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Indice

Indice ....................................................................................................... 1

Introduzione............................................................................................. 3

Il TPM (Traditional Project Management) ed i suoi limiti .......................... 5

Concetti Generali ................................................................................. 5

Gestione dello Scope of Work nel TPM ............................................... 9

Gestione dei tempi nel TPM................................................................. 9

Gestione dei Costi nel TPM ............................................................... 10

Gestione della qualità nel TPM .......................................................... 10

Gestione delle risorse umane nel TPM ...............................................11

Gestione delle comunicazione nel TPM ..............................................11

Gestione degli approvvigionamenti nel TPM.......................................11

Il Project Management Office (P.M.O.)............................................... 12

Il Lean Project Management.................................................................. 13

Concetti generali ................................................................................ 13

Il business case ed il change management ....................................... 15

Definizione delle aspettative (e dei parametri di successo)................ 16

Lo Sponsor......................................................................................... 17

Gli Stakeholders ................................................................................. 19

La Gestione delle Risorse Umane ..................................................... 21

Critical Chain Management Vs. Critical Path Method ........................ 23

Le sessioni RAP (RApid Planning Sessions) ..................................... 27

Newtonian PM vs. Quantum PM (DeCarlo)........................................ 29

Project Tracking ................................................................................. 31

Project Reporting ............................................................................... 32

L’Importanza della Leadership nel LPM ............................................ 33

Il Settore Edilizio.................................................................................... 34
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Concetti Generali................................................................................ 34

La pratica............................................................................................ 35

Lo start-up .......................................................................................... 37

Il Planning in Edilizia........................................................................... 38

Le Sessioni RAP in Edilizia ................................................................ 39

L’analisi dei rischi in edilizia................................................................ 40

La chiusura progetto in edilizia ........................................................... 42

Conclusioni ............................................................................................ 43

Bibliografia ............................................................................................. 44

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Introduzione
“Un buon piano oggi è meglio di un piano perfetto domani”

-Conrad Brean ( Wag the dog)

I concetti e soprattutto le discipline tradizionali del Project Management,


per motivi culturali e storici, se non compresi correttamente risultano sempre più
spesso poco realistici e talvolta addirittura fuorvianti. Tali concetti sono stati
sviluppati negli Stati Uniti d’America decenni orsono, mutuati da metodologie
della logistica militare e poi approfonditi autonomamente nelle industrie
aeronautiche, automobilistiche e per i grandi progetti edilizi.

Nella pratica della disciplina del Project Management Tradizionale (nel


testo TPM) si fa tuttora riferimento ad una serie di presupposti che, nell’impresa
del nuovo millennio, sono quantomeno discutibili: tempi di sviluppo lunghi,
scopo del lavoro costante nel tempo, tecnologia stabile, risorse certe e costanti,
tutte evidentemente delle chimere. Ciò è particolarmente vero in una realtà,
come quella italiana, dove la gestione scientifica dei progetti è ancora agli albori
e dove agli investimenti con ritorno a lungo periodo sono di gran lunga preferiti
quelli a breve (brevissimo) periodo, in un’era di grandi turbolenze finanziarie e
di forti mutamenti geopolitici.

Pur in questa cornice, gli indubbi vantaggi offerti dalla disciplina del
Project Management sono senz’altro notevoli se non addirittura irrinunciabili. Si
rende pertanto necessario sviluppare una disciplina “semplificata”, che sia in
grado di adeguarsi rapidamente alle mutevoli condizioni al contorno dei progetti.

Gli studiosi ed i Project Manager hanno cominciato ad approfondire e ad


applicare tecniche innovative a partire dagli anni ’80, ma è solo nell’ultimo
decennio che la spinta si è fatta consistente.

Le chiavi trovate per rendere più efficaci le teorie ormai datate sono, in
fondo, le stesse che sono state introdotte nelle altre discipline scientifiche
applicate ai fenomeni sociali: la semplificazione, l’avvicinamento alla persona
(ed alle sue potenzialità), l’introduzione di parametri di valutazione complessi e
non più strettamente deterministici (vedi ad es. la Balanced Scorecard) e,
soprattutto, la capacità di adattamento e la velocità di reazione.

L’industria che ha guidato la ricerca in questo campo, essendo motivata


dalla necessità di rispondere al cambiamento sempre più rapido, è stata
l’Information Technology, obbligata ad inseguire un progresso tecnologico che
nel 1964 Gordon Moore riteneva avrebbe portato al raddoppio della velocità di
calcolo ogni 12 mesi. In realtà le previsioni di Moore si sono rivelate un po’
esagerate, ma ciò nulla toglie alla necessità di elaborare strategie di risposta
rapide ma non per questo meno efficaci.

Ed è in questo contesto che le teorie “lean”, di razionalizzazione,


semplificazione e velocizzazione del modo di concepire l’impresa sono state
elaborate, emblematici a tal fine sono, tra gli altri, i testi di J.P. Womack e D.T.
Jones Lean Thinking, B.A. Henderson e J.L. Larco Lean Transformation ed
anche lo stesso Bill Gates in Business @ the speed of thought.
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La disciplina del Project Management non poteva rimanere più a lungo


estranea a tali cambiamenti, pur provenendo da un contesto fortemente
deterministico (date le sue origini) ed avendo sviluppato essa stessa, come
coerentemente insegna la sua disciplina tradizionale, una forte resistenza al
cambiamento. E’ per questo che la letteratura in materia di Lean Project
Management è assai ridotta e non proveniente direttamente dalle maggiori
organizzazioni professionali in materia (PMI, IPMA, PRINCE 2 Foundation), ma
si è sviluppata quasi pioneristicamente per opera di pochi singoli.

In questo ambito l’edilizia, che è tradizionalmente l’industria con inerzia


ed avversità maggiori alle innovazioni, risulta buona ultima e mancano (quasi)
del tutto degli studi sulle applicazioni del Lean Project Management nel settore.

Questo lavoro si pone pertanto l’obiettivo di partire dai principi cardine


del Traditional Project Management, attraverso le sue best practices, di
analizzare le differenze necessarie per un approccio snello alla sua pratica e,
da ultimo, di proporre delle metodiche in ambito di industria edilizia.

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Il TPM (Traditional Project Management)
Progetto: “Un’attività temporanea, intrapresa per creare un prodotto od
un servizio unico”

CONCETTI GENERALI
E’ di essenziale importanza, nella visione del TPM, sottolineare ogni
singola parola della definizione chiave di progetto, poiché da essa discende in
maniera logica e coerente il corpus della disciplina codificata della materia.

In particolare la parola temporaneità non afferisce particolarmente alla


durata del progetto (che potrebbe anche essere decennale), bensì al fatto che
esso debba prevedere, prima o poi, una fine. Ed in effetti questa peculiarità
della visione dei progetti del TPM ha delle fortissime ripercussioni in tutte le fasi
della gestione.

Di grande importanza anche l’unicità del prodotto o servizio, che non


dovrà essere quindi la semplice ripetizione di qualcosa di già esistente.
Ovviamente ciò non comporta che la disciplina del TPM non sia applicabile a
progetti simili, purché essi presentino un quid di peculiarità che li differenzi dagli
altri (cosa quasi sempre vera).

L’insieme delle due caratteristiche di cui sopra garantisce al progetto la


possibilità della cosiddetta Elaborazione Progressiva, ovvero la scomposizione
dello stesso in singoli step definiti che caratterizzano l’approccio organico al
processo.

Definiamo a questo punto il Project Management come : “ L’applicazione


delle conoscenze, abilità, strumenti e tecniche alle attività di progetto per
ottenere i requisiti di progetto”.

In particolare il PMBOK identifica 5 Processi che caratterizzano l’attività


(Concezione, Pianificazione, Esecuzione, Controllo, Chiusura) e 9 Aree di

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Per la disciplina del TPM e come base delle elaborazioni sarà considerata nell’intero testo la disciplina del PMI® e
come Best Practices il testo PMBOK© ed. 2000.

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Conoscenza utili allo scopo (Integrazione, Ambito, Tempi, Costi, Qualità,


Risorse Umane, Comunicazioni, Rischi, Forniture) .

Il progetto, inoltre, sarà scomposto in fasi, ognuna delle quali dovrà


produrre un definito prodotto (deliverable) che sia tangibile e misurabile.

Compito del Project Manager sarà quello di gestire i vincoli che gli
derivano dalle domande di :

• Scopo

• Tempo

• Costo

• Rischio

• Qualità

Nel famoso “triangolo dello scopo” sono efficacemente rappresentate


tutte le variabili in gioco,

In tale triangolo è possibile intervenire al massimo su due dei tre vertici,


l’ultimo sarà a quel punto univocamente determinato.

Ovviamente i trade off tra le variabili in gioco saranno il risultato delle interazioni
fra tutti gli stakeholders sia tra loro che
con il Project Manager. Da qui l’enorme
importanza della comunicazione con tutti
gli attori coinvolti nel progetto.

Veniamo ora ad analizzare le percentuali di successo (o sarebbe meglio


dire di insuccesso) dei progetti : “Circa il 70% dei progetti di IT terminano in
ritardo, sopra il budget e/o non soddisfano le aspettative degli utenti” (FONTE
Project Management Journal, Tom Ingram, June 1994), e le cose nell’ultimo
decennio non sono significativamente migliorate. A questo si aggiunga che
intorno al 30% dei progetti sono cancellati prima della fine e che più della metà
degli stessi arriva a costare circa il doppio delle stime iniziali (FONTE
www.standishgroup.com).
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E’ a questo punto di tutta evidenza che si rende necessaria un’attenta


pianificazione per ottenere il successo del progetto, ma questa da sola non è
sufficiente, infatti di seguito si elencano, sempre secondo lo Standish Group, i
fattori in ordine decrescente di importanza che portano al successo del lavoro:

1. Coinvolgimento dell’utente

2. Supporto dell’Executive Management

3. Definizione chiara delle necessità

4. Pianificazione adeguata

5. Aspettative realistiche

6. Milestones piccole ed a intervalli brevi

7. Staff competente

8. Possibilità di controllo reale (ownership)

9. Visione ed obiettivi chiari

10. Lavoro duro, on-focus

E’ appena il caso di notare come la pianificazione, che è il core


business del TPM, sia solo al 4° posto.

Di conseguenza è importante analizzare quali sono le più frequenti


cause di insuccesso, sempre in ordine decrescente di importanza:

1. Mancanza di input dall’utente

2. Necessità e specifiche incomplete

3. Cambiamento delle necessità e delle specifiche

4. Mancanza del supporto dell’Executive Management

5. Incompetenza sulla tecnologia necessaria

6. Mancanza di risorse

7. Aspettative irrealistiche

8. Obiettivi non chiari

9. Scadenze irrealistiche

10. Nuove tecnologie


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Anche dalla figura in basso appare evidente come la corretta gestione


dei diversi input provenienti dagli stakeholders, così come la necessità di
adeguata sponsorship siano essenziali per la riuscita di un progetto.

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GESTIONE DELLO SCOPE OF WORK NEL TPM


La definizione compiuta dello scope of work è il primo passo (ed è bene
che avvenga formalmente) da compiere nella fase di inizio ufficiale del progetto.
Esso deriverà dalla descrizione del prodotto, dal piano strategico
dell’organizzazione, dai criteri di selezione (in base alla convenienza)
dell’organizzazione e dai dati storici. Dovrà essere scelto con dei modelli di
selezione (o di ottimizzazione tipo DSS), e dovrà originare il capitolato ed i
vincoli (constraints) che dovrà rispettare. Solo a questo punto, solitamente, si
procederà alla designazione (anche questa formale) del Project Manager.

A questo punto il contenuto dello Scope of Work sarà compiutamente


enunciato e creata la WBS (Work Breakdown Structure). Sarà altresì definita la
procedura per il controllo delle modifiche del contenuto dello Scope of Work.

GESTIONE DEI TEMPI NEL TPM


Per poter procedere alla pianificazione dei tempi è necessario
provvedere, partendo dalla WBS e dagli altri input provenienti dalla fase
precedente, alla definizione delle singole attività, del loro ordine di esecuzione
ed alla stima della loro durata, fase questa che merita un breve
approfondimento e che sarà ripresa più avanti nella trattazione delle nuove
metodiche.

In particolare gli strumenti solitamente utilizzati sono:

• Parere di esperti

• Analogia

• Durata su base quantitativa

• Tempo di riserva

A questo punto è possibile procedere alla schedulazione definitiva,


utilizzando come input nuovamente tutte le fasi precedenti, e come strumenti
diverse possibili metodologie quali:

• Analisi Matematica (CPM,GERT,PERT)

• Compressione durata (Crushing e/o Fast tracking)

• Simulazione (Metodo Montecarlo)

• Livellamento Euristico (Riallocazione all’inverso al percorso critico)

• Software dedicati

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GESTIONE DEI COSTI NEL TPM


Per effettuare la gestione dei costi è ovviamente necessario in prima
analisi procedere alla pianificazione delle risorse attraverso una delle tre
possibili soluzioni:

• Utilizzo di esperti

• Identificazione di alternative simili

• Software dedicati

per poi procedere alla stima dei costi con le seguenti possibilità e margini di
errore medi:

• Stima analogica (margine di errore -25%, +75%)

• Stima parametrica (margine di errore -10%, +25%)

• Stima bottom up (margine di errore -5%, +10%)

• Software dedicato

Si potrà a questo punto procedere all’allocazione dei costi ed alla stesura


delle procedure di controllo degli stessi.

GESTIONE DELLA QUALITÀ NEL TPM


Per procedere alla gestione della qualità bisognerà in primis provvedere
alla definizione di una politica di qualità , alla successiva stesura di un piano di
qualità e di appropriate liste di controllo. Si potrà a questo punto, durante
l’esecuzione del progetto, provvedere alla assicurazione di qualità (parte
organizzativa/certificativa) ed al controllo di qualità (parte afferente al lavoro
vero e proprio).

Esistono diversi strumenti per procedere al controllo di qualità, in


particolare:

• Revisioni

• Diagrammi di controllo (tolleranze su precisi limiti)

• Diagrammi di Pareto (l’80% dei difetti è causato dal 20% delle


cause)

• Campionamento Statistico

• Diagrammi di flusso

• Analisi delle tendenze

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GESTIONE DELLE RISORSE UMANE NEL TPM


Secondo la disciplina del TPM il punto di partenza è la pianificazione
organizzativa, che tiene conto dei requisiti e dei vincoli contingenti (es. politiche
aziendali), seguita dalla vera e propria acquisizione del personale (sia esso
interno od esterno) e dallo sviluppo del gruppo di lavoro. Esula dai fini di questa
trattazione il dettaglio della disciplina.

GESTIONE DELLE COMUNICAZIONI NEL TPM

I macroprocessi individuati dal TPM sono:

• Pianificazione delle comunicazioni

• Distribuzione

• Rendicontazione risultati

• Chiusura Amministrativa

Nella visione tradizionale del TPM questa fase, essenzialmente,


permette di comunicare una serie di parametri di valutazione delle performance
del progetto, come l’Earned Value, inteso come valore a budget raggiunto dal
progetto, così come il CPI (Cost Performance Index) e lo SPI (Schedule
Performance Index).

GESTIONE DEGLI APPROVVIGIONAMENTI NEL TPM


Questa fase del processo tratta della gestione degli approvvigionamenti in
senso ampio, partendo dalla scelta del tipo di contratto più appropriato, della
gestione delle gare, della selezione dei fornitori, della amministrazione e
chiusura dei contratti. Come ovvio questa è una fase di grande delicatezza.

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IL PROJECT MANAGEMENT OFFICE (P.M.O.)


Il P.M.O. è una funzione di staff opportuna per le organizzazioni che
trattano molti progetti od anche un solo progetto di considerevoli dimensioni.

E’ un luogo dove le funzioni dei PM sono gestite ed organizzate


organicamente, che permette integrazione e trasferimento di know how.

Esso può contribuire in modo decisivo al successo dei progetti, in modo


sia diretto che indiretto. In modo diretto assumendo precise responsabilità di
gestione del progetto, in modo indiretto fornendo tecniche, formazione,
supporto e database ai PM per il loro lavoro.

Il PMO ha alcuni finalità specifiche, tra cui:

• Definizione templates e procedure comuni nell’ambito dell’impresa

• Definizione e gestione delle comunicazioni

• Gestione della formazione continua

• Definizione dei parametri del successo

• Gestione dei data repositories

• Perseguimento in generale della standardizzazione

• Attività di reclutamento centralizzate

Il P.M.O. ha dei costi alti, pertanto è giustificato solo in organizzazioni con


un volume di affari legato ai progetti in grado di sostenerlo.

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Il Lean Project Management


“Non mi importa per che cosa sia stata progettata, mi importa che cosa può
fare”

-Gene Kranz (Apollo 13, 1995)

CONCETTI GENERALI
Il Lean Project Management (definito da alcuni, con sfumature diverse,
extreme, adaptive, agile, radical management) utilizza le metodiche del TPM
sebbene molto semplificate e di conseguenza assai più veloci.

In particolare l’approccio lean (snello) prevede una fase di pianificazione


che duri per tutta la durata del progetto ma, proprio per questo, molto più rapida
(e quindi meno dettagliata) ed ampiamente condivisa. Si vedranno più avanti
dei metodi di LPM per ottenere questi risultati. Ci si limiterà quindi, di seguito, a
descrivere come le metodologie LPM rimodulino le tradizionali discipline.

Nell’approccio del LPM si definiscono 4 processi fondamentali:

• Introduzione, approvazione, revisione

• Pianificazione

• Controllo

• Reporting

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La prima è un’attività svolta in prevalenza dal top management, che


prevede l’individuazione di progetti meritevoli dell’inizio di uno studio di fattibilità
e l’approvazione e la revisione dei business plan dei singoli progetti.

La Pianificazione è un’attività essenziale del Project Management, da cui


si generano i cronoprogrammi e le WBS (Work Break-down Structures) con le
allocazioni delle risorse. Rispetto al TPM le attività sono assai limitate (di solito
non più di una decina), e focalizzate agli interessi degli stakeholders ed alle
grandezze di business. (In particolare quindi verifica di aderenza alla strategia
aziendale, analisi dei rischi etc.).

Il Controllo è un’attività di rilievo e benchmarking sulle differenti baselines


poste dalle attività precedenti così come da quelle simili già svolte od altre
ancora ritenute rilevanti. Ovviamente comprende il controllo delle performance
del team di lavoro.

Il Reporting consiste in una fase di consolidamento di tutti i dati


(compresi quelli derivanti da eventuali cambiamenti nel frattempo intervenuti), e
di relazione alla leadership.

Tutti questi argomenti saranno sviluppato in dettaglio nel seguito.

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IL BUSINESS CASE ED IL CHANGE MANAGEMENT


“An organization’s ability to learn, and translate that learning into action
rapidly, is the ultimate competitive advantage.”

-Jack Welch, Former Chairman, General Electric

Nel TPM si è visto come il change management sia una fase ben definita di
ogni fase del progetto, che necessita di approvazione (formale), di controllo dei costi,
di consolidamento ed approvazione. E’ evidente che è sempre auspicabile una
disciplina (anche formale) precisa della gestione del cambiamento, che è l’attività più
delicata dell’intero processo, ma in special modo in progetti medio/piccoli ed in
particolare quando si opera in mercati turbolenti il cambiamento diventa parte
integrante del business case, e non più un’eccezione. A questo punto un tipico
business case includerà:

• Sintesi di progetto

• Obiettivi/scopo di progetto

• Analisi del Valore Aggiunto e dei benefici del progetto

• Analisi della qualità necessaria

• Individuazione degli Stakeholders

• Costi di progetto

• Strategia dello sviluppo del progetto (livello di dettaglio della WBS)

• Piano di gestione del rischio

• Legislazione e regolamentazione afferenti

• Gestione del Cambiamento

• Politica del personale

• Deadlines

• Piano di esecuzione

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DEFINIZIONE DELLE ASPETTATIVE (E DEI PARAMETRI DI SUCCESSO)


Generalmente si fa riferimento a sette grandi criteri di aspettative che, a
seconda di come saranno corrisposte, formeranno anche un parametro di
misurazione per il successo del progetto. Esse sono:

• Soddisfazione del cliente

• Soddisfacimento degli obiettivi (punto assai diverso dal


precedente)

• Rispetto del budget

• Rispetto delle tempistiche

• Soddisfacimento del valore aggiunto creato dal progetto

• Rispetto delle caratteristiche di qualità

• Soddisfazione del Team di lavoro

Senza entrare nella descrizione delle singole voci, appare evidente che
solo in casi assai remoti è possibile soddisfare le aspettative in tutti i campi di

tutti gli stakeholders. Risulta pertanto sempre di fondamentale importanza una


corretta gestione delle comunicazioni fra tutti gli attori ed una definizione (anche
formale) dei singoli deliverables. Il focus, come espresso graficamente in figura,
passa dall’interno (team) all’esterno (stakeholders).

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LO SPONSOR
“No sponsor, no start”

Il fattore più critico nella gestione di un progetto è unanimemente individuato


con la presenza e la partecipazione di uno o più sponsor. Questo elemento
diventa assolutamente necessario nella gestione secondo i principi del LPM,
per le molteplici ragioni che ora si esamineranno.

In primo luogo nella disciplina del LPM vi è una formalizzazione assai minore
rispetto alle tradizionali metodologie, ed è di tutta evidenza come questo possa
causare problematiche di non trascurabile entità, quando qualcosa non
andasse come previsto o quando qualche stakeholder non ritenesse soddisfatta
qualche sua aspettativa. In secondo luogo è la stessa conformazione della
disciplina del LPM a prevedere in molte fasi-chiave del processo la
partecipazione attiva degli stakeholders. Ed è per questo che la figura del PM
assume un ruolo chiave nell’intero processo, ma non certo sufficiente alla sua
riuscita. E’ infatti necessario che l’intera organizzazione riconosca che il PM sta
agendo nell’interesse degli stakeholders, ma su delega/mandato forte dello
sponsor (in un ambito aziendale egli deve necessariamente essere al livello del
Top Management o, per i progetti più importanti, identificarsi con l’A.D.).

Un progetto gestito con le metodologie di LPM dove lo sponsor latiti o non sia
ben individuato è quasi sempre destinato ad un triste fallimento, ed il PM ed il
suo team ad una progressiva delegittimazione i cui risultati ultimi sono evidenti.

Lo sponsor, nella dinamica dello sviluppo del progetto, assume diversi ruoli tutti
di grande importanza:

• Mentore: Aumenta la sicurezza di sé del project leader e gli permette di


vedere il più ampio contesto in cui il progetto ricade.

• Catalizzatore: Stimola i processi del project leader e del gruppo, sfida i


risultati impersonando spesso il ruolo di “avvocato del diavolo”

• Cheerleader: Stimola la motivazione del project leader e del gruppo,


ricordando a tutti l’importanza della missione e celebrandone i successi.

• Demolitore di Barriere: Interviene laddove il project leader non può


arrivare, garantendogli le risorse e le autorizzazioni necessarie.

• Protettore dei Confini: Fa in modo che le altre realtà aziendali non


interferiscano in maniera illecita con il project leader o con il gruppo,
eliminando tutte le relazioni inutili.

• Collegamento con il Senior Management: Funge da ponte con il


senior management, riportando le attività e le necessità del gruppo.

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E’ importante che le relazioni tra Sponsor e Project Leader siano curate con la
massima attenzione, in particolare è opportuno che siano organizzati dei meeting
periodici (anche brevi), e che si tenti il più possibile di utilizzare mezzi di
comunicazione di alto livello (meglio, in linea di principio, ridurre al minimo le e-mail e
puntare sul rapporto di persona).

Lo Sponsor dovrà pretendere brevi relazioni su tutte le riunioni più importanti


(in particolar modo per le sessioni RAP che saranno descritte più avanti).

Nelle prime fasi del progetto potrebbe essere inoltre utile per lo Sponsor
partecipare agli incontri in prima persona, per dare piena impressione
dell’importanza della missione. Sarà poi opportuno lasciare agli altri stakeholders la
partecipazione agli incontri successivi così da non inibire, con la sua presenza, i
potenziali di brainstorming del gruppo a causa di possibili fenomeni di timore
dell’autorità.

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GLI STAKEHOLDERS
Polonio – Signore, avranno il trattamento che meritano

Amleto – No, amico, trattali molto meglio! Se tratti ognuno come si


merita, chi eviterà la frusta?Trattateli piuttosto come si addice
al vostro onore ed alla vostra dignità: minore il loro merito,
maggiore il merito della vostra magnanimità.

-Amleto, Atto II, Scena II

Gli Stakeholders (tradotto in italiano a volte con cointeressati ed a volte


con portatori di interessi), sono tutti coloro che, per qualsivoglia motivo, sono
coinvolti nel progetto o ne potrebbero subire delle influenze. Essi possono
essere interni od esterni all’organizzazione ed avere influenza diretta od
indiretta sul progetto in essere.

E’ essenziale individuare fra tutti gli stakeholders quelli che realmente


possono influenzare l’andamento od il successo del progetto stesso (key
stakeholders), e questi vanno assolutamente inseriti nei processi di
decisione/comunicazione.

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Fanno parte di questa categoria:

• I Clienti o lo Sponsor: Coloro che usano l’output ed i risultati del


progetto. Possono includere clienti, utilizzatori, lo sponsor o i
proprietari.

• Stakeholders interni: Coloro che sono direttamente partecipanti


al progetto, come Top Management, Manager Funzionali,
Ingegneri di Progetto, Staff, Supporto, Approvvigionamento e
simili.

• Stakeholders esterni: Stakeholders indirettamente coinvolti nel


progetto, come Autorità Regolatorie, Agenzie Ambientali, Autorità
Locali, Regionali o Nazionali. Solitamente sono in grado di
modificare l’ambiente esterno con ricadute, però, a volte assai
importanti.

• Appaltatori e Sub-Appaltatori: Sono classificati stakeholder


interni od esterni a seconda del grado del loro coinvolgimento nel
progetto.

• Team di Progetto: Personale coinvolto nella gestione diretta del


progetto dal lato tecnico, di project management o amministrativo.

• Concorrenti ed altri: Individui od organizzazioni che hanno


interessi in attività relative al progetto, o che vedono nel progetto
una minaccia od un’opportunità.

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LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE


“Give me a stock clerk with a goal and I will give you a person who will
make history. Give me a person without a goal and I will give you a stock clerk.”

-J.C.Penney

Una delle altre definizioni che sono date al Lean Project Management è
quella di estremo. Personalmente riteniamo preferibile la prima, essa infatti
evidenzia come, per la totalità delle imprese e degli stessi modi di fare impresa,
l’approccio snello permette molti vantaggi in termini di velocità e
concorrenzialità e corre di pari passo con una corretta strategia organizzativa
aziendale. E’ comunque vero che la dizione estremo mette in risalto come tutti i
passaggi di questa metodologia di Project Management rendano ogni fase
assai delicata e di conseguenza ogni singolo ingranaggio che la compone di
assoluta importanza per il suo corretto funzionamento. Un concetto essenziale
di questa disciplina risiede nella assoluta preminenza delle persone (e da qui
anche la scelta metodologica di una loro trattazione/allocazione diversa dalle
altre risorse, come viene invece generalmente fatto nel TPM). In questo
contesto risulta essenziale rendere le performance dei collaboratori da ordinarie
a straordinarie in quanto esse sono il vero driver del successo di un progetto.

E’ di fondamentale importanza sviluppare un modello efficace di gestione


delle risorse umane di progetto, come ad esempio quello proposto da Vijay K.
Verma :

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MIB – School of Management

E’ quindi possibile a questo punto definire quali sono i tratti fondamentali,


gli obiettivi, i ruoli e le responsabilità da ricercare nella figura dei Project
Manager.

Secondo Kerzner la sua attività principale è quella di coordinare ed


integrare le attività di progetto attraverso più linee funzionali. Appare perciò
opportuno che tra gli skills ricercati vi sia una conoscenza, seppur generale,
delle tecnologie interessate e dei loro limiti.

Caratteristiche essenziali sono poi un orientamento multi-disciplinare,


l’abilità di organizzare e soprattutto riconoscere la buona performance, la
capacità analitica, di integrazione e di problem-solving, capacità di
comunicazione e negoziazione, entusiasmo e motivazione (per sé e per gli
altri).

Come si vede un mix bilanciato di attitudini e conoscenze, per nulla facile


da individuare ma essenziale alla buona riuscita del progetto.

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CRITICAL CHAIN MANAGEMENT VS. CRITICAL PATH METHOD

Grazie agli studi del dr. Eliyahu M. Goldratt (www.goldratt.com) si è


cominciato a superare le metodologie usate per decenni, come il PERT
(Program Evaluation and review technique), il CPM (Critical Path Method) o i
diagrammi di Gantt.

Senza voler entrare troppo nel dettaglio delle tre metodologie “storiche”
della gestione della sequenzialità delle attività di un progetto , si sottolinea solo
che la prima è una mappa sinottica delle attività da eseguire, che
originariamente erano scritte su singoli fogliettini (a volte anche centinaia),
rappresentanti le durate ottimistiche, pessimistiche ed usuali dei singoli eventi,
e permette essenzialmente una valutazione probabilistica della durata delle
attività. Il secondo, il CPM, calcola deterministicamente le durate stimate delle
attività per trovare quelle meno flessibili (il cosiddetto percorso critico), il ritardo
delle quali provocherebbe lo slittamento dell’intero progetto (a meno
dell’introduzione di adeguati correttivi).

I diagrammi di Gantt prendono il nome dal suo ideatore H.L. Gantt che li
introdusse nei primi anni del 1900. Questo strumento è adatto per visualizzare

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in modo molto semplice le diverse attività, mettendo in chiara evidenza la


durata e l'avanzamento di un progetto.

Questo tipo di metodologie sono spesso esse stesse foriere di


problematiche di dilatazione della tempistica e di sovra-allocazione delle
risorse, dovute essenzialmente all’inserimento “clandestino” di tempi di
contingency non esplicitamente dichiarati, che si sommano sino a distorcere il
loro originario utilizzo.

Lo sviluppo dei progetti, come detto in precedenza, può superare il


tempo originariamente stabilito spesse volte del 100%.

Questo accade, poiché per far fronte agli imprevisti (problematica di


assai vecchia data), come detto si è soliti aggiungere tempo addizionale per
compensare questi ritardi fisiologici. Il risultato però, solo a prima vista
paradossale, non è cambiato e spesso i progetti continuano a terminare in
abbondante ritardo.

Questo è dovuto al fatto che il tempo addizionale non dichiarato è


inglobato nel tempo generale a disposizione ed il singolo operatore o team che
sia, si adatterà di conseguenza alle nuove scadenze, vanificando lo scopo per
cui si era inserito.

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Il metodo Critical Chain (CCM) discende in maniera diretta dalla Teoria dei
Vincoli (Theory of Constraints, TOC) del dr. Eliyahu Goldratt già citato in precedenza.
La TOC si focalizza nell’identificazione e nel rafforzamento dei cosiddetti colli di
bottiglia, così da permettere un maggiore flusso totale del sistema nel suo
complesso.

La differenza più notevole con il metodo standard (come il CPM) è proprio la


gestione dell’incertezza. Nelle metodiche standard infatti essa è affrontata dando
inizio ai lavori prima possibile (ASAP – As Soon As Possibile), cercando lavorazioni
parallele, cercando di rispettare le date di scadenza.

Questo approccio però genera una serie di problematiche, in particolare:

• Si è soliti stimare la peggiore situazione possibile, ma così facendo si


incentiva lo spreco di tempo all’inizio dell’attività, essendo tutto il
commitment finalizzato a terminare entro la scadenza. In altre parole il
tempo previsto come float per gestire l’incertezza, diventa in realtà solo
un ritardo dell’inizio reale della stessa.
• L’inizio dei lavori ASAP (appena possibile), anche quando non è
preventivato, è in realtà solo un tentativo di risposta al punto precedente
e ne eredita in pieno le problematiche.

Essendo inoltre il focus puntato sul rispetto delle scadenze, anche qualora
un’attività termini in anticipo (ovvero prima della peggiore ipotesi), è assai
improbabile che la seguente sia già pronta ad iniziare.

Nel CCM si usano 3 capisaldi per cercare di risolvere tali problematiche:

1. Si utilizzano nelle stime solo durate medie delle attività, con esclusione
tassativa di slack.
2. Lo scheduling avviene a ritroso, utilizzando la logica ALAP (As Late As
Possible), come approfondito più avanti.
3. Si utilizzano dei buffer aggregati, posti alla fine dello schedule per
eventuali inconvenienti (al di fuori del controllo delle singole attività).

Di seguito identifichiamo i passi necessari per la stesura dello schedule:

• Ridurre (Crushing) le durate stimate con metodi tradizionali di circa il


50%. La durata delle attività stimate secondo lo standard contiene, come
visto, dei tempi per imprevisti generalmente assai elevati. La protezione
dagli imprevisti (aggregata) sarà contata una sola volta alla fine.
• Procedere al livellamento delle risorse, ovvero alla razionalizzazione
entro le disponibilità ed inoltre garantire il miglior uso possibile, tenendo
conto delle propedeuticità e delle interdipendenze (si può usare qualche
strumento automatico per procedere a questa fase).
• Inserimento di un buffer aggregato alla fine del progetto (solitamente il
50% della durata del percorso critico, almeno in prima approssimazione).
• Creazione di buffers di risorse in posizioni adeguate per proteggersi dalla
loro sovraallocazione.

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MIB – School of Management

• Posizionamento di gating tasks (attività senza predecessori) più tardi


possibile. Questo tende ad evitare il multitasking.
• Controllo dell’efficienza delle risorse
• Comunicazione alle risorse della durata delle attività e dei tempi di inizio
dei successori più che dei milestones. Questo può aumentare il
commitment a terminare il proprio lavoro per passarlo rapidamente alla
successiva attività.

E’ opportuno approfondire la programmazione di tipo ALAP, che è


un’introduzione assai radicale nel modo di ragionare in termini di scheduling.

Tale programmazione prevede di cominciare il processo dalla data di fine


attesa del progetto e procedere a ritroso, identificando di volta in volta l’ultima
data utile dell’inizio delle attività per giungere alla meta desiderata.

Lo svantaggio, se di svantaggio si può parlare, è l’indurimento dello


schedule, ovvero l’aumento della criticità dell’intero piano, però ha l’indubbio
pregio di diminuire sensibilmente il tempo di Work in Progress (WIP)
L’esperienza (seppur ancora breve) ha dimostrato che questa metodologia offre
sensibili vantaggi in fatto di rispetto dei costi e dei tempi.

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LE SESSIONI RAP (RAPID PLANNING SESSIONS)


Procedura di derivazione IT, in particolare dalle metodologie sviluppate
da AT&T come FAST e RAD (Rapid Application Development). Essa prevede
delle sessioni brevi ed intensive comprendenti tutti gli attori principali del
progetto (dal PM, agli utenti ed a tutti i key stakeholders).

Non esistono delle tipologie universali per questo tipo di incontri, come
durata per i progetti più grandi e complessi si può arrivare ad un massimo di 5

giorni, lasciando ai partecipanti la libertà di creare le sessioni RAP come meglio


ritengono. Il PM, che svolgerà il ruolo di mediatore/facilitatore, dovrà assicurarsi
che tali riunioni rimangano comunque on-focus e generino dei risultati che siano
tangibilmente correlati allo sviluppo del progetto, in modo particolare attraverso
la definizione di deliverables che siano condivisi.
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MIB – School of Management

In particolare in una sessione RAP è importante che siano affrontate le


seguenti tematiche:

• Illustrazione degli elementi di successo del progetto da parte del


PM

• Condivisione su Ambito e Obiettivi del progetto

• Analisi dei benefici e delle modalità per realizzarli

• Definizione dei requisiti di qualità

• Selezione della strategia di sviluppo del progetto

• Analisi dei rischi di progetto

• Sviluppo della “Project Task List” (PTL)

• Stima delle attività e del progetto

• Sviluppo cronoprogrammi

• Livellamento risorse

• Analisi costi

Il problema maggiore che si affronta nell’organizzazione delle sessioni


RAP è l’estrema difficoltà di ottenere l’attenzione ed il tempo degli stakeholders.
Purtuttavia questo resta uno strumento essenziale per le speranze di buona
riuscita del progetto, pertanto è essenziale ottenere, fin dall’inizio, una
sponshorship adeguata all’occasione.

Il concetto sarà in seguito ripreso nel paragrafo dedicato a questo


specifico argomento.

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MIB – School of Management

NEWTONIAN PM VS. QUANTUM PM (DECARLO)


“Mai confondere la destinazione con il percorso”

Come più volte esplicitato in questo documento, il cambiamento più


importante che deve essere fatto per implementare tecniche di LPM è di tipo
culturale.

E’ importante sottolineare come il fine del LPM non è quello di


abbandonare la pianificazione, al contrario. In realtà la pianificazione, in un
mondo confuso e turbolento come quello che ci si trova ad affrontare
quotidianamente, è il faro che deve guidarci per tutto il percorso.
Paradossalmente si può dire che la pianificazione assume una tale importanza
che la si estende, attraverso una serie di affinamenti e riposizionamenti,
all’intera durata del progetto.

Occorre, però affrancarsi dalla concezione che appare superata della


assoluta necessità del rispetto per la baseline fine a sé stesso, costi quel che
costi, dimenticando che target del progetto è quello di raggiungere un risultato
condiviso ed utile e rischiando altresì di incorrere nell’errore citato all’inizio del
paragrafo, ovvero di credere che il fine ultimo diventi il mezzo e non la meta.

Non esistono dei piani infallibili e men che meno adatti a tutte le
occasioni, ragion per cui non ha senso sprecare energie e risorse per cercarli.

E’ assai interessante la divisione del mondo che fa, un po’ ironicamente


ma molto significativamente Doug DeCarlo, fra PM Newtoniani e PM Quantum
(in contrapposizione ad una tantum, una volta per sempre).

Questa è per DeCarlo la visione del mondo delle due categorie:

Newtoniani Quantum

La stabilità è la norma Il Cambiamento è la norma

Le previsioni accurate sono possibili A regnare è l’incertezza

Resta nei binari Cerca ragioni per il cambiamento

Incrementa il rigore per incrementare Rilassa i controlli per incrementare la


la sicurezza e le probabilità di sicurezza e le probabilità di successo
successo

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MIB – School of Management

E questa è la visione del management per i PM sempre per il DeCarlo :

Newtoniani Quantum

(Efficienza) (Efficacia)

Fornisce i risultati pianificati Fornisce i risultati desiderati

La pianificazione guida i risultati I risultati guidano la pianificazione

Puntare, Puntare, Fuoco! Fuoco!, aggiustare la mira

Correggere la baseline Correggere quello che è possibile

Sii un buon gestore di attività Sii un buon gestore di relazioni

Procedure e politiche robuste Linee Guida e Valori

Fallo bene la prima volta Fallo bene l’ultima volta

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MIB – School of Management

PROJECT TRACKING
Le attività di controllo del progetto in un ambiente fortemente (e
volutamente) instabile ed al tempo stesso con forti criticità come quello del TPM
necessitano di un’attenzione particolare. E’ inoltre difficoltoso procedere ad un
tracking facilmente significativo dal momento che i frequenti cambiamenti al suo
interno e le conseguenti modifiche della baseline causano l’inutilità delle comuni
tecniche di benchmarking, che dovranno essere soppesate di volta in volta per
essere realmente utili.

Ovviamente si dovranno verificare i parametri di:

• Tempistica

• Costi

• Qualità

• Deliverables

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MIB – School of Management

PROJECT REPORTING

Stante quanto detto al paragrafo precedente, è evidente che il


tradizionale metodo di reporting basato sulla tecnica dell’Earned Value, con la
definizione delle curve BCWS (Budget Cost of Work Scheduled), ACWP (Actual
Cost of Work Performed) e BCWP (Budget Cost of Work Performed) è poco
significativo.

E’ evidentemente necessaria comunque l’attività di reporting, ed è

fondamentale concordarla con lo sponsor prima dell’inizio del progetto.

Gli aspetti sicuramente da valutare secondo la filosofia del LPM


dovrebbero includere:

• Soddisfazione del Cliente

• Rispetto Obiettivi

• Rispetto Budget

• Rispetto tempistica

• Valore aggiunto per l’organizzazione

• Qualità nei requisiti

(success sliders, Thomsett 2002)

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MIB – School of Management

L’IMPORTANZA DELLA LEADERSHIP NEL LPM


“E debbasi considerare come e’ non è cosa più difficile a trattare, né più
dubbia a riuscire, né più periculosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre
nuovi ordini.”

-Niccolò Macchiavelli (Il Principe)

L’approccio della metodologia del Lean Project Management è, per sua


stessa natura, fortemente partecipativo, le relazioni interne al team e con il
Project Manager sono caratterizzate da una scarsa formalizzazione gerarchica.
A questo bisogna aggiungere che il cambiamento rapido e repentino è
addirittura incoraggiato, la propensione al rischio sicuramente assai più elevata
di quanto si riscontra in team che operano con le tradizionali metodologie.

In un contesto come quello sopra descritto, è di essenziale importanza


l’azione di leadership che deve essere esercitata dal Project Manager e la
cultura di leadership che deve essere trasmessa all’intero gruppo. Essa è infatti
il driver principale per la corretta trasmissione della vision, l’allineamento dei
collaboratori e la loro consapevole responsabilizzazione.

Di particolare interesse sull’argomento sono gli studi di Hersey e


Blanchard sulla cosiddetta Leadership Situazionale, ovvero la capacità di
adattamento dello stile di leadership (ed anche management in generale) in
base alla situazione contingente.

Lo studio di tali situazioni esula dall’argomento della trattazione, ma si


può facilmente rilevare come l’intero processo LPM sia estremamente delicato
e necessiti la figura di un Project Manager esperto e capace per poter far fronte
alle molteplici sfide che esso propone.

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MIB – School of Management

Il Settore Edilizio
CONCETTI GENERALI

L’edilizia storicamente è un settore che ha fortissime inerzie e resistenze


verso qualunque forma di cambiamento vada ad incidere sulle pratiche
manageriali e/o tecniche che invece sono spesso implementate con velocità in
altri settori.

Le ragioni storiche per questo sono molteplici, pur non volendo entrare in
una loro disamina che esulerebbe dallo scopo della trattazione, esse risiedono,
a parere dello scrivente, nella minore concorrenza e quindi efficienza del
mercato edile a causa delle enormi barriere necessarie all’ingresso di nuovi
partecipanti, così come in una cultura derivante dalla loro stessa genesi che
proviene, per grandissima parte, da imprese di matrice padronale e non ancora
informate a principi di gestione manageriale moderna.

Quanto detto è vero in generale per il mercato edile, è particolarmente


vero in Italia dove questo è ancora più chiuso, la dimensione delle imprese è
estremamente piccola e la preparazione di buona parte del management
almeno delle imprese piccole è assai superiore dal punto di vista tecnico che
gestionale.

Fatta questa premessa è ancora di maggiore evidenza, almeno a parere


di chi scrive, l’importanza di una gestione scientifica e capace di rispondere al
cambiamento in maniera rapida ed organizzata.

Le maggiori criticità della commessa edile risiedono solitamente nei costi


indiretti, prolungare infatti il tempo di esposizione ha spesso ricadute assai
pesanti sul risultato finale

Va sottolineato altresì che nella maggior parte dei casi le procedure


approssimative di gestione (costi di sede forfetari a percentuale), non
permettono un’efficace attività di controllo e di ripartizione degli stessi.

E’ da rilevare inoltre come, a causa del sistema di appalti che per scelte
di natura politica e culturale spesso propone dei prezzi insostenibili, il
cambiamento è all’ordine del giorno, cambiamento che, data la natura
complessa della commessa edile, richiede uno sforzo assai grande per essere
intrapreso (riprogettazione, reperimento fondi).

L’introduzione di tecniche di Lean Project Management potrebbe quindi


avere delle ricadute di enorme interesse.

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MIB – School of Management

LA PRATICA
La parola chiave del LPM è “semplicità”. Solo con dei piani semplici è
infatti possibile raggiungere la rapidità necessaria a ridurre i costi ed a
mantenerli nel budget.

Risulta pertanto opportuno dividere l’intero processo edilizio (o


perlomeno le fasi che interessano) in singoli sotto-piani.

I più frequenti sono:

• Ricerca della commessa

• Valutazione della commessa (fase delicatissima in edilizia)

• Gestione dei contratti

• Progettazione

• Esecuzione

• Collaudo

• Chiusura

Ovviamente tali fasi potranno essere accorpate o ulteriormente suddivise


secondo l’importanza e difficoltà della commessa.

E’ opportuno che il team di produzione (delle varie fasi della commessa


ma sempre con il PM) si incontri settimanalmente per fare il punto della
situazione, e giornalmente magari la mattina ad inizio attività per ricapitolare la
situazione e programmarne l’inizio.

Il meeting settimanale andrebbe pianificato con attenzione, quello


mattutino dovrebbe essere assai breve (meglio non superare i 15-20 minuti),
magari uno stand-up meeting, mentre si fa colazione.

Ovviamente andranno pianificati i report allo sponsor e potranno essere


organizzati (ma non troppo di frequente) dei meeting a livello superiore per fare
il punto della situazione ma anche per celebrare e riconoscere i risultati
raggiunti.

Anche nell’approccio LPM non sono da dimenticare le Best Practices del


TPM, ovvero una chiara assegnazione di responsabilità ai membri della
squadra ed è opportuno nelle riunioni settimanali fare il punto degli open issues
ed assegnare quelli per la settimana seguente.

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MIB – School of Management

Un grosso vantaggio dell’edilizia rispetto ad altri settori è la ricorrenza dei


task, sia all’interno della commessa che fra le commesse. Risulta pertanto di
grandissima utilità di creare un database di tutte le esperienze passate, così da
poter risparmiare tempo e sforzo in futuro.

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MIB – School of Management

LO START-UP

Una buona pratica da seguire è sempre quella del kick-off meeting, dove:

• Discutere il progetto, i suoi obiettivi e le relazioni fra gli stakeholders.

• Creare una prima e veloce lista di obiettivi facilmente testabili.

• Definire preliminarmente la misura del successo, con la condivisione


dell’intero team.

Creare una WBS, che contenga le attività necessarie per completare la


fase interessata, sebbene (per ora) in maniera non eccessivamente dettagliata.
Al suo interno dovranno essere individuati dei precisi deliverable e le
tempistiche dell’attività di reporting.

Ad ogni attività dovrà essere associata una durata (si fa riferimento a


quanto detto in precedenza circa la stima delle durate).

Il piano, a questo punto, dovrà essere (ufficialmente) distribuito con


maggiori dettagli per la fase interessata.

E’ necessario, sempre in tema di best practices derivanti dal TPM, stabilire


dei milestones semplici da individuare così da essere in grado di visualizzare
con facilità lo stato del progetto.

E’ altresì indispensabile individuare, per ogni attività, dei test per verificare
se esse siano state completate o no. Il test è solitamente composto di una
checklist, e di solito si può identificare la riuscita dell’attività con la possibilità di
superare il test.

E’ opportuno, se consentito dalle risorse, creare team di lavoro composti di


due persone, possibilmente a rotazione. E’ infatti improbabile che due persone
concordino nel fare del lavoro inutile, e possono inoltre agevolmente trasferirsi
know-how.

Bisognerà inoltre distribuire la responsabilità ed anche la possibilità di


implementazione di cambiamenti, purché siano rispettati i test di cui sopra ed il
cliente approvi i cambiamenti.

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MIB – School of Management

IL PLANNING IN EDILIZIA
La pianificazione deve avvenire su molti livelli differenti, dall’alto verso il
basso.

Al livello più alto si creerà il project plan, che comprenderà l’insieme delle
attività, diviso a sua volta in sottogruppi di attività per completare le singole fasi,
che a loro volta costituiscono i release plans.

Ogni settimana si creerà inoltre un iteration plan (lista delle attività della
settimana seguente).

Entrando più in dettaglio i release plans rappresentano l’insieme delle


attività necessarie per terminare una fase del progetto, essi dovranno
prevedere dei deliverables e, solo per progetti grandi o particolarmente
complessi, potranno essere a loro volta suddivisi in parti.

Il livello appropriato di dettaglio in cui splittare le attività (dettaglio del


Project Plan o WBS) non è ovviamente definibile a priori, dovrà essere però tale
da essere compiutamente identificabile e completabile, dove possibile,
nell’intervallo di iterazione selezionato, nel nostro caso settimanale.

Esistono inoltre alcune best practices per la realizzazione dei release


plans:

• Creare il release plan al più presto possibile, esso è essenziale


per lo svolgimento del progetto.

• Pensare all’insieme del progetto. Sarà definito più precisamente di


volta in volta

• Pianificare solo per una lunghezza temporale ragionevole, non


fare previsioni che siano troppo lontane e quindi inaffidabili.

• Non cercare la perfezione

• Misurare la velocità di esecuzione delle attività per migliorarla ed


in ultimo mantenerla.

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LE SESSIONI RAP IN EDILIZIA


Le sessioni RAP rappresentano una componente assai importante anche
nello specifico settore edilizio.

Non è possibile stabilire a priori la frequenza e la durata delle sessioni,


dipendendo queste ultime in maniera molto stretta dalle dimensioni e dalla
complessità del progetto, ma si richiamano le generiche best practices che
suggeriscono di non tenere sessioni più lunghe di due giorni e non più frequenti
di una volta al mese, nei casi più complessi.

A queste sessioni dovranno necessariamente partecipare per quanto


riguarda gli stakeholder interni il PM, il Direttore Tecnico, il Direttore
Commerciale e quello del Personale. Se esiste la figura è consigliabile la
presenza del gestore delle macchine/attrezzature e di un rappresentante legale.
Saranno poi presenti le figure principali direttamente impegnate nella
produzione ed ovviamente il cliente con i propri rappresentanti tecnici ed
amministrativi. Bisognerà permettere al cliente di esprimere le proprie necessità
e preoccupazioni, coinvolgendolo nel processo di scelta delle soluzioni più
adatte. Al termine della sessione bisognerà convenire sui deliverables attesi,
sui costi derivanti dai possibili cambiamenti del contratto primario e, laddove
l’attività di preventivazione richieda dei tempi più lunghi per la necessità di
riprogettazione o di reperimento di prezzi esterni all’appalto, una chiara
definizione dei tempi e dei costi per la realizzazione della fase, con esplicito
riferimento all’impatto anche temporale che i cambi produrranno.

E’ infatti essenziale ricordare che, pur in presenza della metodologia


“partecipata” di gestione, il cliente deve essere adeguatamente edotto sulle
conseguenze delle modifiche che si introducono, pur senza vivere le stesse,
come accade troppo spesso, con uno spirito di (ingiustificata) avversione.

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MIB – School of Management

L’ANALISI E LA GESTIONE DEI RISCHI IN EDILIZIA


La fase di risk analysis and assessment nel processo edilizio è vissuta in
maniera spesso drammatica, a causa del fatto che solitamente gli investimenti

sono assi elevati e la propensione al rischio degli investitori e delle aziende è


assai bassa.

E’ opportuno classificare, in modo particolare per il processo edilizio, il


rischio in due categorie:

• Rischio di progetto

• Rischio di impresa

Il primo rappresenta i fattori ad esso interni che potrebbero causare il


fallimento del progetto (i.e. cattiva progettazione, gestione o fattori esogeni), il
secondo rappresenta invece l’esposizione causata all’impresa nel suo
complesso sempre nell’eventualità di fallimento.

In edilizia, specialmente per le piccole/medie imprese ma spesso anche,


se i progetti sono rilevanti, per quelle più grandi, il fallimento di un singolo

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MIB – School of Management

progetto può causare danni irreparabili all’azienda. Non è possibile trascurare


questo fattore nella corretta gestione del progetto.

Le tecniche di risk assessment sono quelle tradizionali derivanti dalle


best practices del TPM, ovvero la creazione della matrice di rischio (Importanza
del rischio = Probabilità di accadimento x Impatto che esso può causare), e le
possibili risposte che ad esso possono essere fornite, in termini di

• Eliminazione (contromisure che ne consentano l’eliminazione)

• Trasferimento (assicurazioni o coperture)

• Mitigazione (composizione dei precedenti due)

• Accettazione

• Rifiuto (rischio non trattabile con i punti precedenti ed


inaccettabile)

E’ opportuno sottolineare che un evento certo non è un rischio, così


come non lo è un evento di cui non sia possibile in alcun modo prevedere la
probabilità né l’impatto.

E’ appena il caso di menzionare che ciò vale anche per i rischi di cui non
siamo a conoscenza.

Per i rischi più importanti è opportuno provvedere alla preparazione di un


piano di risposta per minimizzare i tempi di intervento in caso di un suo
accadimento.

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MIB – School of Management

LA CHIUSURA DEL PROGETTO IN EDILIZIA

Come esaminato nei paragrafi iniziali, bisogna riprendere i success


drivers che si sono individuati all’inizio del processo e verificare che
effettivamente essi abbiano guidato verso il successo del progetto. Sarà
possibile in tal modo correggere eventuali drivers inefficaci o controllare dove si

sono avute le criticità nello svolgimento dello stesso.

I parametri poi da misurare sicuramente comprenderanno:

• Soddisfazione degli stakeholders

• Soddisfacimento degli obiettivi/aspettative

• Rispetto del budget stabilito

• Rispetto delle tempistiche

• Valore aggiunto all’organizzazione

• Rispetto dei parametri di qualità

• Soddisfazione professionale del team

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MIB – School of Management

Conclusioni
“Nulla è più pericoloso di un’idea, quando è l’unica che abbiamo.”
-August Alain

In queste pagine si è avuto modo di delineare le basi costitutive della


disciplina del Project Management tradizionale, come postulato dagli scritti di
Archibald e Kerzner e contenuto organicamente nelle best practices del Project
Management Institute. Per far questo ci si è riferiti, essenzialmente perché
mancano ancora testi aggiornati ed esperienze riportate, all’edizione del
PMBOK del 2000. In realtà nel 2004 è stata pubblicata la nuova edizione del
libro più importante per il project manager, ma la stessa si è limitata ad ampliare
ed approfondire quanto già presente in quelle precedenti, senza incidere in
modo significativo nel contesto e nella cultura di gestione del progetto.

Il tradizionale approccio è nato in condizioni ben definite, fortemente


deterministiche nella definizione di obiettivi, tempi e costi. La realtà che viviamo,
però, non ci presenta progetti con siffatti presupposti. Il budget è di solito
risicato, le tempistiche brevi e discontinue e l’obiettivo non ben definito.
Nell’approccio tradizionale il PM è solitamente proveniente da una forte
caratterizzazione tecnica, ma anche qui la realtà che viviamo richiede al PM
una serie di skills che abbracciano più discipline, e che solitamente i tecnici
provenienti dalla produzione non posseggono.

Si rende necessario pertanto provvedere da un lato a modernizzare la


disciplina tradizionale dall’altro a creare la cultura necessaria alla sua
implementazione.

Nella sezione dedicata al LPM si è visto quali sono le principali differenze


tra l’approccio rispetto all’approccio TPM, si sono altresì analizzate le principali
nuove tecniche di schedulazione e pianificazione.

Da ultimo si è descritto come applicare le teorie sopra citate nell’ambito


edile, settore particolarmente ostico al cambiamento e forse proprio per questo
di esso particolarmente bisognoso.

E’ convinzione di chi scrive che le tecniche sopra descritte incontreranno


sempre maggior favore e rappresenteranno il futuro della disciplina del Project
Management.

(L’unica impresa edile che, ad oggi, sostiene di operare seguendo tali


tecniche è, almeno per quanto a conoscenza del sottoscritto, la svedese
Arcona, www.leanconstruction.com).

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MIB – School of Management

Bibliografia

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Resolute Principles - Astounding Results. Wiley, 2003

DeCarlo, Douglas. eXtreme Project Management: Using Leadership, Principles


and Tools to Deliver Value in the Face of Volatility., Wiley, 2004

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Addison-Wesley Professional, 2004

Thomsett, Rob. Radical Project Management. Prentice Hall PTR; 1st edition,
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Wysocki, Robert K., Rudd McGary. Effective Project Management: Traditional,


Adaptive, Extreme, Third Edition. , 2003

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Womack, James P., Jones, Daniel, T. Lean Thinking, Guerini e Associati, 1997

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