Bellini 2000

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Le Strategie di Innovazione nelle Piccole Imprese:

tra Competenze e Relazioni

Uno Schema di Analisi e


Una Ricerca Empirica sulle PMI del Mezzogiorno beneficiarie della Sovvenzione
Globale B.I.C.I.- Business Innovation and Cooperative Industries-
Organismo Intermediario: SISTEMI FORMATIVI CONFINDUSTRIA

           

1
L’autore
Emilio Bellini (bellini@unisannio.it) è uno degli undici componenti del Gruppo di Esperti della
Segreteria Tecnica del MURST, nonchè ricercatore presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università del
Sannio. Dal 1994 svolge attività di ricerca nell’ambito del raggruppamento di Ingegneria Economico
Gestionale. Dapprima ha insegnato, quale professore a contratto, Economia ed Organizzazione Aziendale
presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli Federico II, successivamente ha conseguito il
Dottorato di Ricerca in Ingegneria Economico Gestionale. E’ autore e coautore con i proff. Mario Raffa,
Giuseppe Zollo e Guido Capaldo di diversi lavori nazionali ed internazionali sulla gestione strategica
dell’innovazione nelle piccole imprese e sui problemi di trasferimento delle conoscenze dall’Università
alle imprese, con particolare attenzione agli spin off accademici. Ha coordinato, valutato e gestito diversi
progetti di ricerca e di trasferimento tecnologico per conto di enti pubblici e privati; in particolare è stato
tra i valutatori tecnici dei progetti presentati per la Sovvenzione Globale B.I.C.I..

SFC -Sistemi Formativi Confindustria


La società consortile SFC — Sistemi Formativi Confindustria- ha lo scopo di promuovere, coordinare e realizzare, a
tutti i livelli, strutture ed iniziative nel campo della formazione e dei servizi alle imprese.

Attraverso questa società Confindustria realizza interventi nel campo della formazione e del sostegno allo sviluppo
del sistema di imprese, utilizzando, fra l’altro, le risorse dei Fondi strutturali.

SFC è stata riconosciuta Organismo Intermediario (O.I.) per la gestione della Sovvenzione Globale B.I.C.I.-
Business Innovation and Cooperative Industries, forma di intervento prevista dal Regolamento base dei Fondi
Strutturali dell’Unione Europea. SFC è pertanto responsabile della gestione e del raggiungimento degli obiettivi
previsti dalla Sovvenzione Globale BICI nei confronti della UE e delle Amministrazioni nazionali competenti.

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INDICE

INTRODUZIONE pag. ...

Capitolo #1 Piccola Impresa e Strategia: la centralità dei sistemi relazionali


pag. ...
§1.1. Quattro Scuole di pensiero sulla formulazione della
strategia
§1.2. L’evoluzione degli studi strategici nell’ambito delle teorie
economiche
§1.3. Il rapporto tra Planning School e piccola impresa
§1.4. Il rapporto tra Learning School e piccola impresa
§1.5. Il rapporto tra Entrepreneurial School e piccola impresa
§1.6. Un elemento fondamentale: l’ambiente strategico e le reti
relazionali della piccola impresa
§1.7. Dalla formulazione ai contenuti: le opzioni strategiche
delle piccole imprese
§1.8. Osservazioni finali

Capitolo #2 – Risorse e Competenze nella gestione strategica


§2.1. I fondamenti della resource based view
§2.2. La gestione strategica secondo l’approccio resource-based
§2.3. La Competence-Based School: il contributo fondamentale
di Prahalad e Hamel e il confronto con le Scuole precedenti
§2.4. La Competence-Based School: il consolidamento teorico
§2.5. Categorie di Risorse, Capacità e Competenze nella
Competence-Based School
§2.6. Osservazioni Finali

Capitolo #3 – Uno schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese basato su
Competenze e Relazioni
§3.1. Le strategie di innovazione: dall’approccio tradizionale
all’approccio dinamico
§3.2. I percorsi strategici della piccola impresa in un’ottica
competence-based: il caso degli Spin Off Accademici
§3.3. La Posizione ed i Processi nelle strategie di innovazione
delle piccole imprese
§3.4. Lo schema di analisi delle strategie di innovazione delle
piccole imprese basato su Competenze e Relazioni
§3.5. Casi Aziendali di Piccole Imprese del Mezzogiorno
3.5.1. Risultati della ricerca empirica sulle imprese
conserviere
3.5.2. Risultati della ricerca empirica sulle imprese di
software

Capitolo #4 – L’indagine empirica sulla domanda di innovazione espressa dai 69 progetti approvati
nell’ambito della Sovvenzione Globale B.IC.I.-Business Innovation and Cooperative Industries;

§4.1. Indicatori descrittivi delle 67 imprese beneficiarie dei


progetti approvati

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§ 4.2. – Indicatori di valutazione dei Progetti Approvati
§ 4.3. Le Strategie di Innovazione a partire dai Progetti Proposti
§ 4.4. – Risorse e Capacità delle 67 Piccole Imprese
4.4.1. Risorse e Capacità di Marketing
4.4.2. Risorse Cognitive
4.4.3. Risorse e Capacità Tecnologiche
4.4.4. Risorse e Capacità Finanziarie
4.4.5. Capacità Relazionali

Capitolo 5 – Conclusioni e Implicazioni Gestionali

§ 5.1. –L’Adozione di una prospettiva gestionale competence-


based da parte delle piccole imprese operanti in aree in ritardo di
sviluppo
§ 5.2. - L’evoluzione della politica nazionale della ricerca in
un’ottica competence-based
§ 5.3. Spunti di riflessione sul ruolo del sistema dei servizi per
l’innovazione nelle Piccole Imprese in un’ottica competence-
based
§ 5.4. – Strumenti per la gestione delle nuove imprese: il
competence-based business plan

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Questa ricerca si inserisce nel filone di analisi sul rapporto tra piccole imprese ed innovazione
sviluppato, nell’ambito delle pubblicazioni SIPI, dal volume “Road Map for Italy” (Annunziato e
Montanino, 1999). Il volume contiene i risultati dell’indagine sui bisogni tecnologici delle PMI,
promossa e coordinata dal MURST e realizzata dal Centro Studi di Confindustria con l’ausilio di
quattro Unità di ricerca (Tecnopolis Bari, Università di Bologna, Scuola Superiore S. Anna di Pisa e
Ceris-CNR di Torino).
Rispetto a quella ricerca, avente carattere ben più organico, questo lavoro intende focalizzare
l’attenzione sulla natura strategica delle scelte di innovazione perseguite dalla singola piccola
impresa. Tale prospettiva di analisi è stata facilitata dalla felice coincidenza tra:
i) alcune riflessioni sulla applicabilità, anche alle piccole imprese, del quadro concettuale
sviluppato nell’ambito delle teorie competence-based;
ii) la disponibilità di alcuni dati sulle opzioni strategiche formulate direttamente dalle
singole imprese che hanno beneficiato dell’approvazione di progetti di innovazione
finanziati dalla Sovvenzione Globale B.I.C.I. Business Innovation and Cooperative
Industries, gestita in qualità di Organismo Intermediario da SFC Sistemi Formativi
Confindustria.
Coerentemente con l’obiettivo di analizzare le scelte di innovazione nella prospettiva strategica
della singola piccola impresa, la ricerca è sviluppata intorno ad uno schema di analisi delle strategie
di innovazione delle piccole imprese (Bellini, 1999; 2000) definito a valle dell’esame
sull’evoluzione teorica degli studi di strategia e, in particolare della rilevanza dei concetti di
competenza e relazioni, per la comprensione del fenomeno innovativo nella piccola impresa.

La ricerca nasce da alcune considerazioni di natura teorica e metodologica:


i) L’attualità nel dibattito scientifico sull’analisi dell’innovazione sulla base di approcci
legati sia al ruolo della conoscenza (con particolare riferimento alla letteratura
competence-based), sia al ruolo di sistemi e reti relazionali tra i diversi attori (con
particolare riferimento alla letteratura sulle reti di impresa e sui sistemi innovativi
territoriali);
ii) Il forte disallineamento tra ricchezza dei lavori in chiave teorico-interpretativa,
sull’approccio competence-based, e pochezza delle corrispondenti ricerche empiriche, da
più parti sottolineato (Sanchez e Heene, 1997; Mariotti, 1998);
iii) Tale carenza è ancora più marcata per le strategie di innovazione delle piccole imprese:
“…(concerning) the problems of managing innovation… the discussion of small firms
will necessarily be short, given the lack of systematic research on the majority of firms
that are not particularly innovative, but which must necessarily cope with changing
technology that impacts their business, as IT does today…” (Pavitt, Bessant, Tidd, 1997,
pag. 70);
iv) Le difficoltà di natura metodologica connesse alla esplicitazione delle variabili alla base
delle strategie e dei processi di innovazione derivante dalla natura tacita e firm specific
delle risorse e delle capacità delle piccole imprese (Raffa e Zollo, 1998).

A fronte di tali considerazioni risulta evidente l’immediato interesse suscitato dalla disponibilità di
alcuni dati generali riguardanti la domanda di innovazione espressa dalle imprese meridionali
nell’ambito dei progetti presentati per l’accesso alle agevolazioni finanziarie previste dalla
Sovvenzione Globale B.I.C.I.-Business Innovation and Cooperative Industries- gestita nel periodo
1999-2000 da Sistemi Formativi Confindustria. In particolare l’autore ha avuto, in qualità di

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valutatore di parte dei progetti, l’opportunità di accedere, oltre ai citati dati, all’intera
documentazione di progetto che ha permesso una più ampia lettura dei dati alla luce delle
dinamiche settoriali e territoriali e dei rapporti con i fornitori dei servizi oggetto delle domande di
finanziamento.
E’ necessario anticipare alcuni vincoli di natura metodologica derivanti dalla mancata possibilità
di progettare strumenti di ricerca specifici per la rilevazione delle variabili alla base dei processi di
innovazione delle piccole imprese e la conseguente necessità di fare riferimento alle seguenti
tipologie di dati disponibili per i 69 progetti approvati:
i) dati anagrafici;
ii) tipologia di innovazione (sulla base di una tassonomia prevista dal bando di
partecipazione);
iii) dati economico –finanziari;
iv) contributo richiesto;
v) punteggio di valutazione complessiva del progetto.
Comunque, vale la pena di sottolineare come la lettura del fenomeno innovativo, dal particolare
punto di vista delle scelte di investimento formulate dalla singola piccola impresa, possa offrire
spunti interessanti ed originali sulle effettive motivazioni della piccola impresa ad intraprendere
transazioni con intermediari e fornitori di servizi di innovazione tecnologica. Infatti, la disponibilità
di effettive scelte di innovazione, accompagnate dall’intenzione ad effettuare un investimento a
copertura parziale dei relativi costi, permette di rovesciare la logica da una analisi sui bisogni
tecnologici potenzialmente percepiti dall’impresa e, comunque, formulati a partire dalle categorie
concettuali del ricercatore, ad una analisi delle effettive strategie di innovazione, magari meno
vicine alle definizioni della letteratura, ma comunque formulate con le categorie concettuali
dell’imprenditore e, soprattutto, inserite nel contesto dinamico della “storia strategica” dell’impresa,
ovvero del percorso di graduale affinamento delle conoscenze gestionali e tecnologiche che
permettono la nascita, lo sviluppo e la sopravvivenza della piccola impresa.

La ricerca si chiude con alcune implicazioni gestionali derivate dal confronto tra lo schema di
analisi e i dati provenienti dai progetti B.I.C.I., e formulate, coerentemente con l’impostazione
complessiva della ricerca, con l’ausilio degli strumenti concettuali competence-based:
i) nella prospettiva della singola piccola impresa, sempre più pressata ad adottare strumenti
per la codifica e la gestione della conoscenza e delle relazioni;
ii) nell’ambito dello scenario della riforma delle politiche per la ricerca, con particolare
riferimento alle recenti Linee Guida del Piano Nazionale della Ricerca sviluppate dal
Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, e recepite nel DPEF
29.06.2000;
iii) nella prospettiva degli attori impegnati nel sostegno all’innovazione nelle piccole
imprese operanti in aree in ritardo di sviluppo.

Ringraziamenti

La possibilità di sviluppare con continuità esperienze di confronto tra riflessioni teoriche e aspetti
applicativi nel mondo delle imprese è derivata dalla profonda apertura culturale, gestionale e
interdisciplinare che caratterizza la Facoltà di Ingegneria della Università del Sannio. In tal senso
nessuna espressione riesce ad esprimere il debito nei confronti dei colleghi e del Preside, prof.
Aniello Cimitile.

Le riflessioni teoriche alla base della definizione dello schema di analisi delle strategie di
innovazione delle piccole imprese sono state sviluppate fin dall’inizio del dottorato di ricerca
conseguito sotto la continua e premurosa guida del tutor prof. Mario Raffa, Responsabile

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Scientifico di ODISSEO, l’Osservatorio sull’organizzazione e l’innovazione tecnologica del
Dipartimento di Informatica e Sistemistica dell’Università di Napoli Federico II. L’autore ha
beneficiato, inoltre, dei preziosi consigli degli altri componenti di ODISSEO: i proff. Guido
Capaldo, Eugenio Corti, Emilio Esposito e Corrado lo Storto. L’autore desidera esprimere un
ringraziamento particolare al prof. Giuseppe Zollo per gli stimoli iniziali sui temi presentati in
questa ricerca.

Molte delle riflessioni presentate in questo lavoro hanno goduto di suggerimenti e stimoli raccolti
nel corso di presentazioni di lavori in Convegni nazionali, in particolare i Workshop dell’AIIG
Associazione Italiana di Ingegneria Gestionale, ed internazionali. Si ringraziano in particolare:
Aime Heene (University of Ghent), Ron Sanchez (IMD Losanna), Bengt Johannisson (Vaxio
University), Giuliano Mussati (Università Bocconi Milano), Umberto Bertelè e Paola Garrone
(Politecnico di Milano), Vito Albino (Università della Basilicata).

Un ringraziamento sentito va ai componenti della Commissione di Valutazione dei progetti


B.I.C.I., all’interno della quale sono state sviluppate molte delle considerazioni riportate nel
capitolo 4. Un ringraziamento particolare va ai colleghi valutatori tecnici dei progetti, i proff.
Gennaro Olivieri e Stefano Di Palma, e agli amici di SFC Sistemi Formativi Confindustria, in
particolare a Massimo Buracchio e ad Alessandro De Bonis, senza la cui disponibilità e pazienza
questo lavoro non avrebbe visto compimento.

Il debito più rilevante è, però, per il tempo rubato a Giovanni Vietri e ad Ivano Boragine,
rispettivamente presidente del CTS e Amministratore Delegato di SFC. Senza le lunghe
chiacchierate, non prive di serrati confronti sul piano concettuale, la personale distanza dell’autore
dalle atmosfere gestionali dell’impresa “vivente” sarebbe stata ancora più profonda di quanto non
sia ancora adesso.

Nessuna delle persone citate è in alcun modo responsabile per i giudizi e gli errori presenti nel
testo.

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Capitolo #1
Piccola Impresa e Strategia: la centralità dei sistemi relazionali

§1.1. QUATTRO SCUOLE DI PENSIERO SULLA FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA

Lo studio della gestione strategica propone, fondamentalmente, due distinti piani di analisi: la
formulazione, ovvero le logiche che sottendono alle modalità con cui le strategie si formano, e il
contenuto, ovvero lo studio delle opzioni che permettono all’impresa di organizzare le risorse
detenute, al fine di realizzare i propri obiettivi chiave (Marchini, 1995b; Hofer e Schendel, 1978,
Grant, 1991).
Coerentemente con tale impostazione viene presentata, nei primi sei paragrafi di questo capitolo,
una ipotesi di sistematizzazione delle principali scuole sulle modalità di formazione delle strategie,
e, successivamente nel paragrafo §1.7., la analisi delle principali opzioni a disposizione della
piccola impresa nella fase di realizzazione della strategia.

Il problema strategico di ogni impresa è la ricerca del massimo livello di coerenza (consistency)
fra tre componenti fondamentali: i) l’Ambiente settoriale; ii) la Strategia; iii) la Configurazione
Interna.
Data l’impossibilità di gestire contemporaneamente i tre livelli di analisi, gli studi sulla
formazione delle strategie hanno, essenzialmente, oscillato tra due opposte tendenze (vedi Figura
1.1.):
i) Ricercare la coerenza assumendo “per dato” l’Ambiente e, quindi, quale punto di
partenza la analisi puntuale delle tendenze strutturali (Scenario, Settore, Concorrenti,
Mercato) con un approccio che possiamo denominare “Approccio #1 Esterno-Interno”;
ii) Ricercare la coerenza assumendo “per data” la Configurazione e, quindi, quale punto di
partenza la analisi della dimensione interna (Organizzazione, Risorse, Sistemi, Valori)
con un approccio che possiamo definire “Approccio #2 Interno-Esterno”.

Figura 1.1. I due Approcci Fondamentali agli Studi di Strategia


Approccio #1 Esterno-Interno

Strategia Configurazione
Ambiente (Fit Impresa- Interna
(Macro e Ambiente) (Risorse e Sistemi)
Competitivo)

Approccio #2 Interno-Esterno

Tale dicotomia, per quanto fortemente semplificativa, è peraltro utilizzata, anche se con
formulazioni diverse, in diversi studi sulla evoluzione del pensiero strategico, quali “opportunity
driven vs. technology driven” (Rispoli, 1998), “rationalist strategy vs. incrementalist strategy”
(Pavitt et al., 1997), “approccio contingente vs. approccio proattivo” (Azzone 1997), “Outside-In vs.
Inside-Out” (Invernizzi, 1999), “concezione forte vs. concezione debole della strategia” (Faraci,
1996). Nondimeno risulta evidente, in molti casi, il tentativo di armonizzare i due estremi,
ipotizzando metodi di formulazione delle strategie intermedi, ovvero basati sull’utilizzo congiunto

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di concetti e tecniche provenienti dai due approcci indicati (Quinn, 1980; Grant, 1994). Anche in
questi casi si ritiene che, per quanto finalizzati a coniugare l’“ottica obiettivo” con l’ “ottica
processo” (Marchini, 1995b), anche tali contributi mostrino un grado di appartenenza più o meno
sfocato all’uno piuttosto che all’altro approccio. Anche se gran parte delle definizioni convergono
sul concetto di strategia quale sintesi del rapporto tra l’impresa e l’ambiente competitivo in cui essa
dinamicamente agisce, da un punto di vista concettuale è, quindi, possibile immaginare due
differenti concezioni di strategia individuabili come due “poli estremi” di un “continuum” lungo il
quale si collocano le principali scuole di pensiero. Da un lato una concezione “meccanica” della
strategia come set di analisi, obiettivi, decisioni, politiche e strumenti di controllo collegati in modo
sequenziale; dall’altro una concezione “comportamentale” della strategia quale guida di fondo delle
decisioni aziendali che evolve nel corso dell’esistenza dell’impresa e che, perciò, non si traduce in
una sequenza di analisi-decisioni, ma piuttosto in una evoluzione complessa dell’organizzazione
dell’impresa e dei suoi meccanismi di apprendimento.

La Tabella 1.1. propone una classificazione dei principali contributi analizzati sulla evoluzione del
pensiero strategico, nell’ambito dei due Approcci “#1 Esterno-Interno” e “#2 Interno-Esterno”.

Tabella 1.1.- Gli elementi distintivi dei diversi approcci agli studi di strategia
Approccio #1 Esterno-Interno Approccio #2 Interno-Esterno
Focus/Input Opportunità e Minacce Esterne Risorse e Capacità Interne
iniziale della
strategia
Framework di Struttura-Condotta-Performance Teorie Evolutive
riferimento (Bain, 1959) (Nelson e Winter, 1982)
Scuole Pure Planning School Competence-Based School

(Ansoff, 1965; (Prahalad & Hamel, 1990,


Andrews, 1971; 1994; Heene & Sanchez,
Hax & Majluf, 1997)
1991)
Scuole Miste Learning School Entrepreneurial
(Mintzberg, 1987, School
1990) (Norman, 1977)
Contributi-chiave Strategie Competitive (Porter, 1980) Resource-based Strategies (Grant, 1994)
Incrementalismo Logico (Quinn, 1980) Dynamic Capabilities (Teece, Pisano, 1994)
Concetti Chiave Planning School Learning School Entrepreneurial School Competence-Based School
- Analisi di Settore - Strategie Deliberate - Business Idea - Path dependence
- Strategie Corporate vs. Strategie emergenti - Vision & Relation - Strategic Intent
vs. Funzionali - Try and Error - Stretch and Leverage delle
- Posizionamento risorse
Fonte: Bellini, 1999

L’evoluzione degli studi di strategia permette di identificare Quattro Scuole storiche, per le quali
si riportano solo alcuni riferimenti bibliografici fondamentali:
i) La Planning School (Ansoff, 1965; Andrews, 1971, Hofer e Schendel, 1978, Lorange
1980);
ii) La Entrepreneurial School (Norman, 1977, 1984);
iii) La Learning School (Mintzberg, 1987, 1990);
iv) La Competence-Based School (Prahalad e Hamel, 1990, 1994; Sanchez e Heene, 1996,
1997).
Le quattro scuole vengono distinte in “scuole pure”, in cui è esplicita la appartenenza all’uno
piuttosto che all’altro approccio e alle sottostanti teorie economiche di riferimento, e “scuole miste”
in cui sono presenti elementi di integrazione tra i diversi approcci. In realtà i contributi che si
basano sul tentativo di contaminare elementi dell’uno e dell’altro approccio proponendo una duplice
attenzione all’analisi dell’ambiente esterno e alla rilevanza delle risorse-competenze interne sono

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notevoli; conseguentemente nella tabella vengono ricordati alcuni “Contributi Chiave” che hanno
fortemente influenzato gli studi di strategia pur senza caratterizzarsi, ad eccezione di Porter, per una
piena collocabilità negli schemi delle quattro scuole individuate. Le interdipendenze tra i diversi
contributi sono analizzate in dettaglio nei Capitoli #1 e #2; in particolare il confronto tra le quattro
scuole è sviluppato, a valle dell’esame della letteratura, nel paragrafo §2.3.. La Tabella riporta
anche, per ciascuna delle quattro scuole, i concetti-chiave che hanno declinato in termini via via più
dettagliati le idee fondanti di ciascuna teoria.

La Planning School, sviluppatasi nell’ambito della tradizione harvardiana, ha dominato la scena


dell’insegnamento manageriale; essa propone un approccio deterministico e fortemente razionale in
cui, a partire dalla puntuale analisi di un ambiente esterno sostanzialmente prevedibile, vengono
definiti in primo luogo gli obiettivi e, successivamente, i diversi livelli di piani e programmi che
sono valutati sulla base della diversa probabilità di successo. Peraltro l’approccio “analitico-
razionalista” tiene conto dell’influenza della dimensione interna dal momento che essa poggia, da
un lato, sulla attenzione al rapporto tra strategia e struttura (Chandler, 1962), dall’altro, sui
fondamenti della contingency theory quali le relazioni tra ambiente, profilo strategico e
configurazioni organizzative (Lawrence e Lorrsch, 1967; Miller e Friesen, 1984).
Nell’approccio “imprenditoriale”, che ha nell’opera di Norman la descrizione più completa, si
rinuncia ad una analisi puntuale delle tendenze ambientali e delle opzioni strategiche e viene posta
al centro dell’analisi strategica la visione dell’imprenditore, ovvero la capacità di sfruttare al
massimo le opportunità che provengono dall’ambiente attraverso lo strumento di pianificazione
della business idea.
Nell’approccio “emergente” di Mintzberg viene enfatizzato il ruolo dell’apprendimento già
presente nella Entrepreneurial School, identificando il processo di formazione della strategia come
una serie di mosse apparentemente incoerenti tra di loro, ma in realtà guidate dalla combinazione tra
strategie “deliberate” e strategie “emergenti”.
La Competence-Based School rinuncia definitivamente all’enfasi sulla analisi dell’ambiente
esterno e propone il concetto di “intento strategico” (strategic intent), quale energia emotiva ed
intellettuale che rompe di proposito la sintonia tra “risorse interne” e “ambiente”, focalizzando
l’attenzione sulle modalità di “tensionamento” (stretch) e “leva” (leverage) delle risorse e sul
processo di sviluppo delle competenze interne.

Con riferimento alla sistematizzazione proposta nella Tabella 1.1. i paragrafi seguenti offrono una
panoramica sulla evoluzione delle teorie strategiche. Preliminarmente, nel § 1.2., viene individuato
il grado di appartenenza dei due approcci e degli specifici contributi analizzati ai framework teorici
di riferimento. Successivamente, nei paragrafi §1.3., 1.4. e 1.5., viene affrontato il rapporto tra
piccola impresa e le prime tre scuole; data la centralità della quarta scuola rispetto agli obiettivi
della ricerca, l’analisi sui riferimenti teorici della resource based view e del competence-based
management viene approfondita nell’intero Capitolo #2. La rilevanza della letteratura sulle relazioni
tra piccola impresa e ambiente esterno viene sottolineata nel paragrafo §1.6. Alla conclusione del
capitolo, il paragrafo §1.7. affronta il passaggio dalla prima dimensione della gestione strategica, la
formulazione, alla seconda dimensione, ancor più rilevante nel caso della piccola impresa, ovvero i
contenuti della strategia e le principali categorie di opzioni disponibili per la implementazione del
pensiero strategico.

§1.2. L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI STRATEGICI NELL’AMBITO DELLE TEORIE ECONOMICHE

Come anticipato nella Tabella 1.1., appare fondamentale ricostruire il profondo legame tra
l’evoluzione del pensiero strategico e le corrispondenti matrici a livello di teoria economica. Come
autorevolmente sottolineato (Winter, 1991), il ponte tra economisti e “gestionali” va rafforzato, data
la potenziale reciproca fecondità tra due discipline che partono da punti di vista diversi:

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l’economista è interessato alle risultanze del gioco competitivo tra le imprese, mentre il gestionale
guarda alle specifiche prestazioni della singola impresa. Nonostante tale differenza, la crescente
varietà tra imprese operanti nella stessa industria costringe ad una convergenza tra teorie
economiche, che spiegano natura ed esistenza delle imprese, e modelli strategici. Questi ultimi
utilizzano le teorie economiche come utensili concettuali, rilasciando risultati che possono aiutarne
la verifica empirica. Infatti, l’eterogeneità tra le singole imprese, che va emergendo quale necessaria
precondizione per la validazione delle teorie dell’impresa, diventa terreno comune per economisti e
studiosi di strategia (Knudsen, 1995).
Nella Tabella 1.1. è stato proposto un tentativo di collegare i due approcci e le quattro scuole
fondamentali sulla gestione strategica alle principali teorie dell’impresa. Diversi autori hanno
proposto classificazioni e comparazioni tra le diverse Scuole utilizzando criteri di analisi più o meno
confrontabili (ipotesi di razionalità, natura dell’impresa, confini dell’impresa, ecc.), senza però
trovare accordo sul “numero”, e quindi sulla significatività, delle teorie esistenti. Kathleen Conner
(1991) nell’analizzare il consolidamento della “resource-based theory”, la confronta con cinque
grandi scuole di pensiero:
i) Neoclassica;
ii) Industrial Organization;
iii) Schumpeter;
iv) Scuola di Chicago;
v) Costi di transazione.
Seth e Thomas (1994) giungono a sette teorie, aggiungendo e/o sostituendo alle precedenti,
quattro ulteriori tipologie: Nuova Industrial Organization, Teoria Comportamentale, Teoria
Manageriale, Teoria Principale-Agente. Knudsen (1995), utilizzando diverse dimensioni di analisi,
va oltre ed identifica dieci teorie dell’impresa, aggiungendo a quelle già citate la teoria
costituzionalista, le teorie evolutive e la resource-based theory.
Una ulteriore chiave di lettura è quella che ricollega le teorie economiche ai “prestiti” che esse, di
volta in volta, hanno tratto dalla teoria dei sistemi. In tal senso è possibile distinguere (Faccipieri,
1988, Di Bernardo 1987) tra: i) teoria dei sistemi cibernetici; ii) teoria dei sistemi aperti; iii) teoria
dei sistemi autopoietici, iv) teoria dei sistemi complessi.
Nella classificazione utilizzata ai fini di questa ricerca si è ritenuto di poter procedere in maniera
drastica, ricollegando i due approcci alla gestione strategica (#1 Esterno-Interno e #2 Interno-
Esterno) a due Teorie dell’Impresa fondamentali: i) la Industrial Organization con la relativa
cornice concettuale “Struttura-Condotta-Performance”; ii) le Teorie Evolutive con la relativa
concezione dinamica e complessa del rapporto impresa-ambiente.
L’intimo legame tra Approccio #1 Esterno-Interno e Industrial Organization emerge con
chiarezza: le prestazioni, in termini di efficienza, sia statica che dinamica, sono ricondotte alle
decisioni (di prodotto, di prezzo, di R&S, di differenziazione) dei singoli attori, le quali dipendono
dalla struttura del settore (numero di imprese, grado di integrazione e differenziazione, barriere,
struttura dei costi). In realtà la struttura non è del tutto esogena, ma è legata ad alcune sottostanti
“condizioni di base” che riguardano sia l’offerta (tecnologia, materie prime, ecc.), sia la domanda
(elasticità, sostituibilità, tassi di crescita, tendenze). Inoltre il meccanismo non è del tutto lineare dal
momento che le relazioni tra struttura, condotta e performance sono condizionate da importanti
effetti di retroazione. La scuola della “pianificazione strategica” si è sviluppata con diretto
riferimento allo schema Struttura-Condotta-Performance, tanto da portare alcuni a parlare di un
“Bain-Porter framework” (Mahoney e Pandian, 1992), che identifica quale fonte del vantaggio
competitivo una condotta strategica della singola impresa adeguata al settore.
Altrettanto chiaro appare il legame tra l’ Approccio #2 Interno-Esterno e le Teorie Evolutive che
poggiano sui cardini dell’evoluzione biologica (Dosi e Nelson, 1994):
a. unità di selezione;
b. meccanismo che unisce genotipi e fenotipi;

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c. meccanismo di interazione tra fenotipi (selezione ambientale);
d. meccanismo di generazione della varietà.
La differenza tra i concetti fondamentali di “gene”, quale piccolissima quantità di ADN capace di
autoduplicarsi, di mutare e di trasmettersi indefinitamente per eredità, e di “fenotipo”, quale insieme
delle caratteristiche apparenti risultante dall’interazione tra genotipo e ambiente, chiarisce che per
gli evoluzionisti l’esistenza, la sopravvivenza e le prestazioni della singola impresa sono
sostanzialmente legati alla endogeneità dei criteri di selezione. Analogamente nell’Approccio #2
Interno-Esterno alla formulazione strategica, i profitti differenziali di imprese operanti nelle stesse
industrie dipendono dalla natura distintiva nella costellazione di risorse e competenze interne,
piuttosto che dal posizionamento competitivo rispetto all’ambiente esterno.
Mentre il legame tra i due approcci strategici proposti e le due teorie dell’impresa individuate
sembra concettualmente verificato (Approccio #1Esterno-Interno e Industrial Organization;
Approccio #2Interno-Esterno e Teorie Evolutive), non è possibile individuare una analoga
corrispondenza tra le due scuole pure (Planning School e Competence-Based School) e le citate
teorie economiche. Infatti entrambe le scuole, pur proponendo due opposte spiegazioni dei profitti
differenziali tra imprese (“industry specific” per la prima, “firm specific” per la seconda) sembrano
avere entrambe una comune ispirazione per dottrina economica alla “Scuola di Chicago” e alla
Industrial Organization. Ci riferiamo in particolare all’enfasi sulla struttura industriale,
all’approccio statico e di equilibrio comunque proposto, alla performance come conseguenza di
differenti dotazioni di risorse, al riferimento prevalente alla grande impresa (Mariotti, 1998).
Un ulteriore elemento problematico del rapporto tra “Resource-Competence based strategic
management” e teorie economiche è rilevabile nel prestito implicito che viene operato rispetto alla
Teoria dei Costi di Transazione, nella misura in cui vengono enfatizzati il ruolo delle risorse esterne
(firm-addressable assets), la abilità di networking dell’impresa, la variabilità dei confini
dell’impresa e, in definitiva il riferimento a forme di governo dell’impresa intermedie tra gerarchia
e mercato. Infatti, può non essere del tutto coerente che mentre per giustificare la rilevanza delle
competenze e dei meccanismi di apprendimento si sottintenda l’adesione alla prospettiva evolutiva,
la necessità di far quadrare il cerchio con la rilevanza dei meccanismi di cooperazione, in
particolare nella R&S, è sostenuta da concetti propri di una opposta concettualizzazione: la
prospettiva contrattualista in cui indubbiamente si colloca la teoria dei costi di transazione.
In realtà, come vedremo nel Capitolo #2, il processo graduale di sviluppo delle teorie strategiche è
caratterizzato da una integrazione tra concetti derivanti dai due approcci. Infatti, da un lato, la
letteratura strategica ha largamente sottolineato la rilevanza della conoscenza quale risorsa chiave
per l’acquisizione e il sostenimento di vantaggi competitivi da parte della singola impresa (Prahalad
e Hamel, 1994; Grant, 1994; Sanchez et al., 1996). D’altro canto la letteratura sui Sistemi di
Imprese ha sottolineato come per la singola impresa, in particolare la piccola impresa, lo sviluppo
dell’innovazione sia legato profondamente alla sua capacità di gestire relazioni con il sistema locale
e territoriale (Dioguardi, 1995; Gottardi, 1997a; Petroni, 1997) e con i canali di circolazione della
tecnologia quali Università, imprese leader e clienti innovativi (Raffa e Zollo, 1998a; Albino,
Garavelli, Schiuma, 1997; Acs e Audretsch, 1991). La supposta incongruenza nasce dalla
constatazione che l’uso congiunto dei due concetti citati, conoscenza e capacità relazionale,
nasconde una contaminazione tra due quadri di riferimento piuttosto diversi:
i) l’attenzione ai processi di apprendimento e di gestione della conoscenza poggia
fondamentalmente sulle “teorie evolutive” e “competence-based” (Nelson e Winter,
1982; Foss, 1993);
ii) l’enfasi sui processi relazionali e di “networking” nasce dall’analisi delle forme di
governo delle transazioni intermedie tra mercato e gerarchia, sviluppate nell’ambito
dell’approccio contrattualista e, in particolare, della teoria dei costi di transazione
(Williamson, 1975).

12
Alcuni autori (Fransman, 1994; Gottardi, 1997b) hanno riscontrato caratteri di inconciliabilità tra
l’approccio competence-based e quello contrattualista, derivanti dalla divaricazione di principi,
concetti e interpretazioni sulla natura e sui confini dell’impresa. Nondimeno altri autori (Foss, 1996;
Colombo, 1998, Campanini, 1998) hanno sostenuto l’idea dell’integrazione tra le due teorie; tale
integrazione potrebbe derivare dalla considerazione che i due approcci trattano, in realtà, due aspetti
complementari: lo “scambio” nella teoria contrattuale, la “produzione” nella teoria delle
competenze. Come sottolineato da Mariotti (1998) tale dialettica tra l’approccio competence-based
e quello contrattualista apre un ponte verso la “business strategy”; essa, infatti, nonostante il
persistente ancoraggio allo schema Struttura-Condotta-Performance, potrebbe offrire supporti allo
sviluppo di ricerche empiriche sullo studio della varietà tra imprese operanti nelle stesse industrie.
Coerentemente con tali precisazioni e con gli spunti da essa derivanti, in questa ricerca verrà
sviluppato un tentativo di contribuire allo sviluppo di ricerche empiriche per la comprensione delle
differenze tra imprese operanti nella stessa industria a partire da una integrazione tra approccio
competence-based e approcci relazionali allo studio delle strategie di innovazione nella piccola
impresa.

§1.3. IL RAPPORTO TRA PLANNING SCHOOL E PICCOLA IMPRESA

Ai fini degli obiettivi della ricerca sembra utile analizzare il rapporto tra gli aspetti concettuali
delle quattro scuole identificate nella Tabella 1.1, e le specificità dei processi organizzativi e
strategici della piccola impresa.
La scuola della “pianificazione strategica” si è sviluppata, come anticipato precedentemente, con
diretto riferimento allo schema Struttura-Condotta-Performance, tanto da portare alcuni a parlare di
un “Bain-Porter framework” (Mahoney e Pandian, 1992) che identifica quale fonte del vantaggio
competitivo una condotta strategica della singola impresa adeguata al settore. Per la singola impresa
tale approccio, largamente dominante nella letteratura degli ultimi due decenni grazie al suo
orientamento a modelli di equilibrio e di razionalità, richiede un poderoso apparato organizzativo
capace di realizzare adeguate attività di analisi: dalle megatendenze a livello di scenario, alle cinque
forze competitive “di Porter”, alle evoluzioni dei comportamenti d’acquisto dei clienti.
E’ il caso di sottolineare la contraddittorietà tra tale approccio analitico-formale e alcune
caratteristiche fondamentali dei processi della piccola impresa, quali:
la centralità del ruolo dell’imprenditore (Marchini, 1995a; Bull e Willard, 1996);
l’assenza di contrasto tra obiettivi personali dell’imprenditore e obiettivi dell’organizzazione
(Gervais, 1978; Haahti, 1989; Boldizzoni, 1996);
la natura adattiva e flessibile della piccola impresa derivante dalla velocità del processo
decisionale e dalla semplicità del modello organizzativo (MacMillan, 1975; Padroni, 1993;
Amin, 1996);
l’informalità dei processi nella piccola impresa (Stevenson, 1983; Pavitt et al., 1997);
l’esistenza di barriere informative per la piccola impresa (Raffa e Zollo, 1988).

A conferma di tale contraddittorietà diverse ricerche empiriche hanno confermato la assenza di


attività di pianificazione formale all’interno della maggior parte delle piccole imprese (Bamberger,
1980; Robinson e Pearce, 1988; Baccarani, 1995).
Vanno ricordati, peraltro, alcuni autori a favore della pianificazione strategica nella piccola
impresa che evidenziano la combinazione tra pianificazione strategica e gestione adattiva per
piccole imprese “emergenti”, nonché la positiva relazione tra adozione della pianificazione e
prestazioni della piccola impresa (Marchini, 1989). D’altro canto è stato sottolineato come la natura
di formalizzazione scritta della pianificazione, quando corrispondente ai requisiti di semplicità e
significatività (es. check-list), possa comunque contribuire, ad aiutare l’imprenditore sia nei
momenti di riflessione solitaria (Golde, 1964), sia, se integrata con la rilevazione di dati economico-

13
finanziari, nella interazione con consulenti esterni (Nagel, 1981). Anche in tempi più recenti una
ricerca empirica su 800 piccole e medie imprese statunitensi ha mostrato come le prestazioni
economico-finanziarie possano essere influenzate positivamente dall’adozione della pianificazione
strategica, i cui presupposti sono rappresentati dal livello di istruzione e di esperienza
dell’imprenditore e dalla percezione dell’incertezza ambientale (Hoon Lee e Matthews, 1999).
Nell’ambito del complesso rapporto tra strategia e piccola impresa diversi autori hanno
puntualizzato la differenza tra il concetto di pianificazione strategica e il concetto di pensiero
strategico (strategic thinking); quest’ ultimo, identificato quale processo creativo e “divergente”
(Heracleous, 1998), viene posto alla base delle prestazioni della piccola impresa (Lazenby, 1999).
Un ulteriore aspetto del rapporto tra pianificazione strategica e piccola impresa emerge dalla
abbondante letteratura, spesso di derivazione consulenziale, sulla gestione strategica della impresa
nascente, ovvero sul c.d. business plan per una nuova impresa. Nonostante gli ampi riferimenti al
concetto di business idea, che formulato da Norman appartiene alla entrepreneurial school
alternativa alla planning school, la maggior parte dei testi propone modelli di gestione della fase di
creazione di impresa fortemente ispirati alla logica della pianificazione strategica, che assumono
come punto di partenza della formulazione della strategia l’analisi dell’ambiente esterno, del settore
industriale, del segmento di mercato (Timmons, Dingee, Smaller, 1977, Parolini, 1991, Sciarelli,
1997). Recependo tali indicazioni gli operatori pubblici italiani hanno imposto quale standard per le
politiche di creazione di nuove imprese (es. legge 44/1986, legge 236/93, leggi regionali come la
legge 28/92 in Campania), i modelli di business plan basati sull’approccio planning. L’esempio
applicativo più consolidato è, indubbiamente, lo schema del business plan della Guida alla nuova
legge 44 (pubblicazione IG del giugno 1996).
In definitiva la analisi sulla letteratura relativa alla pianificazione strategica mantiene una sua
importanza storica per l’avvio di una riflessione sul tema, inizialmente dibattuto della presenza della
formulazione strategica nella piccola impresa; d’altro canto emergono i limiti di natura
interpretativa di tale approccio che può essere considerato superato rispetto alla natura dei processi
strategici della piccola impresa. Infatti, come sottolineato da Boldizzoni (1996) la strategia nella
piccola impresa non è tanto associabile all’idea di “progetto”, ma a qualcosa di reale ed emergente
che nasce dal processo di enactment, di attivazione dell’ambiente. I successivi paragrafi sono
dedicati all’esame della Learning School e della Entrepreneurial School che appaiono sicuramente
più vicine a tale prospettiva.

§1.4. IL RAPPORTO TRA LEARNING SCHOOL E PICCOLA IMPRESA

Sicuramente più aderenti alle specificità della piccola impresa sono stati gli approcci che,
nell’ambito della classificazione definita nella Tabella 1.1., hanno privilegiato gli aspetti legati ai
processi di apprendimento (Learning School) e alle caratteristiche personali degli imprenditori
(Entrepreneurial School). Entrambe le scuole, che mostrano inconfondibili similitudini concettuali
ed interpretative, si sono sviluppate a seguito delle profonde critiche cui sono stati sottoposti,
all’inizio degli anni ottanta, il professionismo manageriale americano e l’approccio analitico-
razionalistico (Hayes e Abernathy, 1980; Peters e Waterman, 1982).

La Learning School, sviluppatasi intorno alle opere di Mintzberg (1987, 1990, 1991), pone al
centro del processo di formulazione della strategia i processi di apprendimento sviluppati secondo
una logica di tipo incrementale ed adattivo. Per questo autore esisterebbe, finanche, una profonda
incompatibilità tra pianificazione e strategia, in quanto la prima privilegia esclusivamente l’analisi,
mentre la seconda è essenzialmente la sintesi di un processo di natura decisoria e comportamentale;
tale sintesi genera una efficace combinazione tra processi analitico-razionali (strategie intenzionali e
deliberate) e processi immaginativo-intuitivi (strategie emergenti). L’enfasi sui processi di
organizzativi conduce ad una concezione fisiologica dell’impresa come organizzazione tesa
all’apprendimento continuo; il contributo fondamentale di Senge (1990) ha sottolineato il passaggio

14
dall’apprendimento adattivo all’apprendimento generativo o creativo. Alcuni autori, nel voler
sottolineare l’influenza delle esperienze passate e della storia dell’azienda e dei suoi uomini sono
giunti a definire la scuola di Mintzberg quale “existential school” (Bussolo e Zora, 1994; Lordi,
1998).
La maggiore corrispondenza tra l’impostazione della Learning School e le caratteristiche
strutturali ed organizzative della piccola impresa, emerge con immediatezza. In primo luogo,
coerentemente con gli approcci alla piccola impresa centrati sulla personalità (Gibb e Davies,
1996), la strategia rappresenterebbe una proiezione degli obiettivi personali dell’imprenditore
(Mintzberg e Waters, 1985). In secondo luogo la natura comportamentale del processo strategico
descrive con maggiore adeguatezza i processi decisionali della piccola impresa che si muove sulla
base di atti creativi, di congetture, di intuizioni, di esperienza (Fazzi, 1982; Carrier, 1999). Di fronte
alla complessità degli eventi esterni provenienti dall’ambiente e dal mercato la piccola impresa
tende a reagire sperimentando nuovi comportamenti attraverso la generazione di diversi tentativi
(Raffa e Zollo, 1988). Il tentativo di coniugare l’efficacia interpretativa della Learning School con i
vincoli di una necessaria codificazione e formalizzazione di piani e programmi (Sciarelli, 1997) è
stato riscontrato nel concetto di orientamento strategico di fondo (Coda, 1988), quale complesso di
valori alla base dei comportamenti imprenditoriali. Un perfezionamento di tale approccio è
possibile introducendo anche nella piccola impresa gli elementi dell’incrementalismo logico
(Quinn, 1980), per mezzo di una guida di fondo che colleghi le singole esperienze di apprendimento
alla visione dell’imprenditore (Marchini, 1995b). Il concetto di sapere imprenditoriale (Corno,
1989), risultante dalla interconnessione tra consapevolezza dell’ambiente, conoscenze specifiche e
capacità operative, risulta particolarmente adatto alla realtà della piccola impresa ma non
generalizzabile dato il suo intimo legame con le esperienze preesistenti; tale approccio permette di
ricondurre ad unità la rilevanza dei processi creativi e la necessità di processi di trasferimento e
codificazione della conoscenza, attraverso tre vie conoscitive: la metafora, l’analogia il modello.

§1.5. IL RAPPORTO TRA ENTREPRENEURIAL SCHOOL E PICCOLA IMPRESA

Nel caso della Entrepreneurial School, sviluppatasi intorno agli studi di Normann (1977, 1984) e
all’esperienza svedese del SIAR – Scandinavian Institute for Administrative Research, al centro del
processo di formulazione della strategia non c’è una analisi puntuale delle informazioni
sull’ambiente esterno e dell’impatto delle diverse opzioni strategiche, bensì la visione del leader del
gruppo imprenditoriale. Le distanze dalla Planning School appaiono ancora più marcate dal
momento che la formulazione della strategia non è più vista come un processo decisionale, in cui a
partire dalla definizione degli obiettivi vengono analiticamente sviluppate le scelte tra le diverse
alternative. Viceversa essa viene descritta fondamentalmente come un processo di apprendimento in
cui l’efficacia della pianificazione dello sviluppo aziendale è intimamente legata alle teorie
organizzative. La business idea, la cui unicità conduce alla dominanza di nicchie di mercato, esalta
gli aspetti di consonanza tra elementi dell’ambiente esterno (il segmento di mercato) e la
configurazione interna dell’impresa (sistema di prodotto e caratteristiche della struttura
organizzativa dell’impresa). La visione, identificabile come la forma generica di una business idea
potenziale, esalta le capacità intuitive dell’imprenditore e permette di ottimizzare gli stati di
tensione all’interno dell’impresa rispetto ai processi di apprendimento dell’organizzazione.
La Entrepreneurial School ha generato diverse interpretazioni significative con riferimento alle
piccole imprese. Filion (1990), illustrando una ricerca su piccole e medie imprese operanti in diversi
paesi, abbina al concetto di visione, che viene distinta in centrale, secondaria ed emergente, il
sistema di relazioni familiari, aziendali ed ambientali dell’imprenditore. Le prestazioni strategiche
dell’impresa vengono a dipendere dall’efficace combinazione tra visioni e relazioni, realizzata
attraverso opportune attività di networking. Emerge così la centralità delle attività relazionali che,
grazie a meccanismi di retroazione, realizzano e correggono la proiezione visionaria
dell’imprenditore. Una ulteriore applicazione alla piccola impresa dell’approccio in questione è

15
derivabile dall’analisi del concetto di “Formula imprenditoriale” (Coda, 1994), che emerge dalla
coerenza tra quattro elementi: Concorrenza, Mercato, Sistema di Prodotto e Struttura Aziendale.
La coerenza tra questi aspetti può essere data, nel caso della piccola impresa dalla consapevolezza
(awareness) dell’imprenditore (Gibb e Scott, 1985), ovvero dalla sua abilità nel valutare, anche
parzialmente, l’impatto complessivo di ogni singola decisione strategica.
In tempi più recenti, a partire dalla business idea, è stato proposto, quale strumento applicativo per
la gestione dei processi di creazione e valutazione di nuove imprese, il concetto di idea
imprenditoriale (Rea et al., 1999) che tenta di coniugare l’approccio planning con l’approccio
entrpreneurial. L’autore ipotizza che il processo di business planning rappresenti una graduale
chiarificazione della visione iniziale, capace di definire progressivamente i confini e i contenuti
della nascente impresa.
Un potenziale limite dell’approccio entrepreneurial è riscontrabile nella sua implicita visione
dell’imprenditore quale “soggetto predestinato” grazie al possesso di caratteristiche strettamente
personali. Tale possibilità è confermata dallo stesso Normann il quale, sulla base di evidenze
empiriche, osserva come la genesi dell’impresa più che da un talento gestionale “generale” derivi
più spesso da imprenditori “speciali” che sembrano predestinati ad imparare un tipo specifico di
business idea. Driessen e Zwart (1999) propongono, a riguardo, una puntuale rassegna della
rilevante letteratura sulle caratteristiche personali dell’imprenditore di successo, distinguendo tre
fattori primari (need for achievement, internal locus of control, risk propensity) e cinque fattori
secondari (need for autonomy, need for power, tolerance for ambiguity, need for affiliation,
endurance) collegati alle prestazioni. D’altro canto solo in alcuni casi gli studi sulla piccola impresa
hanno riscontrato una correlazione altrettanto forte tra successo imprenditoriale e possesso di abilità
manageriali, sia generali, sia nelle diverse aree funzionali (Bull e Willard, 1996).
La Entrepreneurial School presenta notevoli punti di contatto con la Learning School, in
particolare per quanto attiene alla visione della formulazione strategica in un’ottica processo,
piuttosto che in un’ottica obiettivo, e alla rilevanza dei processi di apprendimento. D’altro canto se
ne differenzia in quanto, attribuendo un minore incrementalismo alle scelte strategiche, identifica i
risultati finali (la strategia realizzata) più come proiezioni, in qualche modo prefigurate se non
preordinate, della visione, che non come esito, in qualche modo casuale, della interazione tra
decisioni iniziali (le strategie deliberate) e influenze ambientali ed organizzative (le strategie
emergenti).
Nei suoi sviluppi successivi Norman, trattando specificamente la gestione strategica delle imprese
di servizi (1984), ha enfatizzato il ruolo fondamentale per l’efficienza a lungo termine svolto dalla
cultura; pur senza entrare nel dettaglio degli importanti contributi relativi alle relazioni tra cultura,
gestione strategica e prestazioni (Alvesson e Berg, 1993; Peters e Waterman, 1982; Meek, 1989) è
importante rilevare come nel caso della piccola impresa il rapporto tra cultura e imprenditorialità sia
strettamente legato al contesto locale (Johannisson, 1991, 1998).
La maggiore aderenza alla realtà della piccola impresa dei concetti derivanti dalla Learning e,
ancor più dalla Entrepreneurial School, sembra evidenziare, in realtà come, per la piccola impresa,
la analisi e la gestione della dimensione esterna del problema strategico (l’Ambiente) sia stata
considerata prevalente rispetto alla dimensione interna (la Configurazione). Ciò dipenderebbe sia
dalle limitate capacità di analisi esterna della piccola impresa, sia dalla minore complessità
gestionale della dimensione interna. Tali aspetti fondamentali della piccola impresa, accompagnati
dall’affermarsi della teoria dei costi di transazione (Williamson, 1975) e del modello della
specializzazione flessibile (Piore e Sabel, 1984) hanno alimentato una eccezionale produzione
scientifica sulla rilevanza dell’Ambiente Esterno rispetto all’esistenza, alla natura e ai percorsi della
piccola impresa. Tale letteratura sulla piccola impresa, sviluppatasi nei diversi filoni dei “distretti
industriali” (Becattini, 1987; Brusco, 1986), dei “sistemi di imprese” (Dioguardi, 1994; Gottardi,
1997a), delle “reti di imprese” (Lorenzoni, 1992; Fletcher, 1996), costituisce una base fondamentale

16
per la comprensione del “campo di azione” strategico della piccola impresa. A tale argomento è
dedicato il paragrafo seguente.

§1.6. UN ELEMENTO FONDAMENTALE: L’AMBIENTE STRATEGICO E LE RETI RELAZIONALI DELLA


PICCOLA IMPRESA

Il rapporto tra ambiente esterno e piccola impresa presenta delle caratteristiche particolari, dal
momento che i limiti dimensionali ne determinano una sua maggiore dipendenza dall’ambiente
esterno. Infatti la piccola impresa è una entità incompleta, ovvero un sistema aperto. Essa non
possiede al proprio interno le risorse per sostenere uno sviluppo interno di competenze in un
orizzonte di lungo periodo (Huppert, 1981; Marc, 1982; Nagel, 1981), ha processi decisionali
elementari, basati quasi esclusivamente sulle capacità del gruppo imprenditoriale (Padroni, 1993),
non sviluppa attività strategiche quali formazione, marketing, R&S (Raffa e Zollo, 1998b), cerca di
ridurre al minimo i costi fissi e di utilizzare al massimo le risorse umane (Lassini, 1990).
Conseguentemente la piccola impresa è costretta a concentrare i propri sforzi nella ricerca di
complementarità con le risorse disponibili nell’ambiente esterno (Dodgson, 1990; Oakey, 1984;
Brown e Schwab, 1984).
La letteratura strategica distingue generalmente tra un macro ambiente, definito di volta in volta
come scenario o contesto generale, e un microambiente, definito anche come ambiente competitivo,
ambiente transazionale o settore (Kotler, 1980; Sciarelli, 1997; Grant, 1994). La letteratura sulla
piccola impresa tende a mantenere questa distinzione (Usai, 1981), anche se in realtà l’ambiente
sembra rappresentare “un continuum in cui la rilevanza delle componenti diventa una questione di
grado” (Buttà, 1984). In tal senso appare chiaro come, l’imprenditore non operi in un ambiente dato
con caratteristiche oggettive e rigidi meccanismi di funzionamento, ma crei un suo specifico
ambiente scegliendo partner e controparti e stabilendo relazioni uniche con essi (Weick, 1979).
Conseguentemente ciascuna impresa ha un suo particolare ambiente esterno che diventa parte della
formulazione strategica, e qui il riferimento al concetto di “posizionamento” derivante dalla
“planning school” emerge con forza, piuttosto che contesto del tutto esogeno in cui l’impresa
compete (Abell, 1980). La natura fortemente adattiva della piccola impresa genera una tendenza a
circoscrivere ulteriormente l’ambiente rilevante con strategie di nicchia (Marchini, 1995b).
Risultano chiari, soprattutto nel medio-lungo periodo i pericoli di tale strategia quali la mancata
comprensione dell’impatto delle variazioni ambientali, concorrenziali e di mercato sulla posizione
competitiva detenuta dall’impresa (Raffa e Zollo, 1998b). In particolare la piccola impresa rischia
di non decodificare i “segnali deboli” provenienti dall’ambiente esterno, ovvero quei fatti parziali,
anticipatori di eventi che non si sono totalmente realizzati (Ansoff, 1984). Molteplici studi hanno
dimostrato come la piccola impresa possa compensare tale incapacità per mezzo di meccanismi di
apprendimento collettivo nell’ambito dei diversi sistemi relazionali cui essa partecipa (Grepme,
1994; Lesca et al., 1999; Albino et al., 1997); tali meccanismi sono stati efficacemente descritti
attraverso le metafore del laboratorio cognitivo (Becattini e Rullani; 1993) e del milieu innovateur
(Camagni, 1989).
In particolare quest’ultimo concetto conduce a quella che può essere considerata come la
dimensione prevalente dell’ambiente per la piccola impresa: il contesto territoriale in cui essa opera
e con il quale stabilisce una pluralità di rapporti economici e sociali. La letteratura sul rapporto tra
piccola impresa e contesto territoriale ne ha evidenziato sia gli effetti positivi, che quelli negativi.
In primo luogo diversi autori hanno sottolineato l’influenza favorevole dell’ambiente locale
sull’imprenditorialità. Tale effetto, ampiamente documentato dagli studi sui contesti statunitensi di
Silicon Valley, Route 128 e Triangle Research in North Carolina, è osservabile sia nello stimolo del
sistema territoriale alla nascita di nuove imprese (Varaldo, 1995; Johnstone e Kirby, 1999), sia nel
ruolo svolto dalla cultura collettiva (Bearse, 1982), sia nella prospettiva dei sistemi sociali (Van de
Ven, 1993). Questo autore ritiene che la maggior parte delle innovazioni imprenditoriali siano dei
traguardi collettivi condivisi da molti soggetti pubblici e privati che sviluppano infrastrutture a

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supporto dell’imprenditorialità. Negli ultimi anni diversi autori hanno studiato il ruolo delle
infrastrutture a partire dalle eccellenti prestazioni delle infrastrutture collegate al Massachusetts
Institute of Technology e alla Stanford University. La creazione di nuove imprese strettamente
legate ai sistemi di innovazione locali è stata analizzata in diversi paesi europei, come nel caso della
Cambridge University in Gran Bretagna (Wickstead, 1985), dell’ Università di Twente in Olanda
(Kobus e Van Barneveld, 1994), della Chalmers University of Technology in Svezia (McQueen e
Wallmark, 1991; Bellini et al., 1999), delle università finlandesi (Autio e Yli-Renko, 1998),
portoghesi (Fontes e Coombs, 1995), spagnole (Sanchez e Tejedor, 1995) e italiane (Chiesa e
Piccaluga, 1997, Lanzara e Piccaluga, 1997; Bellini et al., 1998).
Altri autori hanno rilevato i condizionamenti negativi che l’ambiente locale può generare rispetto
all’organizzazione e alla crescita della piccola impresa. La condizione locale e regionale
dell’ambiente di riferimento spesso spinge, attraverso meccanismi di emulazione, ad una
omologazione delle principali scelte strategiche delle piccole imprese riguardanti il tipo di prodotto,
la struttura organizzativa, i modelli di comportamento (Padroni, 1993). La letteratura sulle aree in
ritardo di sviluppo ha ulteriormente analizzato l’incidenza negativa dell’ambiente. A riguardo è
possibile individuare due orientamenti di fondo: da un lato la proposta di modelli di sviluppo
fondati sull'iniziativa spontanea e sulle forze emergenti dell'imprenditorialità locale (Lizzeri, 1983;
Pontarollo, 1983), dall'altro, il mantenimento della centralità del ruolo delle grandi imprese e
dell’intervento pubblico diretto rispetto alle forze spontanee del mercato (Del Monte e Giannola,
1989, Del Monte, 1994).
Nel primo caso rientrano i modelli di sviluppo che vedono al centro le Pmi locali e le relazioni
intercorrenti tra esse. In tale filone trovano collocazione numerosi sottomodelli che secondo una
schematizzazione proposta da Garofoli (1992) possono dar luogo alle seguenti tipologie di
concentrazioni territoriali di piccole imprese:
i) Aree di specializzazione produttiva, caratterizzate dalla prevalenza di piccole imprese
attive nello stesso settore ed in concorrenza tra di loro. In queste aree si trovano
soprattutto imprese sub-fornitrici operanti in settori tradizionali;
ii) Sistemi produttivi locali, concentrazioni di imprese appartenenti a settori diversi ma
verticalmente collegati e sottoposti a forme più o meno forti di coordinamento da parte
di imprese-guida;
iii) Aree-sistema, caratterizzate dalla prevalenza di piccole imprese, ma con un'elevata
articolazione produttiva e un'accentuata divisione del lavoro che le rende fortemente
interrelate sia a livello infrasettoriale che a livello intersettoriale.
I distretti industriali rappresenterebbero un caso speciale di area sistema, in quanto sommano alle
caratteristiche delle aree-sistema i seguenti elementi:
una spinta specializzazione produttiva;
un efficiente sistema informativo di "area";
una diffusa professionalità dei lavoratori locali;
la diffusione di rapporti "faccia a faccia" tra gli operatori;
un'immagine unitaria, più o meno stereotipata, ma riconosciuta dagli attori del distretto
industriale.
Il secondo orientamento, invece, non va inteso come un ritorno alla grande impresa verticalmente
integrata che opera isolatamente rispetto al territorio circostante, ma ad imprese di grandi
dimensioni che però abbiano avviato processi di ristrutturazione secondo il modello della
produzione flessibile, e si siano riorganizzate diversificandosi in unità specializzate autonome e
semi-autonome, le quali stabiliscono relazioni contrattuali con la casa madre e, al tempo stesso,
avviano rapporti di fornitura indipendenti ad altre imprese del mercato. Di conseguenza anche
nell'ambito di un modello sviluppo basato sull'incentivazione delle grandi imprese non viene a
rompersi l'importante ruolo delle imprese di minori dimensioni che vengono a beneficiare della
domanda di servizi e prodotti indotti dalla grande impresa.

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In definitiva entrambi gli orientamenti affermano, dal punto di vista della gestione strategica della
singola piccola impresa, la centralità del sistema relazionale con le risorse disponibili nell’ambiente
locale.
In realtà le risorse, pur presenti nell’ambiente locale non si rendono disponibili se non si realizza
una particolare condizione ambientale, che Becattini ha efficacemente sintetizzato nel concetto di
“atmosfera imprenditoriale” (Becattini, 1979), e, più recentemente, di “genuina partecipazione” dei
singoli agenti in funzione della competitività del tessuto socio economico cui appartengono
(Becattini, 1999). Nelle aree-sistema l’atmosfera imprenditoriale è già disponibile, come risultato di
un processo di formazione storico, fatto di tradizioni imprenditoriali, di pratiche manageriali, di
valori condivisi, di specializzazioni produttive, di manodopera specializzata, di mezzi finanziari, di
organi di tutela e promozione, di rapporti personali, di fiducia reciproca. Nella prospettiva della
gestione strategica della singola piccola impresa rispetto al contesto esterno appare necessario il
passaggio del focus di analisi dalle relazioni organizzate in sistema alle relazioni organizzate in
rete (Vaccà, 1989). Queste ultime, infatti, si caratterizzano per una maggiore coesione a sostegno
delle competenze aziendali dal momento che esse si basano su un comune linguaggio che rende
efficaci le comunicazioni di esperienze specifiche e complementari.
L’ipotesi della rete si traduce in una precisazione del rapporto tra piccola impresa ed ambiente:
non più un rapporto generico tra la piccola impresa ed un ambiente circostante indifferenziato,
anonimo ed estraneo, bensì un rapporto punto-punto, che collega tra loro soggetti ben individuati,
che condividano in parte risorse, obiettivi e valori (Bellini et al., 1996). L’insieme dei rapporti
reticolari finirà per costituire l’ambiente di riferimento dell’impresa: un ambiente artificiale che in
parte si intreccia con l’ambiente locale, ma in parte se ne rende autonomo, e quindi non
condizionabile negativamente da quest’ultimo in modo decisivo.
L’ampia letteratura sulla rilevanza dell’ambiente esterno per la comprensione delle specificità
della gestione strategica della piccola impresa invita, quindi, ad assumere la particolare lente del
rapporto punto-punto tra piccola impresa e specifici attori dell’ambiente di riferimento, per
interpretare tutti i contributi sviluppati negli studi strategici nati con riferimento alla realtà della
grande impresa. Tale assunto assumerà particolare rilevanza nell’analisi delle strategie di
innovazione, contenuta nel Capitolo 3, che costituirà il quadro di riferimento specifico dello schema
di analisi utilizzato per la ricerca empirica.

§1.7. DALLA FORMULAZIONE AI CONTENUTI: LE OPZIONI STRATEGICHE DELLE PICCOLE IMPRESE

Passando dalla analisi delle modalità di formazione delle strategie nelle piccole imprese alla analisi del
contenuto delle strategie stesse, sembra utile prendere le mosse dalla classificazione delle opzioni
strategiche delle piccole imprese proposta da Isa Marchini (1995b):
Strategie competitive generiche;
Strategie di sviluppo;
Strategie di internazionalizzazione;
Strategie di turnaround;
Strategie di innovazione tecnologica.

A partire da tale classificazione questo paragrafo sviluppa una panoramica delle singole opzioni;
come apparirà più chiaramente dai capitoli successivi l’approccio competence-based conduce al
superamento di alcune posizioni tradizionali e all’affermazione della centralità delle strategie di
innovazione, il processo di analisi, scelta e organizzazione (Intelligence- Selezione-Acquisizione e
Timing) delle risorse aziendali al fine del miglioramento delle prestazioni e/o delle competenze.
Per quanto attiene alle strategie competitive le caratteristiche strutturali sembrano escludere la
necessità di distinguere un livello corporate da un livello business (Hofer e Schendel, 1978)
nell’ambito della gestione strategica della piccola impresa (Grant, 1991). Inoltre la prevalenza degli

19
approcci “non planning” ha già dimostrato come nel caso della piccola impresa il contenuto della
strategia corporate (la scelta delle aree di business in cui operare) non possa derivare dalla
valutazione del “grado di attrattività del settore” (Porter, 1984); tale valutazione, infatti, richiede
cospicue risorse manageriali e finanziarie per realizzare le tipiche analisi proposte dalla letteratura:
SWOT Analysis (Andrews, 1971), modello delle cinque forze (Porter, 1980), matrici di portafoglio
(Hedley, 1977; Hofer e Schendel, 1978). La presenza della piccola impresa in determinate aree di
business sembra, invece, dipendere più da componenti di natura soggettiva, come il percorso
professionale dell’imprenditore-fondatore (Roberts, 1991), e da componenti di natura ambientale,
come le opportunità offerte da situazioni industry-specific (Barras, 1990) o country-specific1.
Viceversa le strategie competitive, intese quali comportamenti competitivi dell’impresa all’interno
di un settore o di un mercato specifico, sembrano rappresentare il focus degli studi sulle opzioni
strategiche delle piccole imprese; a riguardo sembra necessario rileggere in un’ottica small alcuni
concetti chiave.
Innanzitutto lo stesso concetto di vantaggio competitivo sostenibile (Porter, 1985) quale “base di
una prestazione a lungo termine superiore alla media del settore” va inteso nel caso della piccola
impresa con riferimento a prestazioni/rendimenti soddisfacenti, piuttosto che superiori alla media
(Marchini, 1995b).
Riguardo alle tipologie specifiche di Strategie Competitive, quali leadership di costo,
differenziazione, focalizzazione (Porter, 1980) o segmentazione, indifferenziazione, focalizzazione
(Abell, 1980, Chrisman et al., 1988) alcuni autori hanno escluso la possibilità per la piccola impresa
di perseguire strategie riferite ad ambiti competitivi allargati, restringendo, in tal modo, la
possibilità di scelta della piccola impresa alle sole varianti della focalizzazione (Rugman e Verbeke,
1988) e della strategia di nicchia. Tali conclusioni non sembrano generalizzabili dal momento che
alcune evidenze empiriche hanno dimostrato come con riferimento a settori specifici (Audretsch,
1994) o a fasi specifiche del ciclo di vita (Barras, 1990), la piccola impresa possa perseguire
strategie broad scope (su ambiti competitivi allargati) che giungono addirittura alla sfida di grandi
imprese leader di mercato. Tale fenomeno è stato efficacemente descritto da Pavitt (1997) che nella
ormai consolidata tassonomia di piccole imprese innovativa propone la categoria delle “Superstar”,
ovvero piccole imprese che a partire dagli anni cinquanta hanno prodotto spettacolari trend di
crescita grazie all’efficace sfruttamento di innovazioni o di traiettorie tecnologiche (es. Sony, Intel,
Microsoft, Benetton, ecc.).
Spostando l’analisi alla seconda categoria proposta da Isa Marchini, le Strategie di Sviluppo,
appare necessaria la definizione preliminare della peculiarità del concetto di crescita nella piccola
impresa. Una volta superata l’idea della piccola impresa quale forma organizzativa embrionale,
imperfetta e destinata a diventare grande impresa (Boldizzoni, 1996), è venuto meno anche il
tradizionale approccio quantitativo al concetto di crescita, misurato dall’aumento dei volumi di
vendita (Kotler, 1980), o delle combinazioni prodotti/mercati (Ansoff, 1965), o dei livelli di
integrazione e diversificazione produttiva (Sciarelli, 1988). Viceversa una abbondante letteratura
sulla piccola impresa concorda sulla natura qualitativa della crescita della piccola impresa, vista di
volta in volta quale momento di rilascio di energie imprenditoriali (Barras, 1990), di cambiamento
gestionale (Gibb e Davies, 1990), di trasformazione organizzativa (Snuif e Zwart, 1994).
Rispetto ai tradizionali trade-off strategici “crescita/stabilità”, “rischio/redditività”, “obiettivi di
profitto/non di profitto” (Kotler, 1980), “crescita/mantenimento del controllo proprietario ed
organizzativo” (Marchini, 1995a) una ulteriore, consolidata, letteratura sull’imprenditorialità
concorda sulla tendenziale resistenza della piccola impresa alla crescita dimensionale. Tale
propensione al mantenimento dimensionale viene, di volta in volta, ricondotta a motivazioni
familiari (Lansberg, 1983), gestionali e finanziarie (Rothwell e Zegveld, 1982), o alla preferenza

1
Per l’esame della letteratura sull’influenza positiva del contesto territoriale sulla nascita di determinate tipologie di imprese si
rinvia al precedente paragrafo §1.6.

20
per ampliamenti dello spazio operativo per mezzo di linee di crescita esterna derivanti dalla
partecipazione a sistemi reticolari (Raffa e Zollo, 1998b).
In definitiva appare chiaro come la traiettoria di crescita della piccola impresa non è mai lineare,
ma legata ad una successione qualitativa di critical event (Greiner, 1972; Kimberly e Miles, 1980),
cui corrispondono differenti opzioni strategiche, organizzative e funzionali (Boldizzoni, 1985;
Churchill e Lewis, 1983).
Tali consolidate posizioni teoriche sulla piccola impresa conducono alla impossibilità di
categorizzare le relative Strategie di Sviluppo secondo i tradizionali modelli di crescita verticale,
orizzontale e diversificata (Kotler, 1980). Viceversa sembra proponibile una sistematizzazione dei
contributi citati che, incrociando le due variabili della “tipologia di comportamento imprenditoriale”
(Stevenson, 1983; Marchini, 1995a) e del “grado di apertura organizzativa” (Raffa e Zollo, 1994)
differenzia 4 possibili opzioni (Vedi Figura 1.2.):
i) strategie di stand by;
iv) strategie di sviluppo naturale;
v) strategie di crescita esterna;
vi) strategie di specializzazione.
Figura 1.2.: Le Strategie di Sviluppo delle Piccole Imprese
Grado di Grado di
Apertura Basso Apertura Alto

Managerialità Strategie Strategie


Imprenditiva di di crescita
specializzazione esterna

Strategie Strategie
Imprenditorialità di stand by di crescita
Manageriale naturale

Fonte: Bellini, 1999.

Nel primo caso il profilo “amministrativo/attuativo” dell’imprenditore “continuatore”, unito ad un


basso livello di interazione con le diverse componenti dell’ambiente esterno, raccoglie tutti i
comportamenti strategici tesi al mantenimento dimensionale.
Nel secondo caso il medesimo profilo imprenditoriale, tendenzialmente teso al consolidamento di
“routine” e alla minimizzazione del rischio, si abbina ad un certo grado di apertura esterna, spesso
obbligato dalla evoluzione del settore industriale e della tecnologia, raccogliendo i diversi modelli
di crescita per stadi.
Nel terzo e quarto caso il profilo “dinamico/creativo” dell’imprenditore “iniziatore” sembra
raccogliere sia i modelli di “crescita a rete” della piccola impresa, sia i modelli di
“superspecializzazione” (Saporta, 1986) che, pur non coincidendo con le strategie di nicchia e/o di
focalizzazione, identificano tutti quei comportamenti finalizzati allo sviluppo qualitativo per mezzo
della unicità e forte differenziazione dei prodotti offerti (es. subfornitori consolidati, alta moda).

21
L’analisi della terza categoria di opzioni strategiche, le Strategie di Internazionalizzazione,
evidenzia la necessità del superamento di alcuni limiti del quadro teorico tradizionale sul rapporto
tra piccola impresa e processi di internazionalizzazione 2:
il superamento della dicotomia “Impresa Esportatrice-Impresa Multinazionale”, alla luce della
valenza strategica delle scelte di internazionalizzazione delle imprese;
la conseguente necessità di assumere come focus dell’analisi il Processo di
Internazionalizzazione, inteso come articolazione della scelta strategica per lo sfruttamento del
vantaggio competitivo (Vernon, 1979, Porter, 1990);
il passaggio, coerentemente con l’impostazione di questo volume, da approcci basati sulle
uniformità a quelli basati sui comportamenti differenziati delle imprese finalizzati alla
creazione e sfruttamento di fattori distintivi (Prahalad, Hamel, 1990; Porter, 1990);
il passaggio dai modelli del commercio internazionale basati sul free-trade ai modelli centrati
sulla efficienza dei meccanismi di mercato come elemento per la ottimizzazione delle
transazioni tra attori operanti in contesti internazionali (Williamson, 1975; Teece, 1986);
La necessità di studiare i processi di internazionalizzazione alla luce dei nuovi organizational
pattern basati su relazioni cooperative (Mariotti, 1993; Grandinetti e Rullani, 1992).

Soprattutto la letteratura sottolinea il profondo legame tra strategie di innovazione tecnologica e


strategie di internazionalizzazione (Vaccà e Rullani, 1983; Clark, 1987; Teece, 1987); altri autori
hanno rilevato, nell’ambito dalla teoria della internazionalizzazione per stadi la natura di
innovazione gestionale del processo di internazionalizzazione (Cavusgil, 1980; Anderson, 1993).

L’ultima categoria di opzioni strategiche prevista dalla tassonomia riguarda le strategie di


turnaround3. Nonostante la rilevanza statistica dei processi di nati-mortalità della piccola impresa è
stata rilevata una sostanziale scarsità di studi sul tema del il fronteggiamento delle crisi aziendali
(Marchini, 1995b, Dioguardi, 1999). Anche in questo caso è stata sottolineata la specificità delle
risposte della piccola impresa che, data la dimensione già ridotta, non può realizzare la sequenza di
stadi “Ridimensionamento-Rilancio” tipica della grande impresa (Robbins e Pierce; 1992). Ai fini
di questa ricerca sembra opportuno sottolineare come a partire dalla analisi delle cause di crisi sia
possibile riscontrare la presenza di alcune problematiche legate alle risorse e alle competenze
interne (es. limiti delle conoscenze detenute in funzioni-chiave, scarsa affidabilità presso i
creditori). Inoltre alcune delle principali tipologie di risanamento aziendale hanno indubbiamente
una natura innovativa (es. il riposizionamento di mercato, il riorientamento tecnologico) che rende,
ancora una volata trasversali, le strategie di innovazione rispetto alle diverse opzioni strategiche
della piccola impresa.

In definitiva appare evidente come l’affermarsi dei principi di competizione dinamica implichi la
centralità e trasversalità delle strategie di innovazione rispetto alle singole opzioni strategiche
(Raffa e Zollo, 1988, 1998b; Bertelè, 1997; Corti, 1997). Ciò avviene a maggior ragione per la
piccola impresa (Bartezzaghi, Spina e Verganti, 1999; De Chiara, 1998), la cui competitività è erosa
sia dal basso (concorrenza dei paesi in via di sviluppo) sia dall’alto (affermazione dei sistemi
flessibili nelle grandi imprese).

§1.8. OSSERVAZIONI FINALI

2
Per una completa analisi del rapporto tra competenze manageriali e fattori di competitività internazionale della piccola
impresa si rimanda al volume di Renato Passaro (1996) che propone un inquadramento teorico-interpretativo a partire dai
risultati del Progetto Finalizzato Internazionalizzazione, condotto dal CNR a partire dai primi anni novanta.
3
Per una analisi esaustiva del tema si rimanda a a Sciarelli (1995).

22
La analisi svolta in questo capitolo permette di evidenziare alcune osservazioni rispetto agli
obiettivi della ricerca:


il superamento dei concetti legati alla “pianificazione strategica” nella piccola impresa;


la maggiore aderenza alle specificità della piccola impresa degli approcci legati alla Learning
School e alla Entrepreneurial School;


la individuazione di una interpretazione del concetto di vantaggio competitivo coerente con le


specificità della piccola impresa;


la disamina di ciascuna delle opzioni strategiche ha evidenziato la necessità del superamento di


alcune “visioni tradizionali” sulla piccola impresa (es. parallelismo piccola impresa/narrow
scope, crescita quantitativa della piccola impresa, dicotomia piccola impresa
esportatrice/impresa multinazionale, ecc.);


rispetto a tale esigenza i contributi teorici più recenti su ciascuna delle opzioni strategiche
sembrano proporre una risposta costante, ovvero la necessità per la piccola impresa di poggiare
le proprie strategie su una consapevole e preordinata interazione con l’ambiente esterno e con
le diverse reti in esso identificabili (di subfornitura, di innovazione, locali, ecc.);


la preferenza, ai fini dell’analisi strategica, di una prospettiva “punto-punto”, piuttosto che


“singola impresa-scenario”, per la comprensione del rapporto tra piccola impresa e le diverse
reti e sistemi in cui essa è chiamata ad operare;


in risposta alla crescente complessità esterna e interna della piccola impresa, molti dei
contributi esaminati sembrano contenere, con diversi gradi di esplicitazione, alcuni concetti-
chiave delll’approccio competence-based, quale il ruolo della conoscenza, la rilevanza delle
risorse intangibili e, soprattutto delle risorse firm addressable, ovvero quelle risorse disponibili
nell’ambiente esterno che la piccola impresa può, grazie alla presenza di determinate capacità
organizzative, utilizzare e “indirizzare” rispetto ai propri obiettivi strategici.

Il capitolo seguente è, appunto, finalizzato ad una rassegna sui principali contributi alla base della
evoluzione degli studi strategici verso la resource-based theory e, successivamente verso il
competence-based strategic management.

23
Capitolo #2 –
Risorse e Competenze nella gestione strategica

§2.1. I FONDAMENTI DELLA RESOURCE BASED VIEW

Il riferimento della resource based view (RBV) nell’economia classica viene ritrovato in Ricardo
che per primo afferma, con riferimento alla la maggiore fertilità dei terreni, la possibilità di
maggiori rendite di una attività economica, collegate a differenze nel rendimento dei fattori
produttivi utilizzati. Altri riferimenti sono stati riscontrati sia nell’opera di John Stuart Mill che
includeva tra i fattori rilevanti ai fini della produttività le abilità e la conoscenza dei lavoratori, sia
in quella di Alfred Marshall che considerava l’organizzazione un fattore produttivo al pari di terra,
lavoro e capitale.
Molti autori assegnano la prima concettualizzazione dell’impresa come collection of resources,
frutto dell’esperienza e della conoscenza accumulata, a Edith Penrose (1959). L’autrice evidenzia
come le decisioni, da parte dell’impresa, circa l’offerta dei prodotti/servizi dipendano
essenzialmente dalla sua dotazione di risorse e dalla loro ridondanza (servizi produttivi inutilizzati).
In realtà il precursore della RBV è Frank Knight, che, discutendo sull’esistenza dell’impresa nel
lavoro seminale del 1921, identifica quale elemento determinante la “superiore capacità di giudizio”
dell’imprenditore nell’allocazione di risorse in contesti altamente incerti. L’autore, nel discutere
sull’evoluzione di una nuova idea imprenditoriale, giunge a definire un processo evolutivo di
“cefalizzazione” che conduce dall’idea iniziale alla forma gerarchica dell’impresa, intesa come
forma organizzativa superiore.
La visione dell’impresa come “insieme di risorse produttive materiali e immateriali” si caratterizza
in modo radicale rispetto alle prospettive tradizionali (Conner, 1991) in cui l’impresa è vista, di
volta in volta:


come una funzione di produzione indifferenziata (nell’economia neoclassica);




come un soggetto alla ricerca di posizioni monopolistiche per mezzo della dominanza dei
mercati (nella prospettiva struttura-condotta-performance);


come soggetto alla ricerca di posizioni monopolistiche temporanee per mezzo dell’innovazione
(nella prospettiva schumpeteriana);


come soggetto alla ricerca dell’efficienza produttiva e distributiva per mezzo della dimensione
(nella Scuola di Chicago).

In tutte queste prospettive l’impresa è vista, quindi, come un “processore di informazioni”; essa,
operando in un regime di razionalità limitata, sia sostanziale che procedurale (Simon, 1978),
fronteggia, comunque, problemi legati all’imperfezione e all’asimmetria dell’informazione. In tale
visione statica il processo di apprendimento, anche se ammesso, risulta automatico e senza costo dal
momento che esso riguarda l’assunzione di set di informazioni comunque dati e universalmente
uniformi (Marengo, 1994).
Se raffrontata alla prospettiva contrattualista-transazionista, in cui l’impresa appare come una
istituzione costituita da un insieme di contratti che economizza sui costi di transazione, appare
ancora più chiara la divaricazione nascente dalla RBV, che vede l’impresa come una istituzione rent
seeking, costituita da un insieme olistico di risorse e di capacità tenute assieme da routine
idiosincratiche (Mariotti, 1998). Nella prima prospettiva, infatti, l’impresa appare quale struttura di
incentivi che tiene insieme gli agenti economici in risposta al fallimento del mercato;
conseguentemente essa, non avendo una propria identità contingente e storica, non può essere

24
considerata un’entità proattiva e dotata di strategia, ma una mera entità reattiva, tendente a
comportamenti ottimizzanti (Foss, 1993).
In sintesi la RBV realizza tre fondamentali passaggi:
i) lo spostamento dell’analisi dall’informazione, intesa come insieme di dati riguardanti
stati del mondo e conseguenze da questi derivanti, e, quindi, essenzialmente statica ed
atomistica, alla conoscenza, intesa come informazione sviluppata all’interno della rete
concettuale e cognitiva dei soggetti e, quindi, essenzialmente dinamica e relazionale
(Fransman, 1994; Rullani, 1994);
ii) il passaggio da una visione statica ad una dinamica: l’impresa viene analizzata in un
contesto in cui tecnologie e preferenze mutano: tramite l’apprendimento l’impresa
acquisisce nuove conoscenze e modifica quelle preesistenti in modo da adeguarsi al
cambiamento (Dosi, 1982);
iii) il passaggio da un concetto di apprendimento “meccanico”, visto come incremento
dell’informazione disponibile in una logica probabilistica, ad un apprendimento
“storico”, collettivo e path dependent, inscindibilmente legato all’esperienza passata
dell’impresa che ne determina gli schemi cognitivi, i sistemi di valori e i percorsi
evolutivi (Nelson, 1991; Levinthal e March, 1993; Nooteboom, 1992; Crèmer, 1993)

E’ infatti nell’ambito del paradigma evolutivo (Nelson e Winter, 1982) che i diversi contributi
basati sui concetti di conoscenza, risorse e competenze hanno trovato una più chiara e definita
autonomia (Campanini, 1998). Esso, infatti, ha fornito un quadro teorico alternativo che, a partire
dalle influenze fondamentali di Schumpeter, Simon e della stessa Penrose, non solo ha rifondato
alcune ipotesi della teoria neoclassica, ma ha posto al centro dell’analisi economica il cambiamento
tecnologico, la capacità innovativa della singola impresa e la varietà delle singole imprese non solo
fra industrie diverse ma anche e soprattutto all’interno della stessa industria (Nelson, 1991). Il
concetto-chiave che lega la RBV alle teorie evoluzioniste è quello di routine organizzativa, intesa
come insieme di procedure depositarie di conoscenza organizzativa acquisita attraverso la
conoscenza intesa come risultato di "problem solving" (Grant 1991; Nelson e Winter 1982).
Le routine organizzative vengono intese come espressione del sapere delle imprese e modalità di
accumulazione e rappresentazione della conoscenza dell'impresa che si rende evidente nell'attività
quotidiana. Le routine rappresentano il modo in cui viene utilizzata la conoscenza che
un'organizzazione ha accumulato, memorizzato e diffuso. In particolare si tratta di conoscenza
tacita (Nonaka e Takeuchi, 1995) quindi non dichiarata o esplicitata, ma più tipicamente
procedurale e spesso neppure verbalizzabile.
Le routine organizzative permettono di spiegare i due meccanismi di base utilizzati dalla teoria
economica a partire dai cardini dell’evoluzione biologica:


la generazione della varietà, che viene spiegata dalla natura tacita, firm e agent-specific della
conoscenza e dalla contemporanea presenza di elementi intenzionali (“lamarckiani”) e
stocastici (“darwiniani”) nei comportamenti dell’impresa, secondo la sequenza
reazione/esplorazione/creazione/apprendimento;


la conservazione e trasmissione della varietà (presupposto per la selezione) che vengono


spiegate dalla capacità delle routine di incapsulare le conoscenze tacite dei singoli e dei team
in contesti idiosincratici di impresa, e dalla loro possibilità di essere replicate, a seconda del
grado di incapsulamento.

In campo strategico4 la RBV si è affermata nel corso degli anni Ottanta, come reazione alla
concezione dominante della strategia dell'impresa legata unicamente a fattori esterni ambientali
4
La rilevanza dell’approccio RBV è rilevabile, inoltre, nella sua fecondità non solo rispetto agli studi strategici, ma anche
rispetto a quelli organizzativi (per un inquadramento generale si rimanda a Bergami e Zanoni, 1997) e di manufacturing (per
un inquadramento generale si rimanda a De Toni e Tonchia, 1998).

25
quali opportunità e minacce di mercato. La rivalutazione dell’ottica interna basata sulle risorse,
rispetto a quella esterna basata sulle relazioni tra prodotti e mercati trae spunto, tra l’altro, dalla
rilevanza ai fini della crescita di fattori fissi quali il capitale umano e le immobilizzazioni tecniche
(Rubin, 1973). In realtà l’autore che viene ritenuto il pioniere della RBV, Wernerfelt (1984), è
ancora fortemente legato al Bain-Porter framework. Egli, infatti, pur individuando una chiara
relazione tra prestazioni delle imprese e eterogeneità delle risorse, definite quali assets legati in
modo semi-permanente all’impresa, non rinuncia a mutuare il modello delle cinque forze con
particolare riferimento alle barriere di posizione sulle risorse. Saranno poi i lavori successivi a
realizzare il graduale distacco dall’impostazione porteriana, ribaltando la prospettiva sulle risorse
interne da vincolo alla strategia, analizzato attraverso la catena del valore, a fonte del vantaggio
competitivo.
La RBV trova i suoi fondamenti teorici nelle caratteristiche specifiche delle singole risorse e nelle
relative modalità di acquisizione e utilizzo:


eterogeneità delle risorse (Penrose, 1959; Wernerfelt, 1984; Barney, 1986; Peteraf, 1993);


mobilità imperfetta delle risorse (Dierickx e Cool, 1989, Peteraf, 1993);




possibile unicità ed irripetibilità delle risorse derivante da “meccanismi di isolamento”


(Rumelt, 1984).
In particolare la naturale propensione delle risorse a combinarsi in modo da generare capacità
strategiche/competenze distintive, permette all’impresa di conseguire posizioni di vantaggio
competitivo che diviene rilevante quando è sostenibile.
A partire da tale fondamentale proprietà diversi autori hanno sviluppato la concettualizzazione,
ormai consolidata, di gestione strategica secondo l’approccio resource-based che è presentata nel
paragrafo seguente.

26
§2.2. LA GESTIONE STRATEGICA SECONDO L’APPROCCIO RESOURCE-BASED

La distinzione tra risorse/assets e capacità/competenze, con il conseguente impatto sulla


sostenibilità del vantaggio competitivo5, rappresenta il tratto distintivo della gestione strategica
secondo l’approccio RBV. Saranno poi gli autori della Core Competence School a distinguere
ulteriormente le capacità dalle competenze, completando la divaricazione dall’approccio esterno-
interno alla gestione strategica.
In un articolo fondamentale Dierickx e Cool (1989) distinguono gli stock di assets dai flussi di
investimenti che consentono all’impresa di costruire il vantaggio competitivo; gli stock si
accumulano nel tempo grazie ai flussi, facilmente modificabili al contrario dei primi. Gli autori,
oltre a confermare la proprietà delle risorse, quali barriere all’ingresso da parte dei concorrenti
(Wernerfelt, 1984), identificano le cause sottostanti la sostenibilità di una posizione privilegiata: la
combinazione di diseconomie derivanti dalla compressione dei tempi, l’interconnessione degli
stock, l’erosione delle risorse e, soprattutto, la ambiguità causale, impediscono ai concorrenti di
imitare i processi che conducono all’efficienza produttiva.
Per Amit e Schoemaker (1993) le risorse sono costituite dall’insieme di fattori disponibili
posseduti o controllati dall’impresa, trasferibili o acquisibili dall’esterno, mentre le capacità
riguardano l’abilità delle imprese di “dispiegare” le risorse, generalmente in combinazione, rispetto
a obiettivi desiderati. In realtà questi autori, nell’attribuire rilevanza alla coincidenza tra “strategic
assets” dell’impresa e “industry strategic factors” di settore propongono una lettura della RBV
complementare all’approccio “esterno-interno”, tentata, peraltro, dallo stesso Porter (1991).
In generale è possibile notare come i diversi approcci capability (Amit e Schoemaker, 1993;
Collis, 1991, 1994; Grant, 1991, 1996; Leonard-Barton, 1992; Nelson, 1991) proponendo variazioni
sul tema del legame tra risorse e vantaggio competitivo, pongono in evidenza la natura
organizzativa delle capacità/competenze che, peraltro, non vengono tra di loro distinte,
Le capacità distintive, infatti, sono sviluppate dalle imprese attraverso processi fondamentali di
trasformazione. Le risorse standard, disponibili nei mercati liberi (dove tutte le imprese possono
acquistarle), sono utilizzate e combinate, nel contesto organizzativo di ogni impresa, con routine
organizzative (Nelson e Winter, 1982, Winter, 1987, Cohen, 1991), al fine di produrre capacità.
Queste ultime, a turno possono diventare distintive, e determinare quindi posizioni di vantaggio
competitivo, se si realizzano determinate condizioni. Affinché una risorsa abbia potenziale
strategico, ovvero sia in grado di contribuire alla sostenibilità del vantaggio competitivo, essa deve
possedere le seguenti caratteristiche:


essere di valore, preziosa (valuable), ovvero deve fornire opportunità o neutralizzare minacce
competitive dell'ambiente (Barney, 1991);


essere scarsa (rare), ossia il numero di imprese che la possiedono deve essere minore del
numero necessario per avere concorrenza perfetta tra le imprese (Hirshleifer, 1980);


essere non imitabile perfettamente (imperfectly imitable), a causa delle condizioni uniche che
determinano il suo processo di acquisizione e a causa dell’ambiguità causale che c’è nel
legame tra capacità e vantaggio competitivo sostenibile (Lippman e Rumelt 1982);


essere non perfettamente sostituibili, ovvero non devono esistere risorse equivalenti, dal punto
di vista strategico, per ottenere gli stessi risultati (Barney, 1991; Amit e Schoemaker, 1993);


presentare limitazioni ex ante (es. facilità di accesso a determinate risorse nelle fasi iniziali di
una innovazione) o limitazioni ex post (riconducibili alle citate condizioni di imperfetta
imitabilità e sostituibilità) (Peteraf, 1993).

5
Per alcune considerazioni sul concetto di vantaggio competitivo nella piccola impresa si rimanda al precedente paragrafo 1.6.

27
Risorse e capacità rappresentano, dunque, nella prospettiva RBV, le componenti di base per la
costruzione delle strategie di successo. Tali strategie consistono nella ricerca del vantaggio
competitivo, definito come una posizione unica che l'impresa acquisisce rispetto ai concorrenti
(Hofer e Schendel, 1978) e rispetto ai quali essa è capace di creare condizioni di superiorità in
determinati mercati e settori industriali o la produzione di un valore che fornisca risultati superiori
alla spesa sostenuta dall'impresa per crearlo (Porter, 1987). La Tabella seguente sintetizza le
differenze e le similitudini dei diversi autori analizzati, identificando per ciascuno sia i fattori
ritenuti alla base del vantaggio competitivo, sia le proprietà di tali fattori, ovvero le relative
caratteristiche che ne determinano l’attitudine a contribuire alla costruzione graduale, e path
dependent, di meccanismi organizzativi in grado di garantire rendite economiche soddisfacenti.

Tabella 2.1. -Determinanti del vantaggio competitivo e loro proprietà


Dierickx e Amit e Andreu e
Autori Cool (1989) Barney (1991) Grant (1991) Peteraf (1993) Schoemaker Ciborra (1996)
(1993)
Fattore Risorse e
Strategic Assets
alla base Risorse e Risorse Competenze Risorse Capacità
del Capacità Strategiche (Routine Strategiche Distintive
Vantaggio Strategiche Organizzative)
Compet.vo
- Non - Produzione di - Difficile - Eterogeneità - Complementari - Di valore
acquisibilità valore acquisibilità tà
- Limitazioni ex - Scarsità
P - Cumulabilità - Rarità - Durevolezza post della - Bassa - Scarse
R concorrenza acquisibilità
O - Non imitabilità - Bassa - Non - Inimitabilità
P imitabilità trasferibilità - Mobilità - Bassa - Non imitabili
R - Imperfetta Sostituibilità perfettamente
I - Bassa - Non - Appropriabilità
E sostituibilità riproducibilità - Limitazioni ex - Durevolezza - Senza sostituti
T ante della - Corrispondenza equivalenti
A' concorrenza con i “Fattori
strategici di
settore”
Fonte: Bellini, 1999.

Volendo analizzare più nel dettaglio le modalità di realizzazione del vantaggio competitivo da
parte dell'impresa è necessario prendere in considerazione i modi in cui gruppi di risorse
concorrono alla creazione delle capacità.
A riguardo ricordiamo due diversi modelli di gestione strategica RBV:
i) il modello di Grant (1991);
ii) il modello di Andreu e Ciborra (1996).

Il più consolidato è, probabilmente, quello di Grant (1991), che lega in modo sequenziale le
risorse alle competenze e queste ultime al vantaggio competitivo. L’autore, pur mantenendo un
ancoraggio ad alcuni concetti chiave del “Bain-Porter framework”, quali ad esempio la necessità
dell’analisi settoriale e intrasettoriale, afferma la pienezza dell’ “Approccio Interno-Esterno” alla

28
gestione strategica “…le risorse e le competenze dell'impresa possono essere considerate i
fondamenti della strategia di lungo periodo principalmente perché il loro ruolo è fondamentale nella
definizione dell'identità e delle finalità dell'impresa….quando le condizioni esterne cambiano,
l'identità dell'impresa può essere definita sulla base delle risorse e competenze interne, elementi
molto più stabili delle prime...”. Per Grant le competenze si formano attraverso il coordinamento
della interazione di risorse diverse, grazie alla presenza di routine organizzative (Nelson e Winter,
1982) e alla presenza di un sistema di valori condivisi (Peters e Waterman, 1982) tra i membri
dell’organizzazione.
Il secondo modello, meno noto, di Andreu e Ciborra (1996) schematizza le relazioni tra risorse,
capacità e vantaggio competitivo per mezzo di quattro circuiti (“loops”) di apprendimento che
realizzano il processo di conversione delle risorse in capacità strategiche:
i) Le pratiche e le routines (Organizational Learning Loop);
ii) Le Competenze/Capacità (Capability Learning Loop);
iii) L’apprendimento strategico (Strategic Loop);
iv) L’apprendimento contestuale (Organizational-Formative Loop).
Questo secondo modello spiega le relazioni tra risorse e capacità facendo riferimento, soprattutto,
alla letteratura sui sistemi cognitivi che si è caratterizzata per una chiara focalizzazione sulla natura
della conoscenza organizzativa a partire dai lavori fondamentali di Polany (1966) sulla natura della
conoscenza e di Argyris e Schon (1978) sui processi di apprendimento. L’approccio cognitivo di
Nonaka e Takeuchi (1995) analizza il processo di creazione della conoscenza organizzativa quale
risultante dell’interazione tra la componente tacita e la componente esplicita o codificata della
conoscenza; esso descrive una “spirale di creazione della conoscenza organizzativa” derivante dal
processo di conversione tra le due componenti. La prevalenza della dicotomia tacita-codificata nella
teoria dell’apprendimento organizzativo ha influenzato profondamente gli studi sulla gestione
strategica. La natura tacita della conoscenza è stata spesso indicata come una importante fonte di
vantaggi competitivi e di competenze non imitabili, mentre i vantaggi basati su conoscenze esplicite
sono stati giudicati piuttosto instabili dal momento che essi possono essere facilmente compresi e
riprodotti, eludendo così le citate proprietà fondamentali delle risorse e delle capacità strategiche
(insostituibilità, inimitabilità, irriproducibilità, ecc.).

§ 2.3. LA COMPETENCE-BASED SCHOOL: IL CONTRIBUTO FONDAMENTALE DI PRAHALAD E HAMEL E IL


CONFRONTO CON LE SCUOLE PRECEDENTI

Il necessario punto di avvio per la analisi degli autori ricompresi nella Competence- Based School
(Prahalad e Hamel, Hamel e Heene, Sanchez e Heene) è rappresentato dall’esame del concetto di
“coreness”, ampiamente presente nella letteratura economica e strategica già prima degli anni
novanta. Teece, Pisano e Shuen (1992) nel fondamentale lavoro sulle dynamic capabilities,
distinguono con chiarezza i concetti di:


competence - che emergono dall’ assemblaggio delle risorse specifiche dell’impresa in cluster
integrati che attraversando le attività specifiche degli individui e dei gruppi incidono sulle
prestazioni dell’impresa-;


core competence – quelle critiche per la sopravvivenza dell’impresa, rilevabili dal confronto
con le opportunità\minacce esterne6;


distinctive competence – corrispondenti agli insiemi differenziati di skill, risorse e routine


organizzative che permettono all’impresa di coordinare le attività che forniscono la base per il
vantaggio competitivo in determinati segmenti di mercato-;

- 6 In questa definizione è riscontrabile una certa similitudine con i fattori critici di successo della scuola harvardiana
(Hofer e Schendel, 1978);

29


dynamic capabilities – corrispondenti alla capacità dell’impresa di rinnovare, accrescere ed


adattare le proprie core competence nel corso del tempo, e, quindi, fortemente collegate alle
competence latenti.
Il concetto di “core business” rappresenta un utile contesto per spiegare lo sviluppo della
letteratura strategica basata sulle capacità e sulle competenze; esso definisce le basi da cui l’impresa
può adattare ed estendere le sue operazioni in scenari competitivi incerti e, soprattutto, è costituito
dall’insieme di competenze che definiscono il vantaggio distintivo dell’impresa (Teece, 1988). A
partire da tale concetto è chiaro che l’impresa, nel selezionare e sviluppare nuove competenze,
opera nell’ambito di alcuni vincoli naturali, derivanti dai suoi confini (Leonard-Barton, 1992).
In realtà il primo autore che introduce il concetto di distinctive competence è stato Selznick (1957)
che, pur non fornendone una definizione formalizzata, la descrive come un elemento costitutivo
dell’organizzazione e, quindi, più come un vincolo che come una leva strategica o una proprietà
delle generiche competenze di impresa.
Anche diversi autori appartenenti alla scuola “harvardiana” hanno utilizzato il concetto di
distinctive competence; Andrews (1971) la definisce genericamente come “... ciò che
un‘organizzazione sa fare particolarmente bene…”, mentre Hofer e Schendel (1978) definiscono in
modo più ampio le competencies come “le procedure con cui l’impresa dispiega le proprie risorse e
skill in modo da raggiungere i propri obiettivi”.
I concetti di “coreness” sono stati, inoltre sviluppati anche in discipline diverse dagli studi
strategici. Nell’ambito degli studi di “Manufacturing/Operation Management”, Hayes e Weelwright
(1979) definiscono la competenza a partire dalla intersezione della matrice prodotti/processi e la
“distinctive competence” quale caratteristica unica di ogni impresa capace di garantire vantaggi
competitivi sui concorrenti, mentre altri autori ritengono che il concetto di competence possa
rappresentare il legame tra strategia e “production operations” (Skinner, 1969).
Nell’ambito degli studi di Human Resource Management, Sparrow et al. (1994), nell’enfatizzare
la prospettiva comportamentale dei singoli componenti dell’organizzazione, distinguono la
“Competency (Competencies)” dalla “Competence (Competences)”; le prime descrivono l’insieme
di conoscenze, skill e attitudini corrispondenti alle posizioni organizzative (es. ruoli funzionali,
responsabilità), mentre le seconde corrispondono ai repertori comportamentali che i singoli
introducono nel vissuto dei compiti, dei ruoli e dei contesti organizzativi. Per questi autori le core
competencies, distinte dalle transitional competencies legate alla gestione corrente, sono quelle che,
in definitiva, sono fondamentali per l’impresa nell’assicurare continuità alla conduzione strategica.

Anche se, come visto, il concetto di “coreness” appartiene ad un ampio e preesistente ventaglio di
approcci provenienti dai diversi campi dell’economia e del management, Prahalad e Hamel hanno il
grande merito di avviare una profonda riflessione negli studi strategici che, nel corso degli anni
novanta, ha permesso di identificare una Competence- Based School (CBS) capace, da un lato, di
affermare una originale e completa formulazione della strategia basata su un approccio “Interno-
Esterno”, dall’altro, di generare una spettacolare produzione di scritti sia di matrice accademica, sia
di matrice “practitionner”.
Gli articoli iniziali pubblicati dai due autori su Harvard Business Review e su Strategic
Management Journal (Hamel, 1989; Prahalad e Hamel, 1990, Hamel, 1991; Prahalad e Hamel,
1993) hanno, infatti, stimolato una efficace proiezione dei concetti sviluppati nell’ambito della RBV
e delle dynamic capabilities, definendo un quadro teorico capace di completare alcune dimensioni
non adeguatamente sviluppate da tali approcci. In particolare, a partire dalla conferenza di Genk
(Belgio) del 1992, sponsorizzata dalla Strategic Management Society, un gruppo di ricercatori ha
svolto un efficace e coordinato lavoro di ricerca che è sfociato sia nella organizzazione di una
“International Conference on Competence-Based Management” a cadenza biennale, sia nella
produzione di diversi testi che possono essere ricompresi nelle definizioni di Competence-Based

30
Competition (Hamel e Heene, 1994; Sanchez Heene e Thomas, 1996) e, successivamente di
Competence-Based Strategic Management (Sanchez e Heene, 1997).
Coerentemente con tali coordinate presentiamo, dopo una premessa di carattere generale sui
legami e sugli avanzamenti della Competence- Based School rispetto alla RBV e agli approcci
tradizionali, un breve richiamo alle due concettualizzazioni più significative:
i) Lo “Strategic Intent” di Prahalad e Hamel (1990, 1993, 1994) -la cui rilevanza rispetto
agli obiettivi della ricerca sta nella netta chiarificazione dei concetti chiave della
gestione strategica core competence-based-;
ii) Il modello dell’ “Impresa Sistema Aperto” di Sanchez e Heene (1995, 1997) –la cui
rilevanza rispetto agli obiettivi della ricerca sta nello sforzo di costruire una teoria
generale del competence-based strategic management e, soprattutto, nella generazione di
un vocabolario condiviso.

La “immediata, elevata ed inusuale risonanza” (Rumelt, 1994) che la Competence- Based School
ha ottenuto presso la comunità accademica e “practitioner” può essere spiegata dalla sua duplice
capacità di mantenere una forte coerenza con gli assunti della RBV e di completarne alcuni limiti
derivabili dalla mancata autonomia concettuale rispetto al “Bain-Porter Framework”. Infatti
Wernerfelt (1995), commentando il modello di Prahalad e Hamel nell’ambito dei diversi approcci
competence-based, non esita a definirlo quello più direttamente collegato alla RBV, giungendo ad
affermare che
“these authors were single-handedly responsible for diffusion of resource-based view into
practice”.
Per Prahalad e Hamel le core competence, intese come integrazioni di più tecnologie e più skill
capaci di offrire un particolare beneficio al cliente, rappresentano il tessuto connettivo dei diversi
business in cui opera l’azienda. Esse rappresentano, nella famosa metafora dell’albero-impresa, le
radici da cui nascono i core product (il tronco e i rami portanti), le business unit (i rami più piccoli)
e i prodotti finali (foglie, fiori e frutti). Tipicamente le core competence, risultando
dall’apprendimento collettivo dell’organizzazione, sono difficili da imitare e da sostituire e, dunque,
coerentemente con gli assunti teorici della RBV, tendono a fornire vantaggi competitivi sostenibili.
Nondimeno Prahalad e Hamel giungono ad un distacco completo dall’approccio “esterno-interno”
che pure in qualche forma è mantenuto dagli autori RBV, come ad esempio la rispondenza con gli
strategic assets (Amit e Schoemaker, 1993) la rilevanza dell’analisi di settore (Grant, 1991), il
confronto con le minacce/opportunità esterne (Teece et al., 1992). Prahalad e Hamel non esitano a
definire la loro proposta come un “nuovo paradigma7 strategico” che, completando e/o ribaltando
gli approcci precedenti “non solo” sia capace di recepire reattivamente alcuni concetti chiave
maturati nelle diverse discipline manageriali, “ma anche” di estenderle proattivamente verso nuove
dimensioni:


temporali (dalla previsione/forecast alla preveggenza/foresight-);




settoriali (trasformare il settore; competere non per le quote di mercato, ma per le quote di
opportunità);


organizzative (dalla riprogettazione dei processi alla rigenerazione delle strategie).

In tal senso ci sembra che i principali tratti distintivi della Competence-Based School rispetto agli
autori precedenti, possano essere così sintetizzati:

7
In realtà il paradigma è definito da Kuhn (1970) come “insieme di leggi, teorie, applicazioni e strumenti che forniscono
modelli che danno origine a particolari tradizioni di ricerca scientifica con una loro coerenza; i paradigmi hanno una
connotazione dinamica e dopo periodi di stabilità (“di scienza normale”) sono destinati ad essere sostituiti attraverso le
“rivoluzioni scientifiche”. Conseguentemente sembra preferibile utilizzare il termine di scuola che sembra, comunque capace
di descrivere la autonomia concettuale dei due autori rispetto alla evoluzione degli studi di gestione strategica.

31


estensione della tradizionale nozione di strategia come corrispondenza -“fit” delle


caratteristiche dell’impresa con le tendenze dell’ambiente esterno alla strategia come
tensionamento -“stretch”- delle risorse rispetto alle aspirazioni dell’impresa, in modo da
acquisire nuove competenze capaci di trasformare l’ambiente competitivo in suo favore
(Hamel, 1994);


il passaggio dalla strategia come “allocazione di risorse” alla strategia come “leverage” delle
risorse, moltiplicandone le possibilità di impiego attraverso le diverse produzioni e le diverse
unità dell’impresa;


il superamento della dicotomia “orientamento alla tecnologia vs. orientamento al cliente”


attraverso lo sviluppo di competenze tecnologiche capaci di portare benefici ai clienti non
ancora immaginabili.
In particolare Prahalad e Hamel propongono un concetto più completo e, quindi, strategico di core
competence capace di esprimerne:


la valenza organizzativa (core competence come risultato dell’apprendimento collettivo);




la valenza tecnologica (core competence come integrazione di più skill e più tecnologie);


la valenza competitiva (core competence come fonte estensibile di vantaggio competitivo oltre
i prodotti/mercati attuali);


la valenza di marketing (core competence come contributo alla creazione di benefici che
generano valore percepito dal cliente).

La possibilità di assumere i contributi di Prahalad e Hamel come elementi fondanti della


Competence-Based School emerge dal confronto con le tre scuole precedenti analizzate nel Capitolo
#1.
Con particolare riferimento al confronto con la planning school emergono alcune caratterizzazioni
fondamentali:


il passaggio dal modello della “pianificazione strategica” finalizzato a obiettivi incrementali di


quota e posizionamento e basato su processi analitici e formali, al modello della “architettura
strategica” finalizzato a obiettivi dinamici e discontinui di creazione di nuovi spazi competitivi,
e basato su processi creativi e competence-based;


il passaggio dalla visione dell’impresa come “portafoglio di prodotti”, con la conseguente


configurazione strategica in unità di business alla visione dell’impresa come “portafoglio di
competenze”, con la conseguente prospettiva olistica sull’impresa come unità di analisi
globale;


il deciso superamento della natura industry-specific della fonte della redditività con la critica al
modello delle cinque forze e la riconduzione della redditività alla ridefinizione dei confini dei
settori e dei rapporti tra prezzo e prestazioni;


il superamento degli approcci tradizionali di marketing fondati sull’analisi dei comportamenti


di acquisto e dei segmenti di mercato con la proposta dell’ expeditionary marketing (marketing
da esploratore) fondato sul coinvolgimento del cliente nello sviluppo dei prodotti, attraverso
una serie di incursioni sul mercato a intervalli ravvicinati e a basso costo, capaci di moltiplicare
la velocità di iterazione e di graduale adattamento delle funzionalità.

Con particolare riferimento al rapporto con la Learning School emergono sia punti di contatto che
elementi di differenziazione:


entrambe le scuole enfatizzano il ruolo dell’apprendimento, ma mentre per Mintzberg


l’apprendimento si fonda con la spontaneità nel definire i modelli strategici dei singoli
manager, per Prahalad e Hamel l’apprendimento organizzativo di tutti i componenti
dell’impresa genera intenzionalmente le core competence;

32


addirittura, con riferimento all’incidenza dell’apprendimento sulla costruzione delle strutture


manageriali (managerial frames), i due autori giungono ad invocare la necessità di disimparare
selettivamente, creando una “unlearning organization”, in modo da attivare, coerentemente con
i meccanismi di attivazione della varietà genetica delle teorie evoluzioniste, nuove
configurazioni degli skill e degli asset;


entrambe le scuole sono accomunate dalla forte critica alla Planning School e, quindi, dalla
proposta della necessità di superare la separazione tra momento della formulazione e momento
della implementazione della strategia, ma , probabilmente, la Learning School sembra più
rivolta al passato, con l’attenzione alla progressiva storicizzazione incrementale delle strategie
emergenti, mentre la Competence-Based School appare decisamente rivolta al futuro, con il
riferimento, forse eccessivo, alla necessità di realizzare, se pure attraverso unno sforzo
costante, discontinuità radicali.

Anche con riferimento al rapporto con la Entrepreneurial School emergono sia punti di contatto
che elementi di differenziazione:


notevoli sono le affinità tra la visione, come “idea intuitiva di possibili stati futuri devianti
rispetto alla situazione attuale… capace di orientare l’apprendimento” (Norman, 1977), e la
capacità percettiva (foresight), quale “… intuizione precisa sulle future tendenze in campo
tecnologico, demografico, normativo…” che conduce alla leadership intellettuale e alla
costruzione delle core competences (Prahalad e Hamel, 1993);


tuttavia gli stessi autori tengono a precisare la distinzione tra vision e foresight, derivante dalla
maggiore capacità delle percezioni di integrare creatività e concreta fattibilità dal momento che
esse scaturiscono dalle attuali configurazioni di prodotti e mercati lette attraverso le lenti
innovative delle competenze, delle funzionalità, dell’eclettismo;


comunque, a nostro giudizio, appare forte il legame tra la vision e lo strategic intent, inteso
quale “…sogno energizzante … che fornisce l’energia di tipo emotivo ed intellettuale …che
tende (stretch) l’azienda oltre le attuali risorse e capacità”; infatti lo stesso Norman non esita a
descrivere le relazioni tra visione, tensioni, e sviluppo della conoscenza quali elementi dell’idea
di sviluppo dell’impresa;


sicuramente profonda è la distanza tra il concetto fondamentale, nella “Entrepreneurial


School”, di business idea, fondato sulla consonanza tra segmento di mercato, prodotto e
struttura e l’idea di “strategy as stretch and leverage” che propone una logica ribaltata fondata
sulla distonia tra risorse ed obiettivi.

§2.4. LA COMPETENCE-BASED SCHOOL: IL CONSOLIDAMENTO TEORICO

La RBV, pur nella indubbia valenza teorica, ha generato una grandissima confusione
terminologica tra i diversi autori. Gli stessi Prahalad e Hamel non hanno contribuito, data la natura
seminale del loro lavoro, a dare una precisa sistemazione teorica ed una definizione univoca ai
diversi concetti proposti. Conseguentemente la copiosa letteratura che si è sviluppata nel corso degli
anni novanta ha utilizzato i concetti di Risorse, Conoscenze, Skill, Capacità, Competenze in modo
spesso vago e con significati sovrapposti.
A partire da tali limiti gli autori appartenenti al competence-based strategic management (Hamel
and Heene, 1994; Sanchez and Heene, 1997; Sanchez, Heene e Thomas, 1996), hanno perseguito
l’ambizioso obiettivo di sviluppare i necessari avanzamenti per la costruzione di “una nuova teoria
dello strategic management derivata dalla prospettiva core competence” e, soprattutto, hanno
distinto le Capacità dalle Competenze, proponendo l’adozione di un vocabolario condiviso per
identificare i fenomeni competitivi e descrivere più precisamente possibile le relazioni sottostanti.
Conseguentemente la analisi di questi autori viene articolata su due punti fondamentali:

33


il contributo alla sistemazione teorica dei concetti derivanti dalla RBV e dai lavori di Prahalad
e Hamel;


il contributo alla precisazione terminologica e alla proposta di adozione di un vocabolario


comune, necessario per l’avanzamento della teoria.

Il contributo teorico parte dalla constatazione di alcuni evidenti limiti di quella che gli autori
definiscono come una current strategy theory che raggruppa RBV, industrial organization e
prospettiva core competence:


la scarsa attenzione all’influenza che le dinamiche ambientali e competitive esercitano sui


processi di creazione e gestione delle organizational capabilities (Sanchez e Heene, 1997);


un “impasse epistemologico”, ascrivibile alla matrice positivistica e “non teleologica”, che


conduce solo alla spiegazione teorica ex post delle dinamiche competitive e delle risorse
strategiche, ma risulta incapace di offrire elementi predittivi ex ante circa le risultanze del
gioco competitivo (Gorman, Sanchez e Thomas, 1996);


un problema tautologico derivante dalla circolarità della RBV8 secondo cui risorse strategiche
generano redditività, e la maggiore redditività permette lo sviluppo di risorse strategiche
(Mosakowsky e McKelvey, 1997);


la scarsa connessione tra teoria e pratica strategica, derivante dalla mancata messa a
disposizione degli operatori di impresa di strumenti capaci di tradurre le intuizioni concettuali
in processi gestionali ed organizzativi (Mahoney e Sanchez, 1997).
In risposta a tali limiti gli autori propongono il passaggio ad un “concetto multidimensionale di
competenza” che ne incorpora le proprietà dinamiche, cognitive, olistiche e sistemiche (Sanchez,
Heene, Thomas, 1996).
La dimensione dinamica permette di analizzare la co-evoluzione dei cambiamenti ambientali ed
organizzativi, derivante dai diversi livelli di interazione dell’impresa con fonti esterne di risorse
(Roehl, 1996), con i clienti (Lang, 1996), con altre imprese concorrenti (Amit e Rotem, 1997), con
il territorio (Jensen, 1996).
La dimensione cognitiva, derivante dalla influenza delle cognizioni manageriali (assimilabili ai
mangerial frames di Prahalad e Hamel) sulla scelta degli obiettivi strategici e sugli effetti di
“stretch” delle risorse, permette di passare da una osservazione “dall’esterno”, tipica delle teorie
positivistiche ad una “dall’interno” capace di distinguere superiori prestazioni delle imprese da
“colpi di fortuna” o da fattori stocastici (Barney, 1986; Mosakowsky e McKelvey, 1997).
La dimensione olistica conduce ad una visione dell’impresa come “sistema umano-socio-
economico”, le cui prestazioni possono essere misurate con strumenti che vanno oltre i consolidati
effetti finanziari di redditività e di valore (Sanchez e Thomas, 1996) e che tengono conto della
specificità degli obiettivi (goals) della singola impresa, rafforzando l’ “imperativo teleologico” di
una analisi “dall’interno”.
La dimensione sistemica, infine conduce al modello della “Firm as goal-seeking opeen system”
che sintetizza i concetti-chiave della teorizzazione proposta dagli autori quale avanzamento e
riordino della RBV e del contributo di Prahalad e Hamel.
L’impresa sistema aperto persegue strategic goals che comprendono un insieme di obiettivi
specifici di ogni singola impresa. Nel perseguire tali obiettivi ogni impresa segue una sua base
razionale (strategic logic) per definire livelli di raggiungimento degli obiettivi (goal attainment). La
strategic logic di una organizzazione ne condiziona i processi gestionali (management process) che
determinano le modalità con cui l’impresa identifica, acquisisce e usa le risorse. Le risorse utilizzate
dall’impresa risiedono inevitabilmente sia all’interno (firm-specific resources) sia presso altre

- 8 Tale circolarità rappresenta uno delle principali critiche alla RBV. Porter (1991) scrive “…le imprese vincenti hanno
successo perché detengono risorse uniche, per cui esse coltiverebbero risorse uniche per essere competitive…ma cos’è una
risorsa unica?…”.

34
organizzazioni (firm-addressable resources). Conseguentemente l’impresa funziona come un
sistema aperto che deve continuamente completare gli stock di risorse tangibili e intangibili, per
mezzo di proprie interfacce con altre imprese e con i mercati. I cambiamenti strategici derivano
dalla percezione, da parte dei decisori aziendali, di divari (strategic gap) tra lo stato desiderato e lo
stato effettivo delle risorse e dei processi all’interno dell’impresa. Le imprese sono costrette a
competere e a cooperare con altre imprese per ottenere i flussi e le risposte di mercato necessarie a
colmare gli strategic gap che determinano i comportamenti produttivi (operations) e competitivi
(product markets). I cambiamenti negli stock e nei flussi, sono gestiti all’interno dell’impresa per
mezzo di circuiti di retroazione (Control Loops) che sono soggetti ad una crescente ambiguità
causale man mano che l’impresa prova a monitorare e modificare gli elementi di sistema “di ordine
superiore” (strategic logic e management processes). La complessità di tali cambiamenti è
ulteriormente accresciuta se si considera la dimensione temporale, ovvero la maggiore resistenza
degli elementi di ordine superiore nei confronti delle dinamiche ambientali; in tal caso le
prestazioni dell’impresa vengono a dipendere dalla flessibilità strategica (Sanchez, 1995), risultante
dal possesso di risorse flessibili (flexible resources) e di capacità di coordinamento flessibile
(flexible coordination abilities).
Il modello proposto è stato applicato, con i necessari adattamenti, sfruttandone la validità
interpretativa sia “all’interno” dell’impresa, come nel caso delle complementarità dinamiche a
livello corporate (Christensen e Foss, 1997) e dei processi di sviluppo delle competenze (Black e
Boal, 1997), sia nei rapporti tra l’impresa e i suoi mercati (Wallin, 1997).
Il modello contiene senza dubbio espliciti riferimenti ad autori visti nei precedenti paragrafi, come
nel caso della distinzione tra stock e flussi (Dierickx and Cool, 1989), dell’ambiguità causale
(Lippman e Rumelt, 1982), dei loops di controllo e apprendimento (Andreu e Ciborra, 1996), delle
dynamic capabilities (Teece et al., 1993). D’altro canto esso sembra evidenziare alcune risposte ai
citati limiti dei contributi sulla gestione strategica RBV e “core competence”:


il superamento di una spiegazione unidirezionale e riduzionista dei concetti-chiave della


gestione strategica, con l’identificazione di una causalità multidirezionale, in cui mezzi e fini si
confondono, maggiormente capace di catturare la complessità e le interdipendenze tra
l’impresa e i suoi contesti competitivi;


la rilevanza, anche nell’ambito della teoria strategica, della definizione dei confini
dell’impresa, con l’identificazione di unità di analisi che vanno oltre le definizioni giuridiche,
sia in senso “micro “(es. gruppi o processi interni all’impresa), sia in senso “macro” (es. reti di
imprese o sistemi territoriali)


la considerazione che la focalizzazione su singole determinate variabili (cinque forze, risorse


strategiche o core competence) rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per
spiegare le dinamiche competitive dell’impresa, dal momento che la natura sistemica delle
competenze ne rende molto difficoltosa la rilevazione.

In definitiva gli autori ritengono che non è possibile identificare realmente competenze “core” se
non dopo aver definito un concetto complesso ma definito di “competenza per sé”; in tal senso la
prospettiva “core competence” non può prescindere dalla considerazione che ogni competenza
richiede una ragnatela di risorse e capacità, nessuna delle quali, presa da sola, è in grado di spiegare
le dinamiche competitive. La definizione precisa delle differenze tra i concetti di risorse, capacità e
competenze, diventa così il contributo fondamentale degli autori del competence based strategic
management. Ad esso è dedicato il paragrafo seguente.

§2.5. CATEGORIE DI RISORSE, CAPACITÀ E COMPETENZE NELLA “COMPETENCE-BASED SCHOOL”

Rispetto agli obiettivi della ricerca è necessario partire da una chiarificazione rigorosa dei concetti
utilizzati nella conduzione della ricerca empirica. Tale condizione preliminare è resa

35
particolarmente difficile nel caso delle teorie competence-based, che, come visto in precedenza,
hanno generato un utilizzo spesso vago e disordinato della terminologia e degli approcci. Uno dei
contributi fondamentali dei diversi autori del competence-based strategic management sta proprio
nella proposta di un vocabolario condiviso, ritenuto necessario sia per lo sviluppo di una teoria
completa, sia per la conduzione di ricerche empiriche, al momento piuttosto limitate.
Una maggiore comprensione delle potenzialità e dei limiti dell’approccio competence-based
passa, quindi, attraverso un approfondimento delle diverse definizioni date in letteratura sui concetti
fondamentali di risorse, capacità e competenze.
Nella tabella seguente si riportano alcune delle definizioni di risorse, capacità e competenze che
sono sembrate più significative. Esse vengono confrontate tra loro e con le definizioni che,
coerentemente con le conclusioni del precedente paragrafo verranno adottate nel seguito della
ricerca (Sanchez, Heene e Thomas, 1996). Nella tabella vengono anche evidenziate alcune delle
relazioni individuate tra le definizioni dei vari autori.

36
37
Un primo gruppo di autori presenta definizioni di risorse riconducibili tra loro: le risorse sono
definite come fattori di produzione in ingresso fissi e specifici di un'impresa (Nanda, 1996, Rubin
1973), come stock di fattori disponibili che sono posseduti o controllati dall'impresa (Amit e
Schoemaker, 1993) e infine come fattori produttivi identificabili specificatamente anche se non
necessariamente separabili dal complesso aziendale (Buttignon, 1996). La definizione di Nanda
distingue gli input fissi da quelli variabili. Una differenza con Amit e Schoemaker è riconoscibile
nell'identificazione delle risorse con i fattori di produzione di ingresso trasferibili e delle capacità
con quelli fissi e specifici dell'impresa.
Le risorse generalmente vengono distinte in fisiche e intangibili: sono ad esempio intangibili
quelle basate sull'informazione (risorse invisibili secondo Itami, 1987), come la fiducia del
consumatore, l'immagine della marca, il controllo della distribuzione, la cultura corporativa, l'abilità
di amministrazione. Una risorsa intangibile è resistente, contribuisce come un fattore di produzione,
e si svaluta nel tempo (Dierickx e Cools, 1989). Le differenze principali tra i due tipi di risorse sono
da ricercare nel fatto che le seconde non hanno esistenza fisica e sono determinate dall'accumulo dei
risultati dei processi di produzione dell'impresa; nel flusso di produzione, per esempio, entrano in
gioco: la conoscenza impiegata, la qualità del prodotto, il sapere organizzativo, il capitale umano
del lavoratore, il valore della marca.
Le capacità sono definite come applicazioni potenziali delle risorse (Nanda, 1996). Capacità e
risorse sono termini strettamente collegati: l'accesso ad una risorsa porta ad una capacità, una
capacità deriva dal possesso di una risorsa. Tale definizione di capacità è sostanzialmente
coincidente con quelle di Grant (1991) di capacità come insieme di risorse per realizzare qualche
compito o attività. Una capacità può includere una serie di risorse utili per realizzarle, e può talvolta
anche essere ricavata a partire da risorse diverse (risorse sostitutive). La definizione di Sanchez,
Heene e Thomas (1996) include quelle precedenti, in particolare quella di Nanda (1996), in quanto
questi distingue capacità e competenze solo in base all’ “ordine” più o meno elevato. Amit e
Schoemaker (1993) definiscono le capacità pressappoco come le competenze di Sanchez, Heene e
Thomas (1996) e infine Buttignon (1996) identifica le capacità con le risorse.
Le competenze sono definite da Grant (1991) come interazioni di risorse diverse che lavorano
congiuntamente svolgendo compiti complementari come in una squadra. Esse rappresentano in
sostanza tutto ciò che l'impresa sa fare e le modalità di attuazione, cioè le capacità di far cooperare e
coordinare le risorse necessarie allo sviluppo delle routine organizzative, definite come i modelli di
attività dal funzionamento regolare e prevedibile, costituito da una serie di azioni coordinate dai
singoli (Nelson e Winter, 1982, Grant, 1991). Questa definizione è riconducibile a quella di
Sanchez, Heene e Thomas (1996), anche se quest'ultima è più specifica includendo tre condizioni
aggiuntive, ed è più completa di quella di Nanda (1996) di competenze come procedure di ordine
più elevato che sviluppano e configurano le risorse organizzative. Inoltre le definizioni di Grant
(1991) e Nanda (1996) si collegano, nel concetto di routine organizzative, anche con le capacità
definite da Amit e Schoemaker (1993). Infine Buttignon (1996) collega strettamente risorse e
competenze definite come risorse produttive di ordine superiore che contribuiscono anche
all'accumulazione delle risorse specifiche necessarie a perseguire i progetti di sviluppo dell'impresa;
sussiste pertanto un collegamento con le competenze di Sanchez, Heene e Thomas (1996) in
particolare con le condizioni di intenzionalità e raggiungimento degli obiettivi.

Come già accennato nei paragrafi precedenti nel seguito del lavoro verranno utilizzate le
definizioni proposte da Sanchez, Heene e Thomas (1996) che sembrano offrire maggiori risposte ai
citati limiti delle teorie competence based e alla necessità di adottare una prospettiva specifica per
gli studi strategici, adottando un “vocabolario condiviso” che non può essere utile anche per
l’applicazione dell’approccio competence-based in altre discipline (es. organizzazione e gestione
risorse umane, manufacturing). Conseguentemente la tabella seguente, elaborata a partire da

38
Sanchez, Heene e Thomas (1996), riprende la proposta di vocabolario condiviso degli autori del
competence-based strategic management, che verrà utilizzato nel seguito della ricerca.

Tabella 2.3 Il vocabolario condiviso del competence-based strategic management


RISORSE (assets): tutto ciò di tangibile o intangibile che l’impresa può usare nei suoi processi per creare, produrre, e/o
offrire i propri prodotti (beni o servizi) al mercato, ovvero utili per detenere una certa posizione o rispondere alle opportunità
o alle minacce che si presentano sul mercato. Le risorse tangibili esistono fisicamente come gli impianti e le strutture. Quelle
intangibili non hanno una consistenza fisica, ad es. la conoscenza (tacita e non), l’informazione, la reputazione, i diritti di
proprietà intellettuale. Le risorse di importanza strategica possono essere firm-specific o firm-addressable. Le prime sono
quelle che l’impresa possiede o almeno controlla totalmente, mentre le seconde sono quelle disponibili nell’ambiente esterno
cui l’impresa può accedere di volta in volta.

CAPACITA’ (capabilities): sono le procedure ripetibili di azione nell’uso delle risorse per creare, produrre, e/o offrire i
prodotti al mercato. Poiché le capacità sono risorse intangibili che determinano gli usi di altre risorse tangibili o non, esse
possono essere considerate come una speciale categoria di risorse. Quindi le capacità enfatizzano la natura organizzativa e
procedurale delle risorse.

ABILITA’ (skills): è una speciale forma di capacità, con la connotazione di essere piuttosto specifica, usata in una situazione
speciale o relazionata all’uso di una specifica risorsa. Per es. un’impresa può avere una capacità nella efficiente manifattura
che consiste in un certo numero di skills specifiche, come mantenere l’assetto delle macchine, monitorare la conformità alle
specifiche, ed altri compiti specifici.

COMPETENZA (competence): è un'abilità a sostenere il coordinato impiego di risorse in modo tale da aiutare un’impresa a
raggiungere i suoi obiettivi. La parola “abilità” è usata in senso ordinario con il significato di “potere di fare qualcosa”. Per
essere riconosciuta come una competenza, un’attività aziendale deve possedere unitamente le tre condizioni di organizzazione,
intenzione, e raggiungimento di un obiettivo.
Se le attività di un'impresa portano in qualche modo al raggiungimento di un obiettivo, ma le attività mancano dell’elemento
di intenzione implicita nell’utilizzo delle risorse, o di organizzazione implicita nella coordinazione dell’impiego delle risorse,
allora il raggiungimento di tale obiettivo da parte dell’impresa può essere considerato come una questione di fortuna (Barney
1986), non come il risultato di una sua competenza. Similmente, se un’impresa possiede intenzione e organizzazione nel
coordinare l’impiego delle risorse, ma le sue attività non promettono né ottengono risultato in qualche misura orientato al
perseguimento di un obiettivo, le sue attività non costituiscono competenze.
In un ambiente dinamico, le competenze conservabili richiedono un adattamento continuo per mantenere un efficiente e
coordinato utilizzo delle risorse in presenza di condizioni mutevoli. Anche in un ambiente stabile, tali competenze per essere
preservate richiedono uno sforzo per superare la sistematica tendenza all’entropia organizzativa (es., un graduale declino
nella capacità di coordinare o nella chiarezza delle intenzioni che motivano un continuativo utilizzo delle risorse).

COMPETENCE BUILDING: è ogni processo con cui un’impresa raggiunge cambiamenti qualitativi nel suo esistente stock di
risorse e capacità, incluse le nuove abilità a coordinare e impiegare nuove o esistenti risorse e capacità in modo da aiutare
l’impresa a perseguire un suo obiettivo. La competence building crea in effetti nuove possibilità per azioni future dell’impresa
finalizzate a obiettivi stratgeici. Tali competenze si hanno quando l’impresa acquista qualitativamente risorse differenti (per
es. un nuovo tipo di macchina) che può usare unitamente alle già esistenti capacità, ma in genere la competence building
determina la creazione o l’adozione di nuove capacità (nuove procedure d’azione) nell’uso di nuove o preesistenti risorse.

COMPETENCE LEVERAGING: è l’applicazione di preesistenti capacità dell’impresa alle correnti o nuove opportunità di
mercato in modo da non richiedere cambiamenti qualitativi nelle risorse o capacità dell’impresa. La competence leveraging
può ottenersi usando stock di risorse e capacità preesistenti o può richiedere cambiamenti quantitativi di risorse e capacità
simili a quelle che l’impresa già usa. La competence leveraging è in pratica l’esercizio di una o più delle opportunità già
esistenti di un’impresa per agire, creato dalla sua competence building; per es. usando le risorse e le capacità esistenti per
produrre e vendere i correnti prodotti è una forma di competence leveraging. Similmente aumentare i volumi aggiungendo una
seconda linea di produzione è ancora una competence leveraging perché si sta esercitando un’esistente opzione usando
risorse simili già impiegate dalle esistenti competenze. Aumentare la produzione sviluppando o producendo nuovi tipi di
prodotti comunque richiederebbe competence building per creare nuove opzioni per l’azione che richiede qualitativamente
differenti risorse e capacità.
Fonte: elaborazione a partire da Sanchez, Heene e Thomas, 1996.
Generalmente le risorse vengono analizzate sulla base di raggruppamenti in categorie specifiche.
L'elencazione dettagliata delle risorse di un'impresa, infatti, può risultare cosa estremamente
difficile: nella maggior parte delle imprese non esiste infatti un documento contabile o gestionale
che riporti un tale elenco. La tabella seguente mostra un esempio di classificazione di categorie di

39
risorse a partire da quella proposta da Hofer e Schendel (1978) e illustrata da Grant (1991),
identificando otto tipologie9.
Tabella 2.4. Classificazione delle risorse
Risorse Dimensione, localizzazione, sofisticazione tecnica e flessibilità degli impianti e macchinari.
Fisiche Localizzazione e utilizzi alternativi di terreni e fabbricati. Riserve di materie prime.
Risorse Dotazione di tecnologie proprietarie, brevetti, diritti di autore, segreti di fabbricazione e expertise nella
Tecnologiche applicazione della tecnologia (know-how). Risorse d’innovazione: laboratori di ricerca, personale
tecnico e scientifico.
Risorse Grado di addestramento (training), esperienza (expertise), adattabilità, impegno e fedeltà dei
Umane dipendenti che determinano le capacità di cui dispone l’impresa e la possibilità di mantenere posizioni
di vantaggio competitivo.
Risorse Struttura formale dei sistemi di reporting dell’impresa, modalità formali e informali di pianificazione e
Organizzative controllo, sistemi di coordinamento, relazioni informali tra gruppi di persone nell’impresa e tra
impresa e ambiente.
Risorse Immagine esistente nell’impresa di efficienza, qualità e affidabilità
d’immagine
Risorse di Reputazione presso i clienti attraverso il possesso di marchi, relazioni durevoli, immagine di qualità e
reputazione affidabilità di prodotti e servizi. Reputazione dell’impresa presso fornitori (di materiali, servizi e
immobilizzazioni), banche e altri finanziatori, personale attuale e potenziale, governi e comunità.
Risorse Capacità di indebitamento e di autofinanziamento e i fondi generati internamente determinano la
Finanziarie capacità di investimento e di recupero ciclico delle risorse.
Risorse Network distributivo. Fedeltà dei canali. Quota di mercato. Customer assets (reputazione,
Distributive immagine/reputazione di prodotto. Fedeltà dei clienti. Notorietà di mercato. Network di servizio.
FONTE: Elaborazione da Grant (1991), Hofer & Schendel (1978), Vicari (1991).

Per poter utilmente classificare le capacità di un'impresa, è necessario in qualche modo


individuare le attività che le contraddistinguono. Nella tabella seguente tratta da Grant (1991) viene
riportata una semplice classificazione delle principali funzioni aziendali e relative capacità:
Tabella 2.5. Identificazione delle capacità di un'impresa
Area funzionale Capacità
Sistemi di controllo finanziari efficaci e Gestione delle acquisizioni
Capacità nel controllo strategico di un'impresa diversificata Efficacia nel motivare e
Direzione generale coordinare la gestione di divisioni e unità operative
Stile gestionale collaborativo e orientato al valore.
Capacità nella ricerca di base
Ricerca e sviluppo Capacità di sviluppare prodotti innovativi
Velocità di sviluppo di nuovi prodotti
Efficienza nei volumi di produzione
Produzione Capacità di migliorare costantemente i processi di produzione
Flessibilità e tempestività di risposta
Capacità di design
Gestione e promozione del marchio
Marketing Comprensione di tendenze di mercato e reattività ai cambiamenti Promozione e
sfruttamento di reputazione di produttori di qualità
Efficacia nella promozione e nella conduzione delle vendite Efficienza e velocità di
Vendite-Distribuzione distribuzione
Qualità ed efficacia del servizio ai clienti.
FONTE: Grant (1991): Classificazione delle funzioni aziendali e delle relative capacità.

§2.6. OSSERVAZIONI FINALI

La analisi svolta in questo capitolo permette di evidenziare alcune osservazioni rispetto agli
obiettivi della ricerca:


la necessità di rileggere in chiave dinamica e path dependent gli approcci legati alla Learning
School e alla Entrepreneurial School;


il consolidamento, nell’ambito dei diversi approcci capability, della identificazione di una


relazione fondamentale tra risorse, capacità e vantaggio competitivo;

9
La identificazione delle categorie specifiche di risorse e di capacità utilizzate nella ricerca empirica per l’analisi delle
strategie di innovazione delle piccole imprese, è presentata, a valle dell’esame della letteratura, nel successivo paragrafo §3.2.

40


l’esistenza, in chiave strategica, di una fondamentale differenza tra i concetti di capacità,


competenza e core competence;


la necessità di una chiara e rigorosa identificazione, ai fini della conduzione di ricerche


empiriche ispirate all’approccio competence-based, dei diversi concetti chiave di risorse,
conoscenza, competence building, competence leveraging;


la necessità, ai fini della identificazione di effettive competenze alla base dell’efficacia delle
strategie di innovazione, di una preesistente intenzionalità nel perseguimento di determinati
obiettivi e di uno strategic intent nell’uso delle risorse e delle capacità.

Inoltre sono state proposte alcune definizioni precise dei concetti chiave del competence-based
strategic management che necessitano di un adattamento rispetto agli obiettivi della ricerca;
conseguentemente la proposta di categorie di risorse e capacità che verranno utilizzate per la
ricerca empirica saranno definite a partire dalla analisi delle strategie di innovazione cui è dedicato
il prossimo capitolo.

41
Capitolo #3 –
Uno schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole
imprese basato su Competenze e Relazioni

§3.1. LE STRATEGIE DI INNOVAZIONE: DALL’APPROCCIO TRADIZIONALE ALL’APPROCCIO DINAMICO

I capitoli precedenti hanno evidenziato come, nell’ambito della tassonomia di opzioni strategiche
per le piccole imprese proposta da Isa Marchini (1995b), le strategie di innovazione rappresentino la
tipologia che riconduce ad unità i diversi avanzamenti teorici sviluppati nell’ambito delle teorie
resource-based e del competence-based strategic management. Coerentemente con gli obiettivi
della ricerca, in questo capitolo presenteremo, dopo una introduzione sulla evoluzione degli studi
sulle strategie di innovazione (SDI), alcune considerazioni sulle specificità del processo di
innovazione nelle piccole imprese, presentando una ipotesi di applicazione dell’approccio
competence-based e definendo le specifiche categorie di risorse e di capacità che verranno
utilizzate nello schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese.

Data la prospettiva strategica della ricerca, sembra utile premettere la angolazione da cui verranno
affrontati tali argomenti. Il concetto di innovazione cui si farà riferimento sarà quello organizzativo-
strategico-manageriale, che non rappresenta una elaborazione degli approcci neoclassici,
“schumpeteriani” (“paleo” e “neo-schumpeteriani”) e “neo-tecnologici”, ma fa riferimento a
studiosi interessati all’analisi del fenomeno innovativo all’interno della singola impresa, piuttosto
che nel complesso dei sistemi economici10. Tale approccio pone l’accento sulla complessità
dell’innovazione non solo in senso verticale (ricerca di base- ricerca applicata- diffusione) ma anche
in senso orizzontale rispetto alle funzioni della singola impresa (R&S, progettazione,
approvvigionamenti, produzione, marketing). Conseguentemente la nozione di strategia di
innovazione cui facciamo riferimento sia nel presente capitolo, sia nella formulazione della ricerca
empirica presentata nei capitoli successivi, è così ampia da inglobare il concetto di strategia
tecnologica e le diverse terminologie di volta in volta utilizzate per definire il processo di analisi,
scelta e organizzazione (Intelligence- Selezione-Acquisizione e Timing) delle risorse aziendali al
fine del miglioramento delle prestazioni e/o delle competenze11. E’ importante sottolineare come,
coerentemente con gli obiettivi della ricerca, tale nozione estesa sia tra l’altro confermata dalla
letteratura sulla piccola impresa (Raffa e Zollo, 1998a) che utilizza in modo indistinto i termini
strategia di innovazione e strategia tecnologica quale componente complementare alla strategia di
mercato per definire le prestazioni competitive.
Come nel caso del riordino delle teorie strategiche, anche sul tema specifico delle strategie di
innovazione è possibile identificare due approcci fondamentali:


Un “approccio tradizionale”, chiaramente collegato ai fondamenti della Planning School, in cui


la strategia di innovazione è considerata un elemento strumentale al servizio della strategia di
corporate e/o di business;
10
Un testo di base su tale approccio è “La sfida competitiva- Strategie per l’Innovazione” curato nel 1987 da David Teece, che
raccoglie nove lectures tenute nel periodo 1984-1985 all’Università di Berkeley da un gruppo qualificato e abbastanza
convergente di economisti e studiosi dell’organizzazione (oltre allo stesso Teece, M. E. Porter, S. G. Winter, K.E. Weick, K.
Clark, R.P. Rumelt, J. Pfeffer, S.C. Wheelwright, P.R. Lawrence). I diversi contributi sottolineano, in una provocatoria
prospettiva interdisciplinare, i diversi livelli di complessità organizzativa, tecnologica e strategica dell’innovazione.
11
Per una rigorosa distinzione dei concetti di innovazione, innovazione tecnologica, tecnologia, gestione strategica della
tecnologia, cambiamento tecnologico si rimanda al consistente glossario contenuto in “Gestione dell’Innovazione” di Eugenio
Corti, edito nel 1997 nella collana di Ingegneria Economico-Gestionale della ESI.

42


Un “approccio dinamico”, chiaramente collegato ai fondamenti della Competence-Based


School, in cui la strategia di innovazione è un elemento centrale della gestione strategica
dell’impresa.

Nell’approccio tradizionale la strategia di innovazione è essenzialmente una delle diverse strategie


funzionali. Hax e Majluf (1991) distinguono sei tipologie di strategie funzionali: strategia
tecnologica, strategia finanziaria, strategia delle risorse umane, strategia degli acquisti, strategia
produttiva, strategia di marketing. Sciarelli (1997) identifica sei tipologie di gestione operativa
dell’impresa industriale: gestione commerciale, gestione della produzione, gestione finanziaria,
gestione industriale, gestione dell’innovazione, gestione delle risorse umane. Nell’approccio
tradizionale la tecnologia influenza la strategia secondo tre modalità prevalenti:


la tecnologia può rappresentare uno strumento di differenziazione per la creazione di


differenziali competitivi (Porter, 1985, Faccipieri, 1990);


l’evoluzione tecnologica del settore può rappresentare un vincolo al quale la strategia deve
adattarsi (Hax e No, 1992);


le innovazioni tecnologiche introdotte dai concorrenti possono rappresentare una minaccia alla
quale la strategia deve reagire (Hofer e Schendel, 1978).

In definitiva l’interazione tra strategia e tecnologia è statica e l’evoluzione del loro rapporto nel
tempo è inteso come sequenza di matching statici, ovvero la corrispondenza strategia-tecnologia
all’istante t non dipende dalla corrispondenza al tempo t-1 e non influenza la corrispondenza al
tempo t+1.
La introduzione della variabile tempo nei modelli di gestione strategica dell’innovazione è uno dei
punti qualificanti dei lavori di E.B. Roberts (1978, 1987) sulla “system dynamics”, che sono alla
base del secondo approccio. L’autore descrive tre fasi dell’evoluzione della gestione strategica che
dapprima è incentrata sulla variabile finanziaria, successivamente su quella di mercato e infine su
quella tecnologica. Quest’ultima, definita anche come “gestione strategica della tecnologia” amplia
il campo di indagine dalla analisi degli effetti a quella delle cause dei fenomeni competitivi. Risulta
chiaro come nell’approccio dinamico venga totalmente ribaltato il rapporto tra tecnologia e funzioni
dell’impresa; infatti la tecnologia non è più una delle funzioni, la cui importanza dipende da settore
a settore, ma assume centralità strategica nella gestione. L’approccio dinamico tra strategia e
tecnologia può essere ulteriormente suddiviso in due tipologie (Itami e Numagami, 1992):
i) La strategia attuale come base della tecnologia futura (current strategy cultivating future
technology);
ii) La tecnologia attuale come guida cognitiva della gestione strategica (current technology
drives cognition of strategy)

In entrambe le tipologie il matching tra strategia e tecnologia è dinamico, in quanto la rilevanza


dei processi di apprendimento elimina la dipendenza delle scelte tecnologiche da opzioni di ordine
superiore formulate ad un presunto livello strategico. Nel primo caso, però, persiste una separazione
tra il processo di formulazione della strategia (attuale) e il processo di implementazione (la
tecnologia futura). Nel secondo caso esiste, invece, una totale sovrapposizione tra i due processi; in
una logica evoluzionista, infatti, la tecnologia posseduta dall’impresa determina il processo
cognitivo sotteso alla formulazione della strategia.
In definitiva è possibile affermare che le quattro categorie concettuali (Intelligence- Selezione-
Acquisizione e Timing) della strategia di innovazione rimangono le medesime anche nel caso
dell’approccio dinamico; la differenza fondamentale sta piuttosto nel legame tra le categorie. Nel
caso dell’approccio statico esse vengono analizzate ipotizzando un legame di sequenzialità; nel caso
dell’approccio dinamico la natura path dependent dell’apprendimento introduce una ipotesi di
interrelazione.

43
La piena collocazione dell’approccio dinamico alla strategia di innovazione nel quadro del
competence-based strategic management è riscontrabile nell’ampia letteratura sulla gestione
dell’innovazione (Rothwell e Zegveld, 1982; Pavitt, 1991; Twiss, 1987; Utterback, 1994). Infatti
nel recente “Managing Innovation: Integrating technological, market and organizational change”,
K. Pavitt, J. Bessant e J. Tidd (1997) non esitano a proporre, dopo una rassegna sulla evoluzione
delle teorie, quale framework teorico per i quattro capitoli dedicati alle SDI, il citato approccio delle
dynamic capabilities (Teece et al., 1992; Teece e Pisano, 1994) che integra le tre dimensioni
fondamentali della SDI: i mercati competitivi, le tecnologie firm-specific e l’organizzazione.
Secondo tale approccio le prestazioni strategiche dell’impresa dipendono dalle caratteristiche
organizzative, piuttosto che dal possesso di tecnologie avanzate o dallo sfruttamento di una
particolare innovazione. La reale forza è quella dell’organizzazione che riesce ad esprimere delle
potenzialità dinamiche, in grado di innovare continuamente e di trarre sistematico vantaggio dalle
innovazioni stesse. Coerentemente con l’impostazione della ricerca, nel prossimo paragrafo
esaminiamo la specificità del processo di innovazione nella piccola impresa utilizzando le tre
categorie fondamentali delle dynamic capabilities12:
i) il percorso strategico dell’impresa;
ii) la attuale posizione dell’impresa;
iii) i processi organizzativi e gestionali.

§3.2. I PERCORSI STRATEGICI DELLA PICCOLA IMPRESA IN UN’OTTICA COMPETENCE-BASED: IL CASO


DEGLI SPIN OFF ACCADEMICI

La prima dimensione proposta dall’approccio dynamic capabilities per la analisi delle strategie di
innovazione è il percorso strategico dell’impresa, ovvero le modalità con cui le imprese realizzano
i fenomeni di path dependence che conducono allo sfruttamento e alla costruzione delle
competenze.
A riguardo la letteratura sulle piccole imprese può essere sintetizzata con riferimento a tre filoni
principali:


l’approccio tipologico;


la applicazione della teoria delle configurazioni organizzative;




la creazione di nuove imprese a base tecnologica (NTBF New Technology-Based Firms).

Da un punto di vista metodologico l’approccio tipologico, ovvero l’identificazione di tipi e la


costruzione di tipologie a partire da metodi di statistica multivariata o da osservazione di uniformità
più o meno ampie, ha trovato largo utilizzo nella ricerca sulla piccola impresa (Marchini, 1995a;
Stratos, 1990; Boldizzoni, 1996). Nello specifico delle strategie di innovazione delle piccole
imprese le tipologie sono state, comunque, agganciate ai settori industriali (Rizzoni, 1988). Una
ulteriore possibilità di identificazione di tipologie di percorsi di sviluppo delle piccole imprese è
offerta dalla applicazione della teoria delle configurazioni organizzative (Meyer, Tsui e Hinings,
1993), definite come “sistemi interconnessi di parti che reagiscono come un tutto unico agli eventi
esterni”. Utilizzando tale definizione è possibile applicare un approccio olistico che spiega le
prestazioni delle imprese a partire dalla dotazione di risorse e capacità (Capaldo, Raffa e Zollo,
1998). Nell’ambito dell’approccio tipologico vale la pena di ricordare la tassonomia proposta da
Pavitt (1984), che recentemente è stata utilizzata proprio per l’applicazione delle teorie competence-

12
La rilevanza dell’approccio dynamic capabilities, quale strumento per l’analisi della dimensione strategica delle tecnologie,
è confermato dal recente "L’Analisi Strategica” (1998) di M. Rispoli, Il Mulino. L’autore attribuisce una chiara rilevanza
all’approccio competence-based, dedicando l’intero capitolo 4 a “L’analisi strategica della tecnologia e delle risorse e delle
competenze dell’organizzazione”, con un riferimento puntale alle dynamic capabilities quale strumento per l’analisi delle
risorse e delle competenze.

44
based alle strategie di innovazione delle piccole imprese (Autio e Yli Renko, 1998). La tassonomia
identifica quattro tipologie di piccole imprese che innovano: i) “Superstars”; ii) ”“Supplier
Dominated”; iii) “Specialized Suppliers”, iv) “New Technology-Based Firms .
La quarta tipologia , le“New Technology-Based Firms”, identifica i percorsi delle imprese nuove
o nascenti con precise caratteristiche:
operano in settori science-based quali il software, le biotecnologie e alcuni comparti
dell’elettronica;
la fonte dell’innovazione è spesso l’organizzazione di provenienza, università o funzione R&S
di una grande impresa;
il dilemma strategico di fondo del percorso strategico è “Superstar o Specialized Supplier?”.

In tempi recenti la letteratura sulla piccola impresa si è caratterizzata per una forte presenza di
lavori sui temi legati a tali caratteristiche13 ; in particolare è importante notare come una
integrazione tra approccio competence-based e approccio relazionale sia stata utilizzata sia per
imprese technology-based, come le piccole imprese di software (Capaldo e Fontes, 1999), sia per
imprese operanti in settori tradizionali, come le imprese di costruzioni (Costantino e Sivo, 1998; ) o
di conserve vegetali (Bellini, 1999).
Gli Spin-Off Accademici rappresentano una particolare tipologia di NTBF che sembra offrire
particolare attitudine alla applicazione dei concetti fondamentali delle teorie competence-based
(Autio e Yli Renko, 1998, Pavitt, 1997, Chiesa e Piccaluga, 1997). Un esempio di tale applicazione
è mostrato nel modello di analisi del Campo di Azione delle piccole imprese innovative (Bellini,
Capaldo, Raffa e Zollo, 1998), definito sulla base di due dimensioni: la tipologia degli assets
prevalenti (firm-specific o firm-addressable) e le modalità ultime di impiego e rinnovo di assets e
capabilities (Competence Building o Competence Leveraging).

Figura 3.1.- Il “Campo di Azione delle Piccole Impre Innovative


Competence Competence
Building b Leveraging
a
Firm-Addressable
Assets 4 3
Networking External
Growth

d c
1 2
Firm-Specific Starting/ Internal
Assets Restarting Growth

Fonte: Bellini, Capaldo, Raffa, Zollo, 1997, 1998

13
Ad esempio nella recente Conferenza Mondiale dell’International Council for Small Business “Economic Development: the
role of SMEs”, svoltasi a Napoli nel Giugno 1999, su complessivi 261 paper il 12% ha riguardato “Creation and Start up of
New Firms”, il 15% “The role of Research Instituion for SMEs Development” e il 10% “Knowledge-Based SMEs”.

45
La Figura 3.1. illustra quattro situazioni:
!

La Situazione #1, definita “Start up/ Re-start up” (combinazione Competence Building/Firm
Specific Assets) è caratterizzata dallo sviluppo di nuove opzioni strategiche per mezzo del
rinnovo qualitativo delle competences.
!

La Situazione #2, definita “Crescita Interna”, (combinazione Competence Leveraging/Firm


Specific Assets) definisce una strategia di crescita per mezzo dell’acquisizione di nuove risorse
simili alle precedenti.
!

La Situazione #3, definita“Crescita Esterna” (combinazione Competence Leveraging /Firm


Addressable Assets) definisce una strategia di crescita per mezzo delle relazioni con attori
esterni (consulenti, altre imprese, centri di servizi).
!

La Situazione #4, definita “Networking” (combinazione Competence Building /Firm


Addressable Assets) definisce una strategia di rinnovo qualitativo della dotazione di assets e
capabilities per mezzo di relazioni con attori esterni.
L’ipotesi base è che la piccola impresa innovativa, a causa della sua carenza di risorse finanziarie,
tecnologiche e umane, non riesca ad occupare, nello stesso periodo, l’intero Campo d’azione.
Dunque essa è costretta ad oscillare tra attività di Competence Building e Competence Leveraging
(dinamiche a e b nella Figura 1), e tra impiego prevalente di Assets Firm Addressable o Firm
Specific (dinamiche c e d nella Figura 1). Tali dinamiche conducono la piccola impresa a ridefinire
le sue opzioni strategiche per il futuro e ad impiegare più efficacemente la sua dotazione di assets.
Dalla osservazione della sequenza delle dinamiche seguite da una singola piccola impresa
innovativa è possibile ricostruire il suo percorso strategico.
In particolare le piccole imprese innovative (es. Spin Off Accademici) nascerebbero nella
Situazione #1, allorquando l’imprenditore accademico ridefinisce gli obiettivi strategici della sua
personale attività; successivamente essi passerebbero alla Situazione #2 al fine di rafforzare la
strategia iniziale e migliorare i risultati commerciali per mezzo dello sfruttamento delle competenze
esistenti. L’intensità dell’”intento strategico”del gruppo imprenditoriale aprirebbe l’impresa a
collaborazioni con attori esterni (Situazioni #3 e #4) al fine di rafforzare e/o rinnovare la propria
dotazione di assets e capabilities.
Il modello è stato applicato sia a casi italiani di imprese operanti nel settore del software (Bellini,
Capaldo, Raffa e Zollo, 1998), sia per la analisi comparativa tra casi di spin-off academici italiani e
casi svedesi (Bellini et. al, 1999). Le ricerche empiriche hanno confermato la validità interpretativa
delle categorie proposte dalle teorie competence-based; in particolare è emerso come la descrizione
di percorsi strategici delle piccole imprese innovative determini una prevalenza delle opzioni legate
al competence building.

46
§3.3. LA POSIZIONE ED I PROCESSI NELLE STRATEGIE DI INNOVAZIONE DELLE PICCOLE IMPRESE

In questo paragrafo vengono analizzate le specificità del processo di innovazione nelle piccole
imprese con riferimento alle rimanenti due categorie dell’approccio dynamic capabilities:
i) la attuale posizione dell’impresa;
ii) i processi organizzativi e gestionali.

L’analisi della posizione può essere svolta con riferimento sia al rapporto della singola impresa
con i sistemi di innovazione di cui essa fa parte, sia alla posizione della piccola impresa rispetto al
settore industriale, con particolare riferimento ai concorrenti.
Coerentemente con la rilevanza dell’ambiente esterno14, la letteratura sull’innovazione nella
piccola impresa ha largamente sottolineato l’importanza dei rapporti con i sistemi nazionali e
regionali di innovazione (Johannisson, 1991, 1998; Dioguardi, 1995; Petroni, 1997; Cooke, 1996;
Albino et al., 1997; Kelley e Brooks, 1991). D’altro canto la letteratura sulle fonti dell’innovazione
per la piccola impresa ha evidenziato sia un minore uso di fonti esterne (es. R&S, brevetti e licenze)
derivante da una limitata capacità assorbitiva (Pavitt et al, 1997; Baldwin, 1994). L’apparente
contraddizione tra i due approcci può essere spiegata dalla prevalenza, nelle piccole imprese, di
attività di innovazione e di R&S “informali”, “part-time” e “non misurate” (Lassini, 1990; Rothwell
e Dodgson, 1993).Una ipotesi di integrazione tra i diversi approcci alle fonti dell’innovazione è
fornito da Raffa e Zollo (1998a) che, con il supporto di diverse ricerche empiriche, ricostruiscono
tre filoni di studi che spiegano le differenze nella capacità innovativa della piccola impresa: gli
incentivi strutturali, le risorse interne e le risorse di rete. Un altro filone fondamentale per la
comprensione delle fonti per la piccola impresa è quello che lega la capacità innovativa della
piccola impresa ai suoi rapporti verticali lungo la catena del valore, sia a monte nell’ambito degli
scambi con fornitori innovativi di impianti e materiali (von Hippel, 1989; ), sia a valle nell’ambito
di rapporti evoluti di subfornitura con committenti innovativi (Lamming, 1993; Esposito, 1996) e di
rapporti di mercato con clienti innovativi (Myers e Shaw, 1999).
Se spostiamo l’attenzione alla posizione rispetto al settore industriale di appartenenza va
sottolineato, innanzitutto, il superamento della restrizione dello spazio competitivo delle piccole
imprese innovatrici ai soli settori fortemente innovativi (Abernathy e Utterback, 1978); secondo
questi autori gli spazi competitivi per la piccola impresa si andrebbero via via riducendo sia per la
tendenza alla standardizzazione dei prodotti, sia per il sopraggiungere di nuovi mutamenti
tecnologici. Tale rivalutazione, giustificata dalla rilevanza degli aspetti creativi dell’attività
innovativa (Vaccà, 1989), è strettamente legata all’affermarsi della teoria della specializzazione
flessibile (Piore e Sabel, 1987) e delle teorie settoriali che descrivono le relazioni tra struttura
industriale, dimensione d’impresa e attività innovativa (Pavitt, 1984; Nelson e Winter, 1986).
Questi ultimi autori utilizzano il concetto di traiettoria tecnologica che spiega le differenze
settoriali, ipotizzando un vantaggio per le piccole imprese nei settori che presentano cumulatività
delle conoscenze e una bassa appropriabilità dei risultati dell’innovazione. L’approccio settoriale
permette, comunque, di spiegare le differenze nei rapporti competitivi tra piccole imprese e grandi
imprese; ad esempio nei settori dei semiconduttori e dei sistemi CAD le piccole imprese hanno
svolto un importante ruolo di diffusori delle innovazioni realizzate presso grandi imprese, mentre
nelle biotecnologie il rapporto è stato inverso, con le piccole imprese, nate come spin-off di centri di
ricerca, a svolgere attività di R&S per conto di grandi imprese impegnate sul business a valle

14
Si rimanda al paragrafo §1.6. in cui si evidenzia, nell’ambito della ricostruzione degli approcci “Esterno-Interno” e “Interno-
Esterno” agli studi strategici, la centralità dell’ambiente esterno, non solo competitivo, per l’analisi strategica della piccola
impresa.

47
(Rothwell e Dodgson, 1993). In ogni caso le numerose ricerche empiriche che hanno seguito
l’approccio settoriale hanno condotto a risultati talora contrastanti (De Chiara, 1998).
In definitiva l’analisi della posizione della piccola impresa rispetto alle strategie di innovazione
sembra caratterizzarsi per una chiara prevalenza delle complementarità dinamiche tra piccole
imprese e grandi imprese (Rothwell, 1974; Teece, 1987), dovuta sia alla elevata specializzazione
tecnologica delle piccole imprese, sia alla scarsa dotazione di risorse interne, soprattutto finanziarie
e tecnologiche, necessarie alla gestione dei processi innovativi (Dodgson 1990; Pavitt, Robinson e
Townsend, 1987).

Con riguardo alla terza dimesione di analisi delle strategie di innovazione proposta dalle dynamic
capabilities, i processi organizzativi, è importante sottolineare come, a differenza della grande
impresa, la piccola impresa goda di una naturale propensione a realizzare uno degli aspetti
fondamentali dell’approccio dinamico alle strategie di innovazione: la crescente attenzione ai fattori
di integrazione funzionale. La Tabella 3.2., che presenta un adattamento da Pavitt et al. (1997) ,
sintetizza tali vantaggi organizzativi della piccola impresa.

Tabella 3.1. Differenze nei processi organizzativi per l’innovazione


tra grandi e piccole imprese
Compiti strategici (task) Grandi Imprese Piccole Imprese
Integrazione fra tecnologia, - Progettazione organizzativa - Responsabilità centralizzata
produzione e marketing - Processi per la gestione della dell’imprenditore-tecnico e/o
conoscenza tra funzioni del capo progetto
Monitoraggio e assorbimento di - Bilanciamento tra R&S interna e - Riviste tecniche
nuove conoscenze tecniche alleanze esterne specializzate
- Formazione degli addetti
- Consulenti esterni
- Fornitori e clienti
Valutazione dei benefici di - Criteri formali e procedure - Qualificazione ed
apprendimento derivante dagli esperienza dei responsabili
investimenti in tecnologia - Utilizzo misto di indicatori
finanziari, strategici e
cognitivi
- Fonte: Adattamento da Pavitt, Bessant e Tidd (1997- pag. 156)

48
Con riguardo ai processi organizzativi emerge un chiaro collegamento con la rilevanza
dell’ambiente esterno nei processi di innovazione della piccola impresa. Infatti da un punto di vista
gestionale il problema chiave è quello di identificare appropriati modelli interpretativi capaci di
spiegare le modalità con cui la piccola impresa organizza i suoi rapporti non commerciali con
l’ambiente esterno, risolvendo in chiave dinamica la complessità delle attività cooperative in
campo tecnologico (Dodgson, 1990) e delle alleanze strategiche (Fletcher, 1996). Coerentemente
con gli obiettivi della ricerca viene proposta una rilettura in chiave competence-based di uno dei
modelli organizzativi più consolidati sul rapporto tra piccola impresa innovativa e ambiente esterno:
il citato modello dell’organizzazione sfocata (Raffa e Zollo, 1988, 1994, 1998a). Il principio
organizzativo dell’impresa sfocata, derivante dal concetto di fuzziness sviluppato nell’ambito della
fuzzy set theory, è stato definito a partire da evidenze empiriche sulla contemporanea presenza, nelle
piccole imprese, di risorse con un differente “grado di appartenenza” e un differente “grado di
controllo” (es. la crescente rilevanza di rapporti di lavoro atipici come i contratti di collaborazione
coordinata o gli stage). Tale varietà di rapporti impedisce di delineare una netta distinzione tra:
"

risorse totalmente interne, su cui l’impresa esercita un grado di controllo totale;


"

risorse totalmente esterne, che l’impresa può solo acquistare a titolo definitivo come “scatole
nere”;
"

risorse firm-addressable collocate sul confine sfocato, che l’impresa controlla parzialmente
attraverso attività sperimentali e su progetti specifici definiti di volta in volta.

Figura 3.2. – Modello della Piccola Impresa dai confini sfocati

Nucleo Frontiera
della certezza

Risorse
Firm -
Specific

Risorse
Firm Addressable
Frontiera
Alone della Conoscenza

Fonte elaborazione da Raffa e Zollo (1994, 1998a)

49
§3.4. LO SCHEMA DI ANALISI DELLE STRATEGIE DI INNOVAZIONE DELLE PICCOLE IMPRESE BASATO SU
COMPETENZE E RELAZIONI

In questo paragrafo viene proposto uno schema di analisi delle strategie di innovazione delle
piccole imprese, in cui i concetti fondamentali dell’approccio competence-based sono tradotti in
variabili rilevabili empiricamente nel corso di indagini, di sviluppo di casi aziendali, di processi di
autovalutazione. Lo schema cerca di ricondurre ad unità alcune conclusioni derivate dall’esame dei
contributi teorici analizzati nei capitoli precedenti (tra parentesi il riferimento al paragrafo
specifico):
#

la necessità di assumere una , nella prospettiva della rete, una visione del rapporto piccola
impresa-ambiente del tipo “punto-punto” in cui siano specificati gli attori ambientali che
posseggono risorse chiave per le strategie di innovazione (§1.5)
#

il superamento dei concetti legati alla Planning School nella piccola impresa (§1.3.);
#

la necessità di rileggere in chiave dinamica e path dependent alcuni concetti-chiave della


Learning School (es. spontaneità delle strategie emergenti) e della Entrepreneurial School (es.
concetto di visione) (§1.4.e §1.5.);
#

la individuazione di una interpretazione del concetto di vantaggio competitivo coerente con le


specificità della piccola impresa (§1.7.);
#

il consolidamento, nell’ambito dei diversi approcci capability, della identificazione di una


relazione fondamentale tra risorse, capacità e vantaggio competitivo (§2.2.);
#

l’esistenza, in chiave strategica, di una fondamentale differenza tra i concetti di capacità,


competenza e core competence (§2.4.);
#

la necessità di una chiara e rigorosa identificazione, ai fini della conduzione di ricerche


empiriche ispirate all’approccio competence-based, dei diversi concetti chiave di risorse,
conoscenza, competence building, competence leveraging (§2.5. e §3.2.);
#

la maggiore appropriatezza del concetto di strategia di innovazione in chiave dinamica


(current technology drives cognition of strategy) per lo studio della piccola impresa secondo
l’approccio competence-based (§3.1.);
#

la prevalenza delle opzioni legate al competence building rispetto al competence leveraging,


per spiegare l’efficacia delle strategie di innovazione delle piccole imprese (§3.2.);
#

la ricchezza interpretativa del concetto di confine sfocato della piccola impresa per la
comprensione dei legami tra relazioni esterne e efficacia delle strategie di innovazione (§3.3.);
#

la necessità, ai fini della identificazione di effettive competenze alla base dell’efficacia delle
strategie di innovazione, di una preesistente intenzionalità nel perseguimento di determinati
obiettivi e di uno strategic intent nell’uso delle risorse e delle capacità (§ 2.4 e §3.2.).

50
Lo schema è stato definito sulla base della definizione di categorie specifiche, per la piccola
impresa,di risorse e di capacità derivate a valle dell’esame di analoghe tipizzazioni contenute in
precedenti lavori.
Come descritto nei capitoli precedenti la letteratura strategica propone diverse categorie e
classificazioni di risorse. In particolare, il capitolo #2 ha evidenziato come la resource-based view,
pur nella indubbia valenza teorica, abbia generato una certa confusione terminologica; i concetti di
risorse, conoscenze, skill, capacità, competenze sono spesso usati in modo vago e con significati
sovrapposti. Viceversa il contributo degli autori della competence-based strategic management
theory ha enfatizzato la necessità, soprattutto per lo sviluppo teorico e la conduzione di ricerche
empiriche, di adottare un vocabolario condiviso. Tale, rigoroso, vocabolario, permette di
distinguere, da un lato, le risorse firm specific da quelle firm addressable, e, dall’altro, le capacità
dalle competenze, richiamando, per queste ultime la necessità di tre requisiti fondamentali:
l’intenzionalità nell’uso delle risorse, l’organizzazione nel dispiegamento di risorse e capacità, e il
raggiungimento degli obiettivi iniziali.
La Tabella 3.2. sintetizza le categorie di risorse identificate a valle dell’esame di dieci contributi
provenienti dai diversi approcci riconducibili, con l’eccezione di Hofer e Schendel (1978), alla
RBV e alla prospettiva core competence.

Tabella 3.2.. Categorie di Risorse nella letteratura Resource e Competence-Based

Tipologie di Risorse Autori


Firm-Specific/Firm-Addressable Sanchez e Heene, 1997
Tangibili/Intangibili, Visibili/Invisibili, Materiali/Immateriali Itami, 1987 Grant, 1991
Fisiche, Finanziarie, Tecnologiche, Umane, Reputazione Grant, 1991
Fisiche, Finanziarie, Tecnologiche, Umane, Organizzative Hofer e Schendel, 1978
Tipologie di Risorse Intangibili: R. di Conoscenza/ R. di Fiducia Vicari, 1992
Tipologie di Risorse Intangibili: R. di Conoscenza/ R. di Confine Nanda, 1993
Tipologie di Risorse Intangibili: Conoscenza (tacita/esplicita), Capacità, Marchi Durand, 1997
Tipologie di Risorse Tangibili: Umane, Finanziarie, Tecniche De Chiara, 1998
Tipologie di Risorse Intangibili: Competenza, R. Informative, Cultura, Immagine, Fedeltà alla
Marca
Imprenditoriali, Professionalità degli addetti, Struttura organizzativa, R. di Rete, R. di Raffa e Zollo, 1998°
Dimensione, R. Tecnologiche
Fonte: Bellini, 2000.

A valle dell’esame circa la natura e la definizione di tali tipologie, sembra ipotizzabile, con
riferimento agli obiettivi del lavoro, individuare una categorizzazione delle diverse risorse che
sostengono la strategia di innovazione della piccola impresa. In particolare, coerentemente con
l’approccio competence-based, tale categorizzazione deve caratterizzarsi:
vii) per una chiara distinzione tra risorse completamente (Risorse Firm- Specific) controllate
dall’impresa e risorse parzialmente controllate (Risorse Firm- Addressable);
viii) per la rilevanza delle risorse collegate al bagaglio conoscitivo e agli schemi cognitivi
degli individui operanti nell’impresa.
A partire dalle tipizzazioni di risorse presentate in dieci contributi caratterizzati dall’applicazione
della RBV alla gestione strategica (Bellini, 1999), vengono proposte le seguenti categorie di Risorse
per la analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese:
Risorse Firm- Specific
1.a. Risorse Finanziarie
1.b. Risorse Tecniche

51
1.c. Risorse Cognitive
1.d. Risorse di Immagine
Risorse Firm- Addressable (che si traducono in Informazioni che alimentano le Conoscenze)
2.a. Risorse attivabili presso Università e Centri di Ricerca
2.b. Risorse attivabili presso Fornitori
2.c. Risorse attivabili presso Committenti
2.d. Risorse attivabili presso Clienti Innovativi
2.e. Risorse attivabili presso Pubblica Amministrazione Locale
2.f. Risorse attivabili presso Consorzi e Associazioni di settore.
Con riferimento alla realtà della piccola impresa è sembrato poco significativo distinguere alcuni
tipi di risorse (es. immagine-reputazione-fiducia); le risorse riconducibili alle conoscenze
individuali sono definite, coerentemente con alcuni autori che riconducono l’esistenza dell’impresa
alle sue risorse immateriali di informazione e di conoscenza (Vicari, 1991), in un unico blocco quali
risorse cognitive.
Una particolare attenzione è dedicata alle risorse firm-addressable, ovvero a quelle risorse
disponibili nell’ambiente esterno, in particolare quello locale, che l’impresa riesce, di volta in volta,
ad utilizzare grazie ad una efficace capacità di interazione esterna. A differenza della grande
impresa che basa la propria competitività essenzialmente sulle risorse firm-specific controllate
completamente, la piccola impresa è costretta a sviluppare un efficace network esterno al fine di
completare, in condizioni di massima economicità, la scarsa dotazione interna di risorse. Il principio
organizzativo del “confine sfocato” della piccola impresa (Raffa e Zollo, 1998a) identifica le risorse
firm-addressable disponibili, di volta in volta nell’ambiente esterno, che l’impresa controlla
parzialmente attraverso attività sperimentali e su progetti specifici definiti di volta in volta.

Il concetto generale di ambiente viene ristretto, nel caso della piccola impresa, ad un più puntuale
ambiente di riferimento, che non è più lo scenario indistinto su cui l’impresa si muove, ma è creato
dalla scelta di partner e controparti con cui essa stabilisce relazioni uniche (Weick, 1979).
Nello schema proposto viene ipotizzato un dettaglio degli attori che costituiscono l’ambiente di
riferimento, in particolare locale, della piccola impresa; ciascuno di essi è potenzialmente un
detentore di risorse firm-addressable che circolano nella rete locale e che la singola impresa
potrebbe “intercettare” e integrare con le proprie risorse interne grazie alla capacità relazionale.
Nell’ambito degli attori locali assumono una particolare rilevanza quei soggetti che detengono
informazioni critiche per l’impresa, intese quali componenti esplicite e codificate di conoscenza;
infatti sono proprio tali informazioni, provenienti sia dall’ambiente locale sia dai diversi contesti in
cui l’impresa opera, ad alimentare attraverso l’efficacia del filtro della capacità relazionale, il
livello della conoscenza interna dell’impresa. La nuova conoscenza (Corti, 1997) viene ad essere
quindi “una interpretazione originale di informazioni esistenti e nuove”. Tale conoscenza viene
assorbita per mezzo delle risorse cognitive, ovvero le strutture cognitive di tutti gli individui che,
lavorando per l’impresa a vario titolo, contestualizzano la componente esplicita della conoscenza
con la componente tacita già presente nell’impresa. Appare chiaro come nello schema proposto si
sia preferito, coerentemente con alcuni autori che riconducono l’esistenza dell’impresa alle sue
risorse immateriali di informazione e di conoscenza (Vicari, 1991), definire quali risorse cognitive
tutte le risorse fornite dal fattore produttivo lavoro.

Il secondo blocco di variabili è costituito dalle capacità, definite coerentemente con il vocabolario
condiviso proposto dal competence-based strategic management, come “schemi di azione ripetibili
nell’uso delle risorse e distinte dalle competenze, derivanti dalla presenza di tre condizioni:
organizzazione, intenzionalità nell’uso delle risorse (intention) e raggiungimento degli obiettivi
(goal attainment).

52
La Tabella 3.3. sintetizza le categorie di capacità-competenze identificate a valle dell’esame di
sette contributi che non distinguendo tra di loro i due concetti, propongono, prevalentemente, una
tipizzazione su base funzionale.

Tabella 3.3. - Categorie di Capacità nella letteratura Resource e Competence-Based

Tipologie di Capacità/Competenze Autori


- Aree Funzionali: Direzione Generale, R&S, Produzione, Design, Marketing, Vendite Grant, 1991
- Riduzione ciclo di sviluppo nuovi prodotti, Trasferimento intra-organizzativo di conoscenze, Collis, 1996
R&S, coordinamento attività multinazionali, gestione del cambiamento
- Stand Alone, Cognitive, Processi e routines, Struttura Organizzativa, Comportamenti e Durand, 1997
Cultura
- Manageriali, di gestione degli input utilizzati di trasformazione, innovative, culturali, Lado e Wilson, 1994
imprenditoriali
- Cognitive, Innovative, di Flessibilità De Chiara, 1998
- Competitività tecnologica dell’impresa, prestazioni del prodotto, rapporti con il mercato, Raffa e Zollo, 1998a
diversificazione, mix produttivo,
- Tecniche (Technical Skill) e Relazionali (Relational Skill) Esposito, 1996
Fonte: Bellini, 2000

Nello schema proposto si è ritenuto di poter ricondurre le capacità alla base delle strategie di
innovazione della piccola impresa alle seguenti quattro categorie:
i) Capacità Finanziarie
ii) Capacità Tecnologiche
iii) Capacità di Marketing
iv) Capacità Relazionale.
Nel caso delle capacità finanziarie l’enfasi è, in particolare, sulla presenza nella piccola impresa
di schemi di azione ripetibili per l’ottimizzazione e il bilanciamento delle fonti di copertura degli
investimenti in innovazione, con particolare riguardo all’utilizzo di fonti innovative (es. venture
capital) e di fonti agevolate (es. finanziamenti pubblici per l’innovazione). Nel caso delle capacità
tecnologiche l’enfasi è, in particolare sulla presenza nella piccola impresa di schemi di azione
ripetibili per l’utilizzo innovativo delle risorse tecniche (es. impianti e software) e delle tecniche di
progettazione. Nel caso delle capacità di marketing l’enfasi è, in particolare, sulla presenza di
schemi di azione ripetibili nella gestione sia degli aspetti strategici (es. rapporti con clienti
innovativi, rafforzamento delle risorse di immagine), sia di quelli operativi (es. modalità innovative
di distribuzione e vendita, accordi commerciali).
La quarta categoria è stata sviluppata coerentemente con i concetti sviluppati nel quadro di
riferimento teorico e con particolare riferimento al principio organizzativo dell’impresa sfocata
(Raffa e Zollo, 1998b) e al concetto di relational skill (Esposito, 1996). Infatti, la ripetibilità nelle
procedure di gestione del confine sfocato della piccola impresa conduce alla capacità relazionale
che può essere la base delle prestazioni innovative. Essa va intesa come uno schema di azione
ripetibile di integrazione di tutti i possibili rapporti con l’ambiente rilevante rispetto ad un
preordinato disegno strategico finalizzato allo sviluppo di determinate prestazioni, e sostenuto dallo
strategic intent del gruppo imprenditoriale.
In altre parole, la capacità relazionale può consentire alla singola impresa di risolvere alcuni tipici
trade-off propri delle attività innovative, quali ad esempio: cooperazione-competizione con
concorrenti nelle fasi di ricerca pre-competitiva, partecipazione-non partecipazione a consorzi ed
associazioni, ruolo di committente-ruolo di subfornitore in singoli progetti di R&S.

Coerentemente con gli obiettivi di questo lavoro la Figura ---propone uno schema di analisi delle
strategie di innovazione delle piccole imprese basato su tali definizioni.

Nello schema proposto si ipotizza che i differenziali nelle prestazioni delle piccole imprese nelle
strategie di innovazione possono essere spiegati da: a) intensità dello strategic intent, b) differenziali

53
nella dotazione di risorse e capacità firm specific; c) differenziali nella capacità di utilizzare le
risorse firm addressable. L’efficacia della strategia di innovazione della piccola impresa si
concretizza o nel raggiungimento/rafforzamento di un vantaggio competitivo o nella costruzione di
nuove competenze (competence building).

Figura 3.3 -Schema di Analisi delle Strategie di Innovazione delle Piccole Imprese

Vantaggio Competence Ambiente Rilevante


Competitivo Building

Efficacia Strategia Concorrenti


di Innovazione Confine
Sfocato Fornitori
Capacità Capacità Capacità Capacità Committenti
Finanziaria Tecnologica di Marketing Relazionale
Clienti

Università

Risorse Risorse Risorse Risorse Risorse Enti Locali


Finanziarie Tecniche Cognitive di Immagine Firm Addressable
Finanziatori

Conoscenze Informazioni

Fonte: Bellini, 1999

L’efficacia della strategia di innovazione della piccola impresa si concretizza o nel


raggiungimento/rafforzamento di un vantaggio competitivo o nella costruzione di nuove
competenze (competence building). Il concetto di vantaggio competitivo sostenibile (Porter, 1985)
quale “base di una prestazione a lungo termine superiore alla media del settore” viene inteso nel
caso della piccola impresa con riferimento a prestazioni/rendimenti soddisfacenti piuttosto che
superiori alla media (Marchini, 1995b). La competence building è intesa quale “raggiungimento di
cambiamenti qualitativi nell’esistente stock di risorse e capacità, incluse le nuove abilità a
coordinare e impiegare nuove o esistenti risorse e capacità in modo da aiutare l’impresa a
perseguire un suo obiettivo”
Nello schema proposto viene ipotizzato un dettaglio degli attori che costituiscono l’ambiente
locale della piccola impresa; ciascuno di essi è potenzialmente un detentore di risorse firm-
addressable che circolano nella rete locale e che la singola impresa potrebbe “intercettare” e
integrare con le proprie risorse interne grazie alla capacità relazionale.
Nell’ambito degli attori locali assumono una particolare rilevanza quei soggetti che detengono
informazioni critiche per l’impresa, intese quali componenti esplicite e codificate di conoscenza;
infatti sono proprio tali informazioni, provenienti sia dall’ambiente locale sia dai diversi contesti in
cui l’impresa opera, ad alimentare attraverso l’efficacia del filtro della capacità relazionale, il
livello della conoscenza interna dell’impresa. La nuova conoscenza (Corti, 1998) viene ad essere
quindi “una interpretazione originale di informazioni esistenti e nuove”. Tale conoscenza viene
assorbita per mezzo delle risorse cognitive, ovvero le strutture cognitive di tutti gli individui che,

54
lavorando per l’impresa a vario titolo, contestualizzano la componente esplicita della conoscenza
con la componente tacita già presente nell’impresa.

§3.5. CASI AZIENDALI DI PICCOLE IMPRESE DEL MEZZOGIORNO

Lo schema per la analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese, presentato nel
paragrafo precedente, è stato utilizzato, con la metodologia del case study, per la ricerca empirica su
due campioni di imprese operanti nella Regione Campania:
v) nove imprese del settore della “conserve industriali alimentari e vegetali” localizzate
nella provincia di Salerno, da molti considerata come una potenziale “area-sistema”
della produzione industriale di conserve di pomodoro (Bellini, 1999; Bellini e Sorgente,
1999);
vi) cinque imprese di software localizzate nella provincia di Salerno, (Bellini, 2000).

Nel corso delle ricerche empiriche le categorie di risorse e capacità identificate nel paragrafo
precedente sono state rilevate per mezzo di un questionario semi-strutturato, basato su variabili di
dettaglio definite a seconda del settore e delle relative conoscenze tecnologiche fondamentali. In
particolare l’evoluzione in chiave dinamica di ciascuna categoria di risorse e capacità è stata
rilevata con riferimento ai periodi precedenti e successivi alla introduzione dell’innovazione più
rilevante realizzata nel corso della vita dell’impresa. La Tabella 3.4. riporta, a fini esemplificativi, le
variabili utilizzate per la ricerca empirica sulle piccole imprese di software.

Tabella 3.4a. Le Variabili Rilevate nel corso delle interviste: i dati strutturali
$

Ragione Sociale
$

Data costituzione
Dati Generali $

Fatturato ultimi tre esercizi


$

% Fatturato da produzione di Software


$

Partecipazioni e Controlli
$

Composizione
$

Titolo di studio
Gruppo Imprenditoriale $

Esperienza nel settore software


$

Skill tecnologiche e Skill in aree gestionali


$

Precedenti esperienze di lavoro


$

Famiglie di prodotti e/o servizi


$

Numero release, aggiornamenti e installazioni


Combinazioni $

Livello Tecnologico
Prodotti/Mercati/Tecnolo $

Segmenti di Clientela
gie $

Modalità di vendita
$

Linguaggi e Ambienti di sviluppo


$

Nascita dell’impresa
$

Evoluzione struttura organizzativa


Evoluzione Organizzativa $

Evoluzione conoscenze tecnologiche


(a partire dagli Eventi $

Evoluzione conoscenze gestionali


Critici) $

Evoluzione Addetti
$

Innovazioni di Prodotto
Strategie di Innovazione $

Innovazioni di Processo
$

Innovazioni Gestionali
$

Livello di innovatività
Efficacia delle strategie di $

Motivazioni iniziali
Innovazione $

Impatto sul vantaggio competitivo


$

Grado di raggiungimento degli obiettivi iniziali

55
Tabella 3.4b. Le Variabili-guida del questionario: la dinamica delle Risorse e delle
Capacità
Categorie di Variabili Rilevate Categorie di Variabili Rilevate
Risorse Capacità
Composizione delle modalità di %

Conoscenza di strumenti finanziari


copertura dell’investimento innovativi e pubblici
Risorse %

% autofinanziamento Capacità %

Procedure per il controllo di gestione


Finanziarie %

% credito ordinario a breve Finanziarie %

Procedure per la gestione di rapporti


%

% credito ordinario a m/l con banche e finanziatori


%

% strumenti finanziari %

Procedure per la attivazione di


innovativi finanziamenti pubblici
%

% Finanziamenti pubblici per


l’innovazione
%

Grado di fedeltà dei clienti Procedure per la gestione del


%

Riconoscibilità dei marchi portafoglio clienti


Risorse di %

Merito di credito Capacità di Procedure per la partecipazione a gare


%

Immagine %

Fiducia dei fornitori Marketing Gestione dei marchi


%

Impatto sull’efficacia delle Efficacia nella promozione e


%

strategie di innovazione conduzione delle vendite


Servizi accessori
%

Piani di comunicazione
%

Dotazione hardware Procedure per acquisizione di


%

Impianti di rete informazioni tecnologiche


Risorse %

Dotazione software di base Capacità Strumenti di Project Management


%

Tecniche %

Dotazione software applicativo Tecnologiche Ambienti di sviluppo


%

Sistemi operativi Linguaggi e DBMS


%

Brevetti Standard di produzione


%

Strumenti di ingegneria del software


%

Titoli di studio degli addetti Partnership con Università e Centri di


%

Skills tecnologiche Ricerca


Risorse %

Skils gestionali Capacità Partnership con Fornitori


%

Cognitive %

Specializzazioni tecniche Relazionali Partnership con Clienti Innovativi


%

Aggiornamento delle Partnership con subfornitori


%

professionalità Partnership Istituzioni locali


%

Partnership in Consorzi con altre


%

imprese di software
Risorse Firm addressable (identiche per tutte le aziende analizzate, data la localizzazione nella stessa area)
%

Infrastrutture fisiche e di rete


%

Università, Centri di Ricerca


%

Consulenti specialistici e Fornitori strategici


Clienti Innovativi
%

Sistemi di subfornitura
Istituzioni locali
%

Finanziatori
&

§3.5.1. Risultati della ricerca empirica sulle imprese conserviere

Le nove imprese sono nate tra il 1932 e il 1991, spesso con iniziative a conduzione familiare, sotto
la spinta di elevate capacità tecniche legate soprattutto all’imprenditore-fondatore e ai suoi
discendenti delle generazioni successive.
Le imprese del campione realizzano all’estero la metà del fatturato complessivo, sia su mercati
tradizionali quali Inghilterra, Germania, Francia, USA e Canada, sia su alcuni mercati emergenti
quali Giappone e Est Europa. Ciascuna impresa tende a non disperdere la propria attività su un
numero elevato di mercati; tale propensione, deriva dalla complessità della gestione dei rapporti
commerciali con singoli mercati che presentano forti differenze per tipologie di prodotto richieste,
qualità, prezzi e canali. Nel 1997 l’export ha segnato un incremento medio del 7% rispetto

56
all’esercizio precedente, valore modesto se confrontato con gli incrementi a due cifre registrati nei
primi anni novanta.
Osservando la ripartizione percentuale del fatturato per tipologie di cliente, emerge una chiara
rilevanza della grande distribuzione (30%, prevalentemente con marchi dei distributori) e dei
grossisti (26%, prevalentemente con marchi dei produttori); quote più basse riguardano le
lavorazioni in conto terzi per altre imprese del settore (12%), il mercato più redditizio del catering
(6%), e, con valori via via minori, il piccolo dettaglio e i consorzi per la commercializzazione.
Il portafoglio prodotti delle imprese del campione si caratterizza per una netta rilevanza del
pomodoro (la c.d. “linea rossa”), con alcuni casi di imprese monoprodotto. Nell’ambito dei derivati
del pomodoro prevalgono i prodotti tradizionali quali pelati (48%) e concentrati (30%), rispetto a
prodotti più innovativi come polpa e cubettato (12%), e a prodotti ad alto contenuto di “servizio
incorporato”, quali passate (6%) e sughi arricchiti (3%). Le produzione di frutta conservata (la c.d.
“linea gialla”) è costituita esclusivamente da frutta sciroppata e macedonia. Infine, le principali
conserve vegetali appartenenti alla c.d. “linea verde” sono i legumi e gli ortaggi, in particolare,
fagioli (25%), funghi (15%), piselli (10%), peperoni (5%) e altre varietà con percentuali minime
(es. patate novelle, grano cotto, pasta in scatola).
Le imprese del campione, hanno mostrato una bassa propensione all’innovazione di prodotto.
Infatti 3 imprese non hanno introdotto alcuna innovazione, producendo solo pelati. Peraltro le stesse
innovazioni di prodotto rilevate non hanno richiesto un elevato coinvolgimento organizzativo, come
nel caso del cubettato, la cui adozione non presenta particolari problemi tecnici ed organizzativi.
Casi più interessanti hanno riguardato l’introduzione di nuovi packaging, pasta in scatola, sughi
pronti, sughi arricchiti, cubettato aromatizzato, passata, pomodorini di collina. Per quanto attiene le
innovazioni di processo, prevalgono la selezionatrice ottica nelle fasi iniziali e finali del ciclo,
l’informatizzazione/ programmazione della gestione amministrativa e commerciale, il controllo
automatico. Altre tipologie hanno riguardato il confezionamento asettico (soprattutto per le
confezioni destinate al catering ed alla seconda trasformazione) e la pelatrice termofisica. Infine, le
innovazioni gestionali hanno riguardato soprattutto la penetrazione in mercati esteri, l’adeguamento
alla norma ISO 9002 e al sistema HACCP, e in misura marginale l’ avvio di consorzi e la
esternalizzazione del controllo di qualità.
Coerentemente con la metodologia di ricerca prevista nello schema di analisi, per ciascuna delle
imprese intervistate è stata individuata, nell’ambito delle innovazioni introdotte, quella che, a
giudizio del gruppo imprenditoriale, ha avuto il maggiore impatto sul vantaggio competitivo. In
relazione alla definizione di competenza data nei paragrafi precedenti l’indagine empirica ha
approfondito gli obiettivi iniziali alla base della motivazione ad innovare; infatti la costruzione di
competenze è strettamente legata alla intenzionalità nell’uso delle risorse e all’effettivo
raggiungimento degli obiettivi iniziali. Gli obiettivi principali sono risultati l’acquisizione di nuove
quote di mercato, il miglioramento della qualità dei prodotti, la riduzione dei costi fissi, e l’aumento
o mantenimento della propria quota di mercato. Sempre con riferimento all’innovazione indicata dal
gruppo imprenditoriale, sono state formulate una serie di domande sulla dotazione di risorse,
configurate secondo la tassonomia evidenziata in precedenza, e sulla loro evoluzione a seguito
dell’innovazione realizzata., nonché alcune domande che hanno permesso di verificare come le
singole tipologie di risorse abbiano alimentato lo sviluppo delle capacità. Successivamente, in sede
di analisi dei questionari, sono state individuate le risorse-chiave e le capacità-chiave di ciascuna
impresa analizzata, sia confrontando il dato della singola impresa con la media delle imprese del
campione, sia con l’individuazione di specifiche opzioni strategiche formulate dalle singole
imprese. Per esigenze di brevità del lavoro si omettono i valori medi assunti dalle variabili utilizzate
per valutare la dotazione delle singole risorse e capacità previste dallo “Schema di Analisi”,
deducibili peraltro dalla tabella analitica dei singoli casi, riportata alle pagine seguenti.

57
Tab. 3.5. Confronto tra i 9 Casi Aziendali del settore conserviero
Casi Innovazione Risorse Risorse Risorse Risorse Capacità Capacità Capacità Capacità
analizzata Finanziarie Tecniche Cognitive di Immagine Finanziarie Tecnologiche di Marketing Relazionali
#C1 Evaporatori - Autofin - Impianti recenti - Assenza di - Elevata - Bassa - Coordinamento - Potenziamento - Corsi di aggiorna-
continui a anziamento rispetto alla media del competenze riconoscibilità del capacità di tecnico-produttivo della clientela grazie mento e formazione
doppio ef- totale dell’ campione tecnico/scientifiche oltre marchio attivazione di realizzato dal gruppo alla promozione - Rapporti stabili
fetto in- - A seguito quelle dell’imprenditore - 85% del fatturato finanziamenti imprenditoriale superiore alla media con consulenti tecnici
vestimento dell’innovazione miglio-- Personale con livello realizzato con marchio agevolati - Certificazione di - Quota costante di
ramento sensibile nello di esperienza nel settore proprio qualità ISO 9002 e esportazione
sfruttamento della capa- inferiore alla media - Prezzi superiori ai HACCP - Capacità di gestire
cità produttiva degli - Innovazione concorrenti del 10 % - Propensione differenti tipologie di
impianti e ottimizzazione interamente realizzata dal - Investimenti in all’innovazione di pro- clienti (ingrosso, pic-
della stagionalità, ridu- gruppo imprenditoriale pubblicità e promozione dotto (variazioni sul colo dett., consorzi)
zione dei costi fissi - Gruppo corrispondenti alla media pomodoro no amplia-
imprenditoriale con - Quota di export mento gamma)
esperienza pluri-ge- inferiore alla media
nerazionale
#C2 Seleziona- - Autofin - Impianti maturi - Incremento di - Investimenti - Bassa - Gestione - Potenziamento - Partecipazione a
trice ottica anziamento - A seguito competenze pubblicitari superiori alla capacità di diversificata del della clientela in mostre e fiere
totale dell’innovazione mode- amministrative e media attivazione di portafoglio della linea seguito all’innovazione - Clienti e
dell’investi sto miglioramento nello tecnico/scientifiche - Quota media di finanziamenti pomodoro di poco superiore alla committenti coinvolti
mento sfruttamento della capa- - Personale con espe- export pari al 90% della agevolati - Sistemi di media direttamente nel
cità produttiva degli im- rienza nel settore supe- produzione controllo automatico - Clienti prevalenti: progetto di innova-
pianti riore alla media - Certificazione di ingrosso e grande zione
- Gestione bilanciata - Processo di qualità ISO 9002 distribuzione - Partecipazione a
di produzione con innovazione realizzato - Basso livello di - Penetrazione in consorzi
marchio proprio e da dipendenti e gruppo introduzione di mercati internazionali - Cooperazione con
produzione senza imprenditoriale innovazioni di prodotto Università e Centri di
marchio - Gruppo e processo rispetto alla Ricerca
imprenditoriale pluri- media
generazionale
#C3 Impianto di - Credito - A seguito - Esperienza del - Investimenti - Alta - L’impresa ha - Capacità di gestire - Partecipazione a
sterilizza- ordinario a dell’innovazione miglio- personale superiore alla pubblicitari superiori alla capacità di consolidato differenti tipologie di mostre e fiere
zione a con- tasso age- ramento della capacità media media attivazione di competenze nella clienti (distribuzione, - Fornitori di
trollo auto- volato produttiva - Processo di - Quota di export finanziamenti produzione di vegetali ingrosso, catering, ecc) impianti coinvolti nel
matico - Elevata incidenza innovazione realizzato superiore alla media del agevolati con una quota di pro- - Costante aumento progetto di
della attività di dal gruppo im- settore (ingrosso) duzione più alta del del tasso di export del innovazione
trasformazione rispetto prenditoriale campione fatturato - Acquisizione di
alla commercializzazione - Gruppo - Introduzione di informazioni dai clienti
imprenditoriale con sistemi di controllo - Partecipazione a
esperienza pluri-ge- automatico consorzi
nerazionale
#C4 Nuovo im- - Autofin - Impianti con - Percentuale di - Investimenti - Accesso - Elevato - Potenziamento - Partecipazione a
pianto per anziamento anzianità in media con il diplomati e laureati pubblicitari superiori alla a fonti di bilanciamento della della clientela grazie mostre e fiere
cubettato - Finanzi campione superiore alla media media soprattutto dopo finanziamento capacità produttiva alla promozione di - Fornitori di
amento pub- - A seguito - Innovazione l’innovazione pubblico (linea rossa completa e poco superiore alla impianti coinvolti nel
blico dell’innovazione non realizzata solo in piccola - Quota di export frutta) media progetto di
aumenta lo sfruttamento parte da dipendenti inferiore alla media del - Quota di - Scarsa spinta innovazione
della capacità produttiva interni campione produzione di frutta all’internazionalizzazio
- Elevata incidenza - Chiara strategia di - Gestione della superiore alla media ne
della attività di diversificazione trasformazione e del campione
trasformazione rispetto produttiva confezionamento con - Il n. di marchi
alla commercializzazione - Aggiornamento con marchio proprio su- propri raddoppiano in
riviste tecniche periore alla media seguito all’innovazione
#C5 Impianto - Autofin - Impianti maturi - Incremento - Il 95% della - Bassa - Impresa - Potenziamento - Rapporti con i
asettico anziamento rispetto alla media esperienza media del produzione è trasformata capacità di monoprodotto con della clientela grazie clienti
totale - A seguito personale dopo e confezionata senza attivazione di linea pomodoro alla promozione del - Rapporti con
dell’investi dell’innovazione miglio- l’innovazione marchio finanziamenti diversificata 10% imprese stesso settore
mento ramento sensibile nello - Competenze tec- - Prezzi superiori ai agevolati - Trattamento del - Incremento - Partecipazione a
sfruttamento della capa- nico/scientifiche supe- concorrenti dell’ 8% pomodoro biologico dell’export rispetto consorzi
cità produttiva riore alla media - Quota di export - Popensione all’anno precedente del
- Elevata incidenza - L’innovazione è inferiore alla media del all’innovazione di pro- 50% costituito in
della attività di stata realizzata dal campione dotto e processo in prevalenza da grande
trasformazione rispetto gruppo imprenditoriale media con il campione distribuzione e catering
alla commercializzazione - Gruppo
imprenditoriale pluri-ge-
nerazionale
#C6 Impianto di - Autofin - Impianti recenti - Dotazione di - Equilibrio tra - Bassa - Portafoglio - Potenziamento - Partecipazione a
sterilizza- anziamento rispetto alla media competenze tecniche ed trasformazione e capacità di differenz. della clientela del mostre e fiere
zione a con- totale - Tasso di rinnovo economiche al di sotto confezionamento con e attivazione di - Quota di 10%grazie alla - Rapporti con
trollo auto- dell’investi degli impianti elevato della media senza marchio finanziamenti produzione di frutta al promozione produttori e/o fornitori
matico mento - In seguito - Il 50% - Prezzi superiori ai agevolati di sopra della media - Penetrazione in di impianti
all’innovazione si rea- dell’innovazione è frutto concorrenti del 5% del campione mercati internazionali - Rapporti con i
lizza un miglioramento del gruppo im- - Investimenti in - Certificazione di - Bilanciamento clienti
consistente nell’utilizzo prenditoriale e dei dipen- pubblicità e promozione qualità ISO 9002 nella tipologia di
degli impianti esistenti denti interni in media con il campione - Ha introdotto cliente (ingrosso,
- Incidenza maggiore - Gruppo - Quota di export sistemi di controllo grande distribuzione,
della trasformazione imprenditoriale superiore alla media del automatico catering)
proveniente da espe- campione costituita da - Propensione
rienze professionali in ingrosso all’innovazione supe-
settore collegato riore alla media
#C7 Penetrazione - Autofin - Impianti recenti - Dotazione di - Prezzi superiori ai - Bassa - Impresa - Potenziamento - Partecipazione a
in mercati anziamento rispetto alla media del competenze tecniche ed concorrenti del 10% capacità di monoprodotto con della clientela del mostre e fiere
internazionali totale campione economiche al di sotto - Investimenti in attivazione di scarsa diversificazione 15%a seguito di - Rapporti con
dell’investi - Elevata incidenza della media pubblicità e promozione finanziamenti della linea rossa promozione Università/Centri di
mento della - Innovazione in media con il campione agevolati - Bassa propensione - Gestione di ricerca
commercializzazione del realizzata da gruppo - Quota di export all’innovazione ri- segmenti di mercato
prodotto rispetto alla tra- imprenditoriale e centri superiore alla media del spetto alla media differenziati
sformazione di ricerca privati campione rappresentato (committenti c/terzi e
- Gruppo da terzisti e catering catering)
imprenditoriale
proveniente da espe-
rienze in settorecollegato
#C8 Penetrazione - Autofin - Anzianità impianti - Bassa dotazione di - L’azienda trasforma, - Accesso - Differenziazione - Potenziamento - Partecipazione a

59
in mercati anziamento in media con il campione competenze tecnico- confeziona, e commer- a fonti di della produzione su della clientela del mostre e fiere
internazionali - Finanzi - In seguito economiche e tecnico- cializza esclusivamente finanziamento diverse tipologie di 10%grazie - Rapporti con
amento pub- all’innovazione miglio- scientifiche con marchio proprio pubblico prodotto all’innovazione consulenti tecnici
blico in ramento nell’utilizzo de- - L’innovazione è - Diminuzione grado - Certificazione - Ripartizione del
c/capitale gli impianti esistenti realizzata dal gruppo di fedeltà dei clienti ISO 9002 e HACCP fatturato per tipologia
- Elevata incidenza imprenditoriale e dai - Investimenti - Introduzione di cliente secondo la
della attività di consulenti promozionali al di sopra sistemi informatici media del campione
trasformazione - Aggiornamento con della media nella programmazione
riviste tecniche - Quota di export al di e controllo
sotto della media suddi- - Propensione
visa in grande distribu- all’innovazione di pro-
zione e ingrosso dotto (ampliamento
della gamma)
#C9 Seleziona- - Autofin - Anzianità impianti - Competenze - Il 60% della - Alta - Produzione - Bilanciamento - Partecipazione a
trice ottica anziamento di poco superiore alla amministrative e tecnico- produzione è trasformata capacità di costituita al 100% da nella composizione del mostre e fiere
linea rossa - Finanzi media del campione scientifiche superiore alla senza marchio proprio accesso a lavorati del pomodoro portafoglio clienti - Rapporti con
amento pub- - In seguito media del campione - Investimenti fonti di finan- con buona costituito in prevalenza produttori e/o fornitori
blico in all’innovazione si rea- - Esperienza del promozionali superiori ziamento diversificazione dall’ingrosso di impianti
c/capitale lizza un miglioramento personale superiore alla alla media pubblico e all’interno della linea - Aumento del - Avvio di consorzi
nell’utilizzo degli im- media - Quota di export gestione - Introduzione di numero dei marchi in per la commercializza-
pianti esistenti superiore - Innovazione realiz- superiore rispetto alla bilanciata controlli automatici seguito all’innovazione zione
alla media zata dal gruppo impren- media (ingrosso e delle diverse - Propensione
- Elevata incidenza ditoriale e dai fornitori di terzisti) fonti all’innovazione di pro-
della attività di impianti dotto e processo in
trasformazione - Gruppo media con il campione
imprenditoriale con
esperienze preced.

60
Coerentemente con lo schema di analisi adottato la tabella non contiene i dati sulle risorse firm
addressable, che, chiaramente, sono le medesime per tutte le aziende studiate. A partire dai risultati
della tabella precedente è stato possibile identificare per ciascuna impresa studiata la combinazione
risorse-chiave/capacità-chiave alla base dell’efficacia dell’innovazione introdotta.

Tabella 3.6. –Risorse e Capacità-chiave nelle 9 imprese


Casi Risorse-chiave Capacità-chiave
#C1 Tecniche Marketing
#C2 Cognitive Relazionali
#C3 Cognitive Marketing
#C4 Cognitive Tecnologiche
#C5 Cognitive Marketing
#C6 Immagine Relazionali
#C7 Immagine Marketing
#C8 Immagine Tecnologiche
#C9 Cognitive Finanziarie

La maggior parte delle imprese studiate (Casi #C2, #C3, #C4, #C5 e #C9) alimenta le proprie
capacità grazie ad una superiore dotazione di risorse cognitive. Questo dato sembra confermare che
la competitività di imprese localizzate in territori caratterizzati da “effetti di sistema” è basata sulle
conoscenze delle risorse umane, ovvero le competenze individuali sedimentate nel corso di un
graduale processo storico fondato su tradizioni imprenditoriali, rapporti personali, pratiche
manageriali, fiducia reciproca, specializzazioni produttive, servizi specialistici. Peraltro in alcuni
casi (#C1, #C4), le tradizionali competenze manifatturiere della manodopera sono state integrate
dall’ingresso di profili, spesso giovani e con titolo di studio, appartenenti all’area amministrativo-
commerciale. Appare molto bassa la propensione alla cooperazione delle imprese del campione;
infatti solo in due casi (#C2 e #C6) la capacità chiave è risultata quella relazionale; peraltro i
rapporti con attori esterni delle imprese analizzate sono limitati, in genere, a tipologie che
prevedono un basso coinvolgimento organizzativo ed una limitata complessità tecnologica. Infatti
prevalgono la partecipazione a mostre e fiere, i rapporti con fornitori di impianti e la partecipazione
a consorzi per la sola commercializzazione. Per quanto riguarda le risorse è stata esclusa la tipologia
risorse finanziarie; tale scelta è derivata dalla bassa varianza nelle risposte ottenute. Infatti, tutte le
imprese, grazie alla graduale patrimonializzazione garantita da passaggi generazionali successivi,
hanno coperto l’investimento in innovazione con autofinanziamento totale e parziale. Peraltro la
consistenza di tali risorse spiega probabilmente la scarsa rilevanza delle capacità finanziarie,
testimoniata dalla bassa capacità di attivare le pur rilevanti opportunità di finanziamenti agevolati
disponibili per imprese operanti in aree in ritardo di sviluppo.
I dati sul rapporto tra le capacità dell’impresa e il raggiungimento degli obiettivi iniziali
dell’innovazione analizzata sembrano individuare due orientamenti prevalenti. Da un lato le
imprese orientate alla produzione hanno mostrato una tendenza a conseguire riduzioni dei costi fissi
facendo leva sulle capacità tecnologiche. Dall’altro le imprese orientate all’export hanno puntato
maggiormente alla differenziazione, facendo leva su configurazioni più complesse di risorse e
capacità.

§ 3.5.2 – Risultati della ricerca empirica sulle piccole imprese di software

Le cinque imprese operano tutte nel bacino della Campania Sud-Orientale che, nonostante sia
classificata nelle politiche regionali europee tra le aree in ritardo di sviluppo, si è caratterizzata da
una rilevante presenza di piccole imprese di software, nate e sviluppatesi fin dalla fine degli anni
settanta, anche a seguito della qualificata presenza universitaria: dal 1975 uno dei primi corsi di
laurea italiani in scienze dell’informazione presso l’Università di Salerno, dalla fine degli anni
ottanta il corso di laurea in ingegneria elettronica presso l’Università di Salerno e il corso di laurea
in ingegneria informatica presso l’Università del Sannio di Benevento. Negli anni più recenti

61
l’intera Regione Campania si sta, comunque, qualificando come possibile polo italiano delle
telecomunicazioni, sia per la presenza dell’Authority nazionale, sia per la presenza di sedi
produttive di diverse grandi imprese nazionali e multinazionali operanti nel settore, sia per alcuni
casi aziendali di successo come testimoniato dalla recente quotazione in borsa del gruppo
Finmatica.
La Tabella 3.7. sintetizza i risultati della ricerca empirica, condotta secondo la metodologia
descritta nei paragrafi precedenti. Per ciascun Caso è stata identificata l’innovazione principale
realizzata nel corso della vita dell’impresa che, a giudizio dell’intervistato, rappresentava il focus
della strategia di innovazione in termini di rilevanza dell’investimento, di modifiche organizzative,
di durata del processo di innovazione. Per tale innovazione è stato rilevato l’impatto sulla
sostenibilità del vantaggio competitivo e, soprattutto, il grado di ottenimento degli obiettivi iniziali.
Utilizzando le categorie di risorse e di capacità definite nei paragrafi precedenti sono state
individuate le tipologie ritenute fondamentali per l’ottenimento dei risultati e le dinamiche nel corso
del periodo successivo all’introduzione dell’innovazione. L’ultima colonna descrive le nuove
competenze derivanti dalla strategia di ciascuna impresa.

Tabella 3.7. – Strategie di Innovazione delle Cinque Imprese

Caso Strategia di Impatto sul Grado di Risorse e Capacità alla Dinamiche delle Risorse e delle Sviluppo di nuove
Innovazione Vantaggio goal base del goal Capacità a seguito della competenze
Competitivo attainment attainment strategia
#1 Ri-progettazione del Miglioramento Alto Risorse Cognitive Attrazione di tecnici qualificati Gestione di Grandi
Portafoglio Prodotti vantaggio di costo Capacità Tecnologiche provenienti da grandi imprese Clienti
Cap. di Marketing Evoluzione del posizionamento Gestione di
da “sub-fornitore” a “fornitore partnership
diretto” tecnologiche con
grandi imprese

#2 Introduzione di nuovi Basso Scarso Ris. Tecnologiche Uso innovativo della dotazione Da semplice
servizi internet ad miglioramento di Ris. Finanziarie hardware e software esistente “internet provider” a
alto valore aggiunto vantaggi da Cap. Finanziarie Nuove politiche di vendita “impresa di software e
differenziazione servizi avanzati”
Riduzione partnership

#3 Nuovo prodotto per Miglioramento di Totale Ris. di Immagine Nuovi Marchi Da “software house” a
il controllo di vantaggi da Cap. di Marketing Nuove tecnologie per sviluppo “impresa di servizi per
gestione differenziazione software l’organizzazione e
l’informazione”

#4 Progetto di R&S Miglioramento di Alto Ris. Firm Addressable Leadership nella gestione delle Gestione di progetti
“Intranet/Extranet vantaggi da Ris.Cognitive partnership tecnologiche complessi di R&S
per imprese di servizi differenziazione Cap.di Marketing Rinnovo delle conoscenze
multi-sede” tecniche interne

#5 Transizione dalla Miglioramento di Alto Ris.Cognitive Flessibilità del personale per il Gestione di
piattaforma vantaggi da Cap. Finanziarie rinnovo delle conoscenze piattaforme hardware e
tecnologica da UNIX differenziazione tecniche software avanzate
a Windows Sfruttamento dei finanziamenti
pubblici

I risultati confermano la propensione delle piccole imprese di software a realizzare innovazioni di


natura incrementale (Torrisi, 1999). Per tutte le imprese l’energia emotiva ha inciso sul percorso
strategico: nel Caso #1 sostenendo la capacità dell’impresa di attrarre personale qualificato in una
fase di forti difficoltà di reclutamento connesse al c.d. “skill shortage”, nel Caso #2 affrontando la
rivoluzione che ha colpito gli “internet provider” di prima generazione (offerta gratuita degli accessi
internet di base, proliferazione degli operatori, processi di deverticalizzazione, ecc.), nel Caso #3
affrontando la fuoriuscita della metà del personale tecnico; nel Caso #4 coronando l’obiettivo di

62
transitare dall’attività di commercializzazione a quella di produzione software, nel Caso #5
alimentando una deliberata strategia di crescita.
La maggior parte delle imprese (Casi #1, #4, #5) basa la propria competitività prevalentemente
sulle risorse cognitive. Il dato appare coerente con la natura knowledge-based del settore software e
con la caratteristica della Campania quale area di specializzazione produttiva in tale settore. Nel
Caso #1 le tradizionali conoscenze tecniche iniziali sono state integrate con l’introduzione di nuove
professionalità con conoscenze gestionali e di marketing. Nei Casi #4 e #5 le risorse cognitive
sembrano alimentare due diverse capacità: nel primo caso quelle relazionali, nel secondo quelle
finanziarie. Un discorso a parte meritano le capacità relazionali; in generale i cinque casi, alcuni
dei quali caratterizzati da tassi di crescita elevati, sembrano mostrare una bassa propensione
all’utilizzo di risorse firm-addressable; addirittura nel Caso #2 vi è un giudizio negativo sulla
iniziale strategia di forte apertura alla partnership con partecipazione in consorzi di ricerca
universitari e parchi scientifici. In generale sembra che le imprese, a fronte del pressante invito
all’apertura ed alla cooperazione abbiano sviluppato una abilità nel regolare l’intensità
dell’investimento relazionale in funzione del livello di codificabilità delle conoscenze derivanti
dalle risorse firm-addressable. Infatti, nei Casi #1, #2 e #4 le imprese hanno gradualmente sostituito
a forme di cooperazione “ a distanza” con il mondo della ricerca (es. consorzi, formazione), forme
“dirette” di acquisizione di conoscenze scientifiche fortemente tacite e altrimenti non assorbibili (es.
sponsorizzazione di dottorati di ricerca, assunzione di ricercatori, avvio di spin off).

63
Capitolo #4 –
L’indagine empirica sulla domanda di innovazione espressa dai 69
progetti approvati nell’ambito della Sovvenzione Globale B.IC.I.-
Business Innovation and Cooperative Industries;

§ 4.1. INDICATORI DESCRITTIVI DELLE 67 IMPRESE BENEFECIARIE DEI PROGETTI APPROVATI

A partire dal quadro di riferimento teorico descritto nei capitoli precedenti e, in particolare, dallo
schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese, è stata condotta una prima
analisi dei dati provenienti dai 69 progetti approvati nell’ambito della Sovvenzione Globale B.IC.I.-
Business Innovation and Cooperative Industries.
Vale la pena di ricordare i vincoli di natura metodologica, derivanti dalla mancata possibilità di
progettare strumenti di ricerca specifici per la rilevazione delle variabili alla base dei processi di
innovazione delle piccole imprese. Conseguentemente è stato necessario fare riferimento
unicamente alle seguenti tipologie di dati disponibili per le 67 piccole imprese corrispondenti ai 69
progetti approvati, dal momento che due imprese hanno beneficiato dell’approvazione di due
progetti ciascuna:
i) dati anagrafici;
ii) tipologia di innovazione (sulla base di una tassonomia prevista dal bando di
partecipazione);
iii) dati economico finanziari;
iv) contributo richiesto;
v) punteggio di valutazione complessiva del progetto.
Al fine di inquadrare i dati disponibili nell’ambito delle dinamiche territoriali dei processi di
innovazione vengono presentate, innanzitutto, le provenienze regionali e provinciali dei progetti
approvati. La Tabella 4.1. descrive la distribuzione geografica dei progetti approvati, con
l’affiancamento ad alcune variabili macroeconomiche regionali, mentre la Figura 4.1. ne analizza la
dimensione provinciale.

Tabella 4.1. Distribuzione Geografica dei Progetti Approvati


Regione N. progetti approvati Variabili Macroeconomiche Regionali
Popolazione Densità PIL % V.A. Spesa in
residente (ab. per su totale industria % R&S su
km2) Italia su tot. Italia totale Italia
Campania 32 5.630.280 417 6,9 4,1 3,6
Puglia 13 4.031.885 209 5,1 3,4 1,4
Basilicata* 9 2.680.731 100 2,8 1,3 0,6
Sicilia 7 4.966.386 194 6,1 3,5 1,3
Molise* 6 1.579.954 96 2,4 2,1 1,5
Sardegna 2 1.648.248 69 2,2 1,5 0,7
TOTALE 69
* Variabili macroeconomiche riferite a Basilicata-Calabria e Molise-Abruzzo
Fonte: elaborazione dell’autore a partire dal censimento ISTAT 1991

Dal confronto tra i dati sui progetti approvati e le variabili macroeconomiche emerge, da un lato,
la conferma del potenziale innovativo delle province campane e pugliesi, dall’altro una performace
piuttosto modesta delle province siciliane. Il dato più significativo è, senza dubbio, rappresentato
dalla Basilicata, la cui crescente vivacità, sicuramente spinta dall’effetto “Sistema Melfi”, è
testimoniata dai recenti rilevanti tassi di crescita, ancor più significativi se rapportati alle
caratteristiche strutturali e infrastrutturali dell’economia e del territorio. I dati regionali sono,

64
comunque, condizionati dalla parziale copertura del bando che riservava l’accesso a “...aziende
manifatturiere e di servizio, aventi fino a 250 addetti e un fatturato compreso entro i 30 miliardi,
con gli stabilimenti localizzati nelle province di Campobasso, Isernia, Potenza, Matera,
Caltanissetta, Enna, Nuoro, Sassari, Bari, Foggia, Napoli, Avellino, Oristano, Salerno, Caserta,
Ragusa e la sede legale nel Mezzogiorno...”. Conseguentemente appare più indicativo il dato
relativo alle province, sintetizzato in percentuale nella Figura 4.1., da cui emergono le eccellenti
prestazioni di Napoli, Salerno e Potenza.

Figura 4.1. Ripartizione percentuale delle province di provenienza dei progetti approvati

CL
1%
SS EN
CE 3% 1%
6% NA
RG
25%
7%

CB
9%

BA SA
9% 16%

FG
10% PZ
13%

Assumendo il dato della approvazione dei progetti quale indicatore di propensione all’innovazione
e di efficacia della fase progettuale, le prevalenze territoriali sembrano confermare alcune
formulazioni sul dibattito relativo alle aree in ritardo di sviluppo che enfatizzano:
'

le differenze “intra-territoriali” (es. la distinzione tra fascia tirrenica e fascia adriatica, la


configurazione a “macchia di leopardo” delle zone di sviluppo);
'

il legame tra la propensione ad innovare e i fenomeni di tipo distrettuale e cooperativo (es. le


esperienze distrettuali pugliesi e lucane nei settori dell’abbigliamento, del mobile imbottito,
delle calzature);
'

il legame tra la propensione ad innovare e la presenza sul territorio di soggetti con competenze
tecnologiche (es. Poli Universitari Campani di Napoli e Salerno, Politecnico di Bari, sedi di
grandi imprese in settori tecnologici, come il Polo Aeronautico e il Polo Telecomunicazioni di
Napoli, o il “Sistema Fiat” di Melfi).

La Figura 4.2. sintetizza la distribuzione delle imprese beneficiarie per classi di fatturato. La
distribuzione vede concentrarsi le imprese su un fatturato compreso tra i 500 milioni e i 5 miliardi.
Il dato conferma le conclusioni ormai consolidate sulla struttura industriale delle imprese
meridionali. Utilizzando infatti le classificazioni legislative15 sulla “Piccola e Media Impresa”,
viene confermata la maggior appropriatezza del concetto di “Piccola Impresa” per la analisi del

15 *
Ricordiamo che le PMI, nel D.M. 18/09/97 (in G.U. del 1/10/97, n. 299), sono definite come imprese:
- aventi meno di 250 dipendenti; aventi o un fatturato annuo non superiore a 40 milioni di ECU, o un totale di bilancio annuo
non superiore a 27 milioni di ECU; in possesso del requisito di indipendenza.
Ove sia necessario distinguere tra una piccola e una media impresa, la "piccola impresa" è definita come un’impresa:
- avente meno di 50 dipendenti; avente o un fatturato annuo non superiore a 7 milioni di ECU, o un totale di bilancio annuo
non superiore a 5 milioni di ECU; in possesso del requisito di indipendenza.

65
fenomeno innovativo nelle aree in ritardo di sviluppo. In particolare, il confronto di tale dato con il
campione individuato per l’indagine sui bisogni tecnologici delle Pmi “Road Map for Italy”
(Annunziato e Montanino, 1999) conferma la differenza tra la composizione del campione di Pmi
delle regioni del Centro Nord (Emilia Romagna, Toscana e Piemonte), spostata verso le classi di
addetti più alte (20-49, 50-99, 100-250) e quella della regione del Sud (la Puglia), concentrata sulla
classe più bassa (10-19).

Figura 4.2.- Distribuzione delle Imprese per Classi di


Fatturato

14
13
12
11
N. di Imprese

10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
da 0 a 100- 500- 2.000- 5.000- 10.000- 20.000- 50.000-
100 500 2.000 5.000 10.000 20.000 50.000 60.818

Classi di Fatturato (in milioni di L.)

La Figura 4.3. sintetizza la distribuzione percentuale delle 67 imprese per settori di attività definiti
sulla base della ormai consolidata tassonomia proposta da Pavitt nel 1984 (“Superstars”; “Supplier
Dominated”; “Specialized Suppliers”, “NTBF’s- New Technology-Based Firms”), più volte
utilizzata per lo studio delle strategie di innovazione delle piccole imprese.

Figura 4.3. Distribuzione % delle Imprese per


Settori

NTBFs
16%

Supplier
Specialized
Dominated
Supplier
57%
27%

La distribuzione vede prevalere, come prevedibile, le imprese “Supplier Dominated”, con una
forte incidenza dei diversi comparti dell’agroalimentare (lattiero-caseario, conserviero,
ortofrutticolo) e del calzaturiero-abbigliamento; tra le imprese “Specialized Suppliers” si distingue

66
la presenza di cantieristica specializzata e di lavorazioni meccaniche ad alta precisione. Meno
scontata la discreta presenza di imprese configurabili quali NTBF’s, tra cui prevalgono le imprese
di software e servizi internet oriented.

La Tabella 4.3. sintetizza i valori totale ed i valori medi degli indicatori economico-finanziari
disponibili a partire dalle richieste di finanziamento delle imprese.

Tabella 4.3. – Dati Generali sulle 67 Imprese Beneficiarie


Indicatori Valore Totale (in Lire) Valore Medio (in Lire)
Fatturato 660.702.104.596 10.164.647.763
Risultato Operativo 33.585.189.003 516.695.215
Capitale Investito 593.768.820.931 8.862.221.208
Mezzi Propri 181.205.285.499 2.745.534.629
Autonomia Finanziaria 33,89%
ROI 6,14%
Contributo richiesto / Fatturato 5,02%

Il Fatturato Medio delle 67 imprese è pari a L. 10.164.647.763; esso conferma la distanza


strutturale tra le imprese del campione e i parametri europei di Piccola e Media Impresa.
I dati disponibili sull’andamento della gestione operativa delle 67 imprese del campione (Valore
Medio del ROI pari al 6,14 % e Valore Medio del Risultato Operativo pari a Lire 516.695.215) se
rapportati alle scelte di investimento in innovazione descritte nei progetti, lasciano ipotizzare che le
67 imprese del campione, in gran parte operanti in settori tradizionali, siano caratterizzate da una
discreta efficienza nella gestione caratteristica. In realtà il ROI costruito sulla base del risultato
operativo, con l’esclusione di oneri finanziari e partite straordinarie, dovrebbe essere almeno uguale
al costo medio del denaro. Scomponendo il ROI nel prodotto tra Redditività delle Vendite
(Risultato Operativo/Fatturato), pari a 0,05, e Tasso di Rotazione del Capitale (Fatturato/Capitale
Investito), pari a 1,22, emerge come, in media, la redditività operativa sia alimentata da un
efficiente volume di utilizzo degli impianti, ovvero dalla consistenza delle operazioni di gestione in
rapporto agli investimenti effettuati. L’efficienza della gestione operativa è probabilmente limitata
da inefficienze produttive ed organizzative derivanti dal basso grado di innovazione preesistente
all’intervento proposto (es. molte aziende hanno proposto progetti per l’introduzione di semplici
strumenti di programmazione e controllo). In realtà una più attenta formulazione di tale ipotesi
necessiterebbe della disponibilità dei dati sulle variabili commerciali, di rigiro finanziario e di
incidenza della gestione non caratteristica, sottostanti i risultati operativi. Le imprese mostrano, in
media una struttura finanziaria abbastanza equilibrata ( Valore Medio del Capitale Investito pari a
Lire 8.862.221.208, con un Valore Medio del Grado di Autonomia Finanziaria pari al 33,89%). Il
dato, sicuramente al di sopra della media delle imprese operanti nel Mezzogiorno, può essere
spiegato dalla presenza, tra i requisiti per l’approvazione del progetto, di un elevato grado di
complessiva congruenza tra il Valore del Progetto Proposto (pari, in media, a Lire 109.012.550) e la
struttura finanziaria delle imprese proponenti (Rapporto Contributo Richiesto/Mezzi Propri pari, in
media, al 5,02%).

67
§ 4.2. – INDICATORI DI VALUTAZIONE DEI PROGETTI APPROVATI

La Tabella 4.4. sintetizza gli indicatori relativi alla valutazione dei progetti approvati, sulla base
dei criteri e delle procedure previste dal bando.

Tabella 4.4. – Dati Generali sui 69 Progetti Approvati


Indicatori Valore Totale Valore Medio
PUNTEGGIO SVP 3,17
Valore Totale del Progetto (in Euro) 3.884.720 56.300
Valore Totale del Progetto (in LIRE) 7.521.865.944 109.012.550
Contributo Richiesto (in LIRE) 3.529.904.158 51.158.031

L’ indicatore “Punteggio SVP” è l’indice globale di valutazione dei singoli progetti che varia dal
minimo di 0 al massimo di 5; ai fini dell’approvazione è stata fissata una soglia minima pari a 2,60.
Il “Punteggio SVP” è la risultante di un algoritmo che sintetizza, secondo alcuni meccanismi di
ponderazione, i seguenti 4 criteri di valutazione:
(

Criterio I “Valutazione Aziendale”, basato su indici economico-finanziari (ROI, Indice di


autonomia finanziaria, rapporto tra contributo richiesto e fatturato);
(

Criterio II “Impatto dell’innovazione sullo sviluppo locale” (formulato dai rappresentanti locali
e centrali di Confindustria e dell’Organismo Intermediario);
(

Criterio III “Coerenza tra obiettivi dell’impresa e processi di integrazione nello sviluppo”
(formulato dai rappresentanti locali e centrali di Confindustria e dell’Organismo
Intermediario);
(

Criterio IV “Valutazione Tecnica” (formulato dal valutatore tecnico).

Nello svolgimento della valutazione tecnica, il criterio IV è stato declinato, dall’autore, nei
seguenti aspetti di dettaglio:
i) Connessione “problematiche aziendali-innovazione proposta”
(formulazione del problema aziendale e analisi del legame funzionale tra il problema e
l’innovazione proposta)
ii) Inerenza e Congruità del budget
(legame funzionale tra i costi indicati, le attività previste e l’innovazione proposta; corrispondenza
con valori di mercato dei parametri di costo proposti)
iii) Corrispondenza tra profilo del fornitore e contenuto tecnico della fornitura
(completezza e articolazione della proposta; livello di esperienza del fornitore nelle tematiche
oggetto dell’intervento proposto).

Vale la pena di sottolineare l’elevato grado di corrispondenza tra i 4 Criteri di valutazione proposti
dalla Sovvenzione Globale e le conclusioni formulate nei precedenti paragrafi circa la rilevanza di
due aspetti fondamentali nelle strategie di innovazione delle piccole imprese: l’integrazioni con
l’ambiente locale e le capacità interne di assorbire le conoscenze legate all’integrazione con fonti
esterne di conoscenze.

Il dato medio dell’indice globale di valutazione-“Punteggio SVP” per i 69 progetti approvati è


risultato pari a 3,17; in generale il dato è stato trascinato verso il basso più dai risultati del Criterio
IV che non da quelli riguardanti la struttura economico finanziaria delle imprese proponenti ed i
livelli di integrazione locale. In generale i progetti presentavano un basso livello di esplicitazione
dei problemi aziendali che l’impresa intendeva affrontare per mezzo del progetto di innovazione
proposto. Spesso il problema aziendale veniva addirittura confuso con la soluzione proposta (es.

68
“...il problema aziendale è dotarsi di strumenti di controllo di gestione...”). Tale carenza impediva,
in alcuni casi, di ricostruire un legame funzionale tra gli effetti dell’intervento proposto e la
eventuale risoluzione del problema. Inoltre, in molti casi, la coincidenza dello stesso fornitore di
servizi per gruppi di progetti proposti nella stessa area territoriale ha portato alla formulazione
“standard” dello stesso problema (e della stessa soluzione) anche per imprese completamente
diverse tra loro per dimensione, struttura finanziaria, traiettoria tecnologica, settore competitivo.
Anche l’analisi di congruità dei costi è stata resa difficoltosa dalla tendenza di gran parte dei
progetti a sfruttare al massimo i coefficienti previsti dal bando. In particolare in molti casi è stata
omessa una corretta descrizione analitica, sia qualitativa che quantitativa, dei giorni-uomo necessari
alla realizzazione dei servizi proposti.

La media del Valore Totale del Progetto (in Euro), presentato ed approvato da parte della singola
impresa, è risultata pari a • 56.300. Il Bando di gara per la raccolta delle proposte progettuali
prevedeva che tale importo fosse compreso tra un minimo di • 20.000 ed un massimo di •
200.000; conseguentemente il risultato medio finale è essenzialmente basso rispetto alle opportunità
di finanziamento pubblico offerte dalla Sovvenzione Globale,dal momento che esso si posiziona su
un valore pari al 31% del potenziale di finanziamento (Figura 4.4.).

Figura 4.4. - Valore Totale del Progetto (• )

100%
Massimo 200.000

31%
Valore Effettivo
56.300

0%
Minimo
20.000

0 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000

Tale dato non deve meravigliare dal momento che la valutazione complessiva che ha portato alla
approvazione dei 69 progetti è stata ispirata, come descritto in precedenza, ad una rigorosa logica di
coerenza complessiva della proposta progettuale e, soprattutto, ad una congruenza tra aspetti
economici, finanziari, tecnici e relazionali. Conseguentemente è risultata prevalente la caratura di
progetti gestibili, sulla base della struttura finanziaria delle imprese di dimensione piccola e micro,
prevalenti nel campione analizzato.
Il Valore Medio del Contributo richiesto è risultato pari a Lire 51.158.031 che, rapportato al
Valore medio del Singolo progetto di Lire 109.012.550, evidenzia una percentuale di finanziamento
pubblico pari al 46 % e corrispondente al massimo previsto dal bando. La corrispondenza tra i due
dati sembra confermare un approccio opportunistico alla partecipazione delle imprese; infatti un
eventuale valore al di sotto del massimo previsto avrebbe permesso di ipotizzare che gli interventi
di innovazione proposti dalle singole imprese fossero già previsti dai programmi aziendali e, quindi,
già parzialmente finanziati con coperture alternative nell’ambito della complessiva strategia di
innovazione dell’impresa. Viceversa, il dato finale lascerebbe ipotizzare che l’intervento proposto
sia stato programmato solo ed unicamente quale “tentativo” di attivazione delle opportunità di
finanziamento. Una possibile conferma di tale ipotesi potrebbe essere offerta da una verifica a
campione sui progetti non approvati, finalizzata a verificare quanti degli interventi proposti fossero
così “strategici” da essere stati realizzati anche in assenza del finanziamento.

69
La Figura 4.5., infine, affianca, per ciascuno dei tre settori di appartenenza delle imprese, il valore
medio dei progetti approvati e il relativo valore medio dell’ indicatore “Punteggio SVP”. I due
risultati mostrano un andamento analogo, con una evidente preminenza delle imprese NTBF’s; il
dato sembra essere coerente con la natura knowledge based di tale settore, mentre meno logico
sembrerebbe la superiorità delle imprese Supplier Dominated, rispetto alle Specialized Supplier.

Figura 4.5. – Confronto tra i Settori per valore e qualità dei progetti
Valore Medio dei Progetti per Valore Medio dell'Indice SVP per
Settore Settori


• 68.551,00 3,27
• 80.000,00 56.661,00
• 60.000,00 43.688,00 3,3 3,18
3,2 3,06
• 40.000,00 3,1
• 20.000,00 3
• - 2,9
Supplier Specialized NTBF's Supplier Specialized NTBF's
Dominated Supplier Dominated Supplier

70
§ 4.3. LE STRATEGIE DI INNOVAZIONE A PARTIRE DAI PROGETTI PROPOSTI

La tabella 4.5. e la Figura seguente che ne sintetizza i risultati percentuali, descrivono le tipologie
dei progetti di innovazione approvati, secondo la classificazione proposta dal Bando.
Con riferimento alle diverse prospettive teoriche sul processo di innovazione nella piccola
impresa, richiamate nel precedente Capitolo 3, appare chiaro come la tassonomia proposta dal
bando sia riconducibile all’ approccio tradizionale in cui la Strategia di Innovazione ha una natura
prevalentemente funzionale, collegata alle diverse tipologie di gestione operativa dell’impresa
industriale: gestione degli approvvigionamenti (NETWK Approvv e COLLAB), gestione della
produzione (Monitor PRODUZ, Certif AMB e QUAL), gestione commerciale (Nuovi MKT,
MARCHI, COMUNICAZ), gestione finanziaria (CONTR GEST, Relazioni FINANZ), gestione
dell’innovazione (R&S).

Tabella 4.5. Progetti Approvati per Tipologia di Innovazione


TIPOLOGIE DI INNOVAZIONE PREVISTE DAL BANDO ACRONIMO N. dei Progetti16

Accordi di collaborazione per acquisto/scambio servizi COLLAB 2


Acquisizione di nuovi segmenti di mercato Nuovi MKT 30
Certificazione qualità Certif QUAL 26
Monitoraggio produzione Monitor PRODUZ 12
Sviluppo progetti di ricerca R&S 7
Realizzazione di un sistema di controllo di gestione CONTR GEST 4
Rapporti con il sistema finanziario Relazioni FINANZ 3
Innovazioni relazionali (distretti, filiere, network, ecc.) NETWORKING 3
Certificazione ambientale Certif. AMB 2
Marchi di area o fra imprese MARCHI 2
Strategie di comunicazione innovative COMUNICAZ 1
Accordi di collaborazione per approvvigionamenti NETWK Approvv 1
Totale 93

16
Il totale è superiore a 69 (n. dei progetti approvati) dal momento che era possibile indicare più di una tipologia di
innovazione per ciascun progetto presentato.

71
Figura 4.6. -Distribuzione % dei Progetti per Tipologia di
Innovazione
COMUNICAZ
Certif. AMB 1% NETWK Approvv
2% MARCHI
1%
Relazioni FINANZ 2%
3%
NETWORKING
3%
CONTR GEST Nuovi MKT
4% 34%
R&S
8%

Monitor PRODUZ
13%

Certif QUAL
29%

I dati evidenziano le due tipologie di innovazione largamente prevalenti tra i progetti approvati:
l’Acquisizione di Nuovi Mercati (34%) e la Certificazione di Qualità (29%).

Tale dato conduce a diverse ipotesi formulabili a partire dallo Schema di Analisi delle Strategie di
Innovazione descritto nel capitolo precedente.
In entrambi i casi sembra prevalere una logica di incremento dei ricavi come motivazione alla
base della decisione di innovare. Tale ipotesi sembra escludere che la proposta del progetto di
innovazione sia funzionale alla implementazione di una più ampia strategia di innovazione
dell’impresa finalizzata ad obiettivi di competence building, o allo sviluppo di conoscenze
all’interno dell’impresa, basate sull’assorbimento e sull’integrazione di conoscenze provenienti
dall’ambiente locale. Anche in termini di impatto sul Vantaggio Competitivo i dati sembrano
confermare una certa distanza tra gli interventi proposti ed un reale impatto su eventuali strategie di
“differenziazione” (solo in alcuni progetti sono accennati legami tra R&S e differenziazione) o di
“leadership di costo” (con l’eccezione di alcuni progetti di “Monitoraggio Produzione” e di
“Controllo di Gestione”).
Nel caso della Certificazione di Qualità la motivazione ad innovare sembra spesso legata alle
opportunità, e in certi casi alla necessità, di dotarsi di uno strumento formale per l’accesso a
determinati segmenti di mercato (pubblica amministrazione e grandi committenti di produzioni in
conto terzi). Tale ipotesi è rafforzata dalla lettura del contenuto dei progetti di certificazione
proposti che, spesso, propongono soluzioni simili e standardizzate per imprese molto diverse tra
loro, ignorando le specifiche organizzative della singola impresa, della traiettoria tecnologica e
dello spazio competitivo in cui essa si muove. In particolare gran parte dei progetti presentati non
ha adeguatamente enfatizzato la base di risorse tecniche ed umane e di capacità organizzative capaci
di assorbire ed implementare realmente le procedure, ma soprattutto la cultura, derivanti
dall’introduzione di sistemi di qualità. Spesso la prevalenza di tali tipologie sembra essere legata
alle competenze dei fornitori dei servizi, dai cui curricula, sembra emergere una esperienza limitata
alla realizzazione di servizi fortemente routinizzabili (la certificazione), a limitata base tecnologica,
legati a logiche settoriali (riproposizione di analisi di mercato e di manualistica di settore).

72
I dati molto bassi sui progetti di collaborazione e di networking (3% di NETWORKING, 1% di
NTWK per Appovig.) mostrano una limitata propensione alla cooperazione da parte delle imprese;
infatti solo in quattro casi l’innovazione proposta è legata a espliciti obiettivi di rafforzamento della
capacità relazionale. Peraltro i rapporti con attori esterni delle imprese analizzate sembrano limitati,
in genere, a tipologie che prevedono un basso coinvolgimento organizzativo ed una limitata
complessità tecnologica
Tale dato rappresenta, probabilmente, l’elemento di maggiore preoccupazione derivante dal
confronto tra gli orientamenti reali delle imprese e le linee di politica industriale orientati alla
promozione di meccanismi cooperativi e di rete tra le piccole imprese, come testimoniato dai
vincoli imposti dalla stessa Sovvenzione Globale BICI.
Il dato è ancora più delicato se raffrontato con lo schema di analisi delle strategie di innovazione
presentato nel Capitolo 3 e, soprattutto con il “Modello dell’Impresa dai Confini Sfocati” ivi
descritto. Dai dati disponibili sembrerebbe addirittura che, in molti casi, la conoscenza del proprio
ambiente di riferimento da parte della piccola impresa sia limitata ai fornitori dei servizi finanziati.
Nella quasi totalità dei progetti sono, infatti, totalmente ignorati tutti gli attori che alimentano la
capacità di innovazione della piccola impresa, offrendole quelle risorse strategiche complementari
rispetto alla sua natura incompleta (Centri di Innovazione, Università, Grandi Imprese potenziali
Committenti, Enti Locali, Clienti Innovativi, Infrastrutture tecnologiche).

§ 4.4. – RISORSE E CAPACITÀ STRATEGICHE DELLE 67 PICCOLE IMPRESE

La ricerca empirica sul fenomeno innovativo nella piccola impresa è caratterizzata dalla presenza
di numerosi limiti di natura metodologica, legati alla duplice complessità dell’oggetto di studio,
l’innovazione, e dell’unità di rilevazione, la piccola impresa. Uno dei maggiori limiti è
rappresentato dalla opacità del concetto stesso di innovazione che si presta ad interpretazioni
differenti da parte del ricercatore, interessato alla rilevazione di aspetti coerenti con i framework
teorici adottati, e dell’imprenditore, spesso poco interessato ad individuare operazioni aziendali e
relativi investimenti caratterizzabili come innovazioni esplicite, codificabili secondo le categorie del
ricercatore.
Uno degli aspetti più significativi della ricerca presentata in questo lavoro è rappresentato, al
contrario, dall’elevato grado di partecipazione dell’imprenditore, derivante dalla mobilitazione del
cofinanziamento quale garanzia di una effettiva corresponsabilizzazione delle piccole imprese
beneficiarie dei “credit” di innovazione. In secondo luogo la stessa Commissione UE, nei
documenti normativi e nei programmi orientati allo sviluppo endogeno, raccomanda il principio del
bottom up ai fini di una corretta espressione dei fabbisogni di innovazione della piccola impresa. In
terzo luogo la possibilità di assumere le scelte operate nelle richieste di finanziamento quali
indicatori delle loro strategie di innovazione è rafforzata dalla natura dinamica del “credit di
innovazione”. Infatti, il "credit", neologismo coniato per ragioni di sintesi e già collaudato con
successo in precedenti sovvenzioni globali- è inteso quale contributo concesso, a seguito della
stipula di apposito contratto, per il cofinanziamento di un'iniziativa d'innovazione aziendale attuata
da una impresa localizzata in aree in ritardo di sviluppo. Il termine "credit di innovazione" è
mutuato dalla terminologia utilizzata nei sistemi formativi, in cui le tappe di una progressiva
formazione sono denominate "credit di formazione". Di conseguenza, non si fa riferimento ad una
terminologia bancaria, ma al cofinanziamento di un progetto che rappresenta una tappa di un
percorso aziendale di innovazione.
In definitiva, nonostante i vincoli metodologici esposti in precedenza, emerge una ulteriore chiave
di lettura dei dati provenienti dai progetti approvati, derivante da una analisi dei contenuti dei
progetti di innovazione proposti alla luce delle categorie di risorse e di capacità identificate nello
schema di analisi delle strategie di innovazione delle piccole imprese descritto nel Capitolo 3. In

73
particolare, appare ragionevole ritenere che la libera scelta di allocazione di proprie risorse su una o
più delle diverse tipologie di innovazione previste dal bando possa essere indicativa delle tipologie
di risorse e di capacità ritenute strategiche da parte della singola impresa.

§ 4.4.1. Risorse e Capacità di Marketing

Nonostante la tipologia prevalente di innovazione sia rappresentata dalla “Acquisizione nuovi


segmenti di mercato”, la gran parte dei progetti sembra più orientata al sostegno delle risorse,
definite come qualsiasi input, sia tangibile che intangibile, che l’impresa può utilizzare nei propri
processi, che non allo sviluppo di capacità, intese quali procedure ripetibili nell’uso delle risorse
stesse.
La presenza di diversi progetti di marketing strategico (es. dalla analisi di mercato alla
individuazione e implementazione di piani di marketing aziendali), pur se basati su logiche di
intervento collocabili nell’ambito dei tradizionali approcci della “Planning School”, è uno dei pochi
indicatori della volontà da parte della piccola impresa di assorbire le competenze esterne, rendendo
stabile e, si spera, “routinario”, l’uso di determinate conoscenze tecniche e dei relativi strumenti
gestionali.
Nell’ambito della tipologia prevalente di innovazione “Acquisizione nuovi segmenti di mercato” 6
progetti su 30 sono, in qualche modo, legati alla introduzione di metodi e tecniche connessi a
Internet. In 2 casi si tratta specificamente di sistemi di commercio elettronico, mentre negli altri casi
prevalgono strumenti meno innovativi quali siti web aziendali e sistemi on line di gestione;
Più interessante è il legame funzionale, riscontrabile in diversi progetti, tra il miglioramento dei
prodotti finali (es. certificazione dei prodotti, introduzione di nuove varianti di prodotti esistenti,
allargamento della gamma) e gli obiettivi di acquisizione di nuovi segmenti di mercato.
Più preoccupante è la presenza di progetti esplicitamente limitati a interventi sulla gestione della
comunicazione aziendale. In tali casi, anche se la natura innovativa era riconosciuta a monte da
esplicite previsioni del bando, la presenza di un legame tra l’esecuzione del progetto e lo sviluppo
di capacità di innovazione interne all’impresa si è rivelato molto basso.
Molto blando è risultato l’orientamento all’export. Infatti, solo in 2 casi sono stati proposti progetti
di innovazione strettamente finalizzati al miglioramento dei processi di internazionalizzazione delle
imprese.

§ 4.4.2. – Risorse Cognitive

Generalmente il livello delle conoscenze individuali dei soggetti coinvolti nella gestione
dell’impresa viene descritto attraverso indicatori del livello di istruzione (es. titolo di studio), di
esperienza tecnica (es. skill tecnologiche e gestionali), di formazione interna (es. aggiornamento
professionale). Ancora più rilevanti sembrano essere gli indicatori collegati alla rilevazione di
processi di passaggio dalle conoscenze individuali alle conoscenze collettive che determinano le
capacità dell’impresa. Inoltre, come descritto nel capitolo 3, le risorse cognitive pervadono, alla
luce delle teorie resource e competence based, tutti i processi di innovaizone dell’impresa, dal
momento che esse descrivono direttamente il livello di conoscenze presenti e assorbibili in futuro
da parte dell’impresa. Conseguentemente appare chiaro come, nell’ambito della tassonomia prevista
dal bando, le tipologie di innovazione maggiormente capaci di esprimere una strategia basata sulle
risorse cognitive possano essere le “Certificazioni”. Tali procedure richiedono infatti un consistente
investimento in programmi di addestramento interno che coinvolgono le diverse categorie di addetti
sia nella fase di analisi e di riprogettazione dei processi dell’impresa, sia nella fase di
implementazione e testing delle procedure.
L’aspetto più confortante è legato, senza dubbio, alla diffusione di un generale orientamento delle
imprese proponenti alla reale natura del Total Quality System, citato, anche se a volte in modo

74
improprio, in quasi tutti i progetti, con un definitivo superamento di una concezione ristretta della
qualità legata alle funzionalità tecniche dei prodotti.
Su 26 progetti 8 prevedono oltre alla ormai consolidata certificazione ISO 9000, anche la
certificazione ambientale, con specifico riferimento alle norme ISO 14001/96. In 3 casi, addirittura,
i progetti prevedono una complessiva gestione della qualità che abbraccia le diverse gestioni
aziendali, produttive, ambientali, organizzative e di sicurezza.
Non di meno emerge, in alcuni casi, la tendenza alla visione della qualità come strumento
“burocratico” e “commerciale” per l’accesso a determinate categorie di clienti (es. pubblica
amministrazione o committenti di sistemi di subfornitura); addirittura in un caso l’impresa propone
la certificazione di qualità come progetto di “acquisizione di nuovi segmenti di mercato”.
L’aspetto più preoccupante, già sottolineato nel paragrafo precedente, è rappresentato, invece, dal
rilevante livello di somiglianza dei progetti di “certificazione” presentati dai medesimi fornitori dei
servizi. Va sottolineato, peraltro, come nell’ambito dei curriculum dei fornitori di servizi, proprio la
presenza di rilevanti esperienze, sia qualitative che quantitative, di gestione della qualità ha
rappresentato l’indicatore più positivo di valutazione delle conoscenze e delle competenze delle
“fonti di innovazione” dei progetti approvati.

§ 4.4.3. – Risorse e Capacità Tecnologiche

Le Risorse Tecnologiche sono generalmente valutate sulla base di indicatori quantitativi (es.
valore delle immobilizzazioni tecniche) e qualitativi (es. produttività e livello di obsolescenza degli
impianti). Nel caso della Sovvenzione Globale BICI gli investimenti in immobilizzazioni materiali,
coerentemente con le finalità dell’intervento, sono stati fortemente limitati. Le Capacità
Tecnologiche sono generalmente espresse sia dai tradizionali indicatori di input (es. investimenti in
R&S) e di output (es. brevetti), sia da più complessi indicatori organizzativi (es. adozione di
strumenti di project management, procedure per il monitoring tecnologico, documentazione di
produzione, ecc.). Nell’ambito delle categorie previste dal bando e sulla base della analisi della
documentazione di progetto due tipologie sembrano esprimere al meglio un orientamento delle
imprese al sostegno delle Risorse e delle Capacità Tecnologiche: i progetti di “Monitoraggio della
Produzione”, e quelli di “Sviluppo Progetti di Ricerca”
Nell’ambito della tipologia “Monitoraggio della Produzione” sono risultati prevalenti i progetti
orientati alla progettazione di sistemi informativi, peraltro limitati dalle condizioni poste dal bando,
e alla introduzione di sistemi di controllo di gestione. Solo in 3 casi sono stati rilevati effettivi
orientamenti alla introduzione di innovazioni di processo (es. reingegnerizzazione dei processi,
qualificazione dei processi produttivi).
Nell’ambito dei progetti di “Sviluppo Progetti di Ricerca”, spiccano un progetto di riduzione dei
costi energetici, 4 progetti finalizzati alla innovazione di prodotto, sviluppati in settori a bassa
intensità di capitali, e alcuni progetti che abbracciano le diverse tipologie di innovazione di
prodotto, di processo ed organizzative.

§ 4.4.4. – Risorse e Capacità Finanziarie

Sul piano delle metodologie di gestione finanziaria i progetti approvati presentano un livello di
innovatività piuttosto basso, nonostante il bando enfatizzasse l’importanza di progetti capaci di
sintetizzare la natura innovativa dei contenuti (es. nuove metodologie di contabilità industriale) e la
creazione di rapporti evoluti con il sistema finanziario per la realizzazione di strumenti di finanza
innovativa (es. fondi mobiliari chiusi, venture capital). Infatti, la quasi totalità dei progetti di
“Controllo di Gestione” e “Rapporti con il sistema finanziario” propongono l’implementazione di
sistemi di controllo di gestione basati su metodologie tradizionali, di stretta derivazione contabile,
formulati con costante ripetitività delle medesime fasi standard, e, soprattutto, con eccessiva enfasi

75
sulla implementazione di pacchetti software fortemente standardizzati. In definitiva emerge una
visione della gestione finanziaria limitata ad una funzione di supporto contabile-amministrativo,
piuttosto che ad una funzione di supporto alle decisioni aziendali ritenute critiche dall’impresa.
Il dato è ancora più preoccupante se si considera che, generalmente, un indicatore della Capacità
Finanziaria della piccola impresa è rappresentato dalla presenza di procedure ripetibili per la
gestione delle fonti di finanziamento, sia agevolate sia ordinarie. Infatti, dalla analisi della
documentazione progettuale è emerso come, in molti casi, gran parte del processo che ha condotto
alla presentazione delle proposte (ideazione, progettazione, scelta dei partner, budget, redazione dei
documenti, rapporti con l’Organismo Intermediario, ecc.) sia stato gestito esternamente all’impresa
dai fornitori dei servizi connessi ai singoli progetti. Ciò lascia ipotizzare come la partecipazione a
programmi di finanziamento agevolato per l’innovazione sia legata non tanto alla presenza di
effettive ed esplicite esigenze di innovazione con connessi programmi di investimento, quanto ad
una visione “opportunistica”, alimentata da fornitori esterni, spesso non legati da rapporti di
continuità professionali tali da garantire una graduale internalizzazione delle conoscenze e delle
procedure oggetto dell’intervento.
Le considerazioni precedenti sembrano confermare le conclusioni sul comportamento delle
piccole imprese nel finanziamento delle attività innovative, contenute nella citata ricerca “Road
Map for Italy” (Annunziato e Montanino, 1999); la ricerca ha sottolineato, infatti, uno scarso
interesse delle PMI per le opportunità di finanziamento all’innovazione, derivante sia dalla presenza
di consulenti definiti come “faccendieri-lobbysti”, sia dalle difficoltà di natura burocratica connesse
alla effettiva erogazione dei fondi.

§ 4.4.5. – Capacità Relazionali

Generalmente la Capacità Relazionale di una piccola impresa viene misurata attraverso la


presenza di efficaci procedure ripetibili per la gestione del “confine sfocato”, ovvero di tutti quei
rapporti, formali ed informali, con gli attori-chiave dell’ambiente di riferimento dell’impresa. Come
largamente sottolineato in letteratura tali attori, che costituiscono il sistema territoriale di
innovazione di riferimento della piccola impresa, sono identificati, di volta in volta, nell’ambito dei
centri di innovazione, delle Università, di grandi imprese potenziali committenti, dei fornitori di
servizi, di enti locali, di clienti innovativi, di altre piccole imprese, di infrastrutture tecnologiche.
La Sovvenzione Globale BICI ha ampiamente tradotto, in termini di policy, tale approccio
focalizzando l’intervento, e la valutazione dei progetti proposti, sulle potenzialità di impatto locale
dell’iniziativa di innovazione e sulla la coerenza fra gli obiettivi del progetto aziendale e i processi
di integrazione territoriale.
In particolare il bando ha esplicitato tale orientamento, prevedendo tre tipologie specifiche di
innovazione: i) Innovazioni relazionali distretti, filiere, network (NETWORKING), ii) Accordi di
collaborazione per acquisto/scambi di servizi (NTWK per Approvig); iii) Marchi di area o tra
imprese (MARCHI).
Come già sottolineato nel paragrafo precedente tali tipologie non superano complessivamente il
4% dei progetti approvati; più in generale l’ampiezza dei rapporti tra le piccole imprese proponenti
e l’ambiente esterno è risultata limitata a pochi, spesso uno solo, fornitori dei servizi oggetto del
“credit”, ignorando totalmente la potenziale ricchezza delle relazioni cooperative con gli altri attori.
Infatti sia sul piano quantitativo, bassissimo numero di fornitori per singolo progetto, sia sul piano
qualitativo, larga prevalenza di fornitori locali di dimensioni ed esperienze limitate, i progetti
approvati sembrano mostrare una “delega”, da parte della piccola impresa, dei rapporti con
l’ambiente esterno al fornitore dei servizi.
Nell’ambito dei progetti approvati, spicca la proposta di costituzione di un marchio di area per un
prodotto agricolo tipico delle produzioni locali. L’esempio dimostra come la propensione

76
all’innovazione, e in particolare allo sviluppo di relazioni strategiche, possa svilupparsi anche
nell’ambito di settori tradizionali, a condizione di saper definire piattaforme progettuali che
realizzino uno scambio effettivo di valore tra i diversi partecipanti alla “rete”.
Nessuno dei progetti approvati propone relazioni strategiche né con Università, né con Agenzie
locali di trasferimento tecnologico (Parchi Scientifici, Centri di Innovazione, ecc.). Il dato si presta
a diverse considerazioni con riferimento sia al tema dei rapporti tra piccole imprese e Università, sia
al ruolo delle infrastrutture per il trasferimento della conoscenza.

Già la citata ricerca “Road Map for Italy” (Annunziato e Montanino, 1999), pur realizzata su un
campione di PMI non limitato alle aree in ritardo di sviluppo, ha registrato un livello
“insoddisfacente” dei rapporti tra Università e imprese intervistate; in particolare la ricerca ha
sottolineato la distanza tra problemi “tecnici” delle imprese e conoscenze “scientifiche” dei
ricercatori, il problema della “segretezza” aziendale, e l’importanza dei meccanismi di informazione
delle attività di ricerca condotte in ambito accademico.
La analisi delle barriere (vedi Tabella 4.6.) alla cooperazione tra Università e piccole imprese,
localizzate in aree in ritardo di sviluppo è stata oggetto, tra l’altro, di precedenti ricerche empiriche
condotte dall’autore su novanta gruppi di ricerca della Università di Salerno (Bellini, 1997; Bellini e
Zollo, 1997), che hanno confermato le conclusioni di diversi autori (Varaldo e Piccaluga, 1994;
Harmon et al., 1995; Sanchez and Tejedor, 1995), permettendo la classificazione delle barriere in
tre categorie: Culturali, Organizzative, Gestionali. La prima tipologia è particolarmente rilevante
nelle aree in ritardo di sviluppo, la seconda caratterizza casi in cui la autonomia universitaria è
molto bassa, la terza emerge in casi in cui forme di cooperazione Università-Industria sono state già
sperimentate.

Tabella 4.6. - Barriere alla cooperazione Università-Imprese


)

Divergenza delle rispettive Missioni


Barriere Culturali )

Diversità dei processi decisionali


)

Autoreferenzialità del sistema universitario


)

Incompatibilità dei tempi


)

Frammentazione disciplinare Università


Barriere Organizzative )

Burocrazia universitaria
)

Aspetti legali (contrattualistica, protezione, garanzie per inadempimenti)


)

Struttura e procedura delle attività congiunte


Barriere Gestionali )

Problemi finanziari
)

Segretezza e sicurezza risultati di R&D


Fonte: Bellini, 1997

La ricerca empirica ha mostrato come le barriere più importanti riguardino gli aspetti culturali. Un
problema chiave è derivato dal fatto che ricercatori e imprenditori usano differenti metodi e
categorie (linguaggi, categorie esplicative, percezioni, aspettative) nel processo di definizione delle
rispettive valutazioni. In tali condizioni il processo di coordinamento delle azioni congiunte da
realizzare diventa particolarmente difficoltoso. Il comportamento autoreferenziale del sistema
universitario è mostrato chiaramente dal fatto che il gruppo di ricerca considera la comunità
scientifica, come un “cliente” pressoché esclusivo delle proprie attività.
Inoltre, dal punto di vista organizzativo, mentre l’Industria è focalizzata dal “time to market”, i
gruppi di ricerca sono ispirati dal “time to novelty”, con la conseguenza che le scadenze dei
programmi di ricerca divengono incompatibili con i progetti di innovazione delle imprese. Infine, è
importante sottolineare come la frammentazione delle discipline, la burocrazia universitaria e i
limiti giuridici influenzino negativamente lo sviluppo di relazioni efficaci e si rivelino inadeguati
per la definizione di accordi strategici.
All’interno di tale contesto vincolante è molto facile intuire che i gruppi di ricerca possono
considerare le attività di consulenza e gli spin-off accademici come forme tra le più efficaci di
interazione tra mondo della ricerca e ambiente economico. Infatti, gli spin-off accademici appaiono

77
quali fenomeni capaci, da un lato, di massimizzare le motivazioni connesse alla “Didattica” e al
“Sostegno all’economia locale”, dall’altro, di neutralizzare le più importanti barriere organizzative e
gestionali.
La stessa ricerca empirica ha permesso di individuare anche le motivazioni (vedi Tabella 4.7.) dei
gruppi di ricerca universitari a cooperare con l’industria, ricondotte alle tre missioni fondamentali
del sistema universitario pubblico (Ricerca, Didattica, Servizio Pubblico). Una delle motivazioni
maggiormente rilevate riguarda il reperimento di fondi per la ricerca. Tale motivazione,
riconducibile alla progressiva riduzione dei finanziamenti pubblici, conferma risultati emersi in
studi analoghi svolti in contesti territoriali diversi, quali Aragona-Spagna (Sanchez, Tejedor, 1995),
USA (Mian, 1994), Portogallo (Fontes, Coombs, 1995).

Tabella 4.7.- Le Motivazioni della Università a cooperare con le Imprese


*

Progressiva riduzione dei fondi pubblici per la ricerca


Missione *

Spunti per la ricerca derivanti da problemi tecnici delle imprese


“Ricerca” *

Necessità di partner industriali end-user per partecipazione a programmi di


ricerca
*

Orientamento dei programmi di studio ai profili professionali richiesti dalle


aziende (es. stage per iscritti ai Diplomi Universitari, dottorati di ricerca con
Missione coinvolgimento di imprese)
“Didattica” *

Miglioramento quali-quantitativo del placement dei neolaureati


*

Possibilità per gli studenti di uso imprenditoriale di idee innovative


derivanti dalla ricerca
Missione *

Rafforzamento legami con attori istituzionali locali


“Servizio Pubblico *

Rafforzamento tessuto economico locale con partecipazione diretta a


(sostegno all’economia locale)” iniziative di impresa
*

Attrazione di investimenti privati esterni all’area


Fonte: Bellini, 1997

La ricerca empirica ha permesso di rilevare come le altre motivazioni rivestano un ruolo


secondario, anche se è’ importante sottolineare la sensibilità dei docenti agli stimoli, provenienti dai
programmi dell’Unione Europea per il rafforzamento dei rapporti tra Università-Industria in
risposta al “paradosso europeo” (Libro Verde dell’Innovazione, 1995) caratterizzato da uno scarto
significativo tra il costante miglioramento delle prestazioni scientifiche e il progressivo
peggioramento delle prestazioni tecnologiche, industriali e commerciali nei settori hi-tech. Tale
fenomeno sta alimentando la motivazione dell’Università ad interagire con le imprese, dal momento
che la cooperazione tra ricercatori, tecnologi e end-user rappresenta il requisito essenziale per la
partecipazione a molteplici programmi. Le motivazioni connesse alle missioni “Didattica” e
“Sostegno allo sviluppo locale”, meno sviluppate in passato, stanno assumendo una importanza
crescente a seguito della tendenza verso una maggiore autonomia delle istituzioni universitarie.
Infatti, l’autonomia favorisce la competizione tra i singoli atenei rispetto alla attrazione di nuovi
studenti, le cui scelte sono condizionate dalla qualità dei programmi e dalla probabilità degli
sbocchi occupazionali. I risultati descritti trovano conferma nel coinvolgimento diretto delle
Università della Campania e di altre aree centro-meridionali nelle attività di strutture per la
promozione dell’innovazione (es. Parchi Scientifici, Consorzi misti Università-Industria, Enti per lo
sviluppo di nuova imprenditorialità). E’ importante sottolineare come, a differenza di esperienze
precedenti, le Università siano coinvolte quali istituzioni e non solo per mezzo di incarichi
professionali privati commissionati ai singoli ricercatori.
Tali esperienze confermano la generale impressione che, anche nelle aree in ritardo di sviluppo,
l’Università si muova da un “Modello Mercantile” a un “Modello Leva” (Varaldo e Piccaluga,
1994) che realizzi innovazione nei processi formativi, proattività nei rapporti con le imprese e
sostegno alla promozione degli spin-off accademici. Tali considerazioni confermano, come
sottolineato anche dalla ricerca “Road Map for Italy”, come la scarsa rilevanza quantitativa di
relazioni tra Università e piccole imprese non vada interpretato come un segno di debolezza del
sistema italiano, vista la priorità strategica, per la competitività di lungo periodo del sistema paese,

78
dell’impegno accademico su ambizioni programmi di ricerca internazionali e ad ampio spettro
applicativo.
Ben più grave è l’assenza nei progetti BICI di manifestazioni di interesse da parte delle piccole
imprese meridionali nei confronti delle locali infrastrutture per il trasferimento tecnologico
(agenzie, parchi tecnologici, centri di innovazione, ecc.). Queste ultime, infatti, trovano una
giustificazione della loro esistenza, e dei rilevanti finanziamenti cui accedono, nella missione di
“ponte” tra le imprese del territorio e le fonti delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Il
mancato riconoscimento di tale ruolo da parte delle piccole imprese meridionali suona come un
campanello di allarme circa la necessità di ampliare il ruolo di tali infrastrutture alla luce della
evoluzione knowledge e competence based dell’economia reale e dei sistemi competitivi. Infatti, in
previsione della graduale diminuzione dei finanziamenti pubblici straordinari per la fase del loro
start up, tali infrastrutture dovranno disegnare una loro strategia che ne permetta lo sviluppo, o
almeno la sopravvivenza, in un contesto competitivo in cui riuscire a conquistare la libera scelta di
mercato delle piccole imprese locali. Anche questo dato trova conferma nei risultati della ricerca
“Road Map for Italy” che ha sottolineato i pericoli competitivi per le agenzie di trasferimento
tecnologico derivanti:
+

dallo scarso valore attribuito ai servizi delle agenzie da parte delle imprese (“le imprese
intendono le agenzie come strumenti messi al loro servizio, possibilmente a costo zero, ... la
cui principale funzione sia quella di facilitare ìl reperimento dei finanziamenti, anzichè
condurre un’attività di trasferimento dell’innovazione...”;
+

dalla ambigua identità attribuita alle agenzie da parte delle imprese (“... le agenzie vengono
confuse con l’Università, ... addirittura con l’ICE...”);
+

dalla difficoltà delle agenzie a sviluppare competenze di reale interesse per le imprese (“...
alcune imprese suggeriscono alle agenzie di mettere in contatto imprese appartenenti alla stessa
filiera produttiva..., ... o imprese locali con operatori esteri...).

79
Capitolo 5 –
Conclusioni e Implicazioni Gestionali

§ 5.1. –L’ADOZIONE DI UNA PROSPETTIVA GESTIONALE COMPETENCE-BASED DA PARTE DELLE


PICCOLE IMPRESE OPERANTI IN AREE IN RITARDO DI SVILUPPO

I capitoli precedenti hanno mostrato come l’evoluzione degli studi strategici sia in grado di offrire
valide chiavi di lettura del fenomeno innovativo nella piccola impresa alla luce dei concetti
fondamentali dell’economia competence-based17. I dati disponibili nell’ambito dei progetti
approvati dalla Sovvenzione Globale BICI, se pur caratterizzati da evidenti limiti di natura
metodologica, hanno avuto il pregio di offrire una visione del fenomeno direttamente dalla
prospettiva della piccola impresa. Ciò grazie soprattutto al sicuro coinvolgimento degli imprenditori
derivante dal loro impegno a cofinanziare le strategie di innovazione collegate ai progetti presentati.
Tale aspetto ha permesso, quanto meno, di limitare i problemi di interpretazione e di codifica del
fenomeno innovativo tipici della ricerca empirica sulla piccola impresa, proponendo categorie del
processo di innovazione, magari “semplici”, ma definite direttamente dagli imprenditori non ai fini
di una intervista, ma nell’ambito della effettiva gestione aziendale.
Lo schema di analisi delle strategie di innovazione della piccola impresa ha permesso di
ricostruire il legame tra competitività dell’impresa e processi di competence building. In particolare
il rigore terminologico alla base dello schema ha portato alla definizione di un più preciso legame
tra:
i) relazioni con le risorse firm-addressable disponibili nell’ambiente esterno, e in
particolare con le informazioni da esse derivanti;
ii) conoscenza, in particolare quella individuale incapsulata nelle risorse cognitive;
iii) risorse e capacità interne;
iv) relativo impatto sulla posizione competitiva

Tali distinzioni fondamentali aiutano, probabilmente, a spiegare il basso livello di relazioni con gli
attori locali, e in particolare con l’ambiente tecnologico, da parte delle piccole imprese. La piccola
impresa è, per sua natura, caratterizzata da un comportamento erratico, in cui le relazioni sono, di
volta in volta, più legate ad obiettivi tattici di breve periodo che non ad un preordinato disegno di
sviluppo delle conoscenze e delle competenze ritenute strategiche. Queste ultime, infatti, pur
rivestendo una importanza vitale, sono generalmente sviluppate dalla singola impresa in modo
autonomo, a volte “segreto”, secondo percorsi caratterizzati da un elevato grado di informalità che
accresce il carattere tacito delle conoscenze sviluppate.
Dal punto di vista delle policy emerge quindi, la necessità di aiutare la piccola impresa a sciogliere
alcuni equivoci, spesso generati dallo scarso rigore terminologico, che impediscono di cogliere la
natura strategica della relazione circolare tra relazioni-sviluppo di conoscenze-competence building-
competitività.
Gli equivoci cui si fa riferimento sono costituiti da alcune percezioni di fondo che caratterizzano i
sistemi cognitivi della piccola impresa:
i) un legame diretto tra investimenti industriali (prevalentemente tangibili) e competitività,
come dimostrato dalla rilevante tendenza alla partecipazione a programmi di

17
Ricordiamo che, anche in questo capitolo conclusivo, i termini conoscenza, risorsa, capacità, competenza sono utilizzati alla
luce delle distinzioni e delle definizioni riportate nei capitoli 2 e 3. In particolare il concetto di competenza viene utilizzato
quale risultante di operazioni aziendali caratterizzate da: intenzionalità nell’uso delle risorse, organizzazione, raggiugnimento
degli obiettivi.

80
finanziamento agevolato per tali investimenti (es. Legge 488/92 e programmi regionali
per l’industria);
ii) un legame tra “segretezza e incapsulamento tacito” delle conoscenze nei componenti del
gruppo imprenditoriale e difesa della competitività;
iii) la tendenza ad investimenti “relazionali” legati ad obiettivi di natura commerciale e
“politica” (es partecipazione ad organizzazioni rappresentative, o con potere di lobby).

Non è questa la sede per ripercorrere le cause socio-economiche di tali processi, legati
essenzialmente a meccanismi di costruzione della fiducia tra gli attori e ad alcuni fenomeni
distorsivi della concorrenza, ma appare chiaro come l’adozione di una prospettiva di gestione
competence-based da parte della piccola impresa passi attraverso un processo di interiorizzazione di
alcune priorità strategiche:
i) la necessità di partecipare a sistemi relazionali per l’accesso a processi di sviluppo di
conoscenza tacita altrimenti non raggiungibili;
ii) la necessità di selezionare tra tutte le possibili relazioni quelle realmente strategiche
rispetto ai processi di sviluppo delle competenze strategiche, riducendo le relazioni con
soggetti non in possesso di conoscenze e competenze complementari;
iii) la necessità di procedere, laddove possibile, a processi di graduale esplicitazione e
formalizzazione dei processi di sviluppo della conoscenza interna all’impresa (es.
attività configurabili come progetti di R&S, procedure tecniche, curriculum tecnico,
principali innovazioni realizzate, ecc), al fine di migliorare la gestione sia delle
operazioni interne, sia delle relazioni esterne con finanziatori e partner.

In termini più banali diventa fondamentale il superamento di una dicotomia spesso presente nei
sistemi percettivi delle piccole imprese operanti in aree deboli: investimenti tangibili = redditività
vs. investimenti intangibili = attività di R&S troppo lontana dal mercato e quindi estranea alla
piccola impresa. L’elemento che potrebbe permettere la rottura di tale dicotomia è rappresentato
proprio dalla circolarità delle relazioni tra conoscenza che, come ben chiaro anche alla piccola
impresa, rappresenta l’elemento di reale valore aggiunto che moltiplica il rendimento di tutti gli
investimenti, relazioni e redditività.
Il concetto di circolarità è strettamente legato ad una lettura dei fenomeni aziendali nell’ottica
della teoria della complessità, basate sui concetti di razionalità strategico-progettuale, di entropia,
di apprendimento. In particolare la complessità18 “si manifesta con la conoscenza e con essa finisce
per identificarsi”. Dal punto di vista metodologico la teoria della complessità suggerisce la
necessità di una visione globale e di sintesi dei fenomeni, nonché l’importanza della semplicità del
linguaggio, il cui uso non corretto può generare “complicazione” più che “complessità”. Il problema
fondamentale sembra essere legato alla necessità di bilanciare la dimensione olistica e dinamica,
che rende difficoltosa la scomposizione dell’impresa in parti analizzabili in termini statici, con
l’esigenza di “operazionalizzare” i concetti, definendone tipologie e variabili specifiche rilevabili
nel corso di ricerche empiriche.
Lo schema proposto nella Figura 5.1. tende a trovare un equilibrio tra l’esigenza di scomposizione
dei concetti ai fini della conduzione della ricerca empirica e l’esigenza di rispettare la dimensione
olistica e la causalità multidirezionale e circolare, proprie della teoria competence-based. Tale
equilibrio viene ricercato facendo riferimento a:

18
Dioguardi (2000) in Al di là del Disordine. Discorso sulla Complessità e sulla Impresa, richiama costantemente la necessità
di un approccio olistico e spiega la nozione di complessità attraverso: a) la varietà di componenti di un sistema complesso; b)
l’organizzazione di tali elementi per livelli gerarchici interni; c) la varietà e densità dei legami tra gli elementi; d) le interazioni
non lineari tra gli elementi.

81
i) i concetti di intenzionalità nell’uso delle risorse e di goal attainment (raggiungimento
degli obiettivi) che identificano il passaggio dalle capacità alla costruzione di nuove
competenze (competence building);
ii) il legame circolare tra nuove competenze e strutture cognitive del personale dell’impresa
derivante dallo strategic intent, inteso quale energia emotiva e intuitiva che,
dinamicamente, orienta e alimenta lo sviluppo e la gestione delle conoscenze nella
piccola impresa.

Figura 5.1. – Strategic Intent e Piccola Impresa

Vantaggio Competence
Competitivo Building
Confine Sfocato

Strategic Intent

Capacità
Goal Attainment e
Intenzionalità

Risorse Firm Specific Risorse Firm-Addressable

In particolare, per le piccole imprese l’elemento fondamentale di gestione strategica è dato dal
legame tra sviluppo interno delle conoscenze e gestione dei confini e, quindi, delle relazioni con
l’ambiente esterno. Tale gestione viene sostenuta dalle energie emotive ed intuitive della piccola
impresa che appaiono assimilabili a concetti variamente definiti come vision (Norman, 1978; Filion,
1990), strategic intent (Prahalad e Hamel, 1994), intention e goal attainment (Sanchez e Heene,
1997), tenacia (Dioguardi, 2000), entusiasmo imprenditoriale (Stacey, 1987). La possibilità di
assumere, in particolare per la piccola impresa, l’energia emotiva quale elemento capace di
esprimere la dimensione olistica del rapporto tra conoscenze e relazioni emerge dal passaggio dalla
prospettiva core competence al competence-based strategic management descritta nel Capitolo 3.

Sulla base delle considerazioni svolte nei capitoli precedenti è possibile derivare alcuni spunti di
riflessione, con riferimento alle singole categorie di Risorse e di Capacità.
Un primo spunto riguarda la necessità di stimolare le piccole imprese nella definizione di una
complessiva strategia di innovazione, se possibile autonoma e non condizionata dalle opportunità di
finanziamento agevolato. Tale politica passa attraverso un processo capace di far “emergere”, come
avviene per le c.d. “attività in nero”, le attività di “R&S e Innovazione informali”, che spesso la
piccola impresa realizza autonomamente, segretamente e, soprattutto, ricorrendo a forme di
autofinanziamento.
Tale sostegno alla “Formalizzazione delle attività interne di R&S e Innovazione” permetterebbe
alla Piccola Impresa di:
,

Legare i singoli interventi/progetti di innovazione ad una complessiva strategia orientata o al


miglioramento del “Vantaggio Competitivo”, o alla “Costruzione di Nuove Competenze”
,

Ottimizzare, in modo bilanciato, le diverse opportunità di finanziamento offerte da fondi


europei, nazionali e regionali sia per gli investimenti direttamente industriali (es. L. 488
Industria), sia per gli investimenti in Ricerca e Innovazione (es. fondi MURST)

82
-

Ottimizzare il rapporto con i fornitori di servizi, ribaltando i ruoli che sono emersi dai dati
analizzati (fornitore come promotore del progetto basato sulle proprie competenze- piccola
impresa destinataria passiva di un progetto “progettato dall’esterno”).

Il sostegno a tale processo di formalizzazione passa attraverso una attenzione alla categoria
fondamentale di risorse: le risorse cognitive della piccola impresa. In tal senso vanno sostenute
attività capaci di aiutare le piccole imprese a “codificare” i patrimoni di conoscenze tecniche,
artigianali, progettuali, produttive, che spesso rappresentano la base fondamentale della loro
sopravvivenza e del loro sviluppo.
Infatti, l'analisi dei processi produttivi di molti sistemi locali di successo italiani e, in particolare
del Mezzogiorno, (ad esempio: mobile imbottito, sartoria, calzatura, agro alimentare, ecc.), mostra
come alla base del loro funzionamento insistano delle conoscenze di natura artigianale. Queste si
presentano come il risultato di una combinazione delle abilità cognitive dei singoli individui con un
processo di costruzione sociale in uno specifico contesto culturale (Schiuma, 1999)19. Ne consegue
che la conoscenza artigianale si presenta come idiosincratica al suo ambito di generazione, cioè
come una risorsa “interna” agli individui o alle dinamiche relazionali che tra loro si svolgono. Ciò
rende la conoscenza una risorsa di difficile gestione, poiché non neutra e soprattutto non
manipolabile, se non attraverso una gestione degli individui e delle loro dinamiche relazionali.
Affinchè la conoscenza possa essere gestita anche indipendentemente dall’individuo che l’ha
generata occorre che questa venga tradotta in un artefatto simbolico di rappresentazione.
Il processo che mira a formalizzare, cioè a definire, descrivere e rappresentare, una conoscenza
tacita attraverso appropriati formalismi al fine di renderla oggetto concreto di analisi costituisce il
“processo di codifica della conoscenza”.
Lo scopo del processo di codifica è quello di aumentare l’efficacia e/o l’efficienza dell’impiego,
dell’accessibilità e dell’applicabilità di una data conoscenza. Alla base della codifica della
conoscenza c’è l’idea che una sua idonea rappresentazione e/o descrizione ne consenta una più
efficace ed efficiente gestione. Infatti la possibilità di rappresentare e descrivere la conoscenza
attraverso l’impiego di opportuni codici informativi rende possibile l’attuazione di processi di
controllo, di trasformazione, di combinazione e di trasferimento, conferendole il carattere di risorsa
tangibile.
L'implementazione di progetti di codifica delle conoscenze artigianali sembra essere alla base del
miglioramento delle performance produttive e dello sviluppo di processi innovativi. A tale scopo
occorre definire i contenuti e le modalità operative per lo sviluppo di progetti di codifica dei saperi
artigianali, declinati nei diversi aspetti che attengono alle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, agli aspetti gestionali e alle metodologie di knowledge management.
Il processo di definizione di una complessiva strategia di innovazione, formalizzato ad esempio
attraverso semplici strumenti di “gestione di un portafoglio di progetti di innovazione”,
permetterebbero, inoltre, alla piccola impresa di ottimizzare l’allocazione delle diverse Risorse
Finanziarie (proprie, di terzi, a breve, a lungo, bancarie, non bancarie, agevolate, ecc.) sulle diverse
attività di innovazione. Tale gestione diventa fondamentale per la messa a punto di sistemi di
amministrazione capaci di “rendicontare” in modo ottimale le diverse spese sostenute rispetto alle
opportunità di finanziamento agevolato disponibili.

§ 5.2. - L’EVOLUZIONE DELLA POLITICA NAZIONALE DELLA RICERCA IN UN’OTTICA COMPETENCE-


BASED20

19
Le considerazioni riportate di seguito sul processo di codifica della conoscenza derivano da riflessioni sviluppate con
l’amico, e collega della Università della Basilicata, Giovanni Schiuma.
20
Molti dei contenuti di questo paragrafo derivano da considerazioni sviluppate all’interno della Segreteria Tecnica del
MURST. L’autore intende qui ringraziare i colleghi di lavoro della Segreteria: i proff. Aldo Romano (Capo della Segreteria),
Claudio Battistoni, Fabio Carassiti, Antonio Cavallaro, Giampietro Ravagnan, Gianluigi Rossi; Luigi Rossi, Nicola Rubino,

83
La ricchezza interpretativa dei concetti fondamentali dell’economia della conoscenza rappresenta
il tratto comune che lega non solo i diversi filoni teorici presentati nei primi tre capitoli alle
strategie di innovazione delle piccole imprese, ma anche il riferimento più o meno esplicito della
evoluzione in atto nella politica nazionale della ricerca.
Il D.Lgsl. 204/98 “Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della
politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica” prevede il Programma Nazionale
della Ricerca, come punto qualificante nella costruzione della nuova architettura istituzionale del
sistema ricerca, volto alla realizzazione di un diverso ruolo della scienza nello sviluppo del Paese,
La necessità per l’Italia di dotarsi di un effettivo strumento di programmazione dello sforzo in
ricerca e sviluppo è derivato dalla consapevolezza che, come in tutti gli altri contesti
economicamente e tecnologicamente avanzati, sia necessario raccordare le iniziative
autonomamente sviluppate dal sistema scientifico e dalle sue componenti con le esigenze
complessive del sistema-paese che alla scienza, alla tecnologia e all’innovazione fanno riferimento.
Lo strumento del Programma offre anche l’opportunità di raggiungere forme più evolute di
coordinamento e interscambio a diversi livelli:
i) coordinamento intersettoriale (tra i diversi soggetti istituzionali),
ii) raggiungimento di masse critiche (tra differenti attori e sedi operative),
iii) incremento del grado di coerenza e complementarità (tra i momenti e gli obiettivi della
progettazione degli interventi e gli strumenti operativi) al fine di mobilitare risorse
nascoste o sottoutilizzate.
Le recenti “Linee Guida del Programma Nazionale della Ricerca”
(http://www.murst.it/Ricerca/PNR/2000), proposte del Ministro dell’Università e della Ricerca
Scientifica, accolte dal CIPE (25.05.2000) e recepite nel DPEF approvato dal Consiglio dei Ministri
il 29.06.2000, costituiscono la base concettuale a partire dalla quale viene avviato un processo di
adesione e convergenza della pluralità di soggetti coinvolti ai diversi livelli nella politica scientifica
e tecnologica nazionale.

Nell’ambito di questo volume vale la pena di sottolineare due aspetti fondamentali:


i) la chiara collocazione delle Linee Guida nell’ambito della cornice concettuale
dell’economia della conoscenza;
ii) le specifiche previsioni delle Linee Guida per il sostegno alle piccole imprese in
un’ottica competence based.
Con riferimento al primo punto le Linee Guida sembrano delineare una vera e propria strategia
competence-based per il sistema paese, incentrata su alcuni aspetti fondamentali:
i) la prospettiva di medio-lungo periodo per lo sviluppo del sistema paese fondato sull’
asset/risorsa conoscenza, in un’ottica di cooperazione/competizione;
ii) la presenza di uno strategic intent proiettato a superare la attuale, preoccupante, deriva
competitiva del sistema paese, e ancor di più del Mezzogiorno, rispetto ai contesti
europei e internazionali;
iii) l’ispirazione ad una logica di discontinuità nell’ economia/società della conoscenza,
nella definizione degli obiettivi e delle priorità strategiche;
iv) la traduzione della logica di integrazione tra scienza, tecnologia e mercato in azioni
strutturali, di breve periodo, trasversali.

La prospettiva di medio-lungo periodo, fondata sull’asset/risorsa conoscenza, emerge fin dalla


definizione dell’obiettivo generale del Programma Nazionale di Ricerca: “concorrere a costruire,
nel medio lungo periodo, un diverso posizionamento del Paese nel contesto internazionale, facendo

Alberto Silvani, Sergio Vetrella. Chiaramente, la responsabilità per le considerazioni qui riportate è esclusivamente
dell’autore.

84
leva su un asset finora poco utilizzato e che, viceversa, diviene l’elemento distintivo e qualificante
dello sviluppo”. Tale obiettivo nasce dalla preoccupazione che la definitiva estensione degli effetti
derivanti dall’affermazione dell’economia della conoscenza, imporrà il superamento della
“anomalia italiana”, un’anomalia di posizionamento, una non riproducibilità (per il futuro) di un
modello di successo del passato, una “carenza di strategia ed organizzazione del sistema scientifico
nazionale”.

La chiara percezione della necessità di “tendere” le risorse del paese verso una integrazione tra
scienza, tecnologia e mercato è chiaramente formulata nel quesito fondamentale:
“...Più in generale, siamo attrezzati per competere con successo nel nuovo ordine economico
internazionale dove la Ricerca, la Conoscenza, l’Alta Formazione rappresentano le Fonti Primarie
per competere?...”
Rispetto a tale competizione le Linee Guida richiamano diversi indicatori, che esprimono il
concreto pericolo di una deriva competitiva del sistema italiano. Già la posizione italiana in diverse
graduatorie di competitività internazionale rappresenta un primo indicatore; l’Institute for
Management Development (IMD, World Competitiveness Scoreboard 1999) posiziona l’Italia al
30° posto su un totale di 47 Paesi nella sua graduatoria della competitività, mentre il World
Economic Forum, in una analoga graduatoria, ottenuta in base a criteri abbastanza differenti dal
primo, posiziona l’Italia al 41° posto su un totale di 53 Paesi
Ancor più significativi appaiono gli Indici dell’anomalia italiana, sintetizzati nella Tabella 5.1..

85
Tabella 5.1. Indici “dell’anomalia italiana”
Nel periodo 1991-1995 la ricerca finanziata dallo Stato diminuisce in Italia con ritmi più sostenuti (-2,5%)
rispetto alla media U.E. (-1,7%), USA (-1,2%), media OCSE (-0,4%), Giappone (+6%).
Il numero dei ricercatori su 10.000 lavoratori è pari al 72% del valore medio dell’U.E., al 60% del valore medio
OCSE, al 45% del valore USA, al 41% del Giappone.
Il tasso di crescita annuo dei ricercatori, nel periodo 1991-’95, registra per l’Italia il valore dello 0,2% a
confronto con 1,9% della media europea, 1,8% della media paesi OCSE, 3% per il Giappone.
Nel 1995 l’incidenza della spesa in ricerca universitaria sul PIL risulta essere per l’Italia pari allo 0,26% a
confronto con la media U.E. dello 0,39%, con la media dei Paesi OCSE 0,38%, USA 0,39%, Giappone 0,62%.
Nel decennio 1985-’95, la quota di valore aggiunto dei settori High-Tech regredisce in Italia dal 7,2% al 6,4%,
mentre in Germania passa dal 10,6% all’11%, in Inghilterra dal 13% al 13,9%, in Spagna dal 5,5% al 7,6%, in USA dal
14,6% al 15,8%, nella Corea del Sud dal 10,9% al 15,7%.
Nel 1995 l’apporto dei settori High e medium High-Tech sul valore aggiunto complessivo del manifatturiero
risulta essere per l’Italia pari a circa il 33% a confronto con il 40% della Francia, il 49% della Germania, il 38,7% della
Spagna, il 44% della Corea, il 47% del Giappone, il 48% dell’USA.
L’analisi settoriale deve tenere presente qual è incidenza dei diversi settori al prodotto interno lordo. L’Italia è
particolarmente sotto dimensionata nell’investimento in ricerca proprio in quei settori che sono vitali per il suo PIL e per
la sua bilancia commerciale: si considera ad esempio il tessile-abbigliamento, il legno e i prodotti del legno, l’ambiente
nei quali le imprese italiane investono in ricerca percentuali irrisorie proporzionalmente rispetto al valore aggiunto.
L’incidenza dell’export High-Tech sull’export del manifatturiero si attesta per l’Italia nel 1997, sul valore del
15% a confronto con il 31% della Francia, il 40% della Gran Bretagna, il 25% della Germania, il 62% dell’Irlanda, il
44% dell’USA, il 39% del Giappone.
L’Italia esporta appena il 3,5% dei depositi brevettuali europei contro il 19,6% della Germania, il 6,9% della Francia e il
4,8% della Gran Bretagna. La ripartizione dei brevetti per Paese di designazione colloca l’Italia tra i primi posti con una
percentuale superiore al 90%.
Altri indicatori significativi riguardanti la valutazione delle Tecnologie dell’informazione sulla produttività del
lavoro, contribuiscono a caratterizzare l’anomalia del Sistema-Italia. In Italia la spesa pro-capite risulta essere il 51% del
valore della Francia, il 49% della Germania, il 47% dell’Inghilterra, il 27% degli USA.
Il numero dei PC su 100 lavoratori in Italia ha valore pari al 67% di quello della Francia, al 65% della
Germania, al 58% della Gran Bretagna, al 37% degli USA.
Il numero degli utenti Internet su 100 abitanti ha un valore pari al 34% della Germania, al 17% della Gran
Bretagna, 8% del valore degli USA.
Una forte anomalia dell’Itala riguarda anche la specializzazione dell’economia dei servizi. L’incidenza dei
segmenti dei servizi finanziari, assicurativi, immobiliari e dei servizi alle imprese sul valore aggiunto complessivo del
terziario è diminuita in Italia nel decennio 1985-’95 dal 10,3% al 9,7% mentre in Spagna si attesta nel 1995 sul valore
del 35%, in Francia del 45,7%, nella Corea del Sud del 42,7%, in Germania del 28,3%.
Un altro dato preoccupante riguarda i livelli di istruzione della popolazione e della forza lavoro nella fascia d’età
25-64. Nel 1996 l’incidenza di individui con livelli di istruzione secondaria superiore risulta essere pari al 30% a
confronto con il valore del 40% della media dei paesi OCSE, del 60% della Germania, del 42% della Corea del Sud, del
55% dell’Inghilterra, del 41% della Francia.
In Italia su 100 individui di questa fascia d’età, 8 possiedono il livello di istruzione universitaria, mentre i valori
per la media OCSE è di 13, per la Corea del Sud 19, per l’Irlanda 11, per la Francia 10, per la Germania ed Inghilterra
13.
Situazione analoga si registra per i livelli di istruzione della forza lavoro.
Fonte: “Linee Guida del Programma Nazionale della Ricerca” (http://www.murst.it/Ricerca/PNR/2000).

86
Lo strategic intent, portare l’indicatore-chiave “spesa in R&S sul PIL” dall’attuale 1,03% (0,6% il
dato del Mezzogiorno) al valore della media europea (1,9%), si inserisce nell’ambito delle possibili
traiettorie di crescita economica nel nuovo ciclo economico basato sulla conoscenza (OCSE
Science, Technology, Industry Outlook 1998). In particolare il PNR assume tali tendenze, quali
“segnali manifesti del cambio di paradigma nella dinamica della crescita economica che gli studiosi
solitamente definiscono come la terza ondata post-fordista e/o come società/economia della
conoscenza caratterizzata da mutamenti strutturali”:
.

crescente complessità e specializzazione delle attività economiche;


.

accelerazione di processi convergenti verso assetti economici “knowledge and innovation


driver”;
.

ampliamento dei confini territoriali delle imprese;


.

crescente interdipendenza di numerosi mercati di prodotti intermedi;


.

ruolo rilevante delle capacità tecnologiche e delle competenze umane (created asset) nei
processi di creazione del valore;
.

rapida evoluzione di nuove forme organizzative ed istituzionali.


Le Linee Guida prospettano tre indirizzi strategici che declinano, in termini di visioni strategiche
del sistema paese, lo strategic intent descritto in precedenza:
1. Assumere il Sistema Scientifico Nazionale come “asset strategico” della Società della
conoscenza e della Nuova Economia
riaffermando la centralità della Scienza e Tecnologia nelle politiche pubbliche nazionali e
regionali del Paese, attraverso la creazione di un contesto che renda il Sistema Scientifico
competitivo e perciò capace di attrarre l’interesse dei giovani per la ricerca;
2. Favorire processi di uso intensivo della conoscenza nelle dinamiche del Sistema produttivo
nazionale
sostenendo il passaggio da un’economia basata prevalentemente su vantaggi di costo e su settori
tecnologicamente non avanzati, verso una diversa specializzazione produttiva, una qualificazione
tecnologica dei settori e prodotti più tradizionali, la nascita di “imprese di ricerca” competitive sul
mercato internazionale.
3. Porre la Scienza e la Tecnologia a servizio della crescita civile della Società
sia attraverso il contributo scientifico alla soluzione delle problematiche di origine territoriale e
sociale, sia con una valorizzazione delle specificità e della potenzialità locali.

Le Linee Guida traducono tale impostazione strategica in azioni strutturali, di breve periodo,
trasversali, tra le quali richiamiamo, in questa sede, quelle che più direttamente si riallacciano ad
una visione competence-based del fenomeno innovativo nella piccola impresa.
L’ Intervento “2.3.2.1 – Spin-off e formazione imprenditoriale” propone la valorizzazione dei
risultati della Ricerca Scientifica, lo Spin-off della Ricerca e la Formazione Superiore per generare
imprenditori e manager in grado di creare valore economico e sociale attraverso la gestione
integrata delle conoscenze e delle tecnologie. L’azione enfatizza i legami, descritti nei capitoli
precedenti, tra imprenditorialità, canali di circolazione della conoscenza tecnologica, risorse e
competenze interne e competitività.
L’Intervento “2.3.2.2 – Potenziamento tecnico-scientifico del sistema produttivo” propone Il
potenziamento tecnologico nel breve-medio periodo, del sistema produttivo esistente, il sostegno
alla sua diversificazione ed allo sviluppo delle reti di piccole e medie imprese. L’azione è orientata
alla ricerca di un giusto equilibrio tra qualificazione tecnologica dei settori produttivi tradizionali,
sviluppo di settori e di filiere a più elevato contenuto tecnologico e rilancio e caratterizzazione
dell’economia meridionale. Una particolare attenzione è dedicata alla rigenerazione del vantaggio
competitivo legato alla pluralità di specializzazioni territoriali dei sistemi di PMI (distretti
industriali, sistemi produttivi territoriali), attraverso reti che integrano i poli di eccellenza scientifica
e tecnologica insieme con i sistemi di produzione specializzati.
L’ Intervento “2.3.3.4 – Valorizzazione del decentramento del trasferimento tecnologico e della
diffusione dell’innovazione”, propone, infine, la Valorizzazione delle opportunità connesse al
passaggio delle competenze centro-periferia sulle materie del trasferimento tecnologico e diffusione
dell’innovazione. Questo intervento persegue il disegno di sviluppare e consolidare il
coordinamento tra Governo Nazionale e Governi Regionali, nel nuovo quadro costituito dal
decentramento amministrativo di funzioni attinenti la valorizzazione della Scienza e della
Tecnologia in processi innovativi internazionali e del riordino del Sistema Scientifico Nazionale .
Particolare attenzione è dedicata agli interventi di natura complementari rispetto a quelli nazionali,
principalmente indirizzati a sviluppare la capacità di apprendimento e di assorbimento collettivo di
conoscenza.
Tali considerazioni conducono ad una migliore comprensione della necessità, ai fini di una
formulazione più coerente con i concetti fondamentali della economia della conoscenza, di
procedere ad una evoluzione del concetto di “trasferimento tecnologico alle imprese” in
“trasformazione della conoscenza tecnologica in conoscenza organizzativa per i processi delle
imprese”.

§ 5.3. SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL RUOLO DEL SISTEMA DEI SERVIZI PER L’INNOVAZIONE NELLE
PICCOLE IMPRESE IN UN’OTTICA COMPETENCE-BASED

Tale ultima evoluzione nasce dalla rilevanza della natura “tacita” della conoscenza e, quindi, dai
limiti derivanti dal semplice trasferimento tecnologico che non può garantire un efficace
“assorbimento” da parte delle imprese, soprattutto se piccole e localizzate in aree deboli.
Dal punto di vista applicativo il concetto di trasformazione della conoscenza implica:
/

il coinvolgimento diretto dei detentori delle conoscenze (es. i ricercatori) nei processi di
impresa, con l’enfasi sui fenomeni di spin off;
/

l’integrazione tra le conoscenze tecnologiche e le conoscenze gestionali (es. organizzazione,


marketing, finanza):
/

l’evoluzione dei servizi erogati dai sistemi locali di sostegno all’innovazione (società di
consulenza, agenzie per l’innovazione, parchi tecnologici, sistemi associativi, ecc.) per un
efficace partecipazione ai processi avviati dalle evoluzioni politiche in atto.

In particolare appare chiaro, come emerso dai risultati della ricerca empirica, che tali
organizzazioni, coerentemente con gli assunti competence based, trovano un loro spazio
competitivo nella misura in cui anch’esse costruiscono proprie competenze, se possibile, distintive
a seconda del posizionamento assunto. I limiti emersi dalla ricerca empirica riguardano, infatti, sia
la generale confusione di ruoli dei diversi attori, derivante da una sovrapposizione relativa al
tentativo di ciascuno di accedere al ventaglio più ampio di finanziamenti pubblici, sia la scarsa
complessità delle competenze espresse. Tali competenze si esprimono nella fornitura di servizi
fortemente standardizzati, come nel caso della progettazione per l’accesso a finanziamenti pubblici,
della gestione di manuali e certificazioni di qualità, della fornitura di soluzioni per l’automazione
dei processi informativi.
Una maggiore comprensione dei profili di tali competenze deriva dalla gestione della Capacità
Relazionale della piccola impresa. Dalla ricerca è emerso, infatti, come l’ambiente locale non possa
essere considerato uno sfondo indifferenziato ed anonimo su cui la piccola impresa si muove, ma
debba essere dettagliato in maniera specifica e se possibile “nominale” a seconda del settore
industriale, delle traiettorie tecnologiche, delle conoscenze/competenze critiche e delle aree
territoriali in cui l’impresa opera. Conseguentemente sembrano emergere alcuni spunti per gli attori
impegnati in azioni di sostegno all’innovazione. In primo luogo vanno identificati con precisione gli

88
specifici soggetti che nell’ambito di ciascuna categoria di attore interessano da vicino le imprese del
settore; ad esempio tra i Concorrenti quelli con maggiori complementarità, tra i Dipartimenti
universitari quelli impegnati in ricerche connesse alle tecnologie di interesse della singola impresa,
tra gli Enti Locali quegli uffici (es. Assessorati) impegnati in attività di promozione e indirizzo. In
secondo luogo, per ciascuno dei soggetti identificati, va operata una precisa valutazione delle
risorse che essi potenzialmente detengono e di quelle che essi sono disposti a far circolare
nell’ambiente. Infine potrebbero essere progettate azioni capaci di rafforzare le capacità relazionali
delle imprese.
L’intervento su tali aspetti deve necessariamente passare attraverso la individuazione di progetti
capaci di rafforzare la creazione di una cultura condivisa (valori, linguaggi, categorie esplicative,
ecc.) tra i diversi attori. Solo a seguito di tale rafforzamento sarà possibile individuare azioni
operative, sia sul piano tecnologico (es. sviluppo di progetti di ricerca cooperativi, centri di servizio
comuni per le imprese, ecc.), sia sul piano commerciale (consorzi stabili per
l’internazionalizzazione, accordi per il rafforzamento della forza contrattuale nei confronti della
grande distribuzione, ecc.). In tal senso sembrerebbe prioritaria una linea di intervento capace di
rafforzare una combinazione bilanciata di risorse/capacità tecnologiche e risorse/capacità di
marketing. Solo così si avvierebbe quel processo di “integrazione tra più tecnologie e più skill” che
configura la messa a punto e lo sviluppo di core competences.
Tali conclusioni permettono, inoltre, di definire un ruolo ancora più qualificato per le piccole
società locali che forniscono servizi alle piccole imprese. Il loro ruolo diventa, infatti, strategico
nella misura in cui esse garantiscano alle imprese ed ai finanziatori, un reale valore aggiunto nella
realizzazione dei processi descritti. Tale valore aggiunto non sta nella attività di promozione delle
opportunità di finanziamento e nella sostituzione all’imprenditore nella formulazione della strategia
di innovazione. Al contrario esso deriva dallo sviluppo di competenze capaci di supportare il
gruppo imprenditoriale nel processo di definizione di metodi e processi “su misura” della singola
impresa, sia nella fase di individuazione degli attori esterni, sia nella fase di gestione dei rapporti di
rete, sia nella fase di codifica della conoscenza e sviluppo di Risorse e Capacità interne, sia,
soprattutto, nella fase di integrazione delle diverse tecnologie, e delle diverse conoscenze interne ed
esterne.

§ 5.4. – STRUMENTI PER LA GESTIONE DELLE NUOVE IMPRESE: IL COMPETENCE-BASED BUSINESS PLAN

Passando alle implicazioni sulle le politiche a sostegno della creazione di imprese basate sulla
conoscenza, la ricerca ha messo in evidenza la minore validità dell’approccio Esterno-Interno alla
gestione strategica della piccola impresa. In realtà è possibile osservare uno scarto tra il
superamento, a livello teorico della logica alla base della planning school, e le politiche pubbliche
che continuano a proporre quali strumenti di presentazione dell’impresa nascente, schemi di
business plan fortemente ancorati al concetto di business idea e all'analisi dell’ambiente esterno, del
settore industriale, del segmento di mercato. In realtà l’affermarsi dell’approccio competence-based
potrebbe produrre, soprattutto per future imprese di settori innovativi, strumenti di gestione
strategica di nuove iniziative imprenditoriali per la ricerca delle relative fonti finanziarie sia
agevolate (leggi per l’imprenditoria giovanile), sia innovative (es. venture capital, fondi mobiliari
chiusi, ecc.), basati su un’opposta logica (es. competence and business preemption vs. business
plan) e caratterizzati dai seguenti punti
i) Descrizione dello strategic intent;
ii) Valutazione delle dinamiche di sviluppo delle competenze pregresse di tutte le risorse
umane coinvolte (non solo i componenti del gruppo imprenditoriale, ma anche i
dipendenti, i collaboratori e i consulenti);

89
iii) Valutazione del sistema di relazioni disponibile a livello finanziario, tecnologico,
commerciale, territoriale, con identificazione nominativa dei diversi attori, delle risorse
firm-addressable e dell’intensità, stabilità e prospettiva delle singole relazioni;
iv) Piani di sviluppo delle singole competenze individuali e della capacità relazionale;
v) Progettazione organizzativa delle modalità di convergenza delle competenze individuali
in competenze organizzative corrispondenti ai processi chiave dell’impresa;
vi) Individuazione trasversale dei diversi settori potenzialmente interessati da tali
competenze;
vii) Progettazione dettagliata di modalità di test di mercato diretti e a basso costo su clienti
pilota, nella logica dell’expeditionary marketing marketing, fondato sul coinvolgimento
del cliente nello sviluppo dei prodotti, attraverso una serie di incursioni sul mercato a
intervalli ravvicinati e a basso costo, capaci di moltiplicare la velocità di iterazione e di
graduale adattamento delle funzionalità;
viii) Individuazione di una prima configurazione della combinazione prodotti/mercati;
ix) Pianificazione economico-finanziaria solo a breve termine, incentrata sulla stima del
valore.
Chiaramente la sequenza proposta è densa di processi di retroazione, che, comunque, non
dovrebbero mettere in discussione la coerenza rispetto ai primi tre punti fondamentali: strategic
intent, competenze strategiche, relazioni strategiche.

Il tema potrebbe, tra l’altro, essere oggetto di ulteriori approfondimenti nell’ambito di una ricerca
empirica sul tema della gestione strategica nella piccola impresa che spesso è resa problematica
dalla scarsa disponibilità di documenti formali e di dati quantitativi direttamente collegati alla
formulazione e alla implementazione delle strategie. In tal senso una verifica empirica sull’effettiva,
quanto inconsapevole implementazione di approcci competence-based in contrasto con i piani
formali redatti secondo l’approccio planning è resa possibile dalla individuazione di un raro
campione di piccole imprese che, a causa di fattori contingenti, è forzata ad un certo grado di
formalizzazione delle opzioni strategiche, quali le imprese finanziate da politiche per lo sviluppo
dell’imprenditorialità giovanile. Conseguentemente la ricerca potrebbe esplorare un’ipotesi di
fondo: “…Le prestazioni strategiche di successo delle piccole imprese nate sulla base di tali
incentivi dipendono da una strategia “emergente” basata sulle competenze o, viceversa, dalla
coerente implementazione delle strategie “deliberate” del business plan redatto secondo l’approccio
tradizionale?”.

90
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