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Il recupero del powerlifter, parole diverse e l'invenzione dell'acqua calda.

Sembra che ci sia una formula 'magica' per avere il massimo del guadagno in termini di forza e
ipertrofia nella divisione dei giorni di allenamento settimanali.

Alcune scuole pensano che sia un giorno pesante e uno leggero a settimana.
L'esperienza mi ha insegnato che è poco per panca o squat, mentre può essere ottimale per uno
stacco regular (mi riservo di nutrire qualche dubbio per il sumo).

Dall'altro lato invece c'è chi consiglia più giorni di allenamento con suddivisioni fantasiose e
variegate.

La maggior parte delle scuole di successo nel powerlifting invece vedo che predilige una rotazione
così fatta, su 3 allenamenti:
Pesante – Leggero – Medio.

A chi mastica un po' di pesi ed è abbastanza istruito nel powerlifting, non sarà sfuggita più di una
analogia con quanto consigliato da Dave Tate di EFS e da tanti altri, già da una decina di anni.

Però dovrebbe far drizzare le orecchie anche a chi parla di:


Power – Recover – Hypertrophy.
Layne Norton col suo PHAT ci ha basato un intero metodo sulla rotazione Power/Hypertrophy.

Strano vero?
Mica tanto, c'è chi parla di:
Max Effort – Dynamic Effort – Repetition Effort.
Questo forse è l'esempio più famoso, che dovrebbe far riflettere anche chi fa preparazioni atletiche
all'americana o si allena con West Side da un'eternità e a chi invece più recentemente ha scoperto il
Cube Method.
Sì, è vero, questi metodi prevedono meno di 3 allenamenti su un'alzata da gara a settimana, ma
stranamente rispettano quel 'ciclo' di P-L-M.

Altro esempio:
Power – Speed – Volume.
Delle varie revisioni in chiave coniugata dei programmi che si trovano in giro.

Ci sono anche un sacco di altri metodi americani che utilizzano questa rotazione in modi più o
meno espliciti (Texas Method, Bill Starr, 531...).

Buffo, no?
Ancora una volta, in terra nostra c'è chi utilizza uno schema così:
Stressante – Rigenerante – Stimolante.

Oppure, sempre nella Bella Italia:


Neurale – Tecnico – Metabolico.

Al di là degli schemi, varianti, percentuali, lunghezza di macrocicli, ecc., c'è MOLTO in comune fra
tutte queste suddivisioni, forse pure di più di quello che vorrebbero farci pensare i vari allenatori.

Ognuno ovviamente vi dirà che il suo metodo si differenzia dagli altri perchè usa esercizi, schemi,
carichi diversi, fasi diverse e quant'altro.
TUTTI però saranno d'accordo nel dire che l'atleta dopo una seduta ad alti carichi con esercizi
tassanti avrà un bisogno vitale di una seduta leggera e qualitativa per riprendere il movimento,
l'attivazione e l'allungamento specifico o aspecifico che sia, da preferire invece ad uno stop totale
che lo porterebbe fuori condizione.

Nel momento in cui l'atleta sarà in procinto di recuperare dopo la seduta leggera, arriverà quindi una
seduta che lo farà lavorare più su carichi medi, dato che probabilmente non avrà recuperato del tutto
dalla 'tirata' del giorno pesante.

Quindi, qual'è il parametro chiave di lettura di queste suddivisioni?


LA FATICA.
Punto.
Semplice, conciso, banale.

Ma come tutte le cose banali, saranno tali se si comprende come funziona il corpo umano e non ci si
ostina a fare programmi che sul medio-lungo periodo ci cuociono se non siamo più principianti,
oppure risultano deallenanti in situazioni diametralmente opposte.

Ragionamento che serve a dire che alla fine il corpo umano quello è, e quello resta.

E questo nella realtà è vero a meno di aiuti esterni, situazioni di precarietà calorica o eccessivo
stress che potrebbero cambiare le carte in tavola, ma stiamo entrando nel campo più delle eccezioni
che della normalità statistica del powerlifter medio.

Ovviamente non è una critica verso nessuna delle scuole citate, ci mancherebbe!
Soprattutto perchè queste scuole di pensiero portano risultati, anche di rilievo internazionale e
quando i risultati parlano, c'è poco da criticare.

È uno spunto a far riflettere l'atleta o l'allenatore quando si trovano davanti un sacco di termini
diversi che sembrano volersi differenziare per forza dagli altri che già sono stati utilizzati, ma che
alla fine nella 'polpa' rimangono bene o male i soliti di sempre.

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