai quali le
casseforti per uso privato sono sottoposte.
Vediamoli più in dettaglio: La prova di sfondamento fa riferimento all’uso un martello da 1,5
kg con manico da 40 cm. Inoltre le prove effettuate per rispondere alla normativa consistono nella
resistenza allo scasso con trapano da 500Watt e smerigliatrice da 800Watt.
La resistenza all’attacco per almeno un minuto, classifica il contenitore al
livello I, mentre la resistenza per due minuti e mezzo lo porta al livello II.
E’ evidente, considerati gli attrezzi da scasso, invero modesti, impiegati nelle prove, capaci di
portare attacchi neanche troppo violenti, che la normativa si dovrebbe riferire a quelli che possiamo
definire “contenitori rinforzati e sicuri a uso privato”, più che a casseforti vere e proprie, ad uso
professionale, per le quali è più corretto riferirsi alla norma 1143-1:2009, che vedremo ora nel
dettaglio.
L’uso di una terminologia poco appropriata rischia di essere fuorviante per il consumatore,
inducendolo ad affidare beni e preziosi a un mezzo di custodia incapace di resistere ad attacchi
portati con attrezzatura adeguata e sufficiente determinazione.
Cilindro Parallelepipedo
La prova si ritiene completata quando, nel varco ricavato a seguito dell’attacco, è possibile far
passare all’interno del mezzo forte, un calibro avente una delle seguenti forme e misure, oppure
quando la porta viene rimossa o aperta per almeno 300 mm e per minimo l'80% dell'altezza interna
del mezzo forte.
diametro 350mm 315 x 315 mm asportazione della cassa dal vano muro
altezza 400 mm
0 30 30 50 1 classe A
I 30 50 50 1 classe A
II 50 80 50 1 classe A
EN 1143-1 casseforti, ATM e porte corazzate ENV 1627, ENV 1628, ENV 1629, ENV
1630 porte, finestre
L’elenco sopra comprende le norme più utilizzate, ma ci sono ancora molte altre norme che
indicano caratteristiche e test per i mezzi forti.