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Archeologia Medievale XXXI, 2004, pp.

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NOTIZIE PRELIMINARI DALLITALIA

Alessandro Di Muro, Francesco La Manna

Potere e incastellamento nelle terre della Langobardia minor: il progetto castrum Olibani*
INTRODUZIONE Il territorio di Olevano sul Tusciano (SA) si segnala come una delle aree pi stimolanti per la riflessione sulla cultura materiale e sulle dinamiche insediative dellalto medioevo longobardo in Italia meridionale. A questo proposito sufficiente rammentare i tre episodi insediativi olevanesi pi noti riconducibili allet altomedievale: il monastero-santuario di San Michele del Mons Aureus (la Grotta di San Michele), uno dei centri di pellegrinaggio pi celebri dellaltomedioevo italiano, la curtis di Santa Maria, un centro curtense altomedievale fortificato (Santa Maria a Corte) e, infine, a controllo del territorio il castello i cui ruderi sono ancora visibili sulla vetta del monte omonimo (Fig. 2). Si tratta, come si vede, di un caso di studio per certi versi ideale, in cui convergono gran parte degli elementi insediativi e ideologici che costituiscono gli interessi extraurbani degli storici e degli archeologi dellaltomedioevo. Il progetto castrum Olibani, di cui si presentano in questa sede i primi risultati, si inserisce in una pi ampia azione di ricerca intrapresa da una equipe formata da archeologi medievisti e architetti1, anche sulla scorta di una serie di studi condotti essenzialmente sulle fonti scritte2. La finalit di questa ricerca consiste nella realizzazione di unindagine globale in particolare sugli insediamenti altomedievali nel territorio di Olevano e sulle problematiche ad essi collegati (cultura materiale, economia, ideologia, dinamiche del potere etc), utilizzando le metodologie e gli strumenti propri degli archeologi e degli storici, con lobbiettivo di intrecciare le serie di dati ricavabili dalle due discipline.Ci si propone cos di costruire un modello territoriale che tenga conto del maggior numero di informazioni (le fonti scritte e materiali) possibili. Allo stato attuale lequipe, coordinata da chi scrive, dopo uno spoglio preliminare sistematico di tutte le fonti scritte edite e inedite relative allet medievale, sta compiendo una serie di ricognizioni nel territorio tese ad individuare siti medievali3. Contemporaneamente partita unazione di indagine sullinsediamento santuariale micaelico del mons Aureus i cui primi
* Gli autori desiderano ringraziare per la disponibilit, i preziosi suggerimenti e le attente indicazioni i professori Paul Arthur dellUniversit di Lecce, Pietro Dalena dellUniversit della Calabria e Chris Wickham dellUniversit di Birmingham. 1 Dellequipe fanno parte Alessandro Di Muro (coordinatore), Amintore Carucci, Luca Di Masi, Francesco La Manna, Marianna Mastrangelo, Giovanni Montella, Pierpaolo Saporito, Rosmunda Pipino. Il lavoro rientra tra le attivit della Cattedra di Antichit e Istituzioni Medievali dellUniversit della Calabria titolare prof. Pietro Dalena. 2 CARUCCI 1937; IANNONE 1988, DI MURO 1993; ID. 2001. 3 DI MURO 2004a; DI MURO 2004b.

risultati sono stati di recente presentati al III convegno nazionale della SAMI4, che si conta di portare avanti in collaborazione con le locali Soprintendenze. Un percorso tradizionalmente fecondo nella riflessione sulle intricate problematiche connesse allo studio delle dinamiche insediative di et longobarda nella Langobardia minor senza dubbio lincastellamento5. Il castello di Olevano, il castrum Olibani delle fonti scritte, si eleva sullomonimo rilievo (699 m s.l.m.) al centro della vasta pianura di Salerno-Paestum, lungo le propaggini meridionali dei Monti Picentini, a controllo della valle del Tusciano e delle vie che dal Cilento e dalla Calabria tirrenica si dirigono verso Salerno e lIrpinia6 (Figg. 1-2). Larea castrense occupa circa 7 ettari e si estende dal pianoro fino alla sommit del monte (Fig. 3). Il castello risulta diviso in tre aree principali: la prima individuata dalla cinta muraria pi esterna racchiude un vasto pianoro privo di edifici; la seconda cinta muraria, al di sopra del pianoro lungo il versante meridionale del monte, definiva il limite meridionale di un borgo allinterno del quale sorgeva la chiesa di Santa Maria de castello. Unultima cinta muraria, che chiude il bastione roccioso meridionale sulla sommit del monte, delimita larea signorile del castello.
A.D.M.

1. LE FONTI SCRITTE: LISTITUZIONE DELLA SIGNORIA TERRITORIALE DEL CASTRUM OLIBANI Il territorio nel quale si eleva il castello di Olevano noto dalle fonti scritte altomedievali come locus Tuscianus; si tratta di un vasto areale costituito dalle terre che oggi formano grossomodo i comuni di Olevano sul Tusciano e Battipaglia (SA)7. Fino alla met del IX secolo attestato nel territorio, accanto a vasti possedimenti del fisco principesco longobardo, un forte dominio fondiario dellabbazia di San Vincenzo al Volturno, ordinato attraverso due poli amministrativi e produttivi: la cella Sancti Vincencii, sul versante occidentale del Mons Aureus, a poche centinaia di metri dalla Grotta di San Michele, e una grossa curtis sulle
DI MURO et al. 2003. Si veda a tal proposito a.e. DEL TREPPO 1955, CILENTO 1966, ID. 19712, WICKHAM 1984, PEDUTO 1990; pi di recente si assistito ad un revival della tematica da un punto di vista archeologico, anche se la discussione sulle finalit e sulla contestualizzazione territoriale del fenomeno analizzato sembra rimanere talvolta ai margini, CRIMACO, SOGLIANI 2000; ROTILI 2001(con bibliografia sugli altri lavori dello studioso relativi a castelli); MARAZZI et al. 2003; PEDUTO et alii 2003. 6 Per la microviabilit del territorio cfr. DI MURO 1993, per lincardinamento agli assi viari pi importanti DALENA 2003, 7 DI MURO 1993; ID. 2001 p. 154.
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Fig. 1 Il castrum Olibani (inquadramento geografico).

basse colline a controllo della pianura di Frosano-Campo solcata dal Tusciano. Nell849 il principe Siconolfo di Salerno acquisisce dallabbazia vulturnense la grande curtis del Tusciano con le sue pertinenze: in tal modo, allindomani della Divisio Ducatus Beneventani, il principe di Salerno diviene il possessore di grossa parte del locus Tuscianus8. Tra la seconda met e la fine del X secolo si assiste al trasferimento di gran parte del patrimonio fondia8

rio pertinente al sacro palazzo salernitano e personale del principe nel locus Tuscianus alla Chiesa salernitana e al delinearsi della signoria territoriale del castrum Olibani con la conseguente disgregazione della precedente unit territoriale9. La documentazione scritta permette in particolare di seguire la formazione della signoria territoriale che per 8 secoli condizion le vicende del castrum Olibani. Nel 958 il principe longobardo di Salerno Gisulfo I
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DI MURO 1993 p. 67.

ID. 2001.

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Fig. 2 Il territorio di Olevano in et medievale.

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Fig. 3 Pianta dellarea del castello (rilievo a cura dellarch. Giovanni Montella).

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dona al vescovo salernitano Pietro V un esteso territorio che dal torrente Trausi giunge al Tusciano e risale verso nord fino alle serris de montibus, le cime dei Picentini imminenti sui casali di Salitto e Licinianum, scendendo fino alla pianura di Campo per poi risalire ad est fino alle colline di Licinianum e ai monti di Scabella-Scannella10. Le terre donate dal principe a Pietro, corrispondenti sostanzialmente alla parte centrosettentrionale del locus Tuscianus, lodierno territorio di Olevano sul Tusciano, sono concesse cum aquis et omnia infra se habentibus e gli ordinari diocesani salernitani avranno il diritto omni tempore ipso habendum dominandum possidendum et omnia ex jnde faciendum quod voluerint. Et a nullo ex nostris judicibus comitibus castaldeis vel a quibuscumque agentibus habeatis ex jnde aliquando aliqua molestia vel contrarietate. La formula finale dellatto indicatrice di qualcosa di pi che una semplice donazione di fondi: il diritto a possidendum e dominandum quelle terre senza la possibilit di intervento da parte degli ufficiali pubblici istituisce, se non ancora una signoria territoriale, una vasta area immune in cui la stessa giustizia e il controllo degli uomini non sono pi esercitati dal principe attraverso i suoi actores ma dal vescovo verosimilmente attraverso i suoi delegati11. La donazione di Gisulfo crea una situazione che trova confronti nelle terre della Langobardia minor soggette al principe di Capua e Benevento Pandolfo Capodiferro (943-981), cugino del principe salernitano. Si tratta di concessioni del sovrano a enti ecclesiastici e potenti laici mediante le quali si attua in quegli anni listituzione di un gran numero di signorie territoriali12. Lassenza di un pi esplicito riferimento al potere giurisdizionale sui liberi oltre che sui dipendenti del vescovo, unita alla mancata menzione di un castello in quelle terre13, in genere elemento fondamentale per la costituzione di un potere di banno, non consente di indicare anche per la parte centro settentrionale del locus Tusciano listituzione di una signoria territoriale intorno alla met del X secolo. Tuttavia tra il 1018 e il 1023 si trovano indizi che permettono di considerare in quegli anni gi operante la signoria rurale nella parte centrosettentrionale del locus Tusciano che, a partire dal 1022, troviamo denominato come territorio del castrum Libani (forma fonetica corrente in que10 La donazione interamente trascritta in un riconoscimento notarile del 1171, PENNACCHINI 1941, pp. 111-112. 11 Tale stato di esclusione dal controllo pubblico si deduce chiaramente dallinciso a nullo ex nostris judicibus comitibus castaldeis vel a quibuscumque agentibus habeatis ex jnde aliquando aliqua molestia vel contrarietate(immunit negativa). Sul problema delle aree immuni e lo sviluppo della signoria territoriale si veda ad es. TABACCO 1979, pp. 189-200; VIOLANTE 1991pp. 355-365, SERGI 1994, pp. 20-24. 12 Il trasferimento delle prerogative sovrane avviene negli atti di Pandolfo Capodiferro attraverso donazioni o conferme concluse da formule quali: amodo et semper firmiter ac securiter in suam potestatem et dominacionemhabeantad tenendum et dominandum et ordinandum et regendum, absque contrarietate nostravel a nullis ex nostris comitibus castaldeis iudicibus vel sculdaisLa formula qui riproposta concerne la concessione di rocche e castelli allabbazia di Montecassino, CILENTO 1966, in part. pp. 34-35. 13 Daltronde possibile che il castello non fosse nominato in quanto ricadente nelle terre del palazzo e quindi implicitamente compreso tra quelle omnes res donate. Si pu daltro canto ipotizzare che anche la curtis fortificata di Santa Maria a corte poteva risultare utile a questo scopo.

gli anni per Olibani), per differenziarlo dalle altre terre del locus non ricadenti sotto la signoria della Chiesa14. Nel 1018 Guaimario III di Salerno conferma alla Chiesa salernitana tutti i beni che le appartengono di cui i possedimenti del Tusciano costituiscono la parte pi cospicua, con i diritti sui fiumi che li attraversano aggiungendo che omnes liberi hominibus que ubique iamdicti Episcopi rebus sunt aut angariam dare, et facere debuerit ad partem nostre Reipublice semper dent, et illud in predictam Sanctam Sedem quam et omnes curtisanos ipsis Archiepiscopi, quam Presidentes prefati Archiepiscopi illis dominet et iudicet15. Latto non risulta del tutto chiaro ma si comprende come il principe confermi tramite questo il diritto della Chiesa di Salerno ad avere dominio e a giudicare (dominet et iudicet) sia i dipendenti (curtisanos) sia i liberi homines residenti nelle terre concesse. In particolare questi ultimi sono tenuti a dare alla sede episcopale salernitana quelle angariae che erano soliti corrispondere al Palazzo (nostre Reipublice). Un documento del 1023 emanato dallo stesso principe ribadisce in maniera pi precisa quanto affermato nel 1018: Guaimario riconferma allarcivescovo i diritti sugli alvei dei fiumi e le concessioni passate di imperatori, re e principi; in particolare concede in perpetuum angariam et omne servitium et omne censum vel dationem et omnia et in omnibus quantum quantoque omnes liberi ominibus quecumque iamdicti archiepiscopii rebus sunt aut fuerint habitantes ut omne servitium vel censum aut angariam dare aut facere debuerint ad pars nostre Reipublice semper deant et faciant illut in predictam sanctam sedem quam et omnes[curtisanos] vestri archiepiscopii16. Le prerogative del sovrano sono dunque chiaramente trasmesse allarcivescovo che si configura come dominus al quale devono essere versati i dazi e i censi di origine pubblica (servitium, censum vel dationem) quali presumibilmente i pedaggi o il mantenimento della fortezza, le bannalit diremmo seguendo la terminologia storiografica corrente, che, insieme allesercizio della giustizia, definiscono una signoria rurale17. Gi il senso del termine dominium che abbiamo trovato a partire dal 958 poteva prospettare una situazione di signoria territoriale di banno18, ma le chiarificazioni successive valgono a togliere ogni dubbio, almeno per linizio dellXI secolo. La circostanza che nel 1022 limperatore Enrico II avesse confermato al suo fidelis arcivescovo salernitano Amato II tutti i beni tra il Tusciano e il Sele ricevuti
14 La denominazione castrum Olibani non canceller del tutto lantico nome del locus che sopravviver per designare talora anche la parte centrosettentrionale del territorio del Tusciano lungo tutto lXI secolo negli usi notarili si veda ad es. CDC, VI, p. 224, a. 1043. Per la comparsa della denominazione castrum Olibani cfr. CARUCCI 1937, p. 7., IANNONE 1988, p. 43, NATELLA 1990, pp. 174175. 15 Diploma edito in PAESANO 1846, I, p. 95. 16 Ivi, pp. 99-100, n. 1. 17 Si veda a tal proposito ad es. SERGI 1994, p. 18. 18 Si consideri limmissione del concetto di dominium nel formulario usato per listituzione di signorie territoriali di banno nei territori del Principato capuano-beneventano tra X e XI secolo cfr. CILENTO 1966, p. 36. Secondo Giovanni Tabacco proprietas e dominium costituivano: i termini pi forti con cui si potesse esprimere lintensit di una signoria sulle cose e dunque il loro utilizzo doveva suggerireuninterpretazione altrettanto vigorosa della libert dazione signorile su uomini e cose, TABACCO 1991, p. 261.

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ab antiquis principibus istius civiatis (Salerno), tra i quali si evidenzia Gisulfo I, e in particolare il castrum Libani (il centro fortificato) cum omnis suis adiacentibus (le pertinenze territoriali) che iniuste era stato invaso dai fratelli Alfano e Grimoaldo ma che antiquitus ipsius ecclesia tenuit et dominata est per praecepta et quascumque scriptiones19, passo questo che testimonia lormai avvenuta trasformazione dellarea immune in signoria territoriale20, fa comprendere come quelle ordinanze di Guaimario dovessero trovare applicazione nel territorio olevanese. Era stato forse proprio lepisodio dellinvasione del castrum Olibani, risolto con lintervento imperiale, a spingere Guaimario III a riproporre con forza le prerogative bannali del possesso arcivescovile di Olevano. Listituzione della signoria territoriale provoc naturalmente una situazione nuova nella societ olevanese, situazione che andava regolata. Nel 1057 Gisulfo II, richiesto dagli olevanesi, fece redarre una carta nella quale venne abbozzato per la prima volta lusus locale, alcune consuetudini che precisavano i poteri che il dominus poteva effettivamente esercitare senza prevaricare i diritti degli homines castri, in gran parte liberi21, ma sottoposti alla signoria dellarcivescovo. Lassetto giurisdizionale del castrum Olibani si inserisce in uno scenario pi complesso, nel quale si scorgono contrasti latenti e alleanze tra istituzioni allinterno e allesterno della Langobardia minor che trovano origine ai tempi di Gisulfo I. Durante gli anni di governo di questo principe, infatti, appaiono stringersi in maniera pi concreta i legami tra il sacro palazzo salernitano e la cattedra di San Bonosio attraverso una cospicua serie di donazioni. Dopo la concessione del 958, Gisulfo I nel 968 offre alla Chiesa di Salerno, ancora retta da Pietro, una serie di chiese in loco Tusciano: si tratta delle chiese di Santo Stefano, di San Michele Arcangelo, di San Pietro e SantEusterio22. Attorno a questultima si sviluppa il casale olevanese che dal santo vescovo salernitano, Eusterio appunto, ancora oggi deriva il nome. La politica di concessioni alla Chiesa salernitana conclusa da Gisulfo I con unaltra generosa offerta di terre nel 97723. La prima attestazione del castrum Olibani negli stessi anni in cui si costituisce nel territorio la signoria di banno, potrebbe far supporre una correlazione tra que-

sto evento e la fortificazione del monte castello. Non agevole individuare i motivi che spinsero Gisulfo I alle donazioni olevanesi alla chiesa salernitana; detto che in questo periodo si assiste un po in tutto lOccidente cristiano a fenomeni di disgregazione dei domini compatti del Fisco o personali dei sovrani a favore di potentes ed enti ecclesiastici24, si pu congetturare nel nostro caso, accanto al fine spirituale che, da quanto possibile ricavare dai contemporanei di Gisulfo, non dovette mancare nelle intenzioni del principe25, lipotesi che istituire un distretto amministrativo dipendente dalla Chiesa salernitana in unarea strategica per gli interessi del Principato, quale il locus Tuscianus, potesse costituire un modo per evitare quella disgregazione del potere gi in atto anche nelle terre salernitane26. A favorire una tale operazione dovette contribuire il tradizionale legame che univa i principi di Salerno ai vescovi della citt e, in particolare, la sincera amicizia che pare legasse sin dalla adolescenza Gisulfo al vescovo Pietro V, corroborata da unattiva partecipazione di questultimo alle iniziative del principe27. In quegli stessi anni lascesa al trono imperiale dei membri della casa di Sassonia e la partecipazione attiva di questi ultimi alle vicende della Langobardia minor e della Chiesa nel solco delle rivendicazioni carolingie, andranno ben presto a modificare gli equilibri nelle terre del Sud e anche i rapporti tra i principi di Salerno e la Chiesa locale. Ottone I, come noto, istitu un legame privilegiato con il principe di Capua Pandolfo Capodiferro il quale, grazie anche allappoggio dellimperatore che lo benefici della Marca spoletina, divenne nella seconda met del X secolo il pi potente tra i signori dItalia28. Diversamente la condotta di Gisulfo I nei confronti dellimperatore, tra laltro legato al principe da rapporti di parentela29, si contraddistinse per latteggiamento ondivago, caratterizzato da proclamazioni di fedelt ad Ottone I e alleanze pi o meno scoperte con i Bizantini, principali rivali del disegno ottoniano di supremazia in Italia meridionale30, comportamento provocato da un timore concreto che le attenzioni imperiali potessero rivelarsi esiziali per lautonomia del Principato di Salerno. Sullo sfondo di queste interferenze dellautorit sovranazionale nelle vicende degli stati longobardi, si inserisce la politica ottoniana di solida intesa o se si vuole di patronato almeno intermittente sulla Chiesa di Roma31.
24 Si veda a tal proposito ad es. TABACCO 1979, pp. 192-193. Per il Principato di Capua e di Benevento CILENTO 1966, pp. 33-45; qui, accanto allaristocrazia fondiaria, sono soprattutto gli enti monastici i beneficiari delle prerogative signorili. 25 Sulla personalit di Gisulfo I si veda quanto di lui scrive il suo contemporaneo Anonimo salernitano del X secolo, Chronicon Salernitanum, c. 161 ss., p. 168 ss. 26 Per la creazione di ambiti giurisdizionali diversi dagli antichi gastaldati allepoca di Gisulfo I si rimanda a DI MURO 2000. 27 Sui rapporti tra Pietro e Gisulfo cfr. anche DI MURO 1993, pp. 80-81. 28 Si veda ad esempio FALKENHAUSEN 1983, p. 277. 29 La moglie di Ottone era cugina di Gisulfo, CILENTO 19712, p. 116. 30 Si veda il Chron. Sal., c. 169, pp. 171-173, si veda anche DI MURO 1993, p. 81. Sulla politica ottoniana in Italia meridionale. ad es. FALKENHAUSEN 1983, pp. 278-279. 31 Si considerino a questo proposito le brevi ma illuminanti riflessioni di Giorgio Falco a Spoleto nel 1955, FALCO 1955, in part, pp. 59-65.

Edizione del documento in PAESANO 1846, I, pp. 96-96. Una carta di Gisulfo II del 1057 conferma lo status di signoria territoriale del dominio ecclesiastico di Olevano: in questo documento infatti il principe si rivolge a tutti gli abitanti di Olevano precisandone la signoria dellarcivescovo di Salerno (concedimus vobis omnibus hominibus habitantibus de castello quod Libanum dicitur pertinente nostri Archiepiscopii), documento conservato in originale nellarchivio diocesano di Salerno, ADS, I, 5. 21 ADS, I, 5. Il principe si rivolge loro definendoli nostri fideles. Ci non toglie evidentemente, che nel castrum vi fossero altri abitanti che non rientrassero in questa categoria, servi della chiesa salernitana etc. Dalla documentazione contemporanea e seriore si evince come nel territorio abitassero liberi allodieri (si veda DI MURO 1993, CARUCCI 1937). 22 ADS, Arca V, n. 282. Le chiese, che Gisulfo aveva ricevuto cum aliae ecclesis et rebus de eodem loco Tusciano da un tale Landulfus castaldus filius quondam Petri comitis, si trovavano nella parte meridionale del territorio. 23 CDC, II, p. 212 ins. Da questa ampia donazione si dovette per escludere una parte che era gi stata concessa ai nipoti del principe.
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Se in Italia settentrionale lalleanza dellimpero con i vescovi era stata determinata da ragioni di opportunit politica nel quadro di una situazione in cui lautorit dellufficio comitale era in forte declino rispetto alla crescente affermazione del potere ecclesiastico32, il punto di vista nella Langobardia minor poteva offrirsi in un certo senso ribaltato. Non che non fossero anche qui evidenti, come si detto, i segni di una disgregazione del potere centrale dei principi, piuttosto lelemento episcopale di norma non partecipava, al contrario di quanto accadeva negli stessi anni al Nord, delle prerogative signorili e anzi appariva fortemente legato allautorit civile33. Gli imperatori sassoni non andarono a mutare sostanzialmente tale stato di cose, ma indubbiamente, attraverso lazione della Chiesa di Roma, acquisirono alla loro causa le diocesi-chiave della Langobardia minor: cos nel 966 troviamo la sede capuana elevata ad archidiocesi, nel 969 tocc a Benevento mentre intorno al 985 la stessa dignit fu concessa a Salerno34. I vincoli ormai saldi che collegavano gli imperatori sassoni e la Chiesa salernitana negli ultimi decenni del X secolo emergono chiaramente da un documento del 982 in cui Ottone II conferma al vescovo salernitano Amato, significativamente definito dallimperatore nostro fideli, le terre che lepiscopio possiede tra il Tusciano e il Sele cum angariis et censibus, forse un riferimento questultimo alle prerogative bannali del presule salernitano in quelle terre35. Anche questo episodio per essere compreso nel suo significato profondo va inserito negli intricati e, per alcuni aspetti, mal noti avvenimenti che interessarono Salerno e la Langobardia minor nel decennio che va dal 975 all985. Dopo la congiura contro Gisulfo I, organizzata dallo zio del principe, Landolfo, e lintervento di Pandolfo Capodiferro che riport al potere il cugino, Pandolfo I, figlio omonimo del principe di Capua e Benevento, fu associato a Gisulfo nel governo del Principato di Salerno (974). Morto Gisulfo I (978), Pandolfo Capodiferro si proclam accanto al figlio signore di Salerno. Si ricomponeva cos, dopo oltre un secolo di divisione, lunit territoriale della Langobardia minor nelle mani di un unico sovrano. Ma la forte tendenza allautonomia degli stati longobardi, acuita anche dallazione erosiva delle signorie territoriali che, a prima vista paradossalmente, proprio negli anni di signoria di Pandolfo Capodiferro si erano imposte come fenomeno caratterizzante la geografia del potere nella Langobardia minor, rendeva nei fatti anacronistico e velleitario ogni tentativo di politica unitaria. Cos alla morte di Pandolfo Capodiferro (981) fatalmente la Langobardia minor ritorn alla situazione precedente lascesa del capuano. A Salerno si verificarono sommosse popolari che portarono alla defenestrazione di Pandolfo I, fedele

al Sacro romano Impero, e allelevazione al principato di Mansone amalfitano, analogamente a Benevento dove fu sostituito Landolfo IV, figlio maggiore di Pandolfo Capodiferro, col cugino Pandolfo II. La discesa di Ottone II nellautunno del 981 non valse a riportare i figli di Pandolfo di Capua sui loro troni. Lanno successivo, tuttavia, Ottone diretto in Calabria assediava ed espugnava Salerno, ristabilendo almeno formalmente, seppur per un breve periodo e mediante compromessi con Mansone, lautorit imperiale sulla citt tirrenica. Qualche giorno dopo, da un campo allestito nel territorio di Capaccio, limperatore emanava il diploma di conferma in favore della Chiesa salernitana36. Rivolgersi al vescovo di Salerno chiamandolo suo fedele significava, in un tale contesto, individuare e riconoscere in questi un alleato al progetto politico dellimperatore, in qualche modo antitetico rispetto alla volont autonomista di Salerno nella tradizione longobarda, dimostrata anche di recente dalla sollevazione contro Pandolfo I. Questo fatto signific probabilmente un rovesciamento del clima di concordia che aveva contrassegnato fino a Gisulfo I lazione del vescovo salernitano e del principe, sebbene a quanto pare il principe di Salerno continu ad intervenire nellelezione dellordinario locale fino alla met dellXI secolo37. Qualche anno pi tardi (tra il 984 e il 986), quasi in concomitanza con lascesa al potere del filoimperiale Giovanni di Lamberto (983), lo stesso Amato sar insignito della dignit di arcivescovo38. Dallanalisi delle fonti scritte sembrerebbe che il castello di Olevano possa rientrare nella casistica classica dellincastellamento riconducibile al modello toubertiano, sia per quanto concerne la cronologia della rioccupazione del rilievo sia per la relazione tra questultima e listituzione di una signoria territoriale39. Tuttavia altre caratteristiche fondanti il modello laziale sono assenti nel caso olevanese, in particolare laspetto relativo alla conformazione insediativa del territorio che qui, anche dopo listituzione della signoria territoriale, conserv carattere sparso con la sopravvivenza della rete di case e chiese nel territorio, talora accentrate in piccoli nuclei compatti40. In realt la stessa coincidenza tra listituzione della signoria di banno arcivescovile e laccentramento sul rilievo costituisce unipotesi tutta da verificare. Dalle fonti scritte non emergono in definitiva n i tempi n le cause della rioccupazione del monte castello di Olevano. Lindagine archeologica, ancora una volta, si propone, almeno ad un primo livello interpretativo, come via privilegiata per rispondere a domande di grande interesse storiografico, ma anche a proporne di nuove.
A.D.M.

32 Lazione degli imperatori sassoni, ed in particolare di Ottone I, in questo senso si configura piuttosto come un compromesso con i vescovi, necessario per tenerli a freno, FUMAGALLI 1976, p. 95. 33 Una situazione in atto questa almeno dal IX secolo, CILENTO 1971, pp. 255- 256 34 Per Capua e Benevento cfr. CILENTO 1966, p. 37 Per Salerno, SCHIPA p. 121. 35 Il documento edito in PAESANO 1846, I, pp. 78-79.

Gli avvenimenti riportati sopra in SCHIPA 1968, pp. 124 ss. A proposito di questultima affermazione si veda TAVIANICAROZZI 1991, p. 674. 38 possibile che lelevazione di Giovanni sia avvenuta per opera di papa Benedetto VII (974-984), unito da stretti rapporti alla famiglia dei Crescenzi, ma nel contempo buon collaboratore di Ottone I. Per Benedetto VII si veda ARNALDI 1987, pp. 211, 217. 39 TOUBERT 1973. 40 Per la persistenza dellinsediamento sparso ad Olevano nellaltomedioevo e in piena et medievale DI MURO 1993; CARUCCI 1937; IANNONE 1988; Si veda anche infra.
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2. IL CASTRUM OLIBANI: LE FONTI MATERIALI Lavori compiuti negli anni60 per limpianto di una pineta sul pianoro del castello hanno portato alla luce alcune sepolture contenenti materiali risalenti al IV-III secolo a. C. oggi in parte esposti presso il Museo Provinciale di Salerno. Frammenti ceramici a vernice nera rinvenuti durante alcune ricognizioni nellarea confermano lo stanziamento sul Monte Castello di una comunit in et preromana. La totale assenza di ceramica romana attesta labbandono dellaltura a questepoca, confermando una dinamica ben nota un po ovunque nellAppennino centro-meridionale, con lo spostamento degli abitati dai siti inerpicati nelle pianure e tra le colline nei pressi delle nuove arterie viarie. Le domande che sono alla base di questo progetto possono essere cos sintetizzate: Quando si verific la riconquista del rilievo? Fu questa legata alla creazione della signoria o dipese da altre esigenze? La costituzione del villaggio dipende dallistituzione della signoria? Larea sommitale e larea del villaggio furono occupate contemporaneamente? Quali erano le condizioni materiali degli abitanti del borgo? Quando fu abbandonato il villaggio? Quali furono le cause? Come si rapporta la vicenda del castello alla dinamica generale degli assetti insediativi, economici e sociali del territorio olevanese? 2.1. LO
SCAVO

La prima campagna di scavo si concentrata su due siti allinterno del borgo (Fig. 4)41. 2.1.a. Ledificio casa 1 Il primo saggio ha avuto come oggetto lesplorazione stratigrafica di un edificio del borgo, articolato in due vani su una terrazza nellarea ovest dellinsediamento (denominata Area 0). (Fig. 5)

41 La prima campagna di scavi del castello di Olevano stata condotta dallo scrivente con lassistenza del dott. Francesco la Manna e della dott.ssa Marianna Mastrangelo per conto della cooperativa Itinera, sotto lalta sorveglianza e la direzione delle locali soprintendenze nelle persone della dott.ssa Angela Iacoe per la Soprintendenza archeologica di Salerno, Avellino e Benevento e dellarch. Rosalba De Feo per la Soprintendenza B.A.P.P.S.A.D. di Salerno e Avellino, che si desidera qui ringraziare vivamente per la disponibilit e linteresse dimostrato nel corso delle indagini. Lintervento si colloca nellambito di un pi complessivo progetto di recupero e valorizzazione dellarea sotto il coordinamento scientifico e la direzione dei lavori della Soprintendenza B.A.P.P.S.A.D. di Salerno e Avellino. Questa prima fase del progetto stata resa possibile grazie al contributo del Comune di Olevano sul Tusciano, la Comunit Montana Zona Monti Picentini e la Provincia di Salerno. In questa sede si desidera ringraziare in particolare il consigliere provinciale Corrado Martinangelo insieme al Soprintendente ai B.A.P.P.S.A.D. Francesco Prosperetti che per primi hanno creduto nel valore culturale dellintervento, il presidente dellAmministrazione provinciale Alfonso Andria, il presidente della Comunit montana Alberto Vitolo e il commissario prefettizio del Comune di Olevano sul Tusciano Rosa Maria Falasca, per lentusiasmo e linteresse con cui hanno aderito alliniziativa.

Ledifico di pianta trapezoidale (denominato casa 1), risultava in parte coperto da un sottile strato di humus e da un consistente crollo (fino a 1 m di potenza) (Fig. 6). Dopo lasportazione dellhumus (US 1) si passati alla rimozione del crollo (US 5) su tutto ledificio. Si tratta di uno strato che testimonia il cedimento di parte dei perimetrali N e W delledificio. Il crollo risultava costituito da conci calcarei appena sbozzati di media-grande pezzatura del tutto analoghi a quelli ancora visibili nellelevato superstite della costruzione. Il materiale ceramico raccolto (in buona parte invetriata policroma) lascia ipotizzare, ad una prima analisi, levento collocabile intorno alla met del XIII secolo-inizi XIV. Sotto il crollo, al centro delledificio si potuta distinguere nettamente la rasatura di una struttura muraria (USM 8), che divideva ledifico in due ambienti (denominati amb. A e amb. B). Dallosservazione dei rapporti tra i muri perimetrali delledificio casa 1 e il setto divisorio USM 8 si potuta stabilire la posteriorit di questultima struttura rispetto ai primi: risulta infatti evidente come USM 8 si appoggi ai perimetrali S e N delledificio (rispettivamente USM 2 e USM 4). Nellambiente A (ambiente ad W di USM 8) sono stati individuati al di sotto del crollo due strati (US 11 e US 7), uno (US 11) relativo al cedimento di parte di USM 8 e in parte coprente US 7, laltro (US 7) pertinente lultima fase di frequentazione dellambiente prima del crollo (Fig. 6). I materiali rinvenuti nel corso dellesplorazione di US 7 (in buona parte ceramica decorata a bande rosse sottili e ben definite formanti archi e la rara attestazione di ceramica invetriata policroma) sembrano individuare tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo larco cronologico che definisce la formazione e lattivit dello strato. La US 7 a sua volta copriva nellangolo N-W dellambiente A una vasca rettangolare (denominata complessivamente US 16) accuratamente fabbricata con conci calcarei ben squadrati il cui fondo risulta ricoperto da malta idraulica di ottima qualit (Fig. 7). Potrebbe trattarsi di una vasca di decantazione per la raffinazione dellolio relativa a un frantoio42. Tale funzione sembra potersi dedurre dal rinvenimento sulla vasca nello strato US 7 di due frammenti di macina circolare (Fig. 8), pertinenti a due macine in pietra vulcanica di dimensioni differenti. Il rinvenimenti di frammenti di macine fa ipotizzare che lambiente fosse utilizzato anche come deposito dove si conservavano le attrezzature del frantoio, forse situato in uno degli ambienti circostanti. La vasca risulta demolita con una certa veemenza da colpi di piccone e di mazza che hanno asportato grossi frammenti della malta ricoprente il manufatto fino a giungere alla superficie irregolare rocciosa US 10 sulla quale era stato edificato. Il rinvenimento in US 7 di frammenti di malta simile a quella usata per la vasca induce a interpretare questultima US come un livellamento immediatamente successivo alla distruzione della vasca. US 7 nel lato S

42 La raffinazione nelle vasche rappresenta, come noto, lultima fase del ciclo dellolio: dopo la spremitura della pasta di olive il liquido non depurato viene raccolto in vasche in cui si versa acqua, in genere piovana, per far salire in superficie lolio privo di scorie che si trattengono in basso insieme allacqua. Per il ciclo dellolio in et medievale si veda CITTER,VELLUTI 1993, pp. 160-164.

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Fig. 4 Olevano sul Tusciano, castello. Pianta del villaggio e della seconda cinta muraria. Aree esplorate: divisione in settori della cinta e posizionamento delle tipologie murarie (cfr. Fig. 34).

W dellambiente copriva un altro manufatto in pietra e malta di forma grossomodo ellittica (US 21) la cui funzione al momento non risulta chiara43. La frequentazione relativa alla fruizione di queste strutture stata individuata nella US 20, uno strato di terra battuta dal quale provengono esclusivamente frammenti di ceramica a bande rosse del tipo broad line databili genericamente ad et altomedievale e, in ogni caso, non oltre l XI secolo. Laffiorare di roccia irregolare nella zona in cui si provveduto alla rimozione sembra indicare in US 20 la prima fase di frequentazione dellambiente A. Sempre allinterno di questo strato, in corrispondenza dello stipite della porta dingresso allambiente, stata

raccolta una punta di freccia in selce in parte scheggiata di et preistorica (Fig. 9). Il rinvenimento di tale oggetto trova analogie con rinvenimenti di manufatti preistorici effettuati nelle stratigrafie medievali in altri siti, come ad esempio a San Vincenzo al Volturno. Anche qui i ritrovamenti sono stati effettuati in ambienti deputati alla produzione e alla loro presenza si attribuito un significato apotropaico44. possibile che anche ad Olevano loggetto, probabilmente appeso allingresso dellambiente, assumesse una funzione di amuleto contro eventuali influssi nefasti sulla buona riuscita del prodotto che si realizzava45. Nellambiente B al di sotto del crollo US 5 stato esplorato uno strato simile a US 11 (US 9) che in parte
MITCHELL 2003. Ancora oggi nei frantoi locali si usa appendere oggetti apotropaici sui muri nei pressi dellingresso.
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43 Dalla US 20, nei pressi della vasca, sono stati raccolti alcuni frammenti di minerali grezzi non trattati. Al momento non possibile indicare di che minerale si tratti.

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Figg. 5-6 Olevano sul Tusciano, castello. sezione e pianta di edificio casa 1.

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Fig.7 Olevano sul Tusciano, castello. Edificio casa 1, resti in elevato della vasca.

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Figg.9-11 Olevano sul Tusciano, castello. Edificio casa 1: 9. Punta di freccia (scala 1:1); 10. Frammento di lucerna (scala 2:3); 11. Anello dargento (scala 1:1).

Fig.7 Olevano sul Tusciano, castello. Edificio casa 1, frammenti di macine in pietra lavica.

copriva una fase di frequentazione dellambiente (US 14). Lesplorazione di US 14 ha restituito ceramiche a bande rosse sottili e i frammenti di almeno due lucerne di cui una ricoperta allinterno da una vetrina verde chiaro. Dallo strato proviene anche un frammento di lucerna ceramica dallimpasto color bianco avorio con numerosi inclusi piroclastici che trova confronti con produzioni della Sicilia orientale del Mediterraneo orientale, decorata da una brillante vetrina monocroma verde (XII-XIII sec)46 (Fig. 10). Insieme ai frammenti ceramici sono stati raccolti, per lo pi nellangolo NE dellambiente, numerosi frammenti di argilla poco depurata e ricca di inclusi calcarei. Nella parte orientale dellambiente B, non lontano dalla parete che lo chiudeva (USM 6), sono stati individuati i segni di due buche di palo di piccolo diametro che risultano corrispondere nella sottostante roccia a fori profondi circa 8 cm praticati in questultima (UUSS 17 e 19) (Fig. 5). La presenza di pezzi di argilla non cotta interpretabili come rifiuti di lavorazione lascia trasparire la presenza di un vasaio che operava nellambiente B. Le stesse buche di palo di piccola dimensione individuate nei pressi dei suddetti reperti, in prossimit della porta dellambiente (probabilmente la pi efficace fonte
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di luce in una stanza che doveva risultare alquanto buia), possono essere interpretate come segni della presenza dellattivit di un vasaio, una delle quali probabilmente limpronta di un tornio veloce a base rotante47. Dagli strati di distruzione della muratura US 25, nei pressi delluscio, stato rinvenuto un anello dargento (Fig. 11). Si tratta di un rinvenimento abbastanza singolare in un contesto di questo tipo. Lanello fu forse riposto (o nascosto) dal proprietario (o dalla proprietaria) in una fessura tra i conci della muratura e poi dimenticato o, con pi verosimiglianza, mai pi ripreso per cause che ci sono ignote, forse la morte del proprietario48. Non possibile affermare se al di sopra dei due ambienti, contigui a partire dal XII secolo, si elevasse un ulteriore piano: il rinvenimento di un numero relativamente alto di ceramiche da fuoco e oggetti domestici quali una fusarola, sembra far propendere per questa ipotesi. 2.1.b La chiesa di Santa Maria de castello I ruderi della chiesa del villaggio, nota dalle fonti scritte come Sancta Maria intus castellum49, si trovano allinterno della seconda cinta muraria alla fine delle abitazioni, quasi uno spartiacque tra il borgo e larea signorile (Fig. 3). Dopo aver proceduto alla rimozione dellhumus (US 2001) che ricopriva lintera area delledificio, sono stati individuati 3 crolli di notevole potenza: uno relativo alla parete 2003 (us 2002), laltro alla parete 2006 (2013) e il terzo relativo al collasso di parte del catino absidale 2009 (2011). La ceramica proveniente dagli strati di crollo permette di collocare tale evento tra XIV e XV secolo. Esplorati i crolli stato possibile individuare la spazialit e la forma della chiesa. (Fig. 12).

Si veda ad esempio ROMEI 1994

47 Si veda un esempio di tracce lasciate da un tornio veloce dopo labbandono in MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 p. 83. 48 Si tratta ovviamente di una supposizione senza nessuna prova concreta. 49 La chiesa ricordata solo nel 1164 come ecclesia Sanctae Mariae intus castellum PENNACCHINI 1941 p. 82.

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Fig. 12 Olevano sul Tusciano. castello. Pianta della chiesa di S.Maria.

Santa Maria de castello si presentava al momento dei crolli come un edificio di pianta rettangolare ad aula unica, terminante in unabside semicircolare, lungo circa 12 metri e largo 5 (Fig. 14). Varcata la soglia (US 2029) un massiccio scalino in pietra (US 2028) segnava lingresso alla chiesa (Fig. 15); uno spesso pavimento in battuto di malta lisciata (UUSS 2019, 2033) costituiva il piano di frequentazione e un subsellium intonacato (UUSSMM 2018, 2027, 2035, 2036, 2039), realizzato in fase con il pavimento, correva lungo le pareti delledificio. Un muro basso anchesso intonacato (USM 2012, 2034), cui si legava in parte il subsellium (UUSSMM 2018, 2027), separava la parte riservata ai fedeli dallarea presbiterale50 in fondo alla quale, al principio della zona absidale (Fig. 16), su di una pedana in muratura, si ergeva laltare decorato da affreschi (USM 2024), cavo allinterno, costituito da due montati laterali in muratura sormontati da una lastra di pietra. Appena al di sotto dei crolli lungo le pareti della chiesa sono stati esplorati consistenti strati di calcinacci frammisti a numerosi frammenti di affreschi (UU SS 2003, 2006, 2007, 2008, 2009). (Fig. 17) Gli affreschi riproducono figure umane e raffinati decori policromi (Fig. 18). In attesa di unanalisi pi puntuali degli affreschi possibile al momento indicare tra XI e XII secolo lambito cronologico della loro realizzazione. Gli affreschi risultano quasi del tutto collassati poco dopo labbandono: lesplorazione dello strato di distruzione degli intonaci parietali ha permesso di recuperare oltre 1000 frammenti di affresco. Il rinvenimento di frammenti di ceramica invetriata policroma in connessione con gli strati di distruzione degli affre50 Il rinvenimento di una maniglia in ferro in associazione a tracce di legno carbonizzato nello spazio tra i due muri UU.SS.MM. 2012- 2034, lascia supporre la presenza di una porta di accesso allarea presbiteriale.

schi vale ad indicare tale evento tra la seconda met del XIII secolo e gli inizi del XIV. Il collasso sincronico pressoch totale degli affreschi lascia supporre un evento in qualche modo ricercato51. Ma ledificio non era stato sempre cos: in particolare il subsellium e il pavimento, insieme alla pedana absidale, sono aggiunte relative ad una fase avanzata della vita della chiesa: al momento della sua fondazione la Santa Maria del castello di Olevano presentava un pavimento in semplice battuto, quasi inconsistente, nobilitato solo nellabside da una decorazione pavimentale a losanghe e trapezi, di cui sono stati rinvenuti due preziosi testimoni in pietra locale, che permettono di ricostruire una decorazione che lascia trapelare una certa ricercatezza nella composizione (Fig. 19). Lo stesso altare fu in parte inglobato nella sopraelevazione dellarea absidale (US 2025). Lo strato 2045 e i sottostanti 2041 e 2048 (questultimo esplorato solo in parte) hanno restituito esclusivamente frammenti ceramici decorati con larghe bande rosse databili genericamente ad et altomedievale. Lindagine allinterno dellarea absidale ha rilevato tracce di una piccola struttura in muratura (USM 2055), con una pianta vagamente rettangolare, appena visibile alle spalle dellaltare e in gran parte sottostante questultimo e coperta da US 2045: la struttura stata solo in parte indagata a causa della sua posizione. Dovrebbe trattarsi dei resti dellaltare precedente lattuale. La spazialit della chiesa risultava, nella sua prima fase del tutto analoga a quella ancora visibile in elevato, (Fig. 13) con laggiunta di due ingressi laterali
51 La circostanza che i frammenti di affresco poggiassero direttamente sul subsellium e sul pavimento (fig. 17) induce a ritenere che il distacco sia avvenuto quando la chiesa era stata da poco abbandonata. Segni di scalpello intorno agli unici due piccoli lacerti di affresco superstiti sulle pareti delledificio fanno pensare ad una rimozione intenzionale.

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Fig. 13 Olevano sul Tusciano, castello. Proposta ricostruttiva della prima fase della chiesa (dis. arch. Amintore Carucci).

(UUSS 2042 bis, 2051), tompagnati al tempo della costruzione del subsellium e del pavimento in battuto di malta. Laccesso agli ingressi laterali avveniva attraverso una passerella lignea di cui si notano i segni sulla muratura esterna meridionale della chiesa. Il primo ingresso introduceva alla zona presbiterale ed era dunque riservato ai celebranti, il secondo immetteva direttamente alla navata. Una fase intermedia tra la costruzione della chiesa e la realizzazione del pavimento US 2019 e del subsellium, individuata nei resti di uno scarico per lacqua ricoperto da malta (US 2038) poggiante su una pedana in muratura (Fig. 21). La pedana, interamente inglobata nel subsellium come lo scarico, ma poggiata sulla parete absidale, risulta in connessione ad una seconda canaletta per il deflusso dellacqua realizzata in laterizio, impiantata nel muro orientale della chiesa e diretta allesterno (Fig. 21); sul fondo del canale rivestito di malta sono stati rinvenuti frammenti di affresco di fattura differente da quelli raccolti negli strati 2016, 2017 e un polycandilon, un gancio dal quale pendono catenelle in bronzo, usato per reggere lampade vitree52. Il polycandilon (Fig. 22) ancora agganciato al supporto ligneo che era infisso nella muratura della parete absidale. Un foro individuato sul muro in corrispondenza della pedana potrebbe costituire lallogazione dellelemento di sostegno della catenella. Al momento appare difficile fornire uninterpretazione convincente di quanto descritto. possibile che la pedana sostenesse una vasca rettangolare in materiale litico, come sembra trasparire da unevidente traccia di appoggio visibile sulla parete absidale (Fig. 21), e che i canali scaricassero lacqua contenuta in essa una volta rimosse le chiusure. In questo caso si potrebbe ipotizzare la presenza di una vasca ad uso litur52 Il manufatto trova confronti con un polycandilon di fattura bizantina rinvenuto nellarea di Santo Stefano in Rivo Maris a Casalbordino (CH), datato al VII secolo TULIPANI 2001 pp. 230-231.

Fig. 14 Olevano sul Tusciano, castello. Proposta ricostruttiva della terza fase della chiesa (dis. arch. Amintore Carucci).

gico (una piccola vasca battesimale?) nella chiesa olevanese. Sempre nella zona presbiterale sono stati rilevati i segni di uno scaffale, la cui parte esterna doveva essere in legno, incassato nellangolo N-E delledificio, in uno spazio libero dal subsellium (Fig. 16). probabile che sulle tre mensole che, incassate nella muratura, scandivano la parte interna dello scaffale, si custodissero alcuni oggetti necessari allufficio liturgico (salterio, patena, calice etc.). Alla luce di quanto finora discusso si possono individuare almeno tre fasi nella vicenda di Santa Maria de castello. La prima fase individuata nella costruzione delledificio con tre ingressi: uno ad ovest (il principale) e due sul lato meridionale. In questo periodo sussiste un primitivo altare in muratura e la pavimentazione dellarea absidale composta da un gio257

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Figg. 15-16 Olevano sul Tusciano, castello. Chiesa di S.Maria: 15. Ingresso; 16. Area del presbiterio.

Fig. 17 Olevano sul Tusciano, castello. Sezione trasversale della chiesa di S.Maria.

Figg. 18-19 Olevano sul Tusciano, castello. 18. Frammento di affresco proveniente da US 2017; 19. Elementi di pavimentazione dallabside della chiesa.

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Fig. 20 Olevano sul Tusciano, castello. Chiesa, sezione absidale. Fig. 22 Olevano sul Tusciano. S.Maria de castello, catenella in bronzo.

co di elementi a losanghe e trapezoidali. In una seconda fase si realizz laltare ancora visibile e la vasca nellarea presbiterale. In questo periodo la chiesa risultava gi affrescata almeno in parte. Lultima fase vede unimportante riqualificazione delledifico con la soppressione degli accessi meridionali e la realizzazione della pavimentazione in battuto di malta, il subsellium e il muro divisorio del presbiterio. In questultima fase si realizza un nuovo ciclo di affreschi. Pi arduo risulta stabilire una precisa cronologia delle diverse fasi. Se per le fasi di abbandono e crollo la presenza di ceramiche collocabili in orizzonti cronologici ben individuabili consente di avere ben chiara la situazione e se per i frammenti di affresco provenienti da US 2016 e US 2017. possibile indicare una datazione tra XI e XII secolo, lestrema frammentariet dei reperti ceramici a bande rosse rinvenuti negli strati di attivit pi antichi delledificio non permette di stabilire datazioni inequivocabili. Ad esempio nellarea absidale, come si detto, sono stati raccolti, negli strati della prima frequentazione e precedenti lelevazione dellaltare attuale (UU SS 2045, 2041 e 2048), frammenti relativi a ceramiche decorate esclusivamente con bande rosse del tipo broad line, elemento che genericamente induce a collocare la loro formazione in et altomedievale. I rapporti stratigrafici tra tali livelli lascerebbero supporre una cronologia relativamente alta (pieno altomedioevo?). Unindicazione meno generica si ricava dal rinvenimento di un frammento ceramico relativo alla pancia di un boccale nella malta del vespaio del pavimento della navata US 2019; la decorazione con motivi a pallini schiacciati tra bande (Fig. 23) permette di datare la realizzazione del pavimento tra il X e gli inizi dellXI53. Ne consegue lindividuazione della realizzazione, oltre che del pavimento, del subsellium, delliconostasi e della
53 La decorazione della ceramica con motivi a pallini tra bande datata tra VIII e IX secolo in contesti pugliesi e campani (CARSANA 1998, p. 135; ARTHUR 1997 p. 194). Il frammento di Olevano presenta una tipologia di pallini pi schiacciata, che anticipa i motivi a virgola del XII secolo (per questultimo tipo di decorazione si veda ad es.. SAPORITO 1992, p. 217). La datazione del frammento al X-XI secolo confortata dal rinvenimento nella US sulla quale poggia il vespaio del pavimento esclusivamente di frammenti ceramici a bande rosse larghe. Materiale analogo proviene dagli strati di X-XI secolo della discarica della Grotta di San Michele ad Olevano, DI MURO et alii 2003..

Fig. 21a-b Olevano sul Tusciano, castello. Chiesa di S.Maria, angolo S-E; la freccia indica la canaletta di deflusso.

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pedana dellaltare intorno allanno 100054. Considerando la presenza di almeno due fasi precedenti questo intervento, e in particolare, lavvicendamento in questo intervallo di ben due altari, mi sembra si possa indicare almeno nel IX secolo la costruzione della chiesa di Santa Maria de castello. Tale datazione, peraltro, non diverge dai dati desumibili dagli strati pi profondi dellabside (UU SS 2045, 2041, 2048).
A.D.M.

2.2 LE CINTE

MURARIE E GLI EDIFICI DEL BORGO: PRIMA ANALISI DELLE STRATIGRAFIE IN ELEVATO

2.2.a. La prima cinta muraria Il primo recinto murario55 del castello di Olevano si eleva nella parte meridionale del complesso ad una quota di ca 570 m s.l.m. (Fig. 24) La cinta, che misura 148 metri, chiude lunico accesso praticabile al castello da sud. Il recinto era formato da una cortina e almeno 5 torri di cui 4 conservate almeno in parte in elevato. La parte orientale della cortina appare rasata con altezze che variano tra gli 80 e i 90 cm. Procedendo verso ovest le altezze aumentano fino a superare i due metri. La differenza nelle altezze dovuta al pendio del terreno lungo il quale fu edificata la cinta, le cui quote risultano decrescenti procedendo da est verso ovest. La tessitura muraria costituita in massima parte da conci calcarei provenienti dalle cave situate in alcuni punti del monte sul quale sorge lintero complesso. Laddove affiorano gli strati di calcare, essi vengono cavati con la tecnica della tagliata a mano56 e coltivati in grotta creando ripari o vere e proprie grotte sulle cui superfici ancora si notano tracce lasciate dagli strumenti dei lapicidi. Essi furono con ogni probabilit cavati con cunei dalle emergenze rocciose che ancora si scorgono ad W delle mura (Fig. 26). I conci sono di forma e dimensioni, per quanto riguarda la larghezza, irregolari. Si nota inoltre la presenza di rari ciottoli di fiume. Procedendo verso ovest si fa pi sensibile luso di frammenti di tegole e mattoni laterizi insieme a qualche frammento di ceramica acroma. I conci, immersi in letti di malta con evidenti inclusi piroclastici dello spessore variabile tra i 2,5 e i 3 cm, sono disposti su filari abbastanza regolari (15-18 cm di altezza). Superata la torre A verso Ovest la cortina raggiunge altezze pi elevate fino a giungere a circa 3 metri. Laumento delle altezze legato alla quota di calpestio esterna alle mura verso ovest scende sensibilmente. Lungo tutta la cortina superstite non si notano aperture (saettiere) o altri elementi funzionali tipici.
54 I frammenti rinvenuti nello strato di frequentazione sottostante US 2019, non completamente esplorato, presentano la medesima decorazione a bande descritta per i reperti provenienti dagli strati 2041 e 2048. Anche lassetto icnografico delledificio in questa fase richiama edifici di culto calabresi datati al X-XI secolo anche sulla base di indagini stratigrafiche (si veda ad es. ROMA 2003 p. 429). 55 La numerazione delle cinte murarie prescinde da ogni criterio di successione cronologica e si riferisce esclusivamente a una successione nella descrizione delle cinte murarie secondo una direzione esterno-interno. Tale scelta, in contrasto con un uso riscontrabile presso alcuni autori, stata presa per affrancarsi definitivamente da ogni possibile equivoco derivante da una numerazione sequenziale in direzione interno-esterno, spesso allusiva ad una successione diacronica delle fasi della genesi e della evoluzione della struttura castrense. 56 cfr. CAGNANA 2000 pp. 34 ss.

Fig. 23 Olevano sul Tusciano, castello. Chiesa di S.Maria, frammento di ceramica a bande rosse.

Figg. 24-25 Olevano sul Tusciano, castello. Prima cinta muraria (a. 1990) e torre A.

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Fig. 26 Olevano sul Tusciano, Cava al di sotto della prima cinta muraria.

Nelle parti mediana e bassa del manufatto si notano aperture per il deflusso delle acque di forma rettangolare e sezione rettangolare, di lunghezza variabile (tra gli 80 cm e i 30) e larghezza abbastanza uniforme (15-18 cm). La loro realizzazione evidentemente legata alla posizione della cinta lungo il declivio del monte, in unarea molto soggetta al dilavamento, come dimostra il notevole deposito di terreno accumulatosi allinterno della cinta che in alcuni casi supera i due metri di potenza. Le torri della cinta, frutto di un intervento coevo allelevazione della cortina, come si evince dallosservazione della tessitura muraria nella quale non si notano soluzioni di continuit, sono a base vuota con piante a ferro di cavallo o semicircolare. Due esempi di tali tipologie si possono individuare nelle torri A e B. La torre A, oggi in parte rasata (Fig. 25), fu costruita con la stessa tecnica osservata per la cortina e con lutilizzo dei medesimi materiali. La torre presenta una leggera scarpa. I conci sono legati da malta con inclusi piroclastici, frammenti di ghiaia e laterizi (letti dello spessore di ca 3 cm) dello stesso tipo gi descritto per la cortina e disposti in filari dalle altezze abbastanza regolari (13-16 cm) nelle aree laterali. Sulla parte frontale della torre le dimensioni dei conci risultano pi irregolari. Non si nota la presenza di saettiere. Come per la cortina vi sono aperture per il deflusso delle acque. La torre B presenta una pianta semicircolare e nessuna scarpa. Anchessa attualmente priva di saettiere e evidentemente rasata, risulta in fase con la cortina. Anche qui per la costruzione furono utilizzati conci provenienti dal locale banco calcareo, ma la presenza di frammenti di laterizi di gran lunga pi elevato rispetto a quanto rilevato per la torre A (39-6). La stessa pezzatura dei conci calcarei appare qui pi irregolare, con elementi di dimensioni notevoli (raggiungono anche le dimensioni di 33 x 42 cm), disposti in maniera irregolare lungo la tessitura. I letti di malta sono meno spessi (2 cm) di quelli rilevati nella torre A, ma si tratta dello stesso tipo di legante con clasti di origine vulcanica, laterizi e ghiaia macinati. Si segnala inoltre la presenza delle bocche rettangolari per il deflusso delle acque. 261

Interpretazione Da quanto osservato si pu rimarcare come la prima cinta muraria costituisca il prodotto di un unico intervento, nonostante alcune diversit tipologiche individuate nellanalisi delle torri. Tali differenze si spiegano facilmente osservando come fosse norma durante tutto il medioevo, ma anche in et moderna, dotare le cortine murarie di torri differenziate tipologicamente: si pensi solo a Benevento allinizio del VII secolo o a Lucera alla fine del XIII. Con ogni probabilit lintervento olevanese fu eseguito in et angioina. Lassenza di saettiere collegata evidentemente alla rasatura della parte alta delle torri, che dovevano articolarsi almeno su due livelli, come si nota allinterno delle torri dalla disposizione delle buche per lalloggiamento della testa delle travi. La produzione degli elementi della tessitura muraria fu effettuata sbozzando appena i conci litici provenienti, come si detto, dal banco calcareo locale. Dopo la cavatura si provvide soltanto a regolarizzare le altezze degli elementi, tramite lutilizzo di mazzuoli o picchi dal manico corto, per creare una certa regolarit nei corsi orizzontali e consentire una pi semplice e rapida messa in opera. Data la semplicit delloperazione probabile che i cavatori fossero gli stessi muratori che provvidero alla elevazione degli apprestamenti difensivi. Non da escludere che le maestranze fossero reperite tra gli abitanti del castrum Olibani, abili nellelevare muri a secco per le loro coltivazioni, secondo una consuetudine ben attestata nel Medioevo campano57. Le maestranze furono poi probabilmente disposte a lavorare in gruppi distinti, come sembra emergere dalle differenze osservate ad esempio nei paramenti murari delle torri A e B. Elemento fondamentale per la staticit dellopera fu lutilizzo della malta. Il legante utilizzato per la costruzione della cinta muraria olevanese costituito da calce
57 Cos nel VII secolo per la cinta muraria longobarda di Avella, PEDUTO 1990, p. 366; Per la costruzione delle nuove torri di Salerno dell872 furono chiamati, oltre ai Salernitani, gli abitanti del locus Tuscianus e di Capua, cfr. DI MURO 1998, p. 63.

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ottenuta con ogni probabilit dalla cottura dei calcari locali, pozzolana, frammenti di pietrisco e di laterizio. La presenza della pozzolana in particolare, mescolata alla calce, ha reso estremamente tenace la malta, conferendo allapparecchio murario una buona solidit. Da quanto visto si evince agevolmente come loperazione di costruzione della cinta angioina di Olevano fosse operazione di non eccessivo impegno, condotta con una certa premura che non consent particolari accorgimenti esornativi. La cultura materiale che esprimono le maestranze da ricondurre alla tradizione dei maestri di muro locali, sopravvissuta lungo tutto il Medioevo campano: in particolare la fiducia riposta nella tenacit della malta costituisce la base per la buona riuscita dellopera, per cui si notano talora blocchi di grosse dimensioni utilizzati per i filari pi alti mentre nei corsi di base furono utilizzati conci pi modesti (si veda la torre B), contro ogni regola statica. La costruzione della nuova cinta appare funzionale a nuove esigenze strategiche nella considerazione del castello di Olevano. Non si pu affermare con certezza che con la sua elevazione si allargasse larea difesa; infatti possibile che in precedenza vi fosse una cortina non ritenuta pi idonea o una palizzata lignea. Tuttavia le vicende deducibili dalla documentazione di archivio che interessarono il castello di Olevano alla fine del XIII secolo lasciano trasparire una elevazione in connessione ad eventi precisi. Lavanzata dei siculo-aragonesi dopo lesplosione della Guerra del Vespro nel 1282 con la veloce conquista della Calabria e di parte del Cilento e la minaccia di un assalto a Salerno, la porta per Napoli, spinse Carlo dAngi a verificare e rinsaldare la linea di difesa costituita dalle fortezze di Eboli, Olevano, Montecorvino e Giffoni. In questa occasione, come attestano le fonti, larcivescovo di Salerno provvide a rafforzare le difese del castello di Olevano, di cui era signore. Lo scontro si protrasse per parecchi anni (fino al 1302), caratterizzato da azioni di guerriglia nelle quali furono scatenati contro le popolazioni locali i temibili Almugaveri che, come narrano le cronache, misero a ferro e fuoco le borgate. Per il pericolo determinato da questo stato di cose gli abitanti dei casali sottostanti il castello furono talvolta costretti a rifugiarsi sul castello58. In questottica larea fortificata olevanese necessitava di un allargamento per accogliere, insieme alla popolazione, le milizie angioine e formare una piazza darmi adatta alle necessit di un esercito, conferendo al castello strutture e spazi pi adatti ad una piazzaforte. La spianata naturale che si allargava ai piedi del villaggio, fino ad allora usata forse come terreno agricolo, faceva al caso delle esigenze angioine: in essa si sarebbero potute impiantare le tende e ospitare i cavalli delle milizie, ovviamente protette da una cinta muraria. Il pericolo imminente spiegherebbe anche una certa trascuratezza osservabile nellesecuzione dellopera. Bisogna in ogni caso tenere in conto la funzione militare della costruzione e quindi la inutilit di conferire ad essa una cifra estetica. Ma il confronto con cinte contemporanee quali quella del castello di Avella o di Mercato San Severino, mostra una discrepanza tra laccuratezza degli apparati murari di queste e la trascuratezza della costruzione olevanese. La premura di offrire un valido campo alle truppe da opporre alla
58 CDS, II, p. 210. Per le vicende del castello di Olevano durante la Guerra del Vespro, CARUCCI, 1937, pp. 33-38.

temuta avanzata aragonese dovette determinare una minore cura nella sbozzatura delle pietre, ma certo non era una manifestazione di potenza da sottolineare con opere appariscenti che necessitava in quel frangente. Un secondo intervento ben evidente nella costruzione della torre E. La tipologia, la presenza di fuciliere e la cannoniera sono elementi che valgono a collocare la torre in un ambito cronologico pi tardo (XV secolo). Le mutate tecniche ossidionali legate sostanzialmente allintroduzione della polvere da sparo consigliarono un ripensamento di alcune strutture della cinta angioina. In particolare si provvide alla rasatura delle torri: elementi di difesa troppo alti costituivano ormai un pericolo per i difensori e un vantaggio per gli eventuali assedianti che avrebbero avuto nelle alte torri un bersaglio facile e poco resistente per le loro bocciarde con i conseguenti rovinosi crolli sugli assedianti. Inoltre sulle torri angioine si provvide con ogni probabilit ad eseguire gli allogiamenti per le cannoniere, come sembra potersi dedurre dal lampio foro quadrangolare, in parte crollato, presente sulla torre C. 2.2.b La seconda cinta muraria Il secondo recinto murario del castello di Olevano si eleva nella parte occidentale del complesso castrense a partire da una quota di ca 615-620 s.l.m. (Figg. 3-4). La cinta, che misura circa 200 metri e di cui sono residui circa 175 metri di cortina, era posta a protezione del villaggio castrense al castello la cui difesa era garantita nella parte settentrionale e sud-orientale da strapiombi. Essa racchiude unarea di ca. 8148 m2 posta a ponente e a meridione della terza cinta muraria, immediatamente al di sotto di uno dei due picchi che caratterizzano il rilievo su cui posto il complesso castrense. Larea interna alla cinta si eleva da quota 615 m s.l.m. a quota 650 s.l.m. Numerosi crolli, interventi di rasatura, superfetazioni successive, insieme ad un cattivo stato di conservazione e, non ultimo, la presenza di piante infestanti impediscono allo stato attuale una comprensione complessiva dellintero recinto e una sua chiara lettura stratigrafica. Il recinto era formato da un muro con almeno due aperture, una individuata nel settore meridionale, laltra nel settore nord-occidentale in relazione con il sistema viario interno che, per mezzo di esse, andava a connettersi con il sentiero proveniente da sud (Fig. 4). Sono state identificati resti di almeno due edifici assimilabili a torri nella settore Sud della cortina laddove si apriva uno dei due ingressi della cinta, per la cui analisi, insieme a quella dellarea signorile, si rimanda ad una futura pubblicazione. Nel settore sud-orientale (Fig. 4) il muro della cortina appare rasato con altezze che variano tra gli 1.25 e 1.60 m. La differenza nelle altezze dovuta al pendio del banco di roccia calcarea su cui fu edificata la cinta, le cui quote, in questo settore, risultano crescenti procedendo da nord verso sud, da quota 626 fino a quota 636 m s.l.m., con un dislivello con il piano sottostante in alcuni punti di 5 m (Fig. 27). La muratura formata da pezzame di blocchi calcarei e di conglomerato affiorante in alcuni punti del monte sul quale sorge lintero complesso59. Si nota,

59 Si rimanda alle considerazioni effettuate nellanalisi della prima cerchia muraria supra.

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inoltre, la presenza di rari ciottoli di fiume e non pochi sassi arrotondati di medie dimensioni. La malta, di color bianco-grigiastro, visibile solo in rari punti dove affiora costituendo un letto molto sottile. Gli spazi interstiziali tra i blocchi, quasi cavernosi, con il percolare del fango proveniente dallinterramento, nel tempo, si sono riempiti di terra creando un habitat ideale per muschi e piante infestanti. I blocchi sono di varie forme e dimensioni e, per quanto riguarda laltezza e la larghezza, appaiono irregolari (Fig. 36F).Non si notano particolari forme di lavorazione sulla superficie per cui le pietre, ricavate dal banco calcareo o gi presenti nei pressi del cantiere, spaccate, sono state disposte dando precedenza a quelle di dimensioni maggiori negli strati pi bassi, per poi creare, nella parte pi alta dello strato, un piano pi o meno orizzontale con i sassi e i ciottoli. Non possibile descrivere lapparato murario oltre la strato iniziale di posa in opera. Nelle parte bassa, supersistite, del manufatto si notano aperture per il deflusso delle acque (Fig. 27) di forma e sezione rettangolare, di 29 cm di lunghezza e di 20 cm di altezza. La loro realizzazione evidentemente legata alla posizione della cinta, lungo il declivio del monte, in unarea molto soggetta al dilavamento, come dimostra il notevole deposito di terreno accumulatosi allinterno della cinta. Nel settore meridionale (Fig. 4), il muro della cortina appare rasato con altezze che variano tra 0.60 e 1.40 m. Al di sopra di esso, in epoca non precisabile allo stato attuale della ricerca, fu elevato un muretto a secco con materiale litico risultante dallazione di rasatura delle mura (Fig. 28). La differenza nelle altezze minima, si parte da quota 623 m fino a quota 624 m s.l.m., con un dislivello con il piano sottostante in alcuni punti di ca. 3.50-4 m. Per quanto riguarda le componenti del paramento murario (Fig. 36E), non si notano particolari differenze con il paramento murario della cortina del settore sud-orientale a parte un cattivo stato di conservazione per via del dilavamento delle acque meteoriche e dei conseguenti smottamenti del terreno. Il settore occidentale della cortina (Fig. 4) costituito di due porzioni che presentano differenti tipologie di apparato murario. La porzione settentrionale (Fig. 31) presenta un apparato murario in pezzame di blocchi calcarei irregolari di varia dimensione in tutto simile ai precedenti apparati murari descritti, eccezion fatta per lutilizzo di blocchi anche di grande dimensione (lunghezza 74 cm; altezza 30 cm) e una possibilit di individuare una certa orizzontalit dei piani di posa degli strati (Fig. 36C). Laltezza del muro residuo di circa un metro. Il dislivello tra il piano del banco di roccia calcarea su cui si eleva il muro e il piano sottostante di ca. 4 m. La porzione meridionale (Fig. 32) presenta un apparato murario in pezzame di blocchi calcarei irregolari di piccola e media dimensione, spesso dalla forma globulare o arrotondata, e rari frammenti di laterizio. Il paramento murario ingloba e asseconda nei propri strati un masso erratico proveniente dalla cima del monte (lunghezza 180 cm; altezza 90 cm) e blocchi di grande dimensione (lunghezza ca. 60 cm; altezza 50 cm) della medesima origine (Fig. 36D). La malta, di colore bianco sporco, disposta in letti di vario spessore e affiora a tratti sulla superficie del paramento inglobando pietre di piccole dimensioni. 263

Gli spazi interstiziali raramente presentano lacune di tipo cavernoso. Laltezza del muro residuo varia tra i 2 e i 3 m. Il dislivello tra il piano del banco di roccia calcarea su cui si eleva il muro e il piano sottostante di ca. 5 m. Il settore nord-occidentale della cortina (Fig. 4) costituito di due porzioni che presentano differenti tipologie di apparato murario. La porzione settentrionale (Fig. 30) presenta un apparato murario in pezzame di blocchi calcarei irregolari di varia dimensione in tutto simile ai precedenti apparati murari descritti, ad eccezione della presenza di numerosi frammenti di laterizi, di blocchi anche di grande dimensione (lunghezza 63-65 cm; altezza 35 cm) e una possibilit di individuare una certa orizzontalit dei piani di posa degli strati (Fig. 36A). La malta, di color bianco-grigiastro, con inclusi di varia natura (pietrisco, laterizi sbriciolati, inclusi piroclastici), disposta in letti di vario spessore e affiora a tratti sulla superficie del paramento inglobando pietre di piccole dimensioni o frammenti di laterizi. Laltezza del muro residuo di circa due metri in media. Nelle parte medio-bassa del manufatto (a ca. 60-70 cm di altezza dal livello attuale del terreno) si notano aperture interpretabili come buche pontaie (lunghezza 23 cm; altezza 21 cm). Altre aperture per il deflusso delle acque, di forma e sezione rettangolare, sono situate pi in basso (lunghezza 20 cm; altezza 27 cm). La porzione meridionale (Fig. 4) presenta un apparato murario in pezzame di blocchi calcarei irregolari di piccola e media dimensione. La malta di colore bianco disposta in letti di vario spessore e affiora a tratti sulla superficie del paramento inglobando pietre di piccole dimensioni (Fig. 36B). Gli spazi interstiziali raramente presentano lacune di tipo cavernoso. Laltezza del muro residuo varia tra 1.20 e 1.50 m. Il dislivello tra il piano del banco di roccia calcarea su cui si eleva il muro e il piano sottostante di ca. 3-4 m. Interpretazione Fino a quando lo scavo archeologico non produrr evidenze atte a collocare cronologicamente la tipologia degli apparati murari che costituiscono la seconda cerchia di mura del complesso castrense di Olevano sul Tusciano, non sar possibile dare una datazione certa partendo dalla sola campionatura delle tipologie degli apparati murari e dalle fonti indirette. Dallanalisi della campionatura delle tipologie murarie effettuata, appaiono molti gli elementi comuni: malta di buona qualit; blocchi di calcare e di conglomerato lavorati a spacco o sommariamente adattati; assenza di intonaci. Non mancano, certo, elementi di differenziazione: la presenza frammenti di laterizio (Fig 36 tip. A e D); irregolarit dei piani di posa (Fig. 36 tip B e C); maggiore (fig 36 tip. A) o minore (Fig. 36 tip. C, D) presenza di malta negli interstizi tra i blocchi. Di certo, a seconda dei punti dellarea su cui si elevata la cinta muraria, le maestranze dovettero tener conto delle varie problematiche peculiari e delle opportunit offerte dai luoghi su cui avrebbero eretto le mura, come, per esempio: la presenza di massi erratici;la necessit di livellare il banco di calcare affiorante; la possibilit di avere a disposizione, a poca distanza dai cantieri, blocchi di calcare e conglomera-

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Figg. 27-31 Olevano sul Tusciano - castello. Seconda cinta muraria: 27. Settore SE; 28. Settore S; 29. Porzione S del settore NW; 30. Porzione N del settore NW; 31. Porzione Nord del settore W nel settore Ovest.
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Fig. 32 Olevano sul Tusciano, castello. Seconda cinta muraria: porzione Sud del settore W.

to di varie dimensioni e pietrisco (probabilmente ottenuto dalla frantumazione e dallo sbozzamento del conglomerato); la presenza di forti dislivelli tra un piano e laltro del banco roccioso; la presenza di pendii scoscesi, in alcuni punti, vere e proprie scarpate, alle estremit settentrionali e meridionali del banco. Con ogni probabilit, la seconda cinta muraria certamente frutto di pi interventi, rifacimenti ed ampliamenti e nulla esclude che ci si possa trovare, in qualche caso, anche di fronte a cantieri contemporanei che, in risposta a una necessit impellente, abbiano lavorato in parallelo, adottando soluzioni differenti ottenendo risultati diversi. Quanto alla collocazione cronologica di tali interventi, tacendo le fonti indirette, in assenza di elementi architettonici e delluso di tecnologie ben databili, si rimanda ad eventuali evidenze che una esplorazione archeologica futura potr fornire. Difficile anche lindividuazione del percorso viario allinterno dellarea del borgo e i suoi rapporti con la cinta muraria. Infatti, tutta la cinta venne rasata, azione che non permette, oggi, una valutazione complessiva sulle potenzialit difensive della cinta.Le mura, interrate dal lato interno, vennero a creare dei terrazzamenti che, con lulteriore elevazione di muretti a secco con le pietre di risulta, vennero a modificare il percorso viario allinterno dellarea del borgo. Unindagine di scavo archeologico sistematica, nella prosecuzione del progetto, quindi, permetter di ricostruire i percorsi interni al villaggio e di comprendere linterconnessione con il sistema di aperture attraverso la cinta muraria. 2.2.c La terza cinta muraria Il terzo recinto murario del castello di Olevano si eleva nella parte occidentale del picco sud-occidentale del rilievo su cui si situato il complesso castrense, a una quota di ca 660 ms.l. (Fig. 33). La cinta, con un estensione di circa 71 metri, immediatamente al di sopra del villaggio castrense, era posta a controllo del settore occidentale e meridionale. Essa si innalza su una costa digradante posta al di sopra una parete rocciosa a picco, con una differenza di quota dal villaggio in media di circa 10 metri, e, a sua volta, ai piedi del picco meridionale del monte (695 m s.l.m.). La cinta muraria era costituita da un muro e da tre torri, conservate solo in parte in elevato. 265

Fig. 33 Olevano sul Tusciano, castello. Terza cinta muraria: posizionamento delle torri.

Il muro della cortina segue landamento altimetrico del ciglio della costa di monte. Attualmente non si eleva mediamente pi di 20-25 cm di altezza lungo tutta la sua estensione. Lo spessore del muro della cortina muraria varia da un massimo di 55 cm (in particolar modo nella porzione NE-SW) ad un minimo di 49 cm. Il frammento pi significativo contiguo alla torre B, nella porzione NW-SE. Le sue fondamenta poggiano su un costone al di sotto del ciglio per cui non si ritenne necessario di scalzarlo, ma di rasarlo ad unaltezza tale che un suo eventuale crollo non potesse nuocere ai difensori del castello qualora avesse subito un attacco da parte dellartiglieria pesante. Attualmente si eleva dal costone per 3.50 m, ma di soli 90 cm dal piano attuale del ciglio. Sulla superficie del paramento murario si possono osservare buche di forma e sezione quadrangolare di dimensioni in media non inferiori ai 15 cm sia in altezza che in larghezza. Per quanto riguarda la pianta, possibile individuare due porzioni con andamento diverso: la prima, la pi lunga, che misura 54 metri, procede secondo una direzione NW-SE; la seconda, che misura 17 metri, ha una direzione NE-SW Entrambe si intersecano forman. do un angolo interno di 130. La porzione NW-SE della cinta muraria lunica a presentare tre torri, poste ai due estremi e nella parte settentrionale della porzione mediana (Fig. 33). La tessitura muraria costituita muratura in pezzame composta da blocchi calcarei di forma e dimensioni irregolari lavorati a spacco60 provenienti dal banco roccioso sul quale sorge lintero complesso61. Non mancano grossi sassi arrotondati, presumibilmente di provenienza fluviale, pietre di piccole e medie dimensioni, di tegole e mattoni laterizi insieme a qualche frammento di ceramica acroma. La tessitura muraria in pezzame composta da blocchi calcarei di forma e dimensioni irregolari lavorati a spacco, disposti in strati di varia potenza (40-50
cfr. CAGNANA 2000 pp. 57 ss. Si rimanda per le osservazioni sul metodo di cavatura al paragrafo sulla prima cinta muraria supra.
61 60

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Figg. 34-35 Olevano sul Tusciano, castello. Terza cinta muraria, torre B: 34. Fronte SW; 35. Fronte SE (in grigio: frammenti di laterizi).

cm di altezza), la cui faccia superiore, ottenuta regolarizzando e assecondando mediante lutilizzo di pietrisco, ciottoli e laterizi, funge da piano di posa per lo strato superiore. La malta, di color bianco-grigiastro, di buona qualit, affiora abbondante sulla superficie del paramento murario esclusivamente nei piani di posa tra uno strato e laltro, inglobando e coprendo piccole pietre, ciottoli e laterizi, usati come zeppe. Sulla superficie del paramento murario sono frequenti dei vuoti negli interstizi tra i blocchi, di profondit che varia tra 2 e i 5 cm, che si alternano irregolarmente a letti di malta visibili dallo spessore variabile tra i 1,5 e i 3 cm. Le tre torri della cinta, frutto di un intervento coevo allelevazione del muro, come si evince dallosservazione della tessitura muraria, nella quale non si notano sostanziali soluzioni di continuit, poste lungo la linea di cortina NW-SE, sono diverse per dimensioni e posizione. Le torri furono costruite con lutilizzo dei medesimi materiali del muro della cortina. La tecnica costruttiva utilizzata per lerezione delle tre torri la medesima: pietrame di calcare locale disposto a giornate, con cantone a pilastro di blocchi di calcare appena sbozzati. Allinterno di cantoni impilati agli angoli del manufatto, costituiti da blocchi di forma quadrangolare di altezza variabile tra i 14 e i 17 cm, disposto un insieme costituito da strati o giornate di blocchi di calcare di forma irregolare, sassi e ciottoli di dimensione medio-piccola, frammenti di laterizi. Gli stra266

ti orizzontali individuabili hanno una potenza variabile tra i 35 e i 60 cm. Alla base della torri sono stati utilizzati blocchi di dimensioni maggiori in altezza e larghezza apparentemente disposti ad incastro senza rispettare alcun andamento regolare. possibile notare la presenza di fori di travicello di forma quadrangolare di dimensioni variabili tra i 15x15 cm fino ai 25 cm in altezza o in larghezza. La torre A, la pi settentrionale, oggi in gran parte diruta, fu costruita con gli stessi materiali descritti per le mura e con la medesima tecnica delle altre torri presenti lungo il tratto NW-SE della cortina. La torre, a base quadrangolare (4 m x 3.54 m nella porzione ancora visibile), si presenta esterna rispetto al muro della cortina e non presenta alcuna scarpa. I blocchi sono legati da malta con frammenti di pietrisco e laterizi dello stesso tipo gi descritto per la cortina. Sulla parte frontale della torre le dimensioni dei blocchi di calcare risultano pi irregolari. A causa delle condizioni di degrado, dellinaccessibilit del costone su cui ha le sue fondazioni e della presenza di una folta e intricata vegetazione lungo le pendici del costone, non stata possibile alcuna ulteriore osservazione. La torre B (Figg. 34-35), quella mediana, delle tre torri della terza cinta muraria la meglio conservata, a pianta quadrangolare (3,45 m x 3.98 m) a filo con la cortina e non presenta alcuna scarpa. Presenta su entrambe le pareti laterali unapertura rettangolare strombata (h 30-35 cm, l ca. 10-15 cm), interpretabile come una saettiera, caratterizzata dalla

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Fig. 36 Olevano sul Tusciano, castello. Seconda cinta muraria: campionatura di tipologie costruttive: A. Porzione N del settore NW; B. Porzione S del settore NW; C. Porzione N del settore W; D. Porzione S del settore W; E. Settore S; f. Settore SE.

presenza di tegole fittili disposte sulle facce interne. Lapertura stata ottenuta risparmiando lo spazio destinato alla stessa durante lelevazione della parete su cui si apre e successivamente rifinita con ladattamento degli elementi fittili. Sulla parete laterale esposta a settentrione si apre una porta di cui si possono ancora osservare il sistema di battenti laterale e lo spazio riservato alla trave (ora deperita) che fungeva da stipite. Nel muro tegole in laterizio fungevano da dormienti della trave, in modo da garantire una agevole sostituzione o lordinaria manutenzione dellelemento ligneo. La torre C chiudeva la terza cinta muraria del castello a meridione. In nulla dissimile per materiali e tecnica costruttiva dalle precedenti torri esaminate, presenta una base quadrangolare irregolare (3.15x2.62x3.35x3,11 m). residua la parete sud-occidentale con lo spigolo meridionale con un resto della parete sud-orientale. 267

Interpretazione Da quanto osservato si pu rilevare come la terza cinta muraria costituisca il prodotto di un solo intervento collocabile in et normanno-sveva (XII-XIII). A questo periodo rimandano la tipologia costruttiva delle torri62 e la logica difensiva: torri di avvistamento per il settore sud-occidentale, angolo cieco per il castello posto tra le due cime del monte bicipite, utilizzabili esclusivamente per la difesa radente del borgo e della sua cinta e per la difesa piombante, in caso di conquista di questultimo.
F.L.M.

62 Cfr. i coevi esempi di torri a pianta quadrata inserite in cortine murarie di et normanno-sveva nel Salernitano e nel Picentino: p. e. Terravecchia in Giffoni Vallepiana, Montoro Inferiore, Mercato S.Severino (PEDUTO 2003) per citarne alcuni. Per la descrizio-

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3. ALCUNE CONSIDERAZIONI ALLA LUCE DELLE PRIME INDAGINI Dalla campagna di scavo del 2002 scaturiscono alcune considerazioni, anche in ordine alla vita economica e sociale degli abitanti del castrum. Di particolare interesse appare lindividuazione di elementi pertinenti, ad un frantoio nelledifico casa 1. La vasca fu, come si detto, demolita intenzionalmente intorno al XII secolo. Lo smantellamento della vasca potrebbe essere legato alla particolare condizione giuridica degli olevanesi, soggetti, come gi ricordato, dallinizio dellXI secolo alla giurisdizione signorile dellarcivescovo di Salerno: tale condizione non consentiva loro, tra le altre cose, di molire altrove le olive se non presso il frantoio del signore. Nonostante questo divieto gli olevanesi ben presto fecero valere i loro antichi diritti, alcuni precedenti listituzione della signoria dellarcivescovo salernitano, come attesta la carta del 1057 emanato da Gisulfo II, nella quale si conferma agli olevanesi la facolt, tra le altre cose, di costruire opifici diversi da quello signorile63. Ma la questione non fu risolta una volta per tutte e negli anni successivi, soprattutto dopo la caduta del Principato longobardo di Salerno (1076), i signori di Olevano tesero a imporre costantemente il divieto di costruire mulini e frantoi, divieto al quale gli olevanesi si opposero edificando trappeti illegali64. A tali azioni gli arcivescovi risposero con contromisure dissuasive concretizzate talora con la soppressione materiale dei trappeti domestici. Cos avvenne nel 1240 quando il presule salernitano Cesario dAlagno ordin di distruggere i trappeti abusivamente costruiti dagli Olevanesi65. La vasca individuata costituisce forse la testimonianza materiale di come tali controversie gi un secolo prima fossero sfociate in risposte decise da parte del dominus olevanese. Due frammenti di macine in pietra vulcanica (diametro ca 50 e 40 cm), relativi a due distinti manufatti, rinvenuti nello strato di abbandono dellambiente, cui vanno aggiunti altri cinque frammenti rinvenuti durante ricognizioni nellarea del borgo, testimoniano della circolazione di tali prodotti nel castrum Olibani. I frammenti presentano un colore grigio scuro. Di grande interesse sarebbe lindividuazione della provenienza di tali manufatti: in attesa di unanalisi litologica, da un primo esame autoptico la pietra sembrerebbe analoga a quella del Vulture. Il rinvenimento di altri due frammenti di macine analoghi nellabitato medievale abbandonato di Caprarizzo nelle campagne di Olevano66, lascia intravedere una certa diffusione di questi manufatti nella valle del Tusciano67.
ne e lanalisi di alcune di queste strutture castrensi vedi SANTORO 1992; CORDELLA 1998 pp. 22-26 (Montoro); pp. 84-92 (Mercato). 63 Vedi supra, ADS, I, 15. Il documento trascritto in un registro del XVIII secolo, Registro, I, pp. 744, ss. Dal docmento si evince in particolare che la produzione dellolio fosse autonoma e che ogni olevanese fosse obbligato a versare ogni anno 4 fialas di olio al signore, evidente segno ricognitivo ma per certi aspetti di significato economicamente non irrilevante. 64 Sulla natura delle controversie che contrapposero sovente la comunit olevanese allArcivescovo di Salerno tra il secolo XII e gli inizi del XIX sec. si rimanda a CARUCCI 1937 in part. pp. 17-30. 65 CDS I, p. 202. 66 DI MURO 2004a. 67 Per le problematiche e i centri di produzione delle macine in pietra lavica in Italia meridionale cfr. ARTHUR 2001.

Al di sopra dellabitato sorge la chiesa di S. Maria de castello. Lindagine stratigrafica, la posizione e le dimensioni della chiesa documentano una funzione delledificio legata, probabilmente sin dalla fondazione, alla cura spirituale di una piccola comunit insediata sul versante meridionale del Monte castello. Il primo interrogativo che le prossime indagini dovranno risolvere se la chiesa e, dunque, il primo nucleo del villaggio siano stati inglobati in un secondo tempo nella struttura fortificata ancora oggi visibile o se fin dalle origini si pens ad un borgo murato eventualmente in connessione allelevazione di un fortilizio sulla sommit. Nel complesso larchitettura della chiesa e gli elementi sintattici che la compongono rivelano sin dalla prima fase una certa ricercatezza, come si pu cogliere dai lacerti della decorazione pavimentale, con elementi a losanghe e trapezoidali. Il motivo sembra riecheggiare decorazioni che trovano un celebre confronto con una parte della pavimentazione della cappella palatina di Arechi II a Salerno68. Nonostante la differenza dei materiali usati nella composizione, il richiamo al litostroto salernitano costituisce una significativa testimonianza di adesione ad un modello aulico. possibile pensare che la scelta in terre allora di pertinenza del principe longobardo di Salerno, non fosse casuale. La gran quantit di affreschi rinvenuti, al momento in fase di studio ma che appaiono gi caratterizzarsi per una esecuzione raffinata, e la buona fattura della pavimentazione e delliconostasi mostrano una particolare accuratezza negli interventi che si succedettero durante la vita delledificio. In generale dai dati provenienti dalla prima campagna di scavo finora disponibili, si pu affermare con prudenza che il villaggio del castrum Olibani restituisca riflessi materiali di una certa prosperit. Alcuni elementi quali la presenza di una vasca di decantazione in muratura realizzata con accuratezza, la testimonianza di attivit figulina, il rinvenimento di un anello dargento, la circolazione di manufatti provenienti da aree lontane quali le macine in pietra vulcanica, una chiesa che evidenzia caratteri di un certo decoro, sembrano testimoniare in tal senso, sebbene questa constatazione non implichi necessariamente un benessere individuale diffuso tra la popolazione. Anche dal rilievo topografico dellarea e dalle osservazioni effettuate durante le ricognizioni individuabile una distribuzione urbanistica delle case del borgo di tipo abbastanza razionale con la presenza di un reticolo viario lungo il quale si affastellarono in maniera abbastanza fitta gli edifici in pietra, tracce di unorganizzazione che appare frutto forse di unavveduta pianificazione insediativa gerarchicamente definita. Rimane da verificare se tale pianificazione fosse stata stabilita sin dalle origini e se prevedesse aree funzionali differenziate allinterno della cinta muraria. La prossima campagna di scavo dovr fornire risposte anche in questo senso Allo stato attuale della ricerca non possibile definire ancora una dinamica insediativa precisa che port allassetto dellorganismo castrense oggi osservabile. Alcuni elementi tuttavia consentono di tracciare le prime linee dello sviluppo del sito: detto che la prima cinta pi esterna inglob il pianoro allinterno del complesso castrense in et angioina (fine XIII sec.), lo scavo
68 Per la decorazione pavimentale della cappella palatina di Arechi II DI MURO 1996.

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della chiesa lascia trasparire la formazione di un primo nucleo del borgo intorno al IX secolo. Si tratta di unacquisizione di estremo interesse in quanto permette di situare la costituzione del nucleo accentrato almeno un secolo prima dellistituzione del dominatus loci. Pi difficile datare ledificazione di casa 1. Lunica indicazione cronologica proviene dalla sequenza stratigrafica e dai frammenti di ceramica a bande rosse del tipo broad line che rimandano, come si detto, ad un ambito cronologico che non supera lXI secolo. In ogni caso le indicazioni cronologiche che si possono desumere dalle stratigrafie, sembrano attestare lorigine delledificio grossomodo al tempo della costituzione della signoria di banno arcivescovile. Da quanto emerso dalla prima campagna di scavi sul castrum Olibani possibile, pi in generale, indicare, per le fasi pi antiche, una prima serie di acquisizioni che iniziano a fornire risposte alle problematiche tratteggiate in apertura di questo articolo. 1) La rioccupazione del Monte Castello avvenne quando il territorio apparteneva ancora al principe di Salerno (IX secolo) 2) La rioccupazione del monte (IX secolo) non signific la scomparsa degli insediamenti sparsi nel territorio 3) La successiva istituzione della signoria di banno (XI sec.) non comport la modificazione degli assetti insediativi preesistenti nel territorio69 Queste affermazioni aprono il campo ad una lunga serie di interrogativi sulle cause che determinarono tali situazioni. Si tratta di questioni che possono essere affrontate solo alla luce di nuove indagini sul sito e di una pi ampia analisi sul territorio e sulle sue strutture politiche, economiche e sociali, tema che ci porterebbe lontano dallintento di questo articolo. In Villa to Village Riccardo Francovich e Richard Hodges hanno focalizzato tra VIII e IX secolo uno stadio di evoluzione decisivo per i tipi di insediamento accentrato, ricollegandolo allemergere della curtis e allaffermazione delle aristocrazie locali. Lerosione progressiva delle prerogative pubbliche del potere centrale da parte di queste ultime ebbe, tra laltro, come esito lincastellamento del X secolo, materialmente riconoscibile nella formazione dei borghi incastellati di pietra, spesso sovrapposti ai villaggi curtensi di legno di sommit70. Una dinamica insediativa analoga potrebbe essere stata alla radice dellincastellamento olevanese, anche se in questo caso il primo nucleo del IX secolo non sembra collegato allemergere di poteri in qualche modo concorrenti rispetto al sovrano longobardo, padrone in quegli anni di queste terre. Ovviamente i dati relativi al castrum Olibani sono al momento troppo limitati per verificare questo modello di sviluppo. Pi in generale le indagini sui siti
69 Lesistenza del villaggio sparso di Licinianum, ricordato dalle fonti scritte a partire dal 958 (carta edita in PENNACCHINI 1941, p. 111) e fino al XVI secolo (chiese e abitanti di Licinianum nel XVI sec. IANNONE 1988 pp. 223-225), le cui strutture materiali (in particolare due chiese e almeno una decina di case in muratura) sono ancora visibili in localit Li Cignali tra le colline a est del Tusciano nella frazione Ariano di Olevano, insieme alla sopravvivenza lungo tutto il Medioevo della curtis di Santa Maria e al villaggio sorto intorno alla chiesa di S. Eusterio a Salitto testimoniano in tal senso, cfr. DI MURO 1993 passim. Lo stesso arcivescovo di Salerno, infine, sin dal XII secolo risulta spesso risiedere nel palazzo fatto costruire allinterno della curtis di S. Maria (CARUCCI 1937, pp. 51-52). 70 FRANCOVICH-HODGES 2003, p. 111 e ss.

olevanesi hanno finora evidenziato tra VIII e IX secolo i segni di una forte crescita, senza confronti nei secoli precedenti, e la definizione dei tipi insediativi che hanno caratterizzato tutto il Medioevo olevanese (insediamento daltura, centro dominicale, santuario)71. Dai dati di scavo al momento disponibili sembra che labbandono del borgo si possa collocare intorno alla met del XIII secolo72, prima dunque della costruzione della cinta muraria esterna, circostanza che, se confermata dalle prossime indagini, starebbe ad indicare una funzione meramente militare-amministrativa del castello di Olevano dopo questa data. Una spiegazione a questa situazione si pu ricavare, in parte, dalla consultazione delle carte darchivio e dallesame di alcune realt insediative medievali individuate nel territorio di Olevano. Le fonti scritte attestano, come si accennato, a partire dallXI secolo frequenti contrasti tra la Chiesa salernitana e gli abitanti di Olevano. Le controversie riguardavano questioni legate allesercizio di alcuni poteri di banno, in particolare la proibizione per gli olevanesi di costruire mulini e trappeti, potenti simboli delle prerogative signorili arcivescovili ad Olevano e strumenti di controllo della produzione. La concentrazione di una parte della popolazione allinterno del castello indubbiamente consentiva al dominus, tra le altre cose, un controllo efficace sulla crescita e un pi comodo esercizio delle prerogative signorili. Intorno alla met del XIII secolo lantica signoria della Chiesa salernitana su Olevano scossa dallintromissione di un inatteso potere divenuto concorrente. Negli anni trenta del XIII Federico II confisca il castrum Olibani alla Chiesa salernitana, ne fa un castrum exemptum e lo concede in custodia al suo consigliere pi ascoltato, Ermanno di Salza73. La morte a Salerno nel 1239 del Maestro di Santa Maria dei Teutonici in Gerusalemme costringer limperatore svevo ad affidare il castrum Olibani a Roderio de Rotunda74. Solo nel 1255 il castrum Olibani verr restituito allarcivescovo di Salerno75. possibile che lassenza dellantico signore abbia offerto alla popolazione stanziata allinterno delle mura la possibilit di trasferirsi nei casali sottostanti il castello o forse fu proprio il nuovo signore di Olevano a favorire il trasferimento degli abitanti tra le colline: il villaggio abbandonato di Caprarizzo non lontano dal fiume Tusciano, le cui strutture in elevato ancora analizzabili sono assegnabili ad et sveva, potrebbe essere stato un prodotto di tale contingenza76.

71 Per un primo quadro della dinamica insediativi complessiva nel territorio olevanese tra tarda antichit e alto medioevo alla luce dellarcheologia DI MURO 2004b. 72 In particolare labbandono della chiesa a questepoca desumibile dai dati di scavo, sembra indicare un allontanamento generalizzato da parte degli abitanti dal borgo: non si spiegherebbe altrimenti la rovina dellunico polo spirituale del villaggio. Il silenzio sulla chiesa di Santa Maria nelle Rationes Decimarum del XIV secolo ne conferma lavvenuto abbandono a quellepoca e concorda con i dati provenienti dallindagine stratigrafica. 73 CDS I p. 242. 74 CDS, I, p. 172. La morte di Ermanno di Salza avvenne il 18 marzo 1239, domenica di Pasqua. Il castello sembra rimanere in custodia ai cavalieri teutonici fino al 1255. Teutonicus infatti anche lultimo custos del castello, Manegoldo, CDS I p. 242. 75 CDS I p. 242. 76 Per Caprarizzo si veda DI MURO 2004a.

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Al momento della riappropriazione del castrum Olibani da parte della Chiesa salernitana sarebbe risultato estremamente difficile far ritornare i profughi nelle vecchie sedi castrensi. La lunga vacanza della sede arcivescovile di Salerno (1274-1286) dovette rendere ancora pi complicata questa operazione. Sta di fatto che la documentazione scritta a partire dal 1289 testimonia una forte resistenza degli olevanesi a trasferirsi allinterno del castello nonostante i pericoli concreti dellavanzante esercito siculo-aragonese e le imposizioni del re e dellarcivescovo77. In et sveva, come si evince dallanalisi della terza cinta muraria, si provvide a costruire ex novo le fortificazioni a controllo del nucleo signorile del castrum. Le ricognizioni effettuate nellarea del borgo e il rilievo topografico hanno evidenziato lesistenza di ambienti rasati fin quasi alle fondazioni nella zona sottostante la terza cinta muraria, a differenza degli edifici della parte occidentale del borgo conservati in alzato anche fino al secondo livello. Si pu ipotizzare una demolizione radicale degli edifici e la conseguente creazione di uno spazio libero da strutture murarie, avvenuta proprio in concomitanza con lelevazione della cinta muraria di et sveva per motivi strategici: leventuale difesa della sommit del castello sarebbe stata indubbiamente pi efficace. Venuta meno lesigenza propriamente signorile di controllare parte della popolazione tra le mura del castrum si individu probabilmente una funzione esclusivamente amministrativomilitare del castello di Olevano. In questo modo Federico II ottenne probabilmente il duplice obbiettivo di limitare la potenza fondiario-territoriale dellarcivescovo salernitano, privandolo del suo dominio pi antico e importante, e di assicurarsi il favore della popolazione locale, ponendosi cos nella tradizione della politica dei suoi predecessori normanni nei confronti delle grandi signorie ecclesiastiche78. Quanto detto costituisce ovviamente poco pi che unipotesi di lavoro che andr verificata alla luce delle prossime indagini archeologiche. Nondimeno da quanto osservato emerge una dinamica insediativa interna al sito pi chiara, che individua, nelle fasi di attivit finora documentate archeologicamente del castello, un momento in cui si assiste ad una evidente modificazione della struttura funzionale del castrum, ovvero il passaggio alla met del XIII secolo da una tipologia definibile di castello-luogo di accentramento ad unaltra in cui il castello assume le caratteristiche di un ricetto, una struttura che occasionalmente acquisisce funzioni di difesa per la popolazione pur permanendo il centro signorile sulla rocca. Lindividuazione di questo modello evolutivo nelle vicende del castello di Olevano consente ancora una volta di riconsiderare le tipologie castrensi probabilmente troppo rigidamente tracciate dal Toubert il quale faceva derivare la netta distinzione tra castrum di popolamento e ricetto dal tipo di habitat caratterizzante il territorium castri, tanto da portare lo studioso a concludere: Avevamo osservato che la predominanza del castrum di popolamento aveva come corrolario la scom-

parsa, per lungo tempo, di un habitat rurale disperso intercalare. Inversamente, lesistenza di un habitat rurale disperso spiega la genesi di strutture fortificate del tipo del ricetto piemontese79, punto di vista sostanzialmente ribadito per la Campania settentrionale80. La persistenza di un habitat di tipo disperso nel territorio di Olevano per tutto il Medioevo sta a indicare, almeno in questo caso, lindipendenza del tipo di castello dallassetto insediativo del territorio circostante. Si pu asserire che ad Olevano levoluzione dellincastellamento sia stato condizionato da fattori prevalentemente politici, senza tuttavia dimenticare il complesso groviglio di motivazioni politiche ed economiche particolari che concorrono a determinare il contesto dellincastellamento 81. In questa prospettiva, allargando per un attimo lorizzonte territoriale di questo articolo, appare utile considerare brevemente, insieme ad Olevano, gli altri due episodi di incastellamento-accentramento apparentemente legati allistituzione di una signoria territoriale che ci offre la documentazione scritta per le terre ad est di Salerno, in finibus salernitanis, un territorio politicamente omogeneo gi ricadente nel distretto amministrativo della citt tirrenica. Si tratta dei castelli di Giffoni e di Eboli. Come visto per Olevano, anche a Giffoni e ad Eboli tra la seconda met del X secolo e gli inizi dellXI si assiste alla creazione di centri giurisdizionali bannali (in questi casi signorie laiche, comitati) attraverso modalit analoghe di trasmissione di prerogative pubbliche da parte del sovrano. Mentre a Giffoni, come ad Olevano, la presenza della residenza signorile e di un villaggio murato sul monte Terravecchia non signific affatto la scomparsa dellhabitat disperso, che anzi continu a prosperare, a Eboli nei decenni successivi allistituzione del comitato si assiste al rapido abbandono del diffuso insediamento sparso che caratterizzava in precedenza il paesaggio tra la pianura del Sele e i monti retrostanti, con un forte accentramento allinterno della cerchia delle mura castrensi. Se Eboli e Giffoni paiono prodotti di affini costruzioni funzionali ad un certo tipo di politica di controllo, tra laltro con analoghi meccanismi di successione al comitato82, i loro territori presentano conformazioni insediative opposte. Si potrebbe spiegare questa diversit considerando il differente assetto del possesso fondiario che caratterizza i due territori: se infatti a Giffoni la documentazione scritta evidenzia la persistenza di una classe numericamente consistente di piccoli e medi possessores, a Eboli le terre appartengono quasi del tutto al comes. Tuttavia neppure la situazione patrimoniale fondiaria pu essere assunta come elemento sufficiente da solo a spiegare le diverse conseguenze dell incastellamento nelle terre esaminate; lo dimostra, ancora una volta, il caso di Olevano dove, nonostante il territorio appartenga quasi del tutto al dominus, quindi in una situazione patrimoniale fonTOUBERT 1995, pp. 35-36. TOUBERT 1979 p. 57, ora in ID. 1995 p. 303. 81 Si veda ad es. WICKHAM 1985. Molti elementi di novit in questo senso provengono dal progetto di studio sistematico sui castelli della Toscana condotto dalla cattedra di Archeologia medievale dellUniversit di Siena, si veda ad es. FRANCOVICH-GINATEMPO 2000 e i numerosi saggi pubblicati sui numeri della rivista Archeologia Medievale. 82 Sia ad Eboli che a Giffoni infatti, una volta insediato il comes, titolo e giurisdizione territoriale passano agli eredi diretti.
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CDS II, p. 210; CARUCCI 1937, p. 37. Per questo argomento si veda ad es. TOUBERT 1979, pp. 7071. Per la politica di Federico II tendente a limitare la potenza dei baroni del Regnum cfr. ad. es. TRAMONTANA 1983, pp. 665-667; SANTORO 1992 pp. 115-117.
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diaria simile ad Eboli, labitato sparso continua a prosperare, almeno ai livelli di Giffoni83. Non ci sono motivazioni semplici che possano dare una spiegazione alle dinamiche insediative legate allincastellamento; queste infatti non possono essere riconducibili solo a circostanze legate alleconomia o alla situazione politica contingente, piuttosto necessario indicare di volta in volta ordini di motivi complessi e differenti che portano alla formazione dei castelli, individuabili solo alla luce di analisi complessive dei territori. Tra i tanti problemi che questa prima campagna di scavi lascia aperti vi lindividuazione della fonte o delle fonti della relativa opulenza del castrum Olibani. Indubbiamente il territorio del Tusciano doveva essere uno tra i pi prosperi del Principato salernitano dal punto di vista delleconomia agraria e silvo-pastorale; la presenza a pochi metri in linea daria sullaltra sponda del fiume Tusciano del celebre santuario micaelico del mons aureus doveva procurare non pochi benefici alla condizione degli abitanti del castrum84, cos come la posizione strategica a controllo delle strade che conducevano allAppennino e fino in Puglia85, ma forse qualche altra risorsa doveva contribuire a fare del territorio olevanese uno dei pi singolari della Langobardia minor.
A.D.M.

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