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INDICE

INTRODUZIONE ............................................................................................................

1. MINDFULNESS: DEFINIZIONI ...............................................................................


1.1. Mindfulness come semplice lemma del vocabolario inglese .......................................
1.2. Mindfulness come traduzione del termine pāli sati ......................................................
1.3. Mindfulness come pratica meditativa secolarizzata .....................................................

2. VAGLIO TEOLOGICO ...............................................................................................


2.1. Una mindfulness cristiana? ...........................................................................................
2.2. Una mindfulness carmelitana? ......................................................................................
2.3. Per rispondere. I criteri del discernimento....................................................................
2.4. Due diverse storie d’amore ...........................................................................................

3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ..........................................................................


3.1. Amicus Buddha… .........................................................................................................
3.2. Papa Francesco e la McMindfulness .............................................................................
3.3. Una questione legale .....................................................................................................
3.4. La lepre nella luna ........................................................................................................

BIBLIOGRAFIA ...............................................................................................................

APPENDICE ......................................................................................................................
Alla piccola lepre
nella luna

2
INTRODUZIONE

Stiamo assistendo in questi anni al diffondersi sempre più esuberante della pratica
meditativa della mindfulness: molti ne avranno sentito elencare le virtuose potenzialità e
i benefici psicofisici su qualche rivista o blog oppure saranno stati invitati a partecipare a
qualche seduta; sono stati inoltre istituiti corsi di mindfulness applicata ai settori più
disparati: dalla mindfulness per persone affette da tumori, alcolismo, stress o depressione
a quella per gli impiegati di azienda, per problemi affettivi, per genitori, per insegnanti,
per studenti e per bambini; ne troviamo tracce, infine, nelle bacheche di sempre più
numerose scuole, ospedali, università e finanche conventi e parrocchie.
Proprio il suo affacciarsi nel mondo cristiano, dischiudendo ad esso prospettive
esplicitamente spirituali oltre che psicofisiche, ci ha interpellato a un serio discernimento.
Sotto questo aspetto, infatti, l’esplosione della mindfulness ci offre davvero un punto di
vista privilegiato sui sommovimenti tellurici in atto nella spiritualità della nostra civiltà
occidentale, con cui il cristianesimo deve commisurarsi. Riassumiamone brevemente il
quadro: dopo il crollo delle previsioni sulla “eclissi del sacro” precipitosamente
diagnosticate dalla sociologia degli anni ’60-‘701, la sete di spiritualità è invece oggi più
viva che mai, anche se caratterizzata da un basso tasso di istituzionalizzazione e da una
forte centratura sui bisogni - sovente commercializzati - del benessere fisico e psicologico
dell’individuo: la cosiddetta “mentalità terapeutica”2. La nostra epoca pertanto sarebbe
meglio compresa non da una teoria della secolarizzazione intesa come una (mai
realizzatasi) estinzione della religiosità, quanto da quella del post-secolarismo, che si
propone di descrivere l’esplosione di uno “spirituale” (mai del tutto) svincolato dal
“religioso” 3.
Di tutto ciò la mindfulness, come il lettore potrà rendersi conto scorrendo queste
pagine, è un caso paradigmatico: nata inizialmente negli anni ’80 come tentativo di
pronunciata secolarizzazione, sotto forma di protocollo terapeutico, di un determinato
tipo di meditazione e di insegnamento buddhista, negli anni successivi ha

1
Cf. S. ACQUAVIVA, L’eclissi del sacro nella civiltà industriale, Edizioni di Comunità, Milano 1961.
2
Cf. R.N. BELLAH, Le abitudini del cuore. Individualismo e impegno nella società complessa, Armando,
Roma 1996.
3
Per una sintesi, cf. L. BERZANO, Spiritualità post-secolari, «Studia Patavina» 36 (3/2016), 673-684; G.
GIORDAN, Tra religione e spiritualità. Ricostruzione di un dibattito in sociologia della religione, «Religioni
e società» 55 (2006), 8-16.

3
progressivamente riguadagnato il suo retroterra spirituale esplicitamente legato al
Buddhismo, presentando attualmente un volto difficile da decifrare: vuoi per le ritrosie
dei suoi esponenti a riconoscere non tanto un’ascendenza buddhista, quanto che il
Buddhismo sia una religione, vuoi per il suo diramarsi in mille applicazioni dal diverso
livello di assortimento spirituale. A mo’ di esempio, basterà ricordare l’emblematico
nome dell’app lanciata nel 2011 per esercitarsi nella mindfulness: Buddhify4.
In sintesi, il nostro discernimento verterà sul seguente dilemma: dopo che la New Age
ha sdoganato l’industria dello yoga e il business della “meditazione trascendentale”, è la
mindfulness l’ennesima moda che si offre sui banchi del “supermercato spirituale”5
d’Occidente? Oppure in essa brilla qualcosa di buono che può arricchire la nostra
esperienza di preghiera e di vita cristiana che, se matura, dev’essere sempre pronta a
confrontarsi e a crescere nel contatto col mondo?
Nel rispondere a queste domande abbiamo cercato di porci nei panni di tutti quei
presbiteri, religiosi o fedeli laici che ineluttabilmente, nei prossimi anni, si vedranno
offrire corsi di mindfulness nelle proprie parrocchie e nelle proprie comunità. E abbiamo
cercato di affrontare tale quesito con uno spirito di massima franchezza e parresia,
curando scrupolosamente, per quanto possibile, di non essere intralciati da pregiudizi e
precomprensioni.
A questo fine possiamo vantare di avere un grande amore e una discreta conoscenza
personale di quell’Oriente cui la mindfulness è strettamente legata, anche se per vie
tortuose e sotterranee, come vedremo nel primo capitolo. Per una comprensione più lucida
di questo fenomeno, inoltre, non è stato di secondaria importanza l’accesso a un vasto
patrimonio di letteratura critica in inglese sulla mindfulness, ancora non tradotta e che la
maggior parte dei suoi neofiti italiani molto probabilmente non conosce: leggere cosa si
scrive correntemente in Inghilterra e in America sulla mindfulness, senza nostro merito,
è come poter prevedere cosa accadrà in Italia quando anche qui tale pratica si sarà diffusa
capillarmente come in quei paesi, dove è approdata con almeno due decenni di anticipo.
Nel secondo e terzo capitolo del nostro lavoro, invece, getteremo uno sguardo di fede
su questo fenomeno: un occhio sarà quello del Carmelo, Ordine religioso di cui facciamo
parte, un occhio sarà quello del magistero passato e recente. Ci riferiremo, infatti, non

4
Cf. https://buddhify.com. Disponibile su Google Play e App Store.
5
Cf. W.C. ROOF, Spiritual Marketplace. Baby Boomers and the Remaking of American Religion, Princeton
University Press, Princeton 1999.

4
soltanto al documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Orationis formas
(scritto nel 1989, prima del palesarsi del fenomeno mindfulness, tuttavia più attuale che
mai per discernere questa e ad altre simili pratiche meditative) ma anche ad alcuni recenti
pronunciamenti di Papa Francesco che hanno velatamente e al contempo perspicacemente
toccato la nostra questione.
Come carmelitani, in modo particolare, ci siamo sentiti chiamati fortemente in causa
là dove è stata avanzata, da parte di alcuni autori cristiani, cattolici e protestanti, la
proposta di una integrazione della mindfulness nella preghiera cristiana (in alcuni casi
arrivando addirittura e parlare di un “vangelo perduto della mindfulness”6 da recuperare):
ne valuteremo l’opportunità con risonanze dei nostri più insigni maestri di preghiera e
Dottori della Chiesa, specialmente S. Teresa d’Avila e S. Teresa di Lisieux. Consapevoli
della nostra limitatezza, è stato il loro esempio di figlie del Carmelo a spronarci a scrivere
queste pagine. Traendo il suo nome dal monte del Medio Oriente su cui è nato, il Carmelo
proprio grazie a queste sante è diventato simbolo di una tradizione spirituale fra le più
feconde e rappresentative dell’Occidente cristiano, e forse anche fra le più consone a
discernere e mediare, oggigiorno, le sollecitazioni di quell’Oriente, geografico e
dell’anima, che tanto ammalia l’uomo occidentale.

6
Cf. The lost gospel of mindfulness, «Premier Christianity» 50 (4/2015), https://www.premierchristia-
nity.com/Past-Issues/2015/April-2015/The-lost-gospel-of-mindfulness.

5
1.
MINDFULNESS: DEFINIZIONI

Prima di addentrarci nel terreno della mindfulness, è imprescindibile una explicatio


terminorum: è da essa che dipenderanno molte delle osservazioni e delle conclusioni cui
perverremo. Abbiamo rilevato, infatti, come in molta della letteratura, ormai sterminata,
circa questo argomento, si dia per scontata la sua definizione o se ne fornisca soltanto
una, quando se ne devono prendere in considerazione almeno tre.

1.1Mindfulness come semplice lemma del vocabolario inglese

Così viene attualmente definito dall’Oxford Dictionary: “La qualità o lo stato di essere
consapevoli o attenti riguardo a qualcosa. Esempi: «their mindfulness of the wider
cinematic tradition – la loro mindfulness della più ampia tradizione cinematografica».
«All this in a plant with no eyes or imaging organs, no brain or nervous system to support
mindfulness - Tutto ciò in una pianta senza occhi o organi di visualizzazione, senza
cervello o sistema nervoso a supporto della mindfulness»7.
Partire da questa definizione è di fondamentale importanza per comprendere come la
mindfulness sia anzitutto uno stato mentale8 universale, presente in ogni uomo e in ogni
cultura. In italiano lo si potrebbe tradurre in molti modi: “consapevolezza”, “attenzione
piena”, “concentrazione”, “coscienza (in senso cognitivo, non morale)”, anche se nessuno
di essi corrisponde appieno a quanto la psicologia clinica ha puntualizzato negli studi
degli ultimi decenni. Secondo molti autori9 si deve partire dal considerare la mindfulness
come un processo mentale ben distinto che permette agli essere umani di operare con
efficacia. Si può essere “consapevoli” (mindful) di pensieri, motivazioni, emozioni,
stimoli percettivi. La mindfulness comprende sia la prontezza sia l’attenzione. Se la

7
Voce “Mindfulness” su https://en.oxforddictionaries.com (traduzione dell’inglese nostra).
8
Il termine mindfulness deriva dal sostantivo inglese mind, “mente”, più il suffisso aggettivante -ful,
“caratterizzato da, in possesso di”, più il suffisso -ness dei nomi astratti.
9
Per approfondire cf. la sintesi, che noi seguiremo, di K.W. BROWN - R.M. RYAN, The Benefits of Being
Present: Mindfulness and Its Role in Psychological Well-Being, «Journal of Personality and Social
Psychology» 84 (4/2003), 822-848.

6
prontezza è come il radar di sottofondo della mindfulness, in grado di monitorare
continuamente l’ambiente interno ed esterno, l’attenzione è il processo per cui ci si
focalizza su un limitato settore esperienziale. Ora, nella realtà, prontezza ed attenzione
sono intrecciate in modo tale che l’attenzione continuamente estrae “figure” dal “fondo”
della prontezza, focalizzandole per un periodo variabile di tempo. Inoltre, mentre
l’attenzione e la prontezza sono caratteristiche relativamente costanti del normale
funzionamento della mente, la mindfulness può essere considerata come un’attenzione e
una prontezza aumentate in relazione a un’esperienza corrente o a una realtà presente.
Ancora più specificatamente, una caratteristica centrale della mindfulness consiste nella
prontezza e nell’attenzione “aperta” e “ricettiva” che può essere impiegata in una regolare
e sostenuta consapevolezza di eventi ed esperienze in corso. Per esempio, nel parlare con
un amico, si può essere attentissimi alla comunicazione e pienamente pronti a percepire
il più piccolo tono emotivo che vi soggiace.
In sintesi, ogni essere umano è capace di mindfulness; è uno stato mentale
quotidianamente ricorrente e che può essere persino misurato secondo determinate scale
scientificamente elaborate10.

1.2. Mindfulness come traduzione del termine pāli sati

Ci si riferisce qui a un concetto più specifico individuato dalla tradizione buddhista: è


l’attenzione piena, non-giudicante e non-riflessiva al momento presente. Essa è
annoverata al settimo posto fra le otto vie dell’”Ottuplice sentiero” buddhista e
menzionata, per esempio, nel Mahā satipaṭṭhāna sutta11. Così è definita da un monaco
buddhista contemporaneo di tradizione Theravāda:

10
Per esempio la MAAS (Mindful Attention Awareness Scale), sviluppata dagli studiosi citati nella nota
precedente, o la SMQ (Southampton Mindfulness Questionnaire) descritta in P. CHADWICK ET ALII,
Responding Mindfully to Unpleasant Thoughts and Images: Reliability and Validity of the Southampton
Mindfulness Questionnaire (SMQ), «British Journal of Clinical Psychology» 47 (4/2008), 451–455.
11
Il Mahā satipaṭṭhāna sutta (“grande discorso sul fondamento della consapevolezza”), è il XXII dei Dīgha
nikāya (DN 22), i “discorsi lunghi” del Buddha trasmessici dal Canone pāli della sacre scritture buddhiste.
Ne riportiamo l’incipit dall’edizione dei Discorsi lunghi curata da E. Frola: “Un tempo il Sublime dimorava
tra i Kuru in una città dei Kuru di nome Kammāssadhamma. Allora il Sublime si rivolse ai monaci: «O
monaci», «Signore», i monaci risposero al Sublime. Il Sublime così disse: «La strada, o monaci, ad una
unica meta, alla purificazione degli esseri, al superamento del pianto e del lamento, all’allontanamento del
dolore e della sofferenza, al comparire del giusto metodo per la realizzazione dell’estinzione è quella dei
quattro pilastri della consapevolezza (sati). Quali quattro? Ecco, o monaci, un monaco nel corpo,
osservando il corpo, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza.

7
La mindfulness approfondisce la concentrazione mentale (samatha) nella direzione della
visione interiore (vipassanā). Nella mindfulness il discepolo si sofferma sulla
contemplazione del corpo, dei sentimenti, dei pensieri. Attraverso la concentrazione e
l’attenzione a questi fattori della nostra vita, e comprendendo attraverso la meditazione la
loro vera natura, l’odio e l’avidità, la sofferenza e il rancore sono superati e il Nibbana è
raggiunto12.
A partire da questi presupposti il monaco vietnamita Thích Nhất Hạnh, appartenente
alla corrente del buddhismo Thiền (il corrispettivo vietnamita dello Zen), al fine di portare
i tesori della propria tradizione religiosa alla conoscenza di un uditorio occidentale, ha
avuto l’intuizione di individuare nella sati, tradotta in inglese con mindfulness, “l’essenza
del Buddhismo”. Se Buddha vuole dire “risvegliato”; la mindfulness è ciò che consente il
risveglio e il risveglio stesso, l’essere coscienti e consapevoli della circostanza presente.
Essa non è una semplice tecnica meditativa, ma “un mezzo e un fine”, “il seme e il frutto”.
Essa è, semplicemente, l’essere consapevoli di ciò che si fa in ogni momento:
Mentre lavi i piatti, potresti pensare al the che berrai dopo, o così proverai a finire il prima
possibile così da sederti e berti il the. Ma questo significa che non sei capace di vivere nel
tempo in cui stai lavando i piatti. Quando stai lavando i piatti, lavare i piatti dev’essere la
cosa più importante della tua vita. Così come mentre stai bevendo il the, bere il the deve
essere la cosa più importante della tua vita. Quando sei nella toilet, lascia che sia la cosa
più importante della tua vita13.

Nella sensazione, osservando la sensazione, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane nel mondo la
cupidigia e la sofferenza. Nella mente, osservando la mente, dimora strenuo, attento, consapevole, lontane
nel mondo la cupidigia e la sofferenza. Negli elementi, osservando gli elementi, dimora strenuo, attento,
consapevole, lontane nel mondo la cupidigia e la sofferenza. E come, o monaci, un monaco nel corpo,
osservando il corpo, dimora? Ecco, o monaci, un monaco andato nella foresta, al piede di un albero, in un
vuoto eremo, si siede, le gambe incrociate, diritto, erigendo il corpo presente, presente la consapevolezza.
Consapevole egli ispira, consapevole egli espira […] «Ispirerò sperimentando tutto il corpo», egli si
esercita, «Espirerò sperimentando tutto il corpo», egli si esercita” (Canone buddhista. Discorsi lunghi,
UTET, Torino 1967, 560-561). Altri suttas sul fondamento della sati sono nella sezione Majjhima nikāya
(MN 10) e nella sezione Samyutta nikāya (SN 47) del Sutta piṭaka (uno dei tre “canestri” di cui si compone
il Canone pāli, insieme al Vinaya piṭaka e all’Abhidhamma piṭaka).
12
DHAMMARAKKHITA, Mindfulness and Loving-Kindness Meditation, in D.W. MITCHELL - J.A. WISEMAN,
The Gethsemani Encounter, Continuum, New York 1998, p. 35 (traduzione nostra). L’autore fa riferimento
alla classica distinzione fra i due principali aspetti che possono caratterizzare la meditazione buddhista: la
meditazione samatha, con cui si tende ad uno stato di tranquillità tramite la concentrazione su un semplice
oggetto, come la respirazione o la recitazione di un mantra, cercando di conseguire il maggior
raccoglimento possibile; e la meditazione vipassanā, in cui la concentrazione su un semplice oggetto può
essere presente ma è subordinata alla sati, all’essere attenti circa la stessa concentrazione e le sue
distrazioni, senza doverle necessariamente eliminare, dal momento che l’obiettivo principale è, osservando
con distacco l’impermanenza e l’illusorietà degli eventi mentali, giungere ad uno stato di consapevolezza
superiore.
13
T. NHẤT HẠNH, The Miracle of Mindfulness. An Introduction to the Practice of Meditation, Beacon Press,
Boston 2016, 23 (traduzione nostra).

8
La nostra vera casa è il momento presente. Vivere nel momento presente è il miracolo. Il
miracolo non è camminare sull’acqua. Il miracolo è camminare sulla terra verde, nel
momento presente, apprezzando la pace e la bellezza che sono a disposizione ora14.
Ora, secondo Thích Nhất Hạnh e la tradizione buddhista di cui si fa interprete, questo
“miracolo” si raggiunge attraverso la pratica intensiva della mindfulness, la quale deve
arrivare a permeare ogni momento dell’esistenza. Questa pratica si declina in svariati
modi, il principale dei quali è quello della concentrazione sul proprio respiro e sui propri
pensieri:
Il fatto che sono qui e lavo queste ciotole è una realtà meravigliosa. Sono completamente
me stesso, seguendo il mio respiro, la mia presenza, e consapevole dei miei pensieri e delle
mie azioni. Non c’è modo che io possa essere sballottato in giro senza consapevolezza
[“mindlessly” nell’originale] come una bottiglia sbattuta di qua e di là dalle onde15.
Si badi bene che la concentrazione sui pensieri di cui qui si tratta non consiste in un
approfondimento riflessivo, ma in una loro osservazione neutrale, “non-riflessiva e non-
giudicante”. L’obiettivo, nella sati, non è quello di eliminare i pensieri o i sentimenti
(come spesso si ritiene in letture superficiali del buddhismo): essi sono ineliminabili e
fanno parte della natura della mente e dell’animo umano. L’obiettivo della sati è, invece,
quello di non identificarsi con essi, di considerarli in maniera impersonale come eventi
“impermanenti”. Solo in questo modo non ci si farà trascinare da essi. Conseguentemente
e congruentemente con ciò si giungerà alla realizzazione dell’anattā - concetto
fondamentale della dottrina buddhista - del “non-sé”16. Abituandosi man mano a non
identificarsi coi propri pensieri, a considerali con distacco, ci si renderà conto che essi
sono illusioni tanto quanto l’io che si presume di possedere a partire da essi – e lo stesso
si applichi per le passioni e i sentimenti. Questo è un punto fondamentale per comprendere
come la sati non descriva soltanto una pratica o un processo noetico ma bensì
presupponga un’antropologia ben precisa e doviziosamente argomentata dal Buddha-
dharma, dalla dottrina buddhista. Così come viene presupposta anche un’etica: secondo

14
Citato in J. SCHWAMM WILLIS (a cura), A Lifetime of Peace: Essential Writings by and about Thich Nhat
Hanh, Marlow & Company, New York 2003, xiv (traduzione nostra).
15
NHẤT HẠNH, The Miracle of Mindfulness, 3-4 (traduzione nostra).
16
Il testo di riferimento nel Canone pāli è l’Anattalakkhaṇa sutta, nella sezione dei Samyutta nikāya (SN
21.59). Non è questa la sede per addentrarci nelle bimillenarie speculazioni buddhiste circa la natura di
questo non-sé (il nibbāna stesso? La natura del Buddha?) e il suo rapporto con il ciclo delle reincarnazioni.
Come punto fermo e comune alle varie tradizione buddhiste si può affermare che la dottrina dell’anattā
esclude categoricamente non solo la reale sussistenza dell’io psicologico e corporeo, ma anche di un’anima
sostanziale ed immortale.

9
la tradizione buddhista, infatti, all’anattā è legata la karuṇā, la compassione: nella misura
in cui ci si distacca dal falso io coi suoi illusori pensieri e sentimenti (tramite l’esercizio
della sati) ci si distacca anche da ogni egoismo e da ogni separazione fra l’io e l’altro, fra
l’io e il l’universo, il che ha come auspicato esito una cura amorevole per l’universalità.

1.3. Mindfulness come pratica meditativa secolarizzata

Solo presupponendo le due definizioni precedenti si può comprendere la terza, che è


quella cui principalmente ci si riferisce quando si nomina la mindfulness oggi (anche in
questo saggio, quando non diversamente specificato, ci si riferirà a questa terza
definizione). Espressioni quali “mindfulness revolution”17, “mindful nation”18 o moda
mindfulness di cui si sente sempre più parlare, a merito o demerito, fanno tutte capo alla
pratica della mindfulness che ora descriveremo.
L’intuizione di sintetizzare tale “pratica” (ma vedremo subito le problematicità inerenti
all’uso di questo termine) a partire dagli insegnamenti di Thích Nhất Hạnh è stata di Jon
Kabat-Zinn, un biologo americano di origini ebraiche che è stato per lunghi anni suo
discepolo. Ciò che il maestro aveva iniziato nello sforzo di porgere agli occidentali gli
insegnamenti della meditazione buddhista è stato portato a compimento dal discepolo,
sentendosi quest’ultimo come investito della missione di
prendere il cuore di qualcosa di così significativo, sacro se vuoi, come il Buddha-dharma
e portarlo nel mondo in una maniera tale che esso non si diluisca, si profani o si distorca,
ma al contempo in una maniera tale che non sia legato a una struttura contraddistinta da
una cultura e una tradizione, il che lo renderebbe assolutamente impenetrabile per la gran
maggioranza delle persone19.
Il risultato iniziale di questa intuizione fu la fondazione, nel 1979, del Center for
Mindfulness in Medicine, Health Care, and Society dove fu sviluppato il programma
Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR): "un programma di gruppo concentrato

17
B. BOYCE (a cura), The Mindfulness Revolution, Shambhala Publications, Boston 2011.
18
T. RYAN, A Mindful Nation. How a Simple Practice Can Help Us Reduce Stress, Improve Performance,
and Recapture the American Spirit, Hay House, Carlsbad 2012.
19
J. KABAT-ZINN, Indra’s Net at Work: The Mainstreaming of Dharma Practice in Society, in G. WATSON
- S. BATCHELOR - G. CLAXTON, The Psychology of Awakening: Buddhism, Science, and Our Day-to-Day
Lives, Weiser, York Beach 2000, 223–249 (traduzione nostra). Come racconta egli stesso, Kabat-Zinn ebbe
questa ispirazione durante un ritiro spirituale presso la Buddhist Insight Meditation Society nel 1979;
durante un ritiro presso la medesima società, nel 1990, il Dalai Lama avrebbe approvato il suo proposito e
la sua metodologia.

10
sulla progressiva acquisizione di un'attenta consapevolezza (mindful awareness,
mindfulness)"20. Il “protocollo” MBSR consiste in un laboratorio di otto settimane che
implica lezioni settimanali di due ore; una giornata piena di "ritiro" (pratica mindfulness
di sei ore) tra la sesta e la settima sessione; pratica “formale” a casa (almeno 45 minuti di
meditazione quotidiana, sei giorni la settimana), e istruzioni in tre tecniche formali:
meditazione mindfulness, body scanning e posizioni yoga basilari. La meditazione
mindfulness prevede la concentrazione sul proprio ritmo respiratorio, accompagnata da
un’attenzione ai propri pensieri in una modalità non-giudicante; sono suggeriti l’uso di
uno zabuton e dello zufu (un materassino e un cuscino da meditazione su cui sedersi) e
determinate posture per la schiena, le mani e le dita (ad esempio il gesto del “mudra
cosmico”). Il body scanning è una forma di meditazione in cui, seduti o distesi, ci si
concentra sulla percezione di ogni singolo membro o regione del nostro corpo. Le
posizioni yoga sono una mutuazione delle classiche posture dello Hatha yoga.
Come si può facilmente intuire, nel MBSR ci sono tutti gli ingredienti della
meditazione buddhista precedentemente delineata e basata sulla sati, ma presentati in
maniera tale che “non devi essere un buddhista per poterlo praticare”, come afferma
Kabat-Zinn in apertura di uno dei suoi best-seller: Full Catastrophe Living: Using the
Wisdom of Your Body and Mind to Face Stress, Pain, and Illness21. Questo libro, secondo
le parole dell’autore, è stato scritto al fine di rendere il “cammino della mindfulness
accessibile all’americano medio in modo che non si debba sentire buddhista o mistico più
di tanto”.
La popolarità dei suoi libri, nonché i risultati scientificamente incoraggianti circa la
riduzione dello stress o del dolore22 dei pazienti cui è stato somministrato il protocollo

20
P. GROSSMAN ET ALII, Mindfulness-Based Stress Reduction and Health Benefits: A Meta-analysis,
«Journal of Psychosomatic Research» 57 (1/2004), 36 (traduzione nostra).
21
J. KABAT-ZINN, Full Catastrophe Living: Using the Wisdom of Your Body and Mind to Face Stress, Pain,
and Illness, Delacorte Press, New York 1990..
22
Cf. S.L. SHAPIRO - G.E. SCHWARTZ - G. BONNER, Effects of Mindfulness-Based Stress Reduction on
Medical and Premedical Students, «Journal of Behavioral Medicine» 21 (6/1998), 581–599; S.G. HOFFMAN
ET ALII, Effect of Mindfulness-Based Therapy on Anxiety and Depression: A Meta-analytic Review,
«Journal of Consulting and Clinical Psychology» 78 (2/2010), 169–183. Tuttavia, va rilevato come la più
recente ricognizione generale degli studi sugli effetti della mindfulness segnali soltanto una “lieve
evidenza” dei miglioramenti nei livelli di stress e nella qualità della vita legata alla salute mentale dei
pazienti (cf. M. GOYAL ET ALII, Meditation Programs for Psychological Stress and Well-Being. A
Systematic Review and Meta-analysis, «Journal of the American Medical Association – Internal Medicine»
174 [3/2014], 357-368). Inoltre, dopo esser stata a lungo concentrata esclusivamente sugli effetti benefici,
soltanto negli ultimi anni la comunità scientifica sta acquisendo consapevolezza dell’evidenza degli effetti
collaterali negativi - per quanto minoritari - della mindfulness e dei sistemi meditativi ad essa affini, quali:

11
MBSR, hanno fatto sì che scoppiasse la suddetta mindfulness revolution, i cui
epifenomeni più manifesti sono stati l’introduzione della mindfulness (ormai così
chiamata, sic et simpliciter) in migliaia di scuole e ospedali americani - nello spettro delle
cosiddette “medicine integrative” - nonché l’introduzione di un nuovo concetto
nell’Oxford Dictionary, che segue subito dopo la prima definizione di mindfulness che
abbiamo su riportato: “Uno stato mentale conseguito tramite la focalizzazione della
propria attenzione sul momento presente, al contempo riconoscendo e accettando
tranquillamente i propri sentimenti, pensieri e sensazioni corporee, impiegato come
tecnica terapeutica”.
Come afferma Kabat-Zinn in un’intervista del 1993 rilasciata a Bill Moyers:
I dottori ci mandano i loro pazienti per ogni sorta di problema reale. Queste persone non
sono affatto interessate alla meditazione, allo yoga, agli swami, ai maestri Zen o
all’illuminazione. Soffrono, e vengono perché vogliono un sollievo per le loro sofferenze
e per ridurre il loro stress. Un motivo per cui le persone intraprendono il nostro programma
è perché esso è completamente ridotto all’essenziale [“demystified” nell’originale]. Non è
per nulla esotico. La meditazione ha a che fare semplicemente con il concentrare
l’attenzione in un particolare modo. È qualcosa di cui siamo tutti capaci. Intervistatore: Mi
chiedo se avrebbe avuto così tanto successo se tu lo avessi chiamato “Corso di
meditazione” invece di “Clinica per la riduzione dello stress”. Jon Kabat-Zinn: Oh, posso
garantirti che non lo avrebbe avuto. Chi vorrebbe andare a farsi un corso di meditazione?
Ma quando una persona cammina nell’atrio di un ospedale e legge dei cartelli che dicono
Riduzione dello stress e rilassamento si dicono: “Ah, potrei usare questa cosa”23.
Tuttavia l’approccio di Kabat-Zinn negli anni successivi è sensibilmente cambiato.
Anche se la mindfulness continua ad essere accuratamente presentata come una pratica
religiosamente neutrale, “demystified”, nel corso degli anni i riferimenti al buddhismo si
fanno sempre più evidenti a scapito di quelli “scientifici” ormai dati per assodati. Venti
anni dopo, nel 2011 Kabat-Zinn ha ammesso di usare deliberatamente il termine
mindfulness come un “termine ombrello per descrivere il nostro lavoro e collegarlo

senso di spersonalizzazione, psicosi, ansia, panico, depressione, insonnia (cf. M. LUSTYK ET ALII,
Mindfulness Meditation Research: Issues of Partecipant Screening, Safety Procedures and Researcher
Training, «Advances in Mind-Body Medicine» 24 [1/2009], 20-30; J. LINDAHL ET ALII, The Varieties of
Contemplative Experience: a Mixed-Methods Study of Meditation-Related Challenges in Western
Buddhists, «PLoS ONE» 12 [5/2017], DOI: 10.1371/journal.pone.0176239).
23
In B. MOYERS, Meditate!... for Stress Reduction, Inner Peace... or Whatever!, «Psychology Today» 26
(7-8/1993), 38 (traduzione nostra).

12
esplicitamente con ciò che io ho sempre considerato essere un dharma universale che è
coestensivo, se non identico, con gli insegnamenti del Buddha […] un segnaposto per
l’intero dharma […] un mezzo potenzialmente in grado di fondere insieme la corrente di
una comprensione vivente, incarnata del dharma con quella della medicina clinica”24; nel
2013, nell’introduzione all’ultima edizione di Full Catastrophe Living, l’autore afferma:
“Per diffondere l’avventura dell’interiorità e le potenzialità che l’MBSR offre, non volevo
appigliarmi all’esplosione dell’evidenza scientifica sull’efficacia della mindfulness e
sugli effetti che essa può produrre”25. Non stupisce, pertanto, che l’edizione del libro
succitato presenti, stavolta sotto il copyright della Unified Buddhist Church, Inc., la
vecchia prefazione scritta dal maestro Thích Nhất Hạnh: “Questo libro può essere
descritto sia come una porta aperta sul dharma (dalla parte del mondo) sia come una porta
aperta sul mondo (dalla parte del dharma). Quando il dharma si prende realmente cura
dei problemi della vita, è vero dharma. Questo è ciò che più apprezzo di questo libro”26.
Uno spazio decisamente maggiore a espliciti riferimenti buddhisti è rilevabile anche
nella mindfulness che sta cominciando a spopolare in Italia, con pubblicazioni come
Mindfulness per principianti27. Se da una parte, nelle presentazioni del testo e del suo
contenuto quali è possibile riscontrare nei numerosi eventi e conferenze che ormai si
dedicano al tema, la mindfulness continua ad essere presentata come una forma di
meditazione “laica”, secolarizzata e non-religiosa, dall’altra i riferimenti al buddhismo al
suo interno sono evidenti e numerosi: a partire dalla copertina che ritrae un giardino Zen
e dai ringraziamenti ad alcuni “fratelli nel dharma”, passando per le folte citazione di
autori buddhisti all’interno del testo per arrivare all’ancor più nutrito elenco di testi di
spiritualità buddhista allegati in fondo all’opera fra i “consigli di lettura”.
Ora, verrebbe da chiedersi come Kabat-Zinn concili il rivestimento non-religioso della
mindfulness (a partire dal suo nome) con il suo contenuto pregno di concetti e pratiche
esplicitamente buddhiste. La risposta che lo studioso americano darebbe è questa: la
mindfulness non è da dirsi buddhista non perché non sia espressione della dottrina e della
pratica buddhista - del Buddha-dharma - ma perché lo stesso “Buddha non è buddhista”.

24
J. KABAT-ZINN, Some Reflections on the Origins of MBSR, Skillfull Means, and the Trouble with Maps,
«Contemporary Buddhism» 12 (1/2011), 290 (traduzione nostra).
25
J. KABAT-ZINN, Full Catastrophe Living: Using the Wisdom of Your Body and Mind to Face Stress, Pain,
and Illness. Revised and updated edition, Bantam Books, New York 2013, xxv (traduzione nostra).
26
Ivi, xxiii (traduzione nostra).
27
ID., Mindfulness per principianti, Mimesis, Milano - Udine 2018.

13
Il Buddha storico (Śākyamuni), infatti, viene paragonato a uno scienziato che ha scoperto
leggi fondamentali della realtà e ha costruito delle tecniche a partire da queste leggi28:“le
conoscenze che raggiunse hanno col tempo dimostrato di essere universali, come lo
possono essere le grandi scoperte scientifiche, come le leggi della termodinamica e quella
della gravità”29. Quindi,
Nella sua essenza, la mindfulness è una pratica universale, perché altro non è che attenzione
e consapevolezza, e queste sono capacità umane innate in tutti noi. Eppure è corretto dire
che, da un punta di vista storico, la più raffinata e sviluppata concezione di cosa sia la
mindfulness e di come praticarla, deriva dalla tradizione buddhista […] Questo è il motivo
per cui mi capita di parlare di insegnanti e punti di vista buddhisti, appartenenti alle varie
tradizioni che ritroviamo all’interno del buddhismo - come quelle Chan, Zen, Tibetana e
Theravada - che hanno formulato modi diversi di affrontare il tema dell’attenzione e della
consapevolezza, oltre ad aver sviluppato una vasta gamma di differenti pratiche meditative,
che possono essere insegnate come differenti porte per entrare più o meno nella stessa
stanza. Detto ciò, è importante ricordare che Buddha stesso non era buddhista e che questo
termine fu coniato dalla cultura del Settecento europeo, in particolare dai gesuiti, che non
avevano ben compreso cosa veramente rappresentassero quelle statue di un uomo seduto a
gambe incrociate posate sugli altari dei templi in Asia30.
È importante notare, inoltre, come nella prospettiva di Kabat-Zinn sia sbagliato pensare
al buddhismo non soltanto come a una religione - il che sarebbe una proiezione
“gesuitica” - ma anche come a una pratica, una tecnica o una filosofia:
Per i nostri pazienti, la mindfulness non è un’idea carina da tirar fuori ogni volta che si
sentono stressati, né una tecnica di rilassamento; anzi non è affatto una tecnica. È un modo
di essere31.
Non è la promulgazione di una metodologia o di una tecnica. Non è la realizzazione di una
filosofia. Si tratta di un essere umano, un gruppo di persone o una comunità che risiede con
intensità e con consapevolezza in quello che c’è32.

28
“La legittimità del dharma è tale che, per essere dharma, non deve essere necessariamente buddhista,
nella stessa misura in cui la legge di gravità non è inglese a causa di Newton o italiana a causa di Galileo,
o le leggi della termodinamica austriache a causa di Boltzmann” (J. KABAT-ZINN, Coming to Our Senses:
Healing Ourselves and the World Through Mindfulness, Hyperion, New York 2005, 136 [traduzione
nostra]).
29
ID., Mindfulness per principianti, 32.
30
Ivi, 31.
31
Ivi, 113.
32
Ivi, 99.

14
Chi è un po’ aduso ai testi del buddhismo non può non rinvenire in queste ultime parole
un’eco del Triratna, i “tre gioielli” in cui consiste la religione buddhista33: il Buddha
(quello storico e chi raggiunge lo stato di buddhità), il sangha (la comunità dei praticanti),
il dharma (etimologicamente “ciò che sta”: la legge, l’insegnamento).
Ma, alla luce di quanto affermato da Kabat-Zinn, non è il caso di soffermarsi troppo
su questo riecheggiare, in quanto quel che noi chiamiamo “religione buddhista” non
sarebbe altro che una messa a punto di qualcosa che di per sé è universale. Ed è proprio
questo punto, sembra, che abbiano finalmente imparato i pazienti di Kabat-Zinn: il lettore
avrà notato l’evoluzione del paziente del 2012 cha ha maturato il fatto che la mindfulness
non è una tecnica ma “un modo di essere” rispetto al paziente attirato alla mindfulness
soltanto per la riduzione dello stress, menzionato nell’intervista del 1993.
Ora, senza associare un giudizio di valore a queste osservazioni, vogliamo soltanto
rilevare come sia implicito e insistito in esse un postulato di fondo dato per assiomatico:
il livello di universalità a cui si situa la prima definizione di mindfulness che abbiamo
fornito, per Kabat-Zinn sarebbe applicabile in toto all’orizzonte culturale della seconda
(leggi del dharma = leggi della scienza). La terza definizione pertanto - la mindfulness
secolarizzata di Kabat-Zinn - sarebbe la composizione delle prime due definizioni e
potrebbe vantare, da una parte, lo stesso titolo di universalità della prima definizione,
dall’altra l’articolazione dottrinale e pratica della seconda.
Sorge dunque un interrogativo: se la speculazione buddhista ha elaborato insegnamenti
e pratiche a partire da una facoltà universale dell’uomo, quale quella della consapevolezza
del momento presente, le conclusioni cui essa è giunta possono vantare lo stesso titolo di
universalità? Quando Kabat-Zinn parla di leggi universali scoperte dal Buddha vi include
sì il funzionamento dell’atto metacognitivo della consapevolezza, ma anche la dottrina

33
Cogliamo qui l’occasione per dissociarci dall’oziosa questione se il Buddhismo sia una religione o meno.
Oggettivamente, per numerosi paesi (Bhutan, Cambogia, Giappone, India, Sri Lanka, Thailandia, Tibet
ecc.) il Buddhismo è inserito ufficialmente fra le religioni nazionali, quando non è la religione ufficiale;
così pure nella totalità dei manuali e delle enciclopedie di storia delle religioni. Se, ad esempio, prendiamo
in considerazione il Buddhismo Theravāda, quello più conservativo e attualmente dominante in Asia
meridionale e nel Sud-est asiatico (nonché quello più menzionato nei manuali di mindfulness), è vero che
non contempla un Dio creatore, ma altresì presenta nella sua cosmologia miriadi di divinità e esseri infernali
che vivono nel Saṃsāra insieme agli essere umani; ha un clero, un canone di testi sacri, luoghi di culto,
rituali e calendari liturgici. Cos’altro manca? Se poi alcuni - occidentali per lo più - hanno preteso di aver
trovato la quintessenza del Buddhismo in qualcosa che non è una religione o una filosofia è un’altra
questione: sono tanto rappresentativi del Buddhismo quanto Rudolf Bultmann e la sua demitizzazione lo
sono del cristianesimo. In definitiva, l’affermazione: “Il Buddhismo non è una religione (perché è un modo
di essere)” ha lo stesso valore dell’affermazione: “il Cristianesimo non è una religione (perché è un
incontro)”: slogan che, pur cogliendo un aspetto del fenomeno, perdono di vista tutto il resto.

15
dell’anattā34 o del “non-sé”, dei niraya o “regni infernali”, dell’anicca o “legge
dell’impermanenza”35 e molto altro che fa parte del “modo di essere” della mindfulness.
Sembra che qui natura e cultura, universalismo cognitivo e tradizione spirituale, vengano
fatti coincidere. Kabat-Zinn, in questa mancata o non voluta distinzione dei piani logici,
si rileva coerente discepolo degli insegnamenti del suo maestro Thích Nhất Hạnh, per cui
si potrebbe usufruire del buddhismo con la stessa naturalezza con cui si potrebbe
mangiare un mango:
Il buddhismo è più un modo di vivere che una religione. È come un frutto. Tu puoi gradire
vari frutti: banane, arance, mandarini e così via. Sei impegnato a mangiare questi frutti. Ma
poi qualcuno ti dice che c’è un frutto chiamato mango e che sarebbe meraviglioso se tu lo
provassi. Sarebbe un peccato se tu non sapessi cos’è un mango. E mangiare un mango non
richiede che tu abbandoni l’abitudine di mangiare arance. Perché non provarlo? Ti potrebbe
piacere un sacco. Vedi, il buddhismo è un tipo di mango: un modo di vivere, un’esperienza
degna di essere provata. È aperta a tutti. Puoi anche continuare ad essere ebreo o cattolico
mentre ti godi il Buddhismo. Penso sia una cosa meravigliosa36.

34
Ivi, 49: “Buddha ha insegnato per quarantacinque anni. Si dice che abbia detto che tutto il suo
insegnamento avrebbe potuto essere racchiuso in una sola frase. Potrebbe essere utile ricordarla, anche se
forse non riusciamo a comprenderne subito il significato. Ecco dunque quarantacinque anni di profondo
insegnamento spirituale condensati in una unica frase: «’Io’, ‘Me’, ‘Mio’, non si riferiscono a nulla»”.
35
Ivi, 96: “In ogni momento, innumerevoli persone nel mondo sono preda di un regno infernale o di un
altro […] Inoltre, nell’intensità di ogni istante - ma anche nell’orrore - possiamo riconoscere, avendola
incontrata più volte nella pratica della mindfulness, ciò che taluni chiamano legge dell’impermanenza: il
fatto che ogni cosa, senza nessuna eccezione, cambia continuamente, e le cose non saranno e non potranno
essere allo stesso modo per sempre”.
36
In SCHWAMM WILLIS (a cura), A Lifetime of Peace: Essential Writings by and about Thich Nhat Hanh,
xv (traduzione nostra).

16
2.
VAGLIO TEOLOGICO

2.1. Una mindfulness cristiana?

Il passo citato in chiusura del capitolo precedente ci ha introdotto al tema centrale del
nostro contributo, consistente nel valutare l’opportunità dell’integrazione della
mindfulness nella tradizione cristiana. Il cristianesimo ha da sempre colto la sfida di
“conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a
rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti”37 secondo l’esortazione
dell’apostolo: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5,21) e “quello che è
vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile,
quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri
pensieri” (Fil 4,8).
Da sempre il genio cristiano ha saputo attingere dalle altre culture ciò che meglio
poteva servire per una maggiore conoscenza e comunicazione del Verbo: se da una parte
questo processo è evidentissimo nell’elaborazione filosofica e teologica della fede dei
primi grandi concili ecumenici, per i quali si è preso a piene mani dalle categorie del
pensiero neoplatonico, o nelle grandi sintesi di S. Tommaso d’Aquino, impensabili senza
il determinante apporto dell’opera di Aristotele, dall’altra Benedetto XVI ricorda nel suo
celebre discorso a Ratisbona38 che questo processo di assimilazione è cominciato nella
stessa rivelazione neotestamentaria, con l’adozione definitiva della lingua greca, aborrita
invece dall’ebraismo talmudico proprio perché inevitabilmente latrice della mentalità e
della cultura greca.
Senza timori e senza pregiudizi è quindi lecito chiedersi se questo processo di
assimilazione possa compiersi anche oggi rispetto al dilagare delle forme orientali di
meditazione nella nostra società occidentale: è precisamente l’interrogativo che ci si è
posti a livello magisteriale con il documento Orationis formas, firmato dallo stesso Card.

37
CONCILIO VATICANO II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 7 dicembre 1965, in
Acta Apostolicæ Sedis 58 (14/1966), 960.
38
BENEDETTO XVI, Incontro con i rappresentanti della scienza, 12 settembre 2006, in Acta Apostolicæ
Sedis 98 (10/2006), 728-739.

17
Jospeh Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede della
quale il documento è espressione, il 15 ottobre 198939. Il titolo ufficiale del documento è
“Lettera ai vescovi della chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana”, ed
intende, oltre che definire quali siano i fondamenti teologici e pratici di una preghiera
genuinamente cristiana, vagliare il valore
che possono avere per i cristiani forme non cristiane di meditazione. La questione riguarda
soprattutto i metodi orientali40. C'è chi si rivolge oggi a tali metodi per motivi terapeutici:
l'irrequietezza spirituale di una vita sottoposta al ritmo assillante della società
tecnologicamente avanzata spinge anche un certo numero di cristiani a cercare in essi la
via della calma interiore e dell'equilibrio psichico. Questo aspetto psicologico non sarà
considerato nella presente Lettera, che intende invece evidenziare le implicazioni
teologiche e spirituali della questione. Altri cristiani, sulla scia del movimento di apertura
e di scambio con religioni e culture diverse, sono del parere che la loro stessa preghiera
abbia molto da guadagnare da tali metodi. Rilevando che, in tempi recenti, non pochi
metodi tradizionali di meditazione, peculiari del cristianesimo, sono caduti in disuso,
costoro si chiedono: non sarebbe allora possibile, attraverso una nuova educazione alla
preghiera, arricchire la nostra eredità incorporandovi anche ciò che le era finora estraneo?
(n° 2).
Il documento offre dei preziosi e precisi punti di riferimento per cercare di rispondere a
questa domanda, in uno spirito di massima apertura. Non sarà inutile ricordare, per chi
avesse dubbi su questo, che ispiratore e redattore del documento è stato Hans Urs Von
Balthasar41. Tale apertura è ben ravvisabile in passaggi come questi:

39
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai vescovi della chiesa cattolica su alcuni
aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989, in Acta Apostolicæ Sedis 82 (4/1990), 362-379. Cf.
anche l’edizione per i tipi della Libreria Editrice Vaticana, arricchita dei commenti di A.M. Sicari, A. Scola,
J. Castellano Cervera, M. Dhavamony, C. Del Zotto, T. Špidlík, J. Janssens (Lettera «Orationis formas» ai
vescovi della chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano 1991).
40
“Con l'espressione «metodi orientali» si intendono metodi ispirati all'Induismo e al Buddismo, come lo
«Zen» o la «Meditazione trascendentale» oppure lo «Yoga». Si tratta quindi di metodi di meditazione
dell'Estremo Oriente non cristiano, che non di rado oggi vengono adoperati anche da alcuni cristiani nella
loro meditazione. Gli orientamenti di principio e di metodo contenuti nel presente documento intendono
essere un punto di riferimento non solo in relazione a questo problema, ma anche, più in generale, per le
diverse forme di preghiera oggi praticate nelle realtà ecclesiali, in particolar modo nelle Associazioni,
Movimenti e Gruppi” (nota 1 del documento Orationis formas).
41
Così riferisce di lui il nostro confratello J. Castellano Cervera: “Non è un conservatore; inizia e anticipa
quello che nei decenni seguenti sarà una specie di «centrismo spirituale», dai francesi denominato
«ricentramento», denso e ricco di dottrina […] Possiamo considerarlo come l'unico grande teologo della
preghiera cristiana dell’epoca contemporanea, con molti suoi contributi sulla meditazione e la
contemplazione, specialmente nel suo libro Meditare da cristiani. Egli è stato poi il redattore e l’ispiratore
del documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Orationis formas del 15 ottobre 1989, su

18
La maggior parte delle grandi religioni che hanno cercato l'unione con Dio nella preghiera,
ha anche indicato le vie per conseguirla. Siccome “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto
è vero e santo in queste religioni”, non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste
indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà al contrario cogliere da esse ciò che vi è di
utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la
sua logica e le sue esigenze, poiché è all'interno di questa totalità che quei frammenti
dovranno essere riformulati ed assunti (n° 16).
Dunque, affinché non si perda la logica interna della preghiera cristiana, il documento
mette in guardia principalmente contro due rischi che potrebbero annidarsi all’interno
delle nuove tecniche di meditazione introdotte dall’Oriente: la pseudognosi, tendente a
una conoscenza superiore che renderebbe superflua la fede, e il messalianismo, tendente
a identificare la grazia dello Spirito Santo con l’esperienza psicologica della sua presenza
(n° 8). In virtù di ciò sono da considerarsi inconciliabili con la preghiera cristiana tutte
quelle forme di meditazione che porterebbero a superare o minimizzare la dimensione
dell’incarnazione e del dialogo “personale, intimo e profondo, tra l’uomo e Dio”,
rifuggendo da tecniche impersonali “capaci di produrre automatismi nei quali l’orante
resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di un’apertura libera al Dio
trascendente” (n° 3); così come tutte quelle tecniche di meditazione che mirerebbero
esclusivamente a raggiungere sensazioni di quiete, di distensione e di benessere
psicofisico identificando lo “spirituale” con esse, senza tener conto che l’unione
dell’anima con Dio si compie anzitutto nei sacramenti della Chiesa, nel mistero della
conformazione a Cristo crocifisso e risorto e quindi anche attraverso esperienze di
afflizione e desolazione, ancor prima che di esaltazione (n° 9).
Già a partire da queste indicazioni preliminari i tentativi del divulgatore della
mindfulness Thích Nhất Hạnh, volti ad una sua inculturazione cristiana, non sembrano
molto convincenti:
Ognuno di noi possiede l’energia della mindfulness, l’energia dello Spirito Santo: soltanto
la sua intensità e forza varia da persona a persona. Con la nostra pratica quotidiana noi
possiamo aumentare e rafforzare questo potere. Non c’è bisogno di aspettare fino a Pasqua
per celebrare. Quando lo Spirito Santo è presente, Gesù è già qui: non deve essere

alcuni aspetti della meditazione cristiana” (Teologia spirituale, in G. CANOBBIO - P. CODA, La teologia del
XX secolo: un bilancio, Città Nuova, Roma 2003, 264-268). Il contributo determinante di Von Balthasar è
ricordato anche nella presentazione di S. E. Mons. Alberto Bovone, allora segretario della Congregazione
per la Dottrina della Fede, all’edizione di Orationis Formas per i tipi della Libreria Editrice Vaticana.

19
risuscitato. Possiamo sentirLo qui proprio ora. Non è una questione di reincarnazione,
rinascita e persino risurrezione. Vivendo la mindfulness, sappiamo che ogni momento è un
momento di rinnovamento42.
Ma non vorremmo chiudere con ciò la questione. Il documento al n°11 ribadisce che
il ricorso ad autentiche pratiche meditative dell'Oriente cristiano e di altri religioni non
cristiane potrebbe servire da mezzo adatto per aiutare l'orante a stare davanti a Dio
interiormente disteso, specialmente in un contesto quale quello odierno in cui gli
aumentati stimoli e le sollecitazioni esterne potrebbero richiedere un surplus di
raccoglimento.

2.2. Una mindfulness carmelitana?

Effettivamente, alcuni autori cristiani si sono chiesti se, a questo livello di “mezzo”, la
mindfulness possa essere opportunamente impiegata al fine di una maggiore comunione
spirituale col Dio personale della nostra fede, come ad esempio Ernest Larkin:
Nella mindfulness buddhista l’unico obiettivo è di essere totalmente presenti rispetto a ciò
che si sta facendo. Ciò non ha nessun riferimento a Dio, poiché il buddhismo è non-teistico
e non ha un Dio personale. L’Assoluto, il Dio dei buddhisti, è al di là dell’ambito della loro
realtà; Dio è indisponibile e totalmente inconoscibile, oltre la comprensione della mente
umana. Pertanto la mindfulness buddhista si accontenta di cercare la presenza totale nel
momento presente senza distrazione o attenzione divisa. Noi crediamo di poter imparare
da questa pratica ad essere presenti, ma anche ad includere Dio nella presenza. In questo
modo, la stiamo battezzando per un impiego cristiano. Lo chiamiamo impiego cristiano. La
chiamiamo mindfulness cristiana43.

42
T. NHẤT HẠNH, Living Buddha, Living Christ. 20th Anniversary Edition, Penguin, New York 2007, 136-
137 (traduzione nostra).
43
E. LARKIN o.carm, Christian Mindfulness, «Review for Religious» 66 (3/2007), 230-247,
http://carmelnet.org/larkin/larkin017.pdf (traduzione nostra). Cf. anche E. LAMBIASE - A. MARINO,
Mindfulness. Raggiungere la consapevolezza di sé, San Paolo Edizioni, Milano 2017; A.I. MONG o.p.,
Miracle of Mindfulness: Buddhist and Biblical Perspectives, «Asia Journal of Theology» 29 (1/2015), 99-
116; W. REHG s.j., Christian Mindfulness. A Path to Finding God in All Things, «Studies in the Spirituality
of Jesuits» 34 (3/2002), 1-32. In area protestante segnaliamo: R.H. JOHNSTON, Introducing Christian
Mindfulness, 2015, Kindle edition: https://christianmindfulness.co.uk/e-books; S. LAMBERT, A Book of
Sparks: A Study in Christian MindFullness (sic), Instant Apostle, Watford 2014.

20
Altri studi di autori di area carmelitana si sono posti sulla stessa lunghezza d’onda44,
con pareri affermativi circa la possibilità di comparare la mindfulness con la tradizione di
preghiera cristiana e in particolare quella carmelitana. Ora, non è questa la sede per
prendere in esame ognuno dei diversi tentativi con cui questi autori, carmelitani e non, si
sono rapportati alla mindfulness: in sintesi possiamo rilevare che essi spaziano dal mero
trovare parallelismi tra mindfulness e preghiera cristiana/carmelitana
all’implementazione effettiva della pratica mindfulness in seno alla preghiera o alla vita
cristiana: in quest’ultimo caso tale implementazione spazia dalla semplice mutuazione
della mindfulness di Kabat-Zinn a tentativi di rielaborarla in chiave cristiana.
Ciò su cui ora vorremmo soffermarci, invece, è il motivo per cui presumibilmente
alcuni autori carmelitani si sono sentiti incoraggiati in questi tentativi: la somiglianza fra
la dinamica meditativa della mindfulness e quella specifica fase dell’orazione carmelitana
che è l’orazione di raccoglimento. È questa, infatti, la fase in cui l’orante, con le proprie
forze e senza l’aiuto determinante della grazia, raccoglie le proprie “potenze”: volontà,
intelletto (nel senso di pensiero, immaginazione, fantasia) e memoria. Lasciamo che ci
introduca in questo argomento S. Teresa d’Avila, la maestra somma della preghiera
carmelitana:
Quando il raccoglimento è sincero, lo si vede chiaramente, perché produce tali effetti che
io non so descrivere, ma che ben comprende chi ne ha fatto l'esperienza. L'anima,
intendendo che tutte le cose del mondo non sono che un gioco, sembra che d'improvviso
s'innalzi sopra tutte e se ne vada, simile a colui che per sottrarsi ai colpi di un nemico si

44
L.J. GONZÁLEZ o.c.d., Mindfulness e Santa Teresa. Stare con chi sappiamo che ci ama, Ediciones
Duruelo, Città del Messico 2018; C. MORALES CUETO, Mindfulness y santa Teresa de Jesús: atención
plena, recogimiento y oración, in F.J. SANCHO FERMÍN - R. CUARTAS LONDOÑO - J. NAWOJOWSKI, Teresa
de Jesús: patrimonio de la humanidad. Actas del Congreso Mundial Teresiano en el V Centenario de su
nacimiento (1515-2015), vol. I, Editorial Monte Carmelo, Burgos 2016, 395-405; P. NAVAJAS o.c.d..
Atención a lo interior: acercamiento a la oración teresiana, in J. GARCÍA CAMPAYO - C. JALÓN - A. MAS,
Mindfulness y cristianismo, Siglantana, Madrid 2016, 201-228; P. TYLER, Teresa of Avila: Doctor of the
Soul, Bloomsbury, Londra 2013. Segnaliamo inoltre D. MILLET, Santa Teresa de Jesús y el budismo
theravāda, in SANCHO FERMÍN - CUARTAS LONDOÑO - NAWOJOWSKI, Teresa de Jesús: patrimonio de la
humanidad, vol. I, 555-579; anche se questo studio non contempla la mindfulness secolarizzata ma quella
di genuina estrazione buddhista (in particolare nell’opera di Bhadantācariya Buddhaghosa) la minuziosa
analisi condotta dall’autore ci pare fra le più articolate per un confronto tra le dinamiche dell’orazione
teresiana e quelle della mindfulness, analisi che individua molte analogie pur pervenendo a questa
conclusione: “Mindfulness e [orazione di] raccoglimento occupano un posto centrale […] nei loro rispettivi
sistemi. Naturalmente, le analogie non devono spingersi troppo lontano. La differenza essenziale è che nel
raccoglimento l’anima entra dentro di sé per trovare Dio (come indica padre M. Herraiz García o.c.d., «il
raccoglimento non è un esercizio psicologico ma teologico: risponde a una chiamata di Dio e pertanto è un
atto di fede» [La oración, historia de amistad, Espiritualidad, Madrid 1982, 163]), elemento estraneo al
buddhismo” (ivi, 578 [traduzione nostra]).

21
rifugia in una fortezza. Infatti, i sensi si ritirano dalle cose esteriori e le disprezzano; gli
occhi si chiudono spontaneamente per non vedere più nulla, mentre lo sguardo dell'anima
si acuisce di più. Ecco perché chi va per questa via tiene quasi sempre gli occhi chiusi
quando prega (Cammino di perfezione 28,645).
Qui non si tratta di una cosa soprannaturale, ma di un fatto dipendente dalla nostra volontà
e che noi possiamo realizzare con l'aiuto di Dio, senza del quale non si può far nulla, neppur
un buon pensiero. Non è del silenzio delle potenze che noi parliamo, ma di un loro
assorbimento nell'anima (C 29,4).
Negli studi di cui sopra, altre similitudini sono state rilevate tra il modo di osservazione
dei pensieri individuato dalla mindfulness e quello auspicato da S. Teresa:
La memoria e la fantasia […] vanno qua e là, a guisa di farfallette notturne importune e
irrequiete […] L'unico rimedio che, dopo tanti anni di fatica, ho potuto trovare, è quello di
cui ho parlato nell'orazione di quiete, cioè trattare la fantasia da pazza e abbandonarla a se
stessa. Solo Dio la può calmare! Infine essa non è che una schiava, e siccome il Signore ci
favorisce col farci godere di Rachele, cerchiamo di sopportarla con pazienza, come
Giacobbe sopportò Lia (V 17,6-7).
La volontà mi sembra quieta e ben disposta, ma l'intelletto tumultua in tal modo da
sembrare un pazzo furioso che nessuno riesca a incatenare: non sono capace di tenerlo
fermo neppure per lo spazio di un Credo. Alcune volte me ne rido, e per meglio considerare
la mia miseria lo lascio libero a se stesso, fermandomi ad osservarlo per vedere cosa fa.
Oh, meraviglia! Grazie alla bontà di Dio, non si porta mai a cose cattive, ma solo a
indifferenti, come, ad esempio, se ci sia da fare qualche cosa qui, là o altrove (V 30,16).
Per l'instabilità dei pensiero, mi sono trovata anch'io varie volte in grandissima afflizione.
Ma da poco più di quattro anni sono giunta a conoscere, per esperienza, che il pensiero, o,
a meglio intenderci, l'immaginazione, non è la stessa cosa che l'intelletto46. Ne ho
interrogato un dotto ed ho saputo con mia grande soddisfazione che veramente è così. Non
riuscivo infatti a spiegarmi come mai l'intelletto, che pure è una potenza dell'anima,
rimanga alle volte intontito, mentre il pensiero sia quasi sempre così instabile da non poter
esser fermato che da Dio. E quando Dio lo ferma, ci par quasi d'esser fuori dal corpo. -
Insomma, mi pareva che le potenze dell'anima fossero occupate e stessero raccolte in Dio,
mentre il pensiero vagava in mezzo alle distrazioni, e ciò mi stupiva (4M 1,8).

45
Per gli scritti di S. Teresa di Gesù facciamo riferimento a Opere, Edizioni OCD, Roma 2014.
Abbreviazioni: C = Cammino di perfezione; F = Fondazioni; M = Castello interiore o Mansioni; R =
Relazioni spirituali; V = Vita.
46
In questo passo, come si leggerà in 4M 1,13, la Santa sta intendendo per “intelletto” non più il pensiero
o l’immaginazione, ma il raziocinio legato alla volontà.

22
Trattandosi di una cosa inevitabile, non ve ne dovete inquietare né affliggere. Maciniamo
la nostra farina senza curarci di questa battola di molino [del pensiero], facendo agire la
nostra volontà e il nostro intelletto47 (4M 1,13).
L’anima dunque, una volta elevata a questo alto grado di orazione, che, come ho detto, è
evidentemente soprannaturale, non deve preoccuparsi se l'intelletto, o, a meglio dire, il
pensiero si porta alle maggiori stranezze del mondo. Si rida di lui, lo tratti come un pazzo
e perseveri nella quiete, incurante del suo andare e venire. Può solo fermarlo la volontà,
che qui è sovrana potente, e lo farà senza che voi ve ne occupiate. Ma se l'anima lo vorrà
raccogliere a viva forza, perderà l'ascendente che ha su di lui e che le viene dal
sostentamento divino di cui si nutre: perderanno entrambi senza nulla guadagnare (C
31,10).
Questo modo di osservare i propri pensieri, senza identificarsi con essi o pretendere di
sopprimerli, ricorda effettivamente molto da vicino la consapevolezza coltivata nella
mindfulness, così descrittaci da Kabat-Zinn:
Per un principiante è molto importante aver chiaro fin dall’inizio che meditare vuole dire
fare amicizia coi propri pensieri, lasciare che la consapevolezza li contenga gentilmente,
qualunque siano i contenuti presenti in un determinato momento. Meditare, quindi, non
vuol dire scacciare via i pensieri o cercare di cambiarli. Meditare non significa non pensare
o cercare di sopprimere ogni tipo di pensiero che sorge, indipendentemente dal fatto che
sia un pensiero imprevisto, disturbante, fastidioso oppure energizzante e creativo. Se
cerchiamo di eliminare i nostri pensieri non facciamo che procurarci un gigantesco mal di
testa. Un tale proposito sarebbe una sciocchezza, anzi una pura follia, come cercare di
fermare le onde del mare48.
Considerate queste analogie, ritorniamo ora al nostro documento Orationis formas,
rilevando come ci offra anch’esso un punto di vista genuinamente carmelitano, a
cominciare dalla data in cui è stato pubblicato: 15 ottobre, festa di S. Teresa di Gesù. Data
non casuale e non di occasione, in quanto i riferimenti alla Santa Dottore della Chiesa
sono fitti e frequenti nel testo, insieme a citazioni di S. Giovanni della Croce49. È proprio

47
Cf. nota precedente.
48
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 43.
49
S. Teresa di Gesù menzionata ai nn° 10 (nota 11: V 12,5; 22,1-5); 11 (nota 12: omelia di S. Giovanni
Paolo II in onore di S. Teresa); 23 (nota 27: 4M, 1,2); 28 (nota 35: 6M 4,6). S. Giovanni della Croce ai nn°
9 (nota 10: Salita al Monte Carmelo II, 7,11) e 24 (nota 28: sulla “notte oscura”). Inoltre, il documento
pubblicato il 15 ottobre è stato presentato nella Sala Stampa della Santa Sede il 14 dicembre seguente,
ricorrenza liturgica di S. Giovanni della Croce: “La festa di Santa Teresa, che contrassegna anagraficamente
il giorno di nascita della Lettera - così come la festa di S. Giovanni della Croce che ha coinciso con la sua
presentazione al pubblico - conferiscono al documento una datazione simbolica, quasi a propiziare su di

23
a partire da questi riferimenti del magistero al Carmelo, pertanto, che ci sembra opportuno
valutare le analogie su rinvenute fra mindfulness e orazione carmelitana.
In primo luogo, nella nota 11 del documento si parla di forme di meditazione che “sono
state successivamente individuate e respinte da S. Teresa di Gesù la quale osserva
acutamente che «la stessa cura che si mette a non pensare a nulla sveglierà l'intelletto a
pensare molto» e che lasciare da parte il mistero di Cristo nella meditazione cristiana è
sempre una specie di «tradimento» (si veda S. TERESA DI GESÙ, Vida, 12, 5 e 22, 1-
5)”. Teresa viene inoltre solennemente citata nella nota seguente, la 12:
Additando a tutta la Chiesa l'esempio e la dottrina di Santa Teresa di Gesù, che a suo tempo
dovette respingere la tentazione di certi metodi che invitavano a prescindere dall'umanità
di Cristo a vantaggio di un vago immergersi nell'abisso della divinità, Papa Giovanni Paolo
Il diceva in un'omelia dell’1 novembre 1982 che il grido di Teresa di Gesù in favore di una
preghiera tutta centrata in Cristo “è valido anche ai nostri giorni contro alcuni metodi di
orazione che non si ispirano al Vangelo e che in pratica tendono a prescindere da Cristo, a
vantaggio di un vuoto mentale che nel cristianesimo non ha senso. Ogni metodo di orazione
è valido in quanto si ispira a Cristo e conduce a Cristo, la Via, la Verità e la Vita (Gv 14,
6)”. Si veda: Homilia Abulæ habita in honorem Sanctæ Teresiæ: AAS 75 (1983) 256-257.
Posti questi termini, ricordando i passi poc’anzi succitati, sembrerebbe che tanto Teresa
quanto i maestri della mindfulness siano concordi nell’evitare di tendere a un
irrealizzabile “vuoto mentale”. Ma forse la questione non è così semplice. Se per vuoto
mentale intendessimo la mancanza totale di pensieri, la pratica della mindfulness e la
meditazione buddhista in effetti non rientrerebbero in ciò da cui S. Giovanni Paolo II
mette in guardia “col grido di Teresa”. Come abbiamo visto prendendo in esame il
significato di sati, ogni buddhista sa che un vuoto mentale così inteso sarebbe
semplicemente impossibile.
Eppure, secondo le parole dello stesso Kabat-Zinn:
I tibetani descrivono talvolta i pensieri come parole sull’acqua, nella loro essenza vuoti,
inconsistenti e volatili. Mi piace questo modo di dire. Scritte nel cielo è un’altra immagine
che mi sembra adatta. O anche bolle di sapone. In tutte queste metafore, i pensieri possono
essere colti come qualcosa di “auto-prodotto”, che scoppia come fa una bolla di sapone

esso il patrocinio di santi che sono espressione di una spiritualità, quella cristiana, che vanta una ricchezza
incomparabile di forme e tradizioni” (dalla presentazione di A. Bovone in CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera «Orationis formas» ai vescovi della chiesa cattolica su alcuni aspetti della
meditazione cristiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991, 5).

24
quando è toccata o, in questo caso, quando i pensieri sono toccati dalla consapevolezza50.
Questa interruzione delle abituali reazioni comportamentali avviene quando riusciamo a
relazionarci ad essi a partire dalla consapevolezza che ce li fa conoscere per quello che
realmente sono, soltanto degli eventi mentali impersonali, al di là delle storie che
raccontano su di noi51.
Quindi, per la meditazione buddhista e per la mindfulness, non si tratta tanto di fare
vuoto dei pensieri, quanto di riconoscere vuoti i pensieri. E sono questi pensieri vuoti,
precisamente, le “bolle di sapone”, “volatili e inconsistenti” alle quali sono state
paragonate le “farfallette notturne” di Teresa, ovvero la fantasia e l’immaginazione
irrequiete come un “pazzo furioso”. Ma prima di entusiasmarci per questa analogia
crediamo che sia doveroso ben contestualizzare tali immagini nei loro rispettivi percorsi
meditativi.
Teresa parla di lasciar libere le “farfallette notturne” che sono i pensieri non all’inizio
del percorso meditativo, come nel caso della mindfulness, ma soltanto dopo che si è
arrivati all’”orazione di quiete”, alle quarte dimore del Castello Interiore: lo stadio in cui,
cominciando a fondersi la volontà umana con quella divina, si glissa dall’ascesi alla
mistica, dalla meditazione alla contemplazione: concessa esclusivamente da Dio, è
“quella che non possiamo acquistare con le nostre industrie e diligenze” (R 5,3). Ed è,
parimenti, a questo medesimo alto livello di maturazione spirituale, quello delle quarte
dimore del Castello interiore, che si situano i passi delle altre opere teresiane succitate
(V 17,7; V 30,16; C 31,10; 4M 1,8.13) generalmente addotte dagli autori che accostano
l’orazione di S. Teresa alla meditazione della mindfulness. Occorre dunque chiedersi:
prima di arrivare a questo stadio della vita spirituale cosa incontra l’anima dell’orante?
Per quali fasi ordinariamente matura l’anima nelle prime tre dimore del Castello, la cui
porta è la preghiera? L’orazione vocale, quella mentale e quella di raccoglimento52.
Ora, questi tre tipi di orazione sono agli antipodi di ciò che è richiesto a un principiante
della mindfulness. In queste fasi iniziali dell’orazione, lungi dall’imparare a considerare

50
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 45.
51
Ivi, 47.
52
Per una sintesi classica ed esaustiva dell’orazione teresiana cf. ERMANNO DEL SS. SACRAMENTO o.c.d, I
gradi della preghiera mistica teresiana, «Teresianum» 13 (1-2/1962), 497-517; GABRIELE DI S. MARIA
MADDALENA o.c.d., La via dell’orazione, Monastero di S. Giuseppe, Roma 1961; fra i contributi più recenti
segnaliamo invece T. ÁLVAREZ o.c.d., Gli occhi fissi su Cristo. L’orazione di S. Teresa d’Avila, Edizioni
OCD, Roma 2017; E. RENAULT o.c.d. - J. ABIVEN o.c.d., L’orazione teresiana. Il cammino di unione con
Dio, Edizioni OCD, Roma 2017.

25
“impersonali” e “vuoti” i contenuti della mente e del cuore, essi devono essere
accuratamente scelti, indotti, pensati, meditati e vissuti al fine di appassionarci nella
maniera più personalizzata possibile all’incontro con Cristo in una meditazione che sin
dal primo momento deve essere dialogo, discorso - oratio. Trascendere questa fase è
esattamente trascendere l’umanità di Cristo, il tradimento contro cui si leva il “grido” di
Teresa evocato da S. Giovanni Paolo II.
Anche l’altro grande Dottore del Carmelo, S. Giovanni della Croce, scrisse sulla
necessità di non trascurare l’attività dell’intelletto e della sensibilità prima del tempo,
pena il rischio di snaturare la preghiera cristiana:
Infatti conviene ricordare che scopo della meditazione e del discorso sulle verità divine è
quello di ricavare una qualche notizia e un po’ di amore di Dio; ogni volta che l’anima,
meditando, ricava tale frutto, si compie un atto. Come in ogni altro campo, molti atti
vengono a generare nell’anima un abito, così molti atti di notizie amorose, che l’anima
emette di volta in volta in particolare, con il continuo ripetersi fanno sì che in lei si generi
un abito […] [È] necessaria al contemplativo questa notizia e avvertenza amorosa in
generale di Dio, qualora egli debba abbandonare la via della meditazione e del discorso.
Infatti, se l’anima allora fosse priva di tale notizia o avvertenza in Dio sarebbe inoperosa e
non possederebbe niente; lasciando la meditazione, mediante la quale opera discorrendo
con le potenze sensitive, ed essendo priva della contemplazione, cioè della notizia generale
di cui sopra […] ella resterebbe priva di qualsiasi atto nei confronti di Dio53.
Ed ecco altri passi dal Cammino di perfezione in cui si evince la preziosità e la
passionale concretezza dei pensieri e dei sentimenti che devono essere coltivati
dall’orante nei confronti del Signore, sforzandosi il più possibile di evitare distrazioni54:

53
Salita al Monte Carmelo II, 14,4-6, in GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, Edizioni OCD, Roma 2012, 119-
121. Vista l’attinenza della mindfulness con lo Zen, non possiamo non ricordare en passant i tanti studi che
hanno messo a confronto l’ascetica sanjuanista del nada con il mu, il nulla dello Zen: cf. per esempio S.
DACCÒ, San Giovanni della Croce e Ch'an Hui Neng. Confronto per un dialogo interreligioso tra mistici
cristiani e mistici zen, Aracne, Ariccia 2015; o J. MAMIĆ o.c.d., S. Giovanni della Croce e lo zen-buddismo.
Un confronto nella problematica dello svuotamento interiore, Edizioni del Teresianum, Roma 1982.
Quest’ultimo autore rileva come, andando oltre le pur suggestive analogie che è possibile rinvenire fra i
due percorsi ascetici, passi quali quello appena citato dimostrano come per S. Giovanni della Croce lo
“svuotamento interiore” è sempre finalizzato, sin dai suoi inizi, ad un discorso d’amore e personale con Dio
– elemento del tutto controcorrente rispetto ad ogni pratica meditativa buddhista.
54
Ma sempre con discrezione e senza scoraggiarsi se non vi si riesce: “Ripeto l'avviso che ho già dato: poco
importa se lo dico varie volte. L'anima, quando è sopraffatta da inquietudini, distrazioni e pensieri
importuni, non si preoccupi e nemmeno si affligga. Se vuole avere libertà di spirito e non essere sempre in
tribolazione, cominci a non aver paura della croce, e il Signore l'aiuterà a portarla: andrà innanzi con gioia,
e tutto le sarà di profitto” (V 11,17).

26
Buon mezzo per mantenervi alla presenza di Dio è di procurarvi una sua immagine o pittura
che vi faccia devozione […] Se parlando con le creature le parole non vi mancano mai,
perché vi devono esse mancare parlando con il Creatore? […] Bisogna che ne prendiate
l’abitudine, perché quando con una persona non si è tanto in relazione, succede che in sua
presenza ci si senta alquanto imbarazzati […] si perde quell’intimo rapporto che nasce dalla
parentela e dall’amicizia […] Ecco una sposa che da vari anni si è allontanata dal suo sposo.
Perché ritorni, occorre prudenza e destrezza. Così di noi peccatori. Ci siamo abituati così
male, permettendo ai nostri pensieri di vagare a loro piacere o, meglio, a loro tormento, che
la povera anima non si comprende più. Per farla tornare allo Sposo e amare la casa di Lui,
occorre agire con attenzione e prudenza, sotto pena di non riuscire a nulla (C 26,9-10).
Donne come siamo e senza istruzione, abbiamo bisogno di considerazioni consimili per
capire che in noi vi è qualche cosa d'incomparabilmente più prezioso di quanto si vede al
di fuori. Sì, dovete convincervi che nel nostro interno abbiamo veramente qualche cosa
[alla lettera: “non immaginiamoci vuote all’interno”]. E piaccia a Dio che siano soltanto
le donne a ignorarlo. Se procurassimo di ricordarci spesso dell'Ospite che abbiamo in noi,
sarebbe impossibile, secondo me, abbandonarci con tanta passione alle cose del mondo,
perché, paragonate a quelle che portiamo in noi, apparirebbero in tutta la loro spregevolezza
(C 28,10).
Solo quando si sarà interiorizzato fin nelle più intime fibre del proprio cuore e della
propria mente, con la grazia di Dio, lo sguardo su Cristo, ci si potrà permettere - affermano
Teresa e Giovanni - di cominciare a tralasciare la meditazione discorsiva, a non badare
più ai pensieri (senza mai pretendere di eliminarli) in una maniera analoga a quella
descritta nella mindfulness. Ma ciò non implicherà in alcun modo che non si abbia più un
oggetto fisso cui relazionarsi; ciò significherà che - per grazia e non per impegno umano
- si è giunti a un livello di unione spirituale in cui il colloquio amoroso con Gesù è
talmente interiorizzato e vivo da non necessitare più di essere alimentato da pie
meditazioni. Non bisogna infatti dimenticare in nessun momento del cammino
dell’orazione la definizione che Teresa ne dà: “un intimo rapporto di amicizia, nel quale
ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati”55. Ciò vale
dall’inizio alla fine del processo di maturazione spirituale, dai primissimi passi
dell’orazione vocale alle vette del matrimonio spirituale. Come rilevavamo, se
nell’orazione di quiete l’anima può cominciare a distaccarsi dai propri pensieri, è perché

55
V 8,5. È peraltro riportata nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 2709.

27
l’”oggetto” delle meditazione, il Signore, si fa così presente all’anima, assorbendo così
strettamente la potenza della volontà, che non è più necessario ricordarLo o riflettere su
di Lui - per questo ora le altre due potenze dell’anima, la memoria e l’immaginazione,
possono essere lasciate libere di vagare.
Nella mindfulness, invece, più si procede nella pratica più l’oggetto della meditazione,
qualsiasi esso sia, deve perdere importanza, deve essere riconosciuto “vuoto”:
Gradualmente cominciamo a sentire che è essere presenti quello che conta. Quello che è
importante è la relazione tra il percettore e non l’oggetto che viene percepito (qualunque
oggetto nei confronti del quale tu stai prestando attenzione)56.
Ricorda, abbiamo stabilito che gli oggetti di attenzione non sono di primaria importanza.
Quello che è di primaria importanza è la qualità della presenza57.
Qualità della relazione che deve essere sempre più improntata alla impersonalità:
Se cadiamo dentro la corrente del pensare, e ci troviamo invischiati in vari pensieri, in
particolare se ci identifichiamo in essi – dicendo a noi stessi “questo è da me” o “questo
non è da me” – allora siamo davvero in trappola. Infatti, identificando circostanze o
condizioni o cose con le espressioni di auto-riferimento quali “Io”, “Me”, “Mio”,
determiniamo il sorgere della tendenza all’attaccamento, in questo caso verso noi stessi58.
Anzi c’è una certa bellezza nell’attività della mente, se ci ricordiamo che non ci deve
limitare, che non dobbiamo esserne catturati, che i contenuti della mente e del cuore non
sono personali59.
Inoltre, vediamo qui affiorare, indissolubilmente legata alla pratica della mindfulness, la
dottrina dell’anattā - dall’illusorietà del sé - ma in maniera appena velata, per non urtare
la mentalità del lettore occidentale:
Questo cambiamento di coscienza è la consapevolezza […] La gente potrebbe chiederti,
“Chi sei?” e in risposta potresti dire “sono Jon”, oppure “sono Katherine”. Ma questo è
semplicemente il nome che i tuoi genitori ti hanno dato quando sei nato. Potrebbero averti
dato un altro nome. E se lo avessero fatto, saresti la stessa persona? Una rosa che avesse
un nome diverso sarebbe altrettanto profumata?60
Se si assume l’atteggiamento proprio della mente del principiante [della mindfulness] la
noia può diventare incredibilmente interessante. Mentre la si osserva, si può scoprire che

56
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 22.
57
Ivi, 84.
58
Ivi, 48.
59
Ivi, 148.
60
Ivi, 72-73.

28
si dissolve in qualcosa di molto più interessante, in un altro stato mentale. Lo stesso accade
praticamente per qualsiasi stato mentale, compresi quelli da cui ci sentiamo oppressi o che
ci spaventano a tal punto che non riconosciamo neppure di provarli: “Chi io? Spaventato?
Atterrito? Teso? No, non io”. Riesci a sentire questo “non-io?” Questa è la storia del “non-
io”61.
Se la mindfulness fosse soltanto un modo per concentrarsi meglio su Cristo, come si
auspicano i cristiani che vorrebbero impiegarla nella loro vita e nella loro preghiera,
andrebbe anche bene. Ma dal passo appena citato abbiamo visto come la pratica della
mindfulness abbia un fine ben preciso: arrivare a considerare i pensieri, i sentimenti e gli
stati mentali come eventi impersonali - tutti, qualsiasi essi siano - perché il vero fine è
arrivare a scoprire, in uno stato di consapevolezza, di mindfulness permanente,
l’illusorietà dell’io che si attacca a quegli eventi quando essi ancora non sono considerati
come impersonali. Se si insiste tanto, nei primi passi, sull’attenzione al proprio ritmo
respiratorio è proprio perché è l’oggetto di meditazione più adatto ad essere considerato
“impersonale”, “vuoto”: è paradigmatico per tutto quello che verrà dopo, per
l’applicazione della consapevolezza mindful a tutti gli aspetti della vita:
Quando portiamo tutte le dimensioni del nostro essere alla consapevolezza, la vita in sé
diventa pratica meditativa62.
Il seme della mindfulness è qualcosa che ha un potenziale simile a quello di una ghianda:
se innaffiata regolarmente e protetta nelle fasi iniziali è in grado di diventare una grande
quercia i cui rami e fogliame possono assicurare un rifugio affidabile agli elementi della
natura63.

61
Ivi, 122. È verissimo, come alcuni autori rilevano, che analogamente al Buddhismo anche per il
Cristianesimo c’è un falso io da abbandonare: “l'uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni
ingannevoli” (Ef 4,22); “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Ma è proprio S. Teresa, con
una vivida immagine, a puntualizzare quanto sia grande la differenza del discorso cristiano sul sé rispetto
alla dottrina buddhista dell’anattā. Nelle quinte dimore del Castello interiore (5M 2) ella paragona il falso
io a un baco da seta che comincia a prender vita solo “quando per il calore dello Spirito Santo, comincia a
valersi dei soccorsi generali che Dio accorda a ognuno e a servirsi dei rimedi che Egli ha lasciato nella sua
Chiesa, come le frequenti confessioni, le buone letture e le prediche”; così nutrito, il baco troverà finalmente
le forze per entrare in un bozzolo tessuto “mediante lo spogliamento di ogni nostro amor proprio e volontà,
distaccandoci da ogni cosa terrena e praticando opere di penitenza, di orazione, di meditazione e di
obbedienza”. Solo allora questo verme del falso io morirà, sì, ma affinché ne nasca una piccola bianca
farfalla, figura di ciò che costituisce il nostro vero io: l’anima unica, irripetibile e immortale che già su
questa terra può vivere la sua unione nuziale con Cristo – nel medesimo corpo che anch’esso, un giorno,
risorgerà unico, irripetibile e immortale.
62
Ivi, 64.
63
Ivi, 101.

29
Essa in nessun modo può essere considerata, insiste Kabat-Zinn, una tecnica o un mezzo:
“è un modo d’essere”. E anche qui, Kabat-Zinn si rivela perfetto discepolo di Thích Nhất
Hạnh:
Così la mindfulness è allo stesso tempo un mezzo e un fine, il seme e il frutto. Quando
pratichiamo la mindfulness per aumentare la concentrazione, la mindfulness è un seme. Ma
la mindfulness stessa è la vita in consapevolezza: la presenza della mindfulness significa la
presenza della vita, e pertanto la mindfulness è anche il frutto. La mindfulness ci libera dalla
dimenticanza e dalla dispersione e ci rende possibile vivere pienamente ogni minuto della
vita. La mindfulness ci abilita a vivere64.

2.3. Per rispondere. I criteri del discernimento

Ma ritorniamo ora alle condizioni imprescindibili offerteci dal documento Orationis


formas affinché una pratica meditativa, orientale o meno, possa essere integrata nella
meditazione cristiana:

 “Si potrà al contrario cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere
mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze,
poiché è all'interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati
ed assunti” (n°16).
 “La preghiera cristiana quindi è sempre allo stesso tempo autenticamente personale e
comunitaria. Rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull'io, capaci di produrre
automatismi nei quali l'orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace
di un'apertura libera al Dio trascendente” (n° 3).

Certo, coloro che in buona fede cercano di conciliare cristianesimo e mindfulness sono
ben lungi dal prendere quest’ultima così com’è. Si intende bene che essi mirano a
finalizzarla a Cristo:
Il cristiano aggiunge l’elemento ulteriore della buona intenzione e del ricordarsi
della presenza di Dio. Sono presente a Dio e ricevo l’impatto della sua presenza,
che sussiste come fatto prima e dopo che io ne sia consapevole. Non costituisco io

64
NHẤT HẠNH, The Miracle of Mindfulness, 14 (traduzione nostra).

30
questa presenza. Ciò non è qualcosa di estraneo o accidentale. Appartiene alla
natura delle cose, all’immanenza di Dio in tutta la creazione65.
Ma si è così certi di poter aggiungere alla pratica mindfulness l’elemento “presenza di
Dio” in maniera così agevole? Se la nostra concezione di Dio fosse soltanto quella di un
generico amore universale che pervade tutte le cose probabilmente sì. Ma la nostra
concezione di Dio passa preponderantemente per l’incarnazione, la Passione, la
Risurrezione: il mistero pasquale è il “tutto” entro cui deve essere necessariamente
riformulato il “frammento” mindfulness. Lo può? Da quanto osservato sinora ci si
presentano alcune perplessità.
In primo luogo abbiamo rilevato come i maestri stessi della mindfulness rivendichino
per essa uno statuto che assolutamente non è e non può essere ridotto a quello di un mezzo,
di una tecnica - di un frammento quindi. Essa è uno stile di vita, un modo di essere basato
sul sistematico sviluppo di una facoltà umana, quella dell’attenzione piena al momento
presente, considerata non come semplice facoltà ma come chiave cognitiva capace di
aprire la porta della vera comprensione della realtà, della vita, del non-io.
In secondo luogo la mindfulness è, quale è stata divulgata in Occidente, fortemente
finalizzata al benessere psicofisico del praticante. Non c’è corso di mindfulness che non
cominci sciorinando i benefici psicofisici che la sua pratica può apportare, dalla
diminuzione dello stress all’incremento delle onde alfa alla riduzione dei livelli di
colesterolo. È lecito chiedersi quanto questo approccio possa conciliarsi e non strida con
il richiamo di Orationis formas (n° 9):
l'unione dell'anima orante con Dio si compie nel mistero, in particolare attraverso i
sacramenti della Chiesa. Essa può inoltre realizzarsi perfino attraverso esperienze di
afflizione e anche di desolazione […] queste non sono necessariamente un segno che lo
Spirito ha abbandonato l'anima. Come hanno sempre chiaramente riconosciuto i maestri
spirituali, possono invece essere un'autentica partecipazione allo stato di abbandono di
nostro Signore sulla croce, il quale resta sempre modello e mediatore della preghiera (Cfr.,
ad es., S. GIOVANNI DELLA CROCE, Subida del Monte Carmelo, II, cap. 7, 11).
Ad esempio, un approccio mindful cosa insegnerebbe a fare di fronte a uno stato
mentale di sofferenza? In Mindfulness per principianti Kabat-Zinn dedica un piccolo
capitoletto a tale questione:

65
LARKIN, Christian Mindfulness, 5 (traduzione nostra; il numero di pagina si riferisce ella versione on-
line del documento).

31
Una volta, a Shenzen in Cina, ho incontrato un vecchio maestro Chan di novantotto anni
che mi ha raccontato cosa fosse per lui l’MBSR: “Ci sono infiniti modi in cui la gente
soffre. Di conseguenza devono esserci infiniti modi in cui il Dharma può rendersi utile alla
gente”. Per Dharma intendeva l’insegnamento universale del Buddha sulla sofferenza e
sulla possibilità di liberazione dalla sofferenza66.
Di seguito, viene spiegata la consueta modalità di osservare il dolore in maniera
consapevole, impersonale, non identificandosi con esso:
Quando osserviamo noi stessi, attraverso la sistematica coltivazione della mindfulness e il
dolore personale che stiamo provando in un dato momento […] possiamo in realtà vedere
che essa è una forma di sofferenza che ci creiamo da soli e che si va ad aggiungere a quella
causata dalle circostanze esterne, che sono già per loro natura orribili e non necessitano
certo di essere da noi accresciute67.
A questo riguardo non possiamo non ricordare le parole di uno dei massimi divulgatori
dello Zen in America, Daisetsu Teitarō Suzuki - il cui nome sovente ricorre nei manuali
della mindfulness68 - dinnanzi al crocifisso:
Nel Buddhismo non serve né la crocifissione né la risurrezione: serve l’illuminazione […]
Il Cristo crocifisso è una visione terribile che io non posso fare a meno di associare a un
sadico impulso di una mente psichicamente malata. Un cristiano direbbe che la
crocifissione significa crocifiggere l’io o la carne, poiché non ci è concesso raggiungere la
perfezione morale senza sottomettere l’io. Ed è in questo che il Buddhismo differisce dal
Cristianesimo. Il Buddhismo dichiara che sin dall’inizio non vi è io da crocifiggere, e
concepire l’esistenza dell’io significa dare inizio ad ogni sorta di errori e di mali […] se

66
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 94.
67
Ivi.
68
“Le radici del moderno movimento della mindfulness risalgono al periodo del tardo colonialismo e al XX
secolo, in cui la fascinazione dell’Occidente per «il mistico Est» si consolidò e si combinò con le
affermazioni circa la natura scientifica e/o umanistica del Buddha e del suo insegnamento, fino a produrre
le condizioni per la nascita del programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) di Jon Kabat-
Zinn, così popolare oggigiorno. Questo sarebbe stato impossibile senza il precedente contributo di figure
quali Swāmi Vivekānanda (1863-1902) e D.T. Suzuki (1870-1966), che cercarono di distillare il messaggio
«universale» della «spiritualità orientale» dai suoi presupposti culturali e religiosi specificatamente asiatici,
in tal modo facilitando la migrazione e la trasposizione di classiche discussioni buddhiste sulla disciplina
mentale in un discorso moderno e psicologizzato sull’«esperienza»” (R.E. PURSER - D. FORBES - A. BURKE
(a cura), Handbook of Mindfulness: Culture, Context, and Social Engagement, Springer, New York 2016,
38 [traduzione nostra]). D.T. Suzuki è diffusamente citato anche in A. MASUDA - W.T. O'DONOHUE (a cura),
Handbook of Zen, Mindfulness, and Behavioral Health, Springer, New York 2017. Da non confondere con
un altro maestro Zen, Shunryū Suzuki (1904-1971), come abbiamo riscontrato in alcune superficiali
esposizioni della mindfulness.

32
non vi è l’io non è necessaria alcuna crocifissione, non occorre praticare alcun sadismo, né
si deve esporre ai lati della strada alcuna visione terrificante69.
Il tema della sofferenza e della croce ci porta necessariamente a considerare
un’ulteriore perplessità riguardo alla possibilità di integrare il “modo di essere” della
mindfulness con quello cristiano, circa il tema della necessità della grazia e di una
salvezza che venga da fuori di sé. Ecco come esso viene affrontato da Kabat-Zinn:
Non potrai diventare una persona “migliore” perché sei già perfetto come sei, comprese le
tue imperfezioni70.
Sebbene siamo già completi (whole, in inglese, N. d. T.) - la cui etimologia in inglese è la
stessa della parola salute (health), guarigione (heal), sacro (holy) - abbiamo
sfortunatamente l’abitudine di frammentare il mondo in interiore ed esteriore, questo e
quello, soggetto e oggetto, percettore e percepito71.
L’ironia del nostro desiderio di interezza è che questa è già presente in noi in qualsiasi
momento, è già nostra. Comprendere questo, renderlo quindi reale nelle nostre vite,
equivarrebbe a un profondo “cambiamento di coscienza”, un risveglio a un livello più
profondo che avvolge e permea tutta la nostra vita. Questo cambiamento di coscienza è la
consapevolezza72.
Ci chiediamo quanto la concezione di completezza, di guarigione e di sacralità - che
Kabat-Zinn giustamente in inglese vede etimologicamente connesse e che vede compiersi
nel “cambiamento di coscienza” realizzato dalla mindfulness - sia conciliabile con la
concezione di completezza su cui si fonda la rivelazione cristiana, per cui la provvidenza
ha scelto non l’inglese whole, ma il greco “ὅλος – hòlos – intero” (da cui “καθολικός -
katholikòs – universale”) che deriva dalla stessa radice da cui discende l’aggettivo latino
salvus73.
È su questa concezione di completezza salvata - e non già data - che si basa il Cammino
di perfezione di S. Teresa, il quale non è affatto un tentativo dell’io di perfezionarsi
moralmente ma un cammino di innamoramento di un Tu imprescindibile per ogni
salvezza, completezza, sacralità, guarigione.

69
D.T. SUZUKI, Misticismo cristiano e buddhista, Ubaldini, Roma 1971, 103-106.
70
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 134.
71
Ivi, 66.
72
Ivi, 72.
73
Indoeuropeo *solwos > greco arcaico *σολϜος > greco classico ὅλος.

33
2.4. Due diverse storie d’amore

Ma non è certo nostra intenzione procedere ora a un confronto teologico fra


cristianesimo, buddhismo e suoi derivati, il che sarebbe inutile, irrispettoso e inopportuno.
Ci siamo semplicemente limitati a riportare alcuni testi per far emergere quanto i principi
pratici e teorici della mindfulness siano imbevuti di buddhismo e quanto lo siano
precisamente in riferimento a quei punti che sono determinanti per valutare se essa può
essere integrata nella pratica cristiana. Crediamo che non sarà fuori luogo a questo punto
ricordare l’accorato avvertimento di Hans Urs Von Balthasar circa
i pericolosi sincretisti, i quali pensano che “tutto proviene dallo stesso fondo”: il Buddha
sorridente e l’abbandonato da Dio che muore con un grido terribile, in fin dei conti non
sarebbero che forme apparenti della stessa profondità dell’essere. Nulla di tutto questo: la
Croce, la Risurrezione e l’Eucaristia di Cristo non possono essere addizionate o messe sullo
stesso piano con nessun’altra realtà; è tutto il resto che dev’essere criticato e relativizzato
all’interno della singolarità della relazione Cristo-Chiesa74.
In questa relazione Cristo-Chiesa, il Carmelo ha da dire una parola ad alta voce, ha un
magistero suo specifico che scaturisce del nucleo incandescente del suo carisma. Carisma
che se si dovesse riassumere in una parola non potrebbe essere che questa: “nuzialità”.
Ciò che il Carmelo ricorda incessantemente alla Chiesa e ad ogni cristiano, nelle schiere
dei suoi santi e sante e negli scritti dei suoi tre Dottori della Chiesa, è che l’essenza della
nostra fede non è altro che una storia d’amore fra la Chiesa-sposa e il Verbo-sposo, che
nello Spirito la riporta fra le braccia del Padre. È questa la quintessenza del nardo verace
(“πιστικῆς – pistikēs”) della donna di Betania (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Lc 7,36-50; Gv
12,1-8), della sua fede (“πίστις – pistis”) che tanto commosse Gesù. Al punto che volle
che ella fosse ricordata ovunque sarebbe stato proclamato il suo Vangelo: a memoria dello
spreco d’amore totale - “per la sua sepoltura” - su cui dovrà modellarsi ogni autentica
relazione con il Dio cristiano. È questo amore abissale che verrà cantato nella sublime
poesia (ma ispirata ad alcune strofette popolari) della Notte oscura, del Cantico

74
H.U. VON BALTHASAR, Una meditazione…piuttosto un tradimento, in H.U. VON BALTHASAR - L.
BOUYER - O. CLEMENT - E. DAHLER - DANIEL ANGE - MADRE PH. - A.M. DE MONLEON - J. PARMENTIER,
Dalle sponde del Gange alle rive del Giordano, Ancora, Milano 1986, 185. Raccomandiamo vivamente la
lettura di questa miscellanea, per l’alta levatura teologica dei contributi e per la sua grande attualità
nell’ambito del confronto tra cristianesimo e tradizioni orientali. Ricordiamo inoltre il prezioso contributo
di H.U. VON BALTHASAR, Meditare da cristiani, Queriniana, Brescia, 1986.

34
Spirituale, della Fiamma viva d’amore di S. Giovanni della Croce; è questo amore
appassionato che verrà invocato, supplicato, raggiunto, perso, riconquistato e descritto da
S. Teresa d’Avila nei suoi libri, scritti per non altra intenzione che “ingolosire le anime”
(V 18,8) affinché lo vivano anch’esse; è questo amore misericordioso, infine, che
consumerà S. Teresa di Lisieux in “onde di infinita tenerezza”:
questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a te, mi faccia infine morire e
la mia anima si slanci senza ritardo nell'eterno abbraccio del Tuo Amore Misericordioso!
Voglio, o mio Amato, ad ogni battito del cuore rinnovarti questa offerta un numero infinito
di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirti il mio Amore in un Faccia a Faccia
Eterno!75
Tutte le forme di meditazione che la tradizione carmelitana mette in campo sono
destinate a questa storia d’amore76: storia d’amore che, lo ripetiamo, nasce da un Tu che
è “via, verità e vita” (Gv 14,6) e non un semplice oggetto cui possa applicarsi
indistintamente quella o questa tecnica, questa o quella via. Come ci insegna Teresa,
questo Tu è fine e mezzo e metodo dell’orazione sin dai suoi inizi, nell’orazione mentale
e di raccoglimento:
Non è forse così che deve fare una buona sposa con il suo sposo: mostrarsi triste se egli è
triste, allegra se egli è allegro, anche se non ha voglia? […] Così fa il Signore con voi,
senz'alcuna ombra di finzione. Si fa vostro servo, vuole che voi siate le padrone, e si
accomoda in tutto alla vostra volontà. Se siete nella gioia potete contemplarlo risorto, e nel
vederlo uscire dal sepolcro, la vostra allegrezza abbonderà. Che bellezza! Che splendore!
Quanta maestà! Quanta gioia! Con quanta gloria abbandona il campo di battaglia su cui ha
conquistato il regno senza fine che ora vuol dividere con voi, dandovi insieme se stesso!
[…] Se invece siete afflitte o fra travagli, potete contemplarlo mentre si reca al giardino

75
S. TERESA DI GESÙ BAMBINO E DEL VOLTO SANTO, Offerta di me stessa come vittima d’olocausto
all’Amore misericordioso del Buon Dio, in Opere complete. Scritti e ultime parole. II edizione migliorata,
Edizioni OCD – Libreria Editrice Vaticana, Roma 2009, 943.
76
Per chi non è familiare con la spiritualità carmelitana, sarà interessante notare che in essa la parte ascetico-
meditativa occupa uno spazio importante, ma assolutamente subordinato rispetto alla parte mistico-
contemplativa: ad esempio nel Castello interiore, opera che può ben considerarsi la summa teresiana,
all’orazione vocale, mentale e di raccoglimento sono dedicate le prime tre mansioni, che occupano circa il
15% dell’opera; nel rimanente 85% dell’opera, dalla quarta alla settima mansione, Teresa conduce per mano
il lettore - incoraggiandolo ad ogni passo sul fatto che sono mete anche per lui raggiungibili – nell’inebriante
traversata e negli sconfinati spazi che sono oltre l’orazione di raccoglimento: ovvero l’orazione di quiete,
il sonno delle potenze, l’orazione di unione, il fidanzamento mistico e il matrimonio spirituale. Come
riassume un grande amante di questa tradizione spirituale, S. Giovanni Paolo II, “la mistica carmelitana
inizia nel punto in cui cessano le riflessioni del Budda e le sue indicazioni per la via spirituale” (Varcare la
soglia della speranza, Mondadori, Milano 1994, 97). E questo punto, ricorderebbe Teresa, è dietro l’angolo,
alla portata di tutti, se solo ci rendiamo conto che “non siamo vuoti dentro” (C 28,10).

35
degli olivi. Come doveva essere triste la sua anima se Egli, che è la stessa potenza, giunse
perfino a lamentarsi! Consideratelo legato alla colonna, sommerso nello spasimo, con le
carni a brandelli: e tutto per il grande amore che ci porta. Quanto patire! E ciò nonostante,
eccolo perseguitato dagli uni e sputacchiato dagli altri, rinnegato, abbandonato dagli amici,
senza che alcuno lo difenda, intirizzito dal freddo e ridotto a tanta solitudine che ben potete
avvicinarlo e consolarvi a vicenda. Oppure consideratelo con la croce sulle spalle, quando
i carnefici non gli permettono nemmeno di respirare. Egli allora vi guarderà con quei suoi
occhi tanto belli, compassionevoli e ripieni di lacrime; dimenticherà i suoi dolori per
consolare i vostri, purché voi lo guardiate e lo preghiate di consolarvi.
Vedendolo in quello stato, il vostro cuore intenerirà, e allora non solo lo guarderete ma vi
verrà pure di parlargli, dicendogli, non con preghiere studiate, ma con parole sgorganti dal
cuore, che sono quelle che Egli ama di più: “O Signore del mondo e vero Sposo dell'anima
mia, come mai vi siete ridotto in questo stato? Signor mio e mio Bene, possibile che
vogliate ammettere alla vostra compagnia una poverella come me? Eppure scorgo nel
vostro sembiante che nel vedermi vicina, vi sentite alquanto consolare. Possibile, Signore,
che i vostri angeli vi abbandonino e neppur vostro Padre vi consoli? E se è vero, o mio Dio,
che Voi sopportate tutto per me, cos'è il poco che io sopporto per Voi? Perché mi lamento?
Che confusione per me contemplarvi in questo stato! D'ora innanzi, Signore, per imitarvi
almeno in qualche cosa, non solo voglio sopportare i travagli a cui andrò soggetta, ma
ritenerli pure come preziosi tesori. Camminiamo insieme, Signore: verrò dovunque Voi
andrete, e per qualunque luogo passerete, passerò pur io” (C 26,4-6).
Questo è un saggio di ciò che per Teresa deve essere il cuore di ogni meditazione cristiana,
e difficilmente riusciamo a veder conciliarsi questa storia d’amore - in cui la croce non è
sadismo ma talamo nuziale - con la “storia d’amore” promessa da Kabat-Zinn
nell’introduzione del suo Mindfulness per principianti: “Fondamentalmente considero la
mindfulness una storia d’amore - con la vita, con la realtà e l’immaginazione, con la
bellezza del tuo proprio essere, con il tuo cuore, con il tuo corpo e la tua mente, e con il
mondo”77. Oggetti d’amore degnissimi, e condivisi anche dal cristiano, il quale tuttavia

77
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 11. Cf. anche questo passaggio-chiave del libro: “In molte
lingue asiatiche «mente» e «cuore» sono la stessa parola. Così, quando sentite la parola «mindfulness»
dovete contemporaneamente sentire la parola «heartfulness» […] Questa è la ragione per la quale la
mindfulness è a volte descritta come un’attenzione affettuosa e per questo motivo ti incoraggio ad
avvicinarti alla pratica con un tocco leggero, con un’attitudine di gentilezza e compassione verso te stesso
[…] la meditazione non è fare! È essere, come in essere umano. È la presenza, pura e semplice. Come ci
viene ricordato nel Sutra del Cuore, un grande testo della tradizione Buddhista Mahayana, «non c’è posto
dove andare, niente da fare, nulla da raggiungere»” (p. 81). Queste pur suggestive affermazioni vanno
tuttavia comparate con le evenienze, rilevate da rigorosi test psicologici, in cui “alcuni praticanti
[occidentali della meditazione buddhista] hanno riferito di provare meno emozioni o di minore intensità o

36
non può semplicemente affiancarli o non posporli a Qualcuno che fonda l’amore per tutto
il resto78.
Infine, notiamo come queste ultime parole di Kabat-Zinn riecheggino in qualche modo
la risposta che Gesù diede al dotto scriba: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37). Di questo comando, la
mindfulness potrebbe sì essere un’ottima palestra per vivere la seconda parte del versetto
– ma al rischio fatale di dimenticarne la prima. “Ricorda: gli oggetti di attenzione non
sono di primaria importanza. Quello che è di primaria importanza è la qualità della
presenza”79: come inculcato più volte, ciò deve diventare uno stile di vita, un modo di
essere, una forma mentis. Ma potrà mai essere, o supportare, una orationis forma?

un appiattimento affettivo, talvolta persino la completa assenza di emozioni. Sono stati rilevati
comunemente anche affetti positivi quali senso di beatitudine e di euforia, ma talvolta sono stati seguiti da
depressione o agitazione […] In alcuni casi, la depressione è divenuta sufficientemente grave da risultare
in idee suicide. In altri casi, gli intensi affetti positivi non si sono alternati con bassi livelli di eccitazione,
ma sono invece culminati in condizioni destabilizzanti simili alla mania o psicosi, le quali spesso hanno
richiesto l’ospedalizzazione” (LINDAHL, The Varieties of Contemplative Experience, 18/38 [traduzione
nostra]).
78
Non sarà fuori luogo ricordare a questo riguardo quanto ribadito dall’ultimo documento della
Congregazione per la Dottrina della Fede approvato da Papa Francesco: “In conclusione, per rispondere,
sia al riduzionismo individualista di tendenza pelagiana, sia a quello neo-gnostico che promette una
liberazione meramente interiore, bisogna ricordare il modo in cui Gesù è Salvatore. Egli non si è limitato a
mostrarci la via per incontrare Dio, una via che potremmo poi percorrere per conto nostro, obbedendo alle
sue parole e imitando il suo esempio. Cristo, piuttosto, per aprirci la porta della liberazione, è diventato Egli
stesso la via: «Io sono la via» (Gv 14,6). Inoltre, questa via non è un percorso meramente interiore, al
margine dei nostri rapporti con gli altri e con il mondo creato. Al contrario, Gesù ci ha donato una «via
nuova e vivente che Egli ha inaugurato per noi attraverso [...] la sua carne» (Eb 10,20)” (CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera «Placuit Deo» ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti
della salvezza cristiana, 22 febbraio 2018, ancora da pubblicare negli Acta Apostolicæ Sedis,
http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20180222_placui
t-deo_it.html, n°13).
79
Ivi, 84.

37
3.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

3.1. Amicus Buddha…

Non abbiamo nascosto il nostro forte scetticismo di fronte alla possibile integrazione
della mindfulness fra le pratiche di preghiera (o di preparazione alla preghiera) cristiana.
Inoltre, se alcuni autori hanno individuato alcune analogie fra la mindfulness e la
preghiera carmelitana, in ascolto del magistero abbiamo realizzato che è proprio ex parte
Carmeli che si scorgono, ancor prima di superficiali prossimità, distanze abissali. Si
scorgono peculiarità della mindfulness, quali la trascendenza dell’oggetto e l’illusorietà
del soggetto, che ricordano da vicino altre pratiche che già in passato sono state rigettate
dalla Chiesa, dopo una prima fascinazione: la meditazione trascendentale come esempio
dei nostri tempi (esplicitamente definita da Von Balthasar “un tradimento dell’amore
crocifisso di Dio”80), o le tecniche di preghiera degli alumbrados che ai tempi di S. Teresa
d’Avila presumevano, per arrivare a Dio, di dover andare oltre il rapporto con la concreta
umanità di Cristo.
Ora, è chiaro che gli autori che vorrebbero una mindfulness cristiana dichiarano di
voler raggiungere questa umanità proprio grazie al disciplinamento dell’attenzione piena
offerto della mindfulness, ma abbiamo visto come essa costituzionalmente non si presti a
ridursi a tecnica, bensì esiga di veicolare con sé il suo “modo d’essere” che, abbiamo
appurato, è la Weltanschauung buddhista. Non vogliamo dare alcun giudizio di valore su
questa tradizione religiosa, e anzi semmai vogliamo cogliere l’occasione per rilevare
quanto bene abbia portato e possa portare all’umanità, nella misura in cui possa

80
VON BALTHASAR, Una meditazione…piuttosto un tradimento, 183-184. Quando il teologo svizzero
scrisse questo articolo, nel 1977, nei conventi dilagava la moda della meditazione trascendentale ma ancora
non era nato il fenomeno mindfulness. Per quanto queste due forme di meditazione derivante dall’Oriente
siano dissimili (la prima basata sulla recitazione di un mantra, la seconda sull’attenzione distaccata ai propri
processi mentali) non abbiamo dubbi sul fatto che Von Balthasar le avrebbe viste accomunate dal tratto più
problematico per una loro ricezione cristiana: la trascendenza e della propria identità personale e
dell’oggetto meditato verso uno stato di autoguarigione e di consapevolezza ulteriore.

38
contribuire a plasmare menti pacificate e non conflittuali – ma proprio perché la
rispettiamo ci pare opportuno che ciò che è suo rimanga suo e non venga adulterato.
Se, come accennavamo nel capitolo precedente, il cristianesimo nella sua storia si è
permesso di far propri valori presenti in altre culture, è perché li ha riconosciuti come suoi
propri - “Seneca sæpe noster”81. Ma non è affatto scontato che ciò possa avvenire sempre
e indistintamente. Se il neoplatonismo o lo stoicismo hanno potuto offrire agli occhi dei
cristiani parecchi semina Verbi, ben pochi o nessuno ne han forniti l’epicureismo o il
cinismo: o quelli che potevano offrire erano troppo invischiati con elementi nocivi perché
valesse la pena purificarli ed assumerli – “Amicus Socrates, sed magis amica veritas”82.
Ciò non comporta affatto che il confronto e il dialogo con il buddhismo - vuoi in sé
vuoi nel suo volto secolarizzato della mindfulness - cessi di essere fecondo. È una sfida e
un’opportunità di cui essere grati. Venendo alla pars construens della nostra trattazione,
la meditazione buddhista e la mindfulness possono veramente donarci molto nella misura
in cui ci ricordano la sciattezza in cui noi cristiani possiamo cadere se obliamo la nostra
ricchissima tradizione di pratiche meditative:
Può essere utile, come oggi si insegna in non poche “scuole di preghiera”, ricorrere alle
tecniche orientali: concentrarsi sul respiro, stare seduti in contatto con la terra, salmodiare
i testi sacri ecc. per liberare il pensiero da divagazioni e per incentrare l’attenzione sul
mistero scelto per la meditazione. Ed è per esservisi applicate troppo sommariamente, che
molte anime vegetano in una pietà sentimentale e superficiale; è per aver voluto troppo
presto liberarsi dalle strettoie della fatica della meditazione, e giungere al riposo di una
preghiera semplificata, che l’orazione di queste anime resta, nonostante un’innegabile
buona volontà, vuota, distratta, inefficace e incapace di procurare loro una forte e intima
unione con Dio (cf. J. DE GUIBERT, La méditation est-elle une priére?, cit., 343)83.
In questo senso, la mindfulness buddhista/secolarizzata potrebbe provvidenzialmente
rammentarci l’importanza della “mindfulness” intesa come facoltà universale dell’animo
umano, l’attenzione piena all’hic et nunc: attenzione che opportunamente disciplinata,

81
TERTULLIANO, De anima, XX,1. La stessa Teresa d’Avila era solita chiamare Giovanni della Croce “il
mio piccolo Seneca”!
82
AMMONIO, Vita Aristotelis, XLIX.
83
F. FORESTI - E. BORTONE, Meditazione, in E. ANCILLI, Dizionario enciclopedico di spiritualità, vol. II,
Città Nuova, Roma 1990, 1564. È tuttavia doveroso rilevare che il testo che abbiamo evidenziato col corsivo
è la traduzione in italiano di un brano dell’articolo citato di J. De Guibert s.j. (in «Revue d’ascétique et de
mystique» 11 [1930], 337-354) in cui questo grande padre della teologia spirituale non fa alcun riferimento
alle prassi meditative asiatiche, ma bensì alle tradizionali fasi della meditazione cristiana, come l’orazione
mentale, l’orazione di raccoglimento o la meditazione ignaziana.

39
coltivata ed offerta al Signore nella fede, nella speranza e nella carità, risulterebbe
preziosissima per un’esistenza cristiana incarnata nella storia. Ma a questo punto del
discorso la “mindfulness” che staremmo considerando non avrebbe più molto da spartire
con la seconda e la terza definizione che abbiamo trattato nel primo capitolo, bensì
soltanto con la prima: sarebbe la semplice traduzione in inglese della parola “attenzione,
consapevolezza”. Rimanendo in quest’ambito, ci sarebbe allora moltissimo da recuperare
e da rispolverare del patrimonio di preghiera genuinamente cristiano accumulato da autori
che hanno evidenziato gli aspetti di una retta concentrazione e raccoglimento – e non
stiamo intendendo soltanto l’esicasmo o la preghiera del cuore84.
Da questo patrimonio si potrebbe attingere anche per meglio rispondere a quel
legittimo bisogno dell’uomo contemporaneo occidentale, anestetizzato e sempre più
digitalizzato, di una maggiore familiarizzazione e integrazione col proprio corpo –
bisogno che, inevaso, può sfociare nelle pratiche offerte dall’Oriente85. Ma non si
dimentichi che, se nella tradizione cristiana queste pratiche corporee non hanno mai avuto
una fioritura generalizzata, è stato per un motivo ben preciso messo a fuoco dal n° 27 di
Orationis formas:
La meditazione cristiana dell'Oriente ha valorizzato il simbolismo psicofisico, spesso
carente nella preghiera dell'Occidente. Esso può partire da un determinato atteggiamento
corporeo, fino a coinvolgere anche le funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e
il battito cardiaco. L'esercizio della "preghiera di Gesù", ad esempio, che si adatta al ritmo

84
Solo per fare un esempio, si pensi al grande maestro di preghiera di S. Teresa di Gesù, Francisco de
Osuna (1492-1542): la lettura del suo Tercer abecedario espiritual fu di fondamentale importanza per la
maturazione dello stile di orazione che poi sarebbe divenuto paradigmatico del Carmelo. Riporto qui alcuni
modernissimi stralci sul tema del raccoglimento: “L’uomo in qualche maniera è costituito da tanti pezzi per
ogni impegno, che sono come rovi che spelano l’uomo come un agnello fino a cavargli sangue, e gustando
inizialmente qualcosa del raccoglimento, come molte volte ho visto, [gli uomini] cominciano a raccogliere
il proprio modo di vivere, lasciando gli impegni distrattivi, diminuendoli molto e moderandoli in modo tale
che con poca attenzione possono diventare raccolti […] Tutti i piaceri e prosperità che ricevono, e anche
quelli che vedono negli altri, tutti li riferiscono a Dio per rallegrarsene con lui, tirando fuori da ogni cosa
l’amore […] conforme a ciò ho conosciuto un tale che, vedendo una volta un gallo che apriva le ali e le
scuoteva per cantare, sentì veramente che le sue viscere si mossero e si aprirono a Dio per amarlo in modo
dolcissimo […] Considera dunque che questo non pensar niente […] è pensare a tutto, perché allora
pensiamo senza parlare a colui che è tutto per eminenza meravigliosa, e il minor bene che ha questo non
pensar niente, da parte degli uomini raccolti, è un’attenzione molto semplice e sottile verso il solo Dio […]
Non ti deve sembrare meno buono quest’esercizio perché lo potrebbero usare un filosofo o un ebreo, poiché
in questo modo potresti metter piede nella sacra passione […] Non pensare che, per essere qualcosa comune
a buoni e cattivi, sia meno buona perché in ognuno opera secondo la loro disposizione, conservando essa il
suo valore”. In G. PASQUALE (a cura), Mistici francescani, vol. IV: Mistici francescani spagnoli. Secolo
XVI, Editrici francescane, Milano 2010, 536.589.616.
85
Su questa tematica cf. C. BERTOLO - G. GIORDAN, Spiritualità incorporate. Le pratiche dello yoga,
Mimesis, Milano 2016.

40
respiratorio naturale, può – almeno per un certo tempo – essere di reale aiuto per molti.
D'altra parte gli stessi maestri orientali hanno anche costatato che non tutti sono ugualmente
idonei a far uso di questo simbolismo, perché non tutti sono in grado di passare dal segno
materiale alla realtà spirituale ricercata. Compreso in modo inadeguato e non corretto, il
simbolismo può diventare addirittura un idolo e di conseguenza un impedimento
all'elevazione dello spirito a Dio. Vivere nell'ambito della preghiera tutta la realtà del
proprio corpo come simbolo è ancora più difficile: ciò può degenerare in un culto del corpo
e può portare ad identificare surrettiziamente tutte le sue sensazioni con esperienze
spirituali.
E se si è corso questo rischio nella tradizione cristiana orientale, immaginiamo quanto lo
si possa correre in quella orientale non cristiana mutuata in Occidente86.

3.2. Papa Francesco e la McMindfulness

Veniamo qui ad un altro aspetto molto problematico, che ancora non abbiamo
considerato, legato alla mindfulness. Chiunque faccia ricerche su internet a proposito di
questa pratica, rimarrà impressionato dalla eterogeneità di applicazioni che se ne sta
facendo, per ogni uso e consumo: mindfulness per avere leadership87, mindfulness per
essere ottimi manager88, mindfulness, addirittura, per migliori prestazioni sessuali89 -
questo fenomeno ha raggiunto tali dimensioni ormai da ricevere l’emblematico nome di
McMindfulness90. Effetti collaterali e non voluti? Degenerazioni? A giudicare da alcune
espressioni di Kabat-Zinn ci sembrano sviluppi del tutto naturali:

86
“L’idolatria della carne è una delle più insidiose. Per questo motivo i grandi maestri dell’esicasmo
cristiano ammoniscono che nessuno dovrebbe praticare i «metodi fisici» senza un’assistenza continua di un
padre spirituale esperto” (T. ŠPIDLÍK, Il simbolo del corpo nella contemplazione, in CONGREGAZIONE PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera «Orationis formas» ai vescovi della chiesa cattolica su alcuni aspetti
della meditazione cristiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991, 102).
87
Cf. https://instituteformindfulleadership.org.
88
Cf. https://www.liquidplanner.com/blog/mindfulness-for-leaders-improving-management-practices.
89
Cf. https://www.mindful.org/better-sex-through-mindfulness-meditation.
90
Cf. R.E. PURSER - D. LOY, Beyond McMindfulness, «Huffington Post», 1 luglio 2013,
http://www.huffingtonpost.com/ron-purser/beyond-mcmindfulness_b_3519289.html; T. HYLAND, The
Degeneration of Contemporary Mindfulness: Re-asserting the Ethical and Educational Foundations of
Practice in Mindfulness-Based Interventions, in L. BREWER, Meditation: Practices, Techniques and Health
Benefits, Nova Science Publishers, New York 2018.

41
È a questo punto che arriva in soccorso la mindfulness, che ci ricorda che è possibile passare
dalla Modalità del Fare a quella dell’Essere, utilizzando attenzione e consapevolezza.
Allora il nostro Fare scaturirà dal nostro Essere e quindi sarà integrato ed efficace91.
Una dinamica […] che è di grande importanza in quell’avventura che è l’osservare chi
siamo come essere umani e l’uso della nostra capacità di esseri consapevoli, di essere
presenti, di essere attenti, e di vivere con maggiore efficacia92.
Non ti farà smettere di impegnarti con passione nei progetti per te importanti, non ti renderà
stupido, né ti spoglierà della tua ambizione e motivazione. Al contrario, la meditazione ti
permette di far provenire direttamente dal tuo essere tutto ciò che devi fare e di cui vuoi
occuparti […] Il paradosso di questo invito è che tutto quello che desideri è già qui. E
l’unica cosa importante da conoscere è la consapevolezza93.
Per ragioni analoghe, teoricamente la mindfulness potrebbe essere un alleato di tutte le
professioni. Pochissimi lavori basati sulla prestazione non trarrebbero beneficio da una
maggiore consapevolezza degli elementi focali, ai fini di ottimizzare la produttività e la
soddisfazione del personale. Al giorno d’oggi, i programmi di mindfulness sono adottati
dalle maggiori società del mondo per ottimizzare le prestazioni del lavoro in team, il senso
della leadership, l’innovazione, la creatività, l’intelligenza emotiva e la comunicazione
efficace. Anche le forze armate sottopongono i soldati e le loro famiglie a corsi di
mindfulness94.
Ancora: non possiamo non porci se non con molta perplessità il quesito circa
l’opportunità per la Chiesa di aggiungersi alle “maggiori società del mondo” (Google,
General Mills, Procter & Gamble, Monsanto, l’Esercito degli Stati Uniti95) per importare
il protocollo mindfulness al fine di aumentare le prestazioni e l’efficienza dei propri
oranti, o per avere una maggiore leadership. E non possiamo non chiederci, di fronte a
certe promesse della mindfulness di “cambiamenti strutturali nel cervello, aumentando lo
spessore di certe aree come l’ippocampo, che giocano un ruolo importante nei processi di
apprendimento e di memoria, oppure assottigliando altre aree, come l’amigdala destra”96
se questa non sia una di quelle “ricchezze spirituali” agli antipodi dello spirito delle
beatitudini e di povertà evangelica cui ci sta richiamando tanto insistentemente Papa
Francesco:

91
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 28.
92
Ivi, 63.
93
Ivi, 82.
94
Ivi, 115.
95
Cf. HYLAND, The Degeneration of Contemporary Mindfulness, passim.
96
KABAT-ZINN, Mindfulness per principianti, 30.

42
Stiamo parlando di un atteggiamento del cuore, che vive tutto con serena attenzione, che
sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò che viene
dopo, che si consegna ad ogni momento come dono divino da vivere in pienezza. Gesù ci
insegnava questo atteggiamento quando ci invitava a guardare i gigli del campo e gli uccelli
del cielo, o quando, alla presenza di un uomo in ricerca, “fissò lo sguardo su di lui” e “lo
amò” (Mc 10,21). Lui sì che sapeva stare pienamente presente davanti ad ogni essere umano
e davanti ad ogni creatura, e così ci ha mostrato una via per superare l’ansietà malata che
ci rende superficiali, aggressivi e consumisti sfrenati97.
Con queste parole il Santo Padre ci dimostra che per vivere l’attenzione piena non
abbiamo bisogno di ricorrere ad esotiche pratiche meditative à la page, ma basta risalire
alla genuina imitazione di Cristo, con semplicità, adducendo poche righe dopo un
luminoso esempio carmelitano:
Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere
l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace
e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali
spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo
del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni
sua forma98.
Come rileva Von Balthasar nel celebre studio a lei dedicato, Sorelle nelle Spirito, ad ogni
istante S. Teresina era protesa a compiere integralmente la volontà di Dio quale le si
presentava nell’attimo concreto, senza voler progettare nulla da sé. Voleva soltanto
ricevere e amare perfettamente ciò che le veniva donato, momento per momento. Ogni
momento per lei era una novità sgorgante da Dio, e pertanto non la sfiorava né l’idea di
distaccarsene né l’affanno e l’ansia che da questa idea potevano derivare: “Noi che
camminiamo sulla via della carità, non dobbiamo lasciarci opprimere da nessuna
preoccupazione […] Ma io guardo sempre soltanto al momento presente. Dimentico il
passato e mi guardo bene dal pensare al futuro. Se ci si scoraggia e ci si abbatte è perché
si pensa al passato e al futuro”99.
Dopo aver letto la Laudato si’, pertanto, non ci hanno eccessivamente stupito le
caustiche parole che il Papa argentino ha proferito contro certi “metodi orientalistici”

97
FRANCESCO, lett. enc. Laudato si’, 24 maggio 2015, n° 226, in Acta Apostolicæ Sedis 107 (9/2015), 936.
98
Ivi, n° 230.
99
Citato in H.U. VON BALTHASAR, Sorelle nello Spirito. Teresa di Lisieux e Elisabetta di Digione, Jaca
Book, Milano 1974, 52.

43
legati a spirituali consumismi, in occasione dell’incontro con la Diocesi di Roma tenutosi
in S. Giovanni in Laterano il 14 maggio 2018 a conclusione del convegno diocesano a
tema “La malattie spirituali e pastorali”. Alla domanda di Mons. Angelo De Donatis su
come la Chiesa possa evitare il rischio di cadere in una “logica del supermercato” per cui
i “fedeli-consumatori” sono allettati dai nuovi prodotti del “benessere spirituale”, ecco
cosa ha risposto il Santo Padre:
Quelle persone che guardano sé stesse e cercano – questo è un pericolo grande – il menu
personale: non quello di cui ho bisogno, quello che mi indica il medico, no, ma quello che
mi piace. Oppure cercano novità. Quelli che cercano le novità, ansia di novità. Parlo di
cristiani bravi, che vogliono darsi da fare ma sentono di quello, di quello, di quello… le
novità… Uno che cerca le novità ha bisogno di qualche voce realista che dica: “Ma guarda,
fermati. Fermati e va’ all’essenziale. Cerca quello che può guarirti, non le novità, una dietro
l’altra”. Ho due aneddoti che possono servire, ambedue sugli esercizi spirituali. Uno è il
fatto che è venuta la moda, alcuni anni fa, a Buenos Aires, di fare la prima settimana degli
esercizi [ignaziani], quella della conoscenza di sé, dei peccati, del pentimento, con tecniche
psicologiche un po’ orientalistiche, strane…; e c’era gente che andava verso quelle novità,
e non servivano a niente, perché trovavano le novità ma loro non cambiavano. Cerchi solo
le novità. E l’altro aneddoto sugli esercizi ci dice che queste novità si “sciolgono” soltanto
con una buona dose di realismo, che con questa ansia bisogna che qualcuno mi dia uno
schiaffo per svegliarmi. C’erano degli esercizi per religiose e il prete che dava gli esercizi
era una persona che aveva una dottrina speciale sulla spiritualità, anche sulla consonanza
con il mondo, col cosmo, insomma, cose del genere… E c’era una suora – sui 60 anni –
che da 40 anni era in ospedale, una spagnola, di quelle brave. Quello era il periodo che
aveva per gli esercizi e si era iscritta lì. Ma questo sacerdote aveva un metodo orientalistico
per fare gli esercizi; per esempio, consigliava alle suore: “Al mattino, la prima cosa che
dovete fare è un bagno, una doccia di vita”, tutte cose un po’ strane… Ha fatto sedere le
suore in cerchio, una ventina di suore, e ha cominciato a dire: “rilassati, lasciati andare…”.
Quella suora spagnola mandava giù… Ma dopo la seconda meditazione si è alzata e ha
detto: “Padre, io sono venuta a fare gli esercizi, non la ginnastica. Grazie tante e
arrivederci”, e se n’è andata. A volte, ci vuole gente che ci dia uno schiaffo, quando stiamo
cercando le novità: cercare la panna senza la torta. Dobbiamo cercare quello che ci rende
Chiesa, il nutrimento che ci fa crescere come Chiesa. E il pericolo in questo caso è uno dei
due che ho segnalato nella Esortazione sulla santità: lo gnosticismo, che ti fa ricercare cose

44
ma senza incarnazione, senza entrare nella vita tua incarnata. E così diventi più
individualista, più isolato, con il tuo gnosticismo100.
Sorvolando sui toni colloquiali e poco accademici, richiesti dal contesto informale e
volutamente familiare in cui si è tenuto l’incontro, è possibile scorgere in questo
“schiaffo” una totale continuità dottrinale con quanto affermato in Orationis formas,
specialmente riguardo ciò che questo documento rileva circa i rischi della recrudescenza
della “pseudognosi”101 nell’ingenua ed acritica mutuazione cristiana dei metodi orientali
di meditazione (nn° 8-12). Le parole di Francesco ci mettono in guardia sul fatto che tali
rischi sono più attuali che mai: la mindfulness non viene nominata, ma possiamo
presumere con ragionevole certezza che gli aneddoti da lui offerti facciano riferimento
esattamente a questa pratica: in primo luogo la “doccia di vita” corrisponde a un classico
esercizio di abbrivio della mindfulness102; in secondo luogo è notorio che Thích Nhất
Hạnh fu chiamato a tenere incontri di meditazione e conferenze dalla Compagnia di Gesù
in America, ed è entusiasticamente citato, ad esempio, da William Rehg s.j. nel suo
articolo Christian Mindfulness. A Path to Finding God in All Things103 in cui molte
pratiche cristiane, di preghiera e sacramentali, vengono rilette alla luce della mindfulness
- compresi gli esercizi ignaziani.
Abbiamo inoltre trovato un altro rilievo critico verso la mindfulness, alla luce del
magistero di Papa Francesco, in un illuminante articolo uscito su «Avvenire» di Fabrice
Hadjadj, il quale rileva i toni pericolosamente congruenti dei passi succitati di Kabat-Zinn

100
Il testo integrale del discorso è disponibile sul sito della Diocesi di Roma a questo indirizzo:
http://www.diocesidiroma.it/archivio/2018/diocesi/2018_05_15_Papa-Francesco_Incontro-con-la-
diocesi-Le-domande-al-Santo-Padre.pdf. Sul sito del Vaticano è invece possibile vedere la registrazione
dell’incontro a questo indirizzo:
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2018/5/14/diocesi-
roma.html (il testo citato è la trascrizione del discorso da 40'45'' a 45'38'').
101
La messa in guardia contro forme sempre ricorrenti di gnosticismo è individuata dalla stessa
Congregazione per la Dottrina della Fede, nel succitato documento Placuit Deo, come tratto tipico
dell’insegnamento di Papa Francesco: “Il Santo Padre Francesco, nel suo magistero ordinario, ha fatto
spesso riferimento a due tendenze che rappresentano le due deviazioni appena accennate e che assomigliano
in taluni aspetti a due antiche eresie, il pelagianesimo e lo gnosticismo. Nei nostri tempi prolifera un neo-
pelagianesimo per cui l’individuo, radicalmente autonomo, pretende di salvare sé stesso, senza riconoscere
che egli dipende, nel più profondo del suo essere, da Dio e dagli altri. La salvezza si affida allora alle forze
del singolo, oppure a delle strutture puramente umane, incapaci di accogliere la novità dello Spirito di Dio.
Un certo neo-gnosticismo, dal canto suo, presenta una salvezza meramente interiore, rinchiusa nel
soggettivismo” (Lettera «Placuit Deo», n°3).
102
Cf. KABAT-ZINN, Full Catastrophe Living. Revised and updated edition, 160. O basterà fare una
semplice ricerca su Google inserendo i termini “mindfulness” e “shower”.
103
Cf. nota 43.

45
con il “paradigma tecnocratico” tante volte denunciato da Papa Francesco, paradigma che
minaccia di trovare sempre nuovi alleati:
Abbiamo visto che alcuni dei suoi sostenitori giustificano la mindfulness adeguandosi ai
criteri tecno-scientifici. Da un certo punto di vista si tratta di una reazione alla “dispersione
digitale”: occorre mettersi in disparte, di cancellare la lavagna magica sovraccarica di
informazioni senza pensiero, vuotare la pattumiera affinché possa riempirsi di nuovo. È la
valvola di sicurezza del motore, la valvola di sfogo della pentola a pressione… ma per
cosa? Meglio Google o Mac per “uno sviluppo più armonioso”? Una siffatta meditazione
non è in rottura, ma in continuità col paradigma tecnocratico. Là dove la preghiera è
innanzitutto un'etica, essa è essenzialmente una tecnica (specialmente di respirazione). Non
ha come scopo primario quello di volgerci verso qualcuno, all'ascolto del quale dovremmo
metterci, ma di produrre qualcosa, uno stato di tranquillità interiore. Beninteso, questa
tecnica non manca di criticare l'io, ma non per esporsi o per stringere un'alleanza con l'altro
(l'altro non esiste se non di fronte a un io; e l'alleanza esige che ci siano due irriducibili, se
non tre, perché è sempre al tempo stesso drammatica e feconda). Essa pretende di riportarci
a una situazione anteriore alla distinzione tra l'io e l'altro, prima dell'interlocuzione del
discorso – il suo accusativo e il suo vocativo – prima della sorpresa e della responsabilità
del faccia a faccia. Del resto la mindfulness si sforza apertamente di scacciare le
“preoccupazioni”: perché ci si dovrebbe preoccupare delle condizioni di lavoro dei
contrattisti? La “piena coscienza” appare allora come una fuga davanti alla nostra cattiva
coscienza: proprio quella coscienza non piena, ma straziata, ferita, e la cui voce è una
supplica verticale104.
Per chi può stimare l’argomentazione di Hadjadj troppo apologetica, sarà forse utile
notare che è insospettatamente avallata da una serie di studi in psicologia clinica che
attestano come le persone mindful, contrariamente alle previsioni basate
sull’insegnamento buddhista, tendano ad avere maggiori illusioni di autopromozione e
rigonfiamenti dell’ego rispetto alle persone meno mindful105. Inoltre, il j’accuse di

104
F. HADJADJ, Quando la meditazione è soltanto tecnica bisogna restare vigili, «Avvenire», 26 marzo
2017, https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quando-la-meditazione-e-soltanto-tecnica-bisogna-restare-
vigili.
105
R.A. BOATRIGHT - W.D. MCINTOSH, The Relationship between Mindfulness and Self-Promoting
Illusions, «Mental Health, Religion & Culture» 11 (6/2008), 561-566. Precisiamo che questo studio si è
proposto di analizzare la correlazione fra inflazione dell’ego e mindfulness, intendendo per quest’ultima la
facoltà umana, non la pratica meditativa; tuttavia è ragionevole dedurne che una consumistica coltivazione
di questa facoltà, quale quella garantita nella galassia McMindfulness, andrebbe nella medesima direzione,
e anche oltre, dei risultati ottenuti dallo studio. Entrando invece nell’ambito specifico della meditazione
mindfulness sviluppata da Kabat-Zinn, un recente studio ha misurato i suoi effetti in relazione all’empatia
umana, con risultati inaspettati: “L’esercizio di mindfulness ha aumentato la capacità degli individui non

46
Hadjadj converge con i rilievi di autori ben lontani dal cristianesimo, come lo psicanalista
di ispirazione marxista Slavoj Žižek, il quale nota: “Benché il «Buddhismo occidentale»
presenti se stesso come rimedio per le stressanti tensioni delle dinamiche capitaliste,
permettendoci di sganciarci e di ottenere pace e tranquillità interiori, di fatto funge da suo
perfetto supplemento ideologico”106.
Di fronte a questo scadimento delle pratiche meditative orientali, pensiamo che la
prima forma di rispetto, di attenzione e di confronto verso il Buddhismo da cui la
mindfulness scaturisce sia proprio quello di avvertire i suoi esponenti, qualora non ne
fossero consapevoli, di quanto possano essere distorti in Occidente i tesori della loro
tradizione. Ciò in pieno spirito di armonia e collaborazione con quegli “esponenti del
buddhismo contemporaneo [che] hanno potuto parlare di «materialismo spirituale»,
indicando con questo termine l’attitudine del tutto consumistica con cui spesso ci si serve
di pratiche iniziatiche e semplicemente di metodi meditativi”107.

narcisistici di intuire i pensieri [dell’interlocutore], ma ironicamente ha diminuito tale facoltà in quelli


narcisistici. Pertanto, la mindfulness ha fallito proprio fra coloro che più ne avrebbero avuto bisogno […]
Cosa può spiegare questo risultato sorprendente? L’esercizio di mindfulness ha incoraggiato gli individui
ad essere non-giudicanti nei riguardi delle loro distrazioni mentali (per es., «Non devi criticare te stesso
[per le tue distrazioni]»). Quest’istanza non-giudicante può aver incoraggiato gli individui non narcisistici
a lasciar andare i loro pensieri critici circa le distrazioni mentali, abilitandoli a dare più attenzione agli stati
mentali degli altri. Per converso, la stessa istanza può aver ironicamente «autorizzato» gli individui
narcisistici a concentrarsi in maniera più esclusiva su pensieri autopromozionali, alle spese della
concentrazione sugli stati mentali degli altri” (A. RIDDERINKHOF ET ALII, Does Mindfulness Meditation
Increase Empathy? An Experiment, «Self and Identity» 16 [3/2017], 261-263 [traduzione nostra]).
106
Citato in HYLAND, The Degeneration of Contemporary Mindfulness (traduzione nostra). Si legga anche
il seguente passo, in cui Žižek cita D.T. Suzuki, sul rischio che lo Zen di esportazione diventi “uno
strumento etico neutro che può essere messo a servizio di differenti usi socio-politici, dal più pacifico al
più distruttivo (in questo senso, Suzuki aveva ragione a sottolineare che il Buddhismo Zen può essere
combinato con qualsiasi politica o filosofia, dall’anarchismo al fascismo)” (S. ŽIŽEK, For They Know Not
What They Do. Enjoyment as a Political Factor. Second Edition, Verso, Londra 2002, xlvii [traduzione
nostra]). In quest’opera, inoltre, l’autore riporta il pensiero del maestro giapponese in riferimento
all’efficacia dello Zen applicato alla vita militare: “Con questa attitudine, il guerriero non agisce più come
persona, essendo profondamente desoggettivizzato – o, come afferma D.T. Suzuki: «In realtà non è lui ma
la stessa spada che esegue l’uccisione. Lui non vorrebbe far del male a nessuno, ma il nemico appare e
rende se stesso una vittima. È come se la spada eseguisse automaticamente la sua funzione di giustizia, che
è funzione di misericordia»” (Ivi, xlv-xlvi).
107
A. GENTILI, Meditazione cristiana e prassi meditative asiatiche, in E. ANCILLI, Dizionario enciclopedico
di spiritualità, vol. II, Città Nuova, Roma 1990, 1573.

47
3.3. Una questione legale

Infine, in un’ottica assolutamente laica, non confessionale e non apologetica, vogliamo


ricordare gli studi della storica delle religioni Candy Gunther Brown, ricercatrice che da
decenni sta analizzando il diffondersi della cosiddetta “medicina integrativa” negli
ospedali nordamericani108. Da un punto di vista strettamente socioantropologico, questa
studiosa constata come la secolarizzazione cui sono sottoposte le società attuali - con il
conseguente scindersi del concetto di spiritualità da quello di religione109 - abbia
permesso a pratiche “spirituali” (fra le quale annovera lo yoga, il t’ai chi, il reiki, la
mindfulness) di essere surrettiziamente ed acriticamente introdotte negli ospedali sotto
forma di protocolli terapeutici, laddove se si fossero presentate come “religiose”, quali
effettivamente sono nella sostanza, non avrebbero avuto accesso:
La secolarizzazione può denotare non la scomparsa della religione, ma la ridenominazione
della religione affinché si adatti a fini secolarizzati quali la salute e il commercio. Uso il
temine “religione” per includere non solo credenze teistiche ma anche pratiche corporee
che si propongono di spiegare i problemi ultimi della vita umana; che aspirano alla
redenzione dalla sofferenza; che mettono in contatto gli individui con energie, essenze
sovraumane o realtà trascendenti; o che coltivano una consapevolezza spirituale e virtù di
carattere morale e di condotta etica. Esecuzioni reiterate di azioni simboliche instillano
attitudini e motivazioni che supportano una visione del mondo, un grande quadro della
realtà, un ethos o una filosofia su come vivere […] I promotori della medicina integrativa
i quali negano che le loro pratiche siano “religiose” possono, se sollecitati, riconoscere
legami con il Buddhismo o l’Induismo, ma insistono nell’affermare che Buddhismo e
Induismo non sono religioni bensì espressioni di una spiritualità universale […] Oltre a
rigettare il dualismo concettuale per cui la società starebbe diventando o più secolarizzata
o più religiosa, dovremmo avere sospetti anche circa il dualismo concettuale secondo cui
particolari operatori o interventi dentro gli ospedali sarebbero o secolarizzati o religiosi.
Spesso gli stessi individui oscillano da un linguaggio secolarizzato ad uno religioso nel
parlare delle medesime pratiche, a seconda degli uditori. Si possono poi impiegare elementi
di un discorso religioso e secolarizzato simultaneamente: a) descrivendo concetti religiosi

108
C.G. BROWN, The Healing Gods: Complementary and Alternative Medicine in Christian America,
Oxford University Press, New York 2013; EAD., Integrative Medicine in the Hospital: Secular or
Religious?, «Society» 52 (5/2015), 462-468.
109
Su questa dinamica cf. gli autori citati in nota 3.

48
con il linguaggio non-religioso della scienza e della spiritualità; b) attraverso una auto-
censura, selezionando taluni concetti e pratiche da omettere nella divulgazione ed
enfatizzandone altri; c) attraverso il camuffamento od occultamento, seguito da una
graduale introduzione, scaglionata con cura nel tempo, di pillole spirituali man mano che i
benefici percepiti prevalgono sulle cautele degli iniziati110.
Questa descrizione del fenomeno, il quale sta sollevando problemi etici e legali di non
poco conto di cui soltanto di recente si sta prendendo atto, ci pare calzare perfettamente
per la mindfulness e per il suo ambivalente registro di linguaggio secolarizzato/religioso
con cui sta cominciando a diffondersi anche in Italia, la quale sta iniziando a vivere ora
la stessa fase di entusiasmo nei confronti della mindfulness che gli Stati Uniti vissero negli
anni ’90 del secolo scorso.
In un ospedale o in una scuola, continua Brown, si può usufruire di un sapere religioso
e spirituale in maniera consapevole, rivolgendosi a un cappellano, un religioso, un
sacerdote. Quanta consapevolezza v’è invece di stare attingendo in maniera intensiva a
un patrimonio religioso e spirituale quale quello offerto della mindfulness, in un paziente
che si vede offerto da un medico, da un operatore qualificato o da uno psicoterapeuta un
“protocollo scientifico”?
Un percorso che avviene solitamente è quello dei pazienti che cominciano a sperimentare
la medicina integrativa per motivi fisici, ma col tempo diventano sempre più aperti a
rudimenti religiosi. Tale processo accade in maniera così graduale che i pazienti possono
non rendersene conto. Alla fine, essi si trovano ad aver effettuato non soltanto decisioni in
campo sanitario, ma anche scelte religiose che differiscono da quelle che avrebbero fatto
con un consenso informato. In sintesi, l’integrazione di servizi religiosi negli ospedali non
è uno sviluppo neutrale, ma qualcosa che merita l’attenzione delle autorità sanitarie111.
È ironia della sorte che tali - serissimi - problemi di consenso informato e consapevole
debbano verificarsi proprio riguardo ad una pratica che si propone di aumentare la
consapevolezza di che ne usufruisce. La mindfulness è esplicitamente annoverata da
Brown fra le pratiche di medicina integrativa sotto esame nell’articolo succitato ed ha
ricevuto ulteriori attenzioni in un altro suo studio che analizza minuziosamente le tecniche
di presentazione della mindfulness tramite testi scolastici introdotti nelle scuole pubbliche

110
BROWN, Integrative Medicine in the Hospital, 463-464 (traduzione nostra).
111
Ivi, 468.

49
nordamericane, studio in cui sono evidenziate da una parte l’accurato “involucro”
secolarizzato, dall’altra la natura buddhista del sistema meditativo offerto112.
Non stupisce, pertanto, che uno dei maggiori corifei della “spiritualità senza religione”,
Sam Harris113, abbia criticato la mindfulness proprio per il suo effettivo “propagare
Buddhismo”, per il fatto che coloro che la insegnano sono ancora nel “business
religioso”114. Come Kabat-Zinn, Harris torna ad insistere sul fatto che la mindfulness e
quanto insegna sono equiparabili a scoperte scientifiche di carattere universale e che
quindi non devono essere legate a un immaginario o un vocabolario buddhista.
Ma il fatto che nonostante queste petizioni di principio la pratica della mindfulness
continui a mostrarsi legata a doppio filo, nella forma e nella sostanza, a enti di chiara
denominazione buddhista (come la Unified Buddhist Church, Inc. che detiene i diritti
della prefazione all’ultima edizione del best seller di Kabat-Zinn Full Catastrophe
Living115), dimostra quanto fragile e illusoria sia la prospettiva di separare e rendere
autonome le supposte “scoperte scientifiche” della mindfulness rispetto al loro
background culturale buddhista. Semplicemente perché forse, ad oggigiorno, non c’è
ancora nessuna evidenza scientifica provata in laboratorio della non-sussistenza dell’io,
dell’impermanenza dei fenomeni mentali e materiali ecc.. Dall’altra parte, è significativo
che appassionati cultori della mindfulness come Terry Hyland, autore del succitato
articolo sulla degenerazione della mindfulness, invochino esplicitamente - come unico
rimedio contro la sua “mcdonaldizzazione” - che essa espliciti e rivitalizzi i suoi
presupposti e valori buddhisti.
È vero che ci sono evidenze scientifiche della capacità dei protocolli terapeutici basati
sulla mindfulness di ridurre lo stress o i livelli di colesterolo116, ma estendere il risultato

112
EAD., Textual Erasures of Religion: The Power of Books to Redefine Yoga and Mindfulness Meditation
as Secular Wellness Practices in North American Public Schools, «Mémoires du livre / Studies in Book
Culture» 6 (2/2015), DOI: 10.7202/1032713ar.
113
Per una panoramica del pensiero di questo neuroscienziato autore di vari best seller negli Stati Uniti e
in Italia, cf. A.N. TERRIN, La società di oggi e la “dispersione” della vita cristiana, «Munera» 6 (3/2017),
93-102.
114
Cf. la sua videolezione, pubblicata il 1 ottobre 2014, intitolata Mindfulness is Powerful, But Keep
Religion Out of It, https://www.youtube.com/watch?v=Iwac6Uk-zyk.
115
Ricordiamo, come esposto nel cap. 1.3, come sia semplicistico lo schema “mindfulness buddhista >
mindfulness secolarizzata”: nel caso della mindfulness, invece, a una prima intensa secolarizzazione è
succeduta col tempo una progressiva resilienza buddhista (ma sempre mantenendo una facies
secolarizzata); vuoi perché si erano ormai superati gli scogli di un’accettazione iniziale, vuoi per rispondere
alla sete di spiritualità sempre più pronunciata nell’epoca post-secolare.
116
Oltre a questi benefici, si ricordi tuttavia quanto accennato nelle note 22, 77 e 105 sulle possibili
conseguenze deleterie delle mindfulness: argomento che meriterebbe un serio approfondimento, giovandosi

50
di questi test clinici al corpo di insegnamenti menzionati da Harris o Kabat-Zinn rientra
in quella fatale e - ci permettiamo di affermare - alquanto fideistica confusione dei piani
logici fra la prima definizione (mindfulness come facoltà della mente umana) e la seconda
definizione (mindfulness come plesso di pratiche e dottrine buddhiste) di mindfulness che
abbiamo fornito nel primo capitolo del nostro lavoro, confusione che dovrebbe essere
assolutamente evitata. Come, complementarmente, andrebbe evitata la fittizia distinzione,
a livello di concettualizzazione, fra ciò che è significato dalla seconda definizione di
mindfulness che abbiamo fornito (sati buddhista) e la terza (la mindfulness secolarizzata
di Kabat-Zinn): come rilevato da Brown, queste due definizioni fanno capo a una stessa
realtà di volta in volta presentata con diverse etichette - fatalmente complice il paradigma
post-secolare della nostra epoca, in cui lo “spirituale” tenta la sua via svincolata dal
“religioso”117.

3.4. La lepre nella luna

In ultima analisi, la realtà dei fatti ci pone la consapevolezza, l’attenzione umana da


una parte e la sati buddhista dall’altra. Il tentativo della mindfulness di fare da ponte
“scientifico” e universale fra le due, sussumendole e mescolandole in sé, ci pare che per
il futuro non potrà non continuare ad essere fonte di continui fraintendimenti – e non da
ultimo rischi clinici e problemi legali.
Inoltre, chi vorrà cimentarsi nel tentativo di elaborare una mindfulness cristiana dovrà
temperare il proprio entusiasmo con queste due problematiche conseguenze. In primo
luogo, nel contesto dell’esplosione della galassia mindfulness, quella cristiana non
potrebbe che risultarne un sottoprodotto minoritario, e i suoi cultori non potrebbero non
andare a scuola, presto o tardi, dei padri della mindfulness e del loro bagaglio di dottrina

di un capitolo della ricerca clinica - gli effetti collaterali negativi della mindfulness - che è stato appena
aperto e troppo a lungo trascurato. Segnaliamo a questo riguardo il recente studio (espressamente
riguardante la mindfulness) di A. LUTKAJTIS, The Dark Side of Dharma: Why Have Adverse Effects of
Meditation Been Ignored in Contemporary Western Secular Contexts?, «Journal for the Academic Study
of Religion» 31 (2/2018), 192-217.
117
Cf. V. ROSITO, Post-secolarismo. La condizione del credere oggi, «Il Regno - Attualità» 61 (6/2016),
156-158. Ci permettiamo di avanzare un’ipotesi: come nei decenni passati si è rivelata fallace la
teorizzazione di una società la cui secolarizzazione avrebbe eliminato il “sacro”, potrà rivelarsi altrettanto
fallace la prospettiva, per i prossimi decenni, del fiorire di spiritualità svincolate da qualsia sistema
religioso, che non evaporino in balia del materialismo consumistico (opportunamente soprannominato da
L. Berzano il “terziario spirituale”)?

51
buddhista. In secondo luogo abbiamo visto come tale dottrina buddhista, se pur in forme
deteriorate, abbia resistito ad ogni processo di secolarizzazione: parimenti resisterebbe,
presumibilmente, ad ogni processo di cristianizzazione118.
Ribadiamo che non abbiamo nulla in contrario all’insegnamento buddhista in sé, ma il
cristiano che volesse tentare la via della mindfulness, praticandola o insegnandola, non
dovrebbe assolutamente permettersi l’ingenuità di procedere al confronto con questa
complessa tradizione orientale se non dopo un accurato studio dei suoi contenuti e dei
suoi presupposti antropologici e spirituali, e della loro profonda intrinsecità alla tecnica
che se ne vorrebbe ricavare – in un’estrapolazione che, come abbiamo visto, gli stessi
iniziatori della mindfulness scoraggerebbero.
A che pro gettarsi nell’elaborazione di un’improbabile mindfulness cristiana quindi,
invischiandosi in tale ginepraio, quando queste energie potrebbero essere molto più
opportunamente spese per rivalorizzare i tesori dimenticati della nostra tradizione?
Sarebbe sterminata la letteratura da citare al riguardo di santi e autori cristiani che hanno
vissuto il momento presente con pienezza, disciplinandosi a cogliere in esso la via della
propria santificazione, realizzazione, felicità, pace: non come può darle il mondo, ma
come le dà Gesù (Gv 14,27): smisurate, traboccanti, incommensurabili e proprio per
questo - per grazia di Dio - non rilevabili in tecnocratici laboratori. Solo di sfuggita,
spigolando nel Carmelo, vogliamo ricordare fra Lorenzo della Risurrezione e la sua

118
Emblematica di queste problematiche ci pare l’impressione che il libro di LAMBIASE - MARINO,
Mindfulness. Raggiungere la consapevolezza di sé, ha lasciato in questo acquirente (l’unico che abbia
scritto una recensione nella scheda del libro venduto su Amazon): “Si tratta di un libro particolare che
esamina la mindfulness nei suoi aspetti principali (con pochi esercizi per chi volesse praticare) e ne propone
degli aspetti per utilizzarla nel percorso di preghiera cristiana. Si avverte la grande preparazione degli autori
e mi è piaciuta anche la fattura del libro...Sono molto combattuto nello scrivere questa recensione perché
la prima parte è veramente ben fatta, con capitoli pregevoli e interessanti; ben curata anche la bibliografia
con spunti per approfondire. Purtroppo però ho trovato mediocre, e veramente troppo semplicistica, la parte
«cristiana» (passatemi il termine), pur con qualche sprazzo molto bello. Comunque contiene delle perle e
merita di essere letto; anche se alcune parti della parte cristiana lasciano molto a desiderare”
(https://www.amazon.it/Mindfulness-Raggiungere-consapevolezza-Lambiase-Emiliano-
ebook/dp/B0727RH86R).

52
frittata119, Madeleine Delbrêl e il suo latte che trabocca120, Teresa d’Avila e le sue
pentole121. Proprio fra queste può passare il Dio di Gesù Cristo: e come ingenui bambini
- di cui però è il Regno dei cieli (Mt 19,14) - o come le vergini in attesa dello Sposo - che
non vanno a comprare l’olio imprudentemente altrove (Mt 25,1-10) - ci incanta molto più
quest’aspettativa che non il “miracolo” di lavare i piatti come se in quel momento non ci
fosse niente di più importante nell’universo, non ci fosse nessun bisogno di qualcuno che
venga a farci compagnia.
Il ginepraio di cui sopra andrebbe poi evitato - lo ripetiamo - nel rispetto del
Buddhismo e della sua millenaria tradizione la quale, sinceramente, ci rincresce vedere
esser posta, nel confuso e intricato processo della post-secolarizzazione, sul banco

119
“Non è necessario avere grandi cose da fare. Io rigiro la mia frittata nella padella per amore di Dio e
quando l’ho fatta, se non mi rimane nient’altro, mi chino per terra e adoro il mio Dio che mi ha concesso la
grazia di farla, dopo di che mi rialzo più felice di un re” (citato in A.M. SICARI o.c.d., Il secondo grande
libro dei Ritratti di santi, Jaca Book, Milano 2006, Venerabile Fra Lorenzo della Risurrezione [1614-
1691], 352). Cogliamo l’occasione per segnalare come sia giunta a questo medesimo “consiglio di lettura”,
perorandolo appassionatamente, Susan Brinkmann, terziaria carmelitana statunitense della cui opera
soltanto nella fase finale della redazione del nostro lavoro siamo venuti a conoscenza: A Catholic Guide to
Mindfulness, Avila Institute for Spiritual Formation, 2017. Con piacere abbiamo constatato come le
argomentazioni della consorella, ricche di documentazione scientifica sui più recenti studi psicologici
inerenti alla mindfulness e ben fondate nell’insegnamento teresiano, convergano in larga misura con le
nostre conclusioni.
120
“La passione delle pazienze: […] Il latte che trabocca; gli spazzacamini che vengono; i bambini che
scompigliano tutto; sono gli invitati che nostro marito porta in casa e quell'amico che, proprio lui, non
viene; è il telefono che si scatena; quelli che noi amiamo e non ci amano più; è la voglia di tacere e il dovere
di parlare, è la voglia di parlare e la necessità di tacere; è voler uscire quando si è bloccati e rimanere in
casa quando bisogna uscire; è il marito al quale vorremmo appoggiarci e che diventa il più fragile dei
bambini; è il disgusto della nostra razione quotidiana, è il desiderio febbrile di tutto quanto non ci
appartiene. Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di
dirci che sono il martirio che è stato preparato per noi. E noi le lasciamo passare con sprezzo, aspettando -
per dare la nostra vita - un'occasione che ne valga la pena […] È Gesù, nostro Amico, che non lascia mai
senza eco nessuna delle nostre vere aspirazioni; Gesù nostro simile se noi siamo santi. Ma noi non gioiamo
della Sua presenza: noi Lo trattiamo da assente; avere fede è pensare alla Sua presenza prima di pensare
alla nostra […] È Gesù la nostra gioia, perché tutti i frammenti di gioia che abbiamo trovato negli esseri,
Lui li raccoglie, li completa, li magnifica” (M. DELBRÊL, Humour dans l’amour. Œuvres complètes, tome
III. Méditations et fantaisies, Nouvelle cité, Montrouge 2005, 49.135, traduzione nostra).
121
“[…] Quella preziosa e tanto cara libertà di spirito che si riscontra nei perfetti, nella quale, veramente,
si gode tutta la felicità che si può desiderare in questa vita. Chi ne è favorito non vuole nulla, e possiede
tutto; non teme niente e niente desidera; non si sgomenta per le prove, né si esalta per le delizie: nulla
insomma gli può togliere la pace, perché questa dipende solo da Dio, da cui nessuno riuscirà a separarlo.
Solo il timore di perderlo gli può dar pena. Tutto il resto è come se neppure esistesse, né per aumentare né
per togliere la sua gioia. Oh, benedetta obbedienza! Felici le sue distrazioni, se così vantaggioso è quello
che ne viene! […] Coraggio quindi, figliole mie! Non affliggetevi se l'obbedienza v'impiegherà in opere
esteriori! Anche se siete in cucina, il Signore si aggira fra le pentole per aiutarvi interiormente ed
esteriormente: siatene persuase” (F 5,7-8).

53
alimentare del consumismo spirituale occidentale, talvolta proprio dagli stessi fautori di
una mindfulness cristiana122.
Ed è pertanto con un profondo senso di rispetto per questa tradizione religiosa che
vorremmo concludere il nostro lavoro raccontando una “fiaba” molto cara al suo
patrimonio folkloristico e iconografico, raccolta fra i testi sacri del Canone pāli123. Una
fiaba su cui tanto un buddhista quanto un cristiano potrebbe meditare con attenzione piena
e amorosa: l’uno alla figura, l’altro alla realtà. Preferiamo che il lettore la ascolti dalle
labbra di un monaco Zen, Ryōkan Taigu (1758-1831):
C’era una volta, tanti anni fa, una scimmia, una lepre e una volpe, che vivevano insieme da
buoni amici. Di giorno scorrazzavano nei campi e nei prati e di notte rientravano nella
foresta. Passarono varie stagioni. Il Signore del Cielo venne a conoscenza del fatto e,
volendo sincerarsi che le cose stavano proprio così, prese la forma di un vecchio viandante
e se ne andò da quelle parti. “Ho viaggiato per monti e per valli: sono sfinito e privo di
forze. C’è nessuno che mi dà qualcosa da mangiare?” – disse, lasciando cadere il bastone
e sedendosi per riposare. Subito, la scimmia andò a raccogliere i frutti caduti da un albero
e glieli portò; la volpe andò al fiume e dalla nassa prese dei pesci e glieli portò. Ma la lepre,
per quanto cercasse di qua e di là correndo per i prati, non trovò nulla. Tornata a casa, la
scimmia e la volpe la deridevano dicendo: “Non sei buona a nulla”. La lepre,
profondamente triste, dopo aver pensato a lungo d’un tratto chiese alla scimmia di andar a
raccogliere legna e alla volpe di accendere il fuoco. Fu presto fatto. La lepre allora si gettò
nel fuoco, dicendo al vecchio viandante: “Mangia me, ti prego!”, e così si offrì in olocausto.
A tale vista, il vecchio viandante fu profondamente addolorato (tanto che avrebbe voluto
lui stesso essere bruciato mille volte al posto della povera lepre) e pianse a calde lacrime,
gli occhi rivolti al cielo. Poi, battendo il bastone per terra, pronunciò queste parole:
“Meritate tutti di essere elogiati: siete stati tutti ugualmente bravi. Non ci sono né vincitori
né vinti! Ma la prova d’amore della lepre è straordinaria”. Poi, avendo fatto ritornare la
lepre nella sua forma originale, portò il piccolo cadavere con sé in cielo e lo seppellì nel
palazzo della luna.

122
Si vedano ad esempio, sul sito https://christianmindfulness.co.uk/christian-mindfulness-online-course, i
“pacchetto oro”, “pacchetto argento”, “pacchetto bronzo” di Christian Mindfulness offerti a partire da 99
sterline annue dal predicatore protestante R.H. Johnston.
123
È la celebre leggenda della lepre nella luna, contenuta nel Sutta Piṭaka, Khuddaka Nikāya, Jātaka 316:
Sasa-jātaka. La piccola lepre protagonista della leggenda è così importante da essere sovente raffigurata
nel bhavachakra, la “ruota dell’esistenza” con cui viene compendiato per immagini il cuore
dell’insegnamento buddhista. Cf. Appendice.

54
Ogni volta che ascolto questa fiaba mi commuovo fino alle lacrime, tanto da inzuppare la
manica del kimono fino all’altra parte. Com’è raro sentire storie come queste ai nostri
giorni!...124.

124
Il testo è citato in un aureo libretto del nostro compianto confratello giapponese Agostino Ichiro
Okumura, o.c.d. (Il Gusto della preghiera. Fascino dell’anima giapponese, Città nuova, Roma, 1984, 134-
136). L’autore, convertitosi al cristianesimo da un passato anticlericale e di pratiche buddhiste, ha scritto
vari testi inerenti al dialogo interreligioso cristiano-buddhista che si avvalgono della sua personale
esperienza in entrambi gli ambiti. Oltre all’opera appena citata, cf. le sue equilibrate posizioni in Il
pluralismo nella società moderna e le religioni, in La teologia spirituale. Atti del Congresso Internazionale
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61
APPENDICE

Bhavacakra - XX sec. - Tibet “Crocifissione Mond” - Raffaello Sanzio, 1502-1503 - London National Gallery
Si tramanda che il primo Bhavacakra fu disegnato dallo stesso Buddha Śākyamuni per riassumere ed “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò
esporre tutto il suo insegnamento. Esso raffigura Yama, “il principe della morte”, che tiene il cosmo fra innalzato da terra, attirerò tutto a me» (Gv 12,31-32).
le sue mani, facendo perno sulla triplice sete (in sanscrito tṛṣṇā – termine etimologicamente connesso “Pie pellicane Jesu Domine / Me immundum munda tuo sanguine / Cuius una stilla salvum facere /
con il latino terra, “la secca”) la quale incatena ogni forma di esistenza tramite il desiderio, l’odio e Totum mundum quit ab omni scelere –
l’ignoranza. La liberazione viene raggiunta estinguendo la sete: è il nibbāna simboleggiato dal Oh pio Pellicano (tradizionalmente è l’animale che ferisce se stesso per nutrire i propri piccoli), Signore
medesimo Buddha, sfuggito dalle grinfie di Yama. Ma egli non concentra l’attenzione su di sé e con la Gesù / Purifica me, immondo, col tuo sangue / Del quale una sola goccia salvare / può il mondo intero
mano indica di guardare precisamente verso un punto: là dov’è la lepre nella luna. da ogni peccato” (Adoro te devote, inno eucaristico del XIII secolo).

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