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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA

FACOLTÀ DI SCIENZE MM.FF.NN.

Corso di Laurea in Geologia

TESI DI LAUREA

LA MINIERA DI FERRO DI TERARGO


(MONTELEONE DI SPOLETO-UMBRIA SUD
ORIENTALE):UN GEOSITO MINERARIO

Laureando: Relatore:
STEFANO DELLA BOTTE MASSIMILIANO RINALDO
BARCHI

Correlatore:
FAUSTO PAZZAGLIA

Anno Accademico 2012/2013


“LA TERRA E’ UNA MINIERA DI RISORSE DA SCOPRIRE MA
BISOGNA SAPERLA AMARE E RISPETTARE ”

DEDICATO

Ai miei nonni
Melania & Silvio
INDICE

CAPITOLO 1
INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI...…………………………….pag.1

CAPITOLO 2
CENNI STORICI……………………………………………………………pag.4

CAPITOLO 3.
INQUADRAMENTO GEOGRAFICO E GEOLOGICO ……………….pag.9

Paragrafo 3.1 Inquadramento geografico……………………………………..pag.9

Paragrafo 3.2 Stratigrafia e tettonica………………………………………...pag.11

CAPITOLO 4
STUDI PRECEDENTI…………………………………………………….pag.16

CAPITOLO 5
METODOLOGIA E RISULTATI…………………………………………pag.18

Paragrafo 5.1 Metodologia ………………………………………………...pag.18

Paragrafo 5.2 Risultati………………………………………………………pag.18

CAPITOLO 6
ORIGINE DEL GIACIMENTO…………………………………………..pag.27

CAPITOLO 7
IL GEOSITO DELLA MINIERA DI TERARGO E UN ITINERARIO
GEOTURISTICO PER RAGGIUNGERLO ………………………………….pag. 28

CAPITOLO 8 RISCHI DI DEGRADO…………………………………………pag. 41

BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………… pag.43

ALLEGATO: TAVOLA 1 CARTA GEOLOGICA DELLA MINIERA DI


TERARGO
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI

Questa tesi vuole valorizzare, attraverso un possibile itinerario geoturistico, il


geosito della miniera di ferro di Terargo (Terrargo,Terrago), che si trova nel
Comune di Monteleone di Spoleto in Valnerina (Umbria SE), nel versante
meridionale del Monte Birbone (Figg. 1 e 2) e si inserisce in un progetto di
realizzazione di un “Parco Geologico” presentato dal consorzio BMI di Cascia e
finanziato per buona parte dalla Regione Umbria con fondi europei POR FESR
2007-2013. Tutto ciò nel quadro di un rinnovato interesse generale
nell'archeologia industriale e nel turismo naturalistico/geologico e in particolare
nel sito di Terargo, come testimoniato dalle attività svolte dal Comune di
Monteleone, nel Progetto di valorizzazione delle miniere di ferro, attraverso
convegni e attività didattiche svolte in collaborazione con la scuola secondaria di
M.Leone. La tesi, dopo una prima parte introduttiva storica e geografica, descrive
la geologia della miniera e cerca di ragionare sull’origine della mineralizzazione.
Infine viene descritto l’itinerario geoturistico. La miniera di ferro di Terargo si
presta bene a far parte di un itinerario geoturistico per la sua importanza storica
nazionale e mineraria regionale e per gli aspetti paesaggistici che sono fonte di
richiamo culturale, didattico e ricreativo, in quanto situati in una delle aree di
maggior pregio naturalistico dell’intero territorio regionale umbro, la Valnerina.

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Figura1. Localizzazione della miniera di Terargo (base DEM da STRM 90 m NASA da
geodati.fmach.it/gfoss_geodati/SRTM-ITALY). Il cerchio rosso indica la posizione esatta e la
zona di colore più chiaro evidenzia la Valnerina.

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Figura 2. Localizzazione della miniera di Terargo (cerchio viola), delle altre miniere di ferro
dell’area di studio (in rosso) e delle ferriere (in blu). È indicata inoltre la via del ferro che
collegava Monteleone a Scheggino. Base topografica IGM 1:100.000

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CAPITOLO 2. CENNI STORICI

L'attività estrattiva e la lavorazione del ferro


La miniera è stata interessata sin da epoca storica da estrazione di minerali che
potevano essere lavorati e come tali entrare a far parte di un processo produttivo
capace di promuovere lo sviluppo economico di tutto il territorio.
L'Umbria tra il Seicento e la prima metà dell'Ottocento è stata interessata da
un'intensa attività estrattiva di ferro a cui erano collegati impianti di lavorazione.
Nell’area di studio erano presenti le miniere di Terargo, Grotte di Luca,
Campofoglio, Cornuvole, Rescia, Salto del Cieco (Pizzo delle Ferriere) e Gavelli
(Colle Ferraio) (vedi Fig. 2; Cavallini, 1999; Santi, 2000; Damiani, 2011). Le
prime notizie su un possibile intervento della Reverenda Camera Apostolica
(RCA) per lo sfruttamento delle risorse minerarie nell'area di Monteleone di
Spoleto si hanno verso la fine del XV secolo, ma solo nel 1629 si ha notizia certa
di un'attività ben sviluppata (Cavallini, 1999). Successivamente notizie sicure
vengono fatte risalire al 1631 e riguardano il possesso da parte della RCA di un
mulino sul F.Corno a servizio di una prima lavorazione del minerale estratto.
Fu poi Matteo Barberini, già vescovo di Spoleto, durante il suo pontificato (Papa
Urbano VIII, 1623-1644), a realizzare quelle che erano, in quell’epoca, le uniche
ferriere costruite tra il 1630 e il 1641 (Morini, 1903) dello Stato Pontificio, site in
località Ruscio, frazione di Monteleone lungo il F.Corno (Cavallini, 1999).
Successivamente (nel 1642) venne costruita una ferriera a Scheggino.
L'importanza che Urbano VIII ha attribuito allo sfruttamento delle risorse
minerarie locali è attestata da una medaglia commemorativa del 1642, che riporta
su una faccia il busto del Pontefice e sull'altra un forno metallurgico con uno
sfondo di minatori impegnati nello scavo a cielo aperto (Fig. 3).
Egli diede l'incarico al cardinale Fausto Poli di Usigni di avviare un'attività
estrattiva a cui doveva seguire la lavorazione del ferro. Questa attività ha avuto
per circa un secolo un ruolo rilevante nell’economia di questo territorio, tanto che
sotto il Pontificato di Clemente IX (1667-1669), si ebbe la massima produzione
di ferro. Il ferro di Monteleone fu usato, infatti, per realizzare i cancelli, coi quali
il Pontefice chiuse il portico del Pantheon (Fig. 4).

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Figura 3. Medaglia commemorativa di Papa Urbano VIII. Proprietà Marisa Angelini, foto di
Sandro Montecchiani (da www.proruscio.it/davedere/ferriere.htm e www. archeoambiente.net).

Figura 4. Cancelli del Pantheon. Foto tratta da Penazzi (2003).

Il minerale estratto, inizialmente, veniva trasportato con carri ed animali da soma


nella ferriera di Ruscio. Successivamente furono realizzate nuove strade per il
trasporto del materiale finito, come la strada che dalla Flaminia arriva in Valnerina
e da qui a Monteleone per proseguire poi per Cascia e Norcia, passando sul fiume
Corno su un ponte che prese il nome di Ponte delle Ferriere. Una stele eretta in

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prossimità di Strettura, lungo la Flaminia, ora semidistrutta, ricorda tale opera
(Fig. 5).

Figura 5. Stele eretta in prossimità di Strettura (da www. archeoambiente.net).

A partire dal 4 giugno 1645 la ferriera venne data in affitto ai fratelli Matascioli di
Norcia, che proseguirono l’attività fino all’anno 1692. In quella data subentrò il
marchese Albergotti, toscano, che la gestì fino al 1703 quando sopravvenne un
disastroso terremoto, che deviò il corso del fiume Corno e causò l’interruzione
della prima fase della produzione siderurgica (Cavallini, 1999).
Gli onerosi costi di estrazione e trasporto del ferro, i rovinosi terremoti del 1703 e
del 1730 (con molte vittime) e la pestilenza del 1718 hanno contribuito
all’inarrestabile declino dell’industria mineraria monteleonese.
Verso la fine del XVIII secolo si prospettò l’ipotesi di una riattivazione dei
giacimenti di ferro del territorio di Monteleone. Il Pontefice Pio VI propose al
Cardinale Filippo Carandini, prefetto della Congregazione del Buon Governo, di
rimettere in sesto la miniera di Monteleone.
Nel 1788 un ingegnere su ordine del Cardinale presentò il prospetto di un
impianto siderurgico a ciclo integrale comprendente un forno fusorio e varie
fucine per la produzione di manufatti di ghisa e ferro. L’insediamento industriale
venne localizzato sulla riva destra del Fiume Corno, a valle del Ponte delle

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Ferriere (Santi, 2000). La piena del Corno, che nel 1798 mise fuori uso la presa
d'acqua del canale, segnò la fine della ferriera.
Sempre nel 1798, con l'instaurazione da parte delle truppe francesi di un breve
regime repubblicano, Scipione Breislak, Ispettore dei lavori Mineralogici della
Repubblica romana, con l'intento di riattivare l'industria mineraria monteleonese,
presentò al governo di Roma una relazione geologica e tecnico-finanziaria sui
giacimenti di ferro di Monteleone e sul forno fusorio di Ruscio (Breislak, 1798).
Ogni provvedimento restò senza effetto, per la caduta della Repubblica Romana e
la restaurazione dello Stato Pontificio.

Importanza della miniera dal punto di vista siderurgico


Le vicende della miniera di ferro di Terargo ci forniscono un quadro delle
conoscenze scientifiche e tecnologiche dell'epoca facendoci capire quali grandi
progressi siano stati fatti in questo campo e quanto si sia evoluta la tecnica
estrattiva e siderurgica fino ad oggi.
Dai documenti risulta che nel XVII secolo il minerale estratto a Terargo e Gavelli,
nelle montagne attorno a Monteleone, veniva ridotto a ferraccio e lavorato al
maglio fino a ricavarne ferro. La tecnica siderurgica comprendeva tre fasi
(Cavalllini, 1999): 1) l’abbrustolitura, ossia un principio di fusione su cataste di
legna; 2) la lavanda, ossia la separazione della terra dal minerale mediante getti di
acqua; 3) infine la fusione nel forno a carbone (Breislak, 1798). Questo tipo di
forno è detto “alla bresciana” o “alla bergamasca”.
I caratteri intrinseci del ferro estratto nella miniera di Terargo erano la dolcezza e
la malleabilità che ne facevano un ottimo prodotto (Breislak, 1798). I prodotti
siderurgici erano tre, “ben differenziati nei rispettivi cicli di lavorazione: la ghisa
(lega ferro-carbonio con un tenore di carbonio superiore a 2,1%), il ferro e
l'acciaio (lega ferro-carbonio con un tenore di carbonio inferiore a 2,1%).
Quelli di oggi si riducono a due, perché il ferro di purezza industriale non ha
applicazioni correnti e si parla solo di acciaio e ghisa.
Nel linguaggio comune odierno si intende con ferro un acciaio di basso pregio,
destinato alla lavorazione per deformazione plastica ed eventualmente alla
saldatura” (Cavallini, 1999). I minerali tradizionali della siderurgia italiana sono

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gli ossidi come l'ematite dell'Isola d'Elba, gli ossidi idrati come la limonite
(ematite bruna) ed i carbonati come la siderite. A parte l'ematite elbana che può
essere reperita in giacimenti di elevata purezza ed abbondanza, gli altri minerali
devono essere trattati preventivamente, in modo da separare le parti sterili ed
arrostiti (o torrefatti) e introdurre nel forno di riduzione solo ossidi.
Nel caso di Monteleone si aveva a che fare con ossidi idrati che dovevano essere
frantumati, lavati e trattati nelle "ringrane" alimentate a carbone di legna prima di
essere caricati nel "canicchio" (Cavallini, 1999). Questo portò alla costruzione di
un impianto di prima lavorazione in situ del materiale estratto dalla miniera e alla
creazione della ferriera che fu fonte di sviluppo economico della zona. Il sistema
adottato per la fusione nelle ferriere di Monteleone non fu dei migliori (Morini,
1903). I forni usati infatti, se da un lato sono di uso semplice e rapido e producono
ferro ottimo e malleabile, tuttavia esigono minerali assai ricchi in ferro e
richiedono anche un grande consumo di combustile.
Con questo metodo il minerale si scalda a contatto col carbone, mentre la ganga si
combina con una porzione dell'ossido di ferro preservato dalla riduzione. Si forma
quindi un silicato doppio d'allumina e di protossido di ferro senza grande
innalzamento di temperatura, dal quale si ottiene ferro senza farlo passare allo
stato di ghisa. Così si perde però necessariamente una porzione di ossido di ferro,
che è tanto maggiore quanto maggiore è la ganga.
Questo metodo in siderurgia, essendo molto laborioso e dispendioso, ben presto
non fu ritenuto più conveniente e sostituito dagli altiforni. La miniera di Terargo
e la ferriera del Ruscio sono una testimonianza storica degli antichi metodi
siderurgici dell'epoca pontificia e possono essere considerati una anticipazione
dello sviluppo dell’ industria siderurgica di Terni.

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CAPITOLO 3. INQUADRAMENTO GEOGRAFICO E GEOLOGICO

Paragrafo 3.1 Inquadramento geografico


Orografia
La Media Valnerina, il Nursino e il Casciano costituiscono un territorio collinare
e montuoso, con rilievi che superano i mille metri. Questi danno origine a delle
dorsali corrispondenti a strutture anticlinali. La miniera di ferro di Terargo si trova
nel versante meridionale del Monte Birbone (Fig. 6) e fa parte di una di queste
anticlinali (quella del Monte Coscerno - Monte Aspra). La sommità di questa
dorsale presenta forme dolci e arrotondate, che contrastano fortemente con le
profonde incisioni vallive, a volte delle vere e proprie forre (come ad esempio
quella del F. Corno presso le Ferriere). La miniera di Terargo si trova a circa 1300
m di quota, a breve distanza da Butino (frazione di Monteleone di Spoleto) e ad
est della fonte di Terargo.
Reticolo idrografico
Il F. Corno è il fiume che caratterizza quest’area e ha modellato nel tempo la valle
entro la quale tutt’oggi scorre costeggiando Monteleone di Spoleto. Esso presenta
principalmente un andamento circa meridiano, con deflusso da S verso N, con
alcuni tratti in cui scorre da W verso E (tra Roccaporena e Cascia) e da E verso W
(tra Serravalle e Nortosce). Il Fiume Corno, come detto, è stato di grande
importanza per l’attività mineraria: infatti nel 1641 venne costruito un canale
lungo circa 200 m, che doveva servire a deviare l’acqua del fiume alla ferriera,
onde permettere la fusione e ventilazione del ferro (Morini, 1903). Questa
modifica del corso originario ha alterato il reticolo idrografico determinando la
scomparsa di rivi e fossi. La notevole diffusione di calcari in tutta l’area ha
favorito la formazione di doline (presenti anche in località Colli di Campofoglio)
e ha creato una intensa circolazione idrica sotterranea. L’energia delle acque
sotterranee a contatto con i terreni meno permeabili ha determinato la
localizzazione delle sorgenti di emergenza, trabocco o versamento. Le principali
sorgenti nell’area sono dovute infatti a forti contrasti di permeabilità tra le
formazioni calcaree assai fratturate, altamente permeabili, e strati meno
permeabili, come ad esempio il Rosso Ammonitico o le Marne a Fucoidi.

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Figura 6. Base topografica IGM 1:100.000 .Il cerchio in rosso indica la posizione della miniera.

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L’abbondanza delle precipitazioni nei periodi invernali e le forti acclività dei
versanti, inoltre, hanno influenzato il regime dei fiumi che è prettamente
torrentizio con piene e possibili esondazioni devastanti. Testimonianza di ciò è la
stessa piena del Fiume Corno nel 1798, che produsse la rottura del canale
costruito per il funzionamento della ferriera e la sospensione del lavoro di
estrazione del minerale ferroso (Santi, 2000).

Paragrafo 3.2 Stratigrafia e tettonica


Stratigrafia
Nell’area della Valnerina affiorano rocce di età compresa tra il Giurassico
Inferiore ed il Miocene appartenenti alla successione Umbro Marchigiana.
La successione stratigrafica affiorante nell’area circostante la miniera comprende
le formazioni dal Calcare Massiccio (Giurassico Inf.) alla Scaglia cinerea (Eocene
superiore - Oligocene superiore) (Damiani, 2011). L’unità più antica affiorante è il
Calcare Massiccio (Giurassico Inf. – Hettangiano - Sinemuriano) che si depositò
in un ambiente di piattaforma carbonatica. Questa unità è per lo più biancastra o
bianco grigio e si presenta in strati massivi a volte molto fratturati dalla tettonica.
E' costituito da grossi banconi formati prevalentemente da grainstone ad ooliti e
bioclasti con sorting elevato. Lo spessore affiorante è di qualche centinaio di
metri. Le unità che si sono deposte successivamente al Calcare Massiccio hanno
risentito dell' attività tettonica sinsedimentaria, a carattere estensionale che si
manifestò a più riprese, producendo prima lo smembramento della piattaforma del
Calcare Massiccio, e quindi l'articolazione del bacino risultante in zone di alto, di
scarpata e di basso (Barchi & Lemmi, 1996; Colacicchi et alii, 1970; Centamore
et alii, 1971). Si possono individuare due tipi di successioni marine giurassiche:
1) marina pelagica ridotta, lacunosa o condensata caratterizzata dal gruppo del
Bugarone;
2) pelagica normale e completa (Damiani, 2011, Fig. 7).
Nell’area della miniera affiora una successione giurassica completa con spessori
ridotti delle unità. La potenza dei banconi del Calcare Massiccio sembra ridursi
man mano che si procede verso il passaggio alla soprastante Corniola
(Sinemuriano Inf. – Domeriano). Questa affiora ad ovest del Monte Birbone con
spessore di circa 70 metri. La porzione inferiore della Corniola è ricca di banconi

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detritici a bioclasti, mentre superiormente è costituita da strati calcarei nocciola di
circa 50 cm di spessore con liste e noduli di selce bianca alternati a più sottili (10
cm) strati marnoso argillosi grigio verdi.
Nell’area in esame al di sopra della Corniola è presente, parzialmente eteropica
con il Rosso Ammonitico, la formazione delle Marne del M.Serrone (Toarciano
Inferiore). Questa è costituita da marne e marne argillose grigie, in minor misura
verdi o a fiamme rossastre, con intercalazioni di calcari marnosi, in strati di 5-25
cm con superfici nodulari. La potenza della formazione e di circa 30 metri.
Il Rosso Ammonitico (Toarciano - Aaleniano) ha uno spessore di circa 15 metri ed
è costituito dai tipici calcari marnosi nodulari rossi e Ammoniti. Seguono una
decina di m. di calcari spesso nodulari in banchi di 70-100 cm di spessore, a volte
di colore rossastro, ricchi di selce ricollegabili ai Calcari e marne a Posidonia
( Aaleniano - Bajociano/Bathoniano) (Barchi & Lemmi, 1996).
I Calcari Diasprigni (Bajociano - Bathoniano/Kimmeridgiano) sono costituiti da
calcari e calcari selciferi, di colore grigio verdastro,con noduli, liste e livelli di
colore rosso o verde. La stratificazione è sottile (4-10 cm). La parte sommitale
dell’ unità è ricca di aptici con banconi calcarenitici con strutture di flusso. Le
calcareniti possono essere grossolane o a grana fine (come nell’area della miniera)
con selce bianca. Lo spessore dell’unità può raggiungere anche il centinaio di
metri Il passaggio alla soprastante Maiolica (Titonico Sup.-Aptiano Inf), visibile
anche presso il Monte Birbone, si può individuare grazie all’ aumento di spessore
degli strati, alla diminuzione del quantitativo di selce e al diverso tipo di
fratturazione. Esso è marcato inoltre da un continuo livello calcarenitico La
deposizione della Maolica rappresenta anche in quest’area un episodio di stasi
dell'attività tettonica sinsedimentaria e conseguentemente di relativa omogeneità
di sedimentazione (Barchi & Lemmi, 1996; Damiani, 2011).

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Figura 7. Rapporti stratigrafici delle unità affioranti in Valnerina
(da Damiani, 2011). Il cerchio rosso indica la
posizione stratigrafica della miniera di Terargo.

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Tettonica.
Successivamente alla tettonica giurassica si sono avute due distinte fasi
tettoniche: quella compressiva, con andamento, nell’area, circa meridiano, che ha
determinato l’orogenesi appenninica e quella distensiva con direzione NW-SE che
ha dissecato le strutture compressive (Fig. 8) La tettonica compressiva può essere
riferita in gran parte al periodo tra il Serravaniano ed il Messiniano (Decandia &
Giannini, 1977; Cippollari & Cosentino, 1997; Barchi et alii, 1998). Essa ha
generato pieghe anticlinali e sinclinali, sovrascorrimenti, faglie trascorrenti e
traspressive. Le anticlinali hanno direzione circa meridiana e molte strutture
mostrano un marcato plunging assiale verso N. Tipica è quella del Monte
Coscerno, il quale presenta marcate retrovergenze con retro scorrimenti che
coinvolgono il Calcare Massiccio o la Maiolica. Un’altra anticlinale meno ampia è
quella di Monteleone posta ad E di quella del Coscerno. Essa è sezionata
trasversalmente dalla valle del F. Corno tra Biselli e Serravalle, generando una
sezione trasversale naturale alta alcune centinaia di metri. Il nucleo di questa
struttura è costituito dal Calcare Massiccio, affiorante ai due lati della valle che in
questo tratto è incisa profondamente come una forra.
A partire dal Pliocene superiore, si è avuta una tettonica estensionale con faglie
dirette e trastensive che hanno anche riattivato preesistenti piani di taglio. Oltre a
modellare il rilievo e a modificare la rete idrografica, le deformazioni estensionali
hanno formato la grande depressione di Monteleone – Ruscio – Leonessa, nella
quale il riempimento sedimentario è di alcune centinaia di metri di spessore. Le
faglie principali, localizzate a Sud del M Sciundri e all'altezza del M. Birbone
ribassano la struttura verso SW contribuendo alla formazione della piccola conca
di Monteleone –Ruscio. Oltre a questo sistema la tettonica estensionale si esprime
anche con una serie di faglie con direzione E-W, la più importante della quali
borda a N il bacino di Monteleone. La stessa faglia (Faglia di Monteleone)
attraversa tutta la struttura del Coscerno- Aspra ribassando il settore meridionale
(Damiani, 2011).

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Figura 8. Schema tettonico della Valnerina (da Damiani, 2011, modificato), il simbolo indica il sito
della miniera.

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CAPITOLO 4. STUDI PRECEDENTI

Il primo studio geologico riguardante la miniera di Terargo è quello di Breislak


(1798). L’Autore definisce ematite bruna il minerale presente e ipotizza un’origine
sedimentaria del deposito successiva all’emersione dal mare e alla formazione di
bacini lacustri. Le acque piovane e fluviali avrebbero trasportato qui le sostanze
ferruginose, depositandole sul fondale del bacino. In seguito al suo
prosciugamento queste sostanze ferrose sarebbero rimaste sul terreno.
Morini (1903) scrive che il minerale di ferro si trova “tra gli scogli calcari in
masse isolate formanti grandi geoidi ferruginosi” e lo definisce ologisto.
Losacco (1943) afferma che con ogni probabilità l'origine è da riportare a
fenomeni di deposito occasionale dalla circolazione delle acque vadose e
appartiene al tipo di giacimento chiamato di concentrazione continentale (una
concentrazione nelle fessure e nelle fratture di sali di ferro contenuti nella roccia
incassante). Secondo l’Autore la conferma di tale origine sembrerebbe venire
dalla struttura del minerale (concrezionata, cavernosa e fibrosa, di aspetto terroso
e contenente sempre argilla) che è presente nelle parte periferica delle vene a
contatto con la roccia incassante. Altra prova che le faglie non sono alimentatrici
del fluido misto con ferro sarebbe che lungo la faglia presente all’esterno non ci
sono tracce di mineralizzazione. Losacco considera il calcare molto fratturato, nel
quale si hanno le mineralizzazioni, di età Lias inferiore e quindi riferibile al
Calcare Massiccio in quanto “bianco, ceroide molto cristallino, massiccio e di
aspetto dolomitico”. Egli descrive poi l’interno della miniera (numero e
andamento delle varie gallerie, pareti con patina di alterazione, fratture
intersecantesi in tutte le direzioni). Infine descrive le mineralizzazioni
(dimensioni, andamento delle varie vene) e definisce il minerale limonite di colore
bruno, terroso spesso pulverolento.
Studi più recenti (Damiani, 2011) affermano che il minerale estratto dalla miniera
di Terargo era costituito da “limonite bruna splendente in ganga argillosa che
riempiva un sistema di fratture subparallele di direzione NWW-SSE immergenti a
SW, localizzate entro una spessa calcarenite intercalata nei Calcari Diasprigni”.
L'origine del minerale è riferita anche in questo caso al riempimento di

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preesistenti fratture da parte di depositi residuali insolubili conseguenti alla
dissoluzione dei calcari.
Da un’analisi effettuata nel 1940 presso i laboratori del CNR di Roma e limitata
alla ricerca di ferro, manganese e residuo insolubile (Penazzi, 2003, Fig. 9) si
evidenziava la composizione del materiale estratto anche se non venivano ben
definite le unità di misura.

Figura 9. Analisi effettuata nel 1940 presso i laboratori del CNR di Roma (da
www.archeoambiente.net).

Famiani (2012) riporta la presenza di limonite, goethite e ossidi di maganese.


Sempre Famiani (comunicazione personale) riferisce la presenza di fluorite, pirite
e marcasite in uno dei cunicoli raggiungibile solo con le corde.

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CAPITOLO 5. METODOLOGIA E RISULTATI
Paragrafo 5.1 Metodologia
In primo luogo sono stati effettuati una serie di sopralluoghi utili al controllo
della geologia dell’area. Sono state rilevate piccole differenze rispetto allo studio
più recente nell’ambito del rilevamento del foglio 336”Spoleto”alla scala 1:50.000
(Damiani, 2011). In base a queste è stata ridisegnata una carta geologica dell’area
circostante la miniera (Tavola 1). E’ stata inoltre visitata la miniera per studiarne
la geologia e la natura delle mineralizzazioni campionando all’interno delle vene.
I campioni prelevati sono stati analizzati con il microscopio elettronico e il
diffrattometro a Raggi X del Dipartimento dalla Dott.ssa Nazzareni. Ciò ha
permesso di fare un confronto con le precedenti analisi chimiche del 1940 e con le
considerazioni riguardo la natura dei minerali e la loro genesi fatte da Breislak
(1798) e Losacco ( 1943).

Paragrafo 5.2 Risultati


Geologia dell'area della miniera di Terargo
La zona presa in esame è parte dell’anticlinale del Monte Coscerno- Monte
Aspra, che si trova al tetto di un sovrascorrimento principale (vedi Fig. 8). È
un’area dove affiora principalmente Calcare Massiccio (Tavola 1). Questo
presenta notevoli fatturazioni e ricristalizzazioni, che obliterano quasi totalmente
la sua originaria tessitura. Alcuni campioni esaminati con la lente hanno
comunque permesso di riconoscere degli ooidi /oncoidi. Sono state rilevate anche
una serie di faglie dirette che hanno dissecato l’unità tettonica sovrascorsa e il
fronte del sovrascorrimento. Al di sopra del Calcare massiccio affiora una
successione Giurassica completa costituita da Corniola, Marne del M. Serrone,
Calcari e Marne a Posidonia, Calcari Diasprigni e Maiolica. La miniera si trova
alle pendici meridionali del M. Birbone, alla quota di circa 1330 metri all’interno
di un potente intervallo (almeno10 metri) calcarenitico a granulometria fine nella
parte alta dei Calcari Diasprigni. Questi affiorano nella loro facies caratteristica
poco ad ovest della miniera (Fig. 10), dove è presente un piccolo affioramento,
spesso circa 3 metri, con strati calcarei con livelli di selce. Questa è rosso-bruna

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quando i calcari sono prevalenti, grigio-nera spessa anche 10 cm quando è questa
a prevalere. La vetta del Monte Birbone è costituita da Maiolica.

Figura 10. Affioramento di Calcari Diasprigni nei pressi della miniera.

Alla base e ai lati della miniera sono presenti grandi corpi di frana costituiti per lo
più da blocchi di Maiolica e Calcari Diasprigni. La miniera è stata scavata al letto
di alcune faglie i cui piani hanno giaciture di 171/55 e 165/60. Qui la calcarenite
presenta una notevole fratturazione con piani di taglio che hanno giaciture
prevalenti coerenti con quelle delle faglie. La parte di miniera più a diretto
contatto con la faglia, quella all’ingresso, non presenta mineralizzazione in vene,
ma una patina rossastra - ocra diffusa e del residuo terroso accumulato nelle
depressioni (Fig.11). Nella parte più interna la mineralizzazione è presente
all’interno dei piani di taglio e in vene con direzioni ben definite (Fig. 12). Le
mineralizzazioni appaiono di colore più scuro, quasi nero, all’interno, bruno-
rossastro all’esterno. Il soffitto delle varie diramazioni della miniera è ricco di
gocce d’acqua percolante dall’alto e di concrezioni mammellonate. Sul piano di
calpestio ci sono notevoli accumuli di residuo terroso di color ocra.

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Figura 11. Ingresso miniera.

Figura 12. Vene.

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Analisi ottica e chimica dei materiali
Sono stati raccolti due campioni che sono stati analizzati in primo luogo al
microscopio ottico binoculare, dopo averne fatto due sezioni sottili lucide.
L’analisi tessiturale permette di individuare i diversi ossidi ed idrossidi in base al
loro diverso indice di rifrazione.
La prima sezione è abbastanza omogenea con materiale grigio molto poroso con
alterazione esterna ocra. I pori presentano riempimenti biancastri (calcite) e sono
le zone di maggiore alterazione. La seconda sezione contiene materiali con colori
e riflettività diversi. Sono presenti due vene principali con all’interno materiale
grigio-scuro con lucentezza metallica con una struttura ora compatta ora molto
porosa e all’esterno materiale di aspetto terroso e colore arancio-ocra. È presente
inoltre una grande area biancastra con cristalli in più generazioni (due o anche di
più), con all’interno un cristallo idiomorfo di sezione quadrata grigio-scuro
precipitato da un fluido. Sono inoltre presenti piccole aree di colore grigio chiaro
più riflettente di quello scuro, che potrebbero essere ossidi di composizione
diversa. Sono presenti infine due “sferule” grigio-scure porose. Una con limite
esterno netto ed un’altra più sfumato.
Successivamente le sezioni sono state analizzate al microscopio elettronico a
scansione (SEM). Per far questo sono state preliminarmente metallizzate con
carbone per renderle conduttive. Nel SEM un filamento di tungsteno all’interno
della colonna del microscopio, portato ad incandescenza, emette elettroni che
vengono sparati sul campione, dopo aver creato il vuoto al suo interno per non
avere interazioni con l’aria. Il campione, una volta colpito, emette energia sotto
forma di raggi X ed elettroni. Il SEM ha un rivelatore di raggi X e due di elettroni
secondari e retrodiffusi. I raggi X permettono di fare un’analisi qualitativa (C, N,
O, F, Na) e semiquantitativa (dal Na in poi) espressa come percentuali in ossidi.
Gli elementi con numero atomico minore di C non si vedono, perché assorbiti dal
carbone. Gli elettroni secondari emessi dalla superficie del campione permettono
di visualizzare su un monitor la morfologia, mentre i retrodiffusi emessi
dall’interno danno un’indicazione della composizione in base ad una scala di grigi
proporzionale al numero atomico. Il microscopio presenta una risoluzione di 1

21
micron. Sono state eseguite delle analisi in più punti della prima e seconda
sezione (le più significative in Tabella 1).

Analisi SiO2 CaO FeO Na2O MgO Al2O3 K20 Totale

1 4,24 0,96 94,8 100

2 2,76 97,24 100

3 4,24 1,05 92,63 0,79 0,65 0,64 100

4 4,24 93,55 0,7 0,87 0,65 100

5 60,73 19,37 2,37 7,28 4,16 4,9 1,19 100

Tabella 1. Analisi in più punti della prima e seconda sezione

Si è evidenziata la presenza costante del FeO (circa 95%) e SiO2 (circa 5%). Nelle
aree grigio chiare delle due sezioni si evidenzia la presenza di componenti
secondari quali Na, Al, Mg, Ca.

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Figura 13. Area della prima sezione in cui si vedono porzioni con due tonalità di grigio (minerali)
e porzioni nere (buchi). L’analisi 1 è stata fatta nella porzione grigio scura. L’analisi 3 è stata fatta
nella porzione grigio chiara.

Figura 14. Cristallo idiomorfo presente nella seconda sezione (analizzato in Tabella1)

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Figura 15. Area in cui sono evidenti buchi (neri), ossidi (grigi) ed altro materiale più chiaro
(calcite). L’analisi 4 è stata fatta nella porzione grigia della foto di questa figura.

Il materiale che al microscopio ottico binoculare appariva grigio-scuro con


lucentezza metallica e che al SEM è grigio con tonalità diverse se fosse un ossido
potrebbe essere ematite. Questo considerando anche la presenza costante di Si, fa
pensare che sia all’interno del reticolo dell’ossido di ferro. Inoltre in alcuni casi,
all’interno di cavità, sono presenti grandi quantità di calcio (calcite) o Si, come ad
esempio si vede per l’analisi 5. Non essendo rilevabile al SEM la presenza di
acqua, si è pensato che fosse probabile la presenza anche di idrossidi di ferro.
Come faceva pensare anche l’aspetto terroso e di colore arancio-ocra della parte
esterna delle vene. Per chiarire questo punto è stata fatta in primo luogo un’analisi
diffrattometrica sulle polveri di colore ocra e da questa è risultata la presenza di
goethite (FeOOH) (picchi blu nella Fig. 16) e calcite (CaCO3) (picchi rossi nella
Fig. 16).

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Figura 16. Risultati dell’analisi diffrattometrica eseguita presso il laboratorio del Dipartimento (in
blu picchi della goethite, in rosso quelli della calcite).

A questo punto, considerando il diverso aspetto della parte interna delle vene
(colore bruno/nero, maggiore durezza) si è pensato di fare un’analisi su cristallo
singolo di questo materiale. Questo anche perché si è notato che la velocità di
alterazione del materiale è notevole, come si può vedere in figura (Fig. 17) che
mette a confronto l’aspetto della sezione 2 appena fatta e dopo circa un mese.

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A

Figura 17. A Sezione 2 sottile del campione appena eseguita. B Sezione 2 sottile del campione
dopo circa un mese.

L’analisi sul cristallo “singolo” ha evidenziato in realtà che era materiale


probabilmente microcristallino dato che l’aspetto era simile a quello delle polveri.
Inoltre l’indicizzazione della diffrazione della porzione "scura" della vena ha
rivelato la presenza prevalente di goethite. Quindi potrebbe essere possibile che la
percentuale di ematite sia troppo piccola e che avendo usato la radiazione del
Molibdeno i picchi siano troppo vicini per poter dire con certezza che ci sia anche
questo minerale. Per chiarire questo punto andrebbero fatte analisi su più
campioni prelevati da tutte le vene presenti.

26
CAPITOLO 6. ORIGINE DEL GIACIMENTO

In base ai risultati delle nuove analisi chimiche e all’età tettonica estensionale


(Pleistocene), possiamo concordare con le conclusioni a cui erano arrivati sia
Breislak (1798) che Losacco (1943) sull’origine della mineralizzazione.
Infatti le nostre analisi concordano circa la natura dei minerali presenti (goethite
prevalente) e nell’assenza di solfuri.
L’abbondanza di goethite nei due campioni analizzati e l’apparente assenza dei
solfuri fanno pensare ad un’origine sedimentaria (per dissoluzione dei carbonati
soprastanti la calcarenite e deposito dei componenti residuali insolubili) della
mineralizzazione. Essendo però questa presente in vene con direzione parallela a
quella della faglia che si trova all’esterno della miniera, che è a sua volta parallela
ai lineamenti estensionali che bordano a N il bacino di Monteleone – Ruscio, c’è
da chiedersi se effettivamente le fratture non abbiano invece fatto da condotto ad
un fluido proveniente dal basso e non dall’alto. L’eventuale presenza di solfuri,
segnalata da Famiani, potrebbe essere un indizio di questo.
Per risolvere la questione occorrerebbe effettuare un maggior numero di analisi su
diversi campioni provenienti da vene presenti alle varie quote nella miniera e
soprattutto dai cunicoli che portano a quote inferiori rispetto a quella di ingresso.

27
CAPITOLO 7. IL GEOSITO DELLA MINIERA DI TERARGO E UN
ITINERARIO GEOTURISTICO PER RAGGIUNGERLO

L’importanza storica nazionale e mineraria regionale della miniera di Terargo


fanno sì che essa abbia le caratteristiche per definirla un geosito. Infatti con il
termine geosito si indica “qualsiasi località, area o territorio in cui è possibile
definire un interesse geologico – geomorfologico per la conservazione”
(Wimbledon et alii, 1996). Si tratta in genere di “un’area o una località che
rappresenta in modo esemplare eventi geologici, geomorfologici e regionali”
(Poli, 1999).
Sono già in corso attività di valorizzazione dell’area, sotto il patrocinio del
Comune di Monteleone di Spoleto dell’associazione ArcheoAmbiente,
l’associazione pro Ruscio, l’associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico
Industriale (AIPAI) e istituto per la Cultura e la Storia d’Impresa “Franco
Momigliano” (ICSIM). Tra queste nel 2012 si è svolto una escursione preso la
miniera in occasione della IV giornata nazionale sulle miniere, di cui è
testimonianza la foto in Fig. 18.

Figura 18. Escursione del 26 maggio 2012 con i ragazzi della scuola secondaria di M.Leone (da
http://tuttoggi.info/articolo/44591).

28
Itinerario d’andata

Per raggiungere la Miniera di Terargo è possibile percorrere un interessante


itinerario che segue un sentiero del CAI (Strada delle Ferriere n. 8), già descritto
da Cori (1995).
Questo sentiero parte da un bivio (Punto A di Fig. 19) lungo la S.P.471, posto a
16.8 km dalla località Palombaro (Sant’Anatolia di Narco) lungo la SS209 e a 8.1
km da Monteleone di Spoleto. In caso di gruppo numeroso (arrivo con un
autobus), l’escursione a piedi deve partire da questo bivio: occorre pertanto
percorrere a piedi un tratto di 1.8 km di strada sterrata, con un dislivello di circa
70 m molto graduale tranne un primo tratto fino alla Località Colli di
Campofoglio (circa 45 minuti). Questa prima parte non presenta particolare
interesse geoturistico e attraversa un’area boschiva. Se il gruppo di
escursionisti/turisti è ristretto (massimo 3 auto), l’itinerario può iniziare presso
Colli di Campofoglio, dove c’è un bivio tra il sentiero nr.8 e il nr.2, seguendo
sulla sinistra il percorso del n.8 (Punto 1 di Fig. 19). In tale area è possibile
posteggiare le auto e proseguire a piedi. Una prima osservazione può essere fatta
qui (punto1 in mappa,1253 m s.l.m.) e riguarda le rocce affioranti. La piana è
costituita da terre rosse dovute all’alterazione dei calcari affioranti (piccole
doline). Presso il bivio affiora la formazione del Calcare Massiccio, molto
fratturato, ma in cui sono ancora riconoscibili elementi caratteristici di un
ambiente deposizionale di piattaforma carbonatica (per esempio oncoidi). Il tratto
iniziale del sentiero è in lieve salita (circa 50 m in circa 800 m di percorso, 15
minuti dal punto 1) e si snoda in un bosco di faggio fino a Forchetta Montino.

29
Figura 19. Stralcio carta topografica IGM 1:10.000 con itinerario percorso.

30
Figura 20. Profilo altimetrico percorso andata.

Piccoli gruppi tempi : 45 minuti andata- 1ora e 15 minuti ritorno

Visita miniera tempi:1 ora

Grandi gruppi tempi: 3ore andata e ritorno

Lungo questo tratto, è possibile vedere piccoli affioramenti di Calcare Massiccio,


sempre molto fratturato ed avere (quando gli alberi sono spogli) una visuale sui
Sibilllini e il Monte Vettore in particolare ( punto 2 in mappa, Fig. 21).

Figura 21. Visuale sul Monte Vettore (punto 2 del sentiero).

31
Presso Forchetta Montino (1305 metri s.l.m.,punto 3 in mappa) un motivo di
interesse sono le particolari forme di erosione selettiva di parti più cementate del
Calcare Massiccio molto fratturato, che potrebbero coincidere con lineazioni
tettoniche ( Fig. 22).

Figura 22. Calcare Massiccio molto fratturato (punto 3 del sentiero).

Il percorso continua nel bosco per circa 800 m con una serie di saliscendi fino ad
un’area scoperta (punto 4 in mappa 1308 m s.l.m.) dove il Calcare Massiccio
appare meno fratturato ma comunque interessato da piani di taglio. Qua c’è verso
SE una splendida visuale sui Monti della Laga (Fig. 23).

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Figura 23. Panoramica sui Monti della Laga (punto 4 del sentiero).

Il tratto successivo è maggiormente in discesa (60 m circa 420 m di percorso) e


porta in prossimità di un bivio (punto 5 in mappa, 1264 metri s.l.m. circa 30
minuti dal punto 1). Sono infatti presenti marne avana e verdi e calcari marnosi
avana, appartenenti alla formazione delle Marne del Monte Serrone. Si continua in
piano lungo il sentiero principale per un breve tratto con a destra vista sul Monte
Birbone e a sinistra un rimboschimento a conifere, finché non si arriva a scorgere
l’ingresso della miniera (Fig. 24 punto 6 in mappa 1253 m s.l.m., circa 40 minuti
dal punto 1).

33
Figura 24. Ingresso della miniera.

A questo punto, se si è partiti da Colli di Campofoglio, si può andare direttamente


alla miniera, mentre se si è partiti dal bivio sulla S.P. 471 potrebbe convenire
dirigersi verso la Fonte di Terargo per fare una sosta. In questo caso, si continua
sul sentiero per circa 10 minuti rimanendo in quota, per poi fare un piccolo tratto
in discesa (circa 20 m, massimo 5 minuti) fino alla Fonte (punto 9 mappa 1250 m
s.l.m.). Dal punto 6 è possibile arrivare alla miniera procedendo a vista (la miniera
non è segnalata e non c’è una traccia di sentiero ben definita fino al suo ingresso),
lungo un percorso che attraversa corpi di frana (morfologie mammellonate) per un
dislivello di circa 50 m in circa 250 m di percorso.

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La miniera

Per la visita della miniera occorrono una buona torcia e dei caschetti e alcune
parti non sono raggiungibili se non avvalendosi di una guida esperta.
La miniera è scavata in un ammasso roccioso potente almeno 10 m, di aspetto
massivo, ceroide, simile al Calcare Massiccio, ma che in realtà è costituito da
calcareniti a grana fine, presenti nella parte alta dei Calcari Diasprigni.
All’esterno, sul bordo sud-occidentale, sono presenti dei piani di faglia
immergenti verso SE (Fig. 25).

Figura 25. Piano di faglia sul bordo sud-occidentale della miniera.

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Figura 26. Planimetria e sezioni Grotta di Terargo (n. 210 UPG del Catasto Speleologico Umbro,
modificata).

All’ingresso A (Fig. 26, n.210 UPG del Catasto Speleologico Umbro) l’ammasso
roccioso è molto fratturato e non presenta piani di taglio ben definiti, né
mineralizzazioni in vene, ma una patina rossastra diffusa e accumuli terrosi
(Fig. 27).

36
Figura 27. Accumuli terrosi all’ingresso.

Da qui si dipartono due gallerie principali una a destra verso NE ed una a sinistra
verso N. La prima presenta a SE delle aperture verso l’esterno (B e C) ed è
percorribile per circa 5 m senza difficoltà (altezza circa 3 m), prima di una
strozzatura che la divide da un ulteriore tratto di circa 5 m che presenta un’altra
piccola apertura (D) a SE ed un’uscita verso l’esterno ad Est (E).
La seconda galleria si divide in due dopo circa 6 m. A sinistra c’e una piccola
galleria buia (X) profonda altri 5-6 m, dove sono ben visibili fratture e vene
mineralizzate (Fig. 28).

37
Figura 28. Vene mineralizzate.

L’altra è percorribile senza problemi di sicurezza per 3-4 m, prima di trovare sulla
destra un cunicolo molto ripido in discesa. L’area di maggiore estensione presenta
un’altezza di più di 4 m e un’apertura nella volta (H), da cui possono franare
frammenti di roccia. La visita di questa parte e della successiva, per piccoli
gruppi, è possibile da parte di escursionisti esperti o solo se accompagnati da
guide, mentre per gruppi numerosi e scolaresche è altamente sconsigliabile.
Dalla sala più ampia si dipartono altre 4 gallerie, poste ad una quota maggiore (si
raggiungono salendo di circa 2 m). La galleria più occidentale (I) non è
raggiungibile a causa di una strozzatura che non permette il passaggio, mentre la
galleria più orientale si divide in due con la diramazione a sinistra che presenta
un’apertura nella volta (G) e quella a destra che porta verso l’esterno (F). Verso N
ci sono le due gallerie a quota maggiore che presentano concrezioni carbonatiche
(Fig. 29).

38
Figura 29. Concrezioni carbonatiche.

Itinerario ritorno

Dopo essere usciti dalla miniera, (una visita completa richiede circa 1 ora, mentre
se ci si limita alle parti sicure bastano 30-40 minuti), nel caso di inizio escursione
dal bivio sulla S.P.471 (gruppo numeroso) si può tornare direttamente al punto di
partenza (tempo di percorrenza circa 1 ora e 30 minuti). Se invece l’escursione è
iniziata a Colli di Campofoglio (gruppi non numerosi) ci si può dirigere verso la
Fonte di Terargo (circa 15 minuti) a fare la pausa pranzo (15-20 minuti). Lungo
questo tratto è possibile vedere i Calcari Diasprigni tipici (punto 8 mappa, Fig. 10)
e in panorama la piana di Leonessa con i Monti Reatini (Fig. 30). Dalla Fonte al
punto di partenza occorre circa 1 ora.

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Figura 30. Panorama piana di Leonessa e Monti Reatini (dal punto 9 del sentiero tracciato).

40
CAPITOLO 8. RISCHI DI DEGRADO

Come era la miniera nel 1943

Le ultime testimonianze di una descrizione accurata della miniera risalgono al


Losacco (1943). Losacco ha potuto visitare gli imbocchi delle gallerie e notare che
già allora alcuni ingressi erano ostruiti da materiale franato. Egli riferisce di “una
miniera completamente buia dove si aprono all’interno vari cunicoli con vene e
nicchie di potenza molto esigua di colore bruno terroso o spesso pulverulento e
molto ricche di ferro con roccia molto alterata e fratturata con fratture che si
intersecano tra loro. Il minerale rappresentato da limonite bruna e ganga argillosa
si presenta in grosse vene a decorso regolare con forti variazioni di potenza”.

La Miniera oggi

Si presenta come una grande cavità centrale dalla quale si dipartono diversi
cunicoli, quasi totalmente ostruiti. Oggi come allora la grotta è buia e le gallerie
non sono tutte percorribili per la presenza di frane che ne hanno occluso gran
parte. Dato lo stato attuale di degrado in cui versa la miniera oggi non è da
escludere un possibile ulteriore peggioramento, anche perché la zona è soggetta a
vari smottamenti e frane, oltre a trovarsi in zona sismica. Tutto questo fa pensare
alla possibilità di ulteriori frane con relativi crolli di parte rocciosa e accumulo di
detriti che potrebbero ulteriormente impedire l’accesso alla miniera. Al fine di
prevenire un’ulteriore degrado e per garantire l'accesso in sentiero alla miniera,
sarebbero necessari una serie di interventi di diversa tipologia:

1) Al fine di individuare con più precisione l'accesso alla miniera, é necessario


apporre dei segnali e delle indicazioni per il raggiungimento della miniera e
l'individuazione precisa del sentiero. Lo stesso deve essere sistemato in modo
adeguato, provvedendo a renderlo meno scivoloso e apponendo sostegni di
appoggio nei punti più ripidi (corrimani e staccionate in legno).

2) La miniera andrebbe messa in sicurezza in alcuni punti per impedire eventuali


crolli. Questo richiederebbe una specifica progettazione.

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3) All'ingresso è necessario apporre un cartello con tutte le informazioni sulla
stessa, nonché i numeri utili, sia per il soccorso che per la visita, che è
consigliabile venga effettuata con l'ausilio di una guida speleologica.

42
BIBLIOGRAFIA

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Heritage, Serv. Geol. Naz., 20-22 May, Rome 1996, 45- 60.

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RINGRAZIAMENTI

Vorrei ringraziare i miei genitori per il supporto e la pazienza che hanno avuto in
tutti questi anni nonché tutte le persone che mi hanno voluto e mi vogliono bene
in particolare modo i miei nonni.
Ringrazio i miei professori soprattutto il Dott. Massimiliano Rinaldo Barchi e il
Dott. Fausto Pazzaglia per l’aiuto e il tempo che mi hanno dedicato.
Un ringraziamento particolare per la sua supervisione tecnica va alla Dott.ssa
Sabrina Nazzareni e ai suoi collaboratori.

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