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TESI DI LAUREA
Laureando: Relatore:
STEFANO DELLA BOTTE MASSIMILIANO RINALDO
BARCHI
Correlatore:
FAUSTO PAZZAGLIA
DEDICATO
Ai miei nonni
Melania & Silvio
INDICE
CAPITOLO 1
INTRODUZIONE E SCOPO DELLA TESI...…………………………….pag.1
CAPITOLO 2
CENNI STORICI……………………………………………………………pag.4
CAPITOLO 3.
INQUADRAMENTO GEOGRAFICO E GEOLOGICO ……………….pag.9
CAPITOLO 4
STUDI PRECEDENTI…………………………………………………….pag.16
CAPITOLO 5
METODOLOGIA E RISULTATI…………………………………………pag.18
CAPITOLO 6
ORIGINE DEL GIACIMENTO…………………………………………..pag.27
CAPITOLO 7
IL GEOSITO DELLA MINIERA DI TERARGO E UN ITINERARIO
GEOTURISTICO PER RAGGIUNGERLO ………………………………….pag. 28
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………… pag.43
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Figura1. Localizzazione della miniera di Terargo (base DEM da STRM 90 m NASA da
geodati.fmach.it/gfoss_geodati/SRTM-ITALY). Il cerchio rosso indica la posizione esatta e la
zona di colore più chiaro evidenzia la Valnerina.
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Figura 2. Localizzazione della miniera di Terargo (cerchio viola), delle altre miniere di ferro
dell’area di studio (in rosso) e delle ferriere (in blu). È indicata inoltre la via del ferro che
collegava Monteleone a Scheggino. Base topografica IGM 1:100.000
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CAPITOLO 2. CENNI STORICI
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Figura 3. Medaglia commemorativa di Papa Urbano VIII. Proprietà Marisa Angelini, foto di
Sandro Montecchiani (da www.proruscio.it/davedere/ferriere.htm e www. archeoambiente.net).
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prossimità di Strettura, lungo la Flaminia, ora semidistrutta, ricorda tale opera
(Fig. 5).
A partire dal 4 giugno 1645 la ferriera venne data in affitto ai fratelli Matascioli di
Norcia, che proseguirono l’attività fino all’anno 1692. In quella data subentrò il
marchese Albergotti, toscano, che la gestì fino al 1703 quando sopravvenne un
disastroso terremoto, che deviò il corso del fiume Corno e causò l’interruzione
della prima fase della produzione siderurgica (Cavallini, 1999).
Gli onerosi costi di estrazione e trasporto del ferro, i rovinosi terremoti del 1703 e
del 1730 (con molte vittime) e la pestilenza del 1718 hanno contribuito
all’inarrestabile declino dell’industria mineraria monteleonese.
Verso la fine del XVIII secolo si prospettò l’ipotesi di una riattivazione dei
giacimenti di ferro del territorio di Monteleone. Il Pontefice Pio VI propose al
Cardinale Filippo Carandini, prefetto della Congregazione del Buon Governo, di
rimettere in sesto la miniera di Monteleone.
Nel 1788 un ingegnere su ordine del Cardinale presentò il prospetto di un
impianto siderurgico a ciclo integrale comprendente un forno fusorio e varie
fucine per la produzione di manufatti di ghisa e ferro. L’insediamento industriale
venne localizzato sulla riva destra del Fiume Corno, a valle del Ponte delle
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Ferriere (Santi, 2000). La piena del Corno, che nel 1798 mise fuori uso la presa
d'acqua del canale, segnò la fine della ferriera.
Sempre nel 1798, con l'instaurazione da parte delle truppe francesi di un breve
regime repubblicano, Scipione Breislak, Ispettore dei lavori Mineralogici della
Repubblica romana, con l'intento di riattivare l'industria mineraria monteleonese,
presentò al governo di Roma una relazione geologica e tecnico-finanziaria sui
giacimenti di ferro di Monteleone e sul forno fusorio di Ruscio (Breislak, 1798).
Ogni provvedimento restò senza effetto, per la caduta della Repubblica Romana e
la restaurazione dello Stato Pontificio.
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gli ossidi come l'ematite dell'Isola d'Elba, gli ossidi idrati come la limonite
(ematite bruna) ed i carbonati come la siderite. A parte l'ematite elbana che può
essere reperita in giacimenti di elevata purezza ed abbondanza, gli altri minerali
devono essere trattati preventivamente, in modo da separare le parti sterili ed
arrostiti (o torrefatti) e introdurre nel forno di riduzione solo ossidi.
Nel caso di Monteleone si aveva a che fare con ossidi idrati che dovevano essere
frantumati, lavati e trattati nelle "ringrane" alimentate a carbone di legna prima di
essere caricati nel "canicchio" (Cavallini, 1999). Questo portò alla costruzione di
un impianto di prima lavorazione in situ del materiale estratto dalla miniera e alla
creazione della ferriera che fu fonte di sviluppo economico della zona. Il sistema
adottato per la fusione nelle ferriere di Monteleone non fu dei migliori (Morini,
1903). I forni usati infatti, se da un lato sono di uso semplice e rapido e producono
ferro ottimo e malleabile, tuttavia esigono minerali assai ricchi in ferro e
richiedono anche un grande consumo di combustile.
Con questo metodo il minerale si scalda a contatto col carbone, mentre la ganga si
combina con una porzione dell'ossido di ferro preservato dalla riduzione. Si forma
quindi un silicato doppio d'allumina e di protossido di ferro senza grande
innalzamento di temperatura, dal quale si ottiene ferro senza farlo passare allo
stato di ghisa. Così si perde però necessariamente una porzione di ossido di ferro,
che è tanto maggiore quanto maggiore è la ganga.
Questo metodo in siderurgia, essendo molto laborioso e dispendioso, ben presto
non fu ritenuto più conveniente e sostituito dagli altiforni. La miniera di Terargo
e la ferriera del Ruscio sono una testimonianza storica degli antichi metodi
siderurgici dell'epoca pontificia e possono essere considerati una anticipazione
dello sviluppo dell’ industria siderurgica di Terni.
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CAPITOLO 3. INQUADRAMENTO GEOGRAFICO E GEOLOGICO
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Figura 6. Base topografica IGM 1:100.000 .Il cerchio in rosso indica la posizione della miniera.
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L’abbondanza delle precipitazioni nei periodi invernali e le forti acclività dei
versanti, inoltre, hanno influenzato il regime dei fiumi che è prettamente
torrentizio con piene e possibili esondazioni devastanti. Testimonianza di ciò è la
stessa piena del Fiume Corno nel 1798, che produsse la rottura del canale
costruito per il funzionamento della ferriera e la sospensione del lavoro di
estrazione del minerale ferroso (Santi, 2000).
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detritici a bioclasti, mentre superiormente è costituita da strati calcarei nocciola di
circa 50 cm di spessore con liste e noduli di selce bianca alternati a più sottili (10
cm) strati marnoso argillosi grigio verdi.
Nell’area in esame al di sopra della Corniola è presente, parzialmente eteropica
con il Rosso Ammonitico, la formazione delle Marne del M.Serrone (Toarciano
Inferiore). Questa è costituita da marne e marne argillose grigie, in minor misura
verdi o a fiamme rossastre, con intercalazioni di calcari marnosi, in strati di 5-25
cm con superfici nodulari. La potenza della formazione e di circa 30 metri.
Il Rosso Ammonitico (Toarciano - Aaleniano) ha uno spessore di circa 15 metri ed
è costituito dai tipici calcari marnosi nodulari rossi e Ammoniti. Seguono una
decina di m. di calcari spesso nodulari in banchi di 70-100 cm di spessore, a volte
di colore rossastro, ricchi di selce ricollegabili ai Calcari e marne a Posidonia
( Aaleniano - Bajociano/Bathoniano) (Barchi & Lemmi, 1996).
I Calcari Diasprigni (Bajociano - Bathoniano/Kimmeridgiano) sono costituiti da
calcari e calcari selciferi, di colore grigio verdastro,con noduli, liste e livelli di
colore rosso o verde. La stratificazione è sottile (4-10 cm). La parte sommitale
dell’ unità è ricca di aptici con banconi calcarenitici con strutture di flusso. Le
calcareniti possono essere grossolane o a grana fine (come nell’area della miniera)
con selce bianca. Lo spessore dell’unità può raggiungere anche il centinaio di
metri Il passaggio alla soprastante Maiolica (Titonico Sup.-Aptiano Inf), visibile
anche presso il Monte Birbone, si può individuare grazie all’ aumento di spessore
degli strati, alla diminuzione del quantitativo di selce e al diverso tipo di
fratturazione. Esso è marcato inoltre da un continuo livello calcarenitico La
deposizione della Maolica rappresenta anche in quest’area un episodio di stasi
dell'attività tettonica sinsedimentaria e conseguentemente di relativa omogeneità
di sedimentazione (Barchi & Lemmi, 1996; Damiani, 2011).
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Figura 7. Rapporti stratigrafici delle unità affioranti in Valnerina
(da Damiani, 2011). Il cerchio rosso indica la
posizione stratigrafica della miniera di Terargo.
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Tettonica.
Successivamente alla tettonica giurassica si sono avute due distinte fasi
tettoniche: quella compressiva, con andamento, nell’area, circa meridiano, che ha
determinato l’orogenesi appenninica e quella distensiva con direzione NW-SE che
ha dissecato le strutture compressive (Fig. 8) La tettonica compressiva può essere
riferita in gran parte al periodo tra il Serravaniano ed il Messiniano (Decandia &
Giannini, 1977; Cippollari & Cosentino, 1997; Barchi et alii, 1998). Essa ha
generato pieghe anticlinali e sinclinali, sovrascorrimenti, faglie trascorrenti e
traspressive. Le anticlinali hanno direzione circa meridiana e molte strutture
mostrano un marcato plunging assiale verso N. Tipica è quella del Monte
Coscerno, il quale presenta marcate retrovergenze con retro scorrimenti che
coinvolgono il Calcare Massiccio o la Maiolica. Un’altra anticlinale meno ampia è
quella di Monteleone posta ad E di quella del Coscerno. Essa è sezionata
trasversalmente dalla valle del F. Corno tra Biselli e Serravalle, generando una
sezione trasversale naturale alta alcune centinaia di metri. Il nucleo di questa
struttura è costituito dal Calcare Massiccio, affiorante ai due lati della valle che in
questo tratto è incisa profondamente come una forra.
A partire dal Pliocene superiore, si è avuta una tettonica estensionale con faglie
dirette e trastensive che hanno anche riattivato preesistenti piani di taglio. Oltre a
modellare il rilievo e a modificare la rete idrografica, le deformazioni estensionali
hanno formato la grande depressione di Monteleone – Ruscio – Leonessa, nella
quale il riempimento sedimentario è di alcune centinaia di metri di spessore. Le
faglie principali, localizzate a Sud del M Sciundri e all'altezza del M. Birbone
ribassano la struttura verso SW contribuendo alla formazione della piccola conca
di Monteleone –Ruscio. Oltre a questo sistema la tettonica estensionale si esprime
anche con una serie di faglie con direzione E-W, la più importante della quali
borda a N il bacino di Monteleone. La stessa faglia (Faglia di Monteleone)
attraversa tutta la struttura del Coscerno- Aspra ribassando il settore meridionale
(Damiani, 2011).
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Figura 8. Schema tettonico della Valnerina (da Damiani, 2011, modificato), il simbolo indica il sito
della miniera.
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CAPITOLO 4. STUDI PRECEDENTI
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preesistenti fratture da parte di depositi residuali insolubili conseguenti alla
dissoluzione dei calcari.
Da un’analisi effettuata nel 1940 presso i laboratori del CNR di Roma e limitata
alla ricerca di ferro, manganese e residuo insolubile (Penazzi, 2003, Fig. 9) si
evidenziava la composizione del materiale estratto anche se non venivano ben
definite le unità di misura.
Figura 9. Analisi effettuata nel 1940 presso i laboratori del CNR di Roma (da
www.archeoambiente.net).
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CAPITOLO 5. METODOLOGIA E RISULTATI
Paragrafo 5.1 Metodologia
In primo luogo sono stati effettuati una serie di sopralluoghi utili al controllo
della geologia dell’area. Sono state rilevate piccole differenze rispetto allo studio
più recente nell’ambito del rilevamento del foglio 336”Spoleto”alla scala 1:50.000
(Damiani, 2011). In base a queste è stata ridisegnata una carta geologica dell’area
circostante la miniera (Tavola 1). E’ stata inoltre visitata la miniera per studiarne
la geologia e la natura delle mineralizzazioni campionando all’interno delle vene.
I campioni prelevati sono stati analizzati con il microscopio elettronico e il
diffrattometro a Raggi X del Dipartimento dalla Dott.ssa Nazzareni. Ciò ha
permesso di fare un confronto con le precedenti analisi chimiche del 1940 e con le
considerazioni riguardo la natura dei minerali e la loro genesi fatte da Breislak
(1798) e Losacco ( 1943).
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quando i calcari sono prevalenti, grigio-nera spessa anche 10 cm quando è questa
a prevalere. La vetta del Monte Birbone è costituita da Maiolica.
Alla base e ai lati della miniera sono presenti grandi corpi di frana costituiti per lo
più da blocchi di Maiolica e Calcari Diasprigni. La miniera è stata scavata al letto
di alcune faglie i cui piani hanno giaciture di 171/55 e 165/60. Qui la calcarenite
presenta una notevole fratturazione con piani di taglio che hanno giaciture
prevalenti coerenti con quelle delle faglie. La parte di miniera più a diretto
contatto con la faglia, quella all’ingresso, non presenta mineralizzazione in vene,
ma una patina rossastra - ocra diffusa e del residuo terroso accumulato nelle
depressioni (Fig.11). Nella parte più interna la mineralizzazione è presente
all’interno dei piani di taglio e in vene con direzioni ben definite (Fig. 12). Le
mineralizzazioni appaiono di colore più scuro, quasi nero, all’interno, bruno-
rossastro all’esterno. Il soffitto delle varie diramazioni della miniera è ricco di
gocce d’acqua percolante dall’alto e di concrezioni mammellonate. Sul piano di
calpestio ci sono notevoli accumuli di residuo terroso di color ocra.
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Figura 11. Ingresso miniera.
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Analisi ottica e chimica dei materiali
Sono stati raccolti due campioni che sono stati analizzati in primo luogo al
microscopio ottico binoculare, dopo averne fatto due sezioni sottili lucide.
L’analisi tessiturale permette di individuare i diversi ossidi ed idrossidi in base al
loro diverso indice di rifrazione.
La prima sezione è abbastanza omogenea con materiale grigio molto poroso con
alterazione esterna ocra. I pori presentano riempimenti biancastri (calcite) e sono
le zone di maggiore alterazione. La seconda sezione contiene materiali con colori
e riflettività diversi. Sono presenti due vene principali con all’interno materiale
grigio-scuro con lucentezza metallica con una struttura ora compatta ora molto
porosa e all’esterno materiale di aspetto terroso e colore arancio-ocra. È presente
inoltre una grande area biancastra con cristalli in più generazioni (due o anche di
più), con all’interno un cristallo idiomorfo di sezione quadrata grigio-scuro
precipitato da un fluido. Sono inoltre presenti piccole aree di colore grigio chiaro
più riflettente di quello scuro, che potrebbero essere ossidi di composizione
diversa. Sono presenti infine due “sferule” grigio-scure porose. Una con limite
esterno netto ed un’altra più sfumato.
Successivamente le sezioni sono state analizzate al microscopio elettronico a
scansione (SEM). Per far questo sono state preliminarmente metallizzate con
carbone per renderle conduttive. Nel SEM un filamento di tungsteno all’interno
della colonna del microscopio, portato ad incandescenza, emette elettroni che
vengono sparati sul campione, dopo aver creato il vuoto al suo interno per non
avere interazioni con l’aria. Il campione, una volta colpito, emette energia sotto
forma di raggi X ed elettroni. Il SEM ha un rivelatore di raggi X e due di elettroni
secondari e retrodiffusi. I raggi X permettono di fare un’analisi qualitativa (C, N,
O, F, Na) e semiquantitativa (dal Na in poi) espressa come percentuali in ossidi.
Gli elementi con numero atomico minore di C non si vedono, perché assorbiti dal
carbone. Gli elettroni secondari emessi dalla superficie del campione permettono
di visualizzare su un monitor la morfologia, mentre i retrodiffusi emessi
dall’interno danno un’indicazione della composizione in base ad una scala di grigi
proporzionale al numero atomico. Il microscopio presenta una risoluzione di 1
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micron. Sono state eseguite delle analisi in più punti della prima e seconda
sezione (le più significative in Tabella 1).
Si è evidenziata la presenza costante del FeO (circa 95%) e SiO2 (circa 5%). Nelle
aree grigio chiare delle due sezioni si evidenzia la presenza di componenti
secondari quali Na, Al, Mg, Ca.
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Figura 13. Area della prima sezione in cui si vedono porzioni con due tonalità di grigio (minerali)
e porzioni nere (buchi). L’analisi 1 è stata fatta nella porzione grigio scura. L’analisi 3 è stata fatta
nella porzione grigio chiara.
Figura 14. Cristallo idiomorfo presente nella seconda sezione (analizzato in Tabella1)
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Figura 15. Area in cui sono evidenti buchi (neri), ossidi (grigi) ed altro materiale più chiaro
(calcite). L’analisi 4 è stata fatta nella porzione grigia della foto di questa figura.
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Figura 16. Risultati dell’analisi diffrattometrica eseguita presso il laboratorio del Dipartimento (in
blu picchi della goethite, in rosso quelli della calcite).
A questo punto, considerando il diverso aspetto della parte interna delle vene
(colore bruno/nero, maggiore durezza) si è pensato di fare un’analisi su cristallo
singolo di questo materiale. Questo anche perché si è notato che la velocità di
alterazione del materiale è notevole, come si può vedere in figura (Fig. 17) che
mette a confronto l’aspetto della sezione 2 appena fatta e dopo circa un mese.
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A
Figura 17. A Sezione 2 sottile del campione appena eseguita. B Sezione 2 sottile del campione
dopo circa un mese.
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CAPITOLO 6. ORIGINE DEL GIACIMENTO
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CAPITOLO 7. IL GEOSITO DELLA MINIERA DI TERARGO E UN
ITINERARIO GEOTURISTICO PER RAGGIUNGERLO
Figura 18. Escursione del 26 maggio 2012 con i ragazzi della scuola secondaria di M.Leone (da
http://tuttoggi.info/articolo/44591).
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Itinerario d’andata
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Figura 19. Stralcio carta topografica IGM 1:10.000 con itinerario percorso.
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Figura 20. Profilo altimetrico percorso andata.
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Presso Forchetta Montino (1305 metri s.l.m.,punto 3 in mappa) un motivo di
interesse sono le particolari forme di erosione selettiva di parti più cementate del
Calcare Massiccio molto fratturato, che potrebbero coincidere con lineazioni
tettoniche ( Fig. 22).
Il percorso continua nel bosco per circa 800 m con una serie di saliscendi fino ad
un’area scoperta (punto 4 in mappa 1308 m s.l.m.) dove il Calcare Massiccio
appare meno fratturato ma comunque interessato da piani di taglio. Qua c’è verso
SE una splendida visuale sui Monti della Laga (Fig. 23).
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Figura 23. Panoramica sui Monti della Laga (punto 4 del sentiero).
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Figura 24. Ingresso della miniera.
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La miniera
Per la visita della miniera occorrono una buona torcia e dei caschetti e alcune
parti non sono raggiungibili se non avvalendosi di una guida esperta.
La miniera è scavata in un ammasso roccioso potente almeno 10 m, di aspetto
massivo, ceroide, simile al Calcare Massiccio, ma che in realtà è costituito da
calcareniti a grana fine, presenti nella parte alta dei Calcari Diasprigni.
All’esterno, sul bordo sud-occidentale, sono presenti dei piani di faglia
immergenti verso SE (Fig. 25).
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Figura 26. Planimetria e sezioni Grotta di Terargo (n. 210 UPG del Catasto Speleologico Umbro,
modificata).
All’ingresso A (Fig. 26, n.210 UPG del Catasto Speleologico Umbro) l’ammasso
roccioso è molto fratturato e non presenta piani di taglio ben definiti, né
mineralizzazioni in vene, ma una patina rossastra diffusa e accumuli terrosi
(Fig. 27).
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Figura 27. Accumuli terrosi all’ingresso.
Da qui si dipartono due gallerie principali una a destra verso NE ed una a sinistra
verso N. La prima presenta a SE delle aperture verso l’esterno (B e C) ed è
percorribile per circa 5 m senza difficoltà (altezza circa 3 m), prima di una
strozzatura che la divide da un ulteriore tratto di circa 5 m che presenta un’altra
piccola apertura (D) a SE ed un’uscita verso l’esterno ad Est (E).
La seconda galleria si divide in due dopo circa 6 m. A sinistra c’e una piccola
galleria buia (X) profonda altri 5-6 m, dove sono ben visibili fratture e vene
mineralizzate (Fig. 28).
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Figura 28. Vene mineralizzate.
L’altra è percorribile senza problemi di sicurezza per 3-4 m, prima di trovare sulla
destra un cunicolo molto ripido in discesa. L’area di maggiore estensione presenta
un’altezza di più di 4 m e un’apertura nella volta (H), da cui possono franare
frammenti di roccia. La visita di questa parte e della successiva, per piccoli
gruppi, è possibile da parte di escursionisti esperti o solo se accompagnati da
guide, mentre per gruppi numerosi e scolaresche è altamente sconsigliabile.
Dalla sala più ampia si dipartono altre 4 gallerie, poste ad una quota maggiore (si
raggiungono salendo di circa 2 m). La galleria più occidentale (I) non è
raggiungibile a causa di una strozzatura che non permette il passaggio, mentre la
galleria più orientale si divide in due con la diramazione a sinistra che presenta
un’apertura nella volta (G) e quella a destra che porta verso l’esterno (F). Verso N
ci sono le due gallerie a quota maggiore che presentano concrezioni carbonatiche
(Fig. 29).
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Figura 29. Concrezioni carbonatiche.
Itinerario ritorno
Dopo essere usciti dalla miniera, (una visita completa richiede circa 1 ora, mentre
se ci si limita alle parti sicure bastano 30-40 minuti), nel caso di inizio escursione
dal bivio sulla S.P.471 (gruppo numeroso) si può tornare direttamente al punto di
partenza (tempo di percorrenza circa 1 ora e 30 minuti). Se invece l’escursione è
iniziata a Colli di Campofoglio (gruppi non numerosi) ci si può dirigere verso la
Fonte di Terargo (circa 15 minuti) a fare la pausa pranzo (15-20 minuti). Lungo
questo tratto è possibile vedere i Calcari Diasprigni tipici (punto 8 mappa, Fig. 10)
e in panorama la piana di Leonessa con i Monti Reatini (Fig. 30). Dalla Fonte al
punto di partenza occorre circa 1 ora.
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Figura 30. Panorama piana di Leonessa e Monti Reatini (dal punto 9 del sentiero tracciato).
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CAPITOLO 8. RISCHI DI DEGRADO
La Miniera oggi
Si presenta come una grande cavità centrale dalla quale si dipartono diversi
cunicoli, quasi totalmente ostruiti. Oggi come allora la grotta è buia e le gallerie
non sono tutte percorribili per la presenza di frane che ne hanno occluso gran
parte. Dato lo stato attuale di degrado in cui versa la miniera oggi non è da
escludere un possibile ulteriore peggioramento, anche perché la zona è soggetta a
vari smottamenti e frane, oltre a trovarsi in zona sismica. Tutto questo fa pensare
alla possibilità di ulteriori frane con relativi crolli di parte rocciosa e accumulo di
detriti che potrebbero ulteriormente impedire l’accesso alla miniera. Al fine di
prevenire un’ulteriore degrado e per garantire l'accesso in sentiero alla miniera,
sarebbero necessari una serie di interventi di diversa tipologia:
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3) All'ingresso è necessario apporre un cartello con tutte le informazioni sulla
stessa, nonché i numeri utili, sia per il soccorso che per la visita, che è
consigliabile venga effettuata con l'ausilio di una guida speleologica.
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BIBLIOGRAFIA
Barchi M. & De Feyter A., Magnani M.B., Minelli G., Pialli G & Sotera B.M.
(1998) – The deformed foreland of the Northern Apennines and its structural style.
Mem .Soc. Geol. It., 52; 557-578;
Centamore E., Chiocchini M., Deiana G., Micarelli A. & Pieruccini U. (1971) –
Contributo alla conoscenza del Giurassico dell’Appenino umbro-marchigiano.
Studi Geol. Camerti, 1: 70-90;
Colacicchi R., Passeri L. & Pialli G. (1970) – Nuovi dati sul Giurese Umbro-
Marchigiano ed ipotesi per un suo inquadramento regionale Mem. Soc. Geol. It.,
9 (4): 839-874;
43
Damiani A.V. (2011) - Note Illustrative alla carta geologica foglio 336 Spoleto,
ISPRA pp.174;
Decandia F.A. & Giannini E. (1977)- Studi geologici nell’ Appennino umbro-
marchigiano.3) Tettonica della zona di Spoleto .Boll.Soc. Geol.it. 96 : 753-746;
Morini A. (1903) - Intorno alle ferriere di Monteleone di Spoleto. Boll. della Dep.
Storia Patria per l' Umbria, 9 pp 507-512;
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RINGRAZIAMENTI
Vorrei ringraziare i miei genitori per il supporto e la pazienza che hanno avuto in
tutti questi anni nonché tutte le persone che mi hanno voluto e mi vogliono bene
in particolare modo i miei nonni.
Ringrazio i miei professori soprattutto il Dott. Massimiliano Rinaldo Barchi e il
Dott. Fausto Pazzaglia per l’aiuto e il tempo che mi hanno dedicato.
Un ringraziamento particolare per la sua supervisione tecnica va alla Dott.ssa
Sabrina Nazzareni e ai suoi collaboratori.
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