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I volti

I volti dellaCattedrale
della Cattedrale didiTermoli
Termoli
personaggi che ruotano
personaggi cheattorno alla figura
ruotano di Federico
attorno II di Svevia
alla figura
di Federico II di Svevia.

Giuseppe La Porta
2013-2017
Termoli (CB)
I volti della Cattedrale di Termoli

‘’Lo 'mperadore Federigo fue nobilissimo


signore; e·lla gente ch'avea bontade venia
a·llui di tutte parti, però che l'uomo
donava volentieri e mostrava belli
sembianti a chi avesse alcuna speziale
bontà.
A-llui veniano sonatori, trovatori e belli
favellatori, uomini d'arti, giostratori,
schermitori, e d'ogni maniera gente.’’

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I volti della Cattedrale di Termoli

indice

 Prefazione………………………………………………..………………………..…pg.3

 Il simbolismo federiciano
 La Cattedrale di Termoli……………………………………………..……………...pg.5

 L’Imperatore Bambino ed eterno Augusto


 Identità e chiavi di lettura…………………………………..…………...…………pg.13
 Simbolismo ed iconografia…………………………………………..……….……pg.15

 Le tre Regine
 Individuazione dei personaggi…………………………………………………......pg.27
 Le madri dinastiche………………………………………………………………...pg.28
 L’innominata Contessa di Molise………………………………………...………..pg.30

 I tre Anziani
 Il ruolo e le caratteristiche………………………………………………………….pg.39
 Onorio III………………………………………………………………....………...pg.40
 Ermanno de Salza…………………………………………………………………..pg.49
 Taddeo da Sessa…………………………………………………………………….pg.51
 Pier delle Vigne…………………………………………………………………….pg.52

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I volti della Cattedrale di Termoli

Prefazione dell’autore

Il Molise è stato, sin dalle sue origini, uno dei più ignoti fulcri delle tante
storie italiane ed europee che, come puntini luminosi in un infinito mare,
denotano l’unico dei modi che l’essere umano ha per poter riscoprire le
proprie origini, un tema che da secoli attrae, una delle più controverse
creature di questo globo, in grado di veicolare sia il bene, sia il male, in
passato, come oggi e certamente nel futuro che ora stiamo scrivendo.
Uno dei connotati storici più frequenti di questa giovane giurisdizione
amministrativa, è quello del contesto che va dalle più lontane epoche pre-
romane, fino al basso medioevo svevo ed angioino, in cui le più numerose
luci, coeve o postume che siano, hanno dato la possibilità a noi ricercatori,
di saper dove andare a cercare, e soprattutto cosa.
Lo studio che segue è frutto di una vasta collaborazione intercorsa tra il
2012 ed il 2017, con più enti e soprattutto ricercatori, esperti incalliti di
questo settore tanto vessato dai danni della corruzione e della lascività
dell’epoca contemporanea, in ricordo delle tante campagne di restauro e
di studio storiografico, svolte in loco, tra cui vanno citati i contributi dati
dagli storici locali, come il principale di questa stesura, Domenico La
Porta, ed anche sulla storicità degli ordini cavallereschi, Antonio
Sciarretta, già dagli ultimi anni 90 dello scorso secolo, con il mio
contributo sopraggiunto solo dopo il 2011, iniziando come assistente nel
corso dell’ultimazione degli studi archeologici inerenti al complesso
monastico di San Giorgio Martire di Petrella Tifernina.
Qui ci si sofferma su una sequenza di varie incognite presentate nello
stesso decennio da storici dell’arte del calibro di Francesco Gandolfo, ed
ovviamente con il cospicui risultati della magistrale professoressa Maria
Stella Calò Mariani, ed ancor prima da parte della storiografa molisana
Ada Trombetta, tutti basati sulla presenza di un possibile cuore artistico
del fiorente tempo dei re e imperatori normanni-svevi, con la stelle più
lucente rappresentata dallo stupor mundi Federico II di Svevia e delle sue
cerchie più fedeli, vedendo come base fondamentale quell’Italia centro-
meridionale, oggi separata tra tante regioni, perdendone il ricordo, e
trascinando nella voragine iconoclasta e dannatrice della memoria, la
corona di pietra che fu il faro della Capitanata.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Il simbolismo federiciano

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I volti della Cattedrale di Termoli

‘’ Le ipotesi sono impalcature che si innalzano prima dell’edificio e che si tolgono


quando l’edificio è compiuto. Sono indispensabili al muratore, solo che questi non deve
scambiare l’impalcatura per l’edificio’’.

E’ con questa citazione di Johann Wolfgang Goethe, che vorrei presentare i risultati di
lunghe e faticose ricerche nel campo dell’archeologia e della storiografia locale, con cui,
grazie all’aiuto moltissimi professionisti del campo, siamo giunti a numerose
materializzazioni delle teorie per anni poste senza ancora una possibile confutazione, e
da qui si è in dirittura d’arrivo per altrettante chiavi di lettura per ciò che i nostri antenati
ci hanno tramandato sino ad oggi.
Lo studio si concentra così sul largo uso passato e contemporaneo delle ipotesi
finalizzate ad una scoperta, ed il Molise è una regione che pullula di queste ultime, in
gran parte ancora senza una conferma ponderata, e talvolta con un accertamento molto
forzato, ma che avremo modo di sistemare nel corso degli studi e delle nostre esposizioni
al pubblico interessato.
In tutto ciò, ci sposteremo man mano in una parte della regione che un tempo era parte
della celebre Capitanata, una giurisdizione pugliese che sin dal 1025 poneva il suo
confine massimo nelle circostanze della città di Termoli, da sempre località di confine
sin dalla sua nascita, tra i ducati longobardi ed i possedimenti ecclesiastici, per poi
giungere ai domini bizantini dopo la sconfitta di Enrico II il Santo, ed infine sotto mano
Normanna con l’arrivo degli Altavilla tra l’XI e il XII secolo.
La fortezza termolese cinge così da secoli uno degli insediamenti monastici più
importanti della regione, anche se da secoli ha perso i suoi originali connotati, rendendo
così la cattedrale di Santa Maria della Purificazione1 un silenzioso prodigio
dell’architettura sacra, del quale si avrà ancora molto di cui parlare per diversi anni, se
non addirittura per il prossimo secolo.
Essa è propriamente definibile come una delle basiliche più singolari dell’Italia centrale,
dall’enorme ricchezza dei fregi, con variegature di cornici, girali, figure fitomorfe,
antropomorfe e zoomorfe, tali che la pongono ai livelli più alti di simbolismo
iconologico della zona, anche più di molteplici schemi compositivi riscontrati tra il
Molise e la Puglia, grazie non soltanto alle pregevoli maestranze di ogni estrazione
culturale, ma anche di ingenti donazioni devolute da nobili patrizi o figure ‘’politiche’’
del tempo, a beneficio del cantiere della basilica cattedrale, seggio del vescovo
termolano ufficialmente dal X secolo, ma ufficiosamente già nel VI.
Questo prezioso contributo sembra aver trovato un grande riscontro nel periodo del
dominio Svevo, in cui nella cittadina, oltre le preesistenti reliquie di San Basso da
Lucera (proto-vescovo lucerino), giunsero le sacre spoglie di San Timoteo, alcuni anni
dopo dal terribile sacco di Costantinopoli cagionato dai Teutonici, e tradottevi da parte
dell’ordine dei Templari, assieme alle reliquie di Sant’Andrea apostolo, oggi conservate
in Amalfi.
Come si era già affermato, la cattedrale presenta un vasto carme di decori statuari,
maggiormente all’esterno visto che gli interni rispecchiano la parte più rimaneggiata
dopo le pesanti ristrutturazioni neoromaniche attuate dal Vescovo Oddo Bernacchia
negli anni 40 e 50 del ‘900, e durante le quali vennero riportati alla luce i pavimenti
musivi dell’XI secolo, parte della seconda chiesa basiliana, e le stesse ossa del discepolo
Timoteo, che proprio nell’area di nostro interesse, viene mostrato sul capitello della
prima parasta sinistra della facciata, posto come nei pulpiti pistoiesi e pisani, in un
trittico con l’altro discepolo Tito e l’apostolo Paolo di Tarso2 nel mezzo, tutti e tre in

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I volti della Cattedrale di Termoli

una vivida iconografia di carattere bizantino, nonostante lo stile esecutivo delle opere,
la plasticità dei corpi ed espressività dei volti, tenda in più occasioni a farci notare una
sorta di transizione tra Romanico e Gotico nella produzione artistica centromeridionale,
scaturita attraverso le scuole di personaggi come Bartolomeo da Foggia, che riuscì ad
unire le migliori maestranze e varietà culturali nei suoi cantieri, in pieno stampo
federiciano, e nelle cui cerchie fa appunto capolino un altro grande magister, il tanto
nominato Alfano da Termoli, tra i più alti seggi dei fedeli architetti palatini dello Stupor
Mundi.
Con questi presupposti, vorrei un momento evitare di discutere su ulteriori
caratteristiche scultoree della facciata, per le quali si avrà modo di approfondire in
prossime pubblicazioni, e cercherò di concentrarmi su una precisa parte dell’ordine
romanico, nella zona più alta scandita dalle esili lesene, nei cui capitelli ci mostrano ben
sette volti umani3-4, posti tra il fregio di acanto spinoso e l’abaco ornato in modo vario,
che certamente un tempo dovevano essere molti di più, e la cui parte restante sarebbe
scomparsa nei secoli a causa dei molti terremoti e dei conseguenti crolli, a causa
dell’erosione oppure anche per dolo, nell’estremo caso di una damnatio memoriae.
Certo ci sono volti e volti come già si era parzialmente detto in precedenza, e bisogna
differenziarne la chiave di lettura iconologica in base alle caratteristiche oggi
riscontrabili, come elementi fisici e connotativi, tipici di questo stile romanico pugliese
a cavallo tra il XII e XIV secolo, (in questo caso prima metà del XIII), dove non sempre
occorre la presenza di una didascalia per far percepire, all’osservante, l’identità delle
figure scolpite, ma come nelle più svariate regole scultoree di matrice greca, è
sufficiente l’uso proprio dei dettagli, per fare un esempio palpabile, le chiavi per San
Pietro, e più generalmente le pose ed il panneggio dei soggetti che vanno dall’ambito
sacro a quello profano, visto che anche nel resto della penisola e dell’Europa tutta, sono
comunissime le rappresentazioni dei benefattori di un tipo di cantiere, dalla semplice
firma incisa, all’esecuzione di volti o figure intere posizionati in zone armoniose della
facciata o degli interni di un tempio, come nei primissimi casi di San Giorgio Martire a
Petrella5-6 e di altre chiese come la cattedrale di Larino7, la basilica di San Clemente a
Casauria8, e la più permeante cattedrale di Santa Maria Icona Vetere a
Foggia9-10-11, che sembra essere la seconda ‘’gemella’’ del tempio termolese, come
primo luogo di sviluppo ed unione dei molti stili, da parte di maestranze francesi,
bizantine ed arabe, che vennero poi sperimentati nel cantiere della cittadina adriatica, e
che si prostrano al fedele ed al laico fruitore, pregne di una ripresa stilistica di tipo
classico, incentivata dall’imperatore stesso.

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I volti della Cattedrale di Termoli

1.Cattedrale di Santa Maria della Purificazione, facciata principale

2.Prima parasta sinistra, San Tito, San Paolo e San Timoteo

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I volti della Cattedrale di Termoli

3.Localizzazione del programma iconografico, capitelli presi in considerazione

4.Volti dei principali tre capitelli della parte alta, fotografie di Valeria La Porta, 2015

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I volti della Cattedrale di Termoli

5.San Giorgio Martire, Petrella, archetti pensili 6.S. Giorgio Martire, volti dell’abside destra

7.Cattedrale di Larino, volti delle strombature del portale maggiore, fotografie di Mauro Piergigli

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I volti della Cattedrale di Termoli

8.San Clemente a Casauria, re benefattori dell’abbazia, portale maggiore

9.Cattedrale di Foggia, Federico II 10.Cattedrale di Foggia, Costanza d’Altavilla

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I volti della Cattedrale di Termoli

11.Cattedrale di Foggia, quattro volti di anziani barbuti, fotografie di Mauro Piergigli,


Associazione Culturale Italia Medievale

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I volti della Cattedrale di Termoli

L’Imperatore bambino
ed eterno Augusto

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I volti della Cattedrale di Termoli

Un dettaglio utile nel cercare di determinare chi fossero queste figure, salta subito
all’occhio, poiché nessuna di esse possiede un’aureola in cui la testa dovrebbe essere
inscritta come nel caso dei primi tre santi, permettendoci così di escludere si tratti di
persone assimilabili alla sfera sacra, e quindi ci si può soffermare su alcune tematiche
della vita politica e militare che ha suscitato l’enorme crescita economica ed
amministrativa dell’antica fortezza portuale, legata in maniera pressoché secolare alla
figura di Federico II di Svevia e di tutti coloro che hanno occupato le sue cerchie di
fedeltà o di rapporti su ogni aspetto, che solitamente si basano sulla dualità perenne del
potere imperiale e quello secolare della chiesa, ricca di dispute e di criticità che
purtroppo condussero ai tragici epiloghi che noi tutti conosciamo, con cui volse al
termine il dominio italiano degli Hohenstaufen.
Dunque è da sfatare anche una seconda possibilità, ossia, che si possa trattare dei volti
di vari donatori della borghesia locale, che per la maggior parte appartennero ad
importanti famiglie amalfitane, ancora oggi leggibili sui piedistalli delle statue e in
alcuni lati dell’ordine di archi ciechi, in cui si notano chiaramente le dediche della
famiglia d’Afflitto, dei Grimaldi (di Grimoaldo), ed anche dei Grisone, tutte famiglie
che occuparono vari settori economici e diplomatici specialmente sotto gli Svevi e gli
Angioini, e che già in precedenza svolgevano le pratiche di grandi commercianti ed
armatori navali, in contatto con le più grandi località dell’Oriente arabo e bizantino, e la
cui presenza a Termoli la si doveva certamente per i collegamenti interni tra il Nord
della Capitanata e la costa Campana, già dai secoli XI e XII, grazie alla testimonianza
del pluteo bassiano della famiglia Frezza conservato oggi nel succorpo della basilica e
che in un lato mostra la loro effige di onde e gigli alterni, a dimostrazione anche delle
grandi influenze secolari, suscitate già in età longobarda da parte dei Ducati di Salerno
e di Benevento in tutta l’area.
Seguendo questa logica si può affermare che questa sequenza di capitelli sia sconnessa
iconologicamente al simbolismo del primo di sinistra, che per di più sembra essere stato
eseguito in un secondo moneto come aggiunta, mai terminata a dovere, vista
l’incompletezza di alcuni dettagli nell’effige di Timoteo, e nell’asimmetria
proporzionale, postuma forse di un ampliamento del paramento considerato, al contrario
della parasta di destra che di fatti si mostra priva di personaggi allegorici, se non con
una modesta esecuzione di fitomorfi ad acanto e rosette alterne.
Essendo poi già presenti alcune dediche di ricche famiglie risiedenti nella città, sotto
forma di didascalie a caratteri gotici, è da escludere che i volti posti nei capitelli possano
appartenere al ‘’ceto’’ del patriziato amalfitano, vista soprattutto la posizione di questi
fregi, molto in alto nella divisione dello schema iconografico, cosa che tenderebbe a
porli in una certa importanza politica o molto vicina ad una carica che in quel moneto
curò in egual modo sia la fortezza che l’ampliamento ed arricchimento del cantiere della
basilica, che potrebbe persino mostrarci un simbolismo continuo raccontato attraverso
la raffigurazione di personaggi in un certo qual modo collegati tra loro.
Per questo motivo si è partiti da una analisi di questo lessico lineare nei vari capitelli,
incominciando stavolta da destra verso sinistra, quasi rievocando la direzione in cui
scrivevano le maestranze orientali dei cantieri federiciani e delle vicine colonie
saracene, dalle quali proveniva il co-magister Ismail, di origine palestinese o siriana.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Iniziamo dal penultimo capitello di destra, sotto il cui abaco, privo di ornamenti,
troviamo un volto12-13 fare capolino dalle lunghe volute, con sguardo tendenzialmente
aggettante verso il basso, come tutti, ma che a differenza degli altri capitelli, il fregio è
unico, non provvisto di altri due volti affiancati, e la cosa sembra non essere frutto di un
lavoro incompiuto, bensì di una scelta precisa, forse che va ad identificare il soggetto
principe di questo schema iconografico, al quale si vanno a ricollegare di conseguenza
tutti gli altri, e per cui ci siamo dovuti basare unicamente sulle loro caratteristiche
fisiche, alquanto singolari e per nulla scontate.
È il volto di un fanciullo dallo sguardo severo od incerto, tanto da denotare una giovane
età intervallata da una indole o da un portamento di qualcuno che ricopre allo stesso
modo un ruolo che richiede enorme responsabilità.
I capelli sono pressoché lunghi, con un taglio ‘‘a casco’’ ben dettagliato e delle spesse
separazioni tra le ciocche, non tipiche di una capigliatura liscia, ma abbastanza mossa e
forse riccioluta, con il margine della fronte e delle tempie abbastanza familiare nel
panorama iconografico del Regno di Sicilia, per poi arrivare al modesto panneggio con
divisione centrale quasi a formare un colletto ed una casacca non di umile fattura, con
la percezione di trovarsi al cospetto di un nobile, certo di natali, ma non ancora posto al
seggio che gli spetterà, essendo privo di un carattere identificativo, un copricapo, una
corona o altro.
Proprio questi dettagli hanno favorito un forte riscontro nella teoria basata sulla sua
incognita identità, che solo dopo un lungo confronto con il contesto storico del luogo e
il suo carattere iconografico, si è potuto dedurre di avere davanti il viso di colui che
sarebbe diventato lo stupor mundi Federico II di Svevia, nelle vesti di un ‘’Imperatore
bambino’’, il cosiddetto ‘’puer apuliae’’, posto in maniera fisica su probabile
commissione, dimostrando in questo modo una rarità tra tutte le ‘’icone’’ che ancora
oggi immortalano l’Imperatore in diverse località italiane.
È stato proprio l’aspetto fisico uno dei principali dettagli da definire, mediante una
comparazione con le più note peculiarità del simbolismo federiciano, in più settori
dell’arte tecnica e scultorea, di cui non mancano delle vere e proprie scuole di pensiero
e produzioni sparse in tutto l’occidente europeo, con caratteristiche spesso ricorrenti e
talvolta sperimentali.
Proprio per questo ci si è soffermati sulla fisicità del ragazzo e di ciò che non sembra
appartenere propriamente al reale aspetto dello svevo, come del resto si può notare in
molte altre sue dediche artistiche o grafiche di sorta, allo stesso modo di molti
predecessori del clero e delle alte cariche imperiali e reali, e come spesso accadde in
tutta la storia, da che se ne ha memoria, si tendeva ad essere molto più generosi nei
ritratti e nelle sculture, al fine di esaltare la figura di potere che veniva riprodotta in una
veste che avrebbe dovuto rispettare dei canoni di perfezione, privi di ogni aggravamento
dato anche solo da una condizione fisica.
Pertanto sulla questione degli svevi ed in particolar modo di Federico II, subentra una
ulteriore componente grafica e simbologica nel ricreare una ‘’iconografia’’ regia, che
trasse la sua origine dalla ripresa delle tematiche classiche nel grande periodo
trasformista quale era il XIII secolo, accompagnato allo stesso tempo dalla filosofia che
influenzò in egual modo il mondo ecclesiastico e quello laico.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Da ciò derivava una delle principali caratteristiche dello stupor mundi, che influenzò
gran parte delle opere che lo riguardarono e rappresentarono fisicamente, conosciuta
come ‘’Cesar Semper Augustus’’, con la quale egli viene elevato al pari di un imperatore
romano, dal viso augusteo e perfetto, con un richiamo stesso al potere temporale, e che
rinveniamo con gran facilità in moltissime altre città e zone del Regno di Sicilia, più
vicine a noi di quanto non si creda.
Uno dei primi esempi è quello della Porta di Capua14, conosciuta dai più con il nome di
Arco di Trionfo sul Volturno, una delle principali porte di accesso alla provincia
Terralaboris, voluta proprio dallo stesso Imperatore nell’anno 1234, quando venne
affidato il compito all’architetto palatino Niccolò de Cicala, e nella cui architettura si
può ammirare un pieno tripudio sperimentale di schemi e fregi classici, in una chiave
romanica che va ad unire entrambe le caratteristiche, così da esaltare la figura imperiale
alla stregua dei vari esempi italiani che ispirarono l’esecuzione dello stesso, come l’arco
romano di Rimini e quello Costantiniano di Roma.
Purtroppo dell’originale struttura erta tra le due torri semicircolari, non restano altro che
le fondazioni, mentre molti dei frammenti scultorei, sono oggi conservati nel Museo
Campano di Capua, ed è grazie a questi ultimi, ed alle varie rappresentazioni grafiche
postume, che è oggi possibile ricostruire verosimilmente un monumento significativo
per riuscire a scovare i più complessi dettagli della vita dell’imperatore.
In particolare, il reperto che più ci interessa è proprio la statua centrale del programma
iconografico15, una figura intera dello stupor mundi troneggiante, che mostra la
cosiddetta posa, spesso definita erroneamente ‘’benedicente’’, ma che in realtà è
giudicante e simboleggia a pieno il potere imperiale al di sopra del suddito, con la
medesima ed originale accezione che questa posa aveva nelle icone più arcaiche, dove
il cristo era posto come figura giudicante del fedele.
Altro dettaglio negativo è il volto che in questa occasione è mancante, anche se ci si può
fortemente aiutare con numerose repliche delle sue sembianze, sia graficamente, come
ci dimostra lo schizzo di Séroux d’Angicourt16, e la più delineata riproduzione in gesso
di Tommaso Solari17, di poco antecedente al 1799, e largamente rimaneggiata in alcune
parti, ma molto vicina all’originale progettazione della statua federiciana.
Questo tipo di ritorno all’arte classica, ha permeato pienamente la produzione artistica
d’ambito federiciano, e tali raffigurazioni antropomorfe, talvolta pagane o reali, si
possono ben vedere in grandi cantieri del Regno, come il più celebre Castel del Monte,
nell’agro di Andria, in piena Capitanata, e come si può anche notare di seguito in tanti
altri cantieri che hanno riguardato la medesima influenza artistica, come la magnifica
Cattedrale di Foggia, già citata precedentemente, ed oggi perfettamente fusa per metà in
un distacco tra Romanico e Barocco, seguita poi da altre strutture in cui è possibile
rintracciare dediche scultoree all’imperatore svevo, come il Castello Maniace di
Siracusa, nelle cui sale interne è possibile notare, in una delle imposte perimetrali delle
volte a crociera, tra i vari volti ‘’a mensola’’, quello di una figura umana18, inizialmente
vista come recante delle sembianze femminili oppure di un giovane ragazzo, che come
nel caso di Termoli, riprodurrebbe il volto fanciullesco ed a tratti augusteo di Federico
II, com’è riproposto anche negli studi iconografici dello storico siracusano Efisio
Picone, dove per altro troviamo una enorme similitudine nella capigliatura e nel margine
della fronte.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Un volto dello stesso tipo, anche se più modesto, è stato identificato anche in un capitello
del chiostro dell’abbazia cistercense di Casamari19, ubicata nella provincia di Frosinone,
e nella cui storia troviamo ben più di un legame al casato degli svevi, sancito
archivisticamente da una lunga lista di privilegi e donazioni offerte dagli imperiali alla
comunità monastica, della quale si vogliono ricordare in primo luogo, la missione
dell’abate Giraldo presso la corte di Enrico VI ad Hagenau nell’anno 1192, per mediare
la stipula di una tregua nei conflitti tra l’impero ed il Regno di Sicilia di Tancredi
d’Altavilla, mentre successivamente vi furono enormi collaborazioni strette tra lo stesso
Federico II e l’abbazia, con la riconferma dei privilegi concessi dal padre, come lo ‘’Ius
pascendi et lignandi’’, e le molte donazioni, come la cospicua cessione di ben 584 ettari
di terreni coltivabili allo stesso Giraldo, nel 1209, per non tralasciare il soggiorno che
l’imperatore intrattenne nel monastero in varie occasioni, con anche gli ulteriori benefici
che coadiuvarono la ristrutturazione e gli ampliamenti degli edifizi, avutisi tra il 1203
ed il 1217, anno della consacrazione.
Tra i personaggi identificati nel quadriportico però, sono visibili anche altri due, dalle
sembianze altresì complesse ed asettiche, e per i quali si è quasi totalmente certi di
poterli identificare come il cronista federiciano Pier delle Vigne20, e quello che pare
essere un monaco dalla stretta cappa del medesimo ordine cistercense, e quindi la
probabile raffigurazione dell’abate Giraldo21.
Una fattura pressoché uguale di un bassorilievo che mostra il puer apuliae nella sua
augustea iconografia giovanile, lo possiamo trovare ancora nel frosinate, più
precisamente in un capitello della fortezza di Monte San Giovanni Campano22, che
prospetterebbe l’opera di un medesimo scalpellino o di più mani derivanti dalla stessa
‘’scuola artistica’’ sviluppatasi nell’ambito cistercense dell’Italia centromeridionale,
che caratterizzò molto il contesto romanico apulo, abruzzese e campano, in maniera
biunivoca.
Una più precisa e vistosa attribuzione federiciana però, la si può osservare anche nel
territorio di Ferentino, ove nel marzo del 1223, si tenne un incontro tra le principali
cariche fondatrici della VI crociata, ovvero Papa Onorio III, l’Imperatore ed il Re di
Gerusalemme, Giovanni di Brienne, al termine del quale si sottoscrisse una accordo
voluto fortemente dal pontefice, in cui si combinò il matrimonio tra Federico e la figlia
del monarca gerosolimitano Jolanda di Brienne, affinché ne portasse in dote il titolo del
padre, e con il quale, lo svevo sarebbe stato ancor più vincolato nella gestione della
crociata.
In tutto ciò, la presenza dei due coniugi reali in loco, non si fermò certamente a questo,
ma troviamo anche in questo caso il sostentamento da parte di entrambi all’ultimazione
dei cantieri ecclesiastici della cattedrale e dell’abbazia di Santa Maria Maggiore, di cui,
in entrambe le sedi, troviamo una permanente traccia scultorea, nel primo caso, ai lati
del portale della sacrestia23, con le vistose effigi facciali dello svevo e del suocero,
Giovanni di Brienne, mentre nel secondo complesso monastico, il rimando tocca i
risultati dell’accordo stilato, leggibili visivamente nella porta minore24 al lato sinistro
della facciata, nel cui archivolto troviamo il medesimo sistema di teste mensola nei
vertici, che qui raffigurano i capi coronati di Federico II, ora Re di Gerusalemme, con
la moglie Jolanda, esattamente nella stessa modalità dei luoghi presi in considerazione
precedentemente.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Troviamo poi un ulteriore trionfo stilistico di natura classica nel caso del maestoso
mezzo busto dell’Imperatore25, risalente all’incirca tra il 1240 ed il 50, probabile opera
postuma eseguita come tributo alla sua figura, ed oggi conservato preziosamente nel
museo civico di Barletta, ma se dovessimo confrontare la perfezione dei caratteri
iconografici di tutti i busti, mezzi busti e volti, uno dei più significativi e legati al
fanciullo dallo sguardo aggettante, della cattedrale termolese, è senza ombra di dubbio
il bassorilievo che ritrae l’Imperatore Federico in trono26, all’interno del programma
iconografico del sarcofago d’oro e argento che tutt’ora conserva le reliquie ossee di
Carlo Magno, il ‘’Karlsschrein’’, nella Cattedrale di Aquisgrana, realizzato all’incirca
nel 1215 per volere dello stesso imperatore, come ostensorio regale in cui trasferire le
sacre ossa carolingie, dalla loro precedente sepoltura in un sarcofago marmoreo, posto
nella pavimentazione della cattedrale da suo nonno, Federico Barbarossa, dopo averle
riesumate durante la riapertura della cripta nel 1165.
L’aspetto come si era già spiegato, è molto significativo in questa esecuzione,
fortunatamente munita anche di cartiglio epigrafico, in un ricco sistema micro-
architettonico di colonnine ed archetti.
Allo stesso modo possiamo riscontrare questa sua icona descrittiva ed essenziale, in
opere cartacee di varia trascrizione, come ad esempio nel caso del trattato ‘’De Arte
Venandi Cum Avibus’’, con la medesima sagoma dello Stupor Mundi in trono 27, con il
falco, uccello rapace dal permeante significato simbolico nelle opere di ambito
federiciano, mentre della posa regale e della fisionomia poc’anzi descritta, troviamo un
ulteriore riscontro nel monarca gremito della miniatura identificata come ‘’Autorità
Temporale’’28, realizzata all’incirca negli anni che vanno dal 1221 al 1227, per poi
trovare il medesimo aspetto iconografico, nei sigilli stessi di Federico II, come il sigillo
stampato su cera del febbraio 122429, conservato a Monaco di Baviera e che ci fa vedere
lo Stupor Mundi in una già vista e chiara postura troneggiante, con fare giudicante e
recante, oltre la corona, lo scettro gigliato, già utilizzato simbolicamente
dall’Imperatrice Costanza d’Altavilla in alcune delle sue poche opere di tipo scultoreo
e grafico.
Per concludere questa ricognizione però, ci si è dovuti imbattere in un reperto che ancora
oggi rimane fulcro storiografico dell’intera analisi, anche per le altre località
parzialmente citate poc’anzi, con una chiave di lettura che, allo stesso tempo, possiamo
dire, pone un inizio a tutta la sua confutazione, poiché ha fornito una notevole ed
onnipresente simbologia di cui si è servito il casato svevo e i medesimi scalpellini
provenienti dai grandi cantieri federiciani.
Nell’ambito pugliese, possediamo uno dei migliori gioielli di questa produzione d’arredi
liturgici, come del resto in gran parte del tavoliere delle puglie, ma il tutto si riassume
perfettamente nella basilica cattedrale di Bitonto, e più precisamente nell’elevato
ambone marmoreo30-31-32, dove fa capolino tra i molteplici riposizionamenti ed
adattamenti della suppellettile, un ricco e descrittivo pluteo, con funzione di parapetto
della modesta scalinata.
Questo elemento sin da subito suscitò l’interesse degli storici dell’arte e degli archeologi
dello scorso e del seguente secolo, proprio per la sua raffinata, precisa e didascalica
composizione iconografica, che sin da subito sembrava non essere riscontrabile con i
teorizzanti d’una qualsiasi fonte sacra, come si era proposto nelle disparate attribuzioni
alla natività ed ai Re Magi, con successivo esito negativo in quanto discorde con le
caratteristiche iconologiche della scena biblica, portando i tanti ad analizzare le figure
umane ivi raffigurate, ponendole nel contesto schematico del paramento bitontino.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Vedendo l’opera, è immediatamente facile ammirare il gran numero di racemi che si


fondono in parti animali e seguendo una logica lessicale, che racconti appieno ciò che
lo scalpellino ci vuol mostrare, o che vi è stato commissionato.
La prima sagoma si mostra nelle vesti di un monarca assiso in trono, dal lungo
panneggio, mentre rivolge la mano regale e lo scettro imperiale verso un ulteriore uomo,
seguito a sua volta da due figure, immesse in una sottospecie di ‘’scaletta’’ crescente, il
simbolo di una connessione filologica tra questi quattro individui, come fosse una
successione, mostrata dal dono dello scettro gigliato da parte del regnante, anch’esso
presentato con una iconografia augustea, ai posteri che siederanno, o che hanno
occupato il suo seggio, se ci si basa in un inizio postumo di questo lessico, come fosse
un albero genealogico, scolpito al momento del suo stadio corrente.
Siccome nel simbolismo sacro e profano, nulla era lasciato al caso, ma mosso da una
ragione ben precisa e voluta, basandoci proprio su questa miriade di aspetti, è possibile
identificare questa opera come la successione del casato svevo, eseguita come da
epigrafe apposta, dal proto-magister e sacerdote Nicolaus, nell’anno 1229, persona che
ritroviamo citata anche nel cantiere della Cattedrale di Trani, nel corso
dell’innalzamento del campanile.
La struttura schematica di questo fregio, seguirebbe in maniera dettagliata il lessico
simbolico degli alberi di Jesse, adoperati in largo modo dagli Hohenstaufen nelle molte
opere commissionate, in special modo da parte di Federico II e dai suoi più vicini
famigli, come fossero delle pregamene ermetiche, in cui a parlare è unicamente la pietra
e la rispettiva modellazione, in un certo senso, riprendendo la medesima funzione dei
molteplici simbolismi liturgici delle facciate dei templi e degli arredi liturgici in chiave
sacra, mostrando ancora una volta quanto fosse infondata la credenza del secolo scorso,
secondo cui lo Stupor Mundi fosse disinteressato dalla edificazione delle chiese a causa
delle divergenze con il Papato, inaspritesi negli anni, proprio grazie alle numerosissime
vicinanze dimostratesi tra l’Imperatore e determinate congregazioni, nonché
l’obbligatorietà di una convivenza con il potere ecclesiastico, tanto da voler lasciare un
suo segno latente all’interno di questo sistema politico e militare quale era la Chiesa di
Roma, attraverso proprio questi benefici di carattere politico, e che giovassero alla sua
figura.
Sul paramento bitontino sono state ovviamente mosse numerosissime teorie riguardo la
corretta identificazione dei personaggi, ed anche qui è servita a molto la precisione dei
molti simboli al suo interno, primo dei quali, la presenza della corona su solo due dei
protagonisti di questa linea di sangue, il capostipite e verosimilmente, il committente in
carica.
Da qui Hans Martin Schaller, nel suo rilievo dell’ambone, dedusse una scala ereditaria
crescente che parte dall’Imperatore Federico Barbarossa, il quale dona lo scettro
imperiale al figlio Enrico VI, padre di Federico II, che troviamo immediatamente dopo
quest’ultimo, con capo coronato, ed alla destra del quale possiamo notare raffigurato un
rapace, probabilmente un falco, altro simbolo dello Stupor Mundi, che viene a sua volta
succeduto dall’ultimo erede al trono Corrado IV di Svevia, anche se molti hanno
avanzato la plausibilità di una raffigurazione del secondo erede Manfredi di Sicilia,
mentre la scena si chiude con la presenza di un sistema di archetti pensili soprastanti,
che ad un certo punto posano il globo terrestre sputato dalla bocca di un drago, nel palmo
delle loro mani, un chiaro ed inequivocabile riferimento al potere temporale.

18
I volti della Cattedrale di Termoli

L’ordine dei capitelli termolesi sembra rientrare totalmente in questa tipologia scultorea
descrittiva, in cui si può osservare l’esaltazione dello Stupor Mundi in più di un
dettaglio, allo stesso modo di quanto si è potuto dedurre nel caso del pulpito di
Ferrazzano33, anche se in tal caso subentra una più avanzata visione allegorica, contro
la più precisa e identitaria esecuzione presa in analisi, che rinveniamo invece nel più
sontuoso fregio della protome scolpita nella quadrifora a sud della basilica superiore di
Assisi34, scoperta nel 1979 dal ricercatore storico Salvatore Nessi, e portata al nostro
interesse da parte dello storico Giuseppe Sannolla nel 2016.
E’ evidente ad ogni modo l’apposizione in facciata di uno schema che potremmo
definire non crescente ma equiparato in un’unica linea, ed accomunato da un filo
conduttore che riporta sempre all’Imperatore, seguito qui da ciò che resta di un ricco
carme di effigi di persone molto vicine a lui, dalla stirpe normanna-sveva degli Altavilla
e degli Hohenstaufen, ai cosiddetti familiares, ed anche i magister regis ed ai suoi più
vicini consiglieri, che si occuparono delle sue sorti culturali e politiche.

12.Cattedrale di Termoli, penultimo volto di destra, fotografia di


A.Trombetta

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I volti della Cattedrale di Termoli

13.Cattedrale di Termoli, Federico II di Svevia, fotografia di Domenico La Porta, 2011

14.Porta di Capua, ricostruzione di 15.Porta di Capua, Busto acefalo di Federico II,


Andrea Mariano, 1928 Museo Campano di Capua

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I volti della Cattedrale di Termoli

16.Capua, schizzo di 17.Capua, Riproduzione in 18.Castello Maniace di


Séroux d’Angicourt gesso di Tommaso Solari Siracusa, Federico II

19.Casamari, Federico II 20.Casamari, Pier delle Vigne 21.Casamari, Abate Giraldo

22.Monte San Giovanni 23.Cattedrale di Ferentino, Volti di Federico II e Giovanni di


Campano, Federico II Brienne
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I volti della Cattedrale di Termoli

24.Abbazia di Santa Maria Maggiore, Ferentino, Federico II e Jolanda di Brienne, portale minore sinistro

25.Barletta, Busto di Federico II 26.Cattedrale di Aquisgrana, Federico II tra gli


Imperatori del sarcofago di Carlo Magno

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I volti della Cattedrale di Termoli

27.De Arte Venandi Cum Avibus, Federico II 28.Autorità Temporale, Federico II, Diocesi di Salerno

29.Sigillo di Federico II, Monaco di Baviera

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I volti della Cattedrale di Termoli

30.Ambone della Cattedrale di Bitonto, Albero di Jesse della dinastìa sveva

31.Bitonto, Federico Barbarossa 32.Bitonto, Federico II con il globo

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I volti della Cattedrale di Termoli

33.Pulpito di Ferrazzano, Federico II re di 34.Basilica Superiore di Assisi, Protome di Federico II


Gerusalemme

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I volti della Cattedrale di Termoli

Le tre regine

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I volti della Cattedrale di Termoli

Si passa ora al lato sinistro della porta maggiore, nell’immediato quarto capitello,
partendo dalla prima parasta inglobata dal vescovado, il quale viene per comodità
nominato come ‘’capitello delle regine’’, per via dei tre volti di donna coronati35-36-37,
che sporgono alla base centrale dell’abaco nelle rispettive facce a vista, anche qui
distinte dalla enorme espressività e grande plasticità classica dell’anatomia, ma che a
differenza del precedente capo augusteo, sembrerebbero essere prive di una simbologia
iconografica ricercata, ma di una essenziale riproduzione veritiera delle figure originali,
almeno per il ricordo di esse nell’epoca di esecuzione, in cui ad essere di enorme
importanza sono soprattutto i reperti lapidei ed anche cartacei, come nel nostro caso.
Grazie alla precedente analisi per trovare lo schema mancante dei fregi termolesi,
possiamo già da subito ipotizzare si tratti di tre donne che hanno avuto una importanza
pressoché vitale per l’Imperatore, non solo dal punto di vista del suo vissuto e della sua
crescita, o vita politica, ma anche dal già descritto dettaglio dinastico che qui si
riprodurrebbe facilmente in un’opera tributaria verso queste regine ancora prive di un
nome.
Da subito si potrebbe pensare ad una raffigurazione di tre delle quattro mogli che
accompagnarono Federico lungo la sua vita, ad iniziare da Costanza d’Aragona, tra il
1209 e il 1222, Jolanda di Brienne negli anni che vanno dal 1225 al 1228, periodo a cui
corrisponde il nuovo prosieguo ed ampliamento del cantiere della cattedrale di Termoli,
passando poi ad Isabella d’Inghilterra, con cui convisse dal 1235 al 41, nel pieno
dell’ulteriore ampliamento della facciata, o poco successivamente a questo, prima che
il cantiere venisse interrotto dall’assalto veneziano del 1240, e riprendesse solo in
seguito negli anni che vanno dal 1265 al 1296.
L’ultima ma più incisiva di tutte fu invece Bianca Lancia, figlia di una delle nobili
famiglie ghibelline che discesero nel meridione italiano, e nel cui arrivo, sarebbe
sopraggiunto l’incontro tra lei e l’imperatore, plausibilmente alla rocca di Lagopesole,
dove ella sarebbe raffigurata tutt’oggi in una delle protomi postume del dongione
normanno38, dai distintivi lunghi capelli, e dal vicino volto di un satiro che
verosimilmente sarebbe identificabile come un mascherone allegorico dell’imperatore
stesso39, ma di cui si parlerà più attentamente di seguito.
Bianca in un certo senso fu molto più che la semplice sposa ‘’in articulo mortis’’ come
ci definiscono gli storiografi Matteo Paris e Salimbene di Adam da Parma, visto che già
da molti anni era l’amante dello svevo a partire dal 1225, e da ulteriori cronisti, fu
reputata come la donna più amata da quest’ultimo nel corso delle passate unioni che
verterono su decisioni di tipo politico.
Purtroppo questo durò molto poco, visto che nel 1248 ella morrà, e nella cui data di
unione è possibile tenere come dato, il riferimento al figlio Manfredi del 1247, come
‘’Lancea’’, nel suo riconoscimento della dote della provincia sancti angeli, che era
assegnata in precedenza a tutte le regine di Sicilia, assieme alle derivanti fortezze come
Siponto e Vieste, giungendo sino alla fortezza di Termoli, e della cui giurisdizione
garganica venne investita la nobile Bianca in punto di morte, quindi avvenendo
all’incirca tra il 1247 e il 48, alcuni anni dopo la morte della terza moglie Isabella.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Ovviamente è risaputo come lo svevo ebbe una cospicua prole con le rispettive regine,
ma anche con molte delle amanti e concubine con cui egli si intratteneva nel corso della
reggenza imperiale, tra cui compare il nome di Maria o Matilde di Antiochia, secondo
lo storico Ernst Voltmer, discendente dal nobile casato siciliano di Roberto d’Antiochia,
e dalla cui frequentazione derivò il figlio illegittimo Federico d’Antiochia, all’incirca
tra gli anni che vanno dal 1222 al 1224, in cui era pressante la propaganda anti-imperiale
che voleva questo concepimento come avvenuto tra lo svevo ed una donna musulmana,
che per l’epoca sarebbe stato uno dei modi più rapidi per screditarlo, visto come dannoso
per la sua spinta verso un governo laico e la vicinanza ai popoli medio-orientali, a
scapito dell’occidentalismo papale.
Prendendo contezza di tutto questo però, si è potuto notare più di un dettaglio che
tenderebbe ad allontanare dalla teoria secondo cui tali regine possano in qualche modo
rappresentare le sue principali tre mogli, uno dei principali è il periodo di esecuzione in
cui il capitello sarebbe stato eseguito sotto la direzione del magister Alfano, che
precedette, seppur di pochi anni, il matrimonio tra lo svevo e Isabella d’Inghilterra,
approssimativamente dal 1225 al 1239, poi vi sarebbe anche il particolare della
fisionomia che in alcuni casi sembrerebbe non essere compatibile con le icone esistenti
di esse, ed una caratteristica importante è quella del contesto in cui le donne sono poste,
ovvero ai lati del portale maggiore, una posizione privilegiata che in tale caso sarebbe
stata adoperata per Federico II visto come singolo volto, come nel precedente capitello,
fiancheggiato in detta occasione dalla moglie attuale, al momento dell’esecuzione dei
fregi, che per il momento doveva essere ancora Jolanda di Brienne, la cui presenza è
ricca di collegamenti filologici, non solo nel cantiere termolese.
Ma proprio in questo caso è subentrato lo studio attento delle capigliature ed in special
modo delle espressioni e delle corone di tutte e tre le regine, compresa la loro posizione
che prevede una figura centrale, guardante il fedele ai piedi del duomo, e due ad essa
collegate, ma di minore importanza o di un momento esistente differente, come fossero
‘’antenate’’.
Nei primi due casi, frontale e sinistro, notiamo che le donne presentano una corona ben
decorata e ricca di dettagli, seppur essenziali, mentre la terza di destra si presenta con
una corona più modesta, solo con una semplice fila di fori ad ornare il perimetro
dentellato, che a differenza dell’incompiutezza del trittico timoteano, qui sembra
derivare dalla scelta stilistica di rappresentare tre figure che ricoprono tre ruoli diversi,
due di una medesima valenza o grado, ed una di importanza minore rispetto al rango di
esse, come in una comparazione tra imperatrici e regine, una differenza che è permeante
nell’iconografia delle basiliche e dei castelli, dove il dettaglio della corona o del
panneggio sanciva proprio lo status del nobile che aveva commissionato il fregio, o ne
veniva ricondotta l’esaltazione da terzi, in questo caso da Federico II, di cui
probabilmente vediamo scolpite le sue tre madri dinastiche del casato normanno-svevo,
ossia le sue due nonne ai lati, e sua madre nel centro, che a tal punto erano proprio poste
nella situazione poc’anzi descritta visto che Beatrice di Borgogna, moglie di Federico
Barbarossa, e Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II, furono entrambe Imperatrici
del Sacro Romano Impero, al contrario della madre di Costanza, Beatrice di Rethel, che
fu unicamente regina del Regno di Sicilia, caso che allo stesso modo sarebbe discorde
con le mogli di Federico II che furono tutte rispettivamente Imperatrici consorti,
rendendo così definitiva l’attribuzione del fregio a queste ‘’regine madri’’ che furono
cruciali per il destino dell’Imperatore.

28
I volti della Cattedrale di Termoli

Parlando di Costanza, ella fu una figura davvero enigmatica e di enorme interesse per la
comunità storica, data la sua vita ricca di vicende politicamente e militarmente variegate,
e la presenza di personaggi importantissimi nel corso del suo regno, tra cui lo stesso
frate Gioacchino da Fiore, a cui si confessò, ed il nipote Tancredi di Sicilia, conte di
Lecce e contendente alla reggenza di Sicilia, voluto altresì da parte del papato e dalla
nobiltà locale, inviso agli svevi, che non erano visti di buon occhio da ambo le parti.
Andando così contro lo stesso volere di Guglielmo II il Buono, affinché si potessero
appianare le divergenze tra i due casati, dopo l’incoronazione di Tancredi a Palermo nel
1189, da parte di Clemente III, e la successione di Enrico VI come Imperatore del Sacro
Romano Impero, tre anni dopo, partì finalmente alla conquista del Regno, fiancheggiato
dai suoi fedeli militi, ed in special modo dalle flotte pisane, fallendo in un primo
tentativo, con il rapimento di Costanza da parte del nipote, e la sua reclusione a Salerno.
Successivamente, Papa Celestino III si pose come intermediario per sancire la pace tra
l’imperatore Enrico e re Tancredi.
Nel trasporto tra la costiera salernitana a Roma, la guarnigione venne attaccata da un
contingente di militari dello svevo, che riuscirono a liberare la donna che fu ricondotta
da Enrico.
Negli stessi anni, prima dell’ascesa degli Hohenstaufen, Termoli fu una località di
elevata importanza, essendo il fortilizio più a nord della Capitanata normanna, in una
linea di frontiera, ed in un importantissimo snodo commerciale e di vie comunicative
tra il territorio italiano e quelli d’oltremare, una delle principali motivazioni di un
allestimento del gran consiglio di Tancredi nel castello comitale di Termoli, che nel
corso del XII secolo, era feudo dei conti di Loritello, oltre che dote di Costanza, che
venne invaso e disarmato dalle truppe sveve nel 1294, anno che vedrà il declino della
resistenza di Tancredi, che giungerà alla morte.
Successivamente al temporaneo seggio del figlio Guglielmo III, in tenera età, il 25
dicembre dello stesso anno, lo svevo Enrico VI fu incoronato re a Palermo, e così
Costanza che dovette procedere nel suo governo anche al seguito della morte del
consorte, sopraggiunta nel 1197, dopo che il re era stato interdetto da un malore nel
corso dell’assedio di Castrogiovanni, e perciò ricoverato a Messina il 28 settembre, per
poi soccombere l’indomani.
Fu allora che l’imperatrice e regina Costanza, si prodigò per poter salvaguardare il futuro
di Federico, conscia che non sarebbe sopravvissuta per molti anni dalla dipartita del
marito, ponendo in questo modo il bambino sotto l’ala protettiva del pontefice
Innocenzo III, suo tutore e reggente del regno di Sicilia, seguito dagli esponenti più
vicini alla famiglia imperiale, cancellieri e familiares, tra cui si ricorda il cancelliere del
regno Gualtiero di Palearia, vecovo di Troia ed ulteriore custode del ragazzo fino a che
avesse raggiunto la maggiore età e tenere le redini del tanto intricato dominio che
poggiava sulle sue spalle innocenti ed ignare.
Poco dopo la nomina della custodia pontificia, la regina si spense nel 1198 a ben
quarantaquattro anni di età, sepolta nella cattedrale di Palermo dove riposa ancora oggi
circondata dai suoi cari.
Ma per il momento è preferibile restare qui sulla complessa questione dell’infanzia di
Federico, dei suoi tutori e magister regis, che riprenderemo in seguito, per poterci ora
soffermare sulle caratteristiche che hanno dato la possibilità di identificare nella
sorridente e gioconda regina termolese, l’icona dell’imperatrice Costanza.
A seguire, dopo il già evidenziato dettaglio delle corone diverse, abbiamo potuto
facilmente notare la spiccata somiglianza tra i due volti (centrale e destro), e le
raffigurazioni di Beatrice di Rethel e Costanza d’Altavilla, immortalate nella carta dal

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I volti della Cattedrale di Termoli

cronista e poeta italiano, Pietro da Eboli, all’interno del suo poema ‘’Liber ad Honorem
Augusti, sive de rebus Siculis’’, trascritto nel 1196, e nel quale viene esaltata l’ascesa
vittoriosa degli Hohenstaufen sull’Italia meridionale, contro Tancredi, nel corso delle
rivolte siciliane, donato al termine della stesura proprio all’imperatore Enrico VI.
Nel manoscritto sono presenti amplissimi riferimenti sull’aspetto fisico dei suoi
personaggi, sia nei confronti di Costanza, che della madre Beatrice, raffigurata
quest’ultima in maniera iconica nel foglio 9640, in una scena che mostra lei ed il Re
Ruggero II che convolano a nozze, per poi vedersi questi nel suo letto di morte,
fiancheggiato dalla regina vedova che allatta la piccola Costanza.
La futura madre dello Stupor Mundi, dal canto suo, è rappresentata per la quasi totalità
dell’opera, essendone protagonista, ed è impossibile non notare uno dei suoi segni
distintivi che la esaltavano rispetto le altre figure femminili.
Ella viene trasposta con delle rughe che le solcano il collo immediatamente sotto il
mento, caratteristica che troviamo singolarmente anche sulla facciata della cattedrale,
proprio nel primo dei volti, con annessi lunghi capelli che si cingono in delle ciocche
sotto le spalle, tutti elementi che coincidono con il personaggio nelle varie scene che la
riguardano, come nel suo fidanzamento con Enrico VI41, sempre nel foglio 96, con cui
si mostra fianco a fianco nel foglio 11042, e non tralasciando le scene meglio conservate,
come il rapimento di lei a Salerno per volere di Tancredi 43, nel foglio 116, e la
segregazione della regina nella rocca normanna di Castel dell’Ovo44 nel foglio 126, per
poi terminare con la più celebre scena del foglio 138 45, in cui la si vede a cavallo, mentre
porta tra le mani il neonato Federico II, nell’atto di cederlo, in un evidente stato di
avanzata età, enfatizzata proprio dalle suddette rughe che determinavano nella sua
figura, il tanto importante tema della sua età ai tempi del concepimento del futuro erede
al trono.
Queste similitudini sono rintracciabili anche nel già citato cantiere federiciano della
cattedrale di Foggia, al di sopra di un capitello delle lesene esterne, che ci potrebbe
permettere di identificarle entrambe come la stessa persona riprodotta su pietra, a
differenza invece, di un altro ignoto volto localizzato in un luogo davvero insolito per
la sua estrazione stilistica.
Il fregio in questo caso, si trova sulla facciata di una abitazione del centro storico di
Trivento46, in piena Contea di Molise, rinvenuto per la prima volta dalla storica dell’arte
Ada Trombetta, nel corso della raccolta delle architetture minori del Molise, e di cui si
è subito notata la medesima iconografia, postura e fisionomia dei volti di Termoli, nei
pieni caratteri dei cantieri svevi, portandoci così alla difficoltosa ricerca di un nesso tra
questa donna, dai capelli ricci e priva di corona, e l’Imperatore, che escludiamo essere
di un rango pari a quello delle regine di Termoli e Foggia, forse più verosimilmente una
contessa o una nobildonna del territorio altomolisano.
Ovviamente è davvero improbabile garantire un filo conduttore tra queste due entità del
regno, oppure addirittura provarne una esecuzione in loco visto che i cantieri compatibili
più vicini erano quelli di Isernia e di Ferrazzano, dandoci così il sospetto enorme che si
possa trattare di un fregio proveniente dall’edificazione di una chiesa del vasto
circondario, oppure di un palatium, nella cui direzione dei lavori operò la stessa
maestranza del cantiere termolese, forse proprio Alfano, che si limitò ad immortalare il
viso di una nobile benefattrice del luogo, forse apposto addirittura come commissione
da parte di un suo discendente, e che certamente, da come ci dimostrano le volute e le
rimanenti parti fitomorfe del corpo sottostante, doveva essere in precedenza la parte
superiore del capitello di una lesena, forse dismesso al seguito di un terremoto o di una

30
I volti della Cattedrale di Termoli

demolizione, e reimpiegato in edificazioni successive, come chiave di volta di un arco


posticcio.
Però, se non escludessimo questa teoria e cercassimo un collegamento con l’imperatore,
dovuta proprio alle caratteristiche iconografiche del pezzo, potremmo trovare un
riferimento ben preciso ad una personalità vicina alla madre di Federico II, una
sorellastra più precisamente, che ebbe a che fare con il territorio dell’alto Molise, ma
purtroppo della quale non esiste prova del nome, per la scarsità di documentazioni a
riguardo.
Si tratterebbe dunque, di una figlia illegittima di Ruggero II, che il Giovannoni riporta
come figlia bastarda della sua terza concubina, andata in sposa ad Ugo II de Moulins,
Conte di Molise ed uno degli esponenti più importanti del Regno di Sicilia.
Sul suo conto nei secoli, si è da sempre usata nelle bibliografie la nomea di Clemenza,
confondendola con la figura della contessa Clemenza di Catanzaro, che si collega alla
nobile innominata solamente per un contenzioso dovuto alla congiura calabrese che
verteva sull’assassinio dell’ammiraglio Maione, per il cui compimento venne
intromesso l’amante della vedova contessa di Molise, Matteo Bonello, ed al quale, se
avesse compiuto l’assassinio, avrebbero concesso la mano della contessa Clemenza,
causando il secolare refuso storico, permettendoci ad oggi però, di ammirare il possibile
volto regale di una nobildonna che non ancora ha nome, per quanto la sua figura fosse
importante nel contesto storico del XII secolo tra normanni e svevi.
Sull’aspetto di Beatrice di Rethel, parrebbe invece essere molto importante la marcata
divergenza dei capelli, più corti e raccolti rispetto alle prime due, com’è dimostrato
anche dal manoscritto di Pietro d’Eboli, condizionata anche da un singolare sguardo
austero, mentre le due regine di sinistra e del centro si vedono più gioiose, e felici, ma
anche a tratti malinconiche, specialmente nella prima di esse, che a suo modo dimostra
di possedere dei collegamenti con molte delle raffigurazioni esistenti in Europa, della
nonna paterna di Federico II, Beatrice di Borgogna, seconda moglie del Barbarossa,
dopo che questi annullò il suo matrimonio con Adelaide di Vonburg, perché sterile.
L’imperatrice è descritta a suo tempo nel volume III delle pubblicazioni di Storia
d’Italia, di Indro Montanelli e Roberto Gervaso, dove la si cita come una donna pia,
casta, dalla fisicità gracile e minuta, aspetti che si ritradurrebbero nella mimica facciale
del volto termolese.
Seppur di esigua quantità, è stato utile ricercare le principali effigi di epoche pressoché
contemporanee ai due reali svevi, per poterle porre in confronto con i soggetti riprodotti
dai vari scalpellini che ebbero il compito di immortalarli nella pietra.
La più importante delle rappresentazioni di lei, si può notare nel programma
iconografico del portale romanico che costeggia gli interni della cattedrale di Frisinga47,
in Germania, con più precisione nella porta d’accesso alla sacrestia del tempio, ove i
due coniugi imperatori sono scolpiti rispettivamente nei due lati, al di sotto delle
imposte, a sinistra Federico I, ed a destra Beatrice, in posa di preghiera o di venerazione
del sovrano svevo, mentre nel secondo caso la possiamo ritrovare in un’altra sua
presunta effige, un tempo posta sulla Porta Tosa della fortezza di Milano, e conosciuta
storicamente come Tosa Impudica o Fanciulla Sconcia di Milano48, una formella oggi
conservata nel museo artistico del Castello Sforzesco, dopo che venne fatta spostare e
nascondere dalla vista pubblica, per volere del cardinale Carlo Borromeo nel XVI
secolo, reputandola volgare e contro i principi del decoro cristiano.

31
I volti della Cattedrale di Termoli

Il bassorilievo mostrerebbe verosimilmente, la nobile Beatrice in una azione di pubblico


scherno, dove ella si prostra ai civili nell’atto di depilarsi i peli pubici, come una vera e
propria satira da parte della popolazione milanese, contro il Barbarossa, accostando la
consorte ad una meretrice, visto che per legge, nel XII secolo ogni prostituta era
obbligata alla depilazione delle parti intime.
Questo simbolismo, sia nel caso milanese che tedesco, sarebbe confermato e pienamente
compatibile con il volto di Termoli, vista l’enorme somiglianza tra i tre, che mostrano
una stessa fisionomia del volto, ed anche la costante dei lunghi capelli, uniti nelle
ciocche finali.
Ulteriore testimonianza ci viene fornita da una miniatura del manoscritto ‘’La Conquete
de Constantinople’’, paragrafo della ‘’Historia de discordia et persecutione quam
habuit ecclesi cum Imperatore Federico Barbarossa’’, redatto a Venezia nel 1330 e
conservato nella Oxford Bodleian Library, in cui possiamo vedere le figure dettagliate
di Federico I e Beatrice ai due lati del pontefice Alessandro III49, nel corso delle annose
divergenze tra il potere imperiale e papale.
Qui vorremmo ulteriormente riprendere la questione di un altro bassorilievo, o meglio,
di due protomi lapidee incastonate sopra la porta principale del dongione normanno-
svevo di Castel Lagopesole, struttura fortificata che dimostra la presenza di una doppia
stratificazione che comprende una fondazione del XII secolo, ed un rifacimento stilistico
del XIII secolo, al quale apparterrebbero i due fregi.
Ci si vuole soffermare soprattutto sulla seconda figura alla destra della porta, un volto
di donna sorridente e dai lunghi capelli ondulati, che secondo una leggenda popolare
lucana, riprodurrebbe proprio Beatrice di Borgogna, fiancheggiata dal viso del
Barbarossa, slanciato in avanti ed ostentando due lunghe orecchie da asino, derivanti
dalla medesima leggenda, che vorrebbe l’Imperatore come perseguitato da tale
condizione fisica, tanto da costringerlo a doverle coprire sin dall’infanzia, con i suoi
lunghi capelli, e condannando a morte tutti i barbieri di fiducia che avrebbero scoperto
l’impronunciabile segreto.
Ovviamente trattasi di una semplicissima invenzione folkloristica, che non trova alcuna
conferma in nessun testo o fonte rilevante, che di certo avrebbe ricordato l’esistenza di
una condizione del genere, dato che nel medioevo determinati difetti erano adoperati
per vari scopi, anche per screditare e dileggiare esponenti scomodi come nel suo caso,
e quindi portandoci alla postulazione di una teoria già detta parzialmente in precedenza,
nella questione delle mogli ed amanti dello Stupor Mundi.
Secondo ciò, in verità il volto di questa protome, ben dettagliata e classicheggiante,
potrebbe essere ricondotto a quello dell’amante Bianca Lancia, visto il loro primo
incontro consumato proprio nelle mura della corte di Lagopesole, e che farebbe capire
la mancanza di una corona sul suo capo a differenza del re alla sua sinistra, che altresì
potrebbe essere lo stesso Federico II, compatibile alla perfezione con le molteplici icone
dello svevo, ampliamente descritte precedentemente, con un dettaglio stilizzato che
riporterebbe al simbolismo dei bassorilievi di Castel del Monte, rimaneggiando
l’immagine di Federico II, trasposto come un satiro, a simboleggiare la sua sfera
lussuriosa ed al contempo l’opposizione alla sottomissione socio-politica del papato,
come richiamo ad una mente di stampo laico, ma che potrebbe anche simboleggiare il
peso della scomunica inflitta da Gregorio IX, che troveremmo anche nel vicino pulpito
ferrazzanese.

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I volti della Cattedrale di Termoli

35.Cattedrale di Termoli, quarto capitello del lato sinistro, Costanza d’Altavilla, fotografia
di Domenico La Porta, 2011

36.Cattedrale di Termoli, Beatrice di Borgogna, 37.Cattedrale di Termoli, Beatrice di Rethel,


2011 2011
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I volti della Cattedrale di Termoli

38.Castello di Lagopesole, Bianca Lancia 39.Castello di Lagopesole, Federico II Satiro

40.Liber ad Honorem Augusti, Sive de Rebus Siculis, Nozze di B. di Rethel e Ruggero II d’Altavilla, nascita
di Costanza e morte di re Ruggero, f.96

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I volti della Cattedrale di Termoli

41.Liber ad Honorem Augusti, Sive de Rebus Siculis, matrimonio tra Costanza d’Altavilla ed Enrico VI di Svevia, f.96

42.Liber ad Honorem Augusti, 43.Liber ad Honorem Augusti, Rapimento di Costanza e prigionia a


Costanza ed Enrico VI, f.110 Salerno, f.116

44.Liber ad Honorem Augusti, Costanza d’Altavilla a Castel dell’Ovo, f.126

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I volti della Cattedrale di Termoli

45.Liber ad Honorem Augusti, L’Imperatrice Costanza con in braccio il neonato figlio Federico, f.138

46.Trivento, bassorilievo che raffigurerebbe l’innominata Contessa di Molise, moglie di Ugo II de


Moulins e sorellastra di Costanza d’Altavilla, fotografia di A.Trombetta

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I volti della Cattedrale di Termoli

47.Cattedrale di Frisinga, Beatrice di Borgogna 48.Tosa impudica di Milano (B. di Borgogna),


Museo del Castello Sforzesco

49.La Conquete de Constantinople, Historia de discordia et persecutione quam habuit ecclesi cum
Imperatore Federico Barbarossa, Papa Alessandro III con l’imperatore Federico Barbarossa e Beatrice di
Borgogna, Oxford Bodleian Library

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I volti della Cattedrale di Termoli

I tre anziani

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I volti della Cattedrale di Termoli

Giunti a questo punto, si procede nel lessico del programma iconografico, al secondo
capitello del lato sinistro della facciata, immediatamente successivo al trittico di San
Paolo, che al di sopra delle fronde di acanto spinoso, ci mostra la presenza di altri tre
volti misteriosi, quelli di tre uomini anziani 50-51-52 dalle lunghe barbe e dalla testa quasi
calava, o meglio, stempiata, con una particolare enfasi dei due segni distintivi nel primo
viso, dallo sguardo e dall’espressività pesantemente esplicita, a tratti mostrandosi come
veritiera immagine di un uomo e del suo passato, ma soprattutto del suo contesto
all’interno della chiave di lettura a carattere unicamente federiciano.
Da subito si potrebbe pensare ai nobili nonni ed al padre dell’imperatore, ma la cosa non
pare essere compatibile con le disparate iconografie da loro scelte in un qualunque
rappresentazione, men che meno riprendendo la reale fisionomia dei personaggi storici,
ponendoci invece su un’altra via che deve andare a ricollegarsi a tutto il paramento
esterno, magari non tramite un legame di sangue, ma, come si è già visto anche per altre
località, attraverso un nesso di tipo collaborativo, oppure della sfera politica e
mecenatica di Federico II, riportandoci dunque a dover riprendere storicamente le più
importanti figure che, fino ad allora, suscitarono enorme importanza nella vita e crescita
culturale di quest’ultimo, nonché la stessa reggenza ed amministrazione del regno e
delle molteplici questioni che lo circondavano, da quella delle ribellioni settentrionali,
a quella clericale, che lo misero a dura prova.
In questa occasione subentrano figure forse vicine strettamente alla sfera ecclesiastica,
come per esempio i pontefici, di cui pochi furono quelli davvero incisivi e condizionanti,
sia positivamente che negativamente, soprattutto nella parte incentrata sulle
scomuniche.
Nel primo momento dell’imminente morte dell’imperatrice Costanza, come si era già
definito, Innocenzo III fu nominato da ella come tutore del bambino, ed al seguito del
decesso, il potere e la direzione del regno fu retta da quest’ultimo, con il contributo però
delle alte cariche della casata normanna-sveva, come ad esempio il vescovo di Troia,
Gualtiero di Palearia, storico alleato della causa sveva e nemico dell’usurpatore
Tancredi di Lecce, tanto da essere nominato dallo stesso Enrico VI, tra il 1192 ed il
1195, Cancelliere del Regno di Sicilia, e dopo la morte di questi, deposto inizialmente
dalla regina, con l’accusa di cospirare assieme ai conti tedeschi contro di lei.
Fu grazie a papa Innocenzo ch’egli venne riammesse nel suo ruolo di cancelliere, ed
anche in quello dei Familiares, che in tale caso si sarebbero dovuti fare carico del
governo del Regno di Sicilia, pur vivendo dei seri contrasti nel corso della sua carriera,
con il pontefice, soprattutto nel caso della compravendita delle nomine ecclesiastiche,
come per la diocesi di Palermo di cui egli voleva essere presule.
In una seconda occasione, lo vediamo nuovamente in contrasto con la Chiesa romana,
colpito dalla scomunica e con la revoca delle cariche ecclesiastiche, nel momento in cui
egli prese parte alla lotta contro Gualtiero di Brienne, al fianco del milite Marcovaldo
di Annweiler.
Nel frattempo, il cancelliere svolse anche il compito di tutore del giovane Federico, visto
che principalmente l’interazione tra le alte cariche regie ed ecclesiastiche, avvenne tra
esponenti che potremmo dire ‘’secondari’’ rispetto ai più noti, addirittura molto più
dello stesso Innocenzo, che assolveva ad una funzione maggiormente politica, avendo
però nel suo operato successivo, lo scopo principale di far mantenere separate le realtà
del Regno di Sicilia e del Sacro Romano Impero, oltre ad inculcare al ragazzo la precisa
e perpetua obbedienza al volere della Chiesa e quindi del pontefice.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Tra queste figure naturalmente comparivano anche i precettori, che si sarebbero dovuti
occupare della sua formazione, sia dal punto di vista umanistico, che politico ed anche
scientifico in molti casi, ricordando bene il fratello del cancelliere, Gentile di Palearia,
conte di Manoppello, che Gualtiero era intenzionato a portare sul trono di Sicilia, prima
della scomunica che ne minò le cariche, e facendo perdere ogni speranza ai tre fratelli,
compreso Manerio, dopo la disfatta di Canne per mano del conte di Brienne.
Le cose cambiarono solo dopo il salvataggio dell’imperatore dall’occupazione di
Guglielmo Capperoni, con la concessione a Gualtiero dell’arcivescovado di Catania e il
riconoscimento della nomina di Cancelliere regio, almeno fino maggiore età dello
svevo, incoronato a quattordici anni, e che a distanza di poco dovette emanare la legge
‘’De restringendis privilegiis’’, a revoca delle disparate concessioni e nomine che aveva
effettuato negli anni, vedendosi cadere in miseria e fallendo nella sua missione di
soccorso durante l’assalto di Damietta, costretto così a trovare rifugio da esule nella
Serenissima.
Al seguito di Gentile, vi era anche un secondo precettore, tra quelli principali della corte
imperiale, ovvero Guglielmo Francesco, maestro che avrebbe insegnato al piccolo
Federico le basi della grammatica, la letteratura e la filosofia, come suo primo istitutore,
perciò con lezioni di carattere elementare e non oltre.
Egli fu un importante testimone oculare della presa del Castello a mare di Palermo da
parte di Marcovaldo, nel 1201, di cui mandò una cronistoria dettagliata al pontefice ed
al vescovo di Capua, Rainaldo, ove raccontava della resistenza del giovane ragazzo
contro le guardie traditrici che lo avrebbero dovuto difendere all’interno del forte
palermitano, mentre del suo magister, si riprendono notizie diverso tempo dopo, lontano
dalla corte sveva, come prigioniero a Montevergine dell’oppositore Diopoldo di
Schwinspeunt, fedele ad Ottone IV, dalla cui cattura riuscì presto a fuggire.
Lo si ritrova infine nel documento di una sentenza emanata a favore di Santa Maria di
Nocera, per atto di Giacomo Francesco, giustiziere imperiale e fratello di quest’ultimo,
ed in cui egli è nominato, nell’anno 1225, come procuratore ‘’pro parte imperialis
curie’’.
Però parlando del volto del capitello termolese, sarebbe alquanto complicato, se non
impossibile, identificarlo come uno di questi personaggi, per quanto importanti essi
fossero nelle cerchie dello svevo, seppur in alcuni casi si può anche notare una certa
crisi nello stato dei reciproci rapporti, dovuta a ragioni unicamente politiche, oppure
economiche, e per quanto riguarda l’aspetto di essi, non si possiede tutt’ora una ulteriore
raffigurazione repertuale o testimonianza di fisicità e caratteri distintivi, spingendoci a
dover cercare molto più in alto, nelle cariche governative che ebbero a che fare con la
preparazione del futuro Stupor Mundi, forse ad opera di qualcuno che significò molto
per quest’ultimo, ancor prima che questi intraprendesse un incarico gravoso quanto
quello di essere vescovo della chiesa romana.
Qui entra in gioco proprio la figura di Papa Onorio III, sebbene agli occhi di molti storici
può sembrare insolita la presenza di una qualche celebrazione di un esponente
ecclesiastico, in un carme iconografico svevo, permeato a sua volta dal fiero laicismo e
dalla esaltazione del potere imperiale, ponendoci invece dinanzi ad una conferma della
ben più articolata e collaborativa attività intrapresa tra il pontefice e Federico II, dalla
nomina del cardinale Cencio a suo maestro, sino all’elezione al soglio pontificio di
questi nell’anno 1216, dopo la morte di Innocenzo III, ed arrivando così ai preparativi
per la V crociata, tanto sofferti e rimandati, per i quali il nuovo capo della chiesa romana,
si era prodigato in lungo ed in largo.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Delle principali informazioni sulla vita ecclesiastica di Cencio, si ha quella che riguarda
la sua ascesa all’interno della curia, lungo tutta l’ultima metà del XII secolo, in un
sistema elitario orbitante intorno alle principali famiglie dell’aristocrazia Romana, ma
del cui apparato, il successore innocenziano ebbe solo un ruolo marginale, che andremo
a spiegare successivamente nei riguardi delle sue origini, avvolte, più che dal mistero,
da un denso e pesante silenzio quasi forzato o ‘’mirato’’.
Opera fondamentale per la sua carriera fu la stesura del Liber Censuum Ecclesiae
Romanae, nell’anno 1192, un elenco che regolamentava ed immagazzinava tutti i
particolari delle finanze vaticane, come miglioramento di un sistema gestionale di
carente efficienza, a causa della mancanza di una documentazione accuratamente
catalogata ed all’occasione impugnata dagli organi finanziari della Santa Sede.
Basandosi quest’ultimo sulle precedenti redazioni, incentivate già durante il pontificato
di Clemente III, Cencio trascrisse i censi dovuti alla Chiesa, che si riassumevano
facilmente nei vari introiti proveniente dai territori di diritto papale, gli enti ecclesiastici,
i Regni e signorie vassalle del pontefice ed i territori regolati dal pagamento dell’obolo
petrino.
Nel proemio del Liber Censuum, Cencio ci fornisce l’informazione di essere canonico
di Santa Maria Maggiore, e che operava come Camerario ecclesiastico dai tempi di papa
Clemente III;
‘’Ego Centius, quondam felicis recordationis Clementis pape III, nunc vero domini
Celestini pape III camerarius, Sancte Marie Maioris Urbis canonicus’’.
I buoni rapporti con Celestino III, già prima della sua elezione, si dimostrarono
pienamente nei grandi risultati di dote amministrativa, che valsero a Cencio le nomine
di Cardinale diacono di Santa Lucia in Orphea nel 1193, e di capo della Cancelleria
pontificia nell’anno successivo, divenendo anche importante legato papale assieme ai
cardinali Ottavio da Ostia e Pietro di Santa Cecilia, nella mediazione delle trattative con
Enrico VI di Svevia, avendo così un ruolo cruciale nelle alte cariche vaticane, almeno
fino all’elezione del cardinale Lotario dei Conti di Segni, nel 1198, ora Papa Innocenzo
III, con il quale Cencio non era in buoni rapporti vista la revoca improvvisa degli illustri
incarichi curiali, estromettendolo dalle principali mansioni, e relegandolo nell’anno
1200 a Cardinale prete dei Santissimi Giovanni e Paolo, periodo in cui egli fu per altro
disposto come magister regis dell’infante Federico II, mentre il nuovo pontefice si
occupava delle importanti questioni di ambito politico ed amministrativo che avvolgeva
il papato nel primo decorso degli anni che andavano tra la fine del 1100 e gli inizi del
1200, tra cui il mantenimento della separazione giuridica tra Sacro Romano Impero e
Regno di Sicilia, la ricostituzione della Santa Inquisizione contro le dilaganti eresie dei
predicatori della povertà, e l’organizzazione della quinta crociata, che non vedrà mai
compiersi a causa della sua morte, sopraggiunta nel 1216, ed alla quale seguì il breve
conclave in cui ‘’per compromissum’’ venne elevato al soglio pontificio proprio il
Cardinal Cencio, divenuto Onorio III, per conto dei compromissari cardinali Ugolino da
Ostia e Guido di Preneste detto ‘’De Papa’’ come indicazione di un legame parentale
con quest’ultimo.
Una breve parentesi va aperta sul conto di Lotario Conti, per sfatare l’ipotesi secondo
cui egli fosse severamente contrario alla pressione politica che creavano le nobili
famiglie romane sulla curia pontificia, tanto da essere proclamato come epuratore delle
nomine cardinalizie, che così evidentemente non era vista la sua conclamata
appartenenza alla famiglia dei Conti di Segni, vedendolo più come un esponente
volenteroso di rinnovare le file dei porporati, espellendo quelli appartenenti a famiglie
avverse, e sostituendoli con i membri di famiglie vicine e collaboratrici con i Conti, tra

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I volti della Cattedrale di Termoli

cui ricordiamo le cariche assegnate da Lotario a Giovanni Colonna, Tommaso di


Tuscolo, Guido Pierleone, Bertrando Savelli, Raniero Capocci, Gregorio Theodoli, ed
ancora Gerardo da Sessa, Tommaso da Capua, Ugolino da Ostia (futuro Gregorio IX),
e gli stessi cardinali Ottaviano e Giovanni dei Conti di Segni.
Questa formazione ben precisa è altresì accompagnata dalla presunta diatriba che
coinvolse Innocenzo III ed il cardinal Cencio, come esponente avverso ad egli, forse per
le sue origini, che spiegheremo meglio in seguito, proprio per appianare la questione
delle origini genealogiche di Cencio, che non appartenne né ai Savelli, né ai Capocci,
essendo soprattutto questi ultimi nelle cerchie innocenziane.
Tornando all’elezione di Onorio III, non sembrerebbe un caso la scelta di questa
continuazione con Onorio II, che nel 1128 stipulò il concordato di Benevento, con
Ruggero II d’Altavilla, con il quale al sovrano era riconosciuto il ducato di Puglia, in
cambio del giuramento di fedeltà, un chiaro simbolo di unione cooperativa tra lo Stato
della Chiesa e i reali che diedero natali allo svevo, al contempo vissuta con lo stesso
Enrico VI.
Dopo la consacrazione nella chiesa di San Pietro Apostolo di Perugia, città in cui si
trattenne fino il calare dell’estate del 1216, il pontefice fece ritorno a Roma, accolto nel
Laterano dagli entusiasmi del popolo capitolino.
Nella continuazione delle politiche del predecessore, pare che l’organizzazione della V
Crociata, fosse al centro non solo della stabilità governativa della Chiesa e dei suoi
‘’vassalli’’, ma anche delle relazioni intercorse tra Onorio e Federico II che già dopo la
cerimonia di incoronazione a Re dei Romani, nel 1215, prese i voti di crociato, giurando
la sua partecipazione certa all’attuazione della crociata.
Certo i dissidi militari e politici tra le varie potenze europee e le singole realtà interne
alla penisola, non giovavano affatto alla piena attuazione della strategia vaticana,
inducendolo dunque a richiamare all’ordine le principali personalità istituzionali, ed
inviando legati papali con scopi di veicolare delle soluzioni pacifiche, esattamente come
fece nell’invio di Ugolino da Ostia per la mediazione tra i comuni dell’Italia centro-
settentrionale, tra Toscana, Liguria ed anche nella Pianura Padana, con brevissimo
successo.
Le mediazioni papali si estesero anche all’estero, come nelle questioni di rivalità tra
Filippo II di Francia e Giacomo I d’Aragona, ed anche tra i duchi di Polonia e di Galizia,
ma concentrandosi di certo nella risoluzione dei dissapori dilaganti in Inghilterra, che
vedevano contrapposte le baronie inglesi e la monarchia, in un territorio già
condizionato dall’affermazione della superiorità papale dopo la sottomissione di
Giovanni Senzaterra, successore al trono di Re Riccardo Cuor di Leone.
I baroni si allearono con i reali di Francia affinché succedesse al trono il figlio di Filippo
II, Luigi, sbarcato nell’Isola con le sue guarnigioni alleate, nel mentre che sopraggiunse
la morte del principe Giovanni, a cui sarebbe dovuto succedere il figlio Enrico III
d’Inghilterra, voluto fortemente dal pontefice che si fece garante della preservazione dei
suoi diritti di successione, e facendolo prontamente incoronare dal legato cardinal Guala
Bicchieri nel 1217, e vi fornì un supporto militare contro le fazioni sovversive e i grandi
ed influenti ordini monastici, in particolar modo quello cistercense.
Allo stesso tempo indusse Filippo II a richiamare suo figlio nel territorio francese,
stipulando nello stesso arco temporale, una pace con il sovrano inglese, di certo a favore
non soltanto di ambo le parti, ma anche della sede pontificia che ottenne una stasi a
favore della missione in Terrasanta.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Nel primo periodo di pontificato però, si presentò un ulteriore problema, ossia quello
delle promesse reiterate e disattese, da parte dell’Imperatore svevo, che non minarono
il rapporto collaborativo tra egli ed il pontefice, pur comportando un elevato numero di
alti e bassi, o di momentanei screzi tra i due, solitamente per ragioni di carattere politico.
La questione dell’ancora vivido pericolo dei fedeli di Ottone IV, spinsero anche il
pontefice a rimandare l’impegno della partenza di Federico, assieme alla spedizione
dell’estate del 1217, composte in prima linea da Andrea II d’Ungheria, Ugo di Cipro,
Giovanni di Brienne e Leopoldo d’Austria, che non potendo penetrare nel territorio
gerosolimitano, si diresse verso il porto di Damietta, punto strategico alle foci del fiume
Nilo, in una operazione militare diretta da Pelagio, Vescovo di Albano e legato papale
di Onorio, mentre in occidente, Federico ribadì la sua partenza per Damietta nel 1218,
intimando per di più il Papa a scomunicare chiunque non avesse rispettato il voto di
crociato, entro e non oltre l’estate del 1219.
Queste promesse slittarono ulteriormente per via del progetto decisivo di far incoronare
il figlio Enrico come Re dei Romani, cosa che avviene nell’aprile del 1220, suscitando
al contempo lo sdegno del pontefice e del clero capitolino e germanico, fortemente
contrari, visto anche il giuramento di questi a mantenere la separazione tra i due domini,
anche dopo l’elezione di Enrico a Re di Sicilia nel 1212, pur ristabilendo una successiva
cooperazione con lo Stupor Mundi che ne diede ulteriori garanzie per la partecipazione
in medio-oriente.
Nello stesso anno, il papa ribadì l’Imperatore della sua richiesta di scomunica in caso di
inadempienze, e che nonostante fosse già stato sforato il limite temporale, se avesse
rimandato ulteriormente ci sarebbe certo stato il pericolo di una attuazione estrema,
anche se in realtà sembra più un velato ultimatum fittizio per mettere in guardia lo svevo
sui suoi doveri verso la Chiesa, ponendolo davanti al peso e valenze delle sue stesse
parole.
Nel frattempo a Damietta la situazione militare era critica, a causa dell’irresponsabilità
del pontefice e del suo legato nel rifiutare l’offerta del sultano, di cedere Gerusalemme
ed ulteriori centri orientali, in cambio del porto egiziano, perduto dai crociati nel 1221,
per i quali fu vano anche l’invio degli aiuti imperiali, e per il rispettivo ritardo venne
incolpato del fallimento lo stesso Federico II, ed alcuni dei suoi vicari, come il
precedentemente citato Gualtiero di Palearia.
Nonostante gli attriti di aria punitiva che si percepirono tra i due, dopo la caduta
dell’avamposto sul Nilo, le decisioni vertevano immediatamente sulla riorganizzazione
di una nuova missione militare in Terrasanta.
In principio, alla raccolta di beni primari e di fondi per la VI crociata, si aggiunse la
predicazione ed il proselitismo della sua importanza, attività voluta dal pontefice e
commissionata agli ordini religiosi, tra cui quello dei francescani e dei frati domenicani,
ed a ciò si ricollegano le azioni svolte da Francesco d’Assisi, il cui richiamo nel
prodigarsi per la causa papale fu tramandato nel centro Italia, soprattutto nelle aree
circostanti la Contea di Molise e la Capitanata, luoghi di pellegrinaggio che sarebbero
stati di transito per il poverello di Assisi ed il suo seguito, anche alla suddetta partenza
per l’Oriente, che sarebbe avvenuta proprio dal porto termolese.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Le promesse dell’Imperatore non si fecero tardare, ed ovviamente, anche le


inadempienze che causarono continui rinvii delle date di partenza per la nuova crociata,
tanto da spingere il pontefice a concordare scelte di tipo politico per concentrare
l’attività di Federico, unicamente sull’organizzazione ed attuazione della crociata,
comprendendo così il matrimonio tra questi e Jolanda di Brienne, al fine di ottenere il
titolo di Re Gerosolimitano, concordando nella città di Ferentino, la prima data massima
della partenza, riportata al giugno del 1225, per poi slittare nuovamente, arrivando a
programmarla per l’agosto del 1227.
Tra le principali cause dei ritardi, non rientrava la noncuranza dello svevo per gli affari
ecclesiastici, bensì vi furono numerosissime ragioni che richiesero talvolta una azione
di entrambe le parti, rendendo difficoltosa la concentrazione di tutte le forze e decisioni
politiche, come la riluttanza da parte dei principi tedeschi, le guerriglie interne tra i
comuni settentrionali ed anche l’opposizione ad un atto che era ritenuto utile alla
riaffermazione degli svevi sul territorio italiano.
L’operato generale, vide ulteriori momenti di divergenza e di collaborazione tra Onorio
e Federico, un caso di questi fu di tipo amministrativo sulle nomine cardinalizie, cosa
importante per la conservazione dei domini pontifici nel territorio, in un momento in cui
Federico II cercava di acquisire una maggiore influenza sulle alte cariche del clero
italiano, ma se per questo l’Imperatore fu ammonito, allo stesso modo fu ripagato il
pontefice quando nel 1225 violò i patti istituti nel 1212, nominando dei prelati senza che
questi ne fosse informato, sbarrando loro l’accesso alle sedi episcopali, e chiarendosi
con Onorio solo dopo un infuocato scambio di missive, ma dopo il quale, il mite Cencio
arrivò nel 1226 al compromesso di nominare dei presuli alleati di quest’ultimo.
C’è da notare che la ricerca di cooperazione e fraternità tra i due si era riproposto già
molto prima di questo, non solo con gli ossequi imperiali diretti al nuovo papa, ma anche
con le cospicue donazioni che nel 1220 comprendevano già la rinuncia in favore del
vaticano dei beni di Matilde di Canossa, vasti e ricchi agli occhi di qualsiasi sistema
politico, economico e militare dell’epoca, per non dimenticarci degli articoli della
Constitutio in Basilica Beati Petri, presentati al monarca dalla legazione del cardinal
Nicola di Clairmont, in cui si sancivano le cosiddette Libertas Ecclesiastiche e le norme
per la repressione delle eresie, anche nei confronti delle realtà comunali, verso cui
Onorio cercava un aiuto per contrastarne l’avversione allo stato pontificio, mentre era
nota la sua azione costitutiva del Sant’Uffizio, mentre Federico si dimostrò aperto verso
Mussulmani ed Ebrei, ma fortemente contrario agli eretici Catari e Patarini.
La mano di quest’ultimo si vede in svariate occasioni, come ad esempio nella annosa
controversia del podestà lucchese Parenzo Parenzi, antipapale e vessatorio verso il clero
della cittadina, portando il papa a scomunicare quest’ultimo, a vietarne la rielezione in
altre amministrazioni, ed a sottoporre l’interdizione per il comune di Lucca, a cui si
aggiunsero gli sforzi di pacificazione da parte del vescovo di Ostia, mentre nel 1226 si
inasprirono sempre di più le divergenze tra i comuni e l’Imperatore, che dovette fare i
conti con lo schieramento della Lega Lombarda.
Inizialmente l’esitazione di un aiuto da parte del vescovo capitolino portò ad accuse
spinte da Federico, sdegnato dalla modesta presa di posizione del clero nel negargli i
contingenti di truppe vaticane, pur sempre giungendo infine alla stipula di accordi tra le
due fazioni, mediati dal pontefice stesso, con il perdono dei ribelli anti-imperiali e il via
libera per poter usufruire degli aiuti militari per il 1227.

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I volti della Cattedrale di Termoli

In questo va discusso ovviamente il delicato tema della difficile condizione del partito
anti-papale, che Onorio dovette affrontare nel corso del suo pontificato, e che fu altresì
causa delle grandi arretratezze nell’attuazione della VI crociata, che purtroppo non vedrà
mai compiersi.
Sostanzialmente egli era solito lasciare le mura romane in modo periodico, al pari di
Lotario Conti, spostando il suo soggiorno in molte città dell’Italia centrale.
Dopo l’incoronazione imperiale di Federico nella città eterna, alle sue raccomandazioni
di fedeltà al vaticano, si fecero sentire in tutta risposta, le prese di posizione, prima
moderate, poi con aria sovversiva, del senatore Parenzi, mentre i rapporti tra il pontefice
ed i romani finirono per deteriorarsi, specialmente dopo la fallita mediazione intentata
da quest’ultimo nel conflitto tra Roma e Viterbo del 1222, costringendolo a rifugiarsi ad
Anagni, mentre a Veroli si incontrò con Federico II, che andò in soccorso dei viterbesi,
ponendo i romani in ritirata e spianando la strada per il vaticano al pontefice.
La minaccia del Parenzi non si fece attendere, e nel 1225, il vescovo capitolino sarà
costretto ad arroccarsi, prima nella città di Tivoli, e poi Rieti, potendo rientrare a Roma
solo dopo la deposizione dell’anti-papa, sostituito dal senatore Angelo Benincasa,
nipote di Clemente III, dimostrando la sua lealtà al popolo romano, soprattutto nel 1226,
quando questi poté reinsediarsi ed aiutare la popolazione che era affetta da una grave
carestìa, ottenendo enormi aiuti alimentari da parte di Federico II.
Nelle questioni rivoltose e di conflittualità interne, dovute alle elite nobiliari romane,
che aleggiavano nelle gerarchie curiali del tempo, ci viene in aiuto una informazione
contenuta nel Chronicon Sancti Martini Turonensis, dove si fa riferimento ad uno
scontro tra il pontefice ed un esponente della famiglia Conti, più specificatamente
Riccardo dei Conti di Segni, fratello del defunto Innocenzo III, contro i nepotes del
successore, e forse al seguito delle confische attuate da quest’ultimo ai danni dei Conti,
con cui le rivalità sembrano essere compatibili a quelle già cagionate dal cardinal Cencio
nel corso del governo innocenziano, che comportò una ripulitura dalle alte cariche, delle
famiglie romane scomode, giacché lo stesso Onorio non rientrava appieno in una di esse,
ma solo parzialmente da parte materna, e forse, secondo una nostra ricostruzione
filologica, ponendo i natali di Cencio, consanguinei con esponenti di terre esterne ai
confini italiani odierni, forse seguendo le poche informazioni che abbiamo sul padre,
che ci viene riportato dallo storico Tolomeo da Lucca, con il nome di Almaricus o
Almerico, un nome risultato estraneo all’aristocrazia romana, persino nel contesto
italiano, e soprattutto di origine germanica, diffuso sia nei territori di Francia e
Normandia, sia ovviamente, in Germania, probabilmente posizionando l’arrivo della
famiglia paterna di Cencio, attraverso la discesa degli stessi svevi, o in particolare, di
esponenti della nobiltà o borghesia nord-europea, ma anche di capostipiti già localizzati
in altre regioni e città italiane, discesi nel territorio capitolino ed unitisi verosimilmente,
ad una delle famiglie nobiliari del Lazio, di entità marginale rispetto a molte altre già
affermate.
Sul lato delle commissioni d’ambito edile ed artistico, Onorio III seppe distinguersi
molto bene nei confronti del predecessore, già durante la sua pratica cardinalizia di
Camerlengo e Cancelliere, con l’avvio di opere di restauro al Laterano, e nella basilica
dei Santissimi Giovanni e Paolo, promuovendo altresì imponenti opere di
riqualificazione ed ampliamento nel complesso di San Lorenzo al Verano, dal 1191 al
1216, all’interno della cui basilica, ad un anno dal suo insediamento, venne celebrata la
l’incoronazione del re di Costantinopoli Pierre de Courtenay, e la cui realizzazione del
portico, si deve alla bottega romana dei Vassalletto, tanto cara al pontefice, da potersi
affermare tra le principali della città, mentre i lavori proseguirono anche nei cantieri di

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I volti della Cattedrale di Termoli

San Sisto Vecchio e Santa Sabina sull’Aventino, concessa alla congregazione


domenicana di Fra Giordano di Sassonia.
Ma il culmine maggiore, per quanto parziale nel suo complesso, si ebbe nella
ultimazione dell’area presbiteriale di San Paolo Fuori Le Mura, che Onorio affidò alle
migliori maestranze richieste al Doge della Serenissima, Pietro Ziani, nel 1218, e nella
cui dedica commemorativa, come soleva esserlo per altri esponenti del clero e della
nobiltà, già citati in varie opere precedentemente enunciate, troviamo il segno indelebile
lasciato dal papa, riprodotto in una scala molto ridotta, all’interno della parete musiva
absidale, mentre si prostra in segno di devozione alla figura del macroscopica del Cristo
Giudice.
Proprio questa pregevole opera musiva, è stata di notevole aiuto nella ricerca di una
connotazione che unisse il volto originale del pontefice che successe al porporato
Lotario Conti, alla rianalisi della relazione istituzionale con Federico II, che fin da subito
è sembrata, come si è più volte ribadito, fraterna ed indicata unicamente dalla ricerca di
un compromesso e un mantenimento della pace tra il casato degli Hohenstaufen e il
papato, vedendo questo continuo comportamento di divergenze e di riappacificazioni,
come un rapporto che potremmo dire ‘’padre-figlio’’, vista anche la continua
partecipazione di Cencio alla formazione del giovane e futuro Imperatore, preparandolo
ad un difficile futuro, nonché dirigendolo in molteplici strade di carattere
amministrativo e militare, per non parlare del reciproco rispetto e grande pazienza da
parte del pontefice romano, che non sembra essere associata alla sua tanto storicamente
ostentata mitezza e salute cagionevole, quanto ad una vera e propria dialettica tra le due
personalità, viste anche le molteplici occasioni in cui il pontefice è dovuto ricorrere alla
scomunica ed alle confische di beni verso altri esponenti della nobiltà, mentre
l’imperatore è sempre stato esentato dal rischio della scomunica, tanto da sfiorarla solo
sotto forma di minaccia, ma per altro posta sulle basi dello stesso volere imperiale, e
quindi facendo decadere una possibilità di strappo definitivo tra la cooperazione stato-
chiesa, come invece avverrà una volta deceduto sia il pontefice, che alcuni esponenti
degli organi mediativi tra le due potenze, di cui però si parlerà in seguito, mostrando
al contempo la totale caduta della politica sveva, contro quella decisionale ed inflessibile
di Gregorio IX ed Innocenzo IV.
Sulla attribuzione al cardinal Cencio di questo fregio pertanto sono da prendere in
esempio moltissime raffigurazioni e testimonianze che ci indicano la reale fisionomia
facciale del porporato romano, escludendo a priori l’identità di uno dei suoi due
successori, poiché avversi a Federico II e cronologicamente posti in un periodo estraneo
alla fase del cantiere dove essi hanno visto la luce per la prima volta,
approssimativamente negli ultimi anni di vita del pontefice, e quindi tra il 1225 ed il
1235, stesso periodo che vedrebbe la proclamazione delle reliquie di San Timoteo come
possesso della diocesi termolana, non più ‘’congelate’’ dal mancato pagamento del
cardinal Pietro Capuano ai contingenti Templari della IV crociata, nel suo rimpatrio del
1208, e quindi non più sequestrabili da parte dell’ormai defunto papa.
Alquanto incognita è invece stata la questione della barba di Onorio, essendo
quest’ultimo, come per altri vescovi romani prima e dopo di lui, mostrato in più di una
versione discorde, quasi sempre in commissioni postume anche di secoli dalla sua
morte, che possono quindi ricadere, non su una memoria del tempo, ma su una scelta
simbologica dell’artista, nell’emanare la grandiosità e saggezza del personaggio
attraverso vesti che non gli appartenevano, come possiamo vedere nella scena della
Predicazione di San Francesco al cospetto di Onorio III53, una delle ventotto scene nate
dalla mano di Giotto nel 1295, ed oggi visibili nella Basilica Superiore di Assisi, dove

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I volti della Cattedrale di Termoli

il papa si vede in una corporatura robusta e dal volto glabro, come poi si vedrà in altre
opere minori.
Ma la maggiore attendibilità nel suo aspetto, la possiamo trovare nelle cosiddette opere
di ambito rinascimentale e bassomedievali, basate sulla riscoperta dell’iconografia dei
personaggi biblici e storici, ricercandone talvolta dei caratteri documentari, oppure
ideali, forse per estendere un messaggio al fruitore dell’opera, in tal caso il fedele.
Troviamo in maniera molto accurata l’esecuzione di un papa molto più vecchio e dolente
nell’Approvazione della regola di San Domenico54, tela conservata nella basilica dei
Santi Giovanni e Paolo, commissionata al pittore Leandro Bassano, nei primi anni del
‘600, con una iconografia particolarmente legata alle dichiarazioni di Burcardo da
Ursperg, con un pontefice dalla lunga barba, dai pronunciati basettoni, la fronte larga ed
il naso aquilino, mentre ideologico è il riadattamento contemporaneo delle vesti
pontificali, con il triregno sul capo, ove la tiara papale era ascrivibile, tramite l’uso di
più di una corona, solamente ad una realtà calcificata nella società ecclesiastica, dopo
l’aggiunta della seconda corona da parte di Bonifacio VIII nel 1295, e della terza, di
Benedetto XII, nel 1342, sotto la piena cattività avignonese, come tentativi simbolici di
aumentare la sovranità della chiesa rispetto alle altre realtà laiche e nobiliari.
Altri elementi documentari che ci mostrano il volto papale, li troviamo frammentati
nell’Europa dei secoli XIII e XIV, come ad esempio; nel matrimonio tra Federico e
Jolanda di Brienne, della Nova Cronica di Giovanni Villani55, nell’affresco
dell’approvazione della regola carmelitana di Pietro Lorenzetti 56, nelle due scene
dell’incoronazione di Federico II, immortalate nel foglio 392 del manoscritto ‘’Le
Miroir Historial’’57, opera di Vincent de Bauvais del 1227, ed anche nelle miniature
degli Acta Sancti Petri in Augia58, dove, in entrambi i casi, si può ben notare come il
pontefice venga raffigurato con il celebre volto barbuto, coevo con le opere del suo
pontificato, forse uniche di tipo cartaceo.
Per completare questo quadro però, si torna proprio alla basilica di San Paolo fuori le
mura, importante luogo della centralità ecclesiastica e del potere papale, dopo la sede
vaticana naturalmente, con le splendide bande di tondi mosaicali, che scandiscono il
marcapiano della nave centrale, raffiguranti le icone di tutti i papi, a partire
dall’inaugurazione voluta da Leone Magno nel V secolo d.C., seppure oggi siano visibili
e continuativi grazie alle campagne di restauro del 1848, al seguito di un violento
incendio che rase al suolo la basilica paolina, ed i cui pezzi originari, dal V al IX secolo,
sono oggi conservati all’interno dell’abbazia.
In questi medaglioni dorati, gli studi filologici vaticani, in corso d’opera, permisero di
ricostituire anche la sagoma, dai richiami neoclassici, di Onorio III59, riportato con le
stesse fattezze in numerose altre pubblicazioni di spicco, e mostrandolo con il succitato
viso anziano, barbuto e con il naso adunco bene in vista, il tutto seguito dall’espressione
facciale seria e dai connotati malinconici, distintivi nella mimica, per ogni papa mostrato
nella lunga fila perimetrale.
Sempre nella stessa struttura, a poca distanza dalla parte alta della navata centrale, sorge
proprio la parete musiva commissionata da quest’ultimo, che possiamo considerare
come la più vera e autentica ‘’fotografia’’ di Onorio60, nell’avvenire dei suoi ultimi anni
di pontificato, dove la vecchiaia stava sempre di più mostrandosi sul fisico del cardinal
Cencio, che qui vediamo come un uomo dalla corporatura magra, e trasposto con la più
antica raffigurazione che lo propone con una folta barba bianca, dalle salde basette e
dalla ampia fronte stempiata, allo stesso modo delle icone di altri pontefici e di dottori

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I volti della Cattedrale di Termoli

della chiesa, ma anche dello stesso San Paolo, vedendola alternata tra una caratteristica
reale ed una di ambito iconologico di sorta.
Seguendo questa preventiva ipotesi sulla sua presenza nella facciata del duomo, ci
potrebbe venire in contro anche la lettura simbolica della sua mimica facciale, recante
più di uno stato d’animo, come spesso ci riportano i canoni espressivi del gotico, rispetto
la freddezza iconografica dei primi secoli del romanico, inducendoci a percepire una
malinconia ed un tormento, forse dovuto dallo stato di salute di Onorio e delle sue
difficoltà incontrate nelle lotte contro gli anti-papali, ma anche un significato filologico
che riporta proprio agli avvenimenti vissuti con Federico II, individuando così un
probabile sguardo di profonda delusione e sdegno nei confronti delle ripetute mancanze
dell’Imperatore nei suoi confronti, nonostante il vivere formalmente pacifico tra
entrambi.
Ora però, bisogna considerare che questo non è l’unico viso del capitello, visto che,
come si è ben ricordato poc’anzi, esso è fiancheggiato nei due lati perpendicolari, da
altri due uomini, anche qui profondamente diversi tra loro, anche se simili nelle
caratteristiche somatiche, in egual modo muniti di lunghe barbe, da sguardi austeri o
quantomeno seri, e dalle fronti stempiate e rugose, ponendoci quindi in un grande
dilemma che ci ha portati anche in questo caso a confutare più di una possibilità, prima
delle quali si vanno ad eliminare i personaggi delle prime cerchie che si occuparono del
giovane Imperatore, dunque compreso Onorio ovviamente, soprattutto perché dei primi
non abbiamo prova alcuna di icone od esecuzioni commemorative in altre strutture,
come già si era avanzato nella discussione inerente alle tipologie di personaggi che si
soleva riprodurre in cantieri del genere, e come anche abbiamo dovuto fare nella seconda
casistica, per la quale sarebbero potuti essere parte di una effige papale legata ad Onorio
III, forse proprio i santi Pietro e Paolo61, fondatori della chiesa romana ed elementi
onnipresenti nel simbolismo pontificio, con una precisa divergenza iconografica da essi
e l’assenza totale dell’aureola, che ci riporta sempre a dover cercare determinate figure
contemporanee al pontefice ed ovviamente a Federico II, che ribadiamo essere soggetto
principale di questo stralcio di lessico, mentre del pontefice si potrebbe vedere una
qualche unione nei vari soggetti, solo come tramite nelle molte vicende che li ha
certamente coinvolti, ma soprattutto portandoci a credere nella impossibilità di trovarci
di fronte a lui nel primo volto, a causa dell’incoerenza nel simbolismo iconografico di
matrice bizantina, che non è equivoco al contrario di altri, mettendolo sullo stesso piano
di persone che ricoprivano un ruolo politico e laico, tale da ergerle al di sopra ti altre
figure secondarie della facciata, ed anche con una precisione millimetrica se pensiamo
che nel capitello delle regine per giunta, si mostra la differenza tra corone di una regina
e di una imperatrice, mentre nel resto della facciata ritroviamo l’uso simbolico dato dalla
mitria e delle infule, tipiche di vescovi come Basso, Biagio e Timoteo, e troviamo allo
stesso tempo le aureole che ne dimostrano la santità, mentre sui capi del secondo
capitello di sinistra non vediamo nulla, se non i capelli e l’attaccatura di essi, cosa assai
improbabile nell’esecuzione di un pontefice, che sarebbe stato di certo scolpito con un
segno del potere quale la tiara papale ad unica corona, seppure troviamo alcuni rari casi
in cui egli è trasposto con il capo scoperto, ma solo o spesso nel caso in cui il soggetto
è posto in un confronto con le cerchie angeliche, chiudendo definitivamente questa
teoria con la cosa più importante dello studio di ricerca, ovvero, che prevede un
collegamento singolare tra i tre personaggi di ogni capitello, verso l’Imperatore, cosa
che in un certo senso decade se ponessimo forzatamente Onorio come figura
immortalata, piuttosto che come tassello in grado di identificare questo triste volto dalla
lunghissima barba.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Di enorme aiuto è stata la ricerca di elementi analoghi, ma soprattutto il contestualizzarli


con appositi personaggi che sono stati vicini al governo imperiale, e che hanno
mantenuto una posizione essenziale nelle trattative tra papato e casato svevo, soprattutto
nelle occasioni legate alle lotte contro l’eresia e negli scontri sviluppatisi in territorio
italiano, con le avversità legate, ai diritti impugnati dalle realtà comunali, ed a tutte
quelle azioni che erano finalizzate alla costituzione delle due crociate, e della
salvaguardia dal rischio della scomunica.
Tra i molti che occuparono altrettante cariche politiche e clericali, di elevata fama nelle
cerchie sveve soprattutto nella formazione degli organi legislativi ed attuativi, si trovano
due dei più illustri nomi della storia italiana del duecento, ovvero il cavaliere e maestro
teutonico Ermanno de Salza, ed i celebri giuristi Taddeo da Sessa e Pier delle Vigne.
Soffermandoci sulla figura storica del gran maestro teutonico Hermann Von Salza, la
sua carriera si può dire alquanto ascendente, a partire soprattutto da quanto avvenuto
dopo la sua nomina nella direzione dell’ordine monastico-cavalleresco, avutasi nel 1209
all’età di trent’anni, avvicinandosi sempre più nelle principali sedi che vedevano unirsi
le istituzioni imperiali ed ecclesiastiche della curia capitolina, divenendo ben presto uno
dei più fedeli consiglieri di Federico II, e svolgendo ulteriormente il ruolo di mediatore
negli incontri che si svolsero con il pontefice, di cui era a sua volta rappresentante verso
la corte sveva, ad iniziare dal 1222, periodo in cui si ha un suo notevole contributo negli
interventi diplomatici degli incontri tenutisi a Veroli e Ferentino, dando così anche una
notevole dimostrazione delle doti politiche ad Onorio III, in buoni rapporti verso
Ermanno, che a differenza dei suoi predecessori, avrà modo di ottenere numerose
concessioni pontificie, riportando l’Ordine Teutonico, giuridicamente al pari dei due
ordini cavallereschi principali nell’Europa Occidentale, quello Ospitaliero e Templare.
In seguito a ciò, sotto richiesta del re Andrea II d’Ungheria, posizionò diverse sedi
fortificate nell’area del Burzenland, a difesa del territorio cumano, di cui è d’uopo
ricordare la domus fortificata, posta a sorveglianza delle gole di Bran, ampliata nei
secoli successivi dai feudatari che si susseguirono, portando a darne l’aspetto attuale e
profondamente pittoresco, dove l’unico elemento a rimandare a ciò si riscontrerebbe in
parte delle fondazioni e nel mastio centrale, il tutto solamente dopo la generale ritirata
dei contingenti crociati dalle terre transilvane, dopo i dissapori con la nobiltà ungherese,
che culminarono con l’abbandono totale già a partire dal 1225.
Negli stessi anni, egli avrebbe stazionato genericamente nei territori dell’Italia centrale
e meridionale, per potersi prodigare nell’attuazione della V crociata, che nel 1219 portò
ad uno stallo, pendente sulla offerta del sultano Kamil, di concedere una tregua
trentennale verso i crociati e la cessione del Regno di Gerusalemme, nei suoi confini
amministrativi precedenti alla battaglia di Hattin, pur mantenendo però la sovranità
islamica sui castelli di Montreal e di Kerak, in quanto si trattava di avamposti essenziali
alla protezione della via per la Mecca.
Come si era già solamente annunciato, a tale proposta si erano opposte tutte le fazioni
dipendenti dal Vaticano, a partire dal legato Pelagio per diniego di Onorio III, dei
Templari e degli Ospitalieri, nonostante invece, Ermanno si fosse schierato con il partito
favorevole alle trattative bilaterali, fazione capeggiata da baronie della Terrasanta, dai
contingenti francesi e dal re Giovanni di Brienne, in quanto quest’ultimo fosse
interessato da tempo ad acquisire in favore dell’ordine teutonico, la Seigneurie de
Joscelin, sempre a nord di San Giovanni d’Acri, abbandonando però definitivamente il
fronte sulla foce del Nilo nel 1220, seguito dal re gerosolimitano e dai suoi uomini,
ritornandoci solo ad un anno di distanza per riferire i gravi numeri della disfatta
occidentale, per poi tornare nuovamente nel territorio italiano, dove ebbe modo di

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I volti della Cattedrale di Termoli

convincere l’Imperatore a concentrarsi unicamente nella ricostituzione della missione


militare in Terrasanta, avendo qui un ruolo determinante, poiché pianificatore materiale
di quello che poi sarà il matrimonio combinato con Jolanda di Brienne.
Nel 1223 egli si troverà a dover partire molteplici volte per la Germania, in modo da
attuare la propaganda sveva per la VI crociata, ed al contempo, organizzare il rilascio
del re Valdemaro II di Danimarca, dal pugno del conte di Schwerin, che si ebbe solo nel
luglio dell’anno successivo, con la stipula di un trattato rogato in presenza di Ermanno,
ove si promettevano ingenti concessioni verso l’Impero, da parte del monarca danese.
Tornando alle mediazioni sulla questione della crociata, nel 1225 lo vediamo tra coloro
che assisterono attivamente al trattato di San Germano, con l’obbligatorietà ultima dello
svevo a partecipare attivamente alla futura crociata, pena la scomunica, e non
dimenticando che il gran maestro ebbe un ruolo fondamentale nel biennio successivo,
grazie alla sua missione diplomatica per sanare le divergenze tra Federico II e la Lega
Lombarda, che accrebbero decisamente la stima sentita dall’anziano papa Onorio.
Egli partì insieme all’Imperatore nel settembre del 1227, dal porto di Brindisi, ma
dovendo lasciare quest’ultimo allo scalo di Otranto a causa di un malanno che avrebbe
curato presso Pozzuoli, mentre riprese il viaggio per il fronte orientale circondato dal
patriarca Geroldo e dal duca Enrico di Limburgo, comandante della flotta di venti galee
che attraccarono ai molti dei confini settentrionali di Acri nell’ottobre del medesimo
anno, giungendo al quartier generale teutonico del Castello Montfort.
Sarà raggiunto dallo svevo solamente il 7 settembre del 1228, aspramente scomunicato
da Gregorio IX, che inviò ad Acri due frati minori, con le direttive di trattarlo come tale,
privandolo dell’appoggio dei tre ordini monastico-cavallereschi, difeso fortunatamente
dal fedele Ermanno, al quale lascerà in affidamento il comando delle armate, assieme ai
militari Riccardo Filingieri ed al connestabile Odo de Montbéliard.
Questa fedeltà profonda sarà ricordata da Federico nel 1229 e riportata nell’opera Leges,
Legum sectio IV, pag. 166;
‘’Unum tanem de Magistro et Fratribus Sancte Marie Teutonicorum dicere possumus
et merito non tacere, quod ab ipso adventus nostri principio in servitio Dei nobis tam
devote quam efficaciter adsisterunt’’.
La presa di posizione contro il papa, e la collaborazione nella stipula degli accordi tra
Federico ed Al-Kamil, vennero usate dagli Ospitalieri per mettere in cattiva luce i
cavalieri teutonici, chiedendo al pontefice di sottometterli in quanto originati da una
costola del vecchio ordine gerosolimitano, nel XII secolo, pur non riuscendo nell’intento
malevolo.
A lui va attribuito il consiglio di non far assistere l’imperatore alla messa nel Santo
Sepolcro, e di essere incoronato autonomamente, senza alcuna cerimonia religiosa, per
non creare ulteriori dissapori con il Vaticano, nonostante i suoi fedeli ritennero fosse già
ripulito da ogni macchia gettata da Gregorio, in quanto aveva liberato la città santa,
proseguendo poi nell’incontro alla sua corte generale, riunita nella domus ospitaliera,
con la proclamazione da parte dello svevo, delle Verba Conscripta, in latino e tedesco,
giustificando le sue azioni verso la missione militare, e dichiarandosi aperto al dialogo
con vescovo di Roma.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Tornato in Italia, il suo ruolo fu ulteriormente fondamentale per poter riuscire a


prosciogliere l’imperatore da ogni atto punitivo imposto dalla chiesa, a cominciare
dall’ottobre del 1229, partecipando nella delegazione della curia pontificia, per poter
finalmente arrivare alla pace di San Germano, ch’egli pianificò in ogni dettaglio, e pose
in essere con molto successo nel 1230, ottenendo come segno di devozione, la gestione
di varie fortezze del Regno di Sicilia, oltre ad essere unico ospite invitato al banchetto
che papa Gregorio offrì a Federico II, il 1° settembre dello stesso anno, nella città di
Anagni.
Ermanno sarà ancora notevolmente attivo nei primi anni del trentennio duecentesco, tra
il 1232 ed il 34 lo vediamo prendere parte nel mezzo delle dispute tra il maresciallo
Filingieri e le baronie gerosolimitane ed acrensi, mentre nel 35, prenderà parte nelle forti
divergenze intercorse tra Federico e suo figlio Enrico, ed allo stesso tempo non finirono
le azioni militari che lo videro come gran protagonista, ad esempio nella lotta agli eretici
voluta da Corrado I di Masovia, che richiese specificatamente la sua presenza con il fine
di cristianizzare la vecchia Prussia, con il dovuto permesso di poter agire, accordato in
primo luogo dall’Imperatore, attraverso la Bolla d’Oro di Rimini del 1230, e poi dal
nuovo pontefice Gregorio IX, con la Bolla Pietati Maximum del 1234, comprendendo
anche i territori del Chelmno, nel corso della Vistola, ottenendo poi ulteriori benefici
per l’Ordine che nel 1237 inglobò il sott’ordine dei Portaspada della Livonia, per poi
ritirarsi alla sua vecchiaia nei confini di Salerno, per sottoporsi alle dovute cure, e dove
si spegnerà il 20 marzo del 1239, per essere inumato in territorio pugliese, all’interno
della, da lui tanto frequentata, domus teutonica di Barletta.
Le stesse vicende che circondarono il gran maestro, si intrecciarono con Taddeo da
Sessa, che troviamo già nel 1228 come Giustiziere in collaborazione con il giustizierato
di Terra di Lavoro, incontrando Federico II solo ad un anno di distanza nel feudo di San
Germano, oggi Cassino, terra che in quegli anni venne assoggettata al potere della chiesa
da parte dell’esercito pontificio di Gregorio IX.
L’imperatore, di ritorno dall’Oriente nella città di Capua, dispiegò i suoi alleati per
assediare il territorio di Montecassino, riprendendosi per tanto il dominio di Sessa
Aurunca grazie all’intervento dei suoi abitanti e del giurista Taddeo, guadagnandosi così
la piena fiducia e lealtà dell’imperatore svevo, che lo nominò subito dopo Familiares e
suo personale legato in varie occasioni.
Nei primi anni 30 del ‘200, lo troviamo a ricoprire notevoli incarichi al seguito anche di
Pier delle Vigne, nella gestione della Cancelleria imperiale e nelle già citate questioni
con i pontefici, comparendo in una missiva imperiale con il titolo di Judex della gran
corte, come riportato negli Annales Placentini Gibellini;
‘’…magister Petrus de Vineis, Tadeus de Suesa, iudices magnae curiae’’.
Nel 1237 partecipò attivamente nei negoziati con il pontefice Gregorio, assieme
all’eminente arcivescovo di Palermo Berardo di Castagna, ad Enrico Morra, al fidato
Pier delle Vigne ed Ermanno de Salza, per la cui morte sopraggiunta nel marzo del 1239
crollò ogni possibilità di risparmiare l’impero dall’anatema della chiesa.
Successivamente, nel 1243, sia Taddeo che il suo collega capuano, sono messi a capo
della Cancelleria Imperiale, ma il ruolo principale di questi lo si avrà di lì a poco, nel
primo Concilio di Lione del 1245, dove furono tentati in extremis dei nuovi tentativi di
riconciliazione con la sede vaticana, verso il neo-eletto Innocenzo IV, che però si
dimostrerà ben più ostile del suo predecessore nel cercare di demolire lo Stupor Mundi
una volta per tutte.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Nelle tre sedute plenarie il gran giudice Taddeo tento di porre richiesta al papa, di
accettare una umile richiesta di pace tra le due parti, scontrandosi purtroppo con i piani
indetti di quest’ultimo, di annunciare la deposizione dello svevo.
La linea difensiva dello judex casertano fu decisa e ben mirata nel tentare di garantirgli
d’essere difeso dalle ingiuste accuse mosse dalla curia capitolina, smontando
ferocemente tutti i capi d’accusa come tessere di un domino, a cominciare dalle ingiuste
accuse di favoritismi verso il mondo islamico, tramite l’impiego di soldati saraceni nelle
fila militari dell’impero, rimandandole al mittente con la precisazione che la cosa
avrebbe giovato agli interessi della chiesa, risparmiando ai soldati cristiani di morire in
battaglia, ed in seguito riuscendo ad ottenere la convocazione di Federico, mettendo
ulteriormente in difficoltà il vescovo di Roma ed i suoi maligni consiglieri porporati,
soprattutto dopo aver dimostrato che le accuse rivolte dal presule Pietro da Carinola
erano nient’altro che calunnie mosse dal mero odio per il casato svevo.
Nell’ultima seduta di luglio, nonostante Taddeo riuscì a dimostrare, in faccia alla
maggiore carica del clero europeo, l’illegittimità della destituzione dal seggio imperiale
con solenne proclamo di nullità d’ogni sentenza, purtroppo il concilio si concluse
aspramente per la fazione sveva, con una sfacciata lettura della bolla di definitiva
deposizione di Federico II dalla sua carica.
Dopo quell’evento, Taddeo si sposterà in alcune aree dell’Italia centrale, per poi essere
arrestato nel 1248 dai nemici dell’Impero, nella roccaforte di Vittoria, edificata dallo
stesso Federico nel biennio precedente, e nel Chronicon Parmense, apprendiamo dalla
descrizione di questa cattura, come quest’ultimo fu sottoposto alla pena riservata in
quegli anni ai notai falsari, ovvero l’amputazione delle mani (amissio manus), seguita
dalla pena capitale, per cui venne dunque assassinato il 18 febbraio dello stesso anno,
con un ricordo tramandato a noi, anche dal suo fedele Pier delle Vigne; ‘’Casum cerno
meum, dum cesum cerno Thadeum, non muerit uita, quod mureretur ita’’.
Proprio qui vorremmo passare alla descrizione del terzo volto del capitello termolese,
quello di un uomo passato alla storia, ed alla letteratura che ne descrive il suo eterno
tormento.
Petrus de Vineis, fu originario della ricca città di Capua, figlio del giudice Angelus de
Vinea (o Vineis), e di Adelictia, com’è riportato nel suo epistolario, che dunque ne
sanciva natali non umili e modesti, o almeno questo è ciò che dicono i cronisti a lui
contemporanei come Enrico da Isernia e Guido Bonatti.
Iniziò la sua formazione come allievo dell’arcivescovo Giacomo, intorno al 1219,
quando questi era ancora solamente un canonico nella eccelsa scuola del capitolo
capuano, proseguendo successivamente nello Studium di Bologna, sotto gli
insegnamenti del magister Bene da Firenze, a cui dedicherà una lettera di cordoglio
quando verrà a mancare, dopo aver qui espanso le sue conoscenze in diritto romano e
canonico, della cultura classica, della filosofia e della letteratura.
Nel momento in cui entrò nella cancelleria dell’impero, ci è fornita dal giurista Enrico
d’Isernia, che fu l’arcivescovo palermitano Berardo a raccomandare cecamente il
giovane Pier a Federico II, divenendo così notaio e proto-notaro della corte imperiale,
come quest’ultimo dirà via lettera alla madre ed alla sorella, che nel frattempo erano
cadute in disgrazia dopo la morte del padre, ed entrando così al fianco di altri grandi
giuristi fedeli dello svevo, come il magister Salvo, Nicolaus de Rocca, Terrisio d’Atina
e il già citato Taddeo da Sessa Aurunca.

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I volti della Cattedrale di Termoli

Tra il 1230 ed il 1231, egli prese parte alla commissione che si occupò della stesura
delle Costituzioni di Melfi, che era retta da vari esponenti, quali proprio il vescovo
Giacomo di Capua, e successivamente fu particolarmente attivo nelle trattative della
difficile convivenza tra papato ed impero, prendendo parte alla conferma della pace di
San Germano, e vedendosi impiegato in tutta la questione ecclesiastica per l’intero
trentennio, al seguito dei colleghi Ermanno, Taddeo, del giurista Enrico da Morra, del
presule Berardo di Castagna, vedendo infine crollare l’intero operato dopo il decesso
dei principali sostenitori di un accordo di pace, che comprendevano il cardinale
Tommaso da Capua ed il gran maestro Ermanno, già allontanato dalla malattia, ed alla
cui rinnovata scomunica, si aggiunse in tutta risposta, l’arresto dei Prelati che erano
diretti per il nuovo concilio romano del 1241.
Sei anni prima dell’accadimento, Pier stazionò per un sostanziale periodo alla corte di
re Enrico III d’Inghilterra, dove il 22 febbraio del 1235, questi registrò sotto veste di
procuratore, il matrimonio tra Federico II e la sorella del monarca inglese, Isabella,
ricevendo in cambio la protezione del casato e finanziamenti annui, rappresentando così
gli interessi della corona d’Inghilterra all’interno della corte federiciana, così da
scongiurare un avvicinamento ai nobili francesi.
Egli ebbe un ruolo molto presente nella gestione dell’università partenopea,
specialmente nel corso di una delle crisi che colpì la sede nel 1234, ove i magister ed i
rispettivi allievi, lo convocarono al fine di poter risolvere le problematiche tramite
l’intervento congiunto di Federico II, venendo successivamente coinvolto anche nella
riorganizzazione dello studium del 1239.
In quanto dicatores, egli non era solamente legato alla stesura dei documenti legali, ma
anche delle lettere personali dell’imperatore e le sue circolari interne, ed importanti solo
alcuni elementi dell’epistolario, che riconducono in questo caso a due avvenimenti,
quello delle concessioni sveve alla popolazione baltica, ed ovviamente la lettera che
promulgava la fondazione dell’Università di Napoli, redigendo un cospicuo numero di
missive imperiali negli anni che vanno dal 1236 al 1248, e delle sue opere non deve
essere tralasciata l’importanza del ricco Stilus supremus, nato in territorio francese nel
XII secolo, e giunto successivamente in Italia, all’interno delle scuole di pensiero
letterario e nella curia pontificia, avendolo possibilmente appreso nei vari anni tra gli
studi capuani, e quelli di Bologna, da cui provenivano fiorenti maestri dell’ars dictandi.
Il suo ruolo fu rilevante nelle cariche più alte della cancelleria, assieme a Taddeo, per
poi essere elevato nel 1243, a logoteta e protonotario, custode dei sigilli dell’Impero e
del Regno di Sicilia, con il duplice compito di promulgare al popolo i proclama
imperiali.
Nel quarantennio duecentesco, egli dovette fronteggiare anche l’ostentata deposizione
imperiale voluta dalla curia capitolina e dal neo-eletto Innocenzo IV, dovendo spingersi
fino alla corte di Luigi IX di Francia, affinché egli prendesse una posizione quantomeno
neutrale o parzialmente favorevole alla causa sveva.
Comunque sia, della grandezza che connotava Pier, nelle fila della curia imperiale e
nelle grazie dell’imperatore, troviamo corrispondenza nella lunga ed affiatata carriera al
fianco di quest’ultimo, come sua voce, braccio e soprattutto come principale notaio,
testimone ed anche datario di documenti, denotando anche una certa ricerca verso il
potere, conducendo una politica personale, a favore della sua famiglia che nel frattempo
riuscì ad accumulare ricchezze e nomine di spicco in ambe due le parti.

53
I volti della Cattedrale di Termoli

Notiamo da subito nella disamina, la presenza del fratello Tommaso come cardinale di
San Pietro a Salerno, e la sorella Granata come cortigiana facoltosa, citata nuovamente
nel 1246, poi abbiamo i cugini Giovanni e Tuffaro, rispettivamente trasposti come
notaio e castellano di Rocca Ianula, alle porte di San Germano, mentre possiamo notare
il nipote Angelo come notaio della Magna Curia, e Guglielmo come Judex.
In tutto ciò non potevano certo mancare i documenti che attestano le sue ingenti
proprietà nel territorio capuano, nella Terralaboris, ad Aversa, Caiazzo e San Germano
cassinese, a cui si aggiungono le residenze della città di Foggia e la casa di Napoli,
elevata a Palatium nel 1254, quando vi risiedette Innocenzo IV, ed è noto come questi
fosse arrivato tramite molteplici permute ed affitti, in possesso di molti possedimenti
del clero, che nei contratti avevano toccato e coinvolto le sedi ecclesiastiche del duomo
di Capua, di Montecassino, delle Abbazie di Montevergine, di San Vincenzo al Volturno
e di Cava, e nelle cui operazioni non mancarono acquisizioni illegittime, come quella di
un terreno a Caiazzo, nel 1245.
Egli venne citato per l’ultima volta in un documento cremonese del gennaio 1249,
mentre si apprende dagli Annales Placentini Gibellini, che in quell’anno, Federico II
‘’cavalcò alla volta di Cremona’’ dove fece arrestare Pier delle Vigne con l’accusa di
alto tradimento nei suoi confronti, e poiché il popolo della città voleva linciarlo vivo,
questi lo portò con se in catene sino Borgo San Donnino, e, sempre secondo gli annali
piacentini, nel mese di marzo, il monarca svevo si diresse verso Pisa attraversando la
città di Pontremoli, raggiungendo San Miniato assieme al prigioniero, che fino a poco
prima reputava più fedele di qualsiasi altra persona, al pari dei suoi grandi collaboratori,
ed in questo luogo egli avrebbe ordinato che venisse accecato con dei ferri roventi e
gettato in una buia prigione, dove per la disperazione, secondo il resoconto dello storico
pisano Pietro Buti, quest’ultimo si sarebbe suicidato sbattendo ripetutamente la testa
contro la parete della cella, sepolto successivamente nella chiesa di Sant’Andrea
Forisportam, nel Comune pisano.
Il mistero più grande per la storiografia di questo personaggio è certamente stato da
sempre legato alle motivazioni che spinsero lo svevo ad agire contro di lui, che
verosimilmente ci vengono fornite proprio da lui in una lettera indirizzata al genero
Riccardo di Caserta (primavera del 1249), in cui si sarebbero palesate le accuse di abuso
del suo ufficio di giurista, in quanto lo avrebbe sfruttato per scopi unicamente personali
ed arrivando ad accusare d’essere nemici dello stato, dei cittadini innocenti, unicamente
per poterne attuare la diretta confisca dei beni, mentre secondo le dichiarazioni di
Salimbene de Adam da Parma e Matteo Paris, vi sarebbero stati dei rapporti amichevoli
‘’proditori’’, cagionati da una segreta vicinanza al pontefice.
Ma prendendo in considerazione la più parte delle pubblicazioni e produzioni
saggistiche successive, e prive di una faziosità bilaterale, sarebbe invece vera da valutare
l’innocenza di Pier delle Vigne, come vittima di una congiura da parte delle alte cariche
della corte sveva, che avrebbero attuato una congiura per spodestare il notaio imperiale
dalla sua posizione di enorme potere ed alta vicinanza allo svevo, com’anche ci riporta
l’elaborazione del pensiero dantesco, dove il sommo poeta, pone al sofferente Pietro,
parole di una stentata richiesta di perdono e compassione, all’interno del XIII girone
dell’Inferno, quello dei suicidi.
Di certo tutto questo è un insieme di storie che hanno finito per concatenarsi in
moltissimi punti, soprattutto nella maniera in cui sono terminate, non facendo vivere
momenti facili a coloro che furono tra i più vicini all’imperatore, che di lì a poco avrebbe
finito i suoi giorni arroccato nella residenza dell’antico kastron bizantino di Fiorentino,
nell’agro di Torre Maggiore, il 13 dicembre del 1250.

54
I volti della Cattedrale di Termoli

L’elemento della lealtà al sovrano è forse uno dei più importanti dettagli che vengono
fuori della loro analisi biografica, alternata al contempo dai vividi contatti che queste
tre figure ebbero nelle tante vicende giuridiche che coinvolsero Federico II e le
istituzioni esterno alla corte imperiale, non potendo tralasciare le colossali imprese che
essi portarono a termine nei suoi confronti, dai trattati di pace alla difesa diretta, a
scapito dei pontefici, che per tale periodo storico risultavano essere di elevatissima
difficoltà, e che verosimilmente avrebbero coadiuvato al compimento dei loro tragici
finali, ovviamente sopraggiunti in modi diversi e legati anche ad altre situazioni
trasversali, come si è ben specificato nella vasta storiografia.
È di certo importantissima la presenza di questi soggetti in altre opere, che tutt’ora sono
oggetto di studio da parte della comunità storica ed archeologica, tesi incentrate sulle
tematiche artistiche del ‘200 italiano, scovando la presenza di Pier delle Vigne, come si
era già detto, tra i volti scolpiti nei capitelli del chiostro dell’abbazia di Casamari, in
prossimità di quello di Federico II, ed ovviamente, anche nella più significativa opera
dell’arco trionfale di Capua62-63, segno ulteriore della grande fiducia che l’imperatore
riponeva in lui ed anche nel giurista Taddeo da Sessa, suo prezioso amico e collega,
tanto da essere immortalati entrambi ai due lati del mezzo busto della Capua Fidelis,
come simboli più elevati della giustizia dell’Impero, tutti reperti oggi conservati nel
museo capuano.
I volti della città alle foci del Volturno, si distinguono da una composizione iconografica
dalla caratteristica strettamente classica, al pari di figure mitologiche, dalla folta barba
e la fronte alta, con una espressione facciale che, assieme a tutti questi dettagli, pare
essere pienamente compatibile con i due uomini anziani del capitello termolese, e non
soltanto con essi, ma anche con i ‘’figuranti’’ della collegiata di Foggia, posti in egual
modo, al di sopra di uno dei larghi capitelli delle paraste laterali, divergendo solo nel
numero, essendone quattro rispetto ai tre di Termoli, avanzando così l’ipotesi di poter
identificare il quarto come uno degli altri soggetti più fedeli allo svevo, forse Berardo
di Castagna, oppure Fulvio delle Donne, anche se nel caso è difficile da poter stabilire
con certezza.
Sul conto di Ermanno de Salza invece, la questione è stata resa difficoltosa dalla
mancanza oggettiva di una immagine qualsiasi che nei secoli XII e XIII, ci avrebbe
mostrato una concezione ‘’pubblica’’ del suo aspetto fisico, riportatoci però dalla
cronaca scritta, che in più occasioni storiche ha dato la possibilità di tramandare le
sembianze di uno dei più importanti condottieri dell’epoca, nonché mediatore e stretto
consigliere dell’imperatore, trasposto come di corporatura robusta, munito dei tipici
lunghi baffi che terminavano con una lunga e folta barba, ben più estesa di quella di
Onorio III, con alti basettoni e fronte spaziosa, caratterizzata anch’essa da un’attaccatura
dei capelli compatibile con quella del volto posto in primo piano, e del cui personaggio,
che siamo certi essere ivi raffigurato, troviamo vari riscontri artistici, postumi ai suoi
secoli di esistenza, eseguiti cercando di mantenere fedeltà alla figura originale, come
possiamo facilmente notare nella pittura conservata nel museo di Chelmno 64, opera di
Jan Roszkowski risalente al XVIII secolo, che immortalò i fondatori della cittadina, con
ovviamente il gran maestro teutonico, il tutto seguito dalla più celebre raffigurazione
del XVII secolo65, che lo vede affiancato dal maestro Herman Brath, nel manoscritto
Vecchia e nuova Prussia, dello storico Christoph Hartknoch, dato alle stampe nel 1684.

55
I volti della Cattedrale di Termoli

Ed ancora, nella tela seicentesca66 che immortala l’Hochmeister nelle sue vesti di
crociato, conservata a Vienna nella collezione Schatzkammer des Deutschen Ordens,
per terminare con una xilografia comparabile nell’aspetto a tutte le opere precedenti,
proveniente da un manoscritto ottocentesco, ed oggi conservata negli archivi della
Herzog August Bibliothek67, annoverandosi tra le opere che in fin dei conti sono quasi
tutte consecutive e comparative nelle regole esecutorie, attenendosi a ciò che oggi
conosciamo sul conto di quest’ultimo, la cui storia è legata anche ai vari insediamenti e
benefici territoriali che l’Ordine Teutonico ricavò dalla Capitanata, come quello della
domus fortificata di Torre Alemanna68-69, nel comune di Cerignola, struttura che al suo
interno presenta moltissimi elementi scultorei e pittorici, compatibili a loro volta con i
tanti resti erratici ed opere compiute dei cantieri della metà del ‘200, nelle circostanze
dell’Italia centrale, come quello di Termoli, Casamari, Foggia, Lucera ed alcuni stadi
stratigrafici di Monte Sant’Angelo e così via.
L’attribuzione generale di questi tre grandi uomini, al fianco dello Stupor Mundi nei
suoi momenti peggiori, è confermabile anche riprendendo le vicende della loro morte,
se nel caso si prendesse in esame lo sguardo parlante, triste ed angosciante del cavalier
de Salza, come un rimando alla sua malattia che lo costrinse a dover essere ceduto alla
storia, ad un anno dall’invasione che avrebbe definitivamente interrotto questa direzione
del cantiere termolese, rientrando così nella precisa cronologia delle produzioni
artistiche delle due metà tra ventennio e trentennio del ‘200, fortemente condizionate
nella fattispecie, dalle illustri personalità del tempo, e quindi, di coloro che erano noti,
sia alla popolazione del Regno, sia alle maestranze, che in più occasioni vi sarebbero
venute in contatto, dando a noi la possibilità, non solo di scoprire una delle possibili più
antiche e preziose rappresentazioni del cavalier Hermann Von Salza e dei giuristi e
colleghi Taddeo da Sessa e Pier delle Vigne, una triade che potremmo definire pressoché
perfetta, così come anche per gli altri che brevemente ripetiamo essere identificabili
come la madre dell’imperatore Costanza d’Altavilla, seguita dalla nonna materna di
quest’ultimo, Beatrice di Rethel e da quella paterna, Beatrice di Borgogna,
rispettivamente Regina di Sicilia e Imperatrice del Sacro Romano Impero, titoli che
troviamo uniti nella prima di tutte e tre le regine, ultimando il carme iconografico con il
volto dello stesso Federico II, trasposto nel suo onnipresente simbolismo augusteo,
come maggiore dichiarazione del suo potere e del suo ruolo politico, a conclusione di
un lavoro degno delle più meritevoli maestranze che hanno gravitato intorno
all’architetto Bartolomeo da Foggia.
Sulle restanti figure che avrebbero di certo occupato quello che resta dei distrutti
capitelli, è ben chiaro sia possibile giungere a mere congetture, seppur ben congegnate
e ragionate nel contenuto, visto che parrebbe assolutamente logica la presenza di altri
reali consanguinei di Federico II, come il padre, re ed imperatore Enrico VI, seguito di
conseguenza dal nonno paterno, l’imperatore Federico Barbarossa, ed il nonno materno,
re Ruggero II il normanno, proseguendo anche nei restanti capitelli, a figure che se
contestualizzate alla presenza di Ermann Von Salza, potrebbero ricondurre anche ad
altre cariche della città, come gran maestri degli altri ordini qui localizzati, i Templari e
gli Ospitalieri, che nella città possedevano rispettivamente una domus nelle pertinenze
della cattedrale e ben due commende, una di San Giacomo peregrino, ed una di San
Marco evangelista, oppure anche di altri personaggi storici che ricoprirono incarichi di
spicco presso la magna curia, per non dimenticare la certa presenza di una delle mogli
di Federico, oppure della sua prole legittima, al momento del concepimento dei fregi,
rendendo così fattibile il ritrovamento di un insieme schematico e se vogliamo, anche

56
I volti della Cattedrale di Termoli

semantico, in un tripudio di racemi ed icone che fino ad ora non erano state comprese
nella loro interezza e nella loro matrice filologica, riconsegnando così una esecuzione
monumentale ai suoi legittimi proprietari ed anche a coloro che la resero possibile,
grazie alle azioni che ci sono pervenute, rese quasi eterne attraverso la sapiente
modellazione della pietra.

50.Cattedrale di Termoli, secondo capitello della parte sinistra, probabile volto di Papa
Onorio III, oppure del Gran Maestro teutonico Ermanno de Salza, consigliere di Federico II,
Fotografia di Domenico La Porta, 2011

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I volti della Cattedrale di Termoli

51.Cattedrale di Termoli, Pier delle Vigne, 52.Cattedrale di Termoli, Taddeo da Sessa,


2011 2011

53. Predicazione di San Francesco al cospetto di Onorio III, Giotto, 1295, Basilica superiore di Assisi

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I volti della Cattedrale di Termoli

54.Onorio III nell’ Approvazione della regola di San Domenico, 55.Nova Cronica di Giovanni Villani, Onorio III
basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Leandro Bassano, Venezia sposa Federico II e Jolanda di Brienne

56.Onorio III approva la regola carmelitana, 57.Le Miroir Historial, Onorio III incorona
Pietro Lorenzetti Federico II, Vincent Bauvais, 1227, f.392

58.Onorio III negli Acta Sancti Petri in Augia 59.Onorio III, navata centrale di San Paolo
Fuori Le Mura
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I volti della Cattedrale di Termoli

60.Onorio III nel mosaico presbiteriale di 61.Bulla Papale di Onorio III, effige dei santi
S. Paolo Fuori Le Mura Pietro e Paolo, fondatori della chiesa romana

62.Porta di Capua, busto di Pier delle Vigne, 63.Porta di Capua, busto di Taddeo da Sessa,
Museo Campano di Capua Museo Campano di Capua

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I volti della Cattedrale di Termoli

64.Ermanno de Salza, dipinto di Jan Roszkowski, 65.Ermanno de Salza, Vecchia e Nuova Prussia,
Museo di Chelmno, XVIII sec. Christoph Hartknoch, 1684

66.Ermanno de Salza, tela del XVII secolo della collezione Schatzkammer des Deutschen Ordens, Vienna

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I volti della Cattedrale di Termoli

68.Domus teutonica di Torre Alemanna, Cerignola

67.Ermanno de Salza, Xilografia ottocentesca 69.Capitello con volute e frammento di colonnina a


della Herzog August Bibliothek motivi gigliati, elementi erratici di Torre Alemanna,
fotografia di Domenico Francone, Il Blog dei 5 reali siti

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I volti della Cattedrale di Termoli

‘’Io son colui che tenni ambo le chiavi


del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e disserrando.’’

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