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1.

Introduzione

1.1. Generalità
Questo corso riguarda lo studio dei materiali cosiddetti "innovativi" o "non convenzionali". Con
questi termini si intendono materiali diversi da quelli usualmente utilizzati nelle costruzioni
meccaniche, come materiali metallici, materie plastiche, gomme ecc. In particolare si concentrerà
l'attenzione sui materiali compositi e sui materiali ceramici. La prima parte del corso riguarderà i
materiali compositi, la seconda i materiali ceramici.

1.2. Materiali compositi


Negli ultimi decenni i materiali compositi hanno certamente dominato il campo dei cosiddetti
materiali innovativi o non convenzionali. Il numero e l’importanza delle loro applicazioni è
cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale ed oggigiorno applicazioni dei compositi nel
campo per esempio degli articoli sportivi (caschi, carenature ecc.), dell’industria dell’automobile
(paraurti, accessori) ecc, sono note a tutti.
Con il termine "materiale composito" si intende un materiale costituito da due o più fasi o
componenti tale che:
1) sia possibile individuare, a scala macroscopica, la superficie di interfaccia;
2) siano chimicamente distinte;
3) abbiano caratteristiche fisico-meccaniche significativamente diverse;
Un classico esempio di materiale composito è il calcestruzzo costituito da una miscela di due fasi,
pietrisco (inerti) e cemento. Tali fasi sono infatti chimicamente distinte, hanno caratteristiche
meccaniche molto diverse e l’interfaccia è ben visibile ad occhio nudo. Se poi al calcestruzzo si
aggiungono tondini in acciaio opportunamente disposti (zone tese del calcestruzzo), si ottiene un
altro classico materiale composito: il cemento armato.
I materiali compositi non sono però una invenzione dell’uomo e brillanti esempi di materiali
compositi esistono in natura. Sono materiali compositi per esempio il legno, costituito da fibre di
cellulosa in una matrice legnosa, e le ossa dei vertebrati costituiti anche essi da fibre immerse in
una matrice ossea.
Secondo la definizione data non sono invece materiali compositi le leghe metalliche utilizzate nella
produzione industriale ne le materie plastiche commerciali contenenti, per varie ragioni, riempitivi,
lubrificanti, assorbitori di ultravioletti ecc (interfaccia a scala microscopica).
Più propriamente nel campo della progettazione meccanica si parla di materiale composito
allorquando questi è costituito non solo da fasi con caratteristiche fisico-meccaniche diverse, ma
anche in proporzioni tali che le caratteristiche fisico-meccaniche del composito risultano
significativamente diverse da quelle dei singoli costituenti. Per esempio, con riferimento agli usuali
compositi bicomponenti, passando da un componente all'altro le principali caratteristiche
meccaniche differiscono in genere di un fattore maggiore o uguale cinque e la percentuale di
ciascun componente e compresa tra il 10% ed il 90%; in queste condizioni le caratteristiche del
composito sono strettamente legate alla percentuale relativa dei singoli costituenti presenti.
Negli usuali compositi bicomponenti, il componente più resistente è solitamente presente sotto
forma di fase discontinua (fibre, particelle ecc) e prende il nome di "rinforzo" mentre il componente
meno resistente è presente sotto forma di fase continua e prende il nome di "matrice". Come si
vedrà meglio più avanti, esiste una eccezione a tale situazione generale, costituita dai polimeri
(materiale più resistente) caricati con particelle di gomma (materiale meno resistente).
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

1.2.1. Principali caratteristiche dei compositi


Le proprietà fisico-meccaniche dei materiali compositi sono strettamente legate alle:
1) proprietà fisico-meccaniche dei singoli materiali componenti;
2) concentrazione “ “ “ “ ;
3) forma “ “ “ “ ;
4) dimensione “ “ “ “ ;
5) distribuzione “ “ “ “ ;
6) orientamento “ “ “ “ .
Per una completa descrizione di un materiale composito è necessario pertanto indicare non solo la
natura e la percentuale dei costituenti, ma anche la loro geometria, dimensione, orientamento,
distribuzione ecc.
La concentrazione Xi (i=1,2…n) degli n componenti che costituiscono un materiale composito è
solitamente il principale parametro da cui dipendono le caratteristiche del composito. Essa è in
genere espressa in termini di volume o, più raramente, di peso.
Per quanto concerne il legame tra le proprietà del composito e quelle dei singoli costituenti, in molti
casi la generica proprietà del composito Pc è data dalla media Pc,mp pesata secondo le concentrazioni
(in volume o in peso) delle corrispondenti proprietà dei materiali componenti. Per esempio per un
generico composito bicomponente (rinforzo, matrice) si ha in molti casi:

Pr X r + Pm X m
Pc = Pc , mp = (1)
Xr + Xm

avendo indicato con Xi (i=r,m) la concentrazione in peso o volume di rinforzo (r) e matrice (m)
rispettivamente.
La relazione (1), indicata solitamente come “regola delle miscele”, non è valida in presenza di
fenomeni di interazione tra i materiali componenti o in presenza di fenomeni di sinergismo. In
questi casi infatti le proprietà del composito possono risultare diverse (interazione) o anche
significativamente superiori (sinergismo) a quelle corrispondenti alla semplice media pesata.
Per quanto concerne poi la forma dei costituenti, nei compositi usati nella progettazione meccanica
la fase discontinua (rinforzo) può essere presente sotto forma di cilindri, sfere, nastri ecc, ma anche
in alcuni casi particolari sotto forma di cubi, prismi a sezione rettangolare o piccole piastre.
Per quanto concerne invece le dimensioni della fase discontinua, queste possono variare in un
campo molto ampio. La dimensione della fase discontinua determina, assieme alla forma ed alla
percentuale di volume, l’entità dell'area di interfaccia tra i componenti che riveste un ruolo
importante nella interazione di questi e quindi nel comportamento del composito.
La distribuzione della concentrazione dei componenti è pure un parametro importante che definisce
la qualità di un materiale composito. Ad una distribuzione irregolare corrisponde infatti sempre un
decadimento delle proprietà del composito. Per esempio, ad una distribuzione non uniforme del
rinforzo corrisponde una diminuzione della resistenza complessiva del composito essendo "più
vulnerabili" le zone ove il rinforzo è presente in concentrazione inferiore.
L'orientamento della fase discontinua (rinforzo) influenza l'anisotropia del composito. Se la fase
discontinua e distribuita con orientamento random il composito ha in pratica un comportamento
isotropo, cioè esibisce in scala macroscopica proprietà fisico-meccaniche indipendenti dalla
direzione. E' questo per esempio il caso di compositi con rinforzo costituito da particelle più o meno
regolari o da fibre corte distribuite in modo casuale.
Se invece la fase discontinua ha un orientamento fisso, allora il composito esibisce un
comportamento anisotropo essendo le proprietà fisico-meccaniche dipendenti dalla direzione
considerata. E' questo per esempio il caso classico dei compositi con rinforzo costituito da fibre

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lunghe orientate lungo una o più direzioni prefissate. In questo caso il grado di anisotropia del
composito può essere controllato variando la concentrazione e l'orientamento del rinforzo. Si
costruiscono per esempio compositi con rinforzo in fibra unidirezionale, bidirezionale ecc.

1.2.2 Classificazione dei compositi


E' possibile eseguire diverse classificazioni dei materiali compositi al variare del particolare
parametro preso in considerazione. La classificazione più usata, ed anche più utile, è comunque
quella che si basa sul meccanismo di resistenza, strettamente legato a forma ed orientamento del
rinforzo. In base alla forma si distinguono cosi (vedi schema rappresentato in tab.1) materiali
compositi fibro-rinforzati (o compositi fibrosi) e materiali compositi rinforzati con particelle. In
base all’orientamento del rinforzo questi ultimi a loro volta si suddividono in compositi con
particelle con orientamento casuale e compositi rinforzati con particelle con orientamento
preferenziale.
I compositi fibro-rinforzati possono essere invece costituiti da una singola lamina fibro-rinforzata o
da più lamine eguali variamente orientate (laminati) o diverse (ibridi).
I compositi a singola lamina inoltre possono essere del tipo a fibra continua (a fibra lunga) e a fibra
discontinua (a fibra corta). I primi, infine, possono essere con rinforzo unidirezionale o
bidirezionale (tessuti), mentre i secondi possono avere fibre con orientamento random ovvero con
orientamento preferenziale.

Tab.1 - Classificazione dei materiali compositi in base alla forma ed all'orientamento del rinforzo.

Nel seguito si descrivono le caratteristiche essenziali delle due famiglie di compositi: compositi con
particelle e compositi fibrosi.

1.3. Compositi con particelle


In questi compositi in genere le particelle hanno lo scopo primario di migliorare alcune proprietà
della matrice quali per esempio la resistenza all'usura, la durezza superficiale, la lavorabilità, la
resistenza alle elevate temperature, la dilatazione termica ecc. I compositi con particelle sono
caratterizzati generalmente da resistenza meccanica e/o rigidezza ben inferiore a quella dei
compositi fibrosi, che per questo sono di gran lunga preferiti ai compositi con particelle nella
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progettazione di elementi strutturali. La presenza di particelle anche molto resistenti infatti non
produce significativi miglioramenti delle caratteristiche meccaniche del composito rispetto a quelle
della sola matrice come avviene invece per i compositi fibrosi in cui la quasi totalità del carico
esterno e sopportato dalle fibre. Anche nei confronti della frattura la presenza di un rinforzo
costituito da particelle dure e resistenti non da luogo a significativi miglioramenti. A differenza di
quanto avviene nei compositi fibrosi, infatti, nei compositi con particelle la propagazione di
eventuali cricche e difetti può portare facilmente alla completa rottura del composito a seguito di
rottura della sola matrice. Addirittura la presenza di particelle dure in una matrice fragile,
producendo inevitabili fenomeni di concentrazione delle tensioni, può dar luogo ad una riduzione
della resistenza meccanica ed alla frattura del composito rispetto alla semplice matrice. Solo nel
caso particolare di compositi con particelle in gomma, la presenza delle particelle produce un
significativo rallentamento della velocità di propagazione di difetti.
Esempi di compositi con particelle sono quelli ottenuti combinando diversi materiali metallici. A
questa categoria appartengono per esempio i compositi a matrice metallica costituiti da:
1) una matrice di leghe di rame o acciaio con particelle di piombo introdotte al fine di
migliorarne la lavorabilità o la lubrificazione (leghe antifrizione);
2) una matrice metallica con particelle di metalli ad elevato punto di fusione come tungsteno,
cromo e molibdeno, introdotte al fine di migliorarne la resistenza alle elevate temperature;
3) una matrice di cobalto o altro materiale simile con particelle di carburi di tungsteno, carburi
di cromo ecc; si ottengono i cosiddetti “cermets” caratterizzati da elevata resistenza all'usura
anche ad alta temperatura, utilizzati per la produzione di utensili per alte velocità di taglio e
componenti soggetti ad elevata usura (valvole, cuscinetti ecc).
Ai compositi con particelle appartengono pure i materiali ottenuti rinforzando una matrice
polimerica con sostanze inorganiche come silice o metalli come argento ecc, che permettono di
migliorare la resistenza alla abrasione, aumentare la resistenza elettrica, la conducibilità termica,
ecc.

1.4. Compositi fibrosi


Questi compositi sono di gran lunga quelli più utilizzati nella progettazione e produzione di
componenti strutturali. Il successo di tali compositi è strettamente legato all'elevato rapporto
resistenza/peso (resistenza specifica) ed all'elevato rapporto rigidezza/peso (rigidezza specifica),
oltre che alla possibilità di variare a piacimento il grado di anisotropia variando per esempio la
concentrazione e l’orientamento delle fibre.
L'elevata resistenza specifica dei compositi fibrosi è legata al basso peso specifico di fibre e matrice
ma soprattutto alla elevata resistenza delle fibre. Sperimentalmente si osserva che la resistenza di un
generico materiale aumenta significativamente se esso viene prodotto in fibre sottili. Inoltre, la
resistenza della fibra aumenta al diminuire delle dimensioni della sezione trasversale. La
spiegazione di tale notevole fenomeno è diversa a seconda della specifica natura del materiale.
Nel caso di materiali amorfi, come il vetro per esempio, la elevata resistenza delle fibre rispetto allo
stesso materiale non in fibra (bulk material), è dovuta alla diminuzione del numero e soprattutto
delle dimensioni dei difetti (soffiature, inclusioni, cricche ecc) presenti nella fibra rispetto alle
dimensioni dei difetti generalmente presenti in elementi non in fibra. In questo caso la produzione
in fibre consente in pratica di controllare la dimensione dei difetti e quindi di incrementare la
resistenza meccanica. Tale motivo di crescita della resistenza è ovviamente comune anche a
materiali cristallini e polimerici pure utilizzati nella produzione di fibre per materiali compositi. In
questi casi pero sussistono anche altri importanti fenomeni che determinano un ulteriore aumento
delle resistenza meccanica.
Nei materiali cristallini la produzione in fibre da luogo ad un orientamento preferenziale dei cristalli
che si allungano nella direzione della fibra stessa con conseguente aumento della resistenza in
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questa direzione (anisotropia). E’ ciò che succede in materiali tradizionali come l’acciaio che
esibisce una resistenza marcatamente più elevata se prodotto in fili sottili: come è noto dalla
Costruzione di Macchine la resistenza dei fili di acciaio usati nella produzione delle funi raramente
scende, anche per comuni acciai al carbonio (resistenza di 35-45 kg/mm2) al di sotto degli 80-100
kg/mm2. Tale fenomeno si verifica pure nel carbonio usato nella produzione di fibre per compositi a
matrice polimerica.
Nel caso infine di materiali polimerici l'elevata resistenza è giustificata anche dal fatto che la
produzione in fibre determina la formazione di lunghe catene (polimeri) orientate secondo l'asse
della fibra stessa. E’ ciò che si verifica nelle fibre organiche (aramide, polietilene ecc) usate nella
produzione di compositi.
A titolo di esempio nella tabella seguente sono riportate le caratteristiche meccaniche quale modulo
di Young (rigidezza) e tensione di rottura a trazione (resistenza) per alcune fibre utilizzate nella
preparazione dei compositi assieme a quelle di alcuni materiali convenzionali per facilitarne un
rapido confronto.

Tab.2 – Proprietà di materiali prodotti in fibre e di alcuni materiali convenzionali

Si vede come particolarmente elevati risultano i valori di resistenza specifica e rigidezza specifica
dei materiali prodotti in fibra che dimostrano i vantaggi offerti dai compositi fibrosi specie in tutte
quelle applicazioni dove è richiesta elevata resistenza e basso peso. In dettaglio, la resistenza
specifica media delle fibre comunemente usate nei compositi (vetro, carbonio, boro, Kevlar), pari a
circa 1.3 GPa/(g/cm3), risulta in pratica pari a circa 10 volte quella media dei materiali tradizionali
rappresentati. La rigidezza specifica delle fibre di vetro è invece confrontabile con quelle di vari
metalli come acciaio e alluminio, mentre il valore corrispondente alle fibre di carbonio [126
GPa/(g/cm3) circa per HS e 205 GPa/(g/cm3) per HM], alle fibre di aramide [87 GPa/(g/cm3)] e alle
fibre di boro [146 GPa/(g/cm3)] risulta da 3 (aramide) a circa 8 (carbonio HM) volte quello di
materiali tradizionali [25 GPa/(g/cm3) circa] come acciaio e alluminio.
I valori indicati in tab.2 si riferiscono a fibre molto sottili, aventi in pratica un diametro compreso
generalmente tra 10 µm (vetro, carbonio e aramide) e 100 µm (boro) circa. Tali piccoli valori del
diametro sono necessari, oltre che per ottenere una elevata resistenza, anche per ottenere una
elevata deformabilità flessionale delle fibre che consenta di limitare le tensioni iniziali associate ad
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una eventuale piegatura delle stesse necessaria alla formazione di componenti di forma complessa.
La deformabilità flessionale è pertanto una caratteristica notevole delle fibre. Essa aumenta al
diminuire del diametro della sezione trasversale. Considerando una fibra inflessa ed il legame che
intercorre tra momento flettente M applicato e la corrispondente curvatura C (C=M/EI), utilizzando
la formula di Navier con semplici passaggi si dimostra facilmente che il legame tra la massima
deformazione assiale ε, il raggio di curvatura ρ ed il diametro d della fibra è dato da:
d
ε= (2)

Pertanto, a parità di deformazione ammissibile il raggio di curvatura ammissibile diminuisce col
diminuire del diametro della fibra stessa. In altre parole a parità di curvatura la massima
deformazione flessionale, e quindi la massima tensione iniziale presente nella fibra cresce al
crescere del diametro che pertanto deve essere molto piccolo se non si vuole limitare drasticamente
la capacita di carico della fibra stessa.
Tenuto conto che le fibre non possono sostenere sforzi di compressione ne carichi trasversali, esse
non possono essere usate tal quali per la costruzione di componenti e strutture. Per questo esse
vengono annegate in una matrice a formare un composito fibroso. Più in dettaglio, la matrice ha in
pratica una quadruplice funzione:
1) tenere insieme le fibre;
2) trasferire alle fibre il carico esterno;
3) proteggere le fibre da danni derivanti da azioni meccaniche dirette (taglio, usura ecc);
4) proteggere le fibre dai fattori ambientali (umidità, UV) e agenti corrosivi.
A causa della buona resistenza ad agenti corrosivi ed ambientali, unita ad un basso peso specifico e
ad una buona adesione con le fibre, vari materiali polimerici sono utilizzati come matrice. Essi
inoltre permettono una facile formatura di componenti anche di geometria complessa che consente
facilmente la sostituzione di componenti strutturali gia progettati e costruiti con materiali metallici
o altri materiali convenzionali. A causa della rigidezza e resistenza meccanica relativamente bassa
di tali materiali polimerici rispetto a quella delle fibre, nonché a causa del danneggiamento che le
fibre subiscono durante la formatura del composito, rigidezza e resistenza specifica dei materiali
compositi a matrice polimerica (polimeric matrix composites, PMC) sono inferiori a quelle delle
singole fibre, sebbene sempre piuttosto elevate ed in genere ben superiori ai valori corrispondenti ai
materiali tradizionali come mostra la seguente fig.1.

Fig.1 – Resistenza a rigidezza specifica di alcune fibre e materiali compositi.

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Rispetto a molti materiali tradizionali pure molto più elevata risulta generalmente anche la
resistenza alla frattura dei materiali compositi fibrosi. In questi materiali, poiché i difetti nelle fibre
sono praticamente assenti, eventuali difetti possono essere presenti praticamente solo nella matrice.
Durante la propagazione di questi nel composito si possono in pratica verificare due casi:
a ) il difetto si propaga nella matrice sino ad incontrare la superficie laterale della fibra, quindi si
arresta (temporaneamente o definitivamente);
b) il difetto incontra la fibra ma continua a propagarsi "aggirando" la fibra sino a produrre lo
scollamento fibra-matrice; ciò necessita in genere di elevata energia cosicché lo scollamento è
un processo lento e sovente può determinare anch'esso l'arresto della propagazione del difetto.
In accordo con la classificazione riportata in tab.1, i compositi fibrosi possono presentarsi nella
configurazione a singola lamina (single-layer) oppure a più lamine sovrapposte variamente
orientate (angle-ply, cross-ply laminates). La singola lamina di materiale composito ha solitamente
uno spessore molto piccolo, dell'ordine di 0.1-1 mm e pertanto solitamente non è utilizzata da sola
per la costruzione di un componente strutturale. Se il componente viene ottenuto sovrapponendo più
lamine ma senza variarne l'orientamento si parla anche in questo caso di "single-layer" perché
evidentemente il comportamento meccanico del materiale è identico a quello della singola lamina,
mentre se l'orientamento viene fatto variare in accordo con le specifiche esigenze di progetto, si
parla di laminati se le singole lamine sono tutte eguali, di laminati ibridi o semplicemente ibridi se
le lamine non sono invece tutte eguali ma possono per esempio essere costituite da materiali diversi,
da lamine con diversa percentuale di rinforzo, diversa tessitura ecc.
Per quanto concerne la geometria della fibre, come sopra accennato si distinguono invece due
categorie di compositi fibrosi: a fibre lunghe (o continue) ed a fibre corte (o discontinue).

1.4.1 Compositi a fibre lunghe


Si parla di compositi a fibre lunghe quando la lunghezza delle fibre è confrontabile con quella dei
manufatti. In questi compositi si può assumere che il carico in direzione parallela a quello delle
fibre sia in pratica direttamente applicato alle fibre ed interamente sopportato da queste. La
funzione della matrice è quindi quella di tenere insieme le fibre e distribuire il carico, oltre che
proteggere le fibre da agenti ambientali e corrosivi. La resistenza e sopratutto le modalità di rottura
di questi compositi sono pertanto fortemente legate alle caratteristiche delle fibre.
Elementi meccanici in composito a fibre lunghe si possono ottenere facilmente a partire da sottili
lamine con rinforzo unidirezionale gia impregnate di matrice non completamente polimerizzata
detti prepregs. In questi semilavorati, disponibili in una vasta gamma di dimensioni e sovente
presenti in commercio sotto forma di rotoli o nastri, la polimerizzazione è generalmente bloccata
tenendo il prodotto a bassa temperatura (in frigorifero). Tali lamine prepreg vengono sovrapposte
con orientamento fisso (single-layer) o variabile (multi-layer) e si fa completare la polimerizzazione
a temperatura ambiente o mediante opportuno riscaldamento ottenendo in questo modo i cosiddetti
laminati compositi.
Poiché tali lamine con rinforzo unidirezionale hanno una si una elevata resistenza in direzione
longitudinale ma una bassissima resistenza in direzione ortogonale alle fibre, affidata unicamente
alla matrice, al fine di evitare la possibile rottura accidentale della lamina che può avvenire a
seguito anche di bassi carichi in direzione ortogonale alle fibre (carichi che possono verificarsi
facilmente durante la formazione del laminato), sovente alle fibre longitudinali vengono aggiunte
delle fibre trasversali.
Tali fibre possono essere disposte a formare un vero e proprio tessuto, denominato col termine
inglese “woven mat” o “woven fabric” (vedi fig.2°), oppure a formare un tessuto costituito da fibre
longitudinali disposte a gruppi ricuciti dalle fibre trasversali, indicato con il termine inglese
“stiched mat” (vedi fig.2b)

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(a) (b)
Fig.2 - Compositi a fibre lunghe: (a) woven mat e (b) stiched mat.

La configurazione “woven” che garantisce certamente una più facile maneggiabilità della lamina
nonché un più facile adattamento delle fibre alla forma finale voluta, sfortunatamente da luogo ad
un intreccio delle fibre con conseguente curvatura delle stesse che tende ad aumentarne il
danneggiamento durante la formazione della lamina nonché a diminuirne la resistenza meccanica.
Per questo, ove possibile, si preferisce utilizzare lamine unidirezionali disposte a 90° per ottenere
una resistenza accettabile del manufatto in direzione ortogonale alle fibre principali.
Si costruiscono anche lamine bidirezionali bilanciate, cioè con stessa percentuale di fibre nelle due
direzioni ortogonali (balanced woven mat, fig.3a) ovvero lamine con fibre sono orientate a ± θ
(braided mat, fig.3b) caratterizzate da comportamento ortotropo, elevata modellabilità (facile
adattamento a superfici curve) ed elevata resistenza al danneggiamento.

(b) (d)
Fig.3 - Compositi a fibre lunghe: (c) balanced woven mat e (d) braided mat.

Per assicurare una certa resistenza in direzione trasversale si costruiscono anche lamine con fibre
lunghe non perfettamente allineate (continuous strand mat) o con orientamento praticamente
random (veil), come mostrato nella seguente figura.

(e) (f)
Fig.4 - Compositi a fibre lunghe: (e) continuous strand mat e (f) veil.
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Queste ultime sono usate solitamente per rivestire le facce esterne di un laminato proteggendo cosi
le lamine unidirezionali (interne) da possibili rotture localizzate evidentemente possono essere
prodotte facilmente anche da carichi accidentali di entità limitata ed orientamento arbitrario.
L’uso di tali materiali non consente comunque di migliorare la resistenza dei laminati a carichi
localizzati ortogonali al piano medio del laminato, resistenza che affidata unicamente a quella della
matrice. Nei casi in cui si possono verificare tali sollecitazioni (applicazioni aeronautiche ecc) si
usano anche tessuti con disposizione delle fibre multidirezionale. Si costruiscono in pratica tessuti
di uso generale con fibre disposte secondo tre direzioni mutuamente ortogonali (three-directional
orthogonal wave, fig.5a), con fibre disposte in direzione assiale, circonferenziale e radiale (three-
directional polar wave, fig5b) per elementi cilindrici, e con fibre che individuano una sorta di
cucitura della singole lamine sovrapposte (angle interlock o warp interlock, fig.5c).

(a) (b) (c)

Fig.5 – Tessuti multidirezionali : three-directional (a) ortogonal wave, (b) polar wave e (d) interlock wave.

1.4.2 Compositi a fibre corte


Nella pratica costruttiva si parla di compositi a fibre corte allorquando questi sono rinforzati con
fibre aventi lunghezza compresa tra 1 e 8 cm circa. Più propriamente si parla di compositi a fibre
corte quando la lunghezza delle fibre è interna al campo in cui le proprietà fisico-meccaniche del
composito variano con la lunghezza delle fibre stesse. Le fibre corte possono essere disposte
facilmente con orientamento casuale o random, sebbene è possibile ottenere anche manufatti con
fibre corte con orientamento preferenziale. Quest'ultima condizione si ottiene per esempio quando il
composito è prodotto mediante estrusione o con procedimenti simili (forgiatura ad inezione ecc)
che determinano un orientamento delle fibre nella direzione del flusso (vedi fig.6a).

(a) (b)
Fig.6 - Compositi a fibre corte ottenuti (a) per estrusione (fibre orientate nella direzione del flusso) e da
prepegs (fibre parallele al piano di figura).

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Pure orientate (parallele ad un piano fisso) risultano le fibre allorquando il composito viene ottenuto
sovrapponendo lamine pre-impregnate con fibre orientate in modo casuale nel piano della lamina,
ma parallele al piano della lamina stessa (vedi fig.6b).
A parità di ogni altra condizione, i compositi a fibre corte sono meno resistenti di quelli a fibre
lunghe allineate col carico esterno applicato. Tale minore resistenza, oltre che al minor carico
sopportato dalle fibre è dovuta anche alla minore quantità di fibre (max 50%) che può essere
utilizzata a rinforzare il materiale, a causa di evidenti maggiori difficoltà a bagnare le fibre quando
queste presentano orientamento random.

1.5. Matrici

Tenendo conto che la matrice ha essenzialmente il compito (a) di tenere insieme le fibre, (b) di
trasmettere il carico e (c) di proteggere le fibre da azioni meccaniche di taglio e da agenti
atmosferici e corrosivi, una buona matrice deve avere una buona resistenza meccanica, una buona
resistenza allo scorrimento fibra-matrice ed una buona resistenza agli agenti atmosferici (umidità,
ultravioletti) ed alla corrosione. Vari materiali rispondono in modo soddisfacente a tali requisiti e
diversi materiali sono attualmente utilizzati come matrice di compositi strutturali. In base al
materiale costituente la matrice i compositi si distinguono in:
1) compositi a matrice polimerica (PMC, polymer-matrix composites);
2) compositi a matrice metallica (MMC, metal matrix composites);
3) compositi a matrice ceramica (CMC,ceramic-matrix composites).
I PMCs, sviluppati a partire dalla seconda guerra mondiale dall’industria aeronautica e facenti uso
di fibre di vetro, carbonio ed aramide (multifilaments), negli ultimi decenni hanno subito una
notevole diffusione come materiali strutturali nel settore dei trasporti, civile, degli articoli sportivi,
ecc. A questa diffusione molto ha contribuito la crescita della massima temperatura di esercizio
della matrice che ora può arrivare sin a circa 280° C (poliammide).
I MMCs sono stati sviluppati a partire dagli anni ’50 per migliorare la resistenza dei materiali
metallici tradizionali (soprattutto alluminio) utilizzando fibre di boro e di carburo di silicio
(monofilaments). Successivamente sono state pure ottenuti MMCs con matrice di magnesio, rame,
acciaio e titanio rinforzati con fibre discontinue o particelle in materiale ceramico. Si tratta
generalmente di materiali isotropi con caratteristiche meccaniche confrontabili con quelle dei
migliori PMCs (carbonio-resina epossidica). I costi relativamente elevati ne limitano però l’uso a
particolari componenti aeronautici e motoristici (esempio valvole in titanio rinforzato ecc).
I CMCs infine, sono stati sviluppati appositamente per ottenere materiali di buone proprietà fisico
meccaniche capaci di resistere alle elevate temperature.
Tra tutti, i materiali compositi di gran lunga più utilizzati per usi “strutturali” sono i PMCs.
Solitamente la matrice di questi materiali è costituita da resine termoindurenti o termoplastiche. I
materiali termoindurenti sono comunque di gran lunga più utilizzati in quanto realizzano facilmente
catene spaziali complesse relativamente resistenti e sopratutto sono caratterizzati da bassa viscosità
che permette di bagnare facilmente le fibre. Ciò consente di ottenere una buona adesione fibra-
matrice ed al tempo stesso di raggiungere rapporti volumetrici fibra-matrice maggiori del 70-80%.
Con i termoplastici, invece, nonostante i notevoli miglioramenti compiuti negli ultimissimi anni,
tale rapporto difficilmente può superare il 60%, ed a causa della viscosità relativamente elevata i
costi di produzione sono ancora piuttosto elevati.

1.5.1 Matrici termoindurenti

Tra le matrici termoindurenti utilizzate per la produzione di PMCs strutturali, la resina epossidica è
il polimero di gran lunga più utilizzato; questo lascia il posto alle resine poliestere quando si vuole
abbassare il costo del prodotto, o alle resine poliammidiche (in versione termoindurente) e ai
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policianurati quando è richiesta una più elevata temperatura massima di esercizio. Si usano invece
le resine fenoliche se si vuole una migliore resistenza al fuoco ed una bassa emissione di fumi
tossici in caso di incendio.
Il processo di polimerizzazione delle matrici termoindurenti avviene in genere per poliaddizione,
consistente nella formazione di catene polimeriche a partire da una unità fondamentale detta
monomero che si lega ad altri monomeri in presenza di un induritore. Per esempio, un monomero
della resina epossidica (ne esistono varie formulazioni) è costituito 3 atomi di idrogeno, 2 di
carbonio ed 1 di ossigeno disposti come in fig.7.

H H H H

H C C (R) C C H

O O

Gruppo epossidico

Fig.7 - Monomero della resina epossidica.

Più in dettaglio, la polimerizzazione della resina epossidica per poliaddizione, avviene in presenza
di un induritore costituito da un radicale (amine, amino derivati, anidridi) che presenta alle
estremità un atomo di azoto che si lega ad uno dei due atomi di carbonio previa rottura del doppio
legame con l'ossigeno (vedi fig.8).

H H H H

H C C (R) C C H

O H O H
N N

H H

Fig.8 - Polimero della resina epossidica.

La polimerizzazione per poliaddizione avviene con produzione di calore. E' pertanto necessario,
specie in presenza di elementi di grandi dimensioni provvedere ad un appropriato smaltimento del
calore al fine di evitare eccessivi riscaldamenti che possono portare anche a fenomeni esplosivi.
Il processo che porta alla completa polimerizzazione delle matrici termoindurenti è costituito
essenzialmente da 3 distinte fasi quali (vedi anche fig.9):
1) gelificazione: durante questa fase che avviene solitamente a temperatura ambiente si ottiene la
polimerizzazione di circa il 70% della matrice;

2) cura: durante questa fase il polimero viene riscaldato sotto pressione al fine di aumentare la
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compattezza del materiale assicurando così un buon legame fibra-matrice e minimizzando al


tempo stesso eventuali tensioni residue formatesi nella fase precedente (con conseguente ritiro)
a seguito del ciclo termico associato alla polimerizzazione; in questa fase si ottiene anche
l’allontanamento di eventuali inclusioni di gas ecc.
3) post-cura: durante questa fase il polimero viene riscaldato ad una temperatura superiore a quella
precedente al fine di conseguire un ulteriore indurimento della matrice (termoindurenti) ed un
ulteriore rilascio delle tensioni residue eventualmente ancora presenti.
La temperatura di post-cura condiziona la temperatura critica ( o temperatura di transizione vetrosa)
Tg del polimero ottenuto. Per temperatura critica si intende la temperatura a cui in un polimero
termoindurente avviene la rottura dei legami della catena con conseguente rammollimento del
materiale. La temperatura critica è quindi la massima temperatura a cui la matrice può operare.
Questa, in funzione del materiale, delle temperature di cura e post-cura, nonché della presenza di
eventuali additivi, può variare da 50° C (cura a temperatura ambiente) a circa 280 °C.

Post-curing
Temperatura
Curing

Gel

Tempo
Pressione

Tempo

Fig.9 – Ciclo termico e di pressione in processo di poliaddizione.

Le matrici polimeriche solitamente sono sensibili agli ultravioletti ed all'umidità che ne


determinano una riduzione delle caratteristiche meccaniche e della resistenza allo scorrimento fibra-
matrice.
A titolo di esempio, nella tabella seguente sono sinteticamente riportate alcune caratteristiche
fisico-meccaniche di resine utilizzate nella produzione di compositi a matrice polimerica.

Tab.3 – Proprietà di alcune resine per compositi a matrice polimerica (PMCs).

Si vede come utilizzando resine epossidiche la temperatura massima di esercizio può variare da 50
a 180° C, sebbene all’aumento di questa corrisponde in genere una diminuzione della resistenza
meccanica e soprattutto della resistenza alla frattura (infragilimento).
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1.5.1 Resine epossidiche


La resina epossidica è stata prodotta per la prima volta intorno alla fine degli anni ’30. Essa è
attualmente prodotta in diverse formulazioni e tipi (liquida, semisolida ecc) e presenta in genere
buona resistenza meccanica, buona compatibilità con metalli ed altri materiali di interesse
ingegneristico, basso ritiro, ottimo isolamento elettrico e bassa tossicità. Nella formazione di PMCs
le resine epossidiche presentano i seguenti vantaggi:
1) ottimo legame fibra-matrice, quindi elevata resistenza al debonding ed alla delaminazione;
2) elevata resistenza meccanica ed alla frattura;
3) buona resistenza agli agenti ambientali e corrosivi;
4) basso ritiro post cura, quindi basse tensioni residue e/o distorsioni dei manufatti.
Gli svantaggi principali delle comuni resine epossidiche risiedono invece nella:
1) viscosità relativamente elevata, che rende non facile l'annegamento delle fibre nella matrice;
2) costo relativamente elevato;
3) bassa temperatura critica, variabile da una formulazione all’altra ma comunque in genere
sempre inferiore a 180°-200° C circa.
Tra le varie formulazioni disponibili in commercio con massime temperature di esercizio comprese
tra 120 e 180° C circa, le più utilizzate per la formazione di PMCs sono:
1) la DGEBA (diglycidyl ether of bisphenol-A) che è in assoluto la più utilizzata e conveniente
(5-10 euro/kg);
2) la DGEBF (diglycidyl ether of bisphenol-F) caratterizzata da minore viscosità e maggiore
resistenza chimica rispetto alla precedente;
3) la Phenol novolac, molto viscosa a T.A. e caratterizzate da una più elevata temperatura
critica a costi relativamente ridotti;
4) la Cresol novolac, solida a T.A., con caratteristiche simili alla precedente;
5) la TGMDA (tetraglycidyl methylene dialinine) che presenta oltre che una elevata
temperatura di transizione (sebbene a costi più elevati) anche buone caratteristiche
meccaniche ed è molto apprezzata in campo aeronautico;
6) la TGPAP (triglyciyl p-amino-phenol), molto costosa (sino a 50 euro/kg) ma con viscosità
molto bassa e per questo spesso miscelata ad altre formulazioni al solo scopo di abbassarne
la viscosità.
Anche la scelta dell’induritore (amine, amino derivati, anidridi) può influenzare le proprietà della
resina ed in particolare la massima temperatura critica raggiungibile (per maggiori informazioni si
rimanda alla letteratura specializzata).
Per particolari applicazioni, infine, alla resina epossidica possono essere aggiunte dei
“modificatori” come:
1) additivi a base di gomma o termoplastici, usati per migliorare la resistenza alla frattura e la
flessibilità;
2) diluenti, usati per diminuire la viscosità sebbene danno luogo in genere anche ad un
abbassamento delle caratteristiche meccaniche;
3) ritardatori di fiamma (solitamente idrossidi come Al(OH)3 o Mg(OH)2), usati per inibire la
combustione;
4) riempitivi inerti, usati per modificare proprietà fisiche come la densità, la conducibilità o il
ritiro, generalmente compreso tra l’1e il 4%;
5) pigmenti, usati per colorare la resina di per se praticamente incolore;

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1.5.1.2 Resine poliestere

Le resine poliestere, costituite da un poliestere non saturato disciolto in un monomero reagente


(come lo stirene), sono comunemente utilizzate per la costruzione di compositi (con fibre di vetro,
carbonio o aramide) per imbarcazioni, recipienti e condutture, dotati di buona resistenza ad agenti
ambientali e corrosivi ad un costo limitato. Grazie ad un buon rapporto prezzo/qualità esse trovano
larghissima applicazione nella produzione di componenti ed oggetti “non rinforzati” come
rivestimenti, recipienti, tubi ecc. Nella formazione dei compositi, al contrario delle resine
epossidiche, le resine poliestere presentano i seguenti vantaggi:
1) basso costo, generalmente non superiore a 2-3 euro/kg;
2) bassa viscosità, che consente un facile annegamento delle fibre;
3) proprietà fisico-meccaniche variabili entro un largo campo, che permette un facile
adattamento alle specifiche esigenze esigenze di progetto;
In subordine esse presentano inoltre anche una:
4) buona resistenza ad agenti ambientali (UV) e corrosivi (oli, acidi deboli, petrolio ecc) che
assicura durate anche superiori ai 30 anni, sebbene l’esposizione agli UV da luogo ad
sensibile e progressivo scolorimento (ingiallimento) del materiale;
5) manifattura relativamente semplice che permette di limitare ulteriormente i costi di
produzione del composito.
La durata e la resistenza agli agenti ambientali possono essere ulteriormente migliorati aggiungendo
allo stirene (monomero reagente) del metil-metacrilato (MMA). E’ cosi possibile ottenere un indice
di rifrazione praticamente identico a quello delle fibre di vetro, che consente di ottenere elementi
fibro-rinforzati perfettamente trasparenti alla luce.
Gli svantaggi principali delle resine poliestere nella formazione di PMCs sono costituiti invece da:
1) debole legame fibra-matrice;
2) fragilità alle sollecitazioni di taglio;
3) ritiro piuttosto elevato (6-8%) durante la cura, che può compromettere sia la bontà della
adesione fibra matrice, sia la stabilità dimensionale dei manufatti compositi;
4) temperatura massima di esercizio mediamente più bassa delle resine epossidiche, variabile
tra 60 e 170°C circa.
L’elevato ritiro può essere contrastato somministrando additivi cosiddetti LPA (Low-Profile
Additives) la cui formulazione e quantità va adattata opportunamente alle specifiche esigenze.
Esistono una grande varietà di resine poliestere, ma in pratica solo 4 diversi tipi sono usati come
matrice di compositi quali la:
1) orthophtalic, poco usata nelle applicazioni strutturali in quanto caratterizzata da bassa
resistenza meccanica (σr ≤ 55 MPa) e bassa resistenza agli agenti corrosivi;
2) isophtalic, avente la più elevata esistenza meccanica (σr =75 MPa, E=3400 MPa) e buona
resistenza alla corrosione, all’umidità e all’acqua (protegge bene le fibre di vetro);
3) bisphenol-A (BPA) fumarate, caratterizzata da modesta resistenza meccanica è usata
esclusivamente in ambienti caustici per la elevatissima resistenza a tali agenti;
4) chlorendic, avente come la precedente elevata resistenza in ambienti acidi ma bassa in
ambienti basici; ha anche una buona resistenza al fuoco.

1.5.1.3 Resine fenoliche

Tali resine, ottenute dalla reazione del fenolo con la formaldeide in presenza di un catalizzatore
acido o alcalino, presentano in sintesi gli stessi vantaggi delle resine epossidiche (buona adesione
fibra-matrice, buona resistenza alla corrosione ecc) con in più la possibilità di operare a piu alte
temperature ed una migliore resistenza al fuoco con bassissima emissione di fumi tossici. Tale
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ultima proprietà li fa preferire in tutte quelle applicazioni (aeronautiche, navali, gallerie,


metropolitane, condotte di gas ecc) ove la resistenza al fuoco è importante e soprattutto l’emissione
di fumi tossici a seguito di incendio può portare grave nocumento alla vita umana. In questi campi
le resine fenoliche stanno in pratica completamente sostituendo le altre resine.
Gli svantaggi principali nella formazione dei compositi (fibre di vetro, carbonio o aramide) con
resine fenoliche sono legati alla:
1) elevata pressione necessaria durante la cura (0.3-3 MPa a temperature di 120-175° C);
2) alto contenuto di vuoti causato dall’allontanamento progressivo dei solventi necessari per
contenere la viscosità della resina entro limiti accettabili;
3) caratteristico colore nero, che rende necessaria in molte applicazioni la verniciatura del
prodotto con aumento del costo.

1.5.1.4 Resine viniliche

Appartengono alla famiglia delle resine poliestere e pertanto presentano le stesse peculiarità di
queste (bassa viscosità, buona resistenza agli agenti corrosivi) ma unite ad una migliore resistenza
meccanica (σr=80 MPa, E=3600 MPa) ed agli agenti ambientali sebbene con costo più elevato. La
temperatura critica è di circa 120° C. Nella formazione dei compositi danno luogo ad un legame
fibra-matrice più forte, quindi a compositi più efficienti specie in termini di resistenza a fatica, alla
frattura ecc. Il costo più elevato (intermedio tra quello delle poliestere e quello delle resine
epossidiche) e l’impossibilità di variare le caratteristiche (viscosità, ecc) ne fa però un materiale
poco flessibile e di uso relativamente limitato rispetto alle altre poliestere.

1.5.1.5 Resine poliammidiche

Queste resine si distinguono dalle altre principalmente per l’elevata temperatura di esercizio che in
condizione di esposizione per lungo periodo può arrivare a circa 315° C. La temperatura critica può
anche superare i 400° C e pertanto in condizione di esposizione per periodi brevi la temperatura di
esercizio può arrivare anche a circa 385° C. Le resine poliammidiche possono essere termoplastiche
o termoindurenti. Le termoplastiche presentano una elevata viscosità che ne rende difficile l’uso
nella formazione dei compositi, mentre le termoindurenti assieme ad una viscosità pure
relativamente elevata presentano anche una fragilità relativamente elevata.
Tali resine, piuttosto costose, sono di uso esclusivo in tutte quelle applicazioni caratterizzate da
temperature di esercizio elevate. Tra le varie formulazioni possibili, quelle più utilizzate come
matrice di compositi sono la:
1) PETI (phenylethynyl end-capped imide), caratterizzata da elevata stabilità termica e
chimica, elevata resistenza meccanica (σr=130 MPa circa a T.A., σr=85 MPa circa a 175°)
ed alla frattura (KIc=4 MPa*m0.5 circa), elevata deformazione a rottura (circa 30% a T.A,
circa 80% a 175° C) e temperatura di esercizio sino a circa 270° C ;
2) BMI (bismaleimide), utilizzata nella produzione di compositi avanzati [applicazioni
aeronautiche (Airbus A330), militari (F-22, C-17, vedi fig.10) e sportive (Formula 1)] con
tensione di rottura sino a 180 MPa e temperatura di esercizio sino a circa 290° C (230° C
con esposizione per lunghi periodi);
3) PMR-15, caratterizzata da temperature massime di esercizio sino a circa 315° C, resistenza
meccanica relativamente bassa (σr=40-50 MPa circa) ma elevata resistenza alla fatica
termica.
E’ importante notare che la temperatura di esercizio di tali materiali (specialmente della
bismaleimide, è limitata oltre che dalla temperatura critica anche dalla vita richiesta in quanto la
esposizione alle alte temperature accelera il deterioramento e la perdita di peso della resina. Per
esempio per una vita di 2500 ore la temperatura di esercizio non può superare i 230° C. Durate più
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elevate si possono ottenere usando la formulazione PMR-15, che pero presenta parecchi svantaggi
come difficile lavorabilità ed emissione di notevoli volumi di gas durante la polimerizzazione.

Fig.10 – Componenti del C-17 (aft flap fairing) realizzati in composito con matrice di BMI.

1.5.1.6 Resine di estere cianato (policianurati)

Questo tipo di resine hanno buone caratteristiche meccaniche (σr=50-90 MPa, E≈3100 MPa) e
temperature massime di esercizio comprese tra quelle delle epossidiche e quelle delle
poliammidiche. A causa del costo relativamente elevato il loro uso è limitato ad applicazioni
aeronautiche, aerospaziali ed elettroniche caratterizzate da elevata temperatura di esercizio e
soprattutto da fatica termica che nelle resine porta alla formazione di diffuse micro-cricche. Molto
bassi sono l’assorbimento di umidità, il ritiro e la costante dielettrica, ottime sono le proprietà di
adesivo e la resistenza alle radiazioni. Per queste ultime proprietà tali resine sono sovente utilizzate
in miscela con altre resine al fine di correggere le proprietà di queste ultime.
In tabella 4 sono riassunte le proprietà termomeccaniche delle resine termoindurenti di uso più
ricorrente nella produzione dei PMCs.

Tab.4 – Proprietà di alcune resine termoindurenti per PMCs.

1.5.2 Matrici termoplastiche

Rispetto alle resine termoindurenti le resine termoplastiche offrono una più elevata “duttilità”,
ovvero una più elevata resistenza all’urto (vedi per esempio tab.5). Esse pertanto sono preferite in
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tutti quei casi in cui la resistenza all’urto ed alla frattura è un requisito essenziale del progetto come
accade, per esempio nelle costruzioni aeronautiche civili. Pure molto apprezzata è la ottima
resistenza alle basse temperature (applicazioni criogeniche).
L’inconveniente principale ne limita drasticamente l’uso è la elevata viscosità alle basse
temperature che rende complicata e costosa la preparazione di compositi fibro-rinforzati. Sebbene
la viscosità in alcuni casi può essere abbassata mediante uso di opportuni solventi, questi possono
degradare le proprietà della resina. Anche il riscaldamento può avere simili effetti (abbassamento
della viscosità e degrado) e pertanto nella formazione dei compositi il riscaldamento deve essere
pure opportunamente limitato utilizzando al tempo stesso una sufficiente pressione di lavorazione.
Per le comuni resine termoplastiche utilizzate nei compositi la lavorazione avviene a temperature
medie di circa 350° e pressione intorno a 1.5-2 MPa.
Le resine termoplastiche offrono anche elevata resistenza alla usura ed ottime proprietà dielettriche
pressoché invarianti con l’umidità. Per quest’ultima proprietà esse sono preferite nella costruzione
di dispositivi elettronici esposti all’umidità ed all’acqua e nella realizzazione dei radar (fig.11a).
Allo stato attuale, tra le varie resine termoplastiche (tab.5) le più utilizzate nella formazione dei
PMCs, , specie in campo aeronautico, sono in ordine di importanza:
1) il PEEK (polyether etherketone), che è la resina termoplastica in assoluto più utilizzata per
compositi high-performance, caratterizzata da elevata resistenza alla frattura, bassissimo
assorbimento di acqua (inferiore a 0.5%, molto più basso delle epossidiche);
2) il PPS (polyphenylene sulfide), che è una resina semicristallina caratterizzata da elevata
resistenza chimica;
3) il PSUL (polysulfone), che è una resina amorfa caratterizzata da elevata deformabilità ed
eccellente stabilità in ambienti umidi e/o caldi;
4) il PEKK (polyetherketone ketone),
5) il PEI (polyetherimide), che è una poliammide termoplastica con temperatura di transizione
relativamente elevata;
6) il PAI (polyamide-imide), simile alla precedente,
7) il K-III, che è un prepolimero in opportuno solvente, usato per proteggere le fibre;
8) il LARC-TPI, simile al precedente

Tab.5 – Proprietà di alcune resine termoplastiche per PMCs.

Con queste resine si producono prepreg e semipreg (la matrice riveste le fibre piuttosto che
impregnarle completamente) disponibili in commercio ovviamente non sotto forma di rotoli, come
avviene per i prepregs con matrice termoindurente, bensì sotto forma di fogli di dimensioni di circa
100 x 350 cm.
Solitamente con il PEEK si ottengono lamine unidirezionali, mentre con PEI e PPS si producono
anche lamine bidirezionali. Queste sono utilizzate per la formazione di componenti di varia forma
con tecniche analoghe a quelle usate nella formatura dei laminati metallici (vedi per esempio
fig.11b).

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(a) (b)
Fig.11 – Compositi con matrice termoplastica: (a) radar di velivolo ed (b) elementi stampati.

Il progressivo rammollimento delle resine termoplastiche consente di ottenere la giunzione di


elementi diversi senza rivetti o bulloni mediante “saldatura”, cioè mediante riscaldamento anche
locale (ad induzione, a resistenza con filo interposto ecc) della parti da unire ed applicazione di una
sufficiente pressione. Ove il riscaldamento può risultare difficoltoso, questo può essere limitato
interponendo tra le superfici da giuntare un sottile strato di PEI che ha una temperatura di
rammollimento più bassa delle altre resine ed ottima compatibilità con le altre resine
termoplastiche.

1.6. Fibre
Le fibre più usate nella produzione di materiali compositi a matrice polimerica sono le fibre di vetro
(glass) e le fibre di carbonio (carbon, graphite). Pure usate sono le fibre di aramide (aramid
polymer, indicate correntemente col nome commerciale Kevlar della Du Pont) e le fibre di boro
(boron), molto leggere e costose.

1.6.1 Fibre di vetro

Tali fibre sono caratterizzate da elevata resistenza (σr=2500-4800 MPa circa), praticamente almeno
doppia di quella dei migliori acciai, buona rigidezza (E=72000-90000 MPa, come alluminio circa),
basso costo, bassa conducibilità elettrica e termica, elevata temperatura massima di esercizio
(compresa tra 500 e 1000° C).
Esistono tre diversi tipi di fibra di vetro utilizzati nella produzione di compositi, quali il tipo:
- E, di gran lunga il più utilizzato ed economico, costituito essenzialmente da silice (SiO2), allumina
(Al2O3) e carbonato di calcio (CaCO3) ed originariamente usato nella industria elettrica (E sta
appunto per elettrica) per la sua bassa conducibilità;
- S, utilizzato in applicazioni più impegnative (militari ecc), costituito essenzialmente da silice
(SiO2), allumina (Al2O3) e magnesia (MgO) e caratterizzato da elevata resistenza (S sta per
strenght);
- R infine, più raro, è caratterizzato da resistenza più elevata dei precedenti.

Tab.6 – Proprietà fisico-meccaniche tipiche di fibre di vetro commerciali

Esistono comunque anche speciali tipi di fibre di vetro utilizzate per scopi particolari, come per
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esempio il tipo C ed ECR caratterizzati da elevata resistenza alla corrosione e il tipo D


caratterizzato da bassa costante dielettrica (vedi tab.6).
Il diametro delle fibre di vetro può variare entro un vasto campo, praticamente tra 0.8 e 25 mm, ed è
convenzionalmente indicato mediante una lettera dell’alfabeto, dalla A alla Z (vedi tab.6). Le fibre
usate nella produzione dei PMCs vanno dal tipo G (diametro pari a circa 10 µm) al tipo T (diametro
pari a circa 23-24 µm).

Tab.7 – Designazione delle fibre di vetro in base al diametro (µm, 10-4 in).

1.6.2 Fibre di carbonio


Tali fibre hanno subito negli ultimissimi anni una notevole diffusione, grazie ad un significativo
miglioramento del rapporto prestazioni/costo, uscendo così dall’esclusivo campo aeronautico e
trovando uso sempre crescente nel campo dei trasporti terrestri, off-shore, sportivo e civile
(retrofitting sismico di ponti ecc).
Sono caratterizzate da elevata resistenza (σR=2100-2500 MPa), solo di poco più bassa delle fibre di
vetro, ma più elevata rigidezza (E=240.000-390.000 MPa, circa-cinque volte quello delle fibre di
vetro) unita ad una elevata conducibilità elettrica e termica ed una elevatissima resistenza alla
corrosione. Quest’ultima proprietà fa si che compositi con fibre di carbonio oltre che in applicazioni
strutturali siano anche usati per sostituire elementi metallici in applicazioni caratterizzate da elevata
corrosione. Inoltre, il coefficiente di espansione termico negativo permette di ottenere materiali
compositi con coefficiente di dilatazione praticamente nullo.
Le fibre di carbonio sono pure caratterizzate da facile infiammabilità ed elevato potenziale
elettrolitico, superiore per esempio a quello dell'alluminio. Nelle giunzioni con alluminio (ricorrenti
in campo aeronautico) pertanto è necessario prestare molta attenzione alla insorgenza di fenomeni
corrosivi.
Precursori delle fibre di carbonio sono la poliacrilonitrile (PAN) che è la più utilizzata, il pitch che
è una miscela di idrocarburi, e la cellulosa (rayon). A partire da questi, mediante un processo di
“carbonizzazione” unito a diversi trattamenti termici finalizzati a migliorare l’adesione con la
matrice ed al processo di sizing (vedi fig.12), si producono in pratica due tipologie di fibre di
carbonio quali:
1) il tipo I (o HS, high strenght), caratterizzato da elevata resistenza che può arrivare sino a
circa σR=7000 MPa (dieci volte quella di un buon acciaio);
2) il tipo II (o HM, high modulus) caratterizzato da elevata rigidezza che può arrivare sino a
circa E=960000 MPa (cinque volte quello dell’acciaio).

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Fig.12 – Processo di produzione delle fibre di carbonio a partire dal PAN e dal pitch.

Più in dettaglio, in base alla rigidezza si distinguono 5 categorie di fibre di carbonio quali:
1) LM (low modulus), utilizzato per aumentare la tenacità della matrice;
2) SM (standard modulus), ;
3) IM (intermediate modulus), detto anche HT (high tenacity-high strength) ;
4) HM (high modulus);
5) UHM (ultra high modulus) di uso elettivo nell’industria aeronautica e aerospaziale.
A partire dal PAN si possono in pratica ottenere fibre la cui combinazione resistenza-rigidezza può
essere variata con continuità entro un ampio range. Tra queste molto utilizzate sono le fibre HM per
la possibilità offerta di costruire compositi con rigidezza confrontabile con quella dell’acciaio, che
consente di sostituire facilmente elementi strutturali prima realizzati in acciaio con elementi in
composito significativamente più leggeri (peso circa ¼). Nella seguente tabella 7 sono riportate le
caratteristiche tipiche di fibre di carbonio di largo uso.

Tab.8 – Proprietà fisico-meccaniche tipiche di fibre di carbonio commerciali

In pratica la T300 (molto usata), la AS2 e la AS4D sono di tipo HS, la IM6 è di tipo IM, la HMS4
è di tipo HM, la UHM e la M50 sono di tipo UHM.
Il diametro caratteristico delle fibre varia da 7 a 10 µm, con valore medio ricorrente di 8 µm.

1.6.3 Fibre di aramide


Tra le fibre polimeriche quelle di aramide (para-phenyleneterephtalamide, PPD-T) sono le più
utilizzate per la costruzione di PMCs strutturali. Esse sono prodotte da varie industrie chimiche e
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sono note con i rispettivi nomi commerciali di Kevlar (prodotte dalla Du Pont, le più famose),
Technora (prodotta dalla Teijin) e Twaron (prodotta dalla Akzo Nobel).
Sono caratterizzate da elevata resistenza all’urto, dovuta ad una elevata energia di rottura, e da
elevata resistenza alla frattura legata anche alla peculiare struttura fibrillare (vedi fig.13).

(a) (b)

Fig.13 – Struttura fibrillare delle fibre di aramide: rottura per flessione (a) e trazione (b)

Tali proprietà le fanno preferire per la costruzione di componenti soggetti ad impatto (elmetti ecc.)
e balistici. Hanno anche una elevata resistenza statica (σr=3000-3800 MPa) ed una bassa densità
(circa 1.5 g/cm3) che ne fanno una delle fibre con più elevata resistenza specifica. Buona è pure la
rigidezza (E=60000-180000 MPa).
Come le matrici polimeriche, le fibre di aramide presentano una elevata sensibilità all’umidità e agli
UV, creep (simile alla fibre di vetro) e bassa temperatura massima di esercizio (max 160° C) che ne
limita di fatto l’uso. Sebbene infatti la temperatura critica è superiore a 375° C, fenomeni ossidativi
ne limitano l’uso a temperatura superiori a 160° C circa, specie in presenza di esposizione
prolungata.
Le resine aramidiche sono anche molto apprezzate nella costruzione di radar per la buona
trasparenza alle onde elettromagnetiche.
Esistono varie formulazioni di fibre aramidiche con caratteristiche fisico-meccaniche diverse, quali
le forme denominate in commercio come:
1) Kevlar, usata comunemente per il rinforzo dei pneumatici;
2) Kevlar 29, la più resistente (σR=3800 MPa circa), usata per il rinforzo di componenti in
gomma come cinghie e funi;
3) Kevlar 49, più rigida delle precedenti (E=130000 MPa, σR=3600 MPa circa), e la più usata
per la produzione di PMCs per caschi, elmetti, giubbotti antiproiettile ecc.;
4) Kevlar 149, ancora più rigida della precedente e meno sensibile alla umidità.

Grazie alla elevata resistenza all’urto ed alla frattura, lamine bidirezionali di aramide sono sovente
utilizzate per il rivestimento superficiale dei laminati in fibra di vetro e di carbonio.
Le fibre di aramide sono molto più costose e difficili da lavorare delle fibre di vetro e delle fibre di
carbonio. Il loro uso è comunque sconsigliato in presenza di elevati sforzi di compressione e
flessione in quanto la resistenza a compressione è piuttosto limitata (inferiore al 25% della
resistenza a trazione, vedi tab.9) a causa di un peculiare meccanismo di rottura che porta alla

Tab.9 – Proprietà fisico-meccaniche tipiche di fibre di aramide.

21
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formazione di diffusi e caratteristici difetti nella struttura delle fibre (vedi fig.14) indicati con il
termine anglosassone “kink bands”.

Fig.14 – Kink bands in fibre di aramide soggette a compressione severa.

1.6.4 Fibre di boro

Sviluppate a partire dagli inizi degli anni ’60 le fibre di boro trovano applicazione nella formazione
di PMCs per la produzione di componenti per applicazioni aeronautiche, aerospaziali e sportive.
Sono pure utilizzate, grazie alla loro elevata resistenza (σR ≈3200 MPa, E=400000 MPa, vedi
tab.10), elevata stabilità termica e ridotta reattività nei confronti delle matrici, per la formazione di
MMCs.

Tab.10 – Proprietà fisico-meccaniche tipiche di fibre di boro.

Le fibre di boro sono caratterizzate da diametri relativamente elevati (circa 125 µm) in quanto
prodotte mediante deposizione di vapori di boro su un substrato di tungsteno. Ciò comporta una
maggiore limitazione del raggio minimo entro cui possono essere modellate (pari a circa 8 mm), ed
una elevata durezza che rende difficile la lavorazione (taglio ecc) del composito alle macchine
utensili (utensili diamantati). L’elevato diametro delle fibre di boro conferisce allo stesso tempo al
composito una elevata resistenza a compressione (circa doppia della resistenza a trazione, vedi
tab.10) in quanto risultano più difficili i fenomeni di instabilità che determinano il collasso per
compressione delle fibre.
L’elevato costo di queste fibre (>2000 euro/kg), dovuto anche alla limitata produzione, e la
presenza oggigiorno di fibre di carbonio con caratteristiche meccaniche confrontabili, ne limita
l’uso a speciali applicazioni.

1.7. Compatibilità fibra-matrice

Per migliorare la adesione fibra-matrice nonché la resistenza all’umidità ed all’acqua, le fibre sono
ricoperte di una sostanza detta sizing, che ha anche lo scopo di proteggere la fibra dal
danneggiamento che questa può subire durante la formazione dei compositi. A tal fine è importante
notare che a causa di tale danneggiamento le caratteristiche meccaniche ed in particolare i valori di
resistenza a rottura riportati per ciascuna fibra al capitolo precedente, sono validi per fibra singola e
22
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non per la fibra dopo che questa è stata unita alla matrice a formare il composito. La resistenza
equivalente delle fibre dopo la formazione dei compositi si riduce secondo quanto indicato nella
seguente tab.11.

Tab.11 – Riduzione della resistenza delle fibre in PMCs.

23
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2. Micromeccanica

Con il termine “micromeccanica” si intende lo studio dei materiali compositi eseguito tenendo
conto delle interazioni tra i materiali costituenti. La micromeccanica consente in particolare di
rappresentare un composito (materiale eterogeneo) mediante un materiale omogeneo equivalente
del quale consente di stimare le principali grandezze ingegneristiche a partire da quelle dei singoli
costituenti. La possibilità di stimare le caratteristiche del composito mediante semplici relazioni
teoriche è ovviamente di grande interesse nella progettazione strutturale in quanto, a differenza di
quanto accade nella progettazione con materiali tradizionali, con i materiali compositi il progettista
oltre a definire geometria e dimensioni del componente in progetto può anche progettare il
materiale da utilizzare.

2.1. Generalità
Come accennato al capitolo precedente, la stragrande maggioranza degli elementi strutturali in
composito sono ottenuti sovrapponendo in vario modo semplici lamine composite con rinforzo
unidirezionale, denominate nella letteratura inglese col nome di ply, layer o lamina. Si ottengono
cosi i laminati, costituiti da lamine eguali ma variamente orientate, e gli ibridi, costituiti da lamine
diverse tra loro per quanto concerne (a) il rapporto fibra/matrice, (b) i materiali di fibra e/o matrice
oppure (c)la tipologia del rinforzo (fibre lunghe e fibre corte ecc).
Per la conoscenza del comportamento meccanico dei laminati è pertanto necessaria la conoscenza
del comportamento di una singola lamina con rinforzo unidirezionale.
Una lamina composita fibra-matrice può essere schematizzata come un insieme costituito da fibre a
sezione circolare parallele ed equi-spaziate, immerse in una matrice continua come schematizzato
nella seguente figura.

3 T

T
2

Trasversale

L
1 Taglio

Longitudinale

Fig.1 - Schema semplificato di lamina con rinforzo unidirezionale.

E' questa evidentemente una semplificazione della situazione reale di una lamina, costituita da una
matrice in cui sono disposte delle fibre pressoché parallele e distribuite in modo casuale. La fig.2
mostra per esempio la distribuzione delle fibre in una generica sezione trasversale di una lamina
unidirezionale .

24
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

matrice fibre

Fig.2 - Sezione trasversale di lamina con rinforzo unidirezionale.

Si vede come le fibre non sono esattamente equispaziate ma hanno una distribuzione random ed
alcune di esse possono pure toccarsi in alcuni punti. Lo spessore di una lamina è generalmente
compreso tra 0.1 e 1 mm mentre il diametro delle fibre è tipicamente dell'ordine di circa 10 µm
(vetro, carbonio, Kevlar) cosicché il rapporto spessore lamina/diametro fibre puo variare tra 10 e
100 circa.
Con riferimento alla schematizzazione della lamina unidirezionale di Fig.1, si intuisce facilmente
come un tale sistema fibre-matrice esibisce in pratica un comportamento anisotropo in quanto le
caratteristiche fisico-meccaniche del materiale variano con la direzione considerata. In particolare si
osserva che essa ammette tre piani di simmetria mutuamente ortogonali (materiale ortotropo).
Indicando infatti con 1 la direzione delle fibre, con 2 la direzione ortogonale giacente sul piano
medio della lamina e con 3 la direzione ortogonale al piano della lamina, allora i piani 1-2, 2-3 e 1-
3 sono evidentemente piani di simmetria. Gli assi 1, 2 e 3 sono i cosiddetti assi del materiale; in
particolare la direzione 1 è detta direzione longitudinale, le direzioni 2 e 3 direzioni trasversali.
Come è facile intuire la lamina presenta in direzione longitudinale (direzione del rinforzo)
caratteristiche meccaniche (rigidezza, resistenza ecc) ben superiori a quelle esibite nelle altre
direzioni. In una generica direzione ortogonale alla direzione longitudinale, cioè in una generica
direzione giacente nel piano della sezione trasversale (Fig.2) la lamina esibisce invece
caratteristiche meccaniche inferiori a quelle longitutudinali. A causa della distribuzione casuale
delle fibre (Fig.2) tali caratteristiche trasversali sono inoltre praticamente invarianti con la direzione
considerata; per questo la lamina è considerata trasversalmente isotropa.
In dettaglio, si dimostra che il comportamento elastico di una lamina ortotropo e trasversalmente
iostropa è definito completamente da 5 costanti elastiche quali il modulo di Young in direzione
longitudinale E1 (1) e trasversale E2 (2), il modulo di elasticità trasversale nel piano della lamina G12
(3), il coefficiente di di Poisson ν12 (4) ed il coefficiente di Poisson nel piano trasversale ν23 (5).
La resistenza meccanica della lamina è invece individuata univocamente da 5 parametri
indipendenti quali la resistenza a trazione σL,R (1) e compressione σ’L,R (2) in direzione
longitudinale, la resistenza a trazione σT,R (3) e compressione σ’T,R (4) in una generica direzione
trasversale e la resistenza al taglio nel piano della lamina τLT,R (5).
Come accennato al capitolo precedente, tali caratteristiche fisico-meccaniche della lamina
dipendono da una serie di parametri, primo fra i quali il rapporto (volumetrico o ponderale)
fibra/matrice, definito solitamente in modo indiretto tramite il rapporto (volumetrico o ponderale)
fibra/composito e dal complementare rapporto matrice/composito. In generale il rapporto ponderale
è utilizzato dal produttore del materiale, mentre il rapporto volumetrico e utilizzato dal progettista
tenuto conto che, come si vedrà meglio più avanti, le caratteristiche di interesse ingegneristico del
composito sono in genere legate a questo.
Considerando una generica lamina composita si indica con Vf e Vm il rapporto volumetrico
fibra/composito e matrice/composito definiti rispettivamente da:

25
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

vf vm
Vf = ; Vm = ; (1-2)
vc vc

essendo vf , vm e vc il volume di fibre, matrice e composito rispettivamente. Con Wf e Wm si


indicano invece il rapporto ponderale fibra/composito e matrice/composito rispettivamente dati da:

wf wm
Wf = ; Wm = ; (3-4)
wc wc

essendo wf , wm e wc il peso di fibre, matrice e composito rispettivamente.


I rapporti in volume ed in peso sono legati l'un l'altro attraverso il peso specifico; si ha infatti:

wf vf ρ f ρf ρc
Wf = = = Vf ; ⇔ Vf = Wf
wc vc ρ c ρc ρf
(5-6)
w v ρ ρ ρc
Wm = m = m m = Vm m ; ⇔ V f = Wm
wc vc ρ c ρc ρm

La percentuale in peso di fibre e matrice in un provino può essere valutata pesando il provino
integro e successivamente la sola fibra previa rimozione della matrice mediante “digestione” (vedi
ASTM D3171) ovvero mediante estrazione con solventi (ASTM C613) o ancora mediante
bruciatura in forno (ASTM C613).
A partire dalle percentuali in volume la densità teorica del composito può essere valutata attraverso
la relazione:

wc = ρc vc = w f + wm = vm ρm + v f ρ f (7)

Dividendo per vc si ottiene immediatamente:

ρc = Vm ρm + V f ρ f (8)

Cioè la densità di un composito è data dalla media pesata secondo il volume della densità di fibra e
matrice (regola delle miscele).
Utilizzando le relazioni precedenti la densità del composito può alternativamente essere espressa in
funzione dei rapporti ponderali essendo:

1
ρc = (9)
(W f / ρ f ) + (Wm / ρ m )

Tali relazioni, scritte sopra per un composito bi-componente fibra-matrice possono essere
facilmente estese al caso di composito multi-componente. Per un materiale composito costituito da
n componenti si ha in generale :
ρi
∑V ρ ;
1
Wi = V i ; ρc = ρc = (10-12)

i i
ρc i (Vi /ρ i )
i

E' utile osservare che la densità teorica di un composito, valutata attraverso la (8) o la (9), può

26
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

essere diversa da quella misurata sperimentalmente per via di vuoti presenti nella struttura, causati
da aria rimasta intrappolata nella matrice durante il processo di formazione del composito.
Il rapporto volumetrico Vv tra il volume dei vuoti vv ed il volume effettivo del composito vc,e è
legato univocamente alla densità teorica ρc,t ed effettiva ρc,e del composito dalla relazione:

vv vce − vct wc / ρce − wc / ρct ρct − ρce


Vv = = = = (13)
vc vce wc / ρce ρct

La percentuale dei vuoti può essere quindi calcolata a partire dalla conoscenza della densità
effettiva valutata sperimentalmente (vedi per esempio ASTM D792) e della densità teorica valutata
analiticamente mediante la (11) o la (12).
La percentuale dei vuoti influenza le caratteristiche fisico-meccaniche del composito. In genere le
caratteristiche meccaniche decadono con l'aumentare della concentrazione dei vuoti. Per questo in
un buon composito, tale rapporto volumetrico deve essere non superiore all'1%. Compositi di
qualità non elevata possono invece presentare una percentuale di vuoti sino al 5%.

2.2. Caratteristiche meccaniche in direzione longitudinale

Come già accennato le proprietà fisico-meccaniche di un composito sono legate alle proprietà dei
singoli costituenti, alla loro concentrazione ed alle eventuali interazioni chimico e fisiche.
Una accurata determinazione delle caratteristiche di un composito può essere sempre eseguita per
via sperimentale con le usuali prove meccaniche (vedi per esempio le relative norme ASTM per le
prove di caratterizzazione dei materiali compositi). In assenza di fenomeni di interazione tra i
costituenti alcune caratteristiche di un composito, quali per esempio la resistenza e la rigidezza
longitudinale, possono essere stimate con sufficiente accuratezza per via teorica a partire dalle
caratteristiche e dalla concentrazione dei costituenti. Ciò risulta evidentemente molto vantaggioso
in sede di progettazione in quanto consente di conoscere le caratteristiche del materiale progettato
senza dovere eseguire preliminari e laboriose indagini sperimentali.
Ai fini della valutazione delle caratteristiche meccaniche di una lamina unidirezionale in direzione
longitudinale, questa può essere schematizzata come un sistema meccanico costituito da fibre
cilindriche (o prismatiche) rettilinee, parallele ed equispaziate immerse in una matrice continua
(vedi Fig.3). Sebbene, come precedentemente osservato, tale modello differisce dalla reale
configurazione della lamina, tali differenze risultano in genere poco influenti sulle caratteristiche
longitudinali della lamina cosicché le stime di queste sono in genere in buon accordo con l’evidenza
sperimentale.

Fig.3 – Schema di lamina unidirezionale usato per la determinazione delle caratteristiche longitudinali .
2.2.1 Modulo di elasticità longitudinale

27
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Con riferimento alla Fig.3, indicando con Pc il carico di trazione applicato alla lamina, per ovvie
considerazioni di equilibrio questo risulta dalla somma del carico Pf sopportato dalle fibre e del
carico Pm sopportato dalla matrice, cioè:

Pc = Pf + Pm (14)

In termini di tensioni si ha quindi:

σ c A = σ f A f + σ m Am (15)

essendo A l’area del composito, Af l’area complessiva della sezione trasversale delle fibre, Am
l’area della matrice. Dividendo entrambi i membri della (15) per A e tenendo conto che per le
ipotesi fatte il rapporto delle aree coincide con la concentrazione in volume dei costituenti, la (15)
fornisce:

σ c = σ f V f + σ mVm (16)

Cioè la tensione media σc sulla lamina è la media delle tensioni presenti su fibra e matrice pesata
secondo le rispettive percentuali in volume (regola delle miscele).
Nella usuale ipotesi di perfetta adesione fibra-matrice, cioè in assenza di scorrimenti relativi, si ha
inoltre che la deformazione delle fibre εf coincide con quella della matrice εm e quindi con quella
del composito del composito εc, cioè si ha:
ε f = εm = εc = ε (17)

Derivando pertanto la (16) rispetto alla deformazione, tenendo conto della (17) si ottiene:

dσ c dσ f dσ m
= Vf + Vm (18)
dε dε dε

Nella ipotesi che matrice e fibra abbiano un comportamento elastico lineare la (18) fornisce:

E c = E f V f + E mVm (19)

La (19) indica che come la densità (eq.8) e la tensione longitudinale (eq.15) anche il modulo di
Young longitudinale obbedisce alla cosiddetta regola delle miscele: densità, tensione media e il
modulo di Young longitudinale di una lamina unidirezionale sono dati dalla media pesata secondo i
volumi di fibra e matrice. Il modulo di elasticità longitudinale di una lamina è quindi sempre
compreso tra quello della matrice (limite inferiore, Vf =0 e Vm=1) e quello della fibra (limite
superiore, Vf =1 e Vm=0) e cresce linearmente al crescere della percentuale delle fibre (vedi Fig.4a).
Nella usuale condizione in cui la rigidezza delle fibre è molto superiore di quella della matrice, il
termine della (19) legato alle caratteristiche della fibra prevale sull’altro, ovvero il modulo di
Young longitudinale del composito e dello stesso ordine di grandezza di quello delle fibre e molto
superiore a quello della matrice. In questo senso si dice che il modulo EL è una caratteristica
dominata dalle fibre.
Ovviamente nel caso in cui uno (Fig.4b) o entrambi i costituenti esibiscono un comportamento non
lineare, non potendo per essi definire un modulo di Young, la (19) non risulta applicabile. La (16)
invece continua a valere: la regola delle miscele può essere applicata piuttosto che ai moduli di
Young alle funzioni caratteristiche σ−ε; la (16) consente quindi di valutare la curva
σ c (ε ) caratteristica del composito a partire da quelle di fibra e matrice:

28
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

σ c (ε ) = σ f (ε )V f + σ m (ε )Vm (16’)

Se matrice e fibra esibiscono un comportamento elastico lineare, ovviamente anche il composito


esibisce lo stesso comportamento (fig.4a). Se invece uno o entrambi i componenti esibiscono un
comportamento non lineare allora, in virtù delle (16-18), anche il composito esibisce un
comportamento non lineare (vedi per esempio Fig.4b).

σ (a) σ (b) fibra


fibra

Vf =.75 Vf =.75

Vf =.50
Vf =.50
Vf =.25
Vf =.25
matrice
matrice

ε ε
Fig.4 - Diagrammi σ−ε per lamina con componenti con comportamento lineare (a) e non lineare (b).

Solitamente la fibra ha un comportamento fragile (elastico lineare sino alla rottura) mentre la
matrice (polimero) ha un comportamento lineare solo ai bassi carichi, come mostra la Fig.4b. In
presenza di lamine con elevata concentrazione di fibre o con fibre aventi modulo di elasticità molto
più grande di quello della matrice, la curva caratteristica σ−ε del composito è molto prossima a
quella (lineare) della fibra in quanto nella (16’) la tensione relativa alla fibra prevale su quella
relativa alla matrice. In questo caso la non linearità della matrice può essere trascurata e si può con
buona approssimazione assumere per il composito lo stesso comportamento elastico lineare della
fibra (vedi fig.4b).
In un lamina soggetta a trazione è interessante osservare come il carico si ripartisce tra fibra e
matrice. Dalla eguaglianza delle deformazioni di fibra e matrice (eq.17), nella ipotesi di linearità
dei materiali si ha :

σf σm (σ f A f ) (σ m Am ) Pf Ef Vf
= ⇒ Am = Af ⇒ = (20)
Ef Em Ef Em Pm E m Vm

con ovvio significato dei simboli. Il rapporto tra il carico Pf sopportato dalle fibre e quello
sopportato dalla matrice è quindi funzione lineare del relativo rapporto tra i moduli di Young e
delle concentrazioni in volume. In particolare la (20) mostra che, per compositi a matrice
polimerica, caratterizzati da elevati rapporti Ef/Em (generalmente compresi tra 20 e 130 circa), il
rapporto dei carichi sopportati Pf/Pm è pure molto elevato, cioè gran parte del carico applicato al
composito è sostenuto dalla fibra e solo una piccola parte si scarica sulla matrice. In altre parole,
un elevato rapporto delle rigidezze di fibra e matrice è requisito essenziale a garantire un buon
sfruttamento della resistenza delle fibre.
La (20) non consente di valutare l’entità del carico sopportato da fibre e matrice in un materiale
composito, essendo entrambi incogniti. A tal fine è utile fare riferimento al rapporto carico
fibra/carico composito. A partire dalla (20) si ottiene facilmente la relazione alternativa:

29
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Pm E m Vm Pc − Pf E V P E V E f V f + E mV m
= ⇒ = m m ⇒ c =1+ m m = (21)
Pf Ef Vf Pf Ef Vf Pf Ef Vf EfVf

Invertendo la (21) si ottiene immediatamente:

Pf E fVf 1
= = (22)
Pc E mVm + E f V f 1 + ( E mVm ) / ( E f V f )

In base alla (22) si ha che il rapporto Pf /Pc tende ad 1 anche per concentrazioni delle fibre non
elevate purché il rapporto tra i moduli di Young sia sufficientemente elevato. Con riferimento alla
Fig.5 si puo osservare come per un composito con Ef /Em ≈20 (fibra di vetro-matrice polimerica, Ef
≈70.000 MPa, Em≈3.500 MPa), il rapporto Pf /Pc è maggiore del 75% anche per concentrazioni
della fibra del 15% circa. Tale rapporto invece è in pratica superiore al 90% per concentrazione di
fibre superiore al 30%, come avviene solitamente nei compositi per applicazioni strutturali per i
quali tipicamente 30%<Vf<70% (sebbene sia teoricamente possibile costruire compositi con
concentrazione di fibre superiori, generalmente non si supera il valore del 70% in quanto a
concentrazioni maggiori corrisponde spesso un decadimento delle proprietà meccaniche dovuto
essenzialmente a problemi di adesione fibra-matrice legati ad una non perfetta bagnatura delle fibre
da parte della matrice).
Nel caso di compositi in fibra di carbonio, ove il rapporto dei moduli di Young è non inferiore a 60,
il rapporto dei carichi è praticamente sempre superiore al 95% circa, come può essere facilmente
dimostrato mediante la (22).

Pf / Pc .90 .75
.60
0.8 .45
.30
0.6
Vf =.15

0.4

0.2

0
0 5 10 15 20
E f /E m 25

Fig.5 - Andamento del rapporto Pf /Pc al variare del rapporto Ef /Em per diversi valori di Vf.

2.2.2 Resistenza a trazione longitudinale

Considerando un composito fibro-rinforzato, l’osservazione sperimentale mostra che la rottura di


una lamina avviene tipicamente allorquando la deformazione longitudinale raggiunge il valore
limite di rottura delle fibre. Solitamente infatti la matrice è caratterizzata da una deformabilità più
elevata delle fibre e da una resistenza molto più bassa. In queste condizioni la rottura del composito
è governata da quella delle fibre. In presenza di fibre duttili per le quali la rottura avviene per
scorrimento, vi possono però essere più o meno significativi scostamenti da tale situazione, dovuti

30
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

essenzialmente agli sforzi di compressione che la matrice esercita sulle fibre. Questi infatti
ostacolano e rallentano la rottura delle fibre rispetto alla condizione di fibra singola. In questi casi
la deformazione di rottura del composito può risultare superiore a quella delle fibre, come mostra la
seguente figura che riporta alcuni dati osservati sperimentalmente per compositi con fibre fragili e
duttili.

σ fibre fragili
fibre duttili
snervamento
fibre rottura
composito

composito

matrice

ε
Fig.6 - Diagrammi σ−ε per lamina (matrice duttile) con fibre fragili e duttili.

In assenza di significative interazioni fibra-matrice, nella ipotesi che la rottura della lamina coincide
con la rottura delle fibre che avviene alla deformazione εf,R, la tensione di rottura a trazione della
lamina può essere ottenuta con la gia vista regola delle miscele (Eq.16). Utilizzando la (16), nelle
condizioni di incipiente rottura delle fibre, ovvero allorquando la deformazione del composito
eguaglia quella di rottura delle fibre, si può scrivere infatti:

σ L,R = σ f ,RV f + σ m ε =ε (1 − V f ) (23)


f ,R

con ovvio significato dei simboli. La (23) fornisce quindi la tensione di rottura del composito in
funzione della tensione di rottura delle fibre σf,R, della tensione della matrice corrispondente alla
deformazione di rottura delle fibre e della percentuale Vf di fibre presenti. Nei limiti di validità
della (23) la tensione di rottura del composito è quindi legata linearmente alle tensioni
caratteristiche di fibra (tensione di rottura) e matrice (tensione corrispondente alla deformazione
εf,R).
Più in dettaglio, si osservi che la rottura del composito coincide con quella delle fibre se la
concentrazione di queste è tale che il carico che porta a rottura le fibre è superiore a quello
sopportabile dal composito con fibre rotte, cioè dalla sola matrice. La tensione σ'L,R che porta a
rottura la sola matrice (fibre rotte) è fornito dalla relazione:

σ ' L,R A = σ m , R Am ⇒ σ ' L,R = σ m ,RVm (24)

Affinché alla rottura delle fibre si verifichi anche la immediata rottura della matrice e quindi
dell’intero composito, la tensione di rottura fornita dalla (23) deve risultare superiore a quella
fornita dalla (24). Tale diseguaglianza fornisce dopo semplici passaggi:

σ m,R − σ m ε
Vf ≥ f ,R
(25)
σ f ,R − σ m ε =ε + σ m,R
f ,R

In altre parole, affinché alla rottura delle fibre segua quella del composito è necessario che la

31
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

percentuale di fibre sia superiore al valore minimo dato dalla (25) col segno di eguaglianza:

σ m,R − σ m ε
V f ,min = f ,R
(25’)
σ f ,R − σ m ε =ε + σ m,R
f ,R

Se Vf < Vf,min la capacità portante della sola matrice è superiore di quella dell’intero composito e
quindi la presenza delle fibre non costituisce affatto rinforzo della matrice, piuttosto un
indebolimento. La tensione di rottura di un tale composito, fornita dalla (24), è infatti inferiore di
quella della matrice. Più precisamente va osservato che il soddisfacimento della (25) non assicura
che le fibre operino effettivamente un rinforzo della matrice. Affinché ciò succeda è necessario che
la tensione di rottura del composito sia maggiore o uguale della tensione di rottura della sola
matrice, cioè:

σ c , R = σ f , RV f + σ m εf*
(1 − V f ) ≥ σ m , R (26)

Dalla (26) si ottiene la concentrazione critica delle fibre necessaria ad assicurare un reale rinforzo
della matrice. Si ha:

σ m ,R − σ m ε =ε
V f ,crit = f ,R
> V f ,min (27)
σ f ,R − σ m ε =ε
f ,R

Ovviamente la concentrazione critica, che assicura σL,R >σm, è maggiore della concentrazione
minima, che assicura σL,R >σm,R Vm.
Nel caso in cui la concentrazione delle fibre sia inferiore a quella minima allora la rottura del
composito coincide con quella della matrice che avviene allorquando le fibre sono gia rotte. In
questo caso limite si ha:
σ L,R = σ m ,R (1 − V f ) (28)

Tenendo conto delle relazioni (23) e (28) nonché della espressione della concentrazione minima
delle fibre è possibile rappresentare graficamente l'andamento teorico della resistenza a rottura a
trazione di una lamina composita in funzione della concentrazione delle fibre (vedi fig.7).

σ L,R
σ f,R

eq.(23)

σm,R
σm eq.(28)
ε f,R
0 Vf,min V 0.5 Vf 1
f,crit

Fig.7 - Andamento della tensione di rottura a trazione longitudinale per lamina unidirezionale.

32
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Si vede chiaramente come, affinché l'introduzione delle fibre dia un contributo positivo alla
resistenza è necessario che la relativa concentrazione sia superiore al valore critico che, in base alla
(27) è legato alla tensione di rottura di fibra e matrice nonché alla tensione presente nella matrice
alla deformazione di rottura della fibra.
Per una lamina fibra di vetro-resina epossidica e simili, la concentrazione critica è generalmente
molto piccola (inferiore all'1%). Per esempio per fibra di vetro tipo E con σf,R =3500 MPa e matrice
polimerica con σm,R.=70 MPa e σm, |ε f,R =50 MPa, applicando la (27) si ottiene immediatamente una
concentrazione critica inferiore all'1% .
Valori pure molto piccoli si ottengono per compositi con fibre di carbonio e pertanto è possibile
affermare che per i comuni compositi usati nella progettazione di strutture, la rottura della lamina si
verifica sempre a seguito di rottura della fibra e la presenza delle fibre produce certamente rinforzo
del materiale.
Diversa è invece spesso la situazione per compositi a matrice metallica per i quali possono
facilmente verificarsi rapporti più bassi delle rigidezze di fibra e matrice. A titolo di esempio nella
seguente tabella sono riportate le concentrazioni critiche di fibre di varia resistenza per alcune
matrici metalliche duttili.

Tabella 1.- Valori della concentrazione critica Vcrit per diversi tipi di fibre in matrici metalliche.

Matrice σm,R [MPa] σmε f,R [MPa] σf,R=700 MPa σf,R=1750 MPa σf,R=3500 MPa σf,R=7000 MPa
Alluminio 840 280 8.33 % 3.25 % 1.61 % 0.80 %
Rame 420 210 25.53 9.84 4.86 2.41
Nichel 630 315 39.56 14.94 7.33 3.63
Acciaio inox 1750 455 53.33 17.78 8.42 4.10

La resistenza calcolata teoricamente mediante la (23) o le relazioni alternative, in genere è in buon


accordo con quella rilevata sperimentalmente. Significative differenze possono però verificarsi
principalmente a causa di:
1) non perfetto allineamento delle fibre;
2) non uniforme resistenza delle fibre;
3) variabili condizioni di interfaccia;
4) tensioni residue.
Evidentemente se le fibre, come succede spesso, non sono perfettamente allineate l'un l'altra, ovvero
non sono ben allineate col carico, allora la resistenza del composito risulta più bassa del valore
teorico stimato. Gli scostamenti sono trascurabili se gli errori di allineamento sono contenuti entro
pochi gradi, altrimenti appropriate correzioni sono necessarie.
Per quanto concerne invece la non uniforme resistenza delle fibre, si osserva anzitutto che essa è
essenzialmente legata alla non uniformità della sezione resistente ed alla non uniformità di
eventuali trattamenti subiti. La non uniformità della resistenza delle fibre da luogo a rotture
progressive che interessando inizialmente le sezioni più deboli producono un indebolimento e
quindi una rottura progressiva del composito (cumulative-weakning failure model). La non
uniformità della resistenza delle fibre da luogo inoltre ad un legame tra resistenza e lunghezza.
Sperimentalmente si osserva infatti che la resistenza delle fibre diminuisce con la lunghezza. Tale
comportamento si spiega con il fatto che una fibra, come una catena, si rompe sempre in prossimità
del punto più debole, e la probabilità della presenza di sezioni più deboli aumenta certamente
all'aumentare della lunghezza della catena (fibra).
La rottura di una fibra in una data sezione produce una discontinuità a cui è associata un fenomeno
33
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

di concentrazione di tensione che facilita ulteriori rotture locali delle fibre. La rottura locale è anche
responsabile della formazione di eventuali cricche che possono propagarsi nella direzione delle
fibre, lungo l'interfaccia, se non si ha una elevata adesione fibra-matrice, in direzione normale alle
fibre nel caso opposto. In presenza di fibre interrotte o fibre corte, inoltre, fenomeni di
concentrazione di tensioni si verificano anche in corrispondenza delle estremità a causa delle
diverse caratteristiche meccaniche dei materiali di fibra e matrice. Il verificarsi di tali fenomeni
influenza significativamente la resistenza a rottura della lamina.
Anche le condizioni di interfaccia possono influenzare significativamente, oltre che la resistenza ad
agenti ambientali come umidità ecc, anche la resistenza longitudinale di un composito. Una buona
adesione da luogo infatti ad una elevata resistenza del composito, assicurando una buona
trasmissione degli sforzi tra fibra e matrice ed impedendo allo stesso tempo la propagazione di
cricche di interfaccia.
Per quanto concerne infine le tensioni residue, queste si originano solitamente a causa del diverso
coefficiente di dilatazione termico di fibra e matrice e sono legate alla temperatura di utilizzazione
della lamina. In esercizio le tensioni residue si sommano alle tensioni indotte dai carichi applicati
influenzando così (positivamente o negativamente) la resistenza della lamina. Per una progettazione
accurata la valutazione delle tensioni residue non deve pertanto essere trascurata.

2.2.2 Resistenza a compressione longitudinale

La resistenza a compressione longitudinale σ’L,R di un composito unidirezionale è strettamente


legata alle particolari modalità di cedimento dipendenti dalle caratteristiche delle fibre, dalla bontà
della adesione fibra-matrice, dalla percentuale in volume delle fibre e da possibili fenomeni di
instabilità dell’equilibrio elastico. Per la sua stima si rimanda pertanto al cap.6, dedicato ai
meccanismi di rottura.

2.3. Caratteristiche meccaniche in direzione trasversale

Il modulo di elasticità in direzione trasversale e la resistenza a trazione trasversale di una lamina


possono essere studiati utilizzando l’elemento di volume rappresentativo (EVR o RVE nella
letteratura inglese) della lamina unidirezionale costituito in pratica da una fibra (rettangolare) e
dalle porzioni di matrice adiacente (vedi Fig.8)

sm /2
sf matrice s
fibra

Fig.8. Elemento di volume rappresentativo di lamina unidirezionale usato per la stima delle caratteristiche
elastiche e di resistenza trasversali.

2.3.1 Modulo di elasticità in direzione trasversale


Con riferimento alla fig.8 si ha che fibra e matrice sono in pratica soggetti alla stessa tensione
applicata. In applicazione della definizione (ET=σT/εΤ) il valore del modulo di elasticità trasversale
può essere valutato non appena calcolata la deformazione trasversale del composito εΤ. Da semplici
considerazioni si ha:

34
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

∆s ∆ s m + ∆ s f + ∆ s m ε T , m 2 s m + ε T , f s f σ T σ
εT = = = = Vm + T V f (29)
s s s Em Ef

con ovvio significato dei simboli. Invertendo la (29) e tenendo conto della definizione, si ha:

1 ε V f Vm Ef
= T = + ⇒ Ec = (30)
ET σ T E f E m V f + ( E f / E m )Vm

La (30) mostra che, a differenza di quanto accade per il modulo elastico longitudinale, il modulo di
elasticità trasversale è legato a quello di matrice e fibre da una relazione non lineare. In pratica è
l’inverso del modulo (cedevolezza) ad obbedire alla regola delle miscele. Come il modulo
longitudinale il modulo trasversale (teorico) varia tra quello della matrice e quello della fibra come
indicato nella seguente figura, che si riferisce al caso Ef /Em=10:

Fig.9. Andamento (teorico) del modulo longitudinale e trasversale di lamina unidirezionale con Ef /Em=10.

Dalla fig.9 si vede chiaramente come la presenza delle fibre, anche con concentrazione
relativamente elevata (Vf ≈50-60%), da luogo solo ad un limitato incremento del modulo rispetto a
quello della matrice. Per esempio per una lamina con Ef /Em=20 (fibra di vetro-resina epossidica)
per una concentrazione di fibre del 50% si ha:

 EL 
  = 0.5 + 20 * 0.5 = 10.5
 Em 

mentre per il modulo trasversale è:

 ET  20
  = = 1 .9
 Em  0.5 + 20 * 05

La stima del modulo ET fornita dalla (30) è in genere piuttosto approssimata in quanto lo schema
rappresentato in Fig.8 non descrive esattamente l'effettivo comportamento della lamina sotto un
carico trasversale. L'ipotesi che fibre e matrice sono sottoposti alla medesima tensione (materiali in
serie) è in realtà approssimata in quanto in una generica sezione trasversale della lamina sono
sempre presenti fibre e matrice (materiali parzialmente in parallelo) cosicché il carico di fatti si
distribuisce tra i due componenti. Inoltre, per via delle diverse costanti elastiche, l'ipotesi di eguale
tensione porterebbe ad una deformazione longitudinale diversa di fibre e matrice. Una migliore
stima del modulo di elasticità trasversale può essere ottenuta in alternativa con modelli teorici più
complessi o con metodi numerici.

35
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Risultati in buon accordo con quelli sperimentali si ottengono utilizzando il metodo degli elementi
finiti e considerando un modello con fibre disposte secondo un reticolo regolare. A titolo di
esempio nella seguente figura 10 è mostrato l'andamento del rapporto Ec /Em al variare del rapporto
Ef /Em per diversi valori della concentrazione delle fibre, ottenuto mediante metodi numerici.

Ec /Em (a) Gc /
Vf =78 %

Vf =75 %

Vf =70 %

Vf =40 %
Vf = 4 % Vf =55 %

Ef /Em
Fig.10. - Andamento del rapporto Ec /Em per lamina unidirezionale al variare del rapporto Ef /Em .

Per il modulo di elasticità in direzione trasversale sono state proposte diverse formule approssimate
ottenute con metodi analitici e/o numerici. Tra queste una relazione molto usata è quella
semiempirica di Helpin-Tsai:

ET 1 + ζηV f ( E f / Em ) − 1
= con η = (31)
Em 1 − ηV f ( E f / Em ) + ζ

dove ζ è un parametro empirico ottenuto mediante fitting di risultati teorici, che è una misura del
rinforzo legato alla geometria della sezione trasversale delle fibre. Per fibre pressoché si ha in
pratica il valore ζ =2, mentre per sezioni rettangolari di lati a e b può essere stimato dalla relazione
ζ =2a/b essendo a la dimensione misurata nella direzione del carico applicato. La figura seguente
mostra la rappresentazione grafica della equazione di Halpin-Tsai (31).

Fig.11. Andamento di ET /Em previsto dalla relazione di Helpin-Tsai (eq.31).

Il confronto dei risultati forniti dalla (31) e dalla (30) con i valori effettivi di molti materiali

36
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

compositi mostra che la (30) fornisce in genere valori largamente sottostimati mentre buona è in
genere l’approssimazione fornita dalla (31). Migliori stime della rigidezza trasversale di una lamina
unidirezionale si possono ottenere utilizzando il più complesso PMM (periodic microstructure
model), per il quale si rimanda alla letteratura specializzata.

2.3.2 Resistenza a trazione trasversale


Secondo il modello semplificato di Fig.8 (materiali in serie), la resistenza a trazione trasversale di
una lamina unidirezionale risulta in pratica coincidente con la resistenza a trazione del materiale
meno resistente, cioè della matrice. Si può scrivere in pratica:

σ T ,R ≈ σ m,R (32)

In realtà, a causa di inevitabili fenomeni di concentrazione di tensioni localizzate all'interfaccia


fibra-matrice e dovute alle diverse caratteristiche elastiche di fibra e matrice, nonché a causa della
eventuale presenza di vuoti, pur ipotizzando una perfetta adesione fibra-matrice, la rottura avviene a
livelli di tensione più bassi di quelli che producono rottura nella sola matrice. Per tener conto di tale
riduzione si introduce un fattore correttivo S. Si pone cioè:

σ m,R
σ T ,R = (33)
S

Trascurando l'effetto dovuto al diverso coefficiente di Poisson, il fattore correttivo S coincide in


pratica col coefficiente di concentrazione delle tensioni k la cui espressione analitica è approssimata
dalla relazione:

1 − V f [1 − ( E m / E f )]
S=k= (34)
1 − 4V f / π [1 − ( E m / E f )]

In alternativa alla (34), una migliore stima del coefficiente correttivo S può essere ottenuta con
metodi numerici a partire dalla conoscenza dello stato tensionale. La figura seguente mostra i valori
di S ottenuti col FEM al variare dei parametri più significativi.

Vf =78 %
Vf =75 %
Vf =70 %

Vf =55 %
Vf =40 %

Vf = 4 %

Ef /Em

Fig.12. Andamento di S ottenuto utilizzando il metodo degli elementi finiti (FEM).


In ogni caso la (35) consente di affermare che la resistenza a trazione trasversale, come il modulo di

37
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Young trasversale, è una caratteristica “dominata” dalla matrice. Conseguentemente, relativamente


bassi risultano rigidezza e resistenza della lamina unidirezionale in direzione trasversale. I risultati
forniti dalla (33) risultano in genere piuttosto approssimati e per questo altre formulazioni
empiriche alternative sono state proposte da vari autori. Tra queste le più usate in letteratura sono la
formula di Nielsen:

ET
σ T ,R = Cv (1 − V f 1/ 3 ) σ m,R (35)
Em

essendo Cv un coefficiente legato alla percentuale di vuoti che, in accordo con l’evidenza
sperimentale, può dar luogo a notevoli diminuzioni della resistenza trasversale:

4Vv
Cv = 1 − (35’)
π (1 − V f )

Altra formulazione che pure tiene conto della percentuale dei vuoti e del rapporto della rigidezza
dei materiali da cui dipendono gli effetti di concentrazione di tensione, è quella dovuta a Chamis:

Em
σ T , R = Cv [1 + (V f − V f )(1 − )]σ m ,R (36)
Ef

Tutte le relazioni sopra riportate conducono a valori della resistenza inferiori a quella della sola
matrice sebbene in alcuni casi può succedere il contrario per via per esempio di difetti più piccoli
presenti nella matrice del composito (i piccoli spazi tra le fibre limitano le dimensioni dei difetti)
rispetto a quelli presenti nella matrice da sola. Nessuno di tali relazioni inoltre tiene conto della
adesione fibra-matrice che evidentemente può influenzare significativamente la resistenza. Per
accurate valutazioni della resistenza trasversale è necessario pertanto ricorrere alle prove
sperimentali.

2.3.3 Resistenza a compressione trasversale

Per la stima della resistenza a compressione trasversale σ'T,R possono essere ripetute le
considerazioni fatte al capitolo precedente per la resistenza a trazione trasversale. In particolare la
resistenza a compressione trasversale può essere stimata mediante relazioni analoghe ma
sostituendo la resistenza a trazione σm,R della matrice con la resistenza a compressione σ'm,R , in
genere più elevata. In alcuni casi tale procedura da luogo a stime piuttosto grossolane, in quanto le
modalità di rottura possono essere diverse dalla compressione (rottura per taglio della matrice
ecc.). Per maggiori dettagli sulle possibili modalità di cedimento si rimanda al cap.6. In ogni caso
per una valutazione accurata della resistenza è necessario ricorrere alle prove sperimentali (vedi
ASTM D695, D3410).

2.4. Modulo di elasticità trasversale e resistenza a taglio

Il modulo di elasticità trasversale G12 di una lamina unidirezionale, definito dal rapporto tra la
tensione tangenziale τ12 applicata nel piano della lamina e il corrispondente scorrimento γ12, può
essere stimato teoricamente considerando l’elemento di volume rappresentativo (modello
semplificato) usato al capitolo precedente e rappresentato in fig.8.

38
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

2.4.1 Modulo di elasticità trasversale G12.

Il modulo di elasticità trasversale G12 può essere valutato teoricamente considerando il modello
deformativo dell’elemento di volume rappresentativo illustrato in fig. 13:

τ12
matrice
τ12 fibra
τ12 w
matrice
∆f
∆m ∆m
τ12 2 2

Fig.13 - Modello deformativo e notazione per la determinazione di G12

Nell’ipotesi che la tensione tangenziale sia sentita in ugual misura dalla fibra e dalla matrice
(materiali in serie) che entrambe siano soggette ad uno scorrimento uniforme dipendente dal
relativo modulo di elasticità trasversale, si ha:

τ τ
γf = ; γm = (37-38)
Gf Gm

Lo spostamento totale ∆ dell’elemento rappresentativo, pari al prodotto della deformazione


angolare totale γ per lo spessore totale w, è dato dalla somma dello spostamento di fibra e matrice;
si puo quindi scrivere:

∆ = ∆ f + ∆ m = γ f w f + γ m wm = γw (39)

Dividendo la (39) èer lo spessore w si ottiene infine la relazione che fornisce lo scorrimento totale
del sistema fibra-matrice:

γ = γ f V f + γ m V m (40)

Utilizzando quindi la (40) nella definizione del modulo di elasticità trasversale e introducendo le
(37-38) si ottiene:

1 γ γ f V f + γ mVm (τ / G f )V f + (τ / G f )V f 1 1
= = = = Vf + Vm (41)
G12 τ τ τ Gf Gm

Similmente a quanto succede per il modulo di Young in direzione trasversale, è l’inverso del
modulo di elasticità trasversale ad obbedire ad una regola delle miscele, e non il modulo. Dividendo
entrambi i membri per Vf =(1+ Vm/Vf)-1 si ottiene la relazione alternativa:

Vm 1 1 Vm 1
(1 + ) = + (42)
V f G12 Gm V f G f

39
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

I valori di G12 valutati con la (41) o la (42) a partire dai dati relativi a fibra e matrice, non sempre
sono in buon accordo coi valori rilevati sperimentalmente, a causa del fatto che nella generica
sezione trasversale della lamina sono presenti sia fibre che matrice, cioè la disposizione dei due
elementi è in parte in serie in parte in parallelo (in quest’ultimo caso si avrebbe l’eguaglianza degli
scorrimenti e non delle tensioni). Conseguentemente lo sforzo di taglio si ripartisce tra fibra e
matrice. L’evidenza sperimentale mostra che si può tenere conto di ciò mediante introduzione nella
(42) di un fattore correttivo del rapporto delle concentrazioni, detto fattore di ripartizione ηs. Si
pone in pratica V*= ηsVm/Vf e quindi la (42) diventa:

1 1 1
(1 + V *) = + V* (43)
G12 G f Gm

Il fattore ηs dipende essenzialmente dalla forma delle fibre (a), dalla dimensione delle fibre (b)
nonché dal volume percentuale delle fibre (c), ma non è strettamente legato alla eventuale
anisotropia delle fibre. Esso pertanto può essere usato sia per fibre isotrope (es. fibre di vetro) che
anisotrope (es. fibre di carbonio). La dipendenza dal volume di fibre è piuttosto blanda e per
percentuali comprese tra 0.4 e 0.7 si può considerare costante.
L’introduzione del coefficiente di ripartizione, consente nella pratica di determinare il modulo di
elasticità trasversale delle fibre a partire dalla determinazione sperimentale del modulo del
composito essendo noto il modulo della matrice. Questa procedura si utilizza per esempio per la
determinazione del modulo di fibre di carbonio.

Esempio:
Per una migliore comprensione dell’uso del fattore di ripartizione, si riporta nel seguito un esempio
numerico. Si valuta dapprima il coefficiente di ripartizione per un composito con fibre a
comportamento isotropo, avente le seguenti proprietà:

E1= 38.4 GPa Vf = 0.45 νf= 0.2 νm= 0.35 Em= 3.4 GPa G12 = 4.14 GPa

Si determina anzitutto Gf. Dalla regola delle miscele si ha per il modulo di Young della fibra:

Ef = [E1 - (1-Vf) Em] / Vf = 85.3 GPa


Quindi per fibre isotrope:
Ef
Gf = = 355
. GPa
2(1 + νf )

Con la analoga relazione per la matrice, si ottiene Gm = 1.26 GPa, mentre usando la (43) si ottiene:

Gm (G12 − G f ) Vf
V* = ⇒ ηs = V * = 0.316
G f (Gm − G12 ) Vm

Questo valore cosi calcolato puo essere usato per la valutazione del modulo trasversale di fibre non
isotrope, per le quali non vale la solita relazione col modulo di Young ed il coefficiente di Poisson,
a partire da misure eseguite sottoponendo a taglio la lamina composita.
Per esempio considerando un composito T300/5208, che ha fibre a comportamento anisotropo, con
concentrazione Vf = 0.7, avendo misurato sperimentalmente il modulo G12 = 7.17 GPa, dalla (42) si
calcola il valore del modulo delle fibre Gf:

40
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

−1
 1 V *
G f = (1 + V *) −  = 19.6 GPa
 G12 G m 

Se invece si prova a calcolare il modulo trasversale considerando la fibra isotropa si ottiene un


valore significativamente diverso. Il modulo di Young delle sole fibre è con buona approssimazione
(trascurando il contributo della matrice) dato da:

Ef ≈ E1/ Vf ≈ 258 GPa

Pertanto, il modulo Gf delle fibre supposte isotrope vale:

Ef
Gf =
2(1 + ν f ) = 108 GPa
E’ questo un valore è molto differente da Gf = 19.6 GPa trovato precedentemente, tenendo conto
delle prove sperimentali e del fattore di ripartizione ηs. L’errore è del 550 %. Pertanto, per valutare
G12 per un composito con fibre di carbonio con volume percentuale di fibre compreso tra 0.4 e 0.7
si può usare la relazione approssimata

 V   1 Vm 1 
G12 = 1 + 0.316 m  19.6 + 0.316 V G 
 Vf   f m

In alternativa all’uso della (43) il modulo di elasticità trasversale di un composito può essere
calcolato in modo più accurato considerando i risultati ottenuti con il metodo degli elementi finiti,
riportati graficamente in fig.14.

Gc /Gm (b) Vf =78 %

Vf =75 %

Vf =40 % Vf =70 %
Vf = 4 % Vf =55 %

Gf /Gm

Fig.14. - Andamento del rapporto Gc /Gm (b) per lamina unidirezionale.

Buone stime di G12 si ottengono anche utilizzando la formula di Halpin-Tsai (Eq.31) introducendo
al posto dei moduli di Young i moduli di elasticità a taglio ed utilizzando ζ=1, cioè:

GLT 1 + ηV f (G f / Gm ) − 1
= con η = (44)
G m 1 − ηV f (G f / Gm ) + 1

I risultati forniti da questa formula sono in genere in buon accordo con i risultati numerici riportati in

41
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Fig.14.
Stime abbastanza accurate si hanno pure in generale con il CAM (cylinder assemblage model) che
considera un modello (RVE) costituito da due cilindri concentrici (fibra circondata da matrice), e
con il PMM (periodic microstructure model) che forniscono rispettivamente:

GLT 1 + V f
≈ (45)
Gm 1 − V f

GLT Vf
=1+ (46)
Gm (G f / Gm ) + p(V f )
con

p (V f ) = 0.492 − 0.476V f − 0.027V f (47)

2.4.2 Resistenza a taglio nel piano della lamina

Per valutare la resistenza a taglio di una lamina unidirezionale è necessario tener conto delle
peculiari modalità di cedimento che possono verificarsi, quali taglio della matrice, debonding ecc
(vedi anche cap.6). É pertanto difficile eseguire stime teoriche accurate di tale parametro e solo
relazioni empiriche approssimate possono essere usate in sede di progetto . Ipotizzando che la
rottura avvenga per taglio della matrice la resitenza puo essere stimata mediante la seguente
relazione:

Gm
τ LT , R = Cv [1 + (V f − V f )(1 − )]τ m ,R (48)
Gf

Si osservi che la (48) si ottiene dalla equazione di Chamise (36) per semplice sostituzione della
resistenza a trazione della matrice con la rispettiva resistenza a taglio e dei moduli di Young con i
moduli di elasticità trasversale di fibra e matrice; il coefficiente Cv è sempre dato dalla eq.35’. In
assenza di informazioni sperimentali sulla resistenza a taglio della matrice si può assumere con
buona approssimazione τ m,R = σ m,R . Inoltre, come la (35) e la (36), la (44) può essere usata per
valutare τ m,R a partire da una valutazione sperimentale della resistenza τ LT ,R , quindi la stessa
formula può essere usata per ottenere stime accurate della resistenza a taglio di compositi simili a
quello provato.

2.5 Coefficienti di Poisson

Come accade per le altre proprietà fisico-meccaniche, il coefficiente di Poisson di un composito


unidirezionale varia con la direzione considerata. Come sarà mostrato nei successivi capitoli il
valore relativo alla generica direzione può essere valutato a partire dalla conoscenza del
coefficiente di Poisson longitudinale v12 e di quello trasversale v21. Per valutare l’effetto Poisson
nella generica direzione è necessario pertanto stimare tali coefficienti.

2.5.1 Coefficiente di Poisson v12

Il coefficiente di Poisson v12 , dato dall’opposto del rapporto tra la deformazione trasversale e quella
longitudinale causate da una stato monoassiale di tensione in direzione longitudinale, può essere
stimato utilizzando l’elemento di volume rappresentativo gia usato in precedenza (Fig.15).
42
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

∆ w/2

σ1 σ1
w wf
wm /2
∆w/2
L
∆L
Fig.15 - Modello di composito e notazione usati per la determinazione di ν12

Con riferimento alla notazione mostrata in figura 15, l’applicazione di una tensione longitudinale
produce nella lamina una deformazione trasversale data da:

∆w ∆w f + ∆wm − ν f ε 1 w f − ν m ε 1 wm
ε2 = = = ; (49)
w w w

Utilizzando la definizione del coefficiente di Poisson e tenendo conto che per il modello
considerato il rapporto tra lo spessore del singolo componente e lo spessore della lamina (wi/w)
coincide con la relativa concentrazione in volume, si ha:

ε2
ν 12 = − = ν f V f + ν mVm (50)
ε1

La (50) mostra che, similmente alle altre grandezze “longitudinali”, il coefficiente di Poisson v12
del composito è legato a quelli di fibre e matrice dalla regola delle miscele. Il valore teorico stimato
con la (50) è valido nella ipotesi che la fibra abbia un comportamento isotropo. Poichè la misura del
coefficiente di Poisson di una fibra è piuttosto complesso per le esigue dimensioni della stessa,
spesso la (50) è utilizzata per determinazione indiretta del coefficiente di Poisson delle fibre a
partire dalla misura di quella della matrice e del composito. La (50) fornisce in genere valori che
presentano scostamenti dai valori rilevati sperimentalmente. Tali scostamenti sono in genere
considerati trascurabili per il fatto che piccole variazioni del coefficiente di Poisson non
determinano grandi variazioni sulla valutazione dello stato tensionale eseguita in sede di
progettazione.
Poiché i coefficienti di Poisson di fibra e matrice sono piuttosto vicini (vm=0.35-0.4, vf=0.15-0.25),
in accordo con la (50) il coefficiente di Poisson del composito assume generalmente valori prossimi
a quelli dei metalli, cioè v12≈0.25-0.3.

2.5.2 Coefficiente di Poisson v21

Si osservi anzitutto che il coefficiente di Poisson v12 risulta in genere più grande di v21: ad una
deformazione in direzione longitudinale del composito seguono significative deformazioni
trasversali della matrice, mentre ad una stessa deformazione trasversale seguono solo limitate
deformazioni longitudinali della matrice essendo queste fortemente impedite dalle più rigide fibre.
Per questo i coefficienti di Poisson v12 e v21 sono indicati sovente nella letteratura inglese coi
termini di major Poisson ratio e minor Poisson ratio rispettivamente.

43
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Il coefficiente v21 non è però una costante elastica indipendente da quelle precedentemente
calcolate, ed il comportamento meccanico di una lamina ortotropa nel piano della lamina è sempre
univocamente determinato dalle 4 costanti elastiche E1, E2, G12 e v12 prima definite. Il coefficiente
v21 è infatti legato ai moduli di Young ed al coefficiente di Poisson v12 dalla nota relazione:

ν 12 E1 E1
= ⇒ ν 12 = ν 21 (51)
ν 21 E 2 E2

La validità della (51) si dimostra facilmente considerando che l’applicazione di una tensione
monoassiale σ2 in direzione trasversale produce una deformazione trasversale ε2 pari a:

σ2
ε2 = (52)
E2

ed una deformazione longitudinale che può essere calcolata considerando le interazioni fibra
matrice dovute alla diversa deformabilità, cioè al diverso coefficiente di Poisson (vedi figura
seguente).

σ2
νm ε2,m

matrice

fibra
νf ε2,f
σ2 ε1

Fig. 16 – Deformazioni longitudinali di lamina soggetta ad una tensione trasversale σ2.

Con riferimento alla figura 16 si ha che se fibra e matrice fossero liberi di deformarsi allora sotto la
sollecitazione di trazione trasversale per effetto Poisson la matrice assumerebbe una deformazione
longitudinale pari a -νmε2,m mentre la fibra assumerebbe la deformazione -νfε2,f. Essendo
tipicamente νm >νf, la matrice assumerebbe una deformazione in modulo superiore a quella della
matrice. Nel composito invece i due materiali assumono la stessa deformazione longitudinale
cosicché i due materiali subiscono una deformazione meccanica pari rispettivamente a εm(M) e
εm(M). Considerando matrice e fibra si ha in particolare:

ε 1 = ε Mf − v f ε 2, f (53)

ε 1 = ε mM − vmε 2,m (54)

Le deformazioni meccaniche assumono pertanto l’espressione:

ε Mf = ε 1 + v f ε 2, f (55)

44
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

ε mM = ε 1 + vmε 2,m (56)

A tali deformazioni meccaniche sono associate delle tensioni e quindi dei carichi di trazione
(matrice) e compressione (fibra) Pm e Pf dati da:

Pf = E f ε M
f V f = E f (ε 1 + v f ε 2 , f )V f (57)

Pm = E mε mM Vm = E m (ε 1 + v m ε 2 ,m )Vm (58)

La somma dei due sforzi deve essere identicamente nulla trattandosi di sollecitazioni interne. Si ha
cioè:
Pf + Pm = 0; ⇒ E f (ε 1 + v f ε 2 , f )V f + E m (ε 1 + v m ε 2,m )Vm = 0 (59)

Ricavando la deformazione longitudinale dalla (63) e tenendo conto delle relazioni trovate per il
modulo di Young longitudinale e per il coefficiente di Poisson ν12 si ottiene:

v f V f + v mV m v12
ε 1 = −σ 2 = −σ 2 (60)
E f V f + E mV m E1

Utilizzando pertanto la definizione del coefficiente di Poisson ν12 dalla (60) si ha quindi:

ε1 v E E
v 21 = − = −σ 2 12 2 = v12 2 (61)
ε2 E1 σ 2 E1

che dimostra la (51). Tenuto conto che nei compositi a matrice polimerica il modulo di Young
longitudinale è mediamente di un ordine di grandezza superiore a quello trasversale, dalla (51)
segue che ν21 è di un ordine di grandezza inferiore al coefficiente ν12.

2.5 Coefficienti di dilatazione termica

Come le caratteristiche meccaniche quali rigidezza e resistenza, anche il coefficiente di dilatazione


termica lineare di una lamina composita è diverso nelle due direzioni, longitudinale e trasversale.
In genere, poiché il coefficiente di dilatazione termica lineare delle fibre è più piccolo di quello
della matrice e quindi le fibre impediscono la dilatazione termica della matrice in direzione
longitudinale, il coefficiente di dilatazione termica del composito in direzione longitudinale αL è
più piccolo di quello trasversale αT.
Inoltre, la valutazione di tali coefficienti è sovente di particolare interesse nella progettazione
meccanica con materiali compositi, tenuto conto che con fibre come carbonio e Kevlar dotate di
coefficienti di dilatazione negativi, è possibile ottenere compositi con elevata stabilità termica, cioè
con coefficiente di dilatazione pressoché nullo.

2.5.1 Coefficiente di dilatazione α1

Il coefficiente di dilatazione longitudinale può essere calcolato tenendo appunto conto che ad un
incremento di temperatura segue una deformazione longitudinale del composito che per congruenza
è eguale a quella di fibra e matrice (vedi fig.17).

45
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

αm ∆T
εL

matrice

fibra
εMm
αf ∆T
εfM

Fig. 17 – Dilatazioni e deformazioni longitudinali di lamina soggetta a variazione di temperatura

Con riferimento a fibra e matrice rispettivamente si può scrivere:

ε L = ε Mf + α f ∆T (62)
ε L = ε mM + α m ∆T (63)

Per l’equilibrio fibra e matrice si scambiano uno sforzo legato alla deformazione impedita. La
matrice e la fibra conseguentemente risultano soggetti ad uno sforzo Sm e Sf proporzionale alla
deformazione meccanica subita. Con riferimento alla fig.17 si ha:

S m = ε m E mVm = (ε − α m ∆T ) E mVm (64)

S f = ε f E f V f = (ε L − α f ∆T ) E f V f
(65)

Per l’equilibrio la somma dei due sforzi (interni) deve essere nulla, cioè:

S f + Sm = 0 ⇒ (ε L − α f ∆T ) E f V f + (ε L − α m ∆T ) E mVm
(66)

Tenendo conto della definizione di coefficiente di dilatazione termica lineare (αL=ε L /∆T), dalla
(66) dopo semplici passaggi si ottiene:

α f E f V f + α m E mVm
αL = (67)
E f V f + E mVm

La (67) mostra come in pratica il coefficiente di dilatazione termica lineare longitudinale della
lamina composita è dato dalla media dei coefficienti di dilatazione dei costituenti pesata con la
rigidezza ovvero, tenendo conto della costanza della lunghezza, con il prodotto del modulo di
Young per la concentrazione in volume. Tenendo conto inoltre della regola delle miscele per il
modulo di Young longitudinale EL , la relazione trovata si può anche scrivere come:

α f E f V f + α m E mVm
αL = (68)
EL

2.5.2 Coefficiente di dilatazione α2

46
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Più complessa risulta invece la determinazione del coefficiente di dilatazione termica in direzione
trasversale. Per fare ciò occorre tenere presente che a causa della compressione della matrice
operata dalle fibre, oltre alla dilatazione la matrice subisce per effetto Poisson una deformazione
positiva in direzione trasversale che si aggiunge alla dilatazione. Per lo stesso motivo le fibre
subiscono una deformazione trasversale negativa che si sottrae alla corrispondente dilatazione come
indicato schematicamente nella seguente figura 18.

νmε L,m
ε T,m
αm ∆T

wm matrice

fibra wf
ε T,f
νf ε L,f αf ∆T

Fig. 18 – Dilatazioni e deformazioni trasversali di lamina soggetta a variazione di temperatura

Con riferimento alla figura 18 per la matrice si ha quindi:

ε T ,m = α m ∆T − ν mε LM,m = α m ∆T − ν m (ε L − α m ∆T ) = (1 + ν m )α m ∆T − ν mα L ∆T (69)

Per la fibra si ha analogamente:

ε T , f = α f ∆T − ν f ε LM, f = α f ∆T − ν f (ε L − α f ∆T ) = (1 + ν f )α f ∆T − ν f α L ∆T (70)

La deformazione subita dalla lamina in direzione trasversale è data da:

∆ w ∆w m + ∆ w f ε T , m w m + ε T , f w f
εT = = = = ε T ,mVm + ε T , f V f (71)
w w w

Sostituendo le precedenti nella (71) si ottiene quindi:

ε T = ε T ,mVm + ε T , f V f = (1 + ν f )α f V f ∆T + (1 + ν m )α mVm ∆T − α Lν f V f ∆T − α Lν mVm ∆T (72)

Dividendo per ∆T e tenendo conto dell’espressione del coefficiente di Poisson del composito si ha
infine:
ε
α T = T = (1 + ν f )α f V f + (1 + ν m )α mVm − α Lν 12 (73)
∆T

La (73), come la (49) che fornisce il coefficiente di dilatazione termica lineare, è una relazione non
lineare nella percentuale di fibre e matrice della lamina.

47
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

A titolo di esempio nella figura seguente è riportato l’andamento dei due coefficienti di dilatazione
termica lineare per una lamina fibra di vetro-resina epossidica (con αf=5 ppm/°C, αm=60 ppm/°C,
Ef=70000 MPa, Em=3500 MPa, νm=0.35, νf=0.20) al variare della percentuale di fibre.
Nella figura seguente è pure riportato l’andamento della espressione:

α T ≈ α f V f + (1 + ν m )α mVm (74)

con la quale si può approssimare il coefficiente di dilatazione termica trasversale per Vf>0.25.

(eq.74)

(eq.73)

(eq.67)

Fig. 19- Andamento dei coefficienti di dilatazione termica al variare della concentrazione delle fibre.

E’ importante osservare come, essendo il coefficiente di dilatazione in direzione longitudinale della


lamina la media pesata di quello di fibra e matrice, utilizzando per esempio fibre aventi un
coefficiente di dilatazione termica lineare negativo (Kevlar-49) o molto basso (fibre di carbonio), è
possibile ottenere in pratica un composito con coefficiente di dilatazione termica lineare
longitudinale pressoché nullo il che significa stabilità dimensionale dei manufatti in direzione
longitudinale al variare della temperatura. E’ questo un requisito molto importante in vari elementi
di macchina soggetti a variazioni di temperatura. Alla elevata stabilità termica longitudinale sono
però in genere associate elevate dilatazioni trasversali essendo il coefficiente trasversale piu vicino
a quello della matrice e quindi generalmente superiore a quello dei metalli tecnici.
A titolo di esempio nella seguente tabella sono riportati, tra le altre caratteristiche, i coefficienti di
dilatazione termica longitudinale e trasversale di alcune lamine unidirezionali.
Tabella 2 – Proprietà caratteristiche di lamine composite con rinforzo unidirezionale.

48
B. Zuccarello Progettazione meccanica con materiali compositi

Si vede come la lamina in fibra di carbonio (Thornel 300) ha in pratica coefficiente di dilatazione
termico longitudinale nullo (perfetta stabilità termica longitudinale) mentre quella con Kevlar è
caratterizzata da piccoli valori negativi. Il coefficiente trasversale risulta invece variabile tra 20 e 36
*10-6 °C-1.

49
3. Compositi a fibre corte

3.1. Generalità

Come visto al capitolo precedente, laminati compositi unidirezionali compositi a fibre lunghe sono
caratterizzati da una elevata resistenza nella direzione delle fibre unita ad una bassa resistenza in
direzione trasversale. Noto quindi lo stato tensionale nel componente in progetto, l'uso corretto di
tali compositi prevede di orientare opportunamente le fibre nella direzione della massima tensione.
Ciò consente di ottimizzare lo sfruttamento del materiale. Nel caso invece in cui lo stato tensionale
è prossimo a quello idrostatico oppure la direzione di applicazione del carico può subire
significative variazioni nelle diverse condizioni di esercizio, i laminati unidirezionali non possono
essere utilizzati ed è necessario passare all’uso di laminati angle-ply.
Sebbene a partire da lamine unidirezionali possono essere facilmente ottenuti anche laminati
globalmente isotropi, in questi casi risulta più vantaggioso l'uso di lamine ottenute con rinforzo in
fibre corte orientate in modo casuale (discontinuous-fiber-reinforced composites). L'uso infatti di
laminati globalmente isotropi può dar luogo a fenomeni di rottura locale nelle lamine superficiali in
direzione ortogonale alle fibre a causa della bassissima resistenza in questa direzione. Più
economica risulta inoltre la realizzazione di compositi pressoché isotropi con rinforzo in fibre
rispetto a quella di laminati quasi-isotropi. Laminati rinforzati con fibre corte (lunghezza 1-8 cm)
orientate in modo pressoché casuale possono essere infatti facilmente ottenuti oltre che con la
classica procedura di laminazione, anche con procedimenti di produzione continua come forgiatura
a iniezione ecc. Infine, si producono anche compositi a fibre corte con orientamento preferenziale,
che in genere sono meno resistenti e meno rigidi dei compositi a fibre lunghe, ma risultano più
economici di questi.
Il comportamento meccanico dei compositi a fibre corte in genere differisce da quello a fibre lunghe
ed in particolare, al contrario di quanto accade per i compositi a fibre lunghe, esso è legato alla
lunghezza caratteristiche delle fibre. Dalla lunghezza dipende in particolare la distribuzione delle
tensioni ed il meccanismo di trasferimento del carico dalla matrice alla fibra.

3.2. Trasferimento delle tensioni

Come nei compositi a fibra lunga, nei compositi a fibra corta (o interrotta o discontinua) il carico si
trasmette alle fibre attraverso la matrice. La trasmissione del carico dalla matrice alle fibre avviene
attraverso tensioni tangenziali concentrate prevalentemente alle estremità delle fibre (end effects).
L’analisi teorica (teoria dell’elasticità) di sistemi bimateriale mostra infatti che anche in presenza di
sollecitazioni semplici applicate, in corrispondenza degli spigoli dell’interfaccia si verificano stati
di tensione singolari dello stesso tipo di quelli che si rilevano in prossimità dell’apice di una cricca
in un materiale omogeneo isotropo (vedi MFLE). Nei compositi a fibre lunghe tali effetti di
estremità, interessando una porzione di fibra relativamente piccola, sono praticamente trascurabili e
non influenzano globalmente il comportamento meccanico del manufatto. Cosi non è invece per i
compositi a fibra corta per i quali le caratteristiche elastiche ed ancor più il carico sopportato dalla
fibra e quindi la resistenza meccanica è influenzata direttamente da tali effetti locali.
Per una comprensione del comportamento meccanico dei compositi a fibra corta è necessaria
pertanto la conoscenza del meccanismo di trasmissione del carico. A tal fine si consideri una fibra a
sezione retta circolare immersa nella matrice soggetta ad una sollecitazione di trazione σc allineata
con la fibra come mostrato nella seguente in fig.1a. Considerando in particolare un tratto
infinitesimo di fibra (vedi fig.1b), questo risulta soggetto ad una distribuzione di tensioni
tangenziali sulla superficie laterale ed ad una tensione normale parallela all’asse e variabile con la
ascissa corrente z.

50
σc

σf + dσ f

l dz
τ dz
2r

σf
σc
(a) (b)

Fig.1 – Meccanismo di trasferimento del carico (a) ed equilibrio di tratto infinitesimo di fibra corta (b).

Per l'equilibrio alla traslazione lungo l'asse della fibra (vedi fig.1b) si ha:

πr 2σ f + 2πrτ dz = πr 2 (σ f + dσ f ) (1)

Semplificando la (1) si ottiene la relazione tra la derivata delle tensioni normali sulla fibra e le
tensioni tangenziali di interfaccia:

dσ f 2τ
= (2)
dz r

La (2) mostra come la derivata della tensione normale presente nella fibra è direttamente
proporzionale alla tensione tangenziale applicata ed inversamente proporzionale alle dimensioni
della fibra. L'andamento della tensione normale lungo la fibra può essere ottenuto quindi mediante
integrazione della (2). Per una fibra a sezione trasversale costante si ha così:

2z
σ f = σ f ,0 + ∫ τdz (3)
r0

Per determinare l'andamento della tensione normale lungo la fibra è necessario quindi conoscere la
tensione iniziale e l'andamento della tensione tangenziale sulla superficie laterale.
In generale, a causa di inevitabili fenomeni di concentrazione delle tensioni dovute alla diversa
rigidezza tra fibra e matrice si verifica facilmente un parziale o totale distacco fibra-matrice in
corrispondenza della estremità e conseguentemente la tensione iniziale σf,0 risulta pressoché
trascurabile. Anche in presenza di matrici duttili (assenza di distacco) tale tensione può essere
trascurata in quanto inferiore alla tensione di rottura della matrice che in genere è piccola rispetto
alle tensioni presenti nella fibra.
Per quanto concerne invece l'andamento della tensione tangenziale lungo la superficie laterale della
fibra, essa evidentemente è legata al particolare comportamento della matrice (elastico, elasto-
plastico ecc). Il modello più semplice, che bene approssima il comportamento di matrici duttili, è
quello ideale di tipo rigido-perfettamente plastico (vedi fig.2): ad uno scorrimento non nullo
corrisponde una tensione tangenziale costante e pari alla tensione tangenziale di scorrimento τs.
51
τ
τs

γR γ

Fig.2 - Curva tensione-deformazione per materiale rigido perfettamente plastico.

In queste condizioni la tensione tangenziale risulta praticamente costante lungo la fibra.


Conseguentemente la tensione normale sulla fibra varia linearmente, essendo per la (3):

2τ s
σ f (z) = z (4)
r

Il valore massimo di tensione si realizza ovviamente (simmetria) in corrispondenza della mezzeria


della fibra ove si ha:
τs
σ f ,max = σ f (l / 2) = l (5)
r

La tensione massima per fibre corte è quindi proporzionale oltre che alla tensione di snervamento
della matrice, anche alla lunghezza della fibra. Tensioni normali e tangenziali in una fibra corta
hanno pertanto l’andamento rappresentato nella seguente figura 3.

σf
σf,max = τ s l
r

σc σc

τ τs
+
-
τs

Fig.3 – Andamento della tensione normale e tangenziale per fibra corta in matrice duttile.

Si osservi come in pratica la distribuzione delle tensioni normali, e quindi anche il carico massimo
sopportato dalla fibra pari a:

Pmax =σ f ,maxπr 2 = τ sπrl (5’)

52
risulta indipendente dal carico σc applicato al composito. In particolare, fissato il carico esterno
applicato al composito, il carico sopportato dalla fibra (ovvero la massima tensione) risulta
proporzionale alla lunghezza della fibra: diminuisce se si passa ad una fibra più corta, aumenta
passando ad una fibra più lunga. L’uso pertanto dei fibre più lunghe consente di aumentare il carico
sopportato da queste,ovvero consente di sfruttare maggiormente la resistenza del materiale.
Ovviamente al crescere della lunghezza della fibra la tensione normale non può crescere
indefinitamente in modo monotono spostandosi dall'estremità verso la mezzeria. Come è facile
intuire infatti, esiste in pratica una lunghezza della fibra, oltre la quale la tensione assume nel tratto
centrale un andamento costante in quanto il carico risulta completamente trasmesso dalla matrice
alla fibra attraverso tensioni tangenziali che si sviluppano in due tratti di estremità della fibra. Nel
tratto centrale pertanto non ci sarà più un trasferimento di carico e quindi nulle risulteranno le
tensioni tangenziali. In accordo con la (2), nel tratto centrale la tensione normale sulla fibra risulterà
costante. E’ facile osservare come questa è la condizione tipica delle fibre lunghe per cui, come
visto al capitolo precedente risulta:

ε f = εm = εc (6)

Se le deformazioni di fibra e matrice infatti sono eguali allora saranno nulli gli scorrimenti della
matrice e quindi nulle risulteranno anche le tensioni tangenziali all’interfaccia. Dalla relazione (6)
si ottiene immediatamente il valore della tensione (massima) presente nel tratto centrale della fibra;
si ha:
Ef
σ f , max = ε f E f = ε c E f = σc (7)
Ec

La massima tensione presente nella fibra è in questo caso direttamente proporzionale al carico
applicato σc ed al rapporto dei moduli di Young di fibra e composito, ovvero al rapporto dei moduli
di Young fibra/matrice ed alla concentrazione in volume delle fibre.
Sostituendo la (7) nella (5) si ottiene la lunghezza della fibra lt (t sta per trasmissione completa del
carico), detta lunghezza di totale trasmissione del carico, oltre la quale esiste un tratto centrale di
fibra soggetto a tensione costante:

r σ  E f 
l t = σ f , max =  c  r (8)
τs τs  
 E c 

Si vede come, fermo restando le caratteristiche del composito, la lunghezza di trasferimento


completo del carico lt cresce al crescere della tensione (σc) applicata al composito e decresce al
crescere di τs, cioè al crescere della capacità di trasferire carico da parte della matrice. Fissate
quindi le caratteristiche della matrice ed il carico esterno applicato, se la lunghezza delle fibre è
superiore alla lunghezza di trasferimento completo del carico lt allora la tensione massima sulla
fibra è fornita dalla eq.(7). Se invece la lunghezza delle fibre è inferiore ad lt la massima tensione
sulla fibra si ha in mezzeria (eq.5) e non cresce al crescere del carico esterno. Poiché la lunghezza
di trasmissione totale del carico cresce col carico stesso e con questi cresce la tensione massima
sulla fibra secondo la (7), esiste un valore limite o critico lc (valore massimo della lunghezza di
trasferimento totale del carico) corrispondente al massimo carico sopportabile dalla fibra.
Eguagliando pertanto la massima tensione della fibra fornita dalla (5) con la tensione di rottura
(σf,R) della stessa si ha immediatamente:

53
 σ f ,R 
l c =  r
 (9)
 τs 

La distribuzione delle tensioni tangenziali e normali in una fibra al variare della lunghezza, per dato
carico applicato e per i diversi casi che possono presentarsi è mostrata nella figura seguente.

l<l t l=l t l>l t


σf σf,max
τ σf τ τ σf,max σf
τs

σfmax
=τs l σfmax
= σc Ef r σfmax
= σc Ef r
r τs Ec τ s Ec
Fig.4- Andamento delle tensioni normali e tangenziali nella fibra al variare della lunghezza.

Dalla fig.4 si vede come, in accordo con la (5), se la lunghezza della fibra è minore o uguale a lt
allora un aumento del carico applicato al composito non produce un aumento della massima
tensione sulla fibra, cioè non produce un aumento del carico sopportato dalla fibra e pertanto
l’incremento di carico deve essere sopportato dalla matrice. Al contrario invece, se la lunghezza
della fibra è superiore a lt un aumento del carico applicato al composito produce, in accordo con la
(7) un aumento della tensione massima e quindi un aumento del carico trasmesso; dalla
distribuzione trapezoidale delle tensioni si può cioè passare nuovamente ad una triangolare.
Ovviamente ciò si verifica sino a quando la tensione sulla fibra raggiunge la rottura, cioè sino a
quando la lunghezza della fibra non raggiunge la lunghezza critica lc. Un aumento della lunghezza
al di la di questo valore risulta inutile ai fini di un aumento del carico trasmesso dalla fibra, limitato
ora dalla sola resistenza meccanica a trazione della fibra. Al contrario ovviamente se la lunghezza
della fibra è inferiore al valore critico lc la massima tensione che si può verificare nella sezione di
mezzeria risulta, valutabile mediante la (5), risulta inferiore alla tensione di rottura della fibra. Se la
lunghezza della fibra è minore della lunghezza critica pertanto la rottura del composito avverrà
sempre per rottura della matrice.
Per fibre di diametro dell’ordine di 10 µm, la lunghezza critica assume valori piuttosto piccoli e
sovente inferiori al millimetro. Per esempio per un composito fibra di vetro (σf,R =2000 MPa)
resina epossidica (τs =20 MPa) utilizzando la (9) si ottiene lc=1 mm.
Questi risultati si basano a rigore sulla ipotesi fatta di matrice con comportamento duttile
schematizzabile con il modello ideale rigido-perfettamente plastico. In realtà il comportamento
della matrice è in generale di tipo elasto-plastico. In questo caso lo stato tensionale in cui si
vengono a trovare fibra e matrice può essere facilmente calcolato con il metodo degli elementi finiti
(FEM). Nel campo di comportamento elastico della matrice, l'andamento delle tensioni normali e
tangenziali sulla fibra e sulla matrice adiacente la fibra, ottenute col FEM è riportato nella seguente
in fig.5.

54
(b)
σf σ f σc Ef /E c
τ σa
σr
σa σc
τ σc σr σc
(a)

z/d z/d
Fig.5 - Tensioni nella fibra (a) e matrice (b), per matrice elastica con Ef/Em=29.5, l/r=5.2 e Vf=0.42.
Dalla fig.5a si vede come, similmente al caso ideale di comportamento rigido-perfettamente
plastico della matrice, la tensione normale sulla fibra cresce in un tratto limitato di fibra, avente in
questo caso una estensione pari a circa 2 volte il diametro della fibra. Si ha però ora un significativo
fenomeno di concentrazione delle tensioni tangenziali all'estremità della fibra, in accordo con
l’analisi teorica del problema elastico associato. La tensione normale nella parte centrale della fibra
tende esattamente al valore teorico descritto dalla eq.7, e cioè al prodotto del rapporto dei moduli di
Young di fibra e composito per il carico applicato (valore prossimo a circa 2 volte il carico
applicato per compositi a matrice polimerica con Vf≈0.5).
Dalla fig.5b è interessante inoltre osservare come la tensione radiale che si sviluppa all’interfaccia
fibra-matrice risulta di trazione in prossimità della estremità della fibra (end effects) facilitando
localmente il debonding, mentre assume valori negativi (compressione) nella restante parte della
fibra. Ciò fa si che se le fibre sono parallele al carico e la distanza interfibra non è troppo piccola,
anche se si verificano fenomeni di scollamento fibra matrice causati da limitata adesione, è ancora
possibile la trasmissione (totale o parziale) di carico dalla matrice alla fibra, a causa della presenza
di forze di attrito associate alle tensioni radiali di compressione.
Nel caso di comportamento elasto-plastico della matrice, l'andamento delle tensioni tangenziali di
interfaccia (vedi fig.6) risulta diverso da quello previsto per comportamento elastico lineare (fig.5)
e piuttosto vicino a quello previsto teoricamente con il modello di matrice rigida perfettamente
plastica (linea tratteggiata in fig.6).

E f /E c
τ σc
σf σc σ f σc

τ σc
teoria
FEM

z/d

Fig.6 - Tensioni nella fibra, per matrice elasto-plastica con Ef /Em=117, εs,m =2.4%, l/r=200 e Vf=0.50.

In ogni caso (matrice elastica o elasto-plastica) le tensioni tangenziali tendono a zero spostandosi
verso la mezzeria della fibra mentre la tensione normale tende al valore limite caratteristico dei

55
compositi a fibre lunghe (eq.7). Questi effetti di estremità influenzano, come accennato, la rigidezza
(modulo di Young) e la resistenza di un composito a fibre corte.
Per semplicità nella determinazione teorica di tali caratteristiche del composito si fa riferimento
solitamente al valore medio della tensione lungo la fibra, cioè:

1l
l ∫0
σf = σ f dz (10)

Tale valore si ottiene in generale mediante calcolo dell'area sottesa alla curva, teorica (es. eq.4) o
numerica (es. fig.5a), che descrive l'andamento della tensione lungo la fibra. Nella ipotesi
semplificativa di matrice rigida-perfettamente plastica, per quanto detto (vedi fig.4) la tensione
media sulla fibra è pari:
σ f ,max τs lt Ef σc l
σf = = l ; per l < lt ; σ f = σ f ,max (1 − )= r (1 − t ); per l > lt ; (11-12)
2 d 2l Ec τ s 2l

Mediante la (12) si mostra immediatamente come la tensione media è pari al 90% ed al 99% della
tensione massima se la lunghezza della fibra è pari rispettivamente a circa 5 e 50 volte la lunghezza
lt. Considerando in particolare il carico di rottura delle fibre si ha che un composito a fibre
discontinue si comporta in pratica come uno a fibre lunghe se la lunghezza delle fibre è pari a 5-50
volte la lunghezza critica, cioè per quanto sopra osservato (lc=1 mm) pari a 5-50 mm, che in pratica
corrisponde appunto al range delle fibre discontinue (1-8 cm).

3.3. Modulo di elasticità

Il modulo di elasticità longitudinale di un composito a fibre corte parallele (vedi fig.7) può essere
determinato per via analitica con approccio simile a quello usato per la determinazione del modulo
di elasticità trasversale ET nei compositi a fibra lunga, per la cui stima, come visto, puo essere usata
l’equazione di Halpin-Tsai (eq.31 del cap.2).

Fig.7 – Modello semplificato di composito a fibre corte (interrotte) parallele.

Ovviamente, per quanto gia visto al capitolo precedente, tale modulo dipende oltre che dal modulo
di Young di fibra e matrice, dal rapporto caratteristico a/b≈l/d e dal volume percentuale di fibra Vf.
L’equazione di Halpin-Tsai consente quindi di valutare in pratica il modulo di elasticità
longitudinale e trasversale di un composito a fibre corte parallele usando rispettivamente ζ=2(l/d) e
ζ=2. Si ottiene in pratica:

E L 1 + 2(l / d )η LV f (E f / Em ) − 1
= con ηL = (13-14)
Em 1 − η LV f ( E f / E m ) + 2( l / d )

56
E T 1 + 2η TV f (E f / Em ) − 1
= con ηT = (15-16)
Em 1 − η TV f (E f / Em ) + 2

Si osservi come il modulo di Young in direzione trasversale coincide in pratica con quello dei
compositi a fibra lunga e, a differenza del modulo longitudinale, non dipende dal rapporto
caratteristico (l/d). Come è intuitivo, infatti, la distribuzione delle tensioni e delle deformazioni
prodotta da un carico applicato in direzione trasversale non varia significativamente con la
lunghezza delle fibre. Al contrario invece, come ampiamente mostrato al capitolo precedente la
distribuzione delle tensioni (e quindi delle deformazioni) prodotta da un carico parallelo alle fibre
varia fortemente col variare del rapporto caratteristico delle fibre (l/d).
Le figure seguenti mostrano l'andamento del modulo di Young trasversale e longitudinale al variare
del rapporto caratteristico l/d per due diversi valori del rapporto Ef /Em, esattamente per Ef /Em =20
(fibra di vetro-resina epossidica) ed Ef /Em =100 (fibra di carbonio-resina epossidica). Si noti che, in
acordo con le (13)-(16) il modulo di Young trasversale è rappresentato dai valori corrispondenti
all’asse delle ordinate (l/d =1).

(a) (b)

Fig.8 – Modulo elastico EL per compositi a fibre corte parallele con Ef /Em =20 (a) e Ef /Em =100 (b).

Dalle fig8 si osserva come in pratica considerando il modulo di Young, un composito a fibre
discontinue si comporta come uno a fibre lunghe per l/d≈1000, che per d≈10 µm corrisponde in
pratica a circa 1 cm.
Nel caso di compositi a fibre corte con orientamento random, la stima del modulo di Young
(ovviamente unico essendo il materiale praticamente isotropo) risulta più complessa. Una
formulazione approssimata utilizzata nella progettazione è la seguente:

3 5
E random = E L + ET (17)
8 8

dove EL ed ET sono i moduli in direzione longitudinale e trasversale, determinati con le (15-16) per
un composito equivalente a fibre parallele, avente cioè stessa percentuale di fibre ma parallele.
Al fine di facilitare la comprensione dei concetti sopra esposti si riporta nel seguito un esempio
numerico.

Esempio:

Si consideri un composito a fibre corte parallele del tipo fibra di vetro-resina epossidica (Ef=75000

57
MPa, Em=3000 MPa, σf,R=3000 MPa) con Vf =0.5, lunghezza delle fibre di 5 mm e diametro pari a
20 µm, soggetto ad un carico monoassiale longitudinale. Calcolare il valore della lunghezza critica,
ed il corrispondente modulo di Young longitudinale. Si valuti inoltre tensione massima nel caso di
lunghezza pari al doppio del valore critico con σc=250 MPa e la tensione media nel caso di
incipiente rottura delle fibre ipotizzando un comportamento della matrice rigido-perfettamente
plastico con τs=20 MPa.

Calcoliamo dapprima la lunghezza critica:

r 10 −2
lc = σ f ,R = 3000 * = 1.5 mm
τs 20

Calcoliamo quindi il modulo di Young longitudinale utilizzando le eq.13 e 14, essendo l/d=75:

(E f / Em ) − 1 25 − 1 E L 1 + 2(l / d )η LV f 1 + 150 * 0.137 * .5


ηL = = = 0.137 ; = = = 12.11
( E f / E m ) + 2( l / d ) 25 + 150 Em 1 − η LV f 1 − 0.137 * .5

e quindi tenendo conto che è Em=3000 MPa si ha:

E L = 3000 * 12.11 = 36.350 MPa

Si osserva che tale valore risulta gia molto prossimo (scarto inferiore al 7%) a quello valutabile per
fibre lunghe con la regola delle miscele che fornisce:
E ' L = 3000 * 0.5 + 75000 * .5 = 39.000 MPa

In altre parole ai fini della rigidezza longitudinale un tale composito a fibre corte (solo 1 mm) si
comporta quasi come uno a fibre lunghe.
Se le fibre hanno una lunghezza doppia di quella critica ed il composito è soggetto ad un carico
σc=250 MPa, minore della tensione di rottura, allora il modulo di Young del composito vale:

( E f / Em ) − 1 25 − 1 1 + 2(l / d )η LV f 1 + 300 * 0.073 * .5


ηL = = = 0.073 ; E L = E m ( ) = 3000 = 37.600
( E f / E m ) + 2( l / d ) 25 + 300 1 − η LV f 1 − 0.073 * .5

e quindi la massima tensione vale:

Ef 75
σ f ,max = σc = 250 = 499 MPa (7)
Ec 37.6

La tensione media nelle condizioni di incipiente rottura delle fibre vale invece:

lc
σ f = σ f , R (1 − ) = 3000 * 0.75 = 2250 MPa
2l

La tensione media è pari quindi al 75% della tensione massima (uniforme nel tratto centrale) per
fibre aventi una lunghezza di 3 mm.
Nella pratica solitamente si usano fibre discontinue con lunghezza maggiore (1-8 cm circa) di tale
58
valore anche per la difficoltà ad orientare le fibre in modo parallelo durante il processo di
produzione. A questa esigenza si unisce il fatto che all’aumentare della lunghezza delle fibre
migliorano anche le caratteristiche di resistenza meccanica delle stesse. Per questo nella pratica si
usano fibre lunghe (dimensioni confrontabili con quelle dell’elemento) ovvero fibre discontinue di
lunghezza non inferiore al centimetro circa.

3.4. Resistenza a trazione

La tensione media presente in una sezione trasversale di un composito a fibre corte parallele può
essere facilmente ottenuta, similmente al caso dei compositi a fibre lunghe, eseguendo la media
ponderata (regola delle miscele) delle tensioni presenti in fibra e matrice. Considerando per la fibra
il valore medio della tensione presente, si ha:

σ c = σ f V f + σ mVm (18)

con ovvio significato dei simboli. Nella ipotesi semplificativa di matrice perfettamente plastica, nei
due casi di fibre aventi lunghezza minore o uguale (andamento lineare delle tensioni normali) e
maggiore (andamento trapezio delle tensioni normali) della lunghezza lt, usando le (11-12) e la (5)
si ha rispettivamente:
τsl
σc = V f + σ mVm (l< lt) (19)
d

τ s lt lt
σc = (1 − )V f + σ mVm (l > lt) (20)
r 2l

Se in particolare, come succede spesso, la lunghezza della fibra è molto superiore alla lunghezza lt,
essendo (lt /2l)≈0 la (20) diviene:
τ l
σ c = s t V f + σ mVm (l >> lt) (21)
r

Per quanto concerne la resistenza a trazione del composito a fibre corte parallele, ricordando quanto
detto al capitolo precedente, se la lunghezza delle fibre è inferiore alla lunghezza critica lc che
consente il raggiungimento della tensione di rottura delle fibre, allora la rottura del composito
avviene in corrispondenza della rottura della matrice. In accordo con la eq.(19) si ha quindi:

τsl
σ c ,R = V f + σ m ,RVm (l< lc) (22)
d

Se invece al contrario, la lunghezza della fibra è maggiore della lunghezza critica e, come avviene
solitamente, la deformazione di rottura della fibra è inferiore a quella della matrice, allora la rottura
del composito corrisponde alla rottura delle fibre, cioè in accordo con la (20) si ha:

lc
σ c , R = σ f , R (1 − )V f + σ~mVm (l > lc) (23)
2l

essendo σ~m la tensione sulla matrice corrispondente alla deformazione di rottura della fibra. Se poi
la lunghezza delle fibre è molto più lunga della lunghezza critica, allora il composito si comporta in
pratica come uno a fibra lunga e si ha:

59
~ V
σ c ,R = σ f ,RV f + σ (l >> lc) (24)
m m

Nelle eq.(23-24) si è supposto implicitamente che la percentuale di fibre presenti nella matrice sia
sempre tale che alla rottura delle fibre segue la rottura dell'intero composito non essendo la sola
matrice da sola capace di assorbire il carico di rottura delle fibre, cioè si è supposto che risulti:

lc ~ V ] A > σ (V A) ⇒ σ (1 − lc )V + σ
~ V > σ V (25)
σ c ,R A = [σ f ,R (1 − )V f + σ m m m ,R m f ,R f m m m ,R m
2l 2l

ovvero che risulti:


~ )(1 − V )
( σ m ,R − σ ~ )
( σ m ,R − σ
m f m
Vf > ⇒ V f > Vmin = (26)
l lc ~
σ f ,R (1 − c ) σ f ,R (1 − ) + σ m,R − σ m
2l 2l

Inoltre, come gia osservato per i compositi a fibra lunga, esiste un valore critico della percentuale
di fibre al di sotto del quale addirittura la resistenza del composito risulta inferiore a quella della
sola matrice, cioè si ha:

lc ~ V ] A < σ A ⇒ σ (1 − lc )V + σ
~ (1 − V ) > σ
σ c ,R A = [σ f ,R (1 − )V f + σ m m m ,R f ,R f m f m ,R (27)
2l 2l

che riordinando si scrive come:


σ m, R − σ~m
V f < Vcrit = (28)
l
σ f , R (1 − c ) − σ~m
2l

Ovviamente se il volume percentuale delle fibre risulta inferiore al valore minimo Vmin, la rottura
del composito non segue la rottura delle fibre ma avviene allorquando la tensione sulla matrice, con
fibre gia rotte, raggiunge il valore di rottura della stessa. Si ha cioè la seguente tensione di rottura
del composito:

σ c ,R A = ( 0 * V f + σ m ,RVm ) A ⇒ σ c ,R = σ m ,R (1 − V f ) con Vf <Vmin (29)

In ogni caso, per una accurata previsione della resistenza di compositi a fibra corta occorre tenere
conto della influenza dei fenomeni di concentrazione di tensione che si verificano in corrispondenza
delle estremità delle fibre nonche delle approssimazioni introdotte dal modello teorico assunto per
descrivere il comportamento della matrice. Ovviamente i fenomeni di concentrazione delle tensioni
abbassano la resistenza del composito cosicchè i valori della resistenza a trazione valutati
teoricamente con le eq.(22-24) e (29) sovrastimano la resistenza effettiva valutabile per via
sperimentale. I valori di resistenza stimati analiticamante possono essere utilizzati per una
previsione di massima della resistenza del composito, utile a fini della progettazione, e per
confrontare in modo semplice e veloce diverse soluzioni progettuali. Tali stime inoltre soffrono
anche di altre approssimazioni legate per esempio a tensioni residue, umidità, vuoti ecc. Per questo
una accurata valutazione della resistenza può essere fatta solo sperimentalmente. Per esempio una
accurata valutazione della lunghezza critica si può ottenere sperimentalmente solo mediante il
cosiddetto pull-out test consistente nell’applicare ad una fibra, annegata per una lunghezza l nella
matrice uno sforzo di trazione (vedi fig.8) ed osservare se al crescere del carico avviene il semplice

60
sfilamento della fibra (l<lc/2) o questi è invece preceduto dalla rottura della fibra stessa (l≥lc/2).

F fibra
l

matrice

Fig.8 – Pull-out test perla determinazione della lunghezza critica

Variando la lunghezza annegata della fibra si determina cosi la lunghezza critica come il doppio
della lunghezza minima della fibra per la quale lo sfilamento è preceduto dalla rottura.
Quanto detto sino ad ora è valido comunque per compositi a fibre corte parallele. Più complessa è la
previsione della resistenza di compositi a fibre corte con orientamento random. A tal fine si fa uso
solitamente della teoria dei laminati (vedi successivo cap.4), considerando che la resistenza di un
composito a fibre corte random, è assimilabile a quella di un laminato pressoché isotropo ottenuto
disponendo più lamine unidirezionali angolarmente equispaziate. Si ottengono in genere buone
stime considerando per esempio un laminato simmetrico con 8 lamine del tipo [0°, ±45°, 90°]S.
Scostamenti relativi possono verificarsi a causa dell'interazione dei vari modi di frattura nel
laminato e delle particolari condizioni di fabbricazione che pure possono influenzare
significativamente la resistenza a rottura.
Come per i compositi a fibre lunghe, in accordo con le eq. (22-24) la resistenza a rottura di un
composito a fibre corte cresce monotonamente con la percentuale di fibre. In pratica però si verifica
sperimentalmente che la resistenza non aumenta, anzi può decrescere, per percentuali superiori al
50% circa, a causa dell'abbassamento della qualità di tali manufatti legato principalmente a
difficoltà di produrre compositi con elevata percentuale di fibre corte (bagnatura delle fibre). Tale
valore percentuale di fibre costituisce pertanto il limite superiore per compositi a fibre corte.

3.5. Resistenza a fatica


I compositi a fibra corta, sono sovente utilizzati come plastiche rinforzate per sostituire le plastiche
semplici in varie applicazioni caratterizzate da significative sollecitazioni di fatica ed impatto. In
confronto ai compositi a fibre lunghe, i compositi a fibre corte sono, a parità di volume di fibre
presenti, molto meno resistenti a fatica.
La rottura a fatica dei compositi a fibra corta è essenzialmente dovuta a fenomeni:
1) concentrazione di tensione che si verificano alle estremità delle fibre;
2) scollamento-fibra matrice che avvengono in direzione ortogonale alle fibre;
3) danneggiamento termico della matrice a causa del calore dissipato per isteresi e della bassa
conducibilità termica della matrice;
Le cause 1) e 2) danno luogo alla formazione di cricche che possono più o meno facilmente
propagarsi attraverso la matrice, in funzione delle caratteristiche di questa. A tal proposito la
duttilità della matrice gioca un ruolo determinante.
In presenza di matrici fragili (es. polistirene), si assiste alla formazione di cricche di interfaccia e
propagazione delle stesse attraverso la matrice. Ovviamente in questo caso la velocità di
propagazione cresce all'aumentare della fragilità della matrice.
In presenza di matrici duttili (es. polietilene) invece, non si ha formazione di cricche e la rottura per
fatica è determinata principalmente da diffusi fenomeni di "debonding". In presenza di matrici con
caratteristiche intermedie, si osserva pure una limitata formazione di cricche assieme a diffusi
fenomeni di scollamento. A titolo di esempio nelle figure seguenti sono riportate le curve di
resistenza a fatica di alcuni compositi a fibre corte con fibra di vetro.

61
Fig.9 - Resistenza fatica di alcuni compositi a fibra corta.
3.6. Resistenza all'urto

Se la resistenza a fatica di compositi a fibre corte (plastiche fibro-rinforzate) è superiore a quella


della sola matrice, (sebbene i miglioramenti sono inferiori rispetto a quelli che si ottengono con i
compositi a fibre lunghe), la resistenza all'impatto di una plastica rinforzata può risultare inferiore a
quella della sola matrice. In presenza di elevati carichi dinamici l’uso di plastiche fobro-rinforzate
puo essere quindi non conveniente. Ciò è vero particolarmente per matrici duttili (es. polietilene). In
questo caso infatti la presenza di fibre relativamente rigide da luogo a stati tensionali
tridimensionali nella matrice posta tra le fibre, con conseguente abbassamento della duttilità e
quindi della resistenza all'impatto. Per matrici fragili (es. polistirene) invece la presenza di fibre da
luogo a limitati miglioramenti della resistenza all'urto dovuti ad effetti di arresto dell’avanzamento,
di diramazione e di arrotondamento dell'apice della cricca causati dalle fibre.
Tali fenomeni fanno si che la resistenza all'urto di plastiche fibro-rinforzate non è in definitiva
fortemente influenzata dalla duttilità della matrice, come mostra la seguente figura riportante i
risultati di una prova Izod (provino a mensola) su provini di composito con fibra di vetro e matrice
epossidica con diversa duttilità (la duttilità della matrice cresce passando da A a C).

Vf [%]

Fig.10 – Risultati di prova Izod su diversi materiali al variare della duttilità della matrice.

3.7. Resistenza alla frattura

La resistenza alla frattura di compositi a fibre corte può essere determinata con test e provini
analoghi a quelli usati per i materiali isotropi. Vari tests sono stati condotti utilizzando provini
intagliati soggetti a trazione e flessione.

62
Fig.11 - Zona danneggiata davanti l'apice della cricca durante il processo di caricamento.
L'analisi delle curve carico applicato-apertura della cricca mostra che solitamente al crescere del
carico si verifica prima una diminuzione della rigidezza del provino e poi segue la rottura. Una
dettagliata analisi della zona antistante l'apice della cricca mostra che prima della rottura si verifica
un cospicuo danneggiamento locale del materiale (vedi fig.11), che risulta praticamente equivalente
ad una crescita lenta della cricca durante la fase di caricamento del provino. Per una corretta
determinazione del valore critico del fattore di intensificazione delle tensioni è necessario tener
conto dell’entità di tale danneggiamento computando l’incremento di lunghezza della cricca
equivalente.
Costruendo preventivamente il diagramma cedevolezza-lunghezza della cricca, è possibile
associare, tramite la misura della cedevolezza, il danneggiamento locale ad una equivalente
estensione della cricca. Per esempio per il caso di cricca singola laterale, il diagramma cedevolezza-
lunghezza cricca è mostrato in fig.12.

spostamento relativo A-B

spessore provino
carico applicato poliestere

epossidica

a/w

Fig.12 - Curve cedevolezza-lunghezza cricca per compositi a fibre (di vetro) corte.

Per tale configurazione, come è noto, il fattore di intensificazione delle tensioni è dato dalla
relazione:

63
K I = Yσ a con Y = 1.99 − 0.41(a / w) + 18.70(a / w) 2 − 38.48(a / w) 3 + 53.85(a / w) 4 (30)

La determinazione del fattore critico di intensificazione delle tensioni a partire dalle curve
sperimentali dell’andamento del carico applicato sul provino, avviene con procedura simile a
quella usata per i materiali omogenei isotropi (vedi standards relativi). In particolare l'esperienza
mostra che il fattore critico cresce al crescere della frazione di volume di fibre presenti, cioè nei
compositi, contrariamente a quanto avviene nei materiali metallici ed in generale nei materiali
tradizionali, la resistenza alla frattura aumenta con la resistenza a trazione del materiale. A titolo di
esempio la figura seguente mostra l'andamento del fattore KQ (candidato a divenire fattore critico)
al variare della frazione volumica di fibre, per diversi compositi a fibre di vetro corte con matrice
fragile (A) e duttile (C).

KQ

Vf

Fig.13 - Fattore KQ in funzione del volume di fibre per diversi compositi a fibre corte.

Diverse sono le variabili che influenzano la resistenza alla frattura di un composito a fibra corta. In
sintesi si può affermare che la resistenza a frattura aumenta con (a) la resistenza delle fibre, (b) la
frazione di volume delle fibre e con (c) la resistenza al debonding. Essa invece diminuisce al
crescere (d) della temperatura e (e) della velocità di deformazione (infragilimento).
Come mostra chiaramente la precedente figura 13, le proprietà della matrice, come anche la
configurazione della cricca, hanno invece influenza piuttosto ridotta (<10%) sulla resistenza alla
frattura.

3.8. Compositi rinforzati con fibre corte nastriformi

Una interessante categoria di compositi a fibre corte è rappresentata dai compositi rinforzati con
fibre nastriformi (ribbon o tape-reinforced composites), cioè con fibre a sezione trasversale
rettangolare con rapporto larghezza (Wr )/spessore (tr ) molto elevato (vedi fig.14).

64
T'

tm T

Wr
tr
B Wm

Fig.14 - Schema della sezione trasversale di composito rinforzato con fibre nastriformi.

Tali compositi permettono di abbassare notevolmente la permeabilità della matrice a gas e liquidi e
sono caratterizzati in genere da un comportamento pressoché isotropo nel piano delle fibre (LT).
Significativamente più bassa risulta invece la resistenza e la rigidezza in direzione (T’) ortogonale a
tale piano.

Con queste fibre si possono ottenere facilmente compositi con elevate percentuali di fibra. Con
riferimento alla fig.14 il volume di fibra è esprimibile dalla relazione:

Wr t r
Vf = (31)
(Wr + Wm )( t r + t m )

Riducendo pertanto opportunamente lo spessore interfibra della matrice tm, e la distanza Wm è


possibile aumentare, con idoneo procedimento di produzione, la frazione volumica di fibre.
Per quanto concerne la rigidezza del composito, come è intuitivo, il modulo in direzione
longitudinale è dato, similmente al caso di fibre lunghe (l>>lc), dalla regola delle miscele:

E L = E f V f + E mVm (32)

Il modulo in direzione trasversale (nel piano della fibre) può essere invece stimato utilizzando la
solita equazione di Halpin-Tsai, cioè:

E T 1 + 2(Wr / t r )η f V f (E f / Em ) − 1
= con ηf = (33-34)
Em 1− ηfVf ( E f / E m ) + 2(Wr / t r )

Se il rapporto caratteristico (Wr /tr ) diviene sufficientemente elevato, cioè le fibre hanno spessore
molto piccolo in relazione alla larghezza, allora anche il modulo in direzione trasversale può essere
stimato mediante una regola delle miscele. In queste condizioni infatti anche in direzione
trasversale si ha in pratica le fibre si comportano come fibre lunghe e non vi sono significative
differenze tra direzione longitudinale e trasversale (composito isotropo).
Il modulo di elasticità in direzione T’ ortogonale al piano delle fibre può ovviamente ancora essere
stimato tramite le (33-34) con semplice sostituzione del rapporto caratteristico (Wr/tr) col suo
reciproco. Se la rigidezza del composito nel piano delle fibre è praticamente costante al variare
della direzione, la rigidezza in direzione ortogonale è, come è facile comprendere, sempre molto più
bassa.
Per quanto concerne infine la resistenza a trazione, in direzione delle fibre essa risulta da
espressioni simili a quelle viste per i compositi a fibre lunghe mentre in direzione ortogonale essa
può essere confrontabile con quest'ultima se la rottura in questa direzione avviene, come in

65
direzione longitudinale, per rottura (splitting) delle fibre. Affinché ciò si verifichi è necessario che
lo sforzo di taglio che produce la rottura della matrice sia superiore allo sforzo che produce lo
splitting delle fibre, cioè con riferimento alla figura 14 si abbia:

Bτ m ,R > t r σ f ,R (35)

con ovvio significato dei simboli.


Per ottenere elevate resistenze è necessaria una elevata resistenza allo scollamento fibra-matrice. In
presenza di buona resistenza allo scollamento la resistenza cresce al crescere della percentuale di
fibre, che in caso contrario può determinare invece una diminuzione della resistenza stessa. Per una
buona qualità e resistenza del composito è bene che la matrice sia molto duttile, che riempia bene
gli spazi interfibra e che il procedimento di produzione non dia luogo a vuoti e/o zone con scarsa
adesione fibra-matrice da cui possono originarsi facilmente fenomeni di danneggiamento
progressivo.

66
4. Analisi della lamina ortotropa

4.1. Generalità

Una lamina di composito con rinforzo unidirezionale o bidirezionale è un elemento di spessore


generalmente troppo piccolo (compreso tra 0.1 e 5 mm circa) per essere utilizzata direttamente per
la produzione di componenti strutturali. Per questo essa viene solitamente utilizzata per la
costruzione dei laminati compositi le cui caratteristiche (spessore, numero lamine, orientamento
ecc.) sono determinate sulla base delle specifiche esigenze di progetto. L'analisi di un laminato
presuppone pertanto la conoscenza del comportamento meccanico della singola lamina ed in
particolare delle sue equazioni costitutive.
Una lamina di composito è un elemento eterogeneo essendo la sua composizione praticamente
variabile da punto a punto. Dal punto di vista macroscopico, cioè considerando una scala grande
rispetto alla dimensione delle fibre, essa può però considerarsi omogenea. In questa scala, inoltre,
essa esibisce un comportamento meccanico anisotropo, in particolare ortotropo. Si ricordi che un
materiale si dice anisotropo quando le sue caratteristiche variano continuamente con la direzione
considerata. In particolare se il materiale ammette tre piani di simmetria mutuamente ortogonali,
esso dicesi ortotropo (ortogonalmente anisotropo) ed i piani di simmetria sono anche detti piani di
ortotropia. In una lamina di composito tali piani sono individuati dal piano medio della lamina e dai
piani a questo ortogonali paralleli alle due direzioni principali (direzione delle fibre e direzione
ortogonale per rinforzo unidirezionale, direzioni delle fibre per rinforzo bidirezionale).
Per comprendere meglio la differenza tra un materiale anisotropo generico ed uno ortotropo è utile
osservare per esempio che l'applicazione di un carico di trazione ad un elemento di forma cubica in
materiale anisotropo, produce deformazioni e scorrimenti lungo tutti i lati dell'elemento (vedi
fig.1a). Ciò si verifica indipendentemente dalla particolare direzione di applicazione del carico. Se
invece il materiale anisotropo è in particolare ortotropo allora esistono tre direzioni mutuamente
ortogonali (direzioni principali o assi naturali del materiale) tale che l'applicazione di uno sforzo
normale (trazione o compressione) in tali direzioni produce, come per un isotropo, deformazioni
lineiche nelle tre direzioni principali mentre sono nulle le distorsioni nei piani da queste individuati
(vedi fig.1b). Ciò è immediata conseguenza della simmetria del materiale e della sollecitazione
applicata: la presenza di eventuali scorrimenti violerebbe infatti tale simmetria.

P P 1
Non deformato

2
3

Non deformato
deformato deformato
P P
(a) (b)

Fig.1 - Deformazione tipica di materiale anisotropo (a) ed ortotropo (b) soggetto a sforzo normale secondo
una direzione principale.

Considerando piuttosto che un cubetto di materiale, una lamina composita “bidimensionale”, si ha


che se la direzione di applicazione del carico coincide con una direzione principale (vedi figura
seguente) allora ad uno sforzo normale semplice corrisponde uno stato di deformazione uniforme
senza scorrimenti (fig.2a), mentre se la direzione del carico è deviata rispetto alle direzioni
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

principali il carico produce anche scorrimenti nel piano (fig.2b).

L L

T
T

(a) (b)

Fig.2 - Deformazione di lamina ortotropa con carico secondo una direzione principale (a) e deviato (b).

Vediamo ora quali sono le relazioni costitutive di una lamina composita ortotropa nella usuale
ipotesi di comportamento elastico lineare e piccole deformazioni.

4.2. Legge di Hooke

Come è noto dalla Scienza delle Costruzioni, lo stato di tensione presente in un generico materiale
nell'intorno del punto è univocamente descritto da 9 componenti di tensione σij (i,j=1,2,3). Lo stesso
dicasi per lo stato di deformazione, descritto dalle nove componenti di deformazione εkl (k,l=1,2,3).
Conseguentemente, nella ipotesi di comportamento elastico lineare, la relazione lineare più generale
tra tensioni e deformazioni (legge di Hooke generalizzata) si scrive in termini matriciali come:

σ 11   E1111 E1122 E1133 E1112 E1113 E1121 E1122 E1131 E1132  ε 11 


σ   E
 22   2211 E 2222 E 2233 E 2212 . . . . .  ε 22 
σ 33   E 3311 E 3322 E 3333 . . . . . .  ε 33 
    
σ 12   E1211 E1222 . . . . . . .  ε 12 
    
σ 13  = . . . . . . . . .  ε 13  (1)
σ   . . . . . . . .

.  ε 21 
 21    
σ 23   . . . . . . . . .  ε 23 
σ    
 31   . . . . . . . . .  ε 31 
σ 32   . . . . . . . . .  ε 32 

In alternativa essa può essere scritta in forma analitica mediante il seguente sistema di 9 relazioni:

σ ij = ∑E
k ,l
ijkl ε kl (i,j,k,l=1,2,3) (2)

Nel caso di materiale completamente anisotropo, pertanto, il legame tensioni-deformazioni, involge


9x9=81 costanti elastiche Eijkl (i,j,k,l=1,2,3). In realtà, poiché i tensori σij e εij sono simmetrici, cioè
solo 6 componenti sono indipendenti, la relazione matriciale (1) per un materiale anisotropo può
essere scritta in modo più compatto come:

68
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

σ 11   E1111 E1122 E1133 E1112 E1113 E1123  ε 11 


σ   E E 2222 E 2233 E 2212 E 2213 E 2223  ε 22 
 22   2211
σ 33   E 3311 E 3322 E 3333 E 3312 E 3313 .  ε 33 
 =   (3)
σ 12   E1211 E1222 E1233 . . .  ε 12 
σ 13   E1311 E1322 . . . .  ε 13 
    
σ 23   E 2311 . . . . .  ε 23 

Le costanti elastiche che descrivono il comportamento di un materiale anisotropo sono pertanto


complessivamente 6x6=36. La matrice [E] cosi definita e detta matrice di rigidezza del materiale
anisotropo.
Considerazioni di natura termodinamica, inoltre, permettono di mostrare che le costanti elastiche
indipendenti sono soltanto 21. Considerando l’espressione generale dell’energia di deformazione U:


U = σ ij dε ij (4)

Derivando questa rispetto alla generica componente di tensione σij ed utilizzando la relazione (2) si
ha:

∂U
∂ε ij
= σ ij = ∑E
k ,l
ijkl ε kl (5)

Derivando la (5) rispetto alla generica componente di deformazione εkl si ottiene così:

∂σ ij ∂ 2U ∂
= =
∂ε kl ∂ε kl ∂ε ij ∂ε kl ∑Ek ,l
ijkl ε kl = E ijkl (6)

Derivando invece la funzione energia di deformazione rispetto alla deformazione εkl e


successivamente la componente di tensione σkl rispetto alla deformazione εkl si ottiene:

∂ 2U ∂
=
∂ε ij ∂ε kl ∂ε ij ∑E
k ,l
ijkl ε kl = E klij (7)

Essendo la funzione energia di deformazione continua rispetto alle deformazioni, in applicazione


del teorema di invertibilità dell’ordine di derivazione si ottiene:

E klij = Eijkl (8)

Cioè il tensore [E] che lega le componenti di tensione con le corrispondenti componenti di
deformazione è simmetrico. Esso è pertanto univocamente definito dagli elementi della diagonale
principale più gli elementi che stanno al di sopra (o al disotto) della diagonale principale. Per una
matrice di ordine 6 tali elementi sono complessivamente pari a (6x7)/2=21. In definitiva pertanto è
possibile affermare che il comportamento elastico (lineare) di un materiale anisotropo è
univocamente individuato da 21 costanti elastiche indipendenti e l’equazione costitutiva in termini
matriciali assume la forma:

69
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

σ 11   E1111 E1122 E1133 E1112 E1113 E1123  ε 11 


σ   E E 2222 E 2233 E 2212 E 2213 E 2223  ε 22 
 22   1122  
σ 33   E1133 E 2233 E 3333 E 3312 E 3313 E 3323  ε 33 
 =   (9)
σ 12   E1112 E 2212 E 3312 E1212 E1213 E1223  ε 12 
σ 13   E1113 E 2213 E 3313 E1213 E1313 E1323  ε 13 
    
σ 23   E1123 E 2223 E 3323 E1223 E1323 E 2323  ε 23 

Se il materiale anisotropo è in particolare ortotropo, cioè presenta tre piani di simmetria


mutuamente ortogonali allora è facile mostrare che le relative leggi costitutive involgono solo 9
costanti elastiche indipendenti.
Indicando infatti con 1,2,3 i tre assi principali del materiale, come osservato in precedenza,
l'applicazione di una tensione σii (i=1,2,3) non produce distorsioni εij (i≠j), cioè non si ha
associazione tra tensioni normali agenti nelle direzioni principali e scorrimenti. Per esempio uno
stato di tensione monoassiale σ11 produce deformazioni lineiche ε11, ε22 e ε33 , mentre saranno
identicamente nulli gli scorrimenti εij (i≠j). In applicazione della (2) si avrà quindi:

σ 11 = ∑E
k ,l
11kl ε kl = E1111ε 11 + E1122 ε 22 + E1133ε 33 + 0 + 0 + 0 (9)

In altre parole, se la tensione σ11 non produce scorrimenti εij (i≠j), allora deve risultare:

E11kl = 0 (k≠l) (10)

Cioè dovranno essere nulli gli ultimi tre termini della prima riga della matrice di rigidezza.
Ripetendo il ragionamento per le altre due componenti di tensione normale σ22 e σ33 si ottiene in
definitiva:

E 22 kl = 0 (k≠l) (11)

E 33kl = 0 (k≠l) (12)

Risulteranno quindi identicamente nulli anche gli ultimi tre termini della seconda e terza riga della
matrice di rigidezza. Tenuto conto della simmetria della matrice, per un materiale ortotropo si avrà
pertanto:

σ 11   E1111 E1122 E1133 0 0 0  ε 11 


σ   E E 2222 E 2233 0 0 0  ε 22 
 22   1122
σ 33   E1133 E 2233 E 3333 0 0 0  ε 33 
 =   (13)
σ 12   0 0 0 E1212 E1213 E1223  ε 12 
σ 13   0 0 0 E1213 E1313 E1323  ε 13 
    
σ 23   0 0 0 E1223 E1323 E 2323  ε 23 

Inoltre, per la simmetria rispetto ai piani 1-2, 1-3 e 2-3, l'applicazione di uno sforzo di taglio σij
(i≠j, i,j=1,2,3) non produce distorsioni εkl (k≠l) negli altri piani (ij≠kl), cioè in applicazione della (2)
deve essere anche:

70
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

σ 12 = ∑E
k ,l
12 kl ε kl = E1212 ε 12 + 0 + 0 + 0 + 0 + 0 (14)

σ 13 = ∑E
k ,l
13 kl ε kl = E1313ε 13 + 0 + 0 + 0 + 0 + 0 (15)

σ 23 = ∑Ek ,l
23 kl ε kl = E 2323ε 23 + 0 + 0 + 0 + 0 + 0 (16)

In virtù delle (14)-(16) saranno quindi identicamente nulli i termini della matrice di rigidezza:

Eij kl = 0 (i≠j, k≠l, ij≠kl) (17)

Risulteranno quindi identicamente nulli anche gli ultimi due termini della quarta riga della matrice
di rigidezza, il sesto della quinta riga (quindi anche il il quarto della quinta riga ed il quinto della
sesta riga per la simmetria della matrice). Tenuto conto della simmetria della matrice, per un
materiale ortotropo si avrà pertanto:

σ 11   E1111 E1122 E1133 0 0 0  ε 11 


σ   E E 2222 E 2233 0 0 0  ε 22 
 22   1122
σ 33   E1133 E 2233 E 3333 0 0 0  ε 33 
 =   (18)
σ 12   0 0 0 E1212 0 0  ε 12 
σ 13   0 0 0 0 E1313 0  ε 13 
    
σ 23   0 0 0 0 0 E 2323  ε 23 

Si noti che il numero di costanti elastiche (9) che definiscono completamente il tensore [E] e quindi
il comportamento elastico (lineare) di un materiale ortotropo, coincide con il numero di costanti
ingegneristiche. Tenuto conto del legame tra moduli di Young e coefficienti di Poisson le costanti
ingegneristiche indipendenti di un materiale ortotropo sono infatti:

E L , ET , ET ' G LT , G LT ' , GTT ' v LT , v LT ' , vTT ' (19)

Il legame (biunivoco) tra i coefficienti della matrice di rigidezza e le costanti ingegneristiche può
essere determinato considerando i casi di sollecitazione semplice considerati nella valutazione delle
costanti ingegneristiche e cioè, sforzo normale semplice nelle tre direzioni principali e taglio puro
(vedi anche capitolo successivo).
Se in particolare, come succede per la lamina con rinforzo unidirezionale, il materiale ortotropo è
anche trasversalmente isotropo allora il numero di costanti indipendenti si riduce a 5. In questo caso
infatti essendo il comportamento nelle due direzioni trasversali T e T’ eguale, si ha:

ET
E T = E T ' , v LT = v LT ' , G LT = G LT ' , GTT ' = (20)
2(1 + v TT ' )

cosicché le costanti elastiche indipendenti sono soltanto:

E L , ET , G LT , v LT , vTT (21)

71
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

Con riferimento ai termini della matrice di rigidezza, per l’eguaglianza del comportamento nelle
due direzioni trasversali 2 e 3 (isotropia trasversale) si ha:

E1122 = E1133 ; E 2222 = E 3333 ; E1212 = E1313 ; E 2323 = ( E 2222 − E 2233 ) / 2; (22)

La relazione matriciale (18) per un ortotropo trasversalmente isotropo assume pertanto la forma:

σ 11   E1111 E1122 E1122 0 0 0  ε 11 


σ   E E 2222 E 2233 0 0 0  ε 
 22   1122   22 
σ 33   E1122 E 2233 E 2222 0 0 0  ε 33 
 =   (23)
σ 12   0 0 0 E1212 0 0  ε 12 
σ 13   0 0 0 0 E1212 0  ε 13 
    
σ 23   0 0 0 0 0 ( E 2222 − E 2233 ) / 2 ε 23 

che involge appunto solo 5 termini indipendenti: E1111, E1122, E2222, E2233, E1212.
In presenza di stato piano di tensione, quale è quello che si verifica sovente in laminati soggetti a
sollecitazioni parallele al piano medio (σ33 =σ13 =σ23=0 ), le tre componenti di tensione significative
sono legate alle corrispondenti componenti di deformazione dalla relazione matriciale che si ottiene
direttamente dalla (23) eliminando terza, quarta e quinta colonna nonchè terza, quarta e quinta riga:

σ 11   E1111 E1122 0   ε 11 
  
σ 22  =  E1122 E 2222 0  • ε 22  (24)
σ   0 0 E1212  ε 12 
 12  

Semplificando la notazione tensoriale la (24) può essere scritta come:

σ 1   E11 E12 0   ε1 
  
σ 2  =  E12 E 22 0  •  ε 2  (25)
τ   0 0 E 33  γ 12 
 12  

Per stato piano di tensione le costanti elastiche indipendenti sono pertanto solo 4. Ciò è in accordo
con l’approccio ingegneristico che prevede in questo caso l’uso delle 4 costanti ingegneristiche:

E L , ET , G LT , v LT

A partire dalla (25) è possibile, mediante semplice inversione della matrice di rigidezza, ottenere la
relazione tra deformazioni e tensioni, cioè:

 ε 1   S11 S12 0  σ 1 
    
 ε 2  =  S12 S 22 0  • σ 2  (26)
γ   0 0 S 33  τ 12 
 12  

La matrice [S] prende il nome di matrice di cedevolezza della lamina ortotropa. I termini
significativi di essa sono legati ai termini della matrice di rigidezza dalle note relazioni di

72
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

inversione della matrice, cioè:

E 22 E11 E12 1
S11 = 2
; E 22 = 2
; S12 = − 2
; S 33 = . (27)
E11 E 22 − E12 E11 E 22 − E12 E11 E 22 − E12 E 33

ovvero dalle inverse:

S 22 S11 S12 1
E11 = 2
; E 22 = 2
; E12 = − 2
; E 33 = . (28)
S11 S 22 − S12 S11 S 22 − S12 S11 S 22 − S12 S 33

In conclusione, si può affermare che le equazioni costitutive di un materiale anisotropo involgono


21 costanti elastiche indipendenti (ovvero matrici 6x6 piene simmetriche, vedi eq.9), quelle di un
materiale ortotropo 9 costanti elastiche indipendenti (matrici 6x6 sparse, vedi eq.18), quelle di un
materiale ortotropo trasversalmente isotropo 5 costanti elastiche indipendenti (matrici 6x6 sparse,
vedi eq.23). Infine nel caso di stato piano di tensione le equazioni costitutive di un ortotropo
involgono solo 4 costanti elastiche (matrici 3x3 sparse, vedi eqs.24 e 26). In ogni caso si ha una
maggiore complessità rispetto al caso di materiali isotropi che involgono, per stati bidimensionali e
tridimensionali, solo 2 costanti elastiche (E,v). Ovviamente le equazioni costitute per materiale
isotropo si ottengono immediatamente dalla (25) semplicemente ponendo E11=E22; E12=( E11-E12)/2:

σ 1   E11 E12 0   ε1 
    • ε 
σ 2  =  E12 E11 0   2 (29)
τ   0 0 ( E11 − E11 ) / 2 γ 12 
 12  

4.3. Relazioni tra costanti elastiche e termini delle matrici di rigidezza e cedevolezza

In presenza di uno stato di tensione biassiale il comportamento meccanico di una lamina ortotropa
(vedi fig.3) è definito univocamente dalle 4 costanti elastiche ingegneristiche EL , ET , GLT , νLT (si
ricordi che νTL è legato a EL , ET e νLT ).

T
σT
τLT
L
σL

Fig.3 - Schema di lamina ortotropa caricata con tensioni nel riferimento naturale.

Il legame tra tali costanti elastiche ed i termini della matrice di rigidezza si ottiene considerando la
lamina soggetta ad uno stato monoassiale di tensione diretto secondo le direzioni principali ed ad
uno stato di taglio puro.
Per uno stato di tensione monoassiale lungo la direzione longitudinale del materiale (σ1 ≠ 0, σ2
=τ12=0 ), la (26) fornisce immediatamente:

73
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

ε L = S11σ L
(30)
ε T = S12σ L

Considerando pertanto le definizioni di modulo di Young e coefficiente di Poisson dalle (30) si


ottiene immediatamente:

σL 1 1
EL = = ⇒ S11 =
ε L S11 EL
(31)
ε S − v LT
v LT = − T = − 12 ⇒ S12 =
εL S11 EL

analogamente considerando uno stato di tensione monoassiale nella direzione trasversale del
materiale (σ2 ≠ 0, σ1 =τ12=0 ) si ha:

σT 1 1
ET = = ⇒ S 22 = (32)
ε T S 22 ET

Considerando invece uno stato di taglio puro nel piano della lamina (τ12≠ 0, σ1 =σ2=0 ) la eq.(26)
fornisce:

γ 12 = S 33τ 12 (33)

per cui si ha immediatamente:

τ 12 1 1
G LT = = ⇒ S 33 = (34)
γ 12 S 33 G LT

In virtù delle (31)-(34), in termini di costanti elastiche ingegneristiche l’equazione costitutiva (26)
si può scrivere come:

 1 v LT 
 − 0 
 ε1   EL EL  σ 1 
   v LT 1  
 ε 2  = − 0  • σ 2  (35)

γ   E L ET  
 12  1  τ 12 
 0 0 
 G LT 

Utilizzando le relazioni (28) è possibile individuare le relazione tra i termini della matrice di
rigidezza e le costanti elastiche ingegneristiche; si ha:

74
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

S 22 1 1 1 1 EL
E11 = = = = ;
S11 S 22 − S12
2
ET 1 1 v LT 2
ET 1 1 v LT vTL 1 − v LT vTL
− 2 −
E L ET EL E L ET E L ET

S11 1 1 1 1 ET
E 22 = ; = = ;
S11 S 22 − S12
2
E L 1 1 v LT 2
E L 1 1 v LT vTL 1 − v LT vTL
− 2 −
E L ET EL E L ET E L ET
(36)
S12 v LT 1 1 1 v E
E12 = − ;- = = LT T ;
S11 S 22 − S12
2
E L 1 1 v LT 2
ET 1 1 v LT vTL 1 − v LT vTL
− 2 −
E L ET EL E L ET E L ET

1
E33 = = G LT .
S 33

In termini di costanti elastiche ingegneristiche la equazione costitutiva (25) si scrive quindi come:

 EL ν LT ET 
 0 
σ 1  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL
  ε1 
   ν LT ET ET  
σ 2  =  0  • ε 2  (37)
τ  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL   
 12  0 0 G LT  γ 12 
 
 

Per un materiale isotropo [EL=ET=E, vLT=vTL=v, GLT=G=E/2(1+v)], infine, le (35) e (37) forniscono
immediatamente le seguenti equazioni costitutive valide ovviamente nel generico riferimento
cartesiano ortogonale:

 ε1   1 −v 0  σ 1 
  1  
 ε 2  = − v 1 0  • σ 2  (35’)
γ  E  0 0 2(1 + v) τ 12 
 12  

 
σ 1  1 v 0   ε 1 
  E
v 1
σ 2  = 0  • ε 2  (37’)
τ  1 − v
2
 (1 − v)   
 12  0 0  γ 12 
 2 

4.4. Matrici di rigidezza e cedevolezza in un riferimento cartesiano arbitrario

Le matrici di rigidezza e di cedevolezza individuate al capitolo precedente permettono di scrivere le


equazioni costitutive, cioè le relazioni tensioni-deformazioni (e viceversa), nel riferimento
principale L-T della lamina ortotropa. Sovente nella progettazione si conoscono le tensioni o le

75
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

deformazioni in un riferimento non coincidente con quello principale del materiale. E’ il caso per
esempio dei laminati angle-ply, o di elementi in composito di cui si conosce facilmente la relazione
tra sollecitazioni esterne e tensioni in un riferimento diverso da quello principale del materiale. Se
si considera un riferimento cartesiano arbitrario le relazioni tra tensioni e deformazioni divengono
più complesse: le matrici di rigidezza sono ora matrici piene, cioè con elementi tutti diversi da zero
ed aventi in genere espressione relativamente complessa.
Le matrici di rigidezza e di cedevolezza in un generico riferimento cartesiano formante col
riferimento principale un angolo generico θ (fig.4), si possono ottenere considerando le equazioni di
trasformazione dello stato di tensione e di deformazione nell'intorno del punto, note dalla Scienza
delle Costruzioni.

T
y σT
x
σy θ
σx
L
σL

Fig.4 - Lamina ortotropa con riferimento cartesiano generico.

Tali relazioni infatti, essendo derivate da semplici considerazioni di equilibrio (le prime) e
geometriche (le seconde) sono valide tanto per materiali isotropi che per materiali anisotropi. Dalle
relazioni generali per tensioni e deformazioni:

 (σ L + σ T ) (σ L − σ T )
σ θ = 2
+
2
cos 2θ + τ LT sin 2θ = σ L cos 2 θ + σ T sin 2 θ + 2τ LT sin θ cosθ
 (38)
τ = − (σ L − σ T ) sin 2θ + τ cos 2θ = −σ sin θ cosθ + σ sin θ cosθ + τ (cos2 θ − sin 2 θ )
 θ 2
LT L T LT

 (ε L + ε T ) (ε L − ε T ) γ
ε θ = 2
+
2
cos 2θ + LT sin 2θ = ε L cos 2 θ + ε T sin 2 θ + γ LT sin θ cosθ
2
 (39)
γ / 2 = − (ε L − ε T ) sin 2θ + γ LT cos 2θ = −ε sin θ cosθ + ε sin θ cosθ + γ LT (cos2 θ − sin 2 θ )
 θ 2 2
L T
2

con riferimento alla fig.4 si ha:

σ x = σ L cos 2 θ + σ T sin 2 θ + 2τ LT sin θ cos θ



σ y = σ L sin θ + σ T cos θ − 2τ LT sin θ cos θ
2 2
(40)

τ xy = −σ L sin θ cos θ + σ T sin θ cos θ + τ LT (cos θ − sin θ )
2 2

76
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

ε x = ε L cos 2 θ + ε T sin 2 θ + τ LT sin θ cos θ



ε y = ε L sin θ + ε T cos θ − γ LT sin θ cos θ
2 2
(41)

γ xy / 2 = −ε L sin θ cos θ + ε T sin θ cos θ + γ LT / 2(cos θ − sin θ )
2 2

che in forma matriciale possono essere scritte come:

σ x  σ L 
   εx   ε
 L


   
σ y  = [T ] • σ T ;  ε y  = [T ] •  ε T .
   
(42-43)
τ  τ  γ / 2 
γ LT / 2 
  
 xy   LT   xy 

avendo indicato con [T] la nota matrice di rotazione data da:

 cos 2 θ sin 2 θ 2 sin θ cos θ 


[T ] =  sin 2 θ cos 2 θ − 2 sin θ cos θ 

(44)
− sin θ cos θ sin θ cos θ cos 2 θ − sin 2 θ 

Utilizzando le (42-43) è infine possibile scrivere a partire dalle (25-26) le corrispondenti relazioni
valide in un generico riferimento cartesiano. Per la relazione tensioni-deformazioni si ha:

σ x  σ L  εL   εL   εx 
σ y  = [T ] • σ T  = [T ] • [E ] •  ε T  = [T ] • [E ] •  ε T  = [T ] • [E ] • [T ] •  ε y 
        −1  
(45)
τ xy  τ LT  γ LT  γ LT / 2 γ xy / 2
   

avendo indicato conE la matrice che si ottiene dalla matrice E (riferita agli assi naturali del
materiale) semplicemente sostituendo il termine GLT con 2GLT . DIvidendo per due i termini della
terza colonna della matrice T-1 ed indicando conT la matrice così ottenuta, la (45) si scrive in
forma compatta come:

σ x  ε x 
  ~  
[]
σ y  = E •  ε y  con [E~] = [T ] [E ] [T ]
• •
−1
(46)
τ xy  γ xy 
   
~
A differenza della matrice [E] la matrice [ E ] è una matrice piena i cui elementi sono in pratica dati
dalle seguenti relazioni:
~
E11 = E11 cos 4 θ + E 22 sin 4 θ + 2( E12 + 2 E 33 ) sin 2 θ cos 2 θ
~
E12 = ( E11 + E 22 − 4 E 33 ) sin 2 θ cos 2 θ + E12 (sin 4 θ + cos 4 θ )
~
E 22 = E11 sin 4 θ + E 22 cos 4 θ + 2( E12 + 2 E 33 ) sin 2 θ cos 2 θ
~ (47-52)
E13 = ( E11 − E12 − 2 E 33 ) sin θ cos 3 θ − ( E 22 − E12 − 2 E 33 ) sin 3 θ cos θ
~
E 23 = ( E11 − E12 − 2 E 33 ) sin 3 θ cos θ − ( E 22 − E12 − 2 E 33 ) cos 3 θ sin θ
~
E 33 = ( E11 + E 22 − 2 E12 − 2 E 33 ) sin 2 θ cos 2 θ + E 33 (sin 4 θ + cos 4 θ )

77
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

Invertendo la (46) si ottiene immediatamente la relazione generale tra deformazioni e tensioni


~
involgente la matrice di cedevolezza [ E ] nel riferimento cartesiano generico:

ε x  σ x 
  ~  
[]
 ε y  = S • σ y  con [S~] = [E~] = [ T ] [S ] [T ]
−1
• •
−1
(53)
γ xy  τ xy 
   

avendo indicato con [ T ] la matrice che si ottiene dalla matrice di rotazione moltiplicando per 2 gli
elementi della terza riga, e con [ S ] la matrice che si ottiene dividendo per 2 il termine S33 (=1/GLT)
~ ~
della matrice di cedevolezza [ S ]. Come la matrice [ E ] la matrice [ S ] è una matrice piena i cui
elementi sono in pratica dati dalle seguenti relazioni:
~
S 11 = S11 cos 4 θ + S 22 sin 4 θ + ( 2 S12 + S 33 ) sin 2 θ cos 2 θ
~
S 12 = ( S 11 + S 22 − S 33 ) sin 2 θ cos 2 θ + S 12 (sin 4 θ + cos 4 θ )
~
S 22 = S11 sin 4 θ + S 22 cos 4 θ + ( 2 S12 + S 33 ) sin 2 θ cos 2 θ
~ (54-59)
S 13 = ( 2 S11 − 2 S12 − S 33 ) sin θ cos 3 θ − ( 2 S 22 − 2 S12 − S 33 ) sin 3 θ cos θ
~
S 23 = ( 2 S11 − 2 S12 − S 33 ) sin 3 θ cos θ − ( 2 S 22 − 2 S12 − S 33 ) cos 3 θ sin θ
~
S 33 = 2( 2 S11 + 2 S 22 − 4 S12 − S 33 ) sin 2 θ cos 2 θ + S 33 (sin 4 θ + cos 4 θ )

Le eq.(47-52) e le (54-59) mostrano che i termini delle matrici di rigidezza e cedevolezza della
lamina ortotropa nel generico riferimento cartesiano sono forniti da espressioni relativamente
complesse, specie per un calcolo manuale. Per questo nel calcolo manuale la legge di Hooke viene
applicata sovente previa riduzione di deformazioni o tensioni nel riferimento principale del
materiale utilizzando le relazioni generali di trasformazione dello stato tensionale e di deformazione
nell'intorno del punto (eq.38-39). Per esempio se sono note le tensioni nel generico riferimento
cartesiano, le corrispondenti componenti di deformazione si ottengono tramite i seguenti tre
successivi passaggi:

σ x  σ L 
  
σ
 x
 ε
 L 

σ L 
   εx   ε
 L 

     
σ y  ⇒  σ T  = [T ]  ε y  = [T ] •  ε T . (60-62)
  −1      

σ ; ⇒  ε T  = [ S ]  σ T ; ⇒
• y

     
τ  τ  τ γ τ γ / 2
γ LT / 2 
        
 xy   LT   xy 
   LT   LT   xy 

Analogamente se sono note le deformazioni nel riferimento cartesiano generico, le corrispondenti


componenti di tensione si ottengono mediante i seguenti tre successivi passaggi:

ε x   ε
 L 
  εx  σ L 
  ε
 L 
 σ x  σ L 
 

     
 ε y  ⇒  ε T  = [T ] σ y  = [T ] •  σ T 
  −1      
• εy  ⇒  σ T  = [ E ]  ε T ; ⇒
    
(63-65)
γ  γ LT / 2 
  γ / 2 τ LT 
 
γ LT 
  τ  τ LT 
 
 xy   xy   xy 

Un esempio pratico di valutazione dello stato di deformazione nel generico riferimento cartesiano
(riferimento globale) è utile a chiarire meglio la procedura utilizzata nel calcolo manuale.
Nel seguito è riportato un esempio applicativo.

78
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

Una lamina composita unidirezionale è soggetta ad uno stato tensionale monoassiale σx=100 MPa,
formante un angolo di 60° con la direzione longitudinale, come indicato in fig.5.

T σx
x

y 60°

Fig.5 - Lamina ortotropa soggetta a stato monoassiale di tensione.

Si calcolino le componenti di deformazione nel riferimento cartesiano x-y essendo note le 4 costanti
elastiche indipendenti: EL =14 GPa, ET =1.75 GPa, GLT =3.5 GPa e νLT =0.4.
Si ha anzitutto in virtù della relazione tra moduli di Young e coefficienti di Poisson:

ET 1.75
vTL = v LT = 0.4 = 0.4 / 8 = 0.05. (66)
EL 14

Le componenti di tensione nel riferimento principale del materiale si ottengono mediante la


relazione generale di rotazione, essendo l'angolo θ che interviene nella matrice di rotazione (dal
vecchio riferimento al nuovo) pari a -60°, cioè:

σ L   cos 2 (−60°) sin 2 (−60°) 2 sin(−60°) cos(−60°)  σ x 


σ  =  sin (−60°)
2
cos (−60°)
2   
− 2 sin(−60°) cos(−60°)  • σ y  (67)
 T 
τ LT  − sin(−60°) cos(−60°) sin(−60°) cos(−60°) cos2 (−60°) − sin 2 (−60°) τ xy 

Eseguendo i calcoli si ha:

σ L   1 / 4 3/ 4 − 3 / 2 100 25

σ  = 3 / 4     
  T  1 / 4 3 / 2  •  0  = 75 (68)
τ LT   3 / 4 − 3 / 4 − 1 / 2   0   43
 

A questo punto è facile ottenere le componenti di deformazione mediante la matrice di cedevolezza:

 1 ν LT   1 0.4 
 − 0  − 0 
 14
 ε L   EL ET  σ L   0.4
1.75
  
25 15357 µm / m 
 ε  = − ν LT 1
0   σ T  = 10 −3 −
1
0  75 = 41457 µm / m
   (69)
 T   E ET   14 1.75 
γ LT  
1  τ LT 
L
   0 1  43  1228 * 10 
−6

 0 0   0
 G LT  3.5 

79
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

Dalla (69) si ottengono le componenti di deformazione sul piano cartesiano x-y, come:

 εx   cos 2 (60°) sin 2 (60°) 2 sin(60°) cos(60°)   ε L 


   
 εy = sin 2 (60°) cos 2 (60°) − 2 sin(60°) cos(60°)  •  ε T  (70)
γ xy / 2 − sin(60°) cos(60°) sin(60°) cos(60°) cos 2 (60°) − sin 2 (60°) γ LT / 2
   

cioè:

 ε x   1/ 4 3/ 4 3 / 2   15357 µm   35944 µm 
   
 ε y  =  3/ 4 1 / 4 − 3 / 2 •  41457 µm  =  20819 µm  (70’)
γ xy / 2 − 3 / 4 3 / 4 − 1 / 2  1228 * 10 − 6  10674 * 10 − 6 
  

La (70’) mostra come l'applicazione di un carico di trazione semplice in una generica direzione
diversa dalle direzioni principali del materiale produce anche uno scorrimento nel piano della
lamina.
Dai risultati ottenuti è possibile calcolare il modulo di Young esibito dal materiale in direzione x
nonché il coefficiente di Poisson νxy. Si ha:

σx 100 ε y 20819
Ex = = 10 6 = 2.78 GPa; ν xy = − = = 0.58 GPa. (71-72)
ε x 35944 ε x 35944

La presenza dello scorrimento consente per i materiali ortotropi di definire un coefficiente di


accoppiamento mx tra scorrimento γxy e corrispondente tensione normale σx , definito come:

γ xy 21348 * 10 −6
mx = − = = 2.99 (73)
σ x / EL 100 / 14000

4.5. Relazioni tra costanti elastiche e matrice di cedevolezza

Le costanti elastiche della lamina ortotropa nel generico riferimento cartesiano possono essere
determinate in modo sistematico considerando uno stato di tensione monoassiale ed uno stato di
taglio puro agente nella generica direzione. Considerando uno stato monoassiale σx dalle (53) si
ha dopo semplici passaggi:
 σx 1
E x = ε = ~
S11
~ ~ ~
 ε x   S11 S12 S13  σ x  ε x = S~11σ x  x

  ~ ~
  ~ ~ ~    ~ εy S12σ x S12
 ε y  = S~12 S~22 S~23  •  0  ⇒ ε y = S12σ x ⇒ v xy = −
ε
=− ~
S σ
=− ~
S
(74-76)
γ xy   S13 S 23 S 33   0   ~  x 11 x 11
    γ xy = S13σ x  γ
m x = − xy E L = S~13 E L
 σx

Considerando invece uno stato di tensione monoassiale in direzione y, con procedura analoga si
ottiene il coefficiente di accoppiamento my:

80
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

γ xy ~
my = − E L = − S 23 E L (77)
σy

Considerando invece uno stato di taglio puro è possibile individuare la relazione generale che
fornisce il modulo di taglio nella generica direzione, nonché una definizione alternativa dei
coefficienti di accoppiamento:

 εx ~
m x = − E L = − S13 E L
~ ~ ~ ~
ε x = S13τ xy  τ xy
 ε x   S11 S12 S13   0  
  ~ ~ ~     ~  εy ~
 ε y  = S12 S 22 S 23  •  0  ⇒ ε y = S 23τ xy ⇒ m y = −
τ xy
E L = − S 23 E L (78-80)
γ xy   S~13 ~
S 23
~
S 33  τ xy   ~ 
   γ xy = S 33τ xy  τ
G xy = xy = ~1
 γ xy S 33

Le (74)-(80) insieme alle (54-59) consentono di valutare immediatamente le costanti elastiche della
lamina nel generico riferimento cartesiano in funzione dei termini della corrispondente matrice di
cedevolezza.
A titolo di esempio in fig.6 è rappresentato l'andamento del modulo di Young, del modulo di
elasticità trasversale, del coefficiente di Poisson e dei coefficienti di accoppiamento al variare della
direzione θ considerata per una lamina unidirezionale in fibra di vetro-resina epossidica.
Si vede come il modulo di Young subisce un rapido abbassamento per piccoli disallineamenti tra la
direzione di applicazione del carico e quella delle fibre: tale situazione quindi va tenuta debitamente
sotto controllo in esercizio e/o nella produzione dei manufatti in composito.

Fig.6 - Andamento tipico delle costanti elastiche al variare della direzione per lamina unidirezionale
in fibra di vetro-resina epossidica.

81
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

Si noti inoltre come i coefficienti di accoppiamento mx e my risultano massimi per angoli prossimi
rispettivamente a 35° e 55° e si annullano in corrispondenza delle direzioni principali del materiale.
Il modulo di elasticità trasversale assume il suo massimo valore in corrispondenza di θ=45°, cioè la
lamina esibisce la massima rigidezza a taglio per θ=±45°, la minima rigidezza nelle direzioni
principali.
Si noti anche come il modulo di Young è in pratica compreso tra i due moduli principali mentre il
coefficiente di Poisson non è compreso tra il coefficiente di Poisson “major” vLT e quello “minor”
vTL. E' questo un risultato piuttosto generale: il modulo di Young di una lamina composita varia
generalmente tra i due estremi costituiti dai moduli nelle due direzioni principali (limitate eccezioni
si hanno per alcune lamine rinforzate con fibre di boro o carbonio), mentre il coefficiente di Poisson
può assumere valori esterni all'intervallo individuato dai due coefficienti principali. In particolare, a
differenza di quanto accade per i materiali isotropi, per gli anisotropi il coefficiente di Poisson può
essere superiore a 0.5. L’unica limitazione al coefficiente di Poisson “major” vLT è data dalla
seguente relazione:

EL
v LT ≤ (81)
ET

La (81) mostra che per una lamina unidirezionale di composito a matrice polimerica, per la quale
risulta EL>> ET , il coefficiente di Poisson “major” puo assumere anche valori ben superiori ad 1.
Utilizzando la relazione tra moduli di Young e coefficienti di Poisson, dalla (81) si ha dopo
semplici passaggi:

ET
vTL ≤ (82)
El

Per gli stessi motivi sopra richiamati quindi il coefficiente di Poisson “minor” può assumere valori
anche molto piccoli.

4.6. Lamine con rinforzo bidirezionale

Tutte le formule sopra esposte sono valide per qualunque lamina ortotropa e quindi esse sono
applicabili non solo a lamine con rinforzo unidirezionale ma anche a lamine bidirezionali aventi
fibre disposte secondo due direzioni ortogonali (woven e non-woven fabrics) o inclinate di un certo
angolo (braided mat).
Una lamina bidirezionale molto utilizzata è quelle che presenta la stessa percentuale di fibre in
entrambe le direzioni e, conseguentemente le stesse caratteristiche elastiche nelle due direzioni
principali (EL=ET, vLT=vTL).
Una tale lamina, detta "lamina ortotropa bilanciata" presenta ovviamente un comportamento
simmetrico anche rispetto agli assi disposti a ±45°, cioè anche gli assi a ±45° sono assi principali
come mostra la seguente figura riportante l'andamento delle costanti elastiche al variare della
direzione per un lamina ortotropa bilanciata in fibra di vetro-resina epossidica.
I due rapporti mx e my si annullano infatti oltre che in corrispondenza delle direzioni delle fibre,
anche in corrispondenza delle direzioni a ±45°.

82
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

Fig.7 - Andamento tipico delle costanti elastiche con la direzione per lamina bidirezionale (cross-ply)
bilanciata in fibra di vetro-resina epossidica.

La matrice di rigidezza di una lamina rinforzata con fibre disposte a 0° e 90° può essere determinata
in modo piuttosto semplice utilizzando il principio di sovrapposizione. Per una lamina a 0° (assi L-
T coincidenti con gli assi 1-2) e 90 (assi L-T coincidenti con gli assi 2-1) si può scrivere
rispettivamente:

 EL ν LT ET   EL ν LT ET 
 0  1 − ν ν 0 
σ 1  σ L  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL
 ε L   LT TL 1 − ν LTν TL
 ε1 
     ν LT ET ET   ν ET ET  
σ 2  = σ T  =  0  ε T  =  LT
0   ε 2  (83)
τ  τ  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL    1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL  
 12   LT  0 0 G LT  γ LT   0 0 G LT  γ 12 
   
   

 ν LT ET ET   ET ν LT ET 
 0  1 − ν ν 0 
σ 1  σ T  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL
ε L   LT TL 1 − ν LTν TL
 ε 1 
     EL ν LT ET   ν ET EL  
σ 2  = σ L  =  0  ε T  =  LT
0  ε 2  (84)
 1 − ν LTν TL 
τ  τ  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL   1 − ν LTν TL  
 12   12  0 0 G LT  γ 12   0 0 G LT  γ 12 
   
   

Si noti che nella (84) la matrice di rigidezza della lamina a 90° si ottiene da quella scritta nel
riferimento naturale della lamina, mediante semplice permutazione delle prime due righe e delle
prime due colonne.
Le tensioni medie agenti nella lamina con rinforzo bidirezionale si ottengono dalla media di quelle
fornite dalle (83) e (84):

83
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

 E L ν LT ET   ET ν LT ET 
1 − ν ν 0   0 
σ 1  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL
 LT TL
    ε 1 
  1  ν LT ET ET ν E EL  
σ 2  =  0  +  LT T 0   ε 2  (85)
τ  2 1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL  1 − ν LTν TL 1 − ν LTν TL   
 12  bidir  0 0 G LT   0 0 G LT  γ 12 
   
    

La (85), dopo semplici passaggi fornisce:

 
(E + E ) / 2 ν LT E T
0 
 L T
1 − ν LTν TL 
 1 − ν LTν TL 
 
σ 1    ε 1 
   ν LT E T ( E L + ET ) / 2 0  
σ 2  =
 1 −ν ν
ε
 2 
(86)
τ  1 − ν ν
 12  bidir 
LT TL LT TL
 γ 12 
 
 0 0 G LT 
 
 
 
La (86) mostra come la lamina cross-ply bilanciata ha una rigidezza longitudinale inferiore a quella
della lamina unidirezionale [(EL+ET)/2<<EL ]e la stessa rigidezza trasversale.
Con lo stesso procedimento usato per la lamina cross-ply può essere determinata la matrice di
rigidezza di una lamina tipo “braided mat” considerando però per ciascuna delle due (sotto) lamine
~
la corrispondente matrice di rigidezza [ E ] .

4.7. Invarianti di una lamina ortotropa

Manipolando opportunamente le relazioni che forniscono i termini della matrice di rigidezza nel
generico riferimento cartesiano (eq.47-52) è possibile mostrare che questi sono forniti in alternativa
dalle seguenti relazioni:

~
E11 = U 1 + U 2 cos 2θ + U 3 cos 4θ
~
E 22 = U 1 − U 2 cos 2θ + U 3 cos 4θ
~
E12 = U 4 − U 3 cos 4θ
~ 1
E13 = U 2 sin 2θ + U 3 sin 4θ (86-91)
2
~ 1
E 23 = U 2 sin 2θ − U 3 sin 4θ
2
~ 1 1
E33 = U 1 − U 4 − U 3 cos 4θ
2 2

essendo:

84
B. Zuccarello Progettazione con materiali compositi

1
U 1 = (3E11 + 3E 22 + 2 E12 + 4 E33 );
8
1
U 2 = ( E11 − E 22 );
2
(92-95)
1
U 3 = ( E11 + E 22 − 2 E12 − 4 E33 );
8
1
U 4 = ( E11 + E 22 + 6 E12 − 4 E33 );
8

Le 4 costanti Ui (i=1,2,..4) sono invarianti rispetto ad una rotazione del riferimento; esse pertanto
sono considerate le vere caratteristiche elastiche di un materiale ortotropo.
Le (86-91) possono essere utilizzate anche per la verifica dei valori dei termini della matrice di
rigidezza nel generico riferimento cartesiano, calcolati mediante le relazioni (47-52). In termini
matriciali le (86-91) possono scriversi come:

~  1 cos 2θ cos 4θ 0 
 E11   
~   1 − cos 2θ cos 4θ 0  U 
 E 22   1/ 2 0 − cos 4θ − 1/ 2   1
 E~33    U 2 
~ =  0 0 − cos 4θ 1  U  (96)
 E12   sin 2θ   3
 E~   0 sin 4θ 0  U 4 
2
 ~13   sin 2θ 
 E 23   0 − sin 4θ 0 
 2 

In modo analogo anche i termini della matrice di cedevolezza possono essere scritte in funzione di 4
invarianti:

~
S11 = V1 + V2 cos 2θ + V3 cos 4θ
~
S 22 = V1 − V2 cos 2θ + V3 cos 4θ
~
S12 = V4 − V3 cos 4θ
~ (97-102)
S13 = V2 sin 2θ + 2V3 sin 4θ
~
S 23 = V2 sin 2θ − 2V3 sin 4θ
~
S 33 = 2V1 − 2V4 − 4V3 cos 4θ

essendo:
1
V1 = (3S 11 + 3S 22 + 2 S 12 + S 33 );
8
1
V 2 = ( S 11 − S 22 );
2
(103-106)
1
V 3 = ( S11 + S 22 − 2 S 12 − S 33 );
8
1
V 4 = ( S 11 + S 22 + 6S 12 − S 33 );
8

85
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

5. Laminati compositi

5.1. Generalità
L'uso di semplici lamine con rinforzo unidirezionale risulta insoddisfacente nella maggior parte
delle applicazioni ingegneristiche a causa della bassissima resistenza e rigidezza in direzione
trasversale. La resistenza e la rigidezza trasversale di una lamina unidirezionale, infatti, strettamente
dominate da resistenza e rigidezza della matrice, risultano in genere insufficienti ad assicurare,
anche in presenza di limitati (trascurabili) carichi trasversali, l'assenza di fenomeni di
danneggiamento, la stabilità di forma e l'integrità dei manufatti.
Questo inconveniente è superato ricorrendo ai laminati compositi costituiti dalla unione di n lamine
con rinforzo unidirezionale orientate in modo da soddisfare le varie esigenze di progetto quali, in
particolare, resistenza e rigidezza.
Per la corretta progettazione di un laminato composito è necessario conoscere le relazioni che
intercorrono, per dato tipo di lamine e sequenza di impacchettamento, tra le caratteristiche
meccaniche delle lamine e quelle del laminato ottenuto. Sotto alcune ipotesi semplificative, tali
relazioni sono individuate dalla cosiddetta "Teoria classica dei laminati".

5.2. Teoria classica dei laminati


L'andamento delle deformazioni e delle tensioni in un laminato composito può essere facilmente
ottenuto se sono soddisfatte alcune ipotesi semplificative quali:
1) le lamine costituenti il laminato siano perfettamente incollate cosicché nessuno scorrimento
reciproco si può verificare sotto l'azione dei carichi applicati (continuità di spostamenti e
deformazioni all’interfaccia tra due lamine adiacenti);
2) il generico segmento rettilineo ortogonale al piano medio del laminato (vedi fig.1) rimane
rettilineo ed ortogonale al piano medio anche a deformazione avvenuta, cioè γxz = γyz =0;
3) la deformazione εz sia piccola e trascurabile rispetto alle altre deformazioni εx ed εy;
4) lo spessore del laminato sia piccolo rispetto alle altre dimensioni.

uo
wo
z α
α
z zα
non deformato deformato

Fig.1 – Sezione non deformata e deformata di laminato di piccolo spessore: notazione generale

L'ipotesi 1) è generalmente ben soddisfatta dai laminati compositi commerciali essendo lo spessore
dell'adesivo utilizzato molto piccolo rispetto alle stesse dimensioni delle lamine. In un laminato di
spessore piccolo rispetto alle altre dimensioni, inoltre, le ipotesi 2) e 3) sono soddisfatte nelle zone
lontane dai carichi applicati e dai bordi.
Sotto queste ipotesi, considerando un generico segmento rettilineo ortogonale al piano medio ed
indicando con u0, v0 ed w0 le componenti lungo x, y e z dello spostamento subito dal punto
appartenente al piano medio del laminato (fig.1), si ha allora che lo spostamento u lungo x subito
dal generico punto del segmento distante z dal piano medio è dato da:

u ( z ) = uo − α z (1)

57
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

essendo α la rotazione subita dal segmentino considerato. Tenendo conto delle ipotesi fatte, tale
rotazione è legata allo spostamento lungo z (abbassamento) dalla relazione:

∂w ∂wo
α= = (2)
∂x ∂x

Sostituendo la (2) nella (1) si ha pertanto:


∂wo
u ( z ) = uo − z (3)
∂x

Con analogo procedimento, considerando la deformazione in direzione y si ottiene anche:

∂wo
v (z ) = v o − z (4)
∂y

Utilizzando le equazioni di congruenza, per le deformazioni nel piano x-y si ottengono le seguenti
espressioni:

 ∂u ∂uo ∂2w
 xε = = − z = ε x o + zk x
 ∂x ∂x ∂x 2

 ∂v ∂v o ∂2w
ε y = = − z 2 = ε y o + zk y (5-7)
 ∂y ∂y ∂y
 ∂u ∂v ∂u o ∂v o
2
∂ w
γ xy = + = + − 2z = γ xy o + zk xy
 ∂y ∂x ∂y ∂x ∂y∂x

avendo indicato con kx, ky e kxy le curvature del piano medio del laminato rispettivamente nel piano
x-z, y-z e x-y. Le (5-7) possono essere scritte in forma matriciale come:

 ε x   ε x o   kx 
   o  
 ε y  =  ε y  + z k y  (8)
γ xy  γ o  k xy 
   xy   

con ovvio significato dei simboli. La eq.(8) mostra che le componenti di deformazione significative
variano tutte linearmente nello spessore z del laminato.
Se le deformazioni variano linearmente lungo z, non così avviene solitamente per le tensioni. In
ciascuna lamina del laminato esse infatti sono legate alle deformazioni dalle relazioni tensioni-
deformazioni viste al capitolo precedente. Per la k-esima lamina (vedi anche fig.3) la cui distanza
dal piano medio del laminato varia tra zk-1 e zk si ha quindi:

σ x  ε x  ε xo   kx 
  ~
[]
σ y  = E k
 
[]
~  o
[]
~  
• ε y  = E k ε y  + z E k  k y  (9)
τ  γ  γ o  k 
 xy   xy   xy   xy 

58
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

~
Tenuto conto che la matrice di rigidezza [ E] k varia da una lamina all'altra dipendendo oltre che
dalle peculiari caratteristiche della lamina anche dal relativo orientamento, in virtù delle (9) si ha
che a differenza delle deformazioni le tensioni non hanno un andamento lineare nella generica
sezione del laminato, ma presentano in genere dei salti passando da una lamina all'altra.
L'andamento è lineare invece all'interno di ciascuna lamina. A titolo di esempio la figura seguente
mostra l'andamento qualitativo di una possibile distribuzione delle tensioni in un laminato costituito
da tre lamine sovrapposte.

x
2
z 3
ε Ex σ

Fig.2 – Tipico andamento di deformazioni e tensioni in laminato composito.

5.3. Matrici di rigidezza del laminato


Le relazioni (9) legano le tensioni presenti su ciascuna lamina con le corrispondenti deformazioni e
curvature del piano medio del laminato. A partire da queste è possibile individuare (in forma
matriciale) il legame esistente tra le caratteristiche di sollecitazione del laminato (sforzo normale,
momento torcente e flettente) per unità di larghezza del laminato e le componenti di deformazione
del piano medio.
Si consideri il caso generale di un laminato costituito da n lamine, ed avente spessore complessivo h
(vedi fig.3).
numero lamina

1
2
ho
h1 h piano medio
2
x
hk h zk
h k sk
hn n-1
n

z
Fig.3 - Geometria di laminato con n lamine e notazione generale.

Da ovvie considerazioni di equilibrio, per le componenti cartesiane dello sforzo normale (per unità
di larghezza) si ha:

h/ 2
Nx = ∫ σ x dz
− h/ 2
h/ 2
(10-11)
Ny = ∫ σ y dz
− h/ 2

Per il taglio nel piano x-y del laminato si ha invece:

59
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

h/ 2
Txy = ∫− h/ 2 τ xy dz (12)

Per le componenti del momento flettente:

h/ 2
Mx = ∫ σ x zdz
− h/ 2
h/ 2
(13-14)
My = ∫− h / 2 σ y zdz

e per il momento torcente infine:

h/ 2
M xy = ∫− h / 2 τ xy zdz (15)

Sostituendo nelle (10-15) la relazione generale (9) è possibile legare le caratteristiche di


sollecitazione alle componenti di deformazione del piano medio del laminato. Tenendo conto delle
proprietà dell'integrale per lo sforzo normale ed il taglio si ottiene:

N x  σ x  σ x  ε xo   kx 
  h/2   hk  
[]
~  o ~  
[]
n n

 N y  = ∫− h / 2 σ y dz = ∑ ∫h σ y dz = ∑ ∫h E k  ε y  + z E k  k y dz =


hk

T  τ  k =1 k −1 
τ  k =1 k −1 γ o  k 
 xy   xy   xy   xy   xy 
ε xo   kx 

[]  o   n ~
[]  
n
~
= ∑ E k ∫ dz   ε y  + ∑ E
hk hk
k ∫ zdz   k y  = (16)
 k =1 hk −1
  o   k =1 hk −1
 
γ xy  k xy 
ε xo   kx 

[]  o   n ~
[]  
n
~
= ∑ E k (hk − hk −1 )   ε y  + ∑ E k (hk − hk −1 ) / 2  k y 
2 2

 k =1   o   k =1  
γ xy  k xy 

Ponendo quindi:

[] [] [] []z
n n n n
~ ~ ~ ~
[ A] = ∑ E k (hk − hk −1 ) = ∑ E k s k ; [ B] = ∑ E k (hk − hk −1 ) / 2 = ∑ E k s k k
2 2
(17-18)
k =1 k =1 k =1 k =1 2

si ha così:

N x   εxo   kx 
   o  
 N y  = [ A] ε y  + [ B] k y  (19)
 Txy  γ o  k xy 
   xy   

essendo gli elementi della matrice A e B dati rispettivamente da:

60
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

n n
~ ~
Aij = ∑ ( E ij ) k ( hk − hk −1 ); Bij = ∑ ( E ij ) k ( hk 2 − hk −12 ) / 2; (20-21)
k =1 k =1

Per i momenti flettenti e torcente si ha invece ordinatamente:

Mx  σ x  σ x  ε xo   kx 
  h/2   hk  
[]
~  o 2 ~  
[]
n n

 M y  = ∫− h / 2 σ y  zdz = ∑ ∫h σ y  zdz = ∑ ∫h E k z  ε y  + z E k  k y dz =


hk

M  τ  k =1 k −1 
τ  k =1 k −1 γ o  k 
 xy   
xy  xy  xy   xy 
ε xo   kx 

[]  o   n ~
[]  
n
~ hk
= ∑ E k ∫ zdz   ε y  + ∑ E
hk
k ∫ z dz   k y  =
2
(22)
 k =1 hk −1
  o   k =1 hk −1
 
γ xy  k xy 
ε xo   kx 

[]  o   n ~
[]  
n
~
=  ∑ E k ( hk − hk −1 ) / 2  ε y  + ∑ E k (hk − hk −1 ) / 3   k y 
2 2 3 3

 k =1   o   k =1  
γ xy  k xy 

Ponendo quindi:

n ~
[] 
[ D] = ∑ E k ( hk − hk −1 ) / 3 =
3 3
(23)
 k =1 

si ha così:

 Mx   εxo   kx 
   o  
 M y  = [ B] ε y  + [ D] k y  (24)
 M xy  γ o  k xy 
   xy   

essendo gli elementi della matrice D dati da:

n
~
Dij = ∑ ( E ij ) k ( hk 3 − hk −1 3 ) / 3; (25)
k =1

La (19) e la (24) possono infine essere riunite nell'unica espressione matriciale:

~
 N   A B  ε~ 
o

 ~=   • ~  (26)
M   B D  k 

che rappresenta l'equazione costitutiva del laminato. Le matrici A, B e D prendono il nome


rispettivamente di matrice di rigidezza estensionale, di accoppiamento e di rigidezza flessionale.
La (19) mostra che, similmente a quanto accade in una singola lamina unidirezionale in cui uno
sforzo normale semplice produce in genere oltre che una deformazione normale anche uno
scorrimento e viceversa uno sforzo di taglio produce oltre che uno scorrimento anche una
deformazione normale, in un laminato uno sforzo normale o un taglio producono in genere oltre che
61
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

una deformazione nel piano anche una curvatura flessionale e/o torsionale del piano medio.
Analogamente la (24) mostra che un momento flettente o torcente produce in genere oltre che una
corrispondente curvatura, anche deformazioni e scorrimenti nel piano medio del laminato.
Si osservi che tale accoppiamento è legato esclusivamente alle diverse caratteristiche meccaniche
delle varie lamine ed alla sequenza di impacchettamento e non alla anisotropia di queste. La matrice
di accoppiamento B infatti è non nulla anche in presenza di lamine in materiale isotropo come si
verifica per esempio nelle strisce bimetalliche solitamente usate come dispositivi di controllo della
temperatura.
~
Si osservi infine che le matrici A, B e D sono, come le matrici [ E] k da cui dipendono, legate al
particolare riferimento cartesiano considerato. Conseguentemente, cosi come l'accoppiamento tra
deformazioni normali e scorrimenti per una lamina varia con la direzione, per un laminato
l'accoppiamento tra deformazioni normali e curvature varia con la direzione del carico. In altre
parole uno stesso laminato possono esistere riferimenti in cui la matrice B risulta identicamente
nulla.

5.4. Matrici di rigidezza di laminati particolari


5.4.1 Laminati simmetrici (B=0)
Una particolare classe di laminati è costituita da quei laminati in cui l'accoppiamento tra flessione e
sforzo normale è eliminata (B=0). In questi laminati l'applicazione di uno sforzo normale non
produce flessione del piano medio ne l'applicazione di un momento flettente produce deformazioni
(estensione/contrazione) del piano medio. Tale caratteristica è molto importante al fine di evitare
che l'applicazione di sollecitazioni nel piano del laminato produca deformazioni fuori dal piano
(ingobbamenti). Inoltre, molto importante, l'assenza di accoppiamento permette di evitare che il
raffreddamento del laminato dopo la cura dia luogo a fastidiose distorsioni dello stesso.
Tenendo conto delle equazioni costitutive trovate al capitolo precedente, si vede che un tale
comportamento del laminato corrisponde alla condizione per cui la matrice di accoppiamento B
risulta identicamente nulla. Tenendo conto che il generico termine della matrice B è dato dalla
~
sommatoria estesa alle lamine degli omologhi termini della matrice [ E] k moltiplicati per lo spessore
della lamina e per la semi distanza media dal piano medio skzk/2, si ha che tali termini possono
essere resi nulli se ad ogni lamina posta al di sopra (al di sotto) del piano medio corrisponde una
lamina eguale e con identico orientamento disposta simmetricamente rispetto al piano medio. Un
tale laminato dicesi perciò laminato simmetrico.
In letteratura un laminato simmetrico è indicato con un codice che riporta sinteticamente èntro
parentesi quadre l'orientamento delle lamine di metà laminato nella effettiva sequenza di
impacchettamento, con il pedice S (simmetrico) fuori parentesi. L'orientamento delle lamine è
indicato per semplicità omettendo il simbolo di gradi (°). Nel caso di lamine consecutive aventi lo
stesso orientamento, il numero di lamine è indicato con un pedice. Per esempio il laminato
simmetrico costituito complessivamente da 8 lamine così orientate:

0° \ 0° \ +45° \ -45° \ -45° \ +45° \ 0° \ 0°

è sinteticamente indicato con il codice [02 / ±45°]s.


Nel caso in cui il laminato è ottenuto ripetendo m volte una sequenza di n lamine, allora la sua
indicazione può essere semplificata indicando tra parentesi tonde la sequenza e mettendo m come
pedice. Per esempio per un laminato costituito da una sequenza di 5 lamine

0° \ 0° \ +45° \ -45° \90°

62
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

ripetuta 20 volte (laminato simmetrico) si indica sinteticamente con il codice [(02 / ±45°/90°)10]s.

5.4.2 Laminati simmetrici con A13=A23=0 (laminati ortotropi)


Un'altra classe di laminati importante è quella che presenta disaccoppiamento tra sforzo normale e
scorriemnti ovvero tra taglio e deformazioni normali. Considerando l'equazione costitutiva (19) è
facile osservare che tale condizione si realizza se i termini A13 ed A23 della matrice A risultano nulli.
Tenendo conto che tali termini risultano dalla sommatoria estesa alle lamine dei termini omologhi
~
della matrice [ E]k per lo spessore della lamina (costante per lamine eguali), e considerando che i
~ ~
termini E13 ed E 23 sono funzioni dispari di θ (vedi eq.45-46 del cap.4.4), si ha che i termini A13 ed
A23 della matrice A possono essere annullati se e solo se il laminato è costruito in modo che ad una
lamina con orientamento θ corrisponde, indipendentemente dalla sequenza di impacchettamento,
una lamina con orientamento opposto -θ. E' infatti:

~ ~
E13 (θ ) = ( E11 − E12 − 2 E 33 ) sinθ cos 3 θ − ( E 22 − E12 − 2 E 33 ) sin 3θ cos θ = − E13 (−θ ) (27)
~ ~
E 23 (θ ) = ( E11 − E12 − 2 E 33 ) sinθ 3 cos θ − ( E 22 − E12 − 2 E 33 ) sinθ cos θ 3 = − E 23 (−θ ) (28)

Ovviamente è possibile costruire un laminato che presenta disaccoppiamento tra sforzo normale e
scorrimento e sia al tempo stesso simmetrico (disaccoppiamento tra sforzi normali o taglio e
curvature). Basta a tal fine disporre le lamine in modo tale che la metà superiore (inferiore) del
laminato sia costituita da lamine che soddisfano da sole la condizione A13 =A23=0, cioè ad una
lamina con orientamento θ corrisponda una lamina con orientamento -θ, e che la parte inferiore
(superiore) del laminato sia simmetrica di quella superiore (inferiore) rispetto al piano medio.
E' importante osservare che, similmente a quanto succede in una lamina ortotropa, il
disaccoppiamento tra deformazioni normali e scorrimenti (A13 =A23=0) dipende dalla direzione di
applicazione del carico, cioè dal riferimento considerato. Cosi come per la lamina unidirezionale,
per la quale il disaccoppiamento si verifica solo per carico agente lungo gli assi principali, per il
laminato ciò si verifica solo se il carico agisce lungo gli assi x-y per cui risulta A13 =A23=0. In altre
parole gli assi x-y per cui risulta A13 =A23=0 costituiscono in pratica gli assi principali del laminato.
~ ~
Con riferimento alla espressione analitica dei termini E13 ed E 23 , considerando un nuovo
riferimento cartesiano x'-y' ruotato di un angolo α (diverso da 0° e 90°) rispetto al riferimento
principale x-y, si ha infatti:
~ ~
E13 (θ − α ) ≠ − E13 (−θ − α ) (29)
~ ~
E 23 (θ − α ) ≠ − E 23 (−θ − α ) (30)

A titolo di esempio il laminato simmetrico citato al punto precedente costituito da 8 lamine tutte
eguali orientate secondo lo schema [02 / ±45°]s è un laminato per cui risulta anche A13 =A23=0. La
sequenza di impacchettamento, come osservato, non ha alcuna importanza e pertanto fermo
restando l'orientamento di ogni lamina essa può essere variata per il soddisfacimento di ulteriori
esigenze di processo o produzione.
Laminati simmetrici con A13 =A23=0 sono detti comunemente laminati ortotropi in quanto
ammettono, come la lamina ortotropa, tre piani piani (x-y-z) di simmetria mutuamente ortogonali.

5.4.3 Laminati con D13≈D23≈0

63
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Un'altra classe di laminati notevoli infine è quella che realizza il disaccoppiamento tra sollecitazioni
flettenti e curvatura torsionale e viceversa tra momento torcente e curvature flessionali. In tali
laminati un momento flettente produce solo una curvatura del laminato nel proprio piano essendo
nulla quella nel piano ortogonale. Osservando la (24) si vede che tale condizione si realizza se e
solo se risulta D13 =D23=0. Tenendo conto che i termini della matrice D sono legati al prodotto dei
~
termini della matrice [ E]k per la differenza dei cubi delle distanze degli estremi della lamina dal
~ ~
piano medio, e che in particolare come gia osservbato i termini E13 ed E 23 sono funzioni dispari di
θ (vedi eq.27-28), si ha anzitutto che per un laminato simmetrico certamente non risulta soddisfatta
~
la condizione D13 =D23=0. In questo caso infatti per una coppia di lamine simmetriche i termini E13
~
ed E 23 sono uguali ed uguali sono anche le differenze dei cubi delle distanze degli estremi delle
lamine rispetto al paino medio.
Per annullare tali termini è necessario invece disporre sopra e sotto il piano medio lamine con
orientamento opposto. Ma tale situazione non è vantaggiosa essendo il disaccoppiamento tra sforzo
normale e flessione sempre desiderato (laminati simmetrici). Si osserva comunque che se si
dispongono le lamine successive con orientamento opposto si ottiene una matrice con elementi D13
e D23 molto piccoli (essendo opposti gli omologhi termini della matrice di rigidezza e pressoché
eguali i coefficienti legati ai cubi delle distanze), cosicché flessione e torsione sono pressoché
disaccoppiati.
Come per il caso precedente, e per gli stessi motivi, la condizione di disaccoppiamento è
strettamente legata all'orientamento.
Tenuto conto di quanto visto ai due capitoli precedenti, si ha che un laminato simmetrico ottenuto
impacchettando coppie di lamine successive con orientamento opposto è un laminato che realizza il
disaccoppiamento tra sforzo normale e flessione (B=0), il disaccoppiamento tra sforzo normale e
scorrimento (A13=A23=0) nonché (quasi) il disaccoppiamento tra momento flettente e curvatura
fuori dal piano di sollecitazione (torsione).
A titolo di esempio il laminato di cui al punto precedente [02 / ±45]s realizza in pratica tutte e tre le
condizioni. Tale è pure il laminato [02 / ±45/902]s.

5.4.4 Laminati quasi isotropi


Una quarta classe di laminati particolari è costituita dai cosiddetti laminati quasi isotropi. Un
laminato si dice quasi isotropo se in pratica la sua rigidezza estensionale è indipendente dal
particolare orientamento considerato, in altre parole la matrice A risulta isotropa. Tenendo conto
che i termini della matrice A sono dati dalla sommatoria estesa alle lamine del prodotto dei termini
~
omologhi delle matrici [ E]k per lo spessore delle lamine, se le lamine hanno eguale spessore
affinché ciò si verifichi è necessario che la sommatoria dei termini omologhi sia invariante rispetto
ad una rotazione del riferimento. Ciò si verifica come è facile comprendere se:
a) il numero totale n di lamine sia maggiore o eguale a 3;
b) le lamine abbiano stessa costituzione e spessore;
c) l'angolo ∆θ tra due lamine sia costante, cioè ∆θ =2π/n (lamine angolarmente equispaziate);
La denominazione di laminato quasi isotropo non è legata al fatto che tali laminati possono avere
piccole (trascurabili) variazioni della rigidezza estensionale con la direzione, ma piuttosto al fatto
che essi hanno comportamento isotropo solo rispetto alla trazione-compressione e non rispetto a
flessione e torsione essendo in generale le altre matrici B e D non isotrope.
Con opportuno orientamento delle lamine si può ottenere un laminato simmetrico quasi isotropo che
rispetti pure le condizioni di disaccoppiamento viste ai capitoli precedenti. Per esempio è tale un
laminato simmetrico costituito da 12 lamine disposte secondo lo schema [±30/±90/±30]s. La metà
del laminato è infatti costituita da 6 lamine angolarmente equispaziate di 60° ed inoltre le lamine
64
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

adiacenti hanno a coppia orientamento opposto cosicché soddisfano anche le altre sopra esposte
condizioni di disaccoppiamento (A13 =A23=0, D13 =D23=0).
Laminati [0°/±60°] e [0°/±45°/90] sono laminati anche essi laminati quasi isotropi; il primo non è
simmetrico mentre il secondo lo è ma non rispetta le altre condizioni di disaccoppiamento. Nella
pratica costruttiva i laminati quasi isotropi non sono molto utilizzati in quanto, come più volte
osservato, lo sfruttamento ottimale dei compositi si basa proprio sullo sfruttamento della anisotropia
di questi che consente di orientare opportunamente le lamine in modo da avere la massima
resistenza nella direzione delle massime sollecitazioni.
Il concetto di laminato quasi isotropo è comunque utile per la previsione delle proprietà
caratteristiche (rigidezza e resistenza) di compositi a fibra corta con orientamento random. Le
proprietà di tali compositi possono per esempio essere bene approssimate per esempio considerando
il semplice laminato [0°/±60°].

5.5. Calcolo di tensioni e deformazioni


Determinate le tre matrici che intervengono nella equazione costitutiva di un laminato composito, la
determinazione delle deformazioni e delle tensioni presenti su ciascuna lamina può essere eseguita
manipolando tali relazioni al fine di esplicitare le variabili di interesse.
Nella teoria classica dei laminati deformazioni e tensioni di ciascuna lamina sono messe, come
visto, in relazione con le componenti di deformazione del piano medio del laminato. Nella
procedura di calcolo di deformazioni e tensioni è pertanto conveniente valutare prima le
componenti di deformazione del piano medio e successivamente passare alla valutazione delle
variabili locali per ciascuna lamina. Le componenti di deformazione del piano medio possono
essere in linea di principio calcolate direttamente dalle caratteristiche di sollecitazione invertendo la
(26). Ciò comporta però la inversione di una matrice 6x6, cosa che può essere evitata mediante
procedura alternativa che consiste nel considerare separatamente le eq.(19) e (24):

N x   εxo   kx   Mx   ε xo   kx 
   o      o  
 N y  = [ A] ε y  + [ B] k y  ;  M y  = [ B] ε y  + [ D] k y  (19)-(24)
 Txy  γ o  k xy   M xy  γ o  k xy 
   xy       xy   

Risolvendo la prima rispetto alle deformazioni nel piano e la seconda rispetto alle curvature si ha:

 εxo  N x   kx   kx   Mx   εxo 
 o −1       −1    o
 ε y  = [ A]  N y  − [ A] [ B ] k y  ;  k y  = [ D]  M y  − [ D] [ B ] ε y 
−1 −1
(31-32)
γ o   Txy  k xy  k xy   M xy  γ o 
 xy           xy 

Sostituendo allora la (31) nella (32) si ottiene:

 kx   Mx  N x   kx 
  −1   −1    
 k y  = [ D]  M y  − [ D] [ B][ A]  N y  + [ D] [ B][ A] [ B] k y 
−1 −1 −1
(33)
k xy   M xy   Txy  k xy 
       

Risolvendo la (33) rispetto alle curvature e indicando con

65
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

[F ] = {[I ] − [D] [B ][A] [B]} {− [D] [B][A] }


−1 −1 −1 −1 −1

(34-35)
[G ] = {[I ] − [D] [B][A] [B]} [D]
−1 −1 −1 −1

si ha:

 kx  N x  Mx 
     
 k y  = [F ] N y  + [G ] M y  (36)
k  T  M 
 xy   xy   xy 

Sostituendo a questo punto la (36) nella (31) si ottiene:

 ε xo  N x   Mx 
 o    
 ε y  = [ A] [[ I ] − [ B ][ G ]] N y  − [ A] [ B][ F ] M y 
−1 −1
(37)
γ o   Txy   M xy 
 xy     

la quale ponendo:

[H ] = [A] [[I ] + [B][F ]]


−1

(38)
[L] = −[A] [B][G ]
−1

si scrive anche come:

 εxo  N x   Mx 
 o    
 ε y  = [ H ] N y  + [ L] M y  (39)
γ o   Txy   M xy 
 xy     

Riunendo infine la (36) e la (39) in un unica relazione si ha:

~
ε~ o   H L  N 
 =  ~  (40)
 k  F G  M 

Con questa procedura è possibile calcolare le 6 componenti di deformazione mediante semplice


manipolazione (inversione e moltiplicazione) di matrici di ordine 3x3. In ogni caso, sia si inverta
direttamente la (26) sia che si usi la (40), per il calcolo delle componenti di deformazione del piano
medio del laminato è conveniente far uso di uno strumento automatico.
Calcolate le componenti di deformazione del piano medio del laminato, è possibile calcolare le
deformazioni e le tensioni (nel riferimento cartesiano del laminato x-y) in ogni punto delle singole
lamine mediante le eq.(8) e (9). Per ciascuna lamina, le deformazioni le e tensioni nel riferimento
locale principale possono essere infine calcolate (come è necessario nella verifica di resistenza)
mediante successiva rotazione delle deformazioni e tensioni cartesiane eseguita utilizzando
l'opportuna matrice di rotazione. In particolare, se si è interessati solo al calcolo delle tensioni nel
riferimento locale principale della generica lamina, allora è più conveniente valutare per ciascuna
lamina le sole deformazioni nel riferimento cartesiano mediante la (8), quindi ruotare queste nel

66
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

riferimento principale della lamina mediante la matrice di rotazione e calcolare infine le tensioni nel
riferimento principale della lamina mediante le equazioni costitutive della lamina ortotropa (eq.8
del cap.4.2).

5.6. Tensioni termiche

Come è noto, una variazione di temperatura induce in genere in un materiale una deformazione εT
proporzionale al coefficiente di dilatazione termica α ed alla variazione di temperatura ∆T, cioè:

ε T = α ∆T (41)

Per un materiale anisotropo, in particolare, la deformazione subita varia con la direzione essendo il
coefficiente di dilatazione, come le altre caratteristiche termo-meccaniche, variabile con la
direzione. Per un materiale ortotropo, come una lamina composita con rinforzo unidirezionale, si
hanno due coefficienti di dilatazione termica lineare, αL e αT rispettivamente in direzione
longitudinale e trasversale. Tenendo conto che, per ovvie considerazioni di simmetria, una
variazione di temperatura non produce distorsioni nel riferimento principale, le deformazioni
principali conseguenti ad una variazione di temperatura sono date da:

(ε L ) T = α L ∆T εL 
T
α L 
    
(ε T ) = α T ∆T ⇒  ε T  = ∆T  α T
T
 (42)
 γ   0 
(γ LT ) = 0
T
 LT   

Come per le deformazioni meccaniche, le deformazioni termiche in un generico riferimento


cartesiano si ottengono da quelle principali mediante semplice rotazione. Si ha:

T T
 εx   εL  α L 
     
 ε y  = [T ] ε T  = ∆T [T ] α T  (43)
γ / 2 γ / 2  0 
 xy   LT   

Dividendo entrambi i membri per ∆T e definendo αxy=γxy/∆T dalla (43) si ha:

 αx  α L 
   
 α y  = [T ] α T  (44)
α / 2  0 
 xy   

Si può scrivere pertanto in generale:


T
 εx  α x 
   
 ε y  = ∆T α y  (45)
γ xy  α xy 
   

essendo praticamente per la (44), tenuto conto della espressione della matrice di rotazione:

67
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

α x = α L cos 2 θ + α T sin 2 θ

α y = α L sin θ + α T cos θ
2 2
(46-48)

α xy = 2(α L − α T ) sin θ cosθ

Dalla (48) si vede come, contrariamente a quanto avviene in un isotropo, in un anisotropo una
variazione di temperatura produce in un qualunque riferimento cartesiano diverso da quello
principale (θ=0°, θ=90°) oltre che dilatazioni anche scorrimenti.
Noti i due coefficienti di dilatazione termica lineare αL e αT, la (45) permette di valutare le
deformazioni che una lamina libera subirebbe a seguito di una variazione di temperatura ∆T. A tali
deformazioni (dilatazioni) non corrispondono a scala macroscopica tensioni termiche se la lamina è
libera di deformarsi. Si hanno soltanto tensioni interne dovute alla diversa dilatazione di fibra e
matrice (vedi per questo cap.2.6).
Se la lamina invece appartiene ad un laminato allora questa non è completamente libera di
deformarsi essendo le deformazioni termiche parzialmente impedite dalle altre lamine del laminato
che presentano nella stessa direzione caratteristiche termo-meccaniche diverse a causa del diverso
orientamento. In altre parole la presenza delle altre lamine induce nella generica lamina una
deformazione meccanica εM pari alla differenza tra la deformazione effettiva ε e la deformazione
termica εT. Tenendo conto della teoria classica dei laminati si ha quindi:

M T
ε x  ε x  ε x  ε xo   kx  α x 
       o    
ε y  =  ε y  −  ε y  =  ε y  + z  k y  − ∆T α y  (49)
γ  γ  γ  γ o  k  α 
 xy   xy   xy   xy   xy   xy 

Alle deformazioni meccaniche della lamina sono associate, tramite le equazioni costitutive, le
corrispondenti tensioni termiche:

T M
σ x  εx  ε xo   kx  α x 
 
[]
~  ~ o
[] ~ 
[] ~ 
σ y  = E  ε y  = E  ε y  + z E  k y  − ∆T E α y [] (50)
τ  γ  γ o  k  α 
 xy   xy   xy   xy   xy 

Per calcolare quindi le tensioni termiche è necessario valutare le componenti di deformazione del
piano medio del laminato. Queste possono essere valutate tenendo conto che le tensioni termiche, in
assenza di carichi esterni applicati al laminato, costituiscono un sistema autoequilibrato con
risultate e momento risultante nullo. Risulteranno pertanto nulle le caratteristiche di sollecitazione
(o sforzi per unità di larghezza del laminato). Dalla definizione di queste ultime nonché delle
matrici A, B e D , utilizzando la (50) risulta:

T T
N x  σ x  ε xo   kx   Φ x  0
  h/2    o      
 N y  = ∫−h / 2 σ y dz = [ A] ε y  + [B ] k y  − ∆T  Φ y  = 0 (51)
T  τ  γ o  k  Φ  0
 xy   xy   xy   xy   xy   

68
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

T T
Mx  σ x  ε xo   kx   Ω x  0
  h/2    o      
 M y  = ∫−h / 2 σ y  zdz = [B ] ε y  + [D ] k y  − ∆T  Ω y  = 0 (52)
M  τ  γ o  k  Ω  0
 xy   xy   xy   xy   xy   
avendo posto:

Φx  α x   Ωx  α x 

[]
 n ~  
 Φ y  = ∑ E  α y sk ;

[]
 n ~  
 Ω y  = ∑ E  α y sk z k (53-54)
Φ  k =1 k α  Ω  k =1 k α 
 xy   xy   xy   xy 

Le (51) e (52) permettono, insieme alle (53-54) di definire delle caratteristiche di sollecitazione
termiche apparenti, dette anche forze e momenti termici, che consentono di valutare le deformazioni
termiche del piano medio con formule analoghe a quelle gia viste per le sollecitazioni meccaniche.
Si ha:

T T T
N x  Φx  ε xo   kx 
     o  
 N y  = ∆T  Φ y  = [ A] ε y  + [B ] k y  (55)
T  Φ  γ o  k 
 xy   xy   xy   xy 

T T T
Mx  Ωx  ε xo   kx 
     o  
 M y  = ∆T  Ω y  = [B ] ε y  + [D ] k y  (56)
M  Ω  γ o  k 
 xy   xy   xy   xy 

Le (55-56) mostrano come una variazione di temperatura ∆T induce in un laminato generico sia
sollecitazioni normali che flettenti ovvero, in termini di deformazioni, sia dilatazioni che curvature
e distorsioni. Le curvature del piano medio sono nulle se e solo se il laminato ha B=0, cioè se il
laminato è simmetrico. In un laminato non simmetrico pertanto le inevitabili variazioni di
temperatura che si hanno durante il raffreddamento dalla temperatura di cura (sovente superiori a
100° C) alla temperatura ambiente producono fastidiose distorsioni.
La simmetria elimina le distorsioni ma non le tensioni residue termiche, calcolabili utilizzando
l’equazione generale (40) e quindi l’equazione costitutiva (8).
Le tensioni termiche residue si sommano alla tensioni di esercizio influenzando la resistenza e la
stabilità dimensionale del laminato. Per una corretta ed accurata progettazione pertanto è necessario
tener conto delle tensioni residue presenti nel laminato.
A rigore, alle tensioni termiche sopra calcolate, dovute essenzialmente al fatto che le dilatazioni
termiche di ciascuna lamina sono parzialmente impediate dalle altre lamine, è necessario
aggiungere le tensioni termiche residue “interne” che pure si hanno in una lamina libera a causa del
diverso coefficiente di dilatazione termica lineare di matrice e fibra. A tal proposito si osserva che,
essendo sempre il coefficiente di dilatazione della matrice più grande di quello delle fibre, il
raffreddamento del laminato produce nella matrice una tensione parallela alle fibre di trazione ed
una tensione ortogonale alle fibre di compressione. Tenendo conto del modello utilizzato al cap.2.6
si hanno in pratica per fibra e matrice le seguenti tensioni iniziali medie:

σ f = (α L − α f )∆T ; σ m = (α L − α m )∆T ; (57-58)

69
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

In un piano ortogonale alle fibre infatti la matrice tende a contrarsi più delle fibre sottoponendo
queste a compressione (la matrice ingloba le fibre e quindi contraendosi le comprime). Tale
tensione di compressione all'interfaccia produce benefici effetti sulla resistenza del laminato in
quanto assicura una buona trasmissione degli sforzi tra fibra e matrice anche in assenza di un buon
incollaggio a causa della presenza di benefiche forze di attrito all'interfaccia fibra-matrice.

70
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

6. Modalità di rottura e criteri di resistenza

6.1. Generalità

Per definire un criterio di resistenza è necessario tener conto dei particolari processi che portano al
cedimento inteso come il verificarsi di quelle condizioni per cui il materiale stesso cessa di
rispondere in modo soddisfacente alle esigenze di progetto. Per un materiale fragile che ha un
comportamento elastico lineare sino a rottura il cedimento corrisponde solitamente alla rottura
mentre per un materiale duttile il cedimento corrisponde in pratica alla condizione di deviazione
(snervamento ecc) dall'ipotizzato comportamento elastico lineare.
Con riferimento ad una lamina composita, il cedimento può essere in alcuni casi coincidente con la
rottura (comportamento fragile), in altri casi può invece coincidere con la deviazione dal
comportamento elastico lineare (comportamento duttile). Più in dettaglio, con riferimento alla
intima struttura di un composito il cedimento può avvenire, oltre che per rottura delle fibre (1),
secondo diverse modalità quali:

2) separazione fibra-matrice (debonding);


3) microfrattura della matrice (tipico della fatica)
4) separazione delle lamine nei laminati (delaminazione).
Tali modalità di cedimento talvolta avvengono separatamente, altre volte risultano coesistenti. A
titolo di esempio la fig.1(a,b,c) riporta delle micrografie di laminati compositi danneggiati per
debonding (a), per microfrattura della matrice (b), e delaminazione (c);

(a) (b) (c)

Fig.1 - Modalità di cedimento dei laminati: (a) debonding, (b) frattura della matrice e (c) delaminazione.

In generale non esiste una relazione biunivoca tra modalità di rottura e caratteristiche del composito
in quanto a causa della anisotropia del materiale e del diverso comportamento alle varie
sollecitazioni, per uno stesso materiale, i meccanismi di rottura dipendono strettamente dalle
modalità di sollecitazione (trazione, compressione, taglio ecc.).

6.2. Cedimento sotto sollecitazione di trazione longitudinale

In un composito unidirezionale con fibre fragili soggetto a trazione longitudinale, il cedimento


inizia sempre con la rottura di alcune fibre in corrispondenza della loro sezione più debole. Al
crescere del carico segue la rottura di altre fibre causata anche dalla diminuzione della sezione
resistente. Sperimentalmente si osserva che al crescere del carico applicato il numero cumulativo di
fibre rotte Nfr cresce in modo esponenziale, sino alla rottura completa del materiale come mostra la
figura seguente.

71
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Nfr

Frazione del carico di rottura

Fig.2 – Numero di fibre rotte (Nfr) al variare del carico applicato.

Da questa figura è possibile osservare come la rottura delle fibre inizia già a valori del carico
relativamente bassi, pari a circa il 50% del carico di rottura.
La rottura progressiva delle fibre da luogo a fenomeni di concentrazione delle tensioni che possono
produrre localmente oltre che la rottura fragile di altre fibre (1), fenomeni di sfilamento (pull-out)
delle fibre (2) spesso accompagnata da rottura a taglio all'interfaccia della matrice (3a) o da rottura
della matrice lungo la direzione delle fibre per debonding (3b). Tali modalità di rottura sono
schematicamente illustrate in fig.3

Cricca

Pull-out Debonding
o rottura matrice

(1) (2) (3)

Fig.3 - Modi di rottura di composito unidirezionale: (1) rottura fragile, (2) pull-out e (3) debonding ecc.

Ovviamente il verificarsi o meno del pull-out nonché l’entità dello stesso dipendono strettamente
dalla bontà della adesione fibra-matrice e dal meccanismo di trasferimento del carico dalla matrice
alle fibre. La rottura a taglio della matrice ed i fenomeni di debonding possono avvenire
separatamente o essere coesistenti.
Per un dato composito unidirezionale le modalità di rottura sono pure legate, oltre che alle
caratteristiche di fibra e matrice, anche alla frazione in volume di fibre. Per esempio per un
composito fibre di vetro-resina epossidica il cedimento avviene per rottura fragile per basse
frazioni in volume di fibre (Vf <0.4), per rottura fragile accompagnata da pull-out per percentuali
intermedie (0.4<Vf <0.65), per rottura fragile accompagnata da taglio della matrice e/o debonding
per elevate concentrazioni di fibre (Vf >0.65).
I compositi con fibre di carbonio cedono invece con rottura fragile e/o con rottura fragile e pull-out
delle fibre (più rari sono i fenomeni di debonding e/o rottura della matrice).
Tutti questi fenomeni possono comunque essere significativamente influenzati dalla percentuale di
vuoti presenti nel composito.
Le osservazioni sopra esposte permettono di comprendere come la resistenza a rottura di un
72
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

composito sotto sollecitazioni longitudinali di trazione, dipendendo dalle peculiari modalità di


rottura, non sempre può essere accuratamente stimata per via teorica mediante la relazione:

σ c , R = σ f , RV f + σ m ε f ,R
(1 − V f ) (1)

esposta al cap.2.2.2 (vedi eq.23) e basata su una semplificazione del processo di rottura del
materiale e Vf>Vmin. La (1) costituisce in generale una approssimazione della effettiva resistenza a
rottura ed è utilizzata nella progettazione in assenza di precise informazioni sperimentali.

6.3. Cedimento sotto sollecitazione di compressione longitudinale

La presenza di un carico di compressione longitudinale induce facilmente nelle fibre (colonne di


piccolissime dimensioni) fenomeni di instabilità dell'equilibrio elastico (buckling). In presenza di
basse percentuali di fibre lo svergolamento avviene molto facilmente. Esso si verifica per bassi
carichi con matrice ancora in campo elastico. Per i comuni valori di Vf l'instabilità delle fibre è
invece preceduta dallo snervamento della matrice e/o da fenomeni di debonding e fessurazione
(microcricche) della matrice. In alcuni casi il cedimento del composito avviene per separazione
fibra- matrice causata dalle deformazioni trasversali positive dovute all'effetto Poisson. In altri casi
la compressione può dare luogo a rottura della matrice per taglio.
In sintesi il cedimento di un composito sotto compressione longitudinale può avvenire per:
1) rottura per trazione trasversale (effetto Poisson, vedi fig.4a);
2) microsvergolamento delle fibre (vedi fig.4b-c) con:
(a) matrice elastica;
(b) matrice plastica;
(c) distacco dei componenti
3) rottura per taglio (fig.4d).

(a) (b) (c) (d)

Fig.4 - Modalità di rottura di composito unidirezionale soggetto a compressione longitudinale.

6.3.1 Trazione trasversale


Per quanto concerne la modalità (1), la rottura si verifica allorquando la deformazione trasversale
eguaglia il corrispondente valore limite, cioè:

ε T = ε T ,R ⇒ − ε L ν LT = ε T ,R (2)

che in termini di tensioni si scrive come:

73
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

σ ' L ,R ε T ,R E ' L
ν LT = ε T ,R ⇒ σ ' L ,R = (3)
E 'L ν LT

In questo caso pertanto la resistenza a compressione longitudinale σ'L,R è legata alla deformazione
limite trasversale legata a sua volta alla resistenza a trazione della matrice o alla resistenza al
debonding a secondo che la rottura sia interna alla matrice o avvenga lungo l'interfaccia fibra
matrice. Considerando perfetta adesione fibra-matrice, cioè che la rottura avvenga nella matrice
(anche in prossimità dell'interfaccia), con riferimento al valore della deformazione trasversale a
rottura previsto empiricamente da Nielsen ed esprimendo il modulo di Young longitudinale a
compressione ed il coefficiente di Poisson in funzione delle caratteristiche di fibra e matrice (vedi
cap.2) si ottiene:

ε m,R (1 − V f 1/ 3 )( E f V f + E mVm )
σ ' L ,R = (4)
( ν f V f + ν mVm )

La previsione teorica della rottura a compressione longitudinale ottenuta mediante la (4) è riportata
insieme ad alcuni risultati sperimentali al variare della frazione di volume di fibre, nella seguente
figura 5.
punti sperimentali
splitting delle fibre
teoria di Rosen

σc,R
'

E =3.45 GPa
0.69 GPa

E =3.45 GPa εm,R =0.05


0.69 GPa
εm,R =0.02

Vf
Fig.5 - Resistenza a compressione longitudinale al variare della percentuale di fibre.

Dalla fig.5 si osserva un buon accordo per compositi con una deformazione a rottura della matrice
pari a circa il 5% che è un valore molto prossimo a quello della resina epossidica usata per le prove
sperimentali. Si osserva inoltre come la deformazione di rottura della matrice influenza molto la
resistenza a compressione del composito. Il valore della frazione di fibre cui corrisponde la
massima resistenza a compressione longitudinale è generalmente compreso tra 0.4 e 0.6.
Indipendentemente dalla deformazione a rottura della matrice la resistenza del composito decade
rapidamente per frazione di fibre inferiore 0.1 circa.

74
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

6.3.2 Microsvergolamento delle fibre


In una lamina unidirezionale il microsvergolamento delle fibre può avvenire secondo due
configurazioni distinte:
• fibre svergolate non in fase (vedi fig.4b)
• fibre svergolate in fase (fig.4c).
La prima configurazione è solitamente tipica dei compositi con bassa percentuale di fibre. In questo
caso infatti le fibre sono relativamente distanti tra loro e quindi libere di deformarsi
indipendentemente le une dalle altre. In queste condizioni la matrice tra due fibre adiacenti risulta
sottoposta a sollecitazioni di trazione-compressione e per questo tale modo di microsvergolamento
è anche detto extension mode.
Il microsvergolamento con fibre in fase è invece tipico dei comuni compositi con frazione di fibre
medio-alta. In questo caso le fibre sono vicine è non possono deformarsi indipendentemente le une
dalle altre. Questo modo di instabilità da luogo, come si intuisce facilmente, a sollecitazione di
taglio della matrice e per questo tale modo di microsvergolamento è detto anche shear mode.
Queste modalità di rottura (microsvergolamento in fase e non) sono caratteristiche dei compositi
con fibra di vetro.
Nella sopra riportata fig.5 sono rappresentate le previsioni teoriche del cedimento inteso come
inizio dello svergolamento, eseguite da Rosen nei due casi di svergolamento in fase (shear mode) e
fuori fase (extension mode). Si vede come per i comuni valori della frazione di fibre il modo
extension da luogo ad una resistenza maggiore del modo shear. In entrambi i casi comunque le
previsioni teoriche risultano molto più elevate dei valori sperimentali e quindi poco attendibili. Per
una accurata progettazione è pertanto necessario fare riferimento a dati sperimentali.

6.3.3 Taglio
In presenza di compressione longitudinale la rottura della lamina può avvenire a seguito di rottura a
taglio della matrice secondo piani disposti approssimativamente a ±45° rispetto alla direzione di
applicazione del carico, secondo lo schema illustrato in fig.4d. Tale modalità di rottura è
caratteristico dei compositi in fibre di carbonio. Rilievi sperimentali mostrano comunque che questo
modo di cedimento è accompagnato da rotazioni localizzate delle fibre.
Vista la complessità del fenomeno, anche in questo caso non è possibile eseguire attendibili stime
teoriche della resistenza della lamina a partire dai dati di resistenza dei singoli componenti.

6.4. Cedimento sotto sollecitazione di trazione trasversale

In presenza di trazione trasversale il cedimento di una lamina composita può avvenire per:
1) cedimento della matrice (trazione);
2) debonding;
3) splitting delle fibre e rottura della matrice.
Nel modo (1) la superficie di frattura interessa esclusivamente la matrice, nel modo (2) invece essa
si sviluppa all'interfaccia fibra-matrice mentre nel modo (3) essa si sviluppa inizialmente all'interno
delle fibre. Quest'ultimo modo è piuttosto raro (la resistenza della matrice e/o l'adesione fibra-
matrice sono molto più bassi della resistenza trasversale delle fibre) ed avviene quando la fibra
presenta una marcata anisotropia ed una bassissima resistenza a trazione trasversale. I tre modi
possono avvenire singolarmente o essere, a secondo dei casi, coesistenti (rottura mista). Per
esempio nei compositi con fibre di carbonio ad elevata rigidezza solitamente il cedimento avviene
per debonding e splitting delle fibre.
Nel caso comune in cui il cedimento avviene per rottura della matrice, la resistenza della lamina è

75
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

bene approssimata dalla relazione:


σ m, R
σ c,R = (5)
S

esposta al cap.2.3.2 (vedi eq.33) ed in cui il fattore correttivo S (coefficiente di concentrazione delle
tensioni) può essere valutato facilmente mediante simulazioni numeriche.
Negli altri casi la resistenza della lamina può essere stimata in modo accurato solo per via
sperimentale.

6.5. Cedimento sotto sollecitazione di compressione trasversale


In presenza di compressione trasversale il cedimento di una lamina composita può avvenire per:
5

1) cedimento a taglio della matrice;


2) cedimento a taglio della matrice con debonding e/o rottura delle fibre;
3) rottura a taglio delle fibre.
La modalità più comune è la (1) per il semplice fatto che in genere la matrice ha una resistenza
molto più bassa delle fibre. La rottura a taglio avviene in questi casi secondo piani paralleli alle
fibre ed inclinati rispetto al carico di 45° (vedi fig.6).

Fig.6 - Rottura tipica (a taglio) di compositi sotto compressione trasversale.

A questa modalità di rottura corrisponde una resistenza molto più bassa della resistenza a
compressione longitudinale, nella quale si ha una significativa collaborazione delle fibre.
In presenza di bassa adesione fibra-matrice e/o scarsa resistenza trasversale delle fibre la rottura a
taglio della matrice è accompagnata de debonding e rottura delle fibre.
Se la rottura a taglio della matrice è opportunamente prevenuta mediante irrigidimenti trasversali
del provino che si oppongano allo scorrimento per taglio della matrice (es. fabric), allora la
resistenza a compressione trasversale può divenire paragonabile a quella longitudinale. Ovviamente
in questo caso essa cresce al crescere della frazione di fibre presenti.
Tutte e tre le modalità di rottura sono caratterizzate da significative interazioni fibra-matrice e per
questo difficilmente è possibile ottenere attendibili valutazioni teoriche della resistenza della lamina
a partire da quella dei singoli componenti. Una buona stima della resistenza sotto sollecitazione di
compressione trasversale pertanto va valutata per via sperimentale.

6.6. Cedimento sotto sollecitazione di taglio sul piano delle fibre


In presenza di sollecitazione di taglio sul piano della lamina la rottura di questa può avvenire per:
1) taglio della matrice;
2) taglio della matrice misto a debonding;
3) debonding.
In ogni caso, come mostra la figura seguente, la superficie di frattura risulta pressoché parallela alle
fibre e può, a seconda dei casi, essere interna alla matrice (1), svilupparsi in parte sulla matrice ed

76
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

in parte lungo l'interfaccia fibra matrice (2) oppure svilupparsi lungo l'interfaccia soltanto (3).

Matrice Fibra Superficie di rottura

τ12

τ12
Fig.7 - Rottura di compositi unidirezionali sotto sollecitazione di taglio nel piano

Anche in questo caso attendibili valutazioni della resistenza a taglio della lamina possono essere
ottenute solo per via sperimentale.

6.7. Criteri di resistenza


Per la verifica di resistenza di un generico elemento è necessario confrontare il campo tensionale
presente con il corrispondente campo tensionale massimo ammissibile (incipiente cedimento)
determinato attraverso l'uso di un opportuno criterio di resistenza a partire da dati sperimentali sulla
resistenza del materiale determinati solitamente attraverso prove condotte in presenza di
sollecitazioni semplici (trazione, compressione, taglio).
Per un materiale isotropo la resistenza del materiale non dipende dall'orientamento della
sollecitazione ne dall’orientamento delle tensioni principali e, conseguentemente, i criteri di
resistenza in uso forniscono delle relazioni tra le massime tensioni o deformazioni principali
presenti e la resistenza a trazione e/o compressione (piu raramente a taglio) del materiale senza
tener conto dell'orientamento della sollecitazione.
Diversa è la situazione per un materiale ortotropo in quanto per questo la resistenza varia con
l'orientamento. In particolare essa è individuata da 5 diversi parametri: resistenza a trazione
longitudinale σL,R (1), resistenza a trazione trasversale σTR (2), resistenza a taglio τLT,R (3),
resistenza a compressione longitudinale σ'L,R (4) e resistenza a compressione trasversale σ'T,R (5).
La verifica di resistenza di una lamina ortotropa consiste quindi nel confrontare lo stato tensionale
presente con tali 5 parametri attraverso l'uso di un opportuno criterio di resistenza. I criteri di
resistenza di uso comune nella progettazione meccanica con materiali compositi sono il criterio
della massima tensione, il criterio della massima deformazione, il criterio del massimo lavoro (Tsai-
Hill) ed il criterio di Tsai-Wu.

6.7.1 Criterio della massima tensione

Questa teoria afferma che la rottura della lamina avviene allorquando una delle tensioni cartesiane
nel riferimento principale del materiale supera il corrispondente valore che provoca, da sola, la
rottura del materiale. In presenza di trazione (tensioni normali positive) la condizione di resistenza è
espressa pertanto dalle diseguaglianze:

σ L < σ L ,R ; σ T < σ T ,R ; τ LT < τ LT ,R (6-8)

Mentre in presenza di compressione (tensioni normali negative) si ha resistenza se risulta:

σ L > σ 'L,R ; σ T > σ 'T , R ; τ LT > −τ LT , R (9-11)

77
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Il criterio è estremamente semplice e non considera affatto possibili interazioni tra le tensioni
principali. Per applicare il criterio è necessario in genere determinare prima le tensioni nel
riferimento principale e poi confrontare queste con i corrispondenti valori di rottura. A titolo di
esempio per uno stato monoassiale di trazione applicato in direzione generica θ, le condizioni di
resistenza individuate dalle (6-8) si traducono semplicemente nelle relazioni:

σ x < σ L ,R / cos 2 θ; σ x < σ T ,R / sin 2 θ; σ x < τ LT ,R / sinθ cos θ (12-14)

Per uno stato monoassiale di compressione invece la lamina resiste se risulta:

σ x > σ' L , R / cos2 θ; σ x > σ' T , R / sin 2 θ; σ x > − τ LT , R / sinθ cos θ (15-18)

Nella ipotesi che sia σL,R =250 MPa, σTR =6 MPa, τLT,R =12 MPa, σ'L,R =-250 MPa, σ'T,R =-31
MPa, diagrammando le (12-14) nel caso di trazione e le (15-18) nel caso di compressione si ha il
corrispondente dominio di resistenza indicato nella seguente figura:
300
σx
250
trazione longitudinale (eq.12)
200
trazione trasversale (eq.13)
150
taglio (eq.14)
100

50
B
A
0 O

-50

-100
taglio (eq.17)
-150

compressione trasversale (eq.16)


-200

-250 compressione longitudinale (eq.15)

-300
0 20 40 60 80 90
θ [gradi]

Fig.8 - Criterio della massima tensione: dominio di resistenza per sollecitazione monoassiale.

Si vede come nel caso di trazione, per angoli inferiori a circa 3° la resistenza della lamina è limitata
dalla resistenza a trazione longitudinale (rottura per trazione), per angoli compresi tra 3° e 25° circa
la resistenza è limitata dalla resistenza a taglio (rottura a taglio), mentre per angoli maggiori di 25°
circa la resistenza è limitata dalla resistenza a trazione trasversale rottura (rottura per trazione
trasversale). Simili considerazioni si hanno nel caso di compressione ove però, a causa della
maggiore (in modulo) resitenza a compressione trasversale ( |-31 | >6), la transizione dal taglio alla
compressione trasversale si ha per angoli prossimi a 70° circa.
Si vede come in entrambi i casi, trazione o compressione, il carico sopportabile subisce un rapido
decremento per angoli maggiori di 3-4° circa. Per esempio ad un disallineamento di circa 5°
corrisponde una riduzione della resitenza di circa il 50%. Utilizzando pertanto compositi tipo single

78
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

layer è assolutamente necessario assicurare un accurato allineamento carico-fibre.


Il criterio di resistenza non considerando le interazioni tra le diverse sollecitazioni risulta in genere
non conservativo. Altro difetto del criterio consiste nel passaggio non graduale da una modalità di
rottura all’altra con presenza di punti angolosi nei domini di resistenza. L’osservazione
sperimentale mostra infatti che il passaggio da una modalità di rottura ad un’altra avviene sempre in
modo continuo con un campo intermedio in cui si assiste ad una rottura mista del materiale.
Nel caso di sollecitazione monoassiale la rappresentazione grafica del dominio di resitenza consente
una immediata valutazione del coefficiente di sicurezza. Per esempio per un carico di trazione
rappresentato dal punto A in fig.8, il coefficiente di sicurezza è dato dal rapporto tra il segmento
OB ed il segmento OA, cioè η =OB/OA.

6.7.2 Criterio della massima deformazione

Secondo questa teoria, meno in uso della precedente, la rottura della lamina avviene allorquando
una delle deformazioni cartesiane nel riferimento principale del materiale supera il corrispondente
valore limite che determina, da sola, la rottura del materiale. In presenza di sollecitazioni di trazione
(deformazioni lineiche positive) la condizione di resistenza è espressa pertanto dalle
diseguaglianze:
ε L < ε L,R ; ε T < ε T ,R ; γ LT < γ LT , R (19-21)

Mentre in presenza di compressione (deformazioni lineiche negative) si ha resistenza se risulta:

ε L > ε ' L,R ; ε T > ε 'T , R ; γ LT > −γ LT , R (22-24)

Come il criterio della massima tensione, esso non tiene conto delle possibili interazioni tra le
deformazioni nel riferimento principale e pertanto, come questo, risulta non conservativo. Anche
questo inoltre, contrariamente alle evidenze sperimentali, prevede un passaggio da una modalità di
rottura ad un’altra.
Per applicare il criterio è necessario determinare le deformazioni nel riferimento principale e poi
confrontare queste con i corrispondenti valori limite. A titolo di esempio, supponendo un
comportamento elastico lineare del materiale sino a rottura (materiale fragile), per uno stato
monoassiale di trazione applicato in direzione generica θ, le condizioni di resistenza individuate
dalle (19-21) utilizzando le equazioni costitutive si traducono nelle relazioni:

E L ε L,R ET ε T ,R G LT τ LT , R
σx < ; σx < ; γx < (25-27)
2
cos θ − ν LT sin θ
2 2
sin θ − ν TL cos θ
2
sinθ cos θ

mentre per uno stato monoassiale di compressione si ha invece:

E Lε ' L,R ET ε 'T , R G LT γ LT , R


σx > ; σx > ; σx > − (25’-27’)
cos θ − ν LT sin θ
2 2
sin θ − ν TL cos θ
2 2
sin θ cosθ

Nel caso di materiale fragile (σx,R=Exεx,R , x=L,T; τLT,R=GLT γLT,R), il criterio della massima
deformazione si discosta poco dal criterio della massima tensione. In caso contrario si possono
invece avere significative differenze.
A titolo di esempio la figura seguente riporta il confronto tra il dominio di resistenza per trazione
semplice individuato dal criterio della massima tensione e quello della massima deformazione per il
materiale considerato in fig.8, supposto avente comportamento fragile sino a rottura con νLT=0.3,

79
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

EL=40000 MPa e ET=10000 MPa.


300
σx massima deformazione
250 massima tensione

200

150

100

50

0
0 20 40 60 80

θ [gradi]

Fig.8bis - Criterio della massima tensione e della massima deformazione: confronto tra domini di resistenza
per sollecitazione di trazione.

Dalla figura 8bis si vede come in questo caso le differenze tra i due metodi sono significative solo
nell’intorno della zona di transizione dalla rottura per taglio alla rottura per trazione trasversale
(θ=25°-30°).

6.7.3 Criterio del massimo lavoro (Tsai-Hill)

Questa teoria, proposta da Tsai utilizzando un criterio di snervamento per materiali anisotropi
inizialmente messo a punto da Hill, afferma che la rottura della lamina avviene allorquando il
lavoro (di distorsione) supera il corrispondente valore limite ammissibile. Si tratta in pratica della
estensione del criterio di Von Mises ai matarieli anisotropi. Secondo quuesto criterio il materiale
cede se risulta violata la seguente diseguaglianza:

2 2 2
 σL   σ   σ  σ   τ 
  +  T  −  L   T  +  LT  < 1 (28)
 σ L,R   σ T ,R   σ L , R   σ T , R   τ LT , R 

La (28) è valida per stato piano di trazione (tensioni normali positive). In presenza di stato biassiale
di compressione (tensioni normali negative) è necessario usare le relative resistenze caratteristiche:
Si ha cioè:

2 2 2
 σL   σ   σ  σ   τ 
  +  T  −  L   T  +  LT  < 1 (29)
 σ' L , R   σ' T , R   σ' L , R   σ' T , R   τ LT , R 

A differenza della teoria della massima tensione e della massima deformazione, le condizioni di
resistenza della teoria del massimo lavoro tengono conto di tutte le componenti principali di
tensione. In altre parole, a differenza dei precedenti, il criterio di Tsai-Hill tiene conto delle della
interazione tra le tensioni nel riferimento principale. Essa pertanto risulta più conservativa e piu
aderente ai dati sperimentali dei criteri precedenti.
In presenza di uno stato monoassiale di trazione applicato in direzione generica θ, la condizione di
resistenza individuata dalla (28) utilizzando le formule di trasformazione dello stato di tensione

80
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

nell'intorno del punto, si traduce nella relazione:

 cos 2 θ  2  sin 2 θ  2  cos 2 θ  sin 2 θ   sin θ cosθ  2 


σx 2
  +  −  +   <1 (30)
 σ L , R   σ T , R   σ L , R  σ T , R   τ LT , R  
 

Nel caso di sollecitazione di compressione si ha invece:

 cos 2 θ  2  sin 2 θ  2  cos 2 θ  sin 2 θ   sin θ cosθ  2 


σx 2
  +  −  +   <1 (31)
 σ ' L , R   σ 'T , R   σ ' L , R  σ 'T , R   τ LT , R  
 

Esplicitando nelle (30) e (31) la tensione σx e diagrammando col segno di eguaglianza, si ottiene il
dominio di resistenza per sollecitazioni semplici di trazione e compressione (vedi fig.9).
300
σx
200

100 trazione (eq.30)

-100 compressione (eq.31)

-200

-300
0 20 40 60 80 90
θ [gradi]

Fig.9 - Criterio di Tsai-Hill: dominio di resistenza per sollecitazione monoassiale.

Si vede come, a differenza dei precedenti criteri, il criterio di Tsai-Hill facendo riferimento ad un
unica condizione di resistenza rappresentata da una unica funzione continua con derivata prima
continua, da luogo ad un dominio di resistenza senza punti angolosi. Un confronto coi criteri
illustrati precedentemente mostra un andamento del dominio qualitativamente simile con differenze
relativamente elevate in corrispondenza dei punti angolosi di questi ultimi.
Nel caso generale di stato tensionale biassiale l'uso del dominio di resistenza nella progettazione
meccanica è poco pratico in quanto, per la presenza di tre variabili (σL, σT, τLT) si ha un diagramma
tridimensionale (probleme analogo al caso di materiali isotropi e stato triassiale). Nel caso
particolare di stato biassiale con tensioni principali σ1,σ2 coincidenti con le tensioni cartesiane
σL,σT essendo identicamente nulla la tensione tangenziale τLT, le condizioni di resitenza involgono
due sole variabili ed il dominio di resitenza diviene piano. Tale condizione, relativamente frequente
si verifica per esempio in corrispondenza degli assi di simmetria di componenti caricati
simmetricamente e con assi princiapali del materiale conicidenti con quelli di simmetria. Per
esempio per uno stato piano di trazione la (28) diviene:

2 2
 σ L   σ T   σ L  σ T 
      
 σ  +  σ  −  σ  σ  < 1 (28bis)
 L , R   T , R   L , R  T , R 
che nel piano cartesiano σL/σL,R - σT/σT,R è l’equazione di una ellisse con assi coincidenti con le due
bisettrici principali (vedi fig.10a).

81
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

σT σT,R σT σT,R
(σL,R σT,R)=11 (mat. isotropo)
0.5
(σL,R σT,R)=22 0.75
1.0
σL σL,R σL σL,R
τLT τLT,R = 00
(σL,R σT,R)= ∞ (cerchio) τLT τLT,R = .5
.5
τLT τLT,R = .7
.7
(a) (b)

Fig.10 - Criterio di Tsai-Hill: dominio di resistenza per tensione tangenziale trascurabile (a) e fissata (b).

Per lamina con eguale resistenza in direzione longitudinale e trasversale (σL,R=σT,R) tale ellisse
diviene l’ellisse Von Mises (materiali isotropi). Nel caso invece di resistenza a trazione trasversale
trascurabile (massima amìnisotropia), il dominio di resistenza diviene una circonferenza (vedi
fig.10a). Fermo restando le caratteristiche del matewriale, cioè fissati il rapporto σL,R/σT,R al
crescere del rapporto tra tensione tangenziale τLT presente e la corrispondente tensione limite τLT,R il
dominio di resistenza (ellisse) si rimpicciolisce via via mantenendo sempre la stessa forma ellittica
(omologia, vedi fig.10b).
Il criterio ha per molti compositi una buona rispondenza coi dati sperimentali. Ciò ne ha
determinato una larga applicazione nella previsione della resistenza statica in presenza di stati
biassiali di tensione.
L’unico inconveniente del metodo consiste nella non unicità della relazione che esprime la
condizione di resitenza: essa va opportunamente scritta per tensioni positive e/o negative.

6.7.4 Criterio di Tsai-Wu

In questa teoria la condizione di rottura del materiale è individuata da una relazione quadratica
involgente le 3 tensioni cartesiane nel riferimento principale del materiale. Nel caso tridimensionale
la condizione di resistenza è assicurata allorquando risulta:

∑ F σ σ +∑ F σ
i, j
ij i j
i
i i < 1 oppure ∑ G ε ε +∑ G ε
i, j
ij i j
i
i i <1 (32)

dove Fij e Gij sono parametri di resistenza determinati sperimentalmente. Per stato tensionale
biassiale la prima delle (32) si semplifica come:

F11σ L 2 + F22 σ T 2 + F66 τ LT 2 +


2 F12 σ L σ T + 2 F16 σ L τ LT + 2 F26 σ T τ LT + (33)
F1σ L + F2 σ T + F12 τ LT < 1

Tenendo conto che nel riferimento principale il risultato deve essere invariante rispetto al segno
della tensione tangenziale deve essere:

F16 = F26 = F12 = 0 (34)

e quindi la formula (33) si semplifica ulteriormente come:

82
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

F11σ L 2 + F22 σ T 2 + F66 τ LT 2 + 2 F12 σ L σ T + F1σ L + F2 σ T < 1 (35)

L'applicazione del criterio al caso piano necessita pertanto della conoscenza di 6 parametri di
resistenza del materiale (uno in più rispetto ai precedenti criteri). In particolare i parametri relativi
alla tensione longitudinale possono essere determinati mediante prova di trazione e compressione
semplice. Alla rottura si ha in questi casi:

F11σ L , R + F1σ L , R = 1
2
(trazione)
(36-37)
F11σ ' L , R + F1σ ' L , R = 1
2
(compressione)

Risolvendo queste due relazioni si trova immediatamente la relazione tra i coefficienti di Tsai-Wu e
le caratteristiche di resistenza longitudinale del materiale:

1 1 1
F11 = ; F1 = - (38-39)
σ L ,R σ ' L ,R σ L ,R σ ' L ,R

I parametri relativi alla tensione trasversale si ottengono analogamente eseguendo una prova di
trazione e compressione trasversale semplice. Con riferimento alla condizione di incipiente rottura
si ha in questi casi:
F22 σ T ,R 2 + F2 σ T ,R = 1
(40-41)
F22 σ ' T ,R 2 + F2 σ ' T ,R = 1

che risolvendo forniscono:

1 1 1
F22 = ; F2 = - (42-43)
σ T ,R σ ' T ,R σ T ,R σ ' T ,R

Per determinare il parametro relativo al taglio si esegue una prova di taglio puro che fornisce
immediatamente:
1
F66 = 2
(44)
τ LT ,R

Per determinare infine il coefficiente relativo al termine misto F12 è necessario eseguire una prova
biassiale. Da questa prova, note le altre costanti si ottiene:

F12 = [1 − ( F11σ L 2 + F22 σ T 2 + F66 τ LT 2 + F1σ L + F2 σ T )] / (2σ L σ T ) R (45)

Nel caso piano il dominio di resistenza individuato dal criterio di Tsai-Wu è un ellissoide in ottimo
accordo con i dati sperimentali. La bontà del metodo è pagata però dalla maggiore complessità delle
prove sperimentali necessarie alla determinazione del coefficiente misto F12.
Per uno stato monoassiale utilizzando le relazioni di trasformazione dello stato di tensione
nell'intorno del punto, la condizione di resistenza (35) diviene:

[ ] ( )
σ x 2 F11 cos 4 θ + F22 sin 4 θ + ( F66 + 2 F12 ) sin 2 θ cos2 θ + σ x F1 cos2 θ + F2 sin 2 θ < 1 (46)

83
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

La fig.11 riporta il dominio di resistenza ottenuto diagrammando la (46) assieme al dominio


individuato dalla teoria di Tsai-Hill, per il materiale di cui all'esempio precedente considerando che
nella prova biassiale la rottura sia avvenuta per σL=0.8σL,R =200 MPa e σT=0.8σT,R =5 MPa.
Utilizzando le relazioni (38-45) i coefficienti di Tsai-Wu per questo materiale assumono i valori [in
MPa-1 ]:
1 1 1 1
F11 = = = 16 *10 −6 ; F1 = - =0
σ L , Rσ ' L , R 250 * 250 σ L,R σ ' L,R
1 1 1 1 1 1
F22 = = = 5.4 *10 −3 ; F2 = - = - = 0.134
σ T , Rσ 'T , R 6 * 31 σ T ,R σ 'T , R 6 31
1 1
F66 = = = 6.9 *10 −3 ;
τ 2
LT , R 12 2

F12 = [1 − (16 *10 −6 * 200 2 + 5.4 *10 −3 * 5 2 + 0.134 * 5)] /(2 * 200 * 5) = −2.2 *10 −4

300
σx
Tsai-Hill
200 Tsai-Wu

100

-100

-200

-300
0 20 40 60 80 90
θ

Fig.11 - Criterio di Tsai-Wu: dominio di resistenza per sollecitazione monoassiale.

L'osservazione della fig.11 mostra che in questo caso il criterio di Tsai-Wu ed il criterio di Tsai-Hill
praticamente coincidono per trazione, mentre per compressione il criterio di Tsai-Hill risulta più
conservativo del criterio di Tsai-Wu che però risulta più vicino ai risultati sperimentali.

6.8. Influenza del segno della tensione tangenziale

A causa dell'anisotropia della lamina, nella verifica di resistenza è importante tener conto del segno
corretto della tensione tangenziale, specialmente in presenza di stati tensionali di taglio puro. Per
comprendere ciò si consideri una lamina soggetta ad uno stato di taglio puro con tensioni
tangenziali agenti su piani inclinati di 45° rispetto alle direzioni principali del materiale (vedi figura
seguente).
Dalla fig.12 si vede chiaramente che se le tensioni tangenziali sono positive (fig.12a), la tensione
normale in direzione delle fibre è di trazione mentre la tensione in direzione ortogonale alle fibre è
di compressione. Il contrario avviene se le tensioni tangenziali sono negative (fig.12b). Tenuto
conto allora della diversa resistenza a trazione e compressione in direzione longitudinale e
trasversale, si ha che due sollecitazioni di taglio eguali in modulo e direzione ma aventi verso
(segno) opposto hanno effetti diversi sul materiale. Per esempio una può indurre la rottura mentre
l'altra può essere sopportata dal materiale.

84
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

y LL TT y LL
T

x x
τ >0 τ < 0

σL > 0 σL < 0

σT < 0 σT >0
(a) (b)

Fig.12 - Tensioni lungo gli assi principali per taglio positivo (a) e negativo (b).

Considerando il materiale di cui all'esempio riportato al cap.4.5.1 (σL,R =250 MPa, σTR =6 MPa,
τL,R =12 MPa, σ'L,R =-250 MPa, σ'T,R =-31 MPa) ed uno stato tensionale di taglio puro a 45° con
τLT =10 MPa, per tensioni tangenziali positive utilizzando il criterio di resistenza della massima
tensione la verifica di resistenza è assicurata essendo:

σ L = 10 MPa < σ L , R = 250 MPa; σ T = −10 MPa > σ 'T , R = −31 MPa

Diversa è invece la conclusione nel caso di tensioni tangenziali negative (tensione di trazione in
direzione normale) essendo:

σ L = −10 MPa > σ L , R = −250 MPa; σ T = 10 MPa > σ T , R = 6 MPa !

In quest'ultimo caso pertanto il materiale (lamina) si rompe per cedimento in direzione normale alle
fibre. Evidentemente se l'effettivo stato tensionale presente nel generico elemento in progetto è
caratterizzato da tensioni negative, per un corretto sfruttamento del materiale è sufficiente orientare
le fibre a -45° piuttosto che a +45°.
Ovviamente se le direzioni di taglio coincidono con le direzioni principali, il segno delle tensioni
tangenziali non ha alcuna influenza.

85
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

7. Analisi dei laminati compositi

7.1. Generalità
Nella costruzione dei laminati compositi, ottenuti sovrapponendo lamine composite unidirezionali,
bidirezionali o random, le caratteristiche e l'orientamento di ciascuna lamina sono fissate in modo
da soddisfare le varie esigenze di progetto quali, resistenza, rigidezza ecc.
Su ciascuna lamina le tensioni e le deformazioni causate dalla applicazione del carico di esercizio,
possono essere determinate con la teoria classica dei laminati vista al cap.5. Confrontando tali
valori con i corrispondenti valori ammissibili, mediante uso di un opportuno criterio di resistenza
(vedi cap.6) è possibile stabilire se il laminato è capace di sopportare il carico imposto senza alcun
danneggiamento (tutte le lamine resistono) o meno. Per ciascuna lamina è così possibile
determinare il relativo coefficiente di sicurezza. Per esempio, utilizzando il criterio della massima
tensione, per la k-esima lamina del laminato il coefficiente di sicurezza è dato da:

 (σ ij , R ) k 
η k = min   (i, j = L, T ) (1)
 (σ ij ) k 

Similmente, utilizzando il criterio della massima deformazione, il coefficiente di sicurezza della k-


esima lamina è dato da:

 (ε ij , R ) k 
η k = min   (i, j = L, T ) (2)
 (ε ij ) k 

Utilizzando invece il criterio di Tsai-Hill o il criterio di Tsai-Wu, e tenendo conto che il coefficiente
di sicurezza è anche la “distanza” che lo stato tensionale di esercizio ha dallo stato di tensione
omologo che produce una condizione di incipiente cedimento della lamina, dopo semplici passaggi
si ha rispettivamente:

−1
 2 2 2 
  σL   σT   σL  σ T   τ LT  
(Tsai-Hill) ηk =    +  −  +   (3)
 σ L, R   σ T ,R   σ L, R  σ T , R   τ LT , R 
          
 
e
η k 2 ( FLLLLσ LL 2 + FTT σ TT 2 + FLTLT τ LT 2 + 2 FLLTT σ LLσ TT )
(Tsai-Wu) (4)
+ η k ( FLLσ LL + FTT σ TT + FLT τ LT ) = 1

La (4) è una equazione di secondo grado nel coefficiente di sicurezza, pertanto risulta in pratica:

a = ( FLLLLσ LL 2 + FTT σ TT 2 + FLTLT τ LT 2 + 2 FLLTT σ LLσ TT )


− b ± b − 4ac
2

ηk = con b = ( FLLσ LL + FTT σ TT + FLT τ LT ) (5)
2a c = −1

Ovviamente la lamina del laminato che si romperà per prima, è quella cui corrisponde il più basso
coefficiente di sicurezza. Al crescere del carico applicato, con la rottura di tale lamina inizia il
danneggiamento del laminato. Tale fenomeno è sempre un processo progressivo in quanto quasi
mai la rottura di un laminato avviene di schianto e segue immediatamente la rottura della prima
lamina.
86
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

La rottura di una lamina, cioè, sovente della lamina il cui rinforzo è ortogonale alla direzione del
carico (o pressoché tale), non produce la rottura del laminato. Anzi, in molti casi la rottura della
prima lamina, proprio per l'esiguo carico sopportato da questa, non altera in modo apprezzabile le
caratteristiche (rigidezza ecc) del laminato. Inoltre, sovente il carico di rottura è molto più alto del
carico di inizio danneggiamento del laminato, cioè del carico PFPF (FPF=first ply failure, nella
letteratura anglosassone) che determina la rottura della prima lamina.
La rottura successiva delle lamine del laminato, all'aumentare del carico applicato porta ovviamente
via via ad una diminuzione progressiva della rigidezza del laminato. Nella ipotesi di lamine tutte
con comportamento elastico lineare sino alla rottura (comportamento fragile), al crescere del carico
applicato il diagramma carico-deformazione è rappresentato da una poligonale del tipo illustrato nella
seguente fig.1.

Carico

PR
rottura laminato

PSPF
rottura seconda lamina (SPF)
PFPF
rottura prima lamina (FPF)

lamine fragili
lamine duttili

Deformazione

Fig.1 - Diagramma carico-deformazione caratteristico di un laminato composito.

In presenza di comportamento elasto-plastico delle lamine, la poligonale non presenta più spigoli
vivi ma arrotondati (curva a tratto e punto in fig.1).
Eseguire l’analisi di un laminato composito significa pertanto determinare il carico di rottura della
prima lamina PFPF , il carico di rottura della seconda lamina PSPF (SPF=second ply failure), della
terza lamina e così via sino alla rottura definitiva del laminato. In pratica l’analisi si può dividere in
due passi successivi quali: (a) analisi del carico di FPF e (b) analisi post-FPF. Nella usuale ipotesi
di lamine fragili, il carico di FPF può essere determinato tramite analisi lineare del laminato
condotta utilizzando la TCL, mentre l’analisi post-FPF può essere eseguita mediante opportuna
analisi lineare incrementale (step by step) del laminato.

7.2. Determinazione del carico di FPF


Per un carico di intensità compresa tra 0 ed il valore che produce la rottura della prima lamina,
tensioni e deformazioni del laminato si ottengono facilmente mediante uso della TCL, con le
formule risolutive gia viste al cap.6. In dettaglio, calcolate le componenti di deformazione del piano
medio a partire dalla relazione matriciale generale:

~
 N   A B  ε~ o 
 ~=   • ~  (6)
M   B D  k 

87
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

ovvero mediante la nota relazione risolvente (vedi cap.5):

~
ε~ o   H L   N 
~  =  • ~ (7)
k   F G  M 

Le deformazioni corrispondenti alla k-esima lamina si calcolano immediatamente con la equazione


fondamentale della teoria classica dei laminati:

εx  ε xo   kx 
   o  
ε y  = ε y  + z  k y  zk-1<z<zk (8)
γ xy   o k 
  k γ xy   xy 

Da queste è in genere conveniente valutare le deformazioni nel riferimento principale della lamina
attraverso la nota relazione:

 εL   εx 
 ε  = [T(θ )]  ε  zk-1<z<zk (9)
 T  k  y 
γ LT / 2 k γ / 2
 xy  k

A questo punto le tensioni nella generica lamina si calcolano utilizzando la matrice di rigidezza
della lamina secondo la eq. costitutiva:

σ L  εL 
σ  = [E ]  
 T k  εT  zk-1<z<zk (10)
τ LT  k γ 
 LT  k

con ovvio significato dei simboli. Tenuto conto che la distribuzione delle tensioni nello spessore
della lamina è sempre di tipo lineare, su ciascuna lamina le massime tensioni si hanno sempre in
corrispondenza della superficie superiore (top, z=zk) o della superficie inferiore (bottom, z=zk-1)
Utilizzando pertanto un opportuno criterio di resistenza il coefficiente di sicurezza di ciascuna
lamina è pari al più piccolo dei due coefficienti di sicurezza valutati in corrispondenza della
superficie superiore ed inferiore, cioè:

η k = min(η k ,top ,η k ,bottom ) (11)

con ηk,top, ηk,bottom calcolati utilizzando una della equazioni (1-5). Valutato per ciascuna lamina il
coefficiente di sicurezza ηk, il corrispondente carico di rottura della lamina {N M }R,k è dato
~ ~ T

semplicemente da:

~ ~
 N   N 
 ~  = ηk  ~  (12)
M  R ,k M 

Evidentemente la lamina che si rompe per prima è quella cui compete il minimo coefficiente di
sicurezza. Tale coefficiente di sicurezza coincide pertanto con il coefficiente di sicurezza η FPF del

88
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

laminato rispetto al danneggiamento della prima lamina, cioè:

η FPF = min[(η k (k = 1,.....n)] (13)

Il carico di FPF del laminato è quindi fornito dalla relazione:

~ ~
 N   N 
 ~ = η FPF  ~  (14)
M  FPF M 

Determinato così il carico di FPF, è possibile conoscere immediatamente quale è il corrispondente


stato di deformazione e di tensione presente su ciascuna lamina. Si ha:

εL  εL 
ε  = η FPF ε  zk-1<z<zk (15)
 T   T 
γ LT  k,FPF γ LT  k

e similmente:

σ L  εL 
σ  = η FPF ε  zk-1<z<zk (16)
 T  T
τ LT  k,FPF τ LT  k

7.3. Analisi dopo FPF

Superato il carico di FPF le relazioni (6-7) non sono più valide in quanto viene meno alla rigidezza
del laminato il contributo della lamina che ha ceduto. Per eseguire l’analisi del laminato dopo la
rottura della prima lamina è necessario in pratica aggiornare le matrici A, B, D caratteristiche del
laminato con le nuove matrici A’, B’ e D’ ottenute modificando opportunamente la matrice di
rigidezza della lamina danneggiata. Non è però sufficiente sostituire nella (6) o nella (7) le nuove
matrici A’, B’, D’ per potere analizzare il comportamento del laminato dopo FPF. Infatti, nella
usuale ipotesi di lamine fragili, dopo la rottura della prima lamina non vie è proporzionalità diretta
tra carichi applicati e deformazioni, come mostra la stessa figura 1. Il tratto di poligonale compreso
tra PFPF e PSPF infatti non un segmento di retta passante per l’origine e quindi ad una deformazione
nulla non corrisponde un carico nullo come invece previsto dalle (6) e (7). Il comportamento del
laminato è di tipo lineare se si opera una traslazione del riferimento cartesiano carico-deformazione
in modo da portare l’origine del riferimento nel punto rappresentativo del cedimento della prima
lamina. In altre parole, la (6) e la (7) possono essere scritte solo in termini incrementali:
l’incremento della deformazione subita dal laminato a partire dalla deformazione corrispondente
alla rottura della prima lamina è legata all’incremento di carico tramite relazioni analoghe alla (6),
cioè:
~ ~o
∆N   A' B'  ∆ε 
 ~ = • ~  (17)
∆M  AFPF  B' D' ∆k  AFPF

in cui l’incremento di carico è dato dalla differenza tra il carico corrente ed il carico di FPF:

89
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

~ ~ ~
∆N   N   N 
 ~ =  ~ − ~ (18)
∆M  AFPF M  AFPF M  FPF

Nelle (17,18) l'acronimo AFPF sta per after FPF. Le matrici A’, B’ e D’ differiscono dalle matrici
A, B e D relative al laminato integro per la correzione apportata alla matrice di rigidezza della
lamina che ha ceduto. Tale correzione dipende dalle particolari modalità di cedimento della lamina
e non sempre è possibile una correzione accurata. Per esempio, se la prima lamina ha ceduto per
trazione trasversale può essere ragionevole annullare il modulo di Young trasversale ET di questa e
lasciare invariato quello longitudinale EL se la resistenza longitudinale legata alle fibre (integre)
rimane praticamente invariata. Ciò equivale ad assumere per la lamina rotta la seguente matrice di
rigidezza modificata:

 EL 
1 − ν ν 0 0 
 LT TL

[ E ] mod = 0 0 0  (19)
 0 0 G LT 
 
 

Nella (19) si assume per ipotesi che la rigidezza a taglio della lamina danneggiata rimanga
invariata. Nel caso di laminati costituti da molte lamine variamente orientate, essendo non facile
prevedere l'esatto comportamento della lamina (inglobata nel laminato) dopo rottura, in modo
conservativo si può annullare la resistenza e la rigidezza della lamina in tutte le direzioni,
annullando praticamente tutti i termini della corrispondente matrice di rigidezza. Per esempio se la
lamina danneggiata è la lamina q-esima si avrà allora:

N N N
~ ( z k − z k −1 )
3 3

∑ ∑ ∑
~ ~
A' = [E ] sk ; B' = [E ] sk z k ; D' = [E ] ; con k≠ q (20-22)
k =1 k k =1 k k =1 k
3

Si osservi che nel caso di semplice rottura trasversale della lamina tale ipotesi può risultare troppo
conservativa in quanto finisce per trascurare la elevata resistenza longitudinale della lamina ed il
suo significativo contributo alla resistenza del laminato. In ogni caso, modificando le matrici del
laminato e considerando incrementi delle caratteristiche di sollecitazione ∆M e ∆N arbitrari ma
proporzionali al carico applicato (ipotesi di carico che cresce mantenendosi proporzionale a se
stesso), risolvendo la (17) si determinano deformazioni e curvature incrementali del piano medio
dopo la FPF. Si ottiene in pratica una relazione formalmente identica a quella ottenuta nella analisi
lineare (eq.7) e cioè:

~
∆ε~ o   H ' L'  ∆N 
 ~  = • ~ (23)
∆k  AFPF  F ' G ' ∆M  AFPF

con ovvio significato dei simboli. La (23) consente di calcolare anzitutto i valori incrementali delle
deformazioni cartesiane e quindi le deformazioni principali di ciascuna lamina secondo la stessa
teoria dei laminati:

90
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

 ∆ε x   ∆ε x o   ∆k x   ∆ε L   ∆ε x 
   o       
 ∆ε y  =  ∆ε y  + z  ∆k y  ;  ∆ε T  = [T(θ k )]  ∆ε y  zk-1<z<zk (24-25)
∆γ xy  ∆γ o  ∆k  ∆γ / 2 ∆γ / 2
  k,AFPF  xy   xy   LT  k,AFPF  xy  k,AFPF

Da queste, utilizzando al solito le equazioni costitutive si calcolano le tensioni incrementali su


ciascuna lamina mediante la relazione:

 ∆σ L   ∆ε L 
   
 ∆σ T  = [E ]k  ∆ε T  (26)
∆τ  ∆γ 
 LT  k , AFPF  LT  k , AFPF

E’ cosi possibile infine calcolare le tensioni totali sommando le tensioni incrementali con le
tensioni calcolate al momento della rottura della prima lamina (eq.16):

σ L  σ L   ∆σ L 
     
σ T  = σ T  +  ∆σ T  (27)
τ     
 LT  AFPF τ LT  FPF ∆τ LT  AFPF

A questo punto, per ciascuna lamina è possibile definire un secondo coefficiente di sicurezza
ηk,AFPF. Poiché il carico applicato è somma di una aliquota costante (il carico di FPF) e di una
aliquota variabile (l’incremento di carico AFPF), tale coefficiente di sicurezza va definito con
riferimento all’incremento di tensione e non alla tensione totale. In altre parole esso è pari al
rapporto tra l’incremento di carico che porta a rottura e l’incremento di carico considerato. Per
esempio utilizzando il criterio della massima tensione si ha:

 (∆σ ij , R ) k   (σ ij , R − σ ij , FPF ) k 
η k , AFPF = min  , ( z = z k , z k −1 ) = min  , ( z = z k , z k −1 ) (i, j = L, T ) (28)
 (∆σ ij , AFPF ) k , z   (∆σ ij , AFPF ) k 

Relazione formalmente simile si ha per il criterio della massima deformazione. Utilizzando invece
il criterio di Tsai-Hill e tenendo conto della stessa definizione di coefficiente di sicurezza si scrive:

2 2
 σ L , FPF + η k , AFPF ∆σ L   σ T , FPF + η k , AFPF ∆σ T   σ L , FPF + η k , AFPF ∆σ L 
  +  − 
 σ   σ T ,R   σ 
 L,R     L,R 
2
(29)
σ + η k , AFPF ∆σ T   τ LT , FPF + η k , AFPF ∆τ LT 
*  T , FPF +
 
 =1

 σ T ,R   τ LT , R 

Risolvendo la relazione quadratica (29) per z=zk e z=zk-1, è possibile valutare per ciascuna lamina i
due coefficienti di sicurezza ηk,AFPF,bot e ηk,AFPF;top e quindi l’effettivo coefficiente di sicurezza.
Relazione formalmente simile si ha per il criterio di Tsai-Wu.
Determinato così il coefficiente di sicurezza di ciascuna lamina, la lamina che si romperà “per
seconda” è ovviamente quella caratterizzata dal più basso coefficiente di sicurezza η k , AFPF .
Indicando con η SPF tale valore, cioè:

91
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

η SPF = min[(η k , AFP (k = 1,.....n)] (30)

l’incremento di carico corrispondente alla rottura della seconda lamina sarà quindi pari a:

~ ~
∆N  ∆N 
 ~ = η SPF  ~  (31)
∆M  SPF ∆M 

Per ciascuna lamina si può cosi determinare mediante la teoria dei laminati lo stato di tensione e
deformazione incrementale e quindi lo stato di deformazione e di tensione totale presente alla
rottura della seconda lamina:

σ L  σ L   ∆σ L 
     
σ T  = σ T  + η SPF  ∆σ T  (32)
τ    ∆τ 
 LT  SPF τ LT  FPF  LT  AFPF

Dopo la rottura della seconda lamina, modificata opportunamente la corrispondente matrice di


rigidezza, reiterando il procedimento incrementale si può determinare il carico che porta alla rottura
la terza lamina e così via sino ad arrivare alla rottura completa del laminato.
Nella analisi post-FPF del laminato può succedere che dopo l’aggiornamento delle matrici del
laminato successivo alla rottura della i-esima lamina, l’analisi incrementale mostri che ad una o più
lamine compete un coefficiente di sicurezza negativo. Ciò evidentemente significa che la
corrispondente lamina cede immediatamente dopo la rottura della lamina i-esima E’ necessario
pertanto eliminare tali lamine ed aggiornare ulteriormente le matrici di rigidezza del laminato.
Ovviamente, se dopo la rottura della M-esima lamina tutte le rimanenti lamine presentano un
coefficiente di sicurezza negativo, ciò indica la rottura completa del laminato, ovvero che il carico
di rottura del laminato corrisponde al carico di rottura della M-esima lamina, cioè:

~ ~ ~ ~
 N   N   N  M
∆N 
 ~ =  ~ =  ~
M  rottura M  MPF M  FPF
+ ∑
i =2
 ~
∆M  iPF
(33)

Determinati cosi il carico di inizio danneggiamento (FPF), i carichi corrispondenti alla rottura delle
successive lamine e quindi il carico di rottura totale del laminato, è possibile confrontare questi con
il carico di esercizio e quindi vedere se il carico di esercizio produce danneggiamento o meno e in
questa ultima ipotesi quale è l’entità del danneggiamento prodotto (numero di lamine danneggiate).
A tal proposito si osserva che il carico di rottura di un laminato è in genere molto superiore del
carico di FPF cosicché per un buon sfruttamento del laminato è in genere necessario tollerare un
certo danneggiamento dello stesso. D’altra parte se le lamine che si rompono per prima sono quelle
trasversali (direzione delle fibre ortogonale al carico principale), allora alla rottura di queste segue
solo una ridotta diminuzione delle performance del laminato sia in termini di rigidezza che di
resistenza. Sperimentalmente è sovente difficile evidenziare per esempio la rottura trasversale della
prima lamina dalla osservazione della rigidezza del laminato, visto il contributo molto piccolo dato
dalla rigidezza trasversale di una singola lamina. Per questo in generale nella progettazione
strutturale il coefficiente di sicurezza del laminato viene definito nei confronti della rottura piuttosto
che nei confronti del danneggiamento della prima lamina. Nella verifica di resistenza a rottura il
coefficiente di sicurezza del laminato risulta pari a:

92
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

η rott
{
= ~
N
~ ~ T
}
M rottura
=
N x , rottura
=
N y , rottura
= ..... (34)
{N ~ T
}
M applicato N x , applicato N y , applicato

Solo nel caso particolare in cui non è tollerato alcun danneggiamento del laminato, si considera il
coefficiente di sicurezza nei confronti del danneggiamento definito come il rapporto tra il carico di
FPF ed il carico applicato:

η FPF = ~
{N~ ~ T
M FPF } =
N x , FPF
=
N y , FPF
= ..... (35)
{N ~ T
}
M applicato N x , applicato N y , applicato

Per una migliore comprensione del metodo di analisi, a titolo di esempio di seguito è riportata
l’analisi di un laminato cross-ply soggetto a sforzo normale semplice allineato con una delle
direzioni principali delle lamine.

7.4 Analisi di un laminato cross-ply

L’analisi di un laminato cross-ply può essere eseguita in modo semplificato mediante semplici
considerazioni sulle modalità di cedimento delle lamine. In particolare, in presenza di sollecitazioni
semplici è possibile determinare il carico di FPF ed il carico di rottura senza per questo dovere
ricorrere alla teoria classica dei laminati.

7.4.1 Analisi del carico di FPF


Si consideri un laminato cross-ply costituito complessivamente da n lamine di cui l a 0° (allineate
con il carico applicato) ed m a 90°, soggetto ad un carico di trazione semplice. Indicando con EL ed
ET i moduli di Young longitudinale e trasversale di ciascuna lamina, il modulo di Young del
laminato integro, detto modulo di Young primario Ep, si ottiene immediatamente tenendo conto che
un laminato cross-ply è in pratica un sistema costituito da elementi elastici posti in parallelo, la cui
rigidezza K è quindi somma delle rigidezze delle singole lamine, cioè:

∑ ∑ ∑ ∑
n n l m
K Ei Ai Li Ei Ai E L Ai + ET Ai E L • l + ET • m
Ep = = i =1
= i =1
= i =1 i =1
= (36)
AL AL A nAi n

avendo indicato con L la lunghezza del laminato e con Ai l’area della singola lamina.
All’aumentare del carico applicato il materiale esibisce un comportamento elastico lineare con
pendenza della retta pari ad Ep (vedi fig.2), e ciò sino alla rottura delle lamine trasversali che sono
evidentemente quelle “più deboli”. Tenuto conto che tali lamine sono soggette in pratica ad uno
stato pressoché monoassiale di tensione (trascurando gli effetti legati al diverso coefficiente di
Poisson delle lamine a 0° e 90°), per l’individuazione del carico di rottura non è necessario ricorrere
alla TCL in quanto la condizione di incipiente rottura si verifica allorquando la deformazione del
laminato eguaglia il valore limite di rottura trasversale εT,R. Ciò si verifica quando la tensione del
laminato è pari a σA (vedi fig.2) essendo:

σ A = σ FPF = E p ε T , R (37)

93
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

7.4.2 Analisi post-FPF


Determinato così il carico di FPF, anche il carico di rottura del laminato (rottura delle lamine a 0°)
può essere determinato in modo relativamente semplice. Nella ipotesi che tutte le lamine a 90°
cedano contemporaneamente con rotture diffuse, il modulo di Young del laminato subisce una
riduzione venendo meno il contributo (sovente piccolo ma non trascurabile) alla rigidezza delle
lamine a 90°. Il modulo di Young del laminato dopo la rottura delle lamine trasversali è indicato
come modulo di Young secondario Es del laminato. Applicando ancora la (32) e tenendo conto che
le lamine rotte esibiscono un modulo di Young praticamente nullo, tale modulo vale:

ELl + 0 * m l
ES = = EL (38)
n n

In pratica il modulo di Young secondario Es è eguale al modulo longitudinale delle lamine corretto
della riduzione di area l/n. Dopo la rottura delle lamine trasversali la caratteristica del laminato è
rappresentata da una retta con pendenza pari a Es (vedi fig.2).
Nella ipotesi che le tensioni sopportate dalle lamine rotte non subiscono significativo rilassamento,
cioè nella ipotesi che le lamine trasversali continuino a sopportare il carico che ne ha determinato la
rottura, il legame tensioni deformazioni del laminato è rappresentato ancora da una linea retta con
pendenza ES che si diparte dal punto A (fig.2) ove la curva presenta un più o meno evidente
ginocchio.

σR
σ max
Es B
ginocchio
σFPF A
Ep Ee

ε A= ε T,R ε L,R
Fig.2 - Diagramma carico deformazione di laminato cross-ply

L’osservazione sperimentale mostra che tale condizione si verifica in presenza di rotture localizzate
delle lamine e contestuali significativi fenomeni di “bridging” del carico. In pratica, come mostra la
seguente fig.3, grazie alla levata rigidezza della lamine a 0° il carico sopportato dalle lamine rotte
localmente passa dalle lamine a 90° a quelle a 0° per poi passare nuovamente a quelle a 90°.

cricche
90°

Fig.3 – Effetti di bridging in laminato cross-ply dopo rottura delle lamine trasversali.

94
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

Il carico sopportato dalle lamine a 90° rimane pressoché invariato oltre che per effetti di bridging,
anche per eventuale scorrimento plastico della matrice. In alcuni laminati cross-ply tale scorrimento
plastico coesiste con il “bridging” del carico.
Sovente le curve sperimentali non presentano un ginocchio marcato a causa del fatto che il
cedimento risulta in qualche modo progressivo e caratterizzato da rotture localizzate che danno
luogo ad un trasferimento progressivo del carico sul materiale adiacente, similmente a quanto
avviene nella rottura di una singola fibra in una lamina unidirezionale soggetta a carico assiale: in
presenza di una buona adesione fibra matrice in prossimità dell'estremità rotta il carico si trasferisce
alle fibre adiacenti attraverso la matrice. Anche in presenza di scorrimento plastico la curva tensioni
deformazioni può essere ben approssimata da una spezzata. In ogni caso pertanto la curva
caratteristica del laminato, prima e dopo la rottura delle lamine trasversali, è lineare e si ha in
particolare (vedi fig.2):

σ
ε= per σ ≤ σ FPF
Ep
(39-40)
σ FPF σ − σ FPF
ε= + per σ > σ FPF
Ep Es

Per un laminato cross-ply il carico di SPF coincide in pratica con il carico di rottura delle lamine
longitudinali ovvero con il carico di completa rottura del laminato. Al crescere del carico applicato
la rottura delle lamine a 0° avverrà allorquando la deformazione longitudinale eguaglia la
deformazione limite longitudinale εL,R della singola lamina. La tensione di rottura σR è data quindi
da (vedi fig.2):

σ R = σ A + E s (ε L , R − ε T , R ) = E p ε T , R + E s (ε L , R − ε T , R ) = E s ε L , R + ( E p − E s )ε T , R (41)

Si noti che la (41) fornisce la tensione media presente nel laminato nelle condizioni di incipiente
rottura e rappresenta la regola delle miscele. In particolare il primo termine dell’ultimo membro
rappresenta il contributo delle lamine a 0° mentre il secondo termine rappresenta il contributo della
lamine a 90°. Esplicitando i moduli di Young Es ed Ep (eq.36,38) la (41) per un materiale fragile
può essere scritta come:

l m l m l m
σ R = E L ε L , R + ET ε T , R = ( E L ε L , R ) + ( ET ε T , R ) = σ L , R + σ T , R (41’)
n n n n n n

che esprime appunto la regola delle miscele. Si osservi inoltre che se il caricamento del composito
avviene secondo la spezzata OAB di fig.2, lo scaricamento dopo FPF non segue lo stesso percorso
in quanto, come mostra l’osservazione sperimentale, esso avviene in modo lineare secondo la retta
congiungente il punto B generico con l'origine del riferimento. In altre parole in fase di
scaricamento il composito esibisce anche dopo FPF un comportamento elastico lineare con modulo
di Young Ee pari a:

σB σ max Es E p
Ee = = = (42)
ε B σ A / E p + (σ max − σ FPF ) / E S E p − (σ FPF / σ max )( E p − E S )

La (42) mostra come il modulo di Young esibito dal laminato nel processo di scaricamento ed

95
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

eventuale ricaricamento dipende dal valore della massima sollecitazione applicata, ed in particolare
decresce con questa.
Il comportamento post-FPF sopra illustrato è strettamente legato alla ipotesi fatta che le lamine
trasversali sopportino il carico di rottura anche dopo il cedimento. Se invece al cedimento delle
lamine trasversali segue il rilassamento totale delle corrispondenti tensioni, cosa che si verifica
allorquando il legame tra le varie lamine è debole (bridging trascurabile) e il cedimento comporta
rottura diffusa delle lamine, l'andamento della curva carico deformazioni dopo FPF risulta diverso.
In particolare se la prova di trazione è eseguita in controllo di carico (carico crescente in modo
monotono) al cedimento delle lamine trasversali segue un brusco aumento della deformazione a
causa dell'istantaneo passaggio del carico sopportato dalle lamine trasversali a quelle longitudinali
(percorso B di fig.4). La variazione istantanea della deformazione del laminato risulta pari a:

σA σA  E p − Es   E − Es 
∆ε ( B ) = − = σ A  = ε T ,R  p
 E  (43)
Es Ep  EE 
 s p   s 

Se invece la prova è eseguita in controllo di deformazione allora al rilassamento delle lamine


trasversali conseguente alla rottura si verifica una brusca diminuzione del carico applicato a causa
della brusca diminuzione della rigidezza del laminato causata dal venir meno del contributo delle
lamine trasversali rotte. (percorso C di fig.4). In questo caso la variazione della tensione presente
globalmente nel laminato e pari a:

∆σ ( C ) = σ A − σ C = E p ε T , R − E s ε T , R = ε T , R (E p − E s ) (44)

Nella realtà operativa di un componente in laminato composito cross-ply possono pure verificarsi
ovviamente condizioni intermedie tra le due situazioni limite di controllo di carico e controllo di
deformazione (percorso D di fig.4).

σ Es
σR

σA A
Es
∆σ
Ep ∆ε
ε A= ε T,R ε L,R

Fig.4 - Diagramma σ−ε di laminato cross-ply nel caso di rilassamento totale delle tensioni.

Ovviamente in ogni caso, poiché la rottura delle lamine annulla completamente il loro contributo
alla sopportazione del carico, dopo il cedimento delle lamine trasversali il composito si comporta
come costituito dalle sole lamine longitudinali.
Dopo la rottura delle lamine trasversali pertanto la curva tensioni deformazioni è rappresenta sia per
caricamento che scaricamento dalla retta passante per l'origine ed avente inclinazione pari al
modulo secondario del composito (vedi fig.4). É importante osservare come significativi effetti di
bridging danno luogo ad una maggiore resistenza del laminato, in quanto ciò determina la

96
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

collaborazione della lamine trasversali. In presenza di bridging la tensione di rottura è data dalla
(38) mentre in assenza di bridging la tensione di rottura per caricamento a controllo di carico o di
deformazione è dato da (vedi anche fig.4):

σ R = E s ε L,R (45)

Il confronto della (45) con la (41) mostra appunto come in assenza di bridging la tensione di rottura
del laminato diminuisce della quantità:

∆σ R = ( E s − E s )ε T , R (46)

che costituisce il contributo delle lamine trasversali.


A titolo di esempio la fig.5 mostra l'andamento teorico e sperimentale della curva tensioni-
deformazioni di un laminato cross-ply in fibra di vetro e resina epossidica del tipo [(0/90)2]S
(laminato simmetrico in cui ciascuna metà è costituito da una sequenza 0°/90° ripetuta due volte,
quindi complessivamente 8 lamine alternate).

Es

Ep εA= ε T,R εL,R

ε
Fig.5 - Diagramma carico deformazione di laminato composito cross-ply [0/90]2S

Dalla fig.5 si vede come per un tale laminato in corrispondenza della deformazione εT,R non si ha in
pratica un vero e proprio ginocchio della curva caratteristica essendo in realtà la rottura delle lamine
trasversali progressiva e tenuto conto del forte legame interlaminare presente, essendo ciascuna
lamina trasversale stretta da due lamine adiacenti longitudinali. Ciò da luogo ad un ottimo accordo
con l’ipotesi di assenza di rilassamento del carico sopportato dalle lamine trasversali (rotture
localizzate, ottimo bloccaggio operato dalle lamine longitudinali). È importante osservare come il
carico di FPF risulta in pratica pari a circa il 18% soltanto del carico di rottura, mentre il modulo di
Young secondario è in pratica molto vicino al modulo primario.
Diverso risulta essere il comportamento di un laminato cross-ply con sequenza di impacchettamento
[0/902]S (laminato simmetrico in cui ciascuna metà è costituita da una lamina a 0° e due lamine a
90°, quindi complessivamente 6 lamine), come mostrato in fig.6
Rispetto al caso precedente si osserva ora un ginocchio più evidente con un incremento progressivo
delle deformazioni (andamento sub-orizzontale) in prossimità del ginocchio. Ciò prova come il
comportamento del laminato è pure significativamente influenzato dalla sequenza di
impacchettamento che determina un minore o maggiore effetto di bloccaggio delle lamine
trasversali.

97
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

Es

Ep εA= ε T,R εL,R


ε
Fig.6 - Diagramma tensione-deformazione di laminato composito cross-ply [0/902]S

Evidentemente la sequenza di impacchettamento [0/902]S che vede in pratica 4 lamine trasversali


interposte tra due lamine di estremità, non da luogo a significativi fenomeni di bridging e conseguentemente
il comportamento reale si avvicina localmente a quello corrispondente al percorso OAB relativo al
caricamento a controllo di carico illustrato in fig.4.
Si osserva inoltre anche in questo caso come la tensione di rottura σR≈50 kpsi, sia molto più
elevata della tensione di FPF σFPF≈13 kpsi (cioè σFPF ≈ ¼ σR). Conseguentemente se si tiene il
carico di esercizio al di sotto del carico di FPF, allora non è possibile sfruttare sufficientemente le
capacità di resistenza del laminato. Per questo di solito nella progettazione dei laminati si tollera il
danneggiamento delle lamine “trasversali” e si assume come condizione limite quella di rottura.

7.5. Analisi di laminati mediante codici di calcolo automatico


In base a quanto visto ai capitoli precedenti, si ha che il comportamento e la resistenza di un
laminato, costituito da n lamine unidirezionali, possono essere valutati mediante:
1) calcolo sistematico delle proprietà di ciascuna lamina eseguito a partire dalle proprietà di matrice
e fibre e relativa percentuale in volume (micromeccanica);
2) calcolo delle matrici caratteristiche del laminato tenuto conto di spessori, orientamento e
sequenza di impacchettamento delle lamine;
3) analisi lineare del laminato mediante la teoria classica dei laminati e determinazione del carico di
FPF (inizio del danneggiamento) mediante uso di un opportuno criterio di resistenza;
4) analisi incrementale iterativa del laminato e calcolo della sequenza di rottura delle lamine e
quindi del carico di rottura del laminato mediante uso di un opportuno criterio di resistenza.
Tutto ciò può essere vantaggiosamente eseguito utilizzando uno strumento di calcolo automatico
che consenta di introdurre, per ciascuna lamina, le caratteristiche di fibra e matrice e la percentuale
relativa, lo spessore, l'orientamento e la sequenza di impacchettamento.
Esistono vari codici di calcolo espressamente realizzati per questo scopo, alcune dei quali sono
dotati gia di una libreria di materiali compositi commerciali e permettono allo stesso tempo la
definizione di nuovi materiali (lamine) che possono anche essere memorizzati con un relativo nome
che ne permette il richiamo e l'uso ogni volta che l'utente lo richiede. Ovviamente quando le
caratteristiche della lamina sono stimate teoricamente mediante le formule della micromeccanica, è

98
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

bene ove possibile cercare di valutare l'attendibilità di tali stime per esempio confrontando queste
con valori sperimentali di materiali simili. Si ricordi a tal proposito che le caratteristiche di
resistenza longitudinali sono in genere stimate dalla micromeccanica in modo relativamente
accurato mentre quelle trasversali possono essere influenzati da errori anche grossolani. Mentre
infatti la resistenza longitudinale è fortemente legata alle proprietà delle fibre, quella trasversale
dipende fortemente dalla interazione fibra-matrice e dalla bontà della adesione fibra-matrice,
fenomeni che in generale non è possibile valutare accuratamente mediante metodi teorici.
Una volta valutate le caratteristiche di ciascuna lamina, il codice automatico seguendo le istruzioni
date circa sequenza di impacchettamento, spessori delle lamine e carico applicato (meccanico,
termico e/o legato a variazioni di umidità) è in grado di valutare, utilizzando le formule della teoria
classica dei laminati, le tensioni e le deformazioni su ciascuna lamina. Scelto il criterio di
resistenza, il codice di calcolo, seguendo la procedura sopra esposta, può infine in modo automatico
valutare il carico di FPF, i valori di carico che portano alla successiva rottura delle altre lamine ed il
carico di rottura finale del laminato.
I risultati forniti circa la sequenza di rottura delle lamine ed il carico di rottura del laminato
consentono all'utente, specie in casi di sollecitazione semplice, di operare una successiva
ottimizzazione del materiale in termini di lamine usate, orientamento e sequenza di
impacchettamento.

7.6. Analisi post-FPF mediante metodo semplificato.

L’analisi lineare incrementale esposta al capitolo 7.3 per la determinazione del carico di rottura di
un laminato, risulta relativamente laboriosa specie per laminati costituiti da un elevato numero di
lamine. Inoltre, essa pone non pochi problemi legati alla corretta approssimazione delle matrici di
rigidezza delle lamine danneggiate ed alle effettive interazioni tra le lamine integre e danneggiate.
Ancora, per ottenere risultati attendibili sulla sequenza delle rotture è necessario avere della buone
stime della resistenza trasversale della lamine, mentre in genere la teoria fornisce solo grossolane
approssimazioni di tale parametro. Infine, al progredire del danneggiamento il calcolo può
complicarsi in quanto si può passare da un laminato inizialmente simmetrico ed ortotropo ad uno
danneggiato non simmetrico e/o non ortotropo.
Tenuto conto che per un laminato correttamente progettato la rottura definitiva corrisponde sempre
alla rottura delle fibre (della lamine parallele al carico principale) successiva in generale al
danneggiamento della matrice (es. rottura delle lamine ortogonali al carico), un approccio
alternativo semplificato per la determinazione del carico di rottura del laminato che consente di
evitare i sopra citati inconvenienti del metodo iterativo, consiste nella introduzione di un fattore di
degrado fd , compreso tra 0 e 1, utilizzato per tener conto del danneggiamento subito dalla matrice
all’aumentare del carico applicato. In pratica il carico di rottura del laminato si valuta modificando
le caratteristiche elastiche delle lamine influenzate significativamente dal danneggiamento della
matrice, nonché i criteri di resistenza in modo da considerare solo la condizione di cedimento legata
alla rottura delle fibre. In pratica le caratteristiche elastiche sono modificate assumendo:

E L' = E L ; ET' = f d ET ; '


G LT = f d G LT ; '
v LT = f d v LT ; '
vTL = f d vTL ; (47)

mentre i criteri di resistenza si riducono alle sole relazioni che considerano il cedimento per
trazione e compressione longitudinale delle lamine:

1) criterio della massima tensione:

σ L < σ L,R ; σ L > σ ' L,R . (48, 49)

99
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

2) criterio della massima deformazione:

ε L < ε L,R ; ε L > ε ' L,R . (50, 51)


3) criterio di Tsai-Hill:

σ L < σ L,R ; σ L > σ ' L,R . (52, 53)


4) criterio di Tsai-Wu

FLLLσ L + FLLσ L < 1


2
(54)

In queste condizioni, eseguendo una analisi lineare mediante TCL, il carico di rottura del laminato,
indicato nella letteratura anglosassone anche con il simbolo PFF (FF=fiber failure), si assume pari
al carico che produce la rottura (delle fibre) della lamina caratterizzata dal più basso coefficiente di
sicurezza.
In assenza di specifiche informazioni il valore del coefficiente di degrado fd è solitamente assunto
pari a 0.2-0.4; una stima accurata di esso può essere ottenuta, per data tipologia di laminato,
confrontando i risultati teorici con quelli sperimentali.
Come il metodo incrementale, il metodo semplificato fornisce in genere risultati sufficientemente
approssimati se il laminato è correttamente progettato, cioè se la percentuale di fibre in una data
direzione è proporzionale alla entità del relativo carico applicato. Evidentemente per un laminato
non correttamente progettato in cui la rottura può avvenire per cedimento della matrice, il metodo
semplificato può dar luogo a grossolane sovrastime della resistenza. Ovviamente in questi casi
occorre migliorare il lay-up del laminato piuttosto che ricorrere a metodi di analisi più accurati.
E’ questo il caso per esempio di un laminato cross-ply soggetto a taglio (rottura per cedimento a
taglio della matrice con fibre integre). Sebbene infatti lamine cosi disposte (0/90) sono in genere
necessarie in un laminato, per migliorare la resistenza a taglio è necessario sempre aggiungere
lamine disposte a ±45°. In definitiva, per una buona progettazione è praticamente sempre necessario
avere almeno un 10% delle lamine disposte a 0°, 90° e ±45°. Il rimanente 70% può essere invece
orientato opportunamente in funzione delle sollecitazioni prevalenti di esercizio.

7.7. Il criterio della massima deformazione delle fibre

Nessuno degli approcci sopra esposti per l’analisi dei laminati tiene in debita considerazione gli
eventuali fenomeni di delaminazione ne i fenomeni di interazione delle lamine in un laminato. Per
una corretta analisi del laminato è pertanto in generale affiancare alle verifiche delle singole lamine
una verifica alla delaminazione (tensione tangenziale interlaminare inferiore alla tensione di
delaminazione), sebbene sovente è difficile avere stime attendibili della resistenza alla
delaminazione di un generico laminato. Con riferimento invece alla interazione tra le lamine
adiacenti, è utile osservare che la presenza di lamine variamente orientate fa si che il
danneggiamento della matrice di una lamina in genere non porta ad un diffuso danneggiamento
della stessa in quanto localmente si verificano effetti di bridging che di fatto bloccano il progredire
del danneggiamento stesso anche all’aumentare della entità del carico applicato. In definitiva
pertanto un significativo danneggiamento del laminato si ha soltanto se si verifica rottura della
fibre. Queste considerazioni portano al cosiddetto criterio della massima deformazione delle fibre,
molto utilizzato per la sua semplicità in campo aeronautico. In pratica il criterio assume che la
rottura del laminato si verifica allorquando la deformazione longitudinale di una o più lamine
raggiunge il corrispondente valore che si ha in condizioni di incipiente rottura in una prova di
trazione o compressione semplice della lamina. In altre parole la condizione di resistenza è

100
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

espressa:

ε ' L,R ≤ ε L ≤ ε ' L,R (55)

Per assicurare un ottimo concatenamento delle lamine, il criterio assume implicitamente che ad ogni
lamina con orientamento θ ve ne sia almeno una adiacente con orientamento θ ±90°;
conseguentemente la verifica di quest’ultima lamina può essere fatta in pratica utilizzando la
deformazione trasversale della lamina con orientamento θ mediante la relazione:

ε ' L,R ≥ ε L ≥ ε ' L,R (55)

Poiché il criterio assume implicitamente


Una variante del criterio della massima deformazione delle fibre è il cosiddetto “truncated-
maximum-strain criterion” che alle (55) aggiunge una ulteriore condizione di resistenza legata al
cedimento per scorrimento. In particolare il metodo ipotizza che le direzioni principali del materiale
coincidono con quelle delle deformazioni principali e pertanto il cedimento per scorrimento si
verifica allorquando si ha:

ε L − εT ε L, R − (−v LT ε L, R ) ε ' L, R −(−v LT ε ' L, R )  (1 + v LT )


γ LT = ≥ γ ' LT , R = max , = max{ε L, R , ε ' L, R }
2  2 2  2
(56)

Si osservi che il criterio non fa riferimento alla resistenza a taglio del materiale γLT,R derivata da un
apposita prova di taglio, ma con la (56), che fa riferimento ad una prova di trazione o compressione,
tiene conto soltanto della interazione tra sollecitazioni longitudinali e trasversali che si ha
allorquando queste hanno segno opposto. In presenza di sollecitazioni longitudinali e trasversali
concordi, infatti, la (56) è superflua in quanto individua una condizione di rottura sempre meno
restrittiva delle (55).

7.7. Carpet plots

La procedura di analisi dei laminati esposta ai capitoli precedenti, facente uso della TCL e di un
opportuno criterio di resistenza, consente in generale di eseguire la verifica di un laminato generico
(angle-ply, cross-ply ecc) una volta assegnate le principali caratteristiche del laminato e le
sollecitazioni applicate. Essa invece non consente in generale di eseguire il progetto del laminato,
neppure in presenza di sollecitazioni semplici. Evidentemente, la progettazione di un laminato è
compito ben più complesso della progettazione di un elementi in materiale tradizionale (omogeneo
ed isotropo). Essa infatti prevede la definizione di un certo numero di parametri quali
principalmente:
a) materiale di fibre e matrice;
b) percentuale di fibre;
c) orientamento delle lamine;
d) sequenza di impacchettamento (lay-up);
e) spessore del laminato (o n° di lamine totali fissato lo spessore della singola lamina);

In sintesi, i parametri di cui al punto a) sono strettamente legati alle specifiche esigenze e
limitazioni del progetto quali per esempio, fattori ambientali, rigidezza, resistenza, costo ecc; la
percentuale di fibre è legata alle performance della lamina che si vuole ottenere ma anche ai relativi

101
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

costi sopportabili visto che il costo della lamina in genere aumenta con la percentuale di fibre. I
parametri di cui ai punti c) e d) sono legati alla tipologia delle sollecitazioni applicate (monoassiali,
biassiali ecc), al particolare tipo di laminato che si vuole ottenere (simmetrico, ortotropo ecc)
nonché alle performance richieste in termini di resistenza statica, a fatica ecc (effetti di bridging,
tensioni interlaminari ecc). Fissati i parametri a)-d) lo spessore del laminato è infine legato
direttamente alla entità del carico di esercizio.
Nella maggior parte delle applicazioni industriali si utilizzano laminati simmetrici ortotropi con
sequenza di impacchettamento del tipo:

[0α/90 β /±45 γ]S (57)

in cui α, β e γ indicano la percentuale di lamine aventi rispettivamente orientamento 0°, 90° e


±45°. Indicando con nα, nβ e nγ il numero di lamine a 0°, 90° e ±45° si ha ovviamente:

nα nβ nγ
α= ; β= ; γ = ; (58)
n n n

Evidentemente per γ=0 la (57) individua in particolare un laminato cross-ply; per β=γ=0 si ha
invece un laminato unidirezionale.
Fissata così la sequenza di impacchettamento, tutte le caratteristiche elastiche e meccaniche del
laminato possono essere legate a due di tali percentuali essendo:

α+β+ γ=1 (59)

E’ possibile pertanto costruire dei diagrammi a curve di livello, indicati col termine carpet plots
nella letteratura anglosassone, che forniscono immediatamente le principali caratteristiche elastiche
e di resistenza globali del laminato al variare della percentuale di lamine disposte a 0°, 90° e ±45°.
In particolare le caratteristiche elastiche globali del laminato sono definite considerando la piastra
omogenea ortotropa equivalente. Il concetto di equivalenza è in questo caso legato al tipo di
sollecitazione applicata.
Considerando per esempio un laminato ortotropo del tipo descritto dalla (44) soggetto a
sollecitazioni di sforzo normale e/o taglio (assenza di sollecitazioni di flessione e/o taglio),
confrontando la prima equazione costitutiva del laminato:

N x  ε x 
   
 N y  = [A] ε y  (60)
T  γ 
 xy   xy 

con l’equazione costitutiva di una piastra in materiale omogeneo ortotropo:

σ x  ε x 
   
 σ y  = [E ] ε y  (61)
σ  γ 
 xy   xy 

e tenuto conto della definizione delle caratteristiche di sollecitazione nonché della espressione della
matrice di rigidezza estensionale nel riferimento globale xy del laminato (vedi cap.5), dalle (60) e
(61) si ottiene immediatamente:

102
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

 Ex ν xy E y 
 0 
1 − ν xyν yx 1 − ν xyν yx   A11 A12 0 
[E ] = [A]
 ν xy E y Ey  1
⇒  0  =  A12 A22 0  (62)
h 1 − ν xyν yx 1 − ν xyν yx  h 0 0 A33 
 0 0 G xy  
 
 

Confrontando i termini delle due matrici si ottiene dopo semplici passaggi:

A12 A A A122 A A122 A


ν xy = ; ν yx = 12 ; E x = 11 (1 − ); E y = 22 (1 − ); G xy = 33 (63-67)
A22 A11 h A11 A22 h A11 A22 h

Le (49-53) consentono la valutazione delle costanti elastiche del laminato a partire dalla matrice di
rigidezza estensionale che nel caso in studio è legata alla percentuale di lamine α e γ dalla
relazione:

∑ [E ] s [] [] [E ]
n
~ ~ γ ~ γ ~
[ A] = k k =h(α [E ] + (1 − α − γ ) E 90 + E 45 + − 45 ) (68)
k =1
2 2

Fissato il tipo di lamina da utilizzare, le (63-67) insieme alla (68) consentono di diagrammare
l’andamento delle costanti elastiche di Ex, Ey, vxy e Gxy del laminato al variare delle percentuali α e
γ. A titolo di esempio nella seguente figura è rappresentato il carpet plot (diagramma a curve di
livello) relativo al modulo di Young Ex di laminati in fibre di vetro-poliestere con Vf=0.5.

Fig.7 – Carpet plot del modulo di Young Ex di laminato in fibre di vetro-poliestere con Vf=0.5.

Si osserva come il modulo di Young subisce piccole variazioni con la percentuale di lamine a ±45°.
In altre parole la sostituzione di lamine a 90° con lamine a ±45° da luogo a variazioni del modulo di
Young molto piccole. Come è noto infatti, il modulo di Young di una lamina a 45° è prossimo a
quello di una lamina a 90° (vedi cap.4), cosicché il modulo di un laminato è legato essenzialmente
alla percentuale α di lamine a 0°. Inoltre, il modulo di Young di laminati con β=0 (senza lamine a

103
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

90°) decresce in pratica linearmente all’aumentare della percentuale di lamine a ±45°. Un tale
diagramma permette per esempio di progettare a rigidezza un laminato soggetto a sforzo normale.
Fissata infatti la rigidezza richiesta al laminato, il diagramma consente di determinare
immediatamente lo spessore necessario. Per esempio se si vuole progettare un tirante che deve
avere una lunghezza l =1 m, una larghezza di L=0.1 m ed una rigidezza K=11 MPa m, allora
fissando una percentuale minima di lamine a ±45° pari al 20% (in modo da cautelarsi nei confronti
di eventuali carichi trasversali e/o di taglio), cioè assumendo γ=0.2 e rinunciando all’uso di lamine
trasversali (β=0) dalla fig.7 si ha che un tale laminato ha un modulo di Young Ex=33 GPa, per cui
per avere una rigidezza di 11 MPa m il laminato deve avere uno spessore pari a:

Ex L * s K l 11 * 1
Kx = ⇒s= x = = 4.4mm
l E x L 25 * 10 −3 * 0.1

Il modulo di Young Ey di tali laminati si può rilevare immediatamente dallo stesso grafico di fig.7
semplicemente scambiando la percentuale α con la percentuale β. La contrazione laterale del
puntone può valutarsi immediatamente a partire dal carpet plot relativo Il coefficiente di Poisson del
laminato può determinarsi immediatamente
Nella seguente fig.8 è riportato il carpet plot del coefficiente di Poisson vxy e del modulo di elasticità
a taglio di tali laminati.

Fig.8 – Carpet plot del modulo di vxy (a) e di Gxy per laminati in fibre di vetro-poliestere con Vf=0.5.

Dalla fig.8a si vede come il coefficiente di Poisson di tali laminati varia in pratica da 0.1 a 0.6 circa
e, come si comprende facilmente, cresce al crescere della percentuale di lamine a 0° e a ±45°. Dalla
fig.8b si osserva invece come il modulo trasversale Gxy varia tra 3.2 e 11 GPa circa per γ che va da
0 a 1, ed è in pratica funzione lineare della percentuale di lamine disposte a ±45°. Si ha in questo
caso una sola curva in quanto fissata la percentuale di lamine a ±45° la rigidezza a taglio non
dipende ovviamente dalla percentuale relativa di lamine a 0° e 90°.
Nello stesso grafico di fig.8b è rappresentato il modulo di taglio che il laminato esibisce in presenza
di sollecitazione torcente. Evidentemente le caratteristiche elastiche del laminato in presenza di
flessione e/o torsione sono diverse da quelle che questo esibisce in presenza di sollecitazioni di
sforzo normale e/o taglio. Considerando infatti una sollecitazione di flessione-torsione,
confrontando la seconda equazione costitutiva del laminato:

104
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

Mx   kx 
   
 M y  = [D ] k y  (69)
M  k 
 xy   xy 

con la corrispondente relazione valida per materiale omogeneo ortotropo:

Mx   kx 
  h3  
 M y  = [E ] k y  (70)
M  12 k 
 xy   xy 

tenuto conto della espressione della matrice di rigidezza nel riferimento globale xy del laminato,
dopo semplici passaggi si ottengono le caratteristiche elastiche del laminato in flessione (bending):

D12 D D A122 D A122 D


ν xyb = ; ν xyb = 12 ; E xb = 11 (1 − ); E xb = 22 (1 − ); G xyb = 33 (71-75)
D22 D11 h A11 A22 h A11 A22 h

Le (71-75) consentono la valutazione delle costanti elastiche globali del laminato in flessione-
torsione a partire dalla matrice di rigidezza flessionale che nel caso in studio è legata alla
percentuale di lamine α e γ dalla relazione:

n(1−α −γ ) nγ / 2 nγ / 2

∑[] ∑[ ] ∑[ ]
nα 3 3 3 3 3 3
~ (h − hk −1 ) ~ (h − hk −1 ) (h − hk −1 )
∑[E] 3 3 ~
[D] = 0° (hk − h
k −1 )+ E 90° k + E 45° k + E −45° k (76)
k =1 k =1
3 k =1
3 k =1
3

Fissato il tipo di lamina da utilizzare, le (71-75) insieme alla (76) consentono di diagrammare
l’andamento delle costanti elastiche del laminato in flessione al variare delle percentuali α e γ. A
titolo di esempio nella seguente figura è rappresentato il carpet plot del modulo Young E xb e del
b
coefficiente di Poisson v xy :

Fig.9 – Carpet plot del modulo di Young E xb (a) e del coefficiente di Poisson v xy
b
(b) di laminato in
fibre di vetro-poliestere con Vf=0.5.

105
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

Dalla fig.9a si vede come il modulo di Young del laminato in flessione varia sempre tra circa 10 e
40 GPa e cresce al crescere delle lamine a 0° mentre decresce al crescere della percentuale di
lamine a 90° e a ±45°. Come prima il modulo di Young E xb si ottiene dallo stesso grafico
scambiando α con β.
Il coefficiente di Poisson in flessione (fig.9b) varia sempre tra 0.1 e 0.6 e cresce sempre al crescere
della percentuale di lamine a 0° e a ±45°, sebbene con legge diversa da quella relativa al caso di
sollecitazione di sforzo normale (fig.9a).
Nella seguente fig.10 è riportato i carpet plots della tensione di FPF dei laminati sopra citati al
variare sempre dei parametri α e γ. Tali grafici sono stati ottenuti mediante analisi lineare dei
laminati soggetti a sollecitazione semplice di trazione (fig.10a) e compressione (fig.10b). Si osserva
come la resistenza a trazione risulta pressoché indipendente dalla percentuale di lamine a ±45°, ma
dipende fortemente dalla percentuale di lamine a 0°. Evidentemente la tensione di FPF aumenta
bruscamente al venir meno delle lamine a 90° (β=0, tratto verticale delle curve). Inoltre, per fissato
valore di β in pratica la tensione di FPF aumenta linearmente al diminuire di g. Simili
considerazioni possono essere fatte considerando la resistenza a compressione (fig.10b).

Fig.1
0 – Carpet plot della tensione di FPF in trazione (a) e compressione (b) di laminati in fibre di vetro-
poliestere con Vf=0.5.

Nella seguente fig.11 sono invece riportati i carpet plots degli stessi laminati relativi alla tensione di
rottura del laminato a trazione (fig.11a) e compressione (fig.11b). In questo caso si osserva un
moderato aumento della resistenza all’aumentare della percentuale di lamine a ±45°. La resistenza
dipende comunque fortemente dalla percentuale di lamine a 0°.

106
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

Fig.11 – Carpet plot della tensione di rottura in trazione (a) e compressione (b) di laminati in fibre di
vetro-poliestere con Vf=0.5.

Nella seguente fig.12 è riportato infine il carpet plot della tensione di FPF e della tensione di rottura
sotto sollecitazione di taglio. Ovviamente in questo caso le curve parametriche coincidono tutte in
quanto ai fini della resistenza a taglio non vi è alcuna differenza tra lamine a 0° e lamine a 90°. In
dettaglio, si osserva come per γ>0.2 la resistenza a taglio aumenta pressoché linearmente con la
percentuale di lamine a ±45°.

Fig.12 – Carpet plot della tensione di FPF e della tensione di rottura a taglio di laminati in fibre di
vetro-poliestere con Vf=0.5.

Nelle seguente figura sono riportati inoltre i carpet plots relativi alla tensione di FPF e di rottura per
sollecitazione di flessione (Mx).

107
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali compositi

Fig.13 – Carpet plot della tensione di FPF (a) e della tensione di rottura a flessione (b) di laminati in
fibre di vetro-poliestere con Vf=0.5.

La tensione di FPF e di rottura a flessione è definita con riferimento alla nota formula di Navier
usata per i materiali omogenei (Fx=6Mx/h2).
Nella figura 14 è riportato infine il carpet plot della tensione di FPF e di rottura per sollecitazione
di torsione.

Fig.14 – Carpet plot della tensione di FPF (a) e della tensione di rottura a flessione (b) di laminati in
fibre di vetro-poliestere con Vf=0.5.

Similmente al caso di flessione semplice, anche la tensione di FPF e di rottura a torsione è definita
con riferimento alla formula Fxy=6Mxy/h2

108
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

8. Tensioni interlaminari

8.1. Generalità
Con il termine “tensioni interlaminari” si intendono quelle tensioni che si sviluppano all’interfaccia
tra le lamine di un laminato composito a causa del diverso orientamento delle lamine, cioè della
diversa rigidezza di queste nelle generica direzione fissata. Tali tensioni non sono previste dalla
teoria classica dei laminati e di fatti esse si sviluppano nella zone del laminato dove quest’ultima
cade in difetto. Questa teoria infatti, come accennato al capitolo 5, fornisce risultati accurati per
laminati correttamente incollati di piccolo spessore, relativamente alle zone lontane dai punti di
applicazione del carico e dei vincoli, nonché dei bordi liberi. In prossimità di un bordo libero del
laminato, la teoria classica della laminazione cade in difetto. Per comprendere la genesi delle
tensioni interlaminari si consideri per esempio il caso semplice di una asta costituita da un laminato
simmetrico con lamine orientate a ±θ, soggetta a trazione semplice, come illustrato in fig.1

bordo libero interfaccia

bordo libero
orientamento
lamine

Fig.1 - Modello di asta costituita da un laminato simmetrico [±θ]S soggetto a trazione.

Per tale modello semplice utilizzando la teoria della laminazione, si ha che in ciascuna lamina sono
presenti oltre che "legittime" tensioni σx anche tensioni σy e τxy. Per la generica lamina del laminato
si ha infatti:

σ x  ε x 
  ~
σ y  = E k[]  
• ε y  (1)
τ  0
 xy  k  
cioè:
~ ~
σ y ,k = E 21,k ε x + E 22,k ε y ≠ 0
~ ~ (2-3)
τ xy ,k = E31,k ε x + E32,k ε y ≠ 0

In ciascuna lamina tali tensioni sono in pratica dovute alla presenza delle lamine con orientamento
opposto che impediscono gli scorrimenti che la lamina libera subirebbe sotto la sollecitazione
applicata. Sollecitazioni simili si hanno anche in laminati generici (non simmetrici) nonché in
laminati cross-ply a causa del diverso coefficiente di Poisson longitudinale e trasversale delle
lamine. In un laminato cross-ply soggetto ad un carico allineato con le direzioni principali si ha

96
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

pure la presenza di tensioni σy (τxy=0) poiché il coefficiente di Poisson longitudinale è più grande di
quello trasversale. le lamine allineate pertanto subirebbero, se libere, una deformazione in direzione
ortogonale al carico molto più grande di quella delle lamine a 90°. Poiché le lamine sono bloccate
dall’adesivo ne risulta che le lamine allineate con il carico sono soggette a tensioni σy positive
(trazione), quelle ortogonali al carico a tensioni σy negative (compressione).
In ogni caso (laminato simmetrico, non simmetrico, angle-ply, cross-ply ecc) le tensioni σy e τxy
devono essere nulle nei contorni liberi laterali (y= ±b) della asta. Tali tensioni pertanto subiranno
delle variazioni in prossimità dei contorni a partire dai valori previsti dalla teoria classica della
laminazione.
A tal proposito l'osservazione sperimentale mostra che tali variazioni sono in genere limitate ad una
larghezza pari allo spessore stesso del laminato. In questa striscia pertanto la teoria classica della
laminazione non risulta valida.
La variazione delle tensioni σy e τxy lungo y da luogo, in accordo con le equazioni di equilibrio
indefinite (valide per isotropi ed anisotropi derivando da semplici considerazioni di equilibrio), ad
uno stato tridimensionale di tensione. In particolare, con riferimento alla zona centrale dell'asta,
lontana dai vincoli, le tensioni sono certamente indipendenti dalla coordinata x, cosicché in assenza
di forze di massa le equazioni di equilibrio si scrivono come:

∂τ xy ∂τ xz
+ =0
∂y ∂z
∂σ y ∂τ yz
+ =0 (4-6)
∂y ∂z
∂τ yz ∂σ z
+ =0
∂y ∂z

Dalla prima equazione si vede come le variazioni lungo y della tensione τxy danno luogo alla nascita
di tensioni τxz . Analogamente, in virtù della seconda equazione di equilibrio, la variazione lungo y
della tensione σy da luogo alla nascita di tensioni τyz che però devono annullarsi al bordo libero.
Queste ultime pertanto avranno anche esse una variazione lungo y che per la terza equazione di
equilibrio da luogo alla nascita della tensione σz. Tale componente di tensione sarà nulla in
superficie e, per ovvie ragioni di equilibrio risulterà auto-equilibrata (risultante e momento
risultante nullo) nello spessore del laminato.
In definitiva pertanto, mentre lo stato tensionale all’interno del laminato è piano, nei punti in
prossimità dei bordi liberi (ad eccezione dei punti posti sulle superfici libere) esso diviene
tridimensionale.

8.2. Analisi delle tensioni interlaminari


L'analisi teorica, numerica o sperimentale dello stato tensionale in prossimità dei bordi di un
laminato mostra che in corrispondenza dell’interfaccia tra le lamine queste tensioni (τxy, τyz e σz )
possono raggiungere valori relativamente elevati. In particolare la tensione τxz è caratterizzata da
elevati gradienti e può raggiungere valori singolari (infinito). E’ questa infatti l’unica tensione che
non è soggetta a limitazione alcuna. La tensione σz infatti deve annullarsi oltre che all’interno anche
al bordo libero mentre la tensione τyz deve annullarsi, come osservato sulle due superfici, inferiore e
superiore del laminato.
A titolo di esempio la figura seguente mostra l’andamento delle tensioni interlaminari per il
modello mostrato in figura 1 con θ=45° e b/ho=8, calcolate numericamente (differenze finite)
considerando le lamine costituite in fibra di carbonio-resina epossidica con le seguenti

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

caratteristiche elastiche: EL =138 GPa, ET =14.5 GPa, vLT = vTL =0.21 (ipotesi semplificativa), GLT
=5.8 GPa.

y/b

Fig.2 – Andamento delle tensioni interlaminari nel modello di fig.1.

La fig.1 mostra chiaramente come per y/b<0.5 le tensioni σx, σy e τxy sono praticamente uniformi (si
legge in figura σx /εx=2.96∗10−6, τxy /εx=1.15∗10−6) e coincidono con quelle previste dalla teoria
classica dei laminati. Nella striscia laterale di larghezza b/2 pari allo spessore 4h0 del laminato
(b/2=8h0/2=4h0) tali tensioni subiscono invece significative variazioni. In particolare dapprima
queste subiscono tutte un limitato incremento, poi la tensione σx diminuisce mentre le tensioni τxy e
σy si annullano al bordo libero.
Nella stessa striscia si hanno delle tensioni interlaminari σz e τyz di modesta entità mentre la
tensione interlaminare τxz presenta un elevato gradiente e raggiunge valori confrontabili con le
tensioni previste dalla teoria dei laminati.
Gli elevati valori locali delle tensioni interlaminari ed in particolare della tensione σz di trazione,
sono spesso responsabili dell’innesco di fenomeni di delaminazione che in genere riducono
significativamente la resistenza a fatica del laminato.
Fermo restando il tipo (sforzo normale, flessione ecc) e l’entità della sollecitazione esterna nonché
la geometria del laminato, l'entità delle tensioni interlaminari è legata alla discontinuità delle
costanti elastiche delle lamine adiacenti che determina in pratica un vero e proprio fenomeno di
concentrazione delle tensioni. Tali tensioni possono essere accuratamente valutate solo mediante analisi
numeriche o sperimentali. In ogni caso l’entità delle tensioni interlaminari è legata a parametri
caratteristici del laminato quali:
1) numero delle lamine;
2) sequenza di impacchettamento.
Per quanto concerne il numero delle lamine, l’osservazione sperimentale e le valutazioni numeriche
mostrano che fermo restando lo spessore del laminato, all'aumentare del numero di lamine e quindi
al diminuire dello spessore delle lamine, le tensioni interlaminari decrescono.
Per quanto concerne invece la sequenza di impacchettamento delle lamine, la migliore sequenza è

98
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

evidentemente quella che da luogo alle minori discontinuità nelle caratteristiche elastiche delle
lamine adiacenti. In molti casi la sequenza di impacchettamento influenza il segno della tensione σz.
In questi casi, ove possibile vanno evitate le sequenze di impacchettamento che determinano
tensioni positive cui corrisponde una più facile delaminazione.
Il problema delle tensioni interlaminari, proprio per la sua importanza specie in presenza di
sollecitazioni di fatica, è attualmente oggetto di studio da parte di vari ricercatori. Sebbene siano
stati sviluppati vari metodi teorici approssimati, una accurata valutazione delle tensioni
interlaminari può essere in molti casi eseguita solo mediante metodi sperimentali e numerici (FEM,
BEM). L’approfondimento dell’argomento esula dagli scopi del presente corso e pertanto, per
ulteriori approfondimenti, si rimanda alla letteratura specializzata.

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

9. La fatica nei compositi

9.1. Generalità

Similmente a quanto avviene nei materiali metallici, l'applicazione ad un composito di carichi


variabili ciclicamente può dar luogo a rottura anche quando la massima sollecitazione risulta
inferiore alla resistenza statica del materiale (fatica). Sollecitazioni di fatica sono presenti in
svariate applicazioni dei compositi, dal campo aeronautico a quello automobilistico a quello navale
ecc. Conseguentemente, rotture per fatica sono molto frequenti e per questo diversi studi sono stati
condotti al fine di comprendere il comportamento a fatica dei compositi evidenziando i fattori che
primariamente ne influenzano la durata.
Nei compositi, similmente a quanto accade nei materiali isotropi, la rottura per fatica è una rottura
progressiva che si manifesta con la formazione e propagazione di difetti. Il fenomeno è comunque
ben più complesso di quello osservato nei materiali metallici e può involgere uno o più dei seguenti
processi di danneggiamento:
1) scollamento fibra matrice (debonding);
2) fessurazione della matrice;
3) rottura della fibra;
4) scollamento delle lamine (delaminazione).
Contrariamente a quanto accade nei materiali isotropi in cui la formazione di un difetto è
generalmente seguita da una crescita relativamente veloce e con legge esponenziale, in un
composito il danneggiamento per fatica può iniziare molto prima del cedimento e la formazione di
cricche di fatica può in alcuni casi, a causa della intima struttura del laminato, subire un arresto e
non portare affatto alla rottura dell’elemento. Per esempio la cricca originatasi nella matrice di una
lamina può arrestarsi quando essa incontra la fibra così come la cricca propagantesi in una lamina di
un laminato si può arrestare quando essa incontra l'interfaccia con la lamina adiacente avente
diverso orientamento.
Sovente, al fine di evitare ogni possibile danneggiamento del materiale, nella progettazione a fatica
si fa in modo che il carico applicato sia sempre inferiore a quello che produce danneggiamento del
materiale (approccio conservativo, vita infinita).
Laddove invece può essere tollerato un danneggiamento a fatica del componente, occorre tenere
presente che il concetto di danneggiamento è strettamente legato alla particolare applicazione. Per
esempio nelle applicazioni in cui è di fondamentale importanza la rigidezza del componente, il
danneggiamento corrisponde in termini pratici alla diminuzione della rigidezza ed il cedimento al
raggiungimento di un valore minimo di rigidezza consentito; in altri casi il danneggiamento
coincide con l’aumento delle deformazioni sotto carico, ed il cedimento corrisponde al
raggiungimento di una certa deformazione limite.
Il fenomeno delle fatica dei compositi è comunque piuttosto complesso ed ancora non
completamente compreso. Per questo, contrariamente a quanto accade per i materiali tradizionali,
per i compositi non sono ancora ben affermate relazioni attendibili che consentono la previsione
della resistenza e/o della vita a fatica sotto una determinata sollecitazione applicata.

9.2. Meccanismi di propagazione dei difetti


Vari studi sperimentali condotti sulla fatica dei materiali compositi fibro-rinforzati hanno
evidenziato che il danneggiamento per fatica inizia quasi sempre mediante la formazione di cricche
nelle lamine in cui la direzione delle fibre forma l'angolo più grande con la direzione di
applicazione del carico. In un laminato cross-ply, per esempio, le cricche di fatica iniziano sempre
nelle lamine a 90° e risultano disposte sempre in direzione ortogonale al carico applicato.
Solitamente esse interessano l'intera sezione resistente della lamina (vedi fig.1a) e possono formarsi

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

anche dopo breve periodo di esercizio sotto carichi anche inferiori al 20% della resistenza a trazione
del laminato.

(a) (b)

Fig.1 – Cricca semplice (a) e cricche multiple (b) in laminato cross-ply (lamine ortogonali) con P<20%Pr.

Tali difetti iniziali possono interessare facilmente tutte le lamine ortogonali (fig.1b) e solitamente
non si propagano sulle lamine adiacenti se queste sono con fibre sufficientemente allineate col
carico (vedi fig.1b) .
Per livelli di carico al di sopra del 25-30% circa della resistenza statica, al crescere del numero di
cicli di fatica i fenomeni di concentrazione di tensione provocati dalle cricche in prossimità
dell'interfaccia tra le lamine finiscono con il produrre cricche di delaminazione disposte
parallelamente all'interfaccia (vedi fig.2a).

(a) (b)

Fig.2 - Formazione (a) e propagazione (b) di cricche in laminato cross-ply (lamine allineate) con P≥25%Pr.

Il propagarsi di tali cricche produce fenomeni di delaminazione crescente coi cicli di applicazione
del carico (fig.2b) e può portare ad una completa separazione delle lamine che evidentemente
trasformando il laminato in un insieme di lamine praticamente indipendenti, finisce per ridurre
notevolmente la rigidezza del manufatto. In queste condizioni si verifica facilmente la rottura della
lamina più debole o più caricata. A partire da quest’ultima condizione la vita residua del laminato è
generalmente inferiore al 10% della vita totale.
Nella parte finale della vita, in molti casi cricche di fatica si presentano anche nelle lamine con fibre
parallele al carico. Queste possono originarsi dalla concentrazione di tensione prodotta dalla rottura
di una fibra come illustrato in fig.3a. In questo caso la cricca si propaga lungo l'interfaccia sotto
sollecitazione di taglio (shear crack).
In altri casi la cricca si origina nella matrice ed avvicinandosi alla fibra può produrre debonding
quando la concentrazione di tensione all'apice della cricca involge la zona di interfaccia (fig.3b).
Tale fenomeno è caratteristico di compositi con bassa adesione fibra-matrice.
Se invece l'adesione fibra-matrice è elevata la cricca, specie in presenza di matrice poco resistente,
può facilmente aggirare la fibra e continuare a propagarsi al di la di questa (fig.3c).

101
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

In presenza infine di fibre poco resistenti a fatica la cricca può interessare direttamente la fibra
stessa. In particolare per fibre duttili essa si può propagare in modo stabile all'interno della fibra
(fig.3d) mentre in presenza di fibre fragili essa può provocare rottura fragile (propagazione
instabile) della fibra stessa (fig.3e).

m f m f m f Crack by.passing
Shear
crack resistant fibers

Tensile
splitting

(a) (b) (c)

m f m f

fibra fibra
duttile fragile

(d) (e)

Fig.3 - Varie modalità di formazione e propagazione di una cricca in composito fibro-rinforzato.

9.3. Determinazione sperimentale del danneggiamento a fatica


Lo studio del comportamento a fatica dei materiali compositi necessita l’uso di appropriate tecniche
sperimentali che consentano il monitoraggio del danneggiamento subito dal materiale a seguito
della formazione e propagazione di cricche e difetti di vario tipo.
Uno dei metodi più attendibili di analisi del danneggiamento a fatica è certamente costituito dalla
analisi microscopica di sezioni trasversali mediante tecniche di metallografia che consentono di
determinare l'entità del danneggiamento per esempio sulla base del numero di cricche per unità di
superfici. Tale metodo ha l’inconveneiente di essere distruttivo e quindi se si vuole monitorare il
processo di danneggiamento nel tempo occorre disporre di un elevato numero di provini. Essi poi
non consentono di controllare il danneggiamento di un componente in servizio senza metterlo fuori
servizio. Particolarmente interessanti sono per questo i metodi di indagine non distruttiva come
ultrasuoni, termografia, raggi X, interferometria olografica ecc.
Con la tecnica ad ultrasuoni, la cui applicazione a i compositi è in fase di sviluppo, è possibile
rilevare la presenza di fessurazioni interne e la loro estensione (vedi letteratura specializzata).
Anche l'indagine termografica, eseguita mediante misura della distribuzione di temperatura durante
l’applicazione di una sollecitazione di fatica, permette di rilevare l'entità del danneggiamento.
L'energia racchiusa dal ciclo di isteresi meccanica viene dissipata in calore che provoca il
riscaldamento del materiale. Sperimentalmente si osserva che l'aumento della temperatura è ben
correlato con la entità del danneggiamento, cioè le zone più calde sono quelle con maggiore densità
dei difetti.
Pure l'interferometria olografica può essere vantaggiosamente utilizzata per l'analisi qualitativa di
difetti superficiali e sub-superficiali evidenziati da irregolarità del campo di frange osservate.
Un metodo interessante di analisi del danneggiamento è rappresentato infine dalla misura della
rigidezza. In questo metodo il danneggiamento D è associato direttamente alla variazione relativa di
rigidezza del materiale, cioè si assume:

102
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

E iniz − E
D= (1)
E iniz

Il valore corrente della rigidezza è in particolare desunto dalla diagonale del ciclo di isteresi del
materiale.
A titolo di esempio la fig.4 mostra l'andamento del numero relativo di cricche, del modulo di Young
e della resistenza a trazione residua di un laminato cross-ply in fibre di vetro-resina epossidica al
variare del numero di cicli di applicazione del carico di fatica.

lamine trasversali

N° relativo
di cricche

lamine longitudinali

E Ep

Es

σL,R s

N
Fig.4 - Andamento di vari parametri al variare del numero di cicli per laminato cross-ply

Si vede come nelle lamine ortogonali il numero di cricche per unità di superficie cresce in modo
pressoché lineare con il numero di cicli mentre i difetti nelle lamine longitudinali risultano
dapprima crescenti poi hanno un periodo di stabilizzazione per poi crescere repentinamente prima
della rottura.
Il modulo di Young del materiale invece subisce inizialmente una forte diminuzione. Si osserva in
particolare che esso risulta in un certo intervallo iniziale ben superiore del modulo (teorico)
secondario per poi divenire anche significativamente inferiore a questo dopo alcune decine di
migliaia di cicli di fatica.
Per quanto concerne infine la resistenza residua si osserva in pratica un andamento decrescente
asintotico sino a poco prima della rottura in cui si assiste ad una rapida evoluzione del
danneggiamento che porta ovviamente ad una brusca caduta della resistenza residua.
Un parametro significativo del danneggiamento a fatica, specie per laminati compositi cross-ply, è
rappresentato dalla densità di difetti presenti. Tale densità è sovente indicata dal passo medio (p)

103
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

delle cricche, inteso come distanza media relativa tra due cricche successive in una lamina disposta
in direzione ortogonale al carico ciclico applicato.
Vari studi sperimentali hanno evidenziato l'esistenza di una relazione quantitativa pressoché lineare
tra la diminuzione relativa del modulo di Young ∆E/E ed il rapporto p/t tra il passo (p) delle cricche
e lo spessore (t) della lamina (vedi fig.5).

∆ E/E
σa = 330 MPa

σa = 300 MPa

p/t

Fig.5 - Legame tra variazione della rigidezza e rapporto passo cricche/spessore della lamina.

Nella fig.6 è infine riportato l'andamento del decadimento del carico sopportato e dell'aumento della
temperatura in un laminato polipropilene-fibra di vetro soggetto a flessione alternata a
deformazione costante, al variare del numero di cicli di carico applicati.

σL,R 1, 1'= provino non raffreddato


2, 2'= provino raffreddato
ε= cost. ∆T
[°C]

N
Fig.6 - Andamento del decadimento del carico sopportato e dell'aumento della temperatura in laminato
polipropilene-fibra di vetro.

Si vede chiaramente come significative variazioni dei parametri considerati si verificano


all'aumentare del numero di cicli di applicazione del carico. In particolare il carico si mantiene
inizialmente pressoché costante per poi decrescere in modo pressoché esponenziale sino a rottura.
Significativi miglioramenti della resistenza a fatica si ottengono raffreddando il provino in modo da
smaltire il calore prodotto dalla dissipazione dell’energia viscoelastica assorbita dalla resina
polimerica. In presenza di sollecitazioni di fatica ad alta frequenza, raffreddando il pezzo si
possono ottenere miglioramenti della resistenza a fatica anche di un ordine di grandezza.

104
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

9.4. Parametri che influenzano la resistenza a fatica

La resistenza a fatica dei materiali compositi dipende da vari fattori legati alla intima natura e
struttura del materiale nonché alle particolari condizioni di sollecitazione ed ambientali.
Fissate le caratteristiche delle fibre, la resistenza a fatica di un composito dipende essenzialmente
da:
1) materiale della matrice;
2) orientamento delle fibre e sequenza di impacchettamento;
3) percentuale in volume di fibre;
4) adesione fibra-matrice;
5) tipologia di sollecitazione;
6) tensione media;
7) frequenza di applicazione del carico;
8) condizioni ambientali (umidità, corrosione ecc).
9) effetti di intaglio.

9.4.1. Materiale della matrice


Per quanto concerne l'influenza del materiale della matrice si rileva che la migliore resistenza a
fatica si ottiene con materiali che presentano di per se elevata resistenza a fatica e, allo stesso
tempo, una buona adesione fibra matrice. Vari studi condotti su compositi con fibre di vetro (E)
hanno mostrato come la più alta resistenza a fatica si ha con matrice epossidica (vedi fig.7).

σa

N
Fig.7 - Influenza del materiale della matrice sulla resistenza a fatica di compositi in fibra di vetro.

L’ottima resistenza a fatica ottenuta con la resina epossidica, specie ad elevato numero di cicli, è
dovuta alla intrinseca durezza e resistenza al deterioramento della resina epossidica nonché al basso
ritiro dopo la cura (basse tensioni residue). Le tensioni residue da ritiro, caratterizzati da elevati
gradienti, facilitano infatti l’innesco della frattura e quindi danno luogo a significative diminuzioni
della resistenza a fatica del composito.

9.4.2. Orientamento delle fibre e sequenza di impacchettamento


L'influenza dell'orientamento delle fibre sulla resistenza a fatica di un composito è piuttosto
complessa. Sebbene la massima resistenza statica si ha nella direzione delle fibre, la resistenza a
fatica non raggiunge il massimo per compositi con lamine tutte con fibre allineate col carico. In
queste condizioni infatti si verificano abbastanza facilmente fenomeni di cedimento causati dalla
105
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

bassa resistenza del laminato in direzione trasversale: si formano facilmente fessurazioni in


direzione parallela alle fibre che finiscono col danneggiare irreversibilmente il materiale.
Migliori risultati si ottengono invece disponendo alcune lamine a 90° (cross-ply) in modo da evitare
tali fenomeni di danneggiamento precoce. Ottimi risultati risultati si ottengono inoltre disponendo
le varie lamine con angoli di ±5-10° (vedi fig.8).

σa σa

N N
Fig.8 - Influenza dell'orientamento delle fibre sulla resistenza a fatica.

Dalla stessa fig.8 si vede che nei confronti della fatica non è conveniente usare compositi con fibre
a tessuto (fabric) che manifestano una resistenza ben inferiore di quella di equivalenti laminati
cross-ply.
Ciò è dovuto al fatto che nei laminati cross-ply le fibre sono rettilinee e parallele mentre nei
laminati a tessuto le fibre presentano una pieghettatura che ne provoca una diminuzione della
resistenza.
Oltre all'orientamento delle lamine anche la sequenza di impacchettamento influenza
significativamente la resistenza a fatica. Ciò si spiega in gran parte in termini di tensioni
interlaminari. Si è gia visto come le tensioni interlaminari dipendono anche dalla sequenza di
impacchettamento e che, fermo restando numero ed orientamento delle lamine, in alcune sequenze
di impacchettamento si possono avere basse tensioni tangenziali interlaminari e/o tensioni normali
di compressione mentre per altre sequenze si possono avere elevate tensioni tangenziali e/o tensioni
normali di trazione che facilitano il verificarsi di fenomeni di delaminazione a partire dai contorni
liberi con formazione di cricche che si propagano più o meno velocemente verso l'interno.

9.4.3. Percentuale di fibre


L'osservazione sperimentale mostra che per la quasi totalità dei materiali compositi la resistenza a
fatica aumenta con l'aumentare della percentuale di fibre presenti, cioè, contrariamente a quanto
succede per molti materiali tradizionali (vedi per esempio l’acciaio per il quale il rapporto di fatica
decresce all’aumentare della resistenza statica), la resistenza a fatica aumenta con l’aumentare della
resistenza statica.
La fig.9 mostra, a titolo di esempio, la resistenza a fatica assiale (fig.9a) ed a flessione rotante
(fig.9b) di compositi con fibra di vetro.
In generale la resistenza a fatica aumenta con l'aumentare della resistenza statica sebbene
osservazioni sperimentali mostrano che per compositi resina epossidica-fibra di vetro la resistenza a
fatica, come la resitenza statica e per gli stressi motivi, non aumenta al crescere della percentuale di
fibre oltre il 70% circa.

106
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

σa

σa

Vf σL,R

N N
(a) (b)

Fig.9 - Influenza della percentuale di fibre sulla resistenza a fatica assiale (a) e flessione rotante (b).

9.4.4. Adesione fibra-matrice


La resistenza a fatica di un composito può essere notevolmente influenzata dalla bontà della
adesione fibra-matrice. Ovviamente ciò è vero allorquando la formazione e la propagazione delle
cricche di fatica da luogo a fenomeni di debonding più o meno diffusi. Vari studi condotti
considerando diversi trattamenti superficiali della fibra finalizzati ad ottenere miglioramenti della
adesione hanno confermato l'influenza di questo parametro sulla vita a fatica. Bisogna comunque
tenere conto anche delle condizioni ambientali in cui si verifica la sollecitazione di fatica. Per
esempio è stato osservato che compositi rinforzati con fibre di vetro senza alcun trattamento
superficiale esibiscono in ambiente asciutto un comportamento a fatica migliore di quello di fibre
trattate. Queste ultime però subiscono una minore riduzione della resistenza in ambiente umido. In
altre parole il trattamento superficiale delle fibre è efficace solo in ambiente umido.

9.4.5. Tipo di sollecitazione


La resistenza a fatica, come la resistenza statica di un composito è strettamente legata al tipo di
sollecitazione agente. Contrariamente a quanto avviene per i metalli, per i compositi non vi è in
genere alcuna relazione tra le resistenze a sollecitazioni diverse. In particolare, la resistenza a taglio
ed a trazione risultano praticamente indipendenti.
Per alcuni materiali compositi, come fibra di vetro in resina epossidica, il rapporto di fatica
(rapporto tra resistenza a fatica e resistenza statica) per sollecitazione di taglio è superiore di quello
relativo alla trazione. Tale risultato non è però generale. Per esempio, esso si inverte nettamente per
fibro-rinforzati in boro o grafite come mostra la seguente fig.10.

σa σa
σL,R Taglio σL,R

Trazione

Trazione Taglio

(a) N N
(b)
Fig.10 - Influenza del tipo di sollecitazione in compositi in fibra di vetro (a) e fibra di boro (b).

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Non è possibile pertanto generalizzare i risultati ottenuti per un materiale nemmeno ad altri simili,
essendo questi strettamente legati alle peculiari proprietà del materiale, dell'interfaccia ecc.
Per ciascun tipo di sollecitazione non vi sono ancora teorie affermate che consentano di mettere in
relazione l'entità della sollecitazione con la corrispondente durata a fatica.
Contrariamente a quanto accade nei materiali tradizionali ove il danneggiamento è progressivo con
legge di tipo esponenziale, nei compositi il danneggiamento subito durante la vita è si progressivo
ma in genere caratterizzato da distinti momenti e velocità.
Per esempio gli studi eseguiti su compositi in fibra di vetro-resina epossidica hanno mostrato come
in presenza di carichi che producono sforzi in direzione trasversale, un notevole danneggiamento,
evidenziato da una perdita di rigidezza sino al 30%, si manifesta sin dai primi cicli di vita, cioè
prima che sia trascorso il 5% circa della vita del materiale.

9.4.6. Tensione media


Per quanto concerne l'influenza dalla tensione media, l'osservazione sperimentale mostra che per i
compositi, limitatamente alla trazione, questa è simile a quanto gia noto per i materiali isotropi. In
particolare, al crescere della tensione media la tensione alternata cui corrisponde una vita a fatica
prefissata decresce sempre e tende a zero quando la tensione media tende alla tensione di rottura del
materiale.
Similmente a quanto si fa per gli isotropi, l'influenza della tensione media è rilevata eseguendo
delle curve di fatica a tensione media costante. A temperatura ambiente ed in presenza di cicli
trazione-trazione (R>0) i risultati sperimentali (vedi per esempio fig.11) mostrano la validità di una
legge, detta di Goudman-Boller, analoga a quella valida per i materiali metallici, cioè:

σa σm
+ =1 (2)
σl σR

Come per i metalli, la (2) è valida tanto per resistenza a vita infinita che a termine. In quest’ultimo
caso la tensione limite σl rappresenta piuttosto che il limite di fatica, la resistenza a fatica a termine
(vita prefissata). La (2) comunque trova in genere un miglior accordo con i dati sperimentali nel
campo della vita infinita (vedi fig.11).

σa frequenza=1.23 Hz
temperatura=20 °C
Wf =0.326

σm
Fig.11 - Influenza della tensione media sulla resistenza a fatica di composito poliestere-fibra di vetro.

108
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

La validità della (2) non è però generale. Per esempio per compositi in fibra di carbonio
l’esperienza mostra che, contrariamente a quanto accade per i metalli, la presenza di tensioni medie
negative determina una più drastica diminuzione della resistenza a fatica specie in presenza di
fenomeni di concentrazione delle tensioni. La presenza di una componente media di compressione
da luogo in tali materiali a progressivo danneggiamento della matrice con conseguenti fenomeni di
buckling misti a delaminazione e splitting delle fibre. Anche alle elevate temperature la (2) non
trova in genere un buon accordo con i risultati sperimentali.
In tutti questi casi per una attendibile valutazione della resistenza e/o della vita a fatica del
componente in progetto è necessario disporre di dati sperimentali.

9.4.7. Frequenza di applicazione del carico


A differenza di quanto si verifica per i metalli, un aumento della frequenza di applicazione del
carico produce sempre nei compositi un aumento della temperatura ed una conseguente
diminuzione della vita a fatica. Gli effetti della frequenza di applicazione del carico sono comunque
in genere piuttosto modesti, specie per compositi rinforzati con fibre di vetro. Ciò si giustifica con il
fatto che in questi casi la resistenza a fatica a strettamente legata alla resistenza delle fibre che in
definitiva è poco sensibile a limitate variazioni (innalzamenti) di temperatura.

9.4.8. Condizioni ambientali


Vari sono i fattori ambientali che possono influenzare la vita a fatica di un materiale composito. Tra
questi i più importanti sono la temperatura T, la cui crescita determina sempre un decadimento della
resistenza, e la umidità U, che pure da luogo ad una diminuzione della resistenza a fatica.
L’influenza dei fattori ambientali, significativa per compositi in fibra di vetro, è comunque
relativamente bassa per compositi in fibra di carbonio, Kevlar e in fibra di boro.
Esistono pochi dati quantitativi sulla influenza delle condizioni ambientali sulla resistenza a fatica
e, allo stato attuale, lo studio degli effetti dei parametri ambientali sui compositi è ancora ai primi
passi.

9.4.9. Concentrazione delle tensioni


Per molti compositi gli effetti dei fenomeni di concentrazione delle tensioni sulla resistenza a fatica
sono esattamente opposti a quelli osservati nei materiali tradizionali. In un materiale metallico la
presenza di un intaglio produce in genere limitati effetti sulla resistenza statica ma significative
diminuzioni della resistenza a fatica. La situazione sembra invertirsi per i compositi (aventi nella
stragrande maggioranza dei casi un comportamento fragile) nei quali la presenza di intagli riduce
significativamente la resistenza statica e solo in modo molto limitato quella a fatica. Tale risultato
sorprendente è da attribuire essenzialmente ai fenomeni di danneggiamento che un carico variabile
induce nel materiale che si trova nella zona di concentrazione delle tensioni. Tale danneggiamento
produce un vero e proprio effetto di rilassamento delle tensioni e quindi un incremento della
resistenza statica residua dell’elemento. Per esempio la presenza di un foro di 2 mm in un provino
di 25 mm di larghezza può produrre una diminuzione del 25-50% della resistenza statica, ma solo
trascurabili variazioni della resistenza a fatica. Dopo un certo numero di cicli la resistenza statica
dell’elemento può raggiungere valori prossimi a quelli di un elemento privo di intaglio.

9.5. Stima della vita a fatica.


Come precedentemente accennato, contrariamente a quanto accade per i metalli, per i compositi non
si hanno attendibili relazioni che possono essere utilizzate in sede di progetto per la stima della vita
a fatica di un componente.
Vista la grande quantità di compositi realizzabili (in termini di materiali di fibra e matrice, di
109
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

orientamento e numero di lamine ecc.) non è d’altra parte facile avere a disposizione i dati di fatica
del composito che si vuole utilizzare.
Per una progettazione accurata quindi, fissate le caratteristiche del laminato che si vuole utilizzare,
è necessario, dopo una progettazione di massima del componente, procedere ad una
caratterizzazione a fatica di questo possibilmente in condizioni simili a quelle effettive di esercizio.
Diverse relazioni empiriche sono state proposte per mettere in relazione vita a fatica con carico e
caratteristiche della sollecitazione. Si tratta di relazioni sostanzialmente simili a quelle in uso per
materiali isotropi ma che necessitano una apposita determinazione sperimentale delle costanti
caratteristiche che intervengono. Tali costanti infatti non sono in genere facilmente correlabili con
le altre caratteristiche meccaniche del composito di più facile determinazione (resistenza statica,
deformazione a rottura ecc).
Per esempio nella fatica a termine il numero di cicli è legato alla sollecitazione ed alle
caratteristiche del materiale da una relazione del tipo:

∆S
= m log N + b (3)
σR

in cui m e b sono due costanti il cui valore mediamente vale rispettivamente 0.1 ed 1. Tali valori
medi però non possono essere applicati a qualunque materiale in quanto i valori effettivi possono
subire grandi variazioni relative. E’ necessario quindi una indagine sperimentale per una attendibile
stima di relazioni empiriche da potersi utilizzare in fase di progettazione.

9.6. Compositi ad elevato modulo

Il comportamento a fatica dei compositi cosiddetti ad elevato modulo Young, quali i compositi in
fibra di carbonio (ad elevato modulo), boro e Kevlar, risulta in genere molto diverso dagli usuali
compositi in fibre di vetro.
Sperimentalmente si rileva che la resistenza a fatica trasversale di tali materiali è confrontabile con
quella dei compositi con fibra di vetro, ma la resistenza a fatica longitudinale risulta di gran lunga
più elevata. Tale maggiore resistenza è in gran parte da attribuire alla elevata resistenza di tali
materiali agli agenti ambientali e soprattutto alla bassa deformazione a rottura che assicura anche
basse deformazioni della matrice (e quindi basso danneggiamento) durante la sollecitazione di
fatica.
L’elevata anisotropia delle fibre di carbonio da luogo inoltre ad un singolare comportamento a
fatica dei compositi ottenuti con questa fibra. Considerando per esempio un composito
unidirezionale in fibra di carbonio (fig.12), l’esperienza mostra che la resistenza a fatica di tali

R=0.1

σmax σmax

temperatura ambiente
temperatura T=350°F. (b)
(a) R=0.1

N N
Fig.12 - Curve di fatica di lamina unidirezionale (a) e laminato [0/±45/90] in fibra di carbonio (b).

110
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

compositi è pressoché indipendente dal numero di cicli di applicazione del carico, almeno quando
questi variano da 1000 a 10 milioni: in questo range la resistenza a fatica è molto prossima alla
resistenza statica, spesso addirittura interna allo stesso range di incertezza della resistenza statica.
Inoltre, molto importante, tale elevata resistenza rimane pressoché invariata fino a temperature di
350° F (vedi fig.12a).
Poco diversa è la situazione per laminati angle-play in fibra di carbonio: le curve di fatica sono ora
leggermente inclinate e lievemente influenzate dalla temperatura di prova (vedi fig.12b).
Come per i compositi in fibra di vetro, la resistenza a fatica dei compositi ad elevato modulo
subisce significative variazioni con il tipo di sollecitazione (trazione, compressione, taglio ecc): a
compressione è molto più basso che a trazione. Conseguentemente in flessione alternata,
contrariamente a quanto accade nei metalli, la resistenza a fatica corrisponde in pratica alla
resistenza a compressione.
Anche i compositi unidirezionali in fibre di boro esibiscono un particolare comportamento a fatica:
per sollecitazione alternata simmetrica le curve di fatica sono praticamente piatte almeno sino a 10
milioni di cicli ed a temperature sino a 350° F. Le curve assumono invece un andamento
decrescente per rapporti di carico R diversi da –1 (vedi fig.13a) e per laminati di vario tipo (vedi
fig.13b).

σmax σmax
σmax

(b)
(a) (b)

N N
N

Fig.13- Curve di fatica di lamina unidirezionale (a) e laminato [0/±45/90] fibra di boro-resina epossidica (b).

Anche i compositi in fibra di boro esibiscono una elevata resistenza a fatica: per tensioni sino al
70% della resistenza statica la vita a fatica è praticamente infinita (rapporto di fatica non inferiore a
0.7).
Considerando infine i compositi in Kevlar, è possibile affermare che il loro comportamento a fatica
è paragonabile a quello dei compositi in fibra di boro, come mostrato nella seguente figura.

σmax

R=0.1
temperatura ambiente

N
Fig.14- Curve di fatica di varie lamine composite unidirezionali e dell’alluminio.

111
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Dalla fig.14 si vede come la resistenza a fatica dei compositi ad elevato modulo risulta sempre ben
superiore a quella dei compositi in fibra di vetro che risulta, in un largo range (N>104), non molto
diversa da quella dell'alluminio (termine di confronto usato frequentemente nella progettazione
meccanica).

112
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

10. MFLE e criteri di resistenza per elementi intagliati

10.1. Generalità
L'analisi dei meccanismi di cedimento dei compositi eseguita ai capitoli precedenti ha evidenziato
come la rottura del materiale sia sempre accompagnata dalla formazione e propagazione di cricche
e difetti. Nonostante ciò, spesso il legame tra resistenza del materiale e difetti viene per semplicità
trascurato. Gli stessi criteri di resistenza esposti al cap.6 sono stati enunciati considerando
praticamente il materiale macroscopicamente continuo, cioè privo di difetti, cricche, vuoti ecc.
Nella realtà invece, a causa della natura multifase nonché dei processi di produzione utilizzati, un
materiale composito è sempre sede di difetti come cricche, vuoti ecc. Inoltre, la percentuale di tali
difetti è in genere ben superiore a quella riscontrabile in un materiale tradizionale.
Tali difetti provocano come è noto effetti di concentrazione delle tensioni, e similmente a quanto
accade per i materiali isotropi, essi sono sempre responsabili della rottura. I concetti della MFLE,
sviluppati propriamente per i materiali convenzionali (isotropi) possono essere pertanto in linea di
principio estesi anche ai materiali compositi (anisotropi), che possono essere considerati omogenei
a scala macroscopica.
Per esempio, può essere esteso ai compositi l'approccio energetico di Griffith secondo il quale
condizione necessaria affinché si abbia la formazione di una certa superficie di frattura e che
l'energia rilasciata ∆U sia maggiore o uguale della corrispondente energia ∆S necessaria per la
formazione della superficie di frattura stessa, cioè:

∆U ≥ ∆S (1)

essendo l'energia rilasciata ∆U legata alle caratteristiche elastiche del provino (materiale,
geometria, orientamento difetto ecc.) ed al tipo di sollecitazione mentre l'energia ∆S necessaria alla
formazione della frattura è intimamente legata al materiale essendo nient'altro che l'energia
necessaria a rompere i legami molecolari.
L'energia rilasciata può facilmente essere determinata sperimentalmente con procedura analoga a
quella usata per i materiali omogenei isotropi. Considerando per esempio un provino soggetto ad
uno sforzo di trazione P con processo di caricamento a deformazione costante, l'energia elastica
immagazzinata e la variazione di questa corrispondente alla formazione di una superficie di frattura
sono dati da:

U = 21 Pδ ⇒ ∆U = ( 21 δ ) ∆P (2)

Dalla misura della variazione del carico applicato è possibile quindi risalire alla energia rilasciata.
L'energia necessaria alla formazione della superficie di rottura si ottiene invece in prove di rottura
utilizzando la (1) col segno di eguaglianza.
Alternativamente, come è stato fatto per gli isotropi, l'energia di deformazione elastica rilasciata ∆U
può essere determinata a partire dalla distribuzione delle tensioni presenti in prossimità dell'apice
della cricca. Per i materiali isotropi è stato trovato (Irwin) che nel modo di crescita I (opening
mode), l'energia elastica rilasciata è legata allo stato tensionale tramite la semplice relazione:

πKI 2
∆U = (3)
E

Per quanto concerne lo stato tensionale presente in prossimità della cricca, anche per i compositi,
nella ipotesi di materiale microscopicamente omogeneo, sono state trovate delle relazioni teoriche

113
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

formalmente simili a quelle degli isotropi:

KI  S S  S 2 S 1  K II  1  S 22 S2 
σx = Re 1 2  2 − 2  + Re   1 2 − 11 2 
2πr  S 1 − S 2  ψ 2 ψ 1  2πr  S 1 − S 2  ψ 2 ψ1 

KI  1  S 1 S  K II  1  1 1 
σy = Re  1 2 − 122  + Re  1 2 − 1 2 
2πr  S 1 − S 2  ψ 2 ψ1  2πr  S 1 − S 2  ψ 2 ψ1  (4)

KI  S S  1 1  K II  1  S 1 S 
τ xy = Re 1 2  1 2 − 1 2  + Re  1 2 − 122 
2πr  S 1 − S 2 ψ 1 ψ2  2πr  S 1 − S 2  ψ 1 ψ2 

in cui è, come per gli isotropi:

K I = σ πa ; K II = τ πa . (5)
ed inoltre
ψ 1 = cos ϑ + S 1 sin ϑ ; ψ 2 = cos ϑ + S 2 sin ϑ (6)

Nelle (6) S1 ed S2 sono le radici, in generale complesse, dell'equazione caratteristica che si ottiene
dalla imposizione del soddisfacimento delle equazioni di equilibrio e di compatibilità scritte in
termini di funzione delle tensioni di Airy. Tali radici sono legate alle caratteristiche del materiale,
all'orientamento della cricca ecc.
L’applicazione del metodo energetico ai materiali compositi subisce rispetto al caso isotropo ovvie
complicazioni a causa del fatto che nei compositi le superfici di frattura possono essere interne alla
matrice, interne alle fibre o lungo l'interfaccia e ad ognuna di queste condizioni corrisponde una
diversa energia di rottura.
Si osservi in particolare che mentre nei metalli la cricca si forma e si propaga sempre in direzione
ortogonale al carico applicato, nei compositi la direzione di propagazione di un difetto può subire
successive variazioni in relazione ai materiali via via incontrati (fibre, lamine diverse ecc) ed alle
specifiche modalità di sollecitazione.
A queste complicazioni si aggiungono anche quelle legate alla complessità delle calcolazioni
necessarie (eq.4-6). Per questo sono stati sviluppati, in alternativa al metodo energetico, degli
approcci più semplici che consentono, se correttamente applicati, una attendibile previsione della
resistenza del materiale in presenza di difetti e/o intagli.

10. 2. Criteri di resistenza di Whitney - Nuismer


Whitney e Nuismer hanno sviluppato un approccio alla valutazione della resistenza applicabile al
caso di elementi con intaglio, alternativo al classico criterio basato sull’uso del fattore di
concentrazione delle tensione. Considerando per esempio una lastra forata di grandi dimensioni, il
criterio del fattore di concentrazione delle tensioni prevede che la rottura di tale elemento si verifica
allorquando la massima tensione, pari la prodotto della tensione nominale per il coefficiente di
concentrazione delle tensioni, eguaglia la tensione di rottura del materiale. Nessuna importanza ha
quindi in questo metodo la dimensione del foro purché piccola rispetto a quella della lastra
(Kt=costante).
In realtà, in presenza di elevate concentrazioni di tensione, la resistenza è pure legata al valore del
gradiente delle tensioni che evidentemente, a pari tensione massima, è a sua volta legato alle
dimensioni dell'intaglio stesso. Si ricordi, per esempio, che nel caso di cricca su piastra infinita in
114
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

applicazione della MFLE la resistenza dell'elemento è legata anche alle dimensioni della cricca. Il
fattore di intensificazione delle tensioni KI risulta infatti proporzionale alle dimensioni della cricca
secondo una relazione del tipo KI = βσ(a1/2).
Nella progettazione si può tener conto del gradiente delle tensioni in vari modi. Un modo è quello
di considerare il valor che la tensione assume ad una certa distanza do dall'apice dell'intaglio. Un
altro modo consiste nel considerare invece il valor medio delle tensioni in un certo intervallo ao
adiacente l'apice dell'intaglio o cricca. Si ottengono cosi i due criteri di resistenza sviluppati da
Whitney e Nuismer: il criterio della tensione puntuale ed il criterio della tensione media.

10.2.1 Criterio della tensione puntuale (point-stress criterion)


In questo criterio si assume che il cedimento dell'elemento si verifica allorquando la tensione
parallela alla direzione di applicazione del carico misurata nel punto distante do dall'apice
dell'intaglio (fig.1a,b) eguaglia il valore della resistenza a rottura del materiale.

σ σ

y y

R σy σy
a
x x
do do

σ σ
(a) (b)

Fig.1 – Criterio della tensione puntuale: piastra forata (a) e con cricca (b) passante centrata

Per esempio, considerando il caso di una piastra forata con foro di raggio R soggetta ad una carico
monoassiale σ e considerando altresì un riferimento cartesiano ortogonale con origine nel centro del
foro ed asse y orientato in direzione del carico (vedi fig.1a), la condizione limite è rappresentata
dalla eguaglianza:

σ y (R + d o ) = σ R (7)

Tenendo conto allora che per un composito (ortotropo) la Teoria dell’elasticità fornice la seguente
espressione della tensione σy in prossimità del foro:

σ    R 6  R   
2 4 8
 R R
σ y ( x,0) = 2 +   + 3  − ( K t − 3) 5  − 7    = σ • f ( R / x, K t ) (8)
2   x   x   x   x   

essendo Kt il fattore di concentrazione delle tensioni per materiale ortotropo. In questo caso il
fattore di concentrazione delle tensioni non è piu un parametro geometrico in quanto varia con il
grado di anisotropia del materiale (laminato) e risulta dato da:

115
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

2
2 A A − A12
Kt = 1 + ( A11 A22 − A12 + 11 22 ) (9)
A22 2 A33

Nella (9) i termini Aij sono gli elementi della matrice di rigidezza del laminato considerato, ottenuti
come illustrato a proposito della teoria classica della laminazione (cap.5). Per una semplice lamina
~
unidirezionale tali elementi coincidono con quelli della matrice di rigidezza [ E ] relativa al
riferimento cartesiano individuato dal carico applicato (cap.4). In particolare per carico allineato
con le direzioni principali del materiale, per esempio con la direzione longitudinale, si ha:

EL E
K t = 1 + 2( − ν LT ) + L (10)
ET GLT

In ogni caso, sostituendo la (8) nella (7) si ottiene il legame tra la tensione (nominale) di rottura
σR,foro dell'elemento intagliato (forato) e la tensione di rottura σR del materiale (laminato). Fissato il
materiale (e quindi σR e Kt) si ha:

σ R , foro R R
= 1/ f ( , Kt ) = g( , Kt ) (11)
σR R + do R + do

La tensione di rottura dell’elemento intagliato è pertanto legata alla tensione di rottura del
materiale, al coefficiente di intaglio ed alla distanza do. L'uso di tale criterio di resistenza necessita
quindi della conoscenza della tensione di rottura del materiale (nota) e della distanza do anche essa
caratteristica del materiale. Quest'ultima può essere determinata con una prova sperimentale
eseguita con provino forato di raggio arbitrario purché piccolo.
Questo criterio può essere applicato anche al caso in cui l'intaglio ha forma diversa dal foro
circolare purchè sia nota la relazione analitica che descrive lo stato tensionale davanti l'apice
dell'intaglio.
In particolare in presenza di una cricca passante centrata in lastra indefinita (vedi fig.1b) essendo
per la Teoria della Elasticità (Lekhnitskii):

x KI x
σ y ( x,0) = σ = per x>a (12)
x2 − a2 πa x2 − a2

per lo stesso criterio, considerando il punto distante do dall'apice della cricca si ottiene la relazione
analoga alla (11):

σ R ,crack (a + d o ) 2 − a 2
= = 1− p 2 con p = a /( a + d o ) (13)
σR (a + d o )

Ovviamente in questo caso si può mettere in relazione la resistenza a frattura dell'elemento,


individuata dal fattore critico KIc, con la resistenza a rottura in presenza di cricca σR,crack e quindi
con la resistenza a rottura semplice, essendo come è noto:

K Ic = σ R ,crack πa = σ R πa (1 − p 2 ) con p = a /( a + d o ) (14)

116
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

10.2.2 Criterio della tensione media (average-stress criterion)


Il criterio della tensione media risulta analogo al criterio della tensione puntuale con la sola variante
che piuttosto che far riferimento alla tensione nel punto distante do, fa riferimento al valor medio
della tensione presente nell'intervallo di ampiezza ao davanti l’apice dell’intaglio (vedi fig.2a,b).

σ σ

y y
σo σo
R σy σy
a
x x
ao ao

σ σ
(a) (b)

Fig.2 – Criterio della tensione media: piastra forata (a) e con cricca (b) passante centrata.

Considerando per esempio il caso di foro circolare, la condizione limite è individuata dalla
relazione:

1 R + ao
σ media =
ao ∫ R
σ y ( x,0)dx =σ R (15)

Sostituendo la (8) nella (15) ed integrando si ottiene in pratica una relazione analoga alla (11):

σ R , foro
= g ' ( R, a o , K t ) (16)
σR

Si lascia al lettore il calcolo della esatta espressione di g e g'. Procedendo in modo analogo, per il
caso di cricca passante centrata su piastra indefinita si ottiene una relazione formalmente simile alla
(13) e cioè:

σ R ,crack 1 − p′
= con p ′ = a /(a + a o ) (17)
σR 1 + p′

In termini di fattore critico si ha invece, in applicazione della (14):

1− p
K Ic = σ R ,crack πa = σ R πa con p = a /( a + d o ) (18)
1+ p

117
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

10.3. Validità, limitazioni ed estensioni

I criteri sopra illustrati trovano un buon accordo sperimentale per laminati in fibra di vetro-resina
epossidica come è illustrato nelle seguenti figure riferentesi al caso di piastra forata (fig.3a) e con
cricca passante centrata (fig.3b).

σR,foro σR,crack
σR σR σR σR

(a) a (b)

R a

Fig.3 - Resistenza a rottura di laminato glass-epoxy [0/±45/90]2S con foro (a) e cricca (b).

Nella fig.3 per entrambi i criteri di resistenza sono pure evidenziati in entrambi i casi (foro e cricca)
i valori delle distanze ao e do caratteristiche del materiale. Si vede come tali costanti sono legate da
una relazione del tipo ao ≈4do.
L'accordo con l'esperienza è meno soddisfacente per laminati in fibra di carbonio-resina epossidica,
per i quali i risultati sperimentali presentano un elevato sparpagliamento e maggiori scarti: in questo
caso pertanto maggiori indagini sono necessarie per la validazione e l’applicazione di entrambi i
criteri.
L'utilità di questi criteri è comunque strettamente legata alla validità della ipotesi che le distanze
caratteristiche sono indipendenti dalla particolare configurazione dei difetti e dal particolare
laminato considerato. In pratica ciò risulta vero solo se il comportamento del materiale è dipendente
in larga misura dal comportamento delle fibre (fiber-dominated composite).
Ovviamente a parità di altre condizioni, al crescere dei difetti presenti nel materiale, cresce pure la
distanza caratteristica dovendosi abbassare conseguentemente la resistenza a rottura. In prima
approssimazione si può supporre che al variare della entità dei difetti propri del materiale il
rapporto delle distanze caratteristiche sia eguale a quello dei corrispondenti valori di tensione di
rottura statica, cioè si abbia:
ao ' d o ' σ R '
= = (19)
ao do σR

Entrambi i criteri sono largamente utilizzati nella progettazione e si prestano all’uso di strumenti di calcolo
automatico. Le previsioni ottenute con tali criteri sono in ottimo accordo coi dati sperimentali (vedi tab.1).

Tab. 1 – Test sperimentale del criterio della tensione media e valore della distanza caratteristica do.

σR,crack σR [%]

Laminato Orient. cricca Sperim. Teoria do

118
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

La tabella I mostra a titolo di esempio i risultati di alcuni tests condotti considerando vari laminati
simmetrici fibra di vetro-resina epossidica con cricca ortogonale al carico e inclinata con angolo di
45° rispetto a questo.
Si vede come la distanza caratteristica risulta praticamente costante e lo scarto tra previsioni
teoriche e risultati sperimentali sempre inferiore al 6%.

119
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

11. Resistenza all'urto

11.1. Generalità
Sollecitazioni dinamiche ed urto si verificano facilmente in molte applicazioni ingegneristiche dei
materiali strutturali. Secondo una definizione classica si parla di urto allorquando il tempo di
applicazione del carico è inferiore al 50% del periodo proprio di vibrazione dell'elemento
considerato. In presenza di sollecitazioni dinamiche è noto che il comportamento dei materiali
tradizionali differisce significativamente da quello esibito in condizioni quasi-statiche (carico
applicato lentamente). Per esempio nei metalli al crescere della velocità di applicazione del carico si
verifica un aumento della tensione di rottura e ancor più della tensione di snervamento con
conseguente infragilimento del materiale.
Sotto sollecitazioni di urto anche i compositi esibiscono proprietà differenti da quelle stimabili sulla
base delle caratteristiche rilevate in condizioni statiche. La caratteristica fondamentale che descrive
la resistenza all'urto di un materiale è costituita dalla capacità di assorbire energia prima della
rottura sotto sollecitazioni dinamiche.
Il test principe è costituito, almeno per i materiali isotropi, dalla prova Charpy (prova di resilienza)
che utilizza un provino percosso, con velocità di 5-7 m/s, da una massa battente terminante con un
coltello (vedi fig.1a) ed avente al momento iniziale dell’urto una energia pari a 30 kgm (se si usa
una energia diversa al valore di resilienza K va apposto un pedice che indica l’esatto valore di
energia di impatto). La stessa prova è pure utilizzata per caratterizzare la resistenza all'urto dei
materiali compositi.
Altra prova pure usata è quella di Izod che sostanzialmente differisce da quella Charpy per la
diversa configurazione del provino che invece di essere costituito da un elemento appoggiato alle
due estremità e caricato in mezzeria, è incastrato ad una estremità e caricato dalla massa battente
all'altra estremità (vedi fig.1).

provino
mazza
mazza
provino
t

incudine
t

(a) (b)

Fig.1 - Setup sperimentale per prova Charpy (a) e prova Izod (b).

Nella caratterizzazione dei compositi i risultati di una prova di impatto sono significativamente
influenzati da vari parametri della prova, quali principalmente (1) velocità di impatto, (2) forma e
dimensioni dei provini, (3) orientamento delle fibre e sequenza di impacchettamento, (4) resistenza
alla delaminazione. Tali parametri vanno pertanto debitamente fissati al fine di rendere
confrontabili i risultati.
Per una più completa caratterizzazione del materiale è utile eseguire il rilievo dell'andamento del
carico applicato durante il periodo che va dall'inizio dell'impatto sino alla rottura del materiale. E'
possibile in questo modo rilevare, oltre che l’energia totale assorbita dal materiale sino alla rottura,
l'intimo comportamento del materiale.

120
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

A titolo di esempio la fig.2 mostra l'andamento tipico della registrazione del carico applicato in
funzione del tempo per una prova di impatto.

P
fase elastica

fase plastica

Ei Ep

Fig.2 - Tipico andamento della storia di carico durante una prova di impatto.

Ovviamente per potere rilevare la storia temporale del carico è necessario che le macchina di prova
sia dotata di idonea strumentazione. Dalla fig.2 si osserva chiaramente la presenza di una fase
iniziale con carico crescente in cui si ha l'assorbimento di energia in campo elastico, ed una seconda
fase con carico decrescente in cui si ha assorbimento di energia in campo plastico con propagazione
della frattura, evidenziata dalle irregolarità del diagramma che invece appare piuttosto rettilineo
nella precedente fase elastica. Dall’esame del diagramma è cosi possibile individuare una energia di
impatto Ei associata con la deformazione elastica del materiale ed una seconda energia Ep associata
con la deformazione plastica e la propagazione della rottura.
L’analisi della storia temporale consente in pratica di discriminare materiali con comportamento
fragile da materiali con comportamento duttile. Un materiale fragile ed uno duttile possono infatti
avere la stessa resistenza all'urto, cioè essere caratterizzati dalla stessa energia totale Et = Ei + Ep
assorbita, con la differenza che il materiale fragile presenta una elevata energia Ei ed una bassa
energia Ep mentre il materiale duttile presenta una elevata Ep ed una bassa Ei.
In realtà l'area sottesa dalla storia di carico (P-t) rappresenta l'impulso e non esattamente l'energia
assorbita Ea che in prima approssimazione può essere calcolata moltiplicando l'impulso per la
velocità iniziale di impatto nota vo (5-7 m/s), cioè:

E a = v o ∫ Pdt (1)

Più precisamente l'energia assorbita può essere calcolata considerando la velocità media di impatto
v = (vf + vo )/2 che può essere valutata a partire dalla stima della energia assorbita Ea e dal valore
della energia iniziale Eo . Da considerazioni energetiche si ottiene:

Ea
v = vo (1 − ) (2)
2 Eo

cosicché l'energia effettivamente assorbita E vale:

Ea E
E = v ∫ Pdt = v o (1 − ) ∫ Pdt = E a (1 − a ) (3)
2Eo 2Eo

E' questo ultimo il valore utilizzato per la valutazione della resistenza all'urto di un materiale,
espressa dalla energia per unita di superficie di rottura.

121
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

11.2. Parametri che influenzano la resistenza all'urto dei compositi


Come accennato, la resistenza all'urto dei laminati compositi è significativamente influenzata da
vari parametri quali velocità di impatto, dimensione e geometria del componente, che sono
parametri generali validi per qualunque materiale, e parametri come orientamento delle fibre e
sequenza di impacchettamento, resistenza alla delaminazione ecc, che sono parametri specifici per i
materiali compositi.
Per quanto concerne i primi due parametri, è noto che l’energia specifica assorbita e quindi la
resistenza all’urto diminuiscono all’aumentare della velocità di impatto ed all’aumentare delle
dimensioni. Anche la forma gioca un ruolo essenziale: la resistenza all’urto diminuisce se la
variazione di forma produce un aumento della rigidezza del componente.
Per quanto concerne invece l'influenza dell'orientamento delle fibre, le osservazioni sperimentali
mostrano che in genere in una prova Charpy la resistenza massima corrisponde ad un orientamento
delle fibre di 0°, cioè fibre parallele all'asse del provino, mentre la resistenza minima corrisponde ad
un angolo di circa 60°. Per laminati cross-ply la massima resistenza si ha per orientamento delle
fibre 0-90° mentre la resistenza minima si ha per fibre orientate a ±45° (vedi fig.3).

Et Et
b
b

lamine cross-ply

lamina

Fig.3 - Resistenza all'urto di compositi in fibra di vetro unidirezionali e cross-ply.

La fig.3° mostra anche come la resistenza all’urto diminuisce al diminuire della lunghezza della
trave, cioè all’aumentare della rigidezza di questa. Inoltre in fig.3b è pure confrontata la resistenza
dei cross-ply con quella degli unidirezionali: si vede chiaramente come la disposizione cross-ply sia
sempre vantaggiosa rispetto a quella unidirezionale con la sola eccezione del caso di orientamento
delle fibre allineato con l'asse della flessione.
Per quanto concerne poi l'influenza della resistenza alla delaminazione, cioè della bontà
dell'adesione delle lamine, l'osservazione sperimentale mostra in pratica che se il cedimento del
laminato avviene per delaminazione un aumento della resistenza statica (a taglio) dell'incollaggio
produce solitamente una diminuzione della resistenza all'urto in quanto all'aumentare della bontà
dell'adesione si ha in genere un comportamento più fragile e quindi una minore capacità di assorbire
energia. In presenza invece di bassa resistenza statica a taglio dell'adesivo, lo scorrimento di questi
aumenta l'energia assorbita e quindi la resistenza alla delaminazione in condizioni di urto. Se invece
la rottura avviene essenzialmente per rottura delle fibre allora si verifica esattamente il contrario: la
122
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

resistenza all'urto aumenta con l'aumentare della resistenza alla delaminazione. Ciò è chiaramente
mostrato nelle figure 4a,b in cui sono riportati i risultati relativi ad un composito fibra di vetro-
poliestere (a) e fibra di vetro-resina epossidica (b).
Si osserva in particolare come per glass-polyester al crescere della resistenza alla delaminazione,
ottenuta con idoneo trattamento superficiale delle lamine, si assiste ad una transizione delle
modalità di rottura sotto urto: si va dalla delaminazione alla rottura delle fibre. Conseguentemente
al migliorare della adesione tra le lamine la resistenza all'urto prima diminuisce e poi aumenta. Si
osservi infine che la resistenza massima è per i due materiali pressoché simile, con la differenza che
per glass-epoxy questa si ottiene ottimizzando la resistenza alla delaminazione mentre per glass-
polyester questa corrisponde alla minima resistenza statica dell'incollaggio (facile scorrimento).

E Et
E
ft*lb/inc 2 ft*lb/inc 2
Et
Ep
Ei

Ep
Et

Ep
Ei

Ei

resistenza a taglio (ksi) resistenza a taglio (ksi)


(a) (b)

Fig.4 - Resistenza all'urto di compositi glass-polyester (a) e glass-epoxy (b).

11.3. Resistenza all'urto e meccanismi di rottura

La resistenza all'urto di un composito è ovviamente strettamente legata al particolare meccanismo


che porta alla rottura dello stesso durante una sollecitazione di urto. Come precedentemente
accennato, vari sono i meccanismi di cedimento di un composito che solitamente involgono la
rottura della matrice, delle fibre con formazione e propagazione di cricche secondo varie modalità.
Nel seguito si esaminano i vari meccanismi di rottura in relazione alla corrispondente energia
assorbita.

11.3.1 Rottura delle fibre


Se il cedimento del composito avviene mediante formazione e propagazione di cricche in direzione
ortogonale alle fibre, la rottura del materiale involge certamente quella delle fibre. Fibre fragili
(anche se resistenti) come le fibre di carbonio, determinano quindi una bassa resistenza all'urto del
materiale. L'energia specifica (per unità di superficie) uf assorbita dalla rottura fragile delle fibre è
data da una relazione del tipo:
V f σ f ,R l
2

uf = (4)
6E f

con ovvio significato dei simboli (l è la lunghezza delle fibre).


E' importante osservare che sebbene la resistenza statica di un composito è fortemente legata a
123
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

quella delle fibre, la resistenza all'urto dipende solo in parte dalla resistenza delle fibre: l'energia
assorbita dalla rottura delle fibre è solo una piccola parte della energia totale assorbita (uf << ut). Per
aumentare la resistenza all'urto del composito è pertanto bene aumentare ove possibile la duttilità
delle fibre. Occorre comunque tenere presente che il comportamento e la resistenza delle fibre
influenza sempre le modalità di rottura del composito e quindi (indirettamente) la capacità di
assorbire energia.

11.3.2 Plasticizzazione e rottura della matrice


Se la matrice ha un comportamento fragile, come avviene per esempio per resine termoindurenti
come resina epossidica e poliestere, il contributo di questa all'energia totale assorbita è piccolo. Se
la matrice ha un comportamento elasto-plastico il contributo può divenire invece significativo.
Il contributo maggiore è sempre legato alla plasticità essendo sempre piuttosto limitato il contributo
legato alla formazione e propagazione delle cricche di frattura a meno che queste abbiano una
spiccata tendenza a moltiplicarsi mediante diramazioni multiple. Similmente a quanto succede
quindi per i materiali isotropi, per migliorare la capacità di assorbire energia, e quindi la capacità di
sopportare urti, è necessario aumentare la duttilità del materiale piuttosto che la resistenza
meccanica statica.

11.3.3 Sfilamento delle fibre (pull-out)


Questo fenomeno avviene solitamente in presenza di fibre fragili immerse in matrici molto
resistenti. Lo sfilamento segue la rottura iniziale delle fibre che avviene in corrispondenza della
sezione più debole. La rottura delle fibre provoca ovviamente un fenomeno di concentrazione delle
tensioni che in definitiva si può evolvere con la formazione di una cricca nella matrice che può
crescere in direzione ortogonale al carico o lungo l'interfaccia della matrice a secondo della
maggiore o minore resistenza al debonding e della matrice. Se la matrice è molto resistente la
rottura produce lo sfilamento della fibra. Lo sfilamento delle fibre non è però da confondere con il
debonding che avviene allorquando le cricche presenti nella matrice non sono in grado di produrre
la rottura cosicché finiscono col propagarsi in direzione parallela alle fibre stesse.
Nella ipotesi di fibre aventi lunghezza lc e che lo sfilamento interessi spezzoni lunghi lc /4 l'energia
di pull-out, cioè l’energia dissipata durante lo sfilamento, è data dalla seguente espressione:

V f σ f , R lc
u pull −out = (5)
12

11.3.4 Delaminazione

La delaminazione di un laminato è in genere il risultato della propagazione delle cricche


intralaminari che, giunte sulla superficie della lamina non sono in grado di propagarsi sulla lamina
adiacente per via del diverso orientamento delle fibre; esse quindi si propagano lungo l'interfaccia
dando luogo ad un processo di delaminazione progressivo. In presenza di sollecitazioni dinamiche
la delaminazione è un fenomeno caratteristico di sollecitazioni flessionali come avviene per
esempio nella prova Charpy e Izod.
Per quanto concerne il legame tra resistenza all’urto e resistenza alla delaminazione (adesione delle
lamine) si è gia osservato come la prima in genere aumenta al diminuire della seconda. Dovendo
quindi progettare un materiale che debba avere una buona resistenza statica ma anche una buona
resistenza all'urto è necessario realizzare un compromesso tra elevata resistenza alla delaminazione
ed all'urto. Per esempio per aumentare la resistenza all'urto dei compositi in fibra ad elevato modulo
(carbonio e boro in particolare, caratterizzati da bassa deformazione a rottura) si aggiunge una

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

percentuale di fibre di vetro caratterizzate da una maggiore deformazione a rottura e quindi da una
maggiore capacità di assorbimento di energia. Si ottengono così i cosiddetti compositi ibridi.

11.3.5 Compositi ibridi

Come accennato al paragrafo precedente, al fine di aumentare la resistenza all'urto dei compositi ad
elevato modulo, in particolare dei compositi in fibra di carbonio, si introduce appositamente in
questi una certa percentuale di fibre di vetro caratterizzate da una maggiore duttilità a rottura
(capacità di assorbire energia) ottenendo cosi i cosiddetti compositi ibridi (o semplicemente ibridi).
In particolare questi possono essere ottenuti in due modi distinti: 1) miscelando alle fibre di
carbonio una certa percentuale di fibre di vetro (solitamente pari al 10-20%) durante il processo di
produzione delle lamine unidirezionali, oppure (2) accoppiando insieme lamine in fibra di vetro con
lamine in fibra di carbonio in modo da ottenere un laminato ibrido. La prima modalità è più
complicata per via delle difficoltà di ottenere una distribuzione uniforme delle fibre di vetro nella
lamina. La seconda modalità di fatto è quella più seguita (laminati ibridi).
L'aggiunta di una percentuale pari al 10-20% di fibre di vetro ad un composito in fibre di carboni
consente mediante di raddoppiare la resistenza all'impatto, mentre l'aggiunta di una percentuale
intorno al 40% permette addirittura di quintuplicare tale resistenza come mostra la figura seguente
riportante dati sperimentali ottenuti al variare della percentuale di fibre di vetro aggiunte ad un
composito in fibra di carbonio.

Et

fibre di vetro (%)

Fig.5 - Resistenza all'urto di compositi ibridi in fibra di carbonio con aggiunta di fibre di vetro.

In alcuni casi oltre che fibre di vetro si aggiungono anche percentuali di Kevlar che è una fibra
caratterizzata da una elevata energia di propagazione della frattura.
Per quanto concerne gli effetti della sequenza di impacchettamento dei laminati ibridi, l'esperienza
mostra che i migliori risultati (massima energia assorbita) si realizzano disponendo le lamine "piu
duttili" (fibra di vetro o Kevlar) all'interno e confinando quelle più fragili all'esterno.

125
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

12. Influenza delle condizioni ambientali

12.1. Generalità
Le proprietà meccaniche ed il comportamento dei materiali compositi sono in genere fortemente
influenzate dalle condizioni ambientali di esercizio quali temperatura, umidità, presenza di agenti
corrosivi, vapore, acqua ecc. La presenza di tali fattori produce infatti in genere un decadimento
delle proprietà di fibre e matrice e/o della mutua adesione cosicché ne risulta in genere un
decadimento oltre che della resistenza anche della rigidezza del materiale che sovente è il principale
motivo di fuori servizio. Si esaminano nel seguito i vari effetti.

12.2. Resistenza delle fibre


La resistenza delle fibre usualmente utilizzate nei compositi è significativamente influenzata da
fattori ambientali quali temperatura, umidità ed agenti corrosivi. In particolare per le fibre di vetro
si verifica in atmosfera normale una dipendenza della resistenza dal tempo di applicazione del
carico. Sebbene tale materiale non presenta significativi effetti viscoelastici, in presenza di umidità
ecc si osserva la rottura del materiale sotto un carico costante dopo un certo tempo. Tale fenomeno
è pressoché trascurabile in presenza di atmosfera inerte, mentre divien significativo in presenza di
umidità o altri agenti corrosivi. Similmente a quanto si osserva nella resistenza a fatica dei materiali
tradizionali, anche per i compositi si assiste ad una sorta di sinergismo tra fattori ambientali e stress:
gli effetti dei fattori ambientali aumentano sensibilmente se essi sono presenti durante l'esercizio
piuttosto che prima dello stesso. A titolo di esempio la figura seguente mostra il decadimento della
resistenza a trazione di fibre di vetro al variare del tempo di applicazione del carico per diverse
temperature di esercizio (a) e di fibre di boro in atmosfera inerte ed in aria a 500 °C.

Atmosfera inerte (argon)

24 °C

σR,L σR,L
240 °C Aria

500 °C

600 °C
T=500 °C

Tempo a rottura Tempo a rottura

(a) (b)

Fig.1 - Influenza del tempo di applicazione del carico sulla resistenza di fibre di vetro (a) e di boro (b).

Dalla fig.1 si osserva un decadimento continuo della resistenza delle fibre di vetro col tempo di
applicazione del carico, mentre per le fibre di boro si assiste ad un rapido decadimento per durate
intorno a 5-10 ore in aria ed intorno a 10-20 ore in atmosfera inerte (argon).
La risposta del composito ai fattori ambientali è comunque fortemente influenzata dal
comportamento della matrice a dalle interazioni matrice-fibra.
I risultati riportati in fig.1 si riferiscono a prove eseguite su fibre isolate, mentre significativamente
diverso può essere il comportamento dei compositi a causa delle limitate temperature sopportabili
dalle matrici polimeriche (es. composito boro-epossidica che non può comunque sopportare
temperature superiori a 150° circa) e dell'effetto di protezione operato dalla matrice.
Se i fattori ambientali influenzano solo la resistenza delle fibre si verifica in pratica un decadimento
della resistenza del composito in direzione delle fibre mentre pressoché invariate rimangono le
caratteristiche nelle altre direzioni.

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

12.3. Degrado della matrice


Come è noto, a temperatura superiore a quella ambiente le materie plastiche sono soggette ad un
processo di degrado spesso associato anche a volatilizzazione (forma gassosa) di parte del materiale
che porta ad una diminuzione del peso specifico ed ad un abbassamento delle caratteristiche
meccaniche del materiale. In generale tali processi di degrado si verificano con evidenza a
temperature superiori ai 150-200 °C e sono caratterizzati da perdite in peso con andamenti nel
tempo come quello mostrato in fig.2 per un composito fibra di vetro-resina fenolica.

Perdita peso
[%] 150 °C
200 °C

480 °C 425 °C 370 °C 315 °C


540 °C 260 °C

Log(t) [ore]

Fig.2 - Decomposizione della matrice fenolica in composito in fibra di vetro.

Si osserva che le curve di decomposizione alle varie temperature sono in pratica sovrapponibili con
una traslazione, pari a logaD, lungo l'asse delle ascisse (tempi). Si dimostra in particolare che la
costante aD è legata alla energia di attivazione ∆H del processo ed alla costante R dei gas dalla
relazione:
∆H  1 1 
log a D = −  −  (1)
2.3R  T To 

Nei casi in cui l'energia di attivazione del processo ∆H può essere stimata analiticamente o valutata
attraverso esperimenti indipendenti, la (1) permette di valutare la curva del degrado del materiale
alla generica temperatura T di esercizio a partire dalla conoscenza di una singola curva degrado
determinata sperimentalmente alla temperatura di prova To.
Al degrado termico (volatilizzazione) del materiale è associata una riduzione della resistenza e dello
stesso modulo di Young, come mostrato per esempio nella seguente fig.3 per lo stesso composito
fibra di vetro-resina fenolica di cui alla figura precedente

modulo
resitenza
σL,R EL

Log(t/aD ) (ore)

Fig.3 - Decadimento della resistenza a trazione longitudinale e della rigidezza di composito glass-phenolic.

Dalla fig.3 si osserva come per qualunque temperatura di esercizio il decadimento di resistenza e
rigidezza è bene approssimato da una legge esponenziale (decadimento esponenziale) del tipo:

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

y = exp(− kt 2 ) (2)

essendo k una costante che segue con buona approssimazione dalla legge di Arrhenius:

∆H
k = A exp(− ) (3)
RT

L’andamento del decadimento di resistenza e rigidezza nel tempo è comunque del tutto simile a
quello osservato in fig.1 per la perdita di peso. In particolare la costante di shift logaD relativa al
deterioramento (perdita di peso) risulta praticamente la stessa di quella che interviene nelle curve
che forniscono la perdita di resistenza e di rigidezza. La (1) quindi puo essere vantaggiosamente
utilizzata anche per ottenere le curve di decadimento di resistenza e rigidezza del materiale alla
generica temperatura T note che siano quelle alla temperatura di prova To.
Ovviamente il degrado dei compositi a matrice polimerica varia con la direzione, variando con
questa il contributo alla resistenza dato da fibre e matrice. Per questo, almeno a temperature non
molto superiori alla temperatura ambiente, il decadimento della resistenza dei compositi in
direzione della fibre risulta relativamente modesto (vedi fig.4a) mentre relativamente più elevato
(con notevole sparpagliamento dei risultati) è il decadimento in direzione trasversale.

σL,R σT,R

Tempo a rottura (ore) Tempo a rottura (ore)

Fig.4 - Decadimento di resistenza a trazione longitudinale (a) e trasversale (b) in composito graphite-epoxy.

Il degrado del materiale alle elevate temperature ovviamente limita la massima temperatura alla
quale un materiale composito a matrice polimerica può essere utilizzato almeno per tempi non
brevi. Il campo di temperature superiori ai 400° F (>200 °C) è infatti quello praticamente riservato
ai compositi a matrice metallica.
A differenza di quanto accade per i compositi in fibra di vetro Il decadimento dei compositi in fibra
di boro risulta invece, a temperatura ambiente, limitato a pochi punti percentuali indipendentemente
dalla direzione di applicazione del carico (vedi per esempio fig.5a,b)

σL,R σL,R
σL,R(t=0) σL,R(t=0)

Tempo a rottura (min) Tempo a rottura (min)

Fig.5 - Decadimento della resistenza in direzione trasversale (a) ed a ±45° (b) in composito boron-epoxy.

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

12.4. Effetti dell’acqua


L'assorbimento di acqua da parte di un materiale plastico produce un decadimento delle proprie
caratteristiche, in modo del tutto simile a quello che si verifica al crescere della temperatura. In altre
parole l'acqua produce un aumento della duttilità della matrice ed un concomitante aumento della
viscoelasticità.
Oltre a tali effetti, l'assorbimento di acqua da parte dei polimeri usati come matrice, produce un
fenomeno di degrado legato al particolare processo di diffusione dell'acqua nel materiale.
L'osservazione sperimentale mostra che l'acqua si diffonde in un materiale polimerico con un fronte
di avanzamento netto cosicché il materiale che ha gia assorbito l'acqua e subito il corrispondente
rigonfiamento forma un guscio attorno al core ancora intatto che risulta pertanto soggetto a sforzi
tridimensionali di trazione. Tali sforzi possono in alcuni casi divenire talmente elevati da produrre
fenomeni di debonding e addirittura di rottura delle fibre con danneggiamento irreversibile del
composito. L’uso pertanto dei compositi in presenza di acqua è soggetto a limitazioni che possono
essere superati solo con specifici accorgimenti (protezione, trattamento superficiale ecc.).
Un discorso a parte va fatto infine per quanto concerne il degrado della efficacia delle sostanze
utilizzate nel trattamento superficiale delle fibre finalizzato al miglioramento della adesione fibra-
matrice: in presenza di tali sostanze gli effetti della umidità sono notevolmente ridotti ed in pratica
l'esposizione ad acqua per periodi non molto prolungati non da luogo a significativi abbassamenti
della resistenza.

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

13. Caratterizzazione sperimentale

13.1. Generalità
Nella progettazione con materiali compositi è prassi piuttosto consolidata valutare le caratteristiche
della singola lamina a partire da quelle dei singoli componenti, fibra e matrice, utilizzando le
relazioni della micromeccanica. Tale approccio, specie utilizzando uno strumento di calcolo
automatico, ha il vantaggio di permettere una rapida valutazione delle proprietà della singola
lamina e quindi del laminato utilizzando la teoria classica dei laminati.
Come visto ai capitoli precedenti, micromeccanica e macromeccanica permettono una attendibile
valutazione delle principali proprietà elastiche di lamina (micromeccanica) e laminati
(macromeccanica) mentre meno attendibili risultano le previsioni teoriche circa la resistenza, per la
quale è sempre buona norma fare riferimento a risultati sperimentali relativi allo stesso materiale o,
in assenza di questi, a materiali simili.
Si è gia visto come il comportamento elastico di una lamina ortotropa è univocamente definita nel
piano da 4 costanti: due moduli di elasticità longitudinale, uno trasversale ed un coefficiente di
Poisson. La resistenza è definita invece da 5 parametri: la resistenza a trazione e compressione in
direzione longitudinale e trasversale e la resistenza a taglio.
Le prove sperimentali sui compositi permettono in genere di determinare sia le caratteristiche
elastiche (che possono servire al minimo a convalidare i risultati della micromeccanica), sia la
resistenza meccanica della lamina ortotropa che costituisce il classico “mattone” con cui si
costruiscono i laminati.
Per le prove sperimentali si utilizzano solitamente laminati unidirezionali il cui comportamento è
evidentemente lo stesso di quello della singola lamina. Non mancano però casi in cui non
disponendo di laminati unidirezionali le prove sono condotte su laminati con lamine disposte in
modo vario. In questi casi le caratteristiche della singola lamina sono dedotte a partire dai dati
sperimentali utilizzando, a ritroso, la teoria classica della laminazione.
Nel seguito sono esposte le prove sperimentali di più largo uso per la determinazione delle proprietà
elastiche e della resistenza statica dei materiali compositi. Per quasi tutte le prove esistono delle
norme (vedi per esempio le americane ASTM) che ne stabiliscono in sintesi modalità e limitazioni
principali. Si rimanda a queste per maggiori dettagli sull’argomento.

13.2. Prova di trazione

Come per i materiali tradizionali, anche per i compositi la prova di caratterizzazione più semplice
ed allo stesso tempo più usata è quella di trazione.
Essa consente la determinazione dei moduli di elasticità longitudinali EL ed ET, del coefficiente di
Poisson νLT e della resistenza a trazione in direzione longitudinale (σL,R) e trasversale (σT,R).
Poiché il materiale composito è disponibile in forma di laminati, per questa prova sono solitamente
utilizzati provini a sezione trasversale rettangolare del tipo illustrati in fig.1.
Con riferimento alla geometria delle teste si distinguono due tipi di provini: provini “dog bone” con
teste raccordate (fig.1a), e provini retti con rinforzi di estremità (fig.1b). Inoltre, il collegamento di
tali provini con la macchina di carico può avvenire o mediante foro e spina (fig.1c) o mediante
ganasce (vedi fig.1d).
Tra le varie possibili configurazioni del provino la migliore è quella con teste rettilinee rinforzate
ammorsata con idonee ganasce. L’uso del provino “dog bone”, infatti, può dar luogo a rotture in
corrispondenza del raccordo rendendo cosi difficile la valutazione delle caratteristiche di resistenza.
Il collegamento con foro e spina inoltre è pure da evitare in quanto può dar luogo a facili rotture per
taglio in prossimità del foro.

130
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

(c) (d)

(a) (b)

Fig.1 – Geometria di provini usati nella prova di trazione e modalità di ammorsaggio: (a) provino tipo “dog
bone”, (b) provino rettilineo con rinforzi, (c) collegamento foro spina e (d) collegamento a ganasce.

Per la determinazione delle proprietà elastiche del composito è necessario misurare, oltre il carico
applicato, anche le deformazioni longitudinale e trasversale subite dal provino nella zona utile
centrale. A tal fine il carico è generalmente misurato mediante la cella di carico di cui solitamente
dispone la macchina di prova mentre le deformazioni sono misurate mediante uso di 2 estensometri
o 2 estensimetri disposti in direzione longitudinale e trasversale.
L’uso di un provino con fibre allineate col carico permette in pratica di rilevare il modulo di Young
longitudinale EL (tangente alla curva σL−εL all’origine), il coefficiente di Poisson maggiore νLT pari
all’opposto del rapporto tra deformazione trasversale e longitudinale, e la resistenza a rottura a
trazione longitudinale σL,R, pari al rapporto tra carico di rottura e sezione resistente. L’uso di un
provino con fibre ortogonali al carico permette in modo analogo di ottenere il modulo di Young in
direzione trasversale ET e la resistenza a rottura a trazione in direzione trasversale (σT,R).
Utilizzando provini con fibre inclinate rispetto all’asse del provino si possono determinare
direttamente anche le proprietà elastiche in una generica direzione. In questo caso è però necessario
tenere conto dell’accoppiamento tra trazione e taglio: il carico di trazione semplice applicato
produce anche distorsioni del provino che a rigore non devono essere impedite dal dispositivo di
bloccaggio (ganasce) che altrimenti finisce per applicare anche una distribuzione di tensioni
tangenziali che possono modificare lo stato di deformazione. Tali inconvenienti, che possono essere
in gran parte risolti utilizzando un provino snello (rapporto lunghezza/larghezza maggiore di 12) ed
eseguendo le misure rigorosamente nella parte centrale del provino, fanno si che nella pratica
comune si preferisce determinare direttamente solo le grandezze elastiche principali (secondo gli
assi del materiale) mentre quelle relative ad una generica direzione sono valutate mediante le
relazioni teoriche dedotte utilizzando le leggi di trasformazione di tensioni e deformazioni
nell’intorno del punto (vedi cap.4).
In alternativa alla prova di trazione, le stesse caratteristiche del materiale possono essere
determinate mediante prova di flessione eseguita utilizzando un provino ottenuto incollando sulle
due facce opposte di un core in alluminio o simili, due provini spezzoni di laminato. In questo
modo si può eseguire contemporaneamente sia la prova di trazione che di compressione e si
possono utilizzare anche lamine sottili. Questo tipo di provino è utilizzato particolarmente in campo
aeronautico ove sono molto diffusi elementi sandwich di questo tipo.

13.3. Prova di compressione

Rispetto alla prova di trazione la prova di compressione risulta certamente ben più complessa per le
difficoltà legate a possibile instabilità del provino e nonché a fenomeni di schiacciamento e
sfibramento (brooming) delle estremità (vedi fig.2a).
Al fine di limitare l’instabilità si usano provini di grosso spessore ovvero opportune guide laterali
capaci di impedire l’inflessione del provino. Al fine di evitare invece gli effetti di brooming si
ricorre all’uso di morsetti di estremità, cioè di elementi di contenimento applicati alle estremità del

131
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

provino (vedi fig.2b).


Come nella prova di trazione, il carico applicato al provino viene misurato tramite la cella di carico
di cui è dotata la macchina di prova mentre le deformazioni sono misurate con estensimetri elettrici
a resistenza (l’uso di estensometri è ora reso difficile dagli elevati spessori del provino).

schiacciamento
e sfibramento

(a) (b)

Fig.2 – Provini usati nella prova di compressione: (a) provino semplice e (b) con morsetti di estremità.

Le caratteristiche elastiche si determinano in modo del tutto analogo a quanto visto per la trazione.
Per quanto concerne invece la determinazione della resistenza a compressione è in genere
necessario usare un provino con parte centrale a sezione ridotta al fine di evitare che la rottura
avvenga nelle zone terminali ammorsate.
Ovviamente l’uso dei provini a trave sandwich permette ove possibile di evitare la maggior parte di
tali inconvenienti.

13.4. Prova di taglio

Mediante la prova di taglio si determinano la resistenza a taglio τLT,R ed il modulo di elasticità


trasversale GLT. E’ necessario a tal fine assoggettare il materiale ad uno stato di tensione di taglio
puro. Il modo più semplice per ottenere ciò consiste nell’assoggettare un cilindro cavo di piccolo
spessore ad una sollecitazione di momento torcente semplice (vedi fig.3).

L
T Mt
Mt LT t

Fig.3 – Provino cilindrico usato nella prova di taglio: geometria e notazione generale.

Per cilindro di piccolo spessore le variazioni delle tensioni tangenziali nello spessore possono
ritenersi trascurabili. Con fibre allineate con l’asse del cilindro la tensione tangenziale τLT è legata al
momento torcente dalla nota relazione:

Mt
τ LT = con Ω = πr 2 . (1)
2Ωt

Tenendo conto dell’accoppiamento torsione-trazione è necessario che il collegamento del tubo con

132
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

la macchina di prova consenta la libera deformazione assiale del provino durante la prova.
Per la determinazione di resistenza e modulo di taglio è necessario misurare il momento torcente
applicato e lo scorrimento. Come al solito il momento applicato viene determinato mediante la cella
di carico della macchina di prova mentre lo scorrimento è determinato utilizzando estensimetri
elettrici a resistenza installati secondo eliche inclinate di 45° rispetto all’asse del cilindro. E’ questa
infatti la direzione della massima deformazione principale εmax che risulta pari alla metà dello
scorrimento (vedi cerchi di Mohr), cioè εmax= ε45°=γLT/2.
Opportuni accorgimenti devono pure essere usati per evitare il verificarsi di fenomeni di instabilità
(guide ausiliarie) nonché per evitare che la rottura avvenga in prossimità delle estremità ammorsate
(rinforzi di estremità).
Non disponendo di elementi cilindrici cavi, la prova di taglio può essere eseguita in alternativa con
dispositivi che permettono l’uso dei comuni laminati piani. Tra i vari tests messi a punto i più usati
sono il picture frame test nel quale il provino, costituito da una lastra quadrata, è imbullonato ai
quattro lati ad un quadrilatero deformabile (vedi fig.4a), il rail shear test nel quale una striscia di
laminato viene imbullonata ai due lati lunghi a due barre metalliche soggette a trazione (vedi fig.4b)
ed il sandwich cross-beam test, nel quale una lastra a croce viene incollata ad un core soggetto ad
un sistema di carichi secondo lo schema indicato in fig.4c.

lamina
direzione carico
barre metalliche
core

provino
ER

a) picture frame test b) rail shear test c) sandwich cross-beam test

Fig.4 – Altri tests e relativi dispositivi di carico utilizzati per la caratterizzazione a taglio.

Tali tests non permettono in genere la determinazione di entrambe le ricercate caratteristiche del
materiale, cioè il modulo di elasticità trasversale e la resistenza a taglio.
Per esempio il picture frame test permette la determinazione della resistenza a taglio del materiale
ma non del modulo di elasticità trasversale in quanto il quadrilatero consente di ottenere uno stato
tensionale di taglio puro solo in prossimità del contorno del modello e non al centro dello stesso. Al
contrario il rail shear test può essere vantaggiosamente utilizzato soltanto per la determinazione del
modulo di elasticità trasversale, purché il modello sia sufficientemente snello (l/b>12). Similmente
il sandwich cross-beam test può essere utilizzato solo per la determinazione del modulo di elasticità
trasversale purché l’estensimetro sia sufficientemente piccolo e situato nella zona centrale del
provino. Con questo provino infatti la resistenza a rottura non può essere misurata per via delle
elevate concentrazioni di tensione che si verificano in corrispondenza degli angoli interni del
provino.

13.5. Prova di flessione

Sovente i laminati compositi sono utilizzati per la realizzazione di elementi soggetti a sollecitazione
con flessione predominante. In questi casi è particolarmente utile conoscere la resistenza a flessione
di tali laminati.
Le prove più largamente utilizzate a tal fine sono la prova di flessione a 3 punti e la prova di
flessione a 4 punti (vedi fig.5).

133
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

P P

l
L
(a) (b)

Fig.5 – Prova di flessione: (a) flessione a 3 punti e (b) flessione 4 punti.

La prova a 3 punti è più semplice di quella a 4 punti ma da luogo ad un momento flettente variabile
lungo l’asse della trave, mentre la prova a 4 punti permette di ottenere nella zona centrale
compresa tra i due carichi un momento flettente costante senza sforzi di taglio.
Nella prova a 3 punti la presenza del taglio può indurre rottura per delaminazione piuttosto che per
flessione (rottura delle fibre) rendendo così impossibile la corretta determinazione della resistenza a
flessione. Questo fenomeno si può anche verificare nel provino a 4 punti, limitatamente alle due
zone laterali. Al fine di evitare tali inconvenienti è necessario aumentare quanto possibile il
rapporto Rf/t tra la massima sollecitazione di flessione (che avviene in superficie) e la massima
sollecitazione di taglio (che avviene sull’asse neutro), cioè:

σ max 6M /(bh 2 ) 4 M  L / 2h (3 punti)


Rf /t = = = = (2)
τ max 3P /(2bh) Ph ( L − l ) / 2h (4 punti)

L’uso di rapporti troppo elevati può però dar luogo a frecce eccessive (non linearità) con nascita di
anomale reazioni vincolari orizzontali. Al fine di evitare tali inconvenienti è bene usare valori di Rf/t
non superiori a 16.
Nel caso di laminati non simmetrici, nei quali si ha un accoppiamento tra flessione e torsione, la
prova può essere complicata da distacchi parziali del provino dagli appoggi causati dalla
deformazione di torsione. In questi casi, al fine di minimizzarne gli effetti sul risultato della prova,
è necessario utilizzare provini relativamente allungati ed appoggi bilaterali.

13.6. Prova di delaminazione

Come visto nei capitoli precedenti, la rottura di un laminato può avvenire sovente a seguito di
delaminazione causata dalla concentrazione di un elevato numero di difetti in prossimità
dell’interfaccia tra due lamine successive ovvero dalla presenza di elevate tensioni interlaminari.
Per quanto osservato al capitolo precedente, la resistenza alla delaminazione di un laminato
composito può essere determinata mediante uso di una trave corta con basso rapporto Rf/t (short-
beam shear test). Le dimensioni della trave vanno fissate in modo da assicurare che la rottura della
stessa avvenga per taglio (delaminazione) e non per flessione (rottura delle fibre). La delaminazione
avviene solitamente mediante formazione e crescita di una cricca interlaminare in prossimità
dell’asse neutro.
In alternativa alla trave corta si possono pure usare due provini intagliati come in fig.6 soggetti uno
a trazione ed uno a compressione.
La profondità degli intagli va opportunamente regolata in modo da avere una rottura per
delaminazione piuttosto che per trazione in corrispondenza della zona di concentrazione delle
tensioni. Si tratta comunque di una prova più complessa della precedente che per questo è in
assoluto la prova di delaminazione più utilizzata.

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

P P
compressione

P P
trazione

Fig.6 – Prova di delaminazione mediante uso di coppia di provini intagliati

13.7. Prova di frattura

Come visto ai capitoli precedenti, i concetti della meccanica della frattura sviluppati per i materiali
tradizionali, possono essere in linea di principio estesi anche ai materiali anisotropi come i laminati
compositi a fibre lunghe, sebbene la loro utilità risulta soggetta a notevoli limitazioni stando il fatto
che nei compositi, a differenza di quanto accade negli isotropi, a causa della intrinseca eterogeneità
del materiale, le modalità di propagazione di una stessa cricca possono differire significativamente
da una prova all’altra (prove non ripetibili) e la usuale presenza di cricche multiple risulta di
difficile trattazione.
I concetti della MFLE sono di più facile applicazione nei compositi a fibre corte che esibiscono in
pratica un comportamento isotropo nel piano del laminato.
La resistenza alla frattura di un composito viene determinata utilizzando provini del tutto simili a
quelli in uso per i materiali tradizionali. In particolare sono utilizzati (vedi fig.7) il provino a
trazione con singola cricca laterale (single-edge-notched, SEN) o con doppia cricca laterale
(double-edge-notched, DEN), ed il provino soggetto a flessione per 3 punti con cricca in mezzeria
(notched-bend test, NBT).

w w P
(L>3w)

a a a L a w
L
(L>4w)

(SEN) (DEN) (NBT)

Fig.7 – Prova di resistenza a frattura: geometria dei provini utilizzati e nomenclatura.

Per ciascuna prova il valore critico del fattore di intensificazione delle tensioni viene determinato in
pratica con le stesse formule usate per i materiali isotropi. Per tutte e tre le prove il valore critico del
fattore di intensificazione delle tensioni è legato a carico, geometria e dimensioni iniziali della
cricca dalla relazione generale:

K Ic = σ R β a (3)

nella quale σR è la tensione media di rottura a trazione per provini tipo SEN e DEN, la massima
tensione di flessione alla rottura per provini tipo NBT. Il fattore geometrico β è lo stesso di quello
usato per i materiali isotropi e vale:

135
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

2 3 4
c c c c
per SEN: β = 1.99 − .041  + 18.70  − 38.48  + 53.85  (4)
 w  w  w  w

2 3
 2c   2c  c
per DEN: β = 1.98 + 0.36  − 2.12  + 3.42  (5)
w w  w

2 3 4
c c c c
per NBT: β = 1.93 − 3.07  + 14.53  − 25.12  + 25.80  (6)
 w  w  w  w

136
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

14. Controlli non distruttivi

14.1. Generalità
La moderna progettazione meccanica, basata sempre più sull’uso di accurati codici di calcolo e su
una accurata conoscenza delle caratteristiche del materiale e delle effettive condizioni di esercizio,
permette lo sfruttamento sempre più spinto del materiale, finalizzato alla riduzione di costi di
esercizio, di produzione, del peso ecc. Esigenze di questo tipo sono ricorrenti nella progettazione
con materiali compositi, usati prevalentemente nella costruzione di strutture e componenti ai quali è
richiesto un elevato rapporto rigidezza/peso e/o resistenza/peso. Una accurata conoscenza delle
caratteristiche del materiale si può ottenere solo con una affidabile procedura di controllo della
qualità finalizzata in particolare alla rilevazione di difetti, inclusioni, ecc.
Ad un elevato sfruttamento del materiale (bassi coefficienti di sicurezza) è associata inoltre una più
elevata probabilità di rottura in esercizio a seguito di formazione e propagazione dei difetti. Sorge
pertanto anche la necessità di eseguire periodicamente un controllo della integrità strutturale, specie
allorquando dalla rottura del componente possano derivare notevoli danni economici e/o nocumento
alla vita umana.
Ciò giustifica l’importanza che le tecniche di controllo non distruttivo hanno tanto nella
progettazione tanto nella gestione in esercizio di elementi e strutture in composito.
Il controllo dei compositi mediante tecniche non distruttive risulta in linea di principio più
complesso di quello dei materiali metallici convenzionali. In questi ultimi infatti il controllo si
riduce in pratica alla ricerca e valutazione di difetti e cricche, a partire dai quali è possibile,
mediante la meccanica della frattura, valutare il grado di danneggiamento e la eventuale resistenza
(sollecitazioni statiche) e/o la vita residua (fatica) del componente.
Più complesso è il problema per i compositi in quanto, come visto nei precedenti capitoli, il
processo di danneggiamento non involge semplicemente la crescita di una cricca, bensì vari
processi come creep, debonding, delaminazione, degrado della matrice ecc. Inoltre, i compositi
hanno proprietà fisico-meccaniche ben diverse da quelle dei materiali convenzionali: essi sono in
genere disomogenei e cattivi conduttori di calore e di elettricità. Conseguentemente le tecniche di
controllo non distruttivo messe a punto per i materiali convenzionali non possono essere usate in
genere tal quali per i compositi.

14.2. Ricerca dei difetti


Il controllo dei compositi mediante tecniche non distruttive viene eseguito in genere sia durante il
processo di fabbricazione, sia dopo la fabbricazione (controllo del processo) che dopo la messa in
servizio. Evidentemente i controlli eseguiti durante e dopo la produzione hanno lo scopo di
evidenziare i difetti tipici del processo di manifattura quali:
1) non uniformità del rapporto fibra/matrice;
2) non uniformità delle caratteristiche della matrice;
3) difetti superficiali;
4) difetti di lay-up (errori di orientamento della lamina o delle fibre, vuoti fra piani ecc.);
5) inclusione di corpi estranei ecc.
I controlli eseguiti invece durante l’esercizio del componente hanno lo scopo di verificare l’integrità
strutturale e quindi di evidenziare sopratutto i fattori di danneggiamento tipici di una struttura in
esercizio, quali:
a) degrado ambientale (igroscopico, termico ecc) della matrice;
b) debonding;
c) rottura o lesione della matrice;

137
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

d) delaminazione;
e) creep ecc.

Le tecniche di controllo più utilizzate allo stato attuale sono raggi X ed ultrasuoni (C-scan).
Altre tecniche pure utilizzate, alcune ancora in fase di sviluppo, sono la radiografia neutronica,
l'olografia, la termografia, i liquidi penetranti ecc.

14.3. Raggi X
Come è noto i raggi X, onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa nel range 0.001-1
nm emesse da un metallo pesante colpito da un fascio di elettroni ad alta energia, sono assorbiti da
un materiale secondo un caratteristico coefficiente di assorbimento. Facendo attraversare un
elemento da un fascio di raggi X e mettendo dalla parte opposta alla sorgente una lastra sensibile, è
possibile misurare l’assorbimento e quindi avere informazioni sulla natura e forma degli
componenti attraversati.
Per esempio facendo attraversare da un fascio di raggi X di potenza opportuna un provino posto tra
la sorgente ed un rilevatore (film sensibile), è possibile rilevare la presenza di un eventuale difetto
come una inclusione, una grossa crepa ecc., come mostra schematicamente la seguente figura.

sorgente
raggi X

provino
difetto

immagine
del difetto film sensibile

Fig.1 – Rappresentazione schematica di indagine radiografica di difetto in lastra di spessore uniforme.

Per i materiali compositi si usano generalmente raggi X a bassa energia che impressionano una
lastra di berillio.
La natura dei materiali comunemente presenti in un composito rinforzato in fibre di vetro,
solitamente non assicura un contrasto dei raggi X tale da visualizzare singole fibre. La misura
dell'assorbimento permette in genere di ottenere il contenuto di resina del composito considerato.
Piu difficile risulta invece valutare la presenza di forme di danneggiamento di matrice e fibre. Vari
studi sperimentali hanno mostrato come con i raggi X possono essere facilmente identificati vuoti,
corpi estranei, inclusioni e, con opportuni accorgimenti, anche la rottura locale di fibre di boro
sebbene sia poi difficile mettere in relazione questi con la resistenza residua del materiale.
Non è possibile invece rilevare coi raggi X, come si comprende facilmente, difetti come
scollamento fibra-resina e rotture interlaminari (assorbimento invariato).
Evidentemente la massima sensibilità ai difetti si realizza allorquando questi sono posti
parallelamente alla direzione di propagazione dei raggi X.
A titolo di esempio la figura seguente riporta l’immagine radiografica di una cricca passante avente
una lunghezza totale di circa 100 mm. Evidentemente tale immagine radiografica è stata rilevata
utilizzando un fascio di raggi X progantesi in direzione normale al piano di figura. L’osservazione

138
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

della stessa cricca in una direzione normale a questa non ne avrebbe permesso la rilevazione visto
che l’assorbimento dei raggi X sarebbe pressoché invariato rispetto alla condizione di assenza di
cricca.

Fig.2 – Immagine radiografica di cricca avente lunghezza di circa 100 mm.

14.4. Ultrasuoni
Le tecniche di controllo non distruttivo basate sugli ultrasuoni riscuotono attualmente un grande
interesse industriale e sono in forte fase di espansione. Per questo una massiccia attività di ricerca
scientifica è ad essi dedicata. Il grande interesse per tali tecniche è giustificato dalle peculiari
caratteristiche quali semplicità, versatilità (può essere praticamente applicata a qualunque
materiale), assenza di contatto ecc.
Le tecniche ultrasonore di controllo non distruttivo si basano tutte sull’analisi dei fenomeni di
diffusione e riflessione che gli ultrasuoni subiscono allorquando attraversano un corpo di
dimensioni finite. Le onde ultrasonore si diffondono in un materiale con una velocità caratteristica
e vengono riflessi allorquando incontrano una superficie di separazione tra due materiali aventi
diversa impedenza acustica (superfici del pezzo esaminato, difetti interni, vuoti, inclusioni ecc).
Un fascio di onde ultrasonore viene in pratica completamente riflesso se incontra un interfaccia
metallo-gas (es. vuoti), viene parzialmente riflessa se incontra una interfaccia liquido-metallo o
metallo-solido (es. inclusioni). Dall’esame del fascio riflesso è quindi possibile in genere avere
informazioni circa la presenza di difetti, come cricche, inclusioni ecc. A tal fine si investe
l’elemento da analizzare con un fascio di onde con frequenza variabile in funzione del materiale da
1 a 25 MHz, e si procede in genere alla misura della intensità del fascio riflesso e del tempo che le
onde impiegano per attraversare l’elemento analizzato (time-of-flight).
Esistono in pratica tre differenti tecniche di indagine basate sugli ultrasuoni quali:
a) tecnica A-scan;
b) tecnica B-scan;
c) tecnica C-scan.
In estrema sintesi la tecnica A-scan è una tecnica puntuale in quanto permette di rilevare intensità e
tempi di attraversamento degli ultrasuoni con riferimento ad un singolo punto del provino; la
tecnica B-scan è una tecnica per linee in quanto consente di rilevare intensità e tempi di
attraversamento relativi ai punti posti in una linea del componente esaminato; la tecnica C-scan
invece permette il rilievo di intensità e tempi di attraversamento relativi ai punti di un piano di
scansione x-y che può essere variato opportunamente al fine di indagare l’intero volume del
modello analizzato. Tra le tre tecniche, la tecnica C-scan è senza dubbio quella più utilizzata nel
controllo non distruttivo dei compositi.
Nella tecnica C-scan il materiale da analizzare viene investito da un fascio di onde ultrasonore
prodotte da un dispositivo trasmittente (vedi fig.3) e tramite un secondo dispositivo ricevitore (che
può in taluni casi coincidere con lo stesso trasmettitore) viene misurato il tempo di attraversamento
e l’intensità delle onde di ritorno (eco).
In particolare, utilizzando un ricevitore munito di un opportuno gate elettronico che consente di
impostare una finestra temporale di ricezione, è possibile oltre che escludere l’eco proveniente dalla

139
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

superficie anteriore e posteriore del pezzo esaminando, analizzare l’elemento secondo piani
paralleli di piccolo spessore.

Fig.3 – Setup sperimentale tipico della tecnica di indagine denominata C-scan.

E’ cosi possibile ricostruire lo stato del materiale alle varie profondità rilevando a ciascuna di
queste la eventuale presenza di difetti quali soprattutto delaminazione (interfaccia solido-gas),
scollamenti e cricche diffuse, che provocano un brusco innalzamento della intensità del segnale
riflesso (eco).
Con questa tecnica comunque non è possibile rilevare difetti molto piccoli dovendo questi avere
dimensioni almeno paragonabili con la lunghezza d’onda della onde ultrasonore impiegate.
Nella pratica comune le onde sono trasmesse disponendo l’elemento da analizzare in bagno d’acqua
(vedi fig.3), sebbene per grandi strutture sono pure disponibili tecniche che utilizzano un opportuno
getto d’acqua.
Per una analisi accurata la tecnica necessita di una opportuna taratura con provini dello stesso
materiale con difetti introdotti ad hoc. In questo modo possono essere facilmente distinti i vari tipi
di difetti che si presentano nel materiale e la loro dimensione.
L’uso della tecnica permette, come è facile comprendere, anche il rilievo dimensionale (spessori)
del pezzo esaminato a partire dal tempo impiegato dalle onde per un attraversamento completo del
pezzo. Su questo principio si basano gli spessorimetri da ultrasuoni. E’ in modo simile possibile
rilevare anche difetti superficiali come incisioni, graffi ecc.
La sensibilità del metodo è legata, come per i raggi X, all’orientamento del difetto essendo però in
questo caso praticamente nulla per difetti paralleli alla direzione di propagazione delle onde
ultrasonore e massima per difetti disposti in direzione ortogonale. Misure multiple sono comunque
necessarie per discriminare accuratamente i vari tipi di difetti che possono presentarsi ed il relativo
orientamento.
A titolo di esempio nella figura seguente sono riportate le immagini C-scan rilevate su un laminato
fibra di carbonio-resina epossidica [±45,0]S e [90,0]S per lo studio del danneggiamento a fatica di
tali laminati.
Da queste figure si vede come, per entrambi i laminati esaminati le immagini C-scan consentono
una chiara rilevazione della evoluzione del processo di danneggiamento che in questo caso porta
alla formazione di cricche multiple con associati fenomeni diffusi di delaminazione propagatesi da
difetti iniziali del laminato difficilmente rilevabili per dimensioni ed orientamento sui provini allo
stato vergine.

140
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

(a) 10.000 cicli (b) 300.000 cicli (c) 10.000 cicli (d) 300.000 cicli

Fig.4 – Immagini C-scan di laminati in fibra di carbonio-resina epossidica soggetti a sollecitazione di fatica:
(a,b) laminati [±45,0]S e (c,d) laminati [90,0]S .

14.5. Altre tecniche

C-scan e raggi X sono certamente le tecniche in assoluto più utilizzate per l’analisi di difetti
presenti nei materiali compositi.
Altre tecniche, largamente utilizzate per indagini in materiali tradizionali, quali soprattutto
radiografia neutronica, olografia, termografia e liquidi penetranti sono state pure utilizzate per
questo scopo.
La radiografia neutronica opera in modo del tutto simile ai raggi X. Il vantaggio è che
l’assorbimento neutronico dei materiali plastici costituenti la matrice dei compositi è molto più
elevato di quello dei raggi X cosicché si ha la possibilità di un maggiore contrasto che permette una
più elevata risoluzione e lo studio più accurato delle zone di giunzione metallo-composito per via
della notevole differenza dei coefficienti di assorbimento di composito e metalli.
Rispetto ai raggi X ovviamente l’uso della radiografia neutronica risulta più complesso se non altro
per via del fatto che bisogna disporre di un reattore nucleare di neutroni termici (a bassa energia).
Un’altra tecnica pure utilizzata per il controllo non distruttivo è l’olografia. La tecnica permette il
rilievo delle deformazioni superficiali dell’elemento analizzato, a partire dall’esame delle frange di
interferenza. La presenza di difetti superficiali o sub-superficiali produce una alterazione dello stato
di deformazione e quindi delle frange di interferenza.
Per potere osservare le frange è necessario deformare il provino mediante applicazione di un carico,
che può essere meccanico, termico, acustico ecc, in funzione del tipo di materiale, di elemento e di
difetto che si vuole rilevare. La olografia è una tecnica piuttosto delicata che può essere utilizzata in
genere solo su elementi di dimensioni limitate e con indagini eseguite in laboratorio.
A titolo di esempio la figura 5 mostra il campo di frange osservate in un pannello sandwich (fig.5a)
ed in una struttura sandwich a nido d’ape (fig.5b).
Nella prima immagine l’anomalia delle frange evidenzia la presenza di una area di debond (le
frange di fondo sono dovute in questo caso a spostamenti rigidi del provino). Nella seconda
immagine fenomeni di scollamento tra strato superficiale e core a nido d’ape sono pure evidenziati
da anomale deformazioni cui corrispondono frange scure.

141
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Fig.5 – Interferometria olografica: campi di frange di interferenza osservati in pannelli sandwich.

Altra tecnica pure utilizzata per il controllo non distruttivo dei compositi è la termografia, che
consiste nel rilievo del campo termico presente sulla superficie dell’elemento analizzato quando
questi risulta sottoposto ad una sollecitazione ciclica (calore prodotto da effetti dissipativi) o ad un
flusso termico esterno. La presenza di difetti induce variazioni di temperatura, in genere dell’ordine
di qualche grado.
La tecnica piuttosto che rilevare temperature assolute, consente di rilevare difetti del materiale a
partire dalla osservazione delle mappe termiche: andamenti fortemente irregolari sono legati a
difetti in prossimità della superficie. In genere le mappe termiche superficiali sono rilevate
mediante tecniche senza contatto facenti uso di sensori sensibili alle emissioni nell’infrarosso. A tal
fine la superficie del pezzo deve presentare emissività costante e pertanto è necessario un apposito
trattamento ovvero la verniciatura della stessa con vernici opache caratterizzate da alta emissività.
A titolo di esempio la figura seguente mostra le mappe termiche rilevate in corrispondenza degli
stessi difetti cui si riferisce la fig.4.

(a) 10.000 cicli (b) 300.000 cicli (c) 10.000 cicli (d) 300.000 cicli

Fig.6 – Immagini termografiche all’infrarosso di laminati in fibra di carbonio-resina epossidica soggetti a


sollecitazione di fatica: (a,b) laminati [±45,0]S e (c,d) laminati [90,0]S .

Una tecnica pure utilizzata per il controllo superficiale di difetti è quella che fa uso dei liquidi
penetranti. Si tratta di liquidi dotati di bassissima viscosità e pertanto capaci di infiltrarsi per
capillarità all’interno di difetti superficiali. Per i compositi si usano generalmente solventi organici
come carbonio teracloridrico e simili.

142
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

L’applicazione della tecnica necessita una pulizia preliminare delle superfici, successivamente
questa viene ricoperta con il liquido penetrante, quindi eliminato il liquido in eccesso si procede
alla osservazione delle cricche. Esistono liquidi pigmentati facilmente visibili e liquidi non
pigmentati che necessitano l’uso di un rilevatore (borotalco o simili) da applicare dopo
l’eliminazione del liquido in eccesso.

14.6. Tecniche di valutazione dell’integrità strutturale.

Le tecniche sopra esposte permettono di rilevare la presenza di difetti con informazioni su posizione
e dimensioni. Non sempre risulta facile risalire da queste informazioni al grado di danneggiamento
del componente analizzato, cioè alla valutazione della sua resistenza residua o vita residua nel caso
di sollecitazioni di fatica.
Per questo scopo sono state messe a punto varie tecniche tra le quali la più interessante è
probabilmente quella che si bassa sulla misura della frequenza di risonanza della struttura che
risulta in genere influenzata dalla presenza di cedimenti locali, cricche diffuse ecc. Dalla misura
della frequenza di risonanza, eseguita mettendo in vibrazione l’elemento, è possibile in genere
risalire al tipo di difetto nonché a posizione e dimensione dello stesso. La tecnica è interessante
perché non produce alcun danneggiamento e può essere applicata anche quando sia accessibile un
solo punto della struttura.
Una tecnica infine del tutto generale è quella che si basa sulla misura della rigidezza dell’elemento,
parametro che per i compositi è sempre in stretta relazione con il danneggiamento e quindi con la
resistenza residua e la vita residua.

143
15. Giunzioni di materiali compositi

15.1. Generalità
Per la costruzione di macchine e sistemi meccanici complessi è in genere necessario unire i vari
componenti mediante opportune giunzioni.
Tenendo conto che le giunzioni costituiscono quasi sempre l'elemento più debole di un sistema e
sovente anche quello più costoso, nella progettazione è buona norma minimizzare il numero di
giunti al fine di aumentare la resistenza e/o l'affidabilità e di ridurre i costi.
A tal fine si osservi che, sebbene i materiali compositi permettono di produrre più facilmente pezzi
relativamente complessi e/o di grandi dimensioni, l'uso delle giunzioni resta sempre necessario
almeno per l'applicazione di vincoli e carichi alle strutture nonché, come si verifica frequentemente,
per collegare elementi in composito con elementi di altro materiale.
Si possono avere pertanto unioni tra materiali compositi e unioni tra elementi metallici ed elementi
in materiale composito. In dettaglio, queste possono essere realizzati mediante:
1) giunti incollati, nei quali il carico viene trasmesso attraverso la superficie incollata degli
elementi con sforzi prevalentemente di taglio sull'adesivo;
2) giunti meccanici nei quali il carico viene trasmesso attraverso elementi metallici (bulloni, rivetti,
ecc.), con sforzi prevalentemente di compressione sugli elementi collegati;
Ciascuno dei due tipi di giunzione è caratterizzata da pregi e difetti. In genere i collegamenti più
efficienti si ottengono con giunzioni della prima categoria (giunti incollati), essendo questi
caratterizzati da relativa semplicità ed economia uniti a basso peso e limitati fenomeni di
concentrazione delle tensioni.
La tabella seguente riporta un elenco sintetico di vantaggi e svantaggi di ciascuna delle due
tipologie di giunto.

Tab.1 – Vantaggi e svantaggi di giunti incollati e giunti meccanici.

Vantaggi Svantaggi
Giunti incollati
Assenza di concentrazione di tensioni Spessori limitati dei componenti da unire
Elevata rigidezza Difficile ispezione
Buona resistenza a fatica Facile decadimento per fattori ambientali
Peso contenuto Tensioni residue, specie con mat. diversi
Non ci sono problemi di fretting/corrosione Non smontabile
Superfici continue Scarsa resistenza allo sfogliamento
Giunti meccanici
Nessuna limitazione degli spessori Concentrazione delle tensioni
Semplicità costruttiva Scarsa resistenza a fatica
Non si hanno tensioni residue Soggetti a fretting e/o corrosione
Smontabilità Rigidezza limitata
Facile ispezione Danneggiamento parti da unire (fori ecc)
15.2. Giunti incollati

144
Con questi giunti, se ben progettati, è possibile ottenere un trasferimento degli sforzi tra gli
elementi collegati senza dannosi effetti di concentrazione di tensione e/o pericolose tensioni di
sfogliamento dell'adesivo. Le usuali configurazioni di una giunzione incollata composito-composito
o metallo-composito sono illustrate in fig.1.

semplice sovrapposizione

doppia sovrapposizione

rastremato semplice

rastremato doppio

semplice sovrapposizione
a gradini

doppia sovrapposizione
a gradini

Fig.1 – Varie configurazioni di giunzioni incollate.

Al crescere dello spessore degli elementi da collegare e quindi della resistenza richiesta, si va dal
giunto a semplice sovrapposizione (single lap joint) al giunto a doppia sovrapposizione a gradini
(double-stepped lap, per spessori maggiori a 6-7 mm). Anche il costo cresce passando dal giunto a
semplice sovrapposizione a quello a sovrapposizione a gradini. Conseguentemente, tra le varie
configurazioni che assicurano la resistenza voluta, il progettista userà quella semplice che risulta
anche la più economica (dall’alto verso il basso).
Alla categoria dei giunti incollati appartengo anche i cosiddetti giunti co-cured, nei quali non è
presente un vero e proprio adesivo e l’incollaggio degli elementi è ottenuto sfruttando le proprietà
di adesivo della matrice del composito (solitamente resina epossidica). In pratica tali giunti si
ottengono accostando gli elementi da collegare (compositi o compositi e metalli) con applicazione
opportuna pressione allorquando la matrice si trova in uno stato di parziale polimerizzazione;
realizzato cosi il giunto si procede alla cura dello stesso contemporaneamente a quella del materiale
composito (co-cured).
L'obiettivo di una buona progettazione di un collegamento incollato è quello di ottenere un giunto
che abbia la stessa resistenza degli elementi collegati (efficienza 100%) in modo da evitare sia
inutili sovradimensionamenti del giunto (limitando così anche i relativi costi) sia
sottodimensionamenti dello stesso che potrebbero vanificare gli sforzi compiuti per ottimizzare le
prestazioni degli elementi collegati (giunto = anello debole della catena).

I parametri essenziali nella progettazione di una giunzione incollata sono:

145
1) resistenza, rigidezza e coefficienti di dilatazione termica delle parti da unire;
2) resistenza dell'adesivo;
3) direzione di applicazione del carico.
Per la previsione della resistenza di una giunzione incollata è necessario tenere conto delle varie
modalità di cedimento caratteristiche di tali manufatti, quali in particolare:
a) taglio dell'adesivo;
b) sfogliamento dell'adesivo;
c) sfogliamento e/o delaminazione del materiale composito;
d) trazione o compressione degli elementi collegati.

Per giunzioni incollate di forma complessa, è difficile in generale eseguire previsioni teoriche
attendibili della resistenza in quanto risulta difficile prevedere il cimento dell’adesivo e dei
materiali in prossimità del giunto, nonché la effettiva modalità di rottura dello stesso. In questi casi
una accurata stima della resistenza può essere ottenuta soltanto mediante analisi sperimentale
condotta mediante prototipi o provini aventi forma e dimensioni confrontabili con la giunzione
stessa, soggetti ad un regime di sollecitazione prossimo o eguale a quello di esercizio.
Una alternativa alla analisi sperimentale è in linea di principio offerta dallo studio numerico del
problema mediante elementi finiti (FEM), elementi di contorno (BEM) ecc.. In tal senso diversi
studi numerici sono stati compiuti negli ultimi decenni da vari ricercatori, con lo scopo di
individuare dei criteri di previsione della resistenza di un giunto incollato. A causa della elevata
influenza di fenomeni come la non-linearità dei materiali (adesivo, componenti) e la singolarità
delle tensioni (discontinuità geometriche e del materiale), nonché a causa delle difficoltà di
previsione del meccanismo di danneggiamento e rottura, allo stato attuale però una accurata
progettazione di un giunto non può prescindere da una adeguata sperimentazione.
Ciò nonostante, la conoscenza teorica o numerica dello stato di tensione è certamente utile per una
progettazione di massima del giunto, per una analisi sistematica dello stesso finalizzata ad
evidenziare l’influenza dei vari parametri, nonché per la corretta comprensione dei risultati
sperimentali.
Se il cedimento del giunto avviene secondo le modalità di cui ai precedenti punti a) e b), allora per
una attendibile previsione della resistenza è necessario conoscere la resistenza propria dell'adesivo e
lo stato di sollecitazione in cui questo si trova nel giunto considerato.
La resistenza dell’adesivo può essere determinata mediante prove di trazione eseguite utilizzando
provini spessi incollati a sovrapposizione oppure mediante il cosiddetto "napkin-ring" test che fa
uso di provini cilindrici ottenuti incollando per sovrapposizione due cilindri di cui uno avente
diametro esterno pari al diametro interno dell'altro.
Con queste prove si ottengono le curve tensione tangenziale-scorrimento del tipo di quelle riportate
in Fig.2 (adesivo tipo FM 300) per varie temperature di esercizio.

τ
[MPa]
τ γp

γe γR
γ
γ
146
Fig.2 – Curve caratteristiche τ−γ per adesivo tipo FM 300 ottenute mediante napkin-ring test.

Si vede come al crescere della temperatura aumenta la duttilità dell’adesivo: si ha un abbassamento


della tensione di scorrimento ed un aumento significativo dello scorrimento a rottura.
Nel seguito sono considerati i principali fattori che influenzano la resistenza ed il comportamento di
una giunzione a doppia sovrapposizione (double lap joint), che è nella pratica la configurazione
(semplice e robusta) più utilizzata. Come si vedrà meglio più avanti, i concetti esposti per il giunto
a doppia sovrapposizione possono essere in genere facilmente estesi anche alle altre configurazioni
di giunto.

15.3. Giunto a doppia sovrapposizione: resistenza a taglio

15.3.1 Distribuzione delle tensioni tangenziali


Sebbene modernamente si dispone di efficienti codici di calcolo numerico (FEM, BEM), l’analisi
numerica dello stato di tensione di un giunto incollato è compito relativamente impegnativo e
dispendioso in termini di potenza di calcolo e di tempi di elaborazione necessari; gli elevati effetti
di intaglio presenti in un giunto infatti richiedono modelli numerici con mesh molto rifinite ed una
analisi sistematica dei vari parametri che influenzano il comportamento del giunto (lunghezza,
spessore dell’adesivo, rigidezza dei componenti ecc.) richiede la ripetizione di tali elaborazioni. Ciò
giustifica largamente gli studi teorici eseguiti da vari autori sull’argomento, e l’uso dell’approccio
analitico alla progettazione dei giunti.
Nella pratica, la stima della resistenza di un giunto incollato viene eseguita anzitutto considerando
la rottura di questo per cedimento a taglio dell’adesivo. A tal fine lo stato di sollecitazione cui è
soggetto l’adesivo in un giunto composito-composito o composito–metallo viene eseguita in modo
approssimato mediante la teoria classica dei giunti incollati sviluppata sin dalla prima metà del
secolo scorso per i giunti metallo-metallo. Questa teoria si basa sulle seguenti ipotesi
semplificative:
(a) l’adesivo ha un comportamento elastico lineare;
(b) sono assenti tensioni interlaminari (dovute alle diverse proprietà elastiche di materiali ed
adesivo a contatto);
(c) sono assenti sollecitazioni flettenti.

La figura seguente mostra lo schema utilizzato per la determinazione della distribuzione delle
tensioni tangenziali nell'adesivo di un giunto a doppia sovrapposizione.

147
te l Ee
P/2 moduli d
Ei

te η αi x P
P/2
αe ti
adesivo
coefficienti di dilatazione

Fig.3 – Giunto a doppia sovrapposizione: geometria e notazione generale utilizzata.

Con riferimento alla Fig.3, considerando l’equilibrio di un tratto infinitesimo di ciascuno degli
elementi collegati (interno ed esterno) si ha:

τ
 dPe + τ = 0
Pi dx P+dP
i i Pe dx P+dP
e e Pe = Pe + dPe + τdx  dx
 ⇒  (1)
Pi + 2τdx = Pi + dPi  dPi − 2τ = 0
τ τ  dx

Avendo indicato con Pi e Pe lo sforzo normale presente nella generica sezione dell’elemento interno
e degli elementi esterni rispettivamente. La distribuzione delle tensioni tangenziali produce quindi
un progressivo trasferimento del carico da un elemento all’altro. Considerando per esempio
l’elemento interno le tensioni normali variano in pratica dal valore P/ti a 0 andando dalla sezione di
attacco alla sezione di estremità. Per l’elemento interno e per gli elementi esterni, ipotizzando una
distribuzione uniforme delle tensioni normali nella generica sezione si può scrivere:

 Pe = σ ete
 (2)
 Pi = σ i ti

Le (2) in termini di deformazione e di spostamenti si possono scrivere come:

 due
 Pe = Eeε ete = Ee dx te
 (3)
 P = E ε t = E dui t

i i i i i i
dx

avendo indicato con ui ed ue lo spostamento della generica sezione dell’elemento interno e degli
elementi esterni rispettivamente. Lo scorrimento γ dell’adesivo nella generica sezione del giunto è

148
dato da:

(ui − ue )
γ = (4)
η

Nella ipotesi di comportamento elastico lineare dell’adesivo, a tale scorrimento è associata la


tensione tangenziale:

Ga
τ = Ga γ = (ui − ue ) (5)
η

avendo indicato con Ga il modulo di elasticità trasversale dell’adesivo. Derivando rispetto a x la (5)
si ha:

dτ Ga dui due
= ( − ) (6)
dx η dx dx

Sostituendo la (3) nella (6) si ha quindi:

dτ Ga Pi P
= ( + e ) (7)
dx η Ei ti Eete

Derivando rispetto a x la (7) si ottiene:

d 2τ Ga dPi 1 dP 1
= ( − e ) (8)
dx 2
η dx Ei ti dx Eete

Sostituendo le (1) nelle (8) si ottiene infine:

d 2τ G 2 1
=τ a ( + ) (9)
dx 2
η Ei ti Eete

Indicando con λ2 il termine che a secondo membro della (9) moltiplica la tensione tangenziale, cioè:

Ga 2 1 Ga 1 + S
λ= ( + )= ( ) (10)
η Ei ti Eete Etη S

avendo indicato con S il cosiddetto sbilanciamento del giunto, definito dal rapporto tra la rigidezza
dell’elemento interno e la somma delle rigidezze degli elementi esterni, cioè:

Ei ti
S= (11)
2 Eete

Con tale posizione l’equazione differenziale (9) assume la forma notevole:

d 2τ
= λ 2τ (12)
dx 2

149
la cui soluzione generale, come è facile verificare, è data da:

τ = A sinh(λx) + B cosh(λx) (13)

La costante B si può valutare imponendo la condizione di equilibrio:

[ ]
l
l/2 l/2 4 B sinh(λ )
A cosh(λx) B sin(λx)

P = 2τ ml = 2 τdx = 2
−l / 2
λ
+
λ −l / 2
=
λ
2 (14)

da cui si ottiene immediatamente:


B= (15)
l
4 sinh(λ )
2

La costante A invece si può valutare invece introducendo le condizioni:

Te = 0, Ti = T per x = l/2


 (16)
Ti = 0, Te = T / 2 per x = −l/2

nella eq. differenziale del primo ordine (7), che tenendo conto della (13) fornisce:

 dτ  G P l l
 dx  = a( ) = Aλ cosh(λ ) + Bλ sinh(λ );
  x =l / 2 η E t
i i 2 2
(17)
 dτ  G P l l
 dx  =− a ( ) = Aλ cosh(λ ) − Bλ sinh(λ );
  x = −l / 2 η 2 Eete 2 2

Sommando membro a membro le (17) si ottiene:

l P Ga 1 − S Pλ2 1 − S 
2 Aλ cosh(λ ) = ( )= (18)
2 2 Etη S 2 1 + S 

da cui si ottiene infine:

Pλ 1 − S 
A= (19)
l  
2 cosh(λ ) 1 + S 
2
Sostituendo la (15) e la (19) nella (13) si ottiene che la distribuzione delle tensioni tangenziali
nell’adesivo è data in generale dalla relazione:

Pλ 1 − S  Pλ
τ= sinh(λx) + cosh(λx) (20)
l 1 + S  l
4 cosh(λ ) 4 sinh(λ )
2 2

Un caso notevole è quello del giunto bilanciato (S=1) a cui si fa riferimento nella progettazione e
per il quale si ha in particolare:

150

τ= cosh(λx) (21)
l
4 sinh(λ )
2

Tenuto conto della parità della funzione coseno iperbolico, si ha che in un giunto bilanciato la
distribuzione delle tensioni tangenziali è simmetrica rispetto al piano medio del giunto come mostra
a titolo di esempio la Fig.4 che riportal’andamento della tensione tangenziale normalizzata τ/Pλ per
un giunto bilanciato con λ=1 mm-1, al variare dell’ascissa adimensionale x/l.

0.6

τ Pλ

0.5

0.4
-0.5 0 +0.5
x/l
Fig.4 – Andamento delle tensioni tangenziali nell’adesivo (λ=1).

Si vede in particolare come la massima tensione tangenziale si verifica in corrispondenza degli


estremi del giunto; in dettaglio dalla (21) si ha:


τ max = τ (l / 2) = τ (−l / 2) = (22)
l
4 tanh(λ )
2

La (22) mostra come fissato il carico applicato al giunto, la massima tensione tangenziale decresce
al crescere della lunghezza del giunto tendendo asintoticamente al valore Pλ/4 (essendo tanh(∞)=1)
come mostra la seguente Fig.5.

τmax


4
0
0 2 4 6 8 10
λl

Fig.5 – Andamento della massima tensione tangenziale al variare della lunghezza normalizzata λl.

15.3.2 Lunghezza del giunto e carico massimo sopportabile

Tenuto conto che, come mostra la Fig.5, la massima tensione tangenziale raggiunge in pratica il suo

151
minimo per λl=10 (vedi anche Eq.(22)), si ha che ad un aumento della lunghezza del giunto al di la
del valore l=10/λ non corrisponde un significativo aumento del carico sopportabile. La lunghezza
minima del giunto a cui corrisponde il massimo carico sopportabile dallo stesso vale pertanto:
10
lmin= (23)
λ

Al fine di tener conto delle variazioni che la resistenza dell'adesivo può subire con umidità e
temperatura, nonché al fine di stabilizzare il giunto nei confronti di eventuali fenomeni di creep
mediante una zona centrale soggetta a tensioni relativamente basse, nella progettazione pratica si
assume solitamente una lunghezza effettiva del giunto pari ad 1.25 volte la lunghezza minima
indicata dalla (23); si assume cioè:

12.5
lmin= (23’)
λ

Tale incremento della lunghezza consente anche di tener conto di eventuali diminuzioni della
resistenza dell'adesivo a causa di difetti, soffiature ecc, ovvero a causa di decadimento operato da
fattori ambientali.
Se la lunghezza del giunto è non inferiore alla lunghezza minima, allora in virtù della (22) il carico
massimo sopportabile Pmax, corrispondente alla condizione τmax=τR, risulta pari a:

4τ R τ R2
Pmax = =4 Etη = 4 Aτ − γ Etη (24)
λ 2Ga

La (24) mostra come il carico massimo sopportabile da un giunto bilanciato (cedimento per taglio
dell’adesivo) è proporzionale all’area Aτ−γ sottesa dal diagramma τ−γ dell’adesivo, al modulo di
Young degli elementi collegati, al loro spessore t ed allo spessore η dell’adesivo.
Le (17’) e (24) consentono rispettivamente un immediato dimensionamento di massima ed una
stima del massimo carico sopportabile da un giunto bilanciato note geometria e caratteristiche degli
elementi da collegare nonché dell’adesivo. La (24), inoltre, si dimostra essere valida anche nel caso
in cui l’adesivo abbia un comportamento elastico-perfettamente plastico come indicato in Fig.2.

15.3.3 Effetto dello spessore del giunto

Dalla eq.(18) si vede che la capacità di carico massimo sopportabile da un giunto bilanciato è legata
alla radice quadrata dello spessore t degli elementi accoppiati. Poiché la resistenza a trazione-
compressione degli elementi giuntati cresce linearmente con lo spessore, eguagliando il massimo
carico sopportabile dall’adesivo con quello sopportabile dagli elementi collegati, si ha:

Pmax = 4 Aτ − γ Etη = σ R t (25)

La (25) esprime la condizione di isoresistenza (efficienza 100%); da questa si ha che per elementi
collegati con spessore superiore al valore critico:

t*=[16ηAτ−γ E]/σR2 (25)

la resistenza del giunto è limitata da quella dell'adesivo; in altre parole uno spessore degli elementi
collegati maggiore di t* porta ad un giunto con efficienza inferiore al 100% (giunto = nodo debole

152
della catena). Per esempio per un composito avente σR ≈ 450 MPa ed adesivo tipo FM 300 (A ≈10
MPa, vedi Fig.2) con spessore η≈0.1 mm, la (25) fornisce che lo spessore degli elementi a cui si ha
equiresistenza di adesivo e metallo è pari a circa 6 mm. Uno spessore superiore porta a rottura del
giunto per taglio dell’adesivo (efficienza <100%) mentre uno spessore inferiore può dar luogo a
cedimento degli elementi collegati (efficienza >100%).

15.3.4 Effetto dello spessore dell'adesivo


Dalla eq.(18) si vede che il carico massimo sopportabile da un giunto bilanciato cresce con la radice
quadrata dello spessore η dell'adesivo. Un aumento dello spessore dell’adesivo da luogo infatti ad
una diminuzione dello scorrimento massimo dello stesso e quindi, in accordo con la (22) e la (10),
ad una diminuzione della massima tensione tangenziale.
Lo spessore dell'adesivo pertanto va tenuto sufficientemente elevato al fine di non ridurre
eccessivamente la resistenza. L'uso però di spessori troppo elevati è da sconsigliare in quanto al
crescere dello spessore crescono pure i vuoti presenti con significativa diminuzione della resistenza.
Un compromesso è costituito in genere da spessori dell'adesivo compresi tra 0.1 e 0.25 mm.
Al fine di conferire all’adesivo una certa consistenza, necessaria ad ottenere la formazione di strati
di sufficiente spessore (evitando spessori troppo piccoli dell’adesivo) si aggiungono sovente a
questo una certa percentuale di fibre.

15.3.5 Effetto dello sbilanciamento


Un giunto a doppia sovrapposizione si dice sbilanciato allorquando la rigidezza dell'elemento
centrale è diversa dalla somma delle rigidezze degli elementi esterni. In questa situazione la
distribuzione delle tensioni tangenziali nell'adesivo non è più simmetrica come indicato
schematicamente nella seguente figura che si riferisce al caso in cui l’elemento interno ha una
rigidezza inferiore alla somma degli elementi esterni.

giunto scarico geometria


carico crescente

Trazione
γR
carico crescente

Compressione

Fig.5 - Distribuzione delle tensioni tangenziali in giunto sbilanciato a doppia sovrapposizione

Si vede in particolare come in un giunto sbilanciato si verifica un innalzamento (sbilanciamento)


delle tensioni dal lato dell'elemento meno rigido e ciò indipendentemente dal verso di applicazione
del carico (trazione o compressione).
Ciò evidentemente porta ad una diminuzione della capacità portante del giunto sbilanciato rispetto
alla condizione di giunto bilanciato (avente una distribuzione simmetrica). La distribuzione delle

153
tensioni in un giunto sbilanciato è fornito dalla Eq.20.
Per quanto detto, nel caso di sbilanciamento con S >1 (rigidezza dell’elemento interno maggiore
della somma degli elementi esterni) la massima tensione si verifica per x=-l/2 ed è pari a:

Pλ  S − 1  l Pλ
τ max =   tanh(λ ) + (26)
4 1 + S  2 4 tanh(λ l )
2

Per lunghezza del giunto l >lmin=10/λ la massima tensione tangenziale risulta pertanto pari a:

Pλ  S − 1  Pλ  2 S 
τ max = (1 +   ) = 4 1 + S  (27)
4 1 + S   

Alla condizione limite τmax=τR corrisponde un carico massimo sopportabile pari a:

4τ R (1 + S −1 ) 4τ R (1 + S −1 ) −1
( S =1) (1 + S )
Pmax = = = Pmax (28)
λ 2 ( S =1) (1 + S −1 ) 2 2
λ
2

In pratica pertanto uno sbilanciamento con S>1 porta ad un carico massimo sopportabile pari a:
( S =1)
Pmax ( S > 1) = Pmax (1 + S −1 ) / 2 (29)

Con procedimento analogo si dimostra immediatamente che nel caso di sbilanciamento con S<1
(rigidezza dell’elemento interno minore della somma degli elementi esterni, massima tensione per
x=l/2), il carico massimo sopportabile è dato da:

( S =1)
Pmax ( S < 1) = Pmax S (1 + S ) / 2 (30)

Tenuto conto che scambiando la posizione degli elementi collegati lo sbilanciamento si inverte
(S’=1/S), mediante le (29) e (30) è facile mostrare che alla configurazione del giunto con materiale
più cedevole all’esterno corrisponde una più bassa diminuzione del carico sopportabile.
A titolo di esempio la Fig.6 mostra come in presenza di uno sbilanciamento con S=3 (elementi
esterni più cedevoli) si verifica una riduzione del carico massimo sopportabile pari a circa il 20%,
mentre invertendo la posizione degli elementi collegati (S’=1/3) si verifica una riduzione del 60%
del carico sopportabile, cioè circa tre volte superiore.

Pmax 1
Pmax (S=1)
0.8

0.6

0.4

0.2

0
0 1/3 1 2 3 4 5
S

Fig.6 – Diminuzione del massimo carico sopportabile in funzione dello sbilanciamento del giunto.

154
In presenza di sbilanciamento è bene pertanto configurare il giunto in modo da porre sempre gli
elementi più cedevoli all’esterno.

15.3.6 Effetto del mismatch del coefficiente di dilatazione termica


Un diverso coefficiente di dilatazione termica delle parti accoppiate si spesso nelle giunzioni
metallo-composito soprattutto per compositi rinforzati con fibra di carbonio o Kevlar. Il
coefficiente di dilatazione di tali compositi è infatti generalmente inferiore a 2-3*10-6 °C-1 mentre il
coefficiente di dilatazione dei metalli tecnici risulta ben superiore (11*10-6 °C-1 per acciaio, 23*10-6
°C-1 per alluminio).
Una variazione di temperatura produce quindi in questi giunti da sola deformazioni differenziali
delle parti accoppiate a cui è associata una distribuzione di tensioni tangenziali autoequilibrate
(antisimmetriche) sull'adesivo (vedi per esempio Fig.7). La differenza tra la temperatura di cura del
giunto e la temperatura di esercizio dello stesso determina quindi un sistema di tensioni residue
autoequilibrate a cui si sovrappongono le tensioni indotte dai carichi di esercizio. Poiché le tensioni
residue termiche sono antisimmetriche si ha che anche per un giunto bilanciato (distribuzione delle
τ simmetrica) la distribuzione complessiva delle tensioni tangenziali risulta avere andamento non
simmetrico (Fig.7).

composito

metallo
geometria
composito
giunto scarico con ∆ T<0

carico crescente
giunto carico con ∆ T<0

γR
carico crescente

giunto carico con ∆ T<0

Fig.7 - Distribuzione delle tensioni tangenziali in giunto soggetto a variazione di temperatura ∆T<0.

Le sollecitazioni associate ad una generica variazione di temperatura ∆T possono essere facilmente


stimate considerando il legame tra la deformazione termica del giunto ε, le deformazioni
meccaniche εi ed εe degli elementi accoppiati e relative dilatazioni termiche αi∆T e αe∆T, cioè:

ε = α i ∆T + ε i
 (31)
ε = α e ∆T + ε e

Le (31) consentono di valutare immediatamente le deformazioni meccaniche εi ed εe degli elementi


accoppiati e quindi le relative tensioni termiche σi ed σe date da:

155
ε i = ε − α i ∆T σ i = Eiε i = Ei (ε − α i ∆T )
 ⇒  (32)
ε e = ε − α e ∆T σ e = Eeε e = Ee (ε − α e ∆T )

Alle tensioni termiche corrispondono degli sforzi termici Pi ( ∆T ) e Pe ( ∆T ) sugli elementi accoppiati
pari a:

 Pi ( ∆T ) = σ i ti = Eiε i ti = Ei ti (ε − α i ∆T )
 ( ∆T ) (33)
 Pe = σ ete = Eeε ete = Eete (ε − α e ∆T )

Tenuto conto che tali sforzi costituiscono un sistema autoequilibrato dalle (33) si ottiene:

( ∆T ) ( ∆T ) ( Sα i + α e )
Pi + 2 Pe = 0 ⇒ Ei ti (ε − α i ∆T ) + 2 Eete (ε − α e ∆T ) ⇒ ε = ∆T (34)
( S + 1)

Sostituendo la deformazione termica del giunto fornita dalla (34) nella prima della (33) si ottiene
immediatamente il carico termico a cui risulta soggetto il giunto:

( ∆T ) ( Sα i + α e ) (α − α i ) 2 E t ∆ α ∆T
P ( ∆T ) = Pi = Ei ti [ − α i ]∆T = 2 Eete e ∆T = e e (35)
( S + 1) S +1 S +1

Tale carico produce una distribuzione (autoequilibrata) antisimmetrica di tensioni tangenziali che
possono essere valutate immediatamente considerando l’eq. (13) e la eq.(7) scritta per esempio la
sezione di attacco dell’elemento interno. L’antisimmetria fornisce immediatamente B=0, mentre la
(7) fornisce:

P ( ∆T ) λ 2 Ee t e ∆α ∆T λ
A= = (36)
l S +1 l
2 cosh( λ ) 2 cosh( λ )
2 2

La distribuzione delle tensioni termiche è pertanto fornita dalla funzione:

2 Ee t e ∆α ∆T λ
τ= sinh( λ x ) (37)
S +1 l
2 cosh( λ )
2
Le massime tensioni (in modulo) si verificano in corrispondenza degli estremi e valgono:

λ l
τ max = tanh(λ ) Eete ∆α∆T (38)
S +1 2

Tenendo conto delle proprietà della funzione tanh(.) si ha che al crescere della lunghezza del giunto
non si ha una crescita indefinita delle tensioni termiche; in particolare per giunto con lunghezza
maggiore o uguale alla lunghezza minima la massima tensione è fornita da:

λ
τ max = Eete ∆α∆T (39)
S +1

Confrontando la (39) con la (27) si osserva che un carico termico produce in pratica una tensione

156
massima pari a quella prodotta da un carico meccanico doppio. Ai fini della valutazione della
massima tensione tangenziale il carico termico pertanto un carico termico è equivalente ad un
carico meccanico pari a 4Eete∆α∆T/(S+1). A tal fine occorre osservare che mentre in un giunto
bilanciato (tensioni meccaniche simmetriche) le tensioni termiche producono sempre un incremento
della massima tensione tangenziale indipendentemente dal segno della variazione di temperatura,
della sollecitazione e del mismatch dei coefficienti di dilatazione, e quindi un decremento del
massimo carico sopportabile dal giunto, per un giunto sbilanciato (tensioni meccaniche non
simmetriche) invece le tensioni tangenziali termiche possono dar luogo ad un aumento oppure ad
una diminuzione delle massime tensioni e quindi del massimo carico sopportabile. Infatti, per un
giunto sbilanciato la distribuzione delle tensioni tangenziali è legata oltre che ai coefficienti di
dilatazione anche al segno della variazione di temperatura e al verso della sollecitazione applicata
(trazione o compressione).
Tenuto conto della sopra citata condizione di equivalenza tra carichi termici e meccanici, si ha che
in giunto non bilanciato, il carico massimo sopportabile si può ottenere sottraendo al carico
effettivamente sopportabile dal giunto in assenza di variazioni di temperatura (Eq.28 o 29) con il
carico termico fornito dalla (35). In dettaglio, considerando una variazione di temperatura positiva,
si ha che per S>1 la condizione cui corrisponde la minima capacità portante (massima tensione
meccanica concorde con la corrispondente tensione termica) si verifica per αe>αi e carico applicato
di trazione (vedi Fig.8) ovvero per αe<αi e carico applicato di compressione. Per S<1 invece la
condizione di minima capacità portante si verifica per αe<αi e carico applicato di trazione (vedi
Fig.8) ovvero per αe>αi e carico applicato di compressione. Tali regole si invertono nel caso di
variazione di temperatura negativa, come è quella che si verifica nei giunti co-cured allorquando
questi passano dalla temperatura di cura alla temperatura ambiente.

τ ∆T αe >α i
τ S>1 τ ∆T αe <α i
∆ t >0 τ S<1
∆ t >0

Fig.8 - Distribuzione delle tensioni tangenziali meccaniche e termiche in giunto sbilanciato soggetto a
variazione di temperatura ∆T.

Con l’ausilio della Fig.8 si puo osservare come per un giunto sbilanciato una variazione di
temperatura (carico termico) può portare ad un aumento della capacità portante se questi è
configurato in modo che la massima tensione meccanica sia discorde con la corrispondente tensione
termica. In particolare per un giunto con S>1 tale condizione si verifica allorquando il prodotto del
carico applicato per la variazione di temperatura per il mismathc P∆T∆α è positivo; il contrario si
ha invece per giunti con S<1 (P∆T∆α). Per quanto detto, in virtu delle equazioni (29),(30) e (35) in
generale il carico massimo sopportabile da un giunto sbilanciato “non omogeneo” soggetto a
variazioni di temperatura è dato da:

 1 2 Eete (α e − α i )∆T
± [8ηA Eete (1 + S )]2 + S +1
per ( S < 1)
Tmax = (40)
± 8ηAE t S 1 + S −1 2 − 2 Eete (α e − α i )∆T
[ ( )]
1
per ( S > 1)
 e e
S +1

Nelle (40) il segno (+) vale per carico meccanico di trazione, il segno (-) per carico di
compressione.

157
15.4. Giunto a doppia sovrapposizione: resistenza allo sfogliamento

In un giunto a doppia sovrapposizione, sotto un carico trazione semplice gli elementi esterni
tendono naturalmente ad incurvarsi per via del momento flettente prodotto dalla distribuzione
asimmetrica (solo interna) delle tensioni tangenziali scambiate con l’adesivo. Conseguentemente in
corrispondenza delle estremità degli elementi esterni nascono all’interfaccia con l’adesivo delle
tensioni normali positive σsf, dette tensioni di sfogliamento (peel stress nella letteratura inglese) in
quanto tendono a separare (sfogliare) le parti incollate (vedi Fig.9). Ovviamente tali tensioni
costituiscono un sistema autoequilibrato e quindi esse cambiano segno nella superficie incollata
andando dal lembo esterno a quello interno del giunto (vedi Fig.9a). A causa della bassa resistenza
a trazione dei laminati in direzione trasversale (σT,R << σL,R), nei giunti metallo-composito o
composito-composito tali tensioni risultano molto pericolose e possono sovente dar luogo a
danneggiamento o rottura prematura del giunto. Per questo è buona norma mettere in atto ogni
provvedimento capace di ridurre tali pericolose tensioni.

tipica rottura di giunto metallo- tecnica utilizzata per ridurre le


-ceramico di grosso spessore tensioni di sfogliamento

σsf σsf
(+)
(-)
tensioni di sfogliamento tensioni di sfogliamento ridotte

(a) (b)
Fig.9 - Distribuzione delle tensioni di sfogliamento in giunto standard (a) e modificato (b).

In assenza di provvedimenti atti a limitare le tensioni di sfogliamento, il valore di picco è


approssimativamente stimato mediante la seguente relazione:

E f te P E f te
σ sf , max = τ 4 3 = 4 3 (41)
Eeη 2l Eeη

essendo Ef la rigidezza trasversale del giunto e τ la tensione media sull’adesivo. Dalla (41) si vede
come le tensioni di sfogliamento diminuiscono all'aumentare della rigidezza degli elementi esterni
Ee del giunto e dello spessore di adesivo η, sebbene il parametro che governa principalmente la
massima tensione di sfogliamento è la rigidezza trasversale del giunto Ef che descresce
significativamente mettendo gli elementi più cedevoli all’esterno. Per questo nei giunti metallo-
composito se Emet>Ecomp allora al fine di limitare le pericolose tensioni di sfogliamento è bene
disporre sempre gli elementi metallici all’interno e quelli in composito all’esterno. Tale regola
pratica è in genere in accordo con quella sopra enunciata per i giunti sbilanciati poiché la rigidezza
dei compositi è solitamente inferiore a quella dei metalli con cui si accoppiano.
La presenza di tensioni di sfogliamento può divenire un problema rilevante nel caso in cui il
composito abbia una bassa resistenza trasversale rispetto a quella dell'adesivo (adesivi duttili
resistenti allo sfogliamento), nel qual caso si possono facilmente avere rotture per delaminazione

158
del composito. In questi casi pertanto una corretta progettazione del giunto deve prevedere una
verifica a delaminazione del composito utilizzando per esempio il criterio di Ye:

2 2
 σ sf ,max   τ max 
  +  ≤1 (42)
 σ  τ 
 T ,R   LT , R 

In accordo con la (41) le tensioni di sfogliamento possono essere limitate allungando la lunghezza
el giunto in modo da ridurre la tensione tangenziale media sull’adesivo. Per questo nei casi in cui lo
sfogliamento è particolarmente temuto (giunti a semplice sovrapposizione e/o materiali a bassa
resistenza allo sfogliamento) oltre ad adottare adesivi duttili si aumenta il rapporto l/t a valori
dell’ordine di 30:1. Come mostrato in Fig.9, le tensioni di sfogliamento possono essere limitate
anche rastremando opportunamente le estremità degli elementi esterni o aumentando lo spessore
finale dell’adesivo come mostrato in Fig.9b. Tali accorgimenti danno luogo anche ad una benefica
diminuzione della concentrazione delle tensioni tangenziali.

15.5. Analisi numerica

Al fine di verificare la bontà dei risultati forniti dalla analisi teorica diversi studi dello stato
tensionale presente in un giunto incollato sono stati compiuti da vari autori mediante il metodo
degli elementi finiti (FEM). In particolare, sono stati eseguiti tanto analisi numeriche lineari che
non lineari, considerando diverse configurazioni geometriche del giunto.
A titolo di esempio la figura seguente riporta l’andamento delle tensioni nell’adesivo di un giunto
sbilanciato a doppia sovrapposizione CFRP-CFRP, nel caso di comportamento elastico lineare
dell’adesivo e di comportamento elasto-plastico con deformazione massima del 10% e del 20%.

Fig.10 – Tensioni tangenziali valutate mediante FEM per giunto a doppia sovrapposizione CFRP-CFRP
(Fig.14°, pg.214)

Dalla Fig.10 si vede come, in accordo con la teoria, lo sbilanciamento produce effettivamente una
asimmetria della distribuzione con un significativo fattore di concentrazione delle tensioni che nel
caso illustrato risulta pari a circa 2.5. SI osserva inoltre come lo scorrimento plastico dell’adesivo
diminuisce la asimmetria dovuta allo sbilanciamento portando ad un fattore di concentrazione di
poco inferiore a 2 e ad 1.5 circa rispettivamente per εmax=10% e εmax=20%.
In Fig.11a è inoltre riportato l’andamento delle tensioni nell’adesivo per il caso elementi costituiti
da laminato unidirezionale e cross-ply bilanciato CFRP. In accordo con la teoria sviluppata si vede
come al diminuire della rigidezza degli elementi collegati (Ecross-ply<Eunid) cresce l’effetto di
concentrazione di tensione e quindi, in accordo con la teoria, decresce il carico massimo
sopportabile (vedi Eq.25). E’ confermato pertanto che, ove possibile, è conveniente aumentare la
rigidezza delle estremità degli elementi da giuntare con l’introduzione di lamine aggiuntive disposte
a 0° ovvero di lamine metalliche (laminati ibridi).
Nella Fig.11b è riportato l’andamento delle tensioni nell’adesivo per il caso di giunto alluminio-
CFRP unidirezionale (EAlluminio<ECFRP-unid). In accordo con la teoria si vede come la configurazione
con elementi esterni in alluminio (più cedevoli, S>1), è quella che da luogo alle più basse tensioni e
quindi alla massima resistenza (vedi anche Fig.6).

159
Fig.11 – Tensioni tangenziali (Fem) per giunto a doppia sovrapposizione tra laminati unidirezionali e cross-
ply bilanciati CFRP (Fig.15, pg.215) e tra alluminio e laminato unidirezionale CFRP (Fig.16, pg.216).

15.6. Analisi sperimentale

Sebbene i risultati delle analisi numeriche sono in genere in buon accordo con quelli teorici, una
attendibile valutazione della resistenza del giunto non può essere eseguita senza la conoscenza delle
effettive modalità di rottura che, come accennato può verificarsi per:
1) taglio dell’adesivo;
2) peeling dell’adesivo e/o delaminazione del composito;
3) rottura degli elementi collegati;

E’ quindi in genere necessario procedere ad una analisi sperimentale del giunto in modo da
evidenziare le effettive modalità di rottura e verificare le previsioni teoriche e numeriche. Per
questo diversi studi sperimentali sono stati eseguiti da vari autori utilizzando diverse tecniche
sperimentali quali fotoelasticità, interferometria moiré, ecc. A titolo di esempio nella seguente
Fig.12 sono riportate le frange moiré (spostamenti lungo x) osservate in un giunto a semplice
sovrapposizione. Gli studi compiuti mostrano che in genere le sollecitazioni effettive sono in buon
accordo con le quelle previste numericamente e teoricamente specie per elementi collegati aventi
una rigidezza a taglio relativamente elevata.

Fig.12– Fringe moirè osservate in giunto a semplice sovrapposizione alluminio-alluminio (Fig.3, pg.115).

Per quanto concerne le modalità di cedimento l’analisi sperimentale ha mostrato come in alcuni casi
la rottura del giunto può avvenire anche in modo misto, cioè il danneggiamento può iniziare per
esempio per cedimento a taglio dell’adesivo e continuare poi per delaminazione del composito
come mostra la seguente figura che si riferisce al caso particolare di un giunto tra laminati
compositi del tipo [±45/0/90] realizzato con adesivo FM-300.

Fig.13– Danneggiamento di giunto tra laminati [±45/0/90] incollati con adesivo FM-300 (pg.174).

15.7. Miglioramenti della teoria

Il confronto dei risultati forniti dalla analisi teorica riportata ai capitoli precedenti con i risultati
numerici e sperimentali mostra che l’approccio teorico puo risultare poco accurato in presenza di
elementi collegati costituiti da materiali dotati di bassa rigidezza a taglio, come si verifica in pratica
per i laminati compositi, nonche di adesivo molto duttile (comportamento elasto-plastico). Ciò
suggerisce che in questi casi una accurata previsione teorica può essere ottenuta solo se si tiene
conto della cedevolezza a taglio degli elementi collegati, ovvero della plasticità dell’adesivo.

15.7.1 Materiali con bassa rigidezza a taglio

In presenza di elementi da collegare realizzati con materiali aventi bassa rigidezza trasversale, i
risultati della teoria possono essere migliorati considerando gli effetti della deformabilità a taglio di
tali materiali. Per elementi di spessore limitato, come è sempre il caso dei giunti incollati, si può
ipotizzare che la generica sezione trasversale sia soggetta ad una distribuzione di tensioni

160
tangenziali variabili linearmente nello spessore. In particolare per gli elementi esterni si può
assumere una distribuzione lineare con valore nullo sulla superficie esterna, mentre per l’elemento
interno si può assumere una distribuzione lineare con valore nullo al centro (simmetria).
Considerando per l’elemento esterno un riferimento ye con origine sulla superficie esterna e per
l’elemento interno un riferimento yi con origine sulla superficie incollata si ha:

ye yi
τe =τ ; τ i = τ (1 − ); (43-44)
te ti / 2

cui corrisponde nella usuale ipotesi di comportamento lineare dei materiali una distribuzione degli
scorrimenti:
τ ye τ y
γe = ; γ i = (1 − i ); (45-46)
Ge te Ge ti / 2

e dei corrispondenti spostamenti in direzione x pari a:

2
te
τ te τ yi
τ yi
∫ ∫
2
ue = ue − γ e dye = ue − + ye ; ui = ui + γ i dyi = ui + ( yi − ); (47-48)
ye 2Gete 2Gete 0 Ge ti

Sostituendo le (47-48) nella (5) con lo stesso procedimento esposto al cap.15.3.1 si perviene ad una
equazione differenziale formalmente simile alla (12) e cioè:

d 2τ
2
= β 2τ (49)
dx
con

λ2
β2 = (50)
α2

essendo
G  ti t 
α = 1+  + e  (51)
η  6Gi 3Ge 

La (49) mostra quindi che in presenza di elementi con elevata deformabilità a taglio la distribuzione
delle tensioni tangenziali nell’adesivo può essere valutata in pratica con le stesse formule gia viste
per il caso di elementi rigidi con la semplice sostituzione di λ con β ovvero dividendo il parametro
λ per il parametro di cedevolezza α fornito dalla (51). Poiché tale parametro risulta sempre
maggiore di 1, con riferimento a tale formulazione si ha che la cedevolezza a taglio dei materiali
produce in pratica una diminuzione una diminuzione del parametro λ. Ciò porta in pratica ad una
più uniforme distribuzione delle tensioni ovvero ad:

1) diminuzione della massima tensione tangenziale (vedi eq.22);


2) aumento della lunghezza minima (vedi eq.23);
3) aumento del carico massimo sopportabile (vedi eq.24);

A titolo di esempio nella seguente Fig.14 è riportato l’andamento del rapporto RP tra il carico
teorico massimo sopportabile da un giunto bilanciato (t=5 mm, η=0.1 mm) nella ipotesi di elementi
deformabili a taglio e rigidi (eq.24) al variare del rapporto Gm/Ga tra la rigidezza dei materiali e

161
quella dell’adesivo.
3
RP
2.5

1.5

1
0 10 20 30 40 50
Gm/G a

Fig.14 – Andamento di RP al variare del rapporto Gm/Ga per giunto bilanciato (t=5 mm, η=0.1 mm).

Si vede come a rigidezze dei materiali pari a 4-5 volte quella dell’adesivo, situazione verosimile per
materiali compositi a basso modulo, corrisponde un aumento della capacità portante di circa il 50%.
Aumenti dello stesso ordine di grandezza subisce la lunghezza minima del giunto. La progettazione
di giunti in composito pertanto deve in genere tener conto della limitata rigidezza a taglio di questi
materiali. A tal fine il grafico di Fig.14 può essere vantaggiosamente utilizzato (giunto bilanciato)
per una immediata correzione della capacità portante del giunto valutata mediante la (24).

15.7.2 Adesivo duttile

In presenza di un adesivo molto duttile i fenomenio di concentrazione di tensione che si verificano


alle estremità del giunto possono dar luogo a significativi fenomeni di plasticità dell’adesivo,
crescenti con il carico applicato.
Ipotizzando per l’adesivo un comportamento elastico-perfettamante plastico (Fig.2b), lo stato di
deformazione presente in questo può essere valutato utilizzando lo stesso approccio esposto al
cap.15.3.1. Per un giunto bilanciato, come è facile verificare, si ottiene l’equazione risolvente:

γ = B cosh(λx) (52)

Il carico massimo sopportabile dal giunto corrisponde in questo alla condizioni per cui lo
scorrimento massimo che si verifica alle estremità risulta pari allo scorrimento di rottura
dell’adesivo. Considerando una lunghezza del giunto pari a lmin=10/λ tale condizione fornisce
immediatamente:

γR
γ R = B cosh(5) ⇒ B ≈ (54)
75

per cui la distribuzione degli scorrimenti e delle tensioni elastiche sono date da:

γR
γ= cosh(lx) (55)
75

γR
t =G cosh(lx ) (56)
75

La ascissax della sezione del giunto in cui lo scorrimento raggiunge il limite elastico si ottiene
162
dalla (55) imponendo:
−1
γR 1  75γ e 
γe = cosh(lx ) ⇒ x = cosh   (57)
75 l  γR 

Gli adesivi duttili utilizzati nella pratica sono caratterizzati da valori del rapporto γR/γe >7.5 per cui
x risulta limitata superiormente dal valore 3/λ. L’estensione della zona plastica risulta pertanto
complessivamente pari a 4/λ. In pratica si ha una zona plastica con estensione pari a circa il 40%
della sezione. Considerando una lunghezza del giunto incrementata del 25%, il carico massimo
corrispondente sopportato dal giunto si ottiene dalla condizione di equilibrio:

5 3/ λ
8 2γ 10 80γ R 10 8γ
Pmax = 2[ τ s +
λ ∫ −3 / λ
τdx] = τ s + G R [sinh(λx)]3−.375.75/ λ/ λ ≈ τ s + G
λ 75λ λ 75λ
= τs + G e =
λ λ
(58)
10 8τ s τ s2 τ s2 1
τs + = 18 Etη ≈ 4 16( ) Etη = 4 τ s ( γ e + γ R ) Etη = 4 Aτ − γ Etη
λ λ 2G 2G 2

La (58) risulta in pratica formalmente identica alla analoga equazione (24) valida nella ipotesi di
comportamento elastico lineare dell’adesivo.

15.8. Considerazioni sulla progettazione dei giunti incollati

Da quanto sopra esposto si evince che la resistenza di un giunto incollato è funzione di vari
parametri e, conseguentemente, la sua previsione è attività non priva di difficoltà e incertezze. Molti
sono i parametri che influenzano le modalità di rottura di un giunto. Per esempio all’aumentare
dello spessore degli elementi esterni, per quanto sopra osservato, il cedimento del giunto passa dalla
rottura degli elementi, alla rottura a taglio dell’adesivo, alla rottura per sfogliamento (vedi Fig.14).

TR ∝ t TR ∝ t ^1/2
TR
TR ∝ t ^1/4

0 t1 t2 t

Fig.14– Modalità di rottura di adesivo al variare dello spessore degli elementi esterni.

Nella progettazione pratica dei giunti, inoltre, il comportamento viscoelastico degli adesivi va
tenuto in debita considerazione: in corrispondenza delle estremità ove si hanno le massime tensioni,
significativi fenomeni di creep possono verificarsi con conseguente rilassamento delle tensioni ed
aumento del cimento della parte centrale dell’adesivo. Al fine pertanto di limitare tali fenomeni è
buona norma adottare lunghezze del giunto superiori ai valori minimi calcolati teoricamente. Poiché
come visto all’aumentare della lunghezza del giunto oltre un valore critico pari a circa 10/λ non si
più una diminuzione della massima tensione, ma si ha invece una diminuzione della tensione
minima, quest’ultima è di fatto un parametro significativo nella progettazione dei giunti incollati.
Per assicurare una buona stabilizzazione dei fenomeni di creep ed una adeguata riserva di resistenza
163
dei giunti ai sovraccarichi si pone solitamente la condizione:

τs
τ min ≤ (37)
10

Utilizzando la (15), per un giunto bilanciato [τmin=τ (0)] la (37) fornisce la relazione:

Tλ τs
τ min = ≤ (38)
l 10
4 sinh(λ )
2
da cui si ottiene:

2  5Tλ 
lmin = ArcSinh  (39)
λ  2τ s 

A titolo di esempio per un giunto con t=5mm e λ=0.35 mm-1 (G=1000 MPa, E=35000 MPA, η=0.1
mm) realizzato con adesivo avente τs=30 MPa (valore usuale) e sottoposto ad un carico T=1000
N/mm (σappl=200 MPa), la (39) fornisce lmin=38 mm, che risulta in questo caso leggermente
superiore al valore fornito dalla (17b), pari a circa 35 mm, basato sulla limitazione della massima
tensione tangenziale. Si noti che la (39), a differenza delle (17), è legata all’effettivo carico
applicato al giunto; essa pertanto risulta più restrittiva della (17b) per giunto soggetti a carichi
elevati.

15.8. Applicazioni

15.9. Altri tipi di giunto

15.9.1 Giunto a semplice sovrapposizione (single lap joint)


Nel giunto a semplice sovrapposizione l'asimmetria del sistema determina la nascita di un momento
flettente e conseguentemente di rilevanti tensioni di sfogliamento che ne condizionano
significativamente la resistenza. In funzione della entità del carico applicato si possono avere
significative deformazioni locali (anche permanenti) degli elementi collegati e soprattutto fenomeni
di delaminazione (vedi Fig.15).

Fig.15 – Modalità di danneggiamento di giunto a semplice sovrapposizione con elementi di vario tipo
(Fig.48, pg.171).

Tenuto conto che i compositi hanno bassa resistenza allo sfogliamento (delle lamine) questo tipo di
giunto non dovrebbe essere utilizzato per la realizzazione di giunzioni composito-composito o
composito-metallo. In altre parole nel campo dei compositi il suo uso, caratterizzato da notevole
semplicità ed economia, è possibile soltanto quando possano essere messi in atto dispositivi che
consentono in pratica di limitare o annullare gli effetti della flessione (bloccaggio o serraggio del
giunto). Tali dispositivi sono assolutamente necessari allorquando il giunto è essere soggetto a
carichi di compressione.
In presenza di opportuno bloccaggio la resistenza del giunto può essere valutata in modo analogo a
quanto visto per il giunto a doppia sovrapposizione, tenendo conto che il giunto a semplice

164
sovrapposizione equivale a mezzo giunto doppio (capacita di carico dimezzata rispetto a quella del
giunto a doppia sovrapposizione).
Qualora sia difficile supportare adeguatamente il giunto e la realizzazione di configurazioni
alternative dello stesso siano di difficile realizzazione o troppo onerose, al fine di limitare le
tensioni di sfogliamento, ove possibile si procede sempre a rastremare l’estremita degli elementi
collegati e, molto importante, si assumono lunghezze del giunto molto superiori ai valori minimi
forniti dalla (17b) e/o dalla (39), Ciò, in accordo con la (35), consente infatti di limitare la tensione
tangenziale media e quindi la massima tensione di sfogliamento. In questo modo in un giunto a
semplice sovrapposizione vengono limitati significativamente anche gli effetti flessionali.
Nella seguente Fig.16 a titolo di esempio è riportato l’andamento della efficienza di un giunto a
semplice sovrapposizione tra elementi in CFRP [0/±45/90] al variare dello spessore e del rapporto
caratteristico l/t.

Fig.16 – Efficienza di giunto a semplice sovrapposizione al variare dello spessore degli elementi collegati.
(Fig.17, pg.292).

Dalla Fig.16 si vede come agli usuali valori di l/t indicati dalla analisi teorica dei giunti a doppia
sovrapposizione (l/t=7-8) corrisponde una efficienza compresa tra il 30 e il 40%, in molti casi pari
alla metà di quella corrispondente ai giunti a doppia sovrapposizione(70-80%). Per portare
l’efficienza a valori prossimi all’unità è necessario utilizzare una lunghezza del giunto pari a circa
100 volte lo spessore degli elementi. Nella ordinaria progettazione si adottano sovente giunti a
semplice sovrapposizione per spessori inferiori a 1.5 mm circa, con valori di efficienza del 80-90%
cui corrispondono valori di l/t =50-100, cioè l=75-150 mm. Tali limiti diventano più restrittivi per
applicazioni spinte o in presenza possibile degrado ambientale del giunto.

15.9.2 Giunto a sovrapposizione rastremato (scarf joint)


In questo tipo di giunto (vedi fig.1) l'adesivo è soggetto a tensioni normali e tangenziali. Se la
rigidezza delle parti collegate è la stessa, la distribuzione delle tensioni risulta praticamente
uniforme e calcolabile da semplici considerazioni di equilibrio. Indicando con θ l'angolo di
inclinazione della parte rastremata si ha:

σ cosθ = τ senθ σ / τ = tan θ σ = ( P / t ) sen 2θ


 ⇒  ⇒  (40)
(σ senθ + τ cosθ )t / senθ = P (τ tan θ + τ / tan θ ) = P / t τ = ( P / 2t ) sen2θ

Poiché le superfici incollate attraversano l’intero spessore degli elementi, con questo tipo di
collegamento non si ha in pratica alcuna limitazione nello spessore delle parti che possono essere
unite. Nella ipotesi di elementi con eguale resistenza ed eguale coefficiente di dilatazione termica
lineare, per piccoli angoli di ammorsamento θ (sen θ ≈θ, cos θ≈1) trascurando il contributo delle
tensioni normali all’interfaccia, la condizione di isoresistenza del giunto (efficienza 100%) porta
alla seguente relazione:
τ s ,adesive
θ= (41)
σ R ,element

che si ottiene immediatamente dalla seconda delle (40). Ovviamente se l’angolo di ammorsamento
effettivo risulta inferiore al valore indicato dalla (41) la rottura del giunto avviene per cedimento a
taglio dell’adesivo (efficienza <100%). Se gli elementi collegati hanno però rigidezza diversa
(giunto sbilanciato), come succede facilmente nei giunti metallo-composito, la distribuzione delle
tensioni non è più uniforme e si verifica un picco di tensione in corrispondenza dell'estremità del

165
giunto posto dalla parte dell'elemento più cedevole, come mostra per esempio la seguente Fig.17.

Fig.17 – Distribuzione delle tensioni tangenziali nell’adesivo di un giunto rastremato e doppia


sovrapposizione. (Fig.18, pg.220).

Si verifica che in un giunto rastremato sbilanciato il rapporto tra la tensione tangenziale media,
calcolabile con le formule precedenti, e la tensione di picco tende con buona approssimazione al
rapporto delle rigidezze delle parti unite, cioè:

τ bil E
≈ min (15)
τ max Emax

Nella seguente figura è riportato l’andamento di tale rapporto nel caso di giunto realizzato tra
elementi di diverso spessore.

Fig.18 – Effetto dello sbilanciamento in giunto rastremato (Fig.26, pg.302).

Tale grafico semplifica significativamente il progetto di tali giunti a partire dalla valutazione della
tensione media eseguita mediante le (40). Evidentemente nel caso di spessore diverso la massima
tensione si verifica in corrispondenza del punto A in figura, che è il punto di attacco dell’elemento a
più bassa rigidezza.
Fenomeni concentrazione di tensione possono pure verificarsi facilmente nei giunti rastremati a
cause del fatto che l’estremità ha sempre per ovvi motivi uno spessore finito. Al fine di contrastare
tale effetto si procede ad aumentare opportunamente la lunghezza del giunto stabilizzando lo stesso
nei confronti di eventuale creep dell’adesivo. Poiché lo stato di tensione nell’adesivo è pressoché
uniforme, è necessario in genere utilizzare a tal fine angoli di rastremazione molto bassi (dimezzare
il valore teorico) che danno luogo a lunghezze relativamente elevate che finiscono sovente per
limitare l’applicazione di tale tipo di giunto.
A titolo di esempio per un giunto bilanciato composito-composito con σR=350 MPa e τs=30 MPa la
(41) fornisce θ =5°, cui corrisponde per uno spessore t=10 mm una lunghezza del giunto di l=120
mm circa. Dimezzando l’angolo di rastremazione (θ =5°) per contrastare effetti di intaglio e creep,
si ottiene invece una lunghezza quasi doppia, cioè l=230 mm.
Per questo per elementi di elevato spessore si ricorre comunemente ai giunti a doppia
sovrapposizione a gradini. Questi, alo stesso tempo, permettono di limitare i problemi legati alla
eventuale diversa rigidezza e al mismatch dei coefficienti di dilatazione degli elementi collegati.

15.9.3 Giunto a doppia sovrapposizione a gradini (double stepped lap joint)


Questo tipo di giunto può essere considerato come la sovrapposizione (in serie) di tanti giunti a
doppia sovrapposizione (vedi fig.8).
Similmente a quanto succede in questo ultimo, in regime elastico la distribuzione delle tensioni su
ciascun gradino non è uniforme ma presenta dei picchi alle estremità.

166
titanio
τ
[MPa]
adesivo fragile

τ
[MPa]
adesivo duttile

Fig.19 - Distribuzione delle tensioni tangenziali in giunto a doppia sovrapposizione a gradini tra laminato in
fibra di carbonio-resina epossidica e titanio.

Tenendo conto delle considerazioni gia fatte per i giunti a doppia sovrapposizione, per aumentare la
capacità di carico di un giunto a a doppia sovrapposizione gradini piuttosto che aumentare la
lunghezza dei gradini (che non riduce le massime tensioni) è bene aumentarne il numero come
mostra esplicitamente la seguente Fig.20

Fig.20- Distribuzione delle tensioni tangenziali in giunto a doppia sovrapposizione a gradini al variare della
lunghezza dei gradini. (fig.24, pg.298)

Si vede come quadruplicando circa la lunghezza del giunto si ottiene un aumento della capacità
portanto soltanto del 14%. Cio evidenzia la notevole differenza tra giunti rastremati (capacita di
carico proporzionale alla lunghezza) e giunto a gradini. Utilizzando un elevato numero di gradini
invece è possibile aumentare la capacità portante e unire anche elementi di notevole spessore.
Tenendo costante la larghezza dei gradini, per materiali accoppiati con diversa rigidezza le massime
tensioni si verificano sempre alle estremità. Per questo è bene ridurre opportunamente la lunghezza
dei gradini finali come mostrato in fig.19 (risultati numerici). Al fine di limitare i rischi di
delaminazione è necessario anche limitare opportunamente anche lo spessore di questi: per giunti
con materiale composito è buona norma usare un gradino per ogni lamina costituente il laminato.
Una accurata progettazione di questi giunti necessita in genere l’uso di modelli numerici adeguati
per una attendibile previsione dello stato tensionale. Similmente a quanto accade per i giunti a
doppia sovrapposizione anche per questi è buona norma limitare le minime tensioni al fine di
stabilizzare eventuali fenomeni di creep dell’adesivo.
Dalla fig. 19 si osserva come l’aumento progressivo della rigidezza del giunto che sia spostandosi
da sinistra verso destra per via della più elevata rigidezza del titanio, comporta un progressivo
decadimento delle tensioni tangenziali con riduzione del carico complessivamente sopportabile dal
giunto. Un significativo miglioramento della distribuzione delle tensioni si può ottenere
modificando la geometria del giunto in modo da rendere pressoché costante la rigidezza, come
mostrato per esempio nella seguente figura 21.

Fig.21- Distribuzione delle tensioni tangenziali in giunto a doppia sovrapposizione a gradini al variare della
rigidezza del giunto (fig.19, pg.295)

167
Si vede come in pratica l’eliminazione di materiale (e non l’aggiunta) permette di ottenere una
distribuzione simmetrica delle tensioni e quasi un raddoppiamento del carico sopportabile.
sopportabile. Si osservi infine che le tensioni di sfogliamento non costituiscono per questo tipo di
giunto un problema rilevante in quanto a causa del piccolo spessore delle parti esterne terminali,
queste risultano adeguatamente ridotte e sovente trascurabili.

15.5.5 Giunti incollati e bullonati (o rivettati)


L'uso dei giunti misti, incollati e bullonati o rivettati, è praticato allorquando si vuole aumentare la
resistenza dei giunti incollati sopratutto nei confronti di sovraccarichi e/o sollecitazioni di fatica in
elementi di grosso spessore. E’ in genere difficile ripartire il carico su incollaggio e bulloni in parte
proporzionale alle loro capacità di resistenza in quanto si tratta di collegamenti caratterizzati da
rigidezza ben diversa (il giunto incollato ha maggiore rigidezza di quello meccanico).
Un problema notevole è legato al corretto posizionamento degli elementi meccanici di
collegamento che deve possibilmente avvenire nelle zone meno sollecitate dell'incollaggio. La
posizione ideale è quindi quella centrale in cui, come visto in precedenza, si hanno le minime
tensioni (cap.15.3.1).
L'uso di rivetti è comunque frequente nei giunti a semplice sovrapposizione al fine di limitare gli
effetti flessionali e quindi le tensioni di sfogliamento. A tal fine i rivetti sono posizionati alle
estremità del giunto contravvenendo alla regola sopra enunciata di posizionare bulloni e rivetti nelle
zone meno sollecitate. Tale soluzione è pertanto da sconsigliare specie nelle applicazioni più
impegnative preferendo ai rivetti soluzioni alternative di bloccaggio del giunto.

Per i compositi tale teoria può dar luogo a risultati largamente approssimati in quanto questa si
basa sulle seguenti ipotesi semplificative:
(a) elementi di piccolo spessore;
(b) deformazione a taglio degli elementi trascurabile;

Tali ipotesi risultano spesso troppo restrittive per i materiali compositi: lo spessore degli elementi
collegati può essere non proprio piccolo e soprattutto la deformabilità a taglio dei compositi è in
genere piuttosto elevata anche per materiali (laminati) che esibiscono elevate proprietà meccaniche
nel piano. E’ noto infatti che la rigidezza a taglio di un metallo è generalmente dell’ordine del 40%
del modulo di Young mentre per un composito la rigidezza trasversale è in genere molto bassa
(solitamente pari a 3-4 volte la rigidezza trasversale della matrice).

15.6. Materiali e preparazione delle superfici


Nel seguito si considerano gli effetti che le caratteristiche peculiari dei materiali costituenti gli
elementi accoppiati e l'adesivo hanno sulla resistenza di un giunto incollato.

15.6.1 Orientamento delle lamine

168
La resistenza di un giunto incollato dipende in modo particolare dalla resistenza del materiale in
prossimità della superficie. Trattando quindi di compositi laminati è possibile affermare che, fermo
restando ogni altra condizione, la resistenza del giunto è legata alla resistenza a taglio delle lamine
superficiali. E' noto che la resistenza a taglio di una lamina unidirezionale è massima nella
direzione delle fibre e minima in quella ortogonale; conseguentemente l'orientamento delle lamine
di estremità deve sempre essere a 0° (fibre allineate con il carico applicato) al fine di massimizzare
la resistenza del giunto. Tale considerazione è valida per giunti a sovrapposizione (semplice, doppia
ed a gradino) ma non risulta applicabile al caso dei giunti rastremati (scarf joint) nei quali come è
facile comprendere la sequenza di impacchettamento del laminato non ha significativi effetti sulla
resistenza.

15.6.2 Adesivi
Per la realizzazione di giunti incollati metallo-compositi si usano solitamente adesivi a base di
resina epossidica precatalizzata. In particolare per temperature normali si usano adesivi duttili
epossi-nitrilici caratterizzati da elevata resistenza allo sfogliamento. Questi adesivi si curano a
temperatura di circa 120° e sono solitamente rinforzati con fibre di vetro o polimeri come nylon o
poliestere. Essi mantengono le loro caratteristiche per temperature sino a 80° C circa.
Per temperature più elevate, sino a circa 120° C, è necessario ricorrere agli adesivi epossi-fenolici
che hanno una temperatura di cura di circa 180° C. Questi hanno però un comportamento più fragile
e quindi una minore resistenza allo sfogliamento.
L'aggiunta delle fibre in entrambi i tipi di adesivo ha lo scopo sia di dare una certa consistenza
meccanica all'adesivo prima della cura al fine di facilitarne l'uso, sia di evitare l'assottigliamento
eccessivo dello strato di adesivo durante l'incollaggio.
La presenza delle fibre permette inoltre di evitare il contatto diretto dei due materiali collegati che
può in alcuni casi (es. alluminio e fibre di carbonio) portare a pericolosi fenomeni di corrosione
galvanica. La loro presenza però può anche facilitare l'infiltrazione di umidità e quindi il degrado
dell'adesivo e/o del legame adesivo struttura.

15.6.3 Preparazione delle superfici


Una corretta preparazione delle superfici da incollare è requisito fondamentale per una buona
resistenza del giunto. E’ necessario avere superfici pulite ed incontaminate, con una certa rugosità.
Il procedimento di preparazione della superficie di elementi metallici prevede quindi nell'ordine:
(a) lo sgrassaggio con opportuni solventi;
(b) l'irruvidimento della superficie con carta abrasiva o sabbiatura;
(c) la pulizia con opportuno detergente;
(d) l'anodizzazione (solo per allumino e simili) al fine di formare uno strato stabile di ossido;
(e) la protezione con anticorrosivo, generalmente un sottile strato di una soluzione di cromo in
resina epossidica.
Per quanto concerne la preparazione della superficie del composito, è in genere sufficiente una
adeguata pulizia ed irruvidimento della superficie. Tale operazione talvolta è evitata dotando i
laminati, durante il rispettivo processo di produzione, di una strato superficiale di nylon o simili che
può essere sfogliato prima dell'incollaggio del giunto. In questo modo dopo sfogliatura del
rivestimento si ha una superficie pulita e sufficientemente rugosa ma con il pericolo di avere piccoli
frammenti del rivestimento ancora attaccati al composito. Per questo problema si considera sempre
migliore il risultato ottenuto mediante irruvidimento e pulizia della superficie.
L'irruvidimento della superficie deve portare sempre ad una rugosità tale da aumentare la superficie
di contatto ma non dar luogo a facile intrappolamento di bolle d'aria che possono ridurre
drasticamente la resistenza dell'adesivo.
169
In alternativa, un modo per ottenere un buon incollaggio consiste nel curare il laminato insieme
all'adesivo. Si evita così la formazione di una netta interfaccia tra composito ed adesivo nonché la
necessità di una pulizia spinta ed un irruvidimento adeguato delle superfici del giunto da realizzare.

15.7. Manifattura del giunto


15.7.1 Compositi pre-curati
Nel caso usuale in cui il materiale composito abbia gia subito trattamento di cura, la formazione del
giunto avviene disponendo, dopo trattamento delle superfici, sulle due parti da unire un piccolo
strato di adesivo e disponendo cosi le parti in un apposito attrezzo che serve a tenere queste nella
corretta posizione di incollaggio. Per piccoli giunti si applica quindi una pressione e si somministra
calore utilizzando una pressa riscaldata. Per giunti di dimensioni più grandi tale operazione viene
eseguita in autoclave in depressione in modo da estrarre i gas e l'aria eventualmente intrappolata
dall'adesivo. Eliminati tali gas si procede all'applicazione della pressione ed alla somministrazione
del calore.

15.7.2 Compositi non curati


Come accennato in precedenza, al fine di migliorare la bontà dell'adesione tra le parti, è buona
norma ove possibile curare il composito contemporaneamente con l'adesivo ottenendo cosi un
legame composito-adesivo senza soluzione di continuità. In questo caso, specie per giunti di
notevole dimensione, la procedura di incollaggio è più complessa. In genere utilizzando
preimpregnati si esegue dapprima la parte centrale dell'elemento in composito, poi si avvicina
questo al componente in metallo disponendolo nella corretta posizione di incollaggio mediante
l'ausilio di un opportuno banco di posizionamento, quindi si depone l'adesivo sulle superfici da
incollare e si completa la formazione dell'elemento composito disponendo le estremità da incollare
sopra la parte metallica pre-posizionata. A questo punto mediante autoclave si estraggono i gas
(solventi ecc) e l'aria eventualmente inglobata quindi si procede al trattamento di cura.
Al fine di assicurare una corretta cura oltre che dell'adesivo anche del materiale composito, è
necessario che adesivo e matrice del composito siano “compatibili” cioè abbiano simili temperature
e tempi di cura.

15.8. Controllo della qualità del giunto


Il controllo della qualità di un incollaggio deve prevedere un controllo (a) della qualità delle
superfici, (b) della procedura di incollaggio e (c) del componente finale ottenuto.
Esistono a tal proposito diversi metodi di indagine usati per controllare la qualità delle superfici
metalliche, in grado di valutare la qualità dello strato di ossido ottenuto dopo anodizzazione e la
presenza di eventuali sostanze inquinanti. Mezzi e modalità di indagine sono comunque
strettamente legati al tipo di giunto ed ai materiali impiegati.
Per quanto concerne invece il controllo della qualità del procedimento di incollaggio questo va
eseguito controllando opportunamente il ciclo di temperatura e pressione effettivamente realizzato.
La qualità finale del componente viene infine controllata mediante tecniche non distruttive come
ultrasuoni (C-scan) e raggi X, capaci di rilevare la presenza di difetti di vario tipo. Allo stato attuale
non sono però ancora stati messi a punto tests di tipo non distruttivo che consentano la valutazione
della capacità di resistenza del giunto analizzato.

15.9. Giunti meccanici

Tra i giunti meccanici composito-metallo, di particolare importanza e diffusione sono i giunti

170
ottenuti mediante uso di bulloni e rivetti. Pure utilizzati per speciali applicazioni sono i giunti ad
incastro (ottenuti per doppio incollaggio ovvero mediante formazione nell'elemento composito di
una estremità rastremata che va ad incastrarsi nell'elemento metallico) o quelli ottenuti avvolgendo
opportunamente le fibre attorno al perno di carico in modo da minimizzare gli effetti di
concentrazione della tensioni (cosi sono modellate per esempio le estremità delle pale di elicotteri a
formare una capsula di innesto al rotore).

15.9.1 Resistenza di giunti bullonati


A differenza di quanto accade nei giunti incollati, nei giunti bullonati o rivettati la trasmissione del
carico avviene essenzialmente attraverso regioni limitate degli elementi accoppiati che risultano
soggette a sollecitazioni prevalentemente di compressione e taglio.
Sebbene infatti l'eventuale serraggio dei bulloni può consentire la trasmissione di una parte del
carico attraverso le forze di attrito, in genere a queste non si fa affidamento nella progettazione in
quanto il precarico può facilmente venire meno a seguito di vibrazioni e/o deformazioni flessionali
del giunto o del bullone.
Similmente a quanto si verifica nei giunti metallo-metallo, il cedimento di un giunto metallo-
composito bullonato avviene prevalentemente per (vedi anche fig.9):
1) sforzo normale sulla sezione ridotta;
2) taglio del labbro;
3) compressione superficiale (schiacciamento);

P P/2 P/2
P/2 P/2

P/2
P
P/2
P
1) sforzo normale 2) taglio del labbro 3) compressione superficiale

Fig.9 – Principali modalità di cedimento di giunti meccanici composito-metallo.

In particolari condizioni (errato montaggio, errato dimensionamento, sollecitazioni anomale ecc.)


sono pure possibili cedimenti per (vedi anche fig.10):

4) spaccatura del labbro;


5) sfilamento del bullone;
5) rottura del bullone (taglio, flessione)

4) spaccatura del labbro 5) sfilamento del bullone 6) rottura del bullone

Fig.10 – Altre modalità di cedimento di giunti meccanici composito-metallo

171
Nel seguito si esaminano in dettaglio ciascuna delle modalità di rottura di cui ai punti 1)-3)
determinando la corrispondente resistenza del giunto. Per le modalità di cui ai punti 4) e 5) è in
genere necessaria una analisi sperimentale della giunzione per verificare l’assenza di tali possibili
cedimenti. Per la modalità di cui al punto 6) invece è sufficiente una verifica a flessione e taglio del
bullone.

15.9.1.1 Sforzo normale sulla sezione ridotta

Si consideri il caso di giunto imbullonato a doppia sovrapposizione e con singola fila di bulloni (o
rivetti).

d
w
e

t
P/2
P
P/2

Fig.11 - Giunto imbullonato a doppia sovrapposizione: geometria e notazione generale.

Con riferimento alla notazione indicata in fig.11 si ha che la massima tensione presente nella
sezione netta degli elementi accoppiati è espressa dalla formula:

P
σ max = K T (16)
( w − d )t

in cui KT è il coefficiente di concentrazione delle tensioni, valido per il materiale costituente


l'elemento considerato.
Nel caso di giunzioni metallo-compositi, detto coefficiente di concentrazione delle tensioni è
solitamente trascurato per l'elemento metallico considerando i benefici effetti legati al rilassamento
delle tensioni a seguito di plasticizzazione del materiale.
Per l'elemento composito la valutazione dell’effetto di intaglio è piuttosto complessa in quanto è
necessario valutare l'effettiva concentrazione delle tensioni nel laminato. Considerando per
semplicità il laminato come un ortotropo macroscopicamente omogeneo, il fattore di intaglio per
piastra forata è definito dalla relazione:

K T = 1 + 2 E x / E y − 2 v xy + E x / Gxy (17)

Questo coefficiente varia da circa 7.4 in presenza di lamine disposte tutte a 0°, a valori anche
inferiori a quelli corrispondenti al caso di materiale isotropo (KT=3) in presenza di elevata
percentuale di lamine disposte a ±45°.
In pratica l'uso di lamine a ±45° permette di distribuire il carico sul bordo del foro e quindi di
limitare l'effetto di intaglio. Poiché però la resistenza del laminato certamente diminuisce
all'aumentare della percentuale di lamine disposte a ±45°, la configurazione solitamente usata per
ottenere un buon compromesso tra resistenza del laminato e resistenza del giunto e quella che
prevede l'uso di un 50% di lamine a ±45°. Ciò in pratica consente di massimizzare il rapporto σR /KT
e quindi per la (15) il carico P sopportabile dal giunto.
Tutte queste considerazioni sono approssimate in quanto non considerano anzitutto ne la presenza
del perno ne le effettive modalità di trasmissione del carico. Inoltre, esse non considerano le
tensioni interlaminari ne le variazioni che le tensioni subiscono passando da una lamina all’altra
172
(ipotesi di laminato microscopicamente omogeneo).
Valutazioni più accurate delle tensioni in prossimità della sezione netta possono essere fatte con
metodi numerici (BEM, FEM) considerando l'effettivo stato tensionale biassiale che si ha al bordo
del foro per la presenza della compressione operata dal bullone, ed utilizzando un opportuno
criterio di resistenza. In alternativa, sono stati pure sviluppati metodi semi-empirici di valutazione
della massima tensione.
In ogni caso (metodi numerici o procedimenti empirici) la procedura di valutazione della resistenza
del giunto si complica significativamente e per questo in valutazioni di prima approssimazione si
usa correntemente la relazione (15) che ha una accettabile rispondenza con i dati sperimentali.
La trattazione sopra esposta si riferisce al caso di sollecitazione di trazione. Diversa è la situazione
nel caso di compressione in quanto ora la resistenza degli elementi nella sezione ridotta è legata ai
fenomeni di instabilità delle fibre e quindi essa risulta dominata dalla resistenza a taglio della
matrice. Conseguentemente, tenendo conto della notevole influenza di umidità e temperatura sulla
resistenza della matrice, si ha che la resistenza a compressione del giunto è fortemente dipendente
da tali parametri ambientali. All'aumentare della temperatura (sempre inferiore a 120° per matrice
epossidica) e dell'umidità la resistenza a compressione del giunto può ridursi sino al 50% di quella
che si ha in ambiente secco a temperatura ambiente.
In compressione, inoltre, la resistenza del giunto non è valutabile considerando il caso semplice di
piastra forata in quanto la presenza del bullone da luogo ad una vantaggiosa stabilizzazione del
materiale attorno al foro. Nella progettazione è necessario quindi fare riferimento a risultati
sperimentali.

15.9.1.2 Taglio del labbro

Per sollecitazione di trazione semplice la rottura del labbro si verifica allorquando la tensione
tangenziale (supposta uniforme) eguaglia la tensione di rottura del laminato, cioè (vedi fig.9 e 11):

P
τ= = τR (18)
2 et

La (18) è la relazione comunemente utilizzata per le lamiere metalliche eseguite in genere con
acciai a bassa resistenza (duttili) per i quali è possibile trascurare gli effetti di intaglio. Il suo uso in
presenza di materiali compositi, con comportamento fragile è in genere non corretto in quanto non
tiene debitamente conto dei fenomeni di concentrazione delle tensioni.
L'osservazione sperimentale mostra in particolare che la (18) è valida solo per laminati che
presentano una significativa percentuale di lamine disposte a ±45° che determinano una
distribuzione del carico attorno al foro con trascurabili effetti di concentrazione delle tensioni.
Ben diversa è, come è facile intuire, la situazione per lamine disposte tutte disposte a 0°. In questo
caso infatti si hanno notevoli effetti di concentrazione delle tensioni. Tale configurazione è
comunque proibitiva in quanto la resistenza del giunto è affidata unicamente alla resistenza a taglio
della matrice cosicché la rottura per splitting (strappo del composito) avviene con estrema facilità.
Similmente a quanto accade per il cedimento per sforzo normale sulla sezione ridotta, anche in
questo caso la condizione ottimale di massima resistenza si realizza per laminati che abbiano un
50% delle lamine a ±45°, con la restante parte orientata a 0°.

15.9.1.3 Compressione superficiale

In presenza di elevate pressioni specifiche il danneggiamento della giunzione può avvenire a


seguito dello schiacciamento subito dal materiale posto nella zona compressa attorno al foro. In
questa zona la tensione media di compressione è data dalla semplice relazione (vedi fig.9 e 11):

173
P
σ= (18)
td

La resistenza allo schiacciamento del materiale composito è fortemente dipendente


dall'orientamento delle lamine. Come è intuitivo, questa è massima per lamine disposte a 0° in
quanto le fibre sono molto efficienti nel sostenere carichi di schiacciamento specie se sono inibiti
fenomeni di instabilità. Quest'ultima condizione può essere realizzata, entro certi limiti, mediante
applicazione di un precarico al bullone che determina un serraggio degli elementi accoppiati.
Osservazioni sperimentali hanno a tal proposito mostrato che per compositi in fibra di vetro-resina
epossidica, la resistenza allo schiacciamento si massimizza utilizzando pressioni di serraggio di
circa 20 MPa; al di la di tale pressione non si ottengono ulteriori miglioramenti della resistenza.
Comunque, per la facile rottura del labbro non è possibile usare laminati con molte lamine disposte
a 0°, ma è necessario disporre un sufficiente numero di lamine a ±45°. Con una percentuale del
50% di lamine a 45° si assicura in genere anche una elevata resistenza allo schiacciamento
superficiale.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la resistenza allo schiacciamento non è molto
influenzata da umidità e temperatura in quanto essi determinano non solo un abbassamento della
resistenza del materiale ma anche un positivo "addolcimento" del materiale che mitiga, specie in
presenza di serraggio, i fenomeni di concentrazione delle tensioni.

15.10. Resistenza a fatica dei giunti meccanici

In presenza di sollecitazioni di fatica la resistenza di un giunto meccanico metallo-composito risulta


strettamente legata al verso di applicazione del carico (trazione o compressione). In presenza di
sollecitazione di fatica con trazione predominante (R>-1) la ripetizione del carico applicato provoca
cedimenti localizzati della matrice e possibili fenomeni di debonding intorno alla zona di
concentrazione delle tensioni con conseguente rilassamento locale delle tensioni. Dopo un periodo
iniziale di esercizio la resistenza residua del giunto può quindi migliorare significativamente. In
sollecitazioni cicliche con trazione predominante gli effetti della fatica possono pertanto migliorare
la resistenza statica a meno che il danneggiamento del materiale non porti alla formazione e
propagazione di cricche responsabili di successivi severi fenomeni di delaminazione.
Molto diversa è la situazione in presenza di sollecitazioni di fatica con compressione dominante
(R<-1). In questo caso le rotture locali provocano come prima una distensione dei picchi di tensione
e la propagazione delle cricche da luogo a delaminazione che però ora risulta molto più dannosa in
quanto, determinando un significativo abbassamento della rigidezza del laminato, da luogo a facili
fenomeni di instabilità ed innalzamento delle tensioni di compressione nelle parti più rigide della
struttura danneggiata. La sollecitazione di fatica quindi provoca in questo caso un abbassamento
della resistenza residua del giunto.
Per questo, nella progettazione di giunti metallo-compositi, in presenza di sollecitazioni di fatica
con trazione predominante si è soliti fare riferimento in modo conservativo alla resistenza statica.
Per sollecitazioni con compressione predominante si considera invece la resistenza a fatica
risultando questa inferiore a quella statica.
Le considerazione sopra esposte possono essere applicate tanto in presenza che in assenza
dell'elemento di collegamento. La presenza del bullone infatti non modifica sostanzialmente
l'evoluzione del fenomeno di danneggiamento per fatica in quanto anche nei casi in cui il
collegamento viene eseguito con forzamento, questi in genere viene meno dopo un certo periodo di
funzionamento a causa di inevitabili cedimenti parziali del materiale per schiacciamento. Allo
schiacciamento segue l'allentamento del precarico e la comparsa di effetti flessionali che inducono

174
ulteriori allargamenti del foro. A questo punto la situazione in termini di tensioni non risulta
significativamente diversa dal caso di foro libero.
Nella fatica di un giunto, la situazione peggiore si verifica in genere in presenza di carichi di fatica
alternati (trazione-compressione, R≈-1). In questi casi il danneggiamento della giunzione avviene
solitamente secondo le seguenti fasi successive:
a) perdita della pressione di serraggio, causata da deformazioni locali, inversione di carico,
vibrazioni ecc;
b) schiacciamento locale ed allargamento del foro;
c) rottura del singolo bullone;
d) rottura finale del giunto prodotto dal sovraccarico di bulloni e fori adiacenti.
In molte applicazioni, al fine di evitare la pericolosa propagazione di fenomeni di delaminazione
che possono originarsi nelle zone di concentrazione delle tensioni, nella progettazione si limita
opportunamente la deformazione massima delle zone lontane dal giunto. Per esempio nella
progettazione in campo aeronautico, si assumono per le zone lontane dai fori deformazioni
ammissibili con valori compresi tra 3000 e 4000 µm/m.

15.11. Mezzi per migliorare la resistenza


Diverse procedure sono impiegate nella pratica costruttiva al fine di migliorare la resistenza dei
giunti meccanici.
La maggior parte di queste procedure prevedono l'inglobamento nel composito, nella zona prossima
al foro, di lamine addizionali opportunamente disposte (es. a 45°). Tali accorgimenti risultano però
piuttosto costosi e pertanto sono limitati ad applicazioni di notevole pregio.
In alternativa, la resistenza del giunto può essere migliorata aggiungendo nella zona dei fori fibre
più resistenti (es. boro) o più duttili (a basso modulo come fibre di vetro o Kevlar) al fine di
addolcire il materiale in prossimità del giunto ed evitare i pericolosi picchi di tensione.
Risultati simili si possono ottenere irrigidendo localmente il laminato con l'aggiunta di sottili lamine
di titanio. Quest’ultima soluzione risulta molto efficace nel migliorare la resistenza allo
schiacciamento.
Una soluzione più semplice ed economica delle precedenti consiste nell'incollare sulle due superfici
esterne del giunto dei rinforzi in composito o in titanio. E' necessario in questi casi sagomare
opportunamente (rastremare) i rinforzi in modo da limitare le tensioni tangenziali e le tensioni di
sfogliamento.
Studi sperimentali condotti considerando le diverse soluzioni migliorative hanno evidenziato che la
soluzione più leggera si ottiene utilizzando lamine addizionali a 45°, mentre la soluzione che da
luogo al minimo spessore e quella che fa uso di lamine di titanio. L'uso del titanio però da luogo a
non pochi problemi legati alla manifattura per via del necessario pre-trattamento del materiale
nonché delle difficoltà di esecuzione dei fori in quanto il titanio tende a produrre facile
delaminazione attorno al foro.

15.12. Accorgimenti per una corretta esecuzione del giunto


15.12.1 Esecuzione del foro
Al fine di evitare danneggiamenti del materiale composito durante la esecuzione dei fori, eseguiti
solitamente mediante utensile in carburo di tungsteno a bassa velocità, è necessario sostenere il
laminato disponendo lo stesso tra un sandwich di laminati di risulta o inserendo lo stesso in
apposita guida di foratura. Il problema principale e la delaminazione sul lato di uscita dell'utensile.
Questo problema, mai completamente assente nella foratura industriale può essere minimizzato
ricoprendo preventivamente il laminato con un sottile strato di resina epossidica che può anche

175
essere usata all'occorrenza per riparare limitate delaminazioni causate dalla foratura.
Nel caso in cui l’esecuzione del giunto prevede l’applicazione di elementi con testa svasata a filo
con la superficie dei componenti, le svasature dei fori vanno eseguite evitando la realizzazione di
bordi a coltello che nei compositi sono causa di facile danneggiamento per via della fragilità del
materiale.

15.12.2 Realizzazione del collegamento


Per quanto concerne le modalità di alloggiamento dei bulloni è bene in generale evitare il
forzamento che può essere responsabile di pericolosa delaminazione intorno al foro. Per questo si
usano generalmente accoppiamenti con piccolo gioco (0.05-0.1 mm) con limitate tolleranze.
Per quanto concerne invece la spaziatura dei bulloni, al fine di ottenere una buona resistenza del
collegamento si raccomanda in genere uno spessore minimo del labbro pari a 2-3 volte il diametro
del bullone ed un passo minimo (distanza tra bulloni successivi) pari a 3-4 volte il diametro.
Per la pressione di serraggio, come accennato, si raccomanda un valore intorno ai 20 MPa, mentre il
momento torcente può essere stimato considerando l'uso di una rondella di diametro pari a 2.2d.

15.12.3 Protezione contro la corrosione

Per quanto concerne infine la protezione da possibili fenomeni corrosivi va notato anzitutto che
compositi in fibra di carbonio danno luogo a fenomeni di corrosione galvanica se a contatto con la
parte metallica del giunto, mentre nessun problema di questo tipo sussiste per i compositi in fibra di
vetro e boro. Per evitare tali inconvenienti è sconsigliato l'uso di bulloni in acciaio o alluminio
mentre possono essere vantaggiosamente utilizzati materiali come il titanio o l'acciaio inox.
In ogni caso è buona norma proteggere opportunamente le parti del bullone che vanno a contatto
con alluminio o fibra di carbonio. A tal fine si usano solitamente protettivi a base di resina
epossidica con fibra di vetro.
Altra pratica pure diffusa è quella di sigillare i bulloni con sigillante anticorrosivo a base di gomma
di polisolfito-cromato, sebbene quest'ultima precauzione non è essenziale per bulloni in titanio con
eccezione del caso in cui si è in presenza di particolari sostanze corrosive o sia necessaria la tenuta
(carburanti ecc).

176
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

16. Progettazione con materiali ceramici

16.1. Generalità

I materiali ceramici strutturali sono una classe di nuovi materiali che alle caratteristiche proprie dei
ceramici tradizionali quali:
1) resistenza alle alte temperature;
2) resistenza agli agenti ambientali;
3) durezza;
uniscono specifiche proprietà quali in particolare:
4) buona resistenza meccanica;
5) elevata resistenza alla usura;
6) buona stabilità dimensionale;

A queste caratteristiche molti ceramici strutturali uniscono anche un peso specifico ridotto
(generalmente compreso tra 2.5 e 3.5 g/cm3).
Si tratta essenzialmente di materiali con comportamento fragile destinati a sostituire i materiali
tradizionali (specialmente i metalli) in quelle applicazioni in cui il componente è soggetto ad elevate
temperature, ad elevata usura, ad elevati fenomeni di corrosione ecc. Attualmente i materiali
ceramici strutturali trovano applicazione, oltre che in elettronica, telecomunicazioni ed ottica, in
vari campi della progettazione meccanica quali:

1) scambiatori di calore;
2) motori termici volumetrici;
3) turbine a gas;
4) cuscinetti a rotolamento;
5) formatura dei metalli;
6) rivestimenti;
7) biomeccanica;
8) applicazioni militari.

Nel campo degli scambiatori di calore viene sfruttata essenzialmente la capacita di tali materiali di
resistere alle alte temperature e le capacita di isolamento termico (bassa conducibilità termica).
Nel campo dei motori termici volumetrici l’uso dei ceramici tende al miglioramento del rendimento
e/o del consumo specifico mediante la sostituzione delle parti calde del motore con conseguente
eliminazione del sistema di raffreddamento ottenendo così in genere miglioramenti del consumo
specifico fino al 15-25% ed allo stesso tempo una semplificazione della macchina. In questo campo
i ceramici sono pure vantaggiosamente utilizzati per la produzione delle giranti delle turbine di
sovralimentazione sfruttando non solo la resistenza alle alte temperature ma ancha il basso peso
specifico che riducendo le forze di inerzia riduce anche i tempi di risposta del sistema compressore-
turbina alla richiesta di potenza.
Nel campo delle turbine a gas i ceramici sono utilizzati particolarmente per la loro resistenza alle
alte temperature di esercizio (T>1000 °C), per la bassa conducibilità termica nonché per la buona
stabilità dimensionale. Si realizzano in questo campo coi ceramici la cassa esterna, i convogliatori
di flusso, gli statori, i rotori, i rigeneratori ed altre parti ancora.
Nel campo dei cuscinetti a rotolamento i ceramici strutturali hanno dimostrato una elevata
resistenza all’usura ed alla fatica, incrementando le velocità raggiungibili, la resistenza alla
corrosione ed una diminuzione del calore sviluppato. Con i ceramici si costruiscono cuscinetti
capaci di lavorare in assenza di lubrificazione per periodi limitati ma sufficienti ad assicurare

163
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

assenza di fermata della macchina in presenza di avarie del sistema di lubrificazione ecc. Tale
requisito è particolarmente apprezzato nel campo navale ed ancor piu in quello aeronautico e
militare. Cuscinetti in materiale ceramico sono sopravvissuti in assenza di lubrificazione per un’ora
in una turbina a gas a pieno carico ed alla velocità massima, mentre in altre esperienze i cuscinetti
sono sopravvissuti fino alla rottura della gabbia mantenendo le sfere e le piste in ottime condizioni.
Nel campo della formatura dei metalli i ceramici strutturali sono apprezzati per l’elevata durezza, la
stabilità chimica e l’elevata resistenza alla usura, proprietà che fanno dei ceramici degli ottimi
strumenti per il taglio e la formatura dei metalli nei processi tecnologici. Da alcuni decenni ormai si
costruiscono utensili da taglio per tornio che consentono lavorazioni ad elevata velocità ed ora si
costruiscono anche macchine per la trafilatura a caldo. In questo campo l’uso dei ceramici permette
di incrementare la produttività e contemporaneamente la qualità dei prodotti finiti raggiungendo
risparmi notevoli: la velocità di lavorazione al taglio può crescere fino al 300% durante le
operazioni di finitura, mentre i prodotti dell’estrusione riescono ad avere una tolleranza
dimensionale maggiore grazie alla stabilità termica dei ceramici. La durata delle attrezzature risulta
inoltre aumentata fino al 350% con conseguenti abbattimenti di costi di produzione fino al 50%.
Nel campo dei rivestimenti i materiali ceramici strutturali trovano pure larga applicazione in tutti
qui casi (sabbiatori, pompe marine, trasportatori di sostanze abrasive, ecc) in cui la resitenza alla
usura è la principale caratteristica richiesta al materiale. In questo campo l’uso dei ceramici
consente di allungare almeno di un ordine di grandezza (da pochi mesi ad alcuni anni) la durata
delle parti interessate.
Nel campo della biomeccanica l’uso dei ceramici strutturali è legato particolarmente alla
realizzazione di protesi ossee e dentarie. Ossa e denti infatti sono due casi di materiali ceramici
naturali la cui sostituzione migliore è, per ovvi motivi, quella che utilizza ancora materiali ceramici.
In questo campo l’uso dei vari materiali ceramici è subordinato alla eventuale tossicità per
l’organismo. Si hanno cosi materiali tossici, biocompatibili e materiali che possono addirittura
essere assorbiti dall’organismo.
Nel campo delle applicazioni militari i materiali ceramici sono stati recentemente utilizzati per la
realizzazione del rivestimento esterno di missili particolarmente sollecitati dalla pioggia durante i
voli ad alta velocità. Sono pure sfruttate le caratteristiche di resistenza e leggerezza dei ceramici
nella realizzazione di scudi protettivi per elicotteri e navi.

16.2. Principali caratteristiche fisico-meccaniche

Per una corretta progettazione di componenti e strutture in materiale ceramico è necessaria una
accurata conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche del materiale nonché l’ausilio di un
idoneo procedimento che consenta di individuare le dimensioni minime del componente che
assicurino una prefissata affidabilità. Si possono in particolare distinguere due fasi della
progettazione:
1) scelta del materiale ceramico, eseguita in base al confronto tra proprietà caratteristiche del
materiale e le specifiche esigenze e/o limitazioni di progetto;
2) dimensionamento e/o verifica di resistenza del componente, ovvero determinazione della
affidabilità, eseguiti tenendo conto oltre che dello stato tensionale presente nelle normali
condizioni di esercizio, anche di tutti gli altri parametri che possono influenzare la probabilità di
rottura del componente in progetto.
Le principali caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali ceramici di uso più diffuso nella
moderna progettazione meccanica quali nitruro di silicio, carburo di silicio, biossido di zirconio,
allumino-silicato di litio e titaniato di alluminio, sono riportate nella seguente tabella:

164
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Tab.1 – Proprietà caratteristiche dei materiali ceramici strutturali di uso comune.

Da questa tabella si vede come in pratica esistono tre differenti forme di nitruri di silicio,
contraddistinte con le sigle:
1) HPSN, pressato a caldo, caratterizzato da elevata resistenza meccanica ed elevata resistenza agli
shock termici;
2) SSN, sinterizzato, caratterizzato da elevata resistenza si presta alla realizzazione di componenti
di forma complessa;
3) RBSN, a limitato ritiro da cottura, può anche esso essere usato per realizzare componenti di
forma complessa ma presenta rispetto alla forma sinterizzata resistenza meccanica inferiore.
Anche per il carburo di silicio esistono tre differenti forme, quali:
4) HPSC, pressato a caldo, caratterizzato da elevata resistenza meccanica mantenuta sino ad
altissime temperature (1550 °C);
5) SSC, sinterizzato, caratterizzato da resistenza alle alte temperature e facile realizzazione di
componenti di forma complessa;
6) RBSC, a ritiro limitato, con possibilità di impego simili al precedente ma con resitenza inferiore.
Si osserva inoltre come:
7) il biossido di zirconio parzialmente stabilizzato (PSZ) è caratterizzato da elevata resistenza e
tenacità nonché da bassa conducibilità termica: per questo esso trova larga applicazione come
isolante termico; inoltre, esso presenta un coefficiente di dilatazione termica simile a quello
dell’acciaio (≈12 ppm/°C)e pertanto si presta particolarmente alla realizzazione di componenti
bimateriale acciaio-ceramica. Pure prossimo a quello dell’acciaio risulta il modulo di Young ed
il coefficiente di Poisson.
8) l’alluminosilicato di litio (LAS) unisce ad una bassa conducibilità un basssisimo coefficiente di
dilatazione (0.5-1 ppm/°C); conseguentemente esso ha doti di ottimo isolante con elevata
stabilità dimensionale.
9) il titaniato di alluminio, infine, presenta proprietà di isolante termico e bassa dilatazione, simili al
LAS.
Le proprietà elencate in tab.I consentono in genere di scegliere il tipo di materiale ceramico più
appropriato per la particolare applicazione in progetto.

165
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Per quanto concerne la resistenza meccanica, si osservi che per i materiali ceramici questa è definita
con riferimento ad un prova di flessione per 3 o 4 punti, e non alla prova di trazione come avviene
per i materiali convenzionali. Cio è dovuto alle difficolta di afferragio dei provini. A causa della
elevata fragilità del materiale, infatti, un non perfetto afferraggio puo influenzare significativamente
la rottura. Il carico di rottura rilevato con tali prove è caratterizzato da una elevata dispersione
statistica. Per questo la caratterizzazione dei materiali ceramici si esegue utilizzando un numero
sufficientemente elevato di provini che consentono la definizione della funzione densità di
probabilità di rottura pr(σ). Tale funzione è in genere ben approssimata da una distribuzione di
Weibull a due parametri (punto iniziale nullo), cioè:

σ
m σ m −1 −( MOR )m
p r (σ ) = ( ) e (1)
MOR MOR

Nella (1) ΜΟR è il cosidetto parametro di scala della distribuzione e rappresenta la tensione cui
corrisponde una probabilità di rottura del 63.2%. m è invece il cosiddetto modulo di Weibull che è il
parametro di forma della distribuzione, solitamente variabile nel range 7-20.
Evidentemente entrambi i parametri caratterizzano il comportamento del materiale e pertanto, nel
caso in cui il componente in progetto è chiamato a lavorare a temperature elevate è necessario
conoscere l’andamento di tali parametri parametri con la temperatura. A titolo di esempio le figure
seguenti mostrano l’andamento del MOR (fig.1a), del modulo di Weibull m (fig.1b) e del modulo di
Young (fig.1c) per un nitruro di silicio sinterizzato (SSN) al variare della temperatura di esercizio.

MOR m E

Temperatura (°C) Temperatura (°C) Temperatura (°C)

Fig.1 – Proprietà caratteristiche di un SSN al variare della temperatura.

Si vede come, a conferma della buona resitenza di tale materiale alle elevate temperature, tutte le
caratteristiche risultano pressoché invariate sino a temperature di esercizio di circa 700-800° C. Al
di sopra di tali temperature e sino alla massima temperatura di esercizio (1400 °C) si osservano
significative diminuzioni del modulo di rottura ma solo limitate variazioni del modulo di Young. L’
andamento del modulo di Weibull risulta invece non monotono.

16.3. Progettazione affidabilistica

Il cedimento di un provino in materiale ceramico avviene con le modalità caratteristiche di un


materiale fragile: rottura di schianto per propagazione di un difetto intrinseco divenuto instabile.
L’elevata fragilità dei ceramici, cioè l’elevata sensibilità all’intaglio, fa si che la probabilità di
rottura del provino sia fortemente legata alla probabilità che un dato difetto si trovi in una zona del
componente con tensione maggiore o eguale a quella che ne determina la instabilità.
Conseguentemente la resistenza di un materiale ceramico è caratterizzata da una elevata dispersione
statistica e per questo essa viene sovente definita in senso statistico mediante la funzione densità di
probabilità di rottura ottenuta, come sopra accennato, utilizzando un elevato numero di provini.

166
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

A causa di tale elevata variabilità della resistenza meccanica, l’approccio piu opportuno alla
progettazione meccanica con materiali ceramici è certamente quello affidabilistico che consente la
stima della affidabilità del componente a partire dalla conoscenza statistica della resistenza del
materiale nonché della geometria del componente e del particolare campo tensionale in esso
presente. Con riferimento a quest’ultimo, poiche come avviene sempre per i materiali fragili, la
resistenza compressione dei materiali ceramici è di gran lunga più elevata di quella a trazione, nella
progettazione si limita sempre la massima tensione positiva, che è la responsabile della frattura
(crescita instabile dei difetti).

16.3.1 Modello di Weibull

La progettazione affidabilistica dei ceramici viene solitamente eseguita utilizzando il modello


probabilistico sviluppato da Weibull (1939). In questo modello il componente è considerato alla
stessa stregua di una catena costituita da N maglie: la rottura di questa avviene allorquando si
verifica la rottura di una sola maglia, quella più debole. Tale evento risulta indipendente dagli altri
eventi (rotture) possibili e pertanto, ragionando in termini statistici, l’affidabilità della catena risulta
dal prodotto dell’affidabilità di ciascuna maglia. Allo stesso modo l’affidabilità di un componente
strutturale in materiale ceramico risulta pari al prodotto della affidabilità dei singoli elementi di
volume che lo compongono.
A tal proposito, l’osservazione sperimentale, eseguita fin dai primi studi condotti dallo stesso
Weibull, mostra che in generale la probabilità di rottura Pr,u dell’elementino di volume unitario è
legata alla tensione applicata da una funzione esponenziale del tipo:
σ m
−( )
σo
Pr ,u (σ ) = 1 − e (2)

in cui σo ed m sono costanti legate al materiale. Secondo questo modello la probabilità di rottura è,
come deve essere, zero per tensione nulla ed unitaria per tensione che diverge. L’affidabilità Au
dell’elementino di volume, pari al complemento ad 1 della probabilità di rottura, è data quindi da:

σ m
−( )
σo
Au (σ ) = e (3)

Secondo il modello della catena, l’affidabiltà AV(σ) di un componente di volume V soggetto ad uno
stato tensionale uniforme (σ) è pari al semplice prodotto delle affidabilità degli elementi unitari che
lo compongono (pari a V), cioè:

σ m
−V ( )
σo
AV (σ ) = e (4)

La probabilità di rottura è invece pari a:

σ m
−V ( )
σo
Pr ,V (σ ) = 1 − e (5)

A questa corrisponde la funzione densità di probabilità di rottura espressa dalla relazione:

σ
∂Pr ,V (σ ) mV σ m−1 −V ( σ o )
m

p r (σ ) = = ( ) e (6)
∂σ σo σo

167
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

La (6) è indicata come distribuzione di Weibull a 2 parametri. Il parametro m è detto parametro di


forma in quanto definisce la forma della distribuzione mentre il parametro σo è un parametro di
scala (vedi fig.2):

p p

m=8
σo=1
σo=2

m=1 m=3
σo=3

σ (b)
σ
(a)

Fig.2 – Distribuzioni di Weibull: influenza del parametro di forma (a) e del parametro di scala (b).

Le relazioni (4-6) si riferiscono al caso semplice di un elemento soggetto ad uno stato tensionale
uniforme. Se lo stato tensionale non è uniforme l’affidabilità del componente di volume V è data
dalla produttoria delle affidabilità dei singoli volumi unitari costituenti il volume complessivo. Per
un componente generico costituito in pratica da k volumi unitari soggetti a tensione uniforme, si ha
quindi:
σk m σ
−( ) − ∑ ( σ ko ) m
AV (σ ) = ∏ e σo
=e k
(7)
k

che nel continuo si scrive come:


σ m

− (
σo
) dV
AV (σ ) = e V
(8)

Alla (8) corrisponde una probabilità di rottura pari a:


σ m

− (
σo
) dV
Pr ,V (σ ) = 1 − e V
(9)

A partire dalla (9) si definisce modulo di rottura MOR la tensione cui corrisponde una probabilità di
rottura del 63.2%. Per un elemento soggetto a tensione uniforme, in virtù della (5) si ha in
particolare:

σ m σo
MOR = [σ tale che ( ) V = 1] ⇒ MOR = (10)
σo V 1/ m

La (10) mostra, in accordo con le ipotesi iniziali, che il MOR è legato oltre che al materiale (a cui è
legato direttamente la tensione caratteristica σo), anche al volume dell’elemento. In una prova di
caratterizzazione del materiale condotta con un elevato numero di provini, il MOR rappresenta
ovviamente il livello di tensione cui corrisponde la rottura del 63.2% di provini.

168
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

16.3.2 Caratterizzazione sperimentale


In base alla (8) per potere determinare l’affidabilità di un componente meccanico di volume V
soggetto ad un generico stato tensionale monoassiale, è necessario conoscere la tensione σo ed il
modulo di Weibull del materiale. Utilizzando a tal proposito dei provini soggetti a trazione (stato
uniforme) e determinata mediante prove di rottura l’affidabilità AV, eseguendo due volte il
logaritmo dell’inverso di questa, dalla (4) si ha:

1 σ
log[log ] = log[V ( ) m ] = log V + m(log σ − log σ o ) (11)
AV (σ ) σo

La (11) è l’equazione di una retta. Indicando infatti con y il doppio logaritmo dell’inverso
dell’affidabilità e posto x=logσ, si ha:
y = log V + m( x − xo ) (12)

che è l’equazione di una retta avente coefficiente angolare pari al modulo di Weibull m ed intercetta
yo legata alla tensione σo dalla relazione:

σ o = e (logV − y ) / m
o
(13)

Determinati allora il coefficiente angolare e l’intercetta della retta interpolante il doppio logaritmo
dell’inverso della affidabilità rilevata con provini di trazione, è possibile valutare immediatamente i
due parametri di resistenza che caratterizzano il materiale. Sfortunatamente, come accenanto in
precedenza, l’esecuzione di prove di trazione con materiali ceramici comporta non pochi problemi
legati alle difficolta di afferraggio dei provini ed alla facile rottura di questi in prossimità delle teste
per via della elevata fragilità. Al fine di ovviare a tali inconvenienti la caratterizzazione dei ceramici
è eseguita comunemente con delle prove di flessione a 3 o 4 punti (vedi fig.3), con preferenza di
quest’ultima che permette di avere una zona centrale del provino soggetta ad una sollecitazione di
flessione uniforme.

P P/2 P/2

b z
x h
y
a c

Fig.3 – Prova di caratterizzazione a flessione per 3 e 4 punti: geometria dei provini e notazione generale.

Considerando la prova di flessione per 4 punti, secondo il modello di Weibull l’affidabilità del
provino è pari al prodotto della affidabilità delle due zone laterali (l) per l’affidabilità della zona
centrale laterale (c). Con riferimento alla fig.3, utilizzando la (8) si ha pertanto:

169
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

a h/ 2 σ h/2
σ 
− 2b  ∫∫ ( l ) m dxdy + c
 0 0 σ o ∫ ( c ) m dy 
σ 
AV (σ ) = e
o
0
(14)

in cui coi simboli σl e σc si è ndicata la tensione corrente nel tratto laterale e centrale
rispettivamente. Si osservi che per tener conto che la rottura dipende esclusivamente dalle tensioni
positive, l’integrale è esteso alla sola zona tesa della trave.
Esprimendo il valore della tensione nel generico punto in funzione della massima tensione di
flessione (valore caratteristico della prova) σmax, per i due tratti, laterale (l) e centrale (c) della trave
si ha rispettivamente:
σ max σ max
σ l ( x, y ) = xy; σ c ( x, y ) = y; (15-16)
a h/2 h/2

Sostituendo queste nella (14) ed integrando si ottiene:

 mc + a  σ max m
−bh  2
( )
 ( m +1)  σ o
AV (σ ) = e (17)

Confrontando infine la (17) con la (4), valida per un provino in regime monoassiale, si evince che in
pratica l’affidabilità di una trave soggetta a flessione per 4 punti è equivalente a quella di un
provino soggetto a trazione con σ=σmax ed avente un volume Veff pari a:

 mc + a 
Veff = bh  2 
(18)
 (m + 1) 

Tale valore si definisce volume efficace del provino. Con riferimento al volume efficace Veff
nonché alla massima tensione σmax, probabilità di rottura ed affidabilità di un provino possono
essere espresse con le stesse formule del provino soggetto a trazione semplice, cioè:

σ max m σ max m
−Veff ( ) −Veff ( )
σo σo
Pr ,V (σ ) = 1 − e ; AV (σ ) = e (19-20)

Conseguentemente il valore del modulo di rottura (MOR), pari al valore della tensione massima cui
corrisponde una probabilità di rottura del 63.2%, risulta pari a:

σ max m σo
MOR = [σ max tale che ( ) Veff = 1] ⇒ MOR = (21)
σo Veff
1/ m

Utilizzando la definizione del MOR espressa dalla (21), probabilità di rottura ed affidabilità
possono scriversi come:

σ max σ max
−( )m −( )m
Pr ,V (σ ) = 1 − e MOR
; AV (σ ) = e MOR
(22-23)

Si noti che mentre il parametro di Weibull ed il parametro σo sono caratteristiche del materiale, il
modulo di rottura (MOR) dipende, in virtù della (21), anche dalla geometria del provino e dal tipo
di sollecitazione (distribuzione dello stato tensionale). A titolo di esempio la fig.4a riporta

170
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

l’andamento del rapporto σo/MOR al variare del modulo di Weibull m, per un provino soggetto a
flessione per 4 punti, avente dimensioni di 3.175x6.35x31.75 mm caricato con a=19.05 e c=9.52
mm (provino standard). Le due curve si riferiscono al volume misurato in cm3 ed in inc3.
Per due provini A e B dello stesso materiale (σo=cost.) ma con diversa geometria e/o condizione di
sollecitazione, dalla (21), tenendo conto che σo è un invariante, si ha:

1/ m 1/ m
MOR A (Veff ) A = MORB (Veff ) B (24)

La (24) consente di passare dal MOR di un elemento noto a quello di un altro elemento una volta
valutato il volume efficace di entrambi mediante l’integrazione della (8).
Il concetto di volume efficace consente di valutare i parametri caratteristici del materiale con la
regola del doppio logaritmo (eq.12) vista per il provino in trazione: basta a tal proposito sostituire il
volume V con il volume efficace Veff.
In una certa letteratura il modello di Weibull è utilizzato facendo riferimento alla tensione media σm
(associata ad una probabilità di rottura del 50%) piuttosto che al MOR. Si dimostra che il legame tra
i due parametri involge la funzione gamma secondo la relazione:


σm
MOR = essendo Γ( y ) = ∫ e − x x y −1dx (25)
Γ(1 + m1 ) 0

La (25) puo essere utilizzata per passare dalla conoscenza della tensione media al MOR. Per un più
facile uso della (25) in fig.4b è riportato l’andamento del rapporto tra MOR e tensione media al
variare del modulo di Weibull del materiale.

volume in cm3

volume in in 3

m m

Fig.4 – Modello di Weibull: (a) rapporto σo/MOR e (b) rapporto MOR/σm al variare di m.

Nelle prove sperimentali, al fine di ottenere una caratterizzazione statisticamente soddisfacente è


necessario utilizzare un sufficiente numero di campioni. In caso contrario le stime tanto del modulo
di Weibull tanto del modulo di rottura possono risultare affetti da una incertezza relativamente
elevata. Si osservi a tal proposito che l’incertezza di m è legata esclusivamente al numero dei
provini utilizzati (diminuisce all’aumentare dei provini) mentre quella del MOR dipende, oltre che
dal numero di provini, anche dal modulo di Weibull (diminuisce all’aumentare di m). Nella figura
seguente per ciascuno dei due parametri è riportata l’incertezza percentuale u del valore stimato al
variare del numero di campioni utilizzati N, per un intervallo di confidenza del 90%.

171
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

(a) (b)
um uMOR

m=5
m=10

interv. di confidenza 90%

interv. di confidenza 90%

N N
Fig.5 – Incertezza del modulo di Weibull (a) e del MOR (b) al variare del numero di campioni.
Si vede chiaramente come l’uso di un numero di campioni inferiore a 30 circa può portare a stime
grossolane del modulo di Weibull. Can tale numero di campioni l’incertezza del MOR risulta
invece non superiore al 10% circa. Si osservi in particolare che l’incertezza sul MOR cresce al
diminuire del modulo di Weibull, in quanto col diminuire di quest’ultimo aumenta la deviazione
standard dei risultati (vedi fig.2a).

16.3.3 Stato tensionale triassiale

Il modello di Weibull, cosi come formulato ai capitoli precedenti, può essere utilizzato per la
previsione della affidabilità di un generico elemento soggetto ad uno stato tensionale monoassiale.
In presenza di un generico stato tensionale triassiale si dimostra che la affidabilità di un elemento
puo essere stimata considerando una sfera di raggio unitario (vedi figura seguente) ed integrando
sulla superficie la tensione normale. Per un generico elemento di volume V si ha:

 σ 
∫∫
− k  ( n ) m dA  dV
 σ  (26)
A V (σ ) = e V A o

essendo A la superficie della sfera di raggio unitario intorno al punto considerato, k un coefficiente
correttivo appositamente introdotto affinche la (26) coincida con la (20) in presenza di stato
monoassiale di tensione e σn la tensione normale alla superficie, legata alle tre tensioni principali
dalla nota relazione:

σ n = cos 2 φ (σ 1 cos 2 ψ + σ 2 sin 2ψ ) + σ 3 sin 2φ (27)

Imponendo l’eguaglianza tra la (26) e la (20) per uno stato monoassiale di tensione, si dimostra
facilmente che risulta:
2m + 1
k= (28)

Utilizzando la (28) l’integrale presente nella (26) va esteso a meta sfera (parte superiore per
esempio) visto che per la simmetria l’integrale esteso alla parte inferiore è eguale.

172
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

16.3.4 Principali parametri di influenza

Per comprendere bene il modello di Weibull risulta particolarmente utile conoscere l’influenza che i
principali parametri, quali multiassialità dello stato tensionale, volume V dell’elemento e resistenza
del materiale, hanno sulla stima della affidabilità.

16.2.4.1 Influenza della multiassialità

Al fine di valutare l’influenza della multiassialità (biassialità o triassialità) dello stato tensionale,
riscrivendo l’equazione (27) in termini della massima tensione principale σ1 e dei rapporti C= σ2/σ1
e D=σ3/σ1:

σ n = σ 1 cos 2 φ (cos 2 ψ + Csin 2ψ ) + Dsin 2φ (29)


e sostituendo questa nella (26) si ottiene:
σ1 m

− ko (
σo
) dV
AV (σ ) = e V
(30)

con ko dato da:

2ππ / 2
2m + 1
k o (C , D, m) =
2π 0 0∫ ∫ [cos 2 φ (cos 2 ψ + C sin 2 ψ ) + D sin 2 φ ]m cosφdφdψ (31)

Per stato di tensione biassiale idrostatico (C=1, D=0) la (31) fornisce in particolare:

(2 m m!) 2
ko = (32)
(2m)!

mentre per uno stato idrostatico triassiale (C=D=1) la (31) si riduce semplicemente a:

k o = 2m + 1 (33)

In virtù della (30) la costante ko rappresenta niente altro che il fattore di amplificazione del rischio
di rottura (esponente della affidabilità) dovuto alla presenza di uno stato biassiale o triassiale.
Diagrammando l’espressione generale (31) per uno stato di tensione biassiale (D=0) in funzione del
rapporto di biassialità C, si vede (fig.6a) che anche al variare del modulo di Weibull, l’influenza
della tensione σ2 è pressoché trascurabile se questa risulta inferiore all’80% della massima tensione
principale σ1. Per tale rapporto infatti risulta ko=2.5 e quindi per la (30) Aeff=(Amonoassiale)2.5 cosicchè
l’errore relativo che si commette considerando la sola tensione principale è pari a [(Aeff)1/ (2.5)-1-1].
Per una affidabilità effettiva superiore a 0.98 l’errore risulta pertanto non superiore al 1% circa.
Pertanto, ai fini della valutazione della affidabilità, stati tensionali biassiali con σ2 < 0.8σ1 possono
essere considerati monoassiali trascurando completamente la tensione σ2

173
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

ko ko

Fig.6 – Influenza della multiassialità dello stato di tensione sulla stima della affidabilità.
Similmente, diagrammando la (27) per uno stato triassiale con C=D, si vede (fig.6b) che la costante
ko è prossima ad 2-2.5 per rapporti (C=D)<0.5σ1. In altre parole uno stato tensionale triassiale può
essere considerato come monoassiale se la tensione principale intermedia e la tensione principale
minore risultano entrambe inferiori al 50% della massima tensione principale (errore non superiore
al 1% circa per affidabilità non inferiori a 0.98).

16.3.3.2 Influenza del volume

Al fine di valutare l’influenza del volume del componente, si consideri il caso di due elementi A e B
dello stesso materiale aventi forma eguale e soggetti alla stessa distribuzione di tensione. Se i due
elementi di volume diverso hanno la stessa affidabilità, avranno allora lo stesso rischio di rottura e
quindi in virtu della (30) si ha:

σ 1A m σ
k o, A ( ) V A = k o , B ( 1B ) m VB (34)
σ o, A σ o ,B

Se materiali e distribuzione delle tensioni sono eguali, risulteranno uguali anche la tensione
caratteristica σo e la costante ko cosicchè si avrà:

VB σ
= ( 1A ) m (35)
VA σ 1B

La (35) mostra che il rapporto dei volumi dei due elementi sta all’inverso del rapporto delle
corrispondenti tensioni elevato ad m (funzione esponenziale). Tenuto conto che m assume valori
relativamente elevati (comunemente compresi tra 10 e 20), si ha che, fissata l’affidabilità, a piccole
variazioni di tensione corrispondono grandi variazioni di volume. A titolo di esempio la fig.7a
mostra l’andamento del rapporto dei volumi al variare del rapporto delle tensioni. Si vede per
esempio come per m=10 ad un rapporto delle tensioni di 0.8 corrisponde un rapporto dei volumi
pari a 10 circa. In altre parole, considerato uno stesso elemento, il contributo alla probabilità di

174
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

rottura dell’elemento delle regioni soggette a tensioni inferiori all’80% di quella massima risulta
piccolo.
Nel caso generale in cui lo stato tensionale nei due provini non è eguale, o i due provini hanno
forme diverse, la (34) puo essere riscritta in termini di tensioni massime e volumi efficaci. Nel caso
particolare in cui i due provini hanno la stessa forma e sono soggetti l’uno ad uno stato tensionale
monoassiale e l’altro ad uno biassiale con eguale distribuzione, la relazione tra i rapporti
volumetrici e tensionali è illustrata in fig.7b.

Fig.7 – Rapporto dei volumi di elementi aventi la stessa affidabilità in funzione del rapporto delle tensioni:
(a) stesso stato tensionale, (b) A monoassiale e B biassiale.

Dalla fig.7b si vede come per esempio per m=10, uno stato tensionale monoassiale è praticamente
equivalente (stessa affidabilità) ad un stato idrostatico biassiale con tensione pari all’84% circa
(90% circa per m=20).
Conseguentemente si ha che in presenza di stati tensionali biassiali (e triassiali) fare riferimento
soltanto alle zone piu sollecitate dell’elemento puo indurre ad una notevole sovrastima della
affidabilità. Per esempio se si ha un elemento con una concentrazione di tensione in regime
monoassiale, mentre il resto del modello è soggetto ad uno stato biassiale con tensione prossima
all’80% della tensione di picco, allora considerare significativo solo il contributo della zona intorno
al picco e trascurare la restante parte del modello (come si puo fare in regime monoassiale!) è un
grave errore in quanto la probabilità di rottura delle due regioni risulta pressoche confrontabile. Tale
errore, inoltre, cresce al crescere di m (vedi fig.7b).
La situazione peggiora ulteriormente in presenza di stati tensionali idrostatici (o pressoche tali)
triassiali: per esempio per m=10 uno stato monoassiale è equivalente ad uno idrostatico con
tensione pari al 60% circa.

16.3.4.3 Influenza del materiale

Per quanto concerne infine l’influenza delle caratteristiche del materiale, è necessario anzitutto
tenere conto delle possibili variazioni che queste possono subire a seguito di variazioni, anche
locali, della temperatura. Ciò è particolarmente importante in quei casi ove il componente in
progetto è destinato a funzionare a temperature elevate. In presenza di elevati gradienti di
temperatura la rottura può avvenire in zone relativamente scariche ma soggette ad elevate
temperature piuttosto che in zone altamente sollecitate ma soggette a limitati innalzamenti di
temperatura, a cui magari è rivolta erroneamente la maggiore attenzione.
Fissata l’affidabilità desiderata A, l’influenza del modulo di Weibull sul rapporto tra tensione di
progetto e MOR puo essere evidenziata facilmente utilizzando l’eq.(23). Da questa dopo alcuni
semplici passaggi si ottiene:

σ max
( ) = exp[log(− log A) / m] (36)
MOR

175
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

La figura seguente mostra a titolo di esempio l’andamento di tale rapporto per due diversi valori
della affidabilità e del volume del componente.

σmax
MOR

A=0.9

A=0.999999

Fig.8 – Influenza del modulo di Weibull sulla tensione di progetto (affidabilità fissata).

Da questa figura si osserva come, fissata l’affidabilità, la tensione di progetto vari fortemente con il
modulo di Weibull m, con un andamento monotono crescente. Per esempio passando da m=10 a
m=20 per un componente con V=1.64 cm3 il rapporto tensione massima su MOR varia da 0.1 a 0.3
cioè subisce una variazione relativa del 200%. In altre parole, potendo scegliere tra una classe di
materiali con diverso modulo di Weibull, il materiale migliore è quello avente il più elevato
modulo.
La dipendenza infine dal MOR è ovvia: l’affidabilità cresce con esso, in accordo con la stessa
eq.(23). La figura seguente mostra l’andamento della affidabilità in funzione del rapporto tra
tensione di progetto e MOR, per i due valori estremi assunti dal modulo di Weibull m.

AAP 1
m=20
0.8
m=8
0.6

0.4

0.2

0
0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4
σmax
MOR

Fig.9 – Influenza del rapporto σmax/MOR sulla affidabilità, per m=8, 20.

Si vede come l’affidabilità subisce un rapido decremento allorquando il rapporto σmax/MOR risulta
maggiore di 0.75 circa (al valore 1 corrisponde ‘affidabilità del 36.8% ovvero la probabilità di
rottura del 63.2%). Inoltre si osserva come, indipendentemente dal valore assunto dal modulo di

176
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

Weibull, per ottenere una affidabilità non inferiore al 99% è necessario che la tensione di progetto
sia inferiore al 60% circa del MOR.
La forte influenza dei principali parametri di progetto sulla affidabilità del componente conferma
chiaramente come nella progettazione dei ceramici il classico approccio deterministico, che non
tiene conto esplicitamente di tali parametri, specie quella del volume, risulta errato ed in generale
poco attendibile.
Il miglior modo di eseguire la progettazione meccanica di un elemento in materiale ceramico è
pertanto quello di eseguire una analisi tensionale con un codice numerico (FEM/BEM) e valutare
cosi l’affidabilità mediante l’approccio probabilistico esposto, possibilmente mediante uso di un
opportuno codice di calcolo automatico che consenta di valutare l’affidabilità una volta noto, punto
per punto lo stato di tensione presente.

16.3.5 Progettazione semplificata

Fermo restando che l’approccio corretto alla progettazione probabilistica di un generico elemento
strutturale in materiale ceramico (avente generica geometria e soggetto alla generica sollecitazione
esterna) per il quale non è nota la soluzione teorica del problema elastico associato, si basa sull’uso
di un metodo numerico (FEM, BEM) accoppiato con un opportuno codice di calcolo capace di
elaborare i risultati numerici mediante uso del modello di Weibull sopra esposto, per una
progettazione di massima di un componente o per una preliminare analisi comparativa tra diverse
soluzioni progettuali è possibile utilizzare in alternativa una procedura semplificata.
In estrema sintesi tale procedura semplificata consiste nelle seguenti operazioni successive:

1) stima della massima tensione presente nel componente;


2) stima delle regioni del componente in cui la massima tensione principale risulta superiore al
50% della tensione di picco;
3) stima della temperatura di esercizio della regione del componente soggetta a tensioni
positive;
4) valutazione della eventuale presenza di regioni con stato tensionale monoassiale, nonchè
idrostatico e triassiale;
5) suddivisione della regione con tensione massima superiore all’60% della tensione di picco,
in regioni pressocche omogenee di volume Vi, con tensione massima compresa entro limitati
intervalli;
6) determinazione, a partire dai dati sul materiale, del modulo di Weibull m e della tensione
caratteristica del materiale σo per ciascuna regione omogenea alla corrispondente massima
temperatura di esercizio;
7) valutazione del rischio complessivo B, sommatoria del rischio di ciascuna delle regioni
omoigenee individuate al punto precedente, valutato utilizzando il coefficiente ko piu
appropriato secondo quanto osservato al capitolo 18.2.3, cioè:

 σ  m 
B = ∑ Bi = ∑ k o,i  1  Vi  (37)
i   σ o  i 
i 

8) determinazione della affidabilità A del componente mediante la nota relazione:

A = exp(− B) (38)

L’accuratezza del risultato così ottenuto, dipende in larga misura dalla accuratezza con cui si riesce
a valutare lo stato tensionale almeno nelle regioni maggiormente sollecitate del componente.

177
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

16.3.6 Progettazione mediante metodi numerici

Come accennato, l’uso di un metodo numerico per il calcolo dello stato tensionale del componente,
accoppiato ad un codice che consente l’applicazione del modello di Weibull allo stato tensionale
cosi determinato, consente in genere di ottenere attendibili valutazioni della affidabilità del
componente esaminato.
Anche con questo approccio però si possono commettere errori non trascurabili se lo stato
tensionale non è calcolato con elevata accuratezza. Poiché infatti la probabilità di rottura è una
funzione esponenziale delle tensioni, si ha che a piccoli errori sullo stato tensionale corrispondono
elevati errori sulla affidabilità calcolata. Considerando per semplicità uno stato monoassiale
uniforme, senza ledere per questo la generalità del risultato, la relazione che lega la probabilità di
rottura col MOR e data da:

σ
−( )m
Pr = 1 − e MOR
(39)

avendo indicato con σ la tensione effettiva (corretta). Se si indica con σ’ la tensione approssimata
valuta con il metodo numerico utilizzato, la corrispondente probabilità di rottura (errata) P’r è data
da:
σ' m
−( )
P' r = 1 − e MOR
(40)

Esprimendo quindi la tensione corretta (incognita) in funzione della tensione errata σ’ (nota) e
dell’errore relativo eσ =(σ’−σ)/σ, cioè utilizzando la relazione σ = σ’/(1+eσ ), l’errore relativo
eP sulla probabilità di rottura assume la forma:
σ'
−( )m
P' − P 1 − e MOR
eP = r r = σ ' /(1+ eσ ) m
−1 (41)
Pr −( )
1 − e MOR

La figura seguente mostra l’andamento dell’errore relativo sulla probabilità di rottura, espresso
dalla (41), al variare dell’errore eσ per diversi valori del modulo di Weibull e per σ’/MOR=0.6.

eP 600
[%]
500
m=20
400
m=15
300
m=10
200
m=5
100

0
0 5 10 15 20 25 30

eσ [%]

Fig.10 – Influenza sulla probabilità di rottura dell’errore sulle tensioni calcolate.

Dalla fig.10 si vede che se le tensioni non sono calcolate con sufficiente accuratezza (eσ <2%),
l’errore sulla probabilità di rottura puo divenire, specie in presenza di elevati moduli di Weibull,
molto elevato. Per esempio con m=20 ad un errore sulle tensioni del 10% corrisponde un errore

178
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

sulla probabilita di rottura del 600% circa. L’accuratezza delle tensioni calcolate coi metodi
numerici (FEM, BEM) è pertanto requisito essenziale per una attendibile valutazione della
affidabilità del componente.

16.3.7 Scelta della affidabilità

Nella progettazione affidibilistica di un componente il progettista è solitamente chiamato a fissare il


valore di affidabilità accettabile. Le considerazioni che portano alla scelta della affidabilità sono
analoghe a quelle che nella progettazione deterministica portano alla scelta del coefficiente di
sicurezza.
In mancanza di precise indicazioni, derivanti per esempio dal committente o da progetti precedenti
o da specifiche normative, l’affidabilità di un componente valutata con il solo modello di Weibull
sarà tanto piu elevata quanto piu elevate sono le incertezze sui parametri di progetto e sopratutto
quanto piu grande puo essere il danno che la rottura del componente puo arrecare. L’affidabilità
sarà quindi molto elevata se la rottura può indurre nocumento alla vita umana ovvero puo portare a
gravi perdite di produzione e/o a gravi danni su impianti ecc. Dovranno pure essere considerati
aspetti spesso trascurati come per esempio la eventuale caduta di immagine della ditta produttrice
nei confronti della clientela attuale e potenziale e/o le difficolta di sostituzione del pezzo rotto ecc.
A titolo di esempio si può dire che per un componente la cui rottura puo produrre un notevole danno
a cose e/o persone, probabilità di rottura dell’ordine di 1 su un milione (A=0.999999) sono
comunemenete adottate, mentre per danno limitato e/o facile sostituzione del pezzo, la probabilità
di rottura puo scendere a 1 su 1000 (A=0.999).
Ovviamente occorre sempre considerare il costo della “affidabilità”: a parità di ogni altro parametro
l’affidabilità di un componente sara tanto piu bassa quanto piu elevato è il costo per ottenerla.
A titolo di esempio si osservi che la probabilità di rottura di prototipi usati nella sperimentazione del
prodotto scende solitamente sino a valori dell’ordine di 1 su 10, in quanto in questi casi la
produzione di un prototipo con affidabilità piu elevata puo risultare molto piu costoso della
realizzazione di piu prototipi con bassa affidabilità (pochi pezzi). La realizzazione di un prototipo
altamente affidabile puo incrementare significativamente i costi della sperimentazione.

16.4. Durata di un componente in materiale ceramico

L’osservazione sperimentale mostra che un componente in materiale ceramico puo arrivare a rottura
dopo un certo periodo di esercizio anche le sollecitazioni si sono sempre mantenute inferiori a
valori sopportabili dal provino vergine, determinati per esempio mediante apposito test all’inizio
della vita del componente.
Tali cedimenti sono essenzialmente imputabili a due fenomeni ricorrenti, quali:
1) dannegiamento superficiale;
2) fatica.

16.3.1 Danneggiamento superficiale

In condizioni di servizio particolarmente ostili per temperatura e/o presenza di sostanze corrosive,
fenomeni di danneggiamento superficiale conseguenti alla formazione di ossidi possono verificarsi
sulla superficie di componenti in materiale ceramico. Per esempio, a temperature elevate il nitruro
di silicio puo dar luogo a formazione superficiale di ossidi che risultano caratterizzati da bassa
resistenza ed elevato coefficiente di espansione termica lineare. Conseguentemente, significative
tensioni termiche possono originarsi sul materiale superficiale e, a causa della bassa resistenza,
facili rotture superficiali possono verificarsi con possibilità di propagarsi verso l’interno portando
così alla completa rottura del componente stesso.

179
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

In questi casi la rottura del componente dopo un certo periodo di vita puo essere in linea di principio
evitato facendo riferimento nella progettazione alla resistenza del materiale superficiale degradato
(ossidato) piuttosto che al materiale ceramico integro. Sfortunatamente però la stima della
resistenza del materiale dopo un certo periodo di vita risulta non priva di difficolta in quanto in
genere si verifica una sorta di sinergismo tra corrosione e stress (tenso-corrosione), cosicchè la
resistenza testata su un provino soggetto alle stesse condizioni di esercizio del componente ma
scarico (pre-ossidazione) risulta in genere molto superiore di quella del componente stesso. Per una
corretta stima della resistenza del materiale degradato le prove devono essere pertanto eseguite
utilizzando provini soggetti non solo alle stesse condizioni ambientali ma anche alla stessa storia di
carico. Cio evidentemente complica notevolemnte le prove di caratterizzazione cosicche solo in
pochi casi questo approccio è realmente attuabile. Negli altri casi la resistenza puo essere stimata
solo mediante sperimentazione diretta, condotta su un certo numero di componenti soggetti alle
effettive condizioni di esercizio.

16.4.2 Fatica e crescita lenta dei difetti

Come accade nei materiali tradizionali, l’applicazione di un carico variabile ad un componente in


materiale ceramico puo portare a rottura anche quando la sollecitazione risulta sempre inferiore alla
sollecitazione massima sopportabile dal componente vergine (fatica). Come nei materiali
tradizionali, l’applicazione di un carico variabile da luogo ad una crescita stabile dei difetti che
porta a rottura dopo un certo periodo di servizio.
Sfortunatamente, sebbene vari studi sulla fatica dei ceramici siano stati condotti da vari ricercatori,
allo stato attuale non sono disponibili terorie attendibili che possono essere utilizzate per la
previsione della vita a fatica di componenti in materiale ceramico.
Nei materiali ceramici inoltre la crescita stabile dei difetti puo avvenire anche in presenza di un
carico statico, specie se il componente opera a temperature elevate (crescita stabile sotto carico
statico). Tale fenomeno particolare è stato oggetto di vari studi che hanno evidenziato come la
velocità di crescita dei difetti è legata al fattore di intensificazione delle tensioni da una relazione
del tipo:

n
v = qK I (42)

essendo q ed n due costanti dipendenti dal materiale e dalla temperatura di esercizio.


In entrambi i casi di sollecitazione, fatica o carico statico, per stimare l’evoluzione nel tempo della
affidabilità del componente è necessario legare le dimensioni dei difetti con le caratteristiche del
materiale che intervengono nel modello di Weibull. A tal proposito sebbene siano state proposte
varie teorie, allo stato attuale non esistono relazioni accurate e pertanto, come per il
danneggiamento superficiale, una attendibile stima della vita del componente puo essere fatta
soltanto mediante sperimentazione diretta, condotta su un certo numero di componenti soggeti alle
effettive condizioni di esercizio.

16.5. Giunzioni metallo-ceramico

Nella stragrande maggioranza dei casi i materiali ceramici sono utilizzati per la realizzazione di
singoli componenti di strutture realizzate per la restante parte con materiali tradizionali (metalli).
L’accoppiamento metallo-ceramico deve essere correttamente progettato tenendo in debita
considerazione il problema legato alle tensioni termiche che una variazione di temperatura produce
in prossimità dell’interfaccia a causa del diverso coefficiente di dilatazione termico lineare dei due
materiali a contatto. Infatti, tali tensioni possono portare facilmente alla rottura del componente
ceramico allorquando le deformazioni relative sono impedite.
Esistono fondamentalemente tre di versi modi di realizzare una giunzione metallo-ceramico che
consente di ovviare a questi inconvenienti:

180
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

1) interposizione di un layer deformabile;


2) contatto diretto con limitato forzamento;
3) brasatura o incollaggio;

16.5.1 Interposizione di un layer deformabile

Il modo piu diffuso di ovviare agli inconveniti sopra accennati è quello di interporre tra metallo e
ceramica un sottile strato di un terzo materiale relativamente deformabile. Tale layer assolve in
genere a due distinti scopi: (a) distribuzione del carico di contatto evitando cosi pericolose ed
anomale concentrazioni di tensione e (b) permettere spostamenti relativi in presenza di variazioni di
temperatura.
Un problema generale nella realizzazione di tali giunzioni è quello di assicurare il mantenimento di
un corretto posizionamento dei due componenti collegati anche al variare della temperatura di
esercizio. A tal fine il collegamento è realizzato solitamente con limitata interferenza. Per questo
sono state sviluppate spesso apposite soluzioni progettuali, alcune delle quali prevedono che il
corretto posizionamento sia assicurato da elementi indipendenti.
Al fine di evitare che il giunto possa allentarsi in esercizio a seguito di variazioni di temperatura è
neccessario utilizzare per il layer un materiale con elevato coefficiente di dilatazione termico
lineare.
A titolo di esempio la figura seguente mostra il collegamento di un rotore (in materiale ceramico) ad
un albero di trasmissione (fig.11a) ed il collegamento di una pala di turbina (in materiale ceramico)
al relativo rotore (fig.11b).

mat. ceramico layer


metallo paletta in mat. ceramico superlega

filettatura layer

(a) (b)

Fig.11 – Giunzioni metallo-ceramico mediante interposizione di layer deformabile: rotore-albero di


trasmissione (a) e pala-rotore (b).

16.5.2 Contatto diretto con limitato forzamento.

In molte applicazioni la giunzione metallo-ceramico viene realizzata mettendo a contatto diretto i


due materiali con limitato forzamento. In generale ciò è ottenuto colando il metallo attorno al
componente in ceramica con procedimento appositamente sviluppato che consenta di ottenere un
livello di interferenza che sia un compromesso tra la esigenza di limitare le sollecitazioni sulla
ceramica e l’esigenza di assicurare l’assenza di distacco al variare della temperatura di esercizio.
Poiché le variazioni di temperatura possono portare, a causa del diverso coefficiente di dilatazione
dei materiali, a significative variazioni della interferenza, questa soluzione è generalmente adottata
allorquando il componente è chiamato a lavorare a temperature non molto elevate ovvero quando il
materiale ceramico presenta un coefficiente di espansione termico lineare prossimo a quello del
metallo. Cio si verifica per esempio nelle giunzioni tra allumina o biossido di zirconio parzialmente
stabilizzati (rispettivamente α=10.2*10-6/°C e α =7.4*10-6/°C) ed acciaio (α≈11*10-6/°C). A

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

titolo di esempio la figura seguente mostra alcune matrici di estrusione in materiale ceramico
giuntati a manicotti di supporto con forzamento.

Fig.12 – Giunzioni metallo-ceramico mediante contatto diretto e forzamento limitato: matrici di estrusione.

Nel caso di ceramici con basso coefficiente di dilatazione un suffficiente forzamento è invece
sempre necessario per evitare il distacco dei due componenti al sopraggiungere di variazioni di
temperatura.
In molti casi il collegamento metallo-ceramico puo essere realizzato mediante filettatura. Tale
soluzione è consigliabile soltanto quando è possibile assicurare limitate sollecitazioni sulle
filettature. Le concentrazioni di tensione sul fondo filetto infatti possono portare a facile rottura il
collegamento. Per questo nella maggior parte dei casi la filettattura ha semplicemente lo scopo di
assicurare il posizionamento mentre il carico viene scambiato attraverso superfici piu estese,
possibilmente con interposizione di un layer deformabile (vedi per esempio fig.11b).

16.5.3 Brasatura e incollaggio

Per basse temperature di esercizio (T<200 °C) il collegamento metallo-ceramico puo essere
realizzato mediante uso di adesivi opportunamente sviluppati per lo scopo. In questi casi è
necessario prevedere sempre opportuni sistemi di posizionamento, non potendo questo ultimo
essere in genere demandato allo stesso adesivo per via di possibili scorrimenti ecc.
Per temperature piu elevate si ricorre alla brasatura previo trattamento superficiale del componente
ceramico finalizzato all’ottenimento di uno strato superficiale di materiale compatibile con il
materiale della brasatura (metallizzazione). In alternativa al trattamento superficiale si usano per la
brasatura materiali opportumante messi a punto contenenti sostanze che reagiscono con il materiale
ceramico superficiale (metallizzazione) garantendone una buona adesione.
Nella progettazione di giunti brasati metallo-ceramico è necessario tener conto delle tensioni
residue che si originano durante il raffreddamento del giunto dalla temperatura di brasatura.
Al fine di limitare tali tensioni è bene eseguire un raffreddamento lento in modo da consentire il
verificarsi nel materiale interposto di benefici fenomeni di scorrimento viscoso (creep). Anche in
presenza di tali accorgimenti, per una accurata progettazione è sempre buona norma tener conto
delle tensioni residue da brasatura.

16.6. Tensioni termiche

Nella progettazione di componenti con materiali ceramici particolare attenzione deve essere rivolta
alle eventuali tensioni termiche che possono insorgere nel matariale specie a seguito di brusche
variazioni di temperatura (thermal shock). La situazione peggiore per i ceramici, materiali poco
resistenti a trazione, è lo shock termico derivante da repentini raffreddamenti della superficie. A ciò
seguono infatti pericolose tensioni di trazione dovute al ritiro del materiale, con facile possibilità di
formazione e propagazione instabile di cricche e conseguente rottura del componente. Tali

182
B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

fenomeni pertanto vanno tenuti in debita considerazione ed in genere possono essere limitati con
vari accorgimenti quali:
a) riduzione del gradiente termico lungo lo spessore del componente intervenendo, ove
possibile, sulle condizioni di esercizio;
b) suddivisione del componente in piu parti separate, soggette ciascuna a distribuzioni di
temperatura piu uniformi;
c) eliminazione di variazioni brusche della geometria e/o di spessori eccessivamente piccoli
specie in zone soggette ad elevati flussi termici (riduzione del gradiente).

In presenza di significativi gradienti è necessario eseguire una attendibile valutazione della


affidabilità del componente mediante una accurata analisi termomeccanica condotta utilizzando un
metodo numerico (FEM, BEM).
Si tratta sovente di analisi relativamente laboriose e dispendiose in termini di tempi e risorse
hardware necessari. Alla laboriosità si aggiungono inoltre in molti casi non poche complicazioni
derivanti dalle difficolta legate alla corretta definizione delle condizioni al contorno (temperature,
flussi termici, ecc.), che puo involgere impegnative indagini sperimentali.

16.6. Proof-testing ed affidabilità

Nella usuale progettazione meccanica la probabilità di rottura di un componente assume valori in


genere molto bassi, da 1/1.000 a 1/1.000.000. Tali valori sono certamente molto piu bassi di quelli
che si hanno nelle prove di caratterizzazione del materiale. In queste prove infatti l’uso di un ridotto
numero di campioni permette di determinare con accuratezza soltanto la parte centrale della curva
della probabilita di rottura, con esclusione delle due code. Queste ultime, cioè la parte alta e la parte
bassa della curva, utilizzata di fatto nella progettazione, son quindi determinate per estrapolazione
utilizzando il modello teorico di Weibull. Conseguentemente si ha che l’uso dei dati sperimentali
ottenuti con pochi provini (solitamente 30 circa) non permette una accurata stima della probabilità
di rottura del componente progettato.
Per una progettazione piu accurata tale stima puo essere migliorata mediante prova diretta del
componente (proof-testing). Se tale prova è eseguita sottoponendo il componente ad una tensione σp
ed il componente supera la prova (non si rompe), allora ragionando in termini statistici si puo dire
che l’affidabilità del componente provato alla tensione di prova risulta unitaria. Si dimostra piu in
particolare che l’affidabilità Aap del componente provato (after proof) alla generica tensione σ
risulta dato dalla semplice relazione:

A(σ )
Aap (σ ) = (43)
A(σ p )

che utilizzando il modello di Weibull si puo anche scrivere come:

σ m −σ pm
Aap (σ ) = exp[−( )V ] (44)
σ om

Dalla (44), dopo alcuni passaggi è possibile esplicitare il legame tra affidabilità del componente
provato e tensione di prova; si ha:

Aap (σ ) = exp{−[1 − (σ p / σ ) m ] log A(σ )} (45)

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B. Zuccarello – Progettazione meccanica con materiali non convenzionali

La figura seguente, ottenuta diagrammando la (45), mostra a titolo di esempio la affidabilità di un


componente provato in funzione della tensione di prova, per una affidabilità iniziale pari a 0.999
(probabilità 1/1000) e diversi valori di m.

A 1

0.9998

0.9996

m=20
0.9994

m=5
0.9992 m=10

0.999
0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1
σp σ
Fig.13 – Legame tra affidabilità e tensione di prova per componente con affidabilita iniziale pari a 0.999.

Si vede come per ottenere significativi aumenti della affidabilità è necessario utilizzare tensioni di
prova sufficientemente prossime alla tensione di progetto. Per esempio per materiale con m=10, per
ottenere un aumento della affidabilità di un fattore 10, da 0.999 a 0.9999, è necessario utilizzare una
tensione di prova pari a circa il 99% della tensione di progetto.
Le (43-45) sono valide nella ipotesi che l’esecuzione della prova non produca alcun danno al
componente provato. Come osservato al capitolo 16.3.2, invece, l’applicazione di un carico per un
certo tempo, specie ad elevate temperature arrecca un danneggiamento all’elemento (crescita dei
difetti sotto un carico statico).
Per questo motivo l’affidabilità del pezzo provato, ottenuta mediante la (45), può in alcuni casi
risultare approssimata per eccesso. Al fine di evitare ciò è buona norma limitare al minimo possibile
la durata della prova.

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