Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Prefazione
Introduzione
Parte prima
IL CONTESTO EDUCATIVO
Parte seconda
Parte terza
LA GESTIONE DEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO
Parte quarta
Conclusioni
Bibliografia generale
PREFAZIONE
Cesare Bissoli
pag. 5
INTRODUZIONE
L’Insegnante di Religione (IdR) entra finalmente a pieno titolo nella scuola
italiana.
Questo studio intende accompagnarlo nel prendere autorevolmente il suo posto
fra i Colleghi, con un apporto specifico e qualificante. Il Manuale vuole fare il
punto su un cammino lungo travagliato e sotto molti aspetti tuttora in atto.
Nella Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Salesiana di Roma si
è ritenuto questo il momento felice per chiamare ad una puntuale verifica gli
studiosi più accreditati nell’ambito specifico dell’educazione religiosa scolastica,
naturalmente dando il dovuto rilievo alla situazione concreta che vede il
progressivo affermarsi della disciplina Insegnamento di Religione Cattolica (IRC)
e assumere man mano chiara identità nella scuola.
Ne è uscito un disegno complessivo semplice e ci auguriamo esemplare, che
proponiamo nelle grandi linee, collocandolo in quello sfondo di problematicità e di
evoluzione che caratterizza la scuola, prima ancora e più profondamente che la
disciplina.
L’articolazione delinea quattro grandi settori.
Il primo riguarda il contesto educativo.
La Riforma si porta finalmente su un orizzonte unitario, pensato nella sua
globalità e disegnato con organicità e coerenza. Naturalmente ogni innovazione
presta il fianco a riserve: anche quella attuale risulta discutibile, appunto almeno
in quanto merita di venire seriamente discussa; con quello sguardo vigile che
sa discutere per valorizzare e integrare la proposta; con l’intento di offrire
suggestioni che la sappiano promuovere precisamente delineando una prassi
operativa e un’azione didattica avvertite delle radici del cambiamento e del
significato delle scelte che si vanno operando.
pag. 7
Donde una considerazione attenta del contesto, preso nella sua ampiezza.
Gli interventi risultano elaborati quasi a cerchi concentrici a partire da una
vasta panoramica storica ragionata, passando per il cambiamento sociale, e
specificamente per la condizione giovanile; l’attenzione portata sulla Riforma
situa immediatamente la collocazione della disciplina, ne misura le resistenze e
le opportunità.
Il quadro risulta problematico con una forte connotazione evolutiva, di cui si
tenta di sondare le prospettive. L’intento è quello di abilitare l’IdR non solo a
collocarsi con consapevolezza e specificità di apporti nel progetto della scuola,
ma anche di renderlo avvertito degli orientamenti che si profilano nel futuro non
troppo lontano.
Il secondo momento è dedicato alla comprensione della disciplina.
L’IRC come disciplina è recente: nella scuola italiana viene da una lunga e
controversa tradizione. Per un ventennio negli anni settanta, a ridosso della
riflessione conciliare e a fianco dei diversi tentativi di ripensare la scuola, ha
alimentato un dibattito singolarmente vivo e stimolante. Riviste specializzate nel
settore ne portano ampia documentazione. Oggi si può dire che la disciplina ha
individuato le proprie linee portanti, le va perseguendo e verificando. Soprattutto
le componenti costitutive della disciplina sono esplorate e «saggiate» nella
ricerca teorica e nell’esperienza concreta educativa.
La composizione non è facile. La religione come fatto universale, il cattolicesimo
come patrimonio caratterizzante il vissuto religioso in Italia, risultano un primo
nodo sempre in dialettica. Tanto più che la religione viene esplorata oggi
da scienze molteplici, particolarmente decisive per i processi educativi che
impegnano la disciplina.
Non meno fervido di suggestioni e di innovazioni si presenta il versante della
ricerca educativa: l’attenzione ai processi, e di conseguenza ai processi di
maturazione religiosa è terreno fecondo di indagine, di ipotesi, di orientamenti
pag. 7/8
spesso dialettici fra di loro.
Temi specifici come quelli della comunicazione educativa, dell’esperienza,
del linguaggio che la esprime; il confronto con molteplici tradizioni religiose, il
richiamo sempre forte alla Bibbia come codice portante della nostra cultura
costituiscono riferimenti obbligati da far interagire in una disciplina che man
mano avverte l’angustia della propria organizzazione e va dilatando i riferimenti,
naturalmente interrogandosi sul modo corretto di esplorarli e di introdurli
nell’analisi concreta scolastica.
L’IdR scopre un compito singolarmente stimolante di raccordo nel progetto
scolastico: la sua disciplina esplora un mondo segnato dall’espressione artistica,
dalla riflessione filosofica, dalla vicenda storica: la religione permea la cultura
e chiede all’IdR di elaborare criteri corretti di interpretazione. L’insegnante
è sollecitato a competenze affinate e dilatate: s’interroga sulla sua reale
competenza, ripensa alla sua formazione, si rende conto dell’urgenza di
aggiornamenti puntuali, di una nuova e appropriata qualificazione.
Il terzo momento affronta la vera sfida portata dall’evoluzione della scuola
sull’IRC.
Cambia la filosofia della scuola. La logica dell’apprendimento investe le
strutture organizzative e l’impianto pedagogico: soprattutto dove il processo di
apprendimento è assunto nelle sue intrinseche esigenze educative l’elaborazione
pedagogico-didattica segue piste inedite.
L’IRC come disciplina e l’insegnante che la promuove sono obbligati a
confrontarsi con un’evoluzione del «sistema scuola» molto flessibile, orientato
all’autonomia, alla ricerca di progressivi adattamenti e ritocchi sia a livello
strutturale che didattico.
Alla sua confluenza la Riforma sta mettendo a punto soluzioni educative di
raccordo e di progettazione unitaria, misurata prima sulle esigenze di contesto
(POF) e in ultima analisi sulla stessa progressiva maturazione dell’allievo (PSP).
pag. 8
Addirittura nella elaborazione più recente l’intero processo è comandato da un
«profilo» dell’alunno che tende a proporsi come orizzonte unitario e organico di
riferimento.
La tradizione più recente dell’IRC, quale emerge anche dalla «sperimentazione
CEI» è preoccupata fondamentalmente dell’incontro con il Cattolicesimo e le sue
più significative espressioni culturali. La disciplina ha un suo spazio riconosciuto,
ma anche definito e tendenzialmente rigido.
Date le condizioni concrete che la identificano troverà configurazione adeguata
nel profilo generale della scuola o costituirà una proposta a parte, inevitabilmente
marginalizzata, rischiando in definitiva di risultare irrilevante? L’ultima
elaborazione dei «programmi» e la sottesa riflessione portata sulla scuola
dell’infanzia e del primo ciclo tenta l’impresa piuttosto impegnativa di delineare
un IRC solidale con il progetto generale della scuola: impegna di conseguenza
l’IdR ad un’azione vigile e costante di condivisa partecipazione. Vuol essere un
contributo all’orientamento dell’insegnante, cui resta tutta la fatica e soprattutto la
fantasia per «inventare» una solidarietà, che resta difficile.
C’è dunque un’area singolarmente impegnativa di verifica della compatibilità
dell’IRC con il progetto della scuola. Comporta una rielaborazione della
disciplina al suo interno da modulare sulla diversità e sulle convergenze: a
partire dal linguaggio, dai concetti fondamentali di matrice biblico-teologica,
dalle consuetudini educative che caratterizzano l’esperienza ecclesiale e il suo
patrimonio educativo catechistico-liturgico.
Sono aspetti che il Manuale ha voluto accostare e ci auguriamo che abbia
saputo impostare. Naturalmente meritano approfondimento e verifica concreta
nell’esercizio educativo. Come meritano attenta considerazione, oltre gli accenni
del manuale, provocazioni particolarmente emergenti in ambito pluriculturale e
multireligioso.
Soprattutto resta da verificare la provocazione che il pluralismo religioso, sempre
pag. 9
più palese ed agguerrito, sottende per la credibilità della proposta cattolica.
Un quarto orizzonte di riflessione è dato da alcune situazioni educative peculiari
quali il rapporto con l’educazione ecclesiale, la specificità dell’educazione
religiosa nella scuola cattolica e a confronto con situazioni educative
disagiate: vengono richiamate e se ne abbozza la problematica, se ne delinea
l’impostazione.
Restano aspetti peculiari che non è sembrato opportuno affrontare
compiutamente in un manuale che tende a delineare la figura dell’IdR nella sua
identità qualificante e nelle provocazioni più urgenti, cui è chiamato a rispondere.
E da ultimo alcune annotazioni organizzative.
Le scelte operate nell’articolazione dei contributi.
Quella fondamentale riguarda la coerenza interna del Manuale, quale emerge
dalla organicità delle quattro parti appena presentate e in esse dei singoli
contributi, richiesti ai Collaboratori, cui siamo grati sia per la disponibilità che per
la tempestività del loro intervento.
Per quanto, sullo sfondo di una visione pedagogica sostanzialmente condivisa e
sulla base di una previa e precisa intesa, si è voluto rispettare e anzi sollecitare
l’originalità dell’apporto di ciascuno, data anche la rispettiva, riconosciuta
competenza.
Soprattutto nell’attuale fase di «ri-fondazione» è sembrato importante tener
fermo un doppio versante:
– quello di una chiara consapevolezza della situazione attuale;
– quello di una vigile attenzione ai problemi e alle prospettive che guardano
risolutamente al futuro.
Il Manuale tende così a sollecitare una lucida presa d’atto da parte dell’IdR di
una situazione in movimento, in cui la sua iniziativa e perfino la sua fantasia
possono coprire o aprire spazi inediti di efficace intervento educativo.
La bibliografia è naturalmente molto diversa per i singoli contributi, alcuni
pag. 9/10
dei quali hanno assunto la responsabilità di un’elaborazione propria, perché
chiamati ad esplorare aspetti poco studiati o del tutto nuovi, specialmente
nell’identificazione di specifici processi di apprendimento ai vari livelli di scuola.
Alla fine si è ritenuto comunque utile riportare una bibliografia essenziale per
documentare l’orizzonte globale di analisi operata nel Manuale e come unitaria
piattaforma di studio offerta all’IdR, curata dal Prof. U. Gianetto.
Le note esplicative sono molto contenute; vengono tuttavia inserite per rispettare
le diverse sensibilità e la specifica competenza dei singoli Collaboratori.
Alcuni riferimenti
– fonti normative, riforma, orientamenti pedagogico-didattici, esperienza degli
allievi...
– ritornano necessariamente in diversi contributi; tuttavia in elaborazioni peculiari
che ne esplorano le molteplici potenzialità educative e ne approfondiscono la
comprensione.
Il Manuale è collegato con il sito specifico www.rivistadireligione.it
– per garantire l’aggiornamento e la formazione permanente;
– per qualificare l’intervento educativo .
Zelindo Trenti
pag. 10
PARTE PRIMA
Il contesto educativo
Tende ad evidenziare l’orizzonte di interpretazione, in cui si situa l’intervento
dell’IdR.
Mette a fuoco soprattutto risonanze e provocazioni molteplici, a cui l’IdR è
chiamato a dare attenta considerazione:
– L’evoluzione storica dell’Insegnamento della Religione (Butturini);
– L’impatto inedito della Religione con la società contemporanea (Pajer);
– L’atteggiamento che caratterizza il mondo giovanile nei confronti della religione
(Trenti);
– La visione unitaria della riforma del sistema formativo di istruzione e di
formazione (Nanni-Malizia);
– Il rapporto che si delinea fra Riforma e IRC nella situazione attuale (Cicatelli).
pag. 11
CAPITOLO 1
Tra gli scopi del lavoro culturale vi è quello di aiutare a uscire dall’attualità
immediata dei problemi studiati per far prendere coscienza della loro dimensione
storica, contribuendo a meglio definirli e analizzarli e forse anche a offrire
qualche stimolo in più per la loro soluzione. Certo, in un discorso storico
sull’insegnamento della religione (IR) si sarebbe potuto – in omaggio anche alla
«lunga durata» teorizzata da Fernand Braudel (1902-1985) – risalire molto più
indietro, magari fino ai primi secoli cristiani, quando si distingueva nettamente
tra iniziazione religiosa da attuare nella comunità ecclesiale (quella domestico-
familiare e quella territoriale) e formazione tecnica e professionale, da ricercare
nella scuola pagana (non si avvertì nei primi secoli la necessità di istituire scuole
cristiane di materie profane, come hanno mostrato gli studi del Marrou e del
Cantalamessa), anche perché «senza le scienze profane non si può accedere
neppure alle scienze sacre» (TERTULLIANO, De idolatria, 10,4). Oppure si sarebbe
potuto risalire almeno all’inizio dell’epoca moderna, quando la nuova cultura
umanistica tendeva a contrapporsi alla società sacrale del Medioevo e la Chiesa,
pur continuando a considerare la confessionalità una dimensione fondamentale e
ineludibile di ogni tipo di scuola, cominciava a preoccuparsi di un insegnamento
specifico di religione, da impartire nella scuola delle sempre più numerose e
diffuse istituzioni religiose, che, sia in area cattolica che protestante, avrebbero
mantenuto alla scuola un’impronta religiosa di fondo per almeno altri due secoli,
Capitolo 1 pag. 13
prima delle rivendicazioni, da parte dei prìncipi «illuminati», di una competenza
statale sulla scuola.
Dopo il periodo delle soppressioni, confische, prevaricazioni varie, dell’ultimo
Settecento, che si chiude con la vicenda napoleonica, si giunge all’età della
Restaurazione, con il reinserimento del catechismo nella scuola, diverso a
seconda delle diocesi e dei... regimi, col rischio di fare dei docenti di religione dei
«pubblici funzionari», in grado di controllare ogni deviazione religiosa e morale e
capaci di contribuire a formare «buoni cristiani e fedeli sudditi», come diceva, ad
esempio, il Regolamento scolastico del Regno Lombardo-Veneto del 1818.
Era intanto iniziata la politica dei «ritocchi» alla Riforma, non senza interventi
relativi anche all’IR, consentito, almeno per corsi facoltativi, anche oltre le scuole
elementari, come avvenne con un decreto del 30 aprile 1924 sull’istruzione
media in generale e con una circolare ministeriale del 7 giugno, per favorire
Capitolo 1 pag. 15/16
corsi facoltativi di religione cattolica per gli allievi degli istituti magistrali nei locali
scolastici, anche se fuori dall’orario normale, così da facilitare il riconoscimento di
idoneità da parte dell’Autorità ecclesiastica ai futuri maestri.
Doveva questa essere l’ultima «concessione» di Gentile, che in quello stesso
mese di giugno 1924 fu sostituito nell’incarico di ministro da Alessandro Casati,
già collaboratore della rivista modernista «Rinnovamento» e della «Critica»
crociana, in occasione del «rimpasto» governativo seguito all’assassinio dell’on.
Giacomo Matteotti (10 giugno). In quell’occasione Gentile disse di non voler
creare difficoltà aggiuntive al capo del governo per le critiche venute a vari punti
alla sua Riforma, non assumendo la franca posizione del suo direttore generale
per l’istruzione elementare Giuseppe Lombardo Radice, che nel numero di
settembre 1924 della sua rivista «L’Educazione nazionale» scrisse: «Rimanere
dopo quel tristissimo episodio [...] significava vivere nella menzogna».
Non mancarono tentativi di popolari e «liberal-democratici», come Alcide
De Gasperi e Giovanni Amendola, di offrire sbocchi alternativi alla crisi del
governo Mussolini, ma nel giro di pochi mesi avvenne invece la ricomposizione
del blocco di forze politiche, economiche, militari e anche ecclesiastiche, che
consentirono a Mussolini la famosa dichiarazione alla Camera del 3 gennaio
1925 dell’assunzione di ogni responsabilità «politica, morale, storica» di quanto
era accaduto, dando il via al vero e proprio regime.
Di qui, progressivamente, lo scioglimento dei partiti e sindacati, la nomina
dei podestà al posto dei sindaci nei comuni, l’istituzione del tribunale speciale,
l’ordinamento corporativo e la decisa politica di riconciliazione con la Chiesa.
Questa, nel giro di pochi anni – nonostante nuove difficoltà e tensioni, a causa
della fondazione dell’Opera nazionale Balilla nell’aprile 1926 e alle pressioni
esercitate per arrivare all’«autoscioglimento» delle associazioni scautistiche
(1927-28) – portò ai Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, con l’articolazione
in Trattato, Concordato e Convenzione finanziaria. Mentre con il primo la Chiesa
Capitolo 1 pag. 16/17
rinunciava ai suoi territori, accontentandosi del piccolissimo «Stato della Città del
Vaticano », con la Convenzione finanziaria otteneva significativi riconoscimenti,
specie a favore di vescovi e parroci, a titolo di risarcimento dei notevoli beni
sottratti alla Chiesa, e con il Concordato vedeva ribadite le sue posizioni
tradizionali, relative specialmente alla famiglia e alla scuola, fra cui appunto
l’IR. Riguardo a quest’ultimo così si esprimeva l’articolo 36: «L’Italia considera
fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina
cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente
che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari
abbia un ulteriore sviluppo nella scuola media, secondo programmi da stabilirsi
d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato».
La legge applicativa n. 824 del 5 giugno 1930 prevedeva l’istituzione dell’IR
in tutti gli istituti medi, con la facoltà di esonero su semplice richiesta, con la
determinazione dell’orario (un’ora normalmente e due ore solo per le prime due
classi del magistrale superiore), la valutazione tramite una speciale nota da
inserire nella pagella e la possibilità di revoca, anche ad anno scolastico inoltrato,
dell’incarico per i docenti.
Accanto alle «manifestazioni di giubilo» del Papa, di molti vescovi, degli uomini
della Università Cattolica e dell’Azione Cattolica o anche dei Gesuiti e alle
scontate critiche di «laici» (Croce, ad esempio) e socialisti, dentro e fuori l’Italia,
vi furono riserve di «fascisti» come Gentile, Alfredo Rocco o Gioacchino Volpe
e di cattolici come Giulio Bevilacqua, De Gasperi, Sturzo, Giuseppe Donati,
Francesco Luigi Ferrari, Guido Gonella, Arturo Carlo Jemolo, Igino Righetti,
Primo Mazzolari, Giovanni Battista Montini, che sarebbe stato «liquidato» dopo
i fatti del 1931, anche per il modo con cui impartiva l’IR nella Fuci romana (cf
Butturini, 1979).
Occorre però anche ricordare che subito dopo i discorsi di Mussolini del 13 e
25 maggio 1929 vi furono vivaci e risentite prese di posizione di Pio XI (Discorso
Capitolo 1 pag. 17
agli allievi del Collegio gesuitico di Mondragone del 14 maggio e Lettera al card.
Gasparri del 30 maggio), prodromo di profondi atteggiamenti critici espressi
dal papa, dopo gli attacchi dei fascisti a sedi ecclesiali e dell’Azione Cattolica
in particolare nel 1931 (quarantennio della Rerum Novarum, in occasione di
celebrazioni ed incontri osteggiati dal Regime), specie attraverso l’enciclica
Non abbiamo bisogno del 29 giugno 1931. Queste posizioni critiche furono
ribadite con ancor più forza per l’avvicinamento del fascismo al nazismo (bollato
con l’enciclica Mit brennender Sorge del 14 maggio 1937, cinque giorni prima
della Divini Redemptoris contro il comunismo ateo), soprattutto nel 1938 per
l’estensione all’Italia delle leggi razziali.
Alle polemiche seguirono inizialmente gli «accomodamenti» del settembre 1931,
«poco dignitosi e rassicuranti», al dire di Montini (cf Moro, 1979, 193-194), come
quello che portò alla Circolare del 15 marzo 1932 per lo svolgimento di lezioni
supplementari di catechismo nelle elementari «ogni quindici giorni ai Balilla e
Piccole italiane delle classi terza, quarta e quinta [...], nei locali scolastici, al
principio o al termine dell’orario di scuola» per la durata di circa mezz’ora.
La disposizione, dopo essere stata ribadita al tempo di Bottai (1939 e 1940), fu
riconfermata, naturalmente con altre parole, dopo la caduta del fascismo da altre
circolari, del ministro Vincenzo Arangio Ruiz (9 febbraio 1945) e di Guido Gonella
(12 aprile 1947), che sancirà, praticamente fino al Concordato del 1984, la
presenza delle venti mezz’ore di catechismo tenute da «sacerdoti proposti dalla
competente autorità ecclesiastica [...], alla presenza dell’insegnante della classe,
durante l’orario scolastico».
Una certa politica «accomodante» sembrò riprendere nel momento di passaggio
fra la morte di Pio XI (10 febbraio 1939) e l’elezione di Pio XII (1 marzo),
come mostra anche la benevola accoglienza della «Carta della Scuola» del
ministro Giuseppe Bottai, approvata dal «Gran Consiglio» il 15 febbraio 1939 e
sollecitamente pubblicata come «documento storico» da «La Civiltà Cattolica».
Capitolo 1 pag. 17/18
La VII Dichiarazione sulla collaborazione scuola-famiglia «ai fini dell’educazione
e dell’orientamento degli alunni [...] sulle vie della religione dei padri e dei destini
d’Italia» venne interpretata con un discorso radiofonico di Bottai della sera di
Pasqua 1939 come conferma e rafforzamento dell’art. 36 del Concordato, in
quanto riferita non solo all’insegnamento, ma a tutta «una formazione sui principi
della dottrina cattolica». Adare maggior forza di insegnamento curricolare all’IR
giunse la Legge sulla «Scuola media unica» (1 luglio 1940), che ammise la
presenza del docente di religione negli scrutini dei singoli anni e dell’esame
finale, mentre la Circolare del 29 marzo 1941 pose la religione come materia
d’esame.
Ma si era ormai alla guerra e al crollo del Fascismo e della «Carta della Scuola»
in particolare, che ci si affrettò, con singolare premura (Circolare min. del 27
luglio 1943, n. 30), a considerare «come non più esistente» (Butturini, 1987, 122-
126).
Un cenno, almeno, prima di affrontare il tema dei dibattiti svoltisi nell’Assemblea
costituente (1946-1947) sull’IR, ai nuovi Programmi delle elementari del febbraio
e maggio 1945, elaborati da una Commissione di cui faceva parte il deweyano
Carleton Washburne della Sottocommissione alleata per l’educazione, dove si
avverte l’influsso di Una fede comune di Dewey (1934), con l’accentuazione della
«religiosità» come «funzione» piuttosto che della «religione» come «contenuto»,
pur mantenendo la religione come disciplina specifica, per una decisione
autonoma dell’autorità statale, senza riferimenti concordatari e con intimi legami
con l’educazione morale e civile e con tutti gli altri insegnamenti, per il principio
dell’unità educativa e didattica.
Si trattava di contribuire a promuovere il libero sviluppo dell’alunno, suscitando
in lui «un vivo sentimento di fraternità che superasse l’angusto limite dei
nazionalismi » e «una serena volontà di lavorare e di servire il Paese con
onestà di propositi» e con la progressiva acquisizione di un «costume di vita
Capitolo 1 pag. 18
democratica».
In particolare nelle Avvertenze relative allo specifico insegnamento si diceva che
«l’educazione religiosa» doveva ispirarsi «alla dolce figura di Gesù, quale risulta
dai Vangeli», così «da suscitare nei fanciulli l’amore verso Dio e verso il prossimo
» (cf Lombardi, 1987, 436-440).
Molto interessante alla Costituente fu il dibattito sull’IR, con il tentativo di
inserire un’esplicita garanzia di tale insegnamento in uno dei primi articoli
della Costituzione, analogamente a quanto sarebbe avvenuto con l’art. 7 della
Costituzione della Repubblica federale tedesca del 1949. È noto che il dibattito
sui problemi della scuola si svolse sulla base di due relazioni, una di Concetto
Marchesi per il PCI e i partiti «laici» (cf «Rinascita», 1946, n. 9) e l’altra di Aldo
Moro per la DC (cf «Humanitas», 1947, n. 1).
La prima contestava l’IR «in nome non della scienza, ma della stessa religione,
in quanto non può essere veramente tale quella che entra in un programma
scolastico», con un catechismo che rischia di fare «uno stagno per ranocchi»
invece di «insegnare a navigare per il mare aperto». La religione entra comunque
nella scuola ma «solo attraverso la religiosità del maestro, che la diffonde
non per obbligo, ma perché così gli detta la coscienza». Quella di Marchesi
riecheggiava impostazioni gentiliane («La realtà è solo quella che lo Spirito fa
essere e non presuppone»!) e non era molto distante dal testo Una fede comune
di Dewey, per il quale contava la fedeltà al metodo e non a un nucleo di verità,
essenziale fin che si vuole, da trasmettere e da accogliere, dato appunto come
presupposto.
Moro sostenne invece l’astrattezza giuridica di una indifferenza dello Stato in
tema di religione, che poteva servire a «mascherare la volontà di distruggere
la coscienza religiosa del nostro popolo, sostituendovi una religione laica della
libertà o una mistica collettiva». Proprio accettando un concetto di uno Stato
che non ha alcuna verità da insegnare né in materia religiosa né altrove, non si
Capitolo 1 pag. 19
poteva negare l’esigenza che esso accogliesse democraticamente i contenuti
educativi proposti dalla coscienza sociale, in modo che l’«orientamento spirituale
della maggioranza » costituisse «la sostanza spirituale della scuola, con le
dovute garanzie per le minoranze non cattoliche». Ignorare nella scuola le
problematiche religiose significava «negare un rapporto reale dello Stato e delle
sue istituzione con le esperienze morali dei cittadini e con le correnti vive della
società». Diverso era il discorso se si considerava il problema dal punto di vista
dei singoli cittadini, dei quali doveva essere garantita la piena libertà di scelta,
come intendeva appunto fare Moro con la sua proposta del 18 ottobre 1946 così
formulata: «Nelle scuole di ogni ordine, escluse quelle universitarie, lo Stato
assicura agli studenti che vogliono usufruirne l’insegnamento religioso, nella
forma ricevuta dalla tradizione cattolica».
Quella proposta, che conteneva le due fondamentali innovazioni del nuovo
Concordato del 1984 (l’assicurazione dell’IR da parte dello Stato e l’affermazione
del diritto di libera scelta) fu lasciata cadere, anche per pressioni della Santa
Sede, preoccupata, fra l’altro, di mantenere altre garanzie previste dal
Concordato del 1929. Pochi mesi dopo, nella notte fra il 25 e il 26 marzo 1947,
con il voto di democristiani, di «qualunquisti», di alcuni liberali ed indipendenti,
ma soprattutto dei comunisti, «costretti» da Togliatti a «convertirsi» nel voto
dell’aula parlamentare rispetto a quello della Commissione (si era al tempo del
governo «tripartito », Dc, Pci, Psi), si decise di inserire i Patti Lateranensi, con
tutte le conseguenti contraddizioni, nel testo stesso della Costituzione, sia pure
precisando che le modificazioni di tali patti non avrebbero richiesto procedimento
di revisione costituzionale.
Dalla «Inchiesta nazionale per la riforma della Scuola» (1947/49) del ministro
Guido Gonella, che aveva chiesto «suggerimenti» anche «circa l’insegnamento
religioso nell’ambito delle norme costituzionali», usciva la conferma dell’IR
come «fondamento e coronamento», anche se «il meno possibile dottrinario e
dogmatico» e con il massimo rispetto di ogni espressione religiosa, anche di
quella delle minoranze, come apparirà nel disegno di legge n. 2100, approvato
in sede governativa il 28 giugno 1951, ma mai discusso in Parlamento, che
considerava l’IR «non una materia fra uguali materie scolastiche», ma la «fonte
più alta e autorevole per l’intera concezione dell’opera educativa» in pieno
accordo «con le premesse etiche e sociali della Costituzione».
La formula della Religione come «fondamento e coronamento» venne
poi esplicitamente ripresa nei Programmi delle elementari del 1955 e, sia
pure con un accenno più cauto e discreto, alla «particolare disciplina
prevista dal Concordato» nella Legge di riforma della scuola media del 31
dicembre 1962. Questa formulazione fu per la prima volta abbandonata negli
Orientamenti educativi per la scuola materna statale del 1969, nei quali si
proponeva un’educazione religiosa aperta realmente a tutti i bambini, non più
specificamente confessionale, anche se si manteneva una certa «pervasività»
della Religione in tutta l’azione educativa.
Si doveva non tanto rafforzare o introdurre una determinata pratica religiosa
quanto «portare il bambino ad una prima apertura verso Dio e ad una vissuta
esperienza di fraternità, di amore e di non violenza», educando a un rispetto
profondo di tutte le posizioni, anche di quelle non religiose, e favorendo «il
superamento di atteggiamenti religiosi ispirati più a timore che ad amore,
ingeneranti [...] sentimenti di discriminazione e forme di pregiudizio, di
Capitolo 1 pag. 20
intolleranza e di fanatismo».
Vi erano state nel frattempo la contestazione giovanile del ’68 e dintorni, che
coinvolse la Chiesa e, in parte, lo stesso IR, e, prima ancora, la svolta segnata
nella vita ecclesiale da papa Giovanni XXIII e dal Concilio Ecumenico Vaticano
II (1962-1965), proseguito poi e concluso da papa Paolo VI. Questi aveva
accettato di accogliere l’eredità giovannea di un Concilio promosso per «un balzo
innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, in
corrispondenza più perfetta di fedeltà all’autentica dottrina, studiata ed esposta
secondo le forme del pensiero moderno», per riprendere parole famose del
discorso di apertura dell’11 ottobre 1962.
Possiamo schematicamente indicare alcune nuove impostazioni su sei
dimensioni fondamentali della fede cattolica, che hanno finito per influire
profondamente sulla formazione degli insegnanti di religione (IdR),
sull’elaborazione dei libri di testo e sulla pratica quotidiana dell’IR:
1. Rivelazione, non tanto come «dottrina», quanto come «storia della salvezza
», fondata anzitutto sulla Parola di Dio e saldamente intrecciata con le concrete
vicende degli uomini. È significativo che la «Costituzione dogmatica su la Divina
Rivelazione» si chiamerà semplicemente «Dei Verbum».
2. Chiesa non più identificata col Regno di Dio e non tanto intesa come «società
perfetta», quanto come «mistero», «popolo di Dio», «segno e strumento
dell’unione con Dio e dell’unità fra gli uomini», radicata nelle Chiese particolari,
«nelle quali e a partire dalle quali esiste». Prima ancora vi è la «rivoluzione
copernicana » nella concezione della Chiesa, alla cui costruzione partecipa
ogni fedele, come sacerdote, profeta e re, nella comune vocazione alla santità
(Lumen Gentium, 10-13, 34-36 e 39-41).
4. Dal Concordato del 1984 allo Stato giuridico dei docenti di religione del
2003
Indicazioni bibliografiche
Capitolo 1 pag. 28
CAPITOLO 2
4. Uno dei problemi seri che la multireligiosità postmoderna pone alla coscienza
degli individui è quello della verità della religione e nelle religioni. Ogni religione,
per sua natura, rivendica una verità valida, unica e assoluta, altrimenti verrebbe
meno la sua stessa ragion d’essere. Ma quando in una società convivono più
religioni, e ciascuna continua a rivendicare la propria esclusiva verità, quale può
essere il significato di «verità assoluta», di «religione vera»? Verità assolute
diverse sono una contraddizione, com’è assurda la pretesa di ciascuna religione
di essere l’unica vera negando valore di verità a tutte le altre (De Vita, 2003,
149).
Di fatto, nella storia, i rapporti tra le religioni possono catalogarsi in una tipologia
di almeno quattro modelli (Dulles, 2002, 6-8):
– il modello della coercizione, quando in molte epoche storiche le autorità
politiche hanno voluto imporre un’unica religione nei territori sottoposti alla loro
giurisdizione e costringere le popolazioni sottomesse ad adottare la religione del
conquistatore (è il principio del cuius regio eius religio, ma forme di teocrazia
politica sono esistite dalle antiche civiltà fino ai giorni nostri);
– il modello della convergenza, basato sul presupposto che l’impulso religioso
è essenzialmente lo stesso in tutte le persone e in tutte le culture, e che quindi
le religioni concordano oggettivamente negli aspetti essenziali e differiscono
solo esteriormente, propone delle ipotesi di accordi interreligiosi sulla base, per
esempio, di un comune teocentrismo (J. Hick) o del soteriocentrismo (P. F.
Knitter);
– il modello del pluralismo eleva il fatto empirico della multireligiosità a principio
qualitativo e arricchente della convivenza tra religioni, sul presupposto che
Capitolo 2 pag. 32
ogni religione riflette determinati aspetti del divino, tutti parzialmente veri, ma
bisognosi di essere integrati e controbilanciati dagli elementi di verità che si
trovano nelle altre religioni;
– il modello della tolleranza, o della reciproca compatibilità «politica» tra religioni,
da perseguire a prescindere dalla loro insuperabile diversità teologica, propugna
la loro coesistenza pacifica sul piano della convivenza civica o dell’ordine
pubblico, impegnando ciascuna religione a rinunciare ad ogni iniziativa volta
a costringere i membri di altre denominazioni a concordare con esse (cf in
proposito i diversi concetti storici di laicità alla francese, di secularization in senso
anglicano, di civil religion all’americana...).
Nel nostro tempo si è alla ricerca di possibili correttivi o aggiustamenti di tali
modelli, tutti più o meno discutibili, datati e contestuali a situazioni contingenti.
Di fatto la direzione maestra, indicata dalle chiese cristiane e non solo, è
quella del dialogo interreligioso. Dialogo – concetto peraltro esposto a derive
semantiche e ideologiche – che si sviluppa a diversi livelli delle società religiose:
per esempio, a livello di incontri al vertice tra rappresentanti istituzionali e/
o carismatici delle religioni (come nel caso, ormai collaudato, di Assisi), di
assemblee interreligiose qualificate per promuovere azioni specifiche a favore
dell’umanità (ad esempio, le riunioni mondiali della World Conference on Religion
and Peace (WCRP), il Parlamento delle Religioni per un’etica comune...), di
ricerche teologiche ed ecumeniche da parte di specialisti delle varie fedi per
superare visioni esclusiviste e offrire argomenti di plausibilità al credere comune,
e infine a livello più pragmatico, ma certo non meno essenziale, dell’incontro
quotidiano tra cittadini anonimi in una società multireligiosa, che, volendo
essere fedeli alla propria identità religiosa, sentono di dover anche reimparare
a convivere nella diversità delle appartenenze e delle convinzioni (De Vita-Berti,
2001, 17-61).
Ai vari livelli, questo dialogo tra «certezze religiose» diventa in fondo un
Capitolo 2 pag. 32/33
confronto tra identità chiare e aperte, disponibili ad apprendere la verità dell’altro
senza rinunciare a tratti essenziali della propria identità. In ogni religione vi è un
assoluto soggettivo, che rimane tale per chi vi aderisce, ma in ogni religione vi
è pure relatività, che consiste nel riconoscimento che altre fedi sono a loro volta
considerate assolute dai rispettivi seguaci (De Vita, 2003, 150). «Non è utile
né autenticamente dialogico gettar via, in nome di una mal intesa generosità
spirituale, quanto è peculiarmente cristiano. [...] È finito il tempo del sedicente
liberalismo del tardo XX secolo (di fatto una strategia intellettuale, tanto
imperialistica quanto quelle che l’hanno preceduta), che si proponeva di trovare
l’identità comune di tutte le religioni, riducendole ad un pio pacciame condiviso»
(Soskice, 2003, 15).
Abbiamo molto da imparare dagli altri, ma ciò non vuol dire che essi debbano
guidarci in ogni cosa. I cristiani, per esempio, professano che Gesù Cristo è il
mediatore unico e universale, ma gli stessi cristiani non sono obbligati, e non lo
sono mai stati, a dire che non c’è verità nelle altre fedi, o in persone di altre fedi.
6. Una società pluralista, e per certi versi «post-cristiana» (E. Poulat), come
quella si delinea al presente in Occidente, è nella necessità di dover ridefinire
il ruolo del fattore religioso nel curricolo della formazione umana. In particolare,
la società italiana, caratterizzata da un «singolare pluralismo etico e religioso»
(Garelli-Guizzardi-Pace, 2003), deve ripensare il profilo culturale ed educativo
da assegnare alla istruzione religiosa nel curricolo scolastico, dopo che sono
cadute o mutate le condizioni che avevano reso possibile un certo modello di
insegnamento religioso sotto il primo (1929) e anche sotto il secondo concordato
(1984).
È chiaro che, in quest’ambito specifico di riflessione, il fattore religioso può e
deve venir inteso:
– non solo come giacimento di un prezioso patrimonio culturale ereditato dalla
tradizione e da tramandare alle generazioni presenti come memoria di un
passato che non esiste più (sarebbe una concezione riduttiva di religione, solo
museale o archeologica, perché identificata solo con i reperti culturali delle sue
tracce passate);
– ma anche come legittima chiave di lettura
– riconosciuta e valorizzata anche laicamente da non poche filosofie e scienze
umane – per interpretare tante zone del mistero dell’uomo e della cultura umana;
– e inoltre come possibile risposta alla permanente sete di senso e alle attese di
salvezza dell’uomo contemporaneo, che spesso è tentato – non senza qualche
ragione plausibile – di cercare risposte esistenziali e riferimenti valoriali anche
fuori dalle religioni istituite. Comportamento assai diffuso, quest’ultimo, che può
spiegarsi sia come reazione a un certo formalismo impersonale della religione
tradizionale cui appartiene per nascita (Bottoni, 2002, 141-159), o come banale
cedimento alla seduzione psicologica di qualche nuova forma di spiritualità,
Capitolo 2 pag. 34
tra le molte disponibili nel supermarket delle esperienze religiose (Vernette,
2003,188); ma a volte anche come approdo personale e sofferto a significati
nuovi dell’esistere, non necessariamente radicati in una rivelazione storica e
men che meno in una «religione di chiesa» (Garelli in De Vita-Berti, 2001, 141-
150). E anche se l’individuo continua ad attribuire rilevanza sociologica alle
risposte della religione di chiesa, concernenti le proprie domande di senso, non
è disposto spesso ad accettarne gli imperativi etici e le argomentazioni dottrinali
(De Vita, 2003, 145). Egli non intende più comportarsi da «fedele » sottomesso
ad un’autorità, ma rivendica il diritto di poter determinare l’oggetto del credere
e gestire i margini della propria libertà di coscienza, anche se questo può
comportare facili derive di relativismo, di eclettismo, di sincretismo.
Tanto l’«appartenere senza credere» quanto il «credere senza appartenere» (G.
Davie) provano la plausibilità di quelle tesi ben note che, dai classici É.
Durkheim e da M. Weber fino a Th. Luckmann e P. Berger, identificano nella
religione una chiave decisiva per la comprensione dell’individuo e della società.
La tesi che afferma che «la conoscenza delle religioni serve a conoscere il
mondo» oggi non ha più bisogno di essere dimostrata, se si accetta da una
parte l’indissociabilità storica tra religioni e culture, dall’altra l’indissociabilità
antropologica tra cultura e senso della vita, e dall’altra ancora l’indissociabilità
teologica tra senso della vita e fede in una salvezza ultramondana. La
conoscenza delle religioni può legittimarsi quindi, anzi imporsi, per una ragione
anzitutto funzionale: esse forniscono strumenti concettuali e materiale simbolico
per poter comprendere in modo significativo il mondo e se stessi.
Conoscere la religione è necessario «perché essa offre le categorie filosofiche
per comprendere l’esperienza sempre problematicissima che noi facciamo in
questo mondo. Offre categorie interpretative, figure mitologiche, strutture di
senso, senza le quali noi non capiremmo la situazione problematica nella quale
versiamo » (Givone, 1998, 10-11). In termini di progressione storica, G. Gusdorf
Capitolo 2 pag. 35
aveva tracciato la traiettoria della coscienza occidentale in tre tappe: nella prima,
l’uomo accoglie una parola originaria che gli si impone dal di fuori, spettatore
com’è del mistero insondabile del cosmo, una parola da cui è dominato e
sedotto: è il tempo lunghissimo della coscienza mitica; nella seconda, è l’uomo
che elabora una parola, che viviseziona la realtà in tante conoscenze settoriali
fino a fargli perdere il contatto con la parola originaria e a dimenticare quindi
le sue radici e il senso delle cose: è la stagione recente dell’imperialismo delle
scienze, della coscienza razionale, dei saperi strumentali negatori del sacro;
nella terza, una più matura e sensata conquista della razionalità, capace di
restare aperta al mistero, induce a recuperare la parola primordiale dimenticata
e a evolvere dunque verso una nuova forma di coscienza: è la coscienza che
Gusdorf, cinquant’anni fa, chiamava «esistenziale» e che H. G. Gadamer traduce
più modernamente con «coscienza ermeneutica».
Lo studio della religione non è dunque importante solo per le conoscenze
che veicola (e possono essere tante e di varia natura: conoscenze storiche,
linguistiche, etiche, politiche...), ma anche e soprattutto per l’utilizzazione
seconda di tali conoscenze nel processo di alfabetizzazione e acculturazione
scolastica. Sia che si tratti di analizzare il patrimonio classico della cultura umana,
sia che ci si alleni a confrontarsi con i grandi temi della condizione umana, sia
che si impari ad acquisire una capacità di giudizio critico ed autocritico, o che
ci si educhi al vivere democratico in una società pluralistica, la conoscenza del
fattore religioso acquista una rilevanza irrinunciabile, se si accetta il principio
umanistico che l’educazione scolastica, oltre che a dare saperi e competenze
spendibili nella vita professionale, deve contribuire anche a dare saperi e
competenze critiche per la costruzione di senso.
Riferimenti bibliografici
BERGER P. (1994), Una gloria remota. Avere fede nell’epoca del pluralismo,
Bologna, Il Mulino.
BOTTONI G. (ed.) (2002), Fine della cristianità? Il cristianesimo tra religione civile
e testimonianza evangelica, Bologna, Il Mulino.
CASANOVA J. (2000), Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla conquista della
sfera pubblica, Bologna, Il Mulino.
DEBRAY R. (2002), L’insegnamento del fatto religioso nella scuola laica. Rapporto
al Ministro dell’educazione nazionale, tr. it. in «Regno-documenti» 15 (2002) 514-
520.
DE VITA R. (2003), Identità e dialogo, Milano, Franco Angeli.
DE VITA R. - F. BERTI (edd.) (2001), La religione nella società dell’incertezza.
Per una convivenza solidale in una società multireligiosa, Milano, Franco Angeli.
DULLES A. (2002), Cristo fra le religioni, in «Regno-attualità» 2 (2002) 6-10.
DUQUOC CHR. (1999), Fede cristiana e amnesia culturale, in «Concilium» 1
(1999) 155-162.
FERRARI S. (2002), Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a
confronto, Bologna, Il Mulino.
FORTE B. (2000), Dove va il cristianesimo?, Brescia, Queriniana.
GARELLI F. - GUIZZARDI G. - PACE E. (edd.) (2003), Un singolare pluralismo.
Indagine sul pluralismo morale e religioso in Italia, Bologna, Il Mulino.
GATTO TROCCHI C. (2000), I nuovi movimenti religiosi, Brescia, Queriniana.
GIVONE S. (1998), in Religioni e Irc nella cultura e nella scuola italiana, Torino,
Capitolo 2 pag. 37
SEI, 10 e ss.
KURTZ L. R. (2000), Le religioni nell’era della globalizzazione, Bologna, Il Mulino
(ed. orig., 1995).
LEHMANN K. (2003), Una religione tra le altre?, in «Regno-documenti» 1 (2003),
42-53.
MALAVASI P. (2002), Discorso pedagogico e dimensione religiosa, Milano, Vita e
Pensiero.
MARTELLI S. (1995), De-secolarizzazione, in «Filosofia e Teologia» (1995) 3, 554-
570.
PACE E. (1997), Credere nel relativo. Persistenze e mutamenti nelle religioni
contemporanee, Torino, Utet-Libreria.
PACE E. - P. STEFANI (2000), Il fondamentalismo religioso contemporaneo,
Brescia, Queriniana.
PAJER F. (2002), Scuola e istruzione religiosa. Nuova cittadinanza europea, in
«Regno-attualità» 22 (2002) 774-788.
RÉMOND R. (1999), La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa
contemporanea, Roma-Bari, Laterza.
RIGO A. (ed.) (2003), Le tre religioni di Abramo. Visioni di Dio e valori dell’uomo,
Venezia, Marsilio.
ROMANELLI M. M. (2002), Il fenomeno religioso, Bologna, EDB.
SOSKICE J. M. (2003), «Editoriale» Apprendere dalle altre Religioni, in «Concilium
» 4 (2003) 13-19.
VERNETTE J. (2003), Il nuovo paesaggio religioso, in «Regno-documenti» 5
(2003) 186-192.
Capitolo 2 pag. 38
CAPITOLO 3
Capitolo 3 pag. 39
1. L’educazione chiamata a «voltare pagina»
Il grido dei giovani (È più bello il titolo originale, Cris de Jeunes. È comunque interessante
lo spirito che anima il rapporto con i giovani nelle diverse età e situazioni. Un breve stralcio può
documentarlo: «Quando dico a un ragazzo: “Hai un grande avvenire davanti a te”, questi mi
risponde spesso: “Mi prendi in giro! Ho quattordici anni, e a dieci ho smesso di andare a scuola...”.
Io non demordo: “Hai un grande avvenire, perché sei ancora abbastanza giovane per poter
rimettere tutto a posto. Se prendi coscienza di quello che sei, del tuo valore, e se lavori sodo, potrai
cancellare questi anni di merda in cui non hai combinato niente di buono. E poi, anche se la tua
scheda mi dice che sei nero come la pece, per me non è vero”.
Lo guardo con gli occhi nuovi dell’amore e della speranza: non c’è niente di più forte di uno
sguardo di speranza e di amore. Tutti i giovani hanno bisogno di uno sguardo così» (Gilbert,
2002, 234) ) è il titolo originale di un saggio recente. Grido di aiuto che la società
giovanilista soffoca. Essere, mantenersi giovane è l’aspirazione e spesso l’assillo.
La giovinezza è un simbolo.
Ma la giovinezza è anche una condizione precisa, esposta alla violenza o
all’abbandono a livello familiare e sociale; soprattutto esposta alla veemenza di
passioni e di istintualità per nulla dominate, né facilmente disciplinabili.
I giovani ne risultano spesso travolti; per incuria o sopraffazione, perché ingenui
e disarmati.
I versanti più esposti sono quelli della violenza e della sessualità. Un giovane
aspira spontaneamente alla giustizia, dove la vede conculcata si ribella, diventa
violento: paga con l’emarginazione, il carcere, l’umiliazione la sua ribellione.
Anche nell’ambito delle prime esperienze relazionali e sessuali la delusione
incombe.
Istintivamente il giovane vuole tutto e subito: nessuno lo educa – certo non
Capitolo 3 pag. 39/40
i media – al dominio di sé, all’incontro rispettoso con l’altro, a portarsi dalla
violenza alla tenerezza. Paga con la frustrazione, la noia, il rifiuto la sua irruenza.
Allo sbocco finale l’onda giovanile sembra ormai sospinta alla deriva, secondata
anche dalla blanda condiscendenza del mondo adulto, che sembra preferire la
pacifica convivenza, all’irruenza dello scontro.
I giovani vengono sospinti sulla spiaggia piuttosto «cattivante» di una larga
soddisfazione dei bisogni e dei desideri più effimeri, alla portata di un diffuso
benessere.
Sullo scorcio degli anni ’80, rivisitando la storia recente uno studioso rilegge
con esemplare chiarezza l’evoluzione della società; l’Editore ne sintetizzava in
«copertina» il punto di vista: «Per una paradossale eterogenesi dei fini, mentre
i cattolici si scontravano nelle piazze con la presenza comunista, considerata il
pericolo maggiore per la fede degli italiani, o contestavano nello Stato i residui
spazi del laicismo risorgimentale, il nemico vero è venuto alle spalle, silenzioso e
a lungo inavvertito, nelle forme della società consumistica, destinata a corrodere
in profondità la fede del popolo italiano» (Scoppola, 1985).
I giovani risultano spesso la punta avanzata, non di rado strumentalizzata, di
questa vicenda. Appare comunque chiaro che le «mode» sottendono e in parte
inalberano sensibilità in rapida evoluzione e spesso ideologie ricorrenti: spingono
tuttavia la ricerca antropologica a «razionalizzazioni» semplificatrici, che spesso
Capitolo 3 pag. 42
enfatizzano l’aspetto più clamorosamente emergente in ciascuna di esse:
esasperando di volta in volta la rivendicazione politica, l’istanza esistenziale, la
piega individualistica e narcisistica, la stanchezza, l’apatia, il consumo...
I giovani oggi sembrano portare il peso di una esperienza che ha accumulato
troppe provocazioni in troppo poco tempo: non hanno avuto lo spazio
indispensabile per misurarvisi e verificarle. Sembrano comunque propensi a
prendere le distanze e a procrastinare a tempo indeterminato le valutazioni e le
scelte che valgano a qualificarli.
L’annotazione di un attento osservatore del mondo giovanile pare pertinente:
R. Mion definisce i giovani anni ’90 «una generazione che non ha fretta».
Sintetizzando quindi le conclusioni emerse nella ricerca IARD ’92, sottolinea lo
stile di una generazione di giovani adulti «dilazionatori»: «Passa più tempo a
scuola, approda più tardi al lavoro, al matrimonio e ai figli. Vive più a lungo in
famiglia e non si decide, se non alla soglia dei trent’anni, a lasciare la casa dei
genitori» (Mion, 1993).
L’ultima ricerca IARD è in grado di puntualizzare meglio gli aspetti rilevati.
Sui settori più importanti della scuola, della famiglia, del lavoro, della
partecipazione sociale, della politica ha condotto un’analisi puntuale: la
conclusione che ne tira accentua esplicitamente la condizione di incertezza:
«La dimensione dell’incertezza è oggi quella che meglio definisce la condizione
giovanile» (IARD, 2002, 520).
La documentazione più recente che riguarda la situazione religiosa ci sembra
connotata da un’incertezza anche più profonda dovuta a cause molteplici, che
vanno esplorate, almeno nelle linee emergenti.
I giovani dunque sono insicuri: gli adulti offrono sicurezza? Ricerche recenti
Capitolo 3 pag. 42/43
e attuali risultano piuttosto allarmanti. Volendole riportare ad uno dei nodi
problematici si può dar ragione ad un noto studioso: «Quello che chiede la
gioventù, mi sembra, non è un’assoluta permissività, ma piuttosto nuovi modi di
affrontare le cose che veramente contano.
Assisteremo certamente ad una tragica rivalutazione dei primi tentativi della
gioventù di ritualizzare la vita per se stessi e da loro stessi e contro di noi;
assisteremo anche al modo con cui, di fronte ad una siffatta, provocante sfida, gli
anziani abdicheranno al loro ruolo vitale di giustizieri e di critici.
Infatti senza una guida – una guida, tra parentesi, che potrà incontrare vivace
opposizione – i giovani umanisti corrono il rischio di perdere importanza e
di rimanere soffocati – ogni individuo ed ogni cricca – in una “espansione di
consapevolezza” puramente episodica» (Erikson, 1992, 41).
Del resto non sono pochi gli studiosi che danno un giudizio piuttosto severo
circa il rapporto giovani-adulti nel contesto attuale. Una valutazione di sintesi
può interpretarli: «Gli adolescenti e i giovani hanno sempre più a che fare con
adulti con un’identità scarsamente definita. Vivere senza poter mai risolvere il
“problema dell’identità”...
sembra il carattere più diffuso tra gli uomini e le donne nella società
contemporanea. Essi soffrono, si potrebbe dire, di una cronica mancanza delle
risorse necessarie a costruire un’identità davvero solida e definitiva, ad ancorarla
saldamente e a impedirle di andare alla deriva.
Cosicché oggi abbiamo genitori che appaiono incerti, spaesati, senza una chiara
idea della famiglia, del mondo in cui si trovano, dell’etica da trasmettere. Ciò li
rende carichi di sensi di colpa nei confronti dei figli e quindi da questi facilmente
ricattabili» (Castellazzi, 2001, 67).
Un ruolo dunque fortemente affievolito, che vede gli adulti intimiditi o assenti,
privando i giovani di indicazioni autorevoli e orientative, indispensabili alla
maturazione equilibrata di personalità consapevoli.
Capitolo 3 pag. 43
2.5. Una «casa» dove abitare
Le mode nella loro sfuggente evasività rappresentano per l’incontro con i giovani
un terreno minato.
È facile denunciarne la precarietà effimera. Mentre si impongono sono già al
tramonto e chi le rincorre rischia di trovarsi vedovo lo stesso giorno in cui celebra
il matrimonio.
Le mode tuttavia veicolano la piattaforma di incontro con i giovani. Lì ci sono e si
possono incontrare. Fuori di lì non ci sono ed è velleitario incontrarli.
Ma in maniera più profonda e permanente le mode veicolano spesso simboli di
alta suggestione; per lo più rapidamente «consumati» e disertati, perché la loro
gestione è tenuta da mercanti che rincorrono il «guadagno» e quindi puntano al
«consumo». Ciò non toglie che i filoni, esplorati dalle mode incrocino esigenze
umane e in particolare giovanili di grande richiamo.
Anzi sarebbe interessante verificarne e potrebbe risultare proficuo dilatarne la
risonanza ed elaborare risposte esistenzialmente significative: potrebbe dare
credito e credibilità a molte proposte specificamente religiose.
Un esempio clamoroso si può trovare nella canzone, nella musica: lo spazio
e l’ascolto che i giovani vi danno. L’indifferenza o la sottesa ostilità con cui
la chiesa la combatte o la denigra; la conseguente estraneità o addirittura il
rifiuto con cui i giovani considerano la chiesa legittimano una nota dolente
nell’osservazione perfettamente pertinente di F. Pasqualetti. («Dal nostro breve
percorso emergono tuttavia alcuni punti interessanti.
Dagli anni Sessanta a oggi, come era prevedibile, il modo di percepire Dio, il suo volto, il rapporto
con i gestori del sacro e le istituzioni è cambiato. Sembra di poter dire, senza offendere nessuno,
che le chiese in generale non abbiano saputo leggere e interpretare i segni che provenivano e
provengono dalla cultura popolare in maniera tempestiva e adeguata. Come conseguenza si è
creato un divario sempre più netto tra ciò che viene proposto a livello ufficiale e il modo con cui le
7. Parlare di giovani vuol dire riferirsi a quanti hanno la vita davanti; guardano
quindi al futuro.
A proposito appare legittimo il bilancio piuttosto severo, documentato
nell’ultima indagine IARD, sopra accennata: vede il futuro segnato da grande
incertezza: «Nella condizione giovanile assume quindi una rilevanza essenziale
la dimensione temporale e in particolare l’immagine del futuro. Qui regna una
grande incertezza. C’è chi vive l’incertezza come opportunità (“bisogna saper
cogliere le occasioni se e quando si presenteranno”), c’è invece chi la vive con
paura e sospetto (“bisogna prepararsi al peggio, chi sa quali rischi si nascondono
dietro l’angolo”).
Per entrambe il futuro è comunque difficilmente prevedibile. La dimensione
dell’incertezza è oggi quella che meglio definisce la condizione giovanile» (IARD,
Capitolo 3 pag. 48
2002, 520).
A conclusione. Naturalmente ogni tentativo di sintesi presta il fianco ad obiezioni
palesi. Tuttavia qui non si presume di dare un’interpretazione definita; anzi per sé
più che l’interpretazione dello stato di fatto è in gioco l’intuizione delle emergenze
come «disponibilità» aperte all’intervento educativo. La documentazione offerta
vuole solo darvi sufficiente legittimazione e concretezza.
In questo senso le annotazioni tendono a indicare piste sulle quali in parte sono
incamminate, ma soprattutto possono venir incamminate, le giovani generazioni:
ipotesi dunque ragionevolmente fondate per intuire esigenze emergenti, per
evidenziare spazi educativi in tanta parte inediti; per rilevare uno sfondo sul quale
capire disponibilità o resistenze e proiettare l’intervento educativo, soprattutto in
ambito morale e religioso.
Educare al consenso in questa situazione è esporsi all’insignificanza: la
strada ancora percorribile è quella di un dialogo libero, magari di un confronto
trasparente sulle cose che contano. Per quanto il rischio del consumismo abbia
pericolosamente incrinata la percezione esatta delle cose che contano e quindi
ne renda più ardua anche la verifica.
E tuttavia non poche esperienze richiamate dicono che una verifica seria e
franca è ancora possibile; che forse ormai i giovani l’attendono; anzi sembra che
dove è stata condotta con rigore e fiducia abbia dato buoni risultati.
In sintesi
Capitolo 3 pag. 51
5. Lo spazio ai giovani
Indicazioni bibliografiche
Capitolo 3 pag. 57
CAPITOLO 4
I rapporti internazionali, sia a livello mondiale (l’Unesco) sia sul piano europeo
(l’Unione Europea), sottolineano che rispetto alle sue tradizionali funzioni
la scuola oggi ha da far fronte a nuovi compiti, dovuti all’emergenza della
società della conoscenza, della società complessa, della società pluralistica e
multiculturale, della mondializzazione e della globalizzazione. Anche in Italia si
è cercato di fornire una risposta articolata a questi processi di mutamento e di
innovazione, ridisegnando l’architettura del sistema di istruzione e di formazione
e provando a rinnovare i contenuti e i modi della vita scolastica.
La riforma è stata ed è portata avanti direttamente dal Ministero della Pubblica
Istruzione: ciò non è stato e non è senza problemi, sia in rapporto al cambio dei
governi e sia soprattutto in ordine al coinvolgimento e alla compartecipazione
corresponsabile delle parti sociali interessate, a cominciare dal mondo della
scuola e della formazione professionale.
1. I precedenti
3. Il mosaico e la delega
La legge 30/2000 fu dal TAR ritenuta inapplicabile nelle forme previste dal
piano attuativo proposto dal Ministro De Mauro, succeduto al Ministro Berlinguer
Capitolo 4 pag. 61/62
nell’ultimo Governo di centro-sinistra. Peraltro, già nel programma politico del
Polo delle Libertà si dichiarava di voler rivedere, e caso mai rifare, la legge sul
riordino dei cicli. Sicché – come si è accennato – dopo la vittoria delle elezioni
del maggio 2001, il Governo Berlusconi per il tramite del Ministro Letizia Moratti
ha subito intrapreso l’azione di riforma del sistema educativo di istruzione e di
formazione.
Dopo gli Stati Generali dell’Istruzione (19-20 dicembre 2001), il 10 gennaio 2002
fu presentata per la prima volta in Consiglio dei Ministri una proposta di legge
sostitutiva da parte del Ministro Moratti, che teneva conto sia delle indicazioni
della Commissione Bertagna sia delle risultanze degli Stati Generali, ma sia
anche delle istanze dei partiti, dei rappresentanti delle forze sociali e di quelle
delle regioni. La complessità del tema, i tempi stretti della seduta, la necessità
di chiarire meglio alcuni punti ed in particolare i risvolti finanziari, suggerirono
di prendere tempo e di rinviare il testo della proposta di legge ad altra data. Nel
frattempo si era affermata l’ipotesi di una legge delega e il relativo disegno fu
approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° febbraio 2002. In tale occasione i partiti
della maggioranza governativa inserirono le loro osservazioni, modificando
l’originaria proposta del Ministro. Così ricomposto, in Parlamento il testo poté
godere dell’appoggio incondizionato della maggioranza, sicché poté procedere
piuttosto speditamente. Avuta l’approvazione del Senato, il 13 novembre 2002,
la stessa maggioranza alla Camera ritirò i suoi emendamenti pur di arrivare
al più presto alla approvazione definitiva (avvenuta dopo un ritorno al Senato
per ritocchi riguardanti gli aspetti finanziari, il 12 marzo 2003), permettendo
così al Ministro di dare subito avvio ai decreti attuativi in connessione con gli
stanziamenti previsti dalla finanziaria.
Avuta l’approvazione del Presidente della Repubblica, il 28 marzo 2003, la legge
delega fu pubblicata come legge 53/2003.
Ne diamo una sintesi con qualche rilievo di carattere generale.
Capitolo 4 pag. 62
Il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola
dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola
secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo di cui fanno parte il sistema
dei licei e quello dell’istruzione e della formazione professionale. Quanto alla
scuola dell’infanzia che rimane triennale, rispetto alle finalità indicate dalla legge
30/2000 è stata data importanza alle potenzialità di relazione, allo sviluppo
psicomotorio e soprattutto a quello morale e religioso; ma la novità più discussa
riguarda la possibilità di iscrizione per i bambini che compiono i 3 anni di età
entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento.
La scuola primaria dura 5 anni ed è articolata in un primo anno teso al
raggiungimento della strumentalità di base e in due periodi didattici biennali.
Un’altra novità è l’anticipo dell’iscrizione per cui possono frequentare il primo
anno anche i bambini che compiono i 6 anni entro il 30 aprile dell’anno di
riferimento. È prevista, sin dall’inizio, l’alfabetizzazione in almeno una lingua
dell’Unione Europea e nelle tecnologie informatiche. Scompare, inoltre, l’esame
di quinta.
La scuola secondaria di primo grado si rafforzerà sotto il profilo delle discipline: è
prevista una seconda lingua comunitaria obbligatoria e un approfondimento delle
tecniche informatiche. Nei tre anni, che si concluderanno con un esame di Stato,
verrà anche progressivamente sviluppata nei ragazzi la capacità di scelta del
percorso successivo.
Una novità che riguarda l’intero primo ciclo consiste nell’intento di valorizzare
la tradizione culturale insieme all’evoluzione sociale, culturale e scientifica della
realtà contemporanea.
Asua volta nel secondo ciclo dovrà essere data un’attenzione costante alla
crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il
fare e l’agire e la riflessione critica su di essi. Quanto ai licei, sono confermati
gli assi culturali tradizionali, classico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne
Capitolo 4 pag. 62/63
nascono dei nuovi, economico, tecnologico, musicale, linguistico, delle scienze
umane.
Essi hanno durata quinquennale: l’attività didattica si sviluppa in due periodi
biennali e in un quinto anno che prioritariamente completa il percorso
disciplinare e prevede inoltre l’approfondimento delle conoscenze e delle abilità
caratterizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi.
Si concludono con un esame di Stato il cui superamento rappresenta titolo
necessario per l’accesso all’università.
Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell’istruzione e della
formazione professionale realizza profili educativi, culturali e professionali ai
quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su
tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definiti
su base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto
si vedranno garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei,
ma avranno anche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un
sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore.
Potranno altresì disporre di un quinto anno per affrontare l’esame di Stato per
l’iscrizione all’università.
In ogni caso, da un sistema all’altro sono sempre possibili passaggi interni.
Dopo i 15 anni sia i diplomi che le qualifiche possono essere conseguiti in
alternanza scuola-lavoro o attraverso l’apprendistato.
In tutto il sistema educativo di istruzione e di formazione i piani di studio si
organizzano intorno a un nucleo fondamentale, omogeneo su base nazionale,
che rispecchia la cultura, le tradizioni e l’identità nazionale. In aggiunta, è
prevista una quota riservata alle Regioni, relativa agli aspetti di loro interesse
specifico, anche in collegamento con le realtà locali.
In queste disposizioni trova compimento un’altra trasformazione significativa del
nostro sistema educativo di istruzione e di formazione. La riforma Berlinguer/ De
Capitolo 4 pag. 63
Mauro aveva già realizzato il passaggio dalla logica dei programmi a quella del
curricolo, cioè dalla centralità del Ministero alla progettualità della scuola e dei
docenti; la legge delega Moratti porta in primo piano il principio della personale
responsabilità educativa degli alunni e delle famiglie mediante l’introduzione dei
piani di studio personalizzati.
Il tratto distintivo dei programmi era l’idea dell’applicazione. Il Ministero emanava
centralisticamente i suoi testi e alla scuola e ai docenti era attribuito il compito
di svolgerli diligentemente e in maniera uniforme in tutte le classi e di adeguarsi
scrupolosamente alle loro indicazioni. L’atteggiamento che viene esigito dagli
insegnanti è quello impiegatizio dell’applicazione e dell’esecuzione. E sono le
indicazioni dei programmi a prevalere sulle esigenze degli alunni.
Con le indicazioni curricolari per dirla secondo la riforma Berlinguer/De Mauro,
il Ministero fornisce valori e vincoli nazionali e a ogni scuola è attribuito il
compito di interpretarli e di adattarli autonomamente alle esigenze specifiche del
proprio contesto educativo. Pertanto, i docenti sono chiamati a concretizzare gli
orientamenti nazionali in modo creativo attraverso la progettazione del Piano
dell’Offerta Formativa. In questa operazione, può capitare che gli insegnanti e le
scuole non coinvolgano i giovani e i genitori che, pertanto, restano dei destinatari,
non assurgano cioè a protagonisti della co-costruzione del curricolo.
Questo non dovrebbe essere più possibile con la riforma Moratti. I piani di studio
personalizzati segnano una svolta di mentalità, il riconoscimento effettivo della
centralità dell’allievo. Ovviamente non vengono aboliti i valori e vincoli nazionali
che tutti devono osservare e che lo Stato ha il dovere costituzionale di indicare.
Rimane anche il principio della progettualità della scuola e dei docenti che
devono delineare itinerari educativi, ma viene affermata con decisione l’idea
della personale responsabilità educativa degli allievi, dei genitori e del contesto
territoriale nello sceglierli, nel percorrerli e soprattutto nel costruirli insieme, in un
dialogo costante.
Capitolo 4 pag. 64
È confermata la valutazione periodica e annuale, effettuata dai docenti: essa
riguarderà sia gli apprendimenti sia il comportamento. Sembra che venga
abbandonata la norma secondo la quale gli alunni sono promossi o respinti
ogni due anni che era stata introdotta per assicurare agli studenti il tempo di
colmare eventuali lacune; l’ordine del giorno approvato in Senato alla fine di
marzo, che sarà fissato definitivamente da un decreto attuativo, comporta infatti
il ripristino della valutazione tradizionale a cadenza annuale. Comunque, nella
primaria – sembra – non ci dovrebbe essere ripetenza. Con scadenza biennale
l’Istituto nazionale di valutazione misurerà con verifiche nazionali la qualità
complessiva dell’offerta formativa e dei livelli di apprendimento per monitorare il
livello culturale degli studenti. L’esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione
– quindi anche quello della secondaria di primo grado – si svolgerà sia sulle
prove organizzate dalle commissioni di esame sia su quelle predisposte e gestite
dall’Istituto nazionale di valutazione.
La formazione iniziale degli insegnanti è di pari dignità e durata per tutti i docenti
e si svolge nelle università presso i corsi di laurea specialistica: quest’ultima
ha valore abilitante e consente l’accesso nei ruoli organici previa stipula di un
contratto di formazione-lavoro e la partecipazione a specifiche attività di tirocinio.
I docenti torneranno all’università per frequentare corsi di formazione in servizio
finalizzati all’assunzione di competenze che serviranno a esercitare funzioni di
supporto, di tutorato e di coordinamento all’interno della scuola, in vista dello
sviluppo della carriera.
È stato detto a più riprese e in più sedi che la riforma Moratti intende andare
oltre la logica stessa dei curricoli, ancora troppo istituzionale ed ufficiale e quindi
ancora distante dai mondi vitali personali dei «soggetti che apprendono». La
centralità di quest’ultimi, già conclamata nella riforma Berlinguer-De Mauro,
sarebbe da tale logica piuttosto messa in questione, in quanto ridotti o ricondotti
ad «oggetto» di insegnamento e comunque a «destinatari» dell’azione scolastica.
Ma l’enfasi sui piani di studio personalizzati può risultare (e far rimanere in)
una posizione puramente reattiva, in quanto si presta a cadute di cui si accusa
il principio della teoria della Qualità Totale («la soddisfazione del cliente prima
di tutto »), vale a dire una visione della scuola-servizio, della scuola-mercato,
Capitolo 4 pag. 65/66
della scuola-bazar. Il POF, da «documento fondamentale costitutivo dell’identità
culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche» (Regolamento dell’autonomia,
a.
3, c. 1) rischia di scadere a «cartello pubblicitario di offerta»; la «progettazione
curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole
adottano nell’ambito della loro autonomia» (Ibidem) può essere estenuata
dalla contrattazione «particolare» (e magari non sempre «illuminata» o
orientativamente «capace») dei giovani e delle famiglie (assurti al ruolo di
«utenti» e di «clienti»); mettendo pericolosamente a rischio la intrinseca e storica
funzione propositiva culturale e democratica della scuola e degli istituti/centri di
formazione professionale.
Al punto in cui ci si trova, dando uno sguardo indietro a quanto è stato attuato
– almeno a livello legislativo – e al molto che rimane da fare, si ricava l’immagine
di un processo di riforma con ampi aspetti innovativi, non solo nel linguaggio; e
neppure solo per la volontà di arrivare ad una scuola che assicuri il «successo
formativo» rapportato alle necessità dell’esistenza contemporanea, alla sua
complessità e alle esigenze «rivoluzionarie» delle nuove tecnologie informatiche
e telematiche. Pur nel composito gioco della compromissione politica, sembra
abbastanza chiaro che si vada oltre un sistema educativo pubblico solo
Capitolo 4 pag. 72/73
funzionale allo sviluppo economico e a chi pretende di cavalcare la tigre del
mercato internazionale.
L’educatività della scuola, la finalizzazione dell’istruzione e della formazione al
pieno sviluppo delle persone, la centralità dei soggetti che apprendono, la chiara
impostazione prospettica di educazione permanente, la ricerca dell’integrazione
tra teoria e prassi nella didattica: sono acquisizioni pedagogiche precise, per
quanto ideali. Forse, come si accennato, è meno chiara una prospettiva
collaborativa e solidaristica dello stesso apprendere.
Ma, di là delle iniziative ordinamentali, appare molto urgente la formazione
dell’opinione pubblica e la ricerca del consenso di genitori e studenti, al
fine di superare le posizioni puramente reattive e pregiudizialmente inerziali
all’innovazione e al cambio di impostazione e di mentalità che la riforma, quella di
ieri e quella di oggi, richiede da tutti, dentro e fuori della scuola e delle istituzioni
formative.
Verosimilmente, da molta parte dell’opinione pubblica, sono ancora da «digerire»
varie prospettive di fondo connesse con la riforma della scuola: l’impostazione,
che deriva dal nuovo titolo V della Costituzione di una istruzione e di una
formazione basate sull’autonomia e la sussidiarietà, in un sistema poliarchico; la
pari dignità formativa dell’istruzione e della istruzione/formazione professionale;
una impostazione «ologrammatica» dell’apprendere; e più largamente l’idea
di un sistema educativo di istruzione e di formazione «della società» e della
«Repubblica», non dello Stato o delle Regioni o dei privati. Altrettanto è da dire
per una idea largamente diffusa di una certa equivalenza di «pubblico» con
«statale»; e fors’anche di un certo modo di intendere – rispetto al «privato»
– il «pubblico» (non molto considerato nelle sue aggregazioni di società
civile, di associazionismo, di movimenti, di organizzazioni non governative, di
volontariato).
In aggiunta è da dire che al di là ed oltre le critiche alle leggi o alle proposte
Capitolo 4 pag. 73
di riforma, è da evidenziare, quasi previamente, che persistono gravi difficoltà
strutturali, di servizi, di finanziamento. E, primo tra tutti, risulta ancora più
complicato il problema della formazione, del reclutamento, dell’aggiornamento
e della carriera degli insegnanti e dei formatori. Mentre, infatti, tutti ribadiscono
che gli insegnanti e i formatori sono la chiave di volta della riforma, non sembra
che li si aiuti molto a entrare nella logica della riforma o che si permetta loro di
aggiornarsi e a non avere, invece, sulle spalle un peso ulteriore al loro già non
facile compito civile di dare corpo al diritto di tutti all’educazione, all’istruzione
e alla formazione per essere persone, lavoratori e cittadini di qualità, come la
Costituzione auspica e richiede di attuare.
E dispiace anche che le scelte dei tempi e dei modi attuativi siano pesantemente
subordinati dalle scelte economiche: perché viene a galla qual è l’ordine delle
priorità che il governo ha in testa, al di là delle proclamazioni propagandistiche.
Riferimenti bibliografici
Capitolo 4 pag. 75
CAPITOLO 5
RIFORME E IRC.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Sergio Cicatelli
Capitolo 5 pag. 76
ostacoli che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (ibidem).
Il legislatore ha applicato questa linea di pensiero alla scuola, finalizzandone
l’attività alla «piena formazione della personalità degli alunni» (DLgs 297/94,
art. 1) e ribadendo con l’ultima legge di riforma che il sistema di istruzione e
formazione italiano ha il «fine di favorire la crescita e la valorizzazione della
persona umana» (legge 53/03, art. 1).
L’IRC deve dunque fare proprio questo principio, che peraltro retroagisce sullo
stesso IRC, in quanto il pieno sviluppo della persona non può fare a meno
dell’attenzione alla sfera religiosa, non per una discutibile scelta confessionale o
per un malcelato intento proselitistico, ma per la constatazione di un innegabile
dato di fatto, costituito dalla presenza della religione nella storia dell’uomo, e
della religione cattolica nella storia degli italiani.
Già la legge 30/00, legge quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione,
approvata dalla maggioranza di centrosinistra nella scorsa legislatura, aveva
Capitolo 5 pag. 77
istituito il «sistema educativo di istruzione e di formazione», coniando una
locuzione che è stata mantenuta anche nella legge 53/03, approvata in questa
legislatura da una maggioranza di centrodestra. È importante sottolineare
questo fattore di continuità per concentrare l’attenzione su aspetti strutturali
che non sono legati alla mutevolezza della politica italiana ma corrispondono
all’evoluzione fisiologica dell’universo scolastico.
Va dunque ricordato che la scuola italiana costituisce un sistema, cioè una
struttura complessa le cui singole parti interagiscono necessariamente fra loro
con una logica sostanzialmente unitaria. Rispetto alla condizione precedente
e tuttora vigente, in cui la scuola si è andata costruendo per stratificazioni e
aggiunte successive, l’intento è oggi quello di dar vita a un unico intervento che
su diversi livelli possa far nascere un insieme coerente, articolato e funzionale.
Ma se da un punto di vista formale la legge 53/03 è un testo unitario che si
articola in varie direzioni, deve pur sempre tenere conto – come si vedrà – di altri
condizionamenti giuridico-istituzionali.
Il sistema si qualifica innanzitutto come educativo, cioè finalizzato alla crescita
integrale della persona e allo sviluppo delle sue potenzialità, e si articola nei
due sottosistemi dell’istruzione e della formazione: all’istruzione corrisponde
l’insegnamento (e il correlativo apprendimento) che viene realizzato nelle
scuole di ogni ordine e grado; alla formazione corrisponde invece l’azione svolta
nei centri di formazione professionale con una più specifica e diretta finalità
professionalizzante.
I due versanti della cultura teorica (la mente) e della cultura applicata (il braccio)
si trovano dunque riuniti, con pari dignità, in un unico sistema che esprime
una sensibilità educativa attenta ad ogni aspetto del vivere quotidiano. Le
dichiarazioni di principio, però, attendono ancora una concreta realizzazione.
Da parte sua, l’autonomia delle istituzioni scolastiche ha dato vita a un vero e
proprio sistema di autonomie, policentrico e plurale, che lascia al potere centrale
Capitolo 5 pag. 77/78
solo funzioni di indirizzo per assicurare comunque l’unitarietà del sistema
educativo nazionale.
Lo spirito dell’autonomia scolastica può essere ricondotto a due concetti
fondamentali: flessibilità e integrazione. La flessibilità è il principio ispiratore di
tutti quegli interventi che puntano a superare la tradizionale rigidità del sistema
scolastico italiano, fin dalle origini caratterizzato da un accentuato centralismo.
L’integrazione è in un certo senso la conseguenza e la manifestazione del
decentramento che va a correggere quel centralismo e che si concretizza nel
passaggio da un sistema verticale di relazioni (vertice-base, centro-periferia)
ad un sistema orizzontale di relazioni reticolari tra agenzie formative e sedi
istituzionali.
La flessibilità si manifesta in scelte didattiche ed organizzative più rispondenti
alle esigenze del servizio scolastico e consente di costruire percorsi di
insegnamento/ apprendimento individualizzati o quanto meno attenti alle
differenti caratteristiche degli alunni. L’insegnante non è più l’esecutore
(non lo è più da tempo) di programmi stabiliti centralmente ma l’adattatore
di indirizzi generali ed obiettivi di apprendimento al contesto effettivo in cui
opera (la tipologia di scuola, la classe, l’alunno), mostrando così tutte le sue
caratteristiche di vero professionista della scuola. La rigida specializzazione
disciplinare della scuola tradizionale deve lasciare il posto (ed anche questo
lo sta già facendo da tempo) ad una ricostruzione dei saperi a partire dalle
esigenze e competenze reali degli alunni, che si muovono in una dimensione
molto più inter- o pluridisciplinare di quanto le partizioni disciplinari vorrebbero.
La logica dell’integrazione perciò impone il dialogo tra le materie scolastiche,
tra il curricolare e l’extracurricolare, più in generale tra la scuola e l’extrascuola
(scuola e famiglia, scuola e mondo dei pari, scuola e altre agenzie educative), e
più istituzionalmente tra la scuola e il territorio, tra scuola ed enti locali, tra scuola
e società civile, tra scuola statale e scuola non statale, tra scuola e scuola: tutto
Capitolo 5 pag. 78
ciò per realizzare una maggiore sintonia tra il mondo dell’alunno e la proposta
educativa che gli viene presentata.
5. Il principio di sussidiarietà
Mentre nel secondo punto (che per certi aspetti può costituire un motivo di
continuità tra le due prospettive riformatrici) si dichiara di non avere di mira le
materie scolastiche ma le attese sociali nei confronti della scuola (la legge 53/03
però privilegia le esigenze della persona sulle richieste della società), nel primo
Capitolo 5 pag. 81/82
comma si intende partire proprio da saperi e valori comuni a tutti, che si presume
debbano contribuire a costruire il profilo dello studente al termine della scuola
dell’obbligo.
In altre parole, prima i contenuti e poi la persona, mentre ora il processo sembra
invertirsi con la definizione preliminare di un Profilo dello studente, che non è
comunque un tipo ideale o un a-priori ideologico. Rispetto a una scuola che
avrebbe voluto incidere poco sull’educazione delle persone, lasciando spazio ad
altre agenzie educative, la riforma Moratti intende attribuire alla scuola una nuova
centralità, pur se in dialogo consapevole con i sistemi informali (vita sociale,
mass media, ecc.) e non formali (associazioni, Chiesa, ecc.) di educazione,
secondo la logica della sussidiarietà che si è prima richiamata.
Nei documenti citati ricorre spesso un’immagine sintetica con cui si cerca di
esprimere l’impianto pedagogico-didattico della nuova scuola. La metafora
è quella dell’ologramma, tecnica fotografica che per mezzo della luce laser
permette di riprodurre immagini tridimensionali. La suggestione che ne
deriva è quella di puntare ad una conoscenza a tutto tondo dell’alunno, ma la
caratteristica che più interessa è forse il fatto che la lastra olografica contiene
in ogni sua parte una completa descrizione dell’oggetto riprodotto e dunque
consente di avere il tutto in ciascuna parte (ovviamente con minore definizione).
Capitolo 5 pag. 83
Una scuola «ologrammatica» dovrebbe quindi procedere non per successione
o giustapposizione di conoscenze ma per progressivo sviluppo di competenze
elementari presenti fin dall’inizio: un progetto ambizioso di ribaltamento della
tradizione didattica non solo italiana; un ritorno alla pedagogia personalistica in
versione aggiornata e sotto il segno della tecnologia.
Le realizzazioni però non sembrano corrispondere alle intenzioni, dato che il
disciplinarismo continua a emergere prepotentemente in molti dei documenti
finora usciti, mentre l’attenzione alla persona nel suo insieme rimane spesso
solo un’affermazione di principio. Per quanto riguarda il secondo ciclo, per
esempio, costituito non dal solo sottosistema dell’istruzione ma anche dal
sottosistema dell’istruzione e formazione professionale, non c’è ancora una
riflessione organica sull’eventuale profilo dello studente del secondo canale,
mentre l’attenzione si è concentrata soprattutto sul sottosistema dei licei, in
relazione al quale la riflessione si è suddivisa tra gli otto licei previsti (artistico,
classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, delle scienze
umane, tecnologico). L’attenzione al particolare, al singolo indirizzo, in contrasto
con l’istanza ologrammatica dichiarata, fa prevalere la dimensione disciplinare
su quella formativa generale, come se – in contrasto con la procedura deduttiva
prima individuata – si dovesse ricavare l’identità dello studente liceale dalla
presenza di alcune discipline chiave nell’indirizzo.
Poste le premesse teoriche dichiarate, comunque, la pedagogia sottesa alla
legge 53/03 si può ricavare, a ritroso, dalle procedure didattiche e dalle tappe
che scandiscono l’azione della scuola. In tale processo si è voluto istituire un
lessico nuovo di cui forse si poteva anche fare a meno in quanto enfatizza
la novità ma complica inutilmente la comprensione da parte di docenti che
sono ancorati a processi e terminologie più consolidati. Per una più immediata
familiarizzazione con il nuovo vocabolario si propone qui perciò una sorta di
grossolana equivalenza con la tradizionale programmazione curricolare, fermo
Capitolo 5 pag. 84
restando che deve essere chiara la consapevolezza del tradimento che così si va
ad operare nei confronti dell’operazione innovativa promossa dalla riforma.
Punto di partenza è senz’altro il Profilo, nel quale dovrebbe essere possibile
rinvenire gli «obiettivi generali del processo formativo» (Dpr 275/99, art. 8,
c.1), più o meno corrispondenti agli obiettivi formativi (o educativi) raggiungibili
attraverso gli obiettivi specifici di apprendimento (i tradizionali obiettivi didattici)
e le unità di apprendimento (dette un tempo unità didattiche). Tutto ciò è
contenuto nelle Indicazioni nazionali per i diversi livelli scolastici, che vanno a
sostituire i tradizionali programmi, presentandosi per ogni disciplina o ambito
disciplinare (fatta eccezione per la scuola dell’infanzia che conserva le sue
inevitabili peculiarità) sotto forma di repertori paralleli di conoscenze (i tradizionali
contenuti) e abilità (equivalenti ai vecchi obiettivi).
Ciò che più conta, però, non sono questi passaggi procedurali espliciti quanto
le premesse e i risultati che sono a monte e a valle dell’azione didattica, cioè le
capacità (che differenziano ciascun alunno e conducono alla personalizzazione
dell’offerta formativa) e le competenze (che descrivono a tutti gli effetti il profilo
di studente che si è attuato). L’azione della scuola rimane un mero strumento
rispetto a fini che vanno oltre i confini scolastici: la persona presenta una
complessità irriducibile nelle sue potenzialità iniziali e nelle sue realizzazioni
finali (che peraltro non possono mai essere considerate definitive).
La centralità dell’alunno, infine, è tutta nella personalizzazione del suo Piano
di studio (più o meno corrispondente al curricolo), che lo vede protagonista
sia come destinatario dell’azione didattica, sia come attore delle scelte
che conducono alla composizione di detto Piano. Il coinvolgimento e la
responsabilizzazione dell’alunno e della famiglia nella progettazione del percorso
formativo si ritrovano anche nel momento valutativo, che dovrebbe avvalersi del
nuovo strumento del Portfolio (qualcosa di più e di diverso del vecchio libretto
dello studente). La difficoltà starà nel non trasformare questa collaborazione e
Capitolo 5 pag. 84/85
questo confronto in una banale contrattazione per fini strumentali: il dialogo tra i
due lati della cattedra può rivelarsi un fecondo fattore di rinnovamento della vita
scolastica, ma può anche risolversi in una fonte di equivoci.
9. La condizione dell’IRC
10. Prospettive
Riferimenti bibliografici
Capitolo 5 pag. 88
PARTE SECONDA
pag. 89
CAPITOLO 6
NATURA E FINALITÀ
Zelindo Trenti
Capitolo 6 pag. 91
1. La religione
Capitolo 6 pag. 92
2. La funzione educativa della religione
Capitolo 6 pag. 93
3. La religione nel progetto scolastico
Esplicitando
Esplicitando i vari
i vari ambiti
ambiti delladella ricerca
ricerca di cuidisicui si avvale
avvale la disciplina
la disciplina si puòsi può sot-
tolineare:
sottolineare:
a. La ricerca storico-fenomenologica, in quanto rileva a livello culturale e con-
a. La ricerca storico-fenomenologica, in quanto rileva a livello culturale e
valida nelle attese interiori interrogativi esistenziali ineludibili, costituisce lo sfon-
convalida nelle attese interiori interrogativi esistenziali ineludibili, costituisce
do antropologico di legittimazione obbligante per l’impegno scolastico, proprio
lo sfondo antropologico di legittimazione obbligante per l’impegno scolastico,
dove risponde alle domande reali degli allievi; siano domande diffuse nella cultura
proprio dove risponde alle domande reali degli allievi; siano domande diffuse
o radicate nell’esistenza del singolo.
nella cultura o radicate nell’esistenza del singolo.
b. Le scienze pedagogiche sono chiamate ad elaborare i processi di progressi-
b. presa
va Le scienze pedagogiche
di coscienza sono chiamate
e di matura padronanza ad delle
elaborare i processiculturali
provocazioni di progressiva
e delle
presa di coscienza e di matura padronanza delle provocazioni culturali e
esigenze personali. Risultano a perno di un itinerario che attraversa l’intero piano delle
esigenze personali.
educativo Risultano
della scuola, a pernoalla
dall’infanzia di un itinerarioe che
maturità, vieneattraversa
scanditol’intero piano
con rispetto
educativo
dell’età della capacità
e delle scuola, dall’infanzia alladell’alunno.
interpretative maturità, e viene scandito con rispetto
dell’età e delle capacità interpretative dell’alunno.
c. La ricerca religiosa si è svolta nella tradizione all’ombra della riflessione cri-
stiana. Ma la scuola
c. La ricerca è oggi
religiosa sollecitata
si è svolta nella al confronto
tradizione con la più
all’ombra universale
della attenzio-
riflessione
ne alle grandi
cristiana. tradizioni extraeuropee. Inoltre le scienze della religione vanno
esplorando il fenomeno religioso per se stesso, dai diversi punti di vista, che qua-
Capitolo 6i pag.
lificano 96 metodi di analisi. Offrono così un apporto straordinariamente
singoli
Ma la scuola è oggi sollecitata al confronto con la più universale attenzione alle
grandi tradizioni extraeuropee. Inoltre le scienze della religione vanno esplorando
il fenomeno religioso per se stesso, dai diversi punti di vista, che qualificano i
singoli metodi di analisi. Offrono così un apporto straordinariamente innovativo
alla consuetudine educativa.
Studente Religione-cattolicesimo
Obiettivo
IRC
Scuola
Nella
Nellascuola
scuoladunque,
dunque, studente,
studente, proposta religiosa-cattolica
religiosa-cattolicae eambito
ambito scolasti-
scolastico
risultano i tre cardini di riferimento. Ciascuno di questi mette in
co risultano i tre cardini riferimento. Ciascuno di questi mette in gioco scienzegioco scienze
diverse
diverse che offrano
che offrano presupposti
presupposti e condizioni
e condizioni educative
educative rilevanti.Ma
rilevanti. Maèèchiaro
chiaro che
che le varie scienze vanno commisurate e finalizzate alla elaborazione
le varie scienze vanno commisurate e finalizzate alla elaborazione della discipli- della
disciplina scolastica, alla sua identificazione e organicità, com’è stato
na scolastica, alla sua identificazione e organicità, com’è stato sopra richiamato. sopra
Capitolo 6 pag. 97
richiamato.
d. E proprio questa condizione sotto molti aspetti paradossale mette a fuoco gli
aspetti controversi della religione nella scuola.
Da una parte sembra estranea all’ordinamento di una scuola laica per tante
ragioni, soprattutto di ordine strutturale, per il linguaggio, per la formazione degli
insegnanti, per la condizione didattica...
Dall’altra sia la considerazione data ai docenti, come la percentuale
singolarmente alta di libera partecipazione degli studenti sottolineano l’interesse
e il significato della disciplina.
Meritevole soprattutto lo sforzo dei docenti di inserirsi, con strategie operative
diverse, quali la ricerca di collaborazione interdisciplinare, la disponibilità
all’elaborazione dei piani formativi, nel vivo del progetto scolastico a dare
visibilità alla propria disciplina.
Capitolo 6 pag. 100/101
È lo spazio che potrebbe risultare promettente nel corso dell’attuale riforma.
6.2. Orientamenti recenti assunti dalla CEI risultano disponibili alla Riforma
(La CEI di intesa con il M.P.I. ha promosso negli anni scolastici 1998-99 e 1999-2000 una
«Sperimentazione nazionale biennale sui programmi di religione cattolica nella prospettiva
dell’autonomia scolastica e di nuovi programmi di religione cattolica» i cui risultati sono stati
pubblicati nel Notiziario U.C.N., 16 (2002) 5.)
Indicazioni bibliografiche
LO STUDENTE DELL’IRC:
IL PROTAGONISTA E LO SCENARIO
Vittorio Pieroni
Non può passare inosservato che questi studenti appartengono tuttavia al più
vasto mondo giovanile che li ingloba e da cui attingono valori e stili di vita che li
fanno assomigliare in tutto e per tutto ai loro coetanei.
Sullo scenario che fa da sfondo alle caratteristiche che attraversano la più
generale condizione giovanile, «barcollo ma non mollo» (uno dei tanti messaggi
anonimi che i giovani lasciano scritti un po’ dappertutto su quegli spazi di cui si
appropriano abusivamente per manifestare il loro disagio interiore) sembrerebbe
raffigurare meglio di altri l’attuale stato di fragilità dei giovani, combinata al tempo
stesso con una determinata volontà a trasformarsi in risorsa vincente a fronte
delle continue incursioni predatorie (o, se vogliamo, dei «miraggi») che subisce
da parte del mondo dell’effimero e del consumismo.
Questo sentimento di fragilità che il giovane avverte sembrerebbe scaturire a
Capitolo 7 pag. 110/111
sua volta dal sentirsi scarsamente protetto da scudi valoriali a tenuta stagna e/o
garantiti nel tempo, e contestualmente minacciato da una variabilità di eventi che
quotidianamente lo investono su fronti differenziati, a cominciare dalle stesse
trasformazioni fisiche a cui è soggetto in questo particolare periodo della vita.
Durante l’adolescenza, infatti, la «carta d’identità» viene giocata soprattutto
sulla «visibilità» esteriore e/o sulla corporeità: il corpo diviene oggetto di
sperimentazione, rivestito con abbigliamenti personalizzati, colorato, tatuato,
traforato; basti pensare al ricorso a tatuaggi, piercing, trucco, acconciature,
abbigliamenti vari. La necessità di darsi prove iniziatiche di coraggio scaturisce
dal bisogno stesso di convalidare il passaggio dal corpo di bambino a quello di
giovane; una conquista spesso preceduta da un variegato numero di condotte
a rischio, nei cui confronti la conoscenza e l’informazione, filtrate attraverso
interventi di prevenzione, non sono sufficienti a scoraggiare dal metterle in atto.
Dal canto suo, il sempre più facile ricorso a differenziate forme di violenza fa
parte di quel «linguaggio» che serve a comunicare il proprio disagio interiore e/o
uno stato d’animo attraversato da mille bisogni di senso opposto, che spesso
portano il soggetto in evoluzione a vivere una sofferta confusione di sentimenti e
valori.
Per lui gli amici occupano il primo posto e il gruppo è la nuova famiglia che lui
stesso si è scelto in alternativa e/o in concomitanza con quella che gli è stata
imposta o comunque non ha potuto scegliere. Il futuro gli appare fumoso e,
piuttosto che passare il tempo a progettare, preferisce «presenziare» in quella
città virtuale che lo condiziona a pensare con gli occhi mentre viaggia per le
sconfinate autostrade informatico-massmediali, all’origine di sempre nuovi
modelli di apprendimento basati su una logica reticolare del sapere.
La musica stessa assume un significato che trascende il semplice consumo per
diventare una forma di espressione di sé e di appartenenza, in quanto divide i
giovani in tante ideologie e fedi: metallari, punk, tecno, ecc., non sono solo dei
Capitolo 7 pag. 111
generi musicali ma acquisiscono nel mondo giovanile un valore espressivo del
proprio modo di percepirsi e di adottare stili di vita personalizzati. Legato alla
musica e all’espressione corporea vi è poi il ballo, ricco di riti, significati, finalità
(sono tipici nei giovani i rituali preparatori che precedono l’andata in discoteca).
Infine un’attenzione particolare merita la «notte», interpretata come momento-
spazio di appropriazione del «possibile» e del «trasgressivo», fuori dal controllo
del mondo adulto e, di conseguenza, vissuta in contrapposizione al «giorno»,
inteso come spazio del mondo adulto.
Atutto questo la mente del minore in trasformazione, che ripercorre le normali
tappe di un processo evolutivo, deve comunque arrivare a dare prima o poi
risposte di senso, al fine di ottenere una sufficiente integrazione tra mente e
corpo, tra io-identità ed io-relazionalità, tra auto- ed etero-gestione della propria
personalità, pur attraversando esperienze difficili/sofferte. Tuttavia la non perfetta
assimilabilità del minore di oggi alle precedenti generazioni invita a tener conto
che si è di fronte ad un modo sempre nuovo di diventare adulti, e di conseguenza
anche i riti d’ingresso nell’assunzione dei ruoli sociali/attivi avvengono
conseguentemente, cambiano.
L’ultima indagine dello IARD (C. Buzzi - A. Cavalli - A. De Lillo, 2002), effettuata
su 3.000 giovani tra 15 e 34 anni, ha evidenziato la presenza di un nucleo forte
di valori che rappresentano il punto centrale per la costruzione del loro sistema
di vita: famiglia, amore, amicizia, autorealizzazione e lavoro. Successivamente,
raggiunta la sicurezza su questo nucleo centrale, ci si può dedicare a quel
mondo che dà «visibilità» (lo sport, il successo e la carriera, la vita agiata, il
divertimento) oppure al mondo dell’impegno che arricchisce la vita interiore
(religione, impegno sociale, studio e cultura).
Il rapporto arriva così a suddividere la mappa dei valori giovanili in 4 categorie:
1. valori connessi alla vita individuale, coincidenti con la famiglia, il lavoro,
l’amicizia, l’amore, la carriera, l’autorealizzazione, la vita confortevole e agiata;
Capitolo 7 pag. 112
2. valori di tipo evasivo, collegati alle attività sportive, allo svago nel tempo libero,
al divertirsi e godersi la vita;
3. valori della vita collettiva, associati alla solidarietà, all’eguaglianza sociale, alla
libertà e democrazia, alla patria;
4. valori legati all’impegno personale, identificati dall’impegno religioso,
dall’attività politica, dall’impegno nel sociale, dallo studio e dagli interessi culturali.
Inoltre l’indagine, nel tentativo di focalizzare l’attenzione in particolare sul
quadro concettuale della religiosità giovanile, ha portato ad evidenziare che la
stragrande maggioranza dei giovani dichiara di credere e di riconoscersi in una
religione monoteista. Al tempo stesso tuttavia la maggior parte di questi giovani
tende ad affiancare a tale credenza una o più credenze parallele, estranee alla
tradizione cattolica. Tutto ciò lascia intendere il progressivo affermarsi tra le
giovani generazioni di una tendenza a costruirsi un’identità religiosa personale,
caratterizzata dalla presenza di credenze eterogenee e formalmente incompatibili
con il cattolicesimo, sintomo di un processo di affermazione di un pluralismo
religioso fondato su scelte personalizzate.
Un’altra recente indagine condotta su 6.000 studenti delle ultime classi delle
scuole superiori (R. Cartocci, 2002) ha portato a costatare che in generale gli
studenti cattolici praticanti manifestano una maggiore apertura verso gli altri, più
fiducia nelle istituzioni, risultano anche quelli più severi verso le trasgressioni
e più critici verso l’arte di arrangiarsi. Su queste dimensioni la pratica religiosa
marca le differenze più profonde: sono gli studenti praticanti a identificarsi con
le istituzioni e a contribuire in misura più ampia al capitale valoriale della nostra
società.
Sulle ragioni di questa maggiore identificazione degli studenti cattolici con
le istituzioni si può ritenere quindi che la scelta dell’IRC introduca elementi
di arricchimento dei punti di vista sul mondo, in buona misura dissonanti sia
rispetto ai messaggi dei media, sia anche rispetto alle materie scolastiche.
Capitolo 7 pag. 112/113
Di conseguenza si può ritenere che chi vive con impegno la disciplina, tanto
più se ben inserito nella rete del mondo cattolico, si avvale di una forma di
«mobilitazione cognitiva » capace di rompere certi modelli culturali trasmessi dal
conformismo dei media e dall’astrattezza dei programmi scolastici.
Se diamo per buono quanto hanno dichiarato nelle indagini sull’IRC i genitori
delle elementari e medie e gli studenti delle superiori, secondo i quali nessuno
ha interferito nella scelta di avvalersi della disciplina, se ne deduce che la scelta
dell’IRC viene fondata su motivazioni valide, come la convinzione del valore
e dell’importanza della propria fede religiosa, la ricerca di una soluzione ai
problemi della vita, l’urgenza in una società pluralistica di essere adeguatamente
preparati a sostenere il confronto con chi la pensa diversamente. Si tratta di
ragioni prevalentemente culturali, che riprendono quell’atteggiamento comune
alla popolazione italiana secondo cui il Cristianesimo viene considerato parte
integrante del patrimonio storico-culturale.
In altri termini, coloro che si avvalgono dell’IRC lo fanno quindi essenzialmente
perché credenti, per trovare risposte ai problemi della vita, perché ritengono
importante confrontarsi con chi la pensa diversamente, per la conservazione del
Cristianesimo come patrimonio e/o parte integrante della cultura di appartenenza;
mentre non sembrano avere un peso decisivo nella scelta motivazioni di tipo
affettivo legate all’influenza di genitori e amici o alla figura dell’IdR.
D’altro canto, la non scelta dell’IRC e/o il progressivo abbandono negli anni della
disciplina si verifica invece prevalentemente tra le fila dei maschi e nell’indirizzo
tecnico-professionale al momento del passaggio dal biennio al triennio, e le
Capitolo 7 pag. 113
motivazioni collegate alla non scelta riguardano la non credenza religiosa, le
esperienze negative previe, il considerare l’IRC un’ideologia, il voler usufruire di
un’ora libera; mentre non sembrano esercitare un’influenza negativa né la figura
dell’IdR né la preferenza per l’ora alternativa.
Un IRC interpretato come fattore «totalizzante» tuttavia non è esente dal
provocare all’interno della scuola schieramenti radicalmente opposti: le indagini
portano a rilevare che l’IRC è «tutto» per chi ci crede e «nulla» (o meglio una
cultura «privata» e «di parte») per chi ha deciso di non avvalersene. Vengono
così adottati atteggiamenti specularmente rovesciati, a seconda della posizione
di appartenenza.
Ma come reagiscono gli studenti durante l’ora di religione? Qual è il loro grado
di apprezzamento nei confronti della disciplina e/o delle proposte formative
rivolte loro dagli insegnanti durante i lavori in aula? In linea generale i giudizi
positivi da parte di chi si avvale dell’IRC emergono nettamente e dappertutto su
quelli negativi; al tempo stesso il «praticare» gli insegnamenti ricevuti appare
un fenomeno meno segnalato rispetto al fatto di «creare collegamenti» tra la
disciplina ed altri insegnamenti: si rileva infatti un chiaro aumento, con gli anni,
delle interazioni tra studenti e docenti sulle tematiche di maggiore attualità, e ciò
porta indubbiamente ad innalzare l’indice di gradimento, ma al tempo stesso non
può essere esente da equivoci di «patteggiamento».
La sagra degli equivoci si spiega attraverso il sottile gioco delle reciproche
interdipendenze tra studenti e insegnanti. L’IRC ottiene una partecipazione
gratificante degli studenti per i gradi informali dell’attività educativa: porre
domande, promuovere discussioni, agitare il confronto su temi socialmente ed
esistenzialmente rilevanti, trascurati dalle altre discipline, ma piuttosto fragili
dal punto di vista disciplinare e soprattutto trattati in forma non sistematica e
discontinua.
Al tempo stesso gli studenti manifestano un diffuso interesse per
Capitolo 7 pag. 113/114
l’approfondimento delle tematiche religiose, ma si tratta di un’attesa diversificata,
tra formale e informale, individuale e comunitaria, culturale e globale, che tuttavia
esige risposte puntuali e complementari, a scuola e fuori, ma coordinate fra loro.
Che fare? Rischiare l’emarginazione dalla cultura scolastica oppure mantenere
l’attuale posizione di sapere elettivo ma informale? Nell’insieme si può affermare
che l’ora di religione è «animata» dalla dinamica degli interessi, per lo più
concentrati su tematiche/problematiche esistenziali e/o su questioni rilevanti sul
piano dei sentimenti e dell’attenzione alle dinamiche relazionali (con particolare
attenzione a quelle amicali e intrafamiliari); tuttavia, quando si passa ad
affrontare il nucleo contenutistico e formale della disciplina si registra una caduta
della partecipazione e/o del rendimento. Ma questo sembrerebbe appartenere
ad un generalizzato «sfondo di insoddisfazione» nei riguardi dell’insegnamento
disciplinare di cui è fatto carico l’intero sistema scolastico nazionale.
Questa situazione di fatto ha scatenato inevitabilmente una problematica di
fondo: è la scuola che deve cambiare cultura e metodologia d’insegnamento
per far fronte a istanze fondamentali nella formazione delle nuove generazioni,
oppure spetta all’IRC indossare una veste più scolastica, adeguandosi alla
cultura formale della scuola? In quest’ultimo caso, il prezzo che l’IRC deve
pagare per una maggiore integrazione nella scuola non va a scapito delle sue
valenze educative? In attesa di poter dare risposte più esaustive in materia, al
momento non rimane altro che costatare che l’interesse per l’IRC è superiore a
quello mostrato per altre discipline.
Stando poi alle dichiarazioni di coloro (genitori e studenti) che hanno confermato
di avvalersi della disciplina anche per gli anni successivi, attualmente la
posizione dell’IRC nella scuola si può considerare stazionaria, non si prevedono
improvvisi cedimenti, e l’interesse di cui è circondata la disciplina rappresenta un
ulteriore sostegno a tale ipotesi.
Al tempo stesso il punto di maggiore fragilità/criticità è sotteso proprio ai fattori
Capitolo 7 pag. 114/115
che determinano un tale interesse. La domanda di formazione religiosa è plurima,
formale e informale insieme, scolastica ed extrascolastica, personalizzata e
comunitaria. A queste condizioni anche l’IRC scolastico ne potrebbe risultare
confermato. Ma anche in questa situazione si celano delle insidie: l’equivoco
della confusione sulla natura scolastica dell’IRC sembra toccare un po’ tutti,
insegnanti, genitori e studenti; se questa indeterminatezza si confronta con una
domanda essa stessa disorientata, l’affermazione scolastica dell’IRC non ne
potrà risultare che svantaggiata e, alla lunga, compromessa.
Contestualmente, l’attenzione riservata alla realtà vissuta degli adolescenti
dell’IRC non può essere separata dal più vasto contesto scolastico di
appartenenza.
È un mondo che presenta attualmente un elevato tasso di problematicità, dovuta
anche alla situazione di transizione che non riesce ad approdare ad una chiara
identificazione della riforma in atto. Così, all’interno di una realtà incerta, gli
studenti vivono spesso situazioni variamente disorientanti e talora conflittuali.
Lo spazio della scuola, in non poche situazioni, diventa una trincea in cui si
esprime rabbia e impotenza da parte degli insegnanti e disinteresse ed estraneità
da parte dei genitori. Per quanto riguarda poi gli studenti, già ai livelli di scuola
elementare e media non sono infrequenti episodi di bullismo; ai livelli superiori
il clima è appesantito dall’indifferenza e/o da una quotidiana e diffusa violenza,
spesso mascherata sotto le forme più varie (fisiche, relazionali, disciplinari,
valutative...).
Inoltre non va sottovalutato il peso della dispersione scolastica. Sovente
proprio i giovani che avrebbero un maggior bisogno dell’attività formativa della
scuola, vuoi per gli svantaggi sociali e familiari di cui sono portatori, vuoi per
motivi personali, sono quelli che spesso sono precocemente espulsi da essa o
marginalizzati in essa. Molti itinerari di disagio o di devianza giovanile hanno alle
spalle un’esperienza scolastica negativa. La dispersione scolastica è, infatti, un
Capitolo 7 pag. 115
fenomeno sociale fortemente correlato con i percorsi del disagio e della devianza
giovanile.
Una ricerca del Labos già a suo tempo aveva evidenziato l’esistenza di un
nesso, anche se in modo non deterministico, tra la dispersione scolastica e le
varie forme di disagio o di devianza in cui sfociano alcuni percorsi esistenziali
giovanili.
«La sottolineatura del modo non deterministico vuole indicare che mentre
in moltissime situazioni di disagio o di devianza giovanile sono riscontrabili
esperienze di insuccesso scolastico, non tutti coloro che sono vittime della
dispersione scolastica entrano in situazioni di disagio o di devianza. Nonostante
questa doverosa precisazione, rimane il fatto che la ricerca ha evidenziato
che la dispersione scolastica è uno dei maggiori fattori di rischio presenti nella
condizione giovanile in Italia, specialmente quando è concomitante con altri
fattori di rischio come quelli costituiti dalle scadenti situazioni familiari, dal gruppo
dei pari deviante, dal degrado urbano e così via» (Labos, 1994, 29-30).
Per questi motivi, e forse ancor più per l’incapacità di rinnovarsi a livello
contenutistico, didattico e tecnologico, la scuola non è vista più come il luogo
centrale per l’elaborazione e la formazione culturale dei giovani. Tutto questo
contribuisce a sminuirne il valore e l’interesse. È una realtà, questa della scuola,
che investe, anche se con diversa intensità, un po’ tutti gli stadi studenteschi.
Quando, tuttavia, l’istituzione scolastica riesce a superare la sua identità
autoritaria e costrittiva e attiva in modo significativo nuove «dimensioni
educative», il clima diventa diverso e proliferano le iniziative che trovano
l’interesse dei giovani.
Tornando al rapporto tra scuola e IRC, i nodi problematici legati alla disciplina
comunque rimangono, e sono individuabili paradossalmente in quegli stessi
elementi che la rendono desiderabile e/o interessante alla quasi totalità dei
giovani: in altre parole, la possibilità di dialogare e di scambiare opinioni con
Capitolo 7 pag. 115/116
l’insegnante e con i compagni su contenuti esistenziali e di vita quotidiana fa
dell’ora di religione un tempo e uno spazio di gradimento, ma al tempo stesso
anche di contrattazione e di abuso nel patteggiamento.
Resta comunque un dato di fatto che la peculiarità dell’IRC, rispetto alle
altre discipline scolastiche, consiste nel poter essere scelto; a sua volta tale
scelta diventa «una scelta di campo», ossia equivale ad una dichiarazione
di appartenenza: chi se ne avvale ha motivazioni «forti» a favore della sua
decisione, come pure ne ha altrettante chi non intende avvalersene; quindi si è
posti di fronte ad una posizione totalizzante: tutto pro o tutto contro, a seconda
dell’angolo visuale da cui si guarda e/o dell’appartenenza attraverso cui ci si
identifica.
In definitiva sembra essere questo il nodo della questione: i giovani dichiarano
di essere soddisfatti e di trovarsi bene con questo tipo di insegnamento, perché
risponde sostanzialmente alle loro esigenze esistenziali e al tempo stesso
permette di acquisire maggiore consapevolezza dei valori e dei principi del
Cristianesimo, oltre che un approfondimento della fede; al tempo stesso le
accuse più frequentemente rivolte agli insegnanti ed alla scuola sono di non
considerare le esigenze ed il punto di vista degli studenti.
Da cui appunto il ricorso al patteggiamento ed alla contrattazione. Asua volta tale
ricorso costituisce un analizzatore formidabile delle istanze pedagogiche poste
alla scuola dal mondo dei giovani. Si tratta di una più o meno esplicita richiesta
di relazionalità che si esprime nella volontà e sempre più acquisita capacità di
dialogo da parte degli studenti, che aumenta con l’elevarsi del livello degli studi e
che si sostanzia nella capacità di saper proporre obiettivi, mete e ideali adeguati,
funzionali allo sviluppo della maturità personale.
Non è escluso perciò che questa attenzione alla relazionalità così fortemente/
frequentemente richiesta dagli studenti se saputa gestire in modo equilibrato
possa costituire un fattore di merito e quindi diventare una metodologia da
Capitolo 7 pag. 116
incoraggiare/ applicare anche nelle altre discipline scolastiche. Tutto questo
contribuirebbe a cambiare poco alla volta l’immagine di una scuola ancora oggi
considerata prevalentemente dai giovani come ambito di acquisizione di una
cultura piuttosto generica ai fini dell’inserimento nella vita attiva e dove i rapporti
con gli adulti restano comunque problematici.
Per quanto riguarda infine gli aspetti educativo-religiosi, il docente di religione
nella relazione con gli studenti che si avvalgono dell’IRC più che collocarsi nella
posizione asimmetrica tipica dell’insegnamento disciplinare si deve mettere a
fianco degli studenti, impegnato in attività che più che di insegnamento è fatta
di ricerca e di sperimentazione, di ipotesi, per aiutare i giovani a trovare risposte
praticabili.
In questo particolare momento storico di passaggio ad un nuovo status dell’IdR,
come previsto dalla riforma e, di conseguenza si suppone anche della disciplina,
i nodi da sciogliere restano ancora molti, anzi probabilmente aumenteranno,
per cui per la loro soluzione si richiederà forse di avviare iniziative in grado di
sperimentare e/o «aprire» percorsi formativo-disciplinari innovativi.
Momentaneamente tuttavia la posizione ancora da assumere potrebbe essere
sintetizzata in questo appello rivolto agli studenti: «Tu sei studente. Ovviamente
mi dirai che con Dio non ci sono esami! Ma sappi che la tua religione la devi
sviscerare.
[...] Che sguardo hai verso le altre religioni? È bello studiare la religione dell’altro,
ma non fermarti ai luoghi comuni. Devi cercare di conoscere gli assi portanti
delle altre religioni: è interessante. [...] Non fare un cocktail di tutto. Ci sono molti
giovani che parlano contemporaneamente di reincarnazione e di resurrezione.
I Buddisti credono nella reincarnazione, i cristiani nella resurrezione.
Reincarnazione significa passare attraverso più stadi di vita prima di diventare
un essere perfetto. Noi cristiani non abbiamo che una sola vita e saremo
giudicati in base ad essa. Oggi c’è la tendenza a prendere qualcosa dal
Capitolo 7 pag. 116/117
Buddismo, dall’Islam, dalla Torah, dal Vangelo. Tu hai bisogno di un’unica fede.
Approfondiscila e va’ fino in fondo a quello in cui credi. Studia le altre religioni,
d’accordo! Ma sgobba sulla tua fede fino in fondo. [...] Nella tua religione non
selezionare. Molti ragazzi lo fanno: “la confessione mi scoccia, ne faccio a meno”.
Bisogna che tu accetti la tua religione così com’è, studiandola bene, capendo la
fondatezza delle sue richieste. Sii vigilante. Non essere una pecora che accetta
tutto passivamente, scuoti la tua Chiesa, interpellala. Non giudicarla, ma aiutala
a progredire» (G. Gilbert, 2002, 246-247).
Riferimenti bibliografici
IL DOCENTE
Lucillo Maurizio
La figura dell’insegnante è oggi più che mai centrale nella vita della scuola,
almeno a livello di percezione da parte dell’opinione pubblica.
Ciò dipende anche dalla sovrabbondante burocratizzazione e dal
ridimensionamento al rialzo delle istituzioni scolastiche.
Il dirigente e i suoi immediati collaboratori si dedicano sempre più in esclusiva
alla funzione amministrativa, al reperimento delle risorse, alle relazioni esterne.
L’insegnante è l’unico referente, per gli studenti e per i genitori, in condizione di
realizzare un rapporto interpersonale.
Tuttavia, il processo di riforma del sistema educativo di istruzione e di
formazione ha più correttamente individuato un altro centro nella scuola. Essa ha,
infatti, la finalità «di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana»,
ossia del bambino, del fanciullo, del preadolescente, dell’adolescente.
La centralità della figura dello studente comporta che tutta l’azione educativa
e didattica sia finalizzata a lui, sia organizzata e gestita sulle sue dimensioni,
debba essere misurata e valutata in base ai risultati che lo studente consegue.
Quale ruolo può essere allora riconosciuto al docente? Egli è certamente
l’operatore centrale della scuola, anche se la sua presenza è da considerarsi in
funzione dell’istruzione e della formazione dello studente.
Capitolo 8 pag. 118
Si parte dal presupposto che lo studente abbia «attitudini e vocazioni» che lo
orientano e lo dirigono nella costruzione del suo progetto di vita.
Al docente è affidato il compito di affiancarsi al giovane per aiutarlo a scoprire e
a identificare le proprie attitudini e vocazioni, in modo che egli possa definire che
cosa vuole fare della propria vita, anzi che cosa egli voglia essere.
L’insegnante si configura, allora, come un adulto, professionalmente preparato,
che si pone accanto e facilita il processo di autocomprensione e autoformazione
del giovane studente.
Possiamo prefigurare una funzione di tutoring.
Riferendo questo termine alla funzione del docente, si vuole intenderlo in una
prospettiva di professionalità e di disponibilità personale, entro un rapporto
fiduciale empatico, ma nel quale i ruoli rispettivi di giovane in età evolutiva e di
adulto educatore restano precisamente identificati e distinti.
Affermare che il docente è un educatore non vuol significare che egli debba
stemperare la propria attività didattica disciplinare in un generico discorso
educativo, in cui affrontare problematiche adolescenziali o di attualità
cronachistica.
Si vuole invece affermare che egli è chiamato ad assumere nel suo
insegnamento disciplinare la prospettiva di offrire un contributo alla costruzione
del progetto personale che lo studente un po’ alla volta costruisce e tende a
realizzare.
Questa prestazione educativa è professionale, nel senso che fa parte della
preparazione specifica del docente, da ricercare e da acquisire allo stesso titolo
della competenza disciplinare.
In altre parole l’apprendimento della disciplina non è fine a se stesso o bagaglio
di erudizione da esibire, ma parte costitutiva della cultura personale e della futura
professionalità.
Tutto ciò richiede, da parte del docente, disponibilità personale, ossia un
Capitolo 7 pag. 118/119
atteggiamento della persona dell’educatore, che non può commisurare i tempi
e la quantità dell’intervento in maniera oggettiva, ma che deve tenere presenti i
ritmi di apprendimento e di maturazione di ciascuno dei propri studenti.
È, indubbiamente, una prestazione professionale atipica e personalmente
esigente.
Si tratta di stabilire un rapporto fiduciale empatico.
Sia il giovane che la sua famiglia entrano in rapporto con quella precisa persona
che avrà una influenza estremamente rilevante nel formarne la personalità.
Viene, dunque, richiesto un rapporto di fiducia.
Certo, innanzitutto, la competenza disciplinare, ma anche la consapevolezza
da parte del docente delle implicanze educative dell’incontro interpersonale,
nell’accoglienza, nello stimolo alla motivazione, nel linguaggio, nella scelta dei
contenuti, nello stile valutativo.
Gli studi, anche recenti, sul clima in classe confermano la significativa incidenza
del rapporto interpersonale tra studenti e docenti.
Da ultimo, sembra si debba ribadire che un rapporto disteso e collaborativo
non deve comportare commistione di ruoli o falso cameratismo: il docente resta
docente e lo studente resta studente.
Si deve, tuttavia, riconoscere che queste considerazioni sul docente come
presenza educativa nella scuola non sempre sono condivise da tutti i docenti e
rappresentano piuttosto una tensione ideale che una realtà diffusa.
Nel proporre queste considerazioni non si può non seguire quanto è stabilito
nella parte normativa del contratto collettivo nazionale di lavoro vigente, al quale
sono riferite le citazioni seguenti.
Capitolo 8 pag. 119
1. «La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento
volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli
alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici
definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione» (art. 24, c. 1).
Coerentemente con le acquisizioni pedagogiche più attuali e col disegno di
riforma, l’attività del docente si configura come insegnamento/apprendimento.
Deve dunque essere messa in atto un’azione didattica nella quale il docente
insegna avendo come finalità di produrre apprendimento. In altre parole, deve
insegnare in maniera tale che lo studente apprenda.
Lo studente va quindi posto nella condizione di rendersi attivo, facendo proprio il
sapere, il saper fare, il saper essere.
La funzione didattica non consiste solo nel programmare l’insegnamento, ma nel
motivare e aiutare gli studenti a programmare il loro percorso di apprendimento.
L’insegnante tutor, a seconda delle diverse fasi di età e dei diversi ordini di
scuola, si affianca allo studente nella costruzione del proprio processo di
apprendimento, studiandone la personalizzazione in base alle sue caratteristiche
ed attese personali.
Questo comporta per tutti i docenti il sapere di livello universitario relativo alla
propria disciplina di insegnamento.
Per quanto riguarda l’IRC gli accordi istitutivi (Concordato, Intesa) fanno
riferimento alla dottrina della Chiesa.
Pertanto si tratta di sapere teologico, articolato in conoscenze bibliche,
conoscenze storiche, conoscenze sistematiche.
Tenendo conto che i saperi scientifici devono essere in funzione della prassi
didattica, si dovranno studiare tenendo conto delle condizioni scolastiche. Dal
punto di vista contenutistico saranno evidenziati: il problema della ricerca di
senso e del significato della vita umana; la natura e la funzione della religione; la
ricerca di Dio nella storia, in particolare ebraica e cristiana; la persona di Gesù e
il suo messaggio; la comunità cristiana nella storia; i problemi morali personali e
sociali.
4. Attività di insegnamento
Con la Legge 18 luglio 2003, n. 186, «Norme sullo stato giuridico degli
insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado»
è stata data una nuova configurazione giuridica alla posizione dell’insegnante di
religione cattolica e data attuazione a quanto previsto dall’Accordo di revisione
del Concordato del 1984 e dall’Intesa tra Ministero della P.I. e CEI del 1985.
Le considerazioni che seguono non riguardano le province autonome di Trento
Capitolo 7 pag. 124/125
e di Bolzano della Regione Trentino-Alto Adige.
2. Gli IdR inseriti nei ruoli identificati, godranno della completa parità di
trattamento con gli altri docenti (art. 1, c. 2).
6. La risoluzione del rapporto di lavoro, oltre che per i motivi previsti dalle
disposizioni vigenti, avviene con la revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario
diocesano competente per territorio divenuta esecutiva a norma dell’ordinamento
canonico. In questo ultimo caso è previsto un meccanismo di salvaguardia del
posto di lavoro attraverso la mobilità.
Riferimenti bibliografici
LA COMUNICAZIONE EDUCATIVA
Anna Rita Colasanti
Introduzione
2.3. Competenze
Ascolto attivo
Nel proprio relazionarsi agli altri, le persone sono spinte e sostenute da unità
motivazionali (bisogni, interessi, ecc.) e costantemente sperimentano vissuti
che influenzano, più o meno consapevolmente, il loro agire e il loro modo di
rapportarsi alle diverse situazioni.
Per il buon esito dell’interazione è importante che le persone prendano contatto
con tali vissuti e se ne responsabilizzino.
Nell’interazione scolastica non è infrequente che gli allievi vivano esperienze che
possono avere un carattere interferente per la situazione in atto.
Talvolta, pur vivendole, non le discriminano con chiarezza, altre volte, pur
Capitolo 9 pag. 134/135
discriminandole, non sono in grado di verbalizzarle. Per questo assume
particolare rilievo la capacità dell’insegnante di aiutare gli allievi a coscientizzare
e ad esternare i loro vissuti, per poi fornire il necessario supporto.
Una tecnica che può risultare di notevole utilità è quella dell’ascolto attivo che
consiste essenzialmente in una risposta replicativa in cui l’insegnante palesa di
aver colto i contenuti e/o le emozioni presenti nel messaggio dell’allievo. Grazie
ad essa, quest’ultimo può sentirsi facilitato a comprendersi cognitivamente ed
emotivamente e ad affrontare con più consapevolezza le diverse situazioni.
Quando l’insegnante è sensibile alle esperienze e ai bisogni degli allievi e li aiuta
a comprenderli più differenziatamente, metacomunica accettazione e rispetto e la
stessa comunicazione scolastica acquista una maggiore significatività.
Enunciati constatativi
Un’altra importante competenza che si richiede all’insegnante è quella di
comunicare circa la realtà relazionale facendo ricorso ad enunciati descrittivi,
non valutativi o interpretativi. Ciò significa limitarsi ad una verbalizzazione
fenomenologica dei fatti osservabili rinunciando ad esprimere giudizi, valutazioni,
impressioni soggettive.
La comunicazione non valutativa della realtà relazionale offre agli allievi la
possibilità di conoscere i fenomeni così come si presentano, permettendo loro di
arrivare a formulare un proprio giudizio.
Essa, inoltre, incrementa la fiducia degli allievi nei confronti dell’insegnante,
in quanto rende evidenti lo sforzo e l’interesse che questi pone nel fornire
informazioni obiettive e nello scindere i dati di fatto dalle proprie interpretazioni.
Affinché l’insegnante sia in grado di realizzare una comunicazione descrittiva
si richiede che questi si impegni unicamente ad osservare come la realtà
si manifesta, senza interrogarsi sulle cause, sul suo sviluppo o sulle sue
conseguenze.
Capitolo 9 pag. 135
Come afferma McLeod (1951, 226), «la questione fenomenologica si ferma
molto semplicemente al “che cosa è qui?”, senza domandarsi “perché?”, “da
dove?” o “a che cosa?”».
Ciò vuol dire che l’insegnante dovrebbe constatare e confrontare l’allievo
soltanto con ciò che è riscontrabile, così come è, anche se è inconsueto,
inaspettato, illogico, evitando categorizzazioni, letture personali, spiegazioni
interpretative.
Atale riguardo possono essere utili alcuni suggerimenti:
– l’osservazione e la comunicazione dei fenomeni relazionali sono facilitate dalla
presenza di atteggiamenti che riflettono un approccio idiografico alla realtà.
Così, quanto più l’insegnante si avvicina agli allievi cercando di coglierne la
singolarità e l’individualità e quanto più considera ogni gruppo diverso dagli altri,
tanto più si rende consapevole dell’interazione in atto e capace di stabilire un
vero contatto con la sua classe;
– la realtà relazionale diventa plasticamente presente quando gli eventi che
la caratterizzano non sono estrapolati, presi isolatamente, ma inseriti nel loro
contesto.
Così, nel descrivere il comportamento di un allievo l’insegnante non può
limitarsi ai fatti che concernono la sua persona, dovrebbe piuttosto estendere le
informazioni e, pertanto, aver diretto la sua attenzione anche ai fenomeni della
dinamica socio-interattiva della classe;
– la considerazione fenomenologica della realtà relazionale è più ricca quando si
cerca di guardare quest’ultima secondo i diversi punti di vista. In tal senso, è utile
che l’insegnante colga anche la possibile prospettiva dei suoi allievi, per rendersi
conto che i contrasti che sorgono rispetto ad alcune situazioni, altro non sono
che due modi diversi, altrettanto validi, di guardare lo stesso fenomeno.
Enunciati assertivi
Capitolo 9 pag. 135/136
L’interazione nella classe si sviluppa più favorevolmente quando insegnante ed
allievi sono consapevoli degli avvenimenti relazionali reciproci e sono in grado
di introdursi nella comunicazione facendo presenti le loro esperienze al riguardo,
in modo tale da soddisfare i bisogni socio-affettivi propri ed altrui e costruire, al
contempo, rapporti di collaborazione.
Gli enunciati assertivi sono espressioni comunicative dirette tramite le
quali l’insegnante si rivela come portatore di esperienze di cui si assume la
responsabilità.
Tali esperienze fanno per lo più riferimento all’interagire reciproco e alle
aspettative relazionali.
Gli enunciati assertivi possono distinguersi in base all’indice referenziale. Si
hanno, così, enunciati di tipo prospettivo-ipotetico, espressivo, appellativo.
Gli enunciati prospettivo-ipotetici consistono nella comunicazione di pensieri,
idee, convinzioni che scaturiscono dalla riflessione sull’interazione reciproca.
Gli enunciati espressivi riguardano la manifestazione dei propri stati emozionali
sperimentati nel corso dell’interazione.
Gli enunciati appellativi concernono l’espressione delle aspettative personali e
sociali, ossia degli interessi propri ed altrui.
Così, tramite gli enunciati prospettivo-ipotetici l’insegnante comunica la
sua visione soggettiva dell’interagire reciproco, offrendo un contributo sulla
dimensione contenutistica; attraverso gli enunciati espressivi e appellativi cura,
invece, la dimensione emozionale, in quanto manifesta il proprio vissuto e gli
interessi personali e dei suoi allievi.
Elemento comune agli enunciati assertivi è che l’emittente parla di sé e delle
sue esperienze circa la realtà sociale, senza avere la pretesa di parlare in nome
di altri o di giudicare l’interagire reciproco secondo criteri oggettivi di valutazione.
Il ricorso ad essi permette, quindi, all’insegnante di introdursi personalmente
nell’interazione scolastica e di attuare interventi volti a curare la significatività dei
Capitolo 9 pag. 136/137
rapporti vicendevoli.
3. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
La legge delega (’03, 53, art. 1.&1) è chiara: «Al fine di favorire la crescita e la
valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle
differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia...
», sottolineando di conseguenza la volontà di rispettare la singolarità delle doti e
dei ritmi degli studenti.
Capitolo 10 pag. 150/151
Già il Rapporto Bertagna (Premessa) (Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro
costituito con D.M. 18 luglio 2001, n. 672. Parte I. L’ipotesi elaborata dal Gruppo Ristretto di Lavoro
(a cura di Giuseppe Bertagna).) aveva richiamato l’importanza di creare condizioni
opportune.
Nella quinta delle otto leve da utilizzare per innalzare la qualità complessiva di
tutto il sistema educativo afferma: «mentre non trascurano l’importanza dello
sviluppo generale della persona, nelle sue dimensioni creative e relazionali, di
problem solving e, soprattutto, di problem raising (far emergere un problema da
risolvere dove gli altri vedono solo un compito da svolgere), sottolineano come
si debba porre a piena ragione questo titolo nell’alveo dei diritti di base della
cittadinanza ».
Nella divulgazione ampia che gli estensori del documento hanno dato alla
loro proposta c’è anche una specifica connotazione che il processo educativo
dovrebbe assumere.
G. Sandrone ad esempio, intervenendo ad una giornata di studio alla Pontificia
Università Salesiana, il 16 novembre 2002 rileva con chiarezza esemplare il
carattere ologrammatico dell’insegnamento/apprendimento.
«Le Indicazioni Nazionali rammentano anche che, per quanto formulati in
maniera piattamente elencatoria, quindi atomizzata, gli Obiettivi specifici
di apprendimento, prima, e a maggior ragione gli Obiettivi formativi, poi,
obbediscono, ciascuno, al principio dell’ologramma. In questa direzione,
ricordano che sarebbe sbagliato attribuire agli uni e agli altri il carattere di risultati
da realizzare deterministicamente con appositi interventi tecnici.
Essi devono piuttosto apparire eventi che si formano (nel senso che assumono
forma) e si conformano (nel senso che assumono la loro forma insieme, ovvero
in una relazione educativa interpersonale) durante il processo di maturazione
dell’allievo, che la scuola è tenuta a sollecitare, sostenere, promuovere.
L’insegnamento, in questa prospettiva, è dichiarato educativo, perciò, quando
Capitolo 10 pag. 151/152
è più l’attesa e la sollecitazione di un’autonoma maturazione dell’allievo che un
intervento tecnico del docente che pretenda di crearla; più un avvento (qualcosa
che avviene per forza propria e sviluppo contestuale) che un prodotto da
costruire e raggiungere che, proprio per questo, può suscitare ansia.
Insomma, quando è un processo frutto della libertà delle persone, piuttosto
che un procedimento artificiale che imprigiona le persona nel determinismo di
qualsivoglia necessità, fosse anche quella di essere così padroni delle tecniche
retoriche e motivazionali da condizionare un allievo ad apprendere ciò che
vogliamo noi, al posto di ciò che, pur voluto da noi, è però, anche scelto da lui:
scelto insieme ».
Vale la pena concludere con una citazione delle Indicazioni nazionali che
sintetizzano bene l’obiettivo educativo della Riforma, e richiamano in maniera
puntuale: «Il “cuore” del processo educativo si ritrova, quindi, nel compito
delle istituzioni scolastiche e dei docenti di progettare Unità di Apprendimento,
caratterizzate da obiettivi formativi adatti e significativi per i singoli allievi che
si affidano al loro servizio educativo, compresi quelli in situazione di handicap,
e volte a garantire la trasformazione delle capacità di ciascuno in reali e
documentate competenze ». (Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella
Scuola Secondaria di 1° grado.)
FORMULAZIONE ELABORAZIONE
degli interrogativi della risposta
RICERCA ELEMENTI
sulle fonti della tradizione significativi
d. Nell’educazione
d. Nell’educazione religiosa
religiosa
Anche nella rivelazione, nella considerazione del rapporto con una presenza
Anche nella rivelazione,
trascendente nella considerazione
la logica del processo educativo non del rapporto con una presenza
cambia.
trascendente la logica del processo educativo non cambia.
Innanzitutto va risvegliata la domanda su Dio: sul presupposto che tale domanda
Innanzitutto va risvegliata
sia almeno implicita la domanda
nell’esperienza su Dio: sul presupposto che tale do-
dell’uomo.
L’incontro con le scienze antropologiche esplora
manda sia almeno implicita nell’esperienza dell’uomo. anche le condizioni in cui la
domanda sulla
L’incontro contrascendenza si affaccia all’orizzonte
le scienze antropologiche esplora dell’esistenza.
anche le condizioni in cui la
Si delinea un itinerario educativo da mettere in atto perché
domanda sulla trascendenza si affaccia all’orizzonte dell’esistenza. nella consuetudine,
Si delinea
Capitolo un itinerario
10 pag. 154 educativo da mettere in atto perché nella consuetudi-
magari dispersa ed evasiva del vivere quotidiano, l’interpretazione religiosa non
sia soffocata od evasa; né venga stemperata in prospettive pseudoreligiose,
quali l’attribuire valore definitivo a dati contingenti – l’ideologia, il sesso, il
denaro... –.
È inoltre indispensabile lasciar emergere o far presagire il significato del ricorso
religioso per dar compimento ad interessi ed aspirazioni sentiti come qualificanti
e decisivi per la propria esistenza.
Aquesto punto s’impone il riferimento alla tradizione religiosa, quale risposta
che la riflessione passata mette a disposizione. Per sé tutta la tradizione
religiosa merita considerazione. Privilegiare quella cattolica è inizialmente un
fatto storicoculturale: lo studente vive in un contesto connotato dal cattolicesimo.
Successivamente può emergere e imporsi all’attenzione e alla ricerca scolastica
la novità che qualifica il cristianesimo come religione rivelata, accreditata da
un’esperienza storica d’incontro singolarissimo con Dio; da una lunga e profonda
elaborazione dottrinale.
È in definitiva possibile evidenziare la solidarietà e la complementarità fra
ricerca religiosa e rivelazione. È inoltre possibile constatare che la religione e
il cattolicesimo in particolare camminano sulla stessa lunghezza d’onda della
ricerca umana: si propongono per lo più come esplicitazione e approfondimento
di questa: anzi si può dire che la stessa rivelazione si muove in una polarità
ermeneutica, storicamente documentabile, con la ricerca umana.
Resta solo da sottolineare che nell’elaborazione specificamente scolastica i poli
del rapporto ermeneutico sono anche commisurati alla progressiva maturazione
dell’allievo; domanda e risposta si elaborano quindi tenendo conto del grado
e dell’indirizzo di scuola: per un principio pedagogico fondamentale di rispetto
dell’allievo, previo anche al processo ermeneutico.
Indicazioni bibliografiche
LINGUAGGIO E IRC
Giuseppe Morante
Premessa
Il testo conciliare Dei Verbum evidenzia tre caratteristiche della «Parola di Dio»
che ogni comunicazione religiosa dovrebbe poter realizzare:
– la «Parola di Dio» ha una dimensione interpersonale (perché Dio è persona e
Capitolo 11 pag. 162
vuole parlare agli uomini come amici). La comunicazione del messaggio richiede
un procedimento che realizzi un «dialogo relazionale» che va da persona a
persona; che intenda la rivelazione di Dio come comunicazione tra persone; che
aiuti a interpretare la rivelazione come «parola» che rivela l’identità di Dio che
vuole parlare agli uomini come ad amici. Conseguenza: ogni comunicazione
della parola da Dio deve evitare ogni forma di comunicazione impersonale, ogni
messaggio anonimo;
– la «Parola di Dio» ha una dimensione storica (perché Dio è Spirito, ma vuole
parlare agli uomini, che sono spiriti incarnati nel tempo e nello spazio del mondo).
«Questa economia della rivelazione comprende eventi e parole intimamente
connessi» (DV 2). Questa concreta comunicazione viene realizzata da Dio
attraverso la storia del popolo eletto e la presenza del Figlio di Dio nella storia
dell’umanità; nonché con l’esperienza (= storia personale) di ogni uomo,
esperienza come «storia da salvare». Conseguenza: ogni comunicazione della
parola di Dio deve rispettare il principio della concretezza storica: una persona
concreta in un ambiente preciso, in un tempo determinato, per evitare frasi fatte,
contesti astratti, linguaggi aerei ed anacronistici...;
– la «Parola di Dio» ha una dimensione dinamica (perché vita è dinamismo
di crescita verso la maturità). La rivelazione è parola continuamente detta, e
suppone il suo svelamento attraverso una provvida e progressiva gradualità
dentro la storia umana, mediante una sua traduzione culturale, un suo parlare
adattandosi alle persone. Il che si traduce in un rapporto personalizzato che porti
progressivamente l’uomo verso la sua piena maturità relazionale con Dio.
Conseguenza: il nostro insegnamento religioso rispetta le caratteristiche delle
persone in ogni età della loro vita...
Dalla dimensione interpersonale, storica, dinamica della Rivelazione consegue
un primo compito didattico: interpretare in modo coerente il messaggio
comunicato attraverso una linguaggio specifico che esprime relazionalità tra le
Capitolo 11 pag. 163
persone, si riferisce alla concretezza della esistenza umana, suscita una forza
dinamica che porta a trasformare la vita.
L’IRC deve trovare nelle forme espressive la sua pregnanza formativa, nell’uso
di un linguaggio che fa da orientatore dell’esistenza, capace di interpretare e
superare le esperienze del quotidiano, per collocarle nell’ambito più vasto dei
valori trascendenti.
È stato già sufficientemente chiarito che l’approccio simbolico è fondamentale
ai fini dell’intervento della scuola, in quanto rappresenta la chiave di lettura della
realtà religiosa come modalità strategica di intervento didattico.
Tale approccio richiede una particolare attenzione pedagogica e sensibilità
riferita alle età degli alunni ed ai cicli di scuola. Non si tratta di utilizzare in modo
adeguato i termini, ma di utilizzare il tipo di linguaggio che è più adatto a spiegare
fatti e fenomeni religiosi. L’uso corretto della parola è importante, in quanto, nella
misura in cui fa penetrare nella realtà, consente una rappresentazione, una
formalizzazione, e si afferma nella coscienza umana.
Oltre al linguaggio simbolico espresso nelle forme di segno e di significato, le
parole più specifiche del linguaggio tipicamente religioso sono anche il mito, il rito
di cui si offrono degli elementi interpretativi fondamentali.
2.1. Il «mito»
2.2. Il rito
Se è vero che sia dal punto di vista psicologico (la crescita verso la propria
autonomia e indipendenza), che da un punto di vista culturale l’uomo di oggi vive
il culto della libertà, anche la verità rivelata non può essere espressa se non con i
termini della libertà.
Prima di tutto perché la risposta di fede richiesta all’uomo è fondamentalmente
libera e poi perché la comunicazione religiosa deve rispettare questa coscienza
acuta della libertà di cui l’uomo è profondamente geloso. Se l’uomo non tollera
di essere forzato, attraverso il linguaggio della libertà è necessario portarlo a
riflettere sul suo valore più profondo.
La comunicazione religiosa deve mostrare un linguaggio estremamente
rispettoso della libertà; per il credente stesso l’atto di fede è espressione
massima di libertà. Infatti più una risposta è di ordine spirituale, più esige di
essere scelta. E senza libertà non ci può essere scelta. Anche nella comunità
cristiana si deve respirare il clima maturativo della libertà, il cui linguaggio
favorisce la crescita di autonomia contro il conformismo e l’infantilismo.
Se c’è una parola che meglio esprime la mentalità dell’uomo moderno è quella
di essere costruttore di se stesso. Da un punto di vista psicologico l’uomo vive
l’esperienza dell’autonomia in cui individua i termini del proprio futuro...
Per rispondere a questa dinamica esistenziale, la comunicazione religiosa non
può usare il linguaggio del dogmatismo e della tradizione fissata storicamente,
salvo a recuperarla successivamente come momento di confronto culturale
(scuola) e di dimensione di fede personale. Del resto la creatività si riscontra nel
Capitolo 11 pag. 168
mistero di Dio: la creazione, l’incarnazione, la comunità cristiana.
È chiaro che la creatività non può ridursi a forme di riduzione e di spontaneismo,
ma è necessario non limitarla a compiti solo terreni, per essere aperti anche ai
possibili doni della trascendenza rivelata. In questo modo il linguaggio religioso
globale diventa veicolo di un messaggio che è capace di umanizzare l’universo e
di liberare l’uomo da tutte le sue schiavitù e alienazioni.
L’uomo oggi viaggia su una direttrice planetaria e impara a proprie spese che
non può risolvere i problemi culturali, economici, tecnici... individualisticamente:
gruppi, sindacati, partiti, organismi nazionali ed internazionali... Il mondo oggi
avverte fortemente il bisogno della solidarietà.
Non ci può essere solidarietà nella folla anonima e l’uomo ne ha una acuta
coscienza personale. La solidarietà è assente da tutto ciò che ostacola la
personalità del singolo.
La solidarietà umana e cristiana è il frutto di una coscienza libera e responsabile.
La vera solidarietà per il cristiano è la carità. La solidarietà (= alleanza tra Dio e
l’uomo) è la molla di tutta la storia della salvezza.
A proposito della solidarietà si deve dire la stessa cosa che si è detta del
linguaggio della partecipazione: la conseguenza dell’essere insieme è parte di
una comunità.
Ogni insegnamento deve appropriarsi di questo linguaggio, perché mira a fare
vere esperienze di comunità (classe, gruppo), consolidandosi dal basso, nella
serena coscienza che ogni membro attivo di un gruppo deve portare il suo
contributo.
L’uomo moderno appare sempre più come «progetto»; è rivolto verso il futuro,
rifiuta una tradizione concepita come riproduzione o copia del passato. Proposta
che provoca subito l’atteggiamento della chiusura e del rifiuto di ogni offerta che
appare stantia e quindi poco appetibile.
D’altra parte la verità cristiana non è dietro al credente... ma in lui e avanti a lui.
La Bibbia non narra belle storie del passato, ma impegna in un processo di
interpretazione e di attualizzazione del messaggio salvifico.
Il linguaggio della comunicazione religiosa non può che essere un linguaggio
molto concreto e umano, fortemente radicato nella vita ma rivolto alla ricerca
di quei valori che avanzano all’orizzonte, ma di cui non si ha ancora il pieno
possesso.
Ogni insegnamento religioso si fa, in questo modo, proposta da verificare,
ricerca che conquista, scoperta che rinforza; il suo modello si confronta con i veri
modelli senza fissismi e senza conformismi: la sua verità si fa ricerca di valori
che rispondono ai bisogni autentici ed ai desideri più duraturi.
La cultura del nostro tempo vede l’uomo sempre più attestato sui valori concreti
dei fatti e dell’esperienza umana. Quante volte si sente dire: più fatti, meno
parole. Ma la vera esperienza umana totale dice relazione ai diversi livelli, per
non imprigionarsi in allenamenti da piccolo cabotaggio. Dice relazione agli
altri per arricchirsi di una varietà di esperienze; dice relazione all’universo per
sentirsi dentro il respiro del mondo; propone relazione a Dio per dare uno sbocco
Capitolo 11 pag. 169
di liberazione ai limiti spesso insuperabili della ristrettezza della vita dentro il
ristretto limite storico.
L’insegnamento religioso (e quello di fede) non può prescindere da questa
esperienza umana globale, anche perché la vita cristiana è soprattutto
esperienza di testimonianza. E la testimonianza è la rivelazione di una
esperienza. II linguaggio dell’esperienza è allora il linguaggio del quotidiano, del
concreto, del limitato, eppure linguaggio capace di dare uno sbocco alla vita oltre
il quotidiano, oltre il concreto, oltre il limitato.
In conclusione, si deve affermare che il messaggio rivelato, pur essendo
trascendente perché dono gratuito di Dio all’uomo, viene comunicato attraverso
un linguaggio che può essere comprensibile. Perciò nella comunicazione
religiosa, se il linguaggio non si colloca nel piano della sintonia tra chi trasmette
(Dio, Educatore) e chi riceve (l’uomo, l’allievo), il suo messaggio non è veicolato
e quindi non può essere recepito. Il messaggio salvifico deve incarnarsi nel
tempo. Solo incarnandosi in esso salva l’uomo. Ed il linguaggio ne diventa una
mediazione essenziale.
Bibliografia essenziale
1. Alcune premesse
Prima di entrare nello specifico della tematica è bene precisare alcuni punti per
caratterizzare meglio il ruolo dell’insegnamento dell’IRC nella scuola d’oggi.
Il pluralismo religioso è oggi una sfida per tutte le grandi religioni e per evitare
che si giunga a degli scontri, come purtroppo la storia anche recente ci insegna,
occorre promuovere con forza un serio e corretto dialogo interreligioso. È questa
la sfida che interpella anche la scuola e l’insegnamento della religione.
Capitolo 12 pag. 172/173
Di qui l’interrogativo: quale educazione religiosa promuovere dove vige il
pluralismo culturale e religioso? L’IRC nella scuola di tutti è il luogo dove è
possibile realizzare in concreto il dialogo e l’incontro tra la proposta cristiana,
definita nella sua specificità cattolica, e la ricerca della verità, della visione del
mondo, della vita, dell’uomo presente nelle altre religioni.
I programmi di religione cattolica facevano già intravedere delle aperture
verso forme di religiosità diverse affermando che «nel processo didattico gli
alunni saranno avviati a maturare capacità di confronto tra il cattolicesimo, le
altre confessioni cristiane, le altre religioni ed i vari sistemi di significato, a
comprendere e rispettare le diverse posizioni che le persone assumono in
materia etica e religiosa » (Programmi, 1987, III, 3).
L’esigenza di un confronto e di un dialogo costante tra cristianesimo ed altre
religioni è esplicitata chiaramente anche negli ultimi documenti della Conferenza
Episcopale Italiana, elaborati per i nuovi programmi, e non si limita solo alla
trattazione di alcune tematiche o unità didattiche, ma l’attenzione interculturale e
interreligiosa è presente in tutto il percorso contenutistico.
Certamente in un contesto pluralistico, dove convivono culture e religioni diverse,
non si può insistere su un’educazione monoculturale che ha come scopo la
conoscenza e l’approfondimento di una sola cultura o di una sola religione senza
prendere in considerazione la presenza dell’«altro», del «diverso». Sarebbe
antieducativo imporre una cultura, o una religione a tutti, specialmente quando
in una classe sono presenti alunni d’altre culture e religioni, anche se l’IRC si
riferisce alla religione e alla cultura della maggioranza.
Non è pensabile neppure un’educazione pluriculturale poiché questa strategia
didattica che consiste in un semplice accostamento delle culture, corre il rischio
di trasformarsi in una pedagogia a-culturale, praticamente neutra e dal punto di
vista pedagogico inefficace a superare le diversità; tale educazione sostenendo
la legittima autonomia e irrepetibilità di ciascuna cultura, favorisce l’intolleranza e
Capitolo 12 pag. 173
il fanatismo religioso.
È anche da escludere un’educazione transculturale, un insegnamento in altre
parole della religione che fonda la sua pedagogia sugli elementi e sui valori
perenni comuni a tutte le religioni. Un’educazione siffatta porta ad ignorare le
differenze, le particolarità e i contributi di ogni specifica religione, sfociando nel
sincretismo religioso.
L’IRC nella scuola deve favorire, invece, un’educazione interculturale, capace
di aprirsi e confrontarsi con le altre religioni. La pedagogia interculturale pone
infatti al centro della sua attenzione educativa tre atteggiamenti fondamentali:
l’accettazione, l’accoglienza e la convivenza pacifica e democratica.
L’educazione interculturale facilita anche il dialogo interreligioso che ha come
finalità la conoscenza della propria religione e delle altre fedi, lo sviluppo di
un atteggiamento positivo nei confronti di altre persone, riconoscendo ciò che
hanno in comune, rispettando il diritto di avere idee diverse ed apprezzando
la ricchezza che la pluralità delle religioni apporta alla società. Un IRC in
dimensione interreligiosa non implica la rinuncia all’identità cattolica, anzi
deve partire da essa, perché i ragazzi, attraverso un cammino di conoscenza
e scoperta imparino a conoscere e ad apprezzare sia le differenze sia i valori
comuni delle altre religioni.
Il confronto con altre religioni, specialmente con quella ebraica, da cui trae
origine il Cristianesimo, sollecita gli allievi a scoprire i valori umani e religiosi
presenti in esse e ad approfondire le conoscenze per poterne considerare
l’importanza che anch’essi hanno avuto e hanno per l’uomo e per la società.
Sarebbe auspicabile quindi che nella scuola si approfondisse di più lo studio
della Bibbia come testo sacro comune a ebrei e cristiani.
Uno studio approfondito delle varie religioni favorisce negli allievi non solo la
maturazione di atteggiamenti di rispetto, perché scoprono valori umani, religiosi,
spirituali e morali significativi per tutti, ma anche la consapevolezza che è insito
nell’uomo il bisogno di Dio. La narrazione della vita dei fondatori e di quella di
alcune personalità rilevanti che hanno vissuto i valori religiosi con coerenza e
fedeltà, fa comprendere il valore della testimonianza presso i seguaci di tutte le
religioni.
L’IRC è il luogo dove si promuove la ricerca della verità mediante il dialogo sui
significati, sulle fonti, sul vissuto della religione cattolica in rapporto alle altre
confessioni e religioni. Nel delineare i contenuti dell’IRC nella scuola è opportuno
Capitolo 12 pag. 176
ricordare che tale insegnamento si situa in una scuola laica; pertanto essi vanno
selezionati in modo che permettano l’incontro con i punti salienti ed essenziali
del cristianesimo tenendo anche presenti i sistemi di valore presenti nell’attuale
società pluralista. Sul piano dei contenuti e su quello delle finalità, l’IRC
scolastico non è identificabile con la catechesi ecclesiale perché pur essendo un
insegnamento confessionale non ha come fine l’adesione alla fede. Caratteristica
di tali contenuti deve essere l’essenzialità e la significatività, elementi validi
anche per le altre religioni.
Più che parlare di contenuti in termini di conoscenze teoriche o dottrinali, è
opportuno parlare di contenuto in termini operativi esistenziali. L’IRC aperto alle
altre confessioni religiose deve tendere alla formazione di atteggiamenti, capaci
di rispettare il diverso e di sviluppare relazioni positive con esso. In questo senso,
il contenuto dell’IRC è operativo e educativo, poiché si aiutano gli alunni a vivere
con i seguaci di altre religioni, sapendosi confrontare con le dottrine religiose
diverse dalla religione cattolica.
Tutti gli interventi educativi, nella scuola, sono mirati ad educare gli alunni
ad una convivenza democratica, dove l’uguaglianza dei diritti non conosce la
diversità.
Perciò, l’insegnante di religione è chiamato a garantire agli alunni l’acquisizione
delle conoscenze sul patrimonio cristiano cattolico, ad aiutarli a comprendere le
radici bibliche della religione cattolica, le sue dimensioni antropologiche ed etiche,
per trovare i punti comuni con le altre religioni affinché si realizzi un processo
di integrazione in un contesto plurireligioso, evitando così qualsiasi forma di
fanatismo e di intolleranza.
Gli orientamenti presentati nel Concilio Vaticano II indicano gli elementi basilari
per descrivere il profilo del cristiano nel mondo contemporaneo. Alcune di queste
linee guida che devono accompagnare il credente cristiano a vivere nella società
pluralista culturale e religiosa sono presenti in due documenti conciliari: Gaudium
Capitolo 12 pag. 176/177
et spes e Nostra aetate come in altri simili del post-concilio.
«La storia delle religioni è (...) uno degli aspetti più ricchi d’insegnamenti, e più
avvincenti, sotto cui si presenta la storia stessa della società» (Donini, 1991,
p. 12). Proprio per questo, in un momento storico contrassegnato da una certa
sacralità diffusa (culti di derivazione orientale, movimenti) e dal pluralismo
religioso, la scuola deve farsi carico di un’alfabetizzazione religiosa necessaria
per comprendere i processi culturali di altri popoli.
Attraverso un approccio metodologico e contenutistico alla storia delle religioni,
infatti, gli alunni possono scoprire come l’uomo da una situazione esistenziale
vicina all’animalità (fase pre-religiosa), sia passato con gradualità a quella del
«totemismo», e successivamente a quella della magia, momento questo, in cui
si può intravedere il germe di una prima forma di religione. Solo più tardi con il
senso della colpa e della grazia, ed il bisogno di essere protetto da un essere
superiore, nasce il concetto del Dio personale.
La conoscenza della storia delle religioni evidenzia che al centro di questa storia
c’è l’uomo in ricerca di Qualcuno – in senso letterale – fuori di questo mondo,
con doti superiori. A questo Altro ed in suo onore celebra riti, lo rappresenta
con simboli, lo adora con gesti, posture ed azioni, per esprimergli i sentimenti
più profondi. Lo studio del fatto religioso fin dalle origini, affonda, quindi, le sue
radici in un desiderio profondamente umano, antropologico e questo aiuterà a
riconoscere che simili sentimenti sono all’origine di tutte religioni.
Il confronto con le altre religioni rende inoltre consapevole l’alunno che molti dei
precetti morali e degli elementi dottrinali presenti in altre religioni non differiscono
molto da quanto la religione cattolica propone. Secondo il Vaticano II, la Chiesa
è chiamata a considerare con sincero rispetto quello che i fedeli di altre religioni
credono e praticano, nonostante questa diversità morale e dottrinale (NA n. 2).
I fedeli di tutte le religioni, nonostante le diversità dottrinali, si trovano ad
affrontare gli stessi problemi e le sfide che il mondo pone a tutti gli uomini
(povertà, razzismo, inquinamento ambientale, materialismo, guerre e
proliferazioni delle armi...). Questa considerazione fa comprendere come
una didattica dell’IRC in dimensione interreligiosa, attraverso un approccio
antropologico, possa riunire gli alunni su tematiche comuni di ordine etico,
ecologico, sociale. Le risposte delle religioni su questi temi possono essere
diverse, ma non opposte, e di conseguenza non offrono motivo di controversia e
dissenso.
La realtà multireligiosa della società non deve pertanto spaventare anche
se deve essere considerata adeguatamente per evitare che alcuni cristiani,
più di nome che di fatto, possano cadere in una sorta di ingenua confusione
relativistica o sincretistica, o abbandonare il desiderio di condividere la fede
cristiana con gli altri.
Il mondo sta diventando sempre più una realtà difficile e differenziata. I problemi
che affliggono il mondo sono talmente complessi che da soli non si è in grado di
risolverli. C’è quindi bisogno di una collaborazione interreligiosa per unire forze
Capitolo 12 pag. 177/178
diverse che lavorano però per lo stesso fine, avendo in comune gli stessi ideali.
L’intento dell’IRC, anche se il tempo a disposizione è poco, è quello di aiutare
i ragazzi ad aprirsi alle altre confessioni religiose, senza per questo rinunciare
o compromettere l’essenza della propria fede, per stabilire con altri credenti
un rapporto di comprensione, solidarietà e di accoglienza perché già ora sono
i loro vicini di casa (Camminare Insieme, 1999, p. 10). Aquesto riguardo, la
dottrina e la tradizione della Chiesa hanno espresso la loro posizione, in maniera
propositiva.
Gli ideali che caratterizzano tutte le religioni rappresentano una base comune
per unire le forze al fine di creare un mondo più giusto dove la convivenza civile
possa essere assicurata a tutti gli uomini.
La collaborazione tra le diverse religioni deve fondarsi sul rifiuto di ogni forma
di fanatismo e dei reciproci antagonismi che conducono solo alla violenza,
Capitolo 12 pag. 178
allontanando di conseguenza da atteggiamenti religiosi.
Il primo passo da compiere è il superamento dei pregiudizi che si nutrono
inconsapevolmente, verso le altre religioni e verso coloro che le professano. Le
origini di questi pregiudizi sono diverse: i commenti che si sentono in famiglia, nel
gruppo di coetanei, a scuola, nei mezzi sociali, qualche volta anche tra gli stessi
fedeli...
I pregiudizi sono assimilati senza una proposta formale, in modo del tutto
irrazionale e soprattutto si fondano sull’ignoranza, intesa come non conoscenza
delle altre religioni. Questo rende il confronto con le altre religioni problematico e
l’educazione verso le altre religioni abbastanza ardua.
Ogni alunno, per maturare capacità per un dialogo interreligioso o
semplicemente per stare insieme con amici di altre religioni, deve prima di
tutto liberare la propria mente da ogni forma di pregiudizio. La motivazione più
forte per abbandonare qualsiasi pregiudizio è far comprendere che le varie
religioni sono espressioni viventi dell’anima dei popoli e ognuna di esse è la
testimonianza che da migliaia di anni l’uomo è alla ricerca di Dio.
Queste abilità richiedono tre successivi passaggi per orientare i ragazzi
all’acquisizione di atteggiamenti positivi.
• Il primo consiste nel far prendere coscienza dei propri pregiudizi. Solo un attento
esame dei nostri sentimenti riguardo alle altre religioni può aiutare a definire il
nostro atteggiamento verso di loro.
• Il secondo consiste nel promuovere un desiderio sincero e decisivo di non
nutrire tali sentimenti negativi verso le religioni. Dobbiamo trovare nella nostra
religione stessa le motivazioni per fare questo passaggio; ricordare che
l’insegnamento di Gesù chiama ad amare tutti come fratelli, perché abbiamo Dio
come il nostro unico Padre.
• Il terzo, infine, consiste nel sostituire i pregiudizi con atteggiamenti di profondo
rispetto sia per la religione sia per chi la professa. Questo rispetto deve essere
Capitolo 12 pag. 179
tale da sviluppare una relazione interpersonale e stabilire vincoli di amicizia
onesta e sincera con chi ha una fede diversa: il desiderio di imparare l’arte del
dialogo interreligioso è già un’abilità significativa per realizzarlo.
Per convivere con l’altro «diverso» da me, è necessario capire il suo punto di
vista, cercare di entrare nella sua cultura per capire il suo modo di essere e i suoi
bisogni. Tutto ciò non dovrà avere come fine la fusione di culture e religioni ma
il capire l’uguaglianza, pur riconoscendo le diverse identità. La scuola in questo
senso può fare molto per educare i giovani ai rapporti e agli aspetti relazionali.
La conoscenza di più culture evita che queste vengano assolutizzate impedendo
così mentalità etnocentriche. In questo senso può essere d’aiuto fare maggiori
riferimenti all’antropologia e alla storia delle religioni, alla conoscenza dei diritti
dell’uomo, analizzando criticamente i diversi pregiudizi, per individuare le diverse
origini dell’intolleranza.
Là dove complessivamente ci si preoccupa del «diverso», della sua cultura
e religione e della libertà di poterle manifestare, là si ha una autentica
convivenza democratica, ormai essenziale nella nostra società caratterizzata dal
pluriculturalismo.
La convivenza con il diverso, terzo concetto chiave attorno a cui si snoderà
l’itinerario didattico, sarà tanto più pacifica quanto più le componenti della
comunità educativa collaboreranno per una educazione alla uguaglianza nella
diversità.
Il confronto con altre religioni è da considerarsi ormai qualcosa di essenziale.
Non è più una scelta facoltativa, ma un nuovo stile di essere religiosi e quindi
una pratica doverosa. L’espressione concreta di essere riusciti a realizzare un
giusto confronto con le religioni, è il dialogo interreligioso, su cui la Chiesa poggia
la sua missione, l’evangelizzazione, le istanze ecumeniche, insomma, il futuro
della Chiesa cattolica.
La società moderna o post-moderna è, o lo sarà ancor più nei prossimi anni,
Capitolo 12 pag. 181/182
pluralista in ogni campo: etnico, religioso, culturale, economico. In campo
religioso, in particolare, si impone la necessità di dialogare con gli altri di fede
diversa, per evitare chiusure pericolose, integralismi beceri.
Sui principi nulla da eccepire: tutti i documenti della Chiesa degli ultimi decenni,
a cominciare da Nostra Aetate, sono chiarissimi, e nel loro insieme costituiscono
un corpus dottrinale completo, un ampio trattato sul dialogo interreligioso.
Ma i cattolici sono preparati e pronti a dialogare? Le altre confessioni e le
altre religioni sono disposte al dialogo? Diversamente, si rischia il monologo! Il
confronto con le religioni, ed il dialogo interreligioso sono indubbiamente difficili,
almeno con le sole forze umane. È facile imporre, è molto arduo convincere
dialogando. Il dialogo interreligioso è possibile se il cattolicesimo conserva la
propria identità allontanando ogni tentazione di irenismo e di relativismo religioso.
E per questo, un grande aiuto al riguardo è l’IRC che prepara i suoi allievi a tutti i
livelli – cognitivo, affettivo e operativo – a confrontarsi con le altre religioni.
Indicazioni bibliografiche
A. Documenti ecclesiali
CONCILIO VATICANO II (1966), Nostra Aetate. Sulle relazioni della Chiesa con le
religioni non-cristiane, 28 ottobre 1965, in AAS 58 (1966), pp. 740-744.
CONGREGAZIONE PER IL CLERO (1997), Direttorio generale per la catechesi, Città
del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
GIOVANNI PAOLO II (1979), Catechesi Tradendae. Educare alla fede oggi.
Esortazione Apostolica, 26 ottobre 1979, in AAS 71 (1979), pp. 1277-1340.
PAOLO VI (1964), Ecclesiam Suam. Per quali vie la Chiesa cattolica debba oggi
Capitolo 12 pag. 182/183
adempire il suo mandato. Enciclica, 6 agosto 1964, in AAS 56 (1964), pp.
609-659.
PONTIFICIO CONSIGLIO PER ILDIALOGO INTERRELIGIOSO (1999), Camminare Insieme.
La Chiesa cattolica in dialogo con le altre tradizioni religiose del mondo, Città del
Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1999.
B. Studi
FONTI E TRADIZIONI
LA BIBBIA. LA STORIA DELLA CHIESA
Cesare Bissoli
4. L’accenno ai cicli scolastici or ora fatto, apre la porte ad uno scenario fin
qui inedito introdotto dalla grande Riforma della scuola. Come è noto, questa
riforma non comprende formalmente la componente religiosa come disciplina di
studio (questo compete all’Insegnamento di Religione Cattolica, IRC, secondo le
indicazioni del Concordato), ma ne permette la valorizzazione culturale formativa,
come testificano diversi richiami. Altrove nel Manuale si parla della Riforma e
delle sue implicanze per l’IRC. Qui sostiamo per i possibili riflessi, per quanto
concerne le fonti bibliche e storico-ecclesiali. (Ci riferiamo alle tre categorie di testi
(DM 100/02): Indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole
dell’infanzia, Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria, ...nella
Scuola Secondaria di 1° grado, ...nella Scuola Secondaria di 2° grado; Raccomandazioni per lo
svolgimento delle attività educative e didattiche e per l’attuazione delle Indicazioni nazionali...;
Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del Primo Ciclo di istruzione
(6-14 anni), ...alla fine del secondo ciclo (dal Ministero dell’Istruzione: www.istruzione.it)) Ad esse
infatti si accenna con risvolti interessanti. Raccogliamo i punti di maggior rilievo
ed interesse: a. La «storia degli effetti» come prospettiva Tra gli «strumenti
culturali per leggere e governare l’esperienza» si propone «l’essere consapevoli,
sia pur in modo elementare, delle radici storico-giuridiche, linguistico-letterarie
e artistiche che ci legano al mondo classico e giudaico-cristiano, e dell’identità
spirituale e materiale dell’Italia e dell’Europa» (Profilo educativo I ciclo e II ciclo).
(Con altre parole, si invita ad «un’attenzione particolare alla religione ebraico-cristiana e al ruolo
da essa ricoperto all’incontro tra Romani e i “popoli barbari” sia nella nascita sia nella idea di
Europa » (Raccomandazioni Scuola Primaria, Storia); «Scoprire radici storiche antiche classiche
e cristiane della realtà locale» (Indicazioni Scuola Primaria II biennio)) b. Le origini della
religione cristiana come contenuto In tale ottica, anche se il richiamo esplicito alla
Bibbia non compare mai, si raccomanda specificamente «la conoscenza della
Capitolo 13 pag. 185/186
nascita della religione cristiana, le sue peculiarità e il suo sviluppo» (Indicazioni
Scuola Primaria II biennio) e si citano la «narrazione biblica ed evangelica» come
modelli dell’arte del racconto quale dimensione della storia (Raccomandazioni
Scuola Primaria, Storia).
c. Una serie di conoscenze e competenze valoriali come obiettivo (1) Un ordine
esplicito di obiettivi riguarda la dimensione storica della realtà: conoscere la
storia come insieme di dati umani passati che ci pervengono come racconto
meritevole di discussione e confronto, e partendo dal dato storico e giungere alla
maggior consapevolezza che cosa sia la storia come tale (Raccomandazioni
Scuola Primaria, Storia). Occorre pervenire ad «avere memoria del passato,
riconoscerne la permanenza nel presente e far tesoro di queste consapevolezze
per la soluzione dei problemi che si incontrano e per la progettazione del futuro »
(Profilo II ciclo).
Come esempio si richiama la narrazione biblica e evangelica accennata qui
sopra. Viene da arguire legittimamente che affrontare la Bibbia vuol dire fare
scuola di buona memoria delle radici italiane ed europee.
(2) Un altro ordine di obiettivi riguarda una serie di valori umani che incrociano
facilmente il discorso biblico cristiano. Si parla così di mettere l’alunno «in
condizione di distinguere il diverso grado di complessità che caratterizza i diversi
temi, tra cui “la problematica religiosa”», «avvertire interiormente la differenza
tra il bene e il male ed essere in grado di orientarsi nelle scelte di vita», «porsi
le grandi domande sul mondo, sulle cose, sul sé e sugli altri, sul destino di ogni
realtà», «essere in condizione di distinguere il diverso grado di complessità
che caratterizza i diversi temi, tra cui “la problematica religiosa”», «avvertire
interiormente la differenza tra il bene e il male ed essere in grado di orientarsi
nelle scelte di vita», «porsi le grandi domande sul mondo, sulle cose, sul sé e
sugli altri, sul destino di ogni realtà» (Profilo I ciclo, II ciclo).
(3) Qualche conclusione.
Capitolo 13 pag. 186/187
• Non compare – nonostante tante insistenze del mondo laico – un riferimento
esplicito allo studio della Bibbia, ma se ne riconosce equivalentemente il valore
culturale in quanto si afferma che «la religione ebraico-cristiana ha un ruolo “sia
nella nascita sia nell’idea di Europa”».
• Con la Bibbia la storia della Chiesa è contenuto imprescindibile.
• È centrale dunque l’ottica della storia degli effetti, cioè si considera importante
il nesso di causalità tra le fonti ebraico-cristiane, che come tale va perseguito a
tre livelli: per capire l’identità di Italia ed Europa, per giungere alla comprensione
della dimensione storica come dimensione di realtà, come possibile aiuto (anche
se non citato) alle domande di senso.
• Vi è dunque un ponte levatoio abbassato tra mondo della nuova scuola e fonti
della RC. Sarà importante da parte dell’IdR condividere questi contatti, magari
approfondendoli, partecipando alla redazione dei Piani di studio personalizzati e
del Portfolio.
Si può concludere che nel quadro della Riforma sarebbe impoverita una
presentazione della Bibbia e della storia cristiana isolata e chiusa in se stessa.
7. Facciamo uno stacco su un fattore che assicura per sé una spinta propulsiva
nell’incontro con la Bibbia: la rinnovata didattica biblica e l’ampia disponibilità di
sussidi.
a. Il soffio del rinnovamento si fa sentire: maggiore dimestichezza
dell’insegnante di religione con il Testo Sacro, assimilazione di informazioni
di base corrette per certi passi tanto celebri quanto fraintesi (es. i racconti di
creazione di Gn 1-3, la natura dei vangeli...), capacità di elaborare percorsi
didattici imperniati sulla correlazione fra Bibbia ed esperienza, capacità di lettura
strutturale elementare del testo, uso della narrazione e del metodo della ricerca...
Purtroppo non si può dire che sia pane condiviso da tutti. Si è osservato invece
un certo arretramento di stima e dunque di impiego della Bibbia, specie dell’AT.
Ed anche quanto alla pista «storia degli effetti» biblici, siamo alle prime armi.
b. Circa i sussidi bisogna distinguere quelli penultimi che cioè apprestano
materiale biblico per essere elaborato, e sono tanti, segnatamente sulla figura
di Gesù, e sussidi ultimi, quelli che si propongono come itinerari didattici già
elaborati.
Sono tali quelli proposti dal testo di religione, ma anche i diversi modelli esposti
su Riviste come L’ora di religione, Elledici. La necessaria riflessione didattico-
metodologica a seguito della nuova comprensione del termine «programma»
nella Riforma, dovrà portare un profondo rinnovamento in ordine ai sussidi.
L’IRC per sua identità richiede una così ampia e centrale presenza della Bibbia,
da profilarsi in certa misura anche in corso di introduzione ad essa, grazie ad un
graduale, metodico, effettivo contatto e uso del Libro Sacro. Non diciamo che
questo sia automatico, ma nemmeno così arduo, date le possibilità che ci sono
date. Distinguiamo un quadro teorico globale e le conseguenze applicative.
9. UN QUADRO DI RIFERIMENTO
È una serie di affermazioni che uniscono insieme le esigenze di una corretta
presentazione della Bibbia nella scuola.
a. I diritti e modalità di partecipazione della Bibbia nell’IR non sono determinabili
a priori o da una concezione di fede, ma per quello che essa legittimamente
rappresenta, e secondo come lo rappresenta, nell’insegnamento della religione
cattolica espletato nella scuola, secondo i fini e i processi della scuola, e dunque
in una prospettiva culturale e formativa, non automaticamente assimilabile
– anche se non contraria – ai fini e processi della comunità credente.
b. Ruolo della Bibbia nell’IRC è di essere documento religioso motivante radicale
del fatto ebraico-cristiano, sia quanto alle sue origini (protologia), sia quanto ai
suoi sviluppi storici, sia quanto all’esito conclusivo (escatologia).
La Bibbia non è una sorta di banca dati, un inventario della religione cristiana,
ma l’ispirazione di fondo originaria, come le radici per i frutti di una pianta. Essa
non dà risposte tecniche come una ricetta di cucina, ma indica una scelta di
campo, una direttiva di marcia a riguardo delle grandi domande dell’uomo. Per
questo è intrinsecamente un riferimento religioso, manifesta, secondo il suo
stesso linguaggio, una rivelazione di Dio, una sua Parola a proposito dell’uomo,
del mondo e di Dio stesso.
c. La Bibbia svolge il suo ruolo di documento religioso nella scuola attraverso
Capitolo 13 pag. 189/190
diverse funzioni che si possono ricondurre a quattro più una: (1) La Bibbia va
incontrata in quanto è testimonianza primaria e insostituibile della religione
ebraico-cristiana.
Tramite la Bibbia si conoscono le origini del popolo ebraico, di Gesù, della
prima comunità cristiana con il loro mondo di persone, avvenimenti, istituzioni,
pensiero...
È il ruolo basilare e dunque preliminare ad ogni altro. Fonda la conoscenza
della Bibbia come avvio alla conoscenza della RC. È quanto esigono di norma i
programmi e abitualmente si realizza (UCN, 1996; Bissoli, 1997; 1998).
(2) La Bibbia va incontrata in quanto è matrice originale ed ampia di storia
postbiblica (storia degli effetti).
Grazie alla Bibbia non si conosce soltanto... la Bibbia, ma ciò che essa
ha prodotto lungo venti secoli, nell’area nord occidentale anzitutto, ma
successivamente va producendo nel Terzo mondo tramite la diffusione del
cristianesimo e della cultura europea. Tali influssi ricadono in effetti religiosi
(come è una chiesa), ma anche laici (come sono i fondamenti delle tante
Dichiarazioni dei diritti dell’uomo), e si trovano codificati in opere letterarie,
artistiche, in istituzioni e in particolare in persone viventi (la comunità dei credenti
che si ispira alla Bibbia come libro di vita). Non si vuol dire che gli effetti prodotti
siano sempre in piena corrispondenza alla fonte biblica, ma ne risentono per
qualche aspetto l’ispirazione.
Oggi è un percorso specificamente raccomandato (v. sopra 1.2: Indicazioni della
Riforma della scuola) (Pellettier A.M., 1999; Salvarani B., 2001; Stefani P., 2003).
(3) La Bibbia va incontrata in quanto è criterio ermeneutico vasto ed accreditato
dell’esistenza.
Frutto essa stessa di tante esperienze umane lungo diversi secoli, la Bibbia
ha il pregio di entrare facilmente in dialogo con esperienze fondamentali
dell’uomo, quelle che immancabilmente si propongono, collegate alle domande
Capitolo 13 pag. 190
di senso, sulla vita e la morte, sul bene e il male, sulla origine e sulla fine... Porta
in sé una tale saggezza e profondità di risposta, collaudata dall’esperienza
millenaria di generazioni che vi si sono accostate (v. la storia degli effetti), da
essere universalmente stimata un capolavoro dell’umanità, il «Grande Codice»,
meritevole di essere ascoltato, dai credenti per convinzione di fede, da tutti per
la ricchezza di umanità. (Questo potenziale ermeneutico della Bibbia è oggi molto studiato in
lavori teorici (H.G. Gadamer, E. Levinas, P. Ricoeur...) e reso utilizzabile dalle «teologie bibliche»
dell’AT e NT e dalle specifiche riflessioni di ordine spirituale e antropologico (E. Bianchi, B. Forte,
A.J. Heschel, C.M. Martini, S. Quinzio, GF. Ravasi...)) (4) La Bibbia va incontrata in quanto
deposito di un ricco e prestigioso linguaggio espressivo.
È tipico della grande letteratura coniugare strettamente quello che dice con
il come lo dice. Alla Bibbia, per la sua antichità e diffusione mondiale, viene
riconosciuto il pregio di un linguaggio affascinante del tutto omogeneo al
contenuto, mediazione essenziale al messaggio. Tale sono le grandi scelte del
racconto, del simbolo, del linguaggio figurato come le parabole, delle riletture...,
in una parola dei generi letterari adoperati. Si può considerare la più grande
eredità linguisticoreligiosa dell’umanità, con evidenti effetti postbiblici nell’area del
pensiero, della poesia, della narrazione (CEI, 1995).(Qui l’approccio si situa a livello di
esegesi del testo. Ma meriterebbe un’attenzione specifica come hanno fatto E. Auerbach, N. Frye,
L.A. Schoekel, D. M. Turoldo.) A queste quattro funzioni che sono proprie della Bibbia
nella scuola, va aggiunta una quinta che ha una sua rilevanza peculiare dal
punto di vista culturale: la Bibbia come libro dei credenti.
(5) La Bibbia va incontrata in quanto è fonte teologica o di fede della religione
ebraica e cristiana.
Chiaramente non si intende proporre la Bibbia da credenti, secondo le
dinamiche partecipative proprie della fede, ma venire a conoscere come i
credenti intendono la Bibbia, cioè nella logica che deriva dalla Rivelazione e nel
contesto della fede della comunità dei cristiani, facendo questo percorso secondo
Capitolo 13 pag. 190/191
un procedimento specificamente scolastico, accostando cioè come oggetto
culturale la stessa fede dei credenti. Che lo meriti, basta ricordare che la Bibbia
è il libro più diffuso al mondo perché due religioni lo condividono e lo diffondono,
ebraismo e cristianesimo. È grazie soprattutto ad esse che la Bibbia esprime i
valori di fonte sopra enunziati, cui si connette, come motivo causante, questa
comprensione teologica della Scrittura intesa, accolta e vissuta come Parola di
Dio, con una straordinaria ricchezza speculativa ed operativa, in campo etico,
spirituale, artistico...
(PCB, 1993; CEI, 1995; Maggioni, 2001). (Su questo livello si pongono i pronunciamenti
di chiesa, tra cui Dei Verbum del Vaticano II, la riflessione teologica sulla Bibbia, l’uso liturgico, la
pratica pastorale e segnatamente la Lectio Divina.
Testi di riferimento sono da attingere da tali aree).
a. Possedere le nozioni di base della Bibbia come documento che è alle origini
della religione ebraica e del movimento cristiano.
Ciò comporta:
– Conoscere i tratti essenziali del mondo storico-geografico-culturale di Israele, di
Gesù, degli inizi della Chiesa.
– Possedere informazioni elementari ma aggiornate sulla Bibbia come letteratura,
particolarmente la varietà dei generi letterari e la genesi della Torah o Pentateuco
e dei Vangeli.
– Acquisire una comprensione del messaggio della Bibbia nelle grandi linee: il
modo di leggere e di esprimere l’esperienza da parte dell’uomo biblico; la genesi
e formazione del credo religioso; lo schema della historia salutis; termini-chiave
dell’intelligenza biblica della realtà (promessa, alleanza, regno, esodo...).
f. Sapere gli elementi che caratterizzano una lettura credente della Bibbia.
Ciò comporta:
– Riconoscere i tratti costitutivi l’incontro di fede con la Bibbia e sapervi darne le
ragioni motivate dalla stessa Bibbia.
– Sapere del rapporto tra Bibbia e movimento ecumenico dalla Riforma
protestante ai nostri giorni.
Capitolo 13 pag. 194/195
– Distinguere la comprensione ebraica e cristiana delle Scritture.
– Riconoscere identità e differenza tra i Libri Sacri delle grandi religioni.
12. CONCLUSIONE
Più di una volta presentando la componente biblica dei Programmi di IRC
abbiamo percepito negli insegnanti un certo malessere, come di fronte a
qualcosa di eccessivo, di troppo elevato e ancor peggio di estraneo agli interessi
degli alunni. Non si rischia di scadere nel biblicismo, che comprometterebbe
la verità della disciplina medesima, e nell’indifferenza e noia degli allievi? Può
essere un duplice pericolo. Da quanto abbiamo fin qui esaminato ci sembra di
poter concludere così:
b. Quindi la Bibbia gioca il suo ruolo assieme ad altre componenti, come quella
esperienziale, storica, fenomenico-religiosa, che hanno diritto di farsi sentire.
2.4. Appendice
Quali sono i testi biblici più adeguati e significativi nel corso scolastico di
insegnamento religioso? È una domanda legittima, ma la risposta non può
essere che ipotetica, da verificare e da formulare nella propria pratica. Vi sono
però dei «punti di riferimento» che meritano attenzione.
3. È stato cercato di individuare quelli che si possono chiamare testi alti o testi-
guida della Bibbia (Buzzetti, 1999).
Qui proponiamo una serie di testi che riteniamo più significativi per conoscere la
Bibbia nella scuola (non in corsivo i testi più rilevanti).
DALL’ANTICO TESTAMENTO DAGENESI 1–11
• La creazione e la caduta (Gn 1-3) - Caino-Abele (Gn 4); Diluvio ed Arca di Noè con
arcobaleno (Gn 6-9)
DALCICLO DEI PATRIARCHI
• La vocazione di Abramo (Gn 12,1-3) - L’apparizione dei tre a Mambre (Gn 18,1-15)
• Il sacrificio di Isacco (Gn 22,1-19) - Lotta di Giacobbe con l’angelo (Gn 32,23-33)
DALCICLO DELL’ESODO
• Il roveto ardente (Es 3)
• La celebrazione della Pasqua (cf Es 12-13)
• Il passaggio del mare (Es 14)
• Alleanza e tavole della legge sul Sinai (cf Es 19-24) - Le acque di Meriba (Nm 20,1-13)
DALCICLO DELLA CONQUISTA
• L’assemblea di Sichem (Gs 24) - La caduta di Gerico (Gs 6)
DALCICLO DELLAMONARCHIA
• La vocazione di Samuele (1 Sam 3)
• Davide e Golia (1 Sam 17)
• Davide porta l’arca dell’alleanza a Gerusalemme (2 Sam 6) - Il peccato di Davide e il
monito del profeta (cf 2 Sam 11-12)
• Salomone consacra il Tempio di Gerusalemme (cf 1 Re 6-8)
• La caduta di Gerusalemme (2 Re 25)
DALCICLO DEI PROFETI
• La denuncia di Elia contro Acab (1 Re 21) - Elia sull’Horeb incontra Dio (1 Re 19)
• Il libro dell’Emmanuele (Is 7-12)
• Giona: conversione e missione
4. Conclusione
17. Per garantire un reale servizio di IRC compreso alla fonte, superando il
rischio di dispersione in una rassegna superficiale di notizie più o meno curiose
fini a se stesse, si profilano indispensabili alcune indicazioni didattiche: a. È
necessario valorizzare la componente storica nell’approccio alla RC, non
limitandosi alla presentazione logica del tipo «domanda religiosa-risposta
delle religioni – rivelazione ebraico-cristiana – articoli fondamentali del Credo
e della morale cristiana...». Una tale trattazione senza sviluppo storico, rischia
l’irrigidimento formale ed una assolutizzazione concettuale, teologica o
antropologica che sia, che deforma la RC rinchiudendola nella perfezione di
verità astratte. E d’altra parte una pura esposizione storica, senza momenti
di sintesi concettuale organica, espone il dato cristiano ad una comprensione
relativistica, riduttiva ed estrinseca.
La componente storica dell’IRC si inserisce così opportunamente nell’ottica degli
Capitolo 13 pag. 200
obiettivi che la Riforma della scuola propone come strumento per approfondire
la identità propria e collettiva, segnatamente quella dell’Italia e dell’Europa (v.
sopra n. 4). E con un contributo certamente ricco ed interessante. Il dialogo
interdisciplinare con la storia diventa una proposta sollecitante.
b. Trattare di documenti storici in funzione dell’IRC richiede evidentemente
conoscenze adeguate, onestà intellettuale e competenza pedagogica e didattica,
mancando le quali si cade nella falsificazione manipolatoria o in percorsi noiosi.
Si tratterà dunque di fare una scelta con cura dei contenuti, di portare ad una
effettiva conoscenza del documento (biblico), sapendolo leggere e spiegare,
di evidenziare il valore intrinseco delle fonti per la religione cattolica che si va
studiando, e più ampiamente, e di riflesso, per la cultura dell’uomo (alunno) di
oggi.
Indicazioni bibliografiche
pag. 203
CAPITOLO 14
GLI OBIETTIVI
Lucillo Maurizio
1. Il quadro generale
Per molti docenti singoli e per i collegi, nelle loro varie articolazioni, di consigli
di classe, di coordinamenti per discipline, la definizione degli obiettivi costituisce
uno dei passaggi della programmazione educativa e didattica.
Nella nostra pratica didattica italiana la programmazione si è imposta negli anni
’70 in concomitanza con la pubblicazione dei decreti delegati (1974).
La programmazione fu sentita come esigenza di applicare anche alla scuola
la rigorosa metodologia dell’organizzazione della produzione e del lavoro che
aveva caratterizzato l’attività industriale dall’inizio del XX secolo.
I due riferimenti classici sono: «L’organizzazione scientifica del lavoro» di
Frederic W. Taylor del 1903 e «La teoria dell’amministrazione generale d’impresa
» di Henri Fayol del 1920.
Apartire, dunque, dagli anni ’70 si impone il convincimento che anche la scuola
è un’attività produttiva, che deve essere considerata con gli strumenti della
razionalità al fine di ottenere un risultato oggettivamente misurabile e valutabile.
Si abbandona, dunque, una comunità di insegnamento e di apprendimento
basata sul rapporto e sulle doti personali di un insegnante che soggettivamente
impartisce un insegnamento e valuta l’apprendimento in base alla propria
sensibilità ed esperienza, senza dichiarare esplicitamente gli elementi oggettivi di
Capitolo 14 pag. 205
risultati e di prestazioni.
Si passa ad una programmazione che si configura come progetto razionale, che
definisce che cosa si deve apprendere, quali abilità devono essere conseguite,
quali relazioni educative devono essere instaurate.
Il tutto viene tradotto in termini oggettivi, che risultino osservabili, misurabili,
valutabili.
Programmare per obiettivi comporta una nuova impostazione, che è mentale e
culturale, e che si deve tradurre in operazioni esplicite, dichiarate, pubblicate.
Dal punto di vista sociologico è un altro dei classici passaggi da uno stile di vita
comunitario (Gemeinschaft) ad uno stile societario (Gesellschaft), con i vantaggi
e con gli svantaggi che tutto ciò comporta, sia in termini relazionali e produttivi,
che in rapporto alla condizione tipica e unica dell’età evolutiva.
L’attività didattica, concepita come processo di produzione, meglio, di
riproduzione del sapere, del saper fare, del saper essere, non può che essere
programmata, definendo qual è la sua funzione, quali risultati si prefigge di
ottenere, come li può verificare in termini di raggiungimento, come li può rendere
socialmente plausibili.
Ma una simile operazione pone il problema di chi decide e determina quale
dev’essere il processo didattico.
Il più recente cammino di riforma complessiva del sistema educativo di istruzione
e di formazione ha posto l’accento su due aspetti:
– la centralità della persona nel processo di apprendimento
– e la spendibilità sociale della formazione acquisita.
1.1. Il rispetto dei limiti dell’età evolutiva La scuola tradizionale spesso offre un
sapere codificato e sistematizzato nel tempo e frutto della ricerca di studiosi
di elevata specializzazione, espresso in un linguaggio rigoroso e adatto alle
capacità di analisi e di sintesi proprie di una persona adulta.
Didatticamente questo sapere si traduce in un programma disciplinare da
insegnare agli studenti e che essi devono apprendere.
Il rispetto dei ritmi dell’età evolutiva comporta una programmazione della
didattica che faccia propri gli stili e i gradi dell’apprendimento cognitivo e lo
sviluppo degli strumenti espressivi corrispondenti ai diversi stadi della crescita e
alle diverse intelligenze, motivazioni, stimolazioni di cui ciascuno può godere.
1.3. Le scelte educative delle famiglie e la cooperazione tra scuola e genitori Per
quanto riguarda le scelte della famiglia, si presume che esse siano di carattere
valoriale. In altre parole si tratta di tenere presente a quali valori la famiglia crede
e come essi possano essere promossi dall’apprendimento scolastico oppure
come possano essere messi in crisi senza creare traumi affettivi e conflittualità
tra famiglia e scuola.
La cooperazione tra scuola e famiglia comporta:
– da parte della scuola la conoscenza del livello culturale che la famiglia offre e
la considerazione e l’apprezzamento che la famiglia ha nei riguardi della scuola
stessa;
– da parte della famiglia la conoscenza della natura della scuola e del contributo
che essa può dare a vari livelli educativi.
Da quanto detto, si desume che l’istituzione pubblica (nel nostro caso: lo Stato,
le regioni e le province autonome) si assume il compito di stabilire obiettivi
generali per due ragioni, una di livello pratico contingente ed una di livello più
ideale.
La ragione pratica consiste nel fatto che istruzione e formazione siano spendibili
in un’area vasta, data oggi dal contesto italiano ed europeo (Legge 53 art.
1 c. 1).
La seconda ragione (ideale) consiste nel garantire e promuovere una identità
culturale nazionale, che per molte forme di manifestazioni non sembra per nulla
scontata (Legge 53 art. 2.1.b.).
Nel caso dell’IRC, tuttavia, si deve rilevare che esso rientra in una fattispecie
particolare: quella individuata dall’Accordo di revisione del Concordato, stipulato
il 18.02.1984.
L’art. 9, c. 2 contiene tre affermazioni:
– il riconoscimento del «valore della cultura religiosa»; – «i principi del
cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano »;
– l’insegnamento della religione cattolica rientra «nel quadro delle finalità della
scuola».
Il Protocollo addizionale al n. 5 parla di «insegnamento della religione cattolica...
in conformità alla dottrina della Chiesa».
La Legge applicativa è stata frutto di un’Intesa tra il Ministero della P.I. e la CEI
ed è stata firmata il 14.12.1985. Essa dichiara al n. 1 che i programmi – «devono
essere conformi alla dottrina della Chiesa e – collocarsi nel quadro delle finalità
della scuola».
La CEI si è tempestivamente attivata ed ha prodotto nuovi programmi, che sono
stati pubblicati tra il 1985 e il 1987 con DPR.
Capitolo 14 pag. 208/209
Al concretizzarsi di un disegno complessivo di riforma di tutto il sistema
scolastico e della formazione professionale, la CEI, d’intesa col Ministero della
P.I., ha dato vita ad una «Sperimentazione negli anni scolastici 1998-99 e
1999-2000 sui programmi di religione cattolica nella prospettiva dell’autonomia
scolastica e di nuovi programmi».
I risultati definitivi sono stati resi noti nell’agosto 2002.
Nella sua elaborazione, la CEI, mi pare, si è mossa sulle seguenti linee.
Dal punto di vista formale è rilevante il continuo riferimento al «quadro delle
finalità della scuola». Questo comporta che l’IRC deve operare nella scuola
con la stessa qualità di presenza delle altre discipline; quindi rientrare nella
metodologia della programmazione, nella quale devono essere dichiarate le
finalità da raggiungere e declinate secondo obiettivi chiari e precisi, verificabili e
misurabili.
Dal punto di vista materiale contenutistico:
– il riferimento obbligante è alla dottrina della Chiesa;
– cui si aggiunge il riferimento al contributo dato dal cattolicesimo al patrimonio
storico italiano, sia per quanto riguarda l’imponente lascito culturale artistico, sia
per quanto concerne i principi valoriali e morali.
Più dettagliatamente, la scuola non può disconoscere che la religione è una
componente dell’esperienza culturale umana universale, non solo occidentale o
italiana.
I campi di sua pertinenza sono:
– il senso dell’esistenza;
– il linguaggio, come interpretazione, come comunicazione, come partecipazione;
– i valori, che reggono la vita personale e collettiva;
– la legittimazione storica di molte istituzioni;
– l’impegno morale.
Certo, in una società e in una cultura laiche e pluraliste non è pensabile
Capitolo 14 pag. 209
l’imposizione di una linea culturale. Tuttavia ogni linea ha il diritto di esistere, di
proporsi, di legittimarsi in base ad una razionalità di argomentazioni.
Per il peso e lo spessore della sua storia, la religione ed il cattolicesimo non
possono non essere riconosciuti come una componente fondamentale della
cultura italiana.
Da queste considerazioni, la CEI ha ricavato un modello di itinerario didattico
che porti all’acquisizione di specifiche «competenze fondamentali».
Esse sono:
– conoscere le fonti del cristianesimo e le sue verità fondamentali;
– saper elaborare e giustificare, secondo l’età, le proprie scelte esistenziali, in
rapporto alla conoscenza della religione cristiana e dei suoi valori;
– saper esporre, documentare e confrontare criticamente i contenuti del
cattolicesimo con quelli di altre confessioni cristiane, delle religioni non cristiane e
di altri sistemi di significato;
– saper entrare in dialogo con chi ha convinzioni religiose o filosofiche diverse
dalle proprie;
– saper riconoscere il contributo della fede in Cristo e della tradizione della
Chiesa al progresso culturale e sociale del popolo italiano, dell’Europa e
dell’intera umanità.
RELIGIONE CATTOLICA
Obiettivi specifici di apprendimento
SCUOLA DELL’INFANZIA
– Osservare il mondo che viene riconosciuto dai cristiani e da tanti uomini religio-
si dono di Dio Creatore.
– Scoprire la persona di Gesù di Nazaret come viene presentata dai Vangeli e come
viene celebrata nelle feste cristiane.
– Individuare i luoghi di incontro della comunità cristiana e le espressioni del co-
mandamento evangelico dell’amore testimoniato dalla Chiesa.
Tenendo
Tenendo conto
conto di quanto
di quanto stabilito
stabilito prescrittivamente,
prescrittivamente, vengono
vengono proposti
proposti alcuni
alcuni
suggerimenti per la programmazione concreta dell’insegnante.
suggerimenti per la programmazione concreta dell’insegnante.
PerPer stabilire gli obiettivi
stabilire delledelle
gli obiettivi attività educative
attività relative
educative all’IRC
relative nella Scuola
all’IRC nella Scuola
dell’Infanzia sarà necessario tenere conto dei seguenti
dell’Infanzia sarà necessario tenere conto dei seguenti aspetti: aspetti:
––non nonè possibile
è possibileprescindere
prescinderedaldalcontesto
contestoesperienziale
esperienziale delle
delle bambine
bambine ee deidei bam-
bambini
bini da tre a sei anni, per cui l’esperienza costituirà il punto di partenza didiogni
da tre a sei anni, per cui l’esperienza costituirà il punto di partenza
ogniattività
attivitàdidattica,
didattica,che
chedovrà
dovràcondurre
condurreall’osservazione
all’osservazionedelladellaloro
loro realtà
realtà per
perco-
cogliere in essa aperture alla curiosità, all’esplorazione, all’interrogazione, allo
gliere in essa aperture alla curiosità, all’esplorazione, all’interrogazione, allo
stupore, all’ascolto del racconto-spiegazione;
stupore, all’ascolto del racconto-spiegazione;
– il linguaggio non può che essere concreto: le astrazioni sono improponibili, in
– il linguaggio non può che essere concreto: le astrazioni sono improponibili, in
quanto letteralmente il bambino/a non è in grado di concettualizzare in modalità
quanto letteralmente il bambino/a non è in grado di concettualizzare in moda-
Capitoloastratte;
lità 14 pag. 212
astratte;
– il mondo familiare di provenienza rappresenta anche l’orizzonte dell’esperienza
e il riferimento affettivo per la sicurezza della persona del bambino/a come
individuo/a;
– il bambino/a è disponibile alla scoperta e alla meraviglia;
– esso/a si apre gradualmente al rapporto con i pari età.
Un accorgimento.
Si può partire dai perché dei bambini/e per sviluppare una esplorazione del
vissuto.
Bisogna, tuttavia, mettere in evidenza che i perché dei bambini non sempre
sono posti per il desiderio di sapere, e, quindi, di avere una risposta di carattere
cognitivo, ma spesso costituiscono una richiesta di attenzione o, addirittura, si
configurano come forma di esibizione.
Di conseguenza, più che favorire i perché spontanei, l’insegnante, attraverso
l’invito all’osservazione e attraverso il racconto, suscita la domanda che egli
ritiene didatticamente importante.
Ciò posto i possibili obiettivi sono i seguenti.
Obiettivo 1 Con l’osservazione della natura il bambino/a sia in grado di provare
la sensazione di stupore e di meraviglia.
Obiettivo 2 Il bambino/a osservando la propria crescita sia in grado di cogliere la
vita come continua novità.
Obiettivo 3 Il bambino/a riconosca e conosca gli eventi che riguardano Gesù,
l’attesa, il Natale, Pasqua.
Obiettivo 4 Il bambino/a riconosca alcuni segni della vita religiosa: chiesa edificio,
preghiera, presepe, celebrazioni liturgiche.
Obiettivo 5 Sviluppare atteggiamenti di ringraziamento e di lode, che possono
portare a comprendere il significato della preghiera.
Obiettivo 6 Essere capaci di vivere con gli altri, nel rispetto di alcune regole di
Capitolo 14 pag. 212/213
comportamento stabilite in base a valori.
RELIGIONE CATTOLICA
Obiettivi specifici di apprendimento
SCUOLA PRIMARIA
CLASSE 1a
– Dio Creatore e Padre di tutti gli uo- – Scoprire nell’ambiente i segni che ri-
mini. chiamano ai cristiani e a tanti creden-
– Gesù di Nazaret, l’Emmanuele «Dio ti la presenza di Dio Creatore e Padre.
con noi». – Cogliere i segni cristiani del Natale e
– La Chiesa, comunità dei cristiani della Pasqua.
aperta a tutti i popoli. – Descrivere l’ambiente di vita di Gesù
nei suoi aspetti quotidiani, familiari,
sociali e religiosi.
– Riconoscere la Chiesa come famiglia
di Dio che fa memoria di Gesù e del
suo messaggio.
Capitolo 14 pag. 213/214
di Dio che fa memoria di Gesù e del
suo messaggio.
CLASSE 2a E 3a
– L’origine del mondo e dell’uomo nel – Comprendere, attraverso i racconti
cristianesimo e nelle altre religioni. biblici delle origini, che il mondo è
– Gesù, il Messia, compimento delle opera di Dio, affidato alla responsa-
promesse di Dio. bilità dell’uomo.
– La preghiera, espressione di religio- – Ricostruire le principali tappe della
sità. storia della salvezza, anche attraver-
– La festa della Pasqua. so figure significative.
– La Chiesa, il suo credo e la sua mis- – Cogliere, attraverso alcune pagine
sione. evangeliche, come Gesù viene in-
contro alle attese di perdono e di pa-
ce, di giustizia e di vita eterna.
– Identificare tra le espressioni delle re-
ligioni la preghiera e, nel «Padre No-
stro», la specificità della preghiera
cristiana.
– Rilevare la continuità e la novità del-
la Pasqua cristiana rispetto alla Pa-
squa ebraica.
– Cogliere, attraverso alcune pagine
degli «Atti degli Apostoli», la vita del-
la Chiesa delle origini.
– Riconoscere nella fede e nei sacra-
menti di iniziazione (battesimo-con-
fermazione-eucaristia) gli elementi che
costituiscono la comunità cristiana.
Le Le
considerazioni
considerazioni cheche
seguono,
seguono,nelnel
rispetto delle
rispetto disposizioni
delle disposizionidi cui sopra,
di cui sopra, vo-
vogliono offrireun
gliono offrire uncontributo
contributoalla
allamediazione
mediazionedidattica.
didattica.
La scuola primaria (elementare) abbraccia il periodo della fanciullezza, che
generalmente è caratterizzato
La scuola primaria da unaabbraccia
(elementare) crescita abbastanza tranquilla,
il periodo della sempre che
fanciullezza,
legata all’ambiente
generalmente familiare, ma
è caratterizzato da anche caratterizzata
una crescita abbastanzadall’acquisto
tranquilla,disempre
una lega-
crescente autonomia.
ta all’ambiente familiare, ma anche caratterizzata dall’acquisto di una crescente
L’attività didattica può svolgersi tranquillamente e senza contestazioni
autonomia.
significative
L’attivitàche mettano
didattica puòinsvolgersi
difficoltà.tranquillamente e senza contestazioni signi-
L’entrata in questo ordine di
ficative che mettano in difficoltà. scuola comporta un graduale e progressivo
approccio ad un’attività didattica organica, che ha di mira l’acquisizione di alcuni
saperi 215
Per quanto concerne l’IRC, saperi e competenze riguardano i seguenti nuclei di
contenuto:
– ricerca della verità che dà senso all’esistenza umana;
– confronto con i grandi perché della vita;
– analisi delle risposte offerte dalla religione cristiana, dalle altre religioni, dalle
diverse visioni della vita;
– conoscenza della storia della salvezza contenuta nella Bibbia;
Indicazioni bibliografiche
IL SAPERE RELIGIOSO
Zelindo Trenti
L’intero mondo della tecnica porta una singolare suggestione: sollecita alla
ricerca, sostiene la fatica dell’esplorazione nella fiducia, legittima, di trovare la
soluzione: di svelare il segreto.
Ma quando la domanda dalle cose si porta sull’esistenza e si interroga sulla vita
– sulla mia vita – perché la vivo qui e ora, perché all’inizio del secondo millennio
invece che all’inizio del primo.
Chi l’ha deciso, cosa si aspetta? Si aspetta qualcosa – con che diritto? Ho
dei doveri nei suoi riguardi? Posso rifiutarmi: ne ho il diritto? C’è un margine di
responsabilità che compete a me – a me solo? E le domande non finiscono mai.
La religione con queste e simili domande non ha cessato di confrontarsi: talora
vi ha dato risposte illuminanti o indicazioni decisive a cercarle nella direzione
giusta.
Il mistero è la casa dell’uomo: non l’ha inventato lui; né sarà lui ad eliminarlo.
Certo precisamente in quanto radicato nell’esistenza l’ha avvertito; come
capacità illimitata di domanda, ne ha subito la suggestione e ne ha intrapreso
l’esplorazione.
La morte è il limite contro cui ogni progetto umano s’infrange.
Una lettura corretta dell’esistenza manifesta risvolti non riducibili al progetto
terreno o alla spiegazione che la ragione è in grado di offrire.
Lo sguardo più acuto e penetrante oltre questo progetto terreno verso un
orizzonte alternativo è da sempre l’oggetto della ricerca religiosa. L’attesa e
la speranza che la religione ha interpretato e contemporaneamente suscitato
costituiscono un patrimonio prezioso che la scuola ha il compito di verificare.
Anche tenendo nel debito conto perentorie valutazioni dei cultori della ricerca
religiosa. Nota un grande studioso della religione: «Il più sicuro sostegno, la
suprema dignità, la maggiore ricchezza, la più perfetta serenità di un uomo si
fondano sulla religione, cioè sul rapporto con la realtà ultima e più profonda»
(Heiler, 1985, 9).
L’affermazione trova nella cultura attuale indicazioni di segno contrario: sull’onda
dell’ideologia la religione è spesso considerata con sospetto, accusata di alienare
e illudere.
Resta il fatto che la religione accompagna il cammino dell’uomo e lo sostiene in
quel confronto mai risolto con il mistero che l’avvolge, con il destino che l’attende.
Osserva Nietzsche: «Per indovinare e per stabilire ciò che fino ad oggi vi
sia stato nell’anima degli homines religiosi, al fine di tracciare una storia del
problema della scienza e della coscienza, si dovrebbe forse essere così profondi,
così rassegnati, così portentosi come lo fu la coscienza intellettuale di Pascal;
e tuttavia sarebbe sempre necessario quel vasto cielo di chiara, avveduta
spiritualità, che dall’alto sapesse calcolare, ordinare e costringere in formule un
tale brulichio di eventi pericolosi e dolorosi» (Nietzsche, 1968, 68-69).
I temi fondamentali dell’esistenza trovano nella sensibilità e nella ricerca
religiosa una delle matrici illuminanti. Per quanto le tracce lungo le quali la sua
incidenza sui processi di maturazione personale e di evoluzione socio-culturale
si iscrivano in forme imprevedibili, secondando situazioni diverse e spesso
incomparabili.
In ogni caso interessa rilevare quale presenza abbia la religione nel nostro
contesto, metterne in luce le radici, identificare i punti di forza e di debolezza che
sottende; prendere in analisi seria i temi fondamentali che richiama e verificare
Capitolo 15 pag. 224/225
con rigore le elaborazioni che propone. A questo compito è chiamata la scuola;
su questo fronte è difficilmente sostituibile.
Una scorsa rapida ai Programmi del 1987 offre conferma della chiara
consapevolezza che il legislatore assume dello spazio specifico del sapere
religioso.
Qualche stralcio dal dettato più esigente circa i nuclei tematici della scuola
secondaria superiore è dimostrativo.
«A - IL PROBLEMARELIGIOSO – I grandi interrogativi dell’uomo che suscitano
la domanda religiosa: il senso della vita e della morte, dell’amore, della
sofferenza, della fatica, del futuro... ...
E - IL PROBLEMAETICO – I tratti peculiari della morale cristiana in relazione
alle problematiche emergenti:
• una nuova e più profonda comprensione della coscienza, della libertà, della
legge, dell’autorità;
• l’affermazione dell’inalienabile dignità della persona umana, del valore della vita,
dei diritti umani fondamentali, del primato della carità...» (Notiziario, 16 [1987] 3-
4).
Naturalmente l’esercizio concreto nell’aula comporta uno scarto, magari notevole
Capitolo 15 pag. 230
e angustiante dovuto a fattori molteplici anche di impianto organizzativo della
disciplina.
L’ultima ricerca nazionale a dieci anni di distanza dalla revisione degli accordi
concordatari ha documentato la misura della rispondenza ai programmi nello
svolgimento dei contenuti.
«La fedeltà piena (“molto”) al programma ufficiale dell’IRC passa dal 60% circa
delle maestre specialiste, alla metà degli IdR della SMI, al 40% di quelli del
biennio, ad appena il 15,8% degli IdR del triennio. L’andamento opposto, come
era da aspettarsi, si riscontra a proposito delle integrazioni al programma in
quanto la percentuale di chi ha ritenuto opportuno farle, cresce dalla metà delle
specialiste, al 60% degli IdR della SMI, fino ai tre quarti di quelli della SSS;
l’integrazione, poi, avviene preferibilmente su problematiche esistenziali, morali
e di attualità. Inoltre, la contrattazione con gli alunni aumenta da neppure il 15%
segnalato dalle specialiste, a più del 40% nella SMI, sino al 60% degli IdR del
triennio (mentre nel biennio si riscontra una leggera attenuazione del fenomeno,
35%); gli studenti lo sottolineano nel 70% dei casi...
Il complesso dei dati evidenzia un’accoglienza soddisfacente dell’IRC; tuttavia,
tale risultato positivo viene raggiunto a condizione di muoversi su una base
concordata di argomenti e di trattarli in modo dialogico. Se i risultati vengono
esaminati secondo una linea evolutiva, si nota che l’iniziale adesione allo stile
scolastico nella media e nel biennio viene gradualmente sostituita nel triennio da
uno stile che sa di animazione.
L’IdR si adegua ai dettami dell’impostazione curricolare finché gli è possibile.
Successivamente e man mano che lo studente acquisisce possibilità di
decisione autonoma, ricorre sempre di più alla contrattazione e tende a
privilegiare gli aspetti esistenziali e morali piuttosto che religiosi» (Malizia-Trenti,
1996, 297-298).
La ricerca documenta le tematiche preferite nell’esercizio didattico concreto e
Capitolo 15 pag. 230/231
rileva anche lo stile e il clima dell’analisi che l’insegnante è in grado di proporre
nella scuola.
Concludendo
Indicazioni bibliografiche
I METODI
Roberto Romio
Si sta chiudendo con la prossima approvazione dei decreti attuativi della legge n.
53 lo sforzo di dettare le nuove regole del rinnovamento della scuola italiana.
Questo grande sforzo è stato determinato dal tentativo di superare alcune
gravi carenze della didattica tradizionale fondata su modelli cognitivi «inattuali,
sfasati e senescenti», su un’istruzione riproduttiva, mnemonica, enciclopedica,
nozionistica e dunque improduttiva, ed infine su un profilo individualistico-
privatistico.
La scuola, che ancora oggi viviamo, trasmette spesso un sapere immutabile ed
infrangibile lontano dai fermenti esistenziali, frantumato «in materie scollate e
gerarchizzate, spesso in conflitto epistemologico» e prive di relazioni reciproche
(Frabboni, 2001, 126-128).
La riforma prende atto, innanzitutto, della crisi del modello tradizionale scolastico
Capitolo 16 pag. 239
centralista e della perdita del primato educativo della scuola inserita, oggi, in un
sistema educativo complesso che va dall’educazione formale (Stato, Regioni,
Enti locali), a quella non formale (volontariato, istituzioni varie, ecc.), a quella
informale (mezzi di informazione e comunicazione, manifestazioni sociali, ecc).
L’ipotesi della riforma è l’integrazione tra i vari sistemi all’interno di quello formale
e l’integrazione, nel sistema formale, dell’istruzione e formazione.
Integrazione che si realizza attraverso il riconoscimento nell’intero sistema dei
debiti e dei crediti custoditi nel portfolio delle competenze.
A livello didattico la Riforma pone fine alla stagione dei programmi rigidi e
centralisti e a quella della programmazione curricolare che declina il nazionale
nel locale. Essa dispone la gestione diretta ed in prima persona dell’istituzione
scolastica locale da parte del «capitale sociale» (famiglie, studenti, territorio)
anche se all’interno di una direzione nazionale del sistema educativo.
Ma il cambiamento fondamentale voluto dalla riforma è la traduzione, in
scelte metodologiche concrete, della centralità dell’alunno nel processo di
insegnamento-apprendimento. Un sistema educativo centrato sulla domanda
educativa dell’alunno e non più sui programmi. Tale centralità si traduce nella
costruzione dei «Piani di studio personalizzati» e del «Portfolio delle competenze
individuali » per ciascun alunno.
Lo Stato non elabora più, allora, i programmi ma:
– il «Profilo educativo, culturale e professionale» dello studente,
– le «Indicazioni nazionali», con carattere prescrittivo,
– le «Raccomandazioni», con carattere orientativo, per guidare l’attuazione delle
«Indicazioni nazionali».
Le «Indicazioni nazionali» esplicitano i livelli essenziali di prestazione che tutte le
istituzioni scolastiche del sistema educativo nazionale di istruzione e formazione
sono tenute ad assicurare. Esse contengono, obbligatori per tutti i docenti:
– gli «obiettivi generali» del processo formativo
Capitolo 16 pag. 240
– gli «obiettivi specifici di apprendimento» (Osa), espressi in termini di
conoscenze, abilità e competenze.
Gli Osa guidano la progettazione delle «Unità di Apprendimento», l’insieme delle
quali va a costituire i «Piani di Studio Personalizzati».
Il «Piano di Studio Personalizzato» è costituito dalle «Unità di Apprendimento
» predisposte dai docenti per ciascun allievo, dopo aver individuato insieme allo
studente ed alla sua famiglia i punti di forza, di debolezza e le prospettive di
approfondimento e di recupero. Esso può essere costantemente aggiustato sui
risultati dello studente al fine di promuovere la sua piena realizzazione.
Le «Unità di Apprendimento» si strutturano negli obiettivi formativi, le attività,
i metodi, le soluzioni organizzative previste per trasformare gli obiettivi in
competenze individuali ed infine le modalità di verifica e valutazione delle
competenze raggiunte.
Il «Portfolio delle competenze individuali» è una «collezione strutturata,
selezionata e commentata-valutata dei materiali prodotti dall’allievo che
consentono di conoscere il livello delle competenze e la pertinenza degli
interventi didattici adottati». Accompagna lo studente nel suo percorso
di maturazione e verrà utilizzato per la ricerca di lavoro, la riconversione
professionale e la formazione continua. Il Portfolio comprende una sezione per
la valutazione, una per l’orientamento e contiene i materiali prodotti, le prove
scolastiche, le osservazioni dei docenti e della famiglia, i commenti sui lavori
più significativi, indicazioni che emergono dalla osservazione sistematica del
percorso formativo.
La figura di riferimento in tutto il processo educativo è il «docente coordinatore-
tutor» a cui vengono affidati i singoli allievi, in un numero corrispondente alla
classe, che egli seguirà per l’intera durata del periodo formativo. Il tutor ha
una funzione di guida e stimolo (coaching), di sostegno affettivo (holding) e di
consiglio (counselling). Suo compito è quello di: rendere consapevole lo studente
Capitolo 16 pag. 240/241
e la famiglia degli obiettivi terminali e intermedi del ciclo, illustrare i contenuti,
tempi e modalità previsti, consigliare orari e programmi di lavoro. Egli progetta,
nell’ambito del POF, insieme ai colleghi, all’alunno ed alla famiglia, tenendo
presenti le indicazioni nazionali, il percorso formativo dell’allievo che si realizzerà
attraverso la sua partecipazione ad un «gruppo classe» ed ai «laboratori».
Per «gruppo classe» si intende la classe tradizionale cioè un gruppo numeroso
di allievi chiamato a svolgere insieme attività prevalentemente omogenee ed
unitarie. Mentre per «laboratorio» si intendono gruppi di livello, di compito ed
elettivi, trasversali ai gruppi classe (Sandrone Boscarino, 2003, 7-14).
Dopo il primo biennio della scuola primaria il «laboratorio» diviene il luogo
privilegiato dell’apprendimento in cui vengono svolti, in una dimensione operativa
e progettuale che mobiliti l’intero sapere, compiti unitari e significativi per l’alunno.
In esso si scopre la complessità e l’unità del reale, si sviluppa la relazione
interpersonale e la collaborazione, si percorre un itinerario di lavoro che integra
tutti gli ambiti della persona (teoria e prassi, esperienza e riflessione, corporeo e
mentale, emotivo e razionale, ecc.).
Tutte queste indicazioni metodologiche, a volte così dettagliate, subiranno nei
prossimi anni degli aggiustamenti e probabilmente, come è già accaduto, degli
stravolgimenti, ma le linee portanti rimarranno nel tempo poiché traducono
orientamenti che, da anni, tutto il sistema scolastico nazionale ed internazionale
aveva individuato e codificato nei suoi documenti principali, basti per tutti
vedere il rapporto sull’educazione dell’UNESCO (Delors, 1997). Possiamo
individuare i seguenti orientamenti metodologici fondamentali generalmente da
tutti riconosciuti: la centralità nel processo di insegnamento-apprendimento del
soggetto che apprende, la localizzazione delle istituzioni educative con l’apertura
al contesto che le circonda, l’accoglienza delle problematiche emergenti dal
vissuto esistenziale e dall’attualità, la essenzializzazione dei contenuti con la
ridefinizione di una nuova enciclopedia dei saperi, il superamento degli steccati
Capitolo 16 pag. 241
disciplinari verso un sapere unitario più vicino alla realtà, l’apertura ai nuovi
linguaggi, non solo multimediali, la costruzione di un sistema educativo integrato
per un’educazione permanente che duri tutta la vita.
Il secolo XXI si è aperto con queste domande educative, che ci
accompagneranno nei prossimi decenni ed alle quali la didattica dovrà dare una
risposta metodologica, nel suo continuo aggiustamento, sempre più adeguata.
J.B. Block, H.E. Efthim e R.B. Burns costatando i deludenti risultati educativi
della scuola americana sono stati spinti a proporre una serie di attività
didattiche pratiche e individualizzate per raggiungere il successo educativo.
Ogni due settimane gli studenti che incontrano difficoltà ricevono un’istruzione
supplementare più personalizzata, mentre quelli che progrediscono hanno
un’istruzione arricchente. Dopo questa correzione e arricchimento tornano tutti al
corso di studi.
Gli insegnanti hanno quattro compiti: definire, pianificare, insegnare, valutare
il possesso effettivo di un contenuto o processo. Per definire il possesso vanno
identificati gli standard in base ad alcuni valori universalmente riconosciuti.
La pianificazione può essere prereattiva, nel periodo di corso, nell’unità di
apprendimento, nella lezione o segmento di lezione. Nell’attuazione del processo
di insegnamento è necessario svolgere quattro attività fondamentali: orientare
gli studenti, applicare il piano programmato, controllare come il piano si sviluppa,
prendere le decisioni derivate dal controllo. Nella valutazione gli insegnanti
devono tener presente di: verificare ciò che gli studenti hanno veramente
appreso, tradurre i dati in voti significativi per gli studenti, considerare il ritmo
individuale di apprendimento (Comoglio, 1998, 373-435).
Si può concludere che non esiste un metodo efficace in tutte le situazioni. Per
questo l’IdR dovrà possedere una adeguata preparazione metodologica di
base accompagnata da una ricca esperienza di metodi da applicare nel corso
dell’attività didattica. La varietà dei metodi è nata proprio dalla necessità di dare
risposta alle esperienze quotidiane degli insegnanti impegnati a perseguire
determinati obiettivi didattico-pedagogici nelle più varie condizioni di lavoro.
Capitolo 16 pag. 251/252
7. Alcuni modelli di programmazione
Questo modello, formalizzato agli inizi degli anni ’80 da P. Zanelli in seguito
ad una ricerca nella scuola materna ed elementare, concepisce lo «sfondo
integratore » come una modalità per sostenere i processi di «autoorganizzazione
cognitiva degli alunni». Lo sfondo è la struttura che connette la nostra esperienza
del reale attraverso regole condivise, un’organizzazione dei materiali e delle
Capitolo 16 pag. 253
istituzioni.
Con la creazione dello sfondo si cerca di «perturbare» il quadro cognitivo
dell’alunno per costringerlo a nuove sperimentazioni e costruzioni del conoscere.
Nel nuovo scenario maturano le conoscenze, i processi di integrazione e la
percezione di sé, della realtà e degli altri. Vi sono due accezioni di sfondo: lo
sfondo istituzionale che consiste nella particolare organizzazione del contesto
e lo sfondo narrativo-semantico che è il tessuto connettivo che conferisce
legami di senso all’esperienza. In una prospettiva coevolutiva, docenti e alunni
riorganizzano in un itinerario aperto i vari elementi del sistema (spazi, materiali,
arredi, tempi, tecniche, contenuti, relazioni, competenze, ecc.). Gli eventi
imprevisti e la complessità delle situazioni sono accolti nella programmazione
come potenzialità educative evolutive che dinamizzano il percorso creando
interesse e partecipazione.
Lo sfondo narrativo con il punto costante di riferimento nel monotema dà
continuità e unità alle varie attività. Nella sua «struttura organizzata ma non
totalmente prevedibile» si manifesta concretamente la programmazione e si dà
agli studenti il senso del loro percorso formativo. La programmazione non è gia
scritta ma si costruisce in collaborazione sotto la regia dell’insegnante, ma anche
con la partecipazione degli allievi (Zuccari, 1997, 80-83).
7.6. La post-programmazione
8. Conclusione
I metodi non sono fine a se stessi, ma vengono elaborati per dare risposte alle
problematiche che emergono dai diversi contesti educativi. A perno di tutto c’è
sempre la persona dell’allievo che deve essere accompagnato nel suo sforzo
di piena realizzazione. Si deve sempre evitare sia la rigidità applicativa sia la
superficialità acritica che segue le mode del momento. I metodi devono essere
conosciuti e sperimentati dagli educatori, ma la loro funzione è solo quella di
contribuire alla ricerca e all’individuazione di soluzioni coerenti, ragionevoli e
Capitolo 16 pag. 255
praticabili nella particolarità dei contesti educativi.
In questo capitolo si è voluto solo disegnare un limitato scenario dei metodi
educativi per offrire un’idea della complessità di questa area ed insieme
della necessità di dare più rilievo nella formazione degli IdR all’aspetto della
metodologia educativa. Le indicazioni che sono state date risultano insufficienti
sul piano operativo, ma sono un primo passo nella selezione di quel personale
spazio di ricerca che dovrà accompagnare costantemente gli IdR lungo tutto
l’arco della loro professione.
Indicazioni bibliografiche
1. La programmazione
Con la legge 59/1997 (art. 21) il sistema scolastico italiano è entrato in una
nuova fase denominata di «autonomia scolastica funzionale» che equivale alla
riorganizzazione, a diversi livelli, dell’intero sistema formativo.
In modo particolare, nella fase attuale, bisognerà fare molta attenzione al POF,
che a livello di programmazione educativa e didattica rappresenta un centro
unitario di energie, di risorse, di progettazioni, e di azioni per tutti i docenti. Esso
darà la possibilità di programmare l’azione formativa delle diverse discipline e,
quindi, anche dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), in modo nuovo e
situato, cioè legato realmente ai bisogni e alle esigenze del territorio.
Capitolo 17 pag. 257/258
In effetti il POF, come documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale
e progettuale delle istituzioni scolastiche, si configura come un vero e proprio
«luogo» dove si deve pensare, progettare, confrontare idee, ipotesi, realizzazioni,
ma il tutto in una prospettiva di «programmazione» che si esprime nella capacità
di rendere coerenti tutte le scelte, le risposte ai bisogni, gli obiettivi programmati,
di far apparire credibili e verificabili tutti i processi formativi progettati perché sono
realmente il frutto di una progettazione realistica, fattibile e misurabile, di favorire
l’integrazione di tutte le attività formative provenienti dal territorio.
L’IdR deve sapere che dovrà dare il proprio contributo all’interno di questo
strumento unitario; dovrà condividerne e comprenderne la logica di fondo che, in
ultima analisi, poggia su un nucleo portante di ogni azione educativa/formativa: la
persona.
Con lui, tutti gli altri docenti sono chiamati alla progettazione e alla realizzazione
di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della
persona. Questo riconcentrarsi su un nucleo essenziale – la persona – deve
stimolare specie gli IdR a fare una programmazione di interventi formativi
espressivi della particolare visione dell’uomo come immagine e somiglianza di
Dio, poggiata cioè sui veri valori umani.
Il rispetto per la persona umana, per la sua dignità, potrà essere esperibile solo
se egli saprà:
– programmare la sua azione formativa portando a scuola bisogni reali legati alla
domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti.
Per tale aspetto di ricognizione-progettazione, egli già parte da un osservatorio
privilegiato, perché spesso vive nel territorio dove insegna, conosce
personalmente i suoi alunni (molti di loro fanno parte della comunità ecclesiale
che è espressione di una pluralità di offerte formative con le quali la scuola deve
interagire e integrare la propria offerta formativa); legge e interpreta i bisogni del
territorio in atteggiamento di osservatore partecipante, diretto, attento, in modo
Capitolo 17 pag. 258
particolare, alle richieste di significato della vita e della visione del mondo;
– offrire la sua specifica competenza in relazione ad un patrimonio di cultura
(religiosa cristiano-cattolica) che rappresenta ancora il tessuto vivo e vitale
di ogni comunità locale. È in tale ottica di nuova capacità di programmazione
educativa e didattica, parte integrante del POF, che l’IdR dovrà situare la sua
collocazione disciplinare educativo-formativa.
Perciò nella sua programmazione dovranno entrare non solo le caratteristiche
della disciplina IRC (strutturata come materia da insegnare, adattata al ritmo
individuale ed al coinvolgimento e partecipazione degli alunni nel processo di
insegnamento-apprendimento alla verifica delle risposte), ma anche gli elementi
desunti dai vari documenti della riforma offerti dallo Stato e dalla Scuola.
Programmazione didattica designa perciò l’insieme delle attività, a carattere
formale e tecnico, attraverso cui assume concretezza una determinata ipotesi
didattica.
Essa suppone:
– che si abbia una conoscenza analitica del contesto in cui si interviene, sia
per ciò che riguarda le caratteristiche degli allievi, che per quelle riferentisi
all’ambiente-territorio ed alle sue dinamiche socioculturali, ecc.;
– che siano definiti in modo esplicito gli obiettivi (educativi/didattici) del suo
specifico apprendimento. Ciò vuol dire individuare i comportamenti che possono
considerarsi collegati al possesso di determinate abilità e competenze;
– che si precisi la modalità processuale della proposta «insegnamento-
apprendimento », quali materiali si intendono utilizzare tra quelli disponibili, quali
si vogliono realizzare ex novo, ecc.;
– che si metta a punto la strumentazione di verifica.
In realtà, se si vuole rendere razionale un insegnamento, due cose sembrano
essere indispensabili: stabilire fin dall’inizio dove si vuole arrivare, e constatare
alla fine se ci si è arrivati. Fuor di metafora, bisogna stabilire gli obiettivi
Capitolo 17 pag. 258/259
dell’azione educativo-didattica per poterne valutare i risultati.
La programmazione deve tener conto di tutte le condizioni ambientali e personali
dei discenti e dei docenti, dei traguardi assegnati dai programmi, delle risorse
disponibili per raggiungerli, della scansione dei tempi di lavoro. In base a ciò
viene stilato un programma di interventi o trattamenti didattici, secondo metodi
accettati dal consiglio dei docenti ed eventualmente dai genitori che fossero
coinvolti; devono essere previste anche le modalità di valutazione intermedia
e finale, cui si attribuisce differente funzione (formativa, sommativa), con uno
sbocco finale che verifica l’acquisizione di conoscenze e competenze.
Ognuna delle entità coinvolte nell’attuale riforma (Stato, Regioni, Enti Territoriali)
svolge un ruolo specifico che produce effetti per una buona programmazione
pedagogica e didattica. Soprattutto lo Stato e la Scuola hanno, in senso
più diretto, il compito di elaborare documenti relativi al processo scolastico
(insegnamento-apprendimento) precisando compiti istruttivi e formativi ed
obiettivi generali che faranno da base alla programmazione educativa scolastica
e a quella didattica disciplinare.
1°. Il PECP (cioè il profilo educativo, culturale e professionale) esplicita ciò che
ogni allievo, alla fine del I e del II ciclo deve sapere (= conoscenze disciplinari-
interdisciplinari) e fare (= abilità operative o professionali) per essere quell’uomo
e quel cittadino che è lecito attendersi, in condizioni di normalità, e che sia
possibile raggiungere a 14 e a 18-19 anni.
Questo profilo mette in luce come il culturale e il professionale siano le occasioni
e gli strumenti per l’educativo personale e come le conoscenze disciplinari e
interdisciplinari (il sapere) e le abilità operative (il fare) apprese ed esercitate
non solo nel sistema formale (la scuola), ma anche in quello non formale (le altre
istituzioni educative) e informali (la vita sociale nel suo complesso), siano e siano
state, per l’allievo, davvero formative nella misura in cui sono effettivamente
diventate sue competenze personali.
Con la precisazione del profilo appare chiaro che la riforma non parte dalle
discipline o dai saperi ma dalla riflessione educativa, ribadendo un principio
pedagogico già noto: quello della centralità dell’alunno. Si chiarisce il compito
della scuola e si precisa che il suo ruolo fondamentale è quello di concorrere a
realizzare la «persona umana».
Il profilo così inteso ed espresso con il linguaggio classico degli obiettivi,
definisce le competenze dell’allievo medio, stabilendo ciò che essi dovrebbero
sapere e saper fare, le conoscenze e le abilità che dovrebbero aver fatto proprie,
valorizzando le capacità personali per essere «persona» e «cittadino» di domani.
Vengono formulate sette competenze che l’alunno deve essere aiutato ad
acquisire.
Capitolo 17 pag. 260
I verbi riportati all’infinito presente, indicano le «azioni» che dimostreranno se e
come l’alunno ha raggiunto gli obiettivi prefissati:
– esprimere un personale modo di vedere e proporlo agli altri;
– saper interagire con l’ambiente naturale e sociale che lo circonda, e influenzarlo
positivamente;
– risolvere i problemi che di volta in volta incontra;
– riflettere su se stesso e gestire il proprio progetto di crescita, anche chiedendo
aiuto, quando occorre;
– comprendere per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali;
– maturare il senso del bello;
– conferire senso alla vita.
Si tratta di traguardi da maturare negli ambiti della identità personale
(costituita dalle dimensioni della conoscenza di sé, della relazione con gli altri e
dell’orientamento), degli strumenti culturali da acquisire e della convivenza civile.
Se si passa alle Indicazioni nazionali per i Piani di Studio personalizzati nella
Scuola Primaria, si ha modo di entrare nel linguaggio didattico della riforma
per quanto riguarda i ragazzi dai 6 agli 11 anni. Vi sono dichiarati, tra l’altro, gli
Obiettivi generali del processo formativo e gli Obiettivi specifici di apprendimento.
Con l’espressione Obiettivi generali del processo formativo ci si riferisce
a principi ispiratori dell’attività di una Scuola e cioè a finalità educative che
riguardano l’apporto di tutte le discipline, ma anche ai processi da attivare e alle
consapevolezze da acquisire da parte degli alunni:
– ad esempio, per la Scuola Primaria si dice di valorizzare l’esperienza del
fanciullo e la sua corporeità come valore; di esplicitare idee e valori presenti
nell’esperienza, ecc.;
– per la Scuola Secondaria di 1° grado si parla di educazione integrale della
persona, collocarsi nel mondo, realizzare una messa a fuoco dell’identità,
motivare e offrire significati alla vita, coltivare dei rapporti...
Capitolo 17 pag. 260/261
Il Documento poi fa riferimento agli Obiettivi specifici di apprendimento e agli
Obiettivi formativi:
– gli obiettivi specifici di apprendimento si riferiscono all’ordine epistemologico
della disciplina; sono redatti sulla base del principio della sintesi e dell’ologramma
(cioè ciascun elemento rimanda al tutto compreso delle discipline); sono espressi
in modo elencativo come conoscenze e abilità relative ad ogni disciplina;
– gli obiettivi formativi sono elaborati dai docenti tramite un responsabile
giudizio professionale e si collocano sul piano psicologico e didattico. Come
gli altri, anch’essi si articolano in conoscenze e abilità e si ispirano al principio
dell’ologramma.
È attraverso le Unità di apprendimento che, sulla base delle capacità
possedute dagli alunni, si acquisiscono conoscenze e abilità, riconoscibili come
competenze.
L’insieme delle Unità di apprendimento costituiscono i Piani di studio
personalizzati.
Vanno chiariti comunque alcuni termini che potrebbero sembrare troppo tecnici:
– la capacità è una potenzialità o una propensione dell’essere umano a fare,
pensare e agire in un certo modo; ma non è ancora potere di trasformazione
della realtà;
– le competenze indicano quello che si è veramente in grado di fare, di pensare e
agire, qui e ora, di fronte a problemi e situazioni concrete. Nel linguaggio comune
«competenza» (legge n. 53/2003) è la «piena capacità di orientarsi in un dato
campo». In ambito scolastico, invece, questo termine ha un’interpretazione molto
sfaccettata. In generale si può dire che le competenze sono sviluppo di capacità
potenziali personali, mediante l’acquisizione delle conoscenze e abilità operative
che ogni soggetto in formazione riutilizza al meglio il proprio progetto educativo.
La scuola, così, è il luogo privilegiato dove le competenze si consolidano, tramite
un’offerta formativa fatta agli alunni. Una caratteristica delle competenze è
Capitolo 17 pag. 261
la loro disponibilità a venire certificate, per quanto riguarda la presenza, la
qualità e la quantità. Affinché ciò possa accadere, occorre che siano individuate
con chiarezza, e che si riesca a mettere a punto degli strumenti in grado di
riconoscerne il reale possesso. Una funzionale certificazione delle competenze
acquisite è fondamentale perché consente l’autocontrollo e il controllo dei
percorsi formativi in atto, l’adattamento di interventi didattici, il riconoscimento dei
crediti conseguiti;
– le conoscenze sono il prodotto dell’attività teoretica dell’uomo ricavate dalla
ricerca scientifica ma vi fanno parte anche principi, regole, e concetti etici relativi
alle discipline che sono insegnate;
– le abilità corrispondono al saper fare, alla razionalità tecnica dell’uomo;
– la «convivenza civile» è la finalità generale dell’azione scolastica dell’istruzione
e formazione (legge n. 53/2003). Essa offre al comportamento i riferimenti di
natura morale. Grazie a questa dimensione fondante, il concetto di convivenza
civile rappresenta la sintesi di tutte le differenti «educazioni», e dà senso
compiuto a tutta l’esperienza scolastica;
– il principio della sintesi e dell’ologramma si riferisce ad una caratteristica degli
obiettivi specifici di apprendimento e degli obiettivi formativi: gli uni rimandano
agli altri, non sono mai chiusi in se stessi ma sono sempre in un rimando
continuo al tutto. Per quanto riguarda raggruppamenti da utilizzare si dice che
l’offerta formativa obbligatoria, opzionale e facoltativa può fruire della dinamica
del Gruppo-classe (in proporzione più alta fino al primo Biennio) e di quella dei
Laboratori. Essi possono essere svolti per Classe, per Gruppi elettivi, per Gruppi
di compito, per Gruppi di livello, tutti in composizione numerica variabile.
Va considerato il valore attribuito a questi documenti. Le Indicazioni sono
prescrittive ma non assimilabili ai Programmi o agli Orientamenti da applicare in
aula, come si diceva un tempo; sono cioè da considerare una specie di materia
prima a cui i Docenti e la Scuola sono chiamati a dare forma propria tenendo
Capitolo 17 pag. 261/262
conto delle esigenze della famiglia, del territorio e dei ritmi evolutivi dei ragazzi.
In altre parole le Indicazioni devono essere accostate con mentalità e
atteggiamento di progettazione, creatività e autonomia, in modo da essere
tradotte in un piano psicologico e didattico concreto e specifico.
Per quanto riguarda l’attività che i docenti dovranno mettere in atto per il
concreto esercizio della loro funzione educativa e didattica si indicano tre livelli di
intervento, alla cui costruzione i responsabili delle istituzioni scolastiche devono
attenersi:
– il Piano dell’Offerta Formativa (POF): contiene l’ispirazione culturale-
pedagogica elaborata dai gruppi dei docenti, i collegamenti con gli enti territoriali
di competenza e l’articolazione didattica dei Piani di studio personalizzati;
– il Piano di Studio Personalizzato (PSP): non necessariamente si riferisce
ad un piano elaborato per ogni singolo allievo ma all’insieme delle Unità di
apprendimento predisposte dal docente e realizzate con le differenziazioni che si
sono rese necessarie per i singoli alunni;
– le Unità di apprendimento (UA): si compongono degli obiettivi formativi, delle
attività, dei metodi e delle soluzioni organizzative necessarie a trasformare gli
obiettivi in competenze individuali. E questo si realizza nel quadro degli Obiettivi
generali del processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento; non
nella meccanica trascrizione degli obiettivi generali e degli obiettivi specifici di
apprendimento, ma nell’attenzione alla realtà di allievi, famiglie e territorio ed
anche discostandosi, se ce n’è ragione, dalle Indicazioni;
– il Portfolio (o cartella) delle competenze personali: è un materiale compilato
dal tutor, in collaborazione con i docenti e prevede la partecipazione attiva degli
allievi e dei loro genitori;
– la figura del tutor costituisce una vera novità della riforma. È una persona
che «dà sicurezza» ed è il compito di chi svolge una funzione educativa, quella
di accompagnare l’allievo nell’affrontare i problemi che la vita, a seconda dei
Capitolo 17 pag. 262/263
momenti, gli presenta. Si tratta di un docente appositamente individuato e messo
in grado di conoscere gli allievi più a fondo ed essere in grado di ascoltarli,
orientarli, aiutarli ad apprendere. Coordina l’azione didattica dei colleghi (l’équipe
pedagogica costituita dai docenti di una classe), ed entra in contatto con gli allievi
svolgendo funzione di tutore dei medesimi, accompagnandoli nella costruzione
dei Piani di Studio Personalizzati, tenendosi in costante rapporto con le famiglie
e con il territorio per la scelta delle attività opzionali, curando la formazione del
Portfolio.
1°. IL POF (ART. 128 DELTU N. 297/4/97) Ogni istituzione scolastica predispone
il Piano dell’Offerta Formativa che costituisce il documento costitutivo di ogni
scuola che è chiamata ad esplicitare il curricolo e a prevedere le condizioni per la
sua attualizzazione.
Si tratta di un documento «localizzato» che rispecchia l’identità culturale e
progettuale, elaborato dal Collegio dei docenti e adottato dal Consiglio di Circolo
o di Istituto (Dpr 275/99, art. 2). Tratti costitutivi sono:
– l’identità della scuola, le sue caratteristiche storiche e culturali nel contesto
sociale, il suo specifico «progetto pedagogico». È l’aspetto che meglio esprime
il superamento della cultura centralistica. L’identità ha a che fare con il profilo
Capitolo 17 pag. 264
pedagogico che una scuola deve saper esprimere, comprende l’individuazione
delle «missioni» che si intendono perseguire e che orientano l’intero curricolo
nella dimensione pedagogica e didattica. Alla sua costruzione concorrono i
diversi soggetti non solo gli insegnanti e non solo il consiglio dell’istituzione
scolastica. In realtà qui si colloca un aspetto molto problematico: offerta formativa
relativa alla domanda delle famiglie e della stessa comunità sociale. «Le
istituzioni scolastiche, al fine di realizzare la personalizzazione dei piani di studi,
organizzano, nell’ambito del piano dell’offerta formativa e tenendo conto delle
polivalenti richieste delle famiglie, delle attività e degli insegnamenti...
» (art. 10, cap. IV, decreto attuativo, Legge 53/2003);
– il rapporto relazionale intersoggettivo. La scuola autonoma è inserita all’interno
di un sistema più ampio, nel quale agiscono altri soggetti istituzionali e non, con
i quali è chiamata ad interagire. Le competenze sono distribuite ed è forte la loro
interdipendenza: tutti hanno potere, nessuno ha tutto il potere. Le varie relazioni
(l’ente locale, gli uffici regionali, i centri culturali, l’associazionismo, le parrocchie)
sono fortemente sollecitate. Agli insegnanti ed ai dirigenti scolastici si richiede
capacità di incontro, di negoziazione, di dialogo, ma anche di difesa dei propri
spazi di competenza e di responsabilità;
– la localizzazione. Il POF è davvero radicato in una concreta realtà territoriale.
Il radicamento riguarda numerosi aspetti e tocca in maniera particolare il piano
della didattica. Ma è anche importante domandarsi: fino a che punto inserire
nella progettazione delle unità di apprendimento contenuti socialmente rilevanti,
problemi presenti in maniera caratterizzante nella realtà in cui si opera? Come
evitare il rischio di localismi deteriori, di banalizzazione, di ripiegamento in
logiche privatistiche? È importante nel POF la presenza delle famiglie degli allievi
per poterle coinvolgere sia nelle risposte alle richieste, come nella stesura del
profilo pedagogico della scuola, sia come corretto rapporto tra la domanda e
l’offerta formativa.
Capitolo 17 pag. 264/265
Gli insegnanti favoriscono il dialogo e l’incontro, precisano il proprio spazio di
competenze, il superamento e il rigetto dei ricatti. Il profilo dimostra competenze
diverse per ricchezza di professionalità e pluralità di valori nell’interpretare al
meglio il proprio impegno professionale in una scuola che deve essere costruita
sempre di più come una comunità che apprende (con riferimento alle radici
rivisitate e al futuro da costruire) nello sforzo di superare modelli ideologici,
burocratici e tecnologici spersonalizzanti.
Perciò il POF, (Dpr 8 marzo 1999, n. 275, Regolamenti. Norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 3.1) con le sue
caratteristiche, esplicita la progettazione sia curricolare che extracurricolare,
educativa ed organizzativa. Deve essere coerente con gli obiettivi educativi
dei diversi tipi e indirizzi di studi; deve riflettere le esigenze del contesto
culturale, sociale ed economico del territorio; deve riconoscere le diverse
opzioni metodologiche anche di gruppi minoritari; deve valorizzare le relative
corrispondenti professionalità.
Il POF va visto come strumento per programmare attività che l’istituzione
scolastica intende realizzare per rispondere ai bisogni educativi e formativi degli
alunni. Lo stesso può essere integrato e/o modificato per adeguarlo in corso
d’anno ad eventuali nuove esigenze. Il piano dell’offerta formativa svolge i
seguenti compiti:
– deve rendere concreta ed esplicita sia la progettazione curricolare ed
extracurricolare che quella educativa ed organizzativa della scuola;
– deve riflettere le esigenze concrete e particolari del contesto;
– deve essere coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e
indirizzi di studi;
– deve contenere le scelte di flessibilità dell’orario e dell’organizzazione del
lavoro, le scelte metodologiche e degli strumenti coerenti con il piano, le modalità
e i criteri della valutazione degli studenti, sia periodica che finale, i criteri per
Capitolo 17 pag. 265/266
il riconoscimento dei crediti e il recupero dei debiti formativi, le iniziative di
recupero, le modalità di impiego del personale.
E, per quanto riguarda gli aspetti formativi e organizzativi della didattica e
dei servizi scolastici, contiene anche delle eventuali attività aggiuntive di
insegnamento e di supporto, di responsabilità di eventuali attività o incarichi, di
partecipazione a commissioni e gruppi di lavoro, di altre scelte di organi collegiali.
Per ogni attività aggiuntiva funzionale all’insegnamento e/o di supporto, il POF
deve esplicitarne il perché, il suo percorso organizzativo, il numero di ore per
insegnamento ad essa funzionali, per ogni persona coinvolta nell’attività.
Inoltre, deve prevedere la presenza continua di figure funzionali
all’insegnamento che vengono riunite nelle figure di sistema. Rientrano nella
procedura tanto le analisi dei bisogni, quanto le attività dei vari organi e persone:
– il Consiglio di circolo/istituto definisce gli indirizzi generali per le attività della
scuola e le scelte generali di gestione ed amministrazione;
– il Collegio dei docenti definisce le linee generali delle attività formative
curricolari ed extracurricolari;
– il Dirigente scolastico consulta il Direttore dei servizi generali e amministrativi e
informa il personale ATA(Personale amministrativo-tecnico-ausiliario);
– il Dirigente scolastico predispone la proposta del piano delle attività;
– il Dirigente scolastico informa le RSA/RSU (Rappresentanza Sindacale
Aziendale o Territoriale e la Rappresentanza Sindacale Unica - dal dicembre
2000) del piano delle attività e degli impegni del personale docente e ATA;
– il Collegio dei docenti, in seduta plenaria approva il piano delle attività;
– il Consiglio di circolo/istituto associa alle attività i compensi e delibera l’utilizzo
del fondo dell’istituzione scolastica;
– il Dirigente scolastico, sulla base delle delibere, attribuisce le funzioni «obiettivo
», le attività aggiuntive e funzionali all’insegnamento, le attività aggiuntive al
personale ATA;
Capitolo 17 pag. 266
– il Dirigente scolastico informa le RSA/RSU sugli incarichi al personale docente,
educativo ed ATA(art. 26-32 integrativo del CCNL 1998/2001).
In pratica, il POF viene elaborato dal Collegio dei docenti sulla base degli
indirizzi generali definiti dal Consiglio di circolo o d’istituto, tenuto conto delle
proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori
e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti; ed è adottato dal Consiglio
di circolo o di istituto. Successivamente viene reso pubblico e consegnato agli
alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione.
Presentazione
Ritengo questa analisi pertinente al tema IRC e quindi non «fuori campo»; la
sua importanza sta nel fatto di consentire un «ingresso significativo», attraverso
Ritengo
congrue questa
chiavi analisinella
di lettura, pertinente
nuova al temacon
forma IRC cuie sono
quindistati
nonpresentati
«fuori campo»;
i due la
sua importanza
testi. sta nel
Infatti, a partire fatto
dalla di consentire
struttura un «ingresso
delle «Indicazioni significativo»,
nazionali attraverso
per l’attuazione
dei Piani Personalizzati delle attività educative nella Scuola dell’Infanzia»ied
congrue chiavi di lettura, nella nuova forma con cui sono stati presentati due te-
sti. Infatti, aNazionali
«Indicazioni partire dalla struttura delle
per l’attuazione dei «Indicazioni
Piani di Studio nazionali per l’attuazione
Personalizzati nella
dei Piani
Scuola Personalizzati
Primaria», delle attività
è possibile entrareeducative
nel meritonella Scuola dell’Infanzia»
e comprendere ed «In-
il senso degli
dicazioni specifici
«Obiettivi Nazionali di per l’attuazione dei
apprendimento Piani di Studio
di Religione Personalizzati
Cattolica», che andrannonella Scuo-
la Primaria»,
appunto è possibile
ad inserirsi in talientrare
Piani. nel merito e comprendere il senso degli «Obiet-
tivi specificiora
Prendiamo di apprendimento
in considerazione di Religione
il punto «3» Cattolica»,
presentato che andranno
negli schemiappunto
di cui ad
inserirsi
sopra, perinpoter
tali Piani.
realizzare una ulteriore riflessione ed un’analisi comparativa,
Prendiamo
stavolta ora in
fra il testo considerazione
MIUR il punto «3»
e quello CEI-MIUR presentato negli schemi di cui so-
del 23/10/2003.
Ilpra,
termine «obiettivi
per poter specifici
realizzare unadiulteriore
apprendimento» non
riflessione edèun’analisi
esclusivo comparativa,
del linguaggiosta-
della
voltaRiforma Moratti;
fra il testo MIURloesiquello
riscontra per la prima
CEI-MIUR volta, in un documento ufficiale,
del 23/10/2003.
il D.P.R. n. 275/1999, che contiene il regolamento attuativo dell’autonomia
scolastica,
280 che impegna il Ministero dell’Istruzione a definire «gli obiettivi generali
del processo formativo», nonché gli «obiettivi specifici di apprendimento relativi
alle competenze degli alunni».
Parlare di «obiettivi specifici di apprendimento» significa pertanto, anche nella
letteratura specializzata, riferirsi alle «conoscenze, abilità e competenze» alle
Capitolo 18 pag. 280/281
la letteratura specializzata, riferirsi alle «conoscenze, abilità e competenze» alle
quali gli
quali glialunni
alunnieelele alunne
alunne pervengono,
pervengono, tramite l’azione educativa
tramite l’azione educativa ee didattica
didattica del-
la scuola, progressivamente appropriandosi dei contenuti, dei
della scuola, progressivamente appropriandosi dei contenuti, dei metodimetodi interpreta-
tivi, delle regole
interpretativi, dellediregole
funzionamento e dei principi
di funzionamento costitutivi
e dei principi delle discipline
costitutivi delle inte-
grate nei Piani di Studio personalizzati.
discipline integrate nei Piani di Studio personalizzati.
Il «modello-contesto»
Il «modello-contesto» entro
entro cuicollocano
cui si si collocano e realizzano
e realizzano gli «obiettivi
gli «obiettivi speci-
specifici di
fici di apprendimento» potrebbe essere così
apprendimento» potrebbe essere così rappresentato: rappresentato:
Piani di Studio
Obiettivi Formativi Passaggi Personalizzati
(Ordine psicologico e didattico) procedurali (Insieme delle Unità
finalizzati alla di apprendimento)
Compiti di apprendimento definiti «centralità dell’alunno»
in relazione a un alunno concreto, nei processi Contributi formativi
percepiti dall’alunno stesso educativi delle discipline,
come significativi ed importanti scolastici laboratori, educazioni
Scuola dell’Infanzia
Obiettivi
Specifici
di Apprendimento Portfolio delle competenze
(Indicati nelle (Collezione strutturata,
Tabelle allegate selezionata e commentata)
Mo al D.M. 100/2002)
da
Profilo educativo, lità di
culturale rea
lizz
e professionale o
Religione Cattolica
Il sé e l’altro Piani di Studio
Corpo, movimento, salute Personalizzati
Fruizione e produzione di messaggi (Insieme delle Unità
di apprendimento)
Esplorare, conoscere, progettare
Obiettivi Formativi
Unità di apprendimento
(Insieme della progettazione
di uno o più obiettivi formativi)
• Per la Scuola Primaria, gli OSA sono organizzati attraverso «tabelle» che
vengono
• Per accluse
la Scuola al Primaria,
D.M. 100/2002 e rappresentano
gli OSA sono organizzatiil «pre-testo»
attraversoper formulare
«tabelle» che
gli «obiettivi
vengono formativi
accluse personalizzati»
al D.M. da realizzare attraverso
100/2002 e rappresentano il «pre-testo»la scansione
per formulare gli
in «Unità diformativi
«obiettivi Apprendimento» che vengono
personalizzati» programmate
da realizzare attraversodailadocenti,
scansionei quali
in «Unità
esercitano in tal modo
di Apprendimento» chelavengono
loro «mediazione
programmatedidattica», finalizzata
dai docenti, i qualiaesercitano
promuovere le
in tal
«competenze» personali di ciascun alunno.
modo la loro «mediazione didattica», finalizzata a promuovere le «competenze»
personali di ciascun alunno.
Capitolo 18 pag.
Gli OSA 282 Scuola
della Primaria sono organizzati sia per «discipline» sia per
Gli OSA della Scuola Primaria sono organizzati sia per «discipline» sia per
«educazioni», le quali educazioni trovano la loro sintesi unitaria nell’«educazione
alla Convivenza Civile».
Tale «organizzazione» rispetta tre dimensioni che sono state tenute in
considerazione:
Scuola Primaria
Obiettivi
Specifici
di Apprendimento Portfolio delle competenze
Mo (Indicati nelle (Collezione strutturata,
da Tabelle allegate selezionata e commentata)
lità
Profilo educativo, di al D.M. 100/2002)
culturale rea
liz
e professionale zo Classe 1a.
1° Biennio
line
discip Religione Cattolica - Italiano 2° Biennio
Inglese - Storia
Geografia - Matematica - Geometria Piani di Studio
Scienze - Musica - Tecnologia e Informatica Personalizzati
Arte ed Immagine - Attività motorie e sportive (Insieme delle Unità
di apprendimento)
Obiettivi Formativi
Unità di apprendimento
(Insieme della progettazione
di uno o più obiettivi formativi)
Analisi comparativa
Scuola dell’Infanzia
Come si può osservare dallo schema della pagina a fianco, gli obiettivi
specifici di apprendimento propri dell’insegnamento della Religione Cattolica
nell’ambito delle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati delle
Attività Educative per la scuola dell’Infanzia, si raccordano, nella forma, con
quelli previsti dal D.M. n. 100/2002. Nella sostanza, tuttavia, si mantengono sui
contenuti dei Programmi precedenti di IRC per la Scuola dell’Infanzia, anche se
formulati in modo diverso e davvero essenziale.
Osservare il mondo
che viene
riconosciuto dai
cristiani e da tanti
uomini religiosi dono Attraverso l’intervento della
Obiettivi specifici di Dio Creatore scuola debbono essere trasfor-
di apprendimento mati in competenze di cia-
propri Scoprire la Persona scun allievo, nella prospettiva
dell’insegnamento di Gesù di Nazaret della maturazione del Profilo
della Religione come viene Obiettivi educativo, culturale e profes-
presentata dai specifici sionale per la conclusione del
Cattolica primo ciclo di istruzione. Essi
nell’ambito delle Vangeli e come viene di
celebrata nelle sono elencati in quattro cate-
indicazioni apprendimento gorie:
feste cristiane
nazionali D.M. 100/2002 – il sé e l’altro;
per i Piani – corpo, movimento e salute;
Individuare i luoghi – fruizione e produzione di
Personalizzati di incontro della messaggi;
delle Attività comunità cristiana – esplorare, conoscere e pro-
Educative e le espressioni gettare.
del comandamento
dell’amore
testimoniato
dalla Chiesa
Scuola
Scuola Primaria
Primaria
AlloAllo stesso
stesso modomodo
delladella Scuola
Scuola dell’Infanzia,
dell’Infanzia, si presenta
si presenta un’analisi
un’analisi comparati-
comparativa su
va su «gli obiettivi specifici di apprendimento propri dell’insegnamento
«gli obiettivi specifici di apprendimento propri dell’insegnamento della Religione della Re-
ligione Cattolica
Cattolica nell’ambito
nell’ambito delle Indicazioni
delle Indicazioni nazionali nazionali
per i Pianiper i Piani Personalizzati
di Studio di Studio Per-
sonalizzati
della Scuoladella Scuolache
Primaria», Primaria», che si raccordano,
si raccordano, nelle modalitànelle modalità di presenta-
di presentazione, con
quelli previsti dal D.M. n. 100/2002, e nella sostanza invece, coninvece,
zione, con quelli previsti dal D.M. n. 100/2002, e nella sostanza con i pre-
i precedenti
cedenti Programmi
Programmi di IRC. di IRC.
Viene fatta una suddivisione per classi secondo il piano ministeriale: 1 classe; a
285
1. Il linguaggio: per quanto attiene al primo punto, una delle parole chiave
significative da sottolineare è quella di «ologramma», che concepisce la
progettazione dell’intervento scolastico come un’attività che coinvolge in primis i
docenti ma anche gli alunni come «persone» che, attraverso i «contenuti propri
della scuola», realizzano l’unitarietà del sapere-conoscere. Le conoscenze che
entrano nel cuore e nella testa delle persone agiscono sulle persone stesse e le
«modellano », rappresentando nel contempo occasioni di esercizio intellettuale,
emozionale e spirituale che approda alla significatività ed alla crescita personale.
L’unitarietà del sapere-conoscere è pertanto l’obiettivo primario della
progettazione, e si realizza mediante azioni facilitanti l’incontro del soggetto-
alunno con l’oggetto culturale: è sempre la persona, tuttavia, a qualunque età
appartenga – ed ai più differenziati livelli – che con la sua umanità e la sua
capacità si incontra con i «saperi» nei loro «nodi essenziali», li elabora e li
integra nei propri quadri concettuali, rendendosi in tal modo sempre più capace
di «comprendere e dominare » la realtà esterna ed interna.
L’IRC, come tutte le altre discipline, non può mai perdere di vista il carattere
Capitolo 18 pag. 287
«olistico» (OLISMO = tutto intero. Il termine deriva dalla biologia, ed afferma il concetto di
«totalità» che risulta di primaria importanza nell’ambito della biologia stessa, in quanto consente
una corretta comprensione dei fatti naturali. Tale termine, nel suo aspetto semantico, viene oggi
applicato anche al campo dell’educazione, evidenziando in tal modo la necessità di non perdere
mai di vista la persona e nella sua totalità e nei processi di crescita che la caratterizzano.)
dell’insegnamento-apprendimento, a cominciare dagli alunni della Scuola
dell’Infanzia e per tutti quelli degli altri gradi scolastici.
Gli strumenti: un’altra dimensione da considerare è quella di raccordare
significativamente la «formulazione» dei «testi CEI» per la scuola dell’infanzia
ed elementare entro il nuovo linguaggio che si esprime attraverso gli «strumenti
tecnici prescrittivi ed orientativi» del D.M. 100/2002.
Gli «Obiettivi specifici di apprendimento propri dell’insegnamento della Religione
Cattolica nell’ambito delle indicazioni nazionali per i Piani Personalizzati
delle Attività Educative» per la scuola dell’Infanzia, e gli «Obiettivi specifici di
apprendimento propri dell’insegnamento della Religione Cattolica nell’ambito
delle indicazioni nazionali per i Piani di Studio Personalizzati» per la Scuola
Primaria, assumono infatti il linguaggio proprio della L. 53/2003 e del D.M.
100/2002, per cui diviene importante evidenziarne la «struttura», attraverso i
seguenti schemi:
Indicazioni
Esplicitano nazionali
PROFILO i livelli essenziali e Profilo sono
INDICAZIONI NAZIONALI: di prestazioni che tutte elaborati dagli esperti
prescrittive nei le istituzioni e dagli organi tecnici
percorsi formativi; scolastiche sono del Ministero dell’Istruzione,
RACCOMANDAZIONI: tenute ad assicurare in collaborazione
orientative nelle scelte ad ogni alunno, con altri Ministeri
metodologiche e culturali nel rispetto del diritto e, a regime,
all’istruzione della Conferenza
e alla formazione. Stato-Regioni.
Sono documenti «esterni» alle Istituzioni scolastiche che si collocano però in prospettiva professionale,
come assunzione di responsabilità rispetto a compiti formativi.
Indicazioni nazionali
per i Piani Personalizzati Obiettivi specifici Obiettivi specifici
delle Attività Educative di apprendimento di apprendimento IRC
nelle Scuole dell’Infanzia Scuola Infanzia
Capitolo 18 pag. 288
come assunzione di responsabilità rispetto a compiti formativi.
Indicazioni nazionali
per i Piani Personalizzati Obiettivi specifici Obiettivi specifici
delle Attività Educative di apprendimento di apprendimento IRC
nelle Scuole dell’Infanzia Scuola Infanzia
2. Lo spazio di intervento degli insegnanti. Questo è uno degli aspetti che può
2. Lo spazio di intervento degli insegnanti. Questo è uno degli aspetti che può
davvero risultare qualificante l’intervento di IRC realizzato nelle nuove forme,
davvero risultare qualificante l’intervento di IRC realizzato nelle nuove forme,
che amplificano di molto gli spazi di intervento dei docenti. Scrive S. Cicatelli (S.16
che amplificano di molto gli spazi di intervento dei docenti. Scrive S. Cicatelli a
CICATELLI, Riforme e IRC. La situazione attuale. Cap. 5 del presente Manuale.) a tal proposito:
tal proposito: «...la verifica sul campo sarà data soprattutto dalla professionalità
«...la verifica sul campo sarà data soprattutto dalla professionalità degli
degli insegnanti che devono misurarsi con una scuola che, almeno nelle intenzio-
insegnanti che devono misurarsi con una scuola che, almeno nelle intenzioni,
ni, vorrebbe essere più integrale e integrata nelle sue procedure didattiche. Biso-
vorrebbe essere più integrale e integrata nelle sue procedure didattiche.
gnerà vedere innanzitutto se le promesse della riforma saranno mantenute per
Bisognerà vedere innanzitutto se le promesse della riforma saranno mantenute
per l’intero assetto scolastico, e poi si potrà verificare come la prassi didattica
dell’IRC si sarà saputa inserire in questo quadro. In un contesto così decentrato
16
S. CICATELLI
e affidato , Riforme edelle
alla creatività IRC. La situazione
singole attuale.
scuole, Cap. 5 del presentedei
la responsabilità Manuale.
singoli docenti
(compresi quelli di RC) cresce enormemente: ad ogni IdR è quindi affidata la
288
Capitolo 18 pag. 288/289
sorte dell’IRC molto più di quanto non sia stato fino ad oggi... Questo perché
non vi è un programma da applicare rigidamente, ma un modello da interpretare
intelligentemente sulla base del contesto reale di esercizio. Non una sbiadita
interdisciplinarità derivante dal desiderio affannoso di venire incontro a domande
diverse ed estemporanee, ma uno statuto epistemologico che si colloca al
punto di incontro di differenti competenze specialistiche (teologiche, bibliche,
etiche, storiche, psicologiche, ecc.) riunite in una sintesi originale dal lavoro
dell’insegnante.
L’IdR, oltre al passaggio di stato giuridico, dovrà adeguarsi alla nuova identità
di professionista che gli richiede la scuola dell’autonomia. La responsabilità e
discrezionalità che oggi vengono riconosciute a tutti i docenti ben si conciliano
con la libertà di insegnamento e con le prospettive interdisciplinari... È una
scommessa sul futuro, ma (soprattutto se le scelte degli avvalentisi troveranno
ancora conferma) potrebbe avviarsi un processo di ridefinizione dell’identità
dell’IRC, che potrebbe produrre i suoi effetti anche sul piano valutativo».
ComeCome si può
si può evincere
evincere daldal modello,
modello, la progettazione
la progettazione delle
delle attività
attività di IRCdi IRC
nellanella
scuola segue
scuola segue le modalità
modalità«comuni»
«comuni»alle allealtre
altrediscipline.
discipline. Pertanto,
Pertanto, all’inizio del-
all’inizio
l’anno scolastico,
dell’anno l’insegnante
scolastico, l’insegnante didireligione
religionepartecipa
partecipaalle
alleriunioni
riunionididi progettazio-
progettazione
ne e presenta, eentro
presenta, entro
le linee le linee organizzative
organizzative e didattichee del
didattiche
POF didel POF di
istituto, il pro-
istituto,
prio pianoil proprio piano
annuale annuale diper
di intervento intervento
ciascuna per ciascuna
classe, classe,
tenendo tenendo
presenti le indica-
presenti le indicazioni
zioni Nazionali, Nazionali,l’articolazione
che prevedono che prevedono l’articolazione
dell’attività dell’attività
di religione di
cattolica in
religione
«obiettivicattolica in di
specifici «obiettivi specifici dida
apprendimento» apprendimento» da sviluppare
sviluppare nell’arco dell’anno nell’arco
scola-
dell’anno
stico. scolastico.
Capitolo 18 pag. 291
Tenendo conto di tali principi, viene presentato, nelle sue linee essenziali, un
«progetto annuale» di Religione Cattolica per la Scuola dell’Infanzia e per la
Scuola Primaria, da collocare all’interno del POF di ogni singola istituzione
scolastica.
I Nuclei Tematici
I II III
livello livello livello
Soggetto Oggetto
Alunno Culturale
Criteri metodologici
L’azione dell’insegnante si connota come capacità di «allestire» le condi-
L’INSEGNANTE zioni di apprendimento degli alunni.
Realizza l’attività con gli alunni, sia a livello collettivo sia a livello individuale.
Progetta attività «multicampo», ossia di collegamento con le attività-esperienze degli altri
campi del sapere.
Organizza attività di verifica-valutazione, attraverso strategie finalizzate a cogliere ogni «segnale» che l’a-
lunno invia; e rende visibile agli alunni e ai genitori, mediante la documentazione nelle sue svariate for-
me, le tappe dei percorsi realizzati.
SECONDAPARTE:
Gli Obiettivi specifici di Apprendimento propri della Religione Cattolica
nell’ambito delle Indicazioni nazionali per i Piani Personalizzati delle attività
educative per la Scuola dell’Infanzia
Il progetto annuale di IRC va configurato all’interno del POF, (La C.M. 194/1999
presenta il POF non tanto come un ennesimo progetto, ma come «il progetto » nel quale si
sostanzia il complessivo processo educativo promosso dalla scuola dell’autonomia.) che
rappresenta una «struttura» di progettazione educativa e di identità della scuola.
Fra i tanti elementi che entrano in questa struttura – nell’asse dell’organizzazione
interna e dei rapporti con l’esterno – assumono particolare rilevanza educativa
quelli che si riferiscono all’alunno ed alla organizzazione delle attività
formalizzate e di routine, che contribuiscono al raggiungimento delle finalità
proprie di ciascun grado scolastico. Il progetto RC si inserisce nel contesto del
POF di Istituto, raccordandosi alle attività che costituiscono il progetto generale
della scuola, e realizza tale progetto per la scuola dell’infanzia nel concreto delle
attività di sezione, così come previsto dalla normativa vigente – documento
di Revisione dell’Intesa del 13 giugno 1990 – che al punto 2.4., stabilisce che
l’organizzazione dell’orario – per un ammontare complessivo di 60 ore annuali
– dovrà essere gestita secondo i criteri di flessibilità e di adattabilità alle situazioni
particolari.
Questo richiede certamente il coordinamento e la sintonia con il lavoro dei team
docenti.
Prendendo in considerazione
Prendendo in considerazioneil primo
il primo«obiettivo
«obiettivospecifico» «Osservare
specifico» «Osservareil il mon-
mondo
do che che viene
viene riconosciuto
riconosciuto daidai cristianie edadatanti
cristiani tantiuomini
uomini religiosi
religiosi dono
donodidi Dio
Dio Creatore» si può ipotizzare una organizzazione in unità di apprendimento
Creatore» si può ipotizzare una organizzazione in unità di apprendimento secon-
secondo una scansione
do una scansione per bambini
per bambini di tre, di
di tre, di quattro
quattro e di cinque
e di cinque anni: anni:
Obiettivo specifico:
Osservare il mondo che viene riconosciuto dai cristiani
e da tanti uomini religiosi dono di Dio Creatore
I verbi con cui le cose Il linguaggio biblico
vengono messe in ordine Genesi 1,1-31; 2,1-4
sono «creare» = «bara’ – VI 1,24-31 La terra produca esseri
verbo usato solo da Dio. Dio ha messo viventi secondo la loro specie:
I «verbi» del linguaggio ordine nel mondo bestiame, rettili, bestie selvati-
biblico nella creazione: = Creare che... Dio creò l’uomo a sua
Genesi 1,1-31 immagine: maschio e femmina
Dio li creò. Li benedisse e disse loro:
1,1-5 In principio «Siate fecondi e riempite la ter-
I creò il cielo ra... soggiogatela e dominate
e la terra VII 2,1-4 Così furono portati sui pesci del mare e sugli uccel-
a compimento il cielo, la li del cielo e su ogni essere vi-
1,6-8 Sia il firmamento terra e tutte le loro schie- vente...»
II il mezzo alle acque re... Dio benedisse il setti-
per separare le acque mo giorno e lo consacrò...
dalle acque... 1,20-23 Le acque brulichino di
esseri viventi e gli uccelli volino
1,9-13 Le acque che sono V sopra la terra, davanti al firma-
sotto il cielo, si raccolgano mento del cielo...
in un sol luogo
III e appaia l’asciutto...
La terra produca germogli, IV 1,14-19 Ci siano luci nel firmamento
erbe che producono seme del cielo, per distinguere il giorno
e alberi da frutto... dalla notte... E fu sera e fu mattina...
305
Dio
Genesi 1,1-31; 2,1-4 ha messo ordine Attualizzazione
nel mondo
Obiettivi
Gli obiettivi (La legge «Moratti» non dà indicazioni circa l’impianto curricolare (se non per
l’accenno ai piani di studio personalizzati). In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi
attuativi della legge delega, dovrebbero valere le Indicazioni (e le Raccomandazioni) che già
hanno costituito il quadro di riferimento della sperimentazione promossa con il D.M. n. 100 del 18
settembre 2002. L’impianto è il seguente:
• il MIUR definisce (secondo quanto previsto dall’art. 8 del Regolamento sull’autonomia DPR 275/
1999): gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento relativi
alle competenze degli alunni (attualmente i documenti di riferimento in tal senso sono Il profilo
educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni)
e le più volte citate Indicazioni;
• la scuola, anzi l’équipe pedagogica di classe, interpreta gli obiettivi specifici di apprendimento in
base alla situazione generale e addirittura in base alla situazione specifica di ciascun alunno e li
riformula come “obiettivi formativi”; nelle Indicazioni si afferma che gli obiettivi sono formativi nella
misura in cui possono essere percepiti dall’alunno e dalla sua famiglia come traguardi significativi e
importanti per la propria crescita individuale.
La scuola, ispirandosi agli obiettivi formativi, predispone i Piani di Studio Personalizzati (PSP),
Nuclei tematici
I
I grandi perché della vita aprono alla scoperta di Dio che per i cristiani è il Dio rivelato in Cristo
II
Il significato della nascita di Gesù secondo i Vangeli e nella storia della salvezza
III
La vita terrena di Gesù e l’annuncio del suo Vangelo rivelano il volto di Dio
IV
La Pasqua: morte e risurrezione di Gesù centro dell’anno liturgico e della religione cristiana
V
La comunità dei credenti in Gesù Cristo risorto animata dallo Spirito Santo
è inviata nel mondo a diffondere un messaggio che cambia la storia
La centralità dell’alunno
nei processi scolastici
postula dal docente di IRC
attenzione:
Al contesto
scolastico Alle fonti e ai sistemi Agli approcci
come luogo dove le azioni simbolico-culturali metodologico/didattici
educative-istituzionali dell’IRC considerati
si realizzano nonché agli intrecci sia sotto il profilo
nell’intreccio dinamico interculturali ed interreligiosi delle «competenze mediative»
dei rapporti fra i vari soggetti. che si realizzano del docente
Se l’IRC non trovasse negli incontri culturali, sia sotto quello
collocazione sensata e che offrono contenuti dell’offerta di strumenti di lavoro,
all’interno per l’argomentazione, da concepirsi
del contesto scolastico, il confronto, la sintesi finale, come «facilitatori»
risulterebbe un qualcosa dai quali possa emergere dei processi
di avulso, di estraneo, in modo più chiaro e specifico dell’insegnare-apprendere.
di non pertinente, l’identità stessa dell’IRC.
di non sensato.
2. Il4 Si
progetto annuale
fa presente della
che in questo religione
ultimo decenniocattolica nella scuola
la scuola elementare primaria
ha cambiato in modo struttu-
rale la sua organizzazione interna, in relazione soprattutto al mutamento della concezione degli in-
segnamenti
Il progettodaannuale
impartiredell’IRC
e della conseguente mutata
va collocato concezionedel
all’interno delPOF
rapporti
perinsegnamento/appren-
qualificarlo
dimento. Il cambiamento più significativo si registra con la L. 148/90, che introduce una pluralità di
maggiormente e connotarlo in senso scolastico. Attraverso lo schema
figure docenti con compiti per aree disciplinari. La riforma della L. 148 ha rappresentato una svolta
predisposto,
«epistemologica» è possibile
per la scuolaricavare le ed
elementare, iniziative progettuali
ha richiesto molto tempoche, soprattutto
e grandi all’inizio
investimenti per en-
dell’anno scolastico, il collegio dei docenti realizza, come piano di riferimento
trare nella cultura professionale degli insegnanti. In seguito alla Legge delega n. 53/2003 e soprattutto
valoriale, educativo
al D.M. n. 100/2002 e didattico
si prevede delle cambiamento
un ulteriore quotidiane attività scolastiche,
nell’organizzazione e sul quale
scolastica, si
con inter-
venti nel gruppo-classe
confronta per ileventuali
in itinere per «curricolo comune» (docenti di ambiti disciplinari), ed in attività di la-
aggiustamenti.
boratorio chedel
All’interno richiede
POF,ladunque,
collaborazione
vanno fracollocate,
docente tutorin emodo
responsabile di laboratorio.
essenziale, le In questa
nuova prospettiva, l’insegnante di Religione Cattolica e quello della lingua straniera rimangono gli
unici veri20
Capitolo «specialisti»
pag. 312/313e operano in tutte le classi.
ta in itinere per eventuali aggiustamenti.
Programmi
– organizzazione del conte- di Religione Cattolica
sto scolastico, concepito
nei suoi elementi struttu-
rali; Asse interno, specifico
– organizzazione dei gruppi
classe, secondo le disposi- A B
zioni dell’autonomia orga-
nizzativa e didattica e le
norme dell’Intesa; Autonomia;
Centralità dell’alunno; rapporti;
– organizzazione delle atti- Professionalità
vità di Religione Cattolica negoziazioni;
con particolare attenzione
alle fonti ed ai sistemi sim- integrazioni.
Attivazione
bolico-culturali propri, spe- di ogni forma
cificatamente per ciascuna A di relazioni
delle cinque classi della Asse esterno,
B e cooperazioni
scuola primaria, secondo i integrativo interne/esterne,
«nuovi Programmi»; congruenti
con le finalità
– attivazione di congruenti della scuola.
approcci metodologico-
didattici.
«macroattività » che verranno poi via via sviluppate in percorsi didattici durante
All’interno
l’anno delQuesta
scolastico. POF, dunque, vanno collocate,
progettazione in modo essenziale,
è molto importante, le «macro-
in quanto disegna le
attività» che verranno poi via via sviluppate in percorsi didattici durante l’anno
coordinate valoriali, pedagogiche, epistemologiche ed organizzative della scuola
scolastico.
concreta Questa
nella progettazione
quale è molto
si opera, senza importante,
enfatizzazioni in quanto disegna le coordi-
o banalizzazioni.
nate valoriali, pedagogiche, epistemologiche ed organizzative della scuola con-
creta nella quale si opera, senza enfatizzazioni o banalizzazioni.
c. l’analisi degli errori, non tanto focalizzata sull’errore in sé, di nozione, quanto
sull’errore di procedure; è fondamentale, per l’insegnante, prevenire questi
errori innanzitutto sul piano personale e in secondo luogo nei confronti degli
alunni, a partire dai più piccoli. È risaputo e scientificamente attestato, infatti,
come l’apprendimento di una cosa sbagliata sia difficilissimo da correggere. È
veramente importante capire come si è prodotto l’errore, e soprattutto mettere in
atto ogni strategia relazionale e comunicativa positiva per aiutare a comprendere
questi errori di procedura;
La CEI, d’Intesa con il MIUR, ha presentato alla Scuola Primaria questi «obiettivi
specifici», inserendoli con «organicità» nel più ampio progetto che specifica la
Scuola Primaria stessa. (Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla parte di presentazione
generale del progetto, dal titolo: Programmi CEI per la Scuola dell’Infanzia e la Scuola Primaria:
le scelte pedagogico-didattiche, in questo testo.) L’IRC è entrato così, dalla «porta
centrale», nel complesso del curricolo scolastico di questa scuola, assumendone
pienamente gli obiettivi educativi e formativi e proponendosi come «concorrente»
con il proprio specifico alla formazione degli alunni di questo grado scolastico.
Esso si offre infatti come disciplina curricolare, in grado di favorire esperienze
che aprano al «senso esistenziale» ed alle aperture della propria vita interiore,
spirituale.
Per questo è importante fare alcune sottolineature in riferimento alla L.
53/2003 e all’IRC, soprattutto negli aspetti della didattica e dell’organizzazione
dei percorsi scolastici:
Viene ipotizzata una progettazione che, a partire dal POF, utilizzi tutti gli elementi
– culturali, educativi, organizzativi e didattici – come aspetti essenziali della
progettazione stessa, tenendo conto dei criteri sopra espressi.
Dagli
Dagli obiettivi
obiettivi specifici
specifici agli obiettivi formativi ed alla organizzazione di
Unità di apprendimento
agli obiettivi formativi ed alla organizzazione di Unità di apprendimento
Vengono presentati gli obiettivi specifici per ciascuna classe della scuola pri-
Vengono presentati gli obiettivi specifici per ciascuna classe della scuola
maria elaborati
primaria dalla
elaborati CEI.
dalla CEI.
CLASSE 1a
Capitolo 20 pag. 318
maria elaborati dalla CEI.
CLASSE 1a
– Dio Creatore e Padre di tutti gli uomini. – Scoprire nell’ambiente i segni che richiamano ai
– Gesù di Nazaret, l’Emmanuele «Dio con noi». cristiani e a tanti credenti la presenza di Dio Crea-
– La Chiesa, comunità dei cristiani aperta a tutti i tore e Padre.
popoli. – Cogliere i segni cristiani del Natale e della Pasqua.
– Descrivere l’ambiente di vita di Gesù nei suoi
aspetti quotidiani, familiari, sociali e religiosi.
– Riconoscere la Chiesa come famiglia di Dio che fa
memoria di Gesù e del suo messaggio.
– L’origine del mondo e dell’uomo nel cristianesi- – Comprendere, attraverso i racconti biblici delle
mo e nelle altre religioni. origini, che il mondo è opera di Dio, affidato alla
– Gesù, il Messia, compimento delle promesse di responsabilità dell’uomo.
Dio. – Ricostruire le principali tappe della storia della sal-
– La preghiera, espressione di religiosità. vezza, anche attraverso figure significative.
– La festa della Pasqua. – Cogliere, attraverso alcune pagine evangeliche,
– La Chiesa, il suo credo e la sua missione. come Gesù viene incontro alle attese di perdono e
di pace, di giustizia e di vita eterna.
– Identificare tra le espressioni delle religioni la pre-
ghiera e, nel «Padre Nostro», la specificità della
318 preghiera cristiana.
– Rilevare la continuità e la novità della Pasqua cri-
stiana rispetto alla Pasqua ebraica.
– Cogliere, attraverso alcune pagine degli «Atti degli
Apostoli», la vita della Chiesa delle origini.
– Riconoscere nella fede e nei sacramenti di inizia-
zione (battesimo-confermazione-eucaristia) gli
elementi che costituiscono la comunità cristiana.
– Il cristianesimo e le grandi religioni: origine e svi- – Leggere e interpretare i principali segni religiosi
luppo. espressi dai diversi popoli.
– La Bibbia e i testi sacri delle grandi religioni. – Evidenziare la risposta della Bibbia alle domande
– Gesù, il Signore, che rivela il Regno di Dio con di senso dell’uomo e confrontarla con quella del-
parole e azioni. le principali religioni.
– I segni e i simboli del cristianesimo, anche nel- – Cogliere nella vita e negli insegnamenti di Gesù
l’arte. proposte di scelte responsabili per un personale
– La Chiesa popolo di Dio nel mondo: avvenimenti, progetto di vita.
persone e strutture. – Riconoscere nei santi e nei martiri, di ieri e di og-
gi, progetti riusciti di vita cristiana.
– Evidenziare l’apporto che, con la diffusione del
Vangelo, la Chiesa ha dato alla società e alla vita
di ogni persona.
– Identificare nei segni espressi dalla Chiesa l’azio-
ne dello Spirito di Dio, che la costruisce una e in-
viata a tutta l’umanità.
– Individuare significative espressioni d’arte cristia-
na, per rilevare come la fede è stata interpretata
dagli artisti nel corso dei secoli.
– Rendersi conto che nella comunità ecclesiale c’è
una varietà di doni, che si manifesta in diverse vo-
cazioni e ministeri.
– Riconoscere in alcuni testi biblici la figura di Ma-
ria, presente nella vita del Figlio Gesù e in quella
della Chiesa.
Esempio 1a Classe
321
322
Le variabili di contesto
Per ogni insegnante, programmare una attività didattica nella scuola significa
anzitutto connettersi con le altre componenti educative del contesto interno ed
esterno alla scuola. Lo prevede ordinariamente il progetto educativo d’istituto,
lo esige la natura democratica e comunitaria dell’educazione pubblica, lo
presuppone ancor più esplicitamente il recente ordinamento sull’autonomia della
scuola.
L’insegnante di religione non fa eccezione. Semmai, le molteplici implicanze
educative e sociali della sua disciplina, più esposta di altre a un processo di
negoziazione multilaterale, vincolano ancor più l’insegnante a coinvolgere gli
altri partners dell’educazione e, nel contempo, a lasciarsene coinvolgere, in
quanto una corretta definizione del contratto formativo – anche e soprattutto sul
piano della educazione religiosa del preadolescente – non può prescindere da
un’intesa di fondo tra le diverse agenzie educative cointeressate alla crescita
della persona.
Il tradizionale modello umanistico della educazione scolastica privilegiava quasi
esclusivamente il referente «alunno», soggetto immediatamente coinvolto nella
Capitolo 21 pag. 324
relazione educativa, circoscrivendo ed esaurendo sostanzialmente sulla sua
persona e sul gruppo-classe tutta l’iniziativa dell’insegnante. «Conoscere l’alunno,
partire dalla sua situazione e dai suoi problemi, commisurare su di lui contenuti e
ritmi della didattica»: erano questi, e simili, gli imperativi prevalenti della stagione
pedagogica di questi ultimi decenni. Le correnti pedagogiche ispirate al classico
personalismo cristiano, si sa, hanno dato man forte in questa direzione.
Questo modello pedagogico conserva indubbiamente il suo valore, andrebbe
anzi ulteriormente potenziato nei suoi aspetti migliori o ancora inesplorati, non
senza però prendere atto oggi di una triplice crescente esigenza – culturale
prima che organizzativa – che va acutizzandosi nella società complessa e
globalizzata:
a) l’esigenza che la scuola lavori in rete con gli altri soggetti sociali e i diversi enti
territoriali, pur nel rispetto delle specifiche competenze educative;
b) l’esigenza che essa sappia progettare una educazione unitaria della persona
dell’alunno, ma che sappia tener conto anche della pluralità delle visioni della
vita (o del cosiddetto politeismo valoriale), facendone oggetto di lettura critica,
comparativa e orientativa;
c) e l’esigenza che gli stessi contenuti disciplinari vengano offerti non come
blocchi isolati di conoscenze settoriali, ma come elementi tra loro complementari
e interagenti dentro il complessivo sistema dei saperi.
Il modello sistemico, senza essere alternativo a quello umanistico, aiuta – anzi
impegna – chi lavora nella scuola d’oggi a rimanere collegato alle agenzie
educative dell’extra-scuola presenti sul territorio (contesto pluri-istituzionale),
a vagliare criticamente la gamma delle diverse visioni della vita coesistenti
evitando l’elaborazione ideologica di una sola visione (contesto pluri-culturale),
a gestire didatticamente una disciplina ma sapendo guardare anche accanto e
oltre la propria materia (contesto pluri-transdisciplinare). Il contratto formativo
scolastico coinvolge questi tre livelli di contestualizzazione e di interazione. Ne
Capitolo 21 pag. 324/325
consegue che la programmazione di ogni attività didattica – a livello di collegio
d’istituto e di classe come di singolo insegnante – prende necessariamente le
mosse da questo triplice sfondo.
In pratica la prima fase della programmazione – l’analisi della situazione di
partenza – impegna l’insegnante di religione a prendere conoscenza, o ad
aggiornarla:
– sul contesto culturale e socio-religioso del territorio e in particolare quello
delle famiglie di appartenenza dei suoi alunni, conoscenza che gli consente di
«situare» e capire molti degli atteggiamenti, interessi, motivazioni, reazioni che
l’alunno può manifestare in fatto di religione;
– sul contesto educativo-didattico della scuola, che in linea di principio dovrebbe
essere quello già definito e aggiornato dal POF locale, in base anche agli
orientamenti della legge sull’autonomia;
– ma sul piano operativo il contesto scolastico più prossimo è quello formato, da
una parte, dalle competenze disciplinari e relazionali dell’intero corpo docente,
e dall’altra dalle risorse tecniche e materiali disponibili (spazi, attrezzature,
tecnologie didattiche...).
Va da sé che l’analisi della situazione contestuale è mirata alla conoscenza
e alla relazione con il vero fulcro dell’azione educativa, che rimane la persona
dell’alunno.
Di quest’ultimo serve all’insegnante, in sede di programmazione, conoscere
sostanzialmente:
– i livelli di sviluppo delle dimensioni principali della personalità (affettivo-
relazionali, linguistico-espressivi, esperienziali e cognitivi...);
– gli stili e i ritmi di apprendimento (cf per es., la tipologia dell’«intelligenza
multipla» di H. Gardner, che distingue intelligenza linguistica, logica, spaziale,
musicale, interpersonale, ecc.);
– gli atteggiamenti istintivi e motivati di fronte al vissuto proprio e altrui
Capitolo 21 pag. 325
dell’esperienza religiosa e, più tardi, di fronte al problema religioso.
L’insegnamento curricolare della religione, nella misura in cui rientra
oggettivamente nel piano dell’offerta formativa della scuola, va programmato
sulla base dei criteri suggeriti da quest’ottica sistemica, che si traducono in
maggior rispetto e valorizzazione delle istituzioni e delle persone coinvolte
dentro e fuori la scuola, in una integrazione più funzionale delle risorse umane
e materiali, in un approccio più attento al patrimonio simbolico della cultura
ambiente, alla sua storia, e quindi anche in una scelta più circostanziata degli
stessi contenuti culturali della disciplina.
Un esempio concreto, in proposito, viene proprio dall’applicazione della legge
sull’autonomia scolastica: obiettivi e contenuti del curricolo «religione cattolica »
andranno articolati tenendo presente sia la reale situazione demografico-religiosa
o plurireligiosa del territorio, sia il capitale di beni culturali-religiosi presenti nella
regione, dal momento che in sede di programmazione si dovrà «giocare » sul
dosaggio tra un nucleo disciplinare comune a tutto il territorio nazionale e una
quota regionale elettiva di contenuti prevista dalla legge. In pratica – solo per
citare un dato di fatto ormai macroscopico – l’incremento numerico di alunni
di altra confessione o di altra religione o di nessuna appartenenza religiosa
potrebbe far presagire, in determinate zone geografiche prima o più che in
altre, una evoluzione dell’attuale corso mono-confessionale verso altri profili
più appropriati alla domanda conoscitiva della effettiva popolazione scolastica
e delle rispettive famiglie. Certo, il vigente quadro giuridico concordatario non
favorisce questa transizione della prassi verso approcci pluri/inter-confessionali
o semplicemente a-confessionali. E tuttavia va ricordato che normalmente sono
proprio le prassi innovative – che inizialmente possono apparire trasgressive
– quelle che precedono e invocano una nuova definizione legislativa, e non
viceversa.
Nell’attuale ordinamento scolastico come in quello futuro del riordino dei cicli,
ora alle sue prime fasi attuative, l’insegnante di religione sa che la sua disciplina
è inserita nell’organico dei saperi scolastici per conseguire obiettivi educativi
che si inseriscano «nel quadro delle finalità educative della scuola». Ovvio
dunque che occorra individuare quantomeno le correlazioni, esplicite o implicite,
tra finalità e obiettivi generali della scuola (nel nostro caso, della scuola media,
ora chiamata scuola secondaria di primo grado) e gli obiettivi specifici della
nostra materia. Nell’individuare tali correlazioni vanno rintracciati i luoghi in cui
i testi legislativi, dall’uno e dall’altro versante, esprimono non solo una affinità
materiale (desumibile dall’uso di concetti identici o di sinonimi) ma soprattutto
una coerenza formale, una affinità di intenzione pedagogica che non può non
attraversare l’intero progetto educativo.
Per istituire tale correlazione esistono chiaramente almeno due livelli di
osservazione: anzitutto il livello dei principi generali o delle dichiarazioni
programmatiche, e poi quello delle singole discipline o almeno di aree
disciplinari significative; anzi, nei futuri Piani di studio personalizzati gli obiettivi
specifici di apprendimento sono ordinati, da un lato, per Discipline, e dall’altro
per «Educazioni » (civica, stradale, ambientale, medica, alimentare, affettivo-
sessuale...), che trovano la loro sintesi nell’unitaria educazione alla Convivenza
civile.
L’IdR ha il compito di proporre un curricolo di apprendimento di cultura religiosa
che, in base alle variabili contestuali sopra ricordate e alle indicazioni nazionali
per i Piani di studio personalizzati (PSP), contribuisca «in modo originale e
specifico, alla formazione dell’uomo e del cittadino, favorendo lo sviluppo della
personalità dell’alunno nella dimensione religiosa» (Dpr 21.7.1987 n. 350, I,1).
Capitolo 21 pag. 326
La finalità di «formare l’uomo e il cittadino» – formula che può forse suonare
retorica e abusata – è di per sé impegno assunto in solido da tutte le discipline
scolastiche ed è quindi responsabilità comune a tutto il corpo docente. Ogni
insegnante però lavora con specificità di materia e di metodo. Il che significa
che nell’espletare la propria attività didattica ciascuno dovrà mirare a conseguire
obiettivi specifici alla sua area disciplinare, ma nel contempo e possibilmente con
una certa priorità, deve mirare a soddisfare obiettivi formativi trasversali, comuni
a più discipline. Alcuni esempi di obiettivi trasversali sono i seguenti:
– L’educazione del senso critico, o avvio alla capacità di discernimento, o prima
iniziazione al ragionare corretto. Le diverse discipline concorrono dal loro punto
di vista ad avvicinare gli alunni a questa meta. Lo studio della religione non
fa eccezione: anch’esso stimola la crescita del senso critico e autocritico su
quell’area di fatti-esperienze-saperi-valori chiamata religione e in particolare
religione cattolica. Rientrano in questo compito, per esempio, l’attenzione a
una informazione documentata sui fenomeni religiosi, il superamento di diffusi
stereotipi in ambito etico-religioso, l’avvio a un primo incontro «oggettivo» con il
documento biblico, un’iniziale capacità interpretativa dei vissuti religiosi personali
o sociali, la competenza minima a decodificare simboli e riti per scoprirne il senso
oltre l’apparenza, e via elencando.
– L’educazione del senso storico, inteso come capacità di collocare personaggi
e avvenimenti e idee sulla linea evolutiva del tempo, come capacità di cogliere
la dimensione spazio-temporale dei fenomeni e dei nessi di causa ed effetto tra
fenomeni.
L’educazione religiosa dà un chiaro e insostituibile contributo per affinare il
senso storico: infatti, non è solo questione di conoscere elementi di storia delle
religioni o di storia ebraica o di storia ecclesiastica (cose tutte che si potrebbero/
dovrebbero studiare anche nel normale corso di storia civile dei popoli), ma qui è
questione di appropriarsi specificamente del punto di vista della religione ebraico-
Capitolo 21 pag. 326/327
cristiana sulla storia, di conoscere cioè il significato che la tradizione religiosa
prevalente in Occidente ha dato e dà non solo al tempo cronologico ma all’intera
vicenda umana: l’origine dell’uomo, la sua condizione terrena, il suo destino oltre
il tempo...
– L’educazione linguistica: lungi dall’essere un obiettivo esclusivo dell’insegnante
di lettere, ogni altra disciplina aiuta l’alunno a conquistare una padronanza di
linguaggio sulle diverse aree dell’esperienza umana e del sapere codificato. Si
sa come l’esperienza religiosa, per la natura stessa del suo oggetto (inverificabile,
indicibile, infinito...), abbia dato origine a un ricchissimo linguaggio fatto di
simboli iconici e aniconici, verbali e gestuali, collettivi e personali, linguaggio la
cui ignoranza comporterebbe un reale analfabetismo linguistico e l’incapacità
di decodificare gran parte della propria cultura nella misura in cui essa si ispira
a un codice fondamentale religioso, com’è il caso della Bibbia per la cultura
occidentale.
Quanto agli obiettivi disciplinari specifici per la religione, la fonte cui attingerli
resta per ora sostanzialmente il testo dei Programmi neoconcordatari approvati
nel 1987, in attesa di una loro annunciata ristesura che dovrebbe far tesoro
anzitutto della lezione desumibile dalla pratica pluriennale di detti programmi
(ma è esistito, almeno localmente, un monitoraggio continuo e sistematico della
prassi, che possa costituire oggi una base plausibile per decidere su una nuova
ristesura?), e far tesoro poi dei suggerimenti, ancorché interlocutori, emersi dal
recente tentativo di sperimentazione nazionale (cf Documento conclusivo della
sperimentazione nazionale sull’IRC, agosto 2002).
Mettendo in parallelo i diversi testi disponibili alla data attuale – in parte de jure
condito, in parte tuttora de jure condendo – ne deriva uno schema sinottico degli
obiettivi generali del triennio, che può servire all’Idr come piattaforma di partenza
per l’ulteriore formulazione degli obiettivi operativi annuali e infra-annuali, da
definire necessariamente in rapporto ai contenuti disciplinari e ai metodi, e cioè
Capitolo 21 pag. 327/328
alle Unità di apprendimento. Queste ultime infatti, secondo le indicazioni offerte
dal documento ministeriale PSP sopra citato, partono da obiettivi formativi adatti
e significativi per i singoli allievi, si sviluppano mediante appositi percorsi di
metodo e di contenuto, e valutano alla fine sia il livello delle conoscenze e delle
abilità acquisite, sia se e quanto esse abbiano maturato le competenze personali
di ciascun allievo.
328
Gli obiettivi specifici dell’apprendimento della religione
L’attenzione deve spostarsi ora sui contenuti essenziali del sapere religioso
proponibile alla fascia di età anagrafica che qui ci interessa. La domanda da
porsi è la seguente: in vista di far conseguire i predetti obiettivi generali, che cosa
possono e debbono apprendere a scuola i pre-adolescenti italiani d’oggi in fatto
di religione? E in quale ampiezza semantica va preso qui il termine «religione»:
solo come religione cattolica, come storia religiosa occidentale e italiana, o anche
come fenomeno religioso universale, come sguardo alle religioni dell’umanità di
ieri e di oggi, come dimensione della persona umana da aprire al trascendente?
La risposta cui in Italia si era finora abituati era quella – scontata e inevitabile
– dello studio del cattolicesimo, o, più esattamente, dei contenuti dottrinali e
morali della fede cattolica. La revisione del Concordato – si sa – ha spostato
di poco l’ottica di questo approccio, che da approccio catechistico è diventato
Tabella 2
Obiettivi formativi annualizzati (ipotesi di tassonomia esemplificativa)
NUCLEI TEMATICI con relativi OBIETTIVI FORMATIVI biennio anno
1° 2° 3°
2. apprezzare nel loro significato simbolico immagini e gesti «religiosi» delle civiltà antiche
3. conoscere, a livello lessicale elementare, il significato di termini come: mito e mitologia, sa-
crificio e sacerdote, tempo e spazio sacri, culto dei morti, divinizzazione e divinazione, po-
liteismo
5. individuare una continuità tra le religiosità primitive e certi tratti della religiosità di popoli mo-
derni non occidentali
6. ricostruire le grandi tappe della storia del popolo ebraico, da Abramo a Gesù di Nazaret
7. conoscere il significato delle principali componenti della cultura ebraica (la legge, il tempio
e la sinagoga, il culto, le feste...) e di alcuni simboli (l’arca, il candelabro, l’agnello pasqua-
le, la stella...)
8. discernere alcuni caratteri specifici del Dio biblico rispetto alle divinità extrabibliche
9. individuare nei principali racconti biblici delle origini il messaggio che intendono proporre
Capitolo 21 pag. 332
8. discernere alcuni caratteri specifici del Dio biblico rispetto alle divinità extrabibliche
9. individuare nei principali racconti biblici delle origini il messaggio che intendono proporre
10. riconoscere e apprezzare i valori morali di cui la cultura ebraica è portatrice, superando
eventuali pregiudizi o stereotipi antisemiti
11. raccordare alcuni dati della cultura italiana e occidentale alla loro radice biblica (es.: locu-
zioni italiane provenienti dalla letteratura biblica, opere d’arte ispirate a scene bibliche, ecc.)
12. saper utilizzare il testo biblico, individuandone i libri e versetti e un’approssimativa colloca-
332zione nel tempo e nello spazio sociale
13. situare la persona di Gesù nel contesto della società civile e religiosa del suo tempo
14. saper collocare geograficamente la Palestina e le principali località connesse con la vita di
Gesù
15. conoscere le principali fonti su cui si basano le notizie sulla persona e sull’attività di Gesù
16. conoscere il Nuovo Testamento nei suoi principali aspetti storici e letterari (genesi orale-scrit-
ta dei vangeli, Atti, lettere paoline...)
17. leggere per pericopi selezionate uno dei Vangeli, sapendo riconoscere personaggi, eventi, lo-
calità geografiche, usi sociali... citati nel testo
18. ricostruire, con approssimazione cronologica, gli avvenimenti fondamentali della vita pub-
blica di Gesù e del suo gruppo di discepoli
19. conoscere il racconto di alcune parabole e individuarne il significato simbolico o etico
20. evocare alcuni racconti evangelici di miracolo, sapendovi riconoscere segni di salvezza ope-
rata da Gesù, più che prove di potenza magica
21. motivare
Capitolo 21lapag.
differenza radicale tra le resurrezioni operate da Gesù e la sua stessa resurrezione
332/333
19. conoscere il racconto di alcune parabole e individuarne il significato simbolico o etico
20. evocare alcuni racconti evangelici di miracolo, sapendovi riconoscere segni di salvezza ope-
rata da Gesù, più che prove di potenza magica
21. motivare la differenza radicale tra le resurrezioni operate da Gesù e la sua stessa resurrezione
22. descrivere a grandi linee la nascita e il comportamento delle prime comunità cristiane, se-
condo il racconto degli Atti
23. conoscere per sommi capi la figura, i viaggi, l’opera missionaria di Paolo di Tarso
24. individuare le principali differenze che distinguevano la fede dei cristiani sia dalla tradizio-
ne ebraica che dai culti contemporanei della civiltà greco-romana
25. conoscere le principali cause e conseguenze delle persecuzioni mosse ai cristiani nei primi
secoli
26. conoscere i principali effetti positivi e negativi della «svolta costantiniana» nella Chiesa
27. conoscere alcuni grandi meriti culturali e religiosi del monachesimo occidentale
28. conoscere le cause e le conseguenze dello scisma d’Oriente
29. motivare la reciproca ostilità, ma anche il reciproco arricchimento, avvenuto fin dall’origine
tra cristianesimo e islam
30. ricostruire le figure storiche di Francesco d’Assisi e Caterina da Siena come testimoni della lo-
ro epoca e come operatori di pace sociale ed ecclesiale
31. elencare eventi e personaggi principali che portarono l’Europa cristiana del Cinquecento al-
le riforme della Chiesa (riforma luterana, anglicana, cattolica...)
333
Capitolo 21 pag. 333
32. documentare i tratti del volto rinnovato della Chiesa cattolica uscita dal concilio di Trento
33. illustrare alcune grandi figure moderne di missionari che hanno evangelizzato gli altri conti-
nenti
34. illustrare le principali innovazioni introdotte nella vita dei cristiani dal concilio Vaticano II ad
oggi, alla luce dei suoi principali protagonisti: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II
35. individuare e motivare le tappe del «come si diventa cristiani» (il processo della iniziazione
cristiana com’era e com’è praticata nella Chiesa cattolica e nelle altre Chiese cristiane)
36. conoscere per elementi essenziali i segni materiali e rituali e il significato salvifico annesso
ai vari sacramenti praticati nella tradizione cattolica
37. comparare i sacramenti cristiani ad analoghi riti tipici delle culture non cristiane, relativi al-
la nascita, all’iniziazione degli adolescenti, alle nozze, ai riti funerari
38. conoscere i principi basilari dell’etica biblico-cristiana: la condizione dell’uomo come crea-
tura, la dignità della persona e di ogni persona, la coscienza libera e responsabile, peccato e
redenzione
39. conoscere il carattere specifico della morale del vangelo: le beatitudini e il regno di Dio co-
me nucleo del messaggio di Gesù ai suoi discepoli
40. illustrare come alcuni personaggi della storia cristiana di ieri e di oggi abbiano saputo incar-
nare l’ideale delle beatitudini
41. documentare, per esemplificazioni storiche, alcuni influssi dello stile cristiano di vita nella vi-
ta della società civile occidentale, in particolare italiana: nella famiglia, nel lavoro, in politi-
ca, nella difesa dei diritti umani, nella salvaguardia del creato, ecc.
42. elencare e documentare alcune grandi azioni svolte dalla Chiesa o da singoli cristiani per la
Capitolo 21 pag.
promozione 334sociale e interreligiosa nel nostro tempo
della pace
ta della società civile occidentale, in particolare italiana: nella famiglia, nel lavoro, in politi-
ca, nella difesa dei diritti umani, nella salvaguardia del creato, ecc.
42. elencare e documentare alcune grandi azioni svolte dalla Chiesa o da singoli cristiani per la
promozione della pace sociale e interreligiosa nel nostro tempo
43. riconoscere i motivi per cui i cristiani, nel lottare per la giustizia, propongono insieme il va-
lore della carità e del perdono
44. documentare, anche con dati empirici, il fenomeno della pluralità di fedi religiose nella pro-
pria regione e a livello nazionale ed europeo, riconoscendo in tal fenomeno rischi e nuove
opportunità
45. saper leggere la carta geografica dell’Europa religiosa di oggi, dando le ragioni della diffusione
delle diverse confessioni cristiane, del processo moderno di scristianizzazione, della pre-
senza crescente di altre religioni storiche e di «nuove religioni»
46. conoscere i principi base e qualche importante azione del movimento ecumenico nell’ulti-
mo secolo e la posizione della Chiesa cattolica nei confronti delle altre confessioni cristiane
47. conoscere il significato di concetti correnti come: ecumenismo, dialogo interreligioso, fa-
natismo, fondamentalismo, libertà religiosa, nonviolenza, proselitismo, settarismo, tolle-
ranza
48. saper individuare alcune principali differenze e affinità tra fede cristiana e fede musulmana
334
49. saper individuare alcune principali differenze e affinità tra fede cristiana e religioni orientali
50. comprendere alcune spiegazioni che gli esperti danno del fenomeno della secolarizzazione
o dell’indifferenza religiosa, presente nelle società italiana ed europea
51. conoscere le ragioni principali per cui la Chiesa cattolica, a partire dall’ultimo concilio, ri-
conosce e apprezza le altre grandi religioni
52. conoscere, anche solo a livello locale o nazionale, movimenti e persone che lavorano per il
Capitolo 21ecumenico
dialogo pag. 334/335
e interreligioso
50. comprendere alcune spiegazioni che gli esperti danno del fenomeno della secolarizzazione
o dell’indifferenza religiosa, presente nelle società italiana ed europea
51. conoscere le ragioni principali per cui la Chiesa cattolica, a partire dall’ultimo concilio, ri-
conosce e apprezza le altre grandi religioni
52. conoscere, anche solo a livello locale o nazionale, movimenti e persone che lavorano per il
dialogo ecumenico e interreligioso
53. conoscere i principali focolai di conflitto interreligioso che minacciano tuttora la pace tra po-
poli e ipotizzare vie di soluzione pacifica secondo i casi analizzati
54. saper dialogare con compagni di altra fede, confrontando nel reciproco rispetto le proprie
convinzioni religiose e i propri valori morali con quelli altrui
Si tratta di far scoprire allo studente che senza un senso generale unitario
attribuito al nostro mondo, non esiste nemmeno la possibilità di coltivare le
singole prospettive che lo possono comporre.
Ciò è vero anche per il fenomeno religioso.
Innanzitutto esiste la religione ed esistono donne e uomini religiosi. La loro
rilevanza è tale da aver avuto storicamente una notevole incidenza sulla vita e
sulla cultura nel loro complesso.
L’approccio religioso esplora il significato che la religione ha per il credente, le
relative modalità di espressione, gli effetti nella condizione umana.
L’approccio storico esplora l’incidenza che la religione ha nelle vicende delle
collettività umane.
L’approccio sociologico esplora i modelli di comportamento che la religione ha
creato, le dinamiche di aggregazione che il religioso ha originato nelle istituzioni,
le manifestazioni che creano consenso e legittimazione.
L’approccio letterario esplora la forza espressiva del sentimento religioso che si
traduce in composizioni epiche, liriche, celebrative, rituali.
L’approccio artistico esplora le espressioni estetiche della vita e dei sentimenti
religiosi.
Tutti questi approcci vanno ricondotti all’unità del fenomeno religioso e non
devono costituire fine a se stessi, ancorché legati ad una singola disciplina.
Più in generale, il documento di Fiuggi ribadisce che tutti gli approcci disciplinari
non sono fine a se stessi, ma mirano alla comprensione interdisciplinare dello
stesso oggetto conoscitivo.
1.6. Problematicità
La licealità viene presentata dai documenti finora pubblicati nella sua unitarietà,
ma essa comprende, contestualmente e secondo una tradizione plurisecolare,
la individuazione di otto tipologie diversificate, con l’ulteriore possibilità di
suddivisione in più indirizzi.
Per ciascuno dei tipi di licei viene offerta una traccia specifica per l’IRC.
Può essere tenuta presente lungo l’intero curriculum oppure concentrata nel
periodo terminale.
I singoli licei vengono elencati in ordine alfabetico!
Per questo liceo possono essere riprese le considerazioni fatte a proposito del
Liceo artistico.
L’IRC esplorerà le modalità attraverso le quali sono stati espressi a livello
musicale e coreutico i contenuti e le aspirazioni religiose.
Inoltre, l’IRC può promuovere i nuclei di aggregazione interdisciplinare,
riproponendo esperienze musicali religiose dalla tradizione monastica fino ai
nostri giorni.
Allargando l’orizzonte, possono essere affrontate esperienze di teatro e di danza
legate a forme di religione di altre culture.
Può essere promossa la composizione di una breve opera musicale e coreutica
di contenuto religioso, secondo il gusto dei giovani.
Riferimenti bibliografici
Introduzione
1.2. Il percorso formativo rinnovato dalla legge 144 del 1999: l’avvio
dell’obbligo formativo
Dopo quasi due decenni di relativa stabilità, a partire dalla seconda metà degli
anni Novanta, l’Italia ha iniziato a vivere – e vive tuttora – un profondo e talvolta
disomogeneo processo di riforme che ha coinvolto sia le istituzioni educative che
l’ordinamento dello Stato.
La legge 144 del 1999, pur confermando il legame tra azioni formative e
politiche attive del lavoro (legge 845/78), colloca la FP in un «sistema» educativo,
indicando l’obbligo di frequenza di attività formative fino al 18° anno di età come
la fase iniziale di un percorso che può proseguire nella formazione superiore e
Capitolo 23 pag. 349
nella formazione continua. La legge introduce anche il concetto di «integrazione
dei sistemi formativi». La FP usciva così dal suo pluridecennale isolamento per
collocarsi a pieno titolo all’interno del sistema educativo; pur conservando la
sua peculiare fisionomia, la funzione professionalizzante, ha assunto, a pieno
titolo, anche la funzione più specificatamente culturale in risposta ai nuovi bisogni
dei saperi di base, necessari per essere cittadini attivi nell’attuale società della
conoscenza.
Con la legge 144/99, infine, la FP non si limita più alla erogazione di singoli
corsi ma diviene una azione complessa in cui interagiscono politiche formative,
di orientamento e del lavoro. Così i vecchi corsi di formazione professionale
biennali vengono sostituiti da «percorsi formativi», articolati in azioni corsuali
dirette e in misure di personalizzazione, quali l’accoglienza, l’orientamento, le
misure di accompagnamento in itinere e finale.
Circa il soggetto la normativa di quegli anni si limita ad allargare la platea dei
potenziali soggetti erogatori del servizio formativo, purché in possesso di specifici
requisiti (legge 196 del 1997).
In base alle indicazioni della legge n. 845/78, ogni tipo di curricolo formativo
della FP prevedeva, oltre alla fase dell’alternanza o stage, tre aree di supporto
all’esercitazione operativa e pratica: un’area tecnologica, un’area scientifica
e un’area culturale. L’area culturale era maggiormente assimilabile, quanto a
contenuti, a quella che nella scuola secondaria era l’area antropologico-sociale e
l’area linguistico-letteraria.
Nella FP è stata l’area che ha presentato maggiore disomogeneità di
impostazione.
In molti casi, infatti, quest’area è stata ridotta ad un recupero ed un supporto
linguistico-espressivo, che promuove le abilità fondamentali del leggere, scrivere,
esprimersi, relazionarsi, discutere e dialogare in modo corretto, incisivo e
ragionato.
In altri casi si è focalizzato l’aspetto conoscitivo su elementi di economia o
leggi e norme attinenti la vita sociale e politica, oltre che conoscenze di storia
operaia e lavorativa. Globalmente possiamo affermare che l’area della cultura
ha spaziato dalla comunicazione interpersonale e sociale alle informazioni
socioeconomiche fino ad una vera e propria area linguistico-umanistica
di carattere letterario, antropologico, sociale e giuridico. Queste diverse
accentuazioni sono state il frutto sia degli indirizzi di singole regioni che del
regime di pluralismo, di autonomia e di libertà lasciati agli enti di FP. Più che nelle
Capitolo 23 pag. 351/352
altre aree, «si sono fatte risentire in essa le tradizioni educative proprie degli
enti gestori o le prospettive ideologiche di riferimento che prevalgono nelle forze
sociali e politiche, operanti a livello locale o che comunque gestiscono attività
pubbliche di formazione professionale» (Nanni, 1991).
Dopo l’approvazione della legge 845/78, in molte regioni, sono state attuate
sperimentazioni promosse sia da enti pubblici (Regione Piemonte, Regione
Lazio, Regione Veneto) sia da enti del privato sociale (come il CNOS-FAP). Le
indicazioni di seguito riportate sull’area culturale fanno riferimento soprattutto alla
sperimentazione del CNOS-FAP.
d) inserire in forma attiva e partecipativa gli utenti nel mondo del lavoro e nella
società civile ed ecclesiale nella prospettiva di una cultura della corresponsabilità
e della solidarietà.
L’area della Cultura Generale tendeva così ad offrire agli allievi informazioni
solide e critiche; ne motivava le conoscenze e le abilità che venivano apprese;
stimolava l’apertura ad interessi ampi di ordine professionale, culturale,
personale, sociale, morale e religioso, nella flessibilità e nella disponibilità
all’aggiornamento e all’innovazione, al mutamento, pur nella ricerca di una
consolidata identità e continuità culturale, personale, sociale ed ecclesiale;
suscitava atteggiamenti, prese di posizione personale e forme di presenza
professionale, civile e cristiana, che sanno coniugare sapere, saper fare e saper
essere.
Dal punto di vista dei contenuti l’area prevedeva un miglioramento linguistico ed
espressivo (sia sotto forma di recupero, sia sotto forma di supporto alle altre aree
curricolari, sia come sviluppo delle personali capacità linguistiche ed espressive);
Capitolo 23 pag. 352/353
promuoveva competenze comunicative e relazionali adeguate ai modi e alle
esigenze della professione cui si intendeva formare; offriva contenuti attinenti
una aggiornata e critica cultura del lavoro e della professionalità; stimolava
ad un approfondimento ragionato e solidamente fondato dei rapporti tra vita
professionale, dimensione etico-religiosa, impegno civile ed ecclesiale.
I pochi cenni sono sufficienti per comprendere come la dimensione etico-
religiosa sia stata ritenuta, sin dalle prime sperimentazioni, parte integrante
della cultura generale. Così inquadrata, questa dimensione aveva l’obiettivo
di aiutare l’allievo a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario
dell’attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. Non
riconducendola a disciplina autonoma, si è potuto evitare il pericolo di incrinare
l’organicità del progetto formativo e di indurre l’allievo a pensare tale dimensione
come un corpo estraneo agli intenti della formazione professionale.
Circa le strategie didattiche adottate è sufficiente osservare che l’azione
formativa trovava il suo punto di partenza nella individuazione e nell’analisi dei
bisogni formativi e professionali specifici degli utenti; organizzava i contenuti
in moduli ed unità didattiche, scanditi lungo il decorso dei cicli formativi a
disposizione; privilegiava il riferimento alle fonti, ai documenti e stimolava
alla ricerca, al lavoro e alla discussione di gruppo; faceva uso di molteplici
strategie didattiche disciplinari e interdisciplinari, di sussidi tradizionali e di
mezzi multimediali; controllava e valutava sistematicamente il processo di
apprendimento mediante forme di valutazione formativa e di valutazione finale.
Questo approccio è stato analizzato mediante attenti studi e ricerche soprattutto
da parte della Federazione CNOS-FAP. Due sondaggi nazionali (1991, 1995-
96) hanno monitorato l’efficacia del progetto formativo nella sua globalità. Le
conclusioni confermavano che l’impostazione si rivelava globalmente adeguata
alle attese degli allievi che frequentavano in quei decenni i vari CFP (CNOS-FAP,
1991; CNOS-FAP, 1995-96).
Capitolo 23 pag. 353
2.2. La dimensione religiosa negli standard formativi dell’area comune: la
fase della legge 144/99
Area dell’INGLESE
L’area mira a far acquisire la capacità di comunicare adeguatamente in situazioni
quotidiane e di comprendere testi tecnici.
Sigle
Riferimenti bibliografici
Esperienze nella FP
Introduzione
Questa classificazione
Questa molto
classificazione generale
molto nonnon
generale esaurisce
esauriscetutta la la
tutta grande
grandevarietà
varietàdegli
de-
strumenti che ogni metodo educativo e modello didattico ha codificato
gli strumenti che ogni metodo educativo e modello didattico ha codificato e propone.
e pro-
In genere
pone. ogni strumento
In genere non è non
ogni strumento usato da solo,
è usato da ma
solo,inma
svariate combinazioni
in svariate ed
combinazioni
ed adattamenti
Capitolo alla concreta situazione.
24 pag. 366
adattamenti alla concreta situazione.
In via esemplificativa presentiamo la classificazione degli strumenti che viene
proposta nel modello della didattica per concetti. La didattica per concetti,
muovendosi in una prospettiva di didattica attiva che pone al centro l’attività
dell’allievo, parla non di strumenti ma di «mediatori didattici» che consentono di
affrontare in modo adeguato il lavoro di aula e di laboratorio. Vengono indicati
quattro tipi di mediatori didattici: attivi, iconici, analogici, simbolici (E. Damiano -P.
Todeschini, 1994, 151-159).
Mediatori attivi sono quelli che consentono una maggior «presa di contatto» tra
l’immediatezza dell’esperienza e la riflessione su di essa. Vengono usati per
lavorare direttamente sull’esperienza delle cose e degli eventi e comprendono:
una serie di obiettivi e criteri base da raggiungere, schede di osservazione e
informazione, tabelle di raccolta dati, griglia di domande, strumenti tecnici di
rilevazione e misura, ecc. (Zuccari, 1997, 114-120).
Mediatori iconici servono a rappresentare la realtà mediante immagini fisse
o mobili e scale e comprendono: schemi, tabelle, diagrammi, matrici, mappe,
reti, serie di domande, cartelloni di assemblaggio, segni grafici, scalette di titoli,
schematizzazioni con parole chiave.
Mediatori analogici consistono in giochi ed esercizi di simulazione per la
comprensione di realtà complesse e sono: giochi di gruppo e di assunzione
di ruoli, simulazione delle conseguenze delle scelte e strumentali,
drammatizzazione, linguaggio mimico-gestuale, elaborazione di dialoghi,
ambientazioni, esercizi di verifica dei risultati, ecc.
Mediatori simbolici consistono nell’esposizione ed ascolto di informazioni e
concetti organizzati e sono ad esempio: lezioni, esposizioni di testi, griglie di
lettura, appunti, test, questionari di inchiesta e intervista, dialogo, scelta di
opinioni e di oggetti con espressione della motivazione, ecc. (Romio, 1996, 42-
43).
Capitolo 24 pag. 366/367
2. Gli strumenti della valutazione
La Riforma ha voluto con decisione aprire una nuova stagione didattica: quella
della personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento. Nel
far questo non ha solo indicato i traguardi da raggiungere attraverso il Profilo
educativo culturale e professionale, le Indicazioni nazionali, le Raccomandazioni
per l’attuazione. Essa ha anche indicato nel Piano personalizzato delle attività
formative o Piano di studio personalizzato e nel Portfolio delle competenze
individuali, le due modalità che personalizzeranno gli obiettivi generali e specifici
di apprendimento previsti nelle Indicazioni nazionali. Tali modalità troveranno
concreta attuazione attraverso il docente tutor e l’articolazione delle attività di
apprendimento in momenti di gruppo classe e di gruppo laboratori (Sandrone
Boscarino, 2003, 7-14).
La personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento determinerà,
dunque, un nuovo equilibrio nella selezione ed uso degli strumenti didattici,
anche in seguito all’ingresso nella stanza della programmazione: dell’alunno,
della famiglia, degli altri insegnanti, delle istituzioni locali e del sistema educativo
non formale e informale.
La Riforma però, nei documenti fino ad ora pubblicati, non dice nulla di specifico
degli strumenti didattici, accogliendo in pratica quanto afferma la tradizionale
prassi didattica. Ma sia il portfolio che i laboratori introducono delle novità nella
strumentazione didattica.
Il portfolio dello studente, come «collezione strutturata, selezionata e
Capitolo 24 pag. 369/370
commentata/ valutata di materiali prodotti dall’allievo» è indubbiamente uno
strumento per l’orientamento, per la valutazione del processo didattico e
delle competenze raggiunte dall’allievo. Ciò è confermato dalle due sezioni,
per l’orientamento e per la valutazione, che compongono il portfolio. Quello
che costituisce indubbiamente una novità rispetto al passato è il rilievo dato
dalla Riforma a questo strumento che viene a costituire uno dei più importanti
documenti prodotti dalla scuola che accompagnerà il cittadino nella ricerca di
lavoro, nella riconversione professionale e nella formazione continua.
L’altra grande novità sul piano degli strumenti didattici sono i laboratori, voluti
dalla Riforma per il miglior apprendimento di alcune conoscenze e abilità.
Se attraverso i laboratori si vogliono sviluppare le conoscenze linguistiche, le
attività espressive, motorie, informatiche, operative ed il recupero/sviluppo di
conoscenze specifiche è evidente che la scuola dovrà dotarsi di una nuova e
molto più ricca strumentazione.
Infine molto significativa è l’accentuazione data dalla Riforma all’Unità
di Apprendimento che è pensata come lo strumento per personalizzare
l’insegnamento, per trasformare gli obiettivi in competenze dell’allievo e per
costruire il Piano di Studio Personalizzato. All’interno di questa unità dovrebbe,
anche, concretizzarsi il passaggio dai saperi disciplinari al sapere unitario
e ologrammatico che costituisce il fine di tutto il processo di insegnamento-
apprendimento.
5. Il libro di testo
Gli strumenti di lavoro nell’IRC non si distinguono da quelli delle altre discipline.
L’IdR preparato e motivato conosce le apparecchiature didattiche e sovente ne
possiede una sua personale dotazione. Spesso, però, è proprio l’inadeguatezza
delle strutture scolastiche che scoraggia o non consente di utilizzare
apparecchiature anche molto semplici. Sulla carta la Riforma sembra, soprattutto
con la proposta dei laboratori, indicare un diverso orientamento, ma la scarsità di
mezzi economici di cui dispone non lascia ben sperare.
I materiali utilizzabili nell’IRC sono, invece, tra loro molto differenziati e
li troviamo disseminati nei prodotti delle scienze di riferimento dell’IRC.
Normalmente nei diversi testi di religione si possono trovare vari materiali, ma
deve essere cura dell’IdR raccogliere e catalogare i materiali che incontra. La
caratteristica fondamentale che tali materiali debbono avere è la significatività
esistenziale.
Essi vanno distinti per area tematica in cinque aree fondamentali:
– l’area di senso, il linguaggio religioso e le religioni;
– Dio;
Capitolo 24 pag. 375/376
– Gesù Cristo;
– la Chiesa;
– la morale.
I materiali si possono poi distinguere e organizzare a seconda della loro finalità e
utilizzazione nel processo didattico in:
– materiali di ingresso: hanno lo scopo disegnare la situazione di partenza e di far
emergere e precisare la domanda,
– materiali di confronto e verifica: forniscono ciò che il sapere scientifico e la
tradizione religiosa hanno prodotto sul tema della domanda,
– materiali di proposta: servono a favorire la rielaborazione personale e la
formulazione della risposta.
Tra i materiali più comunemente usati nell’IRC possiamo indicare:
– materiali parlati: lettura, spiegazione, commento di testi, dialogo diretto,
discussione e conversazione, lezione, ecc.;
– materiali scritti: testi, riflessioni, didascalie, termini tecnici, nomi, legenda, titoli,
libri, giornali, ipertesti, ecc.;
– materiali visivi: disegni, schizzi, immagini fotografiche, illustrazioni, diapositive,
stampe, fumetti, riproduzioni, libri e riviste illustrati, film muto, materiali per
episcopio, carte geografiche, inserti iconografici a tema, ecc.;
– materiali uditivi: canzoni, testi recitati, trasmissioni radiofoniche, registrazioni di
lezioni, commenti e spiegazioni, dischi, cassette, Cd rom, ecc.,
– supporti: schede, cartelloni, schemi, grafici, segni convenzionali, simboli, ecc.
– materiali occasionali: di uso quotidiano, oggetti particolari, esotici o tradizionali,
ecc.;
– materiali strutturati: modelli, plastici, schede, eserciziari, test, questionari,
blocchi logici, ecc.;
– risorse umane: testimonianze, esperienze dirette, interviste, tradizioni popolari,
ecc.;
Capitolo 24 pag. 376
– giochi didattici: comportamenti liberi e creativi individuali e di gruppo, ecc.;
– materiali attivi: visite guidate, escursioni esplorative, esperienze dirette, ecc.
(Romio, 1996, 40-41).
9. Conclusione
Ogni riforma della scuola è figlia del suo tempo e risente delle esigenze, degli
stimoli e delle pressioni che scaturiscono dal contesto socio-culturale in cui viene
concepita e realizzata.
La riforma in atto in Italia procede lentamente, tra molte difficoltà, che mettono
a dura prova gli insegnanti di tutte le discipline, anche quelli di IRC. Tra tentativi
di innovazione e ripensamenti che hanno caratterizzato gli ultimi anni, è tuttavia
possibile intravedere binari ormai tracciati e coordinate di riferimento attendibili,
che consentono di elaborare una prima riflessione plausibile sulla possibile
organizzazione globale degli itinerari didattici.
Cerchiamo di offrire qualche direttrice di marcia, che possa orientare il lavoro
degli IdR, impegnati a riconfigurare la loro disciplina con attenzione a ciò che è
richiesto dalla riforma in atto. Lo faremo attraverso un approccio, che ci permetta
di fare memoria selettiva e mirata delle acquisizioni maturate fino ad oggi e di
indicare proiezioni di sviluppo per il futuro. La storia recente della disciplina,
infatti, ci ha insegnato a considerare le acquisizioni raggiunte in modo dinamico
e sempre suscettibile di evoluzione; nello stesso tempo però ci ha fatto toccare
con mano la solidità di alcuni punti fondamentali, che col mutare degli scenari
Capitolo 25 pag. 378
sociopolitici o del linguaggio pedagogico-didattico restano validi, perché legati
per un verso alla domanda educativa oggi emergente e alle concrete possibilità
di assumerla, che nessun amministratore può ignorare, e per un altro alla natura
stessa della disciplina concordataria, che presenta caratteristiche specifiche, non
facilmente manipolabili o barattabili senza che si perda la sua identità e quindi si
rischi il suo dissolvimento.
Nel 1998, dopo che l’allora ministro Luigi Berlinguer aveva annunciato di por
mano alla riforma radicale della scuola italiana, la CEI, d’intesa con il Ministero
della Pubblica Istruzione, aveva iniziato una sperimentazione nazionale biennale
sui programmi di religione cattolica. Questa esperienza è il crogiuolo privilegiato,
anche se non esclusivo, al quale attingeremo per configurare il nostro contributo.
Il contesto nel quale ci muoviamo, dunque, non è facile da gestire, perché per
un verso è caratterizzato da esigenze di diversificazione e per un altro da quelle
di ricondurre ad unità i percorsi scolastici per garantire a tutti un servizio equo.
Questa del resto è stata la sfida, percepita in forme ben più ampie, di fronte alla
quale si sono trovati gli esperti della Commissione Internazionale sull’Educazione
per il XXI secolo, espressa nel rapporto all’UNESCO. Consapevoli del fatto che i
moderni mezzi di comunicazione mettono a disposizione delle nuove generazioni
informazioni e conoscenze che non trovano precedenti nella storia; ma anche
che, nello stesso tempo, l’educazione deve fornire punti di riferimento che
consentano agli individui di non essere sommersi dal flusso delle informazioni,
affermano che l’educazione deve «offrire simultaneamente le mappe di un
mondo complesso in perenne agitazione e la bussola che consenta agli individui
di trovarvi la propria rotta». (Cf J. DELORS, Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando
Editore, 1997, p. 79.)
L’immagine della mappa e della bussola calza bene anche per la configurazione
Capitolo 25 pag. 380
della nostra disciplina nel contesto della riforma in atto, e volendo subito indicare
il punto cardinale verso il quale è diretto l’ago della bussola, che orienta nel
contempo la riforma e l’IRC, possiamo dire che è l’attenzione alla persona, intesa
inequivocabilmente con le caratteristiche che le attribuisce la ricca tradizione
pedagogica ispirata ai valori cristiani.
La scelta fondamentale che sta alla base della recente letteratura ministeriale
e dei nuovi documenti per l’IRC è la centralità della persona, che riceve dalla
scuola un contributo peculiare per la sua crescita.
Nella lettera dell’aprile 2002, che il ministro Letizia Moratti ha indirizzato a
studenti, genitori e docenti, con la quale si apre il fascicolo dal titolo «Una scuola
per crescere», stampato dal «Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca», si leggono espressioni molto significative ed impegnative in tal senso.
Afferma il Ministro: «La scuola che abbiamo in mente è un modello di comunità
di studenti, famiglie e docenti, che sappia formare i ragazzi prima di tutto come
persone, rafforzando nella scuola la sua essenziale funzione educativa. Ciò
che proponiamo è un patto tra la scuola e la famiglia che ci consenta di formare
identità individuali forti, persone dotate di capacità critiche, coscienze libere
legate ai valori del rispetto umano, della solidarietà, della giustizia» (p. 2).
Se questa è davvero la persona che si intende educare attraverso la scuola,
l’impegno profuso per la riforma non può trascurare la cura e la promozione degli
aspetti etici e religiosi, contro ogni tentativo di ridurre il suo compito alla semplice
«informazione» culturale, ad addestramento professionale o a formazione
tecnica, funzionale alla produttività. La scuola pertanto si configura come servizio
specifico all’alunno, lo aiuta ad inserirsi nella vita offrendogli i necessari contenuti
Capitolo 25 pag. 381
culturali, attraverso un’azione didattica attenta alle dinamiche di apprendimento
funzionali alla sua crescita umana integrale: è intorno alla persona e alle sue
esigenze di crescita in tutte le dimensioni che si costruisce l’unità dei diversi
itinerari didattici che la scuola progetta e realizza.
Per questo l’IRC, disciplina tradizionalmente attenta a questi aspetti, si
inserisce a pieno titolo nell’organizzazione didattica più generale della scuola,
rispettandone i modelli e le categorie, e dunque si configura in conformità con
le indicazioni dell’attuale riforma, contribuendo, per quanto di sua competenza,
alla maturazione del «Profilo educativo, culturale e professionale» dell’alunno,
previsto dalla normativa attuale.
Per far questo gli IdR avranno a disposizione, come quelli delle altre discipline,
«Obiettivi specifici di apprendimento» in rapporto ai quali definire «obiettivi
formativi» adatti e significativi per i singoli alunni, e potranno così progettare
le «unità di apprendimento» secondo le indicazioni fornite anche agli altri
insegnanti.
Così la disciplina contribuirà in modo proprio alla realizzazione del «Piano di
studio personalizzato», dal quale si ricava anche la documentazione utile per la
compilazione del «Portfolio delle competenze individuali».
Questo strumento, oltre ad una sezione dedicata alla valutazione, ne contiene
una che in sintonia con la precedente è riservata all’orientamento, ed è pertanto
utile a stimolare lo studente alla conoscenza valutativa di se stesso, in vista della
costruzione di un personale progetto di vita. Esso non potrà essere appiattito
e limitato alla definizione del possibile sbocco professionale per il futuro e l’età
adulta, ma nella proclamata ottica di una educazione integrale della persona,
comprenderà anche le implicanze esistenziali, gli aspetti etici e religiosi, per i
quali il contributo dell’IRC potrà essere particolarmente prezioso.
Lo sarà nella misura in cui la sua organizzazione didattica saprà evitare
l’episodicità e l’improvvisazione, configurandosi in modo sistematico. Ciò implica
Capitolo 25 pag. 381/382
la capacità di sviluppare in forma continuata e progressiva, nel corso degli
anni, i nuclei fondamentali del cristianesimo e la promozione, negli alunni, di
competenze etico-religiose sempre più sicure e raffinate, come orienta a fare la
normativa più recente della riforma.
La sperimentazione nazionale IRC 1998-2000 ha dato precisi contributi in
questa direzione. Ne ricordiamo alcuni, tra quelli che consideriamo più utili per far
crescere l’unità e la qualità dell’IRC.
Fin dall’inizio, nella riforma della scuola italiana si è prestata grande attenzione
ai contenuti delle diverse discipline. Si è subito capito che il recente, enorme
sviluppo scientifico e tecnologico, legato alle dinamiche della specializzazione,
non permette di coltivare il mito del sapere enciclopedico. Per questo uno
dei primi impegni affrontati dai riformatori, ancora al tempo del ministro Luigi
Berlinguer, fu quello di definire i «saperi essenziali» per ogni ambito e disciplina.
Il lavoro di ricerca fu impegnativo e per certi aspetti rimase inconcluso, perché
non sempre furono chiari i criteri in base ai quali definire un sapere «essenziale»
rispetto ad un altro per un itinerario didattico-educativo.
La riflessione coinvolse anche l’IRC. In continuità con le scelte della più recente
tradizione religioso-pedagogica italiana, oltre che con la natura stessa della
rivelazione cristiana, la sperimentazione nazionale 1998-2000 identificò, quale
evento centrale e generatore di ogni contenuto di insegnamento disciplinare
«la figura e l’opera di Gesù Cristo, secondo la testimonianza della Bibbia e
la comprensione di fede della Chiesa», come del resto già si affermava nei
precedenti programmi.
Con ciò si definiva che ogni contenuto dell’IRC va didatticamente mediato alla
Capitolo 25 pag. 382
luce di Cristo, in relazione con il suo mistero, come sviluppo del suo evento:
nulla dovrebbe essere trattato senza riferimento al Cristo, anche i contenuti
metaconfessionali, relativi ad altre religioni o ad altri sistemi di significato, trovano
qui l’ottica specifica che rende la loro trattazione pertinente in un’ora di IRC.
In questo modo la disciplina viene pensata e organizzata didatticamente nella
logica di un curricolo unico, che per successivi approfondimenti, articolazioni
e integrazioni, sviluppa alcuni nuclei tematici fondamentali che scaturiscono
dall’evento Cristo e lo rendono accessibile agli alunni per alcune sue implicanze.
Gli itinerari didattici organizzati con questo criterio attraversano i livelli diversi e
progressivi dei singoli gradi scolastici e pongono le basi per una formazione che
travalica i confini temporali della scuola per continuare nella vita, in un’ottica di
formazione permanente. Come si ricorda nei documenti della riforma, infatti, il
processo educativo individuale ha inizio con la vita e cessa solo con essa.
Come è facile immaginare, per questo tipo di didattica servono strumenti
adeguati, che mentre aiutano a declinare tutti i saperi essenziali, permettano
di farlo con attenzione alle esigenze degli alunni e del loro contesto di vita
scolastica, e nello stesso tempo siano capaci di valorizzare i contributi storici e
culturali della fede locale.
2.4. La ciclicità
2.5. La correlazione
Ogni insegnamento, per essere efficace, deve essere interessante, cioè deve
coinvolgere l’alunno, il suo vissuto, e intercettare le sue domande, le sue
esigenze di crescita, così da promuovere tutte le sue capacità e le sue risorse di
sviluppo.
Come si sottolinea nella letteratura ministeriale, l’educazione «è nemica di ogni
Capitolo 25 pag. 384/385
parzialità ed esige costantemente uno sviluppo armonico, integrale ed integrato
di tutte le dimensioni della persona e in tutti i momenti della vita». (Premessa. In
Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del Primo Ciclo di istruzione
(6-14 anni)) Una scuola attenta alla persona, che intende educare i giovani per
prepararli alla vita, sarà particolarmente attenta alle loro domande di senso,
per rispondere alle quali è in grado di offrire stimoli e contributi culturalmente
qualificati.
A scuola, dunque, la dimensione educativa e quella culturale sono
inevitabilmente «correlate» e si sostengono a vicenda: non avrebbe senso un
sapere culturale ridotto a informazioni e avvertito dagli alunni come marginale
rispetto alla vita e ai suoi significati, e d’altra parte non esiste una autentica e
qualificata ricerca di senso individuale che non avvenga in un contesto storico
concreto, nel confronto e in dialogo con le diverse proposte di valori, di significati,
di modelli di comportamento e conoscenze che formano la cultura specifica del
mondo in cui i ragazzi vivono.
Per questo la scuola oggi è sempre più chiamata a promuovere un dialogo
autentico tra il percorso formativo dell’alunno, il suo sviluppo psicologico
e sociale, e i contenuti culturali di cui è portatrice, con le sue specifiche
metodologie didattiche.
In questo impegno, che è di tutta la scuola, l’IRC è chiamato a contribuire in
modo originale e specifico, in coerenza con la sua natura, allo sviluppo della
personalità dell’alunno nella dimensione religiosa. Infatti è specifico della nostra
disciplina, nel suo svolgersi concreto, aiutare gli alunni a comprendere come la
dimensione religiosa e la dimensione culturale, proprie della vita e della storia
umana, siano intimamente legate e complementari, capaci di contribuire allo
sviluppo della libertà, della responsabilità e della convivenza democratica.
Afferma con chiarezza la nota CEI del 1991 Insegnare religione cattolica
oggi: «L’insegnamento della religione cattolica non è (...) un corpo estraneo o
Capitolo 25 pag. 385
qualcosa di aggiuntivo o di marginale al processo scolastico, ma si inserisce
armoniosamente nel contesto della vita della scuola, rispettandone e
valorizzandone le finalità e i metodi propri». (CEI, Insegnare religione cattolica oggi, n.
6.) E aggiunge: «(L’IRC) offre il suo specifico contributo al pieno sviluppo della
personalità degli alunni, promuovendo l’acquisizione della cultura religiosa,
secondo le esigenze proprie di ciascun ordine e grado di scuola» (n. 6).
Tutti i contenuti dell’insegnamento di religione vanno coniugati con le finalità
educative della persona, e quindi con il compito primario della scuola, chiamata
a formare soggetti maturi e responsabili. Rievocando quanto si afferma
nel rapporto Delors (Cf J. DELORS, Nell’educazione un tesoro..., pp. 79-90.) anche il
«sapere» della fede cristiana cattolica deve servire allo sviluppo del «saper
fare», del «saper vivere con gli altri» e del «saper essere». L’IRC infatti
insegna un «sapere» religioso e culturale che attiene al mondo dei valori e
dei significati, e lo fa con l’intento di contribuire alla formazione di personalità
criticamente consapevoli delle proprie convinzioni esistenziali, capaci di operare
scelte responsabili nella vita e nella società civile, nel rispetto del pluralismo e
nell’accoglienza dei diversi, in particolare dei più svantaggiati.
In virtù del principio di correlazione, in IRC i contenuti sono didatticamente
mediati al servizio di un itinerario di crescita culturale e umana dell’alunno.
Pertanto non va confuso con la correlazione catechistica, di cui spesso si parla
all’interno di un orizzonte di fede. A scuola infatti non si richiede la presenza di
credenti, ma di alunni interessati a misurarsi seriamente con la religione cattolica,
perseguendo finalità di formazione personale. Lo affermano con chiarezza i
vescovi italiani nella nota del 1991: «Scegliere di avvalersi dell’IRC, da parte
dell’alunno e della sua famiglia non significa necessariamente dichiararsi
credente e cattolico, ma essere impegnato a misurarsi criticamente con una
proposta religiosa confessionale, che ha grande valore sia per la comprensione
della storia e della cultura del nostro paese sia per il suo attuale sviluppo civile
Capitolo 25 pag. 385/386
e democratico». (Cf CEI, Insegnare religione..., n. 15.) L’esito di questo processo non è
la fede, ma la conoscenza seria del cristianesimo e la maturazione consapevole
e critica delle proprie posizioni esistenziali di fronte alla vita e ai suoi grandi
interrogativi esistenziali.
L’attenzione alla persona del ragazzo, che la scuola è impegnata a far crescere,
comporta una seria considerazione dell’ambiente umano in cui vive, di tipo
familiare, sociale, culturale e anche religioso.
L’Italia, come è noto, è caratterizzata da fenomeni locali molto diversificati tra
loro. Se ci si limita alle tradizioni religiose è facile constatare come la comune
fede cristiana abbia prodotto nei secoli forme e consuetudini liturgiche, popolari e
sociali molto diverse.
L’esigenza di unità che si avverte nelle scuole non può mortificare la ricchezza
di questo patrimonio, che deve invece essere valorizzato. La sfida è quella
di saper coniugare lo specifico di una comune tradizione culturale, che viene
garantita attraverso i saperi essenziali, le competenze di base e tutto ciò
che è riconosciuto nei documenti della riforma come patrimonio comune del
popolo italiano, con il portato delle tradizioni culturali locali, che arricchiscono
l’offerta formativa della scuola e permettono agli alunni di crescere e di inserirsi
armonicamente nel contesto di vita quotidiana.
In questa prospettiva appare evidente come il legame tra la scuola, l’IRC, e la
comunità cattolica presente sul territorio sia di vitale importanza, perché l’IRC
non risulti come la trasmissione di una cultura lontana ed estranea alla vita.
Avolte può capitare che gli alunni, nell’accostarsi alla Bibbia o alla morale
cristiana a scuola, li avvertano come insipida erudizione, perché non sono
aiutati a comprendere che ciò di cui si parla non riguarda solo gente vissuta nei
millenni trascorsi, ma interpreta le convinzioni e le scelte di oggi, presenti nel loro
contesto di vita, non di rado anche familiare e personale.
4. Conclusione
Bibliografia di riferimento
pag. 395
CAPITOLO 26
Riferimenti bibliografici
Non si può dunque impostare correttamente il tema della presenza nella scuola
di un IRC senza tenere conto – delle finalità educative – delle finalità culturali
della scuola nel cui contesto l’IRC si inserisce con uno specifico apporto – delle
responsabilità in ordine all’educazione della famiglia, dello Stato, della Chiesa
– del diritto dei soggetti e delle famiglie che tale insegnamento sia corrispondente
ai principi morali e religiosi che professano – del rispetto che si deve verso tutti
i soggetti e tutte le famiglie e quindi anche alla pluralità delle appartenenze
valoriali e religiose.
Da parte sua, mediante l’IRC, la Chiesa cattolica italiana non si è limitata ad
affermare la propria inalienabile responsabilità educativa, ma ha voluto dare
la sua piena disponibilità ad offrire un servizio che è assicurato dallo Stato ed
è richiesto dalle famiglie e dagli alunni. Questo elemento caratterizza in modo
originale il nostro Paese. Infatti a questo servizio la Chiesa viene accreditata
dalla sua collaudata capacità di concorrere alla promozione dell’uomo e del
cittadino mediante la cultura religiosa, dal fatto oggettivo di un patrimonio storico
e attuale di memorie, di valori, di esperienze, di cultura che è interpretato,
tramandato e vissuto dalla comunità cattolica in Italia. Il carattere popolare e
l’incidenza che il Cattolicesimo ha avuto e continua ad avere nel nostro Paese
sono, infatti, un dato di conoscenza e di studio non eludibile nel bagaglio
formativo e culturale che la scuola è chiamata ad offrire alle nuove generazioni.
Si tratta di un elemento che caratterizza l’identità del nostro popolo, nelle sue
radici storiche e culturali e nel suo essere una comunità cementata e unificata
specialmente dai valori cristiani.
Capitolo 27 pag. 409
E d’altra parte occorre anche ricordare che questo fatto assume un rilievo
del tutto singolare nella peculiare situazione del nostro Paese, dove la scuola
pubblica costituisce il luogo dell’istruzione di gran lunga preponderante e dove
non trova ancora piena attuazione il pluralismo delle istituzioni scolastiche, che
invece è presente in larga parte dei paesi europei.
Dunque la scelta fatta dalla Chiesa italiana va compresa tenendo conto di tutti
questi elementi culturali e pastorali. Si tratta di un servizio reso su richiesta di
chi ne è il titolare (l’alunno e i suoi genitori), da parte di chi si ritiene pienamente
accreditato a darlo e in quanto tale viene riconosciuto dallo Stato. La proposta
è quella che consente il libero avvalersi delle famiglie di un IRC svolto «in
conformità alla dottrina della Chiesa» e da docenti da essa riconosciuti, ma
rivolto a tutti e giustificato con taglio culturale. Lo Stato ha riconosciuto e
riconosce che tale IRC corrisponde ai compiti istituzionali propri della scuola
pubblica, che è chiamata a favorire negli alunni l’attitudine al confronto, alla
tolleranza, al dialogo e alla convivenza democratica.
In seguito alla riforma del Titolo V per la prima volta, e in maniera formale, le
istituzioni scolastiche e formative sono riconosciute autonome dalla nostra
Costituzione e non solamente da una legge ordinaria, come la legge n. 57/1997
(Malizia, 2002). Finora l’autonomia in materia di istruzione e di formazione era
attribuita alle istituzioni di alta cultura, università e accademie; invece, nel nuovo
articolo 117 della Costituzione, sono dichiarate autonome anche le istituzioni
scolastiche.
In proposito una concezione adeguata implica il passaggio dell’attività scolastica
e formativa da attività dello Stato-persona ad attività autonoma per cui le singole
istituzioni statali assumono la fisionomia di enti pubblici a sé stanti, parti di un
servizio pubblico a rete.
Gli articoli 117 e 118 della Costituzione permettono ulteriori precisazioni nella
direzione soprattutto della sussidiarietà. Anzitutto, l’attività scolastica e formativa
è soggetta alla libera iniziativa dei cittadini entro le norme generali di competenza
dello Stato e le leggi ordinarie di iniziativa regionale. In secondo luogo, le scuole
statali, che sono autonome, vengono disciplinate dai due gruppi di norme appena
citate e risultano sussidiarie alla libera iniziativa dei cittadini, mentre anche le
istituzioni scolastiche non statali godono di piena libertà entro le norme generali
sull’istruzione. In altre parole il riconoscimento dell’autonomia della scuola
come principio inserito nella Costituzione non è primariamente il frutto di una
logica di bilanciamento dei poteri pubblici quanto piuttosto l’accoglimento del
principio dell’autogoverno della comunità e della società civile, della sussidiarietà
orizzontale. Essa è mirata in primo luogo a valorizzare le forze interne della
scuola in un’ottica di responsabilizzazione e di autopromozione della comunità
scolastica (Astrid, 2003). Non delinea una impostazione autoreferenziale o
aziendalistica, ma qualifica la scuola come una istituzione aperta al contesto e
Capitolo 27 pag. 410/411
integrata in esso, al servizio della società, agente di sviluppo socio-culturale e
luogo di mediazione tra le istanze locali e le esigenze nazionali.
Nonostante nella Costituzione del 1948 il principio di sussidiarietà non risulti
espressamente menzionato, a differenza di altri principi come quello di solidarietà
o di eguaglianza, è tuttavia possibile ritenere che esso sia stato implicitamente
tenuto presente dai Costituenti (Palma, 2002).
Ed infatti, vi è coincidenza tra la concezione della persona che emerge dal
quadro costituzionale ed il presupposto antropologico sul quale il principio
di sussidiarietà si fonda. Nella Costituzione, infatti, la persona è vista nella
concretezza del suo legame sociale e nella sua possibilità di apporto libero
e creativo all’edificazione del bene comune: il valore della dignità umana è
costantemente affermato e l’imputazione dei diritti è fatta all’individuo considerato
nella concretezza del suo esistere, a un soggetto, cioè, che così come non
è considerato al di fuori della relazione sociale, tantomeno è sublimato nella
dinamica organizzativa della persona statale.
La complessità dell’innovazione in corso, che si può riscontrare soprattutto nelle
due leggi principali approvate nell’ultima legislatura (autonomia e parità) e nella
Legge delega Moratti sulle norme generali dell’istruzione e sul riordino dei cicli,
introduce una trasformazione di sistema che rimarrà caratterizzata da almeno tre
elementi fondamentali.
Dal punto di vista delle dinamiche macrosociali: il passaggio della scuola da
istituzione che monopolizza il compito della formazione, gestita e controllata
dallo Stato, ad agenzia che esercita un ruolo di mediazione e coordinamento
all’interno di un sistema formativo integrato (nel triplice significato che comprende
sia scuole statali che non statali, formazione professionale e altre agenzie
formative diverse dalla scuola e che connette in rete tutte le agenzie educative
formali, informali e non formali).
Dal punto di vista dell’organizzazione: il passaggio del modello organizzativo
Capitolo 27 pag. 411
da una forma centralistica, gerarchica e burocratizzata ad una forma basata
sulla presenza di unità scolastiche autonome, che operano all’interno di regole
condivise e fissate dal centro, ma sono direttamente responsabili della qualità
del servizio che erogano. Con la riscrittura del Titolo V della Costituzione sul
federalismo diventano rilevanti il ruolo e le competenze degli Enti Locali e in
particolare delle Regioni.
Dal punto di vista funzionale: il passaggio da una centratura della scuola sulle
finalità e gli interessi del «gestore» (lo Stato) e dei «funzionari» (gli insegnanti)
ad una attenzione sistematica ai bisogni dell’utenza, in primo luogo gli studenti
e le famiglie, ma in senso più vasto la comunità che le ha delegato il compito di
formare i suoi giovani membri e i gruppi che la compongono.
Il processo innovativo è solo all’inizio; al di là delle valutazioni tecniche,
la comunità ecclesiale dovrà contribuire a creare nelle famiglie e in tutti i
protagonisti diretti e interessati alla vita della scuola e ai processi educativi un
atteggiamento diffuso di partecipazione attiva, critica, motivata e responsabile.
2.2. La pastorale della scuola come promozione del patto educativo tra
famiglia - scuola - comunità, quale punto integrante e centrale del progetto
culturale ispirato al Vangelo
Indicazioni bibliografiche
1. I dati disponibili
L’unica indagine nazionale di una certa consistenza è quella condotta nel 2001
Per delineare l’identità della scuola cattolica può essere utile uno sguardo ai
documenti del Magistero, prendendo le mosse dal Concilio Vaticano II, che nella
dichiarazione Gravissimum educationis al n. 8 afferma che la scuola cattolica
«al pari delle altre scuole, persegue le finalità culturali proprie della scuola e la
formazione umana dei giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita ad
un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà
e carità; di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità
crescano nello stesso tempo secondo quella nuova creatura che in essi ha
realizzato il battesimo; di coordinare, infine, l’insieme della cultura umana con
il messaggio della salvezza, in modo che la conoscenza del mondo, della vita,
Capitolo 28 pag. 423
dell’uomo, che gli alunni via via acquisiscono, sia illuminata dalla fede».
Le indicazioni conciliari sono state tradotte in primo luogo nel documento
della Sacra Congregazione per l’educazione cattolica su La scuola cattolica
(1977), che mette in luce «la fondamentale differenza che esiste tra una
scuola il cui insegnamento è permeato di spirito cristiano e una scuola che
si limita ad aggiungere la religione alle altre materie scolastiche» (n. 43).
Pur con questa premessa e «senza entrare nel merito della problematica
relativa all’insegnamento della religione nella scuola va sottolineato che tale
insegnamento, pur non esaurendosi nei “corsi di religione” che rientrano nei
programmi scolastici, deve essere impartito nella scuola in maniera esplicita
e sistematica, perché nella mente degli allievi non si crei uno squilibrio tra
cultura generale e cultura religiosa» (n. 50). Da un punto di vista formale, inoltre,
«l’autorità gerarchica ha la missione di vigilare sulla ortodossia dell’insegnamento
religioso» (n. 73), confermando così implicitamente nella scuola cattolica una
configurazione concordataria dell’Ir, che all’epoca in Italia non era ancora
passato per l’Accordo di revisione.
L’applicazione di queste indicazioni al nostro contesto è rinvenibile nella nota
pastorale dell’episcopato italiano su La scuola cattolica, oggi, in Italia (1983),
in cui, con riferimento al problema che qui ci occupa, troviamo scritto che
«dimensione particolarmente importante del progetto educativo della scuola
cattolica è l’educazione cristiana e, specificamente, l’insegnamento della
religione. Tale dimensione è qualificante per l’identità della scuola cattolica» (n.
22).
La problematica della formazione religiosa dei giovani nello specifico ambiente
di scuola cattolica è stata poi oggetto nel 1988 di un nuovo documento
della Congregazione per l’educazione cattolica su La dimensione religiosa
dell’educazione nella scuola cattolica. Sempre con riferimento all’educazione
religiosa, tale documento ricorda che nella scuola cattolica «il coordinamento
Capitolo 28 pag. 423/424
tra universo culturale umano e universo religioso si produce nell’intelletto e
nella coscienza del medesimo uomo-credente. I due universi non sono parallele
incomunicabili.
I punti di incontro, da individuare nella persona umana, protagonista della
cultura e soggetto della religione, quando si cercano, si trovano. Trovarli non è di
competenza esclusiva dell’insegnamento religioso. Ad esso è dedicato un tempo
limitato. Gli altri insegnamenti dispongono di molte ore ogni giorno» (n. 51).
Tuttavia, non si può per questi motivi abdicare ai compiti propri dell’IRC o
alla sua stessa presenza. Vale in proposito l’ammonimento già contenuto
nella Catechesi tradendae (n. 69), ove ci si domandava: «meriterebbe
questa [la scuola cattolica] ancora un tale nome se, pur brillando per un
livello d’insegnamento assai elevato nelle materie profane, le si potesse
rimproverare, con fondati motivi, una negligenza o una deviazione nell’impartire
l’educazione propriamente religiosa? Né si dica che questa sarebbe sempre data
implicitamente, o in maniera indiretta! Il carattere proprio e la ragione profonda
della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero preferirla,
consistono precisamente nella qualità dell’insegnamento religioso integrato
nell’educazione degli alunni». Il documento del 1988 della Congregazione
vaticana insiste quindi nel descrivere una scuola cattolica in cui sia ben presente
uno specifico IRC, impartito da un apposito insegnante, con programmi didattici
sui quali si forniscono anche ampi suggerimenti.
Da questa sommaria ricognizione risulta quindi evidente quale debba essere
per il Magistero la risposta all’alternativa tra uno specifico IRC ed una presenza
diffusa ma non identificabile dell’educazione religiosa nella scuola cattolica: un
insegnamento religioso deve essere riconoscibile ed è da considerare fattore
qualificante dell’identità della scuola cattolica.
Riferimenti bibliografici
Il disagio nella scuola si può manifestare con limiti che evidenziano le difficoltà di
Capitolo 29 pag. 429
apprendimento degli allievi, con ricadute sia sugli insegnanti e genitori che sulle
conseguenze della vita scolastica:
– alunni che hanno specifiche difficoltà di apprendimento. Lo svantaggio
manifesta una discrepanza tra il potenziale cognitivo stimato e le modalità di
funzionamento a livello di apprendimento scolastico. Si tratta di allievi che pur
avendo delle normali capacità mostrano difficoltà che derivano da uno scarso
utilizzo delle proprie risorse cognitive, dipendenti da cause diverse, che in fase di
programmazione vanno diagnosticate;
– alunni con deficit di motivazione. Si tratta di soggetti con deficit di attenzione
e quindi poco capaci di concentrarsi su un contenuto da apprendere. Se la
motivazione aumenta, l’apprendimento migliora;
– alunni svantaggiati per cause socio-culturali. Si tratta di quel disagio che
proviene da povertà ambientali, degrado sociale, limiti culturali. Si riscontra
spesso in tali soggetti una mancanza di fiducia nella vita ed una grande distanza
dagli altri. Le conseguenze sono: poca vitalità umana, scarsa motivazione
personale, vulnerabilità relazionale, difficile formazione della personalità,
disturbata percezione di norme di comportamento, basso livello culturale;
– alunni che soffrono di difficoltà relazionali, dovute anche a motivi di disabilità
mentale. Si esprimono in forme di aggressività di tipo fisico o verbale rivolta
a compagni, insegnanti, oggetti; iperattività e bisogno continuo di muoversi;
incapacità di portare a termine compiti o esperimenti comuni; iperimpulsività,
passaggio repentino da un interesse ad un altro; incapacità di non farsi distrarre
da qualsiasi stimolo incostante; stato di continua ricerca di qualche altra cosa;
scarsa capacità di inibizione dei propri impulsi;
– alunni che sono affetti da disabilità varie e menomazioni specifiche, soprattutto
nel deficit di comprensione, limiti che evidenziano una discrepanza tra il
potenziale cognitivo e la riuscita scolastica;
– alunni con disagio come forma diffusa di sofferenza, come malessere con senso
Capitolo 29 pag. 429/430
di frustrazione, angoscia, apatia, nausea verso la realtà circostante, compresa la
scuola;
– disagio dell’insegnante, derivante dalla distanza tra il reale e l’ideale e da
fattori di contesto quali le relazioni interpersonali, i risultati che si ottengono, le
condizioni di lavoro, l’organizzazione scolastica;
– disagio della famiglia, che è conseguente al disagio del proprio figlio, che
spesso può portare i genitori ad allontanarsi dalla scuola per evitare ulteriori
frustrazioni;
– dispersione scolastica, come situazione tipica di reale marginalità in quanto
esclude il soggetto dalla possibilità di darsi strumenti culturali necessari per un
adeguato inserimento nella società;
– disfunzione (del sistema scolastico), inteso soprattutto come una dispersione
della propria produttività educativa e come inefficacia negli interventi didattici;
– devianza comportamentale, riferita ad un certo modo di agire o di essere
difforme dagli standard socialmente accettati;
– disattenzione da parte della scuola agli alunni disabili; non si fa nulla per
orientarli ad integrarsi e sviluppare le particolari potenzialità nell’apprendimento,
nella comunicazione, nella socializzazione e nel raggiungimento dell’autonomia
personale.
3. Interventi didattici
Anche l’insegnante di religione, come gli altri, deve essere informato sulle
difficoltà che l’allievo presenta, sulle sue eventuali crisi o momenti difficili; deve
conoscere i metodi di approccio e con delicatezza portarli a conoscenza degli
allievi; non deve aver paura delle deficienze dimostrate, accogliendo con fiducia
e serenità i ragazzi, senza pretendere ciò che essi non possono dare.
La didattica dell’adattamento parte dal rispondere alle esigenze caratteristiche
degli allievi con difficoltà di apprendimento:
– ci sono allievi che hanno difficoltà che si manifestano nella incapacità di
percezione di un contenuto disciplinare (i cui motivi possono essere o la
distrazione psicologica, o una disabilità comunicativa dovuta a difetti e limiti
sensoriali, o per carenze che provengono da situazione ambientali...);
Capitolo 29 pag. 431/432
– esistono scolari limitati nella capacità di elaborazione di un messaggio ricevuto.
Non vi è dubbio che in questi soggetti vi è anche carenza di comunicazione
interpersonale per difficoltà intrinseche: possono esservi problemi nel linguaggio,
nella capacità di comprendere le ordinarie modalità dei concetti, nella possibilità
di mantenere l’attenzione focalizzata. A volte può anche capitare che la
menomazione intellettiva induce comportamenti che non sono conformi alle
regole della convivenza sociale, rendendo difficile il rapporto interpersonale.
Il percorso educativo, le tappe, i contenuti dell’insegnamento esigono itinerari
progressivi, essenzializzati, trasmessi con linguaggi e metodi appropriati:
sentimenti, gesti, immagini, simboli (musicali, corporei, grafici, pittorici, plastici);
– vi sono allievi limitati nella capacità di ri-espressione del messaggio percepito
ed elaborato: sono coloro che soffrono disabilità neurologiche; cioè della
parola e dei disturbi affettivi. Si tratta di condizioni che rendono difficoltosa
la partecipazione alle occasioni della presenza in classe. Per questi soggetti
è importante utilizzare un metodo attivo con strumenti che facilitino la
comunicazione e l’apprendimento (computer, impugnature speciali, leggi,
materiali concreti che sviluppino possibilità espressive, drammatizzazione,
linguaggio grafico e musicale...);
– esistono allievi affetti da limiti psichici di comprensione, che sono vere e proprie
malattie mentali, che costituiscono una realtà molto diversificata, complessa e di
difficile inquadramento. Secondo la prospettiva finora adottata, i disturbi mentali
(rappresentati specie da disturbi della personalità, disturbi nevrotici come fobie
e ossessioni, da disturbi depressivi e schizofrenici) costituiscono innanzitutto
delle infermità che manifestano inadeguatezze in ordine alle normali esigenze di
vita psicologica e relazionale, carenze di autonomia e di efficienza intellettiva; di
difficile rapporto tra libertà e responsabilità.
In conclusione, si può affermare che pur nella grande varietà dei disturbi mentali,
la patologia psichica implica in generale una coartazione della persona, che è
Capitolo 29 pag. 432/433
obbligata a rapportarsi in modo rigido con il mondo esterno e con se stessa.
4. Atteggiamenti educativi
Indicazioni bibliografiche
pag. 440
BIBLIOGRAFIA GENERALE
1. STUDI
pag. 441
BERTAGNA G. (2003), La scuola tra «theoría», «téchne» ed apprendistato. Limiti
e virtù di un (dis)adattamento epistemologico, in «Orientamenti Pedagogici», 50
(2003) n. 2, 215-240.
BISSOLI C. (ed.) (1996), Insegnare religione nel pluralismo. Indicazioni per l’IRC
nella scuola elementare, Leumann (Torino), Elledici.
BISSOLI C. (1997), Viaggio dentro la Bibbia, Leumann (Torino), Elledici.
BISSOLI C. - Z. TRENTI (1988), Insegnamento della Religione e professionalità
docente, Leumann (Torino), Elledici.
BUZZI C. - A. CAVALLI - A. DE LILLO (2002), Giovani del nuovo secolo. Quinto
rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino.
CANTA C.C. (1999), L’ora debole, Caltanissetta, Salvatore Sciascia Editore.
CAPALDO N. - L. RONDANINI (2002), La scuola italiana al bivio, Trento, Erickson.
CASANOVA J. (2000), Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla conquista della
sfera pubblica, Bologna, Il Mulino.
CEI (1991), Insegnare religione cattolica oggi, Nota pastorale (19.05.1991) in
Enchiridion CEI, vol. 5, Bologna, EDB.
CEI (1995), L’insegnamento della religione cattolica a dieci anni dagli accordi
concordatari, Brescia, La Scuola.
CICATELLI S. (2001), Prontuario giuridico IRC, Brescia, Queriniana.
CICATELLI S. (2003), «Il nuovo stato giuridico degli IdR», in Agenda dell’IdR 2003-
2004, Torino, SEI.
CICATELLI S. (2003), Il profilo dello studente: secondo ciclo, in «La Scuola e
l’Uomo », 60 (2003) n. 7, I-II.
CNOS-FAP - CIOFS/FP (edd.) (2002), Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla
formazione: i nuovi traguardi della formazione professionale, Roma, Tipografia
Pio XI.
COLASANTI A. R. - H. FRANTA (1992), L’interazione tra insegnante e allievi, in
«Nuova Paideia» XI, 5.
pag. 441/442
CONFERENZAEPISCOPALE ITALIANA (1993), La scuola cattolica, oggi, in Italia, Roma,
Conferenza Episcopale Italiana.
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA (1988), La dimensione religiosa
dell’educazione nella scuola cattolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana.
CONGREGAZIONE PER IL CLERO (1977), Direttorio generale per la catechesi, Città
del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
CORRADINI L. (2003), Riforma scolastica e autonomia scolastica, in «La Scuola e
l’Uomo», 60 (2003) n. 3, 49-51.
DAGENS C. (1996), Le fait religieux dans l’enseignement, in «Études», tome 385
(1996) 5, 471- 480.
DAMIANO E. (1997), «Insegnante», in PRELLEZO J. M. - C. NANNI - G. MALIZIA
(edd.), Dizionario di Scienze dell’Educazione, Roma Torino, LAS, Elledici, SEI,
pp. 536-539.
DEBRAY R. (2002), L’insegnamento del fatto religioso nella scuola laica. Rapporto
al Ministro dell’educazione nazionale, tr. it. in «Il Regno-documenti» 15 (2002)
514-520.
DE GIACINTO S. (1987), La religione scolastica, Brescia, La Scuola.
DE VITA R. (2003), Identità e dialogo, Milano, Franco Angeli.
DE VITA R. - F. BERTI (edd.) (2001), La religione nella società dell’incertezza.
Per una convivenza solidale in una società multireligiosa, Milano, Franco Angeli.
FERRARI S. (2002), Lo spirito dei diritti religiosi. Ebraismo, cristianesimo e islam a
confronto, Bologna, Il Mulino.
FIORIN I. - D. CRISTANINI (edd.) (1999), Le parole dell’autonomia, Torino, Petrini.
FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN (2003), Etica e deontologia dell’operatore
della FP, Roma, Tipografia Pio XI.
FORTE B. (2000), Dove va il cristianesimo?, Brescia, Queriniana.
FRANTA H. (1987), Relazioni sociali nella scuola. Promozione di un clima umano
pag. 442
positivo, Torino, SEI.
FRANTA H. - A. R. COLASANTI (2002), L’arte dell’incoraggiamento: insegnamento e
personalità degli allievi, Roma, Carocci.
GARELLI F. - G. GUIZZARDI - E. PACE (edd.) (2003), Un singolare pluralismo.
Indagine sul pluralismo morale e religioso in Italia, Bologna, Il Mulino.
GATTO TROCCHI C. (2000), I nuovi movimenti religiosi, Brescia, Queriniana.
GUY G. (2002), Il grido dei giovani. Nessuno è perduto, nessuno è irrecuperabile,
Cinisello Balsamo (Mi), Ed. San Paolo.
HAZON F. (1986), Introduzione alla formazione professionale. Manuale per
docenti ed operatori, Brescia, La Scuola.
KURTZ L. R. (2000), Le religioni nell’era della globalizzazione, Bologna, Il Mulino
(ed. orig., 1995).
LEHMANN K. (2003), Una religione tra le altre?, in «Il Regno-documenti», 1 (2003),
42-53.
MALAVASI P. (2002), Discorso pedagogico e dimensione religiosa, Milano, Vita e
Pensiero.
MALIZIA G. - C. NANNI (1998), Il mosaico delle riforme, in «Orientamenti
Pedagogici », 45 (1998), 2, 773-794.
MALIZIA G. - C. NANNI (2001), Il riordino dei cicli. Una difficile attuazione, in
«Orientamenti Pedagogici», 48 (2001), 2, 190-215.
MALIZIA G. - C. NANNI (2002), La riforma del sistema italiano di istruzione e
di formazione: da Berlinguer alla Moratti, in CIOFS/FP - CNOS-FAP (edd.),
Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti alla formazione; i nuovi traguardi della
Formazione Professionale, Roma, pp. 43-65.
MALIZIA G. - Z. TRENTI (edd.) (1991), Una disciplina in cammino. Rapporto
sull’Insegnamento della Religione Cattolica nell’Italia degli anni ’90, Torino, SEI.
MALIZIA G. - Z. TRENTI (edd.) (1996), Una disciplina al bivio. Ricerca
sull’insegnamento della religione cattolica in Italia a dieci anni dal Concordato,
pag. 443
Torino, SEI.
MARTELLI S. (1995), De-secolarizzazione, in «Filosofia e Teologia», (1995) 3, 554-
570.
MASSARO G. (2003), Teorie della comunicazione e processi formativi, Http://
www.iqsnet.it/ universita/tfc/massaro.htm., 1-6.
MAURIZIO L. (2003), Profilo dell’alunno della Scuola Media e piani di studio
personalizzati, in «Insegnare Religione» 16 (2003) 3, pp. 19-22.
MEAZZINI P. (2000), L’insegnante di qualità, Firenze, Giunti.
METTE N. (1994), Religionspädagogik, Düsseldorf, Patmos.
MORANTE G. (1996), L’Insegnamento della religione cattolica in dimensione
interculturale ed interreligiosa, in «Orientamenti Pedagogici» 43 (1996) 5, 1083-
1102.
MOSCATO M. T. (2003), Il profilo educativo dello studente, in «Nuova Secondaria
», 20 (2003) n. 9, 15 maggio, 13-15.
MURA G. (1997), Ermeneutica e verità - storia e problemi della filosofia
dell’interpretazione, Roma, Città Nuova.
NANNI C. (2003), La riforma della scuola: le idee, le leggi, Roma, LAS.
NICOLI D. (2003), Il nuovo percorso dell’istruzione e della formazione
professionale, in «Professionalità», 23 (2003) 75, XI-XXIV.
NOTIZIARIO dell’Ufficio Catechistico Nazionale 31 (2002), n. 5, agosto 2002, in
«Quaderni della Segreteria Generale CEI» 6 (2002) n. 16, agosto.
PACE E. - P. STEFANI (2000), Il fondamentalismo religioso contemporaneo,
Brescia, Queriniana.
PAJER F. (ed.) (1991), L’insegnamento scolastico della religione nella nuova
Europa, Leumann (Torino), Elledici.
PAJER F. (1999), Laicità, educazione morale, cultura religiosa in Francia, in
«Pedagogia e Vita» (1999) 2, 79-115.
PAJER F. (2002), Scuola e istruzione religiosa. Nuova cittadinanza europea, in «Il
pag. 443/444
Regno-attualità» 47 (2002) 22, 774-788.
PELLEREY M. (1994), Progettazione didattica, Torino, SEI.
PELLEREY M. (1997), «Obiettivi», in J. M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (edd.),
Dizionario di Scienze dell’Educazione, Roma, Torino, LAS, Elledici, SEI, pp. 756-
759.
PELLETTIER A. M. (1999), La Bibbia e l’Occidente. Letture bibliche alle sorgenti
della cultura occidentale, Bologna, EDB.
PIETROPOLLI CHARMET G. (2000), I nuovi adolescenti. Padri e maestri di fronte a
una sfida, Milano, ed. Cortina.
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA (1993), L’interpretazione della Bibbia nella
Chiesa, Roma, Libreria Editrice Vaticana.
PONTIFICIO CONSIGLIO PER ILDIALOGO INTERRELIGIOSO (1999), Camminare Insieme.
La Chiesa cattolica in dialogo con le altre tradizioni religiose del mondo, Città del
Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
PRENNA L. (1997), Assicurata, ma facoltativa. La religione incompiuta nella
scuola italiana, Roma, AVE.
REALE G. (2003), Radici culturali e spirituali dell’Europa, Milano, Raffaello Cortina
Editore.
RÉMOND R. (1999), La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa
contemporanea, Roma-Bari, Laterza.
RIGO A. (ed.) (2003), Le tre religioni di Abramo. Visioni di Dio e valori dell’uomo,
Venezia, Marsilio.
ROMANELLI M. M. (2002), Il fenomeno religioso, Bologna, EDB.
SACCHI G. C. (2003), La riforma della scuola tra Stato, regioni, Enti locali e organi
collegiali, in «La Scuola e l’Uomo», 60 (2003) n. 3, 54-60.
SACRA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA (1977), La scuola cattolica,
Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
SACRISTANI MOTTINELLI M. (2003), Le parole della riforma. Inserto Ricerca, in
pag. 444
«Scuola Italiana Moderna», 110 (2003) n. 17, 15 maggio, 1-16.
SALVARANI B. (2001), A scuola con la Bibbia. Dal libro assente al libro ritrovato,
Bologna, EMI.
SHARMAA. (ed.) (1996), Religioni a confronto. Induismo, buddismo,
confucianesimo, taoismo, ebraismo, cristianesimo, islam, Vicenza, Neri Pozza
Editore.
SCOPPOLA P. (1985), La «nuova cristianità» perduta, Roma, Studium.
SINODO NAZIONALE DELLE DIOCESI DELLA GERMANIA FEDERALE (1977), Scuola e
insegnamento della religione, Leumann (Torino), Elledici.
STEFANI P. (2003), La radice biblica. La Bibbia e i suoi influssi sulla cultura
occidentale, Milano, Bruno Mondadori.
TACCONI G. (ed.) (2003), Insieme per un nuovo progetto di formazione, Roma,
Tipografia Pio XI.
TOSONI G. (2003), «Riforma della scuola e nuove prospettive per l’insegnamento
della religione», in Agenda dell’IdR 2003-2004, Torino, SEI.
TRENTI Z. (1990), La religione come disciplina scolastica, Leumann, Elledici.
TRENTI Z. et al. (1998), Religio. Enciclopedia tematica dell’educazione religiosa,
Casale Monferrato, Piemme.
TRENTI Z. (2001), Opzione religiosa e dignità umana, Roma, Armando.
TRENTI Z. (2003), La fede dei giovani, Leumann (Torino), Elledici.
UCN (1996), Incontro alla Bibbia. Breve introduzione alla Sacra Scrittura, Città
del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
VERGOTE A. (1967), Psicologia religiosa, Torino, Borla.
VERNETTE J. (2003), Il nuovo paesaggio religioso, in «Il Regno-documenti» 5
(2003) 186-192.
VERUCCI G. (2001), Cattolicesimo e laicismo nell’Italia contemporanea, Milano,
Angeli.
VIT M. (1993), L’ora complessa. Rapporto sull’insegnamento della religione
pag. 444/445
cattolica nelle scuole del Triveneto, Padova, Messaggero.
2. LEGGI E DOCUMENTI
pag. 446