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3
INDICE GENERALE ...................................................................... 4
INTRODUZIONE ............................................................................ 8
Capitolo primo
CULTURA RELIGIOSA E INTERDISCIPLINARITÁ................... 10
1. IRC come cultura religiosa...................................................... 10
1.1. Il concetto di cultura.................................................. 11
1.2. La cultura religiosa.................................................... 12
Capitolo secondo
MUSICA E RELIGIONE................................................................ 23
1. L’esperienza musicale della religione.................................... 24
1.1. La musica come introduzione alla trascendenza...... 25
1.2. La musica nelle diverse culture religiose................. 26
1.2.1. La musica nell’oriente asiatico................................ 26
1.2.2. L’Islam..................................................................... 27
1.2.3. L’Ebraismo............................................................... 28
1.2.1. Il Cristianesimo........................................................ 29
Capitolo terzo
LA CHIESA E GLI ARTISTI:
DA PAOLO VI A BENEDETTO XVI............................................. 35
1. Paolo VI.................................................................................. 35
1.1. Un’amicizia incrinata............................................... 35
1.2. Un’amicizia ristabilita.............................................. 37
4
3. Benedetto XVI........................................................................ 42
3.1. L’universalità della bellezza..................................... 43
3.2. Un’amicizia in continuo rinnovamento.................... 44
Capitolo quarto
IRC E MUSICA: UNA PROPOSTA DIDATTICA......................... 46
1. La proposta didattica.............................................................. 46
1.1. L’autoapprendimento............................................... 46
1.2. Un percorso guidato................................................. 47
1.3. Alcuni temi trasversali............................................. 48
CONCLUSIONI ............................................................................. 49
BIBLIOGRAFIA ............................................................................ 52
ALLEGATI..................................................................................... 56
5
SIGLE E ABBREVIAZIONI
6
7
INTRODUZIONE
1
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro degli insegnanti di religione
cattolica, Roma 25 aprile 2009.
8
Può l’IRC farsi carico di questa sfida? Può questa disciplina ripensarsi e
promuovere l’interdisciplinarità? Può, in particolare, recuperare quel legame
profondo tra religione ed arte e utilizzarlo come fonte d’ispirazione per pro-
gettare esperienze didattiche dalla forte valenza interdisciplinare? E, se è ve-
ro che la musica «è la lingua universale di tutti i cuori»2 non potrebbe per
questo essere la più titolata entrare in dialogo con l’IRC?
Il primo capitolo presenta una panoramica su alcuni concetti fondamentali
per comprendere il nuovo compito dell’IdR tra cui quelli di “cultura religio-
sa” e “interdisciplinarità”.
Nel capitolo successivo si cercherà di sintetizzare il rapporto che intercorre
tra l’esperienza religiosa e quella musicale, tra la ricerca di un rapporto col
trascendente e la musica come «linguaggio universale»3. Si cercherà di met-
tere in luce come l’interdisciplinarità tra RC e musica sia fondata quindi sul-
lo stretto legame che unisce queste due esperienze umane.
Nel terzo capitolo verranno presentati alcuni interventi del magistero papale
che mettono in risalto l’intimo legame tra Chiesa e arte, confermando così
quanto la comunità cristiana abbia a cuore la formazione dei suoi membri,
sia degli artisti che dei fruitori dell’arte stessa4.
Nell’ultimo capitolo verrà presentata una proposta didattica che mira a for-
nire agli alunni una chiave di lettura del fenomeno musicale attraverso la
conoscenza del fenomeno religioso e, viceversa, un’interpretazione del sen-
timento religioso attraverso lo studio della sua espressione musicale ed arti-
stica.
2
M.RAPISARDI, Pensieri e giudizi, G.Pedone Lauriel, Palermo 1915, 42.
3
«La musica è un linguaggio universale, una realtà che consente di comunicare, di gettare
“ponti” verso gli altri ed, insieme, di esprimere se stessi, i diversi sentimenti e momenti
della propria vita e della propria anima. Un linguaggio senza tempo, senza territori, né
confini, è la voce di tutta l’umanità, di qualsiasi tempo e luogo» (P.FERRARO, La musica,
linguaggio universale che unisce i popoli, «Servizio Migranti», (2010) 6 ).
4
«E poi vi abbiamo abbandonato anche noi. Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi
abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore
dell’uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza. Non vi abbiamo avuti allievi, amici,
conversatori; perciò voi non ci avete conosciuto» (PAOLO VI, Omelia durante la messa
degli artisti, Roma 7 maggio 1964).
9
CAPITOLO I
Una scuola che voglia essere all’altezza dei propri compiti educativi e for-
mativi non può né ignorare un aspetto tanto rilevante della cultura come
quello religioso né rifiutarsi di dedicare particolare attenzione ai principi di
una specifica confessione qualora questa contribuisca a definire l’identità
culturale e sociale della nazione nella quale la scuola stessa si trova ad ope-
rare5.
5
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Cultura e formazione nell'insegnamento della
religione cattolica: atti del Simposio Nazionale su "L' insegnamento della religione
cattolica nella scuola pubblica: per promuovere la cultura religiosa e la piena formazione
dei giovani", Roma, 22-23 gennaio 1988.
6
C. CARDIA, Progetto educativo e fattore religioso, in S. FERRARI, (a cura di), Concordato
e Costituzione. Gli accordi del 1984 tra Italia e Santa Sede, Il Mulino, Bologna 1985, 163.
7
A. AGAZZI, Perché l’insegnamento della religione nella scuola, fascicolo a cura delle
Piccole Apostole della Scuola Cristiana, Istituto Grafica Litostampa, Gorle (BG) 1985, 10.
10
intrinseche all’uomo, alla sua vita e perciò non possono essere ignorate in
ambito educativo. La conclusione è – per Aldo Agazzi – che «la religione
deve esserci e non può non esserci»8. Questa argomentazione giustifica la
presenza dell’insegnamento religioso prima di qualsiasi dettato concordata-
rio.
8
Ivi, p. 15.
9
«Narra di un grande elefante che se ne sta davanti ad un saggio immerso nella sua
meditazione. Il saggio lo guarda un po’ “distratto” e pensa: “Questo non è un elefante!”.
Dopo un po’ l’elefante si volta ed incomincia ad allontanarsi lentamente. A questo punto il
saggio incomincia a chiedersi se per caso l’elefante non possa essere in giro. Alla fine
l’animale se ne va. Quando è ormai sparito, il saggio vede le orme che esso ha lasciato e
dichiara con sicurezza: “Qui c’era un elefante!”» (G.MANTOVANI, L’elefante invisibile,
Giunti, Firenze 1988).
10
G.ZUCCARI, L’insegnamento della religione cattolica. Aspetti psicopedagogici e strategie
metodologico-didattiche, Elledici, Torino 20041, 13.
11
«Il termine “movimento” designa una realtà dinamica […] e porta con sé aspetti positivi
ed aspetti negativi. […] sta ad indicare e a sottolineare soprattutto il carattere dinamico
delle ampie, profonde e contrastanti trasformazioni in atto» (ZUCCARI, L’insegnamento
della religione cattolica, p. 15).
12
«Studiare l’andamento di una realtà complessa o il comportamento di un fenomeno
complesso significa, pertanto, scoprire e trattare il più elevato numero di variabili da cui
11
ta13 , consumistica. Una società, quindi che sfugge alla comprensione e che
necessita, mai come in questa temperie, di categorie di interpretazione vali-
de e solide. In quest’ottica l’istruzione, e in particolare la scuola, deve dotar-
si di sistemi teorici e metodologie atte a creare i presupposti per una corretta
lettura della realtà.
12
che apprende18 e che porta con sé le sue domande di senso; l’IRC fornisce
delle risposte attraverso i contenuti propri della disciplina grazie
all’insegnante che facilita l’emergere di questi interrogativi e promuove la
ricerca di una possibile risposta.
Giuseppe Bertagna, nella sua riflessione19, tenta un’ipotesi di lettura della
presenza dell’IRC nella scuola delineando quattro modalità, di per sé non
autoescludentisi, di definizione della cultura religiosa.
Ad una cultura intesa in senso «socio-etno-storico-antropologico»20, defini-
bile come insieme che include le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il co-
stume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come mem-
bro di una società, viene associato un insegnamento della religione come
storia delle religioni.
Una seconda modalità vedrebbe invece la presenza di una cultura religiosa
intesa come studio comparato delle religioni in cui, dopo essersi avvicinati
ai fenomeni che caratterizzano la cultura religiosa cristiana, musulmana, in-
duista o di altre religioni, si procede ad una comparazione per mettere in lu-
ce gli aspetti di corrispondenza e di differenza, costruendo una specie di let-
tura sinottica delle religioni.
La terza modalità, indicata da Bertagna, intende la cultura religiosa in senso
scientifico-critico-teoretico: Non cerca di spiegare “come stanno le cose”,
ma di considerare criticamente le ragioni per cui si è portati a giustificare la
propria cultura religiosa.
L’ultima modalità, infine, intende la cultura religiosa in senso psicogenetico
e filosofico-pedagogico e cerca di indagare come, dove e quando nasce e si
sviluppa la dimensione della fede e della religione nell’uomo descrivendo la
natura della fede e della religione arrivando a definirla in diversi modi:
18
Cfr. Legge 28 marzo 2003, n.53.
19
G. BERTAGNA, Quale «cultura religiosa» nella scuola? Criteri per uno sguardo alla
situazione italiana ed europea, in L. CAIMI, (a cura di), Autorità e libertà. Tra coscienza
personale, vita civile e processi educativi. Studi in onore di Luciano Pazzaglia, Vita e
Pensiero, Milano 2011.
20
Ivi, p. 350.
13
una pulsione istintuale naturalistica, una serie di emozioni psichiche altret-
tanto naturalistiche, una successione di sentimenti che miscelano natura e
cultura e che servono per dominare ansie e angosce – per esempio, quella
fondamentale e radicale dinnanzi alla morte –, un’integrazione formalizzata
di tutte queste dimensioni a livello logico-riflessivo, la scoperta che tutte
queste spiegazioni non bastano, ma che occorre fare spazio alla possibilità di
un’irruzione gratuita del trascendente nella vita umana e nel mondo per ren-
dere comprensibile la prima e il secondo21.
21
Ivi, p. 358.
22
T.RUSSO AGRESTI, Interdisciplinarità e scuola, Le Monnier, Firenze 1976, 13-15.
23
D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare, Armando Editore,
Roma 1972, 17.
24
A.VESCOVI, Cultura e interdisciplinarità: quali legami e quali opportunità, «Cquia», 1
(2010), 23.
14
dell’argomento e, più in generale ancora, dell’essere e dell’esperienza tut-
ta»25.
Proprio l’interdisciplinarità ha la possibilità, senza tuttavia negare la validità
delle singole discipline, di
25
C.SCURATI - E.DAMIANO, Interdisciplinarità e didattica, Editrice La Scuola, Brescia
1974, 16.
26
E.AGAZZI, Cultura scientifica e interdisciplinarità, Editrice La Scuola, Brescia 1994, 126.
27
CERI, Interdisciplinarity. Problems of teaching and research in universities, OCSE, Parigi
1973.
15
scopo. L’attenzione è quindi posta unicamente sulla soluzione di un proble-
ma. Un esempio di pluridisciplinarità può essere l’edificazione di un ospe-
dale.
L’interdisciplinarità viene definita come reale interazione fra due o più di-
scipline, arrivando fino ad integrarne concetti, metodologia e procedure. As-
solutamente fondamentale è l’interazione tra saperi che porta un reciproco
arricchimento.
Infine, la transdisciplinarità è la messa in opera di un quadro comune ad un
insieme di discipline. Quello che viene così a formarsi è un sistema senza
frontiere stabili tra le diverse discipline.
Va notato che l’interdisciplinarità non nega in alcun modo la necessità della
specializzazione, resa assolutamente necessaria dall’aumento delle cono-
scenze. Evandro Agazzi definisce il lavoro interdisciplinare con la metafora
del concerto:
Il concerto non è altro che il momento di sintesi che ogni soggetto che ap-
prende realizza, arrivando così all’auspicata unitarietà del sapere che, anche
se vissuta nella socialità, non può che essere personale.
Nella scuola questo particolare tipo di approccio rende lo studente capace di
“suonare” la propria melodia, che, seppure una voce tra tante, conserva il
suo senso e la sua unicità anche senza il resto dell’orchestra. Un lavoro che
non può mai dirsi compiuto, poiché saranno i soggetti, studenti o docenti, a
determinarne il risultato finale.
28
AGAZZI, Cultura scientifica e interdisciplinarità, p. 121.
16
La religione, sia nella sua dimensione universale che nella sua specificità
cattolica, risulta essere, all’interno della scuola, un fenomeno esplorato da
diverse discipline.
Ad esempio lo studio della Lingua (Italiano), nel primo biennio della scuola
secondaria, presenta le diverse tipologie di linguaggio, incontrando quindi
anche il linguaggio religioso: la poesia religiosa, il linguaggio della preghie-
ra e il linguaggio liturgico. Lo studio della Letteratura e delle Arti è denso,
come vedremo più avanti, di contenuti religiosi, che non possono essere
elusi per una corretta comprensione dell’opera d’arte.
L’IRC, da parte sua,
Le ragioni sono molteplici: anzitutto la prassi (da sempre!) di un lavoro didattico ge-
stito individualmente dall’insegnante con una propria metodologia e con propri ritmi
consolidati; la mancanza di interventi calendarizzati, retribuiti e incentivati, dentro a
29
L.MAURIZIO, Alcuni punti nodali per la didattica dell’IRC nella prospettiva della
riforma , «Insegnare Religione», 2 (2005), 16.
30
Ivi.
17
una programmazione interdisciplinare tra docenti di un consiglio di classe o di classi
aperte; la mancanza di buone pratiche sperimentate.
In concreto, nelle scuole è necessario creare delle équipe di lavoro interdisciplinare,
che inizino a progettare insieme. Nel contempo dovranno essere stanziati, da parte
degli organi competenti, finanziamenti adeguati attingendo al fondo di istituto.
Nella prospettiva dell’attuazione della riforma di cui alla Legge 53, l’attività interdi-
sciplinare è favorita dall’individuazione dei «nuclei di aggregazione» di cui parlano
le «Indicazioni nazionali». Può trattarsi di contenuti comuni a più discipline, di pro-
blemi da risolvere, di ricerche, di progetti31.
31
Ivi, p. 17.
32
G.MALIZIA - Z.TRENTI - S.CICATELLI (a cura di), Una disciplina in evoluzione. Terza in-
dagine nazionale sull'insegnamento della religione cattolica nella scuola della Riforma,
Elledici, Torino 2005, 312.
33
R.ROMIO, Didattica dell’IRC nella riforma della scuola/2, «Insegnare Religione», 5
(2005), 16.
34
Ivi.
18
non appare con evidenza la consapevolezza che la pratica dell’interdisciplinarità ri-
chiede condizioni didattiche diverse, modalità nuove di condurre il processo di inse-
gnamento-apprendimento. Non risulta chiara la percezione dell’urgenza di nuove
modalità di intervento che sappiano rispondere alla radicale novità delle condizioni
educative: novità il cui prefigurarsi sembrava meglio colto nelle ricerche precedenti.
Così risulta assente la domanda di modelli didattici capaci di dare risposta alle nuove
emergenze educative e didattiche35.
meglio, per le finalità formative della scuola, che gli insegnanti pratichino
qualche forma di collaborazione e la chiamino anche impropriamente inter-
disciplinarità, piuttosto che non pratichino alcuna collaborazione […] in no-
me dell’impossibilità di applicare l’interdisciplinarità nella sua distillata pu-
rissima concezione37.
35
Ivi, p. 17.
36
S.CICATELLI, L’Irc tra disciplinarità e interdisciplinarità, «Religione a Scuola», 33 (2004)
1, 31.
37
P.TODESCHINI, L’interdisciplinarità ‘in pratica’, in «Orientamenti Pedagogici», vol. 56 n.
4 (2009), 701.
38
CICATELLI, L’Irc tra disciplinarità e interdisciplinarità, p. 40.
19
L’insegnamento della religione cattolica è quindi una disciplina scolastica
con una sua specifica dignità culturale e formativa, ma gioco forza caratte-
rizzata anche dalla sua confessionalità, sebbene nei contenuti e non nelle fi-
nalità. La confessionalità dell’IRC è motivo di garanzia per chi sceglie tale
insegnamento in quanto si tratta di
39
GIOVANNI PAOLO II, Discorso al simposio del Consiglio delle CEE sull’insegnamento
della religione cattolica nella scuola pubblica, Roma 15 aprile 1991, n.5.
40
CORTE COSTITUZIONALE, n. 203/1989.
41
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Insegnare religione cattolica oggi, Roma 6-10
maggio 1991.
20
Una problematica a parte e ancora molto discussa è quella che vede l’IRC
diviso tra obbligatorietà e facoltatività: in basa agli Accordi (1984/1985) tra
Repubblica Italiana e Santa Sede, questa disciplina è fondamentalmente fa-
coltativa (non è opzionale 42 ma curriculare) garantita dalla Stato Italiano
(obbligatoria nell’offerta da parte della scuola, facoltativa nella scelta di av-
valersi o meno da parte delle famiglie e degli alunni). Se scelta, l’IRC di-
venta per l’alunno disciplina curriculare obbligatoria, con obbligo di fre-
quenza e diritto di valutazione.
Nel momento della scelta di avvalersene, le competenze religiose non entra-
no nel merito delle scelte religiose ma diventano lo strumento con cui
l’alunno diventa capace di valutare autonomamente e criticamente una di-
mensione di fatto presente nell’esperienza umana. D’altra parte, va notato,
che la capacità di riflettere sulla dimensione religiosa dell’esperienza umana
non implica alcuna dichiarazione di appartenenza confessionale.
Quello che però è certo è che
42
Il termine “opzionale” ricorre comunque in alcuni documenti rendendone a volte equivo-
ca l’interpretazione. «Suscita qualche dubbio la terminologia adottata per identificare l’IRC
nel documento di valutazione, dove è collocato da solo tra gli “insegnamenti obbligatori
opzionali”, a loro volta distinti da altri possibili “insegnamenti facoltativi opzionali”. La
terminologia, a nostro parere, è particolarmente infelice e si presta a qualche equivoco. È
noto infatti che il DLgs 59/04 ha distinto fra un monte ore di base (non definito ma di fatto
obbligatorio), pari a 891 ore annue nella scuola primaria, e una successiva quota di 99 ore
«la cui scelta è facoltativa e opzionale». L’IRC è esplicitamente contemplato nel primo
monte ore e dunque risulta improprio definirlo obbligatorio opzionale non solo per il con-
trasto tra i due aggettivi (che sarebbe comunque conciliabile) ma soprattutto perché le di-
scipline opzionali sono quelle del secondo gruppo e dunque si potrebbe ingenerare facil-
mente confusione. Vista la ridotta disponibilità di aggettivi utili nella lingua italiana,
l’errore si trova forse nel testo del decreto che abbina inutilmente facoltativo a opzionale,
lasciando intendere una sostanziale intercambiabilità dei termini e ponendo le premesse per
la confusione sull’IRC» (S.CICATELLI, Un modello di portfolio, «L’ora di Religione»,
(2004) 7, 2.
43
T.CAPPELLI, Problemi giuridici e amministrativi, «L’ora di Religione», XXV (2006) 1,
48.
21
A questo punto della trattazione si pone il problema di elaborare strategie
didattiche e programmare delle esperienze che riescano a rendere l’IRC ca-
pace di trasmettere una reale cultura religiosa, forte del suo carattere interdi-
sciplinare ma senza rinunciare alle sue peculiarità, mediando tra la confes-
sionalità dei suoi contenuti e la laicità delle sue finalità.
Questo lavoro si è orientato verso una delle esperienze umane che, forse, più
si avvicina a quella religiosa: l’esperienza musicale, «quel linguaggio che
non dice e non nomina le cose, ma le evoca soltanto, le annuncia quasi vo-
lando al di sopra di esse»44.
Musica e religione sono tutte e due dei fenomeni così elementari e nello stesso tem-
po di tale complessità e vastità […] che non è praticamente possibile definirli in ma-
niera precisa. Ciò nonostante è chiaro a tutti che cosa s’intenda con “religione” e co-
sa con “musica” […] Musica e religione sono ambedue – sul piano diacronico (at-
traverso la storia) e su quello sincronico (attraverso i continenti) – dei fenomeni uni-
versali dell’umanità45.
44
A.N.TERRIN, Musica ed esperienza del sacro, «Credere Oggi», VIII (1999) 2, 19.
45
H.KÜNG, Musica e religione. Mozart – Wagner – Bruckner, Queriniana, Brescia 2012, 11.
22
CAPITOLO II
MUSICA E RELIGIONE
46
P.A.SEQUERI, Estetica e teologia, «Ambrosius», LXV (1989) 5, 488.
47
Ivi, p. 489.
48
P.A.SEQUERI, Il teologico e il musicale, «Teologia», X (1985) 1, 311.
49
Ivi, 312.
23
1. L’esperienza musicale della religione
con la danza, il canto e l’utilizzo di strumenti musicali. Infatti tutti questi elementi
svolgono un ruolo importante all’interno di molte cerimonie religiose: non solo
come veicolo di messaggi e di preghiere rivolte all’essere soprannaturale, ma anche
come modalità attraverso la quale entrare in contatto con gli spiriti, per esempio
nelle cerimoni “voodo”51.
Quindi, nel tentativo di trovare un’esperienza umana, che possa avere una
qualche attinenza col sentimento religioso, ci si imbatte necessariamente
nell’espressione artistica e, fra tutte, quella musicale sembra essergli legata
in modo ancora più inscindibile.
In ogni religione è possibile infatti riscontrare l’utilizzo della musica nei
miti, nei riti e nelle preghiere, dando così vita a quell’enorme patrimonio
dell’umanità che è la musica sacra e religiosa.
Si va delineando un certo accordo sulla distinzione, valida per oggi, fra musica
"sacra" intesa come il patrimonio secolare di composizioni colte su testi biblici e
liturgici, che costituiscono un’ampia parte della storia musicale in Europa; musica
"religiosa", categoria più vasta e alquanto fluida, caratterizzata da una certa
intenzionalità o ispirazione di tipo religioso, da definire di volta in volta; musica
"liturgica", o rituale, o per il culto, composta su misura per le concrete celebrazioni
di una confessione religiosa, cristiana o altra52.
Se si dovesse trovare una motivazione sintetica del motivo per cui la musica
si trova così connaturata al religioso possiamo citare ancora Sequeri.
La musica è certamente, tra le forme di espressione non verbale, quella che unisce il
minimo di rigidità denotativa col massimo di plasticità connotativa. In questo senso
è la forma espressiva più slegata dai valori del segno (indicare cose, concetti, oggetti,
50
A.WALLACE, Religion. An anthropological view, Random House, New York 1966.
51
M.GATTI - L.BUSSOTTI - L.A.NHAUELEQUE, Africa, afrocentrismo e religione, Aviani &
Aviani, Udine 2010.
52
E.COSTA, Una teologia della musica?, «Credere Oggi», VIII (1999) 2, 9.
24
avvenimenti) e insieme più legata ai valori del simbolo (evocare, alludere, suggerire
il molteplice riflettersi delle cose, degli oggetti, dei concetti, degli avvenimenti
nell’ambito dell’interiorità)53.
1.1 La musica come introduzione alla trascendenza
Schneider scopre alcuni passaggi assai significativi per capire l’intreccio originario
di musica e sacro a partire dalle antiche Upanishad. Egli osserva, ad esempio, che la
Chandogya Upanishad parla del fatto che “il mondo fu generato dalla sillaba OM,
che costituisce l’essenza del saman (canto) e del soffio. […] la Chandogya enumera
le differenti tappe che segnano la progressiva materializzazione del mondo a partire
da una musica originaria: il mondo sarebbe l’essenza della musica tradotta in metro
poetico” […] Prajapati, il dio delle origini, il signore delle creature nacque da un
concerto di diciassette tamburi […] E Shiva […] crea il mondo danzando55.
53
SEQUERI, Il teologico e il musicale, p. 331.
54
M.COLLINS, Musica e esperienza di Dio, «Concilium», XXV (1989) 2, 15.
55
TERRIN, Musica ed esperienza del sacro, p. 20.
56
KÜNG, Musica e religione, p. 14.
25
La musica, anche oggi, si fa carico di quella che è probabilmente la
missione più importante dell’arte: «indicare una possibilità di trascendenza
della becera mondanità dei nostri giorni»57.
1.2. La musica nelle diverse culture religiose
L’India è forse il paese che più di ogni altro ha amato la musica, «si è
immedesimato con essa fino al punto da congiungere strettamente e in
maniera inscindibile concezione filosofica, religiosa, cosmologica e
musicale»58. Sul piano cosmologico il suono costituisce propriamente la
natura di tutta la realtà59.
Per gli indù, gli dei non solo amano la musica, ma sono essi stessi musicisti:
Krishna, ad esempio, si presenta come il più grande suonatore di flauto e
Shiva misura il mondo a passi di danza mentre Sarasvati, Indra, Brahma,
Vishnu e Lamski suonano ciascuno il proprio strumento.
«La stessa distinzione più antica dei Veda contempla il cosiddetto Samaveda
che non è altro che la trascrizione musicale del Rigveda. Dunque si può dire
che il rituale religioso fin dal suo sorgere aveva previsto una parte
musicale»60.
Nella lingua cinese i termini yüo (musica) e lo (serenità) erano espressi dal
57
G.SALVETTI, Il Novecento appartiene a Stravinskij e Schönberg, in «Letture», ottobre
1996, 20.
58
TERRIN, Musica ed esperienza del sacro, p. 20.
59
Per una trattazione del tema si rimanda a G.RIZZARDI, L’uomo interroga se stesso.
Orizzonti di cultura vedica, Pime Editrice, Pavia 2012, 20-26.
60
TERRIN, Musica ed esperienza del sacro, p. 21.
61
Ivi, p. 22.
26
medesimo simbolo grafico.
Sulla musica come gentilezza del cuore, come fiore che sboccia in anime nobili,
esistono copiose testimonianze a cominciare da Confucio, che affermava «La musica
dell’uomo nobile è soave e delicata, mantiene un’atmosfera estatica, desta e ravviva
i moti intimi. Un tale musicista non alberga nel suo cuore né pene né lamenti, e
ignora la violenza »62.
La tradizione musicale cinese muove dal postulato secondo cui il suono non
ha valore in sé, ma è piuttosto l’incarnazione di uno stato d’animo
trasmissibile dal musicista all’ascoltatore, legato profondamente all’armonia
metafisica dell’universo. La musica in Cina è stata sottoposta a una rigida
regolamentazione fin dall’imperatore Wu-ti (141-87 a-C.) proprio perché
viene considerata «sia un efficacissimo strumento pedagogico, sia un mezzo
insostituibile di comunicazione tra il terreno e l’ultraterreno»63 e lo stesso
Confucio consigliava di valutare la bontà dei costumi di un popolo
ascoltando la sua musica.
1.2.2 L’Islam
62
F.ABBIATI, Storia della musica I, Aldo Garzanti Editore, Milano 1974, 35.
63
Ivi, p. 36.
64
AL- GHAZALI, Il concerto mistico e l’estasi, a cura di A.IACOVELLA, Il leone verde,
Torino 1999, 31.
65
C.SACCONE, La musica nella mistica musulmana, «Credere Oggi», VIII (1999) 2, 82.
27
suono e la musica rivestano un ruolo di primaria importanza nella lettura e
nell’ascolto di questo testo. Al-Ghazâlî lega spesso alla musica una qualche
forma di estasi:
non c’è suono che colpisca il suo orecchio senza che egli lo percepisca da Dio e in
Dio. Nel suo caso l’ascolto della musica funge da stimolatore del suo desiderio,
fortifica la sua passione e il suo amore, e infiamma l’acciarino del suo cuore, e fa
emergere in lui degli “stati spirituali” (ahwâl) fatti di “svelamenti” e di “dolcezze” la
cui descrizione non può essere compresa: solo colui che li ha assaporati può dire di
conoscerli67.
la sua fruizione disordinata, capace di eccitare specie nei giovani lussuria o pensieri
disdicevoli è da ritenersi proibita (harâm); se essa avviene a mero scopo ricreativo o
di trastullo è quantomeno riprovevole (makrûh); è invece permessa (halâl) a colui
che trae innocente piacere dalla “percezione di suoni armoniosi”; mentre essa è non
solo lecita ma addirittura desiderabile “per colui che si lascia guidare dall’amore di
Dio Altissimo” e nel quale il canto e la musica non scatenano lussuria e bassi
desideri bensì “suscitano le più belle qualità”68.
1.2.3 L’ebraismo
«Th.Rejk aveva notato, interrogandosi sui miti d’origine della musica, che la
tradizione ebraico-biblica “è l’unica che non faccia risalire l’invenzione
della musica a un dono divino”» 69 , tuttavia non esiste nella tradizione
biblica una precisa trattazione teologica del fatto musicale.
Il cuore della religione ebraica è il rapporto di elezione del popolo ebraico
da parte di Dio, l’Alleanza, e quindi la risposta a questa chiamata: «In tutte
66
Ivi, pp. 84-85.
67
AL- GHAZALI, Il concerto mistico e l’estasi, p. 52.
68
SACCONE, La musica nella mistica musulmana, p. 88.
69
SEQUERI, Il teologico e il musicale, p. 309.
28
le pagine, la Bibbia insegna che, per diventare se stesso, l’uomo deve
parlare con Dio: con lui si può parlare di tutto (lo si può persino criticare),
con lui si può addirittura litigare»70. Un esempio è quello del libro dei Salmi,
una raccolta di canti, poesie, preghiere che comprendono diversi generi (inni
di lode, suppliche, salmi liturgici, salmi sapienziali e salmi regali), che non
sono altro che una modalità di relazione con JHWH, la celebrazione
dell’alleanza tra Dio e l’uomo, un dialogo ininterrotto col creatore del cielo
e della terra. A dimostrazione di ciò basti notare che il vocabolo hesed
(fedeltà) ricorre più di cento volte nel libro dei Salmi.
E’ interessante constatare come i Salmi contengano una lettura della
condizione umana, che tiene conto di ogni momento della vita, da quello più
gioioso a quello più desolante. I Salmi invitano quindi «l’uomo a "cantare"
la sua vita, non solo in momenti speciali, ma in tutte le occasioni della
quotidianità» 71 , anche in quelle dove la solitudine, il peccato e la
disperazione sembrano avere la meglio sulla speranza.
Come migliaia di anni fa, anche oggi, nonostante il periodo di crisi generale,
«il linguaggio musicale resiste, almeno come il Bunraku giapponese, come
il teatro delle bambole, per il bisogno di esprimere – se non altro – le nostre
emozioni, i nostri slanci, le paure, i traumi»72.
1.2.4 Il cristianesimo
70
G.KANNHEISER, La dimensione religiosa e i grandi perché/6. Non mi va di cantare,
«L'ora di Religione», XII (1993) 3, 9.
71
Ivi, p. 11.
72
TERRIN, Musica ed esperienza del sacro, p. 19.
73
SEQUERI, Il teologico e il musicale, p. 310.
29
da un lato il vigoroso e costante impulso accordato di fatto alla pratica
musicale fino ai massimi livelli; e dall’altro i ricorrenti pronunciamenti
disciplinari di tipo restrittivo e ascetico che accompagnano la vicenda del
costume musicale nell’ambito della liturgia e della preghiera cristiana74.
Per non parlare del fatto che ci sono sviluppi della cultura estetica occidentale che
sono stati direttamente generati dallo sguardo cristiano sul mondo e sulle cose.
Esisterebbe la musica occidentale, certo un caso più unico che raro, senza
l’affezione e la libertà tipicamente cristiana nei confronti della parola sacra [...]? E si
sarebbe essa sviluppata nella complessità della sua tradizione polifonica e armonica
senza lo sguardo tipicamente cristiano che ha insegnato a concepire il popolo non
più come etnia di un solo sangue e di una sola lingua, ma come potenziale ekklesia
di voci diverse e consonanti[...]?76
74
Ivi, p. 308.
75
«Nella civiltà occidentale, la musica sacra diede origine, nel Medioevo, alla teoria
modale (a sua volta poggiata sul sistema musicale greco), che è alla base di tutta la serie di
sviluppi che condussero alla polifonia, alla tonalità, all'armonia modernamente intesa: da un
canto meramente monodico (il gregoriano) si passò, infatti, a forme sempre più elaborate di
canto a più voci (scuola di Notre-Dame, scuola fiamminga, polifonia cinquecentesca)».
(Musica sacra, in M.DRAGO - A.BOROLI, L'enciclopedia della musica, De Agostini
(1995), 806-807).
76
SEQUERI, Estetica e teologia, p. 489. Espressioni di tipo polifonico sono comunque
presenti in tradizione di molto precedenti ad esempio nelle isole di Bali e Giava, tra i
Bacango in Africa e tra gli indigeni di Samoa (cfr. F.ABBIATI, Storia della musica I,
pp. 21-22.
77
Musica sacra, in M.DRAGO - A.BOROLI, L'enciclopedia della musica, pp. 806-807.
30
tendeva a configurarsi «come un atto (quasi) religioso: E.Th.A. Hoffmann
scrive, nel 1814, che "nella sua essenza più caratteristica e interiore, la
musica è [...] culto religioso»78.
Dopo il romanticismo, la Chiesa ha cercato in diversi modi di riavvicinarsi
agli artisti e alla musica (ad esempio con alcuni messaggi pronunciati dai
pontefici), cercando di superare l’assurda pretesa di omologazione e rivalu-
tando ogni genere di esperienza religioso-musicale, in linea cioè con quanto
dichiarato nella costituzione sulla sacra liturgia del 1963 che afferma che
Nei paragrafi precedenti è stato messo in luce quanto sia facile riscontrare
una componente musicale all’interno del fenomeno religioso.
Per giustificare la tesi di una così forte compenetrazione di questi due ambiti,
resta da dimostrare quanto di religioso finisca per lasciare la propria
impronta indelebile nella produzione musicale di un popolo, di un gruppo
religioso o di un singolo artista.
Hans Küng afferma che «senza dubbio, con tutti gli altri fattori sociali e
intellettuali, anche la fede religiosa può influire sia nella composizione sia
anche nella riproduzione e nella ricezione della musica» 80 . A titolo di
esempio, l’autore fa notare come lo scampanio abbia per il credente un
significato che supera di molto quello della semplice acustica o della
fisiopsicologia.
78
COSTA, Una teologia della musica?, p. 10.
79
SC 119: EV I, 216.217.
80
H.KÜNG, Musica e religione, p. 15.
31
Talvolta l’eredità religiosa rimane visibile nonostante l’esperienza musicale
ne sembri ormai sganciata:
Uno dei casi che si possono citare è quello dei Black spirituals. James Cone,
un teologo della liberazione, sostiene che questa tradizione è una testimo-
nianza diretta dell’intima connessione tra il canto e la musica di un popolo e
la sua esperienza di Dio82. Secondo l'autore
per capire la storia della resistenza nera è necessario conoscere anche i Black
spirituals. Sono canti storici che parlano dell’annientamento delle vite nere;
ci raccontano di un popolo nella terra di schiavitù, e di ciò che esso fece per
mantenersi unito e lottare. Ci è stato narrato che il popolo d’Israele non po-
teva cantare i canti del signore in una terra straniera. Ma per i neri, la loro
resistenza dipese dal canto. Attraverso il canto, essi costruirono nuove strut-
ture per la misura dell’identità africana mentre vivevano immersi nella
schiavitù americana, e produssero sia il contenuto che il ritmo per lottare
contro l’asservimento dell'uomo83.
81
COSTA, Una teologia della musica?, p. 9.
82
J.CONE, I Black spirituals. Un’interpretazione teologica, «Concilium», XXV (1989) 2,
60-72.
83
Ivi, p. 62.
84
Ivi, p. 63.
85
M.FISHER, Negro Slave Songs in the United States, Citadel Press, New York 1953,
capp.1-4.
32
dici religiose, si rivela anche necessaria per una possibile lettura storica di
questa espressione artistica.
Come l’esperienza degli spiritual non può essere capita senza conoscerne le
motivazioni religiose profonde, così non è possibile comprendere la musica
di Bach senza avere ben chiara la Riforma protestante. La Riforma di Lutero
non consiste soltanto nel dare nuove regole alla liturgia, ma rivoluziona an-
che il concetto di musica sacra inserendovi molte novità. Martin Lutero in-
troduce il volgare nella liturgia riformata, traduce la Bibbia in tedesco. La
nuova concezione della chiesa come sacerdozio universale, rappresenta for-
se il tema fondamentale del pensiero luterano. Anche la musica quindi rien-
tra nella liturgia riformata, con una funzione importantissima. Il corale è una
forma espressiva tipicamente protestante, per riuscire a coinvolgere mag-
giormente il popolo nella liturgia. Lutero traduce i canti popolari in corali,
anche se spesso questi canti erano nati con intenti profani o erotici. L'uso del
corale era contrario ai canoni del cattolicesimo: la Chiesa infatti delegava
l'esercizio della musica soltanto ai musicisti ed agli ecclesiastici. Ma per i
riformatori il canto sacro non doveva essere uno spettacolo, un concerto of-
ferto ai fedeli, ma doveva coinvolgere il cristiano. Il canto aiutava il creden-
te, ai tempi in molti casi incolti, ad apprendere i temi della fede cristiana.
Uno dei più grandi autori del genere corale fu Johann Sebastian Bach.
La cantata Ein’ feste Burg ist unser Gott BWV 80, rappresenta un momento
importante, poiché vede di fronte direttamente la figura del musicista ed il
principale artefice della Riforma protestante, di cui viene musicato uno degli
inni più noti. Fu composta da Bach per la Festa della Riforma, che si celebra
il 31 ottobre.
É una composizione di grande intensità espressiva, esposto nella brillante
tonalità di re maggiore e in ritmo binario (tempo di marcia) per sottolineare
la vittoriosa battaglia dei credenti sotto la guida di Dio, che è pari alla so-
33
lennità dell’occasione e al denso messaggio teologico e spirituale affidato da
Lutero a quello ch’è forse il suo inno più celebre.
È chiaro a questo punto quanto musica e religione si compenetrino e quanto
all’interno dell’uno si trovi la chiave interpretativa dell’altro.
L’insegnamento della religione cattolica ha quindi il dovere di fornire agli
studenti questa chiave interpretativa fondamentale dell’esperienza musicale.
Un percorso interdisciplinare tra musica e IRC non è quindi solo auspicabi-
le, ma addirittura necessario se si vuole ridare dignità culturale a questo in-
segnamento.
34
CAPITOLO III
L’obiettivo di questo capitolo è quello di partire dai messaggi rivolti agli ar-
tisti da parte di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per valorizza-
re lo stretto rapporto che gli stessi papi hanno riscontrato e cercato di incen-
tivare tra la Chiesa e gli artisti.
A partire da queste premesse si comprende allora quanto sia importante tro-
vare metodologie ed esperienze didattiche capaci di legare saldamente il sa-
pere religioso a quello delle varie discipline artistiche. Una programmazione
quindi fortemente interdisciplinare e multidisciplinare che possa presentare
l’IRC come una, e probabilmente imprescindibile, chiave di lettura del fe-
nomeno artistico. Inoltre può diventare uno dei mezzi con cui la Chiesa
forma l’artista credente che partecipa col suo talento specifico alla vita
dell’intera comunità.
1. Paolo VI
35
In occasione della solennità dell’Ascensione di Nostro Signore, il 7 maggio
1964, Paolo VI si rivolge agli artisti nell’omelia della celebrazione eucari-
stica ad essi dedicata: è un discorso accorato, paterno e molto sentito.
Teatro di questo messaggio è la Cappella Sistina, immenso esempio di ciò
che l’arte ha saputo mettere a disposizione del messaggio e della predica-
zione cristiana. «Non c’è forse luogo che faccia più pensare e più trepidare,
che incuta più timidezza e nello stesso tempo ecciti maggiormente i senti-
menti dell’anima»86.
Con queste parole il Pontefice apre il proprio discorso, chiedendo di non es-
sere turbati né dall’incredibile bellezza artistica della sala, né tanto meno
dalla presenza del Papa stesso, che si presenta come padre «e per tutti ha un
ministero, e per tutti ha una parola»87. Agli artisti poi, specificatamente, di-
chiara: «il Papa è vostro amico»88.
Il motivo che ha spinto Paolo VI a cercare un dialogo e un incontro con gli
artisti viene sintetizzato poco dopo: «Noi abbiamo bisogno di voi» 89 . In
questo modo il Santo Padre intende compiere il primo passo verso
quell’auspicabile riconciliazione, verso la restaurazione di un’amicizia e una
complicità antica che col tempo è andata affievolendosi. La Chiesa ne ha bi-
sogno perché la prerogativa dell’arte «è proprio quella di carpire dal cielo
dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessi-
bilità»90.
L’arte si rivela quindi un mezzo per comunicare quello che l’annuncio cri-
stiano cerca di trasmettere conservando però «il senso della sua trascenden-
za, il suo alone di mistero»91. Come due facce della stessa medaglia, quindi,
l’annuncio della Chiesa e l’espressione artistica si prefiggono lo stesso
obiettivo, che non è altro che il tentativo umano di parlare, seppur con mezzi
propri, della trascendenza di Dio.
86
PAOLO VI, Omelia durante la messa degli artisti, Roma 7 maggio 1964.
87
Ivi.
88
Ivi.
89
Ivi.
90
Ivi.
91
Ivi.
36
Ma il tema è questo: bisogna ristabilire l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti.
Non è che l’amicizia sia stata mai rotta, in verità; e lo prova questa stessa
manifestazione, che è già una prova di tale amicizia in atto. E poi ci sono
tante altre manifestazioni che si possono addurre a prova di una continuità,
di una fedeltà di rapporti, che testimoniano che non è mai stata rotta
l’amicizia tra la Chiesa e gli artisti92.
La causa di questa amicizia ormai danneggiata è duplice: da una parte gli ar-
tisti hanno abbandonato la Chiesa e sono andati «lontani, a bere ad altre fon-
tane, alla ricerca sia pure legittima di esprimere altre cose»93, ma dall’altra
anche la Chiesa ha le sue colpe, avendo talvolta messo loro «una cappa di
piombo addosso»94. Paolo VI si dilunga poi in un’accorata richiesta di scuse
elencando le mancanze dimostrate e le occasioni perse in cui invece si sa-
rebbe potuta coltivare una più profonda e proficua amicizia.
Il primo passo verso la riconciliazione, «un grande atto della nuova alleanza
con l’artista»95, è però già avvenuto con la firma della Costituzione sulla Sa-
cra Liturgia promulgata dal Concilio Vaticano II.
In occasione della chiusura del Concilio Vaticano II, l’8 dicembre del 1965,
il Pontefice si rivolge nuovamente agli artisti e ribadisce con la stessa forza i
punti cardine del discorso pronunciato nella Sistina: «Oggi come ieri la
Chiesa ha bisogno di voi»96. Paolo VI ricorda che gli artisti ricoprono un
ruolo importantissimo, non sono altro che «i custodi della bellezza nel mon-
do»97. In questo discorso si trovano poi, espressioni celebri e di un’attualità
disarmante:
Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare
nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia nel
92
Ivi.
93
Ivi.
94
Ivi.
95
Ivi.
96
PAOLO VI, Messaggio del Santo Padre Paolo VI agli artisti in occasione della chiusura
del Concilio Vaticano II, Roma 8 dicembre 1965.
97
Ivi.
37
cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo,
che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione»98.
Il pontificato di Paolo VI ha quindi dato il via ad un lento processo di riav-
vicinamento tra Chiesa e gli artisti, come due partner inscindibili in cui
ognuno ha bisogno dell’altro, in cui non c’è arte religiosa se non nella siner-
gia dei due protagonisti.
2. Giovanni Paolo II
Quando Giovanni Paolo II sale sulla Cattedra di Pietro porta con sé, non so-
lo un bagaglio filosofico e teologico imponente, ma anche la sensibilità pro-
pria di un artista che ha sperimentato in prima persona la sintonia tra via ve-
ritatis e via pulchritudinis.
Nella Lettera Apostolica Duodecimum saeculum, in occasione del Dodice-
simo Centenario del II Concilio di Nicea, ribadisce la legittimità delle im-
magini e della loro Venerazione.
Il credente di oggi, come quello di ieri, deve essere aiutato nella preghiera e
nella vita spirituale con la visione di opere che cercano di esprimere il miste-
ro senza per nulla occultarlo. È questa la ragione per la quale oggi come per
il passato, la fede è l’ispiratrice necessaria dell’arte della Chiesa99.
98
Ivi.
99
GIOVANNI PAOLO II, Duodecimum Saeculum, Roma 4 dicembre 1987.
38
degli artisti. In questa occasione il Papa proclama il Beato Angelico «patro-
no presso Dio degli artisti, specialmente dei pittori»100 in un luogo caro al
pittore, la basilica di Santa Maria Sopra Minerva, che conserva la sua tomba
e che sorge accanto al convento dove passò gli ultimi anni della sua vita.
L’omelia prende proprio le mosse dalla vita del frate domenicano che riuscì
così brillantemente ad unire la figura di religioso esemplare a quella di
grande artista: «Figlio spirituale di San Domenico, col pennello espresse la
sua “summa” dei misteri divini, come Tommaso D’Aquino la enunciò col
linguaggio teologico»101. Dopo aver percorso l’intera vita del Beato Angeli-
co, il Papa saluta gli artisti ricordando le parole del Concilio e riproponendo
un tema già caro a Paolo VI: una rinnovata amicizia tra Chiesa e artisti.
A tutti dico: “Amici della vera arte, voi siete amici anche nostri”. Nel ripete-
re questa frase dei padri del Concilio nel messaggio agli artisti, il mio pen-
siero pieno di apprezzamento e di ammirazione si estende ad ogni spirito
umano innamorato del bello e all’intero mondo degli artisti, non solo di Ro-
ma e d’Italia, ma di tutti i continenti.102
39
sua vita che per la sua produzione pittorica. Quindi la grazia di Dio trova «il
proprio riflesso nell’agire dell’uomo. E se quell’uomo è un artista, anche nel
suo operare artistico, nella sua creatività»105.
Nella vita di ogni giorno, in ogni azione, nel prodotto del proprio lavoro, in
ogni creazione artistica va ricercato questo riflesso della Grazia.
Ogni uomo è tenuto, nel proprio intimo, a cercare una «adeguata proporzio-
ne tra la bellezza delle opere e la bellezza dell’anima»106, e questo si rende
ancora più necessario nel caso degli artisti.
Uomini dell’arte! Il vostro cuore certamente è nella bellezza delle opere del
genio umano, come pure nella vostra propria creatività. Il mio augurio è che
al tempo stesso voi possiate portare in voi quel senso evangelico di
proporzione, del quale ci parla Cristo, l’artista divino, e il suo discepolo:
l’artista Fra Angelico.107
105
Ivi.
106
Ivi.
107
Ivi.
108
Ivi.
109
GIOVANNI PAOLO II, Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli artisti, Roma 4 aprile
1999.
110
Ivi.
40
di meditazione del mistero di Cristo assume appieno la sua responsabilità
sociale, e in particolare ecclesiastica. «Attraverso le opere realizzate,
l’artista parla e comunica con gli altri. La storia dell’arte, perciò, non è
soltanto storia di opere, ma anche di uomini»111. Con queste parole il Papa
polacco conferma quanto il tema dell’uomo sia centrale in tutto il suo
magistero.
Un intero capitolo della lettera è dedicato al tema del bene comune: gli
artisti «rendono anche un servizio sociale qualificato a vantaggio del bene
comune» nel momento in cui scoprono l’esistenza di «un’etica, anzi una
“spiritualità” del servizio artistico, che a suo modo contribuisce alla vita e
alla rinascita di un popolo»112.
Dopo un excursus storico, in cui il Pontefice traccia una breve storia
dell’arte e del suo spesso provvidenziale sodalizio con la Chiesa, si giunge
al punto centrale della lettera: riprendendo il Magistero di Paolo VI e del
Concilio, Giovanni Paolo II propone un rinnovato dialogo, che parte da una
affermazione «La Chiesa ha bisogno dell’arte» 113 , e da un interrogativo:
«L’arte ha bisogno della chiesa?»114.
Il documento si chiude con un appello agli artisti: «La bellezza che trasmet-
terete alle generazioni di domani sia tale da destare in esse lo stupore!»115.
Ognuno di loro è quindi chiamato, davanti a Dio e all’intera comunità cri-
stiana, ad essere responsabile in prima persona dei doni ricevuti.
111
Ivi.
112
Ivi.
113
Ivi.
114
Ivi.
115
Ivi.
116
Ivi.
41
L’assoluta necessità che questa bellezza venga trasmessa alle future genera-
zioni trova la sua ragione d’essere nel fatto che, come dice il titolo italiano
di un’opera di Tzvetan Todorov, la bellezza salverà il mondo.
Le strade percorse dall’arte, guardando a Cristo Risorto e accompagnati dal-
la Vergine Maria, eterno esempio di bellezza, potranno alla fine aiutare gli
uomini a superare le sfide del nuovo millennio: «la vostra arte contribuisca
all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello Spirito di
Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno»117.
3. Benedetto XVI
Nel giugno del 2005, presentando il Compendio del Catechismo della Chie-
sa Cattolica, il Santo Padre torna su questo argomento.
Nel testo sono anche inserite delle immagini […] Immagine e parola
s’illuminano così a vicenda. L’arte «parla» sempre, almeno implicitamente,
del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza:
Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro
bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore
della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello,
tra la via veritatis e la via pulchritudinis.119
117
Ivi.
118
BENEDETTO XVI, La bellezza. La Chiesa, LEV-Itaca, Roma-Castel Bolognese 2005, 11-
26.
119
BENEDETTO XVI, Presentazione del compendio del catechismo della Chiesa Cattolica,
Roma 28 giugno 2005.
42
Il tema centrale è sempre la bellezza di Dio, lo stupore di fronte al Verbo In-
carnato, che si tramuta in una storia personale di amicizia e di amore, dato e
ricevuto, che non porta ad altro che alla gioia.
120
BENEDETTO XVI, Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI al presidente del pontificio
consiglio della cultura, S.E.Mons. Gianfranco Ravasi, Roma 24 novembre 2008.
121
Ivi.
122
Ivi.
123
Ivi.
124
Ivi.
125
Ivi.
43
3.2 Un’amicizia in continuo rinnovamento
Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico,
non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario
nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana
dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto
126
BENEDETTO XVI, Discorso del Santo Padre Benedetto XVI agli artisti, Roma 21
novembre 2009.
127
Ivi.
44
quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso,
bello.128
L’arte si rivela «una salutare “scossa”»129, che aiuta l’uomo ad aprire gli oc-
chi e lo rende capace di vivere fino in fondo la propria esistenza, anzi, può
rivelarsi addirittura « una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo,
verso Dio»130.
Citando von Balthasar e Simone Weil, Benedetto XVI afferma che «la via
della bellezza ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento,
l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità […] Il bello è la prova spe-
rimentale che l’incarnazione è possibile »132.
Prima di concludere rivolge anch’egli un appello agli artisti, sintetizzando in
maniera esemplare il percorso avviato da Paolo VI nel 1964.
Voi siete custodi della bellezza; voi avete, grazie al vostro talento, la possibi-
lità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e
collettiva […] Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli
della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella
bellezza e attraverso la bellezza! Siate anche voi, attraverso la vostra arte,
annunciatori e testimoni di speranza per l’umanità! E non abbiate paura di
confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i
credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso
la Bellezza infinita! La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte,
anzi li esalta e li nutre […] Auguro a tutti voi, cari Artisti, di portare nei vo-
stri occhi, nelle vostre mani, nel vostro cuore questa visione, perché vi dia
gioia e ispiri sempre le vostre opere belle. Mentre di cuore vi benedico, vi
saluto, come già fece Paolo VI, con una sola parola: arrivederci!
128
Ivi.
129
Ivi.
130
Ivi.
131
Ivi.
132
Ivi.
45
CAPITOLO IV
Dopo essere partiti dalla necessità di ripensare l’IRC come possibile attore
di una progettazione interdisciplinare, si è mostrato come l’esperienza reli-
giosa e quella musicale siano interconnesse. Nei messaggi dei pontefici,
questo legame tra la Chiesa e arte viene ulteriormente valorizzato e indicato
come indispensabile per entrambi.
In quest’ottica, l’insegnante di IRC deve garantire agli studenti le compe-
tenze per poter decifrare l’esperienza musicale sacra o religiosa, anche di
popoli lontani nel tempo e nello spazio, accomunati però dalla comune ri-
cerca del trascendente. L’ora di religione, insomma, fornisce gli elementi
per poter meglio comprendere la musica di ogni tempo legata alla liturgia o
al sacro. Meglio ancora: senza conoscere i caratteri della religiosità
dell’uomo in generale e le loro manifestazioni storiche, non è possibile ac-
costarsi alla musica carpendone i significati profondi.
1. La proposta didattica
1.1 L’autoapprendimento
46
dell’insegnante è unicamente quello di proporre alcuni brani musicali. Sa-
ranno gli esercizi proposti a guidare l’alunno verso i punti focali del tema in
questione. Questo non è che un punto di partenza, che necessiterà poi di ul-
teriori attività e sviluppi. Non vuol essere un’attività autoconclusiva, ma
un’esperienza che mostri quanto sia importante possedere la chiave giusta
per decifrare i brani musicali in questione. E questa chiave di lettura la pos-
siede proprio l’insegnante di religione.
Nel primo esercizio proposto gli alunni ascoltano cinque brani molto diversi
tra loro (un mantra induista, un canto tribale, il Sanctus dalla K317 di
W. A. Mozart, un canto gospel e un brano del Gen Verde), indicando per
ognuno quattro aggettivi per descriverne le caratteristiche. Successivamente
dovranno collegare ciascun brano alla sua corretta descrizione.
Seguirà una breve lettura in cui si mostra come la musica sia presente in
ogni religione e come questo ci spinga a chiederci quale sia il legame tra
queste due esperienze dell’uomo.
Nel terzo esercizio vengono proposti quattro contributi che associano la mu-
sica alla preghiera, al dialogo con Dio e i ragazzi dovranno riconoscere la
presenza della parola “preghiera” in ognuno dei brani presentati.
Nell’esercizio seguente si cercherà di far arrivare i ragazzi a comprendere
quanto l’idea di Dio influenzi la musica, fino a influenzarne le regole stesse.
Come Zeus scende dall’Olimpo per conquistare la sacerdotessa Io, come nel
quadro di Tiziano scende su una fanciulla sotto forma di pioggia, così la
scala greca è caratterizzata dall’essere discendente. Al contrario, come Gesù
ascende al cielo (nel passo dell’Ascensione degli Atti degli Apostoli e nel
quadro dello stesso Tiziano), così la scala musicale col cristianesimo subisce
una variazione e diviene ascendente.
Nel quinto esercizio viene proposto ai ragazzi l’ascolto del celebre Inno alla
gioia e di una sua versione gospel, Joyfull joyfull, per mostrare come un di-
verso senso religioso spinga ad utilizzare la stessa musica ma caricandola di
47
un senso differente (è il caso di citare l’analogia con l’usanza cristiana di far
proprie le feste pagane cambiandone però l’intenzionalità).
Nell’ultima parte l’obiettivo è quello di rendere consapevoli i ragazzi che
non è possibile capire fino in fondo tutto il patrimonio di musica liturgica
dei grandi musicisti della storia senza riconoscerne la provenienza biblica.
Gli studenti vengono quindi invitati a ricercare nei testi dei brani ascoltati (il
Kyrie dalla messa in DO maggiore di L. V. Beethoven, il Gloria dalla Mes-
sa in SI minore di J. S. Bach, il Sanctus dalla K317 di W. A. Mozart e
l’Agnus dei di G. Bizet) il legame con le Scritture.
La conclusione sarà dunque la consapevolezza che non è possibile com-
prendere l’arte, e in particolare la musica, senza conoscere la fede e la reli-
gione dell’artista o del popolo che con essa si esprime.
48
CONCLUSIONI
Alla luce del fatto che l’IRC necessita di un ripensamento nel tentativo di
confermarne la dignità culturale, si rende ormai indispensabile progettare
percorsi interdisciplinari. La proposta di un percorso che coniughi musica e
religione non è la sola possibile: anzi, proprio grazie alle sue caratteristiche
peculiari, forse nessuna materia quanto l’IRC può presentarsi come partner
indispensabile di ogni altra disciplina curriculare.
Il legame tra l’espressione musicale e il sentimento religioso rende
sicuramente necessario la vicendevole collaborazione di questi due
insegnamenti, tanto da poter dire che l’uno senza l’ausilio dell’altro non può
presentare un sapere unitario su alcuni dei propri temi.
Oltre a proporre i mezzi per una corretta interpretazione del fatto musicale,
le competenze maturate nell’ambito dell’IRC si rendono indispensabili per
una piena comprensione di gran parte dell’esperienza artistica dell’uomo (si
è già fatto notare quanto sia importante conoscere il contesto religioso di
grandi artisti come Dante e Manzoni per riuscire a comprenderli a fondo).
Da parte loro, le discipline artistiche concorrono, ognuna con la propria
specificità, alla trattazione di temi propri anche dell’IRC, nel tentativo di
promuovere quell’unitarietà del sapere che mira alla formazione integrale
dello studente.
133
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio ai partecipanti al VI Incontro Nazionale dei docenti
universitari cattolici, Roma 4 ottobre 2001, n. 4.
49
Anche papa Francesco, parlando ad alcuni studenti, ha ricordato che
la scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere,
per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di
percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta
non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione
integrale di tutte le componenti della vostra personalità134.
sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre
riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione.
Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei
suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della
realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la
mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E
questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si
approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a
imparare, - è questo il segreto, imparare ad imparare! - questo gli rimane per sempre,
rimane una persona aperta alla realtà135.
134
FRANCESCO, Discorso del Santo Padre Francesco agli studenti delle scuole gestite dai
gesuiti in Italia e Albania, Roma 7 giugno 2013.
135
FRANCESCO, Discorso del Santo Padre Francesco al mondo della scuola italiana, Roma
10 maggio 2014.
50
al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può
essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa
crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. [...] La missione
della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del
bello. E questo avviene attraverso un cammino ricco, fatto di tanti
“ingredienti”. Ecco perché ci sono tante discipline! Perché lo sviluppo è
frutto di diversi elementi che agiscono insieme e stimolano l’intelligenza, la
coscienza, l’affettività, il corpo, eccetera. Per esempio, se studio questa
Piazza, Piazza San Pietro, apprendo cose di architettura, di storia, di
religione, anche di astronomia – l’obelisco richiama il sole, ma pochi sanno
che questa piazza è anche una grande meridiana.! Questo lo insegnava anche
un grande educatore italiano, che era un prete: Don Lorenzo Milani136.
136
Ivi.
51
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55
ALLEGATI
56
ESERCITAZIONE 1
57
ESERCITAZIONE 2
La musica è presente nella mitologia di tutti i popoli primitivi: alcune popolazioni indiane
d’America ritenevano che il loro dio avesse creato il mondo cantando tre volte.
Nella mitologia cinese i primi canti e i primi strumenti erano emanazione delle voci degli
antenati.
Nella Bibbia le mura di Gerico furono abbattute dagli squilli delle trombe delle milizie
d’Israele; il suono dell’arpa di Davide placava la follia del re Saul.
Fantasioso il mito greco di Orfeo, il cui canto placò le potenze infernali.
La musica è inoltre presente nei riti di ogni religione e c’è quindi da chiedersi perché la
musica abbia questa importanza.
58
ESERCITAZIONE 3
LA SACERDOTESSA IO
Vicino a Micena c’era un Tempio sacro ad Hera, ne era sacerdotessa una
giovane di rara bellezza, Io, figlia del dio fluviale Inaco primo re di Argo e
della ninfa meliade Melia. Zeus se ne innamorò e scese spesso dal Cielo per
vederla, tra i due nacque subito un amore. Un giorno però, Hera, volle
vederci chiaro in quanto le troppe assenze del marito iniziarono ad
insospettirla, e scese dal Cielo in cerca del suo sposo. Zeus, vedendo
arrivare Hera, tramutò Io in una candida giovenca; Hera vedendo il marito
accanto ad essa, capì di cosa si trattava e la chiese come dono, Zeus non
poté rifiutare. La regina degli dei mandò la giovenca in un pascolo montano,
sotto la custodia di Argo, figlio di Agenore, soprannominato Tuttòcchi,
perché aveva cento occhi sparsi per tutto il corpo, in modo da poter sempre
controllare la giovenca; per di più Argo non dormiva mai completamente,
perché aveva sempre la metà dei suoi occhi aperti.
Zeus, non potendo accettare la sorte della giovane Io, chiese ad Hermes di
liberare la giovenca a tutti i cosi. Hermes si recò da Argo, sotto le sembianze
di un giovane pastorello, e con l’aiuto di un flauto iniziò a suonare una
noiosissima nenia, per far addormentare ad uno a uno i cento occhi. Quando
ci riuscì tagliò la testa ad Argo e Io fu libera. Hera, che aveva visto tutto
dall’alto del Cielo, raccolse gli occhi di Argo, li dispose sulla coda del
pavone e mandò alla giovenca-Io un tafano perché la pungesse; Io cercò di
scappare e di liberarsi dal tafano, in aiuto le venne Zeus che una volta
liberatala le restituì la sua forma di donna. Tuttavia due corte corna le
rimasero in testa. Da Io nacque Epàfo, che fu re d’Egitto e costruì Menfi. Io,
poi assimilata alla dea egizia Iside, significava la Luna, e Argo dai cento
occhi è il firmamento dalle cento e cento stelle, sotto la cui custodia la Luna
percorre il cielo da oriente ad occidente, senza fermarsi mai.
ATTI 1,6-11
Quelli dunque che erano riuniti gli domandarono: «Signore, è in questo
tempo che ristabilirai il regno a Israele?». Egli rispose loro: «Non spetta a
voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria
autorità. Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi
sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino
all’estremità della terra».
Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola,
accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi. E come essi avevano gli occhi
fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si
presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare
verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo,
ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo».
59
Danae - Tiziano
60
Che differenza c’è tra la prima scala musicale che hai ascoltato e la seconda?
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
Nel racconto del mito di Zeus e Io quale movimento compiono Zeus e Hera?
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
Riscontri gli stessi due movimenti anche nelle due opere di Tiziano?
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
61
ESERCITAZIONE 4
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
appartiene?
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………
62
6) Ascolta il Kyrie tratto dalla messa in Do maggiore di L.V. Beethoven e
unisci le frasi del canto (quindi della liturgia cattolica) alle frasi bibliche.
Mt 15,22
Ed ecco una donna cananea di quei
luoghi venne fuori e si mise a
gridare: «Abbi pietà di me, Signore,
Figlio di Davide. Mia figlia è
gravemente tormentata da un Kyrie eleison
demonio». (Signore pietà)
Mt 20,30
E due ciechi, seduti presso la
strada, avendo udito che Gesù
passava, si misero a gridare:
«Abbi pietà di noi, Signore,
Figlio di Davide!»
Tb 13,9
Io esalto il mio Dio e celebro il Gloria a Dio nell’alto dei cieli e
re del cielo ed esulto per la sua pace in terra agli uomini di buona
grandezza. volontà .Noi ti lodiamo, ti
Lc 2,14 benediciamo, ti adoriamo, ti
«Gloria a Dio nel più alto dei glorifichiamo, ti rendiamo grazie
cieli per la tua gloria immensa, Signore
e pace in terra agli uomini che Dio, Re del cielo, Dio Padre
egli ama». onnipotente. Signore, Figlio
Gv 3,16 unigenito, Gesù Cristo, Signore
Dio infatti ha tanto amato il Dio, Agnello di Dio, Figlio del
mondo da dare il suo Figlio Padre; tu che togli i peccati del
unigenito, perché chiunque mondo, abbi pietà di noi; tu che
crede in lui non muoia, ma togli i peccati del mondo, accogli
abbia la vita eterna. la nostra supplica; tu che siedi alla
1Gv 2,2 destra del Padre, abbi pietà di noi.
Egli è vittima di espiazione per i Perché tu solo il Santo, tu solo il
nostri peccati; non soltanto per i Signore, tu solo l’Altissimo: Gesù
nostri, ma anche per quelli di Cristo, con lo Spirito Santo nella
tutto il mondo gloria di Dio Padre. Amen.
63
8) Ascolta il Sanctus di W.A.Mozart e unisci le frasi del frasi del canto
(quindi della liturgia cattolica) alle frasi bibliche.
Is 6,3
L’uno gridava all’altro e diceva:
«Santo, santo, santo è il
Signore degli eserciti!»
Ap 4,8
E le quattro creature viventi
avevano ognuna sei ali, ed
erano coperte di occhi Santo, Santo, Santo
tutt’intorno e di dentro, e non il Signore Dio dell’universo,
cessavano mai di ripetere i cieli e la terra sono pieni
giorno e notte: «Santo, santo, della tua gloria,
santo è il Signore, il Dio Osanna nell’alto dei cieli
onnipotente, che era, che è, e
che viene».
Mt 21,9
La folla che andava innanzi e
quella che veniva dietro,
gridava:
Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel
nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!
Gv 1,29
Il giorno dopo, Giovanni
vedendo Gesù venire verso di Agnello di Dio che togli i
lui disse: «Ecco l’agnello di peccati del mondo,
Dio, ecco colui che toglie il abbi pietà di noi.
peccato del mondo! Agnello di Dio che togli i
Gv 14,27 peccati del mondo,
Vi lascio la pace, vi do la mia abbi pietà di noi.
pace. Non come la dà il mondo, Agnello di Dio che togli i
io la do a voi. Non sia turbato il peccati del mondo,
vostro cuore e non abbia timore. dona a noi la pace.
10) In conclusione
64