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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

una teoria che vede collegati i Templari gli Amalfitani e il


cardinale Pietro Capuano di ritorno dalla IV Crociata

Domenico La Porta
26 Gennaio 2013
Termoli
L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Oggi per la comunità termolese e per la chiesa cattolica


tutta, ricorre la memoria del martirio del co-patrono della
diocesi ''termolana'', San Timoteo, e se c’è un argomento
davvero enigmatico per gli storiografi locali di questo e
del secolo precedente, è proprio quello che riguarda un
momento molto particolare e complesso per la diocesi di
Termoli, che viene da noi interpretato brevemente come
una sorta di particolarità che si unisce alla ricca collana di
mutamenti della storia medievale di questa cittadina
affacciata sul mare Adriatico, in un momento del XIII
secolo che vide la nostra basilica cattedrale cambiare di
aspetto, dimensioni, arricchirsi di opere sempre più
pregiate nell’esecuzione, e dov’è ampia la presenza di
committenze, maestranze d’ogni dove e di più culture e
formazioni, e ovviamente nel cui frangente, quasi come
da alteratrice di questa sequenza nel cantiere normanno-
svevo della Cattedrale, si ha la tanto conosciuta e
celebrata traslazione delle reliquie del Santo martire
Timoteo, che dalla sua agiografia biblica apprendiamo
fosse Vescovo di Efeso e discepolo prediletto
dell’Apostolo Paolo, destinatario proprio delle due lettere di Paolo a Timoteo, un tesoro tra i più ricchi
della nostra terra, privo di ‘’omonimi’’ a differenza del patrono Basso, e che nella sua valenza
liturgica pone non pochi quesiti a cui noi dovremmo rispondere per capire principalmente una cosa;
cosa mai ci fanno delle reliquie di cotanta importanza in una attualmente misera cittadina abitata da
pescatori in una regione tra le più modeste d’Italia? Beh la risposta non è per nulla facile, anche se è
possibile postulare una ipotesi che va ad unirsi a determinati fatti historici della città, documentati e
giunti sino a noi in questi anni grazie soprattutto all’aiuto di archivisti e colleghi, ed ovviamente dei
celebri storiografi italiani che negli anni si sono interessati alla condizione di una regione asfissiata
dai suoi confini, troppo stretti per il patrimonio culturale che le appartiene.
Questo studio porterà al vostro
interesse una teoria sul perché
queste reliquie siano giunte nella
fortezza che verosimilmente, a
cavallo tra XII e XIII secolo vide
una ricca crescita in ambito
economico, sociale e militare,
favorito dalla struttura portuale che
garantiva le attività mercantili con le
coste opponenti del Mediterraneo,
tanto da rendere quest’ultima una
vera e propria pedina per i
commercianti della Repubblica
Marinara di Amalfi, provenienti dalle cittadine principali di Scala, Ravello, Amalfi ed anche da
Salerno e così via, per non dimenticarci dei Cavalieri Templari e degli Ospitalieri che ivi possedevano
numerosissime terre, commende extra-moenia, un Ospitale ed ovviamente una Domus nelle aree che
circondavano la Cattedrale, e per cui stiamo approfondendo la nostra ricerca soprattutto al seguito
delle passate campagne di scavo archeologico e dei restauri che si prospetteranno, ma avremo modo
di parlarne in altre occasioni, nel frattempo discuteremo proprio del collegamento dei soggetti
sopracitati, ossia Amalfitani, Templari e le Reliquie di San Timoteo, giunte in questo luogo al seguito
delle reliquie di Sant’Andrea apostolo, condottevi dal cardinale di Amalfi e legato papale, Pietro
Capuano, che sotto le peripezie della quarta crociata (1202-‘204), riuscì a portare con se un enorme
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

numero di reliquie, sottraendo queste ultime due dalla celebre Basilica dei Santi Apostoli di
Costantinopoli, per poi eseguirne una specie di ‘’spartizione’’, dopo il suo ritorno in Italia tra il 1207
e il 1208, con le circostanti principali città della costa amalfitana e napoletana, ed anche oltralpe e in
altre località del meridione che potrebbero aver dimostrato una ‘’tappa’’ determinante per l’esito di
questo viaggio, magari in una cittadella che già aveva una certa familiarità vivida con l’economia
tirrenica, e il cui porto era uno dei prediletti per gli sbarchi ed imbarchi verso l’Oriente ed in special
modo la Terrasanta.
Certamente i dettagli ed i soggetti che sono stati davvero importanti per questa ricerca, riconducono
tutti alla componente delle comunicazioni che la cittadina svolgeva, sia verso l’entroterra della
penisola italiana, che sulle coste che si specchiavano dall’altro lato del Mar Adriatico, fonte di
guadagno e di prosperità per la fortezza termolese, che proprio da questo mare ha avuto tutta la sua
floridezza antica, ma da cui derivarono anche molte delle disgrazie che la fecero cadere in rovina,
uno scotto da pagare che spiega molto bene le sue precarie condizioni conservative già nei secoli
precedenti a quello corrente.
A differenza di quello che la cronaca storica vetusta tenta ancora di rifilare al comune lettore, Termoli
non è di certo mai stata una comune città di pescatori, poiché nell’economia di una così congegnata
fortezza con ampi sistemi difensivi murari e complessi insediativi di carattere ecclesiastico e militare,
la pesca era considerata una attività marginale e molto residua rispetto al reale uso a cui erano destinati
i due attracchi portuali del promontorio, cioè quello del commercio marittimo ad opera dei più esperti
commercianti dell’epoca che nel loro raggio d’azione coprivano un’area davvero molto vasta, tanto
da toccare le economie ed i commerci dell’Oriente bizantino e l’Oriente Arabo, che in tale sistema
erano collegati in maniera semplificata e veloce con la fortezza normanna-sveva.
Il commercio che qui aveva luogo mediante ricchi mercati nelle mura della città vecchia, è ancora
ben visibile non solo negli archivi, dove si può facilmente comprendere dell’ingente quantità d'opere
di ripristino ed ampliamento dell’area porta da parte di Federico II, ma è riconoscibile anche da vari
elementi che ancora oggi possiamo ammirare sulle mura della basilica Cattedrale, come le misure per
le stoffe ed i ricchi tessuti che dal Medio-Oriente giungevano fin qui, uno dei più significativi quello
che si trova sullo zoccolo basale della chiesa, nel alto sinistro, seguito da altri svariati segni sulle
lesene e due ulteriori misure alla destra del portale maggiore, che fanno seguito a tante altre varietà
possibili di commercio, dalle spezie, ai viveri d’ogni tipo ed anche le suppellettili, insomma un
mercato davvero molto ricco, cosa che non farebbe mai immaginare di trovarci in una piccola
cittadina sconosciuta e inutile, già nel XIII secolo visto che i caratteri identificativi delle scritte sono
coevi con le epigrafi delle commissioni, delle identificazioni iconografiche dei personaggi, ed anche
della tomba in marmo preconnesio che un tempo celava le ossa del proto-vescovo lucerino San Basso,
giunto nella località all’incirca tra VIII e IX secolo, dopo lo spostamento della diocesi lucerina in
quella di Lesina, mentre la prima città era assediata dalle truppe di Costante II, e la città ospite veniva
in seguito posta sott’assedio da parte dei Termolesi ed i Larinesi, sapendo della possibile ricchezza
che poteva derivare da un tale bottino, e volenterosi di ripagare i Larinesi con la stessa moneta dopo
che essi avevano trafugato dalla diocesi larinese le reliquie dei santi Firmiano e Primiano, ma di
questo avremo modo di parlare in un secondo momento, oggi ci concentreremo sulla figura del
Martire Timoteo, che ricopre un ruolo lungamente fondamentale nella evoluzione storiografica e
soprattutto stratigrafica del tessuto urbano termolese e della sua stessa cattedrale, che a nostro parere
resta uno dei più importanti gioielli dell’architettura sacra d’Europa, in quanto una delle matrici del
nuovo stile romanico pugliese, che darà poi vita al cosiddetto gotico italiano, in special modo quello
d'ambito abruzzese della scuola del Francesco Petrino e di quello che si evolverà nella cerchia toscana
in cui operarono nel tardo duecento personaggi del calibro di Nicola Pisano e tanti altri.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Sulla questione di Timoteo, è rilevante discutere dell'uso stesso del porto commerciale della cittadina
come collegamento diretto per l'Oriente, visto che in questo enorme assetto si vedono coinvolte anche
le città della costa adriatica opposta, quelle dalmate, tra le quali vorrei ricordare proprio la città di
Ragusa di Dalmazia, (Dubrovnik), che ebbe un ruolo pressoché universle nelle rotte commerciali con
i principali scali portali della penisola italiana, viste le numerose risorse ottenute dalle varie
repubbliche marinare italiane in quel tempo, da un così importante snodo commerciale che vedeva
collegate anche le ulteriori città come Tarù, Cattaro e Durazzo, e quest'ultima in special modo per un
dettaglio che definiremo meglio in seguito, ma nel frattempo parlando di Ragusa, ci sembra opportuno
ricordare del cosiddetto trattato commerciale di fraternità che venne stipulato nel 1203 tra le rispettive
città di Ragusa e Termoli, probabilmente per consolidare e regolamentare una condizione pregressa
di eventuali contatti tra i due centri portuali, come per ogni cooperazione svoltasi tra molteplici
cittadine del Mediterraneo lungo i secoli.
E' stato davvero difficile ottenere una sua copia ma
fortunatamente siamo riusciti nel nostro intento,
mostrandovi qui in una non troppo elevata qualità
visiva, la pergamena originale che reca l'intera
stesura del trattato, seguito da molteplici firme di
tutti i soggetti termolesi e ragusei che sottoscrissero
l'atto, sormontati dallo Judex imperiale che ne mediò
e stabilì l'ufficialità.
la pergamena misura circa 34 centimetri di
larghezza, per 58 di altezza, ed è conservato ancora
oggi negli Archivi Statali di Ragusa, del quale ci è
pervenuta fortunatamente la trascrizione molto più
leggibile del Professor Sime Ljubic, che venne
presentata e resa disponibile negli atti della
''Undicesima Convenzione Internazionale di Storia
Marittima, Consorzio Del Porto di Bari, 28 agosto/7
settembre 1969'', dov'è riportato quanto segue;

‘’In nomine Domini nostri Jesus Christi.


Anno incarnationis sue millesimo duecentesimo
tertio.
Regnante domino nostro Frederico serenissimo rege
Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue, anno sexto regni eius, tertio die stante mense
Trasmundus, miles camerarius, ina cum universo eiusdem civitatis populo, volentes fraternitatem
veram et amicitiam inviolatam cum Raguseis semper communicare ei manutenere, pari consensu et
comuni voluntate Raguseos omnes de cetero in cives nostros recepimus, et ipsos conservare et
secoros facere in civitate nostra volumusnet obtamus. Preterea remittamus et quietamus universis
civibus Ragusi plataticum universum et arboraticum in civitate nostra. Ut de cetero sini apud sic
dictis tributis liberi et absoluti, et nemo ab eis exigere valeat aut presumat, et sic non teneantur de
his alicui respondere. Habeat etiam in civitate nostra illud ius et privilegium, quod nos habere soliti
sumus. Quod privilegium scripsi ego W. Iulianides miles et notarius, qui interfui mandato
predictorum iudicum et iamdicti ei totius populi.
Actum in Termulis feliciter.
+Ego Mainardus imperialis iudex. ...’’

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

In questo trattato per precisare, viene concesso ai commercianti marittimi ragusei di ricevere la giusta
protezione in caso d’approdo alla fortezza di Termoli, e che le navi mercantili ragusane erano esentate
dal pagamento del cosiddetto Plateaticum, dell’ Arboraticum, Scalaticum ed Ancoraticum,
ovviamente reciprocamente in ambo i porti commerciali delle due città costiere, e la particolarità è
proprio che tra i principali centri marittimi della Puglia, Termoli fu proprio la prima stipulare un patto
di tale importanza con una città della costa antistante.
Il clero locale avanzò negli scorsi anni, l’ipotesi della
giunta delle reliquie del Santo Timoteo in Italia
contemporaneamente a quelle del Vescovo di
Sebaste, San Biagio, martirizzato nell'anno 316,
venerato e conservato proprio a Ragusa a partire circa
dal 732, anno che corrisponderebbe alla traslazione
del corpo santo dal sepolcro della Basilica a lui
dedicata nella cittadina natìa dopo essere stato
suddiviso e condotto in varie parti dell'Occidente
europeo, arrivato nella città di Ragusa dove venne
condotto il cranio ed altri resti del martire, mentre altri
frammenti craniali, delle braccia e del torace erano
diretti verso Roma, ma a causa di condizioni
metereologiche avverse, i marinai furono costretti ad
attraccare al porto della città lucana di Maratea dove
sono ancora oggi conservate, con un ampio culto
dedicatogli, spiegandoci così che potrebbe essere
giunto nel tesoro liturgico termolese proprio al
seguito della stipula di questo storico accordo,
ovviamente avutasi al seguito di una eventuale
collaborazione già avviata in precedenza come
abbiamo poc'anzi spiegato, forse tra il XII e il XIII secolo, che infine avrebbe portato ad un
rafforzamento delle due realtà, la cui causa sarà argomento successivo, proprio incentrato sugli
amalfitani.
È però secondo la nostra opinione, abbastanza improbabile che un tesoro talmente importante come
un intero reliquiario d’un Santo discepolo di questo calibro, fosse giunto a Termoli intorno al 1203
come donazione per una reciproca fraternità d'ambito giuridico e commerciale, per vari motivi, come
per la data tra la firma del trattato che precede l’evento della quarta crociata, avutasi quando le ossa
del santo martire erano ancora nella basilica degli apostoli a Costantinopoli da cui però già vennero
spostate un secolo prima le reliquie di San Luca, già rintracciate in territorio italiano, ed oltretutto
pare improbabile proprio per le modalità e l’importanza sia di questo avvenimento che delle reliquie
stesse, poiché se così fosse stato,
difficilmente i ragusani avrebbero lasciato
il prezioso bottino nelle mani di un’altra
città, e probabilmente nemmeno loro le
avrebbero mantenute sino ad oggi visto
che di certo sarebbero finite nelle mani
della Repubblica di Venezia negli anni
successivi, come a Termoli accadde nel
1240 del resto, se non fosse stato per
l’occultamento tempestivo ideatosi sotto
l’episcopato del Vescovo Stephanus,
senza di cui le vicende di questa città
avrebbero certo preso una direzione
diversa.
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Quindi, è certo che nel 1203, o giù di lì, venne condotta da Ragusa sino alla nostra città, la piccola
reliquia di San Biagio Vescovo, che già nella metà del XIII secolo era annoverata nel culto locale
come si può immaginare dalle figure poste ai lati dell’archivolto della porta maggiore, alle spalle
della statua di San Basso, in cui si può ancora ammirare il corpo d'un uomo monco, per cui sono
riconoscibili le anfule del panneggio vescovile, allo stesso modo della statua bassiana e della terza
statua di destra, ma diversamente da tutte, si ammira una veste più semplice e drappeggiante dalle
altre nella statua principale destra, che ci riconduce ad un personaggio biblico che non sembra essere
assimilabile alla figura di San Timoteo come alcune persone del luogo sostengono per partito preso,
pur non essendovi prova alcuna, mentre dalle prove fotografiche degli archivi Trombetta ed Alinari,
ci è stato possibile ricondurre la figura ad una icona cristica, probabilmente un pantocratore in atto
benedicente, ben lontano dall'ulteriore ipotesi che ci vedrebbe la presenza di San Sebastiano visto che
vennero tragicamente confusi dei normali drappeggi della veste, in fasci di frecce conficcate nel
corpo, teoria tramandata dal culto locale ma nata certamente da una ignoranza dell'attribuzione e
dall'assenza di una caratteristica identificativa visto che già nella fine dell' 1800 la statua perse ogni
elemento come mani, cartiglio ed aureola, per poi precipitare definitivamente tra gli anni 30 e 40 del
'900, mutilandosi in un modo molto grossolano.
Sulla questione delle statue della nostra
catterale, si avrà modo di parlare più
chiaramente e dettagliatamente nei prossimi
articoli, ma quello che è certo, è che una
rappresentazione di Timoteo, appare sulla
facciata della cattedrale in maniera quasi
chiara seppure in pochi hanno notato
l'assimilabilità iconologica dei personaggi
che si stagliano al centro del capitello
fitomorfo della parasta sinistra, la quale
mostra in maniera chiara un trittico rinvenuto
molto spesso nei pulpiti di molte chiese note,
come a Pistoia ed in maniera più chiara nel
Duomo di Cagliari, sul pulpito di Magister
Guglielmo, un tempo eseguito per il Duomo
di Pisa, e dove a tal proposito si possono
ammirare nella maniera uguale di Termoli, i
santi Tito, San Paolo nel centro e Timoteo a
destra di quest'ulitmo, da non confondere con
il mosaico della Cattedrale di Monreale in
cui è raffigurato un riferimento evangelico dei Santi Paolo, Timoteo e San Sila, suo ulteriore
collaboratore biblico, e dove a differenza di quanto possa sembrare, nella rappresentazione del
capitello e dei pulpiti, viene mostrata una immagine statica e simbologica, caratterizzata come per
tutto il programma iconografico della facciata da uno schematismo pienamente bizantino, che ci fa
ammirare l'apostolo paolo con i rispettivi discepoli che non reggono in mano le sue lettere, ma i
cartigli del suo verbo che loro tramanderanno al prossimo, un pieno significato dei discepoli a cui
viene affidato dal loro maetro, una lettura molto più complessa che spero possa aiutare per una più
attenta rianalisi dei vari concetti artsitici della catterdale.
È però escluso che assieme a San Biagio arrivarono anche le ossa di Timoteo, seppure nel nostro
studio, Ragusa mantiene una certa importanza indiretta per il loro viaggio attraverso l’Adriatico, come
probabile scalo portuale, ma non come sede d’approdo, e sembra quindi verosimile collegarle come
sopracitato all’operato di Pietro Capuano, in concomitanza con vari fattori uniti a quest’ultimo, ad
esempio una rotta sicura ed affidabile verso l'Italia, ove Termoli era uno dei porti pugliesi di grande
ausilio per le milizie, pellegrini e commercianti diretti verso l'Oriente ed in Terrasanta, dove la grande
collaborazione con il porto di Ragusa, attuale Dubrovnik, ed il collegamento intermedio con Durazzo,
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

si univano a loro volta con il privilegio ''politico'' che il patriziato amalfitano, ravellese e scalese,
esercitava su dette località specialmente nell’ambito mercantile, e dove gli ordini cavallereschi
rappresentavano un punto fondamentale per il tutto, una vera e propria giunzione diretta e rediviva di
afflussi reciproci indirizzati da e verso l’Oriente, che attraverso le città dalmate come Durazzo e
Tirana, potevano raggiungere facilmente il Bosforo tramite la simosa e lineare via consolare Egnatia,
da cui potevano di seguito giungere verso Gerusalemme e così via in tutte le località pellegrinali
dell’Oriente medievale.
Dunque per poter parlare di ciò, abbiamo in precedenza riportato quanto si fosse dedotto nei confronti
della struttura portuale di Termoli, nelle fattezze e nelle testimonianze storiche d'una sua antica
esistenza e soprattutto, uso per poter giungere nelle terre opposte.
Sulla questione del porto di Termoli, la
faccenda è ancora molto complessa,
visto che, ahinoi, non resta granché
delle testimonianze visive di una o più
strutture adibite all’attività mercantile,
ma al contrario ne sono stati rinvenuti
un cospicuo numero di reperti
archeologici, citazioni storiche nelle
vaste fonti d’archivio, ed anche uno
studio più attento della morfologia
urbana locale, maggiormente aiutata
dalle fotografie ambientali degli anni
tra il 1890 e il 1939 ad opera dei fratelli
Trombetta e di ulteriori fotografi
amatoriali o istituzionali, che, con i
resoconti dell’ultimo cinquantennio,
hanno conferito una maggiore verosimiglianza alle reali vestigia dell’antica fortezza termolese,
definita in special modo da un nucleo fortificato centrale, arroccato intorno alla basilica cattedrale già
in età longobarda, che è andato via via allargandosi, con molteplici insediamenti ‘’a motta’’, un
multiplo circuito murario turrito, e un rivello interposto tra il doppio barbacane del fortilizio e un
insediamento extra-moenia che nei documenti di cui si è parlato nelle precedenti occasioni, sul conto
degli amalfitani in loco, è citato come ‘’suburbio’’ delle famiglie amalfitane e ravellesi giunte nella
città di Termoli tra l'XI e il XII secolo, come testimonia un antico elemento lapideo collegato,
mediante epigrafe posteriore, alla sepoltura di San Basso martire, e che fa parte, secondo la nostra
ricostruzione, di una commissione della famiglia ravellese dei Frezza (o Freccia), ed identificabile
come unico pluteo superstite dei paramenti interni, oggi esclusivamente erratico e conservato nella
neo-cripta novecentesca della cattedrale.
La Professoressa Maria Stella Calò Mariani nel suo libro dedicato alla storia dell cattedrali di Termoli
e di Larino, riporta delle citazioni importanti da parte degli storici passati che si sono occupati della
questiione annosa sul porto termolese, descrivendo come segue;

''del porto medievale di Termoli sembra cancellata ogni traccia.


Il Magliano ne attribuisce la scomparsa al terremoto del 1456 e a quello del 30 luglio 1625 (più
precisamente del 1627), che produsse in Termoli vari lutti e rovine.
Circa l’ubicazione, suggerisce che il porto fosse ‘’attiguo al luogo occupato dalla città’’, essendo il
mare sotto le mura, sufficientemente profondo per accogliere anche grossi legni.
Non meno vago è il Perrella, quando afferma che l’antico porto di Interamnia Frentanorum
(denominazione arcaica di Termoli), traspare tra le profonde acque che la bagnano all’ est e tra i
grossi scogli che la cingono''.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

È logico pensare ovviamente che Termoli possedesse una struttura portuale molto ben definita, e forse
non unica, come abbiamo potuto constatare negli anni, dislocata in due insenature naturali del
promontorio termolese, nel primo caso ai piedi dell’attuale mastio normanno-svevo, dove oggi è
presente la passeggiata di Via dei Trabucchi, ma che nelle antiche immagini e nei ricordi del primo
novecento era per metà un'area inabissata, e con la linea di costa decisamente più indietreggiata,
venendo usata non solo come spiaggia balneare ma come approdo delle imbarcazioni da pesca e con
le rimesse del modesto porto, un tempo detto ''della spiaggia di Sant’Antonio'', prendendo il nome
della chiesa abbaziale posta in cima al lungo colle di Santa Lucia, toponimo legato a sua volta ad una
seconda basilica d'origine normanna, scomparsa già durante nella fine dell''800.
Qui avrebbe avuto luogo forse il primo porticciolo pre-romano della cittadella Interamnia, alla quale
sono legati molteplici reperti archeologici rinvenuti nelle abitazioni del paese vecchio, tra cui
elementi votivi, forse legati al tempio pagano che qui sarebbe stato eretto tra la dominazione frentana
e romana, in cui avvenne anche una espansione del commercio e dell’attività produttiva, come
testimonia il gran numero di anfore vinarie e degli arnesi di tessitura, nonché della presenza stessa di
più insediamenti d’ambito portuale, diramati lungo la linea costiere da Histonium, al cui Nord vi era
l’antico porto frentano di Buca, sino alla foce del Biferno, dove risiederebbero i resti di un antico
porto fortificato per giunta.
Con questi presupposti è possibile identificare due
porti di differente uso, uno a nord-ovest e uno a
sud-est del promontorio, tra i quali il secondo
avrebbe vissuto una delle massime espansioni nel
corso dell'età medievale, portando a rilevarne la
presenza nelle piattaforme rocciose poste al nord
della Torre Tornola, lungo tutta la rientranza che
oggi è foce dei ruscelli Rio Vivo e Rio Morto, sino
a quello che era descritto topograficamente come
scoglio Punta di Pizzo, oggi insabbiato
dall’espansione della spiaggia artificiale.
Dunque sarebbe stato un elemento davvero
fondamentale per l’intera comunità termolese dal
punto di vista economico ed espansionistico in
ogni fronte, sin dalle origini della frequentazione
del promontorio, e protraendosi negli anni che
vedono coinvolto il soggetto del nostro studio di
ricerca, in cui l’area portuale di Termoli era di rilevante importanza, poiché posto in una zona
''principe'' dell’Adriatico, collegandosi ai porti contigui e opposti allo specchio d’acqua, dandoci
ancora oggi la testimonianza di un raggio d’azione delle attività commerciali molto vasto e ricco, di
spezie, vivande, bestiami ed animali per la milizia, tessuti e pietre preziose o da lavorazione, tutte
provenienti dall’affascinante Oriente, a cui storicamente dovremmo davvero molto, e che per il
conseguente contesto ci ha permesso di sfatare definitivamente, come già abbiamo enunciato
brevemente, l’idea di una cittadina di comuni pescatori, soprattutto poiché in realtà l’attività della
pesca è un elemento marginale che in Termoli sarebbe sorto solo molto dopo il funesto assalto
saraceno del 1566, quando ogni peripezia aveva cancellato la possibilità di una economia di ambito
mercantile nella città molisana, rinvigoritasi solamente a partire dal primo ‘800 al seguito
dell’industria ferroviaria e della riorganizzazione del tessuto urbano e delle capacità economiche e
giuridiche del luogo, arrestato alle volte da problemi di carattere bellico come la seconda guerra
mondiale.
Aperto dunque alle economie orientali, il porto di Termoli era visto come entità molto vantaggiosa
geograficamente parlando, anche per il rapido collegamento tramite l’entroterra con le città
commerciali della Campania, in special modo con la repubblica marinara di Amalfi e delle città
interne di Ravello, Scala ed anche Salerno, per non parlare poi del periodo storico che la vede
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

reinserita nel dominio bizantino del meridione, tra il X e l’XI secolo, quando il Catepano Basilio
Bojannes, dopo la battaglia di Stilo vinta dal Delphinas, la reintegrerà nel confine più a nord del
Catepanato bizantino di Apulia, con le fortezze di Fiorentino, Troia e così via, ed è proprio qui che la
vediamo inserita nel ben congegnato sistema comunicativo istituito dall’Impero Bizantino nel Sud
Italia, specialmente nella costa pugliese, con centri d’imbarco e sbarco, viabilità terrestri, frontiere e
scali marittimi, e non ci si deve assolutamente dimenticare che ciò favorì e venne favorito a sua volta
dalle vie pellegrinali e dai contingenti di soldati crociati diretti verso la Terrasanta, in maniere il più
possibile vantaggiose e soprattutto sicure e permissive ad ogni tipo di condizione economica salvo
imprevisti che avrebbero richiesto la via facile d'un compromesso, come nel probabile caso del
Capuano, ma ne riparleremo.
A tal proposito è d’uopo citare un documento dell’archivio storico di Montecassino che ci servì tempo
addietro in una precdente pubblicazione sull'itinerario di Enrico II verso Ravenna, che avvalora la
teoria dell’uso storico del porto termolese come luogo di collegamento per l’Oriente, e ci viene
definito da cronisti come Pietro Diacono, che descrive come l’abate cassinese Atenolfo, per sfuggire
alle truppe di Enrico II, sarebbe salpato dal porto di Termoli al fine di raggiungere Costantinopoli per
richiedere la protezione sotto l'Imperatore, descrivendo la scena come segue;

''Atque per Sangrum ad Termulas transies, cupiensque Costantinopolim ad Imperatorem confugere


mare ingressus est....''(a.D. 1022).

Ci tengo anche a riportare le parole spese dallo stesso Runciman, nei confronti proprio della questione
comunicativa tra le varie cittadine europee interessate dall’attività mercantile nel contesto storico
dell’XI secolo e dei tempi a venire, dove vi sono appunto le basi di buona parte della nostra ipotesi
in cui si denota, con più caratteri, la vicinanza tra gli eventi di Termoli, le reliquie di San Timoteo e
Costantinopoli.
Egli afferma;

''negli ultimi decenni la situazione della dell’Italia meridionale era stata agitata e confusa.
La frontiera dell’Impero Bizantino ufficialmente andava da Terracina, sulla costa tirrenica, a
Termoli, sull’Adriatico, ma all’interno di questi confini soltanto le province di Puglia e Calabria,
abitate in prevalenza da dai greci, erano sotto il governo diretto di Bisanzio.
Sulla costa occidentale c’erano le tre città-stato mercantili di Gaeta, Napoli ed Amalfi, nominalmente
vassalli dell’Imperatore.
Gli amalfitani che all’ora commerciavano intensamente con l’oriente mussulmano, ritenevano utile
ai propri negozi con le autorità fatimite il favore dell’Imperatore, e perciò tenevano in permanenza
un console a Costantinopoli.''

Lo storiografo disquisisce in maniera precisa dei percorsi tipici che i pellegrini dalla tarda-antichità
al basso medioevo, compivano per raggiungere i ‘’luoghi santuario’’ della cristianità, definendoci
bene le motivazioni di un determinato percorso, talvolta unico possibile per un raggiungimento sicuro
e facilitato, in base all’entità, via mare o via terra, e dunque al costo ed al territorio specifico che
doveva essere raggiunto, con i conseguenti fronti da valicare.
Ci ricorda come ad esempio, che nel X secolo, si era costretti ad usufruire delle rotte mediterranee
per raggiungere Costantinopoli ed i centri del Medio-Oriente tra Siria e Palestina, dove il costo per
intraprendere i percorsi era spesso insoddisfabile, tutto fino alla conversione cristiana dei sovrani
ungheresi (975), che permise di utilizzare le vie interne lungo il corso del Danubio attraverso i
Balcani, pur rischiando molto essendo una rotta terrestre pericolosa, fin quando la penisola balcanica
non fu interamente amministrata dalla capitale bizantina a partire dal 1019, ed instaurando un più
sicuro percorso bivalente dove si poteva viaggiare unicamente via terra, superando la frontiera est a
Belgrado e dirigendosi fino Costantinopoli attraverso Sofia ed Adrianopoli, questo nel caso, come

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

abbiamo già detto, solo per i percorsi terrestri che solitamente erano utilizzati da piccoli contingenti
di pellegrini e modesti commercianti, solitamente anche singoli.
Nel caso invece si trattasse d’ingenti numeri pellegrinali o di alte cariche e personalità varie, era
considerato ragionevole scegliere di passare la frontiera a Termoli ed imbarcarsi, o in loco, o nelle
rispettive città portuali pugliesi, per raggiungere le città costiere dalmate, specialmente Durazzo, da
cui come si è già spiegato, passava la Via Egnatia, una delle celebri vie consolari d’età imperiale,
realizzata nel 146 a.C. per volere del console macedone Gneo Egnazio, in primo luogo come
implementazione di un collegamento tra le colonie romane che si diramarono dal territorio dalmata
attraverso la Grecia e fino al Bosforo, divenuta in seguito una delle più importanti strade militari e
commerciali, che univa l’Adriatico alle coste dell’Egeo sino Bisanzio, le cui più antiche testimonianze
sono da ricondurre alla cronaca geografica di Strabone.

Nel percorso spirituale e mercantile, come spiegava il Runciman, era possibile attraversare detta via
che si diramava nel suo seguito in ulteriori ‘’arterie’’ continuavano tramite l’Asia minore verso
Antiochia arrivando nelle terre fatimite vicino Tortosa, definendo come le uniche frontiere da
attraversare permettessero un percorso bivalente e sicuro lungo i territori orientali in raggiungimento
della capitale ''Imperiale d’Oriente'' e del tempio maggiore dell'antica cristianità, la città di
Gerusalemme.
Unita alla preferibile scelta della frontiera termolese come accesso nel territorio italiano di dominio
bizantino, vi era soprattutto nel duecento, la maggiore scelta delle vie di comunicazione dell’Italia
meridionale al seguito soprattutto delle opere di riordino dei sistemi viari, volute dallo Stupor Mundi,
che migliorarono di molto la praticabilità delle tratte intermedie che terminavano nella Puglia
costiera, dove ruolo di spicco era dato dalle continuazioni di quella importante strada peregrinale che
tutti conosciamo come Via Francigena, a sua volta munita di numerose arterie secondarie in varie
9
L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

regioni italiane, specialmente nel territorio garganico e molisano dove hanno tenuto l’originale
toponomastica di ''Via Francisca'' o ''Via della Francesca'' da non confondere con la Via di San
Francesco in Umbria e con l’originale Via Francigena del Nord-Ovest italiano che si ricollegava a
Roma, quanto alla Francisca, nella regione molisana era un importante tratto di percorsi terrestri,
capaci di ricollegarsi anche alle aree tirreniche come in precedenza si è potuto spiegare, seguite da
eventuali tratturi, tratturelli ed ulteriori vie mercantili che facilitarono la comunicazione tra l’area
costiera campana e quella del Nord di Capitanata e di altre parti del tavoliere.
Quanto invece alla componente tecnica degli spostamenti attraverso il mare, la navigazione è il
dettaglio per noi fondamentale, proprio perché nel XIII secolo e così anche nei secoli successivi
seppur in maniera decrescente, si prediligeva la navigazione ‘’a vista’’, per via dell’assenza di
strumentazioni sofisticate per facilitare la tratta ad ampio raggio.
La particolarità di Termoli è proprio quella della sua posizione in una zona perlopiù protetta dalle
correnti di superficie in grado di dare filo da torcere ai marinai diretti reciprocamente tra le sponde
dell’Adriatico orientale, organizzate in maniera precisa con sistemi talvolta naturali di rientranze, baie
e golfi che permettevano spesso la protezione dalle varie incursioni e dai casi di instabilità delle
condizioni atmosferiche, da cui non era comunque esente Termoli, la costa opposta era dunque
raggiungibile con poche problematiche anche nella stagione fredda anche mediante rotte di
cabotaggio, diramate prima verso le Isole Tremiti, intermediarie storiche tra l’Europa occidentale e il
Medio-Oriente, distanti solamente 25 miglia nautiche dalla città molisana, per poi attraversare
Pianosa dopo sole 11 miglia, e Pelagosa a distanza di altre 25, dalle quali, dopo circa 35 miglia si
raggiungono le aree insulari di Lastovo e ancora a 38 miglia la Costa Se di Mljet da cui a circa 15
miglia e mezzo si raggiunge la fortezza di Ragusa in Dalmazia, proseguendo come previsto dalla
nostra ricostruzione, lungo la costa basso-adriatica per altre 24 miglia nautiche, superando le Bocche
di Cattaro, Antivari ad altre 30 miglia e superando per miglia 21 la foce del Lago di Scutari, si
prosegue per sole altre 21 miglia verso sud, giungendo così alla città portuale di Durazzo, che era
garantita per le rotte commerciali come una delle più proficue, grazie anche del collegamento che
permetteva con l’entroterra ricco di fonti idriche e terreni fertili, favorendo via via in maniera
pressoché istituzionale gli interscambi tra Oriente e Occidente attraverso soprattutto la Via Egnatia
che collegava i mari del bacino Mediterraneo con il Mar Nero, e le arterie sopracitate che la
collegavano all’Oriente Mussulmano, dimostrando così per l’ennesima volta come mai furono
favorevoli rotte e connessioni giuridiche con i porti di ambe due le coste orientali dell’Adriatico, e la
motivazione degli enormi spostamenti delle colonie amalfitane in Capitanata, che avrebbero
intrapreso una certa collaborazione con a loro modo con le cittadine sud-adriatiche, in cui la nostra
città svolse il ruolo di tramite in questa specie di circuito economico concorrenziale dimostrata
storicamente come afferma l’Aquilano, già tra XI e XII secolo nella città di Durazzo, periodo che
corrisponderebbe proprio all’inizio della loro giunta nella ''contea termolana'' tra dominio bizantino
ed arrivo degli Altavilla normanni.
Quanto alle famiglie che erano presenti nella città, riguardo la loro identificazione se n’è già parlato
in uno scorso articolo in cui abbiamo analizzato al dettaglio, forse per la prima volta della storia, le
incisioni epigrafiche poste sui piedistalli dell’archivolto maggiore della cattedrale e in vari punti del
programma iconografico come in una delle bifore cieche al lato destro dell’arco maggiore, e non
sarebbe affatto strano se si pensa alle fitte colonizzazioni da parte di amalfitani, scalesi, ravellesi e
salernitani all’interno del territorio apulo ed abruzzese, che qui costituirono una forma di aristocrazia
in ambito mercantile, ottenendo cariche di sottoposti regi, legati ecclesiastici ed amministratori di
beni e ricchezze ingenti, nonché l’appartenenza ad ordini religiosi e cavallereschi, che in Termoli
sembra tutto riassumersi quasi perfettamente, e che ci ricollega senza alcun dubbio alla traslazione
delle reliquie di Sant’Andrea nella costa campana tra Gaeta e la loro destinazione finale, Amalfi, nel
cui percorso sarebbero giunte anche quelle di San Timoteo che per ragioni che abbiamo postulato
verosimilmente, sono rimaste nella diocesi di Termoli, separate dal frammento di mandibola giunto
in Francia.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

La difficile interpretazione delle epigrafi presenti sulla cattedrale ci ha permesso, con l’aiuto dello
storico Luigi Ragni, della professoressa Mariani e del Professor Aceto, di poter rintracciare i nomi di
tre famiglie originarie della Repubblica Marinara di Amalfi, più precisamente in linea maggiore nella
città di Ravello, riassunte nelle commissioni delle famiglie D’Afflitto, i Grimaldi o ‘’Di Grimoaldo’’,
e i recenti Grisone o ‘’Frisone’’, legati strettamente ad una commissione ex-voto degli elementi
decorativi, che ci da quasi una certezza di un diretto interesse volto alla situazione ecclesiastica del
monumento, che li lega alle sue vicende e probabilmente proprio alla traslazione delle reliquie del
santo martire e del ricavo che sarebbe derivato dalle circostanze di un tesoro così importante per una
meta pellegrinale, nonché un denso legame agli ordini cavallereschi crociati che a Termoli si
riassumevano nei possedimenti dell’Ordo di San Giovanni Gerosolimitano (Ospitalieri) e l’Ordine
dei Cavalieri del Tempio, conosciuti in maniera vasta come Templari, ebbene vi era un forte legame
tra le colonie amalfitane e le gerarchie degli ordini religiosi oltre che nomine di cariche del clero,
vista la lunga lista di vescovi d’origine ravellese in più territori come abbiamo già esposto nella
medesima identificazione delle famiglie sopracitate.
Quanto ai crociati, non possiamo non
parlare di un legame nato prettamente dalle
cariche che coprivano a loro volta gli
amalfitani, insediatisi nelle cerchie
federiciane ed angioine, nella zecca come
maggiori esponenti della produzione
monetaria del regno, per poi non tralasciare
la funzione diretta con le rotte orientali che
garantivano un aiuto non di poco conto per
i crociati in quanto allo stesso tempo
amalfitani e ravellesi furono grandi
armatori nei porti apuli e abruzzesi, in
grado di procurare loro le navi per la
partenza e il ritorno, e quindi le rotte
privilegiate da loro usate per il commercio,
e questa loro utilità durò sino al rinascimento, anche dopo il periodo delle prime crociate della
cristianità.
Il loro legame con le crociate li rese celebri ovviamente anche per il commercio delle reliquie come
avvenne per la traslazione dei resti mortali di San Nicola di Mira nel 1087, durante una spedizione
mercantile per Antiochia, al contrario di come si pensava nella cronaca locale barese, secondo cui a
condurre il santo sarebbero stati dei semplici pescatori, mentre nella realtà si trattava di veri e propri
commercianti con una certa familiarità per i grandi mercati d’oriente.
Per i personaggi invece appartenuti direttamente ad ordini cavallereschi, ricordiamo anche qui del
fondatore scalese dei Cavalieri Ospitalieri, Fra Gerardo Sasso, che si riaccomuna con la figura di
Alfano Da Termoli, essendo lui secondo un nostro studio corrente, cavaliere ospitaliero nella quinta
crociata, e verosimilmente anche per le origini della famiglia degli Alfano, di cui egli faceva parte,
proveniente dalla città di Scala.
Tra i templari invece spicca la famiglia amalfitana D’Afflitto, egualmente importante tra quelle
fondatrici degli Ospitalieri ma che in questo caso è invece rappresentata da Don Camponello
D’Afflitto, signore di Rodegaldo, Redine e della Molpa, che nel 1235 ricopriva la carica di Gran
Maestro dell’Ordine dei Templari.
Tornando allo stesso Alfano per il concetto del dinamismo culturale delle maestranze centro-
meridionali, nella fattispecie dell’ambito Romanico Pugliese, troviamo una sequenza di contatti tra
magister pugliesi e committenze amalfitane, che hanno verosimilmente contribuito, assieme
all’importazione di opere e manovalanza artistica medio-orientale, alla nascita di questo variegato
panorama del romanico tra Campania, Abruzzi, Puglia e Lucania, per non dimenticarci la Calabria
superiore.
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Celebri commissioni che seguono l’opera del pulpito di San Giovanni in Toro del maestro Alfano,
c’è la committenza della famiglia Muscettola per il nuovo portone bronzeo del Duomo di Ravello, al
magister Barisano Da Trani, svolta da una bottega costantinopolitana, e nello stesso tempio seguita
dall’esecuzione del pulpito marmoreo svolto da uno degli eredi più importanti della storia del
Romanico della scuola foggiana, Nicola di Bartolomeo Da Foggia, nell’ultima metà del XIII secolo.
Per continuare sulla presenza templare nella nostra regione, attualmente sono rilevabili
numerosissime documentazioni che attestano in modo certo la presenza dell’ordine nella nostra
regione, seppure molti di tali segni sono sfuggiti agli occhi di molti amministratori locali della cultura
storica regionale, in special modo da coloro che hanno ritenuto priva di fondamento la presenza di
crociati nelle terre molisane, svalutando molto la veridicità storica di queste entità e travisandone la
storiografia, basandosi sulla visione contemporanea e che definirei complottistica ed antistorica dove
vengono visti come una vera e propria setta volta alla sovversione del potere mondiale, mista alla
massoneria ed esoterismo vario, facendo piombare la critica stoica della sfera templare nel più assurdo
ridicolo, cosa che invece noi stiamo cercando di ripulire interamente e parlando solo ed
esclusivamente con i piedi per terra e postulando teorie sensate e praticabili, nulla che abbia a che
fare con assurdità da programma televisivo scadente del ventunesimo secolo.
Si è già parlato in precedenza di numerosi documenti che citano l’esistenza di terre e di infrastrutture
appartenute all’ordine dei Templari, dall’alto Molise alla costa, e qui ne riporto brevemente i nomi,
come il ''Quaternus De Excadenciis et Revocationis Capitanate'' redatto intorno al 1249, ed al cui
interno è ben definito che al contrario delle altre domus crociate di Capitanata, quella termolese e
troiana rimasero illese e in regolare possesso, segno questo di un legame stretto in questi casi con la
figura dell’imperatore, seguite poi dalle documentazioni conservate nella biblioteca nazionale di
Parigi e riportate dalla professoressa Capone in ''I Templari nel Molise'', documento del 1373, dove
compaiono le varie domus passate agli Ospitalieri dopo lo scioglimento al seguito della scomunica,
e l’arresto avutosi nel 13 ottobre 1307 per volere del Re di Francia, Filippo il Bello.
Al seguito di ciò, e delle due bolle papali del 1318 e del 1345 sulla damnatio memoriae di tutto ciò
che riguardasse l’ordine, tutti i beni da esso posseduto passarono automaticamente all’Ordine
Ospitaliero ed eventualmente in molti casi, alle diocesi locali come accadde anche per una delle
Domus di San Marco, posseduta dal vescovo Bartolomeo Aldomaresco e contesa con l’Ordo
Giovannita per un disguido giuridico interno.
Nel documento della Professoressa Capone fanno capolino come commende all’interno del Gran
Priorato di Capua, anche le domus di Ferrazzano e di Tappino, rispettivamente amministrate da Frate
Simon De La Tour e Fra Nicola Da Collalto.
Altro documento di rilevante importanza è quello che siamo riusciti a rinvenire, già citato dal
Guerrieri nel libro ''I Cavalieri Templari nel Regno di Sicilia'', trascritto nell’anno 1309 dove appunto
vengono citate le commende un tempo appartenute ai templari, una dedicata a San Giacomo, nella
omonima località attuale di San Giacomo degli Schiavoni, e la seconda dedicata a San Marco
Evangelista, in zona del ‘’Pantano’’, area ancora esistente che compare anche in un atto notarile di
alcune famiglie amalfitane risiedute a Termoli.
Quanto alla commenda di San
Giacomo, abbiamo potuto rintracciare
ed ovviamente scannerizzare, lo
stralcio di una classica cartografia
gregoriana del 1816 conservata negli
archivi della Cattedrale termolese,
che descrive con precisione le
divisioni territoriali e i toponimi di
almeno due secoli fa, e in cui in una
zona confinante con il comune di San
Giacomo, si può facilmente leggere la
parola Commenda di Malta, seguita
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

da aree che presentano antiche strutture dirute, il tutto sarebbe certo ricollegabile alla antica
commenda crociata, passata solo al seguito dello scioglimento dei Templari, all’ordine degli
Ospitalieri, e ne deriva anche una frequentazione prolungata nel luogo visto il cambiamento
dell’ordine giovannita ospitaliero nel successivo Ordine dei Cavalieri di Malta a partire dal XVI
secolo, forse il tutto andato in rovina dopo l’assalto turco del 1566 o il terremoto del 1627.
Certo è di enorme difficoltà la comprensione del documento, che vi riproporremo in futuro con una
nostra traduzione o adattamento affinché possa essere fruibile per i lettori meno addetti all'epigrafia
antica.
Nella fortezza termolese vi sono alcuni resti anche di carattere fisico, o per meglio dire, ''repertuale'',
che ci portano a scorgere i molteplici simboli del lessico sacro adoperati in più epoche della cristianità,
ma di enorme uso soprattutto sotto la presenza dei crociati che nel caso dei Templari si occupavano
del flusso pllegrinale lungo la penisola e in Terrasanta, e Termoli svolgeva tipicamente la funzione
di una località ‘’tappa’’ delle vie dei pellegrinaggi, soprattutto al seguito dell’arrivo delle reliquie di
San Timoteo, e già per via dell’attività portuale di cui usufruirono gli stessi cavalieri, in
collaborazione con il patriziato amalfitano.
Sia negli interni e negli esterni della basilica cattedrale sono presenti molteplici segni di questa loro
frequentazione, a partire dalle croci patenti che possono essere considerate in tale caso come croci
ex-voto dei cavalieri di ritorno dalla crociata, come segno di devozione e gratitudine, stessa cosa che
era eseguita anche dai pellegrini con molteplici modalità seppur di incerta e irregolare fattura.

Tra gli altri simboli che si possono ammirare, c’è anche la croce del calvario posta in una delle lesene
laterali della facciata rivolta a Nord, alla destra della modesta porta laterale murata, simbolo che nella
fattispecie viene attribuito alla presenza di un tempio fisico, e talvolta legata all’esistenza di una
commanderia, che probabilmente godeva di una ''Domus Templi'' posta, sempre secondo le nostre
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

desunzioni, nelle vaste aree ipogee rinvenute nelle fondazioni del palazzo vescovile di Termoli, dov’è
stata rinvenuta negli anni 90 del ‘900, una vasta necropoli d’età tardoantica con intervalli del basso
medioevo, tra cui per completare il tutto, spicca la sepoltura di un corpo rinvenuto con un saio di
colore scuro, una spada altamente danneggiata dal tempo, e un anello d’oro di fattura pressoché
grezza, al pari d’un chiodo battuto che nella sua testa mostra una Croce di Amalfi, con i lati a coda di
Rondine, emblema dell’ordine dei Giovanniti appunto, come si ripete in una più bizzarra sepoltura
localizzata invece nella fondazione della torre campanaria, contro il muro perimetrale interno al vano,
dove fece capolino il frammento di una Deesis, scolpito su una placchetta in steatite, un minerale che
solitamente era utilizzato per la produzione di queste icone votive e formelle bizantine, in sostituzione
dell’avorio e talvolta svolte anche in legno seppur in maniera più rara.
L’effige della placchetta mostra come era già evidente, la figura di San Giovanni Battista nell’atto
dell’intercessione, al cospetto probabilmente del pantocrator troneggiante, e seguendo
l’identificazione svolta dall’iconologo romano Ivan Polverari, presenterebbe proprio le sembianze
iconografiche del battista, nonché la denominazione epigrafica in alto a destra, dove si legge ancora
in caratteri greci, la parola ‘’Prodromos’’ che vuol dire ‘’Precursore’’, e non ‘’martire di Cristo’’
come si era erroneamente pensato.
La presenza degli ospitalieri farebbe già intendere
ad un complesso ecclesiastico molto vasto,
compreso di una domus, e forse di un ospedale che
era invece gestito proprio dai Giovanniti, ai quali
sarebbe appartenuto proprio Alfano da Termoli,
probabile possessore della placchetta votiva di San
Giovanni.
I simboli continuano con la presenza di un più
celebre ‘’amuleto’’ del mondo cristiano, il nodo di
Salomone, che sarebbe per altro ascrivibile ad altre
sue rappresentazioni nella regione come il più
acclamato di Petrella Tifernina nel portale laterale
di San Giorgio Martire, con il più elegante e
prezioso labirinto unicursale sormontato da due
volatili, posto nella prima colonna sinistra della
basilica altomolisana, seguita da un altro famoso
reperto, ossia la Tavola della formula SATOR
nella chiesa di Santa Maria Ester di Acquaviva
Collecroce.
Però nel caso del nodo di Termoli, ad unica
stringa, si può notare come esso sia stato eseguito
in una maniera semplice e soprattutto in una zona
davvero molto particolare della Cattedrale che è il
presbiterio, una zona molto vicina al pavimento tra l’altro, che forse lascia intendere una apposizione
dovuta alla presenza in loco delle reliquie di San Timoteo, dove il simbolo sarebbe stato scolpito per
volere o mano di un cavaliere appartenente all’ordine, affinché esorcizzasse nella mentalità cristiana
medievale, la possibilità che le reliquie fossero trovate e trafugate dal pozzo fatto costruire dal
Vescovo Stephanus, il che ce lo fa datare all’incirca nel 1239 o poco prima dell’assalto veneziano
che colpì la cittadina.
In conclusione di questa disamina, vorrei sottoporre alla vostra attenzione una fonte davvero molto
importante che riguarda proprio la IV Crociata, un documento redatto ad Acri nei primi anni del '200,
inserito nella stesura del manoscritto di cui siamo riusciti a venire in possesso, la ''Hystoria Friderici
Imperatoris Magni'' redatto postumo intorno al 1225, e provvisto di una seconda trascrizione più vasta
del 1255 circa, visionato per gentilissima concessione dell’erede della famiglia Hohenstaufen, che ne
conserva l’originale nel proprio archivio privato, e per la cui consultazione ringraziamo vivamente il
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Gran reggente storico Michele Lamanna, gestore della sopracitata biblioteca personale, nella cui
collaborazione si ricorda la reggenza della Regione Molise da parte di Domenico La Porta con la
famiglia Hohenstaufen-Puoti.

In questo documento si fa un riferimento minuzioso e preciso delle reliquie trafugate dai crociati nel
Sacco di Costantinopoli e la dissacrazione della città bizantina, in particolar modo vi è la comparsa
proprio della Sacra Sindone ed altre reliquie storicamente annesse alla figura del Cristo ed alla sua
Passio, e per quanto concerne le reliquie ''minori'', viene citata una ''Costa Sancti Andree Apostoli''
seguita da una delle più vecchie citazioni del trafugamento di San Timoteo, dove appunto si elenca
la presenza nella refurtiva dei resti mortali ''De Sancto Thimotheo''.
Questa piccola parentesi sembra definitivamente confermare il legame tra i crociati e i resti del nostro
Santo patrono, unite come si è mostrato in precedenza dalla documentazione che attesta i suoi resti
tra gli oggetti trafugati da essi nel sacco di Costantinopoli, come se fosse cosa risaputa già nel suo
tempo, vista la grande risonanza che questo evento ebbe in Europa, a danno di una delle più importanti
località della sfera cristiana dopo Roma, Gerusalemme e Compostela.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Pertanto si passerà ora alla discussione di questa nuova


teoria, solo ora che abbiamo appurato tutti i passaggi che
ne hanno permesso la formazione in questi anni, uno
studio che portiamo avanti da ben quindici anni se non si
considerano le ricerche pregresse ed esaustive
nell’ambito storico ed agiografico della diocesi termolese
e del suo tesoro reliquiario, dove diversi avvenimenti ci
hanno concesso proprio di poter ricostruire anche le
azioni di un importante teologo e legato papale dell’Italia
meridionale duecentesca.
La traslazione dei resti del Santo Andrea per mano del
prelato Pietro Capuano, ci è riportata da alcuni cronisti
contemporanei e posteriori al cardinale amalfitano, che
però persistono tutte in un ammanco fondamentale di
informazioni a noi utili sulle vicende, come si appura ad
esempio nella molto dettagliata ''Matthaei Amalphitani archidiaconi translatio Corporis S. Adree
Apostoli de Constantinopoli in Amalphim'', di Matteo Gariofalo, collaboratore storico del Capuano,
dove anche nella riedizione di poco successiva, unica copia esistente della prima andata
inesorabilmente perduta, viene specificata la partenza del perlato dalla città di Costantinopoli come
avvenuta ''via mare'' e con una forte ovazione e dimostrazione affettiva dei devoti che lo circondavano,
anche se parrebbe alquanto fantasiosa come versione, non rimaneggiata unicamente in questa
occasione ma che in tante altre missioni di illustri personaggi storici, come scopo esaltativo, per cui
ci viene naturale credere che la partenza per la penisola italiana sia avvenuta in maniera molto più
‘’sottotono’’, se non addirittura segreta per l’ingente bottino ch’egli portava con se e con i suoi
collaboratori, e l’omissione del porto di partenza lascia altresì molto perplessi, proprio per definirvi
quale fosse l’informazione più importante che a noi serviva a scopo di studio, mancante alche nelle
altre versioni e postulata come probabile arrivo nella costa campana solo nell’attuale secolo, essendo
priva di una descrizione che abbia mai spiegato il viaggio compiuto dal cardinale e degli scali e vie
interne che ha dovuto attraversare con un così elevato rischio, portandoci quindi a credere che
anch’egli si fosse affidato, come altri nel passato, ad una rotta già ben strutturata e trafficata dalle
genti della repubblica amalfitana, dove intercorrevano già collaborazioni politiche ed economiche tra
le due coste e si denotava una già instaurata presenza di commanderie crociate, templari ed ospitaliere,
tutti requisiti che rendevano la città portuale di Termoli il mezzo prediletto per questo tragitto.
Egli dunque per garantirsi una protezione ed un aiuto nello scortare il tesoro bizantino lontano dalla
capitale romana d’oriente, sarebbe stato coadiuvato certamente dai Templari e dai Giovanniti, seguito
dai suoi stretti collaboratori del capitolo, assieme ai quali avrebbe dunque attraversato la Via Egnatia
in cui si diramavano molte tappe di sosta sicura con delle commende ed ospitali che permettevano
anche il cambio dei cavalli e ristoro dei viandanti, prima di raggiungere il porto di Durazzo da cui i
commercianti amalfitani avrebbero garantito un viaggio sicuro dai rischi delle scorrerie e dalle
avversità meteorologiche che avrebbero messo a repentaglio l’equipaggio delle galee, ed ovviamente
il ricco reliquiario, prima attraversando le Bocche di Cattaro rimanendo in linea con la costa, così da
arrivare nelle circostanze della repubblica ragusea, e, superando Curzola, intraprendere il viaggio
tenendosi in direzione delle Isole Tremiti, altra probabile tappa del prelato prima di poter finalmente
arrivare sulla terra ferma, nel porto della fortezza federiciana di Termoli, dove egli sarebbe sbarcato
lasciandovi le reliquie del Santo Timoteo per svariati motivi possibili, che noi crediamo di matrice
economica piuttosto che religiosa.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Una delle teorie prevederebbe questa sorta di pegno da tenere in sospeso con i cavalieri crociati ed i
commercianti amalfitani, che ivi risiedevano e tenevano loro proprietà, per l’impossibilità
momentanea nel ripagare il suo seguito militare e mercantile per tutti i servigi a lui rivolti nel percorso,
pratica alla quale non sono estranei i crociati ed in special modo i Templari, che furono ritenuti
storicamente dei grandi commercianti di reliquie, dalle quali derivava l’economia peregrina, a loro
stessi corrispondente, tra l’attività commendataria e quella della scorta dei pellegrini, dando vita ad
un sistema molto ben strutturato e preciso che ha garantito loro l’oneroso numero di ricchezze che li
avrebbe portati alle tragiche vicende della loro soppressione nel primo ‘300.
Stessa cosa avvenne per esempio con il cranio di San Policarpo, che secondo l'agiografia era stata
concessa ai templari dall’abate del Tempio di Gerusalemme in cambio d’un prestito economico che
non verrà mai retribuito, permettendo ai cavalieri di possederla nel tempio di San Giovanni d’Acri,
tradotta in Cipro solamente al seguito della caduta della fortezza crociata.
Sul suo ritorno verso Gaeta e poi ad Amalfi, è
plausibile che il cardinale e il suo seguito abbiano
percorso una delle vie comunicative che abbiamo
avuto modo di descrivere in precedenza, molto
conosciute e adoperate dai commercianti
amalfitani diretti verso le fiere ed i grandi porti
pugliesi di stampo orientale, per poter
raggiungere con facilità e rapidità le reciproche
sponde italiane, ripercorrendo da Termoli
attraverso le prime città del basso Biferno tra
Guglionesi e Larino, per raggiungere attraverso la
Capitanata prima San Paolo di Civitate, Lucera e
Troia, dove si ripercorre un breve tratto della Via
Traiana che permette di arrivare direttamente a
Benevento, e tramite il valico dei Lattari,
giungere finalmente a Capua, Napoli e infine alla
Costiera Amalfitana, un percorso che potrebbe riassumere facilmente le tante motivazioni del perché

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Termoli e le città costiere della Capitanata e Terra di Bari, fossero risultate di grande interesse per le
importanti famiglie di mercanti, giurati e maestranze d’origine campana.
Certo ci sono molteplici ragioni che necessitano di una ulteriore spiegazione sull’opera del Capuano
tra Terrasanta e Costantinopoli nel periodo di durata della quarta crociata sino al biennio successivo,
e di una certa verosimiglianza con ulteriori dettagli da non trascurare, a favore di tale teoria.
Anzitutto c’è da discutere di come più personalità trafugarono l’enorme numero di ricchezze di un
solo luogo dal quale si diramarono in ogni dove nell’Europa occidentale ed orientale, dove si era
anche a rischio di scomunica in caso di tratta dei resti sacri, a causa del deplorevole esito arrivato alle
orecchie della sede pontificia che lo accolse in maniera bipolare se si può dire.
Tra gli oggetti trafugati si ritrova un enorme numero di pezzi collegati alla passione di Cristo, giunti
nelle mani di personaggi come il francese neo-principe di Atene, De la Roche, una delle personalità
legate all’arrivo della sacra sindone nel territorio francese dal 1226, qualche anno prima della sua
morte.
Al contempo vediamo infatti come al seguito della sottomissione di Costantinopoli e la nuova nomina
imperiale di Baldovino V, numerose cariche europee, francesi e non, si diressero a Costantinopoli per
goderne delle ricchezze, come anche fece il Capuano contro l’opinione di Innocenzo III che lo
rimproverò di aver abbandonato in grave pericolo la Terrasanta, portando i crociati e il suo seguito
nella capitale bizantina per assolvere alle problematiche amministrative del clero al quale si era
rivolto lo stesso neo-imperatore.
Questa forte vicinanza tra i cavalieri e i
sottoposti francesi deriverebbe da tempo
recondito, forse a partire dalla sua formazione
teologica nella sede di Notre Dame De Paris
sotto Pietro Lombardo, e nelle cui sedi avrebbe
fatto giungere le ulteriori reliquie, come pegno
o pagamento, nelle rispettive chiese di Saint
Denis, nella Cattedrale di Langres e
probabilmente anche all’abbazia di San
Giovanni in Vineis di Soisson, nella quale
giunse nel 1205 il frammento di mandibola
appartenente proprio a San Timoteo ''Vescovo
e Martire'', per fugare ogni dubbio sul tipo di
santo che a loro appartiene visto che la dicitura
di questo tipo nella storia si riferisce
esclusivamente al Vescovo di Efeso, per il cui
arrivo in Francia ci sarebbe anche una multipla
possibilità, vista la precedenza rispetto
all'arrivo del Capuano nel 1208, per cui seguendo l'agiografia locale sarebbe stato venduto nel 1204
al ciambellano dell'Imperatore Baldovino, forse proprio dal Capuano, nello stesso anno in cui venne
richiesto a Costantinopoli e che garantisce una sua entrata in possesso dei resti del santo co-patrono
di Termoli molto prima rientro in centro-Italia, anche se verosimilmente potrebbe essere stato posto
come pegno ad un cavaliere d'origine francese che al termine del suo servizio nella IV Crociata
sarebbe giunto nel 1205 a Soisson.
In tutto ciò il Capuano restò a Costantinopoli sino al 1206-‘207, finché la situazione politica bizantina
non si fosse ristabilita, ed al suo rientro in Italia spartì il grosso bottino reliquiario con numerose città
campane tra Napoli, Sorrento, Gaeta e Capua, tenendo per la sua diocesi le preziose ossa di
Sant’Andrea, occultate tempestivamente prima che il subentrato Papa Onorio III ne richiedesse la
traslazione a Roma.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Per San Timoteo probabilmente non era stata


pensata una totale occultazione delle ossa in una
maniera improvvisa ma si sarebbe sicuramente
svolta nel corso del cantiere federiciano della
Cattedrale Termolese, una sorta di Succorpo o
altare ad egli dedicato, scelta che probabilmente
non fu mai assolta a causa dell’interruzione del
cantiere dovuta forse all’assalto veneziano del
1240, tanto che l’allora vescovo Stefano avrebbe
scelto di velocizzare la realizzazione di un piccolo
sepolcro, o meglio, di un nascondiglio al fine di
salvare le sacre ossa dall’inevitabile furto, pur se
non venne risparmiata da questo la cattedrale,
vedendosi depredata di molti marmi preziosi, suppellettili e ricche opere scultoree, che hanno
denotato una marcata differenza tra le due riprese dei lavori, in evidente discontinuità stilistica tra la
fine del XII secolo, la prima parte del XIII e l’ultima metà del ‘200, con un ricco susseguirsi di
maestranze e di committenze guidate dall’importanza del tempio termolese, del suo tesoro diocesano
e della posizione che Termoli svolgeva nel contesto storico dell’Italia centrale.
In ogni caso l’occultamento fu determinante per la cancellazione che subì il culto timoteano per la
cittadina termolese, visto che perse di rilevanza dopo la scomparsa del corpo, cancellato dalla
memoria dei cittadini nei vari secoli, che potevano solo affidarsi alla memoria dei pochi oggetti del
tesoro capitolare come i reliquiari che proteggono ancora oggi i resti mortali del Santo, e la stessa
Caput Thimothei, parte superiore del cranio del vescovo di Efeso, conservato nel reliquiario argenteo
di fabbricazione duecentesca, segno del culto in loco già ad allora, proprio con il suo arrivo nella
fortezza termolese.

Frame di registrazione della ricognizione delle ossa del Santo, Archivio Diocesano di Termoli.

È altresì probabile secondo la nostra teoria che il lungo tempo intercorso tra l’arrivo e la reale
celebrazione ed ufficializzazione della presenza in Termoli la si debba proprio al verosimile
contenzioso economico tra il cardinale Capuano e l’ordine templare ed ospitaliero, nonché il rischio

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

ancora vigile della richiesta di una traslazione a Roma ancor prima che fossero terminati i lavori del
cantiere federiciano di Termoli, richiesta che avrebbe certamente danneggiato la condizione
economica che tale evento portò alla città termolese, tanto da garantirne la segretezza almeno fino
alla prima metà del XIII secolo.
Si spera che in futuro si potrà essere in grado di comprovare queste postulazioni, con numerosi e
nuovi documenti ed eventuali contributi da parte di esperti del settore storiografico.
Si ricordano per l'elaborazione di questo studio i ricercatori storici di Termoli, Domenico La Porta e
Antonio Sciarretta, per l'importante contributo nella storiografia locale che di anno in anno sta
portando i suoi frutti, riaprendo antichi enigmi che fino ad oggi non hanno avuto risposta e per questo
finiti nel dimenticatoio.
Ringraziamo anche tutti coloro che hanno contribuito alla cessione di documenti archivistici e
fotografici per la confutazione dei vari dati riportati con rispettiva paternità nella stesura, ed
ovviamente ringraziamo la Diocesi di Termoli, le direzioni degli archivi storici dello Stato di Napoli,
di Montecassino, di Dubrovnik, nonché della famiglia Hohenstaufen-Puoti, come già si è rammentato
nel testo precedente.

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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli

Bibliografie di riferimento

 Storia delle Crociate, S. Runciman, 1993.


 Il Lago di Tiberiade sul mare di Amalfi; Sant’Andrea, Pietro Capuano, la chiesa e la
società amalfitana alla soglia del duecento, Giuseppe Gargano, 2008.
 Insediamenti, popolamento e commercio nel contesto costiero abruzzese e molisano, (Sec.
XI-XIV), D. Aquilano, 1997.
 Memorie Storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi, M. Camera, 1876,
ristampa del 1999.
 Due cattedrali del Molise, Termoli e Larino, Maria Stella Calò Mariani, 1979.
 Il Duomo di Termoli, don Luigi Ragni, 1907.
 Foggia e la Capitanata nel Quaternus Excadenciarum di Federico II di Svevia, G. De Troia,
1994.
 I cavalieri Templari, i templari nel Lazio, G. Curzi, 2008.
 I Templari nel Molise, le domus di Tappino e di Ferrazzano, in atti del XIV convegno di
ricerche templari, B. Capone, 1996-1997.
 Vestigia Templari in Italia, B. Capone, 1979.
 Sulle Tracce dei Templari, i cavalieri del Tempio dalla Terrasanta al Molise, C. Di Paola
D’Ortona, 2002.
 Il Molise dalle origini ai nostri giorni, volume quarto, il circondario di Larino, G.
Masciotta, 1988.
 I Templari e il culto delle reliquie, in I Templari, mito e storia, atti del convegno
Poggibonsi, F. Tommasi, maggio 1987, 2002.
 Magistri e cantieri nel Regnum Siciliae, l’Abruzzo e la cerchia federiciana, Francesco
Aceto, 1990.
 Le reliquie dei Templari, negli atti del XXIX convegno di ricerche templari, abbazia di
Casamari, L. Imperio, 2011.
 Il mezzogiorno svevo e la quarta crociata, atti della XIV giornata normanna-sveva, M.
Balard, 2000.
 Quarta Crociata; Venezia-Bisanzio-Impero Latino, G. Ortalli, P. Schreiner, G. Ravegnani,
2006.
 Racconti della quarta crociata, tratti dalle prose di Robert de Clary e di Jofroy de
Vilehardoin, V. De Bartholomaeis, Robert de Clary, 1904.
 La conquista di Costantinopoli durante la IV crociata di Niceta Coniata, F. Conca, 1981.
 La caduta di Costantinopoli, 1204: fonti bizantine e occidentali sulla Quarta crociata, testi
presentati in occasione del Convegno "Venezia, la Quarta crociata, l'impero latino
d'Oriente", Dipartimento di studi storici, Università Ca' Foscari, 2004.
 The Fourth Crusade, the conquest of Constantinople with an essay on primary sources di
Alfred J. Andrea, Università della Pennsylvania, D.E. Queller, T.F. Madden, 2000.
 Urbs Capta; La IV croisade et ses conséquences, A. Laiou, 2005.

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