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Alessandro Di Muro
Prefazione di
Pietro Dalena
ISBN 88-8082-622-0
© Copyright 2005
Mario Adda Editore - via Tanzi, 59 - Bari
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Presentazione
SILVIO PETRONE
Presidente della Banca di Credito Cooperativo di Battipaglia
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Prefazione
tura materiale della piana del Sele, focalizzando la sua indagine sull’età
normanno-sveva. Particolare attenzione dedica al territorio, indagato sotto
l’aspetto topografico e con i metodi dell’archeologo; del resto egli pos-
siede una accentuata propensione per la ricerca archeologica sostenuta
da una buona conoscenza della storiografia longobarda e normanna e
delle fonti documentarie. Questa sua formazione scientifica gli consente
di ricostruire, in un quadro ricco di informazioni e di problematiche,
l’esercizio dei poteri locali e l’attività della Chiesa particolare, di cui
rileva fratture e continuità, la geografia dei casali e la loro parabola, le
dinamiche insediative, la frequentazione dei santuari, come quelli di San
Vito del Sele e dell’Angelo a Olevano sul Tusciano, il rapporto tra città
e campagna di cui tiene in grande considerazione gli aspetti congiuntu-
rali, come le guerre e le catastrofi naturali, e le strutture economiche di
base, come le strade, i mulini e i corsi d’acqua.
Un lavoro, dunque, quello di Alessandro Di Muro, esemplare per me-
todo e fecondo di risultati, che costituisce il frutto maturo di un lungo e
diligente impegno scientifico.
PIETRO DALENA
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Premessa
Alla metà del XII secolo, nel momento forse di massimo splendore della
vicenda normanna in Italia meridionale, il geografo arabo Idrisi, giunto nel-
la sua opera dedicata al re Ruggero a tratteggiare l’arco di costa che si esten-
de tra Salerno e Policastro, così descrive il Sele e le terre che lo lambiscono.
Si tratta di un’immagine emblematica di ciò che comunemente si ritiene
essere stata la pianura del Sele nel Medioevo, immaginata e descritta come
malsana e desolata, inaccessibile, dominata da una natura aggressiva che ne
teneva lontani gli uomini1 .
Si tratta, come si avrà modo di vedere, di un’immagine in gran parte
distorta, frutto di un errore di prospettiva storiografica, non corrispondente
alla realtà di un territorio medievale all’interno del quale si sviluppano dina-
miche economiche, di popolamento, di potere intricate e complesse.
CAPITOLO I
Il territorio
a) Territorio e viabilità
bilmente praticabile lungo tutta la costa a causa della presenza dei tre grandi
laghi palustri Piczolu, Maiore e Paulino; forse in corrispondenza delle zone
impraticabili, quando possibile, l’attraversamento delle paludi avveniva tra-
mite chiatte o piccole imbarcazioni9 oppure si sceglievano itinerari alterna-
tivi come la via antiqua del Laneo10 , che, attraversata la tenuta di Campo-
longo, giungeva fino al Sele nei pressi della chiesa di Santa Cecilia11 . Altra
direttrice che attraversava orizzontalmente il territorio (o parte di esso) era
quella via cha dal guado di San Vito lungo il Tusciano si inoltrava nella
piana, non lontano dalla chiesa di San Mattia12 , nella località Fasanara13 .
Nei pressi della foce del Tusciano la via litoranea si incrociava con una
via publica che risaliva il fiume e si dirigeva verso le terre settentrionali del
locus14 . Circa due chilometri più a nord della via litoranea si svolgeva paral-
lela ad essa un’altra strada che proveniva da un ponte sul Tusciano (bia que
benit a ponte predicti fluminis)15 . Questa strada, il cui percorso è ancora
oggi rintracciabile, insieme alle vie menzionate sopra, nella località Fasana-
ra di Battipaglia, si inoltrava verso oriente allacciandosi all’altezza del lago
Maggiore alla via antiqua del Laneo, ricordata quest’ultima nel IX secolo
semplicemente come via publica16 . La strada che attraversava il Laneo pro-
veniva dalle terre al di là del Sele e continuava, oltrepassato il ponte sul
Tusciano, in direzione del Picentino e di Salerno; si tratta probabilmente del
percorso seguito dalla ambasceria bizantina che, venuta a Salerno per accor-
darsi con Arechi II, era sbarcata ad Agropoli nel 787 da dove via terra rag-
giunse nel gennaio del 788 la città tirrenica17 . Sulla riva destra del Tusciano
è testimoniata un’altra via publica che segue il fiume tra questo e il Lama18 .
Risalendo lungo il fiume, sulla sponda sinistra si rinviene in un documento
del 1035 una via publica maior: la strada si trova ad est della terra all’inter-
no della quale si eleva la chiesa di Sant’Arcangelo, nella contrada detta Star-
za nella documentazione del XVIII secolo19 , terra che ha come limite occi-
dentale le acque del Tusciano20 . La via risaliva dunque la valle e si dirigeva
verosimilmente verso il castrum Olibani, secondo il tracciato seguito anco-
ra oggi dalla strada che collega Battipaglia ad Olevano. Oltre alla via publi-
ca maior altri percorsi transitavano per il castrum Olibani, come quella via
antica che è ricordata in un documento del 1049 a Nord del vallone Valle-
monio21 ; la strada si svolge in direzione W-E verso il Tusciano e il castrum
Olibani da un lato e verso San Vito e Faiano nel senso opposto22 , seguendo
un tracciato ancora oggi percorribile. Probabilmente all’altezza di Vallemo-
nio si innesta sul tronco di questa strada un’altra via, detta ancora oggi ‘an-
18 La Piana del Sele in età normanno-sveva
poi, a partire dagli inizi dell’XI secolo, sfociò nelle forme della signoria
territoriale, con poteri giurisdizionali su tutti gli abitanti del territorio ca-
strense60 . Tale situazione rimase inalterata fino agli anni’30 del XIII secolo
quando i sopravvenuti contrasti tra Federico II e la Chiesa portarono all’ina-
sprimento dei rapporti tra l’imperatore e l’ordinario diocesano salernitano,
sfociati nella requisizione del castrum Olibani61 .
tori di beni fondiari tra il Tusciano e il Sele. Nel 1082 la contessa Emma de
Ala dona al monastero cavense la metà della chiesa di San Michele presso il
Tusciano e quattro mulini94 . Il duca Ruggero Borsa, figlio di Roberto il
Guiscardo, nel 1089 offre al cenobio l’importante chiesa di San Mattia de
Tusciano, per secoli il centro del dominio fondiario cavense in queste ter-
re95 , con le sue ricche pertinenze terriere e i suoi mulini lungo il fiume96 .
Nello stesso anno il duca provvede ad altre due donazioni; con la prima
concede tre terre nelle vicinanze della chiesa di Sant’Arcangelo97 con la
seconda dona il mulino pubblico con le sue pertinenze edificato lungo il
Tusciano, poco sopra la chiesa di San Mattia, con la facoltà di costruire altri
mulini98 . Ancora nel 1089 Emma fa dono alla Santissima Trinità di Cava
delle terre nelle quali è costruita la chiesa di Santo Stefano de Tusciano, ad
est del fiume99 . Nel 1105 Roberto signore di Eboli concede alla Badia di
Cava quattro appezzamenti di terreno nel locus Laneo, nei pressi di Campo-
longo100 , mentre nel 1109 Adelelmus normanno dona una terra nei pressi del
Laneo101 . Le donazioni pro anima continuano e nel 1109 Aloara moglie del
conte Landolfo dona una vasta proprietà in loco Tusciano ubi alle salelle
dicitur, dunque in una zona in cui insisteva un insediamenti102 .Ma gli stessi
abati cavensi sono intenti ad acquisire terre nella piana per accrescere e com-
pattare il loro dominio, in una politica fondiaria, talora assai dispendiosa,
tesa alla razionalizzazione del controllo delle fertili terre tra Tusciano e Sele:
già nel 1090 il cenobio cavense acquisisce da San Pietro di Eboli una terra
coltivata in loco Tusciano ubi Cabavari dicitur, terra confinante con altre
terre appartenenti già alla santissima Trinità103 . Nel 1095 l’abate di Cava
acquisisce per la cifra di 100 solidi aurei un cospicuo podere che in località
Capilluti104 e nel 1105 per 90 solidi un’altra ubi dicitur Ceppitu sulla spon-
da sinistra del Tusciano105 . Di un certo interesse risulta un documento del
1165 che attesta l’avvenuto acquisto della metà di una estesa tenuta in loca-
lità Calcarola, sulle colline tra Battipaglia e Eboli, di proprietà di Matteo
Guarna, fratello del celebre arcivescovo salernitano Romualdo II con terre
laboratorie, selve e grotte, per ben 170 once d’oro di tarì siciliani106 . Qual-
che anno più tardi Luca Guarna giustiziere del Regno, fratello di Matteo e di
Romualdo, cederà all’abate cavense l’altra metà della tenuta per la medesi-
ma somma107 . Le stesse dipendenze cavensi gestiscono per conto dell’abate
possedimenti complementari ai domini dell’abbazia: oltre San Mattia, an-
che la chiesa salernitana di San Nicola de Palma, ad esempio, possiede terre
nei pressi del Tusciano vicino alla chiesa di San Pietro, circondata da poderi
28 La Piana del Sele in età normanno-sveva
cavensi108 e qualche anno più tardi ne acquisisce altre nei pressi della chiesa
di S. Maria que dicitur Zita109 . Altri incameramenti di terre avvengono fino
a tutti gli anni ’80 del XII secolo, quando l’impressionante processo di ac-
quisizione fondiaria sembra ormai stabilizzato110 . I possedimenti sono ge-
stiti dal priorato di San Mattia mentre i casali di San Mattia, di Sant’Arcan-
gelo e di Tusciano costituiscono i nuclei di popolamento della piana soggetti
alla signoria immunitaria abbaziale111 . Di grande importanza nelle strategie
della gestione del patrimonio fondiario e dei prodotti da esso derivanti do-
vette essere l’acquisizione dei porti del Sele: il portus fluminis Siler e il
portus maris nel 1128 vengono donati all’abbazia della Trinità da Gugliel-
mo di Principato112 . Nel 1137 l’abbazia cavense compra la sesta parte del
porto del fiume Sele nella località Cerzagallara vicino al Mercatello, con le
terre circostanti per 150 tarì d’oro113 . Negli stessi giorni l’abbazia acquista
un’altra parte (1/12) del medesimo approdo per 67 tarì d’oro114 .
Nelle carte si ha menzione notizia della permanenza dell’abate cavense
nelle terre della piana. Già nel 1136 in una concessione di terre in località
Curbello di Eboli si specifica che i concessionari debbano costruire una
dimora (domus) nella quale potrà soggiornare l’abate quando lo vorrà115 e
nel gennaio 1175 l’abate Benincasa soggiorna presso il monastero di San
Mattia de Tusciano116 .
CAPITOLO II
Gli insediamenti
a) I casali
Eboli nel 1160 una terra con alberi fruttiferi a Battipaglia174 L’anno succes-
sivo Goffredo abitante nel vicus Tusciano gravemente ammalato, dona per
la sua salvezza una terra laboratoria nella contrada Anania del casale Tu-
sciano175 . Nel 1165 Urso Cacace del vico Tusciano prende in moglie Grusa
e le dona, secondo la consuetudine longobarda, come morgengabe la quarta
parte di tutti i suoi averi mobili e immobili176 . Nel 1172 Martino Galgano
acquista tre terre laboratoriae nei pressi del fiume Tusciano per 188 tarì
salernitani177 . Nel 1173 Maraldo de Beccaro del casale Tusciano vende una
terra nel casale sant’Arcangelo per 120 tarì salernitani178 . Nel 1176 Urso e
Pietro del casale Tusciano vendono una terra laboratoria a Caro del casale
Liciniano per 200 tarì179 . Tre anni più tardi si rinviene una transazione in cui
Giovanni Brusca del casale Tusciano vende al presbitero Bartolomeo due
terre per ben 260 tarì di Salerno180 . Nel 1170 Marino del casale Tusciano
dettando il suo testamento sul letto dove giace ammalato, stabilisce che dei
suoi averi 250 tarì siano distribuiti ai poveri. Per reperire tale ingente som-
ma sarà venduta una sua terra nei pressi del Tusciano. Marino possiede inol-
tre altri terreni nel casale Tusciano e ad Eboli, che insieme ad altri beni
lascia a Maria figlia di Gionata181 . Nel 1175 Palermo del casale Tusciano
nelle sue volontà testamentarie lascia una serie di terre nel casale ai suoi due
figli naturali e altri beni mobili e fondi alla Trinità di Cava insieme a una
casa solarata in muratura che possiede in civitate Eboli182 .
Le numerose attestazioni di allodieri, detentori di terreni anche di un
certo valore e anche al di fuori del casale, come negli ultimi esempi riportati,
provano che nel casale Tusciano abitassero personaggi liberi, benestanti,
che investono anche al di fuori del casale. Non stupisce pertanto trovare nel
casale Tusciano le origini di una delle più importanti famiglie salernitane
dei secoli XIII e XIV i Silvatico o Salvatico. Già nel 1145 Umfredo del
Tusciano, figlio del fu Giovanni Silvatico, vende una terra nel vico Tusciano
alla località Scafassi183 . Altri personaggi della famiglia Silvatico si rinven-
gono nel casale fino al 1190184 . Da questa famiglia proviene Matteo Silvati-
co uno dei maggiori medici d’Europa tra la fine del XIII e gli inizi del XIV,
noto per l’ “Opus Pandectarum Medicinae”, considerato il lavoro più com-
pleto ed erudito del tempo sulle virtù terapeutiche delle erbe. Matteo, tra le
altre cose, creò nei suoi possedimenti salernitani un giardino dei semplici,
riconosciuto come il più antico orto botanico d’Europa, nel quale coltivò
numerose specie di piante tra le quali la Cantalide (Athamanta cretensis),
che si fece inviare direttamente dalla Grecia 185 .
34 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Nel già ricordato documento di Gisulfo II del 1047 compare per la pri-
ma volta il casale Licinianum229 . La località peraltro risulta già nota a partire
dal 958 quando il principe Gisulfo I di Salerno ne fa dono al vescovo saler-
nitano Pietro V230 . L’insediamento è stato individuato ad Olevano sulla col-
lina Li Cignali da Carlo Carucci negli anni ’30 dello scorso secolo231 . Si
tratta di un villaggio costituito da case sparse lungo l’antica strada che da
Ariano conduceva ad Eboli: ancora si scorgono numerosi resti di abitazioni
nella località232 . La strutturazione del casale si declina in una serie di contra-
de, Ali Pandulfi233 , a la Fontana234 , a lu Campu235 , A li Grechi236 , tuttora in
parte rintracciabili nella toponomastica olevanese. Gli abitanti del casale
trovavano un momento di aggregazione attorno alle tre chiese del luogo,
Santa Sofia, San Nicola e Santa Maria237 . Di queste ultime due si possono
ancora osservare i ruderi. La chiesa di San Nicola, che sorge lungo la strada
per Eboli, presenta una pianta a navata unica conclusa da un’abside semicir-
colare. Si tratta di un sacello di minute dimensioni che doveva soddisfare le
esigenze spirituali di una piccola comunità. E’ difficile sulla base dei pochi
elementi superstiti indicare una datazione dell’edificio, anche se la tipologia
planimetrica e l’abside sembrano orientarne una collocazione cronologica
intorno al XII-XIII secolo. Maggiori elementi per una valutazione proven-
gono da Santa Maria di Liciniano. La chiesa si eleva lungo il versante nord-
occidentale del colle, nella località Torre. Si tratta di un edificio a navata
unica concluso da una profonda abside semicircolare, sul fronte del quale
permangono i resti di un campanile addossato in una fase successiva all’edi-
ficazione. L’estradosso absidale conserva sulla sommità una decorazione a
spina di pesce realizzata in laterizi (fig.1). Si tratta di un motivo ornamentale
che conosce una certa fioritura tra XI e XII secolo e che vale ad indicare
l’ambito cronologico dell’elevazione della chiesa di Liciniano. Diverse ri-
38 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Il casale di Monte, ricordato come vico nel 1153248 , costituisce uno degli
esempi meglio documentati dell’organizzazione di un casale medievale tra
Salerno e il Sele. Un prezioso documento di ricognizione di possedimenti
della Chiesa salernitana e del santuario di San Michele di Olevano del 1164249 ,
permette di ricostruire almeno in parte le strutture del casale Montis, un
esteso villaggio tra Olevano ed Eboli, nella località ancora oggi ricordata
come Monte di Eboli. Il documento fu stilato per ordine dell’arcivescovo
salernitano Romualdo II Guarna che intese fare chiarezza sui suoi possedi-
menti tra le alte colline che si estendono tra Olevano e Campagna. A tale
scopo inviò alcuni suoi uomini a percorrere queste lande affinché compilas-
sero un registro. Nel corso della loro ricognizione, gli ufficiali della chiesa
salernitana, percorrendo le vie di Monte, annotarono con precisione i confi-
ni delle pertinenze con le coltivazioni che si attuavano e i punti di riferimen-
to meglio riconoscibili, per lo più chiese. Ne viene fuori un quadro suggesti-
vo di Monte, visto con gli occhi di uomini vissuti 900 anni fa. Il casale è
percorso da un reticolo viario che ne consente l’agevole comunicazione con
le terre di Eboli, Olevano e Campagna250 . Le sue pertinenze territoriali ap-
paiono molto estese: al suo interno si individuano una serie di contrade,
Maljtu, oggi Melito, Ad puntum, Suberitu, Bubiljanu, A la Petrisula, Marilj-
nianum, Buccapizza, Martenese, Ad Castanetum, Ad Guisonem, Ad Sorbel-
lum, A li Cariclj, A li Ferrari . All’interno del casale si elevano numerose
chiese, San Salvatore a Marilininianum251 , Sant’Adiutore nella medesima
località252 , San Donato253 . Centro del casale è un castello, diruto nel 1164,
Gli insediamenti 41
su di un colle al di sopra della chiesa di San Donato, la collina oggi detta del
Carmine, all’interno del quale vi è una chiesa dedicata alla Vergine254 . Talo-
ra i ricognitori fanno riferimento a case che si trovano negli appezzamenti
che rilevano, ma per lo più tali indicazioni avvengono quando le pareti delle
abitazioni fungono da confine dell’appezzamento255 . In ogni caso è verosi-
mile che ogni appezzamento ricordato (se ne contano circa 30256 ) contenes-
se una casa, altrimenti non si comprenderebbe la funzione delle numerose
chiese citate. Testimonianze di abitazioni a Monte, in ogni caso, si rinvengo-
no anche in altri documenti del XII secolo257 . La presenza di numerose sor-
genti permetteva un agevole approvvigionamento idrico258 . Nel casale vi
era almeno un mulino259 . Anche nella produzione Monte si segnala in epoca
normanna per una certa varietà: numerose sono le terre laboratoriae, ossia
coltivate a grano260 , oppure con l’arbusto vitato261 , la vigna262 e il querce-
to263 , orti264 , alberi di castagno265 , saliceti266 , e altri fruttiferi267 , l’ulivo268 ,
né manca la selva insieme al coltivo nel medesimo appezzamento269 . Tal-
volta si fa riferimento a chi abita e coltiva per conto della Chiesa di Salerno
le terre di Monte, Iohannis de Gualdo, Riccardus cum nepotibus suis, Ama-
tus acernensis, Cristoforus, Fornatus de Radi, Iohannes de Radi, Robertus
Pelejari, ma non mancano liberi possessores che detengono appezzamenti
di terra anche lontano dal casale270 . Tracce toponomastiche di attività pro-
duttive (locus ubi a li ferrari) concorrono a fornire ulteriori suggestioni al
quadro organizzativo del casale. La circostanza che alcune chiese, quali San
Barbato siano ormai cadenti e talune abitazioni risultino abbandonate e lo
stesso castello sia dirutum, costituisce la spia di una situazione di degrado in
evoluzione delle strutture del casale271 . La vicenda dell’abbandono di Mon-
te e delle terre circostanti fu molto lenta e in ogni caso non consumata nel
periodo qui considerato: ad esempio ancora nel 1190 Pietro, vestatario del
monastero di Cava, concedeva terre con case orti, ulivi, vigna e querceto a
Pietro Pipero, al fratello Martino e ai loro discendenti a Padule, beni che
erano appartenuti a un tale Pietro Bellazita272 . Si tratta forse di un tentativo
di ripopolamento, ma la presenza in questi stessi anni di personaggi ancora
residenti a Monte273 e l’attestazione documentaria della parrocchia di Santa
Maria nel XIII secolo274 mostra come queste terre fossero ancora abitate.
Alla metà del XIII secolo era inoltre attivo nel casale un frantoio apparte-
nente all’ordine verginiano275 . Altre carte relative a Monte concorrono a
definire la consistenza del casale in età normanno-sveva. In particolare è
possibile farsi un’idea più precisa delle produzioni agricole di Monte anche
42 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Alla luce dei dati finora analizzati è possibile tentare di definire una
tipologia dei casali normanno-svevi nelle terre tra il Tusciano e il Sele: si
tratta di porzioni di territorio definiti i cui centri demici sono villaggi aperti
Gli insediamenti 43
(il casale vero e proprio) formati da un nucleo più o meno compatto, senza
però che si realizzi un accentramento completo, con abitazioni insistenti su
poderi confinanti, almeno in origine, gravitanti intorno a chiese. E’ questo il
tipo di villaggio numericamente predominate in età normanno-sveva nel
territorio analizzato, pressoché l’unico nella Piana, mancando qui del tutto
attestazioni certe di insediamenti murati accentrati, se si esclude un riferi-
mento relativo al muro del castelluccio di Battipaglia289 . La presenza di ca-
sali sia nelle zone medio-alto collinari sia nella pianura fa escludere un’op-
zione tipologica determinata da ragioni collegate alla morfologia del territo-
rio. La struttura organizzativa del casale permette una colonizzazione e un
controllo capillare del territorio, con la possibilità di vigilare aree anche estese,
per cui è pensabile che lo sviluppo di tale tipo insediativo sia legato ad altre
ragioni, fondamentalmente economiche. All’interno dei casali, a differenza
di quanto avviene nei borghi, l’abitazione pare spesso legata alla terra che si
coltiva, talora al bosco che si sfrutta, come a Monte. Elemento necessario
per l’insediamento è naturalmente l’acqua e la documentazione scritta ne fa
spesso riferimento nelle numerose attestazioni di fonti, come ad esempio a
Monte e a Liciniano. Il casale può variare nelle dimensioni e negli elementi
qualificanti la sua strutturazione: si va dai semplici casali quali San Clemen-
te con poche case e una chiesa, al grande e complesso casale Monte che si
sviluppa ai piedi di un castello, con almeno 4 chiese, di cui una ricordata
come parrocchia nel 1201, un nucleo principale compatto costituito da una
trentina di abitazioni insistenti ognuna su un podere, e una serie di contrade
anch’esse abitate o allo stesso casale di Battipaglia, anch’esso organizzato
intorno ad una fortezza, abitato da circa 100 uomini, oppure l’esteso casale
Tusciano, probabilmente il maggiore tra tutti quelli documentati, con alme-
no sette chiese attive nel XII secolo.Bisogna ricordare tuttavia come la defi-
nizione di casale nella documentazione scritta non risulti sempre chiara:
talora il casale nello stesso documento viene presentato anche come locus o
vicus, come nel caso di Monte o di Tusciano. In taluni casi i casali norman-
no-svevi sono villaggi già esistenti in età longobarda, come Monte o Lici-
niano, altre volte sono probabilmente il frutto di una riorganizzazione di
terre spesso colonizzate in epoca longobarda come ad esempio il casale San-
t’Arcangelo o San Clemente. L’antichità dell’insediamento probabilmente
ne determina anche la complessità strutturale. Per quanto riguarda i casali
della pianura di Battipaglia, dall’analisi compiuta sui documenti di archivio
emerge come la loro genesi sia da individuare a partire dagli anni ’20 del XII
44 La Piana del Sele in età normanno-sveva
il villaggio. A questo proposito Nicola mostra una charta con la quale Gisul-
fo II di Salerno aveva concesso alla Chiesa salernitana il casale Cusentino-
rum cum omnibus hominibus et pertinenciis suis... stabilendo che omnes
homines ...essent liberi et immunes ab omni collecta et publicis serviciis,
atto poi confermato nel 1090 da Roberto conte di Principato296 . E’ evidente
come la comunità del casale temesse il passaggio dalla signoria della Chiesa
di Salerno a quella del signore locale, circostanza che avrebbe di certo vani-
ficato illa libertate, qua alii vassali ipsius ecclesie gaudere noscuntur come
si disse negli stessi anni a riguardo del casale di Battipaglia297 . Da questa
circostanza si può dedurre l’origine di tali diritti in età longobarda298 e l’esi-
stenza di un archivio in cui la comunità conservava gelosamente gli stru-
menti che ne garantivano i diritti, pronti ad essere mostrati in caso di neces-
sità299 , ma anche la relativa mitezza del dominio arcivescovile salernitano
rispetto ai regimi signorili laici.
La condizione di relativo benessere di alcuni abitanti dei casali si deduce
da vari indicatori presenti nella documentazione scritta quali il possesso di
terre all’interno dei casali300 . La documentazione mostra la capacità imprendi-
toriale di alcuni abitanti dei casali, che compaiono spesso anche come deten-
tori di terreni fuori dal casale dove risiedono oltre che di opifici: ad esempio si
è visto come a Licinianum alcuni abitanti si consorziassero per l’edificazione
di un frantoio e poi ne cedessero quote-parti, circostanza che fa emergere,
oltre alla dinamicità sociale di alcuni gruppi, anche la relativa libertà evidente
in un’azione quale la costruzione di un frantoio nonostante il più volte procla-
mato diritto esclusivo della Chiesa salernitana in questo settore nel territo-
rio301 . La disponibilità talora rilevante di denaro si evince da alcune compra-
vendite che vedono come attori gli abitanti dei casali: così ad esempio nel
1176 due fratelli del casale Tusciano vendono a Caro del casale Liciniano una
terra per ben 200 tarì d’oro, una cifra davvero notevole302 .
La vicenda di Salitto del casale Tusciano che va ai bagni puteolani per
curare le sue malattie testimonia anche della mobilità orizzontale degli abi-
tanti di queste terre: nei casali esaminati si rinvengono le tracce di sposta-
menti continui di uomini303 .
Anche da un punto di vista giuridico-istituzionale i casali analizzati si
caratterizzano per una molteplicità di situazioni: Licinianum ad esempio
costituisce una signoria territoriale della Chiesa salernitana, mentre nel ter-
ritorio di Tuscianum si rinvengono aree immuni della Badia cavense e, an-
cora, Monte sembra essersi sviluppato come villaggio in qualche modo au-
46 La Piana del Sele in età normanno-sveva
materiale elevato negli anni in cui Federico II privò la chiesa di Salerno del
dominio su Olevano (1240-1255) a due passi dal complesso palaziale di
Santa Maria a Corte, da sempre centro del potere della signoria arcivescovi-
le salernitana su quelle terre,? 319 Per ora possiamo trarre delle indicazioni
dalla strutturazione tipologico-funzionale dell’insediamento: un nucleo abi-
tativo disposto a grappolo lungo la costa meridionale del colle e una serie di
edifici identificabili come depositi, protetto in basso da una torre e, in alto la
residenza ‘signorile’ con il deposito dei prodotti e gli opifici, una struttura-
zione tripartita, in qualche modo ‘classica’, che richiama la strutturazione
degli insediamenti castrensi, con la differenza che qui la residenza palaziale
non si rinviene alla sommità del colle, quest’ultima lasciata apparentemente
del tutto priva di costruzioni320 .
La tipologia sembra ben adattarsi a quanto nelle fonti scritte coeve, si è
visto, si intendesse per casale.
b) I castelli e i borghi
1 - Il castello di Olevano
Fig. 8 - Olevano sul Tusciano, castello, proposta ricostruttiva della terza fase della chiesa
Fig. 9 - Olevano sul Tusciano, castello, chiesa di S. Maria, area del presbiterio
56 La Piana del Sele in età normanno-sveva
2 - Il Castellum Evuli
Di gran lunga più complessa risulta la vicenda del castello di Eboli in età
normanno-sveva.
Il centro castrense di Eboli sorge sul versante meridionale di una bassa
collina (160 mls) a controllo della Piana del Sele. Tra le cause della sua
fondazione vi dovettero essere considerazioni di carattere strategico; il bor-
60 La Piana del Sele in età normanno-sveva
N-E del borgo si possono osservare non lontano dal castello: si tratta di
lacerti costituiti da conci calcarei locali irregolari di media e piccola dimen-
sione, con l’inserimento di qualche blocco marmoreo ben squadrato di età
romana riutilizzato e frammenti fittili di risulta legati da una malta tenace.
Dalla documentazione è possibile abbozzare una dinamica dell’insedia-
mento che possiamo definire suburbano. Il primo nucleo di insediamento sem-
bra essere, come si è visto, dislocato nei pressi della porta della Terra, il quar-
tiere di San Bartolomeo delle carte del pieno XII secolo, seguito dalla zona
contigua di San Giorgio. Questi due quartieri formano il nucleo extramurano
in cui le abitazioni si dispongono in maniera più compatta, segno di una prefe-
renza accordata a quest’area, interessata dal passaggio della via principale che
conduceva all’interno delle mura, mentre i nuclei ad est delle mura si caratte-
rizzano lungo tutto il periodo considerato per una marcata dispersione inse-
diativa. Il forte dislivello che caratterizza la zona al di sotto della Ripa (così
ricordata nella documentazione scritta403 per il forte scoscendimento) al di là
delle mura occidentali del castello, non permise la creazione di un abitato e, di
conseguenza, neppure l’istituzione di una parrocchia.
E’ interessante notare come la denominazione distrettuale si precisi nel
territorio di Eboli pressoché sincronicamente negli ambiti intramurani e ex-
tramurani, con l’indicazione di quartieri, e rurali, con l’emergere dei casali,
intorno alla metà del XII secolo. Si tratta della testimonianza di un processo
di razionalizzazione del controllo del territorio ebolitano, da poco rientrato
sotto il dominio diretto del conte di Principato dopo l’estinzione con Rober-
to di Eboli della famiglia De Mulisi-Trincanotte. La precisazione degli am-
biti circoscrizionali urbani e rurali a Eboli costituisce il riflesso di una socie-
tà che diviene sempre più complessa e di mutamenti profondi nelle strutture
di potere, laico ed ecclesiastico, che in quegli stessi anni interessavano il
Salernitano e il Mezzogiorno d’Italia. Come ben evidenziò Bruno Ruggiero,
fu l’arcivescovo Alfano I alla fine dell’XI secolo ad avviare con ogni proba-
bilità la riorganizzazione complessiva dell’arcidiocesi di Salerno attraverso
l’istituzione di un reticolo circoscrizionale plebanale coerente, con chierici
subordinati direttamente all’ordinario diocesano. Entro i primi decenni del
XII secolo l’opera di strutturazione degli ambiti circoscrizionali diocesani
appare completata, tanto che nel 1169 la Chiesa salernitana risulta ormai
saldamente articolata al suo interno in 8 archipresbyteratus da cui dipendo-
no le varie circoscrizioni parrocchiali sul territorio404 e di cui una aveva sede
proprio ad Eboli405 .
66 La Piana del Sele in età normanno-sveva
3 - Il castelluccio di Battipaglia
L’altro castello di cui sono riconoscibili tracce relative al periodo di cui trat-
tiamo nel territorio è il castelluccium de Battipalla, un fortilizio a controllo della
Piana e della valle del Tusciano. Le prime testimonianze scritte dell’esitenza del
castelluccio rimontano al 1080: Roberto il Guiscardo in un documento di con-
ferma alla chiesa di Salerno, tra le altre cose ricorda la castelluccia Battipalle.
Nel 1181, in una donazione di terre presso il Tusciano si fa riferimento come
confine al muro antico della terra di Castelluccio409 . Questo riferimento fa tra-
sparire la presenza di un villaggio (terra nella documentazione di età normanna)
circondato probabilmente da un muro (il muro antico della terra); si tratta del
murus qui dicitur de Battipalia ricordato in una compravendita del 1186410 . La
fortificazione è ricordata anche nell’inventario federiciano dei castelli del 1230-
31411 . Nel 1251 Bertoldo di Hohemburg, principe di Taranto e Governatore del
Principato di Salerno, stabilisce che il castelluccio e il casale di Battipaglia ven-
gano restituiti alla Chiesa salernitana. Nel documento si specifica come il ca-
strum quod castellucium nominatur, fosse stato usurpato alla Chiesa salernitana
dal conte Marcovaldo d’Anweiler che aveva provveduto ad una ricostruzione
del fortilizio412 . Nel maggio dello stesso anno Alberto di Reggio custos del ca-
stello restituisce castelluccio e casale, consegnado le chiavi del castello con lo
stesso, le torri e gli edifici, la cappella e le officine al giudice Matteo de Simone,
ufficiale della chiesa salernitana413 .
Gli insediamenti 67
Il fortilizio risulta aver subito profonde modifiche nel corso del secolo
scorso. Ciò nonostante è possibile osservare in esso parti della struttura me-
dievale.
Si può considerare il recinto murario retrostante l’attuale facciata dell’edi-
ficio, costruito nel XIII secolo: si tratta di una corte merlata difesa da una alta
torre a pianta quadrata con saettiere (figg. 10, 10b). La tipologia della torre
rimanda a esempi di fortificazioni di età sveva presenti nel territorio campa-
no: a Cancello, a Mercato San Severino, a Eboli, a Campagna e ad Olevano.
Si tratta con ogni probabilità del castello ricostruito dal conte svevo Marcoval-
do a cavallo del 1200 e restituito alla Chiesa salernitana nel 1251.
La fortezza assumeva compiti di controllo su un importante snodo via-
rio: da una parte infatti controllava la via che veniva da Eboli, un antico
percorso di età romana ripristinato nel Medioevo che metteva in comunica-
zione queste terre con Salerno414 , dall’altra sorvegliava il percorso parallelo
alla valle del Tusciano che conduceva ad Olevano e da qui verso l’Irpinia e
la Puglia. Ma la funzione del castelluccio non era esclusivamente militare. Il
fortilizio si configurava anche come centro di potere politico ed economico.
Il controllo sul circostante casale ne fa emergere l’aspetto organizzativo:
come residenza di un castellano ufficiale della Chiesa di Salerno cui gli
abitanti afferivano la sua funzione, doveva espletare anche compiti di tipo
economico, quali la raccolta di quanto dovuto dagli abitanti del casale Batti-
paglia per la coltivazione delle terre dell’arcivescovo, il controllo sulle loro
attività, la riscossione dei dazi di carattere pubblico derivanti dalla condizio-
ne di vassallaggio alla chiesa salernitana. Un organismo complesso che for-
se doveva assumere anche compiti di protezione della popolazione in caso
di pericolo.
Uno dei dati più impressionati che emerge dalla lettura della già menzio-
nata carta del 1164, fatta redarre dall’arcivescovo salernitano Romualdo II
per individuare con precisione i beni dell’arciepiscopio tra Monte e Campa-
gna, è indubbiamente il gran numero di castelli indicati dai ricognitori415 .
Detto già nel paragrafo relativo ai casali di Monte e del suo castello, di cui
purtroppo non sopravvivono tracce materiali, è ragionevole supporre l’ere-
zione di queste strutture, già in rovina nel 1164, in età longobarda416 . Non
68 La Piana del Sele in età normanno-sveva
1) Eboli
L’abbazia di San Pietro Apostolo detta ‘Alli marmi’ sorge sul colle alle
spalle del castello di Eboli, lungo un antico percorso che da Eboli conduce-
va ad Olevano e a Campagna.
La prima notizia relativa all’esistenza del monastero di San Pietro Apo-
stolo risalirebbe al 1090. In un documento conservato presso l’archivio del-
la sant.ma Trinità di Cava si ricorda come capo della comunità abbaziale un
tale Gregorio424 . Tuttavia il documento del 1090 per alcune caratteristiche
paleografiche è da ritenersi sospetto di adulterazione425 . La prima attesta-
zione scritta che può essere presa in qualche modo in considerazione risale
al 1105426 , ma solo a partire dal 1156 si ha la certezza documentaria assoluta
70 La Piana del Sele in età normanno-sveva
che si deduce dalla decorazione di alcuni capitelli, forse una chiesa. Il pre-
sbiterio risulta articolato in tre vani conclusi da absidi semicircolari; L’absi-
de centrale è incastonata tra due colonne poste negli angoli. Le navate erano
preceduta da un esonartece, coperto da volte a crociera acuta.
L’edificio, escluso il nartece, è lungo 23, 30 metri ed è largo 9,20 metri.
Una scala ricavata nella navata destra, poggiante sulla parete laterale, con-
duce ad una cripta. Il soccorpo, a pianta rettangolare coperto da volte a cro-
ciera, occupa circa un terzo dell’edificio superiore e ne ripropone la termi-
nazione triabsidata.
In parte inglobato nella navata destra, un campanile a pianta quasi qua-
drata (m. 4,60 x m.4,20), articolato su 3 livelli, si eleva per 18,80 metri. La
torre è conclusa da un tamburo anulare coperto da una semicupola. Il manu-
fatto risulta scandito all’esterno da due fasce decorative, la prima, definita in
alto e in basso da una cornice di laterizi, è costituita da una semplice serie di
losanghe in tufo grigio intervallate da semilosanghe in laterizio. Relativa-
mente più complessa risulta la fascia superiore: qui la medesima tarsia mu-
raria della fascia inferiore è delimitata da un gioco di laterizi posti di taglio a
45° a formare del V affiancate. Le ghiere delle bifore al secondo livello
sono decorate con elementi in tufo grigio e mattoni alternati (fig. 12). Tarsie
analoghe si rinvengono sull’estradosso delle absidi. Il tipo di decorazione a
tarsie policrome trova confronti con le decorazioni di età normanna ad esem-
pio nel quadriportico della cattedrale di Salerno (fine XI secolo-anni ‘30 XII
secolo)433 , ma il tipo continua ad essere riproposto fino a tutto il XII secolo
e anche oltre434 . Interessante risulta anche la tipologia del campanile che
trova analogie formali con il monumentale campanile della cattedrale di
Salerno fatto erigere dall’arcivescivo Guglielmo (1137-1152)435 , in partico-
lare nell’adozione della cella campanaria finale con tamburo circolare su
vano quadrato terminante con una cupoletta, sebbene il manufatto ebolitano
si caratterizzi per una decorazione molto più semplice.
Le dodici monofore che davano luce alla basilica erano coperte da tran-
senne in stucco (fig. 13); di queste solo due possono ritenersi originarie
mentre le altre sono il frutto dei restauri del Chierici436 . L’ornato del traforo
presenta accostamenti di elementi semplici quali rosette, ogive e croci gre-
che, potenziate e di sant’Andrea mescolate in un intricato gioco in cui di
volta in volta i pieni predominano sui vuoti e viceversa formando figure
differenti a secondo del prevalere ora dell’uno ora dell’altro. Difficile trova-
re confronti nell’area campana: se un precedente generico può essere indi-
Gli insediamenti 73
Fig. 14 - Eboli, San Pietro Apostolo, chiesa abbaziale, affresco (XII sec.)
74 La Piana del Sele in età normanno-sveva
2) Battipaglia
San Mattia
3) Olevano
Fig. 19 - Olevano sul Tusciano, Grotta di San Michele, affresco (XII-XIII sec.)
84 La Piana del Sele in età normanno-sveva
d) I poli santuariali
Lungo la sponda destra del Sele, nel territorio di Eboli, sono stati nello
scorso decennio condotti degli scavi in località San Vito, nei pressi dell’omo-
nima chiesa che, secondo la tradizione, conserva le reliquie del santo eponi-
mo martirizzato sulle sponde del fiume ai tempi delle persecuzioni diocle-
zianee467 . Il saggio, limitato a due aree nei pressi dell’attuale chiesa, ha por-
tato alla luce varie fasi di vita del santuario: in particolare le strutture di una
serie di edifici datati tra la fine del V e la metà del VI secolo, con ogni
probabilità relativi al complesso originario, realizzati in laterizi, i cui am-
bienti interni erano riccamente rivestiti di lastre marmoree fissate alle pareti
con chiodi di bronzo e pavimentati con mosaici policromi a motivi geome-
trici468 . Non è possibile affermare quando sia avvenuto l’abbandono del pri-
mitivo santuario; l’attuale chiesa di San Vito, frutto di vari interventi di re-
stauro succedutisi nei secoli, mostra alcuni elementi architettonici colloca-
bili ad età tardomedievale, quali una volta a crociera archiacuta e la profon-
da abside. Le fonti scritte testimoniano nel territorio di Eboli l’esistenza di
due chiese di San Vito nel XII secolo: l’ecclesia sancti Viti seniori e l’eccle-
sia sancti Viti Iunioris affidate dall’arcivescovo salernitano Romualdo II
all’abbazia di San Pietro Apostolo nel 1160469 . Il documento non chiarisce
se si trattava di edifici che sorgevano in aree diverse o di due chiese conti-
gue. Le indagini archeologiche non aiutano a dirimere la questione, ma non
è improbabile che i due oratori siano stati attivi insieme per un periodo,
almeno alla metà del XII secolo, per la rovina parziale dell’antico santuario
che possiamo ipotizzare di lì a poco abbandonato: la documentazione scritta
da allora in avanti non distinse più due chiese di San Vito, ricordandone una
sola470 . L’insediamento a San Vito non doveva limitarsi al pur importante
santuario extraurbano; una serie di ricognizioni non sistematiche condotte
nell’area della chiesa moderna hanno individuato un’area di affioramenti
ceramici sparsa su una superficie di circa due ettari che definisce un vasto
insediamento, probabilmente un villaggio in epoca medievale, caratterizza-
to da una apparente continuità di frequentazione dal IV secolo avanti Cristo
al basso Medioevo (XIII sec.). Difficile dire di più sul villaggio che presu-
mibilmente si formò sulla riva del Sele anche per la presenza delle reliquie
di Vito, ma è verosimile supporre che una vicina rada471 e il prestigioso
Gli insediamenti 85
CAPITOLO III
Economia e società
1) La produzione agraria
cinque petia de terra nel casale Tusciano: la prima in loco ubi sanctus Feli-
cius nuncupatur con vigneto e fruttiferi confinante con un castagneto, la
seconda, un castagneto, nello stesso luogo: anche la terza, nella medesima
contrada è un castagneto, confinante con altri castagneti; la quarta è un frut-
teto, la quinta contiene alberi da frutto e un querceto in loco ubi curia de
Giuso Pilato nuncupatur 501 . Tendenzialmente, come si evince anche dagli
esempi riportati, le coltivazioni in questi anni sembrano uniformarsi nelle
diverse contrade del locus, senza che emergano particolari aree a produzio-
ne predominante502 .
Più in generale la situazione colturale della piana di Battipaglia presenta
interessanti mutamenti nello scorrere degli anni. Un’analisi delle attestazio-
ni di coltivi divisi in tre macroperiodi di 50 anni503 mostra le variazioni del
paesaggio agrario nella piana di Battipaglia.
Nel primo periodo considerato (anni 1085-1150) emerge un sostanziale
equilibrio nell’attestazione delle coltivazioni (Tab. 1): se i fruttiferi nel com-
plesso raggiungono il 33% del totale, le colture cerealicole (terra laborato-
ria o vacua nei documenti504 ) rappresentano il 28%, mentre la vite (da sola
o associata con l’arbustum) incide per il 19%. Molto meno frequente la
citazione di oliveti (6%), forse talvolta considerati come alberi (10%) o frut-
tiferi505 . Si tratta di un sistema in cui le colture arbustive prevalgono netta-
mente sui seminativi nudi. Indubbiamente la presenza dei numerosi corsi
d’acqua che attraversavano la piana506 , opportunamente sfruttate, e il clima
mite dovevano favorire il successo delle colture arbustive. In ogni caso ap-
pare evidente come questo paesaggio della Piana sia il frutto della grande
spinta colonizzatrice prodotta tra la seconda metà del X e gli inizi dell’XI
dal lavoro di concessionari di appezzamenti attraverso lo strumento del pa-
stinato507 .
La scena muta radicalmente nella seconda metà del XII secolo. Se si
osservano i grafici relativi alle produzioni agrarie tra il 1151 e il 1200 balza
immediatamente agli occhi l’aumento impressionante delle colture cereali-
cole (in massima parte grano e orzo): da un incidenza percentuale pari al
28% sul totale delle attestazioni si passa al 58%, più del doppio, con un
sensibile incremento a partire dagli anni ’70 del XII secolo508 ; il settore che
risentì maggiormente di questo incremento furono i fruttiferi che risultano
crollare al di sotto del 10% delle attestazioni (Tab. 1, anni 1151-1200).
La documentazione mostra come questa presenza delle colture cereali-
cole fosse diffusa pressoché in tutta l’area del Tusciano: terre laboratoriae
92 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Tab. 1
Attestazioni incidenza %
vigneti 13 10%
arbusto vitato 11 9%
fruttiferi 28 22%
cereali 36 28%
orti 2 2%
fichi 4 3%
oliveti 2 2%
alberi 12 10%
castagno 6 5%
salici 2 2%
noci 1 1%
selva 7 6%
Attestazioni incidenza %
alberi 16 14%
fruttiferi 7 6%
cereali 65 57%
vigneti 16 14%
arbusto vitato 4 4%
orto 2 2%
incolto 3 3%
Attestazioni incidenza %
alberi 1 2%
fruttiferi 6 12%
cereali 38 74%
querce 2 4%
orto 2 4%
incolto 2 4%
Economia e società 93
si rinvengono nel 1161 nel vico Tusciano alla località Anania509 , nel 1169
ubi a la Maura dicitur, nel casale Tusciano510 , nella località Calcarola oltre
il fiume Tusciano sui colli tra Battipaglia ed Eboli nel 1172511 , lungo il fiu-
me Tusciano nei pressi del mulino della Trinità di Cava nel 1172512 , nella
località Spenda nel 1176513 , nella contrada Arcatura, vicino al Tusciano,
non lontano da San Mattia, nel 1177514 . nella località Cerzietum nel 1179515 ,
alla Fasanara nel 1181516 , nella località San Felice517 , a San Clemente nel
1184518 , nella contrada Spatatesa nel 1187519 , nelle località Cerasa, Frabi-
tula, La Tesa e l’elenco potrebbe continuare (Tab. 3). Paradigmatico di que-
sto paesaggio oramai dominato da distese biondeggianti di grano è un docu-
mento del 1188 con il quale l’abate di Cava Benincasa concede al viceconte
Urso, sette terre nel territorio del casale Tusciano: di queste una è coltivata
ad arbusto vitato, le altre sei sono terre laboratoriae520 . Il contrasto con quanto
visto per la prima metà del XII secolo appare evidente.
La tendenza già individuata nel periodo 1151-1200 si rafforza negli anni
tra il 1201 e il 1250 (tab.1, anni 1201-1250). In quest’arco cronologico le
attestazioni delle colture cerealicole giungono al 74% del totale, mentre scom-
paiono del tutto i vigneti e gli oliveti, con i fruttiferi che si attestano al 12%
delle colture menzionate nei documenti.
Tab. 2
Attestazioni incidenza %
vigneti 6 18%
arbusto vitato 1 3%
fruttiferi 7 21%
cereali 8 25%
orti 1 3%
alberi 3 9%
castagno 6 18%
salici 1 3%
Le colture nelle terre di Eboli in età normanno-sveva (anni 1151-1200)*
Attestazioni incidenza %
vigneti 24 23%
ulivo 12 11%
fruttiferi 11 10%
cereali 40 38%
orti 3 3%
alberi 12 11%
quercia 3 3%
salici 1 1%
vigneti 2 6%
ulivo 3 10%
fruttiferi 4 13%
cereali 17 55%
alberi 2 6%
quercia 3 10%
alberi 1 2%
fruttiferi 6 15%
cereali 26 64%
vigneti 2 5%
ulivo 3 7%
querce 3 7%
Tab. 3
Continua
La Piana del Sele in età normanno-sveva
Tab. 3
AC, XXVIII, 74 1153 Vendita Tusciano Alberi, Vico Tusciano (presso le arcature dei mulini)
Economia e società
AC,XXIX, 71 1156 Vendita Tusciano 2 alberi, vigna, macchia (loc. San Biagio del casale)
AC, XXIX, 45 1157 Vendita Tusciano Vacua, (loc. Populi Raonis Tristaini)
AC, XXIX, 71 1157 Vendita Tusciano Alberi
AC, XXX, 34 1159 Vendita Tusciano Alberi
AC, XXX, 59 1160 Vendita Tusciano Fruttiferi e vigna
AC, XXX, 51 1160 Testamento Tusciano Laboratoria (loc. Anania)
AC, XXXI, 19 1163 Giudicato Tusciano Vigna (loc. san Biagio, pressi San Mattia)
AC, XXXIII, 26 1169 Vendita Tusciano Laboratoria (ubi a La Maura)
AC, XXXIII, 52 1170 Giudicato Tusciano Alberi (pressi monastero S. Arcangelo)
AC, XXXIV, 95 1170 Vendita Tusciano Vacuo, vigna, fruttiferi (loc. San Mango)
AC, XXXIII, 59 1170 Vendita Tusciano Vacuo, vigna,alberi
AC, XXXIII, 93 1171 Testamento Tusciano Laboratoria e fruttiferi
AC, XXXIII, 83 1172 Divisione Tusciano 2 laboratoriae, 1 selva (Calcarola, chiesa santa Maria)
AC, XXXIV, 26 1172 Vendita Tusciano 3 Laboratoriae (nei pressi mulino di Cava)
AC, XXXIV, 80 1173 Vendita S. Arcangelo Vacuo, vigna e alberi
AC, XXXIV, 110 1174 Donazione Tusciano Alberi (Arcatura dei mulini)
AC, XXXV, 20 1175 Testamento Tusciano Laboratoria, orto, vigna (Campomaggiore, Lispo)
AC, XXXV, 84 1176 Vendita Tusciano Laboratoria (Spenda)
AC, XXXV, 56 1177 Vendita Tusciano Laboratoria (Arcatura)
AC, XXXV, 91 1178 Pastinato Tusciano Vigna, Fruttifreri
AC, XXXVI, 41 1178 Vendita Tusciano Vacua (Arcaturia dei mulini del monastero)
AC, XXXVI, 14 1179 Vendita Tusciano Laboratoria (Cerzietum)
AC, XXXVI, 18 1179 Conc. Feudale Tusciano Alberi
AC, XXXVII, 37 1180 Donazione Tusciano 3 Laboratoriae, 1 vigna, 1 alberi (loc. Pastino)
97
AC, XXXVII, 98 1181 Vendita Tusciano Laboratoria (Fasanara)
98
AC, XXXVIII, 9 1181 Donazione Tusciano Laboratoria (loc. Castelluccio, Arcaturia dei mulini)
AC, XXXVIII, 13 1181 Testamento Tusciano Laboratoria (Fasanara)
AC, XXXVIII, 21 1181 Donazione Tusciano Laboratoria (Arcatura)
AC, XXXVIII, 94 1182 Concessione Tusciano Laboratoria (sopra S. Maria zita)
AC, XXXIX,4 1183 Vendita Tusciano Terra con alberi
AC, XXXIX, 37 1183 Vendita Tusciano Laboratoria, alberi (loc. San Felice)
AC, XXXIX, 79 1184 Donazione Tusciano Laboratoria (San Clemente)
AC, XXXIX, 117 1185 Donazione Tusciano Laboratoria (Maura)
AC, XLI, 9 1186 Donazione Tusciano Laboratoria (Arcatura)
AC, XL, 94 1187 Vendita Tusciano Laboratoria (ubi Spatatesa)
AC, XL, 95 1187 Testamento Tusciano Laboratoria (Cerasa)
AC, XLI, 52 1187 Commutatio Tusciano Laboratoria (Querceta)
AC, XLI, 99 1188 Conc. Feudale Tusciano 6 Laborat. 1 Arb.
AC, XLI, 87 1188 Vendita Tusciano 2 laboratoriae, (Frabitula, Arcaturia)
AC, XLII, 11 1188 Donazione Tusciano 2 laboratoriae (a lu Scarpone, a la Cerzeta)
AC, XLI, 88 1189 Vendita Tusciano Laboratoria
AC, XLII, 28 1189 Commutatio Tusciano Laboratoria con alberi (loc. La Pira)
AC, XLII, 69 1190 Concessione Tusciano Vigna e fruttiferi
AC, XLII, 70 1190 Vendita Tusciano Vacua (Scafa)
AC, XLII, 74 1190 Vendita Tusciano Laboratoria con alberi (loc. Mannotullo)
AC, XLII, 76 1190 Traditio ad laborandum Tusciano Terra con pastino (loc. Molendina)
AC, XLII, 54 1191 Commutatio Tusciano Laboratoria, querce (loc. Puteo)
AC, XLII, 57 1191 Concessione Tusciano Laboratoria (Campitella )
AC, XLII, 105 1191 Vendita Tusciano Laboratoria (Arcatura)
AC, XLII, 120 1191 Vendita Tusciano Laboratoria (San Felice)
AC, XLIII, 2 1191 Traditio ad laborandum Tusciano Arbusto e Vacuo
AC,XLIII, 18 1192 Vendita Tusciano Laboratoria (pressi mulini Cava)
AC,XLIII, 25 1192 Vendita Tusciano Laboratoria (Guado Sant’Elia)
AC,XLIII, 34 1192 Vendita Tusciano Arbusto (Scafasso)
AC,XLIII, 11 1193 Commutatio Tusciano Laboratoria (pressi mulini Cava)
AC,XLIII, 12 1193 Commutatio Tusciano Laboratoria (pressi mulini Cava)
La Piana del Sele in età normanno-sveva
Continua
Tab. 3
CARLONE 423 1193 Vendita Tusciano Vigna e alberi (vicino al mulino d Cava)
AC, XLIII, 69 1193 Vendita San Clemente Vigna
AC, XLIII, 91 1193 Vendita Tusciano Laboratoria (La Noce)
AC, XLIV, 85 1194 Vendita Tusciano Laboratoria
AC, XLIV, 7 1195 Vendita Tusciano Fruttiferi (Scafassa)
AC, XLIV,10 1195 Donazione Tusciano Arbusto vitato (San Felice)
AC, XLIV,8 1195 Vendita Tusciano Laboratoria (loc. Arbusto)
AC, XLIV,25 1195 Vendita San Clemente Vigna
AC, XLIV, 44 1196 Trad. ad laborandum S. Arcangelo Terra
AC, XLIV, 85 1198 Vendita Tusciano Laboratoria
AC, XLIV, 115 1202 Vendita Tusciano Arbusto (loc. Puteo)
AC, XLV, 30 1203 Vendita Tusciano Laboratoria e fruttiferi (loc. Puteo)
AC, XLV, 34 1203 Vendita Tusciano Laboratoria (S. Elia)
AC, XLV, 45 1203 Vendita Tusciano Alberi (Puteo)
AC, XLV, 116 1207 Vendita Tusciano Laboratoria e alberi (loc. Maura)
AC, XLVI, 40 1210 Vendita S. Clemente Laboratoria
AC, XLVI, 43 1211 Vendita Tusciano Laboratoria (Puteo)
PENNACCHINI, pp. 123-124 1211 Vendita S. Clemente Laboratoria
AC, XLVI, 72 1213 Testamento Tusciano Laboratoria (Escla)
AC, XLVI, 97 1216 Testamento S. Clemente Orto del Cetrangolo
AC, XLVI, 115 1217 Vendita Tusciano Laboratoria (confina ad W con il fiume)
AC, XLVII, 72 1219 Vendita Tusciano Laboratoria (pressi Vadu Sancti Helie)
AC, XLVII, 39 1220 Testamento S. Arcangelo Laboratoria
99
100
AC, XLVII, 55 1221 Commutatio Tusciano Laboratoria (pressi Vadu Sancti Helie)
AC, XLVII, 54 1222 Vendita Tusciano Laboratoria (loc. Iscla)
CARLONE 585 1222 Vendita Tusciano Laboratoria (loc. Querceta)
AC, XLVIII, 22 1224 Vendita Tusciano Laboratoria (loc. Supradisi)
AC, XLVIII, 10 1225 Testamento S. Clemente Laboratoria
AC, XLVIII, 68 1226 Vendita Tusciano Laboratoria ( Fasanara)
AC, XLVIII, 63 1226 Commutatio Tusciano Laboratoria (loc. Arcatura e Domo)
AC, XLVIII, 71 1226 Vendita Tusciano Laboratoria (Ubi S. Nicola de Palma )
AC, XLVIII, 78 1226 Vendita Tusciano 2 Laboratoriae (S. Elia e Suprandisi)
AC, XLVIII, 92 1227 Donazione Tusciano 3 Laboratoriae (confinano con l’alveo antico del fiume)
AC, XLVIII, 82 1228 Vendita Tusciano Laboratoria (Fasanara)
AC, XLVIII, 96 1227 Vendita Tusciano Vacua con selva (pressi alveo antico Tusciano)
AC, XLVIII, 108 1228 Vendita Tusciano Laboratoria
AC, IL, 6 1229 Testamento Tusciano Laboratoria e fruttiferi (loc. Puzzillo)
AC, IL, 24 1230 Vendita Tusciano Laboratoria e fruttiferi (loc. san Felice)
AC, IL, 40 1231 Donazione Tusciano 3 Laboratoriae e silva
AC, IL, 45 1231 Vendita Tusciano 3 laboratoriae, 2 querceti (loc Cerzeta)
CARLONE 652 1233 Testamento Tusciano Orto (loc. S. Stefano)
BALDUCCI, I, 94 1238 Commutatio Tusciano Laboratoria ( loc. San Felice)
AC, XLII, 47 1248 Vendita Tusciano Laboratoria e fruttiferi (loc, Molendina)
AC, XLII, 86 1249 Vendita Tusciano Laboratoria (loc. Isprando)
La Piana del Sele in età normanno-sveva
Economia e società 101
Anche sui colli intorno ad Eboli si nota una netta prevalenza di colture
arbustive. Sul colle Moreno, ad est del borgo, la coltura dominante il pae-
saggio per tutto il periodo considerato è l’olivo che raggiunge il 78% delle
attestazioni tra il 1201 e il 1250 523 , seguito dalla la vite (22% nello stesso
periodo)524 , mentre del tutto assenti risultano le colture cerealicole. Anche
nella località Sant’Andrea, colle a N-E dell’abitato di Eboli, si nota una
predominanza delle colture arbustive con una presenza marginale dei cerea-
li, ridotto nella prima metà del XIII secolo ad appena il 12% delle menzioni
documentarie. Una situazione in parte analoga si riscontra sulle basse colli-
ne immediatamente ad ovest di Eboli nella contrada di Grataglie. Qui le
prime attestazioni risalenti al XII secolo ricordano terre laboratorie accanto
a fruttiferi, ma dagli inizi del XIII secolo le terre coltivate a cereali scompa-
iono per lasciare posto a vigneti e oliveti. Un quadro analogo si può traccia-
re, si è visto, per i casali di Monte e Palude525 .
La contrada Calli, nelle terre più orientali di Eboli, al confine con il ca-
stello di Campagna restituisce negli anni che vanno dal 1130 al 1157 esclu-
sivamente la presenza di fruttiferi e vigneti526 . Nel periodo compreso tra il
1160 e il 1200 si assiste nelle terre di Calli ad una netta inversione della
tendenza con l’assoluta predominanza dei cereali: in questi anni le terre col-
tivate a cereali arrivano 52% delle attestazioni527 , mentre fruttiferi528 e uli-
vi529 ricorrono rispettivamente solo nel 12 % e la vigna è ricordata nel 9%
delle attestazioni530 (tab. 2). Si tratta di dati percentuali che ricordano molto
da vicino quanto emerso nell’antico locus Tuscianus, dato confermato dal-
l’osservazione delle occorrenze percentuali rilevate per il periodo 1201-
1250 con i cereali attestati al 64%, mentre le vigne si riducono al 5%, l’ulivo
al 7% e i fruttiferi si mantengono intorno al 15% (Tab. 2).
cordano colture nelle terre del vecchio locus Tusciano tra 1085 e 1250, solo
9 si riferiscono a traditiones, di questi solo 3 specificano l’obbligo del con-
cessionario a impiantare nuove colture su terra vacua532 . E’ possibile che
l’assetto del paesaggio agrario sviluppatosi tra X e XI secolo e le conquiste
di terre di quel periodo rispondessero, ancora alla metà del XII secolo, alle
necessità di abitanti e possessori della Piana del Sele? In effetti l’età longo-
barda si afferma come periodo di grande avanzata dell’ agrarizzazione533 ,
mentre l’età normanno sveva appare attestarsi su posizioni forse più conser-
vative sotto questo aspetto, almeno nel territorio qui analizzato. Tuttavia la
crescita demografica che caratterizza il XII secolo e di cui si hanno indicato-
ri precisi nei nuovi casali della Piana e nella sviluppo di Eboli534 , dové avere
come conseguenza necessariamente un ampliarsi dei coltivi. Ma il dato
lampante dell’enorme crescita della superficie a cereali tra 1150 e 1250 apre
nuovi orizzonti per la spiegazione di questo assetto, questione che sarà ri-
presa nelle conclusioni di questo lavoro. Per il momento si può notare come
il paesaggio agrario delle terre tra il Tusciano e il Sele, dopo il variegato
mosaico colturale che ne connotò l’aspetto fino alla metà del XII secolo
pressoché da un lembo all’altro del territorio messo a coltura, tra gli anni
1150 e 1200 acquisisca una fisionomia diversa, ben definita, quasi irrigidita
in schemi pianificati e, almeno nelle intenzioni, razionalizzanti: se le terre
coltivate dell’antico locus Tuscianus e di Calli vengono ridisegnate con una
diffusione capillare dei cereali a discapito dei fruttetti e delle colture arbusti-
ve in generale, le colline di Eboli verdeggiano di olivi, vigneti e fruttiferi,
mentre tra i sobborghi del castello l’orto si diffonde tra i sempre più rari
spazi dei quartieri di San Bartolomeo e di San Giorgio. Questa netta diffe-
renziazione tra le diverse aree si fa ancora più evidente nella prima metà del
XIII secolo, segno di una situazione ormai stabilizzata.
Altro aspetto significativo è la crescente importanza della coltura del-
l’olivo nelle terre di Eboli a partire dalla seconda metà del XII secolo.Questo
interesse per l’olivicoltura si rafforza nel XIII secolo quando si rinviene una
serie di interessanti contratti attraverso i quali l’abbazia cavense e il mona-
stero di Montevergine dirigono l’impianto di uliveti nelle colline ebolitane.
Nel 1226 il priore di San Mattia de Tusciano concede per 12 anni una terra
con ulivi a Turello di Eboli ad un certo Pietro di Donnicella con l’accordo
che questi vi impianti 20 nuove piante di ulivo fornite dal priore, che Pietro
dovrà concimare almeno una volta ogni tre anni cum ovibus suis vel cum
alienis. Ogni anno il concessionario verserà al monastero 2/3 delle olive la
Economia e società 103
metà dei fichi e la sesta parte del seminato535 . Ancora Cava nello stesso anno
concede una tenuta coltivata ad ulivi e fruttiferi, con una terra vacua, nella
località Palazzo di Cava, sempre ad Eboli, a Leone fabricator che dovrà
scavare un fossato intorno alla terra vacua, piantarvi 30 nuovi ulivi, circon-
dare il giovane oliveto con una palizzata fornita di cancello con masclo et
clave. Leone per 18 anni verserà al cenobio cavense i due terzi delle olive
prodotte536 . Nel 1230 sempre Cava concede al corviserius Stefano e a suo
figlio Giovanni una terra vacua ad pastenandum per impiantarvi ancora uli-
vi e frutteti. al termine della concessione (12 anni) la terra sarà divisa tra
concedente e concessionario. Nel 1254 il curatore dei beni verginiani rica-
denti nel territorio di Eboli Giovanni di Castolio, accorda a Giovanni di
Mastlia due terre a Malito, una con un oliveto già impiantato, un’altra con
bosco e quattro ulivi: ìn quest’ultima il concessionario impianterà un oliveto
in cinque anni. Giovanni di Mastalia sarà obbligato a concimare gli ulivi con
letame di pecora o di asino o di cavallo (stercorare stercore quo voluerit
pecorino sive equino vel asinino) e portare le olive al frantoio del monastero
nella misura di due terzi del prodotto dopo il primo anno di affidamento.537
Gli oliveti impiantati non erano poi così piccoli come oggi potrebbe
apparire538 e la stessa preoccupazione dei concedenti, chiaramente emer-
gente dalle carte nella minuziosità degli accordi, che le modalità della colti-
vazione fossero estremamente accurate, insieme alla gravosità delle corre-
sponsioni richieste (2/3 delle olive) evidenzia quanto queste colture fossero
ritenute preziose, addirittura da sbarrare talvolta con una serratura (masclo).
La circostanza che in una traditio fosse un fabricator ad affittare l’oliveto fa
sospettare che, almeno in questo caso, non fosse lui a coltivare direttamente
il podere (non sappiamo quanto esteso) ma che demandasse ad altri tale
compito, forse in vista di una commercializzazione dei prodotti, nonostante
l’esosità del canone.
Si è già accennato come il controllo della terra venisse rimesso dai gran-
di possessori ecclesiastici a chiese dipendenti nel territorio, che fungevano
da poli amministrativi decentrati, oltre che da centri spirituali, quali San
Mattia de Tusciano e Sant’Arcangelo per Cava539 , ma il sistema risulta vali-
do anche per altri enti540 . Di grande interesse appaiono da questo punto di
vista le chartae collationis, ossia i documenti di affidamento di chiese a
presbiteri affinché ne garantiscano l’officiatura e la conduzione economica.
Da questo punto di vista la documentazione longobarda risulta più ricca
rispetto a quella di età normanno-sveva, per motivi legati sostanzialmente al
104 La Piana del Sele in età normanno-sveva
declino dell’istituto della Eigenkirche nel XII secolo541 . Per avere informa-
zioni più cospicue dovremo dunque tornare indietro di qualche decennio per
poi riagganciarci agli accadimenti di età normanno-sveva. La documenta-
zione più completa relativa all’affidamento di chiese nella piana del Sele
concerne la chiesa di San Nicola de Mercatello e la sua tenuta. La chiesa,
costruita illa pars et propinquo flubio Siler, sulla riva sinistra del fiume cioè,
nei pressi di un porto e della via che costeggiava il fiume542 , è ricordata per
la prima volta nel 1020 dipendente dai fratelli conti Disiu, Iaquintus e Lan-
do, eredi del conte Disigius, fondatori della stessa543 . In questo anno i tre
fratelli affidano la chiesa al presbitero Fusco affinché vi risieda, la offici o la
faccia officiare notte e giorno, sicut meruerit presbiter villanos, per le ne-
cessità degli abitanti delle terre circostanti. In cambio di ciò Fusco riceverà
la terra in cui sorge la chiesa, confinante a mezzogiorno con il litore maris e
sugli altri lati con terre dei fratelli e le altre causa pertinentem ad essa. Si
tratta, in particolare, dei libri e degli arredi sacri necessari agli uffici liturgi-
ci, assegnazioni che non appaiono diverse dalla normale dotazione di altre
ecclesiae villanae nel Salernitano544 , cui si aggiunge una notevole dotazione
di animali. Iaquintus offre una giumenta con i puledri (iummenta una polli-
trata), un cavallo provvisto di sella e briglie (caballum unum cum sella et
frenum), una vacca con i vitelli (bacca una betellata), tre scrofe con i maia-
lini (scurie tres porclate cum ana tres filios per scurie et ultres) e tre capre
filiate. Non meno generoso si rivela Lando che dona alla chiesa tre giumen-
te, tre vacche, quattro scrofe con i lattonzoli e tre capre edate. Allo stesso
modo Disiu concede una giumenta con i puledri, una vacca con i vitelli,
dieci maiali e tre capre edate. I fratelli faranno pastenare la terra della chiesa
impiantando mille viti, una cifra davvero sorprendente, su cui Fusco dovrà
vigilare. Il presbitero riceverà per quattro anni dai figli di Disigius 9 tarì
d’oro per acquistare il vino occorrente alle sue esigenze, evidentemente si
riteneva che quattro anni costituissero il tempo necessario in quelle terre
affinché il vigneto divenisse produttivo. Nei pressi della chiesa si trova il
lagum qui dicitur Paulinum, vicino al quale c’è una palude, tra il Sele e il
fiume Salsola545 .
L’area in cui sorgeva la chiesa si trova dunque nei pressi della foce del
fiume, non lontano dall’Heraion del Sele e dal porto che costituiva l’appro-
do fluviale di Poseidonia-Paestum; è anzi presumibile che il porto di Merca-
tellum ricordato dai documenti medievali fosse proprio ciò che rimaneva
della rada poseidoniate più volte congetturata, ma mai identificata, dagli
Economia e società 105
ta564 , una volta proprietà del fisco principesco poi concesse alla Chiesa sa-
lernitana565 .
La quercia costituisce sicuramente l’essenza dominante il paesaggio na-
turale medievale nella piana del Sele. Spesso ricordata nelle carte, come in
quella plaga nelle vicinanze del Sele ubi quertieto dicitur566 , se ne richiede
una cura particolare nei contratti agrari a partire dall’XI secolo567 o esplici-
tamente la salvaguardia come in una traditio nel 1035568 , chiari segnali di
un’avanzante agrarizzazione del territorio e insieme indice di un mutato at-
teggiamento nei confronti del bosco che a quel tempo iniziava a ridursi sotto
le vangate dei dissodatori e dunque bisognoso di protezione, pena il deterio-
ramento di una economia che sulla base silvopastorale poggiava in parte
non irrilevante la sua struttura569 . Accanto alla quercia le carte del tempo
ricordano altre essenze arboree quali i pioppi, nei pressi del Tusciano570 ,
mirteta571 , elemento principe della macchia mediterranea, il sambuco572 dalle
caratteristiche bacche nere, il pero selvatico573 , i castagni selvatici574 , i sor-
bi575 e le tamerici576 .
Boschi e coltivi sono solcati dai corsi di fiumi e torrenti, non più irregi-
mentati come avveniva in epoca romana, dei quali spesso non è possibile
controllare l’impeto, così dalle cronache e dai contratti agrari veniamo a
conoscenza di molina destructa, di raccolti andati a male e di ponti danneg-
giati dalla veemenza delle acque577 . Fiumi e torrenti, giunti nei presso delle
foci o nei punti di confluenza nei collettori principali, generavano ampi pan-
tani a causa della pendenza tendente a divenire via via più trascurabile ; si
formano in tal modo i vari laghi costieri tra il Tusciano e il Sele, il lacu
Piczolu tra il Tusciano e il suo affluente di destra torrente Lama o, ancora, il
lacu Maiore un vasto lago palustre ricordato a partire dall’XI secolo, che ha
infestato fino alla bonifica degli anni Trenta del secolo scorso con i suoi
miasmi malarici il territorio alla destra del Sele578 . L’altra sponda del fiume
era caratterizzata dalla presenza di vaste distese di acque, come il lacum
Paulinum e la vicina palude, alimentati dal fiume Salsola, dal pullu de aqua
de Certia Gallara579 e da ricche sorgenti d’acqua quali il pullu Maiore e il
pullu Minore che sgorgavano nella pianura tra il Sele e il Calore580 . Terreni
paludosi caratterizzavano anche le colline tra Olevano ed Eboli581 .
A nord la catena dei monti Picentini, le serris de montibus dei documenti
altomedievali, da dove principiano alcuni dei corsi d’acqua più copiosi del
Mezzogiorno quali il Sele, l’Ofanto, il Calore, il Sabato e il Tusciano, costi-
tuiva un generoso serbatoio di essenze arboree. L’ampiezza di tali foreste
Economia e società 109
colpiva l’attenzione dei viaggiatori che transitavano per queste lande; così il
monaco burdigalense Bernardo, di certo aduso alle vastità dei boschi cen-
troeuropei, in pellegrinaggio, intorno all’870, al famoso santuario rupestre
dedicato a San Michele del mons Aureus imminente sull’alto corso del Tu-
sciano, giunto al limitare della profonda cavità osservò che questa aveva
super se magnam silvam e l’annotò nel suo Itinerarium582 . Ancora oggi fitti
boschi di castagno, quercia e leccio ricoprono questi monti fino ai mille
metri circa, dove cedono il passo a impenetrabili faggete, come quella ricor-
data tra Olevano e Eboli nel XII secolo583 .
E’ difficile farsi un’idea precisa della fauna che prosperava in questa
rigogliosa natura ; fonti scritte, archeologiche e toponomastiche, insieme
alle poche tracce attualmente osservabili, inducono a credere vi fosse una
compresenza di specie diverse, oggi quasi inimmaginabile. In primo luogo
il cervo, insieme al cinghiale selvaggina per eccellenza del Medioevo euro-
peo584 : gruppi di nobili solcavano le grandi foreste, lanciati in estenuanti
cavalcate sulle tracce dell’imponente animale rincorso dai terribili molossi
tra pianure e montagne. Il loro passaggio avveniva probabilmente secondo
itinerari consolidati, di cui si ha traccia anche nella toponomastica medieva-
le, come testimonia quel Vadu de benaturi sul Tusciano ricordato in una
transazione del 1092585 . Toponimi quali Cervialto e Cervara tra i Picentini
attestano la diffusione di questo animale. Un documento di donazione dell’833
ricorda l’esistenza tra le foreste di Lioni (AV), pochi chilometri a nord dalle
fonti del Sele, di un waldu detto Cerbarezze i cui lati misuravano due miglia
per uno586 , probabilmente una riserva di caccia. Un altra importante riserva
di caccia del princeps era la cerbaricia domnica, evidentemente ricca di
cervi, che si estendeva tra le alture a Sud- Est di Salerno, come testimonia un
documento dell’837587 .
Le fonti cronachistiche, in particolare l’Anonimo salernitano del X secolo,
informano di alcuni episodi avvenuti durante battute di caccia in queste zone.
I futuri principi di Salerno Sicardo e Sicone, intorno all’830, andando ex more
a caccia si imbatterono in un cervo di proporzioni enormi (ingentem) e lo
seguirono con i loro servi fino ad una impenetrabile selva (condensa silva)
alle porte di Conza, poco a nord delle sorgenti del Sele, dove riuscirono a
catturarlo, episodio che, a detta dell’Anonimo cronista salernitano del X seco-
lo, fu all’origine di un violento conflitto tra i longobardi di Conza e quelli di
Acerenza588 . L’elemento selvatico spesso fa da sfondo a storie di violenze e di
morte o a spaventose apparizioni, e la caccia ne è sovente il filo conduttore.
110 La Piana del Sele in età normanno-sveva
nella Piana, ad esempio nel tenimento di San Nicola de Laneo dove sono
documentati pecore e maiali615 .
Anche le chiese private della piana denotano un rilevante interesse per
l’allevamento. Ad esempio già in età tardo longobarda emerge una preoccu-
pazione particolare dei domini dei domini communi della chiesa di Santa
Maria e San Nicola di Mercatellum per gli animalia di cui, non a caso, si
elencano con una singolare meticolosità le specie e il numero in ogni charta
collationis a fronte di una modesta dotazione di terra e di uno scarso interes-
se per la sua conduzione. La scrupolosità nel definire gli impegni cui è ob-
bligato il presbitero tenutario della chiesa riguardo ai greggi che gli sono
stati consegnati e agli altri animalia biba che entreranno ad ornamentum di
Santa Maria e San Nicola sono indici della preminenza che si attribuiva nel
tenimentum di Mercatello alla pastorizia616 . Il presbitero dovrà avere curam
et vigilationem per gli animali, affinché, con l’aiuto di Dio (Deo adiubante),
essi possano accrescere di numero; di quanti puledri (pollitri de iumente) e
vitelli (gengi de vacce) nasceranno in un anno, potrà goderne della terza
parte, così come dei lattonzoli delle scrofe (filii et filie de ipse scurie). Potrà
inoltre ogni anno mettere all’ingrasso un maiale della mandria per la sua
dispensa (faciamus per annum pingue pro nostra utilitate) ed eventualmen-
te macellarne altri pro manducare quando vorrà ponere opere pro servitium
vel pro lavore predicte ecclesie. Le setole (spurclatura, spelatura) delle scrofe
e quanto latte e formaggio produrranno le vacche (casu et lacte de bacce)
saranno utilizzate dal concessionario di Santa Maria e San Nicola come
meglio crede (totum mee sit potestatis, faciendum inde quod mihi placue-
rit)617 . Il sacerdote di una ecclesia billana quale San Nicola di Mercatellum
deve attendere però in primo luogo alla celebrazione dei sacramenti, per cui,
accresciuto il numero degli animali, non può più prendersi cura delle greggi
come necessita; Eigenkirchenherren e presbitero ricorrono allora a figure
professionali, pastori qui curam abent de ipsa animalia, provvedendo an-
che ai loro vestimenta618 .
Se la documentazione relativa a Mercatellum nell’XI secolo ci offre le
maggiori informazioni sull’economia pastorale lungo il Sele, non mancano
tuttavia altre notizie sul ruolo dell’allevamento nella zona. Negli atti emana-
ti dalle cancellerie delle autorità pubbliche relativi alla esenzione per alcuni
enti ecclesiastici dal pagamento dei dazi sugli attraversamenti del Sele, vie-
ne sempre sottolineata la possibilità di trasportare il bestiame; così già nel
1012 Guaimario III concede al vescovo del Mons aureus Cennamo e ai suoi
Economia e società 115
successori la facoltà cum ipso lintre (in questo caso penso sia una chiatta)
…homines et animales, omnesque illorum utilitate pro ipso flubio portare in
illa parte619 . Cento anni più tardi il signore normanno di quelle terre, Rober-
to di Eboli, concederà, un eguale privilegio alla Badia di Cava con la stessa
preoccupazione per il passaggio degli armenti620 . D’altronde le terre basse
del Sele dovevano risultare particolarmente ricche di pascoli; se ne ritrova-
no, tra il Sele e il Calore, a Persano e Ielasana 621 e, poco più ad est, a
Dulicaria622 . E’ evidente che le radure naturali non potessero bastare ad
accogliere i capi di bestiame transitanti o stabulanti nella piana. Senza dub-
bio le tenute di Campolongo, Petta, San Nicola de Laneo avevano al loro
interno dei prati adatti alla stabulazione, come si evince dalle testimonianze
rese dai presbiteri olevanesi nel 1187. La tecnica più comoda per creare
radure e pascoli nel bosco è da sempre quella del fuoco: incendiare la selva
e poi divellere gli alberi bruciati è tuttora un’abitudine funesta abbastanza
radicata tra i pastori.
Ma non solo nobili, enti ecclesiastici, oltre ad allevatori di mestiere come
si vedrà, dovevano essere forniti di mandrie consistenti di animali. Nel 1042
Giovanni e sua moglie Raita, abitatores del castellum caputaquensis, Ca-
paccio, non lontano dalla sponda sinistra del Sele, quia cotidie vedono rui-
nam et infirmitatem et periculum mortis donano per la salvezza delle loro
anime una terram cum pertinentia sua in castello caputaquensis alla chiesa
privata salernitana di Santa Sofia623 . Tra le pertinentia di questa terra sono
ricordate tres capita de bacce et unu gencu [un giovenco] et capita de capre
et pecora triginta... et capita de porci nobem che vanno ad impinguare le
mandrie di Santa Sofia.
La preminenza nell’alimentazione della carne di maiale in particolare,
attraverserà tutto il Medioevo salernitano; per verificare ciò è sufficiente ad
esempio considerare il gran numero di capitoli riservati nello Statuto della
Bagliva di Olevano al maiale 624 . La richiesta di corresponsioni di ghiande o
di salvaguardia delle querce che si rinvengono sovente nei contratti agrari
costituisce, come si è detto, una prova evidente dell’importanza rivestita da
questo settore già nell’economia d’età longobarda. Nel 1021 il potente aba-
te Maione del monastero salernitano di San Massimo, nel concedere una
terra baciba da seminare ad un certo Solmanno, si preoccupa di evidenziare
che se nella pecia che coltiverà vi fossero querce curam et vigilationem
inde aberet ; quando poi saranno mature le ghiande, se vorrà Solmanno po-
trà raccoglierle e darne metà a San Massimo, in caso contrario dovrà farlo
116 La Piana del Sele in età normanno-sveva
greggi in cambio di un quarto degli animali di cui avrà cura per sei anni. Da
ciò si deduce come certo Gagelpoto, figlio del chierico Amato come si espli-
cita all’inizio del memoratorium, non dovesse essere un uomo di condizione
servile e così di conseguenza Sano. Non sappiamo quali furono i motivi che
spinsero Gagelpoto ad ‘affittare’ il figlio a Bisanteo, forse l’indigenza, forse
una consuetudine prevista anche dalla legge (iuxta legem). Poteva trattarsi
anche di un modo per arricchire il proprio gregge con la parte di hanimalia
guadagnata dal figlio. Il documento, per quanto ne sappia unico nel suo
genere, trasmette al lettore un senso di angoscia per la condizione del picco-
lo Sano, acuita dal finale minaccioso relativo all’eventuale fuga dell’infan-
tulum, in particolare alla potestas che si riserva Bisanteo di illum prindere et
disciplinare, di certo non con un semplice rimprovero. Bisogna peraltro im-
maginare che tale sensibilità non sempre fosse di quegli uomini, soprattutto
se pastori, induriti da condizioni di vita che oggi definiremmo disumane645 .
Altre tracce del radicamento dell’attività pastorale nelle terre di Eboli si
ricavano dalla già ricordata charta collationis del 1109 con la quale Giovanni
capuano, rettore del monastero salernitano di San Vito, concede al presbitero
Pietro l’officiatura della chiesa ebolitana di San Giorgio: Pietro dovrà versare
ogni anno al cenobio salernitano, tra le altre cose, la quarta parte delle offerte
ricevute in occasione della benedizione degli animali (de oblatione vestia-
rum) 646 . Si tratta, come è noto, di un’antica consuetudine, in genere connessa
alla festività di Sant’Antonio abate, viva ancora ai nostri giorni647 , ma che è
indizio evidente dell’importanza dell’allevamento nella società ebolitana del
XII secolo: il numero di capi portati a benedire, e di conseguenza le offerte,
doveva essere talmente rilevante da farne singolare oggetto di richiesta di cor-
responsione648 . Ad un altro livello possiamo notare come evidentemente la
benedizione degli animali avesse un significato rituale apotropaico, legato al
timore che epidemie improvvise, una costante dolorosa nell’allevamento fino
all’età contemporanea, potessero decimare gli armenti, evenienza chiaramen-
te funesta, almeno per quella parte di società che affidava all’economia pasto-
rale un ruolo determinante per la propria sopravvivenza, parte che, come si è
visto, non doveva essere trascurabile.
La pianura del Sele è stata dalla preistoria fino ai giorni nostri importante
terminale della transumanza autunnale lungo la direttrice Appennino-Tirreno:
greggi e pastori dai pascoli montani di Laceno e dei Monti Picentini percor-
rendo le comode vie naturali del Tusciano e del Sele andavano a svernare nella
piana, così come dall’Appennino lucano, per risalire poi in estate ai pascoli
Economia e società 119
3) I mercati
Idrisi nel passo riportato all’inizio di questo lavoro ricorda navi da carico
che approdano presso il porto del Sele, evidentemente per imbarcare pro-
dotti che poi andavano a commerciare sulle piazze dei centri costieri. In
effetti la conformazione morfologica del territorio offre nello spazio di po-
che decine di chilometri tre aree ecologiche complementari: una pianura
costiera a Sud segnata da corsi d’acqua e vasti laghi palustri, basse colline e
pianure interne nella parte mediana, montagne ricoperte da boschi a setten-
trione, aree, come si è visto, ben collegate tra loro. Si tratta evidentemente di
una condizione particolarmente felice, potenzialmente favorevole allo svi-
luppo di traffici commerciali, anche alla luce di quanto detto a proposito dei
prodotti della terra e dell’incolto.
Ma quale era il sistema di approvvigionamento e quali i prodotti del ter-
ritorio che i mercati richiedevano? Le fonti scritte risultano alquanto avare
in proposito, tuttavia i brandelli di documentazione disponibili dischiudono
un orizzonte stimolante, seppur percepibile solo in parte.
124 La Piana del Sele in età normanno-sveva
quisizione dei porti del Sele concretizzata nell’incamerameto tra i beni ab-
baziali del porto di Mercatello e, forse, del porto alla foce del Sele687 . Gli
stessi enti conseguono esenzioni sugli attraversamenti da parte dei signori
normanni688 .
L’interesse per gli approdi e i guadi del Sele è evidentemente legato ad
aspetti economici: la semplice riscossione dei dazi su un punto nevralgico
nello scacchiere delle comunicazioni tra il Sud e il Nord del Regno quale il
porto fluviale sotto il ponte della vecchia popilia sul Sele doveva garantire
notevoli introiti alla Chiesa salernitana, tanto più possedere approdi lungo il
fiume consentiva un grosso vantaggio nel trasporto delle merci al mare e di
qui alle case-madri o al mercato, come si è già visto per San Benedetto di
Salerno. In particolare questo situazione doveva risultare particolarmente
vantaggiosa per la Chiesa salernitana dal 1058 esente dal pagamento del
plateatico a Salerno e in tutto il Principato689 . Non diversamente tali privile-
gi e il possesso dei porti del Sele risultavano grandemente vantaggiosi per
gli abati di Cava che dal 1086 possedevano i porti di Vietri e Cetara690 ,
approdi dove si sarebbero potute far affluire facilmente le produzioni della
piana per poi convogliarle verso la casa madre o il vicino mercato di Saler-
no, senza contare che dagli stessi porti agli inizi del XIII secolo si caricava-
no «nucellas, castaneas, lignamina vel alia»691 . Nel 1276 in via eccezionale
Carlo D’Angiò consentì che l’abbazia di Cava trasportasse via mare 300
salme di frumento, orzo e legumi dal Sele. I regi ufficiali vigilarono, su
disposizione del sovrano, affinché le derrate non fossero trasportate in altro
luogo se non all’abbazia692 , circostanza che induce a ritenere che vi fosse il
sospetto di una produzione per il mercato, ora vietata dal re, ma che prima
era forse praticata.
I cereali della Piana dovevano essere tra i prodotti più richiesti sui mer-
cati693 . Sin dall’XI secolo si hanno indizi di una produzione cerealicola in
queste terre finalizzata anche al mercato. Nel 1073 infatti il chierico Giaquinto,
su mandato dell’arcivescovo salernitano Alfano I, concede ad laborandum
una terra in loco Tusciano, stabilendo come corresponsione annuale un mog-
gio di buon frumento (triticum bonum) secondo la misura del moggio plate-
atico di Salerno con il quale ille diebus per hanc civitatem publice venumda-
bitur iuste694 . Nel XIII secolo grano proveniente dalla piana del Sele è testi-
moniato sulla piazza di Amalfi695 .
Altro prodotto che doveva riscuotere interesse sulle piazze, forse non
solo del Regno, era sicuramente il legname, materiale strategico di primaria
126 La Piana del Sele in età normanno-sveva
importanza per la costruzione delle navi, che, come si è visto veniva acqui-
stato in queste terre da mercanti amalfitani e salernitani nel XII secolo696 .
Ma anche più a nord i boschi dei Monti Picentini dovevano costituire un
prezioso ed abbondante serbatoio di essenze arboree. Le montagne offriva-
no, infatti, sconfinate estensioni di faggete, tanto da mutuare spesso da esse
il nome già nel Medioevo, come si coglie in Faitum, rilievo dei Picentini
alle spalle di Campagna697 , essenze da cui si poteva ricavare materiale per la
costruzione delle parti immerse delle barche, per i remi, per la realizzazione
dei carri e delle zappe, oltre che per ottenerne del buon carbone. In questo
contesto appare indicativo che tra i monti Picentini sulla dorsale che costitu-
isce lo spartiacque tra l’alta valle del Tusciano e del Sele, dove domina quasi
incontrastata la faggeta, si siano conservati toponimi quali Serra della Costa
d’Amalfi e Varco delle Tavole, forse traccia di attività di taglio e lavorazio-
ne di tronchi d’albero698 . Se si considera la presenza nel Medioevo di Amal-
fitani in quelle zone699 e l’interesse che questi ultimi mostrano per la com-
mercializzazione del legname di cui riforniscono i mercati nordafricani700 ,
fa pensare ad un collegamento tra le due cose forse sin dal IX secolo, ai
tempi del Pactum Sicardi nel quale si accenna ai mercanti dei ducati costie-
ri, gli amalfitani in particolare, che attraccano con le loro imbarcazioni in
partibus Lucaniae, ossia nel territorio pestano, il cui confine occidentale era
costituito sin dalla fondazione della colonia di Poseidonia, proprio dal Sele.
E’ dunque probabile che i mercanti dei Ducati costieri alla ricerca di legno
attraccassero anche alla banchina del portus maris del Sele ricadente in
partibus Lucaniae701 . Dalle foreste montane e dai boschi costieri il prezioso
materiale strategico poteva essere comodamente fluitato lungo il Sele fino
al porto alla foce, nel luogo che, significativamente, viene ricordato nelle
fonti dagli inizi dell’XI secolo come Mercatellum, quasi a marcarne una
specificità funzionale702 . Di qui, gli Amalfitani o altri mercanti potevano
fare rotta verso i grandi mercati, anche oltremarini.
Se il commercio del legno poteva costituire un richiamo considerevole
per i mercanti che si recavano alla foce del Sele, soprattutto nell’ottica del
mercato a lunga distanza, non mancavano sulla piazza di Mercatellum altri
articoli di cui le terre della piana non dovevano difettare, quali, come si è
detto, il bestiame703 o i cereali. Tutto ciò doveva avvenire sotto la sorve-
glianza dei portunarii, il cui ufficio contemplava, come si è ricordato, anche
la riscossione dei dazi relativi al trasporto delle merci704 . Nel rafforzamento
dell’importanza di queste postazioni fluviali dovette assumere un ruolo non
Economia e società 127
lino, non lontano dalla chiesa di San Barbato722 . Ancora nel 1186 è menzio-
nato un mulino in contrada Costerolo723 mentre nel 1220 è ricordato il mu-
lino de Albiscenda della Chiesa salernitana724 , infine nel 1255 il mulino
detto Via la cui quarta parte viene venduta per 11 once d’oro725 .
Una delle attività artigianali più importanti nel territorio doveva essere
l’arte della tessitura. Già nel 1090 Roberto di Principato, confermando al-
l’arcivescovo di Salerno Alfano II le decime su alcune attività che si teneva-
no nel territorio di Eboli (decimas... predicte terre nostre Eboli), ricorda le
tincte e le celendre731 , termini con i quali si indicavano le tintorie per i panni
(tincte) e le macchine per la realizzazione di questi (celendre, i cilindri per la
follatura dei panni). Documenti posteriori confermano la continuità di que-
sta attività manifatturiera anche nei secoli successivi732 . Tali attività si svol-
gevano nel XII secolo in edifici con funzioni esclusivamente produttive,
controllate dal sovrano, come mostra un documento relativo alla tincta di
Salerno in cui il re Tancredi concede all’arcivescovo «tinctam totam et inte-
gram cum domo in quo exercetur tincta et ominbus pertinenciis eiusdem
omi et cum...appenditiis ipsius tincte»733 .
Un addetto di Eboli alla produzione dei panni era quell’Arnaldo tessitore
ricordato in un documento del 1212 come possessore di una vigna in località
Moreno734 . Altra figura incardinata al settore della manifattura tessile è quella
del parmentarius o palmentarius735 , come quel Matteo di Eboli che appare
per la prima volta in un documento del 1193 come fideiussore in una con-
cessione di terre736 . Qualche anno più tardi, nel 1202, troviamo lo stesso
Matteo costretto a vendere una casa ad Eboli per mezza oncia d’oro al cia-
battino Pietro pro intolerabili necessitate et ingenti tempore famis737 , circo-
stanza non rara in quegli anni tribolati738 . La circostanza che Matteo compa-
ia ancora come fideiussore in un documento del 1208739 , fa ritenere che la
crisi in quegli anni, almeno per lui, fosse ormai alle spalle.
E’ probabile che l’attività tessile ad Eboli fosse agevolata dalla vocazio-
ne pastorale di parte del territorio. Il facile approvvigionamento di lana nella
zona, insieme alla grande disponibilità di legna necessaria al funzionamento
degli opifici, avrà favorito questo settore produttivo.
Attività in qualche modo affine al tessile era la lavorazione delle pelli, e
qui le attestazioni risultano molto più numerose: pellipari, conciatori, cia-
battini (corviserii) fanno spesso capolino nelle carte considerate a partire dal
1098, allorquando il corviserius Palumbo compare come fideiussore in una
compravendita nel locus Tusciano740 . Anche qui, come negli altri settori
dell’artigianato, emergono disparità nella condizione socio-economica: se
nel 1153 Domenico corviserius poteva investire 45 tarì d’oro per acquistare
una terra nei pressi di Eboli741 o nel 1212 Trogisio calzolaio compariva come
fideiussore in una transazione per ben 4 once d’oro742 , nel 1212 la vedova
Economia e società 131
Da quanto visto finora si può affermare che la totalità delle attività arti-
gianali fossero favorite ad Eboli dall’abbondanza delle materie prime dispo-
nibili sul territorio, in primo luogo il bestiame, ma anche la creta e probabil-
mente giacimenti ferrosi e soprattutto dalla ricchezza delle foreste da cui
proveniva il legname, necessario,come è noto, in grande quantità nei pro-
cessi di produzione ricordati. Bisogna dunque sottolineare ancora una volta
quanto fosse prezioso lo sfruttamento e, insieme, la salvaguardia dell’ele-
mento selvatico del territorio per gli equilibri e la crescita economica della
terra di Eboli.
134 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Tra i mestieri singolari che si esercitavano a Eboli vi era quello del can-
tatore e dello iocularius, del giullare, i professionisti medievali dello svago
che dovevano forse rallegrare le tavole dei notabili ebolitani o le feste che si
tenevano nel borgo, organizzando piccoli spettacoli in cui recitavano versi,
ballavano e cantavano. Un Giovanni iocularius è ricordato in un documento
del 1189775 ; un Pietro cantatore vende una metà di una terra presso Eboli per
2 once e mezza d’oro nel 1213776 mentre un Roberto cantatore acquisisce
nel 1252 una terra con ulivi alla località Grataglie di Eboli777 e nel 1255
vende un uliveto in località Moreno per ben 6 once d’oro778 . Si tratta di
uomini di spettacolo, diremmo oggi, la cui condizione economica, come si è
visto, in taluni casi non è affatto disprezzabile, ma su di essi grava da sempre
un pregiudizio: si dice che fossero personaggi spesso dalla reputazione non
cristallina, marginali, ritenuti portatori di una carica trasgressiva, sovverti-
trice dei valori stabiliti e che la storiografia corrente dipinge come oggetto
costante di vituperio, in particolare da parte delle autorità ecclesiastiche779 .
Il fatto che la figlia dello iocularius Giovanni, Oliente, sia una oblata (soror
et oblata) di uno dei più prestigiosi cenobi di quegli anni, la Santissima
Trinità di Cava, e non si vergogni del mestiere del defunto padre, tanto da
ricordarlo in una carta di concessione dello stesso monastero780 , fa riflettere
sulla pericolosità di utilizzare la bussola del luogo comune quando ci si vo-
glia orientare tra le strade insidiose del Mezzogiorno medievale.
Un altro mestiere da sempre considerato sul crinale della legalità è quello
del tabernarius, il gestore della taverna, che troviamo in diversi documenti
del casale Tusciano nei secoli XI e XII. La taverna del Tusciano, o almeno
quella cui si riferiscono i nostri documenti, si trovava non lontano dal fiume,
nei pressi della chiesa di Sant’Arcangelo, sulla via che conduceva ad Eboli.
La taverna era stata donata insieme ad alcune terre dal duca Ruggiero Borsa
all’abbazia cavense nel 1089781 . E’ difficile dai dati disponibili dedurre quale
fosse la funzione della nostra taberna, termine che, come è noto, in età
normanna e sveva assume il duplice significato di ostello e di bottega in cui
si effettuano anche piccole transazioni782 . La collocazione lungo una strada
trafficata come quella che da Battipaglia conduceva ad Eboli, via che seguiva
il tracciato dell’antica popilia783 , lascia trasparire una funzione di ospitalità
della taverna, ma una serie di transazioni del XII secolo, relative a terre del
casale Tusciano, in cui Vito e Giovanni, figli del tavernaio Andrea compaiono
quali fideiussori, fa ritenere che nella taverna si concludessero anche accordi
commerciali784 . La posizione della taverna del Tusciano nei pressi di uno
Economia e società 135
te cruento nelle terre del Salernitano principalmente per l’azione dello sve-
vo Dipoldo di Vohburg 813 , a determinare l’aggravarsi di insicurezza e peri-
coli per gli abitanti di queste terre. In genere è la condizione di vedovanza a
creare i disagi più gravi: si è già accennato ad alcuni casi814 a questi aggiun-
go la vicenda della vedova Maria e dei figli Abioso, Agnese e Giovanni che
pro famis necessitate et pondere debiti si vedono costretti a vendere una
casa nel quartiere della parrocchia di San Giorgio nel 1194815 . La fame è
naturalmente effetto della povertà, una povertà talmente forte da non per-
mettere neppure la possibilità del cibarsi per sopravvivere. I poveri nella
nostra documentazione emergono quasi esclusivamente come soggetto pas-
sivo, e questo fatto non suscita sorpresa. Ciò che forse sorprende un po’ di
più è che i poveri compaiano nei documenti esaminati solo a partire dalla
metà del XII secolo, ma anche questo, come si vedrà, non è forse un caso.
Solo a partire dal 1151 infatti si fa specifica menzione nelle carte di donazio-
ne a distribuzione di beni ai poveri, segno forse che in quegli anni la presen-
za di quest’ultimi andava facendosi più vistosa816 . Altro sintomo del timore
di un’incipiente indigenza diffusa nelle terre ebolitane nella seconda metà
del XII secolo, si coglie nei documenti in cui intere famiglie offrono se stes-
si e i propri beni agli istituti monastici ricevendone in cambio la sicurezza di
un sostentamento vitalizio. Così ad esempio nel 1152 Giovanni Caputalvus
e la moglie Trotta offrono alla Santissima Trinità di Cava tutti i loro beni
mobili ( ben tre case nel quartiere ebolitano di San Lorenzo e due terre nei
dintorni del castello) per la salvezza delle loro anime, ma se ne riservano
l’usufrutto vita natural durante, obbligando il monastero ad intervenire nel
caso tali rendite non si fossero rivelate bastevoli al loro sostentamento817 .
Il caso di questi due coniugi fa comprendere come l’angoscia di ritrovar-
si improvvisamente poveri fosse avvertita come una possibilità non remota
in questi anni anche da personaggi che si possono ritenere benestanti, segno
di una situazione generalizzata di incertezza818 . Numerose sono le testimo-
nianze documentarie in questi anni di pie oblazioni testamentarie in favore
dei poveri a Eboli e nel territorio della Piana. Così ad esempio nel 1156
Teodoro del casale Tusciano in punto di morte stabilisce che venga venduto
un terreno di sua proprietà del valore di 92 tarì e che metà del ricavato venga
distribuita ai poveri per la salvezza della sua anima819 .
Più in generale si può notare, come si è accennato, che questi segnali
emergano alla metà del XII secolo, ovvero in coincidenza con la crescita
insediativa nel castellum Ebuli e con l’espansione extramurana, segno evi-
140 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Ancor più sospetto può apparire il caso in cui il donatore si riserva l’usu-
frutto della pia oblazione vita natural durante, come nel caso di Giacomo
che possiede numerosi beni al casale Monte e a Eboli e offre questi e se
stesso a Dio e al monastero di Cava nel 1225 riservandosi l’usufrutto fino
alla morte e la facoltà di vendere parte dei beni se ne avesse avuto necessità.
Giacomo era sposo di Sibilia, dalla quale, con ogni probabilità, non aveva
avuto figli, ma nella donazione non se ne dimentica, precisando che la sposa
potrà risiedere nella loro casa di Eboli vita natural durante oltre a continuare
a godere del suo morgengabe. La sua condizione di oblato gli permetteva di
continuare a vivere ad Eboli e portare avanti i suoi affari, ma quando avesse
voluto avrebbe potuto varcare la soglia del chiostro, accolto dai confratelli
che lo avrebbero rifornito delle vesti appropriate. Se disgraziatamente fosse
morto senza aver potuto indossare l’agognata veste dell’obbedienza clunia-
cense, allora i monaci lo avrebbero fatto seppellire con tutti gli onori e avreb-
bero provveduto a far distribuire mezza oncia d’oro per la salvezza della sua
anima837 . Quante clausole e quante precisazioni! Come nei matrimoni an-
che con il Signore bisogna stabilire nei particolari ogni cosa.
A volte però può essere sufficiente una donazione sul letto di morte per
conseguire la speranza della Salvezza. Così, ad esempio, nel 1145 Umfredo
di Tusciano per la remissione dei suoi peccati fa dono al cenobio cavense di
alcune terre per ricevere a presenti et usque in perpetuum...fidelem oratio-
nem suprascripti monasterii fratrum838 . Molto particolareggiato è il testa-
mento di un ricco abitante del casale Tusciano, Marino che nel marzo del
1171, gravemente malato ormai prossimo alla morte, stabilisce di donare
200 tarì d’oro al monastero della Santissima Trinità di Cava e di destinare 50
tarì d’oro in parte per il trasporto del suo cadavere al predetto cenobio e in
parte ai poveri e ai sacerdoti. Il resto del suo patrimonio sarà ereditato da una
tale Maria che se dovesse morire senza figli, donerà la sua eredità al mona-
stero di Cava839 . Altre volte ci si trova di fronte a un lascito più articolato:
Domenico del casale Tusciano lascia tutti i suoi averi nel 1181 al fratello
Mauro, obbligandolo però a dare due once d’oro che serviranno ai sacerdoti
di Eboli e del Castelluccio di Battipaglia per i suoi funerali e per cantare
messe in suo suffragio. Inoltre lascia una terra laboratoria per la salvezza
della sua anima al cenobio cavense840 . Probabilmente Domenico, lasciando
pii donativi a diverse istituzioni ecclesiastiche, riteneva che la sua anima
avrebbe tratto maggior giovamento a ragione della più continua preghiera
che avrebbe ricevuto. Nel 1232 la vedova Menzania, morta senza eredi di-
Economia e società 143
CAPITOLO IV
Alcune considerazioni conclusive:
le terre tra Tusciano e il Sele
nel Medioevo, tra continuità e fratture
«Est prope dulce solum, nobis satis utile semper,
Ebolus, aspirans,quod petit urbis honor»
Liber ad honorem Augusti, vv. 404-405.
«Haveva questa nobilissima Terra [di Eboli] sotto di se da trenta casali, i quali
per la calamità de’ tempi sono rovinati e la gente si ridusse in un gran corpo
principale di mura cinto con bellissimi, alti e grandi edificij, e con un castello
ampio, e molto commodo.»
BACCO 1629, p.191.
Enrico Bacco, storico napoletano del XVII secolo, raccontava di una terra
di Eboli un tempo pullulante di numerosi casali, 30 si diceva, forse esagerando,
ai suoi giorni ormai scomparsi. Cos’era divenuta la pianura del Tusciano-Sele
ai tempi di Bacco? è lo stesso storico ad informarci:«Questa pianura è
abbondantissima di grani, ogli, vini et altri buonissimi e bellissimi frutti di
diverse maniere. Quivi si fa bellissima cacciagione di diversi animali...; [Questa
pianura è] ornata anche d’ombrosi boschi e di verdeggianti pascoli con chiare
e buonissime acque per le greggi et armenti di capre, pecore, bufale, vacche e
buoi et altri animali de’ quali tutta è piena la campagna; quivi parimente è un
bellissimo e gran lago, ove si fa pescagione di diversi e buonissimi pesci per
entrarvi il mare»845 . Riconosciamo i luoghi, ma di uomini neppure l’ombra!
Brutta faccenda per lo storico che, come argutamente rilevava Marc Bloch, è
un po’ come l’orco delle fiabe, per natura attratto dall’odore degli uomini. In
effetti, se confrontiamo il vociare incessante dei secoli XII e XIII con il cupo
silenzio che avvolge la piana acquitrinosa e i Monti di Eboli nel XVII, rotto
solo dal passaggio di qualche pastore o dalle attività di masserie isolate, c’è da
restare perplessi. Ancora più inquietante appare il quadro tratteggiato nella
celebre descrizione del Galanti circa un secolo dopo: viaggiando tra Salerno
ed Eboli non incontrò neppure un villaggio846 .
146 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Ma cosa era accaduto, quale era stata la causa della scomparsa di villaggi,
di chiese, di mulini, di strade percorse nel Medioevo da cavalieri, religiosi,
mercanti, artigiani, contadini, allevatori, insomma da un’umanità affaccendata
e dinamica? Troppo semplicistica appare una spiegazione che riconduca la
radice di questo collasso a cause esterne quali la guerra del Vespro o i conflitti
degli inizi del XVI secolo che pure videro queste terre razziate da eserciti di
mercenari847 . Una serie di motivazioni più complesse e più profonde dovettero
determinare quella che appare come una catastrofe insediativa, con pochi
precedenti nella lunga vicenda di queste terre.Ad osservare le cose in prospettiva
si ha come l’impressione che un terremoto sociale, economico, politico abbia
scardinato dalle fondamenta il paesaggio antropico delle terre tra il Tusciano e
il Sele ad un certo punto della sua vicenda. Si tratta tuttavia di impressioni e
chi voglia indagare il passato non può accontentarsi di queste. Certo, per
comprendere appieno bisognerebbe analizzare la vicenda di queste terre fino a
tutta l’età moderna, tenendo conto della generale crisi demografica del XIV
secolo e della congiuntura economica negativa che condizionò le vicende del
Mezzogiorno sino al XVI secolo848 . Limitandoci al Medioevo normanno-svevo
si può tentare di fornire alcune prime risposte, individuare dove possibile le
radici, il resto è una storia che attende ancora di essere narrata.
NOTE
1
Si veda ad es. il recentissimo PINTO 2005, p. 6, in cui lo studioso accosta le aree pianeg-
gianti della valle del Sele nel Medioevo alle pianure di Sibari e Metaponto definendole «in
gran parte incolte, paludose e malsane».
2
DELOGU 1977; PEDUTO 1990.
3
DI MURO 2001; Per le fonti archeologiche DI MURO et alii 2003; DI MURO-LA MANNA
2004.
4
DI MURO 2001.
5
CARUCCI 1922.
6
DI MURO 2001.
7
L’invito con i quali i primi normanni stanziati a Salerno avrebbero invitato i loro conna-
zionali ad unirsi a loro in Amato di Montecassino, si veda ad es. DELOGU 1977.
8
CDC, II, pp. 209-210, DI MURO 1993, p. 65. Tutti i diplomi che si riferiscono alle terre di
Eboli e Battipaglia redatti tra il 799 e il 1264 sono regestati in C ARLONE 1998. Per evitare di
appesantire ulteriormente l’apparato delle note ho preferito in genere non citare l’utilissima
opera del Carlone quando ho potuto leggere l’originale o consultare le precedenti edizioni
complete o parziali dei documenti.
9
Ad esempio sulle sponde del lago detto Maggiore, lungo il litorale, era possibile trovare
delle lintre, si veda il documento del 1073 edito in P ENNACCHINI pp. 39-42.
10
La via è ricordata con questo nome a partire dal 1105, DTC, D, 51; dal documento si
evince che la strada transitava nei pressi della chiesa di San Nicola, ricordata nel XIII secolo
come San Nicola de Lagno a Campolongo. Per la posizione di San Nicola de Lagno, TELESE
1991, p. 35. e infra.
11
La via antiqua che giunge a Santa Cecilia è ricordata in un documento del 1146, ed.
BERGAMO, pp. 132.
12
DTC, H, 5, a. 1148, DTC, XXV, 114, a. 1145.
13
E’ probabile che la denominazione ‘guado di san Vito’ dipendesse dal fatto che la via che
da qui si originava conducesse al celebre santuario sulla riva del Sele per il quale si veda infra.
14
CDC, II, p. 209, a. 976; DI MURO 1993, p. 65.
15
CDC, II, p. 210, a. 976; DI MURO 1993, p. 65.
16
CDC, I, p. 14, a. 823.
17
Per il viaggio degli ambasciatori bizantini B ERTOLINI 1968, I, p. 176.
18
CDC, V, pp. 122-123, a. 1026.
19
VENEREO, III, p. 78.
20
CDC, VI; p. 37-38, a. 1035.
21
CDC, VII, pp. 100-101.
22
Il percorso è definito in un documento del 976, CDC, VIII, pp. 52-55, ins., in cui trattan-
do di beni che si trovano nei pressi del Lama, si accenna ad una via antiqua que venit usque
Note 163
ecclesiam sancti Petroniani et trabersat rivus de Lama et pergit erga ecclesiam Santi Quirini,
la chiesa di San Cirino e Quingesio a Faiano.
23
AC, XLII, n. 37, a. 1189. Per il reticolo viario del Tusciano cfr. anche DI MURO 1993, pp.
61-65.
24
Si tratta del ponte nei pressi di Santa Maria Zita DTC, XLI, 34, a. 1186; CDS, p 159. a.
1231. Nei pressi di questo ponte si sviluppò il casale principale del territorio, si veda infra il
paragrafo sui casali.
25
Per la via Capua-Reggio nel Medioevo D ALENA 2003 b.
26
CARLONE 1998, n. 427, a. 1193.
27
ID. si veda anche BRACCO1974.
28
Per strata si intende una via lastricata, verosimilmente una strada romana.
29
CARLONE 1981, p. 98, n. 211, a. 1216; ID, p. 143, n. 307, a. 1249.
30
ID., p. 261, n. 519, a. 1393.
31
Così si deduce da un documento di compravendita I D., p. 195, n. 407, a. 1273.
32
ID., p. 61, n. 127, a. 1193.
33
E’ noto come l’alta valle del Sele costituisse un vero è proprio raccordo che metteva in
comunicazione le aree del Tirreno con Conza e quindi da un lato la valle dell’Ofanto e la
Puglia e dall’altro l’alta Irpinia e Benevento. Cfr da ultimo F ILIPPONE 1993, pp. 21-25. Vedi
infra. Le comunicazioni con la Calabria avvenivano in età longobarda percorrendo ancora la
popilia come dimostra la tappa fatta a Capaccio da Ottone II nel corso della sua avanzata verso
Crotone; per il doc. si veda PAESANO 1846, I, pp. 78-79. Sulla viabilità in Italia meridionale nel
Medioevo si rimanda al fondamentale DALENA 2003b.
34
DI MURO 1994; DI MURO 2000.
35
Il portus maris del fiume Sele è ricordato per la prima volta nel testamento di Guglielmo
di Principato i favore della abbazia cavense nel 1128, DTC, F, 44: Anche Idrisi lo ricorda nella
sua opera , IDRISI, p. 93.
36
DTC, XVIII, 17, a. 1105 ma il porto è sicuramente precedente, si veda più avanti il
capitolo sugli insediamenti.
37
Per la strada antica Poseidonia-Sele si vedano G RECO 1987, p. 495 e D. GASPARRI 1989,
p. 262.
38
DTC, F, 44, offerto insieme al portus maris.
39
PAESANO, I, pp. 96-97, n. 2.
40
ID, II, p. 116, a. 1141.
41
Ancora nella seconda metà del XVIII secolo esistevano due scafe lungo il basso corso
del Sele, una che attraversava il fiume in corrispondenza della località Fiocche (oggi ponte
Fiocche), l’altra che consentiva il transito sul fiume in località Ponte Barizzo. I due attraversa-
menti erano funzionali alla strada detta del Cornito che partendo da San Giovanni di Eboli si
inoltrava verso Fiocche e il Sele, percorsa dai vari Winckelmann, Canova, Goethe, Lady Bles-
sington, Lenormant sulle loro carrozze per raggiungere le rovine pestane (C ESTARO 1984, pp.
7-8), ricalcando in pratica il tragitto della nostra via carraria.
42
IBID.
43
Nel documento si fa riferimento ad una via che dal castello di Eboli va alla chiesa di San
Nicandro. DTC, B, 30, a. 1083, chiesa che si elevava nei pressi del Telegro, come si evince da
una compravendita del XII secolo, CARLONE 1981, n. 143, p. 69, a. 1195.
44
DTC, E, 35. Si ricorda che le situazioni esposte in precedenza erano riferite a concessio-
164 La Piana del Sele in età normanno-sveva
ni di diritti di passaggio, non semplici esenzioni come in questo caso, a enti ecclesiastici che
avrebbero potuto quindi chiedere dazi per l’attraversamento dei guadi loro concessi dall’auto-
rità pubblica.
45
PEDUTO 1984, pp. 73-74.
46
CDC, VI, pp. 148-149.
47
Si veda anche DI MURO 2000.
48
PENNACCHINI, p. 75, a. 1164.
49
ID., p. 73.
50
ID. p. 76.
51
Si veda infra il capitolo sugli insediamenti.
52
PENNACCHINI 1941, p. 79, a. 1164.
53
ID., p. 85.
54
ID. p. 87.
55
ID, pp. 91-99.
56
Il documento oggi perduto è del 1168; Si tratta di una ricognizione ordinata dal conte
normanno Enrico di Principato ed è riportato in RIVELLI, p. 97 e da GIBBONE, pp. 120-122, n. 1;
si veda anche CARLONE 1981, pp. XV-XVI, n. 23.
57
Per la viabilità nell’alta valle del Sele cfr. FILIPPONE 1993, pp. 21-25, 33.
58
Nella documentazione si rinvengono oltre quelle ricordate FILIPPONE 1993, pp. 21-25,
33.
58
Nella documentazione si rinvengono oltre quelle altre attestazioni di attraversamenti
sul Tusciano, , quali il vadu de benaturi DTC, XVI, 81, a. 1098 e il guado di Sant’Elia DTC,
XLIII, 25 a. 1192.
59
DI MURO 1993.
60
Si veda a tal proposito DI MURO 2004 in c.d.s.
61
Si veda infra la parte relativa al castello di Olevano.
62
Si veda DI MURO 2000.
63
CDC, VII, pp. 30-31. DI MURO 2000.
64
Per Rao Trincanotte, Guimondo de Mulisi e Emma si veda M ENAGER 1973, p. 354, n. 1.
Per i problemi legati alla falsificazione dei diplomi ebolitani che trattano di Emma si veda
CARLONE 1998, pp. 16-17 n. 1.
65
DI MURO 2000.
66
AMATO di MONTECASSINO, I, pp. 161-162. Si veda anche CARLONE-MOTTOLA 1984.
67
Per le intricate vicende che videro protagonisti Gisulfo II, Guglielmo d’Altavilla e Ro-
berto il Guiscardo si rimanda a SCHIPA pp. 216-220; per l’estensione del principato di Salerno
negli anni 60 dell’XI secolo si veda anche CARUCCI1922, pp. 277-278, 382-383.
68
PAESANO pp. 122-123.
69
DTC, B, 21 e 30.
70
DTC, D, 51, a. 1105.
71
Si pensi ad esempio al caso famoso di Roberto il Guiscardo che sposò i seconde nozze
una figlia di Guaimario IV, Sichelgaita.
72
DTC, D, n. 51, a. 1105; DTC, E, n. 35, a. 1114.
73
DTC, XXI, 21, a. 1119.
74
Cfr. ad es. CARUCCI 1922, pp. 382-383.
75
DTC, XXIII 44.
Note 165
76
Anche a Salerno alla fine dell’XI secolo sono attestati insieme uno stratigoto e un
vicecomes, CARUCCI 1922, p. 396, n. 2. E’ probabile che lo stratigoto amministrasse in questi
anni senza alcuna restrizione ogni sorta di giustizia. La divisione tra amministrazione della
giurisdizione bassa e della giurisdizione alta avverrà come è noto solo qualche anno più tardi
con l’istituzone dei giustizieri (a. 1136) si veda a tal proposito CASPAR 1999, pp. 284 ss.
77
Per queste ultime vicende si vedano il classico C HALANDON 1905-1909, II, pp. 199-235,
e CARLONE 1998, pp. VIII-IX.
78
La fedeltà di Eboli all’imperatrice Costanza d’Altavilla è esplicitamente enunciata nel
Liber ad honorem Augusti, p. 148, vv. 615-618. Pietro fa esprimere così l’imperatrice assediata
dai salernitani in castel terracena: « Huius ad exemplum, cives, concurrite gentis, que sit in
Ebolea discite gente fides. Ebole, ni peream, memore tibi lance rependam, pectoris affectus,
que meruere boni».
79
CDS, I, pp. 135-136. CARLONE 1998, IX.
80
CARLONE 1998, n. 551, Ibid. n. 571.
81
Baiuli nella terra di Eboli Ibid. 598 a. 1224, Ibid. 621, a. 1229.
82
Per le costituzioni di Capua si veda ad es. K ANTOROWICZ, pp. 100 ss. Per le ripercussioni
sul territorio di Eboli si rimanda infra al capitolo conclusivo.
83
CARLONE 1998, X.
84
Ciò si deduce chiaramente dal documento del 1090 in cui Roberto di Eboli conferma e
riconosce i diritti della archidiocesi salernitana nel territorio a lui soggetto, PENNACCHINI, pp.
51-54 Per la definizione territoriale del comitato di Eboli si veda anche CARLONE 1998, p. VIII.
85
DTC, E, 35. Del resto la nonna di Roberto, la contessa Emma de Ala, già possedeva
negli anni 80 dell’XI secolo, un gran numero di terre e chiese lungo il basso corso del Tuscia-
no, si veda a. e, DTC, B, 22 a. 1082, ivi, C, 20, a. 1089.
86
CARLONE 1984, p. 28, n. 126. Probabilmente però tale signoria si protrasse per un perio-
do limitato e forse terminò con la morte di Roberto,. Da allora si hano notizie di forti contrasti
tra i due centri, contrasti si coglie un riflesso nel Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli:
«Est prope Campanie castrum, specus immo latronum, Quod gravat Eboleam sepe latenter
humum», p. 128, vv. 406-407.
87
A questo proposito si veda CILENTO 1966, p. 9.
88
Per queste vicende DI MURO 2001.
89
PAESANO 1847, I, pp. 136-137.
90
CDS, I, pp. 132-133. Oltre quanto già confermato da Roberto si aggiunga la chiesa di San
Pietro de Toro con i suoi benefici presso il Sele, donata da Nicola di Principato nel 1141 insieme
ad altre terre e selve tra il Telegro e il Sele, nei pressi di Fiocche, PAESANO II, pp. 115-117.
91
PAESANO II, pp. 147-149.
92
PAESANO II, pp. 115-117.
93
CDC, VI, p. 37-38. Si tratta però probabilmente di un falso.
94
DTC, B, 22.
95
Si veda infra.
96
DTC, C, 17.
97
DTC,C, 19.
98
DTC, G, 48.
99
DTC. C, 20. Il documento è ritenuto dal Carlone una falsificazione del XII secolo,CARLONE
1998, p. 22, num. 43.
166 La Piana del Sele in età normanno-sveva
100
DTC, D. 51. Nei pressi vi è una chiesa di San Nicola.
101
DTC, XVIII, 71.
102
DTC, XVIII, 85.
103
DTC, XIV, 19.
104
DTC, XV, 113.
105
DTC, XVIII, 20.
106
DTC, XXXII, 8. Come è noto un’oncia corrispondeva a 30 tarì.
107
DTC, XLII, 37, a. 1189. Nella tenuta era anche la chiesa di Santa Maria de Calcarola,
DTC, XLII, 35.
108
DTC, XVIII, p. 106, a. 1109.
109
DTC, XIX, 30, a. 1112.
110
Si veda a tal proposito BERGAMO 1946
111
Cfr infra capitolo sui casali.
112
DTC, F, 44, offerto insieme al portus maris.
113
DTC, XXIV, 24.
114
DTC, XXIV, 27.
115
DTC, XXIIII, 118.
116
DTC, XXXV, 6. Anche nel 1266 l’abate Giacomo risiede a San Mattia AC, LV, 68.
117
Archivio vescovile di Minori, p.96-99, a. 1213.
118
PENNACCHINI 1942, p. 153.
119
Per i casali in Italia meridionale DALENA in c.d.s.
120
DTC, XXIV, 23.
121
DTC, XXII, 10, a. 1127.
122
DTC, XXIV, 23 a. 1137, 45a. 1138, 87 a. 1139. Si veda tab. 3.
123
Per un elenco si veda tab. 3 sotto la voce coltura e località.
124
WINKELMANN n. 764; CDS, p. 159.
125
ADS, Arca V, n. 282. Nel documento Gisulfo fa riferimento anche ad altre chiese che
però rimangono di sua pertinenza e di cui tralascia di ricordare la dedicazione.
126
CDC, VI, p. 37, a. 1035.
127
Si ricorda in un documento di donazione del 1082 che San Michele Arcangelo con-
structa est prope fluvio Tusciano … a super et prope ecclesiam Sancti Stefani, DTC, B, 22; per
la localizzazione della chiesa si veda anche DTC, C, 20, 1089. Di queste chiese si perde memo-
ria nel XII secolo.
128
DTC, XLV, 90, a. 1185. In questo documento si specifica che la chiesa di San Pietro, non
lontana da Sant’Arcangelo, apparteneva all’arcivescovo di Salerno, circostanza che induce ad
identificarla con il San Pietro donato da Gisulfo I a Pietro. Per Sant’Arcangelo si veda infra.
129
DTC, XLI, 34.
130
CDC, VI, pp. 37-38.
131
Ad es. DTC, XXXI, 113, a. 1165. DTC, XXXI, 106, a. 1166, DTC, XXXII, 69, a. 1166.
Sant’Arcangelo ricordato come monastero DTC, XXXIII, n. 45, a. 1169; DTC, XXXIII, 52, n.
52, a. 1170. Si veda anche infra.
132
Santa Maria qui dicitur Zita (CDC, VIII, pp. 263-264, a. 1055.
133
In una concessione di una terra ad laborandum in loco Tusciano del 1073 si specifica
che questa si trova sotto la chiesa di Santa Maria ubi pons dicitur; PENNACCHINI 1941, pp. 79 ss.
134
In un documento del 1182 si ricorda una terra oltre il Tusciano sopra la chiesa di Santa
Note 167
Maria zita, DTC XXXVIII, 94, e nel 1186 si menziona un podere sito a lu Ponte di santa Maria
zita DTC, XLI, 34. In questo documento Santa Maria Zita, dipertinenza della Chiesa salernita-
na, è posta nelle vicinanze di San Pietro dei Caprettoni. Santa Maria de Ponte è ricordata anche
in un documento del 1235, BALDUCCI, I, p. 93.
135
CDC, VIII, pp. 51-59, a. 1057. Si tratta di un giudicato che riporta una serie di inserti tra
cui quello relativo alla chiesa di San Petroniano. Nell’XI secolo, accanto alle chiese ricordate
nel 968, sono documentati altri oratori rurali nella piana non sempre collocabili topografica-
mente quale Sanctum Sterum, non lontana da un secondo San Pietro del Tusciano (CDC, VII,
pp. 295-296, a. 1055. Per San Pietro vedi infra.
136
DTC, XV, 113 (ins.).
137
DTC, XXXI, 19, a. 1163.
138
DTC, H, 7.
139
CDC, II, p. 203, a. 1053.
140
Per queste strade si veda supra paragrafo sulla viabilità, si veda anche DI MURO 1993;
ID. 1994.
141
DI MURO 2001.
142
DTC, C, 17. Per una sintesi delle vicende di San Mattia fino al XVIII secolo B ERGAMO
1946, pp. 57 ss.
143
Primo documento in cui si ricorda un prepositodi San Mattia DTC, XXV, 22, a. 1141.
Monastero ad es. DTC, XXXVI, 20, a. 1178.
144
DTC, XLVI, 78, a. 1222; DTC.XLVII, 117, a. 1223.
145
CDC, VII, pp. 295-296, ins. Questa chiesa di San Pietro si trovava poco a N della
chiesa di San Mattia DTC, C, 17, a. 1089
146
DTC, C, 17 ed. BERGAMO 1946, pp. 121-123; questa edizione risulta peraltro incompleta.
147
DTC, C, 21.
148
La chiesa è ricordata in loco Tusciano ubi a li Capuani dicitur ; nei pressi della tenuta
all’interno della quale sorge la chiesa vi è la antiquam viam usque ad Campum Sancte Cecilie
e la via puplica, que dessensit ad Sancta Maria de Fatua. Per la chiesa di San Pietro ad colum-
nellum si vedano anche BERGAMO 1946, pp. 131-133; LONGOBARDI 1998, III, pp. 230-231.
149
DTC, XVII, 111.
150
DTC, XLIII, 23, a. 1192.
151
Infra.
152
DTC, XXXIII, 94, a. 1168.
153
DTC,XXV, 24 a. 1142.
154
DTC, XXXIII, 83, a. 1172 La chiesa viene donata all’abbazia cavense da Luca Guarna
regio giustiziere e fratello dell’arcivescovo Romualdo II. per la localizzazione C RISCI-CAMPA-
GNA, p. 242.
155
DTC, XXXIV, 95, a. 1170.
156
Abitanti del casale Tusciano risultano da numerosi documenti quali donatori , possesso-
ri di terre, artigiani. Si veda passim.
157
Ad esempio per Sant’Arcangelo, DTC, XXXI, 113, a. 1165; DTC, XXXI; 106, a. 1166;
Per San Mattia DTC, XXV, 22, a. 1141; DTC, XXV, 24, a. 1141.
158
DTC, XXXIII, 45, a. 1169 (ordinazione a Sant’Arcangelo); DTC, XXXV, 6, a. 1176
(monacazione a San Mattia).
159
DTC, XXIII; 104, a. 1137 (Sant’Arcangelo); DTC, XLVIII, 46, a. 1225 (San Mattia).
168 La Piana del Sele in età normanno-sveva
160
DTC, XXX, 34, a. 1159, sebbene non tutti i mulini del casale Tusciano appartenessero
all’abate cavense, si veda infra.
161
Ad es. DTC, XXXIII, 52 a. 1170 (Sant’Arcangelo); DTC, XXX, 51, a. 1161 (San Mat-
tia); DTC, XXXI, 19, a. 1163.
162
DTC, 202, a. 1158 (San Mattia); DTC, XLVII, 117, a. 1223.
163
Si veda infra.
164
Il priore di San Mattia allarga le sue competenze gestionali anche su possedimenti
cavensi a Eboli (es. DTC, XLVIII, 79, a. 1226), nelle terre del Laneo (DTC, XLVIII, 46, a.
1225) Monte (DTC, XLVIII, 52, a. 1225) , Santa Cecilia (DTC, XLVIII; 8, a. 1223) e un po’
dappertutto nel casale Tusciano (DTC, XLVII, 114, a. 1223 San Clemente; DTC, XLVII, 117,
a. 1223,diverse contrade di Tusciano) mentre del priorato di Sant’Arcangelo non si fa più
menzione. Un documento del 1216 conferma quanto detto: in una controversia per il possesso
di alcune terre ad Eboli il giudice Andrea della Monaca accusa il priore di San Mattia e delle
dipendenze di Eboli e del Tusciano di avergli invaso ingiustamente una terra, DTC, XLVI, 98.
165
Si vedano ad es. Ad es.DTC, XV, 27, a. 1092 notaio Guidone; DTC XXIV, 23, a. 1137,
Madio presbitero e notaio; DTC, XXIV, 45, a. 1138, Alfanum notarium.DTC, XXIV, a. 1139,
lo stesso Alfano; DTC, XXIV, 107, a. 1140 ancora Alfano; DTC, XXIV, 23 a. 1137, 45a.
1138, 87 a. 1139 (Sant’Arcangelo).
166
DTC, XXIV, 23.
167
Per i mulini lungo i Tusciano vedi infra, capitolo sull’economia.
168
DTC, XXIV, 23.
169
CARLONE 1998, 208, a. 1160.
170
DTC, XXXVI; 33.
171
DTC, XXV, 92.
172
DTC, XXVI, 2.
173
DTC, XXIX, 32.
174
DTC, XXX, 59.
175
DTC, XXX, 51.
176
DTC, XXXII, 15.
177
DTC, XXXIV, 26.
178
DTC, XXXIV, 80.
179
DTC, XXXV, 84.
180
DTC, XXXVI, 14. La famiglia Brusca doveva essere tra le più ricche del casale tanto che
una contrada mutuò da loro la denominazione Ubi a Li Brusca dicitur DTC, XL, 44, a. 1185.
181
DTC, XXXIII, 93.
182
DTC, XXXV, 20. Altri esempi di possessori di terre del casale Tusciano DTC, XXXIV,
94, a. 1168; DTC, XXX, 26, a. 1169; DTC, XXXIII, 45, a. 1169; DTC, XXXIII, 71, a. 1170;
DTC, XXXII, 72, a. 1170 ; DTC, XXXIV, 10, a. 1174; DTC, XXXV, 6, a. 1176; DTC, XXXV,
60, a. 1176; DTC, XXXV, 70, a. 1176; DTC, XXXV, 48, a. 1177. DTC, XXXV, 50, a. 1177;
DTC, XXXVI, 41, a. 1178; DTC, XXXVI, 47, a. 1178; DTC, XXXVII, 37, a. 1180; DTC,
XXXVII; 98, a. 1181; DTC, XXXVII, 64, a. 1182; DTC, XXXVIII, 113, a. 1184; DTC,
XXXIX, 82, a. 1184; DTc, XL, 94, a. 1187; TC, XL, 95, a. 1187; DTC, XLI, 87, a. 1188; DTC,
XLI, 88, a. 1188; DTC,XLI; 72, a. 1190; DTC. XLII; 74, a. 1190. Tutti i documenti citati si
riferiscono a personaggi diversi.
183
DTC, XXV, 92.
Note 169
184
Ad es. Asclettino, figlio di Giovanni Silvatico DTC, XXXV, 6, a. 1176; DTC, XLII,
69. a. 1190.
185
Il giardino di Matteo è stato riconosciuto da Luciano Mauro dell’Università di Salerno
nell’attuale giardino della Minerva a Salerno. MAURO 1999, p. 57-237.
186
HUILLARD-BREHOLLES, I, p. 299
187
AC, M, N. 16 , a. 1221. HUILLARD-BREHOLLES, II, 1, pp. 118-122. Per le ragioni di questo
passaggio si veda infra, il paragrafo dedicato alla vicenda complessiva del comitato di Eboli.
188
Il duca sottolinea come i liberi cui si riferisce siano uomini che non abbiano rem
stabilem nel principato salernitano. Riporto per esteso l’importante parte del documento Et
omnes liberi homines qui in ipsis terris habitaverint nullum servitium aut angariam aut pen-
sionem nobis aut reipublice faciant aut persolvent, sed quidqui nobis aut reipublice facere et
persolvere debuerint tibi tuisque successoribus faciant et persolveant remota omni contradi-
tione nostra et omnium exactorum reipublice. De illis vero liberis hominibus dicimus qui rem
stabilem intra salernitanum principatum non habuerint quanto in prephatis terris ad habitan-
dum intraverint. AC, C, n. 17.
189
DTC, F, 40. Dell’autenticità del documento dubita Carlone (C ARLONE 1998, p. 51, num.
108, 1) ma la circostanza che tale donazione venga sostanzialmente confermata in un docu-
mento del 1128 (vedi nota successiva) a mio parere rende sostanzialmente verosimile il conte-
nuto dell’atto.
190
Cum omnibus hominibus in eodem loco Tusciano habitantibus, quos videlicet homines
ipse quoque dominus guiglielmus princeps et dux similiter temporis suis dominii teneri et
dominari visus est, DTC, F, 44, a. 1128; DTC, F, 45, a. 1128
191
Ad es. DTC, XXXI, 13, a. 1165; AC, XLIII, 54, a. 1192; DTC, XXIII, 104 a. 1137 (si
tratta però di una falsificazione in forma di originale redatta nella seconda metà del XII) sec.
CARLONE 1998, p. 67. Un primo vicecomes de Tusciano è ricordato nel 1085, DTC, XIV, 13.
192
Così ad es. in AC XLII, 54, a. 1192 in cui Giovanni de Golia, viceconte della Trinità nel
casale Tusciano, rappresenta l’abate in una controversia per la cessione dei beni del defunto
marito di una nubenda.
193
Matteo Nocerino nel 1206, CARLONE 1998, 497; Giovanni a partire dal 1208, ID. 498.
194
AC, XLI, 99.
195
CARLONE 1998., 501, a. 1208.
196
HUILLARD-BREHOLLES, III, pp. 259-262 a. 1231. Regesto in CARLONE 1998, p. 280.
197
Per i legami tra normanni e Trinità si veda ad es. VITOLO 1985, da ultimo LORE’ 2002.
L’ente che segnò più in profondità le vicende della piana di Battipaglia dall’età qui consi-
derata fino all’età moderna fu senza dubbio la Trinità di Cava, che nel XII secolo diventa, si è
detto, insieme alla Chiesa salernitana, il maggior detentore di terre della parte meridionale
dell’antico locus Tuscianus. Si è visto come da subito la politica di gestione fondiaria degli
abati cavensi nelle terre del Tusciano fu rivolta a una razionalizzazione dei beni, attraverso
permute e acquisizioni volte al compattamento del dominio fondiario. Un modello gestionale
che si organizza con modalità del tutto analoghe alla strutturazione della cattedra di San Mat-
teo, con i punti focali dell’organizzazione materiale nei casali e nelle chiese che ne rappresen-
tano i fulcri. Evidente differenza con la Chiesa salernitana è l’assenza nel patrimonio cavense
di un luogo materiale e simbolico che ne manifesti il ruolo: se infatti il castelluccio di Battipa-
glia, visibile da ogni punto della piana era il segnale forte del potere, anche coercitivo, dell’ar-
civescovo, la Badia non si dotò di strutture militari che andassero a soddisfare questa esigenza.
170 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Ciò è legato sostanzialmente alla natura del potere signorile di Cava su queste terre, che non
andò mai al di là della detenzione di diritti immunitari sulle proprie terre, a differenza della
signoria territoriale dell’ordinario salernitano su Olevano e sul casale-castello di Battipaglia,
circostanza che conferiva anche prerogative militari e, dunque, possesso di fortezze. Forse San
Mattia, residenza dell’abate cavense durante i suoi soggiorni nella zona, poteva costituire il
momento simbolico di rappresentazione materiale del dominio della Santissima Trinità su que-
ste terre.
198
Il primo documento che attesti Sant’Arcangelo come casale distinto dal casale Tuscia-
no è del 1173, AC, XXXIV; 80; si veda anche AC, XLIV, n. 44 a. 1196; regesto CARLONE 1998,
p. 206, n. 451.
199
CDC, VI, pp. 37-38. Il documento è con ogni probabilità un falso, ma ciò non toglie che
si possa utilizzare al fine della precisazione topografica del sito.
200
VENEREO, III, p. 78.
201
La taverna è menzionata nei pressi della via che viene dalla chiesa di Sant’Arcangelo
DTC, XIV, 117, a. 1089. Vedi anche DI MURO 1994, p. 86.
202
AC, Reg. III, Mayneri car. 15.
203
CARLONE-MOTTOLA, p. 311.
204
AC, LV, 68, a. 1266. Per queste vicende si veda infra capitolo conclusivo.
205
AC, XLIII, 75, a. 1193; PENNACCHINI1942, p. 122 a. 1208.
206
DTC, XVII, 111.
207
Il confine a settentrione è un monte DTC XVII; 70.
208
DTC, XVII, 111. Si tratta del tratto della popilia tra Battipaglia e Eboli, si veda supra il
paragrafo sulla viabilità.
209
Ricordata esplicitamente per la prima volta nel 1129 Index Perg. Caven. 22, 76, a. 1129.
210
CRISCI-CAMPAGNA, p. 329.
211
Prima attestazione DTC, XLVIII, 8, a. 1223.
212
WILKELMANN, 764. CDS, I, p. 159.
213
DTC, XVI, 36. Si tratta con ogni probabilità di un falso C ARLONE 1998, p. 29.
214
PAESANO, II, pp. 148-149. La prima citazione sicura della chiesa di santa Cecilia risale al
1146, BERGAMO, pp. 131-133.
215
Per la viabilità si veda supra.
216
Per la vicenda di San Nicola in epoca longobarda si rimanda a DI MURO 2000, si veda
anche infra la parte relativa all’agricoltura. In generale BERGAMO 1946, pp. 45-49.
217
PAESANO, pp. 148-149.
218
DTC, XXX, 31.
219
Un nucleo insediativo trapela già nelle carte dell’XI secolo, infra la parte relativa al-
l’agricoltura.
220
DTC, M, 12.
221
BERGAMO 1946, pp. 45-49. Su queste vicende anche CDC, IX, pp. 389-391.
222
WINKELMANN, 764. CDS, I, p. 159.
223
Si tratta però di una conferma; ciò fa ritenere plausibile che il casale esistesse già dal-
l’età longobarda. Si veda infra il paragrafo dedicato ai castelli.
224
CDS, I, pp. 244-247.
225
CDS, I, pp. 248-249.
226
CDS,I, p. 247.
Note 171
227
CARUCCI 1937.
228
Il testo del documento del 1251 in cui si fa riferimento alle consuetudini degli altri
vassalli della chiesa permette una tale analogia. I vassalli Olevanesi dovevano macinare le
loro olive al frantoio del signore, né potevano costruire frantoi senza l’assenso dell’arcivesco-
vo; lo stesso avviene per i mulini per il grano. Nessun forestiero poteva acquistare terre nelle
terre soggette all’arcivescovo. Gli abitanti sono soggetti infine ad una serie di prestazioni d’opera
sulle terre di possesso dell’arcivescovo. IANNONE 1988, pp. 55-59.
229
PENNACCHINI 1942, p. 153.
230
ID. p .112.
231
CARUCCI 1936 p. 23.
232
cfr. supra capitolo sulla viabilità. Oltre ai resti materiali, le case sono ricordate nella
documentazione scritta, ad es. Codice Perris, II, p. 380, a. 1195. Codice Perris, II, p. 632-633,
a. 1261.
233
Codice Perris, II, p. 380, a. 1195.
234
Codice Perris, II, p. 384, a. 1196.
235
Codice Perris, II, p. 557, a. 1249.
236
Codice Perris, II, pp. 682-683, a. 1270.
237
Le chiese sono ricordate fino al XVII secolo, sebbene ormai abbandonate I ANNONE
1988 pp. 223-225.
238
Codice Perris, II, p. 556, a. 1249; Codice Perris, II, p. 604-605, a. 1256; Codice Perris,
II, p. 632-633, a. 1261.
239
Codice Perris, II, p. 384, a. 1196.
240
Codice Perris, II, p. 556, a. 1249.
241
CDS, I, p. 202-203.
242
Codice Perris, II, p. 604-605, a. 1256; Codice Perris, II, p. 616-618, a. 1257; Codice
Perris, II, p. 632-633, a. 1261; Codice Perris, II, p. 682, a. 1270.
243
PENNACCHINI, pp. 151-154.
244
Documento riportato in PAESANO 1847, I, pp. 136-137.
245
PENNACCHINI, pp. 50-54, a. 1090.
246
In generale per signoria territoriale si intende un sistema in cui la giurisdizione sugli
uomini da parte del signore include tutti gli abitanti di un determinato territorio, sia che le terre
appartengano o meno a questi, mentre la signoria immunitaria si applica solo su coloro che
abitano e coltivano le terre del signore Sulla differenza tra signoria territoriale e signoria im-
munitaria si veda a. e. VIOLANTE 1991; ID. 1997.
247
CDS, I, p. 133, a. 1221.
248
DTC, XXVIII, 74.
249
PENNACCHINI 1942, pp. 73-110 ss. In particolare la parte relativa a Monte pp. 74-85.
250
Si veda supra capitolo sula viabilità.
251
PENNACCHINI1942, p. 78.
252
Ibid.
253
ID. p. 85.
254
Per la posizione del colle ID. p. 85. Si tratta della chiesa di Santa Maria ricordata anche
in documenti successivi ad es. AC, IL, 85, a. 1233. Sul colle oggi si scorgono i ruderi del
complesso di santa Maria del Carmine elevato alla metà del XVI secolo quando il sito era detto
Evoli Vecchio, cfr. infra. Fino a qualche decennio addietro era ancora possibile osservare sul
172 La Piana del Sele in età normanno-sveva
colle i resti di alcune abitazioni del casale medievale, si vedano le foto in L ONGOBARDI1998, III,
p. 193.
255
PENNACCHINI 1942, p. 73, 79.
256
Si può supporre che ogni abitazione ospitasse una famiglia composta mediamente di
5 membri, per cui si può ipotizzare che nel casale Monte abitassero almeno 150 individui.
257
Ad es. CARLONE-MOTTOLA 1981, p. 54, n. 111, a. 1192.
258
Fonte de Raymundo PENNACCHINI 1942. p. 82; fonte de sancto Donato, p. 84; fonte qui
ficu mansole dicitur, fonte qui fuscara dicitur p. 85.
259
ACC, 48, reg. CARLONE 1982, n. 47.
260
ID. pp. 73-78.
261
Associazione della vigna con l’alto fusto. PENNACCHINI 1942, p. 78.
262
ID. p. 79, 81, 82.
263
ID. p. 79, 81.
264
CARLONE-MOTTOLA 1981, p. 69, n. 144, a. 1195.
265
PENNACCHINI 1942, p. 80.
266
ID. p. 82, 84.
267
ID. p. 82, 84.
268
ad es. AC, LII, 33, a. 1246.
269
ID. p. 76, 81.
270
ad es. CARLONE-MOTTOLA 1981, p. 54, n. 111, a. 1192; p. 69, n. 144, a. 1195; p. 98, n.
209, a. 1215.
271
DI MURO 2000; cfr. infra Capitolo Conclusioni.
272
DTC, XLII, 60.
273
AC XLII, 57, a. 1191; CARLONE-MOTTOLA 1982, 111, a. 1192 ; AC, LII, 33, a. 1246; AC,
LII, 86, a. 1249.
274
AC, XLVIII, 52, a. 1225.Si tratta probabilmente della chiesa di S. Maria de Labarola
ricordata in un doc. del 1246, , AC, LII, 33.
275
CARLONE 1998, 751, a. 1254.
276
Coltivazioni di ulivi, vigneti, fruttiferi, orti sono attestate a Monte nel XIII secolo, ad es.
AC, XLVI, 63, a. 1214, CARLONE 541; ID, 558, a. 1218; ID., 650, a. 1233; ID. 723, a. 1249.
277
CDC, I, p. 10.
278
CDC, VI, p. 224.
279
La carta è edita in PENNACCHINI, pp. 110-111.
280
CDC, IV, pp. 270-271.
281
Si veda il documento di Roberto di Eboli del 1090. PENNACCHINI 1941 pp. 50-53.
282
DTC, XXVIII, 42.
283
DTC, XXX, 57, a. 1160, presbitero Giovanni; CARLONE 1998, 268, a. 1174, presbitero
Pietro.
284
AC, XLI, 102, a. 1188.
285
PENNACCHINI 1943, A. 1164, p. 83.
286
AC, XXXVI, 115, a. 1181.
287
Si vedano ad es. CARLONE 1998, 268, a. 1174; ID, 276, a. 1176; CDV, VII, pp. 114-116;
AC, XLI, 102, a. 1188.
288
Anche qui infatti si rinviene una decisa varietà di attestazioni colturali nell’intero peri-
odo considerato, con uliveti, vigneti, frutteti, orti, campi di grano, si veda ad es. DTC, XXX,
Note 173
57, a. 1160; PENNACCHINI 1943, a. 1164, pp. 82 ss.; AC, XLI, 102, a. 1188; AC, XLI, 106, a.
1188; AC, XLI, 108, a. 1188; CARLONE 1998, 557, a. 1218; ID, 694, a. 1240.
289
Si veda infra il paragrafo relativo al castelluccio di Battipaglia.
290
Si veda supra.
291
Si veda a tal proposito infra li capitolo sull’economia e il capitolo conclusivo.
292
cum castro quod Mareguardus construxit in eisdem tenimentis et pertinentiis HUIL-
LARD-BREHOLLES, I, 2, pp. 917-920.
293
Su Marquardo e la politica di Enrico VI in Italia meridionale in gen. KAMP 1996, pp.
141 ss.; si veda anche TOOMASPOEG 2004 pp. 138 ss.
294
CDS, I, pp. 247-248, a. 1251, Vedi infra. Da ciò si deduce come il castello del casale
Tusciano fosse la castelluccia.
295
Terre di Santa Maria Zita (DTC, XLI, 34, a. 1186), terre di San Silvestro di Monte, terre
di.
296
CDS, I, pp. 258-262.
297
CDS, I, p. 247.
298
Situazione analoga anche per il castrum Olibani. Nel 1057 Gisulfo II, richiesto dagli
olevanesi, fece redarre una carta nella quale venne abbozzato per la prima volta l’usus locale,
alcune consuetudini che precisavano i poteri che il dominus poteva effettivamente esercitare
senza prevaricare i diritti degli homines castri, in gran parte liberi. ADS I, si veda anche DI
MURO 2004 in c.d.s.
299
Qualche anno più tardi sorse un contrasto tra l’arcivescovo di Salerno e gli abitanti di
Olevano sul diritto di questi ultimi a costruire machinas ad oleum faciendum (PENNACCHINI pp.
172-177, a. 1290). Nonostante il sindaco Matteo Carabello cercasse di far valere le ragioni
degli olevanesi, forse mostrando anche il documento di Gisulfo II del 1057, la sentenza fu
favorevole all’arcivescovo.
300
Si veda supra.
301
IANNONE 1988, CARUCCI 1937. Mulino e frantoio costituiscono in generale uno degli
aspetti materiali e simbolici più forti del potere signorile medievale ed in genere il possesso è
esclusivo appannaggio del dominus.
302
AC; XXXV, 56.
303
cfr. infra, La vita quotidiana.
304
Così pare dedursi dal giuramento cui tutti gli abitanti dovettero sottoporsi dopo la
restituzione alla Chiesa; si veda supra.
305
Documento edito in BERGAMO 1946, pp. 140-142. Originale conservato presso l’archi-
vio di Cava AC, LXI, 32. Per San Pietro ad Columnellum si veda supra. Il tenimento è ricorda-
to come casale a partire proprio dal documento del 1299.
306
Così il passo del documento Sic tamen quod infra primum biennium casale ipsum
preparabimus et rehabitari faciemus domos, et vineas ...reparari.... Ad hoc autem memoran-
dum est quod nos (Oliviero e la moglie Adelina) ecclesiam ipsam et domos expensis nostri
propiis reparare facere tenemur...
307
Per la guerra del Vespro nelle zone di Eboli CARUCCI 1937, ID., Prefazione in CDS, III.
308
AC LXI, 57, a. 1300, BERGAMO 1946, pp. 142-144. Nel documento quando si riporta
l’azione di ricostruzione che dovrà compiere Oliviero si sottolinea che questa sarebbe avvenu-
ta impedimento videlicet guerre penitus inde remoto.
309
AC, LXIV, 106, a. 1310, ediz. BERGAMO 1946, pp. 145-148.
174 La Piana del Sele in età normanno-sveva
310
La sala sarà lunga sei canne (circa 12 metri), larga tre (circa tre metri) e alta venti palmi
(oltre quattro metri), ciascuna camera dovrà essere lunga tre canne (circa sei metri), larga due
(circa quattro metri) e alta quanto la sala.
311
A tale riguardo si veda infra, in part. il capitolo conclusivo.
312
Si veda a tal proposito DI MURO 2004.
313
Si pensi ad esempio ad alcuni ambienti del complesso di castel Vernieri a Salerno o alla
vicina stanza voltata a crociera nel complesso di Santa Maria a Corte.
314
Dei due archi ne rimane uno a nord, dell’altro, sulla parte opposta, si nota l’attacco
della curvatura.
315
Per l’edificio 4 quanto detto è ben visibile in elevato, per l’edificio 5 la relazione di
contemporaneità si osserva solo nella parte bassa del muro, l’unica superstite su questo lato.
316
Per la Puglia si veda ad es. PATITUCCI UGGERI 1983, pp. 114 ss. Per Salerno DE CRESCEN-
ZO, 1991, pp. 63 ss.
317
Per i caratteri dell’architettura di età sveva in generale si veda il classico H ASELOFF
1992.
318
Ad esempio nelle cantine del palazzo De Rosa, databile al XVI secolo, nel casale Valle
si può ancora osservarne un esemplare abbastanza integro.
319
Per il palazzo di Santa Maria a Corte residenza dell’arcivescovo di Salerno almeno a
partire dal XII secolo cfr. CARUCCI1937, pp. 51-52 e infra.
320
Il rinvenimento di scorie di lavorazione del ferro durante ricognizioni nei pressi di
edificio 10 testimonia la presenza di un fabbro e dunque ulteriormente la complessità dell’in-
sediamento.
321
CARUCCI 1937.
322
Per gli scavi al castello di Olevano DI MURO-LA MANNA 2004 in c.d.s.
323
Per la datazione delle torri si veda ID.
324
CDS I p. 242
325
CDS, I, p. 172. La morte di Ermanno di Salza avvenne il 18 marzo 1239, domenica di
Pasqua. Il castello sembra rimanere in custodia ai cavalieri teutonici fino al 1255. Teutonicum
è infatti anche l’ultimo custos del castello, Manegoldo, CDS I p. 242.
326
CDS I p. 242.
327
Per Caprarizzo si veda DI MURO 2004; si veda anche supra capitolo sui Casali.
328
Per questo argomento si veda ad es. TOUBERT 1979, pp. 70-71. Per la politica di Federico
II tendente a limitare la potenza dei baroni del Regnum cfr. ad. es. TRAMONTANA 1983, pp. 665-
667; SANTORO 1993 pp. 115-117. In generale si veda anche DI MURO-LA MANNA 2004.
329
KANTOROWITZ 1981.
330
CDS, I, p. 199. Di parere diverso Kristjan Toomaspoeg che indica proprio nella sottra-
zione del castrum Olibani da parte di Federico II all’ordine Teutonico alla morte di Ermanno il
segno tangibile della fine della collaborazione tra imperatore e cavalieri Teutonici, TOOMASPO-
EG 2004, p. 143. Per la continuità della presenza teutonica presso il castrum Olibani DALENA
2004 p. 168.
331
CDS, I, p.277; IANNONE 1988.
332
Si veda supra il capitolo sulla rete stradale.
333
Si veda ad esempio DTC, XV, 10, a. 1090. Nel documento domna Emma contessa di Eboli,
fa dono a San Nicola de Gallucanta di una casa foris murum castelli nostri Evuli, subtus porta que
de la terra dicitur, dove con terra si intende naturalmente l’insediamento accentrato fortificato.
Note 175
334
Nota precedente.
335
CDS I, pp. 142-143, a. 1223.
336
CARLONE 1998, 313, a. 1181.
337
IBID. Si fa riferimento a una terra iusto passu mensurata a nobis (il venditore) iudicibus
comuniter constituto et designato in marmore porte olim castelli huius civitatis. L’esposizione
dell’unità metrica stabilità nella distrettuazione di una città è fenomeno comune nel Medio-
evo: in genere questa avveniva nei pressi dei luoghi più frequentati quali le porte della città,
come ad Eboli, o la cattedrale, come testimoniato a Salerno a partire dal X secolo CARUCCI
1927 p. 67.
338
Ad es. DTC, XVIII, 113, a. 1110.
339
DTC, XXII, 51. Dubbi sull’autenticità dell’atto in CARLONE 1998, 108, n.2.
340
DTC, XXIII, 97.
341
Per la parrocchia di San Lorenzo.CRISCI-CAMPAGNA, 236-237.
342
DTC XIII 118, a. 1136. Per la chiesa CRISCI-CAMPAGNA pp. 238-239.
343
Il documento è riportato in un riconoscimento del XIII sec. si veda CARLONE 1998, 211.
344
DTC, XXIII, 93. La chiesa è ancora oggi aperta al culto, C RISCI-CAMPAGNA p. 242;
LONGOBARDI, 179-186.
345
CARLONE 1998, 532, a. 1214.
346
PAESANO, II, pp. 148-149. Quartiere coincidente con la parrocchia CARLONE 1998 , 659,
a. 1234.
347
CESTARO 1984, p. 117 che però fa risalire tale suddivisione ad età moderna.
348
Ultima attestazione diuna casa il legno DTC. XXIII, 97, a. 1135.
349
Case solarate nel quartiere San Lorenzo appaiono dopo il 1140: CARLONE 504, 534,
537, 538, 664, 739; San NIcola ID. 343, 738La stessa situazione si rinviene nei quartieri San
Barbato (ID. 406) e San Giovanni (ID. 659, 683).
350
Il documento è conservato presso l’archivio abbaziale cavense, reg. CARLONE 1998, 401.
351
A.e. 664 711.
352
Reg. in CARLONE 1998, 702.
353
IBID.
354
La vicenda di Silvestro, un rappresentante della classe medio-alta, certamente non un
nobile, che possiede un complesso che, per quanto se ne possa dedurre dalla fonte, si modella
sulle forme simboliche di rappresentazione proprie della nobiltà, lascia intravedere la vivacità
e la forte consapevolezza del proprio ruolo della classe media tra XII e XIII secolo ad Eboli,
testimoniata, certo ad un livello più basso, in qualche modo anche dalla condizione degli
artigiani e di alcuni mercanti, si veda infra. Per l’elenco di una parte dei numerosi possedimen-
ti di Silvestro, CARLONE 1998, 702.
355
Roberto concede decimas de omnibus redditibus nostris platearum plancarum tincte
calendre predicte terre nostre Eboli…liberi et exempti ab omni datione et ab omni iure dirittu-
re plateatici et portatici tam in personis quam in mercibus et in rebus suis quas intromittent in
Ebolum vel extraxerint de eodem. Il documento in PENNACCHINI, pp. 51-54.
356
DTC, XV, 10, a. 1090; nel documento risulta che Pietro a quella data è già morto.
357
CDC, VII, p. 30.
358
Anche a Salerno esiste un quartiere dei Barbuti nell’area del palatium arechiano e il
toponimo è stato messo in collegamento con la fase della conquista e del primo stanziamento
longobardo in città; si veda PEDUTO 1988, pp. 9 e ss.
176 La Piana del Sele in età normanno-sveva
359
DTC, C, 24. Vedi infra
360
DTC, B, 30.
361
DTC, XXII 15, in questo documento si ricorda una casalina all’interno del vico.
362
DTC, XXX, 57. Per la parrocchia si veda CRISCI-CAMPAGNA, pp. 234-235.
363
Pendino nella parrocchia di San Bartolomeo CARLONE 1998, 308.
364
CDV, V, pp. 298-301. Per la chiesa distrutta in seguito ai bombardamenti del 1943 si veda
CRISCI-CAMPAGNA, p. 234. L’area è ricordata nei documenti precedenti il 1168 come Francavilla
seu Carbonarium Domnicum CARLONE 180, a. 1151. Quest’ultima denominazione si spiega con
la presenza del fossato del castello sotto il muro meridionale. In un altro documento Francavilla
è infatti ricordata come foris muro de Terra Ebuli, CARLONE 1998, 188, a. 1154.
365
Quest’area doveva coincidere con le terre immediatamente al di là della porta della
Terra di Eboli in cui sono ricordate case a partire dal 1090, DTC, XV, 10, a. 1090
366
Tale impressione si deduce dalle numerose attestazioni di case nella parrocchia e nella
rarità della menzione di spazi liberi tra esse. Si vedano tra XII e XIII secolo CARLONE 1998,
232; ID., 299, ID. 406, ID. 416, ID. 475, ID. 568, ID. 675.
367
Si trattava della via più importante del castellum Evuli, Si veda ancora nel XVIII secolo
quetso percorso che entrava in Eboli attraverso la Porta della Terra in PACICHELLI (fig.)
368
CARLONE 1998 624 a. 1229; CARLONE 1998 675, a. 1238.
369
ID. 286, a. 1178; ID. 406 a. 1192.
370
Platea, ID. 371, a. 1189.
371
ID. 286, A. 1178.
372
ID. 371 a. 1189.
373
ID. 624 a. 1229.
374
ID. 299, a. 1179.
375
ID. 475, a. 1202.
376
ID. 624, a. 1229.
377
Prima attestazione in un documento conservato presso l’archivio diocesano salernitano
edito in PENNACCHINI pp. 55-56, a. 1109.
378
Si veda ad es. doc. del 1169 in CARLONE 1998, 236.
379
CARLONE 1998, 583. Il palazzo fu costruito dall’abbazia di Montevergine.
380
Per l’Ospedale di Montevergine ad Eboli infra.. Altre case appartenenti al monastero
irpino fondato da San Guglielmo da Vercelli CARLONE 1998, 583 a. 1222; ID. 601, a. 1225; ID.
626, a. 1230
381
CARLONE 1998, 583 a. 1222; ID. 626, a. 1230.
382
CARLONE 1998, 565, a 1219.
383
CARLONE 1998, 236, a. 1169.
384
ID. 583, a. 1222.
385
Ponte di S. Elia, CARLONE 1998, n144 a. 1138; porta di S. Elia, reg. CARLONE 1998, a.
1223.
386
BALDUCCI, I, 28, a. 1138.
387
La fondazione avvenne alla fine dell’XI secolo. La notizia si ricava da un documento
del 1163, reg. BALDUCCI, I, n. 24.
388
CARLONE 1998, 383, a. 1189; 425, a. 1193.
389
Reg. CARLONE 257 a. 1172.
390
ID. 580.
Note 177
391
CARLONE 1998, 701, a. 1242.
392
BALDUCCI, I, 91.
393
CARLONE 1998 672.
394
CARLONE 1998, 692. Benvenuto è ricordato anche in una carta del 1239 come fideiusso-
re in una donazione CARLONE 1998, 682.
395
DTC, XLVIII, 8.
396
DTC, XXIII, 93.
397
CARLONE 1998, 699, 700 (a. 1241)
398
CARLONE1998, 726.
399
CARLONE 1998, 674, a. 1237; ID. 781, a. 1264. Risulta difficile stabilire se si tratti di
Firenze o di Forenza in Lucania.
400
Nel 1255 come fideiussore in un affidamento di un oliveto CARLONE 1998, 752 e nello
stesso anno come compratore di un oliveto per ben sei once d’oro, I D. 757.
401
Così ad es. nel quartiere San Lorenzo, CARLONE 1998, 739, a. 1255
402
La relativa estensione del borgo per l’età considerata si deduce anche dal fatto che
talune chiese, oggi all’interno del centro storico, erano ancora al di là delle mura nel XIII
secolo: così ad esempio San Biagio, CARLONE 658, a. 1234, ricordata sulla collina di S. Andrea
o San Matteo.
403
Ad es. CARLONE 1998, 671, a. 1236.
404
RUGGIERO 1977, pp. 65-66.
405
Documento del pontefice Alessandro II PAESANO II, 176-179, a. 1169 che però non
ricorda l’arcipretura ebolitana. Si veda l’edizione completa del documento in N ATELLA 1984.
Prima attestazione di un arciprete ad Eboli nel 1164, CARLONE 1998, 218. L’arciprete Cennamo
risulta già morto in quest’anno.
406
CDS, I, pp. 130-131.
407
DTC, XLVI, 98.
408
DTC, XLVIII, 28
409
AC, XXXVIII, 9.
410
AC, XLI, 9. L’antichità del muro in questi anni fa forse ritenere la presenza di un
villaggio accentrato già in età longobarda. In ogni caso nessuna traccia del muro è giunta fino
ai nostri giorni.
411
CDS, I, p. 159.
412
CDS, I, pp. 244-246
413
CDS, I, pp. 247-248.
414
Si veda il paragrafo sulla viabilità. Per la via che da Eboli va a Battipaglia (via puplica
ebulensis) DTC, XLII, n. 37, a. 1189. Il percorso è noto nel XII secolo anche come via que
pergit de Bactipalea DTC, XVII, 111.
415
A questo proposito rimando al mio DI MURO 2000
416
Un indice dell’antichità di questi insediamenti potrebbe essere individuato nel fatto che
il castello di Monte fu donato alla Chiesa salernitana da un certo Rainaldo, già morto nel 1164,
PENNACCHINI, p. 84.
417
ID., p. 90.
418
SEFILIPPO, p. 14.
419
PENNACCHINI, p. 91, a. 1164. Di Santa Lucia rimane traccia toponomastica non lontano
dalla chiesa di Santa Maria la Nova a Furano, tra Eboli e Campagna che da essa mutua il nome.
178 La Piana del Sele in età normanno-sveva
420
ID. p. 95.
421
ID. p. 98.
422
ID., pp. 99-108.
423
Dico almeno quattro perché nel documento si fa riferimento ad un altro castilluzzu
dirutum tra Sancta Teccla e Pancia (PENNACCHINI, p. 91), ma in maniera non chiara per cui
potrebbe trattarsi dello stesso castello di Sancta Teccla. Nonostante alcuni sopralluoghi non
sistematici non ho ancora individuato nel territorio le tracce di questi insediamenti, ma penso
di avere dei risultati dalle ricognizioni che ho progettato di effettuare nel territorio durante i
mesi estivi.
424
La chiesa è detta monasterium sancti Petri Apostoli quod situm est foris et prope castel-
lum Evoli., DTC, XV, 19. Si veda BERGAMO pp. 87 ss.
425
Dovrebbe trattarsi di una falsificazione del XII secolo, CARLONE1998, p. 25, num.49, n. 2.
426
DTC, E, 3. Si nutrono tuttavia sospetti anche su questo documento sulla base di un
errore di computo dell’indizione CARLONE1998, p. 34, num. 69, nota 2.
427
Il primo a riportare il testo PESANO II, p. 147.
428
PAESANO II, p. 147-149. Nell’edizione del Paesano manca la menzione di San Vito
minore riportata da CARLONE 1998, 209.
429
Tuttavia la chiesa di San Giovanni è ricordata come parrocchia, si veda supra.
430
Si veda ad es. il privilegio di papa Alessandro III ID., p. 177.
431
CDS, I, pp. 114-117, a. 1219.
432
In generale ALBANO-AMATRUDA 1995.
433
Per le tarsie del duomo di Salerno KALBY 1971.
434
Si veda ad es. la cattedrale di Caserta Vecchia.
435
Per il campanile del Duomo di Salerno ad es. S CHIAVO 1966; CARUCCI-PECORARO 1977.
D’ONOFRIO-PACE 1981.
436
Sull’argomento ALBANO-AMATRUDA 1995, pp. 34-35.
437
Le transenne di Compulteria dovrebbero datarsi all’VIII-IX secolo. si veda ad es. I
Longobardi 1992.
438
Si veda DELL’ACQUA2002.
439
Su questa chiesa da ultimo BELLI D’ELIA 2003, pp. 61-69.
440
DELL’ACQUA 2002, p. 33.
441
Per la tradizione palermitana si rimanda ancora una volta a D ELL’ACQUA 2002, pp. 22-
25. Mentre mi accingevo a consegnare alla stampa questo lavoro ho ricevuto da Francesca
Dell’Acqua le bozze di un suo articolo dove, tra le altre cose, si sottolinea il legame delle
transenne ebolitane con la cultura araba. DELL’ACQUA 2004 in c.d.s. Approfitto per ringraziare
l’Autrice della cortese segnalazione.
442
Ad esempio con gli affreschi oggi in gran parte perduti di Sant’Angelo a San Chirico
Raparo (PZ) per cui si veda BERTAUX 1903 pp. 122-124. In particolare le affinità si colgono con
i Padri della Chiesa raffigurati nella zona absidale. La datazione della seconda fase degli affre-
schi di Sant’Angelo alla metà del XII sec. in BERTELLI 1994 pp. 451 ss. Altri confronti si posso-
no istituire con gli affreschi del XII secolo nella chiesa della Panaghia a Rossano Calabro.
443
Si veda a tal proposito l’Indice in CARLONE 1998.
444
Si veda infra il paragrafo sui mestieri.
445
Sulle epigrafi che ricordano gli architetti in età medievale veda ad es. F RANCHETTI
PARDO 1991, pp. 193 ss.
Note 179
446
Per i confronti architettonici si veda infra.
447
Di questa opinione anche PAESANO 1846, II, p. 147, BERGAMO 1946 p. 88 e più di
recente ALBANO-AMATRUDA 1995, p. 30 che però fondano la loro opinione su malsicure fonti
scritte o interpretando erroneamente alcuni documenti come in ALBANO-AMATRUDA1995, p. 31
quando si fa riferimento ad una carta del 1089 DTC, C, 8, in cui si parla di una chiesa di san
Pietro que nunc diruta est riferendola al San Pietro di Eboli quando invece si tratta, come
specifica il documento, della chiesa di San Pietro presso il Tusciano.
448
San Berniero, monaco spagnolo vissuto tra X e XI secolo, dopo un pellegrinaggio a
Roma, si fermò nel territorio di Eboli conducendo vita di eremita nei pressi del fiume Sele,
dove costruì anche una chiesa. La sua fama di santità e di esorcista ne fece oggetto di venera-
zione già in vita. Sulla vita di San Berniero si veda AA SS, Octobris VII, 15-16, pp. 1184-1189.
Per la chiesa costruita da san Berniero nei pressi del ponte della popilia si veda infra, il paragra-
fo sull’ambiente naturale.
449
Già nel 1155 compare come rappresentante di Guglielmo a Benevento, insieme all’ar-
civescovo di Palermo, l’abate di Cava e Maione di Bari per la stipula del famoso trattato che
andò a regolare i rapporti tra la Santa sede e il Regno dopo le ribellioni seguite all’elevazione
al trono di Guglielmo ROMUALDO p. 428; si veda CARUCCI 1922, p. 325.
450
si veda ad es. KITZINGER 1983 pp. 167-70, in partic. p. 169.
451
Ad esempio PACEin D’ONOFRIO-PACE 1981, p. 247.
452
Per le transenne a ‘giorno’ a Palermo e in Sicilia si veda DELL’ACQUA 2002.
453
In generale si veda CHALANDON II, pp. 232 ss.
454
Tra le altre cose Adriano IV riconobbe Guglielmo signore di Salerno, CHALANDON, II, p. 235.
455
PEDUTO1984. pp. 70 ss.
456
Si veda in generale D’ONOFRIO-PACE 1981.
457
Per il percorso di queste due importanti strade nel Medioevo si veda D ALENA 2003 b.
Quest’ultima strada era nota nel XVIII secolo come via di Capaccio.
458
CARLONE1998, n. 550.
459
ID., n. 743, p. 331.
460
Per l’ordine degli ospitalieri o giovanniti si rimanda infra al capitolo conclusivo.
461
Un parallelo tipologico valido per alcuni aspetti può considerarsi l’impianto della
cattedrale di Caserta Vecchia D’ONOFRIO-PACE 1981.
462
La chiesa di Poggiboinsi costituiva fino ad oggi pressoché l’unica testimonianza nota
di un complesso ospedaliero giovannita in Italia del XIII secolo. Secondo l’opinione dei più
accreditati studiosi di storia dell’architettura medievale sarebbe stato da escludere un modello
comune di architettura sacra giovannita, adattandosi i vari edifici alle locali culture costruttive.
L’esempio di Eboli sembra smentire questa tesi. (MORETTI 1997).Per una prima mappatura dei
possedimenti degli Ospedalieri in Italia meridionale B RESC BAUTIER 1975, p. 37, fig. 5.
463
Si veda DI MURO 1994, pp. 81-83.
464
PEDUTO 1990, DI MURO 1994
465
IANNONE 1988, p. 211.
466
Ibid.
467
Per il testo agiografico relativo alla vicenda di Vito e i suoi compagni e per l’individua-
zione del sito cfr. MELLO 1988, pp. 12-23. Il Santo ebbe nella zona un culto notevole come
dimostrano gli episodi della Grotta dell’Angelo e la cappella principesca di Montecorvino
Pugliano, si veda a tal proposito DI MURO 1993, pp. 63 ss.
180 La Piana del Sele in età normanno-sveva
468
DE ROSSI 1995, in part. pp. 137-143. La fase descritta sopra è l’unica datata in maniera
convincente mentre per le altre gli scavatori si sono basati esclusivamente sui rapporti tra le
strutture murarie.
469
PAESANO 1867, II, pp. 148-149. Una lettura più corretta in C ARLONE1998, 209.
470
Così già nel 1169 il pontefice Alessandro III ricordava tra le pertinenze della Chiesa
salernitana San Pietro Apostolo e una sola chiesa di San Vito, NATELLA 1984, pp. 26-27.
471
Il Peduto ipotizza che il villaggio di San Vito fosse collegato ad un approdo fluviale
insabbiato dalle frequenti inondazioni del Sele, PEDUTO 1984, pp. 73-74; di questo porto peraltro
non sussistono tracce nella documentazione scritta. Per il sito di San Vito si veda anche infra.
472
San Vito si trova nelle immediate vicinanze di Mercatellum, cfr. infra.
473
ZUCCARO 1977; DI MURO 1993.
474
DI MURO et alii 2003.
475
Ibid.
476
Ibid.
477
Che si tratti del monaco burdigalense è stato sostenuto ad es. da Paolo Peduto nel
giugno del 2004 nel corso della presentazione del CD rom sui Longobardi a Salerno prodotto
dalla Soprintendenza ai BAPSAAD di Saleno e Avellino.
478
D’ANGELA 1994 pp. 247-261.
479
FALCONE BENEVENTANO pp. 202-204.
480
Per il privilegio concesso da Anacleto II a Ruggero si veda ad es. HOUBEN 1999, pp. 68 ss.
481
CDC, II, p. 212, a. 977 (terre tra il Tusciano e il Laneo); GALANTE 1984, pp. 5-9 (oltre il
Tusciano), a. 1020; CDC, V, p. 244, a. 1033 (sulla sponda sinistra del fiume); CDC, VI, pp. 37-
38, a. 1035 (vicino Sant’Arcangelo); CDC, VI, pp. 111-113, a. 1039 (ad est del Tusciano);
CDC, VII, p. 96, a. 1049 (nei pressi di Vallemonio); CDC, VII, pp. 203-205, a. 1053 (vicino
San Mattia); CDC, VII, pp. 258-260, a. 1054 (ad est del Tusciano).
482
CDC, II, pp. 138-139, a. 980 (al di qua del Tusciano, vicino al fiume); CDC, III, p. 86,
a. 998; CDC, IV, pp. 9-10, a. 1002 (in loco Pinu); GALANTE 1984, pp. 5-9 (oltre il Tusciano) a.
1020; CDC, V, pp. 65-66, a. 1023 (ad est del Tusciano); CDC, VII, pp. 111-113, a. 1039 (sulla
riva sinistra del fiume); CDC, VII, pp. 203-205, a. 1053 (vicino San Mattia); PENNACCHINI, pp.
48-50, a. 1081 (Vallemonium).
483
Poma, GALANTE 1984, pp. 5-9, a. 1020; CDC, V, p. 244, a. 1033 (sulla sponda sinistra
del fiume); CDC, VI, pp. 111-113, a. 1039 (ad est del Tusciano); CDC, VII, pp. 203-205, a.
1053 (vicino San Mattia).
484
CDC, VI, pp. 111-113, a. 1039 (riva sinistra del Tusciano).
485
CDC, VII, P. 96, pp. 100-101, a. 1049 (tra Vallemonio e Tusciano), due terra cum
olibeto distinte.
486
GALANTE 1984, pp. 5-9, a. 1020; CDC, VI, pp. 111-113, a. 1039 (ad est del Tusciano);
CDC, VII, pp. 258-260, a. 1054 (ad est del Tusciano).
487
Si veda ad es. CDC, VII, pp. 258-260, a. 1054 in cui si fa riferimento a ben 6 fondi tra
loro confinanti affidate a 5 concessionari diversi.
488
L’ultimo documento in cui si parla esplicitamente di dissodare una terra (roncare) è una
traditio ‘mista’ in cui, accanto al compito di seminare un campo, si domanda al concessionario
di dissodare una selva ista parte et erga ipso flubio Tusciano, CDC, II, pp. 138-139, a. 980.
489
Tra il 998 e il 1054 sono attestati 5 contratti ad laborandum (CDC, III, p. 86, a. 998;
CDC, IV, pp. 9-10, a. 1002; CDC, V, pp. 65-66, a. 1023; CDC, VI, pp. 111-113 [due terre
Note 181
concesse ad laborandum ed una ad pastenandum]; CDC, VII, pp. 203-205 [una parte della terra
andrà pastenata]; C’è infine la già ricordata donazione del 1054 in cui si ricordano 6 fondi
contermini concessi ad laborandum, CDC, VII, pp. 258-259.) a fronte di due ad pastenan-
dum,. (CDC, V, pp. 244-245, a. 1033; CDC, VI, pp. 111-113 [due terre concesse ad laboran-
dum ed una ad pastenandum]).
490
Probabilmente fu anche l’allentamento di alcuni vincoli familiari a provocare lo sfalda-
mento di alcuni dominii comuni, la cui origine va forse collegata alle concessioni di terre
fiscali dei duchi e dei principi longobardi a loro fideles capostipiti delle famiglie comitali.
491
Si tratta di Grimoaldo gastaldo figlio di Roffrit, Pietro gastaldo figlio di Pietro e Lande-
nolfo figlio di Landenolfo, zio e nipoti, CDC, IV, pp. 176-177.
492
CDC, V, pp. 122-123, a. 1026; I convenuti sono: Giaquinto conte figlio di Gaudone
giudice, Giovanni conte figlio di Pietro, i fratelli Landolfo e Landemario figli di Maraldo,
Truppoaldo figlio di Gaidone, i conti Giaquinto, Landone e Disigio figli del conte Disidio,
Guaiferio e Giaquinto figli di Potefrid, Pietro conte figlio di Arechi e Dauferio figlio di Ado.
Come si vede sono quasi tutti insigniti del titolo comitale e i loro genitori tutti defunti, fatto
quest’ultimo che forse favorì la divisione.
493
CDC, II, pp. 138-139.
494
Oltre agli esempi riportati si veda in generale la Tab I.
495
DTC, XIV, 13.
496
DTC, C, 17.
497
DTC, XIV, 117.
498
DTC, C, 19.
499
DTC, E, 3.
500
DTC, XVII, 111.
501
DTC, XXIV, 45, a. 1138.
502
Forse nella contrada San Felice era una predominanza del castagneto, ma i documenti
sono numericamente troppo esigui per affermare con sicurezza ciò.
503
Solo per il primo periodo si è scelto un intervallo di 65 anni, per lo scarso numero di
documenti redatti tra il 1085 e il 1099.
504
E’ noto che laboratoria derivi da labor, grano; che con questo aggettivo si intendesse
terra coltivataa cereali si deduce anche da alcuni documenti in cui in uno stesso documento si
fa riferimento a terre diverse coltibìvate ad es. a vigna, a orto e laboratoria (DTC XXXV, 20 a.
1175; altri esempi, DTC, XLI, 99 a. 1188; DTC XLII, 74, a. 1190), o nei contratti agrari dove
il concedente in cambio dell’affidamento di terra laboratoria richiede il terratico, ovvero una
parte della produzione di grano (es. DTC XXII, 22 a. 1126)
505
Ad esempio in una concessione nel locus Tuscianus del 1132 un tale Glorioso affida al
chierico Amato una terra con arbusto, vacuo e alberi affinché vi pianti viti ed alberi fruttiferi; il
concessionario dovrà versare annualmente come corresponsione parte delle colture impiantate
ossia grano, fichi, noci olive e altri frutti dopo averli essiccati (DTC, XXXII, 42). Da questo
documento si evince dunque come nei fruttiferi rientrassero spesso anche gli alberi di ulivo.
506
Per un quadro della situazione idrografica medievale nella piana tra il Tusciano e il Sele
DI MURO 1993, ID 2001.
507
DI MURO 2001; si veda anche infra il paragrafo Considerazioni.
508
Se si considera il periodo 1175-1200 le attestazioni di terre coltivate a cereali raggiun-
gono il 70% delle attestazioni totali.
182 La Piana del Sele in età normanno-sveva
509
DTC, XXX, 51.
510
DTC, XXXIII, 26
511
DTC, XXXIII, 83.
512
DTC, XXXIV, 26.
513
DTC, XXXV, 84
514
DTC, XXXV, 56.
515
DTC, XXXVI, 14.
516
DTC, XXXVIII, 9.
517
DTC XXXIX, 37.
518
DTC, XXXIX, 79.
519
DTC, XL, 94.
520
DTC, XLI, 99.
521
Si veda ad es. DTC,XV, 10 (orto fuori dalla porta della Terra); CARLONE 1998, 257, a.
1172 (orto nel sobborgo Santa Trinità); ID., 308, a. 1181, (orto e fruttiferi nella località Pendi-
no); ID. 371 a. 1189 (vigna nel quartiere di San Bartolomeo, loc. Francavilla).
522
Per il Mezzogiorno ad es. VITOLO 1987 con bibliografia.
523
Si vedano i documenti CDV, VI, pp. 197-199, a. 1173; CARLONE 1998, 374, a. 1189: ID.,
407, a. 1192; ID., 454, 1196; ID., 483, a. 1203; ID., 518, a. 1212; ID., 520, a. 1212; ID., 521, a.
1212; ID., 523, a. 1212.
524
CARLONE 1998., 407, a. 1192; ID., 429, a. 1193; ID., 486, a. 1203; ID., 507, a. 1210; ID.,
520, a. 1212. ID., 523, a. 1212.
525
Si veda supra.
526
CARLONE 1998, , 112, a. 1129; ID., 159, a. 1143; ID., 184, a. 1153; ID., 192, a. 1156; ID.,
198, a. 1157.
527
CARLONE 1998, 216, a. 1163, ID., 218, a. 1164: ID, 226, a. 1166: ID., 227, a. 1166; ID.,
229, a. 1167; ID., 276, a. 1176; ID.n 312, a. 1181; ID., 323, a. 1182; ID., 328, a. 1182; ID., 339, a.
1184; ID., 352, a. 1186; ID. 403, a. 1192; ID., 429, a. 1193; ID., 434, a. 1195; ID., 437, a. 1195;
ID., 453, a. 1196; ID., 457, a. 1197.
528
CARLONE 1998, 216, a. 1163; ID., 227, a. 1166; ID., 434, a. 1195; ID., 453, a. 1196.
529
CARLONE 1998, 424, a. 1193 (2 uliveti); ID., 453, a. 1196; ID., 455, a. 1196.
530
CARLONE 1998, 424, a. 1193; ID., 429, a. 1193; ID., 438, a. 1195.
531
Si veda a tal proposito PIVANO 1904, pp. 283-302; LIZIER 1907, pp. 80-86; DEL TREPPO
1977, pp. 24-25.
532
Cfr. tab. 3. Si tenga conto che per vacua sembra intendersi sia la terra vuota di ogni
coltura sia la terra a seminativo nudo al momento vuota di piante.
533
Per le terre a S-E di Salerno DI MURO 2001.
534
Supra, capitolo su Eboli.
535
DTC, XLVIII, 55.
536
DTC, XLVIII, 79.
537
CARLONE 1999, n. 751, a. 1254. Altro impianti di oliveto da parte dell’abbazia di Mon-
tevergine ad Eboli (ID., 678, a. 1238)
538
E’ noto come gli oliveti delle fonti di quest’epoca fossero in genere delle coltivazioni
ridottissime, utilizzati fore più per il frutto da consumare che per produrre olio. Anche nei
nostri documenti si rinvengono oliveti di questo tipo ad. es, nel 1214 si ricorda un oliveto
Note 183
costituito da tre piante di ulivo nei pressi di Eboli (CARLONE 1999, n. 542, a. 1214). o nel 1230
una terra ancora con tre olivi nella località Pezza di Eboli (I D., n. 636, a. 1232)
539
Supra parte relativa ai casali.
540
Le parrocchie in particolare. Si veda, ad esempio, la parrocchia di sant’Elia di Eboli il
cui rettore Nicola nel 1157 concede un pezzo di terra per 32 tarì DTC, XXIX, 101. Per altri
esempi si veda infra.
541
Sulla questione FONSECA 1982; RUGGIERO 1973, ID., 1991. Non mancano tuttavia atte-
stazioni di chiese private nel territorio considerato fino a tutto il XII secolo, si veda ad es. supra
la chiesa di Santa Maria de Calcarola appartenente alla famiglia Guarna nel casale Tusciano.
542
Si veda il capitolo sulla ricostruzione viaria, parte relativa a Mercatellum.
543
CDC, V, pp. 171-172. Per la dinastia del conte Disigio si veda D I MURO 2000.
544
Solo due manule de siricum impreziosiscono l’elenco delle vesti liturgiche.
545
CDC, V, pp. 4-5. La palude è ricordata a nord del lago in CDC, V, p. 207, a. 1031.
546
Cfr. supra capitolo sul territorio nel periodo tardo antico.
547
La studiosa insieme a Zanotti Bianco, nei giorni precedenti all’individuazione del sito
dell’Heraion provvide a scavare una parte della chiesa nella speranza di trovare al di sotto i
resti del celebre santuario magno-greco, ma dei materiali che presumibilmente furono portati
alla luce non si fa alcun accenno nella pubblicazione, ZANCANI MONTUORO- ZANOTTI BIANCO,
pp. 214-215.
548
CDC, V, pp. 207-208.
549
CDC, VI, pp. 148-150.
550
La comunione nel possesso della chiesa, del lago, dei guadi sul fiume e sulle peschiere
è esplicitato alla fine del documento di divisione, ivi, p. 150. Nelle carte di collazione del 1043
e del 1045 compaiono come domini communi della chiesa Landone e i figli di Giaquinto,
CDC,VI, pp. 225-226, a. 1043; ivi, pp. 282-283, a. 1045.
551
Ivi, p. 150.
552
In quest’ultima trovavano posto un salterio, due antifonari e un libro contenente le
letture per tutto l’anno liturgico, CDC, V, p. 171.
553
CDC, VI, pp. 225-226.
554
Si ricordano 12 giumente, 4 puledri de oc anno, 7 vacche maiori , un paio di buoi. Non
si dà infine il numero delle capre e dei porci pur presenti nelle stalle della chiesa. CDC, VI, pp.
283-284, a. 1045.
555
Così ad es. LEONE-VITOLO 1986, p. 390. Secondo gli Autori l’acquisizione da parte della
badia di Cava consentì la ripresa della chiesa che risulta diruta nel 1160 e poi di nuovo attiva
nei decenni successivi Ibid.
556
PENNACCHINI 1942, pp. 55-56.
557
BALDUCCI, I, 24, a. 1164.
558
Si veda supra, paragrafo relativo a San Pietro alli Marmi.
559
Sul missus in età longobarda ad es. ANDREOLLI 1988.
560
DI MURO 2004 in c.d.s.
561
La prima menzione del bosco si ha in una compravendita del 799, CDC, I, p. 3 ed è
ancora ricordato in un documento emanato dal duca Ruggero Borsa nel 1089, conservato negli
archivi della Badia di Cava a trascritto in DTC, C, 17, in cui il figlio del Guiscardo dona
all’abbazia cavense tra le altre cose il cenobio di san Mattia. Proprio ad oriente della tenuta
nella quale sorge l’edificio sacro il duca ricorda la silva nostra.
184 La Piana del Sele in età normanno-sveva
562
Per la colonizzazione della Piana vedi supra, più in generale per l’età longobarda D I
MURO 2001.
563
Usata anche come bosco per legna nel XII secolo. vedi infra
564
Selve nel tenimento di Petta sono ricordate nella conferma di Roberto di Principato alla
Chiesa salernitana del 1090 PENNACCHINI 1942, pp. 51-54.
565
Ibid.
566
DTC, XXIV, 84, a. 1137. Quercieto è anche una contrada del casale Tusciano (vedi
supra). Querce si rinvengono con una relativa frequenza nelle transazioni, segno del valore che
era loro assegnato particolarmente per il nutrimento dei maiali .
567
CDC, V, p. 53, a. 1022.
568
CDC, VI, p. 52.
569
Sui dissodoamnti altomedievali della pianura tra Salerno e il Sele D I MURO 2001.
570
Contrada Populi Raonis DTC, XXIX, 45, a. 1157.
571
Mortitum, CDC, V, p. 32, a. 1020.
572
Sabuci, CDC, V, p. 200, a. 1029.
573
Piru, CDC,VIII, p. 203, a. 1010 (inserto)
574
Per essi si rimanda al capitolo sui prodotti della terra.
575
Sorbum, CDC, V, p. 33, a. 972 (ins.)
576
CDC, VI, p. 149, a. 1041, in pantano de tammarici nei pressi della foce del Sele.
577
Per i molina destructa CDC, VII, p. 51, a. 1047; per i ponti sul Picentino e sul Tusciano
CDS, II, p. 32, a. 1302.
578
Per questi laghi costieri si rimanda a DI MURO 2001.
579
DTC, XXI, 119, a. 1125.
580
DI MURO 2000.
581
Significativamente una contrada tra queste colline era chiamata Padule, PENNACCHINI,
p. 92, a. 1163.
582
L’Itinerarium Bernardi è stato edito in T. TOBLER - A. MOLINER, Itinera hierosolymitana
et descriptiones Terrae Sanctae bellis sacris anteriora et latina lingua exarata, I, 2, Genevae
1880, p. 318.
583
Faitum Documento del 1158 in RIVELLI, p. 97
584
Si veda a tal proposito ad esempio FUMAGALLI 1978, pp. 73-75.
585
DTC, XVI, 81.
586
DI MEO, a. 833, n. 6.
587
Il documento è riportato in GALANTE 1980, p. 159.
588
L’episodio è narrato in Chron. Sal., c. 43, pp. 44-45.
589
Chron. Sal. c. 92, pp. 92-93.
590
Chron. Sal. c. 56, p. 57.
591
Supra.
592
Non si hanno tuttavia notizie certe di soggiorni di Federico II a Eboli.
593
CORRAO 1989, p. 149, n.41. Per la natura delle difese si veda Ibid. passim.
594
HUILLARD-BREHOLLES, V/2, pp. 669-670.
595
Per la natura della defensa di età federiciana e in particolare di questa come luogo
riservato esclusivamente alla caccia dell’imperatore si veda WILLEMSEN 1989, pp. 266-267
596
GIULIANI 1984, pp. 99 ss.
597
DTC, XXV, 6
Note 185
598
Per l’oasi naturalistica di Serre-Persano si veda M. K ALBY 1984, pp. 134-143.
599
E’ noto che l’imperatore ordinò di procurare gru vive per addestrare i suoi falconi nelle
sue domus, cfr. WILLEMSEN 1987, p. 269.
600
Lo Statuto di età vicereale è riportato in CARUCCI 1937 in appendice alla sua opera pp.
125 e ss. In particolare per i lupi si veda p. 141.
601
Ibid., p. 126.
602
CASSESE, p. 26, a. 987 ; CDC, VIII, p. 275, a. 1065.
603
CARLONE 1998, 639, a. 1232.
604
CDC, II, p. 26.
605
PENNACCHINI, p. 44.
606
PAESANO, I, 123, a. 1067.
607
Per l’estensione della tenuta di Campolongo ABBINENTE 2002.
608
Conferma di Roberto Guiscardo del 1080, ed. P AESANO I, p. 136-137.
609
PENNACCHINI, p. 153, documento di concessione di Gisulfo II di Salerno a. 1062.
610
Nel XVII secolo l’allevamento risultava l’attività preponderante nella pianura tra Tu-
sciano e Sele, BACCO 1629, p. 191.
611
ID., p. 58.
612
PAESANO, II, p. 54.
613
PENNACCHINI pp.119-122.
614
Gli uomini coinvolti nella vicenda provengono dai casali di santa Cecilia, di Sant’Ar-
cangelo e di Olevano, CDS, I, p. 436.
615
DTC, XLVIII, n. 46, a. 1225.
616
Recita la charta collationis del 1020 che si ibidem intraberit animalia biba, aut tale
causa que ad ornamentum fuerit de ipsa ecclesia, semper siant ad potestate de ipsa ecclesia
…et de ipsi animaliis et de filiis filiabus quod fecerit, cotidie cura et bigilatione ipse presbiter
abere, et faciant abere, ut proficiant, CDC, V, pp. 171-172.
617
CDC, VI, p. 227, a. 1043, ma le medesime clausole valgono nel 1045 (ivi, p. 283) e nel
1049, CDC, VII, p. 45.
618
CDC, VI, 283, a. 1045.
619
PAESANO, I, p. 91.
620
Esenzione ai monaci di Cava da aliquam dationem …in transeundo vel redeundo flu-
men quod Siler dicitur pro se vel pro servientibus sis seu pro animalibus vel aliis rebus, LEONE,
E, 35, a. 1114.
621
CDC, I, pp. 185, a. 926. Tra le donazioni che riceve San Massimo ci sono anche pa-
scuis.
622
CDC, VII, p. 163, a. 1051. Santa Sofia concede ai coloni di alcune sue terre la facoltà di
utilizzare i suoi pascuis animalis eorum ad passendum.
623
CDC, VI, p. 203.
624
Di seguito si citano alcuni titoli dei capitoli Da non far massaria de porci dentro li
casali; Contene de carne de porco et de castrato; Carne de scrofa; Contene de carne de porco
et de scrofa; Carne de porco et de scrofa a cantàro; Capo e pedi de carne de porco et de scrofa;
Delli porci mandarini; ed. CARUCCI, pp. 130, 113, 134, 136, 138.
625
CDC, V, p. 47.
626
CDC, IV, p. 181, a. 1011.
627
DTC, XLVIII, n. 46 nella misura della decima parte della produzione annua complessiva.
186 La Piana del Sele in età normanno-sveva
628
a. 1104 DTC, XVII; 111.
629
AC, XXII, 83, a. 1129.
630
CDC, VIII, p. 51 a. 976 (inserto) propriamente il brago dove i maiali usano crogiolarsi
,anche se in questo caso mi pare debba trattarsi di animali dai lunghi peli (capilluti),
631
Un altro toponimo legato all’allevamento è forse Bubuliano da bubulus = bufalo, men-
zionalo nei pressi del casale Padule di Eboli nel 1164 (PENNACCHINI, p. 90). Attestazioni di
allevamento nella piana Buoi DTC, D, 50, a. 1104, maiali DTC, XXIII, dtc, xxxv, 57.
632
CARLONE 1998, 470. Negli stessi anni con un oncia d’oro si poteva acquistare una terra
vineata nei pressi di Eboli CARLONE 1998,469 a. 1201 e con mezza oncia d’oro una casa con
clibano nella parrocchia di San Lorenzo ad Eboli (C ARLONE 480, a. 1202).
633
CARLONE 1998, 423.
634
CDC, VI,. p. 283
635
CARLONE 1998, 184.
636
ID., 257.
637
CARLONE 1998, 356-357.
638
DTC, XXI, 73. Il documento è sospetto di adulterazione C ARLONE 1998, 92, n. 1.
639
CARLONE 1998, 237 a. 1170; CDV, VI, pp. 299-301 a. 1181.
640
DTC, XXXI, 19, a. 1163; DTC, XXXVII, 19, a. 1181, DTC, XLIII, 25, a. 1192.
641
BALDUCCI, I, pp. 40-41, a. 1223.
642
CDC, III, p. 1.
643
Rot., rubrica 155.
644
Liut., Leggi de anno nono, 19.
645
Vito Fumagalli ha ben tratteggiato i profili umani di questa gente la cui vita si svolgeva
tra le foreste e le stalle, talora avvezza più alle bestie che agli uomini, come dimostrano alcuni
soprannomi ricordati nella documentazione medievale quali ‘cane’ o ‘pazzo’, FUMAGALLI 1976,
pp. 27-28.
646
PENNACCHINI p. 56. Questo il significato attribuito alla frase anche dall’editore: infatti la
locuzione si inserisce in un contesto di richieste legate alle offerte ricevute in occasione delle
festività più sentite e, si può presumenre, remunerative per le casse della chiesa (immediata-
mente prima si era fatto riferimento alle oblazioni ricevute nel tempo di Pasqua e Natale).
647
In questo giorno convengono davanti alle chiese gli animali domestici per ricevere la
benedizione. Ancora oggi ad Eboli sul sagrato della chiesa di Santa Maria ad intra il 17 gennaio
si impartisce la benedizione degli animali. Anche la festa di San Vito è legata in qualche modo
alle celebrazione delle attività di allevamento: fino al dopoguerra infatti presso il santuario del
Sele si recavano numerosi allevatori con buoi e altri animali adorni di fiocchi e paramenti
policromi. In molti paesi della Sicilia, regione d’origine di Vito, ancora oggi si assiste alla
benedizione degli animali nel giorno della festa di San Vito.
648
Non conosco nella documentazione salernitana richieste analoghe.
649
FILIPPONE 1993, p. 18.
650
Le ville del Cervialto, localizzate nei pressi di Caposele (AV) in GIARDINA 1981, p. 92.
Nell’epigrafe di Caposele datata al I secolo d. C., in un contesto di donazioni di fondi montani
dotati di ville per il culto del dio Silvano e dell’imperatore Domiziano, si ricorda anche la
concessione di una fonte per l’abbeveraggio di animali allevati in un azienda posta sulle terre
donate. L’epigrafe in BRACCO, p. 8. Vedi anche FILIPPONE 1993, p. 18.
Note 187
651
Per la piana del Sele come meta tradizionale della transumanza dall’alta valle del Sele
cfr. FILIPPONE, p. 18.
652
HUILLARD-BREHOLLES, III, PP. 259-262.
653
Così CARLONE 1998, 634, n. 1.
654
Si veda ad es. CHERUBINI 1996, p. 28.
655
Cfr. supra paragrafo relativo all’Agricoltura.
656
CHERUBINI 1996 p.30. Riporto per esteso il famoso schema del Cherubini: poco forag-
gio = poco bestiame = poco concime = poca produttività della terra = molto lavoro umano =
molte bocche da sfamare = molte terre a grano= poca produzione di foraggi.
657
Per la distribuzione e lo sfruttamento razionale delle risorse agro-silvo-pastorali nella
terra di Eboli si rimanda alle Conclusioni (infra).
658
ADS, I, n. 15.
659
PAESANO II, p. 177. Il privilegio sulle decime dei boschi del Sele derivava evidentemen-
te dalla concessione delle decime sui beni fiscali nella terra di Eboli accordata da Roberto il
Guiscardo nel 1080, documento edito in PAESANO I, p. 136.
660
DTC, E, 35.
661
PENNACCHINI pp.119-122.
662
BALDUCCI I, p. 21.
663
PENNACCHINI pp. 40-42.
664
Ancora agli inizi nel XVII così si esprimeva nel descrivere la piana di Battipaglia Enri-
co Bacco «quivi parimente è un bellissimo e gran lago, ove si fa pescagione di diversi e
buonissimi pesci per entrarvi il mare: vi sono anche magazeni e carricatori per trasportar le
robbe, mercantiando altrove» BACCO 1629, p. 192.
665
CDC, V, pp. 4-5. La palude è ricordata a nord del lago in CDC, V, p. 207, a. 1031.
666
CDC, V, p. 115, a. 1020.
667
Piscatorie CDC, VI, p. 150, a. 1041.
668
Già Gisulfo II (1052-1076) aveva confermato le piscationes ipsius fluminis [il Sele] alla
cattedra di San Bonosio, PENNACCHINI, p. 153(documento in cui si fa riferimento alle canni-
tias). Altre conferme verranno da Roberto il Guiscardo, PAESANO, I, p. 137, a. 1080 e Roberto
di Eboli, PENNACCHINI, p. 54, a. 1090.
669
Non è improbabile sui laghi si effettuasse anche questo tipo di pesca allorquando si
andavano a tirare le reti.
670
NASO 1989, p. 217.
671
DTC, XLVIII, 46. Il concessionario del tenimento dovrà versare ogni anno la decima
parte della produzione degli alveari.
672
La prima notizia su San Pietro de Toro in PAESANO, pp. 122-123, a. 1067. Nel documen-
to la chiesa è detta contigua al fiume Sele. Il conte di Eboli, Roberto, nel 1090 in un’altra
conferma alla Chiesa salernitana, procedendo da nord verso sud (parte infatti da Licinianum e
conclude con San Vito del Sele) ricorda San Pietro de toro immediatamente prima del porto di
Persano (il porto dell’Annia), PENNACCHINI, pp. 51-53. Per la localizzazione di san Pietro de
toro in località Fiocche si veda BERGAMO pp. 51-52.
673
AA SS, Octobris VII, 15-16, pp. 1184-1189.
674
Così nel documento PAESANO; II, pp. 115-117.
675
ID., p. 119.
676
Si veda supra il paragrafo dedicato al santuario di san Vito al Sele.
188 La Piana del Sele in età normanno-sveva
677
PEDUTO 1984 pp. 63 ss.
678
Per la questione si veda supra, la viabilità; anche DI MURO 2000.
679
Documento di Roberto di Principato relativo alle pertinenze della chiesa salernitana al
casale Cusentinorum PAESANO, II, p. 54.
680
A causa dell’urgenza improcrastinabile dei lavori di riparazione, il sovrano ordina che
le spese per le riparazioni siano anticipate dalle comunità locali. CDS, I, pp. 370-372.
681
Registri Angioini XIII, 184.
682
MALATERRA, I, 26. Si veda anche CUOZZO 1969, p. 714.
683
Si veda supra, il paragrafo relativo all’ambiente naturale.
684
CDS, pp. 354-355. I cereali sarebbero stati trasportati libere cum vasis.
685
In un privilegio del 1114 Roberto di Eboli concede che nessun monaco cavense in
transeundo vel redeundo flumen quod Siler dicitur pro se vel pro servientis suis seu pro ani-
malibus vel aliis rebus eiusdem monasterii, portunariis eiusdem fluminis quolivet tempore
aliquam dationem deant..., set omni tempore ipsi portunarii ipsos monachos et servientes eo-
rum et animalia et alias res eiusdem monasterii per ipsum flumen ab una parte in alia unde
aptus fuerit absque aliqua datione ducant et reducant. DTC,E, 35. Di grande interesse è il
ricordo dei portunarii ufficiali pubblici che in età longobarda erano addetti alla sorveglianza
dei guadi, dei porti, degli attraversamenti e svolgevano anche funzione di guardie confinarie.
Lungo il sele la loro funzione si completa dell’ufficio destinato nella legislazione longobarda
ai riparii, ossia riscossione dei dazi sul trasporto di mercanzie. (per i compiti dei portunarii in
età longobarda FASOLI 1958, p. 139). E’ evidente che questi portunarii fossero disposti lungo i
guadi e gli attracchi del fiume ancora ricadenti sotto il controllo pubblico.
686
Si veda a tal proposito DI MURO 1994, p. 65; DI MURO 2000 pp. 21-22.
687
Cfr. supra il paragrafo sui possedimenti cavensi nella Piana.
688
Roberto Guiscardo nel 1080 conferma alla Chiesa salernitana il passaggio sul Sele,
PAESANO I, p. 136. Roberto di Eboli nel 1114 esenta dal pagamento di dazi i monaci di Cava o
i servi del monastero che dovranno attraversare il fiume, da soli, o con animali o con qualsiasi
altra cosa (alias res eiusdem monasterii). DTC, E, 35.
689
In quell’anno infatti Gisulfo II concede ad Alfano I di poter tenere in ipsa platea
plancas, et secus eas ponere faciatis, et habere quantas volueritis, et in ea ligamina rigere et
habere, et super eas edificia qualiter volueritis, ...., et carnes, et alia mercimonia in eis merci-
moniare et vendere et emere ....; neque portaticum, seu plateaticum in hac nostra civitate et
foris per totum nostrum Principatum Salerni homines vestri dent. Sed omne tributum et cen-
sum et servitium, portaticum et plateaticum et pensionem, quod per annum pars ipsius nostri
Sagri Palatii illi, qui in eis, ut dictum est, mercimoniaverint, et vendiderint et emerint, facere et
persolvere debuerint, tibi tuisque successoribus faciant et persolvant., MURATORI 1738, I, XIX
690
Si veda ad es. CARUCCI 1922, pp. 390-391.
691
VITOLO 1974 pp. 114 ss., DEL TREPPO 1977, p. 43.
692
CDS, I, pp 466-467.
693
A questo proposito si veda infra capitolo conclusivo.
694
PENNACCHINI pp. 43-45.
695
DEL TREPPO 1977 pp. 41.
696
Si veda supra ambiente naturale.
697
Documento edito in RIVELLI, p. 97, a. 1168.
698
L’ipotesi in FILIPPONE 1993, p. 58
Note 189
699
Si veda in questo lavoro passim.
700
Il ruolo degli Amalfitani nel reperimento e nella fornitura di legno per imbarcazioni e
non solo alla Tunisia e all’Egitto fin dall’alto Medioevo è stato ben messo in rilievo da CITA-
RELLA 1993, p. 263, 266.
701
Per le terre del Sele in età longobarda e per il commercio del legno degli amalfitani D I
MURO 2000.
702
Lo stesso porto del fiume Sele a Mercatellum doveva assumere forti connotazioni di
carattere commerciale se ad esempio nell’atto con il quale nel 1105 Giovanni iudex e i suoi
consortes fittano a un tale Mauro le res illorum del Sele si evidenzia la presenza in esse del
portus e del guado senza indicare altro. La presenza di tali strutture giustifica l’alto censo
corrisposto annualiter dal concessionario (80 tarì d’oro più un maiale di otto tarì a Natale e
Pasqua) che avrà la facoltà di tollere et habere…omne censum et dationes proveniente dall’uso
del porto e del guado. DTC, XVIII, 17.
703
Il presbitero di Santa Maria e San Nicola di Mercatellum ha la facoltà nell’XI secolo di
vendere un terzo dei puledri, dei vitelli e dei lattonzoli delle scrofe che nasceranno ogni anno
tra le mandrie della chiesa CDC,VII, p. 112. E’ verosimile che il bestiame venisse esitato
proprio nei luoghi dove sorgeva la chiesa.
704
Cfr. supra.
705
Per Capaccio si veda Caputaquis medievale 1976.
706
Reg. CARLONE 1998, 519, 638.
707
Conferma del pontefice Alessandro III a. 1169, PAESANO, II, p. 178; Si veda anche il
privilegio di papa Lucio III, a. 1183 ed. PAESANO, II; p. 231.
708
Per Olevano si rimanda a CARUCCI 1937; per Liciniano si veda supra il paragrafo rela-
tivo ai casali. Nel 1292 Carlo II d’Angiò concesse alle monache di San Lorenzo l’esenzione
dei dazi per l’ingresso dell’olio ad Amalfi proveniente dalle loro proprietà olevanesi, CARUCCI
1946, doc. CXVI, p. 145.
709
Pietro di Venezia in CARLONE 1998, 757.
710
Cfr., supra il paragrafo relativo all’ambiente naturale.
711
L’interesse per la pesca lungo il Sele si ricava anche da un documento di Gisulfo II alla
Chiesa salernitana in cui si concede, tra l’altro, piscationes ipsius fluminis (il Sele) PENNACCHI-
NI, p. 153.
712
PENNACCHINI, pp.52-53.
713
PAESANO I, p. 137, a. 1080.
714
Molina, CDC, VII, p. 96, a. 1049.
715
Quattro mulini, DTC, B, 22, a. 1082. AC, XL, 90 a. 1185.
716
CDC, VII,, p. 204, a. 1053. Si tratta del mulino donato nel 1089 da Ruggiero Borsa alla
badia di Cava DTC, G, 48
717
DTC, XXIII, 92.
718
DTC, XXI, 106.
719
DTC XXIV, 107; una parte del mulino viene venduta nel 1171 per un’oncia di tarì
BALDUCCI, I; 89.
720
CARLONE 1998, 240.
721
ID. 462.
722
ID. 248, a 1171.
190 La Piana del Sele in età normanno-sveva
723
ID. 351. Il mulino viene affittato a un mugnaio per 112 tarì l’anno. Nel 1245 il mulino
appartine alla Badia di Cava, CARLONE 1998, 711.
724
ID. 569.
725
ID. 756
726
In generale LICINIO 1991, pp. 153-185.
727
A tal proposito si rimanda ancora una volta al prezioso lavoro di Carmine Carlone,
CARLONE 1998.
728
Per una panoramica si vedano gli indici di CARLONE 1998.
729
CDV, II, pp. 130-132, a. 1117.
730
Ediz. CARLONE-MOTTOLA 1982 pp. 287-289.
731
Il documento è conservato presso l’archivio diocesano salernitano ed. PENNACCHINI 1942,
pp. 51-54.
732
CDS, I, pp. 107-109, a. 1216; CDS, I, pp. 130-131, a. 1220.
733
Il doc. in PAESANO II, p. 240; Si veda anche CARUCCI 1922, pp. 454-455.
734
Reg. CARLONE 1998, 520.
735
Si veda a tal proposito LICINIO 1991, p. 158.
736
DTC, XLIII, 69.
737
CARLONE 1998, 480.
738
Si veda infra.
739
CARLONE 503.
740
DTC, XVI, 81
741
DTC, XXVIII, 83.
742
Reg, CARLONE 1998, 517.
743
reg. CARLONE 1998, 523
744
Reg. CARLONE 1998, 632.
745
Vedi infra.
746
Il valore dei maiali è stabilito pari a 4 once d’oro, Reg. CARLONE 1998, 470.
747
BALDUCCI, I; p. 89 (reg.).
748
Reg. CARLONE 1998, 632.
749
Reg. ID. 684, a. 1239.
750
reg. ID. 722.
751
Reg. CARLONE 1998, 778.
752
Reg. CARLONE 1998, 434.
753
AC IL 24.
754
AC IL, 85.
755
Reg. CARLONE 1998, 702.
756
AMATUCCIO 1995, p. 96.
757
CDV,V, pp.298-301.
758
DTC, XXI, 106.
759
Si veda a tal proposito il paragrafo relativo ai mulini.
760
Così ad es. nel 1154 Daniele ferrario figlio di Guido ferrario in una compravendita di
una casa per 134 tarì d’oro reg. CARLONE 1998, 188 o nel 1133 Marco ferrario DTC, XXIII, 23
e in un documento del 1135 DTC XXIII, 97.
761
Ad es. CARLONE 1988, 704, a. 1242;
762
Reg. CARLONE 1998 , 709, a. 1245.
Note 191
763
DTC, XXVIII, 46, a. 1152.DTC, XLV, 12, a. 1202.
764
CDC, IX, p. 65, a. 1066; si tratta di una potega de lignamina quam olim Martinus faber
erarius conduceva. La potega si trovava in un lotto di terreno di piccole dimensioni, circa 16
metri quadrati, lungo la strada che conduce a porta rotese. Martino era un fabbro specializzato
nella lavorazione del bronzo, materiale certo di uso non comune. Anche da questa traccia si
può riconoscere l’ormai avanzata evoluzione della società salernitana nella seconda metà del-
l’XI secolo verso forme sempre più raffinate e l’importanza assunta dalle zone immediatamen-
te fuori dalle mura come aree di produzione e mercato. Quest’ultima considerazione deriva
anche dal prezzo esorbitante pagato per l’acquisto del minuscolo lotto, ben 104 tarì d’oro, una
valutazione che scaturì evidentemente dalla presenza del laboratorio.
765
DTC, XV, 10, a. 1090; nel documento risulta che Pietro a quella data è già morto.
766
Per la natura dei terreni di Eboli si veda la Carta geologica d’Italia, Eboli, f. 198, scala
1:100000.
767
CDV, II, pp. 130-132. Si tratta però forse di una falsificazione CARLONE 1998, 85, n. 1.
768
CARLONE 1998, 237.
769
CARLONE 1998, 328.
770
DTC, XLVI, 28.
771
CARLONE 1998, 556.
772
ID., 666.
773
PEDUTO 1993, pp. 46 ss.
774
Non si comprenderebbe altrimenti tale assenza nelle transazioni esaminate, poiché il
vasaio doveva essere economicamente più elevato del semplice cavatore d’argilla.
775
In quest’anno lo iocularius è gia morto. DTC, XLII, 23, a. 1089.
776
CARLONE 1998, 528.
777
ID., 743.
778
ID. 757. L’uliveto è acquistato da Pietro di Venezia.
779
si veda ad es. LE GOFF 1993
780
DTC, XLII, 23, a. 1089.
781
DTC,C, 19.a. 1089.
782
Si veda ad es. LICINIO 1995, p. 308.
783
Vedi supra viabilità.
784
E’ interessante notare come spesso figuri attore della compravendita o della concessione
il vestarario del monastero cavense, possessore della taverna, DTC, XXXV, 84, a. 1176; DTC,
XXXVIII, 94, a. 1182; DTC, XXXVIII, 113 a. 1184; reg. CARLONE 1998, 371, a. 1189; DTC,
XLII, 106, a. 1191.
785
La taverna era posta nelle vicinanze della via che conduceva ad Olevano e di qui ai
valichi appenninici verso la Puglia e della via che scendeva dal castelluccio di Battipaglia
verso San Mattia seguendo il Tusciano e di qui alla via litoranea che conduceva ai porti del
Sele e a Paestum(vedi supra viabilità).
786
Per le taverne come punto di discussione e trasmissione di notizie si veda ad es. LICINIO
1995, pp. 313 ss. Sul ruolo in generale della cultura orale nel Medioevo OLDONI 1998, in part.
pp. 422-431.
787
LICINIO 1993, pp. 156-158.
788
DTC, G, 10.
192 La Piana del Sele in età normanno-sveva
789
DTC, XVII, 111. Esiste anche un secondo documento di concessione del 1109 ma
giustamente Carlone lo ritiene sospetto di falsificazione, si veda CARLONE 1998, 73, n. 2.
790
DTC, XL, 44.
791
DTC, XXXV, 56 a. 1177; DTC, XXXVI, 41, a. 1178.
792
DTC, XXXIX, 79.
793
DTC, XLIII 23.
794
DTC, XLIII; 29.
795
Reg. BALDUCCI, I, p. 38, a. 1219.
796
Reg. CARLONE 1998, 467, a. 1201.
797
Non mancavano tuttavia artigiani anche nei casali, ad es. il calzolaio Gualtiero nel vico
Tusciano, DTC, XXXI, 113, a. 1165.
798
CARLONE 1998, 632. Il mestiere di Trogisio figlio del fu Giovanni di Troiano è precisato
in altri documenti del XIII sec. ad es. CARLONE 1998, 502, 517.
799
Alcuni esempi: calzolai (i figli del calzolaio Cioffo vendono una terra ereditata dal
padre nel 1143 a Calli, reg.CARLONE 159; Corrado corviserio vende terre nei pressi di Eboli nel
1230, CARLONE, 627; Benedetto corviserio, terre a Eboli, reg. CARLONE 663, a. 1235); settore
del pellame (Maria f. di Domenico de Concia aveva ereditato una terra nel casale Tusciano
DTC XL, 54, a. 1187): macellai (Dionisio macellaio vende una terra con oliveto e casalino a
Turelloper 2 once d’oro e mezza, reg. CARLONE, 701, a. 1242).
800
Diversamente la terra avrebbe dato di che vivere a chi fu costretto privarsene come nei
casi di seguito rammentati.
801
Reg. CARLONE 1998, 455.
802
Per Matteo e Avaricia si veda supra.
803
HUILLARD-BREHOLLES 1864, p. 432, Si veda anche PATRONE NADA 1993, p. 110.
804
DTC, XXXII, 15.
805
DTC, XXXII, 15.
806
DTC, XXII, 1.
807
CARLONE 1998, 661.
808
CARLONE 1998, 652, a. 1233.
809
Così il notaio Giovanni figlio naturale del presbitero Silvio DTC, XLIII, 81 a. 1193.
810
E’ il caso dei figli illegittimi di Palermo del casale Tusciano, ricco possidente della
contrada, che sul letto di morte alla presenza della moglie Magdala e della madre Grima, dona
ai figli naturali Guglielmo e Giordana parte dei suoi averi, a condizione che questi, ora mino-
renni, siano in dominio della Trinità di Cava, DTC, XXXV, 20, a. 1175.
811
CARLONE 1998, 577.
812
DTC, XXIX, 45.
813
Si veda ad es. CARUCCI 1922, CARLONE 1998 p. IX.
814
Si veda supra il paragrafo sui mestieri.
815
CDV, X, pp. 123-125.
816
Regesto in CARLONE 1998, 180. Si tratta del testamento di una certa Truda di Eboli, nel
quale si afferma la volonà di distribuire 32 tarì.
817
DTC, XXVII, 45.
818
Si veda anche un documento del 1186 in CARLONE 1998, 349.
819
DTC, XXIX, 71; altri lasciti ai poveri pro anima DTC, XXXIII, 93, a. 1171; DTC,
XXXIV, 32, a. 1172; ibid., 54, a. 1174; XXXV, 60, a. 1176; Carlone 1998, 340, A. 1184.
Note 193
820
Per i centri di ricovero e di assistenza nel Medioevo meridionale DALENA 2003 b, pp.
141-167. Per la viabilità in relazione ai centri di pellegrinaggio I D. 2003 a.
821
Per l’ospedale di San Giovanni si veda supra paragrafo sulle chiese. In generale sulla
presenza giovvanita in Italia meridionale SALERNO 2001.
822
CARLONE 1998, 572, a. 1220.
823
CARLONE 1998, n. 578, a. 1221; altri documenti CRISCI CAMPAGNA, p. 500.
824
Ospedale di Santa Maria dei Teutonici, CARLONE MOTTOLA 1981, 367, a. 1259, CARLONE
1998, 768, p. 343. Potrebbe trattarsi però di un riferimento all’Ordine piuttosto che ad una
struttura nel territorio.
825
CARLONE 1998, 702, a. 1242.
826
CARLONE-MOTTOLA 1981, 341, a. 1251.
827
Di un certo interesse risulta la notizia riportata da Enrico Bacco nella sua opera sul
Regno di Napoli che attesta la presenza ad Eboli di un ospedale «detto santo Iacopo ...per li
pellegrini che vanno e vengono da santo Iacopo di Galitia», BACCO 1629 p. 192. L’ospedale
già esisteva nel XIV, CARLONE 1986, doc. 96.
828
CARLONE 1998, 682.
829
ID. 706, a. 1243.
830
Il documento è edito in TROPEANO 1973, pp. 230-233.E’ possibile che tra i motivi che
spingessero a elargizioni in denaro e in cibo vi fossero, accanto alla volontà di seguire il dettato
evangelico, cause legate alle strutture profonde dell’immaginario collettivo. Infatti la figura
del povero è nel folclore collegata ai culti dei morti: ancora fino a qualche decennio fa i poveri
in molte aree del Mezzogiorno costituivano in qualche modo i vicari dei morti i quali, come gli
indigenti appunto, soffrono la fame e la sete non potendosi più servire dei loro corpi. A questo
proposito è interessante notare come le fave, espressamente ricordate nel documento del 1210,
rappresentino sin dall’età romana un cibo per eccellenza legato al culto dei defunti. Si veda
RAFFAELLI 1990.
831
Reg. CARLONE 1998, 467.
832
Sullo sviluppo del monachesimo in età normanna in Italia meridionale si veda ad es.
FONSECA 1983, pp. 15-35 e VITOLO 1988.
833
AC, XXXV, 45.
834
AC, XXXV, 57, a. 1178.
835
AC, XXXVI, 20.
836
Per il poema illustrato da eleganti miniature si veda ad es. Petrus de Ebulo, Nomina.
837
DTC XLVIII, 52, reg. CARLONE 1998, 602.
838
DTC, XXV, 92. Altri esempi DTC, XVIII; 71, a. 1109; DTC, XX, 88, a. 1117; DTC,
XXV, 5, a. 1142; DTC, XXV, 6, a. 1142; DTC, XXX, 51, a. 1161.
839
DTC, XXXIII, 93.
840
DTC, XXXVIII, 9.
841
CARLONE 1998, 648.
842
DTC, XLVIII, 53.
843
Si veda ad es. CARDINI 1995
844
CARLONE MOTTOLA 1981, pp. 295-296. Qualche giorno prima lo stesso Simeone aveva
venduto alcune terre per un’oncia d’oro, con il diritto di poterle riscattare in capo a tre anni,
presumibilmente per procurarsi il necessario per affrontare il lungo viaggio fino in Galizia. Il
194 La Piana del Sele in età normanno-sveva
monastero di San Giacomo degli Eremiti fu fondato alla fine del XII secolo e nel corso della
prima metà del XIII accrebbe i propri possedimenti nella painura di Calli. per poi divenire,
intorno alla metà dello stesso secolo, dipendenza di S. Maria la Nova, CARLONE-MOTTOLA 1981,
pp. XIV-XIX. Per possibili elementi di relazione tra il monastero ebolitano e il pellegrinaggio
a Compostela si veda supra, capitolo Economia e società, par. Frammenti di vita quotidiana
nelle terre tra il Tusciano e il Sele.
845
BACCO 1629, p. 192.
846
GALANTI 1790, IV, p. 226.
847
DI GERARDO-MANZIONE 1998 pp. 97 ss. E’ pur vero che la Guerra del Vespro in particolare
dové avere conseguenze gravi sul popolamento della Piana, si consideri ad esempio il documento
del 1296 in cui si attesta che la popolazione di Eboli dai 1500 abitanti degli anni ’80 del XIII
secolo era ridotta a circa 800 (CDS, II, pp. 517-518).
848
Questa situazione di crisi in generale comportò un cedimento della rete insediativa nei
siti di pianura, con una concentrazioe della popolazione nei borghi GALASSO 1992, pp. 806 ss,
secondo il quale nel corso del XV secolo «la popolazione dell’Italia meridionale dové scendere
, con ogni probabilità, al di sotto di un milione e mezzo di abitanti, registrando una perdita di
forse più del 40% rispetto alle punte massime dell’espansione toccata nei due secoli precedenti»,
Ibid. p. 808, anche se la situazione del Principato Citra non fu così catastrofica, Ibid. p. 809.
849
DI MURO 1994; ID. 2001.
850
DI MURO 2000 pp. 83 ss.
851
DI MURO 2000 pp. 74 ss.
852
Nel 1547 si iniziò la costruzione del complesso di Santa Maria del Carmine, sul sito di
una chiesa ormai diruta sull’altura della collina detta in seguito del Carmine (LONGOBARDI
1998, pp. 190-199).La collina del Carmine è da identificare, come detto, con il colle su quale
sorgeva il castello di Monte (supra) e la chiesa in rovina è probabilmente la chiesa di santa
Maria del castello.
853
DI MURO 2001.
854
Fino alla fine dell’XI secolo sono ricordate come funzionanti nella piana del Sele le
seguenti chiese: San Michele, Santo Stefano, Sant’Arcangelo, Santa Maria de Ponte, San Pietro
ad columnellum, San Pietro del Tusciano, San Mattia, San Biagio,San Nicola di Mercatello,
San Nicola de Laneo, si veda supra.
855
Si deve però tener conto della possibilità che altre fossero le vie di conquista della terra
in questi anni, vedi infra.
856
In generale si veda CARUCCI 1922. Preziosa fonte per quanto riguarda gli accadimenti in
quest’area durante il conflitto normanno-svevo è il Liber ad honorem Augusti.
857
Supra capitolo relativo ai casali.
858
E’ ragionevole supporre che l’aumento indubitabile della popolazione nell’area,
testimoniato anche dalla crescita di Eboli e degli insediamenti accentrati nella piana di
Battipaglia per tutto il periodo considerato, abbia portato ad un qualche accrescimento della
superficie coltivata, anche se non esistono prove documentarie certe, si veda supra il capitolo
sull’economia agraria.
859
Il dato emergente dalla piana del Sele sembra contrastare con il quadro proposto anche
di recente di un Mezzogiorno medievale dove la predominante produzione cerealicola
rappresenterebbe un elemento di forte continuità con l’età antica (si veda ad es. MONTANARI
1989, 89-97). In realtà in questa area la cerealicoltura diventa elemento dominante, come si è
Note 195
detto, solo a partire dalla seconda metà del XII secolo. Più in generale la vicenda delle terre a
Est di Salerno dal III secolo al XIII mostrano una serie davvero numerosa di abbandoni,
riprese, riconversioni. Mi permetto di rimandare a tal proposito ai miei D I MURO 2001; DI
MURO 2004 c.
860
Ad es. TRAMONTANA 1983 p. 586. La scelta cerealicola, almeno nella piana del Sele,
accomuna i grandi possessori (in particolare la Badia di Cava) e i piccoli e medi proprietari
vedi infra.
861
FIGLIUOLO 1993 pp. 195-224, HOUBEN 1999, p. 209.
862
A tal proposito IDRISI, p. 91. Si veda anche DI MURO 2001. Tra le merci che si potevano
acquistare sul mercato di Salerno a partire almeno dalla metà del X secolo vi era il grano: in un
documento del 959 si fa riferimento ad una terra in locum Correganu salernitane finibus,
Corgiano a nord di Fratte, in cui si semina una certa quantità di triticum che viene misurata
cupellum ad cupellum de mercatum venalicium della città CDC, I, p. 259.
863
Si veda ad es. DEL TREPPO 1977 pp. 48 ss.; VITOLO 1987. Si ricordi che a Salerno ,come
si è visto, è documentato un mercato del grano già nel X secolo e che in età tardo longobarda
questo mercato emerge sempre più cospicuo (DI MURO 2001). In questo senso si può forse
affermare che, almeno per quel che riguarda questo aspetto nel salernitano, l’unificazione del
Regno e la creazione di una solida rete internazionale di scambi accelerò e radicalizzò processi
economici innescati almeno due secoli prima.
864
Si veda supra il capitolo dedicato al commercio.
865
Si veda DEL TREPPO 1977 pp. 41, 196.
866
Riporto alcuni esempi di terre coltivate a cereali di proprietà di liberi allodieri: AC, H,
5, a. 1148; AC, XXX, 51, a. 1160; AC, XXXIII, 26, a. 1166; AC XXXIII, 93, a. 1171; AC
XXXIV, 26, a. 1172; AC XXXV, 20, a. 1175; AC XXXV, 84, a. 1176; AC XXXV, 76, a. 1177.
Si veda anche supra il capitolo relativo alle colture.
867
Si veda Tabella 2.
868
Non va peraltro dimenticata l’equazione pane = cibo sempre attuale nel Medioevo
meridionale Così ad esempio MONTANARI 1989.
869
Ad esempio in un testamento del 1175 è menzionato un ortale nei pressi di una casa nel
casale Tusciano DTC, XXXV, 20. In generale per gli orti nei pressi degli abitati della piana
Tab. I, II, III. Il fatto che non si rinvengano numerose attestazioni di orti in questo periodo non
compromette l’ipotesi avanzata in quanto notoriamente l’orto, per la sua natura di spazio che
racchiude colture estremamente intensive e riservate al consumo strettamente personale del
possessore, raramente risulta citato nelle transazioni o negli affidamenti. Si veda a tal proposito
ad es. ANDREOLLI 1990, pp. 183-197.
870
Dalla geografia degli abbandoni sembra che questi abbiano interessato le aree più
marginali del territorio, come quelle litoranee e del medio corso del Sele, più difficilmente
raggiungibili e lontane dalle arterie principali dei traffici.
871
Segnali evidenti dell’abbandono della parte bassa della piana e del suo progressivo
impaludamento sono la scomparsa della via litoranea ricordata nei documenti dei secoli X e XI
secolo, la notizia della distruzione del ponte del Tusciano a causa delle piene agli inizi del XIV
secolo (CDS, II, p. 32, a. 1302) e il ricordo nei documenti del XIII secolo di edifici diruti nei
pressi della foce del Tusciano (si veda ad es. la conferma di Federico II alla Chiesa salernitana
del 1221 PAESANO II, pp. 316-320. Il documento è probabilmente una falsificazione in forma di
originale della seconda metà del XIII secolo prodotto per provare i diritti della Chiesa salernitana
196 La Piana del Sele in età normanno-sveva
alla morte di Federico II, ma la presenza di edifici abbandonati sul litorale deve essere ritenuta
evidentemente verace, diversamente il documento sarebbe apparso senza dubbio sospetto ai
contemporanei). Il maggior grado di impaludamento delle aree litoranee è evidentemente legato
alla minor pendenza che facilita l’accumulazione delle acque, si veda supra paragrafo relativo
al paesaggio naturale.
872
SCARANO INDICE 2001, pp. 129-136.
873
CDS, I, pp. 400-401. Cava insieme al casale di Sant’Adiutore contava 362 fuochi ma i
due centri risultavano separati, Ibid. p. 401, n. 2. Il dato è sostanzioalmente confermato dal già
ricordato documento del 1296 in cui si afferma che Eboli avanti la Guerra del Vespro contava
1500 abitanti, CDS II, pp. 517-518. Il numero di abitanti di Eboli alla metà del XIII secolo
sopravanza, in ogni caso, di gran lunga la consistenza demografica media dei centri dell’Italia
meridionale, escluse le città maggiori del Regno, ipotizzata da Giuseppe Galasso (900-1000
abitanti, compresi i casali ricadenti nei territori di pertinenza) GALASSO 1992 pp. 807-808. E’
probabile che il numero di abitanti si riferisse esclusivanmente al centro cittadino e ai sobborghi,
in quanto i maggiori casali rurali dovevano risultare esenti per il loro legame con la Badia di
Cava (San Mattia, Tusciano e Sant’Arcangelo) e con la Chiesa salernitana (Castelluccio di
Battipaglia che, come si è visto, nel XIII secolo contava circa 100 abitanti).
874
Attestazioni di Eboli come civitas, BALDUCCI, I, 28, a. 1139; CARLONE-MOTTOLA 1984, p. 53,
XII, a. 1161; DTC, XXXV, 20, a. 1175, DTC, XXXV, 91, a. 1178; DTC, XXXVI, 32, a. 1178;
DTC, XXXVI, 81, a. 1179; CARLONE 1998, 519, a. 1212 (rogato a Salerno) ID. 696, a. 1241.
875
Liber ad honorem Augusti, p. 128, v. 405.
876
HUILLARD-BREHOLLES,V, 2, pp. 796-798.
877
In questo senso si può accomunare la vicenda di Eboli a quella di centri minori dell’Italia
centrale quali Prato o San Miniato, che pur privi di sede diocesana riuscirono a ritagliarsi un
seppur limitato territorio dipendente, cfr. PINTO 2005, pp. 8-9. Bisogna però rilevare come, a
differenza di questi centri, ad Eboli non sembra emergere fino a tutto il XIII secolo una piena e
totale giurisdizione sulle campagne da parte del centro cittadino, con la direzione delle politiche
economiche, anche a causa dei forti poteri concorrenti operanti nel territorio. Per i legami tra
Federico II e Eboli si veda infra. La stessa presenza di un oratorio francescano ad Eboli dal
1233 costituisce un ulteriore elemento che ne connota il carattere urbano, sebbene in origine
l’ordine avesse una predilezione per i siti nei pressi delle strade di grande comunicazione. Per
l’insediamento francescano ad Eboli VITOLO 1986 pp. IX-XXIV.
878
Si veda supra il paragrafo relativo al castellum Evuli. La menzione di abitanti delle
campagne ormai residenti nei sobborghi ebolitani a partire dalla seconda metà del XII secolo
lascia intravedere una dinamica di trasferimento dai casali rurali al centro del distretto, quanto
cospicuo non si riesce a determinare a causa della relativa esiguità dei documenti. Si rimarca
ancora una volta la sostanziale contemporaneità degli abbandoni di Monte e Palude rispetto
all’attestazione dei quartieri extramurani di Eboli.
879
Vedi supra il paragrafo su Eboli.
880
I legami di solidarietà tra artigiani di uno stesso settore che di tanto in tanto emergono
dai documenti di archivio, come nel caso di alcune carte testamentarie o compravendite per
sopperire a necessità, lasciano trasparire tra XII e XIII secolo l’esistenza di vincoli corporativi,
ma si tratta solo di impressioni non supportate da una documentazione più precisa.
881
Si veda supra.
882
Per Olevano nell’alto medioevo DI MURO 1993; ID 2001; ID. 2004 c. con bibliografia.
Note 197
Per la vicenda di Olevano nel tardo Medioevo e in età moderna si rimanda a IANNONE 1988 e a
CARUCCI 1938.
883
Sulla vicenda del casale di San Pietro ad columnellum si veda supra il capitolo sui
casali.
884
Si veda DI MURO 2004 c (in c.d.s.)
885
Così ad esempio il Castelluccio di Battipaglia e il casale dipendente supra; Caso opposto
il casale Monte, dove l’immissione nel distretto ebolitano provoca l’abbandono del castello.
886
Sui notai ebolitani e sulle caratteristiche dei documenti da questi redatti si veda CARLONE
1991, ID. 1999; Oltre al celebre Pietro da Eboli la documentazione ricorda un tale Matteo
dictator, , ricordato come già morto nel 1189 (il figlio è il notaio Abele) DTC, XLII, 41,
probabilmente un maestro di retorica epistolare, l’ars dictandi che ebbe tanta parte nella
cancelleria imperiale al tempo di Federico II . Per l’ars dictandi si veda.in gen. SCHALLER 1980,
coll. 1034-39. ID., 1990, pp. 119-27.
887
Per la razionalizzazione del sistema statale nel Mezzogiorno con Ruggero II si veda ad
es. HOUBEN 1999 pp. 196 ss.
888
Si è veda ad es. il casale di Santa Cecilia sulla riva destra del Sele (supra cap. relativo ai
casali), ma anche le poche case del tenimento di San Nicola de Laneo non lontano da
Campolongo erano immediatamente circondate da orti, frutteti, vigne, terre laboratorie e querce,
in modo che chi vi abitava potesse trovare almeno il necessario per la propria sussistenza DTC,
XLVIII, 46.
889
Si veda a tal proposito MONTANARI 1985, pp.198 ss.
890
WINKELMANN, n. 169; CDS, I, pp.122-123.
891
WINKELMANN n. 215; CDS, I, pp. 135-136.
892
Si veda atal proposito ad es. TRAMONTANA 1983, pp. 666-668.
893
L’incameramento del territorio di Eboli nel demanio della Corona non si configurò, con
ogni probabilità, come atto privo di fondamento: infatti nel 1156, come si è visto, la Contea di
Principato era passata sotto il controllo diretto del sovrano e la successiva ricostituzione con la
concessione ad Enrico di Navarra nel 1166 escluse probabilmente Eboli dai domini del nuovo
conte di Principato. Per il sostanziale ridimensionamento delle competenze feudali delle contee
del Regno in questo periodo, rispetto alle compatte signorie precedenti, si veda C HALANDON, II,
pp. 2365 ss.
894
HUILLARD-BREHOLLES, I, 2, pp. 911-913.
895
Le prime concessioni demaniali del Tusciano erano state fatte probabilmente a Santa
Maria dei Teutonici da Enrico VI come sembra potersi dedurre da un atto del 1217, H UILLARD-
BREOLLES, I, 2, pp. 917-920, a. 1217
896
HUILLARD-BREHOLLES, I/1, p. 299. In generale appare di garnde interesse la comparsa
degli Ordini cavallereschi nel territorio di Eboli e Olevano alla fine del XII secolo. Qui si
rinvengono, come si è detto, ampi possedimenti di Ospedalieri e Teutonici. I Teutonici furono
particolarmente e precocemente beneficiati da Enrico VI e da Federico II che concessero loro,
tra l’altro, la custodia del castrum Olibani oltre a numerosi terreni, il casale Tusciano e il
castelluccio di Battipaglia (si veda infra e supra). Lo stesso Ermanno di Salza, come si è detto,
si occupò del castello di Olevano e probabilmente vi risiedette. Il posizionamneto strategico
del castello di Olevano e del castelluccium Baptipallae a controllo di vie commeciali e di
pellegrinaggio verso la Puglia e la Calabria, conferma da un lato la vocazione dell’ordine
all’assistenza dei viandanti e dall’altro la fiducia che in particolare Federico riponeva in Ermanno
198 La Piana del Sele in età normanno-sveva
e i suoi (A proposito del posizionamento dei possedimenti e delle commende teutoniche lungo
importanti arterie dell’Italia meridionale si veda D ALENA 2004). Discorso analogo vale per la
commenda giovannita di Eboli.
897
HUILLARD-BREHOLLES, I, 2, pp. 917-920, a. 1217; Vedi supra paragrafo sui casali.
898
Per questo accordo si veda TOOMASPOEG 2004 pp. 140-141.
899
HUILLARD-BREHOLLES, I, p. 789, a. 1220; CDS, I, pp. 124-125. In precedenza uguale
diritto aveva concesso alla Badia di Cava, HUILLARD-BREHOLLES, I, 2, p. 152, a. 1216.
900
CDS, I, pp. 130-131.
901
DALENA 1997, pp. 138-140.
902
AC, M, N. 16, a. 1221. HUILLARD-BREHOLLES, II, 1, pp. 118-122. Non è improbabile che
il documento sia un falso prodotto per avvalorare i diritti della Badia su queste terre negli anni
intorno al 1266, vedi infra, in evidente contrasto con gli atti dello Svevo riguardanti Eboli;
Altra falsificazione in forma di originale prodotta dallo scriptorium cavense per lo stesso scopo
è con ogni probabilità il documento del 1231 con il quale Federico II conferma all’abate Balsamo
privilegi e diritti nel casale Tusciano, AC,M, 29, CARLONE 1998, 634, n. 1.
903
HUILLARD-BREHOLLES, II, 2, p. 638. CDS, I, pp. 232-234.
904
I casali, con i diritti signorili sugli abitanti, saranno restituiti solo in età angioina alla
Badia di Cava. AC, LV, 68 a. 1266.
905
DALENA 1997, p. 141.
906
In particolare, oltre alla probabile falsificazione di atti federiciani già rilevati, i documenti
relativi a presunte donazioni della famiglia di Guglielmo conte di Principato, in cui si
concedevano all’abbazia cavense tutte le terre di pertinenza del conte tra il Tusciano e il Sele
insieme ai diritti signorili connessi DTC, F, 40 a. 1127; DTC, G, 6, a. 1131; DTC,G, 16, a.
1135; Si veda anche AC, XXXIII, 100, a. 1171. Anche la Chiesa salernitana produsse
falsificazioni in questi anni ad es. PAESANO, II, pp. 316-320; HUILLARD-BREHOLLES, II/1, 111-
115. a. 1221. Sulla questione CARLONE 1998, p. X e note relative ai documenti citati.
907
Si veda supra il paragrafo relativo al casale Tusciano, in particolare il documento di
Ruggiero Borsa del 1089 con nota relativa.
908
DTC, XXIII, 104 a. 1137 (falso?).
909
Vedi supra capitolo sui casali.
910
Si veda a tal proposito ad es.TRAMONTANA 1983, pp. 660-676.
911
MARTIN 1995, pp. 6 ss.
912
L’età di Guglielmo II come punto di riferimento per regolare i rapporti tra Federico II e
signori locali fu stabilito nelle Costituzioni di Capua del 1220, cfr. TRAMONTANA 1983, p. 669.
913
MARTIN 1995, pp. 6-7.
914
Domus imperiale di Eboli in STHAMER 1914, p. 110, a. 1231.
915
Vedi supra il paragrafo relativo al castrum Olibani e il paragrafo relativo al casale
Tusciano.
916
CDS, I, p. 151, a. 1228
917
Si veda ad es. il classico MORGHEN, Gli svevi in Italia, pp. 109-111.
918
KANTOROWICZ 1981, p. 102.
919
Per il castrum Olibani IANNONE 1988
920
Si sottolinea ancora una volta come la presenza di interessi teutonici nella piana del
Sele sia forse da ricondurre ai tempi di Enrico VI (cfr. HUILLARD-BREHOLLES, I, 2, pp. 917-920,
a. 1217) e, dunque, al nucleo originario dei possedimenti dell’Ordine nel Regno di Sicilia,
Note 199
accanto ai già noti possessi di Brindisi, Messina, Barletta, Palermo e, forse Mesagne (per
questi ultimi si veda TOOMASPOEG 2004, pp. 137-138). Il ruolo nodale dei percorsi che
attraversavano le terre tra Tusciano e Sele, in particolare nello scacchiere delle comunicazioni
terrestri tra Campania meridionale e Puglia, unita alla forte produttività del territorio, furono
probabilmente tra le ragioni della intensa presenza teutonica, pressoché esclusiva in Campania,la
cui missione principale nel Mezzogiorno era legata al rifornimento di uomini e merci alla
Terrasanta (si veda ad es. TOOMASPOEG 2004, p. 146), compito favorito dai privilegi concessi
da Enrico VI con i quali Teutonici erano tra l’altro esonerati dal pagamento di dazi commerciali
HOUBEN 1997, p. 28.
921
Tale consuetudine è testimoniata dal 1109 per la chiesa di San Giorgio, PENNACCHINI
1942, pp. 55-6.
922
PENNACCHINI 1942, p. 151.
923
CDS, I, pp. 114-117.
924
CARLONE 1998, X. Tra XII e XIII secolo sono ricordate nella documentazione le seguenti
parrocchie ad Eboli: Santa Maria ad Intra, Sant’Angelo, San Marco, San Matteo, San Giovanni,
San Nicola, San Lorenzo, San Bartolomeo, San Giorgio, Santa Trinità, Sant’Elia. A queste si
aggiunga Santa Maria di Monte e San Clemente del Tusciano. Per le parrocchie ebolitane nel
basso Medioevo VITOLO 1986.
925
CESTARO 1984, pp. 117-118.
200 La Piana del Sele in età normanno-sveva
201
Bibliografia
Studi
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202 La Piana del Sele in età normanno-sveva
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1935.
208 La Piana del Sele in età normanno-sveva
Archivi
AC = Archivio della Sant.ma Trinità di Cava dei Tirreni.
ADS = Archivio doiocesano salernitano.
Regesti
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1956-1957.
210 La Piana del Sele in età normanno-sveva
211
Indice
Presentazione pag. 5
Prefazione » 7
Premessa » 11
CAPITOLO I
IL TERRITORIO
Territorio e viabilità » 15
Castrum Olibani e castellum Ebuli. Le due signorie
di castello tra Tusciano e Sele in età normanno-sveva » 22
La geografia del possesso » 26
CAPITOLO II
GLI INSEDIAMENTI
I casali » 29
I castelli e i borghi » 52
I luoghi di culto » 69
I poli santuariali » 84
CAPITOLO III
ECONOMIA E SOCIETÀ
La produzione agraria » 89
Ambiente naturale ed economia silvopastorale » 107
I mercati » 123
Attività artigianali e condizione sociale » 129
Frammenti di vita quotidiana nelle terre tra il Tusciano e il Sele » 137
CAPITOLO IV
Alcune considerazioni conclusive » 145
Note » 162
Bibliografia » 201
212 La Piana del Sele in età normanno-sveva