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Scuola di

Studi Umanistici
e della Formazione
Corso di Laurea in
Scienze della formazione primaria

I bambini incontrano
l’arte: una proposta di
museo d’arte infantile

Relatore
Giuliano Franceschini

Candidato
Samanta Bonaccorso

Anno accademico 2015/2016

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Indice

Introduzione ......................................................................................................... 7

PARTE I Basi epistemologiche .......................................................................... 11

Capitolo 1. L’arte infantile: prospettive psicologiche ed estetiche ................ 13

1.1. The Mirror paradigm: lo specchio dell’arte .................................................. 23

1.1.1. Tendenze nello sviluppo del disegno: forma, spazio, colore e

composizione.................................................................................................. 31

1.1.2. La motivazione e la costruzione del significato ..................................... 42

1.2. The Window Paradigm: la finestra sull’arte ................................................. 45

1.2.1. Tra modernismo e arte infantile: Picasso, Mirò, Klee............................ 50

1.3. Note conclusive........................................................................................... 58

Capitolo 2. Prospettiva pedagogica e didattica ................................................ 60

2.1. Le dimensioni educative dell’arte ................................................................ 63

2.1.1. La dimensione estetica ......................................................................... 64

2.1.2. La dimensione creativa ......................................................................... 67

2.1.3. La dimensione cognitiva, metacognitiva e comportamentale ................ 71

2.2. La didattica laboratoriale: un modello per la scuola tra fare e pensare ....... 75

2.2.1. L’ origine della didattica laboratoriale.................................................... 77

2.2.2. L’atelier come didattica laboratoriale: il modello Reggio Emilia ............ 79

2.2.3. Giocare con l’arte: una didattica laboratoriale per la scuola primaria.... 83

3
2.3. Educare nel museo: la didattica museale ................................................... 88

2.4. Note conclusive........................................................................................... 96

PARTE II Progetto ............................................................................................. 101

CAPITOLO 3. I protagonisti del sistema: territorio, scuola e museo ............ 105

3.1. Il territorio .................................................................................................. 109

3.1.1. Iniziative sul territorio .......................................................................... 113

3.2. La scuola .................................................................................................. 123

3.2.1. L’educazione artistica nel contesto internazionale ed europeo ........... 124

3.2.2. L’educazione artistica nel contesto italiano......................................... 130

3.2.3. L’educazione artistica nel contesto locale ........................................... 140

3.3. Il museo .................................................................................................... 146

3.3.1. Il museo dei bambini ........................................................................... 149

3.3.2. Il museo d’arte infantile ....................................................................... 151

3.3.3 Reportage from the International museum of children’s Art ................. 155

3.4. Note conclusive......................................................................................... 168

CAPITOLO 4. Museo d’arte infantile: una proposta progettuale ................... 170

4.1. Identità ...................................................................................................... 172

4.2. Organizzazione ......................................................................................... 174

4.2.1. Collezione ed esposizioni ................................................................... 174

4.2.2. Spazio ................................................................................................. 180

4.2.3. Personale ........................................................................................... 182

4
4.3. Didattica dell’arte ...................................................................................... 183

4.3.1. Didattica a scuola ............................................................................... 183

4.3.2. Didattica in sede ................................................................................. 191

4.4. Note conclusive......................................................................................... 198

Conclusioni........................................................................................................ 200

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................. 205

SITOGRAFIA ...................................................................................................... 210

RINGRAZIAMENTI ............................................ Errore. Il segnalibro non è definito.

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6
Introduzione

Nell’odierna società dell’avere, come la definisce Fromm nel suo Avere o es-

sere, che spazio può avere l’arte nell’educazione del bambino? Per rispondere a

tale quesito basta porsi con occhio critico ad analizzare il nostro sistema d’istru-

zione. L’impianto pedagogico delle nostre scuole ricalca ancora un modello di istru-

zione tradizionale incentrata sulla trasmissione dei saperi. Mentre alla scuola dell’in-

fanzia gli studi pedagogici di matrice montessoriana, steineriana, froebeliana sono

permeati andando a rivoluzionare i modi di vivere il tempo scolastico, alla scuola

primaria il tempo sembra essersi fermato. Basta osservare l’organizzazione spa-

ziale degli edifici scolastici: classi chiuse, cinte da mura dalle quali non permea la

voce dei vicine di classe. Come possono allora permeare la fantasia, l’immagina-

zione e la creatività in uno spazio tanto inadatto? Possono solo se si riconosce al

bambino il diritto di essere.

Questo verbo all’infinito rappresenta una vera e propria tensione ed è la

forma che più calza per parlare di bambini. L’infanzia si ripropone uguale all’infinito

in qualsiasi tempo e luogo: ovunque si vada la voce di un bambino che impara a

parlare prenderà il colore di una risata mentre gioca con i suoni appresi. L’infanzia

si presenta come dimensione hic et nunc ma è ancora di più tensione al futuro.

Queste due polarità temporali sono quelle che ci fanno cogliere il valore del bambino

in quanto persona che esiste, c’è ed è. La società, allora, verso di lui/lei ha il dovere

di aiutarlo/la ad essere attraverso una formazione che sia completa e che gli/le per-

metta di definirsi come individuo autonomo, unico e inimitabile. Una formazione di

questo tipo dunque non può fare a meno di tutte le dimensioni che costituiscono e

definiscono l’umano. Tra queste sicuramente ritroviamo l’arte in ogni sua forma.

7
Un retaggio culturale tutto italiano considera i bambini come incapaci di ap-

prezzare, e tanto meno produrre, la ‘vera arte’. Esso deriva dalle idee espresse da

Benedetto Croce nel suo La letteratura della nuova Italia. Nel testo il filosofo afferma

che il bambino non possiede ancora una maturità psicologica tale da permettergli di

fruire un’opera d’arte, tanto meno di un’opera letteraria. Bisognerà attendere l’inter-

vento di Read e di Arnheim per rivalutare il valore estetico delle opere d’arte infantili.

Uno degli obiettivi di questo elaborato sta proprio nel porsi come un’inver-

sione di tendenza rispetto a questo retaggio culturale che limita il bambino e impe-

disce a noi di valorizzare e apprezzare le sue abilità, capacità, conoscenze e com-

petenze. Il suo diritto di essere passa principalmente dal suo riconoscimento e dalla

sua valorizzazione e promozione. Il museo d’arte infantile, come elemento di rac-

cordo tra l’istituzione museale stessa, il territorio e la scuola, vuole perseguire tali

finalità ponendo al centro l’infanzia e le sue esigenze espressive e creative.

Per realizzare e sostenere, nel suo significato etimologico di sub tenere tale

progetto, è stato necessario ricercare, analizzare e rielaborare le basi teoriche che

animano l’arte infantile nei suoi processi di creazione e fruizione. Nel primo capitolo

infatti si è cercato di far luce su due tendenze interpretative, quella psicologica e

quella estetica, che hanno mostrato aspetti diversi ma complementari delle opere

infantili. Da una parte, esse sono state viste come frutto di un processo creativo da

analizzare nei suoi vari costituenti, dall’altra, sono state riconosciute come portatrici

di un inestimabile valore culturale e –soprattutto- estetico. Queste due visioni

aprono al secondo capitolo che analizza le varie dimensioni formative dell’arte da

declinare fattivamente, a scuola ma non solo, in modelli didattici efficaci, in grado di

garantire una formazione di qualità.

8
Nella seconda parte viene presentato il progetto effettivo, che consiste nella

realizzazione di un museo contenente opere prodotte da bambini di scuola dell’in-

fanzia e primaria. Il progetto inoltre prevede di instaurare partenariati con il territorio

(la piana di Lucca) e le scuole, al fine di creare un sistema di rete e un sistema

formativo integrato in grado di dar voce ai bambini e alla loro cultura. Questo sistema

per esistere necessita di una conoscenza profonda dei suoi protagonisti, motivo per

cui il capitolo tre li prende in esame cercando di individuarne le peculiarità. Infine, il

capitolo quattro chiude il lavoro presentando la nostra idea su come potrebbe es-

sere tale istituzione: le sue finalità, la sua organizzazione interna ed esterna e i suoi

servizi educativi. In questo caso, fondamentale è risultata l’esperienza vissuta ad

Oslo nella visita all’ International museum of children’s art che raccoglie, ormai da

trent’anni, opere di bambini e giovani provenienti da tutto il mondo. Il museo rappre-

senta un ribaltamento del modo di concepire l’istituzione museale: vuole mostrare il

mondo dei bambini, il loro modo di vedere e interpretare la realtà e l’esperienza. Si

basa su un semplice ed essenziale principio: i bambini sono persone e, come tali,

hanno diritto di esprimere la loro opinione e le proprie emozioni. In definitiva, tutti i

bambini hanno il diritto di essere e la loro arte è lì per ricordarcelo ogni giorno.

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PARTE I

Basi epistemologiche

11
12
Capitolo 1

L’arte infantile: prospettive psicologiche ed

estetiche

When the voices of children are heard on the green

And laughing is heard on the hill,

My heart is at rest within my breast

And every thing else is still

Then come home my children, the sun is gone down

And the dews of night arise

Come come leave off play, and let us away

Till the morning appears in the skies

No no let us play, for it is yet day

And we cannot go to sleep

Besides in the sky, the little birds fly

And the hills are all cover’d with sheep

Well well go & play till the light fades away

And then go home to bed

The little ones leaped & shouted & laugh’d

And all the hills ecchoed

William Blake, Songs of experience

13
14
La società nella quale siamo immersi si caratterizza sempre più per una pre-

dominanza dell’immagine. Non è un caso se, in maniera provocatoria, Giovanni Sar-

tori porta avanti l’idea secondo cui il video stia trasformando l'homo sapiens, pro-

dotto dalla cultura scritta, in un homo videns nel quale la parola è spodestata dall'im-

magine1. In questa tendenza generale si inserisce anche il bambino che vive in un

mondo sempre più denso di linguaggi, primo fra tutti quello parlato, ma anche quello

del cinema e delle arti figurative.

Rispetto a quest’ultimo linguaggio non si può fare a meno di notare come il

disegno sembri configurarsi come una prerogativa espressiva propria del bambino.

Ciò emerge chiaramente in qualsiasi epoca storica nonostante le scarse testimo-

nianze lasciate dai bambini stessi2. È, infatti, una prerogativa odierna, frutto di secoli

di storia dell’infanzia, quella di considerare i disegni infantili come prodotti di valore

non solo affettivo ma anche estetico e, in definitiva, artistico. Da questo punto di

vista, relazionarci all’arte infantile pone sicuramente molte problematiche di tipo

concettuale ed epistemologico rintracciabili nella terminologia stessa. Da una parte

abbiamo il sostantivo arte, filologicamente ricco di significati e accezioni differenti,

dall’altra l’aggettivo infantile che cela al suo interno altrettanti rimandi storici e cul-

turali.

Se con atteggiamento maieutico, ci si pone l’obiettivo di sondare il terreno

dell’arte ci si imbatte in un universo semantico che abbraccia quasi tutti gli ambiti

del fare e sapere umano. Arte può nello specifico definire una serie di attività umane

quali la pittura, la letteratura, la musica, l'architettura ma può anche caratterizzarsi

1
Sartori G., Homo videns, edizioni Laterza, Bari 1999, p. 7.
2
Becchi E., I bambini nella storia, Edizioni Laterza, Bari 2010.
15
come prodotto culturale storicamente determinato. Nel nostro caso il punto di inte-

resse verte sulle arti cosiddette figurative, ovvero quelle che fanno uso delle imma-

gini. In questo senso, molti filosofi nel corso dei secoli si sono interrogati sull’es-

senza stessa dell’arte riuscendo a circoscrivere questo concetto entro dei confini

che si sono rivelati spesso asfittici. Per gran parte della storia dell’arte e della filo-

sofia ci si imbatte primariamente in una accezione tecnicistica dell’arte vista come

mimesis, imitazione della realtà. Le condizioni necessarie e sufficienti per definire

l’arte, in particolare con Kant, sono state rintracciate nella sua capacità di avvicinarsi

in maniera creativa e ri-creativa alla natura. E ciò in virtù delle qualità tecnico-

espressive dell’artista che, grazie al suo genio, riusciva a imporre un nuovo ordine

di senso all’interno della sua opera3.

Tale prospettiva viene definitivamente distrutta con il Modernismo e le Avan-

guardie che irrompono sul panorama artistico europeo e americano portando avanti

un’idea di arte che si affranca dall’imitazione per diventare espressione del Vero4.

Questi stessi artisti sono quelli che per primi riconoscono l’immenso valore artistico

delle produzioni infantili, viste come capaci di portare alla luce in maniera autentica,

creativa e spontanea il Vero. La percezione infantile della realtà filtrata dalla com-

ponente fantastica e immaginifica viene posta a modello di creazione artistica.

Ciò, naturalmente, si intreccia ad un cambiamento profondo intervenuto

nell’ambito artistico che ha avuto come conseguenza lo sviluppo di un nuovo oriz-

3 Kant I., La critica del giudizio, Laterza, Roma 1997.


4 Nella concettualizzazione dell’arte, agli inizi del Novecento, con le avanguardie, si assiste a
uno scollamento tra gli artisti e i filosofi che, sulla scia lunga di Kant, ritengono l’arte un’esperienza
puramente estetica lontana dall’esperienza morale e teoretica. Gli artisti avanguardisti si oppongono
a questa prospettiva sforzandosi di fornire non più delle opere decorative piacevoli ma delle opere
più vere dell’esperienza immediata. L’arte si vuole porre come ambito di conoscenza e non più solo
una sfera puramente legata alla percezione.
16
zonte culturale. All’interno di questo quadro, come sostiene Perniola, l’arte ha ini-

ziato ad assumere confini sempre più porosi e indefiniti tanto da poter essere defi-

nita anche arte espansa. Questa terminologia vuole sottolineare che:

“La sfera dell’arte si è ampliata enormemente. Qualunque cosa può essere trasfor-

mata in arte, anche senza che il suo autore ne sappia nulla.”5

Il richiamo qui non è solo alla produzione dei bambini ma anche a quella degli

psicopatici e di tutti quelli che vengono anche chiamati outsiders.

Questo progressivo ampliamento comporta una difficoltà oggettiva di dare un

senso a che cosa possa essere denominato arte e se, in questa definizione, possa

rientrarci o meno quella infantile. Un sostegno forte ci arriva dal filosofo dell’arte A.C

Danto che, ponendosi in polemica con i fautori delle teorie di Wittegeinstein, so-

stiene la possibilità di cogliere un’ontologia dell’arte. Tre sono, in particolare, le con-

dizioni necessarie e sufficienti per determinare cosa sia o meno l’arte: la capacità di

dare corpo a un’idea, la presenza di un significato che prende corpo attraverso una

forma e, l’essere “un sogno ad occhi aperti”. Al di là delle critiche mosse dagli esteti,

il merito che va riconosciuto a Danto è senza dubbio quello di aver dato coerente-

mente un senso ad un concetto che si caratterizza per il suo essere complesso e

polimorfo. In definitiva, la semplicità di questa definizione ci porta a connotare arti-

sticamente anche le produzioni infantili che presentano spesso i tre elementi ap-

pena citati.

5 Perniola M., L’arte espansa, Giulio Einaudi editore, Torino 2015.


17
L’inclusione delle produzioni infantili nella famiglia dell’arte si deve però anche

a una mutata prospettiva sull’infanzia stessa. Come è già stato fatto notare, la dici-

tura di arte infantile contiene infatti al suo interno l’aggettivo infantile che fa riferi-

mento a un periodo particolare della vita6 dell’uomo che possiede una natura tran-

sizionale7. Ciò ne costituisce, a un tempo, la sua ricchezza e complessità.

Da un punto di vista storico, la possibilità di parlare di arte infantile si deve

proprio a una progressiva scoperta e valorizzazione dell’infanzia che ha visto come

momento di massima svolta la Convenzione ONU dei diritti dell’infanzia e dell’ado-

lescenza (1989)8.

Come sostiene emblematicamente L. deMause, «la storia dell’infanzia è un

incubo dal quale solo di recente abbiamo iniziato a destarci» 9. Per comprendere il

cammino intrapreso dal bambino nella storia basta analizzare più da vicino il lessico

usato per riferirvisi. La parola bambino10, infatti, che in apparenza sembra avere

un’origine onomatopeica (bamb-) dovuta proprio all’uso che fa, durante la prima in-

fanzia, dei fonemi labiali B, P e M, in realtà altro non è che il diminutivo medievale

di bambo o di bimbo che stava per “sciocco”, “babbeo”. Lo stesso si rintraccia nel

6 L’infanzia è un periodo della vita che va dalla nascita alla pubertà e viene diviso in tre differenti

momenti: la prima infanzia che comprende bambini da 0 a 3 anni; la seconda infanzia che, invece
interessa quelli da 3 ai 5 anni e, l’ultima, la terza infanzia, che include i bambini da 6 a 10 o più anni.
7 E. Becchi, op cit.
8 Approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Ita-

lia con legge del 27 maggio 1991, n. 176, depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991.
La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nasce dalla presa di coscienza
della necessità di concedere una protezione speciale al fanciullo, protezione che era già stata enun-
ciata nella Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei Diritti
del Fanciullo adottata dall’Assemblea Generale il 20 novembre 1959 e riconosciuta nella Dichiara-
zione Universale dei Diritti dell’Uomo, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici nel Patto
internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali e negli Statuti e strumenti pertinenti delle
Istituzioni specializzate e delle Organizzazioni internazionali che si preoccupano del benessere del
fanciullo.
9 DeMause L., Evoluzione dell’infanzia, Emme Edizioni, Milano 1983. Estratto senza fini di lucro

in difesa dell'infanzia, dal libro Storia dell'Infanzia, che raccoglie una selezione dei saggi pubblicati
nell'opera collettanea The History of Childhood, a cura di Lloyd deMause, 1974. Traduzione italiana
di Lucia Bonardi.
10 www.treccani.it

18
vocabolo infante che proviene dal latino infantem11, composto dal prefisso IN (non)

e FANTEM (da FARI, ossia parlare, uso della parola). Da quest’ultimo termine pos-

siamo cogliere facilmente lo slittamento semantico che ha portato il bambino ad

essere considerato un essere di poco conto: l’infante è colui che non parla e, perciò

stesso, colui che non possiede ancora le proprietà cognitive adeguate per far uso

della favella e della ratio. Inoltre, l’infantem è colui che, a causa di questa incapacità,

non produce testimonianze di sé, alla stregua di altre categorie sociali.

L’infanzia era, per tali ragioni, considerata come un periodo di passaggio da

una fase di incompiutezza, immaturità, “potenza”12, nell’accezione aristotelica del

termine, ad una di pieno sviluppo cognitivo e morale. Un periodo, dunque, da limi-

tare e convogliare al fine di una migliore riuscita. Il bambino non veniva visto per le

sue intrinseche peculiarità ma veniva classificato come “piccolo uomo”.

Con la cristianità la situazione non migliorò, anzi, la visione dell’infanzia si fece

ancora più ambivalente. Da una parte, emergeva la figura di un bambino angelico,

piccolo “putto” da proteggere, dall’altra una figura quasi demoniaca nei suoi scatti

selvaggi, irrazionali e fantastici. Tali accezioni si protrassero inalterate fino alla fine

del Settecento, quando grazie alla classe borghese inizia a farsi strada un’atten-

zione particolare per questo momento della vita, guardato ora con una certa nostal-

gia e alone da locus amenus da tutelare. La cura con la quale questa classe sociale

guarda all’infanzia si evince anche dagli oggetti e dai giocattoli. Veri e propri oggetti

d’arte più da contemplare che da vivere secondo l’istinto esploratore proprio dell'in-

fanzia. La stanza diventa, in particolare in età vittoriana, la stanza dei bambini ma,

11 www.etimo.it
12 Nella filosofia aristotelica si ritrova l’idea che il bambino sia un adulto in potenza, ovvero come
il seme è una pianta in potenza mentre la pianta in sé è la messa in atto della sua essenza, alla
stessa maniera è il bambino.
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ancora, si mantiene una certa distanza tra mondo adulto e mondo infantile. Signifi-

cativo è il ricordo di Proust de “La recherche du temp perdu”13 quando, in occasione

di una serata con amici, il padre lo manda a letto senza il fondamentale bacio della

madre tanto atteso e desiderato. La camera diventa la protagonista dei sogni e della

fantasia dei bambini che la vivono creando un mondo tutto loro, estraneo agli adulti.

Il cambio di rotta è segnato, comunque, dal filosofo e pedagogista J.J. Rous-

seau, il quale si fa portavoce di un nuovo sentimento, benché egli stesso avesse

più volte abbandonato i suoi figli alla ruota di Parigi, che rivaluta l’infanzia. Il para-

digma dell’infanzia14, prende avvio proprio in questo momento di radicali cambia-

menti. All’alba della rivoluzione francese, il pedagogista individua nell’infanzia l’ele-

mento di rottura dalla società che incatena l’uomo. Il bambino educato in natura e

lasciato libero di essere se stesso può finalmente riscoprirsi come uomo libero e

moralmente non corrotto. Dall’altra parte dell’oceano la stessa idea viene presentata

dal poeta e pittore W. Blake. Nelle sue enigmatiche poesie, considerate puerili per

il linguaggio semplice e dalla sonorità che richiama quella delle lullaby inglesi, egli

lega il bambino al divino tanto da considerarlo capace di comunicare con esso tra-

mite l’immaginazione. È, invece, la società incarnata prima nella figura dei genitori

e poi in quella delle varie istituzioni, prima fra tutte la chiesa, che fa allontanare il

bambino e l’uomo dall’elemento divino che è in lui. Il bambino come il poeta è ca-

pace di vedere attraverso l’immaginazione mondi nuovi che il poeta mette in scena

tramite le sue poesie.

13 Opera dello scrittore francese Marcel Proust scritta tra il 1907 e il 1927. Il suo inquadramento
all’interno di uno specifico genere letterario è problematico a causa della ricchezza insita nell’opera.
Si ritiene sia un romanzo “psicologico” e non autobiografico in quanto tutta la narrazione è filtrata
dalla mente dell’artista adulto. Essa è composta di sette volumi e la sua prima pubblicazione risale
al 1913.
14 Kelly D.D., Uncovering the History of Children’s Drawning and Art, Praeger, Santa Barbara

2004 p. 2.
20
È, dunque, il periodo romantico quello che riporta in auge la figura del bambino

come essere innocente, creativo e, fondamentalmente, libero e che inizia a porre le

basi per un interessamento verso le produzioni infantili. Egli è infatti capace di vivere

nella natura in maniera autentica esprimendo, provando sentimenti e passioni vere.

La natura diventa il luogo privilegiato nel quale educare il bambino. Anche Pesta-

lozzi, ad esempio, rivendica anch’egli, questo legame inscindibile che si estrinseca

in una educazione morale attraverso la natura. Lo stesso vale per Fröbel che per

tale ragione creò i Kindergarden, letteralmente i giardini del bambini. Egli attribuiva

al bambino facoltà che li avvicinava al divino, da valorizzare e far emergere attra-

verso un’educazione incentrata sul gioco e la spontaneità. I giardini, inoltre, erano

nati con l’idea che il bambino potesse svilupparsi totalmente in ogni suo aspetto,

sociale, emotivo e linguistico proprio a partire dal contatto dalla natura. L’educatore,

in questo senso, era considerato un giardiniere capace di seguire e guidare la cre-

scita del bambino.

Le istanze sentimentali assenti fino a questo momento fanno nascere quel

sentimento dell’infanzia che culminerà nel Novecento.

Tale secolo, infatti, si caratterizza non solo per lo sviluppo di importanti movi-

menti artistico-culturali ma anche per la rivalorizzazione della figura del bambino.

Significativamente è stato denominato “secolo del fanciullo”, dal libro omonimo di

Ellen Key.

Il puer viene finalmente riconosciuto nelle sue particolarità e specificità che lo

rendono unico e diverso dall’adulto. Se prima veniva visto come essere incompleto

21
(si vedano a tal proposito le teorie darwiniste15) o come tappa evolutivamente infe-

riore rispetto all’adulto, ora diviene padrone del proprio sé corporeo, cognitivo ed

emotivo. Si deve, soprattutto, agli studi psicanalitici di Freud la scoperta dell’impor-

tanza rivestita dall’infanzia per lo sviluppo psichico dell’individuo. I ricordi infantili, in

particolare quelli rimossi, condizionano l’equilibrio psichico del soggetto. È infanti

durante l’infanzia che si forma il soggetto attraverso un percorso che lo porta alla

gestione del proprio Io, Super-Io ed Es. La forza libidica che abita i nostri corpi e

che passa dalla nostra sensualità, per Freud, è presente fin dalla nascita e, dunque,

anche in quell’essere innocente che era il bambino. Infine si deve alla psicologia e

alla pedagogia, la valorizzazione degli aspetti cognitivi proprio del bambino, il quale

possiede propri modi di pensare, percepire e vedere il mondo.

Da queste basi storiche e culturali, nasce in conclusione l’idea di arte infantile.

Il bambino divenuto fulcro della società viene riconosciuto quale individuo specifico

e peculiare capace, prima di tutto, di essere e fare. Tale riconoscimento ha portato,

da una parte ad analizzare le produzioni infantili come espressione del sé interno

del bambino se non anche del suo livello di sviluppo cognitivo e prassico-prattogno-

sico. Dall’altra, sulla strada aperta da pittori e artisti quali Mirò, Klee e Kandiskji, le

produzioni dei bambini sono state viste come vere e proprie opere d’arte.

Questo doppio canale di ricerca è stato individuato dalla studiosa americana

D. Kelly che ha mostrato la presenza di due paradigmi che afferiscono a queste due

interpretazioni: un filone psicologico, definito Mirror paradigm, che guarda ai disegni

15
Charles Darwin pubblica nel 1859 L’origine della specie nel quale sintetizza le sue idee evo-
luzionistiche. Quest’ultime hanno fortemente influenzato il contesto scientifico e teorico del tempo.
Anche le scienze umane sono state investite dalle idee darwiniane tanto che molti etologi hanno
rintracciato delle somiglianze tra il modo di essere del bambino e quello dei primitivi. Ciò ha portato,
ad esempio, Stanley Hall a vedere nel gioco infantile una sorta di ricapitolazione dello sviluppo evo-
lutivo intrapreso dall’uomo. Da qui anche l’idea parallela del bambino come individuo che rappre-
senta uno stadio primitivo nell’evoluzione dell’uomo. Il bambino, dunque, ripercorrerebbe durante il
suo percorso di sviluppo tutto il percorso evolutivo intrapreso dall’uomo.
22
dei bambini come specchio della sua mente e un filone estetico-artistico, the Win-

dow paradigm, che metaforicamente interpreta il disegno infantile come finestra sul

mondo estetico del bambino. Quest’ultimo fa leva soprattutto su concetti quali crea-

tività, originalità, fantasia ed espressività che enfatizzano un legame fra l’ambito

artistico e il disegno infantile.

Da questo punto di vista cercherò di delineare i due paradigmi focalizzandomi

sul secondo versante poiché presenta maggiori assonanze con il progetto che illu-

strerò nei capitoli successivi.

1.1. The Mirror paradigm16: lo specchio dell’arte

Il paradigma dello specchio nasce come presa di coscienza da parte della

scienza psicologica dell’importanza del disegno per comprendere il bambino. Lo

studio dei disegni infantili infatti serve come riflessione, come uno specchio, sul la-

voro interno della mente del bambino e come riflesso del suo sviluppo.

Il Mirror paradigm è composto da una serie di studiosi e practitioners il cui inte-

resse non verte sulla natura estetica dei prodotti infantili nei quali non rintracciano

alcuna rilevanza artistica. Coloro che sviluppano questa linea di ricerca adottano un

approccio quantitativo teso alla comparazione e alla ricerca di elementi invarianti

che possano consentire di trarne teorie sullo sviluppo della mente infantile ed

umana in genere.

La dicitura di Mirror paradigm viene da James Sully, noto psicologo inglese che

opera tra Ottocento e Nocevento. Nel suo lavoro Studies of Childhood, egli lega la

capacità del bambino di cogliere l’essenza simbolica delle immagini prodotte a

16
Kelly D.D., op. cit.
23
quella di capire la relazione esistente tra immagine reale e quella riflessa nello spec-

chio. In questo testo, per la prima volta, il disegno infantile entra a far parte del

campo di analisi della psicologia. Come Rousseau, Pestalozzi e Froebel anche lo

psicologo inglese dirige la sua attenzione verso le attività infantili naturali come il

gioco e il disegno, tanto che vengono infatti analizzate in due specifici capitoli della

sua opera Studies of Childhood: Child as Artist e The young Draughtsman. Il primo

parte dal mettere in relazione il disegno infantile con le culture primitive rintracciando

un nesso anche tra disegno e gioco. In seguito analizza la propensione del bambino

verso la bellezza e giunge alla conclusione che il bambino la scopre prima di tutto

attraverso la lucentezza, brillantezza degli oggetti e infine attraverso il gusto per i

colori luminosi e per i contrasti forti. Sully poi esplora la forma e la sua relativa at-

trattività per i bambini, osservando che essi, nei suoi esperimenti, disegnavano og-

getti molto piccoli e forme simmetriche. Lo psicologo compara le prime sensibilità

per i colori e le forme con l’estetica dei popoli primitivi e fa un’interessante osserva-

zione riguardo al modo in cui i bambini rompono l’intera visione in parti più piccole:

“provokingly pounces on some single feature of interest” 17

Sully si interroga anche su quando il bambino sviluppi l’abilità di capire che la

rappresentazione è un simbolo dell’oggetto reale. A questa domanda risponde fa-

cendo riferimento allo specchio: il bambino inizia a prendere come realtà quella ri-

flessa, anche se presto arriva a capire che non sono realtà tangibili. Il riflesso dello

specchio è un chiaro modo per capire la funzione rappresentativa dell’immagine

perché la presenta in stretta prossimità con la realtà e invita ad una diretta compa-

razione. Per lo studioso, quindi, finché il bambino non sarà capace di capire che

17 Ibid. p. 75.
24
l’immagine riflessa nello specchio rappresenta se stesso, non potrà neanche realiz-

zare che le sue immagini sono rappresentative di altri oggetti.

La realizzazione che il simbolo rappresenta qualcos’altro è necessaria per ini-

ziare a disegnare. Con questa spiegazione dà avvio al paradigma psicologico, se-

condo cui il disegno infantile si sviluppa seguendo degli stadi. Ciò che nota lo psi-

cologo è che il bambino non è interessato alla rappresentazione veritiera della realtà

bensì al contenuto, tanto che Sully afferma che “the little artist is much more of a

symbolist than a naturalist”18.

Egli, inoltre, anticipa molte delle prospettive che verranno analizzate da J. Pia-

get sulla percezione come base per comprendere le peculiarità del disegno infantile,

infatti:

“It may be said that defects of observations are reflected in children’s drawining

through all its phases. Thus the primitive bare schematism of human face answers to an

incomplete observation and consequently incomplete mode of imagination, just as it an-

swers to a want of artistic purpose and to a technical incapacity”.19

Il bambino non rappresenta ciò che vede ma ciò che conosce e lo fa in maniera

astratta e simbolica avvicinandosi, di fatto, alla vera arte che per sua natura è sug-

gestiva piuttosto che riproduttiva.

Sully è, dunque, il capostipite di un filone di ricerca che si svilupperà a partire

dal primo Novecento e che verrà in parte accantonato a seguito dell’influenza degli

studi di J. Piaget che hanno avuto larga eco non solo nei sistemi di formazione ma

anche in quelli di ricerca educativa e psicologica.

18
Ibid. p. 79.
19
Ibid. p. 79.
25
Se, come abbiamo detto, lo psicologo inglese si configura come il padre del

Mirror paragigm altri sono gli studiosi che ampliano e danno vigore a questo settore

di ricerca e sono quelli che fanno parte della cosiddetta seconda generazione. Po-

nendosi sulla strada da lui tracciata, studiosi come Ricci, Rouma, Coles riesconono

non solo a usare il disegno come strumento dal quale trarre informazioni riguardo

allo sviluppo infantile ma anche come fattore di ricerca per indagare i meccanismi e

le strategie che sottendono il processo di creazione del disegno e che portano al

prodotto finito.

Contemporaneo dello psicologo inglese è l’italiano Corrado Ricci, il quale

scrive L’Arte dei Bambini (1887). Lo studio di Ricci viene svolto su un campione di

1250 disegni avuti dalle scuole italiane. Come Sully, egli individua un percorso di

tipo stadiale nello sviluppo del disegno infantile. L’istinto alla rappresentazione gra-

fica nasce secondo Ricci verso i tre anni e porta alla prima rappresentazione della

figura umana: da testa priva di membra diviene via via una figura intera sempre più

particolareggiata.

I bambini, secondo l’italiano, non danno un’interpretazione artistica delle figure

bensì le descrivono nella loro complessità come farebbero se usassero la parola.

Da questo punto di vista, l’arte infantile non presenta alcuna dimensione estetica

poiché essa altro non è che la rappresentazione della realtà mediata dalla memoria.

L’esempio tipico è quello del viso di profilo, spesso rappresentato con i due occhi

come se questi fossero visti di prospetto. Il bambino infatti ricorda la presenza di

due occhi e non riesce a prefigurarsi mentalmente la scomparsa dallo sguardo di

uno dei due occhi e, allo stesso modo, non riesce a rappresentarli. Ne disegna per-

ciò due, uno accanto all’altro.

26
Se, dunque, a partire da Sully e Ricci, le abilità di rappresentazione grafica

sono legate ad altre abilità chiave, quale il linguaggio, il pensiero e il ricordo, non è

da stupirsi se accanto al filone di ricerca tradizionale, se ne crei uno complementare

teso ad indagare lo sviluppo artistico e cognitivo del bambino prendendo come

punto di riferimento il confronto tra bambini con insufficienza mentale e bambini

“normali”. Importanti sono, in questo senso, i contributi dell’educatore G. Kerschen-

steiner e di G. Rouma.

Il primo esamina i disegni di bambini con talento artistico e di quelli con ritardo

mentale notando la presenza di differenze qualitative e quantitative. In particolare,

il bambino con deficit intellettivo presentava una mancanza di coerenza. Lo stesso

rintraccia Rouma che inoltre nota una certa automaticità nelle immagini, sviluppo

più lento, frequenti regressioni e pensieri incompleti.

In quest’ottica si inserisce il Goodenough Intelligence Quotient (1926), test ba-

sato proprio sulla rappresentazione di un uomo come elemento principale per de-

terminare il livello cognitivo e di sviluppo del bambino. Il disegno diviene in tal modo

uno strumento oggettivo, scientifico e da indagare a livello quantitativo per misurare

il quoziente intellettivo del bambino. Ciò presuppone l’eliminazione di ogni aspetto

estetico e la focalizzazione sugli aspetti cognitivi che sottendono la rappresenta-

zione. Sono i processi di pensiero più alti che guidano e orientano il bambino nel

disegno e, dunque, non solo e non tanto la coordinazione oculo-motoria. Il test

venne successivamente elaborato da Dale Harris (1963).

Un altro influente contributo sull’arte infantile, teso a rintracciare le peculiarità

mentali e concettuali del bambino, è quello dello storico dell’arte G.H. Luquet che

verrà ampiamente ripreso da J. Piaget per elaborare le sue teorie.

27
Luquet pubblica le sue scoperte nell’opera Les Dessins D’un Enfant nel 1912.

In essa sono raccolti i disegni della figlia dai i tre agli 8 anni d’età. I disegni sono

datati ed enumerati e sostengono l’analisi svolta da Luquet, secondo cui lo sviluppo

delle abilità grafiche seguirebbe quattro stadi di sviluppo: “dessin involontaire”, “ina-

cacitè synthetique”, “realisme logique”, “realisme visuel”.

Il primo stadio è quello dello scarabocchio nel quale non c’è reale coscienza

della codificazione simbolica o della rappresentazione realistica.

Il secondo stadio si riferisce ad uno sviluppo non ancora coerente dell’imma-

gine: ogni parte del disegno viene disegnata per aggiungerla in un’immagine più

grande e comprensiva.

Il terzo stadio fa riferimento al fatto che il bambino deliberatamente e coscien-

temente riproduce le forme che lui vede.

L’ultimo stadio vede le abilità del bambino migliorate. A questo punto dello

sviluppo, comincia a disegnare come un adulto. Le abilità di disegno non migliorano

se non quando il bambino non avrà raggiunto l’età di 11-12 anni.

Questi stessi stadi vengono ripresi da Piaget, padre dell’epistemologia gene-

tica, e inseriti all’interno della sua più ampia teoria dello sviluppo mentale. Il suo

focus di ricerca non è incentrato sul disegno infantile che, infatti, viene utilizzato solo

come mezzo di analisi per rintracciare lo sviluppo del ragionamento spaziale-mate-

matico. Il disegno nella sua prospettiva altro non è che un tentativo che il bambino

compie di visualizzare il mondo esterno e rientra perciò all’interno dell’immagine

mentale e della comprensione dello spazio.

Nel testo La rappresentazione dello spazio nel bambino (1948), Piaget delinea

una progressione evolutiva che inizia con il disegno di forme chiuse che non ten-

gono conto di forma, dimensioni e proporzioni reali dell’oggetto rappresentato. I

28
primi disegni si basano su relazioni topologiche che seguono le leggi della perce-

zione topologica e sono dovuti alla maturità cognitiva del bambino che, in questo

caso, si trova ancora nel periodo preoperatorio (dai due ai sette anni).

Il passo successivo nello sviluppo grafico, e cognitivo, prende avvio proprio

dalle relazioni topologiche che portano allo stadio del realismo intellettuale nel quale

è evidente il progresso nella differenziazione delle componenti di una figura che

presenta anche forme più variate ma queste rimangono, comunque, limitate alle

relazioni interne alla figura e la loro somiglianza al modello resta rudimentale.

Un momento focale si ha con il passaggio al periodo operatorio concreto (dai

sette agli undici anni) che prelude alla transizione al realismo visivo. I disegni, in

questa fase, mostrano una maggiore cura e attenzione al dettaglio e una differen-

ziazione delle forme, delle dimensioni e delle proporzioni. Ciò è dovuto al progres-

sivo abbandono delle relazioni topologiche a favore di quelle euclidee incentrate

sulla misurazione e sulla geometria proiettiva. La percezione euclidea dello spazio

consente al bambino di cogliere la realtà secondo le reali relazioni spaziali e di rap-

presentarle graficamente. I bambini a questo punto possono, secondo Piaget,

esplorare nuove tecniche per rappresentare la profondità e anche la prospettiva.

Tali abilità sono conseguenti alla capacità acquisita dal bambino di adottare un altro

punto di vista che gli consente di creare un’immagine mentale “reale” e oggettiva

tale da essere rappresentata con le stesse caratteristiche.

Il traguardo nella rappresentazione grafica è dato dal realismo fotografico (rea-

lismo ottico) che si caratterizza per la conquista di concetti importanti quali quello di

misurazione, proporzione, scala e rapporti di proiezione.

La concezione che sottende la teoria di Piaget è quella di un’arte vista come

copia o come approssimazione al mondo tridimensionale. Tale concezione si evince

29
nell’interpretazione che Piaget fa dei disegni che presentano evidenti scostamenti

da una somiglianza fotografica della realtà. Nella sua visione essi altro non sono

che denuncia di limiti concettuali.

L’influenza di Piaget ha fortemente condizionato molti studiosi che hanno adot-

tato una prospettiva stadiale per indagare lo sviluppo grafico, andando a sostenere

la conformità tra ragionamento logico-matematico e abilità artistiche. Tuttavia, re-

centemente, è stato fatto notare come lo stadio del realismo visivo non sia raggiunto

da tutti. Autori come Norman Freeman, Maureen Cox, Costance Milbrath e John

Willats, pur prendendo le mosse dalle teorie piagetiane avanzano interessanti linee

di pensiero.

Freeman considera i disegni del bambini “produzioni imperfette” dal punto di

vista tecnico poiché limitate sono le abilità di progettazione, pianificazione e moni-

toraggio dell’intero processo. Cox, a questa teoria, aggiunge la “nozione di modelli

interni”: “Il modello interno o immagine mentale informa o guida il disegno [...] e

media tra la percezione del bambino e la conoscenza di un oggetto da una parte e

il suo disegno dall’altra”20.

Una prospettiva interessante è quella indagata dalla Milbrath sul talento arti-

stico. Adottando esplicitamente un approccio piagetiano, prova a confermarne le

teorie sullo sviluppo grafico confrontando le produzioni di bambini più dotati con

quelle dei meno dotati. Da questo confronto emerge che i bambini artisticamente

dotati riescono precocemente ad impossessarsi delle strategie di rappresentazione

prospettica, seguendo, dunque, le fasi di sviluppo individuate da Piaget. Vi è co-

20 C. GOLOMB, L’arte dei bambini, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004, p. 13.
30
munque da rilevare che le teorie dello studioso svizzero non sono applicabili ai bam-

bini meno dotati ma solo a un segmento eccezionale e circoscritto della popolazione

che riesce a raggiungere il realismo ottico.

Tutte le teorie fin qui analizzate presentano tutti un elemento comune, ovvero

la nozione secondo cui lo sviluppo grafico dei bambini abbia una naturale meta: il

realismo ottico. Esso diviene il parametro rispetto al quale questi ricercatori misu-

rano “fasi” e progressi; inoltre, essi assumono che ci sia una connessione e una

dipendenza reciproca tra pensiero concettuale e sviluppo grafico.

Dopo questo breve excursus storico andiamo ora ad enucleare alcuni aspetti

focali dell’arte infantile e del suo sviluppo, usando come punto di riferimento le ri-

cerche della psicologa Claire Golomb autrice del testo L’Arte dei bambini.

1.1.1. Tendenze nello sviluppo del disegno: forma, spazio, colore e


composizione.

La prima attività svolta dai bambini nell’ambito della rappresentazione non si

può ancora chiamare disegno poiché è il prodotto di un movimento gestuale, a volte

involontario. La traccia prodotta è quella che chiamiamo scarabocchio e a cui il bam-

bino inizialmente non attribuisce un significato ma che si configura comunque come

una traccia, una testimonianza visibile di quanto creato.

Il bambino di due anni che inizia a disegnare, scarabocchiare, spesso manife-

sta soddisfazione per quanto prodotto e attribuisce a quei segni dei significati mu-

tevoli: il bambino inventa storie sul proprio disegno e queste cambiano in relazione

alle sue emozioni e intenzioni comunicative.

31
Qualche tempo dopo scopre una somiglianza casuale tra il suo disegno e un

oggetto e perciò tenta di definire ciò che ha rappresentato. I tentativi di dare senso

alle produzioni possono essere interpretati come espedienti prerappresentazionali.

La svolta effettiva si ha nel momento in cui “la forma disegnata va, per così

dire, oltre se stessa e si rivolge al referente di cui “sta al posto”” 21, ossia quando i

bambini prescolari controllano maggiormente i propri movimenti riuscendo a pro-

durre forme riconoscibili che hanno somiglianze con l’oggetto noto. Le prime raffi-

gurazioni sono costituite da forme semplici come cerchi, punti e linee. L’aspetto im-

portante è che le forme create sono invenzioni del bambino e costituiscono perciò

un passo fondamentale nel suo sviluppo artistico.

Come è stato rintracciato da molti ricercatori la prima figura ad essere rappre-

sentata è quella umana. Da essa è possibile rintracciare il marchio distintivo di un’in-

telligenza simbolizzante, capace cioè di comprendere che il simbolo rappresentato

è altro rispetto all’oggetto a cui si riferisce. Per tale ragione è importante analizzare

quali siano gli elementi fondanti del disegno che concorrono alla realizzazione di un

prodotto simbolico e, potremmo anche dire, metaforico.

La forma

Le prime figure ad essere disegnate sono gli esseri umani, i quali vengono

rappresentati attraverso l’uso di forme tipo globale, vale a dire costituite da tracciati

sferici con pochi dettagli, estrapolati per lo più dal volto. Sono disegni semplici che

presentano una corrispondenza tra le forme (il cerchio e i punti) e l’intera persona

che opera come referente (figura 1)

21
Ibid., p. 19.
32
Figura 1: Chiara, due anni e undici mesi.

Il bambino che mostra il suo disegno, solitamente sa che sussiste una diffe-

renza tra il proprio disegno e ciò che pensa e sa della figura umana. Questa consa-

pevolezza porta alla ricerca di altri particolari e dettagli da “aggiungere” ed ecco

allora che spuntano dalla testa braccia e gambe. Spesso questa figura viene definita

“omino testone” per sottolineare la sproporzione tra le parti del corpo. Tale schema

rappresentazionale viene ristrutturato creando, in un primo momento una figura a

“busto aperto” e poi disegnando il busto come entità separata (figura 2,3)

33
Figura 2. Chiara, tre anni e quattro mesi. Figura 3. Chiara tre anni e otto mesi.

Il/la bambino/a si rende conto della utilità dello schema proposto nel disegnare

la figura e, infatti, cerca di eliminare, via via, le ambiguità rappresentando le parti

essenziali. Inoltre, crescendo e con la familiarità acquisita, egli affronta con mag-

giore consapevolezza il problema del creare graficamente dei concetti. Benché la

competenza grafica del bambino e la sua conoscenza concettuale siano due aspetti

distinti, questi si condizionano vicendevolmente tanto che nei disegni sono presenti

differenti modelli grafici. A seconda delle intenzioni del bambino verranno sviluppate

soluzioni grafiche alternative dotando le sue figure degli elementi necessari.

Nelle prime rappresentazioni i bambini tendono al raggiungimento di una certa

verosimiglianza tralasciando le proporzioni, i colori e le relative dimensioni.

L’aspetto primario risulta essere la forma che conferisce senso alla rappresenta-

zioni. Quando, invece, grazie all’esercizio, egli padroneggerà la forma, il suo focus

si sposterà sugli elementi precedentemente considerati secondari (per esempio, nel

disegno della famiglia). La resa realistica non è comunque un aspetto centrale nella

sua produzione mentre comincia a divenirlo quella estetica incentrata sull’uso di

forme equilibrate, colori forti e contrastanti.

34
Interessante è notare come

“Nel caso della figura umana, l’orientamento frontale, spesso nominato punto di vista

canonico, fornisce l’informazione più pertinente, mentre nei disegni di animali sono piuttosto

comuni punti di vista misti, in cui il corpo dell’animale è disegnato di lato e la testa frontal-

mente”22 (figura 4)

Figura 4. Chiara cinque anni e cinque mesi. Tigre, leone e uccellini.

Come ci suggerisce la Golomb queste scelte rappresentazionali sono dovute

all’interazione che il bambino artista instaura con il mezzo espressivo che diviene

un vero e proprio laboratorio di esperienze e soluzioni di problemi che portano allo

sviluppo di abilità grafiche sempre più definite e attente. Da figure semplici costituite

da cerchi e linee i disegni passano ad essere caratterizzati dalla presenza di figure

22
Ibid., p. 23.
35
dalle forme complesse che ritraggono gesti e movimenti. Il/la bambino/a, a seconda

dei casi, inizia a provare nuove tipologie di visione (frontale, laterale, superiore). Da

questo momento viene posta maggiore cura e attenzione alle produzioni nelle quali

si rintraccia una costante ricerca di verosomiglianza delle figure che passa attra-

verso il rispetto di proporzioni e dimensioni. Molti bambini raggiungono queste abilità

precocemente mentre altri necessitano di maggiori abilità prassiche e prattognosi-

che legate, in parte, anche all’elaborazione mentale della configurazione spaziale

della realtà da rappresentare. Queste abilità nella maggioranza dei casi non sono

acquisite naturalmente e richiedono un insegnamento mirato.

Lo spazio

Disegnare è un’attività estremamente complessa. Il principale problema che si

pone è quello di trasporre su un supporto bidimensionale uno spazio reale tridimen-

sionale. Nelle prime fasi di rappresentazione grafica il bambino privilegia la dimen-

sione orizzontale. In seguito, l’organizzazione si sposta sugli assi orizzontale e ver-

ticale andandosi a porre in corrispondenza con una percezione e organizzazione

spaziale di tipo topologico.

La profondità è una questione che il bambino impara ad affrontare con l’acqui-

sizione di una maggiore esperienza. I bambini ad esempio combinano nuove solu-

zioni per comporre i diversi piani al fine di ottenere una rappresentazione unitaria

dello spazio e introducono l’uso di linee oblique per mostrare gli altri lati degli oggetti.

Se il bambino utilizza spontaneamente un sistema spaziale di tipo orizzontale

e verticale, lo stesso non avviene per quello tridimensionale e prospettico. Il disegno

in prospettiva non viene acquisito spontaneamente, bensì richiede addestramento

e pratica. Ciò non vale per i bambini molto dotati artisticamente che, soprattutto

36
durante la media e tarda infanzia, superano i limiti imposti dal precedente sistema

usando strategie grafiche quali il rimpicciolimento degli oggetti per rendere la di-

stanza, l’uso di forme che si sovrappongono parzialmente per distinguere gli oggetti

in primo e secondo piano fino alla sperimentazione delle linee convergenti della

prospettiva lineare.

Il colore

Il colore è un elemento focale nella percezione umana e condiziona il nostro

modo di interpretare e vivere la realtà. Esso svolge plurime funzioni sulle quali molti

studiosi si sono interrogati. Rispetto al disegno e all’arte infantile esso assume un

valore centrale. Il bambino inizialmente, come è stato già fatto notare, non è molto

interessato al colore bensì alla forma. Anche la scelta del colore si attesta sulla

semplice preferenza e solo dopo aver acquisito una certa padronanza nell’esecu-

zione delle forme, il colore comincia a divenire un aspetto importante, in particolare

con carattere estetico. Il bambino non è preoccupato dalla resa realistica e infatti

usa il colore per il mero piacere che questo gli procura.

Progressivamente si vengono ad imporre alcune restrizioni rispetto a partico-

lari elementi della realtà, delle vere e proprie regole che impongono che l’erba, ad

esempio, si debba colorare di verde e il sole di giallo. Durante l’attività di tirocinio

questo aspetto è emerso con particolare intensità. Quando chiedevo ai bambini se

il sole potesse essere di un altro colore loro mostravano apertamente segni di rifiuto.

Solo con l’introduzione di una dimensione fantastica, alcuni stravolgimenti di colore

venivano accettati.

Nel corso degli anni il colore cessa di essere ancillare rispetto alla forma ed

acquista una vera e propria forza espressiva. L’immagine assume senso anche in

37
relazione ai colori e al modo in cui questi sono usati. Un esempio emblematico è

l’utilizzo del cromatismo per esprimere le emozioni. Studi e ricerche hanno dimo-

strato come non sia il colore in sé ad essere portatore di un messaggio emotivo

quanto, piuttosto, il tema del disegno. Il colore amplia e rafforza il legame che si

instaura tra tema e forma tanto che il bambino attua delle vere e proprie scelte cro-

matiche se il tema è per lui significativo.

Il colore non solo è un importante mezzo espressivo ma risulta essere anche

un decisivo mezzo di giudizio. Egli lo utilizza spesso come parametro di giudizio per

valutare un disegno o un dipinto.

La composizione

“La composizione si riferisce a una disposizione di linee, forme, spazio e cro-

matismi che indica all’osservatore di cosa si tratta il lavoro”23. Essa ha anche una

funzione estetica che si estrinseca nell’equilibrio tra i vari elementi. Più l’opera pre-

senta un’organizzazione in pattern dotati di un senso e una disposizione armoniosa

delle figure in unità significative più facilita la comunicazione con l’osservatore e, di

conseguenza, l’apprezzamento dell’opera.

I principi sopra enucleati non valgono solo per le opere degli artisti adulti ma

anche per gli artisti bambini. Nelle produzioni infantili sono rintracciabili due differenti

tendenze compositive: un allineamento “a griglia” lungo l’asse verticale e orizzontale

e una strategia centripeta che organizza gli oggetti attorno al centro dell’immagine.

23 Ibid., p. 30.
38
Nelle prime fasi di creazione le figure sono disposte casualmente all’interno

dello spazio grafico. Questa fase dura poco poiché i bambini cominciano precoce-

mente a ricercare soluzioni compositive in grado di conferire un primitivo senso di

appartenenza ai vari elementi (Figura 5).

Figura 5. Chiara tre anni e cinque mesi

La strategia di allineamento viene progressivamente migliorata seguendo lo

sviluppo grafico del bambino che tenta di dare ordine e senso alle sue rappresen-

tazioni, introducendo ad esempio delle distanze eque tra le figure. Il passo succes-

sivo consiste nell’allineamento delle figure lungo linee base che le ancorano su un

piano comune. Solitamente ciò è evidente nella raffigurazione della famiglia (figura

6, 7) in cui il bambino disegna i vari componenti sullo stesso piano collocandoli nella

parte inferiore della pagina.

39
Figura 6 . Chiara quattro anni e un mese Figura 7. Chiara cinque anni e due mesi

In un secondo momento appaiono composizioni più complesse che conten-

gono vari sottogruppi creati sulla base di somigliane di grandezza, colore, forme.

Tali composizioni svolgono un importante funzione semantica poiché donano all’im-

magine una maggiore resa espressiva e comunicativa.

Oltre all’organizzazione spaziale delle figure, importante risulta essere anche

la disposizioni secondo regole estetiche. Queste seguono l’armonia insita nella sim-

metria. Un suo uso primitivo è la centratura della figura che dona una maggiore

importanza se non anche una maggiore stabilità all’intera immagine.

Come nel caso della forma, anche l’utilizzo di una composizione complessa

secondo le regole della simmetria aumentano con la pratica e, conseguentemente,

con la differenziazione grafica. Lo sviluppo, infatti,

40
“Procede da soluzioni grafiche contingenti multiple, attraverso punti di vista misti par-

zialmente coordinati, fino a quando prevarrà una concezione più unitaria della composi-

zione. Quest’ultima è solo di rado acquisita dai bambini o dagli adolescenti.”24

Da questa breve rassegna sullo sviluppo delle componenti principali del dise-

gno si è potuto notare come la tendenza generale vada da raffigurazioni piatte e

bidimensionali, per lo più in posizioni frontali, verso raffigurazioni sempre più com-

plesse. Lo stile “infantile” raggiunge il suo apice espressivo ed estetico verso l’età

di nove anni e può proseguire anche oltre nella tarda infanzia e nell’adolescenza.

Ben pochi sono però i bambini che riescono a disegnare in prospettiva o ad utiliz-

zare altri espedienti pittorici tridimensionali.

Vi è, a questo punto, da fare una riflessione: le teorie cognitive sullo sviluppo

infantile non danno enfasi alla valenza artistica ed estetica delle produzioni infantili.

Senza cadere in sterili romanticismi sull’innocenza dello sguardo infantile, è inne-

gabile la presenza in queste opere di una tensione creatrice ed espressiva che si

muove sul piano simbolico e narrativo. È per tale ragione importante indagare la

motivazione che anima il bambino se non anche la costruzione di senso che sot-

tende il processo creativo.

24 Ibid., p. 32.
41
1.1.2. La motivazione e la costruzione del significato

Dipingere, disegnare, raffigurare sono attività estremamente simboliche: il

bambino riesce a trasportare su un foglio la sua esperienza del mondo attraverso la

creazione di un’immagine che si caratterizza per l’essere un mondo nuovo, diverso

frutto della sua azione creatrice. “Fare arte” non rappresenta solo un processo

espressivo teso a dar corpo a ciò che si conosce, si prova e si vuole capire, ma è

un’attività di problem-solving poiché richiede una continua messa in discussione,

sperimentazione e rielaborazione di schemi rappresentazionali.

Il bambino che si accosta a questa attività così ricca e densa di significati, lo

fa seguendo due tendenze che animano la sua motivazione: la tendenza narrativa

e la tendenza espressiva.

Quella narrativa si inserisce all’interno di quella innata necessità dell’essere

umano di raccontare. Come infatti sostiene Jerome Bruner,

“Il pensiero umano è essenzialmente di due tipi: il pensiero logico-scientifico e ilo

pensiero narrativo. Questi due modi di pensare, pur essendo complementari, sono irriduci-

bili l’uno all’altro. Il pensiero narrativo si occupa del particolare, delle intenzioni e delle azioni

dell’uomo, delle vicissitudini e dei risultati. Il suo intento è quello di situare l’esperienza nel

tempo e nello spazio.”25

Il disegno infantile si lega dunque al pensiero narrativo nel momento in cui

viene usato per trasmettere informazioni e/o narrare una storia. I vari componenti

del disegno condividono questa tensione narrativa. Un esempio è la figura 4. Chiara,

25
Bruner J., La mente a più dimensioni, Laterza, Bari 1993.
42
dopo aver concluso il disegno, non solo mi narra le vicende dei protagonisti ma

vuole che io scriva su un foglio a parte tutta la storia dall’inizio alla fine. In quel

disegno allora fondamentale diviene la composizione: i due animali posti ai lati sono

i due aiutanti dell’uccellino-papà che lo aiutano nella ricerca dei birbanti uccellini (-

figli) i quali, dopo aver disubbidito al padre, si erano persi.

L’altra tendenza è quella espressiva che si manifesta nella scelta dei colori,

delle forme, delle dimensioni e dei cromatismi. È l’aspetto che maggiormente ha

interessato gli artisti moderni e che continua a suscitare l’ammirazione di chi si ac-

costa all’arte infantile. Il suo linguaggio semplice si contrappone a un universo

denso di significati polimorfi riuscendo a dar voce alle emozioni più intense e vive

del bambino.

Claire Golomb ha notato come queste tendenze, che di fatto si fondono all’in-

terno delle produzioni infantili, vadano a scemare con la crescita. Se durante gli anni

della scuola dell’infanzia assistiamo a una produzione ricca e a una sperimenta-

zione continua delle scelte stilistiche, con l’entrata alla scuola primaria e, quindi, con

l’avvento della media e tarda infanzia, questa ricchezza si perde. Avviene un vero e

proprio declino dell’attività artistica le cui ragioni sono ancora da esplorare. Perso-

nalmente, ritengo che la perdita di interesse sia dovuta in parte all’impianto della

scuola primaria incentrata sulle discipline tradizionali che limitano e svalorizzano

linguaggi alternativi come quello visivo. Il disegno diviene a questo livello di istru-

zione un elemento di distrazione o di perdita di tempo, da usare come decoro e

come svago. Ciò non fa che minare la fantasia infantile se non anche la propensione

al disegno intesa come attività di problem-solving.

43
In conclusione, il Mirror paradigm racchiude in sé una vasta cerchia di studiosi

che ha tentato di far luce sui processi cognitivi che sottendono la creazione del di-

segno. Come è possibile rintracciare non è presente la prospettiva psicologica che

indaga il senso dei disegni finiti. Ciò è in linea con una scelta personale tesa alla

valorizzazione dei processi creativi piuttosto che dei processi psichici che si celano

dietro al disegno. Per fare ciò ci siamo serviti dello studio di vari autori che hanno

posto al centro delle loro riflessioni proprio l’arte infantile.

Il lungo percorso di autori è poi confluito nelle teorie della psicologa Claire Golomb

che risultano molto interessanti poiché si muovono in realtà su un doppio filone:

quello psicologico e quello estetico. Ponendosi in aperta contrapposizione con i fau-

tori delle teorie stadiali, mostra come le rappresentazioni del bambino non siano

deficitarie da un punto di vista concettuale e tanto meno dipendono in maniera de-

terminante dall’età e dallo sviluppo dell’intelligenza. Un esempio in tal senso viene

proprio dai savant con autismo che, nonostante le difficoltà cognitive, presentano

abilità visuo-spaziali che consentono loro di sviluppare abilità pittoriche fuori dalla

norma.

Ciò che sostiene la psicologa è dunque una prospettiva di sviluppo basata sul

principio della differenziazione. I bambini partono da forme semplici e globali per

differenziare progressivamente le loro figure a seconda del tema, della valenza

espressiva, delle abilità acquisite e delle finalità rappresentazionali. Contrariamente

a quanto sostenuto da Piaget, il disegno infantile non è teleologicamente orientato

verso il realismo ottico bensì verso la differenziazione delle forme, delle composi-

zioni, dell’organizzazione spaziale. Il realismo ottico è frutto di un condizionamento

culturale che ha origine nel Rinascimento e che si è imposto come canone più alto

44
dell’arte occidentale. Nei bambini con talento ciò si evince chiaramente: l’idea co-

mune è che il talento sia rappresentato dalla maggiore o minore abilità di raggiun-

gere una resa realistica adeguata. L’idea portata avanti da Golomb è invece che il

talento risiede oltre questo stereotipo. Non si può fare a meno di notare come la

maggioranza dei bambini e degli adulti non raggiungano mai il realismo ottico e,

come in molti casi, quest’ultimo non sia spontaneamente acquisito. Il talento allora

risiede piuttosto nella continua sperimentazione, nell’instancabile ricerca di solu-

zioni stiliste ed espressive tali da incidere sul fruitore dell’opera e nella incessante

necessità di disegnare.

Si può affermare infine che le teorie stadiali, per quanto interessanti siano, non

mostrano la loro efficacia in questo ambito di studi. “Fare arte” è qualcosa di profon-

damente radicato nell’uomo come lo è il linguaggio ed implica più dimensioni che

spronano il bambino alla scoperta e riscoperta di sé e del proprio mondo.

1.2. The Window Paradigm26: la finestra sull’arte

Il Novecento si configura come un secolo di profondi cambiamenti sociali, cul-

turali e artistici. Il modello naturalista viene surclassato da una tendenza rappresen-

tazionale che punta alla verità. La rivoluzione intervenuta fa capo ad artisti come

Cézanne, Degas, Van Gogh, i quali si pongono in netta opposizione con l’estetica

tradizionale di matrice rinascimentale. In quest’ottica gli artisti volgono lo sguardo

all’arte infantile ritenuta capace di trasmettere con forme primitive il vero piuttosto

che il reale. Al centro si pone, dunque, la forza espressiva veicolata attraverso scelte

26
Kelly D.D., op. cit.
45
all’apparenza semplici che di fatti si scontrano con i significati simbolici delle opere.

Dietro a questa rinnovata passione per l’arte infantile c’è naturalmente un modo

diverso di intendere e vedere l’infanzia che, come abbiamo avuto modo di vedere

nel paragrafo precedente, sottende a una valorizzazione delle peculiarità cognitive

ed emotive dell’infante.

Se il modello psicologico individua nei disegni infantili uno strumento di analisi

psicologica del bambino, il modello estetico punta l’attenzione sul prodotto finito e

ne rintraccia aspetti estetici di valore tanto da diventare fonte di ispirazione per artisti

e adulti in genere. I fautori di questo paradigma, spesso muovendo da quello psico-

logico, se ne distanziano proprio per il valore attribuito ai disegni che vengono visti

come opere d’arte in tutto e per tutto che necessitano di un processo di interpreta-

zione da parte del fruitore.

Il primo a definire i disegni come arte fu Franz Cizek27, il cui nome è ancora

oggi sinonimo di “arte infantile”, termine coniato nel 1890. Secondo l’artista viennese

per parlare di arte infantile è necessario che sussistano due condizioni:

“The first condition is to understand that art is not achived by skill, it is a creative

process. The second and more important condition is to understand that the child is distinct

and very different from the adult. [...] Only when these conditions are accepted, can we

understand what child art means”28

27 Franz Cizek nasce nel 1865 a Vienna a Leitmeritz (Austria) e studia a Vienna all’Accademia

delle Belle Arti. Viene conosciuto maggiormente per la sua attività come insegnante e fondatore della
sua scuola d’arte ma è stato anche un artista appartenente al gruppo secessionisti.
28 Kelly D.D., op. cit., p. 82.

46
Se queste condizioni sono soddisfatte allora il disegno si configura come

espressione autentica dei pensieri, dei desideri, delle speranze e paure del bam-

bino. Per Cizek, però, il disegno è anche finestra sul mondo poiché ne mostra fram-

menti dalla prospettiva del bambino, il quale crea un’immagine che è la sua realtà

dispiegando così il suo animo. E lo fa seguendo eternal laws of form che rendono

l’arte infantile ancora più diretta e universale di quella adulta.

Al fine di far emergere queste prerogative estetiche delle produzioni infantili

Cizek adotta una filosofia educativa che tende a lasciare i bambini liberi di trovare

la loro strada espressiva, convinto che ogni bambino, nessuno escluso, sia per na-

tura creativo.

In linea con le istanze pedagogiche di Rousseau, Cizek ritiene fondamentale dare

al bambino la possibilità di esplorare il linguaggio visivo senza l’intervento e l’in-

fluenza dell’adulto, spronando alla ricerca di leggi interiori e di inclinazioni naturali.

Su questi presupposti si basa la Juvenile Art Class creata per i bambini dai

due ai quattordici anni. In questo periodo, infatti, il bambino è a tutti gli effetti crea-

tivo. Dai quattordici anni in poi avviene invece un allontanamento dalla matrice sim-

bolica che anima le rappresentazioni infantili verso l’imitazione della natura. La ten-

denza naturalistica è dunque la fine stessa dell’arte, in quanto “art is not nature. Art

is not a representation of nature. Children do not copy nature”29. Per tale ragione, il

metodo di insegnamento utilizzato è in realtà un “non-insegnamento” e la sua scuola

una non-scuola.

La pedagogia di Cizek è incentrata sul bambino e le sue peculiarità artistiche

che non sono deterministicamente tese verso quelle adulte. I disegni infantili non

sono uno stadio preliminare, propedeutico all’arte degli adulti. Ciò naturalmente si

29 Ibid., p. 86.
47
scontra con le teorie psicologiche sullo sviluppo delle abilità grafiche che vedono

l’arte infantile in una prospettiva stadiale. Cizek concepisce lo sviluppo artistico in

maniera globale come frutto di una più generale facoltà creativa che coinvolge il

bambino in toto. Egli, in definitiva, svincola il bambino e la sua forza espressiva

dalla tradizione artistica di matrice rinascimentale rivendicandone un’autonomia da

rispettare e valorizzare.

Il lavoro dell’austriaco si pone come monito per la società e gli educatori al fine

di apprezzare la bellezza insita nelle opere d’arte infantili. Questo monito viene ac-

colto e portato avanti da altri practitioners che hanno dato corpo al paradigma este-

tico negli ultimi sessanta anni. Tra questi i più importanti sono Henry Schaefer-Sirn-

mern, Viktor Lowenfeld, Rudolf Arnheim e Jonathan Fineberg. Tutti appartenenti

alla seconda generazione del paradigma; tutti possiedono infatti un comune inte-

resse per la chiarezza visuale e le materiali applicazioni che consentono l’espres-

sione della raffigurazione infantile del loro mondo.

Schaefer-Simmern e Lowenfeld si trovano in netta antitesi l’uno con l’altro.

Schaefer-Simmern si contrappone alla prospettiva psicologica focalizzata sul pro-

cesso. Egli ritiene prioritario il prodotto artistico come insieme di relazioni visuali da

analizzare tenendo presenti solo i fatti visuali poiché non esiste nessun tipo di lettura

psicologica nell’arte. Lo stesso sviluppo stadiale al quale fa riferimento tiene in con-

siderazione solo l’evoluzione della forma che segue un percorso di dispiegamento

delle capacità artistiche naturalmente determinato nell’uomo. Secondo questa pro-

spettiva, infatti,

“Artistic activity is a function of general human activity, and (has) its relation to ordinary

experience. [...] individuals need to be led to their own stage of visual conceiving and that

48
from here, they moved to a higher stage of visual conceiving based on their own visual

judgment and understanding of their drawing as a formed whole.” 30

Da questa tesi emerge chiaramente l’idea di un’educazione artistica basata sul

dispiegamento della creatività di ciascun individuo. Schaefer-Simmern prosegue,

dunque, la strada delineata da Cizek nel credere che ogni studente debba essere

lasciato libero di trovare la propria personale forma artistica.

Al contrario di Schaefer-Simmern, Lowenfeld sviluppa una teoria che si muove

sul doppio binario del visuale e dell’aptico. In particolare, al centro, si trova il pro-

cesso psicologico che sottende la creazione artistica. Dal punto di vista educativo

la sua teoria basata sulla creative self-expression ha portato gli insegnanti e gli edu-

catori a focalizzarsi sulla capacità degli studenti di manifestare i loro sentimenti e

motivazioni con l’uso di forme e colori fortemente individualizzati.

Tra Lowenfeld e Schaefer-Simmern troviamo Rudolf Arnheim, il quale è stato

capace di unificare i due paradigmi; la sua importanza sta nel riconoscere valore

alla percezione visiva del bambino nel rappresentare. Contrariamente all’idea co-

mune che associa le abilità rappresentative alla conoscenza, egli punta l’accento

sulla visione. Così come con la crescita aumentano le abilità grafiche, allo stesso

modo si muove la percezione che procede dall’astratto verso il concreto. Non è un

caso se i bambini piccoli iniziano a rappresentare utilizzando forme circolari chiuse:

esse sono le più semplici e primitive, sono quelle che compongono la realtà stessa

e che il bambino riesce ad estrapolare. Quelle che a un occhio esterno possono

sembrare esecuzioni imperfette sono il frutto dello sforzo del bambino di dar forma

30 Ibid., p. 110.
49
a una realtà che si presenta come astratta e globale. Sono poi le emozioni, le inten-

zioni ad animare la ricerca di maggiore precisione formale e di un conseguente mi-

glioramento nell’atto motorio. Il bambino vede le differenze tra il modello, referente

del disegno e la rappresentazione sulla carta ma opera sulla base di una traslazione

che è simbolica a causa del particolare medium utilizzato. L’uso di simboli acco-

muna perciò bambino e artista poiché entrambi “seize upon an idea or percept in

his environment and then embodies and transform it in an available symbolic me-

dium”31.

Questi riferimenti stilistici e grafici sono quelli che hanno attratto per secoli e

continuano ad attrarre gli artisti all’arte infantile. Come sostiene Fineberg non è

tanto, o non solo, la capacità rappresentazionale a imporsi come valore estetico,

quanto la particolare tensione che si cela dietro la rappresentazione. Lo stesso ta-

lento che è stato spesso identificato con la resa realistica, dalla fine dell’Ottocento

in poi viene rivisto in una chiave diversa: la percezione e il modo di vedere e guar-

dare la realtà fanno la differenza. A questo punto, a titolo esemplificativo, prende-

remo in esame tre artisti differenti, Picasso, Klee e Mirò, che si sono accostati all’arte

infantile traendone ispirazione.

1.2.1. Tra modernismo e arte infantile: Picasso, Mirò, Klee

Il fascino che l’infanzia ha esercitato sul mondo dell’arte ha radici profonde nel

Romanticismo. Questo movimento, che ha animato schiere di artisti, ha avvicinato

questi due mondi facendoli convergere uno nell’altro. Sono però gli artisti modernisti

Gardner H., The Arts and Human Development: A Psychological Study of the Artistic Process,
31

John Wiley & Sons, Inc, Hobeken, 1973.


50
quelli che realmente portano a compimento questo percorso. Artisti come Picasso,

Klee e Mirò non hanno solo guardato queste opere nel loro aspetto formale quanto

in quello estetico, riconoscendole come fonte di ispirazione.

Molti pittori nel corso del Novecento, una volta abbandonata la via della “copia”

della realtà, hanno iniziato a ricercare nuove forme espressive capaci di dar corpo

alla loro necessità di innovazione, originalità e autenticità. Se Picasso apre la strada

alla valorizzazione dello stile infantile saranno poi Klee e Mirò a portarlo al massimo

livello.

Il presupposto fondamentale che sottostà a questo connubio è la mutata con-

cezione dell’infanzia.

Figura 8. Picasso che guarda sua figlia Paloma disegnare sul tavolo della cucina32.

La figura 8, scattata dal fotografo David Douglas Duncan, è in questo senso

emblematica. Non solo ci mostra un padre in compagnia della figlia ma ci mostra il

celebre pittore cubista mentre, con estremo interesse, osserva la figlia che disegna.

32
FIneberg J. (a cura di), When we were young. New perspective on the art of children, Univer-
sity of California Press, Berkeley (Ca) 2006, p. 88.
51
Lo sguardo attento di Picasso è, inoltre, indicativo della visione dell’artista dell’in-

fanzia. Secondo lo spagnolo, infatti, “tutti i bambini sono degli artisti nati, il difficile

sta nel restarlo da grandi”. Una sua costante è di fatto la ricerca incessante di allon-

tanarsi dai modelli di arte adulta, spesso ponendosi anche in netto contrasto con le

sue stesse abilità pittoriche.

Le caratteristiche che consentono di avvicinare la sua arte a quella infantile

non risiedono tanto, e non solo, nell’uso antinaturalistico delle forme, quanto piutto-

sto al suo particolare modo di vedere la realtà. Una realtà percepita in maniera in-

tuitiva, ludica e dissacrante. Un esempio emblematico è la scultura del 1951 The

Crane (figura 9) che rappresenta un uccello costituito da forchette e un rubinetto di

arresto.

Figura 9. Pablo Picasso, The Crane, 1951

52
L’opera si caratterizza come una delle più significative per mostraci i punti di con-

tatto tra l’artista e il mondo creativo dell’infanzia. Essa altro non è che la dimostra-

zione concreta della sua capacità di vedere la realtà con lo sguardo fantastico del

bambino che osserva, modifica e crea un’altra realtà sulla realtà stessa. Picasso,

come afferma Fineberg, si avvicina all’infanzia per questa sua capacità di superare,

proprio come un bambino, la fissità dei significati cercando di trovarne altri. Basti

pensare a quando, ad esempio, durante un momento di noia, i bambini iniziano ad

usare le mani come se fossero due esseri animati con proprie personalità in lotta

uno contro l’altro. Le mani, così come un qualsiasi oggetto, possono acquisire fun-

zionalità totalmente nuove poiché nuovo è il mondo che il bambino crea attorno a

sé, al confine tra realtà e immaginazione. Ed è proprio in questo senso che vanno

interpretate le linee giocose, dalle forme indefinite, primitive ma dinamiche dei suoi

dipinti che si spingono oltre la realtà partendo da questa. Una realtà da osservare e

rappresentare però con lo sguardo di un bambino. Così è possibile vedere volti di

donna che si riempiono di colori inusuali, oggetti frammentati e corpi che sembrano

deformi. Le immagini create da Picasso quindi non fanno altro che ricalcare la mo-

dalità di rappresentare e di vedere infantile33. Come i disegni dei bambini, anche i

dipinti dell’artista rappresentano dei tentativi di dar forma all’esperienza attraverso

simboli. La differenza sta nella abilità che sottende i processi artistici: da una parte,

l’adulto sceglie consapevolmente di non usare le sue abilità grafiche, dall’altra il

bambino esplora le potenzialità del medium attraverso I' uso spontaneo delle sue

33
La vicinanza all’arte infantile si evince chiaramente dall’introduzione che Picasso fa, nelle
sue opere, della dimensione temporale. La resa di questa dimensione passa attraverso l’uso consa-
pevole di alcuni “errori” tipici dei bambini che non hanno ancora acquisito la capacità di rappresentare
la realtà prospetticamente.
53
abilità. In entrambi i casi esiste un bisogno che è quello di dare senso alle espe-

rienze, il quale deriva dalla necessità di conferire ordine e controllo alle mutevoli

relazioni che esistono tra percezione ed emozioni.

Mentre Picasso fa sue alcune soluzioni grafiche proprie dei bambini quali la

rappresentazione frontale, bidimensionale che si mischia ad artifici prospettici, Klee

inserisce lo stile infantile all’interno delle sue opere facendolo divenire una cifra sti-

listica distintiva. Non solo nelle sue opere ritroviamo elementi formali propri delle

raffigurazioni infantili (scarabocchi, composizione semplice, figure geometricamente

caratterizzate) ma vi si ritrovano anche aspetti espressivi ed estetici, come la di-

mensione ludica e la ricerca di essenzialità.

Se in un primo momento l’arte infantile serve a Klee come esempio da seguire

del principio di riduzione34, in seguito essa si va sempre più configurando come

mezzo espressivo di prim’ordine.

Egli riconosce al bambino capacità espressive superiori a quelle dell’adulto

poiché i suoi disegni sono “puri”, non corrotti ed essenziali. L’essenzialità delle

forme, delle composizioni è un elemento ricorrente che si scontra, invece, con la

ricchezza contenutistica delle rappresentazioni infantili. Proprio questo aspetto

viene ripreso da Klee.

“Children’s drawing, and the “childlike” look they could confer, would become a deli-

berate means of achieving what Klee was enventually to define (borrowing a symbolist slo-

gan) as his aim of making the invisible visible”35

34
Fineberg J. (a cura di) Discovering Child Art, Princeton University Press, Princeton (NJ)
1998, p. 95.
35
Ibid., p. 105.
54
I riferimenti diretti all’arte infantile, nella sua semplicità ed immediatezza, ser-

vono, dunque, all’artista tedesco per creare una sorta di alienazione e confusione

nel fruitore che si trova di fronte un’opera all’apparenza semplice ma che condensa

in sé complesse tematiche svelate, solo in parte, dal titolo. Questo ironico contrasto

tra forma e contenuto che spiazza l’osservatore è in linea con la sua ricerca di ren-

dere visibile l’invisibile. Un invisibile che è in realtà tensione ontologica di cui l’arte

infantile sembra essere permeata. Essa è, per Klee, concettuale piuttosto che imi-

tativa e universale in quanto ripropone schemi rappresentazionali uguali a se stessi

per tutto l’arco della storia dell’uomo.

Se per Klee “l’arte è l’immagine allegorica della creazione”, quella infantile ne

è diretta propagazione. Un esempio chiaro di questo legame inscindibile tra infanzia

e creazione ci viene dall’opera Fish Magic (figura 10).

Figura 10. Fish magic 1925

Essa ci mostra un insieme di fiori, pesci, vasi, forme geometriche varie che fluttuano

in uno spazio notturno intorno a un orologio ingabbiato. L’immagine sembra richia-

mare un primordiale stadio di creazione in cui prevale l’indifferenziazione delle

forme. Questo universo da plasmare è quello proprio dell’infanzia, nel quale le forme

55
così come la realtà, sono ancora da scoprire e si mostrano inizialmente nella loro

semplicità. L’ambientazione e la composizione tendono quasi a ricreare la grezza

materia dei sogni e dell’inconscio, come se l’essenza della creazione artistica infan-

tile provenisse da una zona indefinita.

Un’immagine come quella appena mostrata ha il potere di spiazzare e desta-

bilizzare l’osservatore. L’effetto di spaesamento, dato anche dalla scontro tra l’im-

magine e il titolo, è preponderante anche in Mirò. Nelle sue opere il richiamo all’arte

infantile è evidente nell’ uso dei colori e delle forme ma, come nel caso di Klee,

l’apparente semplicità nasconde tinte dalle forti venature simboliste e psicanalitiche.

L’artista si avvicina all’infanzia diversamente da quanto fatto dagli altri. Ciò che

gli interessa è indagare il processo creativo che anima l’infanzia nei suoi primi stadi

quando, cioè, l’inconscio e la sensualità la fanno da padroni. Accedere al materiale

inconscio è per Mirò il fulcro stesso del suo processo creativo che si muove se-

guendo l’istinto, le sensazioni, il movimento e il ricordo. Le sue opere sembrano

frutto di epifanie che egli lascia sedimentare, maturare per anni nel suo studio.

Come Klee, anche l’artista spagnolo utilizza forme semplici e primordiali ma,

in questo caso, esse sono la risultante di un processo spontaneo, automatico e non

forzato secondo le linee teoriche surrealiste. Egli non solo ripropone lo stile infantile

ma ripercorre il percorso creativo svolto dal bambino. E come un bambino, libera le

sue opere dalla loro forza espressiva e comunicativa attraverso titoli che spesso

assumono i contorni di vere e proprie poesie e che mostrano la reale complessità

del contenuto dell’opera.

56
La figura 11 mostra evidentemente dei forti richiami ai disegni dei bambini,

Figura 11. Joan Mirò, illustrazione per Paul Eluard, A toute éprouve, 1951

in particolare, per la simmetria frontale, la semplicità delle forme e la mancanza di

dettagli. Nonostante le somiglianze, Mirò opera su un piano più profondo donando

a una figura, in apparenza giocosa, un significato tutt’altro che leggero. Essa ac-

compagna una poesia del poeta Paul Eluard il cui tema centrale è la solitudine che

annienta qualsiasi spinta al cambiamento. Ogni elemento dell’opera è di fatto fun-

zionale al testo: i colori che vogliono sottolineare la rigidità, la frontalità della figura

che simboleggia la mancanza di possibilità di cambiamento e perfino lo spazio vuoto

contornato da una linea verde incarna la dicotomia filosofica tra l’essere e il non

essere.

Mirò e gli altri artisti ci mostrano sia notevoli somiglianze che evidenti diffe-

renze tra arte adulta e arte infantile. Tutti partono da un punto comune: il riconosci-

mento di un alto valore estetico delle opere infantile. Da questa base comune però

è impossibile non individuare anche delle differenze. L’artista adulto è in primis, e

banalmente, adulto. L’avvicinamento alle modalità espressive infantili sono sempre

57
e comunque filtrate da un soggetto con maggiore expertise rispetto al bambino.

Questi artisti si sono da subito resi conto della difficoltà di far propri i modi dei bam-

bini poiché mancava loro un elemento focale: la spontaneità. Il problema si è posto

più prepotentemente per Klee e Mirò che hanno preso lo stile infantile a modello. In

entrambi i casi la soluzione al problema è stata raggiunta attraverso una propria

reinterpretazione dell’arte infantile che ha finito per rendere questi artisti riconoscibili

in tutto il mondo.

La differenza di età e di esperienza incide naturalmente anche sul senso

dell’opera. Benché anche i disegni dei bambini presentino spesso risvolti simbolici

inaspettati e ancora inesplorati, essi non si contraddistinguono per questa finalità.

La differenza principale probabilmente che distanzia l’artista adulto da quello bam-

bino sta proprio nell’intenzionalità. Laddove maggiori appaiono le somiglianze, mag-

giori sono le differenze.

Ciò si evince chiaramente nelle opere di Mirò e di Klee che abbiamo visionato ma

anche in quelle di artisti come Kandinsky che, come è noto, possedeva e custodiva

gelosamente una collezione di disegni infantili dai quali traeva ispirazione.

L’importanza rivestita da questi artisti sta nell’aver realmente dato voce ad

un’arte fino a quel momento ritenuta di secondo livello. La svolta Modernista ha

segnato un’epoca portando di fatto alla valorizzazione delle peculiarità espressive,

estetiche e creative dei bambini e consentendo di parlare finalmente di arte infantile.

1.3. Note conclusive

Il lungo excursus storico intrapreso ha permesso di vedere come si è evoluta

l’arte infantile nel corso dei secoli e come è stato possibile annoverarla sotto la

58
grande famiglia dell’arte. Un percorso che spesso ha visto scontrarsi due paradigmi

differenti sul piano dell’interpretazione dei prodotti dei bambini: si tratta di disegni o

si tratta di arte? Cosa li differenzia?

La svolta in questo senso ci è venuta da Rudoloh Arnheim che ha superato i

netti confini creati da entrambe le parti per mostrare una base comune. I disegni

seguono un processo creativo che non è stabilito in maniera fissa ma che segue le

esigenze del bambino se non anche il suo modo di vedere. Esigenze che sono non

solo di tipo emotivo ma anche estetico, come ci hanno chiaramente mostrato Pi-

casso, Klee e Mirò. Le opere dei bambini sono, dunque, sì disegni ma anche opere

d’arte frutto di un processo creativo complesso che mette in gioco dinamiche cogni-

tive, emotive e psicomotorie. La differenza sta nella capacità del bambino di esplo-

rare il medium e le sue potenzialità e di adottare un proprio stile espressivo fatto di

scelte personali, originali.

Il disegno infantile si presenta come un mondo che è dinamico e carico di ten-

sione. Una tensione che non può essere banalmente ridotta all’interno di analisi

asettiche. Quello che oggi si apre è invece un nuovo paradigma che tenta di portare

su un piano nuovo l’arte infantile per indagarne le potenzialità e peculiarità in vista

di una sua effettiva valorizzazione. In questo senso non possono che essere la pe-

dagogia e la didattica le scienze che devono prendere su di sé, e che hanno già

preso, questa sfida culturale al fine di non ridurre l’arte infantile a semplice attività

ma di inserirla all’interno di un percorso che preveda lo sviluppo complessivo del

bambino.

59
Capitolo 2.

Prospettiva pedagogica e didattica

“ ’Cos'è l'arte’ e rispondendo all'interno del

paradigma fenomenologico, possiamo dire che è un

modo di guardare le cose, è divenire che solo una

tassonomica ottusità della cultura occidentale vuole

restringere in una "materia" scolastica. Invece essa si

espande e prende senso nel contaminarsi con tutto il

resto: l'estetico è, dunque, partire dallo stupore per

rifondare i sentimenti e poter simboleggiare.”

M. Dallari

60
In questo capitolo si cercherà di delineare l’importanza rivestita dall’educa-

zione all’arte e con l’arte. Ciò è in linea con l’idea di un’esperienza artistica intesa

non solo come “fare” ma anche come “comprendere” nel senso etimologico di pren-

dere con e, infine, come “fruizione”. Queste tre azioni hanno una forte valenza for-

mativa poiché si inseriscono in un reticolo che avvolge il bambino in tutte le sue

dimensioni: da quella espressivo-emotiva a quella sociale e culturale.

Come è stato fatto notare nel primo capitolo, il paradigma odierno che si pro-

spetta è quello che vede confluire in sé più paradigmi e, di fatto, più scienze. È la

pedagogia in questo senso la scienza che più di tutte è capace di compiere un’ope-

razione tanto complessa in quanto risiede nel “essere” l’inter-azione tra più anime.

Essa, infatti, una volta affrancatasi dal modello gentiliano che la voleva ancella filo-

sofiae, ha accolto il paradigma della complessità e della criticità andandosi a definire

come scienza autonoma il cui statuto epistemologico è in continua ridefinizione.

Questo suo essere sempre in fieri, ha reso la pedagogia una scienza all’apparenza

debole. In realtà essa presenta una forte ricchezza che sta proprio nella sua natu-

rale dimensione critica e antinomica.

La pedagogia si caratterizza, come già accennato, per il suo essere crocevia

di scienze che fanno capo a razionalità scientifiche e filosofiche. Questa doppia

anima è volta ad indagare “l’insieme di quei fenomeni di cambiamento e trasforma-

zione - di sviluppo e di crescita non necessariamente lineari - che la comunicazione

interpersonale e la trasmissione culturale consentono e talvolta determinano”36. La

ricerca pedagogica però non si interroga soltanto «su» e «per» l’educazione ma

anche sul suo essere paideia ossia cultura della formazione. Il concetto di forma-

zione si lega a quello di cura e di bildung. In questo senso, l’esperienza artistica

36
Cambi F., Beccegato L.S., Modelli di formazione, UTET, Torino 2004, p. 50.
61
risulta essere fondamentale poiché consente al soggetto di ripensare se stesso e di

stipulare rapporti problematici, transattivi con la realtà, l’ambiente e il contesto.

Quando un bambino disegna o entra in contatto con un’opera d’arte, egli in-

staura un rapporto profondo e metaforico con il mondo che lo circonda tale da in-

nervarsi su più livelli. Proprio questi plurimi livelli formativi andremo ad esaminare

cercando di delineare un quadro composito di aspetti che l’arte è capace di svilup-

pare nel bambino tenendo ferma l’idea che il telos della formazione è quella di aiu-

tare il soggetto a farsi individuo e infine persona.

Se la pedagogia è un sapere che pensa criticamente e in generale l’educa-

zione, è la didattica la scienza che ha come proprium l’intenzionalità educativa. Essa

si definisce come scienza dell’educazione critica della formazione intenzionale ed è

“articolata in una sezione generalistica (la didattica generale) e in una sezione spe-

cialistica (le didattiche specialistiche)37. Al centro di questa scienza si pongono dun-

que l’insegnamento e le pratiche educative che devono tener conto delle differenti

modalità di trasmissione di un dato contenuto culturale, delle modalità didattiche più

adeguate in relazione alle caratteristiche dei soggetti e delle relazioni tra strumenti,

supporti o contesti particolari, e i processi di insegnamento e apprendimento.

Benché la nascita ufficiale della didattica come disciplina sia legata al nome di

Comenio e alla sua Magna didacta, potremmo a ragione sostenere che la didattica,

e nello specifico quella dell’arte, è sempre esistita. Le pratiche educative infatti sono

parte integrante della vita dell’uomo e sono connesse alla sua necessità di trasmet-

tere le esperienze e le conoscenze acquisite.

37
Agosti A., Franceschini G., Galanti M.A, Didattica: struttura, evoluzione e modelli, CLUEB, Bo-
logna 2010, p. 161.
62
Rispetto al particolare tipo di didattica che prenderemo in esame, essa vede il

suo primigenio utilizzo come arte stretta al “fare” e a una visione dell’arte intesa

come technè. Una delle prime metodologie didattiche di cui abbiamo testimonianza

e di cui ancora oggi si fa esperienza, è infatti l’apprendistato38. Tale modalità è solo

un esempio delle tante strategie educative sviluppatesi nel corso dei secoli per ren-

dere le pratiche educative più efficaci ed efficienti.

In questa sede, prenderemo in esame le strategie didattiche ed educative più

proficue per favorire quelle dimensioni formative che sono proprie della relazione

tra infanzia ed arte. In particolare, le strategie terranno conto dei contesti nei quali

la didattica svolge propriamente il suo compito formativo, ovvero la scuola e il mu-

seo. Due luoghi differenti ma che possiedono una stessa finalità formativa che an-

dremo più compiutamente a mostrare nella seconda parte dell’elaborato.

2.1. Le dimensioni educative dell’arte

Le esperienze nell’arte offrono molti intrinseci ed estrinseci benefici per i bam-

bini.

I benefici intrinseci includono le opportunità di sviluppare creatività ed immagina-

zione, di sperimentare gioia, bellezza e stupore. Ma l’arte dà anche l’occasione di

rendere speciale l’ordinario, di arricchire la qualità della nostra vita e di sviluppare

modi efficaci di esprimere pensieri, conoscenze e sentimenti.

38
L’apprendistato tradizionale impiega quattro strategie per promuovere la competenza: 1. mo-
deling in cui l’apprendista osserva e imita; 2. coaching, in cui il maestro lascia spazio al discente
intervenendo in caso di necessità; 3. scaffolding, in cui si crea un sistema di appoggio, uno schema
di riferiemento; 4. fading, in cui il maestro diminuisce progressivamente la guida per dare spazio
all’allievo.
63
I benefici estrinseci, invece, fanno riferimento all’imparare l’arte e con l’arte.

Ciò contribuisce ad accrescere il coinvolgimento nell’apprendimento delle altre di-

scipline e a creare negli studenti autostima, fiducia in se stessi, abilità sociali e me-

tacognizione.

Queste abilità e attitudini sono necessarie nella società contemporanea e sono

quelle che andremo ad indagare. Per motivi di spazio, mi soffermerò principalmente

su tre dimensioni che sono quelle che ho ritenuto essere più rappresentative del

valore formativo del fare e fruire l’arte da parte dei bambini della scuola dell’infanzia

e primaria. Nel dettaglio sono:

 La dimensione estetica

 La dimensione creativa

 La dimensione cognitiva, metacognitiva e comportamentale

2.1.1. La dimensione estetica

Nel corso del primo capitolo abbiamo cercato di dimostrare la valenza estetica

dei prodotti infantili affiancandoli anche a quelli degli artisti adulti. I disegni si carat-

terizzano per una loro specificità ed espressività che non permette di focalizzarsi

sugli “errori” di rappresentazione. L’educazione artistica che promuove lo sviluppo

delle abilità grafiche del bambino, ma anche di un atteggiamento critico, aperto e

creativo all’arte, si muove all’interno della dimensione estetica della formazione.

Quest’ultima presuppone però una preliminare domanda: come interpretare il ter-

mine estetica?

L’estetica, contrariamente a quanto si crede, non è sinonimo di bello. Il termine

venne coniato da Baumgarten dalla radice greca aisth e dal verbo aisthnomai il cui

64
significato è “rapportarsi con i sensi”. Essa è la disciplina che si occupa della cogni-

zione sensitiva, ossia il modo in cui l’uomo raggiunge la conoscenza attraverso i

sensi e la sensazione ma è anche la scienza che “studia, dunque, i processi della

psiche nella sfera della sensibilità, si interessa ai congegni affascinanti e misteriosi

delle emozioni, ma guarda anche con altrettanto interesse alle cose sensibili e a

tutti i fenomeni che si offrono al sentire e provocano sensazioni ed emozioni”39.

Accostarci alla relazione tra arte, estetica e infanzia significa porre l’accento

sugli aspetti sensibili ed emotivi che muovono questa relazione.

Il disegno prodotto da un bambino si configura come il risultato naturale della

sua percezione del mondo. La percezione visiva è infatti alla base del pensiero che

Arnheim chiama visivo che è “espressione di quell’unità tra percepire e pensare

capace di cogliere uno actu l’immagine dell’immagine”40. Il bambino dunque, nelle

sue rappresentazioni, compie scelte che potremmo definire estetiche in ragione del

fatto che egli rintraccia nella realtà qualità percettive. Significative a questo punto

sono le parole di Valéry, il quale spiega che

“Vi è una differenza immensa tra il vedere una cosa senza la matita in mano, e il

vederla disegnandola. [...] Anche l’oggetto più familiare ai nostri occhi diventa tutt’altro se

ci si mette a disegnarlo: ci si accorge che non lo si conosceva, che non lo si era mai visto.

Sino ad allora l’occhio non era servito che da intermediario. Ci faceva parlare, pensare,

guidava i nostri passi, i nostri movimenti quali che fossero, risvegliava i nostri sentimenti.

[...] Ma il disegno dal vero di un oggetto conferisce all’occhio un certo comando alimentato

dalla nostra volontà”41.

39 http://www.accademiadipalermo.it/pas/DISPENSE/Da-
lari%20%20L%27arte%20per%20i%20bambini.pdf p. 6-7.
40 http://www1.unipa.it/~estetica/download/InRicordo.pdf p. 35.
41
http://siestetica.it/download/Educazione21.pdf p. 4.
65
Il disegno diviene secondo l’artista un varco verso un mondo altro, nel quale

la percezione si fa autentica e realmente artistica poiché connotata di veridicità. La

forza stessa del fare arte sta nel modo di vedere che implica un movimento circolare

dal dentro di sé al fuori di sé che dà stupore, straniamento e vertigine.

Le rappresentazioni infantili non sono perciò caoticamente orientate ma sen-

sibilmente guidate dalle esperienze e dalle emozioni. Il disegno si configura come

un mezzo espressivo attraverso il quale il bambino ricrea un universo di senso al-

ternativo, simbolico, metaforico e poetico in grado di dar voce ai suoi desideri, emo-

zioni, aspettative.

Le sensazioni e le emozioni che animano il bambino e che confluiscono nei

disegni, sono presenti anche nel momento in cui entra in contatto con un prodotto

artistico. In questo secondo caso, l’esperienza estetica necessita di un percorso di

alfabetizzazione e di sensibilizzazione che gli permetta di sentire in maniera ade-

guata l’opera. Essa si dovrebbe configurare, in particolare per i bambini della scuola

primaria, come un pretesto per stimolare processi culturali e attitudini estetiche. Ciò

risulta ancora più importante nel panorama sociale odierno se si considera la so-

vraesposizione visiva a cui i bambini sono esposti.

L’arte come esperienza sensibile ed emozionale opera a livello profondo

nello spettatore che viene investito nel suo modo di vedere, pensare, conoscere e

immaginare la realtà. Gli stessi bambini nel disegnare dimostrano di possedere dei

condizionamenti culturali che superano, di fatto, la naturalità delle loro tendenze

rappresentazionali. Ciò significa che l’educazione artistica, come sosteneva Herbert

Read, ha come finalità quella di aiutare il bambino a sviluppare una personalità di

tipo estetico tale da riuscire a permeare tutta la sua esistenza. In tale prospettiva

66
risulta imprescindibile allora accogliere l’impulso estetico originario che anima l’in-

fanzia. Impulso che deve essere incentivato e praticato da tutti non solo da chi pos-

siede talento poiché ciascun bambino deve sentirsi libero di esprimere se stesso

usando i modi propri dell’arte. E come sostiene Bertin, è compito specifico dell’in-

segnante quello di “disseminare inquietudine esistenziale, creativa, nell’orizzonte

del possibile: essa deve decantare e liquidare ogni sterile irrequietudine chiusa, per

ogni apertura in avanti e verso il futuro”42.

2.1.2. La dimensione creativa

Un errore comune è quello di ritenere la creatività come un elemento costitu-

tivo ed esclusivo delle esperienze espressive. In realtà questo termine non può es-

sere vincolato alle arti, pena il ridurlo a semplice etichetta vuota di senso che non

aiuta a coglierne la vera ricchezza. La creatività non è specifica di una disciplina

così come non si può affermare che un tipo di creazione artistica sia più creativa di

un’altra. Ciò che l’arte possiede in più rispetto alle altre scienze è la capacità di

offrire al soggetto modalità per esprimere la propria creatività, immaginazione e fan-

tasia perché, come ci dice Bertrand Russell, “there is an artist imprisoned in each

one of us. Let him loose to spread joy everywhere”.

L’aggettivo creativo oggi viene usato in maniera confusa tanto da essere erro-

neamente impiegato come sinonimo di genio. In realtà, la creatività è una preroga-

tiva propria dell’uomo che, come spiega Vygotskij nel suo Immaginazione e creati-

vità nell’età infantile, altro non è che la naturale attitudine a immaginare, combinare,

42 https://www.academia.edu/9043396/DIDATTICA_DELLEDUCAZIONE_ARTISTICA p. 15.
67
modificare e realizzare qualcosa di nuovo. Essa si caratterizza come un tratto di-

stintivo della nostra specie presente tanto nel bambino quanto nell’adulto43.

Il termine, in ambito psico-pedagogico, appare con più frequenza intorno alla

seconda metà del ‘900, in particolare, attraverso gli studi della Gestalt. Se per Piaget

la creatività rappresenta una delle caratteristiche dell’intelligenza, per Guilford, essa

è una vera e propria facoltà mentale connotata da un particolare tipo di pensiero:

quello divergente. Concetto questo che viene ripreso anche da Bruner che lega la

creatività alle abilità di problem-solving. In questo senso “qualsiasi atto che produca

una ‘sorpresa produttiva’, cioè una modificazione concreta inaspettata nelle diverse

attività in cui l’uomo si trova coinvolto”44 può essere definito creativo. Questa visione

della creatività intesa come pensiero divergente, come capacità di andare oltre gli

schematismi, gli automatismi che caratterizzano le esperienze quotidiane della vita

dell’uomo è presente anche in Dewey, il quale la vede come una forma dell’intelli-

genza tesa al superamento dei vincoli imposti dal contestuale e contingente. In

quest’ottica, essa assume importanti risvolti formativi se vista all’interno dell’odierno

panorama sociale ed economico. Se la società post-moderna, liquida come la defi-

nisce Bauman, è caratterizzata da incertezza e instabilità, allora la creatività diviene

un punto cardine dell’educazione dei futuri cittadini. Essi dovranno imparare a vivere

nel paradigma della complessità riuscendo a gestire una realtà in continua evolu-

zione ed espansione. Non a caso le otto competenze chiave di cittadinanza (o otto

competenze chiave per l’apprendimento permanente), stabilite con Raccomanda-

zione del Parlamento Europeo, pongono l’accento su termini quali creatività, inizia-

tiva e capacità di risolvere problemi. Naturalmente queste competenze non sono

43 Vygotskij L.S., Immaginazione e creatività nell'età infantile, Editori Riuniti, Roma, 1973.
44
Dallari M., Francucci C., L’esperienza pedagogica dell’arte, La Nuova Italia, Firenze, 1998, p.
80.
68
perseguibili e tanto meno raggiungibili solo attraverso l’educazione artistica, bensì

necessitano di percorsi educativi integrati e traversali alle differenti discipline scola-

stiche. Tutto questo rimanda all’idea con la quale abbiamo iniziato il paragrafo: la

creatività non è una prerogativa propria dell’arte e in generale delle discipline cosid-

dette espressive. Tuttavia, il fare-arte dona al bambino la possibilità di porre in es-

sere ciò che per Munari è l’essenza stessa della creatività, ossia la capacità del

soggetto di realizzare ciò che la fantasia ha concepito e l’invenzione trasformato in

progetto. Consentire al bambino di esplorare le possibilità offerte dall’immagine e

dal creare immagini è uno dei modi migliori per vedere concretamente prendere vita

la sua fantasia, immaginazione e creatività.

La fantasia spinge il bambino a superare i limiti posti dalla realtà. È un volo

pindarico nell’immenso oceano delle sue possibilità. È utopia poiché la fantasia “può

non tener conto della realizzabilità o del funzionamento di ciò che ha pensato”45.

L’immaginazione è “il mezzo per visualizzare, per rendere visibile ciò che la

fantasia, l’invenzione e la creatività pensano”46. Esempi in questo senso sono pro-

prio le rappresentazioni dei bambini che mostrano all’altro da sé ciò che vedono e

che sentono. Ogni forma d’arte, in definitiva, è un mezzo sostitutivo che permette

agli altri di vedere ciò che l’artista stessa ha visto, pensato e infine creato. Le opere

d’arte mostrano al bambino gli infiniti modi in cui la fantasia può prendere forma e

può spronare e stimolare il bambino alla ricerca di una personale ed originale forma

espressiva e creativa. È Frabboni, in questo caso, che ci invita a una “somministra-

zione dell’estetico quale efficientissimo farmaco cognitivo, che ha il pregio di inon-

dare l’istruzione scolastica di linguaggi espressivi, artistici, creativi”47.

45 Munari B., Fantasia, Edizioni Laterza, Bari 2015, p. 21.


46 Ibid., p 22.
47 Frabboni F., Didattica e apprendimento, Sellerio, Palermo 2006, p. 54.

69
Il disegno libero così come quello strutturato sono strumenti utili per “forzare”

e incentivare la creatività dei bambini affinché riescano a dar corpo alla loro fantasia,

immaginazione in maniera autentica e originale. Operazione questa che contraria-

mente all’idea romantica della spontaneità e libertà espressiva del bambino richiede

impegno e pensiero poiché, come afferma Staccioli,

“Realizzare immagini che suscitano stupore non è semplice e tanto meno si presenta

come un’operazione casuale o istintiva. Un buon prodotto è frutto di un processo creativo

che nasce dalla relazione che il pensiero instaura con ciò che conosce”48.

Il bambino con la sua arte impara a stupirci, a meravigliarci con le infinite sfac-

cettature che riesce a dare a suoi disegni. Lasciarci stupire e meravigliare è un dono

che il bambino dà all’adulto per insegnargli a vivere e percepire la realtà con l’orec-

chio acerbo di un bambino.

48
Staccioli G., Immagini fatte ad arte, Carocci, Roma 2010, p. 32.
70
2.1.3. La dimensione cognitiva, metacognitiva e comportamentale

Fare-arte e fruire arte sono due attività che integrano in un unicum aspetti

emotivi e cognitivi. Entrambi i processi necessitano di un pensiero creativo, diver-

gente e critico capace di cogliere le plurime sfaccettature della realtà. Molte ricer-

che, tra cui quella di Burtun, Horowitz hanno cercato di indagare la relazione che

sussiste tra educazione alle arti e formazione. La ricerca ha dimostrato che “learning

in arts-rich schools is complex and that it is most successful when supported by a

rich, continous and sequenced curriculum”49. Essa è stata condotta su un campione

di 2.046 scuole pubbliche americane, le quali sono state suddivise in due gruppi:

quelle che presentavano un ricco programma artistico e quelle che, invece, ne pre-

sentavano uno basso. Dalla ricerca è emerso che gli studenti nelle scuole ad alto

contenuto artistico possiedono più creatività e originalità. Inoltre, i bambini che fre-

quentano curriculum artistici presentano maggiori abilità nell’esprimere pensieri e

idee ma anche un più elevato livello di autostima che condiziona anche l’apprendi-

mento scolastico delle altre discipline.

Il fare-arte, ad esempio, implica una serie di processi cognitivi che gli psicologi

del Mirror paradigm ci hanno chiaramente messo in evidenza. Creare un’immagine

è un’operazione estremamente complessa che non include soltanto la scelta delle

soluzioni rappresentazionali ma anche la scelta dei significati. L’immagine si carat-

terizza per il suo essere, potremmo dire, sintetica, globale nel senso che racchiude

in sé una polisemia di significati, sensi e rimandi alla realtà che sono resi dall’in-

sieme degli elementi presenti nel disegno. Prese singolarmente le figure potrebbero

aver vita propria come segni ma se posti all’interno di un dipinto divengono parte

49
http://artsedge.kennedy-center.org/champions/pdfs/Learning.pdf
71
integrante di un universo di senso che è simbolico. Dal fare al fruire un’opera dun-

que il passo è breve. Essa si apre all’osservatore in tutta la sua ricchezza da esplo-

rare ed esperire in maniera critica ed ermeneutica. In questo processo, percezione

ed ermeneuticità si fondono al fine di lasciare nel bambino una traccia. Per queste

ragioni non si può che affermare la positività del fare e fruire l’arte ad ogni livello di

istruzione poiché predispone il bambino all’osservazione, alla criticità ma anche

all’attenzione, all’autoregolazione e allo sbaglio. Disegnare infatti significa fare delle

scelte, prendersi dei rischi, essere aperti al confronto e al giudizio dell’altro; significa

far fronte al proprio essere scoperti e vulnerabili di fronte all’altro da sé.

Il fare-arte presuppone anche un’altra particolare capacità: la metacognizione.

Termine nato all’interno della psicologia cognitivista, oggi è entrato a far parte anche

del lessico pedagogico per sottolineare la conoscenza-consapevolezza che un in-

dividuo possiede dei propri processi mentali. Come ci suggerisce la parola stessa,

la metacognizione si situa sopra la cognizione ovvero è una riflessione sopra i pro-

cessi cognitivi e vi appartengono i processi attentivi, mnemonici e di autoregola-

zione.

Se con atteggiamento scientifico ci poniamo ad osservare un bambino che

autonomamente sceglie di disegnare, ci accorgeremo di alcuni aspetti salienti: in

primis la sua concentrazione derivata da una forte motivazione intrinseca; in secu-

ndis, l’attenzione prolungata che gli consente di eliminare tutti gli elementi distraenti

e inutili; infine, la gestione del compito che lo porta a seguire progressivamente i

passi necessari a portare a compimento il suo lavoro.

La concentrazione implica il fissare il pensiero su una certa attività od oggetto.

Questa capacità nel bambino si sviluppa ed evolve con il passare degli anni benché

spesso tale aspetto venga trascurato dalle insegnanti a scuola. La concentrazione

72
è legata alla motivazione che, a sua volta, dipende dalle emozioni e dagli interessi

del bambino. Difficilmente una bambina di tre anni manterrà alta la concentrazione

per un tempo superiore a dieci minuti durante l’ascolto di una storia che non le piace.

Lo stesso capita ai bambini della scuola primaria. Si riconoscono facilmente: sono

quelli che con sguardo assente osservano il docente che parla senza batter ciglio.

Nei casi qui riportati i bambini non sono capaci di far confluire la loro attenzione e

concentrazione su un materiale che non è per loro significativo. Non vi è quella che

Dewey chiama esperienza e di fatto la motivazione del bambino genera disatten-

zione e perdita della capacità di autocontrollo. Il fare-arte e in generale il fare, coin-

volgono il bambino in un processo di creazione di un significato simbolico che ri-

chiede da parte sua un alto livello di capacità metacognitiva poiché implica il dirige

l’attenzione sul foglio e sui passaggi richiesti per la realizzazione. Ma non solo. Ѐ

necessario operare una selezione e un controllo sull’intero processo creativo che

presuppone consapevolezza di sé, autocontrollo e autoregolazione. Il bambino inol-

tre attraverso la creazione artistica impara a sviluppare sia strategie rappresenta-

zionali e creative efficienti sia modalità di monitoraggio dei progressi.

Come Koopman ci informa:

“Insofar as they can be substiated, positive non-artistic outcomes can play a signifi-

cant role in the justification of education in the arts. But as long as we rely only on instru-

mental values, on the ways the arts are beneficial to non-artistic aspects of life, our justifi-

cation remains vulnerable; for it can always be questioned whether the benefits are really

significant and durable, and whether the arts are the most efficient way of bringing about

the results”50.

50http://www.etfo.ca/Resources/ForTeachers/Documents/Arts%20Educa-
tion%20for%20the%20Development%20of%20the%20Whole%20Child.pdf p. 22.
73
Quelle che Koopman chiama non-artistic outcomes sono trasferibili non solo

nelle attività scolastiche ma anche durante le attività quotidiane. Sui tempi lunghi

queste stesse capacità possono ripercuotersi positivamente anche sul posto di la-

voro.

In definitiva, le dimensioni formative che l’arte stimola sono molteplici e stret-

tamente interconnesse tra loro oltre che con le altre discipline scolastiche. Pen-

siamo all’importanza che oggi riveste l’arte nel contrastare l’espandersi degli atti

vandalici ad opera di ragazzini annoiati che non sono più in grado di riconoscere

l’inestimabile valore estetico e culturale del nostro patrimonio artistico. Avvicinare i

bambini al mondo dell’arte è in quest’ottica anche un mezzo per infondere un senso

civico ed etico oltre che estetico. Allo stesso tempo l’arte fa cogliere al bambino il

valore della nostra umanità: ogni opera d’arte parla di noi, delle nostre esperienze

e delle nostre emozioni. Non esistono barriere etniche e culturali che tengano, così

come non esistono distinzioni di età.

Il fare-arte e l’entrare a contatto con le forme più alte di questo linguaggio in-

segna a guardare il mondo in cui viviamo con occhi diversi e nuovi, capaci di vedere

l’immensa magia che anima la realtà. Magia intesa nel suo significato originale di

meraviglia e stupore. Cosa fanno d’altronde gli artisti adulti e bambini che siano, se

non rendere speciale ciò che all’apparenza non lo è? Il foglio, la tela o la creta di-

vengono allora una pozione per dar vita a un realismo magico denso di creatività,

fantasia e immaginazione.

L’arte e i suoi colori si costituiscono però anche come un viaggio iniziatico che

porta il soggetto da burattino a divenire bambino. E sono tutte le dimensioni che

abbiamo esplorato finora l’incantesimo che permette questa trasformazione. La

74
scuola e le altre agenzie formative allora non possono fare a meno di considerare il

loro ruolo formativo che si gioca tutto sul vedere il bambino nella sua globalità, nel

suo essere persona, prima che alunno.

2.2. La didattica laboratoriale: un modello per la scuola tra

fare e pensare

Gli aspetti formativi dell’arte sono molti e richiedono un impianto metodologico

capace di prendersene cura. L’impianto della scuola odierna fa riferimento al mo-

dello di istituzione pubblica e di massa sviluppatasi nel corso dell’Ottocento, la cui

finalità fondamentale era la preparazione al mondo del lavoro. Nonostante il sistema

scolastico abbia progressivamente rivisto le sue finalità educative e formative, ri-

mane, ad oggi, ancora una forte impronta conformatrice che si manifesta in una

struttura gerarchica tra le discipline. Ciò ha portato notoriamente Ken Robinson51 a

definire la scuola come un sistema anti-arte. Contrariamente alle necessità della

società contemporanea che richiede soggetti sempre più flessibili e critici, la scuola

fatica a prendere su di sé queste nuove richieste ancorandosi a un modello educa-

tivo tradizionale. Eppure è proprio dalla storia della pedagogia del Novecento che ci

vengono i più alti riferimenti didattici in materia di arte e non solo. La didattica labo-

ratoriale nasce infatti come prodotto di un diverso modo di intendere e concepire la

scuola, oltre che il bambino, e l’educazione.

La didattica all’arte e con l’arte vengono così a fondersi in un tutt’uno che non

veda l’arte divisa tra il fare, pensare e vedere. Questo modello è, a nostro avviso,

51 Robinson K., Fuori di testa, Erikson, Trento 2015.


75
quello che più si addice alla fascia di età considerare. Sarebbe banale, se non erro-

neo, separare le dimensioni che investono l’arte. Il fare-arte, così come il frequen-

tare le opere d’arte, sono attività complementari che aiutano il bambino a integrare

e re-interpretare i mezzi espressivi e creativi che rendono questi prodotti artistici

arte. Come sostiene Dallari, è importante che l’arte non sia considerata come un

materiale vuoto da studiare e analizzare come se l’opera fosse un puzzle da sezio-

nare e ricostruire, bensì è importante vederla come un pretesto per attivare processi

mentali e culturali capaci di incidere sulla vita dei bambini. Per questa ragione non

ci si può fermare allo studio dell’arte così come al semplice disegno. Bisogna, in-

vece, convergere verso un modello didattico aperto che tenga criticamente conto

dell’essenza dell’arte, che come diceva Ludovico de Pietri, è un’amante preten-

ziosa. E i bambini lo sanno. Lo sono anche le loro opere che richiedono all’osserva-

tore un alto grado di coinvolgimento cognitivo, emotivo ed estetico.

L’idea di fondo, dunque, è quella di capire che la didattica all’arte e con l’arte

hanno origine comune: l’esperienza. Che si tratti di una didattica volta al rafforza-

mento delle abilità grafiche e pittoriche al fine di dare maggior consistenza seman-

tica all’immagine creata o che si tratti di una didattica tesa all’interdisciplinarietà che

usa l’arte per com-prenderla, conoscerla e sviluppare competenze, in entrambi i casi

si tratta di vedere il bambino inserito all’interno di esperienze che modificano il suo

essere e il suo sentire.

Il laboratorio si configura come un congegno didattico da vivere in maniera

autentica non solo da parte dei bambini ma anche degli insegnanti: la conoscenza

si fa insieme creando, guardando e interpretando l’arte.

76
2.2.1. L’ origine della didattica laboratoriale

Il modello didattico laboratoriale incentrato sulla costruzione attiva della cono-

scenza e sul fare ha preso avvio alla fine dell’Ottocento ad opera delle cosiddette

scuole nuove e scuole attive. Il movimento delle scuole nuove si è sviluppato pre-

valentemente in Europa e ha visto come capisaldi la Scuola di Abbotsholme e quella

di Summerhill. Queste condividevano con le scuole attive che hanno preso vita in

America grazie allo psicologo, filosofo e pedagogista John Dewey, tre elementi:

 Il primato dell’azione e dell’esperienza come base per l’apprendimento,

 Il riconoscimento dell’importanza del lavoro manuale

 La messa al centro dell’allievo.

Tutto ciò contrastava l’educazione tradizionale improntata sulla trasmissione

dei saperi da parte dell’autorità del docente, emblematicamente e sarcasticamente

rappresentata dall’insegnante con la testa piena di bitorzoli della scuola di Cooke-

town nel noto romanzo dickensiano Hard times. Idea, quella di educazione intesa

come “travaso” di conoscenze, che perdura e continua a perdurare nonostante le

indicazioni europee puntino allo sviluppo di competenze piuttosto che di cono-

scenze settoriali.

Ciò che invece il movimento delle scuole nuove e attive ha fatto è stato capo-

volgere completamente il sistema formativo vigente. Si deve in particolare al prag-

matico Dewey la rivoluzione intervenuta in campo pedagogico e didattico. Le sue

teorie educative vennero poste in atto all’interno della scuola creata da lui stesso

per i bambini dai quattro ai quattordici anni. Come nelle scuole nuove anche nella

University of Chicago Elementary School esistevano laboratori per le varie disci-

pline, nei quali i bambini erano liberi di mettere a frutto le loro conoscenze in maniera

77
attiva. Il fulcro del pensiero deweyano sta proprio sul concetto di esperienza. Se-

condo il filosofo essai caratterizzava come esperienza qualsiasi evento che avesse

una potenza tale da incidere a livello razionale e irrazionale sul soggetto. Come è

facilmente deducibile, anche l’arte possiede queste qualità. Come sostiene anche

Gadamer, è indubbio che «l’arte è conoscenza e che l’esperienza dell’opera d’arte

fa partecipi di tale conoscenza» tanto da modificare sia chi produce l’opera che chi

ne fruisce. All’interno del laboratorio la conoscenza era frutto di un processo creativo

condiviso che passava dal fare, lavorando e riflettendo sull’esperienza svolta. In

questo quadro perciò l’arte era intesa come occasione di fruizione, ma anche di

produzione, che permetteva ai soggetti di progettare e di immaginare.

La prospettiva deweyana è comune anche ad altri studiosi come Maria Mon-

tessori, Decroly, Ferrière, Freinet e Cleparède, i quali hanno portato avanti l’idea di

un bambino competente e capace di creare la propria conoscenza. Da un punto di

vista artistico, i contributi di questi studiosi e pedagogisti hanno fatto sì che il labo-

ratorio divenisse un luogo per il bambino, nel quale sperimentare le proprie capacità,

un luogo “su misura” fatto per stimolare la creatività e il pensiero. Al suo interno

l’insegnante cessa di essere un oratore ex cathedra, un’autorità che guida il lavoro

in maniera direttiva ma, al contrario, si fa facilitatore dando fiducia e autonomia al

bambino. La didattica laboratoriale inoltre è una didattica democratica, aperta e pro-

blematica, come ci è stato insegnato da Dewey, che facilita la nascita di un senso

di coesione all’interno della classe che può così scoprirsi non solo come gruppo ma

anche come comunità che condivide esperienze, idee e progetti.

La chiave di volta del modello didattico laboratoriale risiede perciò nel credere

nell’importanza di un luogo dove la conoscenza si crea insieme, dove il tempo scorre

lentamente, il mistero anima la voglia di conoscere e dove corpo, mente e sensibilità

78
del bambino fanno da collante a un processo conoscitivo e creativo che è dinamico

e in itinere.

Il laboratorio è infine il luogo della sperimentazione dove l’errore diviene fonte

di valore inestimabile per capire il mondo, l’altro e se stessi.

2.2.2. L’atelier come didattica laboratoriale: il modello Reggio Emi-

lia52

Il modello Reggio Emilia non si configura solo come una precisa scelta didat-

tica ma anche come una vera e propria filosofia. Per quanto riguarda la didattica

dell’arte, l’approccio risulta essere il più adeguato per lo sviluppo delle dimensioni

analizzate precedentemente. Esso, infatti, parte dal considerare il bambino come

un soggetto in formazione unico e irripetibile con proprie prerogative, qualità, talenti

secondo la teoria gardneriana delle Intelligenze multiple.

Nelle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia create ad opera di Loris Malaguzzi,

la didattica laboratoriale è in realtà una costante del lavoro scolastico ma si concre-

tizza con maggior forza ed efficacia nell’atelier. Secondo le parole dello stesso idea-

tore che lo inserisce alla fine degli anni ‘60, l’atelier è un luogo fondamentale per la

crescita del bambino che

52
Il modello Reggio Emilia è un modello didattico, pedagogico e filosofico conosciuto e apprez-
zato in tutto il mondo. Si inserisce all’interno di un circuito di scuole nido e dell’infanzia della città di
Reggio Emilia che, dal 1994, ha inoltre creato la Reggio Children. Risale invece al 1998 la nascita
del Centro Internazionale Loris Malaguzzi che ospita corsi di aggiornamento e convegni nei quali si
cerca di discutere e dar vita a una pedagogia innovativa e critica.
79
“Ha prodotto un’irruzione eversiva, una complicazione e una strumentazione in più,

capaci di fornire ricchezze di possibilità combinatorie e creative tra i linguaggi e le intelli-

genze non verbali dei bambini, difendendoci non solo dalle logorree (…) ma da quella pseu-

docultura della testa-container che (…) è il modello che dà al tempo stesso la maggiore

impressione di progresso culturale e la maggior depressione dal punto di vista dell’aumento

effettivo della conoscenza”.

L’atelier è dunque un luogo nato per contenere, dar voce e sviluppare i cento

linguaggi53 dei bambini, ovvero quelli che consentono loro di liberare la creatività,

immaginazione e fantasia. Significativa è allora la poesia di Loris Malaguzzi, se-

condo il quale

“Il bambino ha cento lingue

Cento mani

Cento pensieri

Cento modi di pensare

(…)

La scuola e la cultura

Gli separano la testa dal corpo.

Gli dicono:

di pensare senza mani

di fare senza testa

di ascoltare e di non parlare

di capire senza allegrie

(…)”54

53 Edwards C., Gandini L., Forman G., The Hundred Languages of Children, Greenwood Pu-

blishing Group, Santa Barbara (Ca) 1998, p. 2.


54 Ibid., p. 2.

80
L’atelier quindi è il luogo dell’infanzia, poiché offre alle bambine e ai bambini

una vasta gamma di materiali e strumenti usuali e non, selezionati e, spesso creati

appositamente, dall’insegnante atelierista con i quali le bambine e i bambini pos-

sono scoprire se stessi, il mondo e i cento modi con cui è possibile esprimere, spe-

rimentare e dar senso alle loro esperienze. Ciò dà valore a una formazione intesa

come globale, in cui l’immaginazione, la fantasia non vengono separate dal cogni-

tivo e dalla razionalità ma diventano insieme motivo di conoscenza oltre che di

espressione creativa. La figura dell’atelierista è in tal caso fondamentale grazie al

suo essere una figura specializzata con formazione di tipo artistico. Essa però non

va considerata né come un insegnante addetto banalmente alla realizzazione di

lavoretti né come un docente di una scuola d’arte. L’atelierista nella scuola ha ruolo

formativo ed educativo a livello sociale poiché mostra l’importanza rivestita dall’am-

biente: ogni bambino non solo ha il diritto di avere una scuola ma ha anche quello

di averne una che sia quanto più possibile bella e curata.

La dimensione della cura e quella estetica si compenetrano sfociando in una

dimensione che le supera e le integra: la dimensione etica. La cura è infatti un at-

teggiamento che si espande anche fuori dalle mura scolastiche andando a condi-

zionare tutta la vita del bambino che apprende il valore del rispetto, dell’attenzione,

dell’empatia e della bellezza.

La figura professionale dell’atelierista non va a soppiantare quella dell’inse-

gnante ma al contrario la affianca, la supporta e la valorizza. Entrambe le figure

non si pongono come autorità bensì attuano una strategia didattica improntata

sull’empatia andando così, di fatto, ad alleggerire l’asimmetria che caratterizza la

relazione tra adulto e bambino: il docente alterna momenti in cui ricopre il suo ruolo

81
di insegnante a quelli in cui diviene studente. Tale alternanza è resa possibile dal

legame di fiducia e stima che anima la relazione educativa all’interno dell’atelier ma

più in generale di tutta la scuola. Tutti questi elementi concorrono alla realizzazione

di una didattica attiva, incentrata sugli interessi e bisogni espressivi dei bambini e

lontana dalla rigidità e prescrittività di programmi aprioristicamente definiti. Gli inse-

gnanti, infatti, utilizzano una modalità lavorativa di tipo flessibile più conforme

all’idea di progettazione didattica. In una prima fase i docenti, l’atelierista e i peda-

gogisti analizzano i bisogni dei bambini focalizzando l’attenzione sulle loro espe-

rienze, i loro gusti e interessi. In seguito l’insegnante, con un gruppo di bambini,

propone un possibile percorso creativo quale ad esempio disegnare l’acqua. Da

questo momento in poi l’atelierista e l’insegnante di classe svolgono un ruolo mar-

ginale: i protagonisti sono il bambino e il gruppo che conducono materialmente l’at-

tività. Essi iniziano il loro lavoro formulando ipotesi sulla possibile rappresentazione,

sul significato di quanto richiesto dalle insegnanti e ricercando soluzioni adeguate.

I bambini possono anche scegliere di andare a vedere dal vero l’acqua per vedere

effettivamente com’è. In questo caso, i bambini faranno ulteriori ipotesi e formule-

ranno ulteriori idee che potranno essere anche elaborate a livello di gruppo attra-

verso la discussione. Ciascun soggetto adotterà alla fine soluzioni stilistiche perso-

nali, confacenti al suo modo di vedere e interpretare la realtà e utilizzerà natural-

mente il materiale e la tecnica che più ritiene idonea alla richiesta.

Durante la realizzazione delle opere l’atelierista e il docente incoraggiano e

aiutano il bambino a trovare autonome soluzioni senza sostituirsi a lui/lei. Questo

agevola non solo lo sviluppo di un senso di autoefficacia ma è anche funzionale alla

riflessione finale sul lavoro svolto. Tale fase è fondamentale per i bambini poiché

mostra la capacità che possiedono, da una parte, di valutazione delle opere prodotte

82
dagli altri e, dall’altra, di autovalutazione in quanto il bambino sarà naturalmente

portato a confrontare il proprio prodotto con quello dei compagni. Essi si dimostrano

perciò competenti e, come si evince da questo breve esempio, la conoscenza, la

razionalità non sono separate rigidamente dal pensiero poetico, visivo e creativo.

Le insegnanti, i pedagogisti e l’atelierista, al termine del percorso annotano le rifles-

sioni e i pensieri dei bambini emersi durante le diverse fasi e, su questi, discutono

e progettano le successive attività.

Tale metodologia rispetta la spinta creativa del bambino, non la ostacola, anzi

la considera una risorsa sulla base della quale elaborare percorsi di crescita auten-

tici e significativi. L’arte nell’atelier è uno stile di vita, un atteggiamento, un persi-

stente modo di percepire e vedere la realtà con stupore, meraviglia ma è anche uno

spazio concreto in cui fare esperienza, sporcarsi e incontrare i propri pensieri per

dar loro forma e vita con l’uso di materiali, tecniche e strumenti.

2.2.3. Giocare con l’arte: una didattica laboratoriale per la scuola

primaria

Quando il bambino entra nella scuola primaria viene all’improvviso immesso

in un mondo nel quale tutte le istanze espressive e creative vengono annullate in

ragione di una presunta superiorità delle discipline legate al leggere, scrivere e far

di conto. I cento linguaggi di cui ci parla Malaguzzi vengono posti in secondo piano

come se il bambino avesse magicamente perso il suo stesso esser bambino. In

realtà riteniamo che considerare l’arte nelle sue varie espressioni un appendice del

curricolo scolastico sia deleterio, se non svilente, dell’energia e dell’essenza

83
dell’uomo di creare attraverso codici differenti. Ѐ sotto gli occhi di tutti quanto il lin-

guaggio verbale spesso non riesca a render conto dell’immensa varietà dell’espe-

rienza. L’immagine, per contro, riesce a volte a compensare questo impasse dando

al soggetto la possibilità di liberare le forze che agitano il suo spirito. Ciò vale tanto

per l’adulto quanto per il bambino e la bambina di sei anni.

Al di là della critica, vi è da sottolineare il fatto che il sistema scolastico sta

comunque svolgendo piccoli passi in questo senso. L’attenzione posta sulle com-

petenze ne è una dimostrazione. Rispetto alle conoscenze, le competenze si confi-

gurano come un’integrazione personale di abilità, conoscenze, capacità che pun-

tano a rendere il soggetto consapevole del proprio essere, dei propri limiti e possi-

bilità. Accompagnare il bambino alla scoperta dei vari modi nel quale può espri-

mersi, comunicare, interpretare la realtà è un compito e una sfida dai quali la scuola

non può esimersi.

Nonostante l’impianto della scuola primaria sia più settoriale, ciò non deve im-

porsi come limite per lo sviluppo di un processo formativo globale. La didattica la-

boratoriale diviene allora ancora più importante in ragione di questa finalità che po-

tremmo considerare anche come sociale.

Una metodologia che si adatta al contesto scolastico della classe, ai bambini

della scuola primaria oltre che alle Indicazioni nazionali, è quella ideata da Bruno

Munari in occasione dei suoi laboratori dal nome Giocare con l’arte.

Da questa esperienza hanno preso vita molti percorsi di tipo laboratoriale che

sfruttano il raccordo tra storia dell’arte e creatività. L’idea di fondo è che, come so-

stiene Munari in Da cosa nasce cosa, è impossibile partire dal nulla per creare qual-

cosa. Partire dalle opere d’arte, dai loro codici dalle loro tecniche significa andare

84
oltre i binomi ideazione/percezione e produzione/fruizione. In un laboratorio di que-

sto tipo le opere sono considerate risorse per giocare e divertirsi e non solo come

testi da leggere e interpretare. Benché le opere possiedano una loro “grammatica”

esse devono piuttosto essere vissute come esperienze dalle quali trarre significativi

risvolti formativi. In quest’ottica, la figura dell’insegnante è fondamentale poiché

aiuta il bambino ad entrare in relazione con le immagini e i loro codici, offrendo così

la possibilità di imparare a guardare. Ciò non è solo in linea con una prospettiva

pedagogica di tipo estetico ma anche culturale e patrimoniale in quanto l’incontro

con l’arte guida il giudizio e la valutazione dei prodotti artistici. Proposte interessanti

in questo senso, ci provengono anche dalla rivista d’arte indirizzata a un pubblico

infantile Dada55 che oltre ad introdurre i bambini all’interno del mondo dell’arte at-

traverso temi o monografie sugli artisti, crea percorsi laboratoriali praticabili nel con-

testo scolastico della classe. Si deve infatti tener presente che il laboratorio non è

necessariamente un luogo fisico creato ad hoc quanto invece uno spazio mentale,

di esperienza, scoperta e sperimentazione. La classe può perciò ricoprire questo

ruolo esercitando un’influenza positiva sull’intero ambiente come avviene nelle

scuole di Reggio Emilia.

Da un punto di vista più strettamente espressivo e creativo giocare con l’arte

stimola i bambini alla realizzazione di opere d’arte ricche e originali. Il docente in-

terviene solo per aiutare, potenziare e migliorare le capacità rappresentative ed

espressive dei bambini fornendo loro spunti e punti di riflessione. Anche nel caso

della scuola primaria il docente deve svolgere un ruolo di facilitatore sostenendo le

idee dei bambini e dando chiari input di ricerca e azione. Tale atteggiamento non

solo ha il vantaggio di aumentare l’autostima e il senso di responsabilità dei bambini

55
http://www.artebambini.it/attivita-editoriale/rivistadada/
85
ma incentiva l’uso di strategie alternative e fantasiose. Il laboratorio diviene così,

come ci suggeriscono Dallari e Malaguzzi, un luogo impertinente56 nel quale usare

materiali, tecniche e codici per andare oltre l’usuale e la tradizione. Pensiamo a

questo punto a un percorso laboratoriale teso all’uso creativo di oggetti quotidiani.

Questa attività nasconde in sé una profonda valenza creativa che ha origini lontane

e che potremmo dire è l’essenza stessa dell’uomo. In un lavoro di questo tipo en-

trano in gioco non solo le abilità manipolative, rappresentative ma anche la perce-

zione, la creatività, l’inventiva e la personale capacità di correre dei rischi. I bambini

e le bambine nel creare oggetti d’arte da oggetti quotidiani sviluppano un pensiero

divergente e creativo che può influenzare positivamente anche le altre discipline. Il

laboratorio perciò diviene uno spazio in cui imparare a manipolare materiali, colori

per esprimere le proprie idee e dar forma ai propri progetti ma è anche uno spazio

di dialogo, incontro, confronto e conoscenza. La didattica laboratoriale conserva

così una dimensione ludica e divertente di creazione che nasce anche dalla visione

di prodotti artistici quali i ready-made di Duchamp.

Un altro esempio di attività nella quale didattica dell’arte e all’arte si intrecciano

è quella proposta da Olga Ivashkevich57. Il suo intervento, rivolto a ragazzi dai dieci

a dodici anni, parte dal considerarli individui competenti e come possessori di una

loro cultura. Da qui la richiesta di creare una installazione dal tema forte: la “peer-

pressure” nelle sue varie declinazioni. Il primo passo è stata la discussione sul si-

gnificato di questo fenomeno e sulle sue varie declinazioni. In un contesto di classe,

56
Impertinenti è anche il titolo di una raccolta fotografica di alcune opere realizzate dagli studenti
dell’Accademia delle Belle Arti di Bologna a partire da oggetti di uso quotidiano come una sedia, una
borsa, uno scolapasta. Dallari M., Francucci C., Novali R., Impertinenti, Fatatrac, Firenze 1988.
57 https://www.academia.edu/1769817/Rethinking_children_Power_pedagogy_and_contempo-

rary_art_education_practices
86
in particolare con bambini più grandi, può risultare anche un ottimo mezzo per ac-

crescere la coesione del gruppo classe oltre che intervenire a livello collaterale sul

piano etico ed emotivo.

In un secondo momento i bambini sono stati divisi in gruppi liberamente scelti

e organizzati affinché non fossero limiti alla libertà di espressione. Nell’esperienza

della Ivashkevich i ragazzi si sono divisi per genere. Una scelta di questo tipo è

tipica anche nelle classi italiane dove forte si sente la competizione tra i due generi

anche, a mio avviso, per l’assenza in molti casi di figure di riferimento di entrambi i

generi che aiutino a superare questa divaricazione.

Una volta creati i gruppi sono state mostrate delle opere di David Hammons e

Krystof Wodizcko che, in maniera dirompente, affrontano temi quali la violenza, il

razzismo, la marginalizzazione. Dall’osservazione i bambini sono passati alla pro-

duzione attraverso materiale di scarto. Le ragazze e i ragazzi hanno perciò dovuto

creare delle opere d’arte a partire da materiali inusuali dando forma a progetti sta-

biliti e pianificati insieme. Nell’attività, inoltre, entrambi i gruppi hanno fatto uso di un

pensiero poetico e visuale che ha concesso loro di attribuire significati altri, metafo-

rici a quanto realizzato. Operazione questa non semplice ma che ci sta davanti ogni

giorno se pensiamo ad esempio all’uso massiccio che ne fa la pubblicità.

Inutile dire quanto un percorso di questo tipo presenti risvolti interessanti an-

che per altre discipline. L’interdisciplinarietà e la trasdisciplinarietà che abitano l’in-

tervento didattico eleva l’arte, il fare-arte e il fruire l’arte al di là del mero contesto

scolastico divenendo un’esperienza estetica, etica, culturale e sociale.

Infine, ci preme porre l’attenzione sulla marginalità con cui viene vissuto il di-

segno libero nella scuola primaria. Una didattica incentrata sull’arte riconfigura la

dimensione temporale offrendo a docenti e bambini l’opportunità di vivere un tempo

87
lento, disteso e improduttivo. Disegnare, colorare, produrre oggetti d’arte significa

toccare l’infinito nel finito di un tempo determinato che scorre via dalle nostre mani

ma che resta permanentemente impresso. Un bambino che spontaneamente dise-

gna ha il diritto di essere rispettato e valorizzato quanto un bambino che liberamente

sceglie di leggere un libro perché stare a scuola non sempre equivale a fare qual-

cosa da valutare. L’arte, così come il gioco, sono fatti in primis per il gusto stesso di

farle, come ci ricorda Oscar Wilde: art for art’s sake.

2.3. Educare nel museo: la didattica museale

L’ultimo contesto nel quale i bambini possono sviluppare le dimensioni eviden-

ziate nel paragrafo 2.1, è il museo.

Il museo negli ultimi decenni ha rivisto il suo profilo e la sua identità riflettendo

in particolare sulla sua mission educativa. Esso, infatti, non si configura più solo

come un contenitore espositivo ma anche come un luogo, oltre che culturale, di

divertimento. Tale impostazione nel nostro paese ha tardato ad imporsi nonostante

si stia affermando sempre di più una maggiore attenzione verso le audiences del

museo.

Concetti come quelli di partecipazione e di comunità sono diventati i punti no-

dali su cui fondare una nuova forma mentis. Rispetto al pubblico infantile il museo

non può più mantenere la sua impostazione tradizionale, bensì ha bisogno di aprirsi

a possibilità inedite che tengano conto della specificità dei destinatari e del loro es-

sere in formazione. La dimensione ludica così come quella euristica sono perciò

imprescindibili.

88
La didattica museale si inserisce all’interno di un più ampio processo educativo

che guarda all’arte come risorsa per creare conoscenza e comportamenti etici di

rispetto e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale. Per questa ragione l’edu-

cazione museale rientra nel più vasto ambito dell’esperienza museale in quanto il

rapporto con l’opera d’arte produce, o dovrebbe produrre, modificazioni interne pro-

fonde tali da incidere sulla cultura personale del visitatore. Il bambino che entra nel

museo porta con sé il suo bagaglio culturale che condiziona il modo di percepire,

vivere, interpretare le opere d’arte e, più in generale, lo spazio del museo. Allo

stesso tempo, se l’esperienza museale è in grado di lasciare un ricordo positivo nel

bambino, l’oggetto d’arte contribuirà ad arricchirlo, poiché esso “innesta di per sé

un processo comunicativo spontaneo, immediato, che coinvolge il fruitore collegan-

dolo direttamente con alcuni aspetti del manufatto”58. Questa prospettiva, che po-

tremmo definire di tipo costruttivista59, guarda al pubblico del museo, soprattutto

quello infantile, come categoria in formazione che necessita di servizi educativi ade-

guati affinché si produca nel fruitore/visitatore una formazione permanente.

Il museo come agenzia educativa informale non ha come compito quello di

istruire ma quello di porsi come mediatore tra soggetto e patrimonio culturale. Da

questo punto di vista, importante risulta la figura dell’educatore museale che è una

figura professionale ibrida. L’ICOM (International Council of Museum) nella carta

58 Cataldo L., Paraventi M., Il museo oggi. Linee guida per una museologia contemporanea,

Hoepli, Milano 2007, p. 189.


59 L’apprendimento costruttivista, ideato da Vygotskij, considera la conoscenza come frutto di un

processo conoscitivo attivo all’interno del quale la dimensione cognitiva ed emotiva si compenetrano.
Il soggetto viene visto come portatore di una propria conoscenza che si modifica, evolve in relazione
all’ambiente, al contesto sociale e culturale e alle esperienze vissute. In questo modello di appren-
dimento il soggetto non è una tabula rasa ma è attivamente coinvolto nel processo di apprendimento.
La conoscenza per entrare a far parte del bagaglio dell’individuo deve porsi su un livello (zona di
sviluppo prossimale) che non sia né troppo semplice, causa il disinteresse, né troppo difficile, pena
la perdita di motivazione. L’apprendimento inoltre dovrebbe muovere dagli interessi dell’individuo
affinché ci sia una motivazione intrinseca all’apprendimento.
89
nazionale delle professioni museali del 2008, delinea i compiti di questa figura, la

quale:

“– conduce attività e percorsi e predispone laboratori in relazione alle collezioni permanenti

e alle esposizioni temporanee,

– partecipa a gruppi di ricerca per la realizzazione di attività educative,

– collabora alla progettazione delle iniziative educative e di progetti innovativi,

– collabora alla realizzazione di testi e materiali specifici per l’ambito di competenza,

– concorre allo sviluppo dei servizi educativi, segnalando esigenze e problematiche, e pro-

ponendo nuove iniziative,

– predispone gli spazi e la strumentazione assegnata, nell’ambito di sua competenza, di cui

è responsabile,

– collabora alla definizione di modalità e alla predisposizione di strumenti per la documen-

tazione, l’accertamento del gradimento, la verifica e la valutazione delle attività educative

realizzate”60.

Da questa lista di compiti si evince chiaramente come l’educatore museale

non sia un docente con la finalità di istruire. Le sue competenze progettuali e peda-

gogiche hanno come finalità quella di porre in relazione il museo, il suo spazio e i

suoi oggetti, portatori di messaggi e significati, con i bambini affinché vivano

un’esperienza gradevole e stimolante.

I bambini possono vivere l’esperienza al museo secondo due direzioni diverse:

come una fruizione contemplativa e critica e/o come una partecipazione creativa.

60
http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/UfficioStudi/docu-
ments/1261134207917_ICOMcarta_nazionale_versione_definitiva_2008%5B1%5D.pdf p. 23.
90
Nel primo caso il museo si fa scuola. Ogni insegnante conosce la difficoltà di

portare i bambini nel museo poiché esso si configura come un ambiente con regole,

spazi e oggetti differenti dalla classe. Proprio questa differenza però è la base per

impostare una didattica efficace all’interno del museo. I bambini sono naturalmente

incuriositi e stupiti dal museo che presenta oggetti che non fanno parte della loro

vita quotidiana. Importante è quindi che la visita sia preceduta da una preparazione

attenta alle peculiarità del posto e alla sua collezione. Durante la visita, i bambini

sono portati a vivere il museo come luogo in cui scoprire simboli e significati che si

pongono in contrasto con gli stereotipi iconici a cui sono soliti. La fruizione di opere

d’arte che stimolano la meraviglia del bambino, inoltre, permette di cogliere il senso

di umanità e comunità che sta dietro il patrimonio artistico. L’insegnante svolge un

ruolo focale, anche in tale occasione, in quanto dovrebbe preparare i bambini alla

visita selezionando le opere e i contenuti ritenuti più importanti. L’educatore, invece,

opera come una guida del museo che crea curiosità nei bambini tramite domande

e riflessioni condivise. Una metodologia interessante in questo senso è la dramma-

tizzazione. Il percorso all’interno del museo viene accompagnato da rappresenta-

zioni teatrali di personaggi storici o di artisti che raccontano vicende, avventure, en-

tusiasmando il pubblico che apprende divertendosi.

Nel secondo caso, il bambino viene, in un primo momento, guidato verso

l’esplorazione e l’osservazione delle opere al fine di cogliere e scoprire i “segni” dei

messaggi comunicativi e, successivamente, egli viene spronato “a riflettere per in-

terpretare e rielaborare i contenuti delle opere, dei reperti, delle testimonianze della

91
memoria storica dei tempi passati”61. Per raggiungere questo obiettivo il museo ela-

bora percorsi didattici da svolgere con le classi scolastiche negli spazi di laboratorio

e di atelier.

Il laboratorio, teso al poter fare e al saper fare, ha il vantaggio di convertire la

visita al museo in un’esperienza coinvolgente dove gli alunni divengono protagonisti

attivi dell’azione educativa. Le attività sono calibrate in relazione all’età.

Lo spazio laboratoriale per essere efficace deve avere a disposizione tutti quei

materiali e strumenti di cui la scuola solitamente non è provvista. Al suo interno,

contrariamente a quanto avviene nell’aula scolastica, il bambino è libero di lasciarsi

attraversare dalle emozioni e dalla fantasia creando installazioni, dipinti che na-

scono prima di tutto dalla riflessione di quanto visto e percepito durante la visita. Nel

laboratorio niente è giusto o sbagliato poiché è una reinterpretazione personale di

quanto esperito.

Nonostante questo spazio si configuri come un luogo innovativo che tiene

conto della missione educativa del museo, esso però è spesso relegato e separato

rispetto alle sale di esposizione. La tendenza odierna è quella invece di considerare

tutto il museo come un laboratorio nel quale vivere e condividere esperienze signi-

ficative, divertenti oltre che culturali. La stessa riflessione vale per gli atelier che

creano uno scollamento rispetto al museo come entità globale inserita in un territo-

rio. L’atelier all’interno del museo è comunque un altro spazio importante che con-

sente, come in una sorta di “bottega”, di fare esperienza dei contenuti appresi attra-

verso l’uso di un’ampia gamma di linguaggi (sonoro, grafico, testuale) e di diverse

modalità di interazione.

61
https://www.academia.edu/9043396/DIDATTICA_DELLEDUCAZIONE_ARTISTICA p. 149.
92
Il museo per un bambino è già di per sé un luogo di scoperta e di esplorazione.

Il passo ulteriore svolto da questa istituzione è quello di renderla un’esperienza in-

dimenticabile ma anche formativa poiché immette il bambino all’interno di una co-

munità che è sia quella locale che quella umana. La riflessione con l’insegnante e

l’educatore agiscono in questa direzione, nel rendere i bambini coscienti del valore

inestimabile che possiede il nostro patrimonio artistico. Ma non solo. Creare signi-

fica rendere il bambino consapevole della possibilità che anch’egli possiede di en-

trare a fare parte di questo patrimonio da tutelare e valorizzare. Proprio questo cer-

cano di fare le varie iniziative nate all’interno di alcuni musei italiani che, nonostante

il ritardo rispetto a quelli esteri, hanno elaborato percorsi didattici di valore. Due

esempi emblematici sono quelli svolti in molti musei e scuole con il Metodo Bruno

Munari e quelli realizzati presso la Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate.

Il Metodo Bruno Munari è un metodo innovativo, divertente e attivo che tiene

conto delle esigenze del bambino. I laboratori, pensati per i bambini della scuola

primaria e dell’infanzia, nascono dall’idea di poterli avvicinare al mondo dell’arte at-

traverso l’esplorazione dell’arte stessa, stimolando, allo stesso tempo, lo sviluppo

di un pensiero progettuale e creativo. Come ci ricorda Alberto Munari, figlio del

grande designer, il fare con l’arte è il modo più autentico per capire l’arte, infatti

“Capire cos’è l’Arte è una preoccupazione (inutile) dell’adulto. Capire come si fa a

farla è invece un interesse autentico del bambino”62.

Il principio pedagogico che sottende i laboratori di Munari è lo stesso che ha

animato l’impianto didattico montessoriano il cui motto era “aiutami a fare da me”63.

62 http://www.brunomunari.it/
63
http://www.brunomunari.it/
93
Giocare con l’arte, come accaduto nella Pinacoteca di Brera nel 1977, significa gio-

care all’arte visiva facendo esperienza concreta dei modi, delle tecniche e delle re-

gole che hanno fatto la storia dell’arte. Secondo Munari è, infatti, solo facendo che

si scopre il reale senso dell’arte. In questo processo il bambino è lasciato libero di

esprimersi senza alcuna interferenza da parte dell’adulto che ha solo il compito di

mostrare al bambino come fare. L’adulto, inoltre, deve dare al bambino la possibilità

di porsi delle domande, di riflettere e trovare soluzioni affinché l’incontro con l’opera

avvenga in maniera attiva e non come un ascolto passivo e nozionistico.

Per i bambini della scuola dell’infanzia utili risultano essere, inoltre, i laboratori

che poggiano su un impianto plurisensoriale. Spesso ciò che manca all’interno dei

musei è proprio la dimensione sensoriale, in particolare quella tattile. Dello stesso

anno del Laboratorio Giocare con l’arte, è quello tattile allestito in occasione della

mostra «Le mani guardano» proveniente dal Beaubourg parigino. Il laboratorio in

questione era stato organizzato per i bambini della scuola primaria ma da subito

aveva smosso l’interesse dei docenti della scuola dell’infanzia. Durante tale partico-

lare tipologia di laboratorio i bambini erano invitati a toccare, esplorare materiali e

forme per scoprirne le qualità e le proprietà. Al suo interno, la classe poteva anche

creare oggetti, opere d’arte secondo le preferenze e le esigenze estetiche del bam-

bino. Tali esigenze non rispondevano solo al senso della vista ma anche a quelle

del tatto. L’opera poteva perciò essere letta secondo plurime linee di lettura. Attività

di questo tipo stimolano la creatività infantile e si pongono in controtendenza rispetto

al mainstream culturale che vede ancora il museo come luogo silenzio, monolitico

in cui prevale la noia. Il museo così diviene un luogo colmo di possibilità oltre che di

risorse da scoprire e far proprie nel rispetto dei bisogni dei bambini.

94
Un altro esempio, sul piano della didattica museale, è quello della Civica Gal-

leria d’Arte Moderna di Gallarate. Dopo una propedeutica accoglienza, presenta-

zione dell’attività e del percorso che verrà svolto, viene avviata da parte di un ope-

ratore una visita guidata. La visita può avere una durata variabile da trenta minuti a

un’ora e mezza a seconda dell’età dei bambini. Il percorso avviene in maniera attiva

attraverso domande, riflessioni e, nel caso dei bambini della scuola primaria, ri-

mandi interdisciplinari. Dopo la visita e una pausa, i bambini sono condotti nel labo-

ratorio nel quale sono presenti materiali, strumenti e colori a seconda del tipo di

attività che verrà svolta. Nel sito del museo (http://www.museomaga.it/) nella se-

zione educazione è possibile visionare alcuni progetti laboratoriali eseguiti sia da

bambini della scuola primaria che da quelli della scuola dell’infanzia. I laboratori

vertono in particolare su un tema che viene poi personalmente rielaborato dai bam-

bini, anche in relazione a quanto visto precedentemente. Il legame con le opere è

in questo caso fondamentale per far emergere non solo quanto appreso ma anche

ciò che il bambino ha provato, percepito e sentito nell’osservazione dell’opera d’arte.

Al termine dell’attività i bambini discutono sull’esperienza individuandone punti di

forza e debolezza.

I due esempi citati sono emblematici di una realtà, quella museale, che sta

evolvendo aprendosi a maggiori possibilità. Il museo negli ultimi decenni ha rivisto

le sue finalità andando sempre più a porre l’attenzione sui bisogni e le richieste

emergenti dalla società, dal territorio e dai pubblici. Sono, infatti, i visitatori del mu-

seo coloro che danno in definitiva la linfa vitale al museo permettendone l’esistenza.

L’errore di considerare il museo un luogo di custodia, dalle porte chiuse sta lenta-

mente lasciando il passo a una nuova frontiera, in cui i bambini finalmente possono

95
trovare spazio. Il museo, inoltre, si offre come un’istituzione formativa parallela in

grado di sopperire alle lacune a cui, purtroppo, la scuola non riesce a far fronte.

Fare arte dentro il museo diviene quindi non solo un utile strumento per dar

“senso” al patrimonio culturale ma diviene un modo per scoprire i linguaggi

dell’uomo che sono anche, e prima di tutto, quelli dei bambini. Muovere dalla tradi-

zione, con i suoi splendori e la sua saggezza, per andare oltre questa, significa

costruire con consapevolezza ciò che si vuol essere e si può essere.

2.4. Note conclusive

Le prospettive delineate nel primo e nel secondo capitolo concorrono a mo-

strare l’importanza rivestita dall’arte per i bambini e, in generale, per l’uomo. La cre-

denza comune che i bambini in età prescolare siano più creativi di quelli della scuola

primaria è indice di una erronea interpretazione del concetto di creatività che la vede

relegata a una romantica idea di genio e innocenza. I disegni dei bambini anche

molto piccoli, ci mostrano in realtà come anche la loro creatività sia condizionata

dagli stimoli iconici e culturali che caratterizzano la nostra società. L’apparente na-

turalità delle rappresentazioni infantili tende a convergere verso canoni estetici e

scelte stilistiche proprie della cultura di appartenenza. Lo sviluppo infantile, infatti, è

stato spesso definito come un percorso che porta il bambino dalla natura alla cultura

in quanto egli è inevitabilmente parte di un contesto socio-culturale che ne deter-

mina parte delle traiettorie di crescita. Lo stesso perciò accade per il disegno. Ciò ci

porta a riflettere su alcune questioni: perché allora i bambini della scuola primaria

perdono improvvisamente l’interesse per le attività artistiche ed espressive? Cosa

produce un cambiamento nella loro creatività?

96
Se si cerca di analizzare in senso critico le abilità grafiche e rappresentazionali

dei bambini si nota come esse non siano necessariamente tese verso rappresenta-

zioni realistiche. Il pregiudizio che vede l’arte come prodotto di bambini prodigio,

talenti è stata superata anche grazie al contributo di artisti che hanno intenzional-

mente scelto di discostarsi dalle rappresentazioni realistiche, frutto di un anacroni-

stico retaggio culturale di stampo rinascimentale. Ciò che denota invece l’artisticità

di un prodotto è la sua forte carica espressiva che smuove l’osservatore lasciandolo

spesso in un limbo emotivo e cognitivo che, come afferma anche Mirò, può cam-

biare l’esistenza. I bambini della scuola primaria non sono perciò meno dotati ma

manca loro la possibilità di continuare ad esplorare le numerose dimensioni forma-

tive dell’arte. In parte, la scuola ne è fortemente colpevole, in parte essa non fa altro

che interpretare e rispondere alle richieste e pressioni provenienti da una società

sempre più consumistica, all’interno della quale il bambino è visto come futuro lavo-

ratore e consumatore. Ridare forza e vigore all’esperienza artistica significa porsi

utopisticamente controtendenza offrendo al bambino la possibilità di esprimersi at-

traverso i cento linguaggi di cui ci parla Malaguzzi.

97
L’esperienza artistica (figura 12) è fondamentale per la crescita e lo sviluppo

infantile ad ogni età poiché implica l’attivazione di processi emotivi, cognitivi e sen-

soriali che lo aiutano a fare chiarezza sulle sue esperienze e a dare senso alla realtà

che vive.

Figura 12. Il grafico mostra la circolarità dei processi che animano l’esperienza artistica.
Il fare sottolinea la dimensione attiva della produzione artistica che permette al bambino di riscoprire le sue
capacità espressive e creative. Interpretare una propria opera, quella di un compagno o di un artista significa
decostruire e ricostruire un significato a partire da una propria visione del mondo. A livello cognitivo ed emotivo,
l’interpretazione è un processo ermeneutico di revisione anche di sé in funzione di ciò che si è esperito. Fruire
vuol dire entrare in relazione con l’opera a ogni livello: cognitivo, emotivo, estetico e percettivo. Implica un
dialogo profondo, empatico con l’opera. Tutto ciò converge nell’idea di esperienza che racchiude in sé e supe-
rare questi tre processi.

Fare, interpretare e fruire l’arte dovrebbero essere punti fermi all’interno dei

curricoli scolastici non solo perché danno al bambino la possibilità di esprimersi e

sentirsi parte integrante di una cultura che è quella umana, ma anche perché lo

sostengono il bambino nella crescita e nell’apprendimento. Come Dewey, Vygotskji

e Montessori ci hanno insegnato, l’esperienza è la base di un apprendimento che

vuol essere autentico, significativo e autonomo. In quest’ottica, centrale risulta il

ruolo rivestiti dal laboratorio inteso come spazio non solo fisico ma anche mentale

98
dove i bambini possono imparare facendo e divertendosi e dove la razionalità in-

contra la poeticità dell’arte. L’insegnante nel laboratorio passa dall’essere docente,

nel senso etimologico del termine (docet: conduce), all’essere co-costruttore attivo

di conoscenza. Egli progetta percorsi formativi per i bambini ma lascia loro la pos-

sibilità di condurre l’azione didattica ponendosi come facilitatore. I protagonisti sono

i bambini. Lo stesso accade, o dovrebbe accadere, dentro i musei dove ancora

meno pressante dovrebbe essere la figura dell’insegnante.

In conclusione, dare fiducia al bambino, credere nella possibilità che ciò che

immagina, progetta e crea siano prodotti di valore, tali da poter essere ammessi alla

famiglia dell’arte, sono i presupposti sui quali si fonda una didattica all’arte e con

l’arte che sia realmente efficace.

Il contesto scolastico e quello museale dovrebbero entrambi muovere da tali

presupposti teorici al fine di far nascere in ciascun bambino, non solo in quelli “ta-

lentuosi”, il bisogno di dar forma alle proprie emozioni, idee ed esigenze superando

così lo scoglio più grande: la paura di non riuscire e di non essere portato, che

attanaglia tanto i piccini quanto i grandi. Il timore, il panico e il vuoto di fronte a un

foglio bianco sono il risultato di un’istruzione focalizzata solo sulla testa-container

che elimina ogni altro aspetto. Ciò è ancora più evidente negli adulti. Proviamo a

immaginare di trovarci di fronte alla richiesta di rappresentare la gioia. Chi ha visto

Inside Out (P. Docter & R.D. Carmen, 2015) avrà già in mente l’immagine della gioia

rappresentata come una sorta di folletto luminoso giallo coi capelli blu, lo sguardo

furbo, allegro con gli occhi ampi e il sorriso contagioso. Gioia è caparbia, intelligente

e combattiva. Sembra l’immagine perfetta di una bambina. Perché rappresentarla

così? Cosa rappresenterebbe un bambino di quattro anni e cosa una bambina di

dieci, posti davanti alla solita richiesta? E un adulto cosa rappresenterebbe?

99
Nella semplicità dei bambini, essi sono molto più capaci di noi a dar voce a un

pensiero simbolico e visivo che si carica di aspetti emotivi e percettivi. Con una

domanda vorremmo chiudere questa prima parte della tesi affinché ognuno di noi si

ponga i giusti interrogativi: cosa fa, in definitiva, in più un bambino che disegna se

stesso o i genitori per rappresentare la gioia rispetto a un poeta che usa una meta-

fora o una personificazione per lo stesso un concetto?

Ai posteri l’ardua sentenza.

100
PARTE II

Progetto

101
La prima parte della tesi ha avuto come obiettivo quello di aprire il viaggio

verso la scoperta del progetto vero e proprio. Le basi epistemologiche, brevemente,

delineate sono funzionali alla creazione di un museo d’arte infantile che si ponga

come ponte tra scuola e territorio.

Il museo d’arte infantile è un’idea che è già stata praticata da numerosi artisti

nel corso della fine dell’Ottocento e inizi Novecento quando, superata la concezione

dell’arte quale riproduzione della realtà, si è imposta l’esigenza espressiva e crea-

tiva dell’artista.

In questo panorama hanno preso vita le prime mostre e allestimenti di arte

infantile, come vedremo in seguito. La maggiore consapevolezza del valore rivestito

da questo peculiare periodo della vita umana ha portato a credere nel bambino e

nelle sue possibilità. Da questa fiducia nasce la proposta di realizzare un museo

d’arte infantile.

Una struttura di questo tipo produce un radicale cambio di paradigma: non più

musei d’arte fatti da adulti per i bambini né tanto meno musei per adulti fatti da adulti

con spazi esigui per l’infanzia ma un luogo fatto dai bambini per i bambini e dove gli

adulti possono tornare ad esserlo con l’occhio dell’adulto. Il museo, dunque, si svi-

luppa partendo dal presupposto che il bambino possa dare un contributo fondamen-

tale non solo alla cultura infantile ma anche a quella adulta, andando così a scardi-

nare credenze di supposta inferiorità dell’infante.

Il fatto che il bambino possieda una minore esperienza non rappresenta un

limite ma un bene da coltivare e valorizzare. Il museo d’arte infantile diviene quel

luogo magico nel quale egli può scoprire di avere effettivamente un valore come

persona che esprime coi propri prodotti desideri, aspettative e necessità. La vita

dell’infanzia scorre attraverso i disegni, i dipinti, i segni lasciati casualmente e

102
l’adulto (genitore, insegnante od operatore museale) non può che incentivare que-

sto flusso. Flusso che non va banalmente interpretato come spontaneismo fine a se

stesso. Gli studi sui disegni ci hanno mostrato come le rappresentazioni infantili

siano tutt’altro che prive di razionalità e pensiero. Esse sono profondamente con-

nesse a processi cognitivi ed emotivi che producono conoscenza oltre che espe-

rienza. Il bambino perciò cresce e matura anche attraverso la sua arte e quella che

gli sta intorno.

L’obiettivo che intendo perseguire è quello di mostrare come un museo d’arte

infantile possa costituirsi come utile strumento per ridare vigore alla disciplina arti-

stica dentro e fuori i confini della scuola. Dentro la scuola, attraverso il diretto con-

tributo dei bambini alla creazione di opere d’arte da realizzare con il supporto degli

insegnanti e da esporre successivamente nelle sale del museo. Fuori dalla scuola

attraverso l’intervento delle altre agenzie educative, prima fra tutte la famiglia.

Quanto può essere difficile nell’odierna società per un genitore vedere al di là del

profitto scolastico? Quanto complesso può essere il legame fra un genitore, teso fra

le incombenze lavorative e un figlio con autonome esigenze emotive ed espressive

che spesso restano schiacciate sotto valanghe di compiti scolastici e richieste che

allontanano il bambino dalla sua infanzia? Nonostante questa non sia la sede per

discutere della relazione genitore-bambino, la tematica è comunque rappresenta-

tiva di una realtà complessa che anima tanto il sistema-scuola quanto il museo e il

territorio.

Nel terzo capitolo tenterò di esplicitare i protagonista del sistema di rete che si

viene a creare tra territorio, scuola e museo. Per ognuno di questi protagonisti cer-

cherò di delinearne le linee di sviluppo e crescita intervenuti nel corso degli anni.

103
Nel quarto ed ultimo capitolo, la parte più operativa, illustrerò la mia idea su

come ho immaginato il museo d’arte infantile. Cercherò in particolare di individuare

i nodi salienti di questa immaginaria e forse utopica struttura, facendo leva su tre

elementi principali: identità, organizzazione e didattica.

104
CAPITOLO 3

I protagonisti del sistema: territorio, scuola e

museo

“Un bambino educato solo a scuola è un bambino non educato”

George Santayana

“Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini”

Dante Alighieri

105
La realizzazione di un museo d’arte infantile prevede l’interazione tra tre attori

fondamentali: il territorio, la scuola e il museo. Questi tre componenti si configurano

come sistemi dialoganti e interagenti che consentono la realizzazione di un più am-

pio sistema formativo integrato.

L’idea di sistema nasce in ambito biologico come “un complesso di elementi

che stanno in interazione”. Nell’ambito delle scienze sociali esso ha assunto un si-

gnificato più ampio andando a identificare ogni entità complessa che presenta al

suo interno elementi, soggetti, gruppi o sistemi che possiedono relazioni tra le parti.

Relazioni che, però, non vanno a limitare né a definire in maniera netta la specificità

e autonomia del singolo elemento appartenente al sistema. Il raggiungimento

dell’equilibrio è un obiettivo proprio del sistema che si estrinseca nella ricerca con-

tinua e dinamica di riferimenti di senso. I sistemi sociali sono infatti fondati su una

materia immateriale, da simboli e codici comunicativi che determinano la relazione

tra gli attori.

Con l’avvento di Internet, al concetto di sistema si è affiancato quello di net-

work che enfatizza il rapporto capillare, reticolare e interdipendente che caratterizza

i protagonisti del sistema. Essi stringono legami di comunicazione e di scambio pro-

ficuo che, sul piano sociale, si traducono nella creazione di risorse condivise.

Da un punto di vista differente ma con un’idea vicina a quella di sistema di

rete, nasce il concetto di sistema formativo integrato che integra e supera quello di

sistema di rete. Nonostante l’immagine della rete, tesa tra vari snodi e incroci di

senso, possa essere rappresentativa del rapporto che si instaura, o dovrebbe in-

staurarsi, tra territorio, scuola e museo, è invece la prospettiva individuata da Frab-

boni quella più rappresentativa. In corrispondenza dei cambiamenti intervenuti nella

106
società, quali la crisi del sistema scolastico, “l’allungamento dei cicli di vita, l’esplo-

sione della cultura simbolica, l’aumento del tempo libero, l’irruzione di una società

multiculturale”64, ha prodotto la necessità di rivedere in una chiave allargata e inte-

grata il rapporto esistente tra scuola ed extrascuola. Poiché il soggetto in formazione

non impara solo attraverso attività intenzionalmente create per tale fine (apprendi-

mento formale) ma anche dalle numerose esperienze che costellano la sua vita

(apprendimento non-formale e informale), è importante ridefinire in un’ottica di com-

penetrazione le finalità educative provenienti dai diversi sistemi. Primo fra tutti il si-

stema formale a cui appartiene la scuola e che, oggi più che mai, dopo la svolta

della Autonomia, necessita di una presa di coscienza del proprio essere istituzione

formativa inserita all’interno di un contesto socioculturale di riferimento. In questo

senso diviene centrale il contributo del territorio, attore che gioca un ruolo essen-

ziale nella promozione e realizzazione di iniziative atte a promuovere lo sviluppo del

bambino. Gli enti locali, infatti, possono così definirsi come sistemi formativi non-

formali che, in relazione con la scuola, offrono al bambino plurime possibilità di cre-

scita, oltre che di educazione.

Lo stesso si può affermare per le agenzie che non possiedono una intenzio-

nalità istruttiva ma che possono configurarsi come esperienze formative grazie alla

loro specifica natura. In questo ambito, definito sistema formativo informale, rien-

trano tutte le offerte informativo/formative della cultura diffusa, tendenzialmente di

mercato e a pagamento (ad esempio le informazioni provenienti dai mass media)

ma anche strutture come quelle museali.

64
www.fupress.net/index.php/sf/article/download/10097/9335 p.3.

107
Sia il sistema di rete che il sistema formativo integrato richiamano concetti im-

portanti come quelli di collaborazione, di scambio, di comunicazione e di supporto

reciproco che risultano essere imprescindibili alla realizzazione di un museo d’arte

infantile che voglia essere, da una parte radicato all’interno di un territorio storica-

mente, socialmente e culturalmente determinato, dall’altra legato alle scuole e ai

suoi componenti. In quest’ottica integrata, il fulcro resta la creazione di un luogo per

l’infanzia in cui vengano riconosciute le sue peculiarità. Un luogo di incontro fra più

anime, dove l’apprendimento avviene in modo totalizzante. Affinché ciò sia possi-

bile, scuola, museo e territorio devono sentirsi responsabilmente parte di un comune

percorso formativo da intraprendere insieme, oltre che autonomamente.

In questa sede il territorio del quale tratteremo è quello della piana lucchese,

in cui sono inserite numerosi istituti comprensivi. Lucca, come città particolarmente

attiva sul piano culturale e artistico, potrebbe facilmente diventare roccaforte di un

diverso modo di intendere il rapporto tra arte e bambini. Il percorso è già in parte

cominciato grazie alle iniziative presenti sul territorio ma manca un raccordo più

significativo con le scuole della piana. Il progetto che propongo è invece teso a su-

perare lo scollamento che interessa le diverse realtà, al fine di realizzare un museo

d’arte infantile sul modello di Oslo e, allo stesso tempo, andare al di là della semplice

e tradizionale funzione di conservazione del museo per allargarla invece più attiva

della creazione in sede e fuori sede. In entrambi i casi sono i bambini della scuola

dell’infanzia e primaria a costituire la risorsa primaria del museo, motivo per cui la

scuola assume una veste di prim’ordine.

108
3.1. Il territorio

Figura 1. Carta geografica rappresentante la provincia di Lucca, solcata dal fiume Serchio. (www.provin-

cia.lucca.it).

Il territorio di Lucca, come si evince dalla carta (figura 1), si articola in quattro

grandi aree con caratteristiche morfologiche e culturali proprie, ben identificabili.

Nello specifico esse sono, da Nord a Sud: la Garfagnana, la Media Valle, la Versilia

e la Piana di Lucca.

La regione garfagnina sorge a cavallo tra due importanti conformazioni oro-

grafiche: l’Appennino tosco-emiliano, uno dei sistemi montuosi più antichi al mondo,

109
e le Alpi Apuane che si ergono a marcare un confine netto tra la regione montuosa

e la costa versiliese. Le caratteristiche ambientali e paesaggistiche da sempre in-

fluenzano la vita dei suoi abitanti che continuano a custodire gelosamente i segreti

e i sapori della montagna. Degne di nota sono, in particolar modo, le leggende e

fiabe che racchiudono una millenaria tradizione tramandata oralmente e recente-

mente fissata su carta grazie al lavoro di Paolo Fantozzi, professore di Inglese attivo

da anni nella valorizzazione e riscoperta del folklore popolare locale.

La Media Valle lucchese si estende, invece, su di un territorio situato lungo

l’argine destro del fiume Serchio che va da Ponte a Moriano, paese famoso per uno

dei ponti più belli e particolari d’Italia, il Ponte del Diavolo, a Bagni di Lucca, rinomata

località termale in voga fino all’Ottocento e frequentata anche da personalità di

spicco del mondo politico e culturale del tempo quali Byron, Shelley, Carducci, Pa-

scoli, Montale, Paganini, Puccini, Mascagni e persino regnanti come la regina Mar-

gherita.

Se le prime due aree sono a carattere prevalentemente montano, la Versilia è

quella a dominanza marittima. Le sue coste sabbiose, ideali per i bagnanti, abbrac-

ciate dalle Apuane che vi si innalzano di fronte, hanno permesso di far divenire Via-

reggio, Torre del Lago e Forte dei Marmi alcune delle località balneari più rinomate

sui confini nazionali e non solo. L’area, inoltre, è impreziosita dal lago caro al mae-

stro Puccini, il Lago di Massaciuccoli, oasi faunistica e floristica di rilievo, sulle cui

sponde sorge il Gran Teatro all’aperto G. Puccini. Durante la stagione estiva, esso

ospita una rassegna musicale di calibro internazionale, dedicata, ancora una volta,

all’illustre musicista lucchese e giunta ormai alla 62° edizione.

110
La piana lucchese è quella sulla quale concentreremo maggiormente la nostra

attenzione. Essa comprende, oltre alla città di Lucca, i comuni di Capannori, Mon-

tecarlo, Porcari e Altopascio. Questa zona geografica, di carattere pianeggiante, è

stata modellata dal fiume Serchio che già in epoca pre-romana era stato individuato

come importante snodo fluviale. La città di Lucca soprattutto, edificata in epoca ro-

mana, divenne uno degli avamposti più importanti dell’antica Tuscia grazie anche

alla sua posizione strategica. Lucca, inoltre, viene ricordata per essere stata sede

del celebre incontro avvenuto tra Cesare, Pompeo e Crasso nel 56 A.C e passato

alla storia come secondo triumvirato.

La conformazione attuale della città risale però all’epoca medievale, periodo

in cui Lucca divenne una delle città più ricche e prospere d’Europa grazie alla pro-

duzione e al commercio della seta. A questo periodo risalgono anche le numerose

chiese e campanili giunti sino a noi in perfetto stato di conservazione. Ciò è stato

reso possibile anche dalla presenza della cinta muraria di origine rinascimentale,

rimasta miracolosamente intatta e che oggi si lascia percorrere, a piedi o in bici-

cletta, da residenti e turisti che possono così godere della bellezza e magia di que-

sta città carica di storia e mistero.

All’interno del centro sono poi presenti numerosi palazzi storici che ospitano

ogni anno iniziative e convegni dedicati a Napoleone e, soprattutto, alla sorella Elisa

Bonaparte Baciocchi, Granduchessa di Toscana che in epoca settecentesca si fece

portatrice di un rinnovamento stilistico e culturale che lasciò un impronta indelebile

sulla città per i secoli a venire.

La storia di Lucca si intreccia con quella delle zone immediatamente fuori dalla

cinta muraria condizionandone in parte lo sviluppo. Capannori, ad esempio, con-

serva sul suo territorio i resti dell’acquedotto di Lorenzo Nottolini, noto ingegnere ed

111
architetto attivo anche nella città lucchese, ed altre testimonianze di rilievo. In tempi

recenti, è divenuto uno dei Comuni più virtuosi a livello europeo per quanto riguarda

il riciclo della carta e le tematiche ambientali. Anche a livello sociale Capannori è un

comune particolarmente vivace e attento alle esigenze dei suoi cittadini.

Di origine medievale sono anche Montecarlo e Altopascio. Il primo è un rino-

mato borgo medievale con pittoreschi squarci paesaggistici, famoso anche per la

produzione di vini pregiati tra cui il Rosso delle Colline Lucchesi DOC. Il secondo

ha una importante storia legata alla produzione del pane con tanto di citazione all’in-

terno della Divina Commedia dantesca. In realtà Altopascio, attraversato dalla via

Francigena, ha preso vita grazie ai pellegrini di passaggio. I cavalieri del Tau altro

non erano che padri ospitalieri che aiutavano i pellegrini di passaggio. Da questa

importante funzione di ospitalità sono stati realizzati i monumenti ancora presenti

come il campanile che serviva per indicare la via a chi si smarriva. Lo stesso castello

di Altopascio racconta ancora la storica battaglia avvenuta tra Firenze e Lucca nel

corso del ‘300. Alcune fonti però situano la battaglia nel territorio di Porcari, comune

anch’esso di origine medievale. Anche in questo caso fondamentale per la prospe-

rità del paese è stata la via Francigena. Benché la storia del comune sia antica,

esso ha vista riconosciuta la propria autonomia solo recentemente quando cioè ha

ottenuto l’indipendenza da Capannori.

Il territorio lucchese è particolarmente denso di risorse culturali, paesaggisti-

che e non solo che lo rendono stimolante per adulti e bambini. Basti pensare alla

manifestazione musicale che ogni anno si tiene all’interno delle mura cittadine, il

Summer Festival, o al Carnevale di Viareggio con le sue maschere irriverenti, colo-

112
rate e ironiche che riempiono le strade viareggine di musica e spettacoli. Le espe-

rienze che i bambini possono vivere sono perciò numerose e tutte presentano ri-

svolti educativi interessanti.

Il fulcro del nostro lavoro però verte sulla valorizzazione e riscoperta delle abi-

lità creative ed espressive dei bambini, perciò nel prossimo paragrafo verranno

prese in esame alcune iniziative promosse nella piana lucchese che incoraggiano il

legame tra infanzia ed arte.

3.1.1. Iniziative sul territorio

Le iniziative tese a promuovere un rapporto autentico tra infanzia e arte sono

molte e fanno capo ad enti privati e pubblici. La maggioranza degli eventi e manife-

stazioni organizzate sul territorio afferiscono ad associazioni, agenzie private con il

patrocinio della città e della provincia di Lucca. Sulla piana lucchese inoltre vi è un

importante contributo economico che proviene dalla Fondazione cassa di Risparmio

di Lucca che nel corso degli anni ha finanziato progetti di restauro, iniziative culturali,

sportive e scientifiche, prima fra tutte Lucca Comics and Games.

La piana di Lucca possiede un reticolo di biblioteche ricche di risorse e spazi

che ben si prestano alla realizzazione di attività laboratoriali. Nonostante questi luo-

ghi abbiano come finalità principale la valorizzazione e la diffusione del gusto della

lettura ad un pubblico anche di piccoli lettori, essi spesso si aprono ad attività, po-

tremmo dire, parallele. L’Agorà, ad esempio, soprattutto dal 2011, ha visto crescere

il numero di laboratori, convegni organizzati all’interno delle sue sale per genitori e

113
bambini. Di rilievo è da considerare la collaborazione con Artebambini65, casa edi-

trice che si occupa di arte e della promozione del rapporto tra questa e l’infanzia.

Alcuni laboratori prendono infatti il loro nome proprio dai libri sui quali viene struttu-

rato il percorso. Nel 2015 sono stati realizzati diversi laboratori come Si sporcava di

colore il grembiule da lavoro, diventava un vero quadro con gli occhi di Mirò desti-

nato ai bambini da 1 a 6 anni, divisi per fasce di età, o Libri illegibili o ancora Saremo

alberi. Durante queste attività, la lettura si fonde alla creatività che viene stimolata

attraverso la realizzazione di storie, la sperimentazione di materiali e colori con i

quali dar corpo alle proprie storie. I bambini possono, dunque, scoprire la bellezza

dei libri, la magia dei racconti che passa anche dalle immagini. Ma la lettura può

passare anche attraverso il tatto, come ci insegna Munari, e allora interessante è

l’iniziativa dell’Associazione Bi-done che insegna a vedere i materiali di scarto come

una risorsa. Nel laboratorio BiblioTHEKE e LIBRO IN-TATTO, i bambini hanno la

possibilità di creare partendo da una molteplicità di materiali da esplorare con i sensi

e l’immaginazione. Alla fine, le due fasce di età, 3-6 e 6-12, hanno prodotto dei libri

da leggere con gli occhi e gli altri sensi. Questa rottura dei canoni estetici del libro

portano il lettore a cercare nuovi significati e storie all’interni di questi libri in-tatti.

La pratica della creazione di libri è comune anche alle altre Biblioteche. Dopo

delle propedeutiche attività di lettura, vengono predisposti degli spazi affinché i bam-

bini autonomamente o in gruppo pensino delle storie da poter raccontare e illustrare.

Per i bambini della scuola dell’infanzia la creazione dei libri avviene attraverso l’uso

delle immagini e dei materiali da leggere col tatto, mentre per i bambini della scuola

primaria la stessa attività si pone anche sul piano della scrittura creativa.

65 http://www.artebambini.it/
114
Le biblioteche, oltre ad ospitare laboratori creativi che intrecciano arte e let-

tura/scrittura, si aprono anche agli artisti. Un caso emblematico è quello di Porcari.

Dal 2008 ad oggi, presso le sue sale viene allestito un corso di arte e pittura che

intende consentire ai bambini di avvicinarsi al mondo dell’arte scoprendone le tec-

niche e i segreti. Le arti figurative sono un grande bacino conoscitivo per i bambini

di ogni età che possono divenire anche il mezzo per esprimere la propria fantasia.

L’obiettivo di questi corsi, è quello di allargare le capacità espressive dei bambini

che nella maggioranza dei casi vengono lasciati a loro stessi, senza alcuna spinta

da parte di genitori e insegnanti. Renata Beracchi al riguardo afferma che

“Spesso nei disegni della scuola elementare, sul foglio bianco i bambini rappresen-

tano il cielo in una striscia azzurra, poi gli oggetti e infine una striscia verde; alla fine del

corso quegli stessi ragazzi riempiono d'azzurro il cielo fino a dove lo sguardo dalla finestra

ha permesso loro di vedere. I momenti salienti della storia, sono uno stimolo a far conoscere

l'arte a tutto tondo, dalle arti figurative in molte delle sue tecniche (acquerello, pastello,

china) alla musica, alla poesia grazie anche alla collaborazione del personale della biblio-

teca che anima con letture scelte66”.

Il corso, dunque, si configura come un connubio felice tra le arti che avviene

grazie all’incontro tra più figure professionali, prima fra tutte quella dell’artista che,

in questo caso, è incarnata da Elisa Fiumalbi. Elisa possiede un negozio a Porcari,

una bottega colorata piena di dipinti. Le sue opere sono dense di richiami onirici, di

linee sinuose e corpose, di colori pastello, forti e contrastanti e di immagini spesso

simboliche. In molti casi si percepisce un tocco frizzante, ludico che fa pensare alla

66 http://www.museoporcari.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=62:presentazione-pro-
getto-a-pocari-esistevano-glio-orsi&Itemid=647&lang=it
115
irriverenza tipica dei bambini. Proprio l’uso sapiente della tecnica unita allo stile fre-

sco e originale le ha permesso di attrarre molti bambini e ragazzi ai suoi corsi, fa-

cendo loro superare lo scoglio del pregiudizio che aleggia sulla biblioteca conside-

rata come luogo noioso e obsoleto.

Una scuola d’arte che ha ottenuto anche il riconoscimento del comune e della

provincia di Lucca è Kreativa, associazione artistica e culturale oltre che scuola,

nata nel 2006. Essa si rivolge a bambini e adulti offrendo corsi di disegno e pittura,

scultura, animazione e teatro e, infine, immagine e fotografia. I corsi si svolgono sia

durante i mesi invernali, con una organizzazione didattica progettuale che guarda

ai tempi lunghi, e una estiva che invece utilizza percorsi laboratoriali giornalieri, vista

la frequenza più saltuari dei bambini. I docenti presenti a Kreativa sono figure spe-

cializzate, competenti che si suddividono le materie. La mission della scuola è quella

di valorizzare l’espressione artistica di ciascun soggetto attraverso l’allestimento di

un ambiente ricco, stimolante e a portata di bambino. Questi laboratori nascono

come naturale evoluzione da quelli per adulti in quanto l'arte viene considerata come

una parte fondamentale della vita di ciascuno individuo, sia esso piccolo o grande.

Per questo motivo i corsi sono rivolti a tutte le età, nonostante la necessaria suddi-

visione per fasce di età.

Il rapporto tra arte e infanzia è tenuto in debita considerazione anche dalla

nota Fondazione Ragghianti. Il Centro Studi sull'arte Licia e Carlo Ludovico Rag-

ghianti è nato nel 1981, dalla donazione dei coniugi Ragghianti alla Cassa di Ri-

sparmio di Lucca della loro biblioteca, della fototeca e del loro archivio. Lo scopo

primario della Fondazione è di offrire a chiunque ne sia interessato uno strumento

di studio dell'arte, nella storia e nel presente. Dal 2008 ad ora sono stati attivati molti

laboratori per bambini, a cura delle dottoresse Federica Chezzi, Claudia Tognaccini

116
e Angela Partenza. I percorsi sono rivolti ai bambini delle scuole dell’infanzia e pri-

maria e sono perciò suddivisi secondo questa differenziazione. Il numero delle

classi partecipanti ai percorsi laboratoriali, è sensibilmente aumentato (figura 2)

tanto che appare ormai quasi superflua qualsiasi forma di pubblicità.

Fondazione Ragghianti: partecipazione


80
70
60
50
40
30
20
10
0
2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

scuole primaria scuola materna Totale laboratori

Figura 2. Incremento della partecipazione ai laboratori presso la Fondazione Ragghianti.

L’incremento significativo che ha interessato la Fondazione e i suoi laboratori

è un fattore di riflessione importante. Innanzitutto esso è sintomo di una crescente

considerazione da parte dei docenti della rilevanza rivestita dall’arte per i bambini.

Sembra che i docenti abbiano colto e apprezzato l’obiettivo della Fondazione di av-

vicinare i bambini al mondo dell’arte contemporanea affinché essi riescano a com-

prenderla anche da adulti. I percorsi infatti vertono sulla sperimentazione di tecniche

di pittura tipiche del ‘900 e non sono propriamente in linea con i programmi scola-

stici. La scelta, quindi, dei docenti va interpretata come segno di un cambio di ten-

denza che considera non solo l’aspetto contenutistico ma il valore intrinseco

dell’arte. I laboratori poi non solo producono conoscenza ma creano nel bambino

117
ricordi positivi legati all’esperienza. Come sostiene in una intervista la storica

dell’arte Federica Chezzi, i laboratori servono per fare educazione alle espressioni

del ‘900, affinché i bambini imparino ad amare l’arte e a fare arte. Citando poi un

antico proverbio cinese, ripreso spesso anche da Munari, la storica dell’arte ci ri-

corda come sia importante il fare perché “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se

faccio capisco”. Lo stesso avviene perciò per i bambini nei percorsi laboratoriali Tra

arte e gioco che, partendo da un tema e da alcuni riferimenti teorici, riescono con

giochi, attività ed esercitazioni a produrre qualcosa di originale e personale. La me-

desima impronta ludica è stata sviluppata durante il Summer camp In riva all’arte,

tenutosi tra il mese di Giugno e Luglio. Nello specifico: lunedì 27 giugno il laboratorio

ha avuto come tema Pizze in faccia che ha portato alla creazione di un autoritratto

in forma di pizza; martedì 28 invece l’autoritratto era ispirato alla Pop Art (Pop your

body); mercoledì 29 lo Spirito Dada ha preso il sopravvento portando alla realizza-

zione di una rivista con collage dadaista in bianco e nero; giovedì 30 i bambini del

laboratorio Tuffarsi come un pesce hanno prodotto una scultura polimaterica in

forma di pesce; infine, venerdì primo Luglio i bambini hanno creato una propria va-

ligia decorandola con cartoline déco, timbri, parole e francobolli che ricordassero il

tema del Giro del mondo in una valigia. Le attività si sono svolte tutte la mattina,

dalle 9 alle 13, attraverso laboratori manuali, giochi e attività creative. Inoltre, mentre

le iniziative sopracitate richiedevano da parte della famiglia un contributo econo-

mico, queste sono totalmente gratuite grazie, soprattutto, alla Fondazione Cassa di

Risparmio di Lucca che copre le spese per la loro realizzazione. Sul sito della Fon-

dazione nella sezione didattica e sulla sua pagina Facebook è possibile visionare

tutte le attività e i laboratori effettuati durante questi anni.

118
La Fondazione Ragghianti è sicuramente un esempio di qualità di come sia

possibile avvicinare i bambini al mondo dell’arte e far diventare loro, in prima per-

sona, degli artisti. Se negli ultimi anni si sta assistendo sulla piana lucchese ad un

ritorno e riscoperta dell’arte contemporanea, grazie anche alla nascita di musei

quale il Lu.C.C.A67 e di iniziative come la Biennale Cartasia68, è però un’altra forma

d’arte quella che sembra predominare a Lucca: i Comics. L’importanza rivestita dai

Comics ha portato alla creazione di una scuola, la mangaschool, e di un museo, il

Museo Nazionale del Fumetto e dell’Immagine. Lucca Comics and Games è una

manifestazione che incide profondamente sulla vita della città non solo sul piano

economico ma anche su quello culturale e sociale. È sufficiente avventurarsi in uno

dei numerosi bar o ristoranti della città per rendersene conto: le pareti spesso sono

tappezzate di fotografie di persone mascherate dai personaggi dei fumetti o dei film

di animazione o di disegni realizzati con la tecnica del fumetto.

Ogni anno la manifestazione, organizzata dal Comune di Lucca, dalla Lucca

comics and games srl con la collaborazione della provincia di Lucca e patrocinata

dal consiglio dei ministri, dal ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

e regione toscana (consiglio nazionale delle ricerche), richiama a sé migliaia di ap-

passionati del mondo del videogioco, dei fumetti e degli anime giapponesi69. Lucca

67
Lu.C.C.A sta per Lucca Center of Contemporary Art. Il museo è un’istituzione nata nel 2014
dalla Fondazione Lu.C.C.A. Museum. Al suo interno vengono realizzati laboratori didattici.
68
Cartasia è una mostra biennale organizzata dall’associazione culturale Metropolis che ha
come obiettivo quello di promuovere la cultura attraverso novità, tradizione, cinema, arte e teatro. La
Biennale Internazionale della carta è nata nel 2004 e ogni anno si sviluppa a partire da un tema
particolare. Numerosi sono anche i laboratori organizzati per i bambini nei quali viene loro insegnato
a usare la carta in maniera innovativa, creativa e, soprattutto, sostenibile.
69 Dal 2006 al 2008 i visitatori sono cresciuti da 60 a 100 mila. Nel 2009 i dati ufficiali parlano di

120 mila paganti. Nel 2010 si è passati a 135 mila nel 2011 a 155 mila paganti. Nel 2012 si è avuta
una vera esplosione che ha portato i numeri ufficiali a parlare di 213 mila biglietti venduti e nel 2013,
malgrado la crisi economica, si è avuto un nuovo record che ha portato la manifestazione ai primi
posti nel mondo con 218 mila paganti. Nel 2014, il numero è aumentato ancora raggiungendo i 245
mila paganti mentre nel 2015, con l’introduzione del numero chiuso giornaliero, il numero di parteci-
panti si è attestato intorno ai 220 mila paganti.
119
Comics and games celebra quest’anno il suo cinquantesimo anniversario e, per

l’occasione, l’evento durerà cinque giorni. Giorni frenetici, durante i quali le strade

si riempiranno di personaggi colorati, stravaganti e, spesso, anche spaventosi. Un

tale tripudio di vivacità, non può che affascinare i bambini che si ritrovano a rivivere

tra le magiche mura della città, l’ebrezza del fantastico.

Da 10 anni a questa parte, è stato allestito il Padiglione Lucca Junior presso il

Family Palace (ex Real Collegio), all’interno del quale vengono svolti incontri con

scrittori, presentazione di libri, laboratori di disegno/fumetto, laboratori manuali e

creativi, spettacoli di teatro, giochi, dimostrazioni di giochi educativi per le scuole,

visite alle mostre di illustrazione o fumetto e visione di cortometraggi di animazione

o cartoni animati. Nel 2015 sono stati realizzati numerosi laboratori sia per classi sia

per bambini accompagnati dai genitori. Manidoro, associazione culturale lucchese,

ha ad esempio, organizzato laboratori creativi con tematiche più variegate come

Mappa verso il centro della Terra o La macchina del vento a tempo, entrambi per

bambini da 6 anni in sù. Il Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria, l'Università degli

Studi di Firenze e l'Università degli Studi di Siena, hanno pensato invece a un ciclo

di laboratori per bambini e ragazzi dal titolo Dal graffito ai graffiti. Le prime forme

d’arte nella Preistoria per avvicinare i bambini al mondo dell’arte attraverso l’uso di

materiali, colori e supporti naturali che aiutano a ripercorrere il cammino intrapreso

dall’uomo nello sviluppo del linguaggio figurativo. Un ottimo modo per studiare an-

che la storia in maniera divertente e creativa.

Il museo Luzzati ha sviluppato dei percorsi didattici di illustrazione per bambini

dai 4 anni di età per insegnare loro a costruire un’illustrazione partendo dalle imma-

gini proprio di Emanuele Luzzati e provando tecniche particolari come il collage, il

frottage e lo strappo.

120
Anche la scuola mangaschool di Lucca ha, in diverse occasioni, partecipato

attivamente mettendo a disposizione la sua competenza e professionalità. Nel la-

boratorio Ragazze Magiche o Pirati? Vestiamo i personaggi! si insegna ai bambini

della scuola primaria e secondaria di primo grado la tecnica del disegno manga

puntando l’attenzione sulla caratterizzazione dei personaggi.

L’edizione citata è stata anche quella della tematiche importanti come la parità

di genere che passa anche attraverso la realizzazione di storie, fumetti e illustrazioni

ma anche quella dell’ospedalizzazione infantile. Per questo tema in particolare, gra-

zie alla ItLUG (Italian LEGO User) e ToscanaBricks, oltre a giochi e competizioni, è

stata realizzata l’iniziativa di beneficenza Dona un mattoncino: Costruisci con noi la

solidarietà. L’iniziativa ha previsto la donazione di un mattoncino presso il desk in-

formativo specializzato e, al termine della manifestazione, i promotori hanno pesato

tutti i mattoncini e regalato al reparto pediatrico di un ospedale toscano, il doppio

del peso in mattoncini LEGO® nuovi70.

Per motivi di spazio non è possibile andare oltre nella rassegna dei laboratori

che si sono tenuti in questi dieci anni nel padiglione Lucca Junior ma, i percorsi citati

mostrano come la manifestazione lucchese non si configuri solo come un grande

“Carnevale”, come viene spesso definito. Essa è il prodotto di un incessante e cre-

scente interesse verso una culturale dell’immagine che sta ormai dilagando e che

coinvolge migliaia di persone, adulti e bambini. Personalmente ritengo che i Comics

siano, a livello sociologico, il risultato della necessità dell’uomo di continuare a gio-

care. Travestirsi, “fare finta di” è tra le prime forme di gioco simbolico che si presenta

durante l’infanzia e che perdura per tutta l’esistenza umana. Partecipare all’evento

70 L’iniziativa ha portato alla consegna di 10 chilogrammi di mattoncini allo staff medico del re-
parto di pediatria dell’ospedale San Luca di Lucca.
121
può per un bambino divenire un’importante esperienza di riflessione: vedere adulti,

solitamente considerati come individui seri e frenetici, scegliere di diventare un su-

per eroe (“we can be heroes, just for one day” come cantava Bowie), di prendere le

sembianze di un personaggio televisivo significa mettere in discussione gli stereotipi

che si sono andati cristallizzando nella mente del bambino intorno al mondo degli

adulti. Ma i Comics sono anche un modo forte per iniziare a riflettere sulla cultura

che ci circonda e sull’impatto che ha sul nostro modo di vedere, pensare e percepire

il mondo e la vita. Altre manifestazioni che si svolgono sul territorio come Histrio-

nika71, Collezionando72 e Lucca bimbi in fiera73, organizzano laboratori creativi a par-

tire dal legame tra arte e infanzia. Queste insieme alle altre, sono indicative di un

comune sentire che guarda all’infanzia come un periodo fecondo della vita

dell’uomo da valorizzare e difendere. Per la crescita armoniosa del bambino, l’arte

occupa un posto di prestigio che non solo iniziative extra-scolastiche devono valo-

rizzare ma anche le normali attività scolastiche. Si apre adesso un punto fondamen-

tale dell’elaborato, ossia il legame che questa ha, nel corso degli anni, stretto con

le discipline artistiche. Rapporto, questo, auspicato, desiderato ma che, in molti casi,

manca di attuazione.

71
Histrionika è un Festival di arte di strada, musica e teatro itinerante svoltosi il 31 luglio e orga-
nizzato da ecoeventi. Durante la manifestazione sono stati allestiti laboratori per bambini a cura di
Mangiamoci.
72
Collezionando è una mostra-mercato del fumetto promossa dal Lucca Comics and Games srl.
La manifestazione si è svolta per la prima volta il 2 e 3 Aprile dell’anno 2016 e si è posta in continuità
con i Comics. Durante queste giornate sono stati realizzati workshop secondo le linee già intraprese
da Lucca Junior. Un esempio di rilievo è stato quello che ha visto la realizzazione di un breve film
d’animazione con la tecnica dello stop-motion.
73
Lucca bimbi in fiera è una iniziativa nata dalle associazioni ingegno creativo ed ecoeventi con
il patrocinio della Regione Toscana, della Provincia di Lucca e della Città di Lucca. Nelle due giornate
sono stati organizzati laboratori per bambini di falegnameria, lettura animata, arte, musica ma anche
convegni su temi di interesse per genitori e insegnanti.
122
3.2. La scuola

L’importanza rivestita dall’educazione artistica è stata ben evidenziata dalla

presenza sul territorio di iniziative extrascolastiche di carattere artistico, oltre che

culturale. Se, da una parte, è possibile rinvenire una certa attenzione da parte della

società sulla valenza formativa dell’arte per il bambino, ma in generale per l’uomo,

lo stesso non sembra valere all’interno delle mura scolastiche. Ben pochi genitori,

ad esempio, si lamentano per la presenza alla scuola primaria di curricoli scolastici

scarni dal punto di vista artistico, né tanto meno, prestano la dovuta cura e atten-

zione alla creatività dei propri figli. Il disegno, la manipolazione, la pittura vengono

abbandonati e relegati all’interno del libro-ricordo della scuola dell’infanzia. Il com-

portamento tenuto dall’istituzione scolastica è spesso in contrasto con le indicazioni

che ci provengono dagli organi internazionali ed europei che, invece, ci ricordano la

centralità rivestita dall’educazione artistica non solo per i bambini della scuola

dell’infanzia ma anche per quelli della scuola primaria. Spetta, infatti, alla scuola

intervenire affinché i cittadini del domani sviluppino fiducia in se stessi e una vasta

gamma di competenze necessarie a vivere nell’incertezza. Incentivare e favorire il

loro potenziale e creatività è una sfida che la scuola deve prendere su di sé a ogni

livello attraverso la realizzazioni anche di curricoli verticali.

L’educazione artistica non si configura solo come una necessità nazionale ed

internazionale, ma diviene, come è stata definita recentemente, uno dei diritti fon-

damentali per la crescita del bambino. La scuola, in quanto sistema educativo for-

male, non può perciò venire meno a questo diritto e deve, al contrario, offrire tutte

le risorse e opportunità per porlo in essere concretamente.

123
3.2.1. L’educazione artistica nel contesto internazionale ed euro-
peo

L’educazione artistica ha, negli ultimi anni, avuto un enorme crescita e sviluppo

fuori dal contesto scolastico. Sono aumentati esponenzialmente le offerte educative

in ambito artistico nei contesti extrascolastici, provocando un ulteriore allontana-

mento di questo ambito educativo dai confini della scuola. Ciò è quanto più visibile

nel contesto italiano dove l’istruzione tradizionale si è imposta attraverso l’uso del

linguaggio verbale. L’emarginazione e sottovalutazione dell’immagine però è un

problema che non riguarda solo il contesto italiano. A livello internazionale, si è ini-

ziata ad avvertire la necessità di ridare la giusta importanza a quei linguaggi che

animano e nutrono la vita dell’uomo.

Nel 2006 a Lisbona, si è svolta la Prima conferenza mondiale per l’educazione

artistica che ha prodotto una Road Map. La conferenza nasce dalla presa di co-

scienza delle caratteristiche proprie della società odierna e, conseguentemente, dal

bisogno di dare ai soggetti in apprendimento un’istruzione di qualità tesa allo svi-

luppo di capacità creative. Gli obiettivi della conferenza vertono, dunque, alla defi-

nizione di una linea programmatica, di un’intesa comune fra gli Stati affinché si rico-

nosca l’educazione artistica come diritto di ciascun individuo. Non è sufficiente di-

sporre di programmi e curricoli che presentino al loro interno discipline artistiche, è

indispensabile la creazione di una condivisa rete di pratiche che rendano la didattica

in classe e fuori dalla classe efficace, efficiente ed equa. Anche in questo caso, il

riferimento è a un sistema formativo integrato che tenga conto delle specificità edu-

cative ma non dimentichi la missione educativa della scuola.

La Road Map non è solo un documento che invita gli Stati partecipanti a riflet-

tere sulle tematiche riguardanti l’educazione artistica, ma è anche uno strumento di

124
ricerca e di studio. In allegato, infatti, sono riportati alcuni case study che affrontano

l’argomento da differenti angolazioni ponendo l’attenzione sulle strategie didattiche

più adatte a rendere efficace l’educazione artistica. Dal documento emerge, a livello

internazionale, la presenza di due approcci che non devono essere necessaria-

mente separati:

“Le arti possono essere (1) insegnate come materie interamente a parte, attraverso

l’insegnamento delle differenti discipline artistiche, che permette così per gli alunni lo svi-

luppo dei talenti artistici, della sensibilità e dell’apprezzamento delle arti; ma anche (2) con-

siderate come un metodo di insegnamento e di apprendimento nel quale le dimensioni ar-

tistiche e culturali s’integrano all’insieme delle materie del programma scolastico”74.

Questi due approcci sono quelli che potremmo chiamare didattica all’arte e

con/attraverso l’arte. In un caso, abbiamo una disciplina specifica, separata dalle

altre che spesso finisce per essere la roccaforte di chi ha talento e il tormento di chi

non ne ha. Dall’altra, c’è un approccio che viene anche definito AiE, ossia Arti

nell’Istruzione, che utilizza le arti come supporto all’insegnamento delle altre disci-

pline e come mezzo d’approfondimento della comprensione di queste ultime. In tal

caso, la difficoltà risiede nella realizzazione di percorsi didattici interdisciplinari che

necessiterebbero di un cambio radicale nei metodi di insegnamento come pure nella

formazione degli insegnanti. La strada che ci suggerisce l’UNESCO risiede nel “non

necessariamente separati” che ci indica come la didattica più efficace e proficua sia

quella che integra i due approcci. Linea di pensiero che viene ribadita anche nella

74
Unesco, Road Map prima Conferenza di Lisbona 2006.
http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/c6332762-6ee0-
472e-aea0-05133fc474e6/road_map_italiana.pdf, p. 8.
125
Agenda di Seul75, redatta dall’UNESCO e dai 95 paesi partecipanti alla Seconda

Conferenza Mondiale sull’educazione artistica.

Anche nel contesto politico culturale europeo si è assistito a un crescente in-

teresse verso i fenomeni educativi con particolare attenzione a quelli relativi alle arti.

Risale, infatti, al 1995 il progetto lanciato dal Consiglio d’Europa Cultura, Creatività

e Giovani, teso ad indagare il posto occupato dall’educazione artistica all’interno dei

sistemi formativi formali, non formali e informali. Da questo progetto e da un altro

simile, ha preso avvio nel 2005 la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul

valore del patrimonio culturale per la società. La Convenzione poneva l’accento su

concetti chiave per la formazione del cittadino come quello di valorizzazione del

patrimonio artistico e culturale, di rispetto delle differenze culturali che passano an-

che attraverso le arti e di promozione, allo stesso tempo, dell’identità culturale.

Tutti questi documenti sono confluiti nel denso e ricco studio, prodotto da Eu-

rydice nel 200976, sulla situazione dell’educazione artistica e culturale europea, dal

significativo titolo L’educazione artistica e culturale nella scuola in Europa. Esso af-

fronta da vicino molte questioni salienti come: «tutti gli ambiti del programma di stu-

dio hanno un peso equivalente? Qual è il ruolo delle arti nei programmi nazionali?

Chi deve farsi carico dell’educazione artistica? L’insegnante curricolare, un artista o

entrambi? L’educazione artistica deve essere intesa come disciplina a sé stante o

come mezzo per favorire l’apprendimento nelle altre discipline? Deve essere pen-

sato un percorso integrato o uno specifico e settoriale (o entrambi)? L’educazione

75 L’Agenda di Seul, è costituita da una serie di obiettivi individuati dai partecipanti alla Confe-
renza che devono essere perseguiti all’interno degli Stati al fine di migliorare la qualità dell’istruzione.
In particolare, ogni obiettivo è, a sua volta, suddiviso in strategie e azioni da mettere in atto per
raggiungere tale obiettivo. (http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/Spaces-
Store/1601e0f1-4175-4f12-8dda-b138911243f0/prot10038_12_all1.pdf)
76 Il 2009 è stato anche proclamato dalla Commissione europea l’ “Anno europeo della creatività

e dell’innovazione”.
126
artistica deve essere rivolta solo a chi presenta naturali predisposizioni o a tutti in-

distintamente?».

Rispetto alla prima domanda

“Le ricerche esistenti confermano l’esistenza di una gerarchia nei programmi scola-

stici [e] tra le arti. Nell’ambito dell’iniziativa del Consiglio d’Europa intitolato Cultura, creati-

vità e giovani è stata svolta un’indagine incentrata sull’insegnamento artistico in Europa

(Robinson, 1999) [che] ha messo in luce il fatto che se tutte le dichiarazioni di politica na-

zionali sull’educazione mettono sistematicamente in evidenza l’importanza della dimen-

sione culturale e la necessità di promuovere le attitudini artistiche e creative dei giovani, in

pratica, lo status e l’offerta dell’insegnamento artistico nel sistema educativo erano molto

meno evidenti. [...] Nella maggior parte dei sistemi nazionali, le arti erano obbligatorie

nell’istruzione primaria e durante i primi due o tre anni del secondario. Altrimenti, quasi

ovunque, le arti erano opzionali. In tutti i casi presi in esame, le arti risultavano avere uno

status inferiore rispetto alla matematica e alle scienze. In alcuni paesi, si notavano dei ten-

tativi di ridurre l’offerta delle arti nei curricoli in favore di materie ritenute più rilevanti in

termini di successo economico o accademico”77.

Inoltre, altre ricerche hanno dimostrato che

“Lo status poco importante riconosciuto alle materie artistiche si riflette nella man-

canza relativa di interesse per la valutazione e il monitoraggio degli standard nell’insegna-

mento artistico (Bamford, 2006; Taggart et al., 2004). Le ricerche hanno messo in luce

preoccupazioni relative al fatto che il tempo dedicato ufficialmente all’insegnamento arti-

stico, e il tempo realmente messo a disposizione all’interno delle scuole, erano insufficienti

77 Euridyce, L’educazione artistica e culturale nella scuola in Europa, Agenzia esecutiva “Istru-

zione, audiovisi e cultura (EACEA), 2009, p. 11. (http://eacea.ec.europa.eu/education/eurydice./do-


cuments/thematic_reports/113IT.pdf)
127
per offrire un programma ampio ed equilibrato (Robinson, 1999; Sharp e Le Métais, 2000;

Taggart et al., 2004). La mancanza di tempo, di spazio e di risorse sono stati identificati

come fattori chiave che limitano il successo dell’insegnamento artistico (Bamford, 2006)”78.

La mancanza di tempo, spazio e risorse, oltre che di reale valorizzazione di

questo ambito dell’educazione, si riverbera sulla formazione degli insegnanti che

spesso risulta inadeguata. L’assenza di competenze si ripercuote negativamente

sulla formazione degli alunni che si trovano a fare i conti con un sistema istruttivo

incapace di far fronte alle loro esigenze creative ed espressive. Ciò porta a richie-

dere l’intervento di specialisti esterni che, a loro volta, in molti casi mancano di una

preparazione didattica e pedagogica.

Figura 3. Mappa tematica tratta dal documento L’educazione artistica e culturale nella scuola in Europa.

Rispetto alla formazione iniziale degli insegnanti specialisti, dalle ricerche ef-

fettuate da Eurydice emerge che pochi paesi (tra i quali la Francia) della comunità

78 Ibid., p. 11.
128
europea possiedono un quadro o programma nazionale completo 79 e obbligatorio

di formazione in campo artistico. In ragione di ciò divengono ancora più importanti i

partenariati con istituzioni extrascolastiche che rendano l’offerta educativa ampia e

diversificata.

In linea con quanto analizzato finora si pone la Risoluzione sugli studi artistici

nell’Unione Europea votata dal Parlamento europeo nello stesso anno. Essa giunge

a importanti conclusioni, riassumili in tre punti:

- L’educazione artistica dovrebbe divenire obbligatoria a tutti i livelli dell’istru-

zione e dovrebbe prevedere l’uso anche delle nuove ICT;

- L’insegnamento della storia dell’arte come educazione al patrimonio culturale

dovrebbe comprendere visite e incontri con artisti;

- L’educazione artistica dovrebbe essere monitorata a livello nazionale ed eu-

ropeo al fine di indagare l’impatto dell’insegnamento artistico sulle compe-

tenze degli alunni.

In definitiva, un file rouge lega i documenti visionati: tutti mostrano l’inefficacia

dei sistemi scolastici nazionali di rispondere all’ esigenza di crescita e innovazione

della società, crescita che dovrebbe passare anche dalle discipline artistiche. Esiste

un superficiale riconoscimento della valenza educativa dell’arte che non si trasforma

in una linea di azione netta e decisiva. Lo stesso vale per il nostro paese che negli

anni ha modificato il modo di guardare all’arte ma che, ciononostante, continua a

mantenere un atteggiamento di sottovalutazione del linguaggio iconico a tutto van-

taggio di quello verbale.

79
Secondo il documento L’educazione artistica e culturale nella scuola in Europa un percorso
completo dovrebbe includere cinque aree di formazione: sviluppo artistico del bambino, contenuto di
un programma artistico, pedagogia dell’arte, sviluppo delle competenze artistiche personali del futuro
insegnante e valutazione degli alunni.
129
3.2.2. L’educazione artistica nel contesto italiano

Come è stato fatto notare in precedenza, la scuola si trova sommersa da un

insieme eterogeneo di iniziative che vanno a formare una sorta di curricolo occulto.

L’obiettivo primario della scuola allora risulta quello di organizzare, gestire e dare

senso a questo flusso di esperienze eterogenee attraverso la realizzazione di un

curricolo esplicito. Affinché ciò avvenga è necessario che la scuola riconosca il va-

lore educativo dell’arte, la centralità che essa riveste nella vita dell’uomo e la com-

plessità insita nel linguaggio iconico.

Come emerso dai documenti europei, la scuola italiana manca di una reale

valorizzazione delle arti e degli aspetti legati alla creatività. Questo è, in parte, il

risultato di un retaggio culturale che vuole la scuola come sistema volto alla “tra-

smissione di saperi” piuttosto che alla loro costruzione. Staccioli, in Immagini fatte

ad arte, delinea lucidamente il percorso intrapreso dall’educazione artistica nel no-

stro sistema istruttivo, il quale si articola in quattro stagioni:

“1. La stagione riproduttiva: nel senso del rifare, copiare, attingere dai modelli già

esistenti. [...] Per aiutare lo sviluppo della percezione visiva non c’è niente di meglio che [...]

guardare e copiare. [...] È la stagione che tutti conoscono e molti ancora applicano, ma che

non è mai stata scritta nei programmi.

2. La stagione espressiva: in questa stagione [...] si esalta la ricchezza della sponta-

neità, la grande carica produttiva che sta negli individui [...]. Gli adulti in linea di massima

non devono intervenire nel processo creativo, [...] Questa “cautela” vale sia per le produ-

zioni del bambini che per quelle degli artisti [...]. È la stagione dei programmi per la scuola

elementare del 1955.


130
3. La stagione istruzionista: qui siamo alla ingegneria della visione. Una qualsiasi im-

magine è composta da segni identificabili e semanticamente definibili; per imparare a leg-

gere e a scrivere le immagini occorre impadronirsi della grammatica segnica, delle regole

compositive [...]. È la stagione dei programmi elementari del 1985.

4. La stagione costruttivista: è la stagione attualmente in corso; un periodo forse non

ancora pienamente vissuto a livello del mondo della scuola [...]. Esso afferma che l’atteg-

giamento nei confronti dei messaggi visivi, in partenza o in arrivo, è quello di sviluppare un

processo ermeneutico, una costruzione che è anche interpretazione e interazione attiva

con l’oggetto di studio. Una modalità che richiede al soggetto di essere coinvolto in una

realtà complessa, della cui complessità anche lui è compartecipe80. È la stagione avviata

dagli orientamenti per la scuola dell’infanzia del 1990”81.

Nella lunga citazione, il pedagogista G.Staccioli fa riferimento a tre importanti

documenti ministeriali emanati dal Ministero della Pubblica istruzione: i programmi

Ermini del 195582, i Programmi per la scuola elementare del 198583 e gli Orienta-

menti per la scuola dell’infanzia del 199184.

I programmi del 1955 giungono praticamente inalterati fino 1985. Sono i pro-

grammi della Democrazia Cristiana, che rispondono ai valori e alle esigenze di una

società, quella italiana, in ricostruzione dopo i drammi della guerra. Al suo interno,

“vi si possono rintracciare riferimenti ai principali pedagogisti del cattolico Dèvaud,

80 Il corsivo non è presente nel testo da cui è tratta la citazione e serve per dar rilievo all’impor-
tanza rivestita dalla compartecipazione del soggetto.
81 Staccioli G., Immagini fatte ad arte, Carocci, Roma 2010, p. 31-32.
82 D.P.R 14 giugno 1955, n. 503. Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Ermini.

Questi programmi sonno un riassettamento di quelli emanati provvisoriamente nel 1945, i Pro-
grammi Washburne, fortemente legati alla matrice pedagogica dewewyana.
83 D.P.R 12 febbraio 1985 n.104. Ministro della Pubblica Istruzione Franca Falcucci.
84 D.M 3 giugno 1991. Ministro della Pubblica Istruzione Riccardo Misasi.

131
del pragmatista Dewey, del naturalista Decroly, del funazionista Cleparède,

dell’idealista Lombardo Radice, del positivista Gabelli”85.

Il disegno e le attività artistiche vengono viste come propedeutiche all’esercizio

della scrittura. Ciò vale tanto nella prima e seconda classe della scuola elementare 86

quanto nella terza, quarta e quinta elementare dove disegno e scrittura diventano

una disciplina da insegnare/apprendere. Il disegno spontaneo, in particolare, come

si legge nel testo, viene “inteso soprattutto come mezzo di espressione grafica o

pittorica, dei pensieri e dei sentimenti dell'alunno, continuerà la sua funzione a ser-

vizio di tutte le materie di studio e della lingua italiana in particolare”.

I Programmi del 1985, la cui realizzazione ha richiesto quasi cinque anni di

lavoro e una ampia Commissione costituita da specialisti delle varie discipline e pe-

dagogisti, rappresentano un punto di svolta nella storia dei programmi, poiché in

linea con la loro impostazione strutturalista, non si configurano come un insieme di

contenuti da far apprendere agli alunni, bensì come una proposta di curricolo, ossia

“un elenco di obiettivi di carattere formativo ed educativo a cui è funzionale l’inse-

gnamento-apprendimento di determinati contenuti”87. I contenuti disciplinari, contra-

riamente a quanto avveniva nei programmi Ermini, non possiedono un carattere

prescrittivo ma indicativo affinché gli insegnanti si sentano liberi di creare curricoli

adatti alle specificità delle loro realtà scolastiche. Forte è, inoltre, l’impronta cogniti-

85 Capperucci D., Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare,


Franco Angeli, Milano 2008, p. 21.
86 Nel testo dei Programmi della Scuola Elementare del 1985 si legge: “egli dovrà favorire con

simpatia le spontanee manifestazioni grafiche e pittoriche degli alunni, lasciandoli liberi di esprimersi
a loro modo sugli argomenti che più li interessano, coi mezzi a loro più graditi (matite nere e colorate,
pastelli, gessetti colorati, acquerelli, carte colorate a strappo e a ritaglio, ecc.). Li inviterà di volta in
volta a spiegare con la parola, e appena possibile anche con lo scritto, il significato delle loro espres-
sioni grafiche e pittoriche”.
87
Ibid., p. 24.
132
vista che si rintraccia nella focalizzazione sulla programmazione didattica, sulle stra-

tegie d’insegnamento “per problemi” e gradualmente scanditi in base ai livelli di svi-

luppo dei bambini e sulla finalità formativo-istruttiva della scuola.

Questi tre aspetti sono ben presenti anche nella disciplina educazione all’im-

magine che ha preso il posto della precedente disegno e scrittura. In questo caso,

si tratta di una disciplina autonoma che pone l’attenzione sul concetto di immagine,

vista come messaggio da interpretare, decostruire, leggere e produrre/creare.

Come viene anche ripreso nella premessa dei programmi, un ruolo importante rive-

ste la creatività da sviluppare e incoraggiare con la realizzazione di un ambiente di

apprendimento ricco e stimolante in cui le bambine e i bambini possano trovare le

risorse per esprimere pensieri ed esperienze.

Le attività legate all'immagine necessitano di una precisa azione didattica, epi-

stemologicamente fondata, tesa a superare la tendenza al non intervento e allo

spontaneismo. La creatività e le capacità del bambino vanno inoltre incentivate e

promosse in maniera graduale intrecciandole ad elementi conoscitivi propri dei lin-

guaggi iconici. Si fa riferimento, ad esempio, alla realizzazione di un curricolo verti-

cale che tenga conto delle peculiarità espressive e comunicative sia del bambino

della scuola primaria che passano attraverso la manipolazione, il disegno e la pit-

tura, l’utilizzo di materiali di varia provenienza per realizzare collages sia di quelle

del bambino della scuola media che passa attraverso la scoperta di nuovi medium

come quelli di massa. La scuola ha perciò l’obiettivo di offrire a tutti gli strumenti

fondamentali della conoscenza, una “alfabetizzazione culturale” di base fondata su

una rivalutazione di tutti i tipi di linguaggi. La competenza comunicativa, in partico-

lare, è il cardine dell’educazione all’immagine in quanto determina il grado di padro-

133
nanza di linguaggi iconici tradizionali e non, in vista di una loro personale reinter-

pretazione. I mezzi di espressione visuale offrono, infine, un positivo contributo allo

sviluppo del pensiero creativo e del senso estetico.

Mentre i Programmi del 1985 non delineano in maniera netta e chiara la disci-

plina, risultando un elenco di attività consigliate che inglobano al suo interno ogni

medium visivo, gli Orientamenti del 1991 per la scuola dell’infanzia offrono una pro-

spettiva pedagogica e didattica innovativa.

La scuola dell’infanzia vede la sua nascita, come scuola materna statale, nel

196988 in seguito al fervore culturale e sociale che ha investito la società italiana.

Dopo la scuola media unica (1962), quella materna ha cambiato il modo di intendere

l’educazione. Questa istituzione viene finalmente riconosciuta nelle sue finalità for-

mative e non solo come luogo di “deposito”. Il bambino dai 3 ai 5 anni viene visto

come un soggetto in via di sviluppo del quale prendersi cura attraverso percorsi

didatticamente e pedagogicamente fondati89. Se, però, gli Orientamenti del 1969

hanno posto un primo tassello verso la riqualifica di questo livello di istruzione, sono

quelli del 1991 a porre un reale punto di non ritorno.

Un primo elemento di innovazione è il riferimenti alle Indicazioni curricolari.

Come viene chiarito nella premessa non si parla più di Programmi caratterizzati da

rigidità e prescrittività ma “di linee programmatiche di tipo curricolare [...] che se-

guono configurano le condizioni e gli elementi di una piena affidabilità culturale, pro-

gettuale ed educativa”90. Ciò significa che gli Orientamenti offrono al docente la pos-

sibilità di adattare in maniera più flessibile i contenuti e gli obiettivi di apprendimento.

88 D.P.R 10 settembre 1969, n. 647. Ministro della Pubblica Istruzione M. Ferrari Aggradi.
89
Si vedano al riguardo i riferimenti agli art. 3 (il bambino soggetto di diritti) e 4 (Ambienti di vita
e contesti educativi) della parte I. Infanzia, Società, Educazione.
90
Orientamenti per la scuola dell’infanzia 1991.
134
Il curricolo infatti, presuppone l’elaborazione attiva da parte del docente di un per-

corso formativo intenzionale ma calibrato rispetto alle esigenze dei soggetti. Nono-

stante la maggiore “autonomia” del docente messa in evidenza anche dall’aggettivo

progettuale, centrale resta il ruolo della programmazione nei suoi principi di siste-

maticità e intenzionalità. Essa, in particolare, si svolge concretamente all’interno dei

cosiddetti “campi d’esperienza”, ossia “i diversi ambienti del fare e dell'agire del

bambino, nei quali il bambino conferisce significato alle sue molteplici attività, svi-

luppa il suo apprendimento [...] e persegue i suoi traguardi formativi” 91. Ciascun

campo di esperienza richiede l’attivo coinvolgimento del bambino che può così cre-

scere e accrescere le sue competenze in maniera integrale.

Il campo di esperienza che ci riguarda più da vicino è quello chiamato mes-

saggi, forme e media. Esso considera tutte quelle attività che investono la comuni-

cazione ed espressione manipolativo-visiva, sonoro-musicale, drammatico-teatrale,

audiovisuale e massmediale. Anche in questo caso, come è possibile leggere nel

testo, l’immagine viene vista come portavoce di messaggi che il bambino deve im-

parare a fruire attivamente e criticamente affinché sviluppi una creatività personale

e non omologata. Le stesse attività grafiche, pittoriche e plastiche hanno l’obiettivo

di fornire al bambino vari mezzi espressivi per far fronte alle sue intenzioni comuni-

cative. Fondamentale risulta perciò la realizzazione di itinerari didattici di stampo

progettuale ricchi di stimoli ed esperienze che tengano conto della maturità percet-

tiva, visiva e manipolativa dei bambini e che siano in grado di promuovere l’appren-

dimento e la sperimentazione e la personale rielaborazione di differenti tecniche e

stili contro forme ogni forma di stereotipie.

91
Ibid.
135
Come mostrato in precedenza, gli Orientamenti per la scuola materna statale

aprono a un cambiamento all’interno del sistema scolastico che guarda alla scuola

come ambiente reale da vivere e adeguare alle contingenze socio-culturali della

comunità, oltre che dei singoli bambini. Si può affermare che si deve a questo do-

cumento il passaggio da una istituzione improntata sulla programmazione a una

incentrata sulla progettazione di percorsi didattici flessibili. La programmazione cur-

ricolare, a cui si fa riferimento negli Orientamenti del 1991, infatti viene vista come

uno strumento per mediare tra “l’oggettività delle conoscenze, delle abilità, delle

discipline, dei saperi e la soggettività dei discenti”92. La centralità posta sulla sog-

gettività degli alunni ha spinto la scuola a rivedere le sue finalità formative e a ve-

dersi come entità autonoma, aperta e flessibile. La parola d’ordine diviene proget-

tazione93 e su questa si basa anche il D.P.R dell’8 Marzo del 1999 n. 275 che ha

sancito l’autonomia delle istituzioni scolastiche94.

Nel Documento dei saperi essenziali (marzo 1998), oltre a parlare per la prima

volta di curricolo, è possibile rinvenire un’attenzione maggiore verso le arti figurative

alle quali viene riconosciuta la loro valenza educativa. Importanza sottolineata poi

anche dalla denominazione immagine e arte presente nel Regolamento per i nuovi

curricoli (febbraio 2001) che sancisce il ruolo fondamentale della disciplina per la

crescita del bambino. Con questa denominazione, si vuole sottolineare, da una

92
Capperucci D., Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare,
Franco Angeli, Milano 2008, p. 44.
93
La progettazione è un dispositivo molto più flessibile, aperto e dinamico rispetto alla program-
mazione poiché, essendo basato sulle esigenze dei destinatari, si definisce in itinere. I percorsi for-
mativi di tipo progettuale sono evolutivi, ricorsivi, differenziati, individualizzati in quanto l’insegna-
mento è centrato sull’apprendimento dell’alunno. La progettazione, inoltre, fa riferimento ad attività
didattiche concrete, a degli specifici interventi formativi. Infine, essa è per natura tesa al futuro.
94
L’autonomia scolastica si muove tra quanto stabilito a livello nazionale dalle Indicazioni Na-
zionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione e dalle disposizioni del
Miur e quanto stabilito a livello regionale e locale. La scuola comunque possiede pieni diritti e doveri
sia dal punto di vista amministrativo che sul piano delle attività didattiche. Per maggiori informazioni
il testo è reperibile al sito http://archivio.pubblica.istruzione.it/argomenti/autonomia/documenti/rego-
lamento.htm
136
parte, la natura comunicativa della disciplina e, dall’altra, la sua natura estetica e

storico-culturale legata alle opere d’arte.

Con le Indicazioni nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola

Primaria e le Indicazioni nazionali per i Piani Personalizzati per le attività educative

nella Scuola dell’Infanzia, il focus si sposta sul concetto di competenza. I Piani di

studio personalizzati (PSP) prendono il posto dei curricoli e al centro si pone lo svi-

luppo di «competenze personali essenziali». Se, dall’alto, la Riforma Moratti istitui-

sce attraverso il Profilo educativo culturale e professionale95 (PECUP) ciò che lo

studente al termine del Primo Ciclo “dovrebbe sapere e fare per essere l’uomo e il

cittadino che è giusto attendersi da lui al termine del Primo Ciclo di istruzione”96,

spetta, dal basso, al team docente creare percorsi didattici differenziati e persona-

lizzati tesi alla massima valorizzazione di ciascun alunno. Nonostante la Riforma

Moratti abbia posto le basi per una didattica personalizzata e per competenze, l’iter

progettuale presentava una complessità tale da rendere difficoltosa la sua concreta

attuazione97.

Nella Scuola dell’Infanzia non si rintracciano significativi mutamenti nell’ambito

delle arti, se non il cambiamento del campo di esperienza che prende il nome di

fruizione e produzione di messaggi che sottolinea la doppia via d’accesso possibile

al linguaggio iconico.

95 Allegato D al D.Lgs n. 59/2004 per il I ciclo di istruzione.


96 Ibid.
97 Il modello di progettazione per competenze definito dalla Riforma Moratti prevedeva: una pre-

liminare analisi dei bisogni del contesto e dei soggetti sulla base dei quali il team docente identificava
Obiettivi Formativi, declinati in termini di competenze. Gli Obiettivi Formativi servivano per costruire
Unità di Apprendimento capaci di declinare le competenze presenti nel PECUP in conoscenze e
abilità (Obiettivi specifici di apprendimento, presenti nelle Indicazioni nazionali per i “Piani di Studio
Personalizzati” nella Scuola primaria). L’iter progettuale culminava nell’accertamento delle compe-
tenze che avveniva attraverso il Portfolio.
137
Nella Scuola Primaria (organizzata in 1+2+2) è evidente una continuità con le

Indicazioni De Mauro e i Programmi del 1985. In particolare, la disciplina assume il

nome di Arte e immagine, racchiudendo in sé più orientamenti formativi (educazione

al patrimonio, ai beni culturali, all’arte; educazione ai linguaggi visivi e ai medium

tradizionali e mass-mediali) che la rendono complessa e articolata. La scansione

degli obiettivi specifici mostra una certa gradualità che tende a rendere l’alunno pro-

gressivamente più competente. Un aspetto interessante si trova nelle Raccoman-

dazioni per l’attuazione delle Indicazioni nazionali per i Piani di studio Personalizzati

nella Scuola Primaria (ottobre 2002) nelle quali si fa riferimento alla necessità di

realizzare Laboratori98 espressivi all’interno della quota oraria obbligatoria nel corso

dei cinque anni della scuola. Il laboratorio consente agli alunni, organizzati preferi-

bilmente in gruppi, di sperimentare e mettere in pratica l’insieme di linguaggi ap-

presi, dando ad essi coerenza e significato. Esso può essere svolto da più inse-

gnanti o da un docente tutor che aiutano gli allievi ad organizzare il lavoro.

La stessa focalizzazione sulle competenze emerge nelle Indicazioni per il curricolo

per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo d’istruzione del 200799 (Ministro Fioroni),

edite in seguito ai provvedimenti europei e nazionali sulle competenze chiave del

primo ciclo di istruzione, ossia la Raccomandazione del Parlamento europeo e del

Consiglio del 18 dicembre 2006 (2006/962/CE) relativa alle competenze chiave per

l’apprendimento permanente100 e il nuovo obbligo di istruzione esteso a 16 anni (L.

98 Nel documento si legge che il laboratorio è “è il luogo privilegiato in cui si realizza una situa-

zione d'apprendimento che coniuga conoscenze e abilità specifiche su compiti unitari e significativi
per gli alunni, possibilmente in una dimensione operativa e progettuale che li metta in condizione di
dovere e poter mobilitare l’intero sapere esplicito e tacito di cui dispongono”.
99 D.M 31 Luglio 2007. Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni.
100 Le otto competenze chiave per l’apprendimento permanente sono: comunicare nella lingua

madre; comunicazione in lingue straniere; competenza matematica e competenza di base in campo


scientifico e tecnologico; competenza digitale; imparare ad imparare; competenze sociali e civiche;
spirito di iniziativa e imprenditorialità; consapevolezza ed espressione culturali. http://eur-lex.eu-
ropa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Ac11090
138
26 dic. 2006 e Decreto 22 ago. 2007). Le Indicazioni promuovono uno sviluppo in-

tegrale del soggetto affinché questo acquisisca quelle competenze utili a divenire il

cittadino europeo del domani. In quest’ottica vanno anche interpretati gli assi cultu-

rali all’interno dei quali si organizzano i saperi: ogni asse presenta competenze (tra-

guardi per lo sviluppo della competenza), conoscenze e abilità (obiettivi di appren-

dimento) ritenute fondamentali per la formazione umana, oltre che culturale, del gio-

vane.

Per la scuola dell’infanzia si rintraccia un ulteriore cambiamento nel nome del

campo d’esperienza legato all’espressività: al posto del precedente fruizione e pro-

duzione di messaggi abbiamo Linguaggi, creatività, espressione. Si sottolinea la

centralità della gestualità, dell’arte, della musica e della multimedialità al fine di ren-

dere consapevole il bambino della complessità dell’esperienza e dei linguaggi che

ci circondano.

Nella scuola primaria, il nome della disciplina resta la medesima e viene inse-

rita all’interno dell’asse culturale dei linguaggi. Le competenze da raggiungere al

termine della scuola primaria riguardano l’utilizzo degli “elementi grammaticali di

base del linguaggio visuale [...] delle conoscenze sul linguaggio visuale per produrre

e rielaborare in modo creativo le immagini attraverso molteplici tecniche, di materiali

e di strumenti diversificati”101 e la fruizione e interpretazione consapevole del patri-

monio artistico-culturale.

Gli obiettivi d’apprendimento, individuati per il termine della classe terza e della

classe quinta, si articolano seguendo tre aspetti legati all’educazione artistica: la

percezione visiva, la lettura e la produzione. All’interno dei curricoli scolastici, i do-

centi dovrebbero prevedere un raccordo tra queste dimensioni che possono solo

101
Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione 2007.
139
superficialmente essere separate ma che, insieme, determinano lo sviluppo di una

effettiva competenza in ambito artistico.

La scansione per assi culturali è stata abbandonata nelle nuove Indicazioni

nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione 102 del

2012 (Ministro Profumo), nelle quali la disciplina arte e immagine è autonoma. Nella

scuola dell’infanzia, con il campo d’esperienza immagini, suoni, colori, si pone l’at-

tenzione su alcuni elementi delle attività espressive. Concetti chiave restano quelli

di fantasia, creatività ed immaginazione da incentivare e promuovere attraverso

l’uso di materiali e tecniche differenti.

Da un punto di vista strutturale, si può cogliere un svolta in negativo per l’edu-

cazione artistica. Nonostante si siano maggiormente messe a fuoco le dimensioni

di sviluppo (Esprimersi e comunicare, Osservare e leggere le immagini, Compren-

dere e apprezzare le opere d’arte), la disciplina appare meno definita ed epistemo-

logicamente fondata come mostra la riduzione dei traguardi per lo sviluppo delle

competenze al solo termine della quinta classe.

A livello nazionale è presente un riconoscimento delle arti che dovrebbe riper-

cuotersi, a livello locale, nella stesura di curricoli unitari, progressivi e verticali che

tengano conto della valenza educativa di tutti i linguaggi. L’alfabetizzazione di base

passa non solo dai tradizionali saperi ma anche da quelli che, convenzionalmente,

hanno avuto minor peso nei percorsi scolastici.

3.2.3. L’educazione artistica nel contesto locale

102 D.M 16 Novembre 2012, n. 254. Ministro della Pubblica Istruzione Francesco Profumo.
140
La Piana di Lucca conta 15 Istituti comprensivi, di cui 7 afferiscono alla città di

Lucca, 4 al comune di Capannori e uno per i comuni di Pescaglia, Montecarlo, Por-

cari e Altopascio. Sono presenti sul territorio 46 scuole dell’infanzia e 53 scuole

primarie.

La ricerca sull’educazione artistica nelle scuole ha visto l’analisi dei POF e dei

PTOF elaborati nell’anno accademico 2015/2016. Il primo documento afferisce al

D.P.R n. 275 del 8/03/1999 nel quale, all’art 3 si può trovare una chiara definizione:

“1. Ogni istituzione scolastica predispone [...] il Piano dell'offerta formativa. Il Piano è

il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni

scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organiz-

zativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia.

2. Il Piano dell'offerta formativa è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei

diversi tipi e indirizzi di studi determinati a livello nazionale [...] e riflette le esigenze del

contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della program-

mazione territoriale dell'offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni

metodologiche [...] e valorizza le corrispondenti professionalità.

3. Il Piano dell'offerta formativa è elaborato dal collegio dei docenti [...]. Il Piano è

adottato dal consiglio di circolo o di istituto”103.

Il secondo documento, invece, ha un’origine più recente, e nello specifico na-

sce in seno alla legge n.107 del 2015 dell’attuale governo Renzi. Il PTOF (Piano

triennale dell’offerta formativa) è, come, il POF un documento che definisce le linee

programmatiche dell’istituzione scolastica. Il cambiamento, oltre all’allargamento

del periodo di validità che è di tre anni, sta nella sua finalità. Esso, infatti, vede la

103 http://archivio.pubblica.istruzione.it/argomenti/autonomia/documenti/regolamento.htm
141
scuola come un luogo aperto e di ricerca che punta a rendere le azioni didattiche

sempre più efficaci ed efficienti. In quest’ottica, il PTOF è in relazione soprattutto

con il RAV (Rapporto di Autovalutazione) che fornisce una rappresentazione della

scuola e con il PdM (Piano di Miglioramento) che individua dei traguardi di sviluppo

da perseguire per il miglioramento dei percorsi formativi. La responsabilità della ge-

stione del processo di miglioramento è affidata al dirigente scolastico, che si avvarrà

delle indicazioni enucleate durante le fase di valutazione e compilazione del RAV.

Il PTOF prevede: il potenziamento delle competenze e dei saperi degli studenti

attraverso attività progettuali che tengano conto degli obiettivi formativi forniti al

comma 7 dell’art. 1104 ; le iniziative di formazione rivolte agli studenti, per promuo-

vere la conoscenza delle tecniche di primo soccorso; la programmazione delle atti-

vità formative per il team docente, amministrativo, ausiliare e tecnico;; l’educazione

alla parità dei sessi e alla lotta contro il sessismo; percorsi formativi e iniziative volti

ad orientare e valorizzare il merito scolastico e il talento degli allievi; la definizione

di linee guida da attuare per incrementare le competenze digitali degli studenti se-

condo quanto previsto dal Piano nazionale per la scuola digitale; l’individuazione

degli insegnamenti e delle discipline.

All’interno di questi due documenti ho posto l’attenzione su tre aspetti in parti-

colare, laddove fossero presenti:

- Ore dedicate all’educazione artistica nella scuola dell’infanzia e, soprattutto,

in quella primaria;

104 Per quanto riguarda l’ambito artistico alla lettera c): “potenziamento nelle competenze nella

pratica e nella cultura musicali, dell’arte e nella storia dell’arte, nel cinema, nelle tecniche e nei media
di produzione e di diffusione delle immagini e dei suoni, anche mediante il coinvolgimento dei musei
e degli altri istituti pubblici e privati operanti in tali settori”.
142
- Progetti “artistici” svolti dentro le mura scolastiche o con la collaborazione di

enti pubblici e/o privati esterni;

- Presenza di parole chiave come creatività, fantasia, immaginazione.

Rispetto al primo aspetto, nella scuola dell’infanzia non si trovano riferimenti

chiari alla scansione temporale delle attività per campi d’esperienza. Ciò è dovuto

all’impossibilità di separare nettamente i diversi campi che contengono attività inter-

connesse tra loro. In molti casi nei POF analizzati si utilizza una denominazione che

risale alle Indicazioni nazionali del 2007 (Linguaggi, Creatività, Espressione) piutto-

sto che a quelle del 2012 (Immagini, suoni, colori). Lo stesso vale per gli obiettivi

d’apprendimento e per i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Nei documenti

scolastici le attività grafico-manipolativi hanno comunque una grande importanza

come nel caso delle scuole dell’infanzia di Lucca 1 nelle quali vengono svolti labo-

ratori espressivo-creativi. Anche nelle scuole dell’infanzia di Lucca 2 viene pro-

mossa la creatività dei bambini ma, qui, viene perseguita attraverso percorsi didattici

che collegano robotica e arte come il laboratorio “Piccole mani...grandi progetti” con

la bee-bot. Spostandoci dal centro della città, tra gli Istituti comprensivi di Capannori

e quelli di Pescaglia, Altopascio, Porcari e Montecarlo sono soprattutto quelli di Ca-

pannori e Montecarlo i più attenti alle dimensioni creativo-espressive. La scuola

dell’Infanzia di Colognora, ad esempio, propone un percorso didattico dal titolo Gio-

care con l’arte mentre quella di Montecarlo nel suo PTOF si propone di ampliare

l’offerta didattica nel campo delle discipline artistiche attraverso la realizzazione di

spazi laboratoriali specifici sul modello della scuola dell’Infanzia di Colognora, le cui

aule sono divise per laboratori.

Nelle scuole primarie della Piana l’attenzione rivolta alla disciplina Arte e im-

magine è molto minore rispetto al suo equivalente nella Scuola dell’infanzia. La

143
quasi totalità delle scuole primarie le dedica solo un’ora la settimana contro una

media di 6/8 ore di Italiano e 8/6 di matematica. Un caso esemplare è quello dell’Isti-

tuto comprensivo Don Aldo Mei che offre ai bambini 2 ore la settimana. Inoltre, l’isti-

tuto con gli altri del comune di Capannori ha attivato, da vari anni, il progetto “UNA

SCUOLA SU MISURA” per la realizzazione di laboratori di arte e immagine, musica,

teatro. Ben poche scuole, infatti, hanno uno spazio specifico, fanno eccezione la

scuola primaria di Villa Basilica e la scuola primaria G. Pascoli di Lucca 1 che ha

un’aula di disegno e attività manipolative. Quest’ultima, inoltre, insieme alle scuole

primarie di Lucca 5 partecipano ai percorsi laboratoriali organizzati dalla Fondazione

Ragghianti.

Nei vari Istituti comprensivi esistono abbastanza progetti legati all’arte, la mag-

gioranza dei quali si sviluppa nell’area di Lucca e di Capannori. Nella scuola prima-

ria di Santa Maria del Giudice (Lucca 2), ad esempio, è stato realizzato il progetto

“siamo tutti grandi artisti” per le classi III, IV e V. Gli IC Lucca 2, 5, 6 e 7 e Don Aldo

Mei partecipano al progetto “Senza Zaino” ideato da Marco Orsi che si propone di

cambiare l’assetto tradizionale della scuola a partire dall’ambiente di insegna-

mento/apprendimento. La classe viene aperta e, al posto del luogo asettico e spo-

glio, viene allestito un ambiente ricco, arredato con mobilio funzionale e dotato di

una grande varietà di strumenti didattici sia tattili che digitali. Nelle scuole che con-

dividono l’impianto pedagogico e didattico del progetto senza zaino, gli spazi ven-

gono vissuti in maniera attiva e creativa. Nell’istituto comprensivo Lucca 5 sono stati

allestiti laboratori di arti grafiche e falegnameria. Lo stesso vale per l’IC Lucca 7 nel

cui PTOF viene definita un’Area progettuale dei Linguaggi che ha come finalità

quella di “sviluppare negli studenti la capacità di comunicare integrando diversi lin-

144
guaggi per acquisire nuove conoscenze e per interpretare la realtà in modo auto-

nomo”. Per tale ragione sono stati pensati dei laboratori di artigianato e di arti e

mestieri.

Anche nel PTOF dell’IC Carlo Piaggia si parla di un potenziamento delle me-

todologie laboratoriale, da sviluppare attraverso il Progetto ScuolaLAB, e delle com-

petenze nella pratica e nella cultura musicali e artistiche e nell’alfabetizzazione alle

tecniche e ai media di produzione e diffusione delle immagini. Per sviluppare le

competenze artistiche ed espressive l’IC ha predisposto il Progetto ARTE E MU-

SICA che prevede l’allestimento di laboratori espressivo-creativi con materiali e sup-

porti adatti (cavalletti per dipingere, tele, matite, tempere ecc…).

Le scuole del centro di Lucca hanno stretto legami con i musei del territorio e

con la sovraintendenza ai beni culturali che permettono di far conoscere ai bambini

le bellezze del patrimonio artistico-culturale della città.

La centralità posta sul legame tra arte e infanzia si evidenzia anche dalla pre-

senza di parole chiave come fantasia, immaginazione e creatività. Se la prima pa-

rola viene rinvenuta in alcuni POF/PTOF, la seconda viene nominata una sola volta

nel POF dell’IC Carlo Piaggia tra le finalità della scuola dell’infanzia. La parola crea-

tività, invece, viene riproposta con maggiore frequenza data la sua più amplia ap-

plicabilità. Questa infatti si trova spesso legata a tematiche come l’educazione alla

legalità o l’informatica. Quest’ultima, soprattutto, sembra avere molto peso negli

odierni POF/PTOF che guardano alla didattica con e ai supporti digitali come ele-

mento innovativo che aiuta a sviluppare la creatività nei bambini.

Tra i vari documenti visionati posso affermare che quello più ricco di dettagli e

informazioni è il POF dell’IC Carlo Piaggia. Al suo interno non solo si trovano infor-

mazioni riguardanti le strutture scolastiche e le offerte formative ma anche chiari

145
rimandi agli impianti metodologico-didattici utilizzati. Nell’ambito dell’educazione ar-

tistica, l’Istituto ha adottato un metodologia definita Globalità dei Linguaggi. Essa ha

come finalità la valorizzazione e l’inclusione di tutti, la prevenzione dallo svantaggio

e dal disadattamento da realizzare attraverso la manipolazione, il gioco, l’espe-

rienza concreta.

Da quanto emerso dall’analisi dei POF e PTOF, l’educazione artistica risulta

in alcuni casi un elemento focale degli intenti formativi degli istituti comprensivi,

come per l’IC Carlo Piaggia, in altri riveste un ruolo decisamente più marginale. È

evidente una polarizzazione di tendenze che porta una non omogeneità tra i per-

corsi formativi. Nonostante nelle Indicazioni nazionali si parli di una alfabetizzazione

di base da intendere come un processo formativo teso ad arricchire il soggetto e

renderlo più preparato ad affrontare il mondo che si presenta come sfaccettato e

poliedrico, alcune scuole continuano a seguire una tendenza tradizionalista. Sono,

in particolare, le scuole come quelle che afferiscono all’Istituto comprensivo di Alto-

pascio, nei cui POF mancano parole come creatività, immaginazione e fantasia, a

soffrirne maggiormente in quanto dimostrano una mancanza di cura e attenzione a

tutte le dimensioni del bambino.

L’elemento positivo da rintracciare è che in tutti i POF/PTOF il potenziamento

artistico-musicale si lega all’ampliamento degli spazi laboratoriali se non anche alla

realizzazione di una didattica di impronta costruttivista oltre che laboratoriale. Ciò fa

ben supporre che ci sia una possibilità di svolta che vada nella direzione di una

maggiore attenzione e cura per le potenzialità espressive e creative dei bambini.

3.3. Il museo

146
Il museo è l’ultimo protagonista del sistema e si pone come ponte tra il territorio

e l’istituzione scolastica. Esso è un esponente fondamentale in quanto si fa porta-

voce e custode del patrimonio artistico e culturale.

La sua storia è stata a lungo analizzata e ha da sempre interessato gli storici

per la sua forte matrice umana di conservazione, promozione e diffusione della cul-

tura prodotta. La sua radice etimologica ne è in questo senso una dimostrazione. Il

termine museo deriva dalla parola del greco antico moyseion e si può tradurre come

luogo (o templio) delle muse105. Esso era un giardino in cui erano presenti statue

delle muse poste quali simulacri di un luogo di cultura ed arte. È però a partire dal

V secolo a.C che si radica la connessione tra il tema del giardino “protetto” e quello

della collezione museale. Quest’ultimo concetto si sviluppa, in particolare, grazie ai

romani che usavano accumulare opere d’arte che, andando ad adornare giardini e

residenze, diveniva espressione di potere. Tale funzione rimane quasi inalterata fino

ai giorni nostri nonostante si sia carica di differenti significati. Basti pensare, a titolo

esemplificativo, alle opere d’arte di carattere prevalentemente architettonico, scul-

tore e pittorico, commissionate dai papi ai grandi artisti dell’epoca106.

La svolta fondamentale si ha nel corso del XVIII secolo quando la divulgazione

del sapere inizia ad essere percepita insistentemente come una responsabilità pub-

blica. La collezione quindi passa dell’essere considerata come un bene privato, se-

gno di un personale potere politico-intellettuale, a uno pubblico, emblema dei na-

scenti stati nazionali. Risalgono, infatti, a questo periodo alcuni tra i più importanti

musei d’Europa quali il Louvrè e il British Museum, primo museo di Stato della storia.

105
Le muse nella tradizione greca sono le protettrici di tutte le arti e sono nove. Sono figlie di
Zeus e Mnemosine, dea della memoria.
106
Si veda l’imponente progetto, rimasto incompleto, di Giulio II iniziato da Michelangelo Buo-
narroti nel 1505 e protrattasi fino al 1513.
147
La crescente impronta nazionalistica si riverbera anche sulle istituzioni museali che

si trovano a fronteggiare le spinte espansionistiche delle nazioni europee, le quali

riempiono i loro musei con nuovi cimeli provenienti dai luoghi conquistati.

La deriva nazionalistica, sfociata nella seconda guerra mondiale, fa avvertire

la necessità di superare l’idea che i musei siano luoghi di beni nazionali ma che, al

contrario, essi siano spazi adibiti alla racconta e preservazione di beni universali da

tutelare attraverso un’azione comune. È l’ICOM (International Counsil of Museums),

nato sotto la direzione dell’UNESCO nel 1948, il concilio che prende su di sé questo

delicato e fondamentale ruolo di raccordo che si estrinseca nella coordinazione e

nella valorizzazione a livello internazionale dei sistemi museali. Ad esso si deve,

inoltre, la definizione più esaustiva di museo, ossia:

“A museum is a non-profit, permanent institution in the service of society and its de-

velopment, open to the public, which acquires, conserves, researches, communicates and

exhibits the tangible and intangible heritage of humanity and its environment for the purpo-

ses of education, study and enjoyment”

aggiornata nel 2007 in occasione del XXI Conferenza Generale tenutasi a Vienna.

L’ultima parte della definizione è quella che ha permesso alle strutture museali

di aprirsi al mondo dell’infanzia caratterizzata da esigenze formative differenti da

quelle di una audience adulta. Per tali ragioni, dalla fine dell’Ottocento in poi, si sono

andate creando nuove tipologie museali che hanno posto al centro il bambino e il

suo modo di vivere e interpretare il mondo. Nello specifico si prenderanno in esame

due configurazione, il museo dei bambini e il museo d’arte infantile, che sono rap-

presentative del binomio museo-infanzia.

148
3.3.1. Il museo dei bambini

I musei dei bambini sono istituzioni differenti dai tradizionali musei, nei quali ai

visitatori non è permesso toccare o interagire con le esposizioni. Nei Children’s Mu-

seum, invece, le esibizioni sono pensate per incoraggiare l’apprendimento esplo-

rando, sperimentando ed usando i sensi e l’immaginazione. Dal primo museo dei

bambini, il Brooklyn Children’s Museum, aperto nel 1899, il modello si è diramato

esponenzialmente tanto che oggi si contano più di 400 musei, la maggioranza dei

quali afferisce alla Association of Children’s Museums107.

La ACM, nata nel 1962, stabilisce standards per la pratica professionale, rac-

coglie le ricerche e le migliori pratiche per promuovere forme di apprendimento per-

manente e stringe partenariati nazionali e internazionali. Dalle ricerche emerge che

il 49% segue i programmi scolastici mentre il 60% sviluppa materiali curricolari.

L’impianto pedagogico che anima i musei dei bambini è quello conosciuto

come hands-on, ovvero mani-sopra. Tale prospettiva scardina l’impianto tradizio-

nale legato alla collezione, l’apprendimento e l’educazione poiché presuppone l’in-

terazione e una costruzione attiva della conoscenza.

Hands On!108 è dal 2014 anche un’Associazione Internazionale per i bambini

nei musei, costituita da membri provenienti da 45 paesi differenti del mondo, la quale

crede che i musei debbano essere luoghi che stimolano la curiosità e l’immagina-

zione e che ispirano la creatività, l’apprendimento informale e continuo. L’associa-

zione, in particolare, si pone tre obiettivi: accrescere la consapevolezza del valore

dei bambini nei musei da perseguire attraverso la realizzazione di iniziative su larga

107 http://www.childrensmuseums.org/
108 http://www.hands-on-international.net/
149
scala come Convegni e Conferenze che raccolgono l’energia e la professionalità di

specialisti su questo importante tema; supportare la validità di Hands On! racco-

gliendo dati, ricerche e progetti; assicurare il futuro dell’Associazione diversificando

prodotti e servizi. Tali obiettivi sono funzionali alla creazione di un nuovo paradigma

museale teso a rendere le visite esperienze indimenticabili tanto di incidere sul fu-

turo dei bambini.

In Italia i più importanti musei dei bambini sono la Città dei bambini e dei ra-

gazzi di Genova109, Explora110 di Roma e il recente MUBA111 di Milano. Quest’ul-

timo, nello specifico, è inserito all’interno di un sistema di partnership e di condivi-

sione internazionale a garanzia dell’innovatività e del continuo aggiornamento dei

progetti, oltre ad essere un socio fondatore di Hands On! a far parte di ICOM ed

ECSITE (The European Network of Science Centres and Museums).

MUBA è una Fondazione senza scopo di lucro che ha come finalità la forma-

zione e la diffusione delle espressioni culturali che puntino a sviluppare un pensiero

creativo del bambino tale da renderli pronti ad affrontare la società odierna. La fon-

dazione, inoltre, diffonde l’educazione non formale seguendo il metodo pedagogico

dei Children’s Museums. Il MUBA è una delle poche istituzioni ad aver organizzato

mostre interattive come la recente Vietato non toccare, in esibizione fino a marzo

2017, e più di 50 progetti didattici in Italia e in Europa. Proprio per questa ragione il

50% dei partecipanti è costituito da gruppi scolastici.

Il Museo che, dal 2014, ha sede presso la Rotonda della Besana offre uno

spazio ampio a misura di bambini. È ricco di materiali, stimoli e strumenti con cui i

109 http://www.portoantico.it/strutture/la-citta-dei-bambini-e-dei-ragazzi/
110 https://www.mdbr.it/
111 http://www.muba.it/

150
bambini posso giocare e, allo stesso tempo, conoscere e sperimentare il mondo in

maniera consapevole, grazie al contributo degli educatori.

Un esempio particolare di museo è quello rappresentato dal museo d’arte per

bambini di Siena, nato nel 1998. Esso si pone in una linea intermedia tra il tradizio-

nale museo d’arte e le istituzioni museali dedicate ai bambini. L’elemento che col-

lega questi due settori è la preposizione per che ci permette di cogliere il significato

sotteso. Il museo d’arte per bambini infatti è una struttura tematicamente determi-

nata e con una precisa missione che si deve alla audience al quale si rivolge. Il

museo senese ha come intento quello di avvicinare il mondo dell’infanzia, dai tre

agli undici anni, all’arte e alla cultura artistica attraverso l’esperienza vissuta nello

spazio museale. All’interno della struttura, si trovano esposte opere che hanno per

soggetto l’infanzia o che ad essa sono rivolte per volontà degli artisti. Le opere rac-

colte, raggruppate per temi, e le mostre offrono lo spunto per le attività didattiche

che vengono differenziate per fasce di età e progettate con l’apporto di linguaggi

artistici differenti. È presente, inoltre, un’amplia offerta didattica per le scuole che

consente, con un approccio interdisciplinare e un metodo attivo, di creare una co-

noscenza del patrimonio storico artistico.

I due modelli presi in esame mostrano come sia possibile avvicinare il mondo

dell’infanzia a quello dell’arte attraverso la creazione di uno spazio a misura di bam-

bino da vivere attivamente. La parola d’ordina di questi luoghi è hands-on per pro-

durre conoscenza a partire dalle proprie mani che divengono il mezzo per esplorare

la realtà, interpretarla e ri-crearla.

3.3.2. Il museo d’arte infantile

151
I musei d’arte infantile portano all’estremo la visione dell’infanzia come prota-

gonista all’interno del museo. Se nei due esempi riportati sono gli adulti a creare e

predisporre materiali, risorse, opere da destinare ai bambini, in questa tipologia il

bambino diventa il reale produttore delle collezioni esposte.

Questo modello prende avvio proprio a partire da quella rivoluzione artistica

intervenuta nel corso nel ‘900 che ha spinto molti artisti ad ispirarsi al mondo dell’in-

fanzia. Risalgono, infatti, già alla fine del XIX secolo le prime esibizioni di arte infan-

tile come quella presentata nel 1890 dalla Royal Drawning Society di Londra (“first

exhibition of children’s art even shown in Britain” per Stuart MacDonald112) o quella

del 1893 in cui molte scuole hanno esibito i lavori dei loro studenti presso la Chicago

World’s Fair. È soprattutto nel XX secolo che si ha una vera e propria esplosione di

esibizioni tanto da portare, in alcuni casi, alla realizzazione di Conferenze sull’arte

infantile come quella tenutasi nel 1907 e organizzata da Gerôme-Maesse a Parigi.

Importanti furono soprattutto le esibizioni di arte infantile organizzate in con-

nessione con le opere di artisti importanti come la viennese Kunstschau del 1908

voluta dai Secessionisti che riconoscevano il valore estetico dell’arte infantile e che,

per tale ragione, posero le opere di Oskar Kokoschka accanto a quelle prodotte

dagli studenti della scuola di Franz Cizek. La stessa impronta ebbe la mostra Salon

des enfants tenutasi a Parigi e organizzata da Henry Matisse nel 1909 nella quale

erano presenti i lavori dei suoi figli e di quelli di amici. In Italia, invece, una mostra

di questo tipo fu allestita dai futuristi Carlo Carrà e Umberto Boccioni a Milano nel

1911. Un altro importante contributo per lo sviluppo di questa tipologia di musei è

stato quello della Galleria 291 di New York che dal 1912 ha iniziato a proporre al

112
Finemberg J., When we were young. New perspective on the art of children, University of Cali-
fornia Press, Berkeley (Ca) 2006, p. 206.
152
suo pubblico opere di bambini riconoscendo quest’ultime come espressioni artisti-

che autentiche dello stesso calibro di quelle adulte. Della stessa idea era anche

Roger Fry che, dopo aver aperto la galleria-laboratorio Omega Workshops a Londra

nel 1912, inizia a esibire le opere dei bambini, oltre a produrre saggi sul valore este-

tico e l’alta qualità delle opere infantili.

Anche Herbert Read, noto per i suoi studi sull’arte infantile, ha realizzato esi-

bizioni con opere di bambini. A lui si deve, infatti, la selezione di disegni e dipinti di

bambini rappresentativi del periodo della guerra ed esposta dal 1940 al 1945. L’esi-

bizione a Parigi fu vista anche da Pablo Picasso, il quale pronunciò la nota frase

“when I was the age of these children I could paint like Raphael. It took me many

years to learn how to paint like these children113”. Grazie al contributo di Read, molti

musei nel corso dei decenni successivi hanno iniziato ad aprire le porte ai lavori dei

bambini riconoscendoli come arte.

Oggi, un’importante esibizione annuale è quella sponsorizzata da Pentel of

America, la International Children’s Art exhibitions, che dal 1970 raccoglie opere di

bambini dai 3 ai 15 anni di età da tutto il mondo.

Il crescente interesse verso questa tipologia di esibizioni ha iniziato, verso la

fine degli anni ‘80 del secolo scorso, a far sentire l’esigenza di costruire delle strut-

ture museali dedicate in maniera specifica alle opere dei bambini. È in questo pe-

riodo infatti che prendono vita alcuni importanti istituzioni museali musei come il

Children’s Museum of Art di New York, il Museum of Children’s Art ad Oakland e gli

europei London International Gallery of Children's Art e International Museum of

Children’s Art ad Oslo. Quest’ultimo è il più importante e conosciuto in Europa e,

per tale ragione, attrae visitatori, famiglie, scuole e studiosi.

113
Ibid., p. 233.
153
154
3.3.3 Reportage from the International museum of children’s Art

Lascia disegnare un bambino.

Ti mostrerà la realtà di oggi

e il mondo di domani.

155
Figura 4. Biglietto di entrata recante il simbolo del museo. Foto dell’autrice

Figura 5. Alcuni esempi di lavori realizzati dai bambini. Immagine tratta dalla rete.

Il museo internazionale di arte infantile si trova in una zona residenziale della

città norvegese di Oslo, al numero 4 di Lille Frøens vei.

156
Figura 6. Museo veduta esterna. Foto tratta dal sito del museo www.barnekunst.no

Figura 7. Museo area esterna. Figura 8. Museo area giochi.

Nonostante la posizione decentrata, l’attuale direttrice Angela Goldin afferma

che il museo è più visitato di molti altri presenti nel centro della città, tanto da far

157
registrare, nel 2015 più di 15.000 visitatori. La cifra è sicuramente indicativa, in par-

ticolare, perché contrariamente ad altre istituzioni museali usufruisce solo in parte

dei contributi finanziari del Ministero della Cultura che negli ultimi sette anni hanno

visto una significativa riduzione. Il numero di visitatori, benché non elevato, mostra

comunque un crescente interesse generale verso la cultura infantile di cui il museo

si fa promotrice e protettrice. Il museo nato nel 1986 ad opera del regista Rafael

Goldin e di sua moglie Alla Goldin, ha come obiettivi principali la preservazione,

creazione e presentazione delle opere infantili come espressione di una cultura da

tutelare e valorizzare. In linea con la Convenzione dei diritti dell’infanzia, il museo

vuole portare avanti i diritti dei bambini e divenire, in futuro, un centro di ricerca per

lo studio della storia, dell’arte e della cultura infantile.

Il museo, che contiene opere provenienti da 180 paesi differenti prodotte da

bambini e giovani dai 2 ai 18 anni, si differenzia dai tradizionali children’s museum

“in which children come and play”, come afferma la Goldin. L’elemento di distinzione

sta proprio nella preposizione articolata dai (BY, in inglese) che sottolinea il ruolo

da protagonista del bambino nella realizzazione delle opere. In questo senso, esso

non solo riconosce il valore estetico dei lavori infantili ma li considera come foriere,

ad un tempo, di storia e innovazione, dal momento che

“It is said that children are people. But, people do not exist without a culture. Children

are people who belong to the future. And they have the right to their own culture, their own

art and history”.

Significative anche le parole di Angela Goldin, che per far comprendere più

chiaramente il senso della missione del museo, fa un esempio

158
“At the moment the museum hosts an exhibition called Norway: norwegian entries

from the museum’s collection that provides works of norwegian’s children on how they ima-

gine life in Norway in one hundred years. If you look at the works you could see how children

elaborate the theme, what they utopically think. But we could also see how children’s vision

of the world evolve in relation to the reality they live in and, in fact, many works are focused

on technology. When we will look at them in 20 years, we will see how much they had

imagined and how far they had been from the reality. The museum has a long perspective:

it preserves children’s creativity and shows also the evolution of society”.

Il museo quindi contribuisce a darci una migliore comprensione della visione

infantile e degli standard valoriali per apprezzare le opere infantili in tutta la loro

complessità. Tali finalità vengono perseguite, soprattutto, attraverso le mostre tem-

poranee che sono legate a iniziative di carattere mondiale, in particolare con l’ONU

e l’UNICEF. Quest’anno, infatti, in occasione del trentennale del museo, verranno

esibite mostre che ripercorrono tutte le iniziative a cui il museo ha partecipato. Sui

tre piani in cui si sviluppa il museo, per il 2016 sono previste le seguenti mostre

(tutte temporanee tranne l’ultima) che afferiscono a progetti internazionali, ad ecce-

zione della mostra norvegese che appartiene ad un progetto nazionale:

 Norway: Norwegian entries from the museum’s collection. Il museo ha ospi-

tato una competizione di disegno in collaborazione con il Norway Post office

che ha chiesto ai bambini “How do you imagine life in Norway in one hundred

years?”

 Future in your hands (2004). Lo scopo del progetto era di capire il modo di

vivere e comprendere la disabilità da parte dei bambini. La collezione di

159
opere d’arte per questo progetto globale è stata iniziata dalla Rehabilitation

International Norway & The Atlas Alliance.

 Anna Dzhibladze (born in 1989). Il museo ospita le opere della piccola artista,

create presso lo studio d’arte della madre dall’età di 2 anni fino a 7 anni. Le

opere sono estremamente colorate e con uno stile surrealista che ricorda le

ambientazioni oniriche.

Figura 9. Opere di Anna Dzhibladze. Foto tratta dal sito.

 Children and nature (1989-) Questa mostra ha come focus la coesistenza

inseparabile tra l’uomo e la natura e il legame speciale tra il bambino e la

natura circostante.

160
 Sos-Children villages Guatemala. Le opere mostrano la relazione tra cultura,

territorio e persone dalla prospettiva infantile.

 Disaster (1991-). La mostra è una selezione di opere d’arte centrate sul tema

“Disaster seen through children’s eyes”. Il progetto è stato prodotto dalla

WHO (World Health Organization) e aveva come obiettivo quello di mostrare,

attraverso le immagini realizzate dai bambini, come vengono vissuti disastri

importanti quali Chernobyl, tzunamis, guerre ed inquinamento. Personal-

mente posso affermare che la mostra è veramente toccante.

Figura 10. Katastrofe, Kowit W., (13), Thailand. Foto tratta dalla rete.

 Family through the eyes of children 1994. In occasione dell’anno internazio-

nale della famiglia proclamato dall’ONU, l’UNESCO in collaborazione con il

161
museo hanno creato un progetto artistico globale che ha portato alla realiz-

zazione di mostre in tutto il mondo.

Figura 10. A child's dream of parents with more time Mia Koch (16) Norway. Foto tratta dal sito

 “Daddy world wide” e “Mother and Child”. Sono due esibizioni che si trovano

nella medesima sala che mostrano una selezione di immagini sull’importanza

delle figure parentali. Sono lavori estremamente significativi per compren-

dere come i bambini vedono e vivono il rapporto con i loro genitori.

Figura 11. She was happy when daddy came, May Britt (11), Norway. Foto tratta dal sito.

162
 Orphan Voices - Alone with aids 2001. Molti bambini sono stati resi orfani a

causa dell’Aids. Il progetto è nato in sede alla NORAD e vuole far vedere le

esperienze vissuta dai bambini direttamente dai loro occhi.

 Portraits, Rainforest and doll collection. Queste tre esibizioni sono perma-

nenti. La prima raccoglie una vasta gamma di ritratti da ogni parte del mondo

che nascondono personalità e storie.

Figura 13. Me. M (4) Indonesia. Figura 12. Ritratti: vista dal primo piano. Foto tratte dal sito.

La seconda, invece, ha preso avvio nel Novembre del 1990, quando i

fondatori, durante un viaggio, hanno visitato la “Usko-Ayar Amazonian

School of Painting and Nature” di Pucallpa, Peru. In quella occasione hanno

incoraggiato gli studenti a creare una serie di immagini centrate sul tratta-

mento della foresta.

163
Figura 14. One the way for fishing, David Esquivel (16), Peru. Foto tratta dal sito

La terza, infine, che si trova all’ultimo piano del museo, sembra una

stanza magica tanto che i bambini si riferiscono a questa chiamandola “magic

room”. Essa ospita bambole, maschere e marionette provenienti da ogni

parte del mondo.

164
Figura 15-16. “Magic room”. Foto tratte dal sito.

Il programma di quest’anno è dunque particolarmente ricco e denso e tratta

tematiche importanti e tutt’altro che banali, seguendo sempre l’impostazione inter-

nazionale del museo. Non è un caso infatti se la quasi totalità delle mostre si basa

su progetti internazionali legati ai diritti del bambino.

Le opere presenti nel museo sono selezionate da un team composto dai re-

sponsabili del museo e dai promotori dei progetti. Il gruppo di persone che seleziona

le opere varia a seconda dei partner con cui collabora il museo.

I lavori vengono scelti tenendo conto di alcuni criteri: tecnica (forma, colore,

composizione dello spazio) e costruzione del significato. L’integrazione delle varie

componenti tecniche concorrono ad arricchire o indebolire il messaggio che sot-

tende alla creazione dell’immagine. La Goldin infatti afferma che spesso arrivano

165
loro opere tecnicamente perfette ma povere dal punto di vista espressivo, stereoti-

pate o lontane dalla tematica trattata per ciascun progetto. Il museo, comunque,

accoglie tutte le opere che vengono inviate, conservandole in un archivio. I lavori

che vengono selezionati ed esposti sono quindi particolarmente significativi e of-

frono un‘ampia varietà di riferimenti culturali. Se una piccola parte di opere viene

esposta, l’altra parte viene utilizzata spesso per fini di ricerca o cedute a publish

companies.

I tre piani su cui si articola il museo accolgono anche spazi destinati alla libera

produzione infantile. Importante è lo spazio laboratoriale allestito al piano terra che

ogni lunedì e domenica ospita workshops d’arte o musica gestiti da insegnanti arti-

sti. In entrambi gli spazi i bambini hanno la possibilità di portare a casa ciò che

hanno prodotto anche se, ci confessa Angela Goldin, è successo spesso di chiedere

a dei bambini se volessero lasciare in custodia al museo le loro opere per studiarle

o esporle. Le scuole sono invitate a partecipare ai workshops e a visitare il museo

ma non esistono, ad oggi, veri e propri partenariati con le scuole. Nonostante ciò, il

museo predispone visite per le scuole suddivise per fasce d’età: 1-4, 5-7 e 8-10

anni.

Il programma delle visite prevede una visita integrale del museo di una durata

di circa 90 minuti e una serie di attività opzionali. Per i bambini della scuola dell’in-

fanzia la guida cerca di utilizzare giochi e tecniche comunicative capaci di coinvol-

gerli. Per i bambini più grandi la visita guidata è più articolata poiché può prevedere

relazioni con i curricoli scolastici delle differenti discipline. Anche in questo caso

elementi imprescindibili sono la riflessione e la conversazione.

La visita inizia considerando il senso del nome del museo e riflettendo su

parole chiave come arte, museo e qualità; in seguito, la guida mostra ai bambini i

166
vari lavori facendo attenzione ai topics e alla relazione tra questi e le opere e cerca

di stimolare nel bambino il desiderio di osservare, analizzare ed interpretare ciò che

vede. Per fare ciò essa può porre al gruppo alcune semplici domande quali: che

cosa vedi in questa immagine? Che tipo di tecnica usa l’artista? Qual è il messaggio

dell’immagine, che cosa pensi l’artista volesse esprimere?

Infine, dopo aver visitato «the magic room», i bambini possono partecipare a

un’attività musicale inclusa nel guided tour durante la quale vengono incoraggiati a

partecipare attivamente.

Il museo d’arte infantile è inoltre aperto anche a gruppi con bambini aventi

bisogni speciali. La struttura non è particolarmente accessibile a soggetti con pro-

blemi nella locomozione ciononostante il museo adotta strategie per sopperire a tale

disfunzionalità. Al gruppo con bambini portatori di bisogni speciali viene richiesta

una prenotazione in anticipo e una descrizione delle problematiche affinché il per-

sonale museale possa predisporre l’ambiente e il programma di visita nel rispetto

delle specificità dei soggetti. Ciò significa che la visita guidata (affidata a personale

competente e preparato dal punto di vista pedagogico) adatterà il programma enfa-

tizzando ad esempio alcuni aspetti come l’uso dei sensi per far apprezzare a tutti al

massimo il valore estetico e culturale delle opere.

Il desiderio del museo è quello di accogliere, coinvolgere il pubblico e rispon-

dere in maniera adeguata alle sue esigenze così da imprimere un ricordo positivo e

profondo. A mio avviso, il museo ricalca una idea tradizionalista di museo inteso

come luogo di conservazione. Benché, come si deduce dalle parole della respon-

sabile, il museo sia nato con la precisa finalità di conservare, tutelare e mostrare le

opere d’arte infantile, esso, ad oggi, manchi di spazi adatti alla spontaneità infantile.

I disegni sono appesi seguendo criteri adulti: immaginiamo un bambino di tre anni

167
che si trovi a visitare il museo, avrebbe sicuramente difficoltà a osservare le opere

posizionate nelle zone più alte delle pareti. Così come lo spazio predisposto alla

produzione spontanea all’interno delle sale è ristretto e non adatto a gruppi scola-

stici numerosi, nonostante nei programmi delle visite sia previsto un tetto massimo

di trenta bambini. Inoltre, non si trovano nelle sale angoli per riposarsi o mangiare.

Di questi problemi è consapevole anche il team che lavora per la gestione, promo-

zione del museo che ha presto evidenziato l’inadeguatezza dell’edificio che risulta

eccessivamente piccolo. Per tale ragione è stato realizzato da Snøhetta, studio in-

ternazionale di architettura, architettura del paesaggio e design, un feasibility study

su una possibile espansione del museo. Il risultato dello studio ha fatto emergere

che l’istituzione museale avrebbe bisogno di uno spazio compreso tra 1500 e 2000

m² tenendo conto dei locali destinati alle esposizioni, ai laboratori, ai servizi ammi-

nistrativi e a quelli di accoglienza e ristoro.

L’International museum of children’s art resta, nel panorama europeo e mon-

diale, una istituzione lungimirante e prestigiosa che mostra, con impegno, l’elevato

valore artistico, estetico, sociale, storico e morale che possiede l’arte infantile in ogni

tempo e luogo.

3.4. Note conclusive

I protagonisti del sistema sono fondamentali per istituire un sistema formativo

integrato in grado di incentivare il rapporto tra arte ed infanzia.

Dall’analisi effettuata emerge che esistono iniziative territoriali di rilievo che

richiedono un’azione di coordinamento al fine di dare visibilità ai lavori infantili.

Azione questa che dovrebbe essere svolta dal museo d’arte infantile. In particolare

168
l’impulso forte dovrebbe essere dato alla scuola che, nonostante le raccomanda-

zioni europee, manca di un significativo interesse verso le attività artistiche. Ciò si

evidenzia con maggiore intensità nella scuola primaria dove, a partire dalle Indica-

zioni nazionali fino ai POF/PTOF di ciascun istituto, si rintraccia una gerarchizza-

zione delle discipline a tutto sfavore di quelle artistiche.

Se a scuola l’arte resta fuori dalle aule, l’arte dei bambini entra di diritto nel

museo d’arte infantile come quello presente nella capitale norvegese di Oslo. L’In-

ternational museum of children’s art è un esempio emblematico di museo che ha

rovesciato il normale modo di concepire l’infanzia e l’arte da essa prodotta. Esso

considera i bambini come soggetti competenti capaci di esprimere se stessi attra-

verso i loro lavori artistici. Contrariamente ai musei per bambini, pensati e progettati

per i bambini da adulti, il museo d’arte infantile è fatto “dai” bambini per tutti. I bam-

bini con i loro diritti, sogni, idee ed esperienze rappresentati nelle opere, sono i reali

protagonisti del museo.

Su questo modello e su quello dei children’s museums si sviluppa progetto

del prossimo capitolo che tenta di integrare il museo con le esigenze della scuola e

le peculiarità del territorio della piana Lucchese.

169
CAPITOLO 4

Museo d’arte infantile: una proposta proget-


tuale

“Tutti sanno che è una cosa impossibile da realizzare,

finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”.

Albert Einstein

170
Il museo d’arte infantile che abbiamo immaginato vuole essere un’integrazione

tra il modello pedagogico-didattico e organizzativo dei childrend’s museums e quello

del museum of children’s art.

Il primo possiede una dimensione fortemente ludica e laboratoriale e una ge-

stione dello spazio museale come ambiente d’apprendimento ricco di stimoli e sol-

lecitazioni che aiutano il bambino a vivere a pieno l’esperienza all’interno del museo.

Il secondo si pone come luogo di promozione, preservazione, valorizzazione e stu-

dio della cultura infantile che passa attraverso le opere dei bambini, considerate

prodotti esteticamente rilevanti. Entrambi puntano l’accento sulla peculiarità delle

capacità espressive, creative ed immaginative dell’infanzia che necessitano di una

sempre più intensiva azione di potenziamento. In questo senso, i due modelli hanno

riconosciuto l’importanza rivestita dalla scuola che gioca un ruolo primario nel suo

essere un’istituzione addetta all’apprendimento formale.

I musei, al contrario, si muovono lungo i binari dell’educazione non formale

che riconosce il bambino come artefice e protagonista dei suoi processi conoscitivi,

i quali possono avvenire anche seguendo vie alternative all’istruzione.

Da queste premesse emerge come un museo d’arte infantile che si voglia

porre come “mediatore” tra scuola e territorio debba considerare, in primis, le loro

specificità. Da una parte la scuola, dal punto di vista artistico, dimostra spesso di

non saper rispondere adeguatamente alle necessità dei bambini, dall’altra il territo-

rio presenta iniziative che richiedono attenzione ma anche un intervento di raccordo.

Il museo potrebbe, dunque, costituire una risorsa per ancorarsi attivamente e con-

sapevolmente nel territorio dando maggior senso e rilevanza agli eventi e iniziative

artistiche e per far tornare l’arte all’interno delle aule scolastiche. Tutto ciò tenendo

171
ferma l’idea che un museo d’arte infantile dovrebbe costituirsi come un luogo rea-

lizzato da e per i bambini, nel quale l’adulto può scoprire le potenzialità estetiche e

artistiche dei bambini dai 3 agli 11 anni e ricordarsi di averle avute anche lui (e forse

di averle ancora…)

In quest’ultimo capitolo si illustrerà il progetto cercando di porre l’attenzione

sui suoi elementi essenziali, ossia la sua identità, organizzazione e impostazione

didattica.

4.1. Identità

Il museo d’arte infantile si costituisce come un’istituzione permanente, aperta

al pubblico senza nessuna forma di discriminazione, al servizio della società e

senza scopi di lucro. Per agevolare lo studio e l’educazione, esso si occupa della

raccolta, catalogazione, conservazione, esposizione di beni materiali e immateriali

che, nel nostro caso specifico, sono rappresentati dalle opere d’arte infantile sulle

quali ruota l’intera identità del museo. Da questa breve descrizione si possono chia-

ramente ricavare le funzioni che animano il museo e che possono, sinteticamente,

essere racchiuse in 4 punti:

1. Conservazione: come ogni museo anche questa tipologia ha alla base la rac-

colta e conservazione di opere. Nello specifico esse sono quelle prodotte a

scuola o all’interno del museo dai bambini della scuola dell’infanzia e primaria

che vengono selezionate ed esposte;

2. Ricerca: dal momento che le opere sono state realizzate da bambini, esse

possono divenire oggetto di studio e ricerca da parte di cultori della disciplina,

psicologi, pedagogisti, storici, critici dell’arte, artisti.

172
3. Promozione: esponendo tali opere, il museo non solo valorizza le capacità

dei bambini ma ne riconosce la cultura e i diritti. L’infanzia, come esplicitato

nella Convenzione sui diritti del bambino, ha il diritto di essere protetta e pro-

mossa in qualsiasi condizione socio-economica e culturale si trovi. Ogni bam-

bino ha il diritto di esprimersi con i mezzi e modi che più gli sono consoni.

4. Formazione: l’istituzione museale nasce come luogo dedito all’arte. Questa

sua radice permane tanto da esserne elemento focale.

Il bambino e l’adulto che visitano o partecipano a laboratori si trovano ad

accedere ad un percorso di formazione che tende a incidere in maniera si-

gnificativa sulla vita dei partecipanti. L’esperienza, se vissuta autentica-

mente, muove verso l’apprendimento permanente superando l’estempora-

neità del momento.

Per quanto concerne la mission del museo essa é in linea con le sue funzioni.

Il museo infatti si pone come finalità quella di promuovere la dimensione formativa

dell’arte del bambino attraverso un’azione congiunta che coniuga fare, pensare e

conoscere e nella quale il bambino può riscoprire se stesso e le sue potenzialità

espressive e creative anche attraverso la visione di altre opere realizzate da bam-

bini.

Il confronto con le opere permette di rendersi conto di quanto spesso non sia

necessaria una dote artistica realisticamente connotata, quanto una più importante

capacità di andare oltre l’ordinario, il consueto e lo stereotipo per andare verso la

personale percezione delle cose e delle esperienze. Le parole d’ordine sono, perciò,

le stesse che animano i laboratori munariani: creatività, immaginazione, fantasia ed

invenzione. Un unico binario che collega arte ed infanzia, rendendo il loro incontro

inimitabile.

173
4.2. Organizzazione

Il museo d’arte infantile che abbiamo progettato, prendendo a modello i musei

dei bambini e il museo d’arte infantile di Oslo, presuppone una struttura e un’orga-

nizzazione generale flessibile, dinamica e aperta. Ciò è necessario anche per la

presenza del legame che il museo dovrebbe instaurare con il territorio e con la

scuola. Per illustrare più chiaramente il progetto è necessario prendere in conside-

razione tre aspetti fondamentali: il reperimento delle opere e la loro esposizione,

l’organizzazione spaziale e dell’ambiente museale nel suo complesso e, infine, le

professionalità che sottendono alla gestione e realizzazione del museo.

4.2.1. Collezione, selezione ed esposizione

Collezione

Nel capitolo 3 si è analizzato il concetto di sistema formativo integrato mo-

strando come questo sia un’integrazione e superamento del concetto di rete. Esso,

infatti, presuppone un’azione comune da parte di diverse istituzioni che condividono

una medesima finalità: la formazione dei soggetti.

I bambini necessitano di azioni integrate e consapevoli che rendano le loro

esperienze dentro e fuori dalla scuola significative per la loro crescita, oltre che per

il loro arricchimento culturale. L’esperienza artistica, è importante ribadirlo, è

senz’altro una delle più ricche in questo senso in particolare per l’infanzia che ha

bisogno di linguaggi, mezzi e codici diversi di espressione.

Il museo d’arte infantile si pone dunque come collante tra territorio e scuola

proprio nel reperimento delle opere e nelle sue attività.


174
Sul versante territoriale, il museo si configura come un prolungamento

dell’identità culturale del territorio, andando a inserire e promuovere le varie inizia-

tive che vi si svolgono. Un esempio può in questo caso essere d’aiuto. Durante il

periodo di Settembre, Ottobre e Novembre la città di Lucca e le zone limitrofe sono

animate dall’energia del Lucca Comics and games. Il museo non può allora non

dare spazio e importanza a quest’evento che accoglie migliaia di appassionati. Al

suo interno dunque potrebbero essere predisposti attività laboratoriali per le scuole

sui Comics con il contributo degli esperti della mangaschool di Lucca, ma potreb-

bero anche essere allestite mostre con tavole manga che abbiano come protagonisti

dei bambini. In tal modo, il focus resta puntato sul bambino e sulla sua cultura an-

dando al contempo a valorizzare l’evento lucchese.

Sul piano scolastico, il museo si costituisce come un interlocutore. Nel pro-

getto, le due istituzioni dovrebbero alimentarsi vicendevolmente. Nei vari capitoli

abbiamo visto come l’arte e le sue dimensioni educative siano poco promosse all’in-

terno. Nonostante la scuola dell’infanzia ne sia maggiormente attenta rispetto a

quella primaria, resta una scarsa consapevolezza del valore estetico, conoscitivo

ed espressivo delle opere infantili. Per tali ragioni il museo, con le sue attività didat-

tiche in sede e quelle che promuove a scuola, svolgerebbe due importanti finalità:

spronare la scuola a dare ai bambini il tempo, gli spazi e i materiali per esprimersi

attraverso le immagini e l’arte e, inoltre, diffondere e far conoscere l’arte infantile

oltre i confini della scuola e della famiglia.

Come può il museo riuscire raggiungere tali obiettivi? La risposta sta nella

creazione di bandi di concorso per le scuole. Per reperire opere emana un bando di

concorso a cui possono partecipare le scuole (dell’infanzia, primaria o entrambe a

seconda della tipologia). Il concorso è centrato su un determinato tema ed offre alle

175
scuole la possibilità di scegliere il percorso didattico che più ritengono adeguato in

relazione alle esigenze dei bambini e in rapporto alle Indicazioni Nazionali. Il bando

avrà una durata trimestrale, al termine del quale le classi partecipanti dovranno spe-

dire il materiale presso la sede del museo con specificato: nome della scuola,

classe, sezione, nome del bambino in ciascun disegno o dipinto, titolo dell’opera e

data.

A titolo esemplificativo si può immaginare un bando rivolto sia alle scuole

dell’infanzia che primarie dal titolo Che faccia che hai!. Esso avrebbe come finalità

quella di mostrare non solo lo sviluppo grafico del bambino ma anche la sua creati-

vità e rielaborazione delle influenze culturali.

Alla scuola dell’infanzia, il bando si inserirebbe all’interno dei traguardi per lo

sviluppo delle competenze che afferisce al campo d’esperienza Immagini, suoni,

colori, che guarda al bambino come un soggetto capace che “utilizza materiali e

strumenti, tecniche espressive e creative”. A questo livello scolastico, le insegnanti

insistono molto sulla sperimentazione di differenti tecniche pittoriche anche attra-

verso l’uso di svariati materiali affinché i bambini ne colgano le potenzialità espres-

sive. Non sarebbe, dunque, difficile immaginare una serie di attività didattiche in-

centrate sul ritratto che, allo stesso tempo, muovessero verso il raggiungimento

della competenza delineata nelle Indicazioni. Il ritratto, inoltre, è un modo per valu-

tare l’acquisizione dello schema corporeo e delle espressioni facciali. Naturalmente

le opere saranno anche indicative del livello di grafismo raggiunto dal bambino ma

anche della capacità di esprimere se stesso, le sue intenzioni e le sue idee attra-

verso il disegno, i colori, la forma e la composizione.

Questi stessi elementi si ripresentano ma in maniera differente negli studenti

della scuola primaria. Le insegnanti di Arte e immagine potrebbero a questo livello

176
interpretare il tema del concorso come un percorso teso alla scoperta dei ritratti e

dei volti nella storia dell’arte così come nella contemporaneità. Non sarebbe sba-

gliato presupporre un percorso interdisciplinare che intrecciasse ad esempio arte e

italiano o arte e storia, naturalmente tenendo conto dei livelli di sviluppo e degli

obiettivi generali e specifici di ciascuna classe.

In sintesi, la collezione sarebbe composta da:

 Opere d’arte infantile raccolte e selezionate a partire dai bandi promossi dal

museo per le scuole della piana lucchese;

 Opere realizzate in sede dai bambini all’interno dei laboratori organizzati dal

museo o negli spazi adibiti al disegno libero;

 Opere concesse al museo da enti e associazioni culturali del territorio ed ex-

traterritoriali che svolgono attività artistiche per bambini.

Sarebbe interessante allargare la raccolta dei lavori a tutto il territorio nazio-

nale investendo tutte le scuole del sistema formativo italiano così da raggiungere

anche le zone più disagiate. In tal modo si avrebbe anche un confronto su come i

bambini vivono, interpretano e rielaborano il contesto socio-culturale nel quale sono

inseriti.

Selezione

Il personale museale (vedi paragrafo 4.2.3) è quello addetto alla selezione

delle opere ma sarà possibile il contributo esterno di figure specializzate come critici

d’arte, storici dell’arte e pedagogisti a seconda della tematica affrontata.

Tutti i lavori che vengono inviati al museo sono esaminati e valutati secondo

criteri di originalità, espressività, rispetto o meno del tema e tecnica. Come abbiamo

visto nei paragrafi 1.1.1. e 1.1.2., le opere infantili presentano peculiarità tali da non

177
poter essere valutate con gli stessi criteri con i quali si è soliti valutare le opere

adulte. La cifra stilistica delle opere infantile è racchiusa proprio in questa differenza:

i disegni dei bambini sono il frutto del loro modo di intendere, guardare e conoscere.

Dietro gli “errori” tipici delle rappresentazioni infantile si nasconde la tensione del

bambino di tradurre in immagine una realtà pensata. Per tali ragioni, un elemento

chiave della selezione sta nell’interpretare le opere dei bambini sulla base delle loro

specifiche abilità.

I lavori che giungono al museo dalle scuole o dagli altri centri locali vengono

analizzate tenendo conto dell’abilità del bambino di esprimere, creando un imma-

gine, un messaggio. Processo questo che, come sappiamo, è estremamente com-

plesso e richiede non solo tecnica ma anche gestione del compito, scelta dei colori,

degli elementi da escludere o realizzare. Alcune opere quindi spiccano per origina-

lità e rappresentatività proprio in quanto il bambino sa usare e reinventare le sue

abilità, conoscenze e capacità in relazione al messaggio da comunicare.

Se ad esempio prendiamo il contest citato sopra per la scuola, possiamo im-

maginare una scelta di opere in grado di mostrare emblematicamente le caratteri-

stiche tipiche dell’arte infantile ma anche di allontanarsi da queste per la personale

capacità rappresentazionale.

Nello specifico il museo mantiene tutte le opere ma espone, al termine del

concorso, da un massimo di 20 opere ad un minimo di 10, le quali verranno natu-

ralmente esposte secondo un ordine cronologico.

Esposizione

Le mostre, come in ogni museo, sarebbero sia di tipo permanente che tempo-

ranee.

178
Le esibizioni permanenti sono composte da quelle opere che spiccano per rappre-

sentatività di questa arte. In particolare, l’idea era quella di realizzare una mostra

organizzata seguendo un ordine cronologico teso a mostrare lo sviluppo delle abilità

grafiche e simboliche del bambino. In questo modo le due concezioni viste nel ca-

pitolo 1 verrebbero a convergere mostrando ad un tempo sia lo sviluppo infantile

delle abilità grafico pittoriche, sia la valenza estetica ed espressiva delle opere in-

fantili.

Una mostra di questo tipo inoltre ha come obiettivo quello di stravolgere l’abitudine

a considerare come arte solo quelle opere che seguono i criteri rappresentazionali

realistici e, invece, far notare quanto spesso il valore di un’opera passi proprio dalla

discrepanza tra tecnica e originalità. Le opere ad esempio di Anna Dzhibladze nel

museo di Oslo (paragrafo 3.3.3.) presentano elementi tipici dell’arte infantile come

il non rispetto delle regole prospettiche ciononostante esse sono caratterizzate da

un originale uso del colore che è preponderante e una scelta e composizione dell’im-

magine che rende l’opera completa così com’è, anzi l’assenza della prospettiva con-

corre a rendere le immagini ancora più significative.

Per quanto riguarda, invece, le mostre temporanee esse possono seguire un

ordine di tipo tematico. Una possibile esposizione potrebbe essere composta dai

lavori infantili che hanno vinto il contest emanato dal museo. Un altro possibile svi-

luppo tematico, potrebbe essere legato alle iniziative territoriali come per esempio

una mostra incentrata sull’uso creativo della carta in occasione della Biennale Car-

tasia.

Una esibizione interessante sarebbe quella costituita dall’incontro tra opere

d’arte infantile e opere d’arte adulta. Immaginiamo ad esempio una mostra che av-

vicini le opere di artisti surrealisti a quelle di artisti bambini che reinterpretano il tema

179
del sogno. O ancora, una mostra che metta in relazione ad esempio i bozzetti pre-

paratori di artisti importanti del calibro di Picasso o Klee con i disegni infantili.

Un’ultima tipologia espositiva è quella che il museo organizzerebbe annual-

mente al termine della scuola. La struttura museale metterebbe a disposizione i suoi

locali per mostrare tutte le opere giunte al museo in occasione del concorso pro-

mosso. In questo modo tutti i bambini avrebbero la possibilità di vedere esposte le

proprie opere e di poterle mostrare anche ai genitori.

4.2.2. Spazio

Come detto in precedenza, lo spazio del museo dovrebbe essere flessibile e

adatto ai bambini. In linea con le odierne tendenze ambientaliste il museo dovrebbe

essere costruito secondo i parametri del green building.

L’edificio dovrebbe svilupparsi su due piani connessi tra loro e accessibili da

tutti, compresi i soggetti con disabilità motorie. Entrambi i piani dovrebbero essere

costituiti come open space così da consentire la visione di ciò che si svolge all’in-

terno del museo.

Il piano terra dovrebbe essere una sala luminosa e accogliente organizzata

per angoli. Le opere dei bambini andrebbero ad essere esibite sulle pareti del mu-

seo ma anche su strutture (pannelli) mobili che dividono lo spazio. Lo stesso vale

per il piano superiore collegato al primo con un ascensore e una scalinata per la

salita e uno scivolo (o l’ascensore e le scale) per la discesa.

L’arredamento sarebbe tutto pensato per incentivare l’azione dei bambini.

Dato che il museo si inserisce all’interno di un’importante tradizione cartaria sarebbe

180
ideale arredare l’ambiente con mobili di cartone come tavoli, sedie, espositori, scaf-

fali (provvisti di colori a tempera, pennarelli, matite, gessi, pennelli, gomme, lapis,

ecc…) totem touch con tablet o ipad. Un elemento fondamentale sarebbe la pre-

senza di un tavolo circolare con al centro un cerchio che può ruotare e diviso in

sezioni ognuna contenente risorse varie, sul quale i bambini possono disegnare,

dipingere, creare opere a partire da materiali di scarto. La parte bassa delle pareti,

quella a portata della mano infantile, dovrebbe essere in parte rivestita da diversi

materiali da esplorare attraverso il tatto andando così da costruire un percorso sen-

soriali e plurimateriale in parte dipinta con la pittura lavagna così da permettere al

bambino di lasciare un segno del proprio passaggio sulle pareti.

Un’altra area sarebbe costituita dalla piccola biblioteca, sala conferenze, dai

laboratori, stanze predisposte con materiali, strumenti tecnici e tecnologici specifici

per differenti attività.

La piccola biblioteca potrebbe essere un luogo dove i bambini possono ripo-

sarsi e assaporarsi il racconto di una storia. Essa potrebbe contenere anche libri

sull’arte come quelli della collana Libri ad arte editi da Franco Cosimo Panini114 o

albi illustrati editi da Artebambini115 oppure perfino storie raccontate e rappresentate

dai bambini.

Rispetto ai laboratori sarebbe interessante predisporne due: uno dedicato

all’artigianato (falegnameria, ceramica, découpage) e uno dedicato alla pittura e

manipolazione. I due laboratori dovrebbero essere separati dal resto del museo ma,

allo stesso tempo, visibili dall’esterno attraverso vetri a specchio.

114 http://www.francopaniniragazzi.it/index.php/
115 http://www.artebambini.it/
181
Infine, un’altra zona del museo che andrebbe sviluppata è quella esterna. Il

giardino dovrebbe essere allestito con giochi realizzati con materiali di riciclo e altri

materiali di scarto che possono essere riutilizzati come giochi dai bambini quali ad

esempio gomme delle auto dentro i quali saltare, tubi nei quali scivolare e forme

geometriche in polistirolo colorato con le quali costruire.

4.2.3. Personale

Nonostante come ci ricorda l’ICOM, esistano all’interno dei musei differenti

ambiti a cui fanno capo diverse figure professionali, nel nostro caso facciamo riferi-

mento soprattutto all’ambito della ricerca, gestione e cura delle collezioni e a quello

relativo ai servizi per il pubblico; questi sono gli ambiti indispensabili alla gestione e

promozione del museo. Le figure professionali troverebbero, dunque, una coniuga-

zione particolare data la tipologia di museo.

Per il primo ambito avremmo figure quali il conservatore (responsabile della

conservazione, sicurezza e valorizzazione delle pere), il curatore (addetto alla rea-

lizzazione di esposizioni temporanee), i catalogatori che si occupano della catalo-

gazione dei beni e il registratore (responsabile del prestito dei lavori da o verso altri

musei), che, afferendo tutti a una formazione artistico-museale specifica, si occupe-

rebbero, oltre che della promozione, cura e gestione del patrimonio artistico del mu-

seo, anche della collaborazione con il territorio e le iniziative promosse. Il curatore

e il conservatore sarebbero gli addetti alla scelta e organizzazione delle mostre e

dei percorsi tematici all’interno del museo.

Nel secondo ambito abbiamo figure quali il responsabile dei servizi educativi

che propone progetti formativi, stringe rapporti con le istituzioni scolastiche e con gli

182
studiosi e individua possibili vie di sviluppo per il museo e gli educatori museali che,

in collaborazione con il responsabile, realizzano concretamente i progetti museali,

conduce attività laboratoriali calibrate in base all’utenza, predispone lo spazio e le

risorse necessarie a rendere l’esperienza dentro il museo significativa, gestisce il

rapporto con i gruppi scolastici, le famiglie e le istituzioni scolastiche e, infine, segue

i bambini durante le visite.

I due ambiti professionali, anche se vengono da distinte aree di formazione

(artistico-museale il primo e pedagogico-didattica il secondo) dovrebbero collabo-

rare, interagire tra loro così da creare profili professionali misti, in grado cioè di in-

tegrare le esigenze proprie di una struttura museale a carattere prevalentemente

artistico con quelle del pubblico a cui si rivolge. Il personale perciò dovrebbe tenere

fermi i principi che animano questa tipologia museale, la quale, basandosi sul bino-

mio arte ed infanzia, necessita di una incessante attività di raccordo al fine di ren-

dere l’esperienza nel museo divertente e formativa.

4.3. Didattica dell’arte

La didattica dell’arte si inserisce all’interno del progetto su due fronti: quello

scolastico e quello museale. A scuola entrerebbe attraverso la partecipazione delle

classi al concorso a tema, mentre per quanto concerne il museo essa si legherebbe

ai servizi educativi offerti (visite, cartoni animati, disegno libero o app, lab).

Di seguito verranno analizzati entrambi i contesti.

4.3.1. Didattica a scuola

183
L’istituzione scolastica locale (ma in generale quella italiana) manca di una

reale presa in carico delle discipline artistiche nonostante il nostro sia un paese che

necessita di cittadini capaci di apprezzare e valorizzare il patrimonio artistico. Il mu-

seo d’arte infantile quindi si proporrebbe di ridare vigore alla disciplina artistica all’in-

terno della scuola mostrando e dimostrando le capacità e il talento di cui sono prov-

visti i bambini e che spesso vengono sottaciuti o, addirittura, sminuiti.

Il museo, come già accennato, emanerebbe dei bandi di concorso su determi-

nati temi al fine di spingere le scuole a partecipare. Le classi che aderiscono do-

vrebbero realizzare dei prodotti da mandare al museo e che, una volta selezionati,

la struttura museale esporrebbe.

I bandi di concorso dovrebbero avere come scopo, oltre che alla realizzazione

delle opere, la creazione da parte dei docenti di unità di apprendimento incentrate

sul tema del concorso.

Nel paragrafo 4.1 si faceva riferimento a un esempio di titolo per un concorso

(Che faccia che hai!). Proviamo ora a immaginare un’ipotetica unità di apprendi-

mento alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria.

Per la scuola dell’infanzia si tratterà di incentrare il lavoro sulle tecniche pitto-

riche che possono essere usate per riuscire così non solo a stimolare le capacità

attentive e percettive dei bambini ma anche ad avvicinarli all’arte attraverso l’osser-

vazione e il fare.

Titolo Che faccia che hai!

Destinatari Classe omogenea di 4 anni

12 femmine

184
12 maschi

Campo Immagini, suoni, colori

d’esperienza Il corpo e il movimento

Traguardi  Utilizza materiali e strumenti, tecniche espressive e

per lo sviluppo creative

della competenza  Riconosce il proprio corpo, le sue diverse parti e rap-

presenta il corpo fermo e in movimento

Obiettivi spe-  È in grado di rappresentare il volto di un compagno;

cifici d’apprendi-  Conosce le parti che compongono un volto e le sa ri-

mento produrre;

 Utilizza varie tecniche pittoriche per realizzare un ri-

tratto

Metodolo-  Discussione socratica116

gie/tecniche didat-  Attività laboratoriali

tiche

Tempi 4 attività da 50 minuti

Spazi Aula scolastica (o aula di pittura)

Strumenti Fogli, lapis, matite colorate, tempera, pezzi di giornale,

carta crespa, ritagli di immagini di verdura, ortaggi e frutta.

Attività 1. Preparazione dell’ambiente: bambini posti in cerchio

La discussione socratica fa riferimento alla maieutica socratica. Consiste in un processo di


116

scambio/confronto di idee tra chi forma e chi apprende.


185
2. Presentazione dell’attività e attivazione delle precono-

scenze: si chiede ai bambini se sanno cosa è un ri-

tratto. Si mostrano alcune foto, immagini di volti presi

da alcune riviste e immagini di ritratti famosi. Discus-

sione con i bambini su cosa ne pensano. Discussione

su quali parti del viso sono importanti per fare un ri-

tratto.

3. Attività laboratoriale: creazione di due gruppi, ognuno

dei quali realizza un ritratto di uno dei due docenti.

Ciascun bambino dovrà fare attenzione agli elementi

del volto indispensabili (occhi, naso, bocca, capelli…).

Il primo ritratto verrà colorato dipingendo con le dita.

4. Attività laboratoriale: creazione di un altro ritratto. Ogni

bambino dovrà ritrarre un compagno di sesso oppo-

sto. Il ritratto verrà colorato facendo delle palline di

carta crespa e pezzi di giornale da incollare.

5. Attività laboratoriale: si fa vedere ai bambini uno dei

dipinti di Arcimboldo e si discute sul perché di questa

scelta particolare. Si chiede poi di creare un ritratto

utilizzando immagini di alimenti ritagliati dai deplìan

dei supermercati.

6. Discussione su ciò che si è fatto, valutare come può

cambiare un volto a seconda di come lo si colora.

186
7. Valutazione: si chiede ai bambini di disegnare un ri-

tratto e di colorarlo con la tecnica che più preferiscono

tenendo presenti tutte le parti del volto.

Alla scuola primaria, in particolare nelle ultime classi, l’unità didattica potrebbe

interessare anche altre discipline. In quella proposta qui di seguito si è preferito

porre l’attenzione sulla capacità dei bambini della scuola primaria di lavorare su un

tema all’apparenza lontano ma, in realtà, molto attuale che è l’uso del volto come

veicolo di messaggi a fini commerciali. Lavorare sul ritratto, usando anche l’arte,

significa andare oltre gli stereotipi creando altre immagini.

Titolo Che faccia che hai!

Destinatari Classe V 18 bambini

9 femmine

9 maschi

Disciplina Arte e immagine

Traguardi  L’alunno utilizza le conoscenze e le abilità relative

per lo sviluppo al linguaggio visivo per produrre varie tipologie di

della compe- testi visivi (espressivi, narrativi, rappresentativi e

tenza comunicativi) e rielaborare in modo creativo le im-

magini con molteplici tecniche, materiali e strumenti

(grafico-espressivi, pittorici e plastici, ma anche au-

diovisivi e multimediali).

187
 È in grado di osservare, esplorare, descrivere e leg-

gere immagini (opere d’arte. Fotografie, manifesti,

fumetti ecc) e messaggi multimediali (spot, brevi fil-

mati, videoclip ecc).

Obiettivi di  Sperimentare strumenti e tecniche diverse per rea-

apprendimento lizzare prodotti grafici, plastici, pittorici, multimediali.

 Introdurre nelle proprie produzioni creative elementi

linguistici e stilistici scoperte osservando immagini

e opere d’arte

Metodolo-  Brain storming

gie/tecniche di-  Discussione socratica

dattiche  Collaborative learning

 Attività laboratoriali

Tempi 5 attività da un’ora

Spazi Aula scolastica (se presente laboratorio)

Strumenti Lavagna, immagini da riviste, colla, lapis, fogli, pen-

nelli, tempera, immagini di opere d’arte: Ventumno di Ar-

cimboldo (1591), La Gioconda di Leonardo da Vinci

(1503-1513 e dopo), Donna con cappello di Henry Ma-

tisse (1905), Jeanne Hébuterne con grande cappello di

Modigliani (1918), La grande guerra di Magritte (1924),

188
L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp (1919-64), Ritratto di Ma-

rilyn Monroe serigrafia di Warhol (1967), foto di primi

piani.

Attività 1. Preparazione degli ambienti e del gruppo classe

2. Presentazione del progetto e attivazione delle

preconoscenze: viene presentato il titolo del concorso al

quale si dovrà partecipare e si cercherà di far emergere

le loro idee sulle richieste e sul significato del concorso.

L’insegnante riporterà le idee alla lavagna.

3. Attività pittorica: si lasceranno liberi i bambini di

rappresentare un ritratto a loro piacimento, usando le pre-

conoscenze acquisite sui vari stili pittorici. Al termine si

discuterà sul lavoro svolto e sui titoli dati alle opere.

4. Ricerca: si chiede ai bambini a casa di cercare

immagini di ritratti e di portarli a scuola.

5. Discussione: sulla base del materiale raccolto dai

bambini si discuterà sull’evoluzione dei ritratti e sui mes-

saggi che essi nascondono. L’insegnante, inoltre, mo-

strerà alla classe alcune opere di arte del ‘900 che hanno

rivoluzionato il modo di intendere la forza espressiva del

volto umano, ritratti celebri come La Gioconda ma anche

foto tratte da riviste che utilizzano il viso come strumento

comunicativo per finalità commerciali.

189
6. Attività laboratoriali: si divideranno i bambini a

coppie e si chiederà loro di realizzare un ritratto creativo

che sovverta i tradizionali canoni estetici. Avranno piena

libertà nella scelta dei materiali e della tipologia di opera

da creare (collages, dipinto, disegno).

7. Esposizione e discussione: ogni coppia mostrerà

la sua opera e illustrandone gli elementi costitutivi. Essa

dovrà inoltre spiegarne il senso e chiarire il motivo della

loro scelta stilistica.

8. Valutazione: sulla base di quanto visto ed elabo-

rato si chiederà di realizzare individualmente un ritratto

che abbia come finalità quello di promuovere un oggetto.

Anche in questo caso avranno libertà nella scelta del ma-

teriale e della tipologia di prodotto creativo da fare. I lavori

verranno poi mostrati alla classe e sottoposti al giudizio

dei compagni, oltre che a quello del docente.

Entrambe le unità di apprendimento illustrate sono ipotetici percorsi didattici

che i docenti potrebbero essere stimolati ad intraprendere in relazione al concorso

proposto dal museo. Possiamo perciò immaginare di avere per la scuola dell’infan-

zia una scelta delle opere totalmente in mano ai docenti mentre, per la scuola pri-

maria la scelta potrebbe essere affidata al gruppo classe o persino al singolo bam-

bino.

190
4.3.2. Didattica in sede

Il museo ha tra le sue funzione quella di formare i soggetti. Tale processo viene

promosso sia indirettamente attraverso il contatto con le opere d’arte e l’ambiente

del museo sia direttamente grazie alle visite guidate e alle attività laboratoriali orga-

nizzate dagli educatori museali.

I processi formativi non formali poggiano sull’idea che l’esperienza sia di per

sé motivo di crescita per il soggetto. Ciò vale tanto per i bambini quanto per gli adulti.

Come sosteneva Adorno, l’incontro con le opere d’arte attiva processi cognitivi che

superano l’estemporaneità del momento arricchendo il soggetto. Nel nostro caso

rapportarsi con opere d’arte infantile necessita, sia per l’adulto che per il bambino,

l’attivazione di processi interpretativi elevati, in ragione dell’assenza spesso di una

immediata comprensibilità dell’opera. Non solo le opere d’arte dei bambini della

scuola dell’infanzia ma anche di quelli della scuola primaria presentano tale carat-

teristica.

I piccoli artisti possono essere in grado di creare opere dalla forte valenza

simbolica ed espressiva. Fondamentale risulta un continuo lavoro sulle abilità grafi-

che e percettive del bambino che sottendono al processo di creazione artistica.

Il museo, inoltre, non predisporrebbe solo di uno spazio da esperire passiva-

mente ma anche di uno da vivere attivamente attraverso angoli destinati alla libera

espressione artistica infantile. Ma non solo. La tecnologia offre oggi una mano a

quei bambini che, per timore, sono restii all’espressione grafica poiché non si sen-

tono incapaci e privi di talento. Per promuovere ed incentivare comunque la creati-

vità di questi bambini, ed in generale di tutti, che sarebbe altrimenti persa, il museo

dovrebbe mettere a disposizione zone “tecnologiche” provviste di tablet con apps

sull’arte. Ne esistono di molti tipi, alcune delle quali compatibili solo con dispositivi
191
Apple. Per la particolare struttura museale progettata, le più in linea sarebbero

quelle pensate per giocare in maniera creativa con le opere d’arte e quelle incen-

trate sulla libera realizzazione di immagini e disegni. Alla prima categoria apparten-

gono: Play Art by Tapook che consente di ricombinare tra loro come più si preferisce

gli oggetti che si trovano nei dipinti di artisti quali Van Gogh, Monet, Klee, creando

alla fine una nuova opera frutto della personale combinazione dei grandi capolavori

dell’arte; So many stars – Andy Warhol prodotto da Bugaboo International B.V in

collaborazione con la Andy Warhol Foundation for the Visual Arts che, in maniera

interattiva e animata, fa scoprire ai bambini la serie di libri “So” realizzati dal celebre

artista durante la sua carriera da illustratore; Art Lab for Kids, simile alla prima, per-

mette non solo di assemblare, rielaborare nuove opere partendo dai lavori di Pi-

casso, Mirò e Matisse ma anche di inviarle partecipando a un contest mensile.

Alla seconda categoria appartengono invece app come Kids doodle, una ap-

plicazione con una interfaccia user-friendly che permette ai bambini, con l’uso di

dieci pennelli, di produrre disegni e video che ripercorrono step by step il percorsi di

creazione dell’opera; PicsArt for Kids e Super Kids coloring che permettono al bam-

bino di disegnare e colorare direttamente sul supporto digitale.

L’esperienza nel museo passa dall’incontro dei visitatori con le opere. Oggi le

tendenze in ambito museale si puntano alla costruzione di un contesto di fruizione

“emotivo”, in grado di coinvolgere tanto gli adulti quanto i bambini. Affinché ciò av-

venga, indispensabile è la strutturazione di un percorso di visita al museo che tenga

conto dei due poli che costituiscono l’esperienza museale: il pubblico e il patrimonio

artistico.

192
Nel caso di un museo d’arte infantile l’interazione tra questi due fattori richiede

un’attenzione specifica. I lavori in questione a volte non sono facilmente interpreta-

bili e non rispecchiano i canoni a cui siamo soliti. Se per i bambini avvicinarsi alle

opere prodotte da coetanei costituisce un evento prezioso per conoscere e vedere

le infinite possibilità espressive che animano l’infanzia, per gli adulti significa sco-

prire un mondo che è superficialmente considerato e che resta in molti casi celato

ai nostri occhi. Nelle opere dei bambini spesso troviamo analisi della realtà molto

più incisive, visionarie e attente di quelle adulte come si può vedere nelle immagini

presenti sul sito del museo internazionale di arte infantile di Oslo. Esse sono inter-

pretazioni personali, rielaborazioni tradotte in immagini, dei sogni, delle esperienze,

delle emozioni, dei ricordi vissuti e interiorizzate dal bambino. Per tali ragioni è ne-

cessario l’intervento di una guida in grado di calibrare la visita sulla base delle esi-

genze formative dei visitatori. Per un pubblico infantile, ma anche adulto, la meto-

dologia comunicativa più efficace è la narrazione (storytelling) partecipativa poiché

come afferma Gary Carson lo storytelling è uno dei mezzi più potenti attraverso cui

passa oggi il moderno apprendimento.

Lo storytelling come tecnica basata sul racconto di storie che partono dagli

oggetti della collezione, aiuta a rendere l’istituzione museale un luogo stimolante e

dinamico poiché dà al pubblico la possibilità di instaurare con le opere un percorso

comune di scoperta e condivisione. Le storie infatti, possono essere sia inventate

dalla guida che proposte dai visitatori stessi o create insieme in maniera partecipata.

Le tecniche narrative dunque non solo coniugano trasmissione di sapere e coinvol-

gimento emotivo ma stimolano la riflessività e la curiosità del visitatore attraverso la

creazione di un clima disteso, ludico e accogliente.

193
L’ultima esperienza che il museo d’arte infantile offrirebbe, sarebbe quella rap-

presentata dai laboratori organizzati per i gruppi scolastici. I percorsi laboratoriali

sarebbero stabiliti annualmente, svolti a cadenza mensile e suddivisi per fasce di

età (3-6, 6-9; 9-11), garantendo così a tutti la possibilità di partecipare. Come evi-

denziato dal progetto, i laboratori si pongono come elementi di raccordo tra la scuola

e il territorio. Quest’ultimo offre una vasta gamma di eventi che possono essere

maggiormente valorizzati e promossi dal museo con attività specifiche svolte sotto

la guida di professionisti esperti e competenti.

Nel paragrafo 4.2.1 si è parlato di un eventuale laboratorio capace di dare un

impulso positivo sia ai Lucca Comics and games che alle scuole della Piana luc-

chese. Il laboratorio in questione permetterebbe di radunare a sé le energie che

provengono dal mondo della scuola, dalla Lucca Manga school e dal Lucca Comics

and games. Esso, di cui sotto si ha una breve descrizione, prevede di avvicinare i

bambini al mondo del fumetto e in particolare alla tradizione deI manga giapponese

affinché sviluppino in seguito anche la curiosità e l’interesse per un genere sul quale

aleggiano opinioni contrastanti ma che, nonostante tutto, continua ad appassionare

e muovere centinaia di migliaia di persone.

Titolo A SCUOLA di fumetti!

Destina- Classi IV e V

tari

Perso- Insegnanti Lucca Manga school

nale Educatore museale

194
Insegnanti curricolari

Obiettivi  Scoprire i codici e i linguaggi del manga giapponese

del laboratorio  Sperimentare le tecniche di rappresentazione delle

espressioni facciali

 Realizzare una vignetta che rappresenta un’emozione

vissuta a scuola

Metodo-  Modellamento/pratica guidata117

logia  Apprendistato cognitivo118

Tempi 5 ore

Spazi Laboratorio di disegno e pittura

Stru- Fogli A4, matite colorate, tablet/ipad, lapis, lavagna con

menti/sus- i fogli di carta

sudi/supporti

Attività  Presentazione: viene presentato il laboratorio e le attività

che verranno svolte;

 Organizzazione: i bambini vengono suddivisi in gruppi da

tre/quattro a cui viene consegnato uno/due tablet

 Introduzione: viene fatto vedere un video contenente una

serie di personaggi dei cartoni animati presi in primo

117 Il modellamento consiste nell’insegnare tramite esempi dimostrativi. L’esperto fa vedere


all’alunno come deve fare attraverso una pratica guidata che ha come obiettivo l’autonomia dell’al-
lievo nello svolgere una determinata attività.
118 L’apprendistato cognitivo è un modello didattico di matrice costruttivista sviluppato in partico-

lare da Collins, Brown e Newman e si basa su alcune strategie importanti come: l’articolazione, la
riflessione e l’esplorazione.
195
piano; si focalizza l’attenzione sulla resa dei loro volti e

delle loro emozioni

 Dimostrazione: l’insegnante mostra ai bambini alcune

tecniche di rappresentazione dei volti nei manga giappo-

nesi. Durante la dimostrazione l’insegnante si ferma per

dare spazio a domande e per dare la possibilità di provare

a sperimentare ciò che hanno visto.

 Esercitazione: i bambini sono spronati a provare anche

loro a realizzare dei volti usando la tecnica mostrata. Ogni

gruppo ha sul tablet/ipad una serie di immagini a cui può

accedere oppure può consultare dei disegni già preparati

dal maestro per l’occasione che mostrano come fare. L’in-

segnante aiuta nel caso di bisogno ma lascia liberi i bam-

bini di trovare soluzioni originali per risolvere i loro pro-

blemi.

 Produzione: viene presentato il tema “a SCUOLA di fu-

metti” che consiste nel realizzare un fumetto composto di

disegno e testo nel quale emerge un’emozione vissuta a

scuola. Anche in questo caso i bambini saranno seguiti e

aiutati dal docente esperto e avranno a disposizione i pre-

cedenti disegni.

 Valutazione: ai bambini e all’insegnante viene conse-

gnato un questionario a risposta aperta per giudicare l’ap-

prezzamento o meno del laboratorio.

196
 Esposizione: le opere dei bambini che hanno partecipato

ai laboratori vengono esposte nel museo durante i Co-

mics per mostrare a tutti come la cultura manga possa

incontrare quella infantile.

La tecnica che sta dietro alla realizzazione di una tavola è estremamente com-

plessa e necessita di controllo e attenzione elevato, motivo per cui il laboratorio è

rivolto alle classi IV e V della scuola primaria. Naturalmente, il laboratorio propor-

rebbe semplici tecniche di rappresentazione ma che richiedono comunque l’inter-

vento di professionisti competenti ed esperti. Il contributo del docente curricolare e

dell’educatore sarebbe, dunque, quello di supporto al fumettista che di fatto gestisce

l’intero percorso.

Come ogni laboratorio, esso prevede un intervento minimo da parte dell’adulto

la cui figura diviene marginale. I bambini sono i veri protagonisti e hanno la possibi-

lità di creare e sperimentare a partire dalle loro esigenze. Il docente, come un tutor,

aiuta, facilita ed incoraggia senza però mai sostituirsi al bambino o tenere un atteg-

giamento giudicante. Bisogna infatti ricordare che, nonostante il gruppo sia una

classe scolastica, non ci troviamo a scuola ma in un museo la cui funzione principale

è quella di promuovere l’espressività, creatività e fantasia infantile. La valutazione,

contrariamente da quanto avviene a scuola, sarà effettuata dai bambini e dall’inse-

gnante che valuteranno l’esperienza al fine di aiutare il museo a migliorare il proprio

operato.

Al termine del laboratorio i bambini lasceranno in sede i fumetti realizzati affin-

ché il museo possa allestire una mostra temporanea, durante i Lucca Comics and

197
games, tesa a mostrare le capacità espressive dei bambini, il loro modo di vivere e

interpretare la realtà e le emozioni vissute a scuola.

4.4. Note conclusive

Il progetto delineato mostra come possa crearsi intorno al rapporto tra arte e

infanzia un sistema reticolare teso alla formazione di ciascun bambino. Inevitabile è

perciò il riferimento al sistema formativo integrato che considera la condizione della

formazione come un sine qua non di tutte le agenzie di educazione formale, non

formale e informale.

L’arte dei bambini è a tutti gli effetti arte e ci mostra la capacità dei bambini di

dare forma ai loro pensieri, alle loro emozione in maniera originale e creativa. In

questo senso il museo non farebbe che dar voce a una dimensione, quella artistica,

fino ad oggi scarsamente valorizzata ma che necessita di maggior attenzione, pena

la perdita dell’espressività infantile.

Ristabilire una relazione tra l’infanzia e la sua arte significa dunque iniziare

anche a ripensare il modo di vedere il bambino nelle sue esigenze e peculiarità.

Aspetti questi che emergono prepotentemente dalle opere dei bambini che ci par-

lano di loro e del mondo che ci circonda. Imprescindibile risulta allora dare al bam-

bino la possibilità di essere e di comunicare con i linguaggi che più gli sono propri.

La scuola, in tal senso, non può astenersi dal riconoscere questo fondamen-

tale ruolo in quanto prima agenzia formativa. Il museo, dal canto suo, servirebbe

non solo da cassa di risonanza verso la cultura infantile ma anche come una spinta

verso l’innovazione di un sistema scolastico statico spesso superficialmente legato

al territorio.

198
Il progetto sopra delineato, naturalmente, presenta delle lacune e delle man-

canze. In primis, non è stata affrontata la questione legata al sostentamento finan-

ziario del museo, aspetto questo non trascurabile in quanto può determinare la riu-

scita del progetto stesso. In secundis, non sono state prese in considerazione le

dinamiche burocratiche attinenti ai contest e ai partenariati con il territorio e le

scuole. Infine, non si è trattata la delicata area della sfera giuridico-normativa che

sottende alla creazione di un museo in generale e, nello specifico, di un luogo aperto

a un pubblico infantile.

Tutti questi elementi che si discostano dal nostro focus sarebbero da prendere

in considerazione nel momento della realizzazione…

199
Conclusioni

“Il cammello Muhadel aveva un sogno. Gli altri

suoi amici sognavano di bere una limonata seduti

vicini a un’oasi. Lui invece aveva altro in mente: vo-

leva vedere l’aurora boreale.

Fu così che un giorno partì. Mise tra le sue

due gobbe tutto il necessario e partì.

Attraversò tutta l’Africa e l’Europa e non si

fermò finché non raggiunse la Norvegia. Lì però non

era come si aspettava. La neve ricopriva le sue

zampe che a ogni passo sprofondavano.

Dovette perfino attraversare un lago ghiac-

ciato e le sue zampe non erano certo degli ottimi

pattini.

Muhadel era veramente triste perché più an-

dava avanti e più diventava per lui tutto molto diffi-

cile.

Stava quasi per tornare indietro quando, una

luce nel cielo colpì la sua attenzione. Alzò gli occhi e

la vide: l’aurora boreale con i suoi mille colori che

fluttuavano nel cielo. Non aveva mai visto qualcosa

del genere. Adesso, finalmente poteva tornare a

casa e raccontare tutta la sua avventura ai suoi

amici.

200
È nostra convinzione i sogni siano parte integrante del nostro percorso di vita.

Quando è stata scritta la storiella citata non c’era ancora in programma nessun

viaggio per Oslo e tanto meno questa tesi.

L’idea della tesi è giunta in maniera inaspettata proprio come per il cammello

Muhadel l’aurora boreale. Parlando con il mio precedente tutor universitario Andrea

Conti ho posto, come ogni anno, l’accento sull’assenza a scuola della dimensione

artistica. E ciò era ancora più evidente per le arti visive nella scuola primaria. Imma-

giniamo per un attimo una situazione tipo: classe quarta elementare. L’insegnante

entra in classe e, dal pulpito della sua cattedra di legno, proclama: oggi si disegna!

La reazione dei bambini la abbiamo tutti davanti agli occhi: sguardi complici e felici

tra compagni, qualche sì esultato con voce fioca o, nel peggiore dei casi, urla e

schiamazzi. Se ne deduce prontamente una cosa: l’arte non è niente di serio. I di-

segni che creeranno i bambini con molta probabilità verranno gettati nel cestino

della carta (si spera abbiano imparato a fare la raccolta differenziata) o, nella mi-

gliore delle ipotesi, consegnati ai genitori a casa. Perché a scuola ciò che importa è

la rendicontabilità dei risultati e l’arte ha a che fare con il talento non con l’intelletto.

In realtà, questa credenza che ci portiamo dietro ormai da troppo tempo non fa che

alimentare nei bambini la paura di creare, di fare, di sperimentare. Paura, questa,

che è in origine del docente, il quale, come abbiamo visto, è solitamente un inse-

gnante generalista.

La nostra idea dunque prende avvio, inizialmente, da una critica al nostro si-

stema d’istruzione che poco tiene conto della valenza formativa dell’arte a ogni li-

vello scolastico e si sviluppa, per caso, pensando alle future attività che avremmo

voluto realizzare a scuola. Avremmo voluto creare un percorso di storia dell’arte con

annesso laboratorio di pittura e successiva esposizione. Lì è scattata la lampadina:

201
perché invece non creare un museo d’arte infantile, aperto a tutti così che chiunque

possa vedere cosa hanno i bambini da esprimere e comunicare? Ed ecco che ha

preso vita il progetto, pian piano è divenuto sempre più un sogno ad occhi aperti

che ha preso forma e consistenza nella stesura dell’elaborato. La tesi ha perciò un

telos preciso: mostrare come l’arte infantile possa non solo essere fruibile da tutti

ma anche essere un fattore di crescita e arricchimento per chi la produce e ne entra

in contatto. Per tale ragione, il progetto prevede di creare un sistema formativo di

rete che abbia al centro il bambino e le sue esigenze espressive e creative. Ma un

sistema di questo tipo necessita di considerare tutti gli aspetti che animano i prota-

gonisti: il territorio con le sue peculiarità storico-sociali, artistiche e con le sue inizia-

tive culturali, la scuola tesa tra tradizione e innovazione, stretta tra aspirazioni e

realtà e il museo avvolto da pregiudizi e timori ma anche provvisto di plurime facce

ed identità. Questi tre attori che solo marginalmente promuovono l’arte infantile pos-

sono invece diventare –insieme- portavoci della cultura infantile. Le produzioni dei

bambini, come è evidente nei lavori che si trovano presso l’International Museum of

Children’s art di Oslo, sono opere d’arte a tutti gli effetti in quanto possiedono un

proprio valore estetico, il quale non va paragonato a quello dei lavori adulti, e una

loro intrinseca significatività. I bambini nei loro disegni comunicano, imparano, co-

noscono e risolvono problemi, motivo per cui l’attività artistica è tutt’altro che inutile.

Inutile è continuare a credere che i bambini non abbiano niente da dire, che non

abbiano una loro opinione e visione del mondo, che entrare in contatto con opere

d’arte che hanno segnato la nostra cultura non sia un’esperienza adatta ai bambini.

Se, come si è soliti dire, l’arte non ha tempo perché non lasciare ai bambini il tempo

di creare a qualsiasi età? Perché non diamo loro la possibilità di continuare a svi-

202
luppare delle abilità, capacità che permettono loro di esprimersi? Perché non con-

sentiamo loro di interagire con i prodotti della nostra civiltà in maniera critica e con-

sapevole così da arricchire il proprio modo di interpretare il mondo? Siamo di fronte

a dei bisogni che sono anche diritti.

E allora vorremmo concludere ricordando ancora una volta le parole del fon-

datore del museo d’arte infantile che ha fatto di un sogno un’utopia e di un’utopia

una realtà e che racchiudono emblematicamente anche il senso di questa tesi:

It is said that children are people. But, people do not exist without a culture.

Children are people who belong to the future. And they have the right to their own

culture, their own art and history.

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