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Politecnico di Bari

Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Gestionale


Principi e Metodologie della Progettazione Meccanica
Proff. U. Galietti
Anno accademico 2002-2003

“Scelta dei materiali in campo aeronautico”

Comunicazioni dell’Ing. Ponzone – Agusta Elicotteri

A cura di: Crescenzo Aruta


Matr. 511939Y

1
SCELTA DEI MATERIALI IN CAMPO AERONAUTICO

La scelta di un materiale in campo aeronautico, dal punto di vista strutturale, è un fattore critico, nel
senso che sono connessi rischi notevoli, sia tecnici che economici. Sbagliare la scelta del materiale
significa, sostanzialmente, compromettere il risultato finale.
Prima di affrontare il tema in questione, facciamo una rapida carrellata sulle principali classi di
materiali strutturali a disposizione in campo aeronautico:
- ACCIAIO
Di acciai ve ne sono svariate tipologie e comunque non tutte assicurano una adeguata garanzia in
campo aeronautico dal punto di vista strutturale; principalmente, possiamo classificare gli acciai in tal
modo:
-acciai bassolegati
-acciai legati
-acciai fortemente legati
-acciai inox ( tipico caso di acciaio inox impiegato in campo aeronautico è il 17-4-PH )

- LEGHE DI ALLUMINIO
Qui abbiamo svariate tipologie di leghe di alluminio; le possiamo per semplicità classificare per
“serie”:
-serie 2xxx
-serie 5xxx
-serie 6xxx
-serie 7xxx
-serie 8xxx
Vediamo subito quali sono le più comuni in tale ambito; evidenziamo subito la lega 6061 (quindi
appartenente alla serie 6xxx): essa è l’unica lega di alluminio saldabile, ma è anche quella che ha le
più basse caratteristiche meccaniche. Quindi, si usa solo quando vi è necessità di realizzare una
struttura in lega di Al sfruttando un materiale saldabile e che tale struttura presenti carichi non elevati.
Però viste le sue basse caratteristiche meccaniche, lo accantoniamo subito per le nostre esigenze.
Un esempio di lega di Al della serie 2xxx è il ben noto 2024 ( che a seconda dei trattamenti iniziali, ha
alcune varianti).
Le leghe della serie 5xxx sono poco usate ma, comunque, un valido esempio di tale serie è il 5052,
lega che resiste bene a basse temperature e che presenta sempre a basse temperature una buona

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tenacità .Le sue caratteristiche sono più basse di quelle relative alla serie 7xxx. Classici esempi di tale
serie sono il 7075 ed il 7475.
Infine, le leghe della serie 8xxx sono leghe Alluminio-Litio 8090: queste leghe hanno la stessa
caratteristica di resistenza a trazione ed a fatica del 2024, ma ha un peso specifico inferiore. Per cui, vi
è stato in passato un periodo in cui si sono usate molto le leghe 8xxx, pensando di sostituire in modo
semplice e “direttamente” il 2024 con tali leghe, senza alcuna modifica strutturale del componente. Il
risultato era quello che si otteneva un risparmio di peso di circa l’8%, ma il problema era dovuto al
costo, triplo rispetto al 2024, ma soprattutto alla resistenza dal punto di vista della “meccanica della
frattura”, minore di quella relativa al 2024. Ecco perché tali leghe Al-Li sono state sostituite dal 2024,
visto che i benefici non erano consistenti dinanzi agli svantaggi, ed inoltre, cosa non trascurabile,
leghe del tipo 8090 sono state abbandonate anche perché pericolose per la salute ( es. realizzando
macchinati in tale materiale; al massimo, leghe 8090 sono state impiegate per lamiere o estrusi).
Quindi, ricapitolando, in campo aeronautico possiamo fare riferimento a 2 leghe essenzialmente:
- 2024: quando si tratta di lamiere da cui ricavare componenti ( es . per stampaggio);
- 7475: quando si tratta di grossi piatti da cui ricavare i macchinati.
Dal punto di vista della resistenza a trazione, il 7475 è migliore del 2024; tale lega ha anche un buon
allungamento (comparabile con quello relativo al 2024), buona resistenza a fatica (confrontabile col
2024, anche se il 2024 è il migliore sia per resistenza a fatica, che per “meccanica della frattura”).
Resta, comunque, il 7075: tale lega presenta caratteristiche intermedie alle 2 suddette, perciò risulta
superata dalle 2 leghe.

- LEGHE DI TITANIO
Hanno caratteristiche meccaniche comparabili con quelle dell’acciaio, ma con minore peso; a ciò fa
fronte un costo del materiale maggiore ed un costo di lavorazione maggiore. Resistono molto bene al
calore; tipico impiego lo si ha solo in lavorazioni di lamiere, in quanto è di difficile lavorazione
sottoforma di macchinati.

- MATERIALI COMPOSITI
Il più comune esempio di materiale composito è il cemento armato ( a matrice conglomerato-
cementizia e fibre in acciaio). Ovvio che tale è solo un esempio di massima ( impiegato solo in campo
edilizio) per capire la filosofia alla base dei materiali compositi: un materiale composito non ha delle
caratteristiche “intrinseche” come, ad esempio, una lega in Al; viene realizzato, sostanzialmente, per

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avere “ad hoc” caratteristiche che noi vogliamo, a seconda di come viene realizzato. Volendo fare una
casistica rapida sui materiali compositi, ho:

- mat. compositi a matrice termoindurente;


- mat. compositi a matrice termoplastica;
- mat. compositi a matrice metallica.

Perciò in un materiale composito avrò una matrice + fibre di rinforzo. In particolare, la classificazione
della matrice si fa in base al processo che si adotta per indurire il composito.
- Una matrice è termoindurente se all’inizio ho una matrice di pezzetti di stoffa molle, posti su uno
stampo, realizzando così un “sacco”, da sottoporre all’azione di pressione e temperatura. A
temperatura alta tale matrice si indurisce ( ecco perché “termoindurente”), per poi a temperatura
ambiente tale matrice resta comunque indurita. Questo è, sostanzialmente, un processo di
POLIMERIZZAZIONE del composito.
- Una matrice è termoplastica, quando ho inizialmente delle lamine già dure, adagiate su uno stampo,
da portare a temperatura elevata. Sotto l’azione combinata della pressione, tali strati prima
rammolliscono, assumendo così la forma dello stampo. A temperatura ambiente il materiale assume la
forma dello stampo ed è indurito.
Una tipica matrice termoindurente è la “epossidica” ( epoxy), di uso comune. Invece, una tipica
matrice termoplastica è il “peek”, comunque poco usato.
Non trattiamo le matrici metalliche, vista soprattutto la difficoltà e complessità di realizzazione.
Una ulteriore differenziazione si può fare considerando il materiale delle fibre di rinforzo, rifacendoci
comunque ad una matrice di tipo “epoxy”:

- fibre di carbonio (tipica fibra strutturale);


- fibre di kevlar ( tipica fibra strutturale);
- fibre di vetro (non è un elemento strutturale, viste le scarse caratteristiche meccaniche; sono
valide solo per coperture , ecc. visto il bassissimo modulo di elasticità E, 1500 kg/mm2, a fronte dei
7000 kg/mm2 dell’alluminio e dei 21000 kg/mm2 dell’acciaio. Analogamente ha anche bassissima
resistenza a trazione);
- fibre di boro (non più usate, in quanto pericolose per la salute).

Analizziamo, quindi, le 2 fibre più usate in ambito strutturale: carbonio e kevlar: diamo subito alcuni
dati ad essi relativi:

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- Modulo di elasticità E : carbonio: 7000 kg/mm2
kevlar : 3000 kg/mm2

- Resistenza a trazione : carbonio: 50 kg/mm2


kevlar : 25 kg/mm2

Ovvio che il tutto dipende anche dalla disposizione delle fibre, sia nel caso del carbonio che del
kevlar: ho matrici “unidirezionali “ o “ tessute”.

unidirezionale tessuto

L’”unidirezionale” ha un foglio di matrice con fibre disposte solo in un senso; il “tessuto, invece
avrà la stessa matrice, ma fibre con disposizione nelle due direzioni. Comunque, è preferibile non
avere laminati con fibre disposte in un verso solo, in quanto le caratteristiche meccaniche sarebbero
privilegiate in un verso solo, a scapito della direzione ortogonale. Ecco perché fibre disposte a
“tessuto” ( o con apposita spaziatura angolare, es.30°, 45° ecc ) sono preferibili, anche perché
tendono a comportarsi, se realizzati in modo opportuno, in modo “quasi” isotropo.
Da tale analisi, sembrerebbe che un materiale composito viene caratterizzato da una singola lamina
di matrice+fibre; in realtà, il materiale composito usato in ambito meccanico sarà un “pacchetto” di
lamine sovrapposte, con orientazione angolare delle fibre di ciascuna lamina secondo determinati
canoni. Ho fibre a 0°, 30°, 45°, 90°, ecc. ed a seconda della modalità di assemblaggio di tale lamine
nel cosiddetto “lay-up” (pacchetto), le caratteristiche meccaniche varieranno. Se si è esperti in tale
campo, si riuscirà a disporre le fibre al meglio, secondo le linee di flusso dello stress, per ottenere dal
materiale composito il massimo di resa; pensiamo per esempio, ad un “lay-up” del tipo
0/45/90/90/45/0, che mi garantisce un comportamento molto prossimo all’isotropo.
L’analogia col cemento armato, comunque, non è casuale; ivi, i tondini di acciaio sono disposti in
modo tale da sopportare al meglio gli sforzi tipici in una struttura edile. Analogamente si ha nel
nostro settore, con l’uso di tali materiali. Ovvio, che ci sono delle controindicazioni, in quanto lo
stesso procedimento di fabbricazione, se non viene effettuato con tutte le dovute meticolosità ( non
scordiamoci che si sta lavorando con un materiale che è sostanzialmente anisotropo, visto che ho
diverse tipologie di materiale da assemblare, garantendogli però, alla fine del processo di
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fabbricazione, un comportamento “quasi“ isotropo) ,si possono verificare delle distorsioni che non lo
rendono non più idoneo all’impiego ( non è come per i materiali convenzionali che, per esempio,
attraverso procedimenti per lavorazione plastica, teoricamente, è possibile eliminare eventuali
deformazioni; in tal caso, per un composito, bisogna riprendere lo stampo e reimpostare il processo
di realizzazione in modo da reiterare gli inconvenienti).

Abbiamo così concluso tale rapida carrellata & casistica sui materiali a nostra disposizione.
Dovremo ora effettuare una serie di confronti per poter scegliere quello adatto alle proprie esigenze.
Allora, che grandezze prendere in considerazione a tale scopo?
- COSTI
- TIPOLOGIA DI SOLLECITAZIONE (trazione, compressione, flessione, taglio, torsione)
- PESO SPECIFICO DEL MATERIALE
- RESISTENZA A CORROSIONE
- TENACITA’
- ALLUNGAMENTO (un materiale non ottimo ha allungamento di circa il 3%; buoni materiali,
invece hanno allungamento del 8-10% ed anche di più )
- TEMPERATURA DI ESERCIZIO (anche se nei mat. compositi se ne tiene già conto in
progettazione attraverso gli “ammissibili” ridotti, che conglobano al loro interno gli effetti di
diminuzione delle caratteristiche mecc. del materiale per effetto di umidità e temperature)
-“RESISTENZE” DEL MATERIALE ( e faremo riferimento essenzialmente a tali grandezze ).
Le tipiche “resistenze” di un materiale sono :
- resistenza alla trazione
- resistenza a fatica
- resistenza per “meccanica della frattura” ( “damage tolerance”)
- resistenza a compressione ( ossia il valore FcY, ossia lo snervamento per “schiacciamento” o
“crashing”)
- resistenza al “bearing” (fornita da apposite tabelle; questo è un fenomeno tipico nei macchinati che
presentano un “occhio”, che ha compito di “supporto”. Il materiale dell’occhio viene sollecitato
localmente a mo’ di carico radiale distribuito, con eventuali “failure” o di ovalizzazione del
materiale, o con eventuale rottura a trazione, con l’occhio che si apre, o con rottura a 45°).

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45° 45°

Fenomeno del bearing

Per quanto riguarda la resistenza a trazione, compressione e bearing, posso far riferimento ad
opportune tabelle o testi, ricordandoci che tale valore dipende dallo spessore dell’elemento ( di ciò
se ne tiene conto tramite il “size-effect”).
Per la resistenza a fatica, a cosa faccio riferimento, soprattutto in termini di tensione che possa
caratterizzare il fenomeno? Sappiamo benissimo che il riferimento idoneo è il “diagramma di
Wöhler”; in tal caso facciamo subito riferimento alla cosiddetta “ σ endurance”, ossia alla tensione
che mi definisce il limite a vita infinita a fatica.

Diagr. di Wöhler

endurance

N° cicli

Per la resistenza a “frattura” faremo riferimento ai fattori critici di intensificazione degli stress, ossia

da/dN

No Low
Crack Crack Diagr. di Paris
Grow Grow

KIC
∆Κ
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ai KIC , KIIC , KIIIC . Il tutto viene opportunamente rappresentato tramite la curva di Paris:

Il diagramma è gia noto dalla “meccanica della frattura”. Comunque, come sfruttiamo tale
diagramma per il campo aeronautico, con leghe di alluminio da impiegare a tale scopo? In primo
luogo diciamo subito che non faremo mai riferimento alla zona prossima al KIC: sarebbe da
“scriteriati” lavorare in zona con rapida propagazione di cricche!! Quindi, si farà riferimento ai
valori in zona “No crack grow” ( “crescita nulla della cricca”, con stress sui 5 kg/mm2 ) o al
massimo in zona “Slow crack grow” ( “lenta crescita della cricca”, con stress di 5-10 kg/mm2 ).
Detto ciò, facciamo una semplice osservazione: se tutto ciò è stato fatto per una lega di alluminio,
consideriamo una lega 2024. Tale lega è caratterizzata da una resistenza a trazione di σ =40 kg/mm2 ,
ma tenendo conto delle altra “capabilities “del materiale sopraindicate, come computo la “endurance”
a fatica ( ca. 10 kg/mm2) e le tensioni in zona “no crack grow” (ca.5 kg/mm2 )? Quindi, passo da valori
di 40 a 5 kg/mm2. Per cui, diciamo subito che questo esempio ci evidenzia come una semplice scelta
del materiale in base alla sola resistenza a trazione abbia poco senso logico.
E se invece della sollecitazione di trazione, facciamo riferimento ad una sollecitazione di
compressione? E’ vero che, sempre per una lega 2024 ho una FcY di 28 kg/mm2, ma tale valore di
snervamento allo schiacciamento non lo sfrutto, a causa di “failures” di instabilità, e ciò è tipico in
campo aeronautico, visto che tali fenomeni di instabilità si manifestano soprattutto in strutture sottili.
In generale avrò fenomeni di instabilità “critici” (quando avvengono, l’elemento perde la sua funzione
“strutturale”) o “non critici” (l’elemento mantiene ancora caratteristiche strutturali; es.il fenomeno del
postbuckling).
Vediamo quindi la tipica casistica di tali possibili failures, in quanto esse rappresentano effettivamente
le condizioni limite da tener conto in fase di progettazione, e, di conseguenza in fase di scelta di un
materiale:
- Column ( o “carico di punta”,instabilità globale per elementi monodimensionali )
- Crippling (è un fenomeno di instabilità locale: il tipico esempio di crippling è il formarsi di un
“acciaccamento”locale di uno spigolo. In particolare, per avere crippling devo prima avere una

Crippling con
Assenza di Cedimento
crippling dello spigolo

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instabilità globale per carico di punta, per poi avere una failure che evolve alla fine con il cedimento
dello spigolo).

Osservazione:
il crippling non dipende dal momento di inerzia della sezione resistente: questo è ovvio, in quanto per
avere tale failure devo passare la fase di instabilità globale; quindi, la sezione originale si è persa
proprio per tale instabilità. Nel buckling ( altra failure che analizzeremo tra poco), invece, si tiene
conto del momento di inerzia, ma non in riferimento alla sezione globale, bensì solo in riferimento
alla sezione che “sbanda”.
Per gli elementi bidimensionali si farà riferimento, invece ,alla failure di “buckling”.

Prima del buckling deformata in buckling

Se consideriamo tale elemento bidimensionale con elementi di contorno e lo sottoponiamo ad azione


di taglio, il sistema sviluppa tensioni di compressione a 45° ed inoltre gli elementi monodimensionali
di contorno vengono sollecitati da tensioni di flessione e compressione; infatti, se il buckling dà luogo
ad uno spostamento fuori dal piano del bidimensionale, questo si tramuta ovviamente in sollecitazioni
flessionali.

Elemento+cornice sogg. a taglio sviluppo delle tensioni a 45°

Spesso si fa riferimento al fenomeno di “postbuckling”: una volta che si instaura il fenomeno e visto
che il sistema non viene danneggiato in modo permanente ( come detto prima, anche se in casi limiti
si possono avere buckling “critici” in forma “plastica”, portando a deformazioni permanenti il
componente; questo si ha fondamentalmente nei casi di spessori che iniziano ad essere consistenti),
si tende a progettare l’elemento in questione in tale regime di failure. Però tale approccio

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progettuale può avere un senso solo in situazione di carico superiore al “carico limite”. In
particolare, la normativa vigente in tale campo impone di assicurarsi che a “carico estremo” la
struttura resista, nonostante il “carico estremo” non si verifichi mai (in esercizio si arriva raramente
al “carico limite” ! Oltre ho il “carico estremo”, pari al “carico limite” moltiplicato per il fattore di
sicurezza, che in campo aeronautico è 1,5). Quindi solo tra carico limite ed estremo ( quindi, tra
carichi che non si verificano mai), andrò a progettare in regime di postbuckling, per esigenze di
normativa sostanzialmente. Allora sorge una ovvia considerazione a tal proposito: perché non ha
senso lavorare in postbuckling per carichi inferiori al “carico limite”? Il motivo è semplice da
comprendere: la cosa sarebbe pericolosa per le sollecitazioni di fatica che insorgono! Il materiale,
andando in instabilità per buckling, esce dal piano ( tipico andamento ondulato), per cui il campo
delle tensioni non è più compressivo, ma di flessione, avendo spostamenti fuori dal piano! Quindi,
in tale situazione la tensione da compressiva si tramuta in flessionale e quindi devo computare il
tutto tramite analisi a fatica e non tramite analisi per stato compressivo.

Ritornando all’elemento monodimensionale, come esprimere e correlare tutte le failures tipiche di un


elemento monodimensionale in questione? Come sono interconnesse? Quando si verificano l’una o
l’altra failure ( ricordiamoli: column, crippling, crashing, buckling locale)?
Correlerò tutto attraverso un diagramma che lega la geometria del sistema “ L/ρ “ ( lungh.elem. /
raggio di inerzia della sezione, cioè la “snellezza” ) alle tensioni che si manifestano in queste 4
failures:

1
Fc 1=curva di eulero
2
Fc= π2E/ (L/ρ)2
2= curva di eulero in
zona non elastica
Fc’= π2Et/ (L/ρ)2

Fcy- crashing

L/ρ Fc Fcs – crippling


Diagramma teorico
Fcy Fcri -carico limite
euleriano
Congiungente
Fcs diagonale = linea di
buckling locale

Diagramma di Fcri
riepilogo L/ρ

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Si nota subito la curva di Eulero dall’andamento tipicamente iperbolico;il crashing è invece
rappresentato da una FcY, a mò di zona di “cut out” ( cioè mi delimita superiormente il diagramma).
Questo fa sì che il diagramma teorico si tramuti in uno complessivo che tiene conto di un iniziale
andamento iperbolico secondo Eulero, per poi cambiare decisamente andamento; il motivo è
semplice: cominciano a manifestarsi sull’elemento soggetto a tali failures fenomeni di
plasticizzazione : graficamente ci spieghiamo il tutto, se ci rifacciamo al tipico andamento della una
curva σ−ε: oltre lo snervamento, presentandosi fenomeni di plasticizzazione, il modulo di elasticità
non è il classico “E”, ma quello che si ricava come “tangente”alla curva σ−ε nel tratto non lineare
( Et ), con tale valore che cambia punto per punto. Ecco perché tale curva tende a deviare dalla curva
di Eulero, per poi essere “tagliata” in corrispondenza del crashing. Così ho correlato tali fenomeni
di instabilità globale. Per tenere, in fine conto dei fenomeni di instabilità locale ( buckling locale &
crippling), ricavo, tramite analisi sperimentale, l’andamento che mi rappresenta il buckling locale
( per valori di tensioni inferiori a quelle che portano ad instabilità globale ), che poi degenera in
crippling (del crippling si tiene conto tramite il valore caratteristico FcS ).
In generale, si dice che tali failures subentrano quando si hanno “elementi monodimensionali a
sezioni instabili”. Si definisce “elemento monodimensionale a sezione instabile”, quell’elemento
strutturale che, all’aumentare del carico, prima ancora di avere fenomeni di column e crashing,
presenta failures di crippling e buckling locale. Al contrario, un “elemento monodimensionale a
sezione stabile”, all’aumentare del carico, si manifestano direttamente failures di column ( se
l’elemento è “snello” ) o crashing ( se l’elemento è “tozzo” ).
Una tipica sezione stabile è una sezione chiusa, simmetrica ( es.circolare ), eppure anche in tal caso
si può verificare una failure di buckling molto particolare, detta “ diamond buckling” ( diamante),
ove le pareti della sezione si schiacciano a forma di diamante.
Al contrario, una seziona aperta è instabile, basta veder l’esempio di sezione prima raffigurata
nell’introdurre il crippling. Cerchiamo di individuare delle espressioni matematiche che possano
legare le caratteristiche di geometria e di materiale di un elemento ai fenomeni sopraesposti.
- COLUMN:

qui la tensione ammissibile si esprima tramite la Fc Fc=π2Ε/(L/ρ)2 (Eulero)


ove il termine al numeratore dipende dal modulo di elasticità E, mentre il termine al denominatore è
il quadrato della “snellezza” dell’elemento. Questo se sussistono condizioni di campo elastico,
perché se sconfino in campo non elastico, ho “column non elastico”, con una identica Fc, ma che
presenta una Et al posto di E (teoria di Eulero-Johnson).

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(Vedi capitolo C2 delle dispense in allegato del Bruhn)

- BUCKLING:

La grandezza che definisce tale fenomeno è una σcr = (π2/12)∗(Κc∗Ε/(1-ν2))∗(t/b)2


( questo per buckling bidimensionale, e valido anche per il caso in cui il sistema vada in buckling
locale ).(Vedi capitolo C5 delle dispense in allegato del Bruhn)
Le grandezze caratteristiche presenti in σcr sono a noi già tutte note ( modulo di elasticità, modulo
di Poisson ν, geometria della piastra; infine vi è anche una parametro Kc, funzione della geometria
della piastra tramite il rapporto a/b della piastra e del modo in cui evolve il buckling (cioè in quale
aspetto si presenta il fenomeno, es. numero di “pance di buckling”, forma, ecc.); in particolare si ha
che tale Kc è rappresentabile tramite un opportuno diagramma in funzione di a/b: si nota che tale
curva è l’inviluppo delle varie curve di “aspetto” del buckling, e che, comunque, oltre un certo
valore a/b, tale Kc resta costante.

a = altezza
Kc piastra

b = larghezza
piastra

t = spessore
piastra

a/b

-CRIPPLING:

Qui abbiamo che il fenomeno è caratterizzato da una FcS = Ce∗ ( FcY ∗Ε)0.5∗(t/b’)0.75
Tutte le grandezze caratteristiche presenti sono note, tranne il Ce, che è dipendente dalla forma della
sezione ( è opportunamente tabellato). Il termine b’ dipende sempre dalla geometria dell’elemento (
è una opportuna somma dei termini geometrici dell’ elemento). (Vedi capitolo C7 delle dispense in
allegato del Bruhn)

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- CRASHING

Viene semplicemente classificato, in funzione del parametro FcY ( già precedentemente esposto).

Fatta questa panoramica sui materiali a disposizione e sui fenomeni nocivi presenti nel sistema,
prima di parlare su come agire in ambito di scelta di un materiale, facciamo un semplice esempio
.consideriamo 3 materiali a nostra scelta con tali caratteristiche:
MATERIALE MODULO E RESISTENZA DENSITA’ COSTI
A 1 1 1 1
B 1 1.1 1 1
C 1 1 0.9 1
Quale materiale tra i 3 andrò a scegliere ?( In tal caso, abbiamo sottinteso che tali materiali hanno
tutti lo stesso allungamento; perciò, una prima sommaria ma fondamentale attenzione da porre in
scelta del materiale è quella di far riferimento a materiali che mi garantiscono un buon
allungamento!!!). Partiamo subito da un presupposto fondamentale: in campo aeronautico, andare a
risparmiare sul peso diventa una priorità imprescindibile: andare a risparmiare 50Kg di peso, per
esempio, vuol dire, in soldoni, andare a realizzare una macchina in grado di trasportare una persona
in più o una attrezzatura speciale in più, e quindi, vuol dire VENDERE PIU’ MACCHINE,
BATTENDO LA CONCORRENZA!!! Questo perché in campo aeronautico tali caratteristiche di
peso sono “esasperate”, di primaria necessità ( anche se dobbiamo dire che tale concetto è valido in
qualsiasi ambito strutturale: a parità di rigidezza e resistenza, conviene avere strutture meno
pesanti!!!). Quindi, la risposta è molto semplice. E’ vero che il materiale 2 è più resistente, ma è
anche vero che per ottenere una struttura opportunamente rigida non ho bisogno di usare elementi
“massicci”: se si è dei bravi progettisti, si può ottenere una struttura con geometria e con
disposizione del materiale tale da avere una buona rigidezza, evitando allo stesso tempo di avere
una struttura massiccia.
Prima comunque di completare in modo più esaustivo la risposta, spieghiamo brevemente cosa si
intende per “costi”. I costi sono di 2 tipi: costi “una tantum” ( es. costi degli stampi per i pezzi
forgiati, o i costi dell’impianto pilota per i compositi) e costi “ricorrenti” ( es. assemblaggio).
A tal proposito possiamo far una piccola analisi economica di “costo vs. N° di pezzi” , a seconda se
ho pezzi macchinati o forgiati:

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costi

macchinati

forgiati

N°critico pezzi N° pezzi


L’andamento evidenzia come si ha un numero “di bilanciamento” di pezzi, al di là del quale
conviene di più ottenere macchinati o forgiati. Se vogliamo far riferimento alla esperienza di casa
“Agusta”, tale numero è di circa 50 pezzi, sia perché di elicotteri se ne producono non moltissimi ( e
se ne vendono non moltissimi, visto il costo), ma anche perché si preferisce, in caso di modifiche da
apportare ai pezzi, di non stravolgere il pezzo stesso, soprattutto dal punto di vista della sua
realizzazione ( e quindi dei relativi suoi costi).
Detto ciò, concludiamo il perché andrò a scegliere il materiale più leggero e non quello più
resistente, a parità di costi.
Affinché un elemento strutturale in materiale 3 mi dia lo stesso peso di un elemento strutturale in
materiale 2, dovrò andare a ridurre lo spessore dell’ elemento, a parità di geometria! Quindi mi
trovo a scegliere, a parità di geometria, o l’elemento in materiale più leggero e un po’ più spesso, o
l’elemento i materiale più pesante, me più sottile perché più resistente.Voltiamo la domanda nel
nostro campo aeronautico: conviene più, a parità di peso, un elemento in acciaio, più resistente e più
sottile, o un elemento in lega 2024, più spessa?? La risposta è ovvia se abbiamo compreso il
problema delle failures prima esposte: a parità di peso e di resistenza “statica”, DEVO scegliere
quel materiale che mi evita di finire in instabilità!!!! Se, come abbiamo già detto e visto prima,
l’instabilità ( vedi il buckling, ad esempio) dipende dal quadrato dello spessore, andrò a scegliermi in
campo aeronautico non il pannello in acciaio ( più “sottile” ), ma la lega di Al o il composito ( e
quindi , più “spesso”). Usare, quindi, l’acciaio, vuol dire complicarsi enormemente la vita, dovendo
gestire in maniera più gravosa gli effetti di instabilità! Facciamo un esempio su un modello di
elicottero EH 101: a fronte di un peso di 15000Kg, ho lamiere nella trave di coda di spessori di
0.65mm – 0.8 mm, e non sono certo lamiere di acciaio, bensì 2024 & 7475.

Detto tutto ciò, focalizziamo la nostra attenzione su 3 validi materiali per le nostre necessità:

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( n.b. considero per tutti e tre uno spessore di 1 mm )
MATERIALE MODULO E RESISTENZA DENSITA’ COSTO
DaN/mm2 DaN/mm2 Kg/m2

Laminato
Grafite/epoxy 7000 64 1.80 10*C
Unidirezionale

Lamiera
2024 T3 7380 41 2.70 C

Lamiera
8090 T81 8000 41 2.50 3*C

(n.b. il laminato grafite/epoxy è strutturato con spaziatura delle fibre 0/90/0/90/0/90 ).


Se analizzo tale tabella, il vantaggio in termini di caratteristiche meccaniche e di peso del composito
grafite/epoxy sembra evidente, però dobbiamo tener presente una caratteristica precipua del
composito: il composito non ha “plasticità”, arriva direttamente a rottura immediatamente dopo la
fase elastica, perciò il suo impiego per i nostri scopi non è consigliato. Inoltre, devo tener conto di
una ulteriore caratteristica (sempre a scapito di tale composito): se si realizza un pezzo in
grafite/epoxy, ciò significa “penalizzare” il pezzo con ulteriori fattori di sicurezza aggiuntivi rispetto
a quelli utilizzati nel caso di materiali “convenzionali” (il fattore di sicurezza 1.5, già definito in
precedenza come rapporto tra carico estremo / carico limite ).Questi ulteriori coefficienti di
penalizzazione (ricordandoci che tutti questi aspetti vengono imposti da normativa, e non da
arbitrarie decisioni del progettista) sono dovuti al fatto che il materiale viene realizzato di volta in
volta dall’operaio, anche se oggi tale operazione viene effettuata cercando di minimizzare
l’intervento diretto dell’operaio .
Un altro fattore che va a svantaggio del composito è rappresentato dalla rete metallica da inserire
nel “lay-up” del composito, per “isolamento da messa a terra”, per schermare e proteggere dai
fulmini gli elementi di una eventuale carenatura dell’aeromobile( questo è ancor più vero in quelle
zone ove ho luci o sistemi di comunicazione dell’aeromobile ): lo svantaggio è rappresentato
dall’ulteriore aumento di peso del materiale composito, perché di per se il composito, non essendo
un materiale “conduttore”, non è in grado di garantire tali protezioni necessarie su un’ aeromobile.
Un’ulteriore discorso a parte merita la “damage tolerance” di un composito, essendo difficile da
affrontare.In generale, la questione della “damage tolerance”e della propagazione delle cricche, sia
per un composito che per un materiale classico, oggi diventa sempre più argomento di controllo e di
restrizioni relative da parte dell’ente di controllo ( il RAI = Registro Aeronautico Italiano, nel nostro
caso). Nel nostro settore il RAI rilascia una apposita certificazione di durata e affidabilità, a garanzia
del soddisfacimento della damage tolerance. Perciò un’aeromobile soddisfa i requisiti di volo non

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solo in base ad una progettazione del tipo “safe life”, ma soprattutto in base a come si è progettato il
sistema in presenza di cricche.Dal punto di vista di durata, il RAI impone una durata di
funzionamento effettivo dell’aeromobile di almeno 40000 ore. Una ulteriore “imposizione”del RAI
riguarda la presenza&dimensione della cricca: se vi è la cricca ( skretch) di dimensione min. 0,3mm
(al limite del visibile, limite del controllabile), bisogna fare in modo che l’aeromobile abbia durata
comunque di 40000 ore, o in caso contrario bisogna far in modo da garantire in tempo opportuno la
sostituzione del pezzo critico per la presenza della cricca, ispezionando ed analizzando, in ogni caso,
periodicamente il velivolo. Questo è un aspetto nuovo in progettazione ( progettazione in campo “no
crack grow”, ma di fondamentale importanza , vista la pericolosità delle situazioni che possono a tal
riguardo repentinamente evolvere .
Un’ ultima considerazione sulla questione delle failures; non è un caso o una “ forzatura” quella di
focalizzare la nostra attenzione su tali fenomeni, ma la realtà delle failures è estremamente più
complessa delle peggiori previsioni pessimistiche che si vogliano fare ( non per niente si fa
riferimento a Murphy….”..c’è sempre qualcosa che deve andar storto…”). Allora in tale complessa
realtà bisogna cercare un “esile filo logico” per individuare la soluzione adatta ai nostri obiettivi.
Facciamo un esempio di tale “esile filo logico” per capire cosa voglia dire nella pratica progettuale:
la fenomenologia di failure nel campo della sollecitazione di trazione è complessa, non è una mera
“resistenza a trazione “ del materiale ( abbiamo già capito che quel dato non si usa “di getto” in
progettazione, altri sono i dati da considerare). Allora quando usare quel dato di resistenza a
trazione del materiale? Solo nelle verifiche statiche dell’aeromobile nei confronti del “carico
estremo”, ai fini del soddisfacimento dei requisiti delle relative normative, per i cosiddetti “carichi
estremi “da dover soddisfare secondo tali norme, in quanto il carico estremo, come già detto è un
carico imposto da normativa che non si verifica mai in esercizio (alcuni esempi di coeff. di sicurezza
“carico estremo”/”carico limite”: minimo 1,5 come detto precedentemente, o 1,25 per i fusi laddove,
invece, ho collegamenti di estremità o zone di fittings, intesi come zone di passaggio obbligato del
carico, ho coefficienti ulteriori aggiuntivi di 1,15 ).Certo, la cosa che conviene è non essere in
condizioni di limite di soddisfacimento della normativa, ma di avere un certa differenza: questo mi
sarà certamente di aiuto in relazione alle verifiche a fatica! Allora, da tale esempio possiamo dedurre
subito quale è tale “esile filo logico”? Devo cercare di progettare il mio componente in modo da
stare a bassi livelli di stress!!! Solo così governo al meglio le possibili problematiche che
possono insorgere ( ovvio, senza esagerare, altrimenti rischierei di avere elementi estremamente
tozzi e pesanti, ed il nostro aeromobile non sarà ottimizzato in peso! ). Chiaro che la geometria del
pezzo diventa importante, vedi eventuali influenze di raccordi, intagli, ecc. con conseguente
incremento dello stress. In tal caso, bisogna ancor di più porgere attenzione al livello di stress e al

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relativo incremento di tensione locale, oltre a pormi, in ogni caso, in progettazione del tipo “no crack
grow”, ai fini del soddisfacimento di tutti i fondamentali requisiti di progettazione e di
soddisfacimento delle normative.
Comunque, dopo tali aspetti, saremo tra poco in grado di giungere a concepire un materiale che
racchiuda quanto di buono si possa aspettare in termini di caratteristiche a noi utili, perciò il suo
utilizzo sarà di vasto impiego in campo aeronautico. Questo ci aiuterà soprattutto per quanto
riguarda il fattore “spessore” della lamiera da impiegare: usare una lamiera in lega vuol dire rifarsi a
spessori consoni, “normalizzati” a quelli di produzione, perciò ci si deve rifare a quelli
“normalizzati” che trovo sul mercato, quindi in fase di progetto devo tener conto di ciò. Al contrario
un materiale creato “ad hoc” da noi permette di aggirare tale problematica. Prima di introdurre tale
materiale “alternativo” approfondiamo meglio alcuni aspetti delle leghe 2024 e 7075, essendo due
materiali ampiamente impiegati in casa Agusta ( vedi il caso del modello EH 101 ), rifacendosi ad
alcuni diagrammi specifici ( vedi in appendice) di “endurance” dei 2 materiali e di “damage
tolerance”.
I diagrammi in termini di “endurance” sono ricavati per “notched Al-alloy sheet”, cioè la lamiera
presenta un intaglio ( con conseguente aumento di stress). Il 7075 ha miglior resistenza alla trazione
ma allungamento leggermente inferiore al 2024; inoltre a fatica, il 7075 ha una “endurance”
migliore, perciò, se devo realizzare elementi con peso da ridurre, scelgo il 7475, essendo più
“generoso in termini di caratt. A fatica e trazione”, ma se analizzo l’ultimo diagramma in appendice
( diagramma “velocità prop.cricca / ∆K” ), si ha che nel campo della “no crack grow” il 2024 T3 ha
una velocità di propagazione della cricca più bassa, o al limite, ricorrere al 7475 T61 che presenta
caratteristiche intermedie. Come gestire allora tutti questi dati per la realizzazione di un aeromobile?
Scelgo il 2024 T3 per lamiere, invece il 7075 o 7475 per macchinati ( per lamiera è difficile da
operare, in quanto non lo trovo sul mercato per spessori inferiori ad 1 mm, e, soprattutto, non si
riuscirebbe a sfruttarlo al massimo per non incorrere negli inconvenienti di instabilità, reiteratamente
descritti in precedenza.

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MATERIALI ALTERNATIVI
Abbiamo già parlato del materiale composito laminato “grafite/epoxy “ 0/90/0/90/0/90, dicendo che,
nonostante i dati in termini di resistenza meccanica fossero veramente buoni, presentava, comunque,
una serie di fattori a suo svantaggio. Ulteriori fattori negativi di tale materiale sono il “decadimento
ambientale”: le loro caratteristiche meccaniche decadono all’aumentare della temperatura e
dell’umidità e per affrontare tali inconvenienti ( anche perché il sistema in tale composito si trova
sempre in zone a temperature elevate, vedi la zona motore, ecc.) si ricorre in fase di progettazione
agli “ammissibili decaduti”, il che vuol dire “penalizzare” ulteriormente il materiale con ulteriori
fattori di sicurezza ( non solo l’effetto della lavorazione da parte dell’operaio che realizza il
composito, come già detto). Il risultato di queste penalizzazioni va a scapito del risparmio del peso
della struttura, oltre al fatto che avrei a che fare con un materiale con fibre soggette potenzialmente a
“peeling” ( si “scollano” cioè, matrice, fibre e rete metallica ).
Stando nel campo dei “materiali convenzionali”, ci farebbe comodo avere materiali con modulo E
elevato ( molto più dei valori di E relativi ai tre materiali tabellati precedentemente ) e con valori di
resistenza mecc. simili a quelli in tabella e senza andare a scapito del peso specifico: sappiamo che
l’acciaio, che soddisferebbe tali requisiti, non né opportuno ( già ampiamente spiegato il perché
precedentemente), allora questo materiale lo dobbiamo “creare” noi, sfruttando “ad hoc”
caratteristiche meccaniche e geometria della sezione.
Partiamo da una lamiera di larghezza l = 1m e spessore t = 0.7 mm, materiale 2024 T3, quindi la
lamiera presenta una sezione rettangolare l x t, con conseguente area A = l x t, modulo di inerzia
J = 1*t3/12 , per cui il modulo di rigidezza assiale = E x A = E x l x t, modulo di rigidezza flessionale
E x J = E x l x t3 / 12.
Ora prendo tale lamina e la divido in 2 lamine separate di spessore 0,35 mm e vi inserisco un
materiale “separatore” molto leggero di spessore h ( vedremo tra poco che funzione svolge tale
separatore ).

Spess. t/2
Spess. h
Spess.t/2

Come si ripercuote il tutto sulle rigidezze? Quella assiale rimane la stessa ( non faccio altro che
separare in due la lamina ), ma il modulo di inerzia ( e quindi la rigidezza flessionale ) cambia:
J’ = 2 x ( t/2) x ( h/2 )2. In particolare , con h = 12,7 mm , J’ >>> J ( h prevale molto rispetto a t! ),
per cui sono riuscito a creare un materiale che, come prima caratteristica, mi dà una rigidezza

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flessionale centinaia di volte superiore a quella della semplice lamiera in lega. Questi materiali
vengono comunemente definiti “materiali sandwich”.
Vediamo meglio questo elemento di separazione: è il classico e famosissimo “ nido d’ape ”
(honeycomb cores ).Tale separatore esiste già in mercato sottoforma di “pani” con spessori
preimposti ( 1 inch , ¾ inch, ½ inch , ¼ inch ..n.b. proprio il nido d’ape da ½ inch = 12,7 mm di cui
prima). Analizzando la struttura del nido d’ape , ho che le forme delle celle sono esagonali,
rettangolari, o in alcuni casi forme del tipo “flex-core”, adatto per quei casi ove il materiale si
inflette in ambo i lati.
Lo spessore del materiale del nido d’ape è dell’ordine dei centesimi ( vi è sempre la questione
“peso”) ed è tipicamente realizzato in “Alluminio + cartone + resina” ( il ”NOMEX” ), difficilmente
ricorreremo a schiume poliuretaniche ( foam ). Il tutto come va a modificare il “fattore peso”? Lo
vediamo subito in termini numerici: 1 m2 di tale core impiegato da noi pesa circa 400 g. ma a ciò
dobbiamo anche aggiungere il peso della colla strutturale messa a caldo. Qui il peso varia a seconda
se il core è “supportato” ( ossia vi è una retina supplementare che impedisce il colamento della colla
) o “non supportato” ( cioè non vi è tale retina). Nel primo caso ho un peso supplementare di 300 g.
tra colla + retina, nel secondo caso “solo” 146 g.
Quindi, rispetto al “peso base” della lamiera in lega 2024, tale materiale sandwich presenta un peso
supplementare di max. 700 g. (che è ben poca cosa) ma con caratteristiche migliori. Quale è,
comunque, la specifica funzione della colla? Sempre per evitare fenomeni di “peeling”, la colla deve
resistere al taglio traverso ( da non confondere con taglio nel piano, perché lo sopporta la “skin”,
cioè la “pelle”, rappresentata dalla lamina sottile di lega 2024) .
Avendo a disposizione tale materiale sandwich con tali ottime caratteristiche di rigidezza, non ho
bisogno di stiffener per irrigidire ulteriormente strutture convenzionali: la struttura in nido d’ape è
già sufficientemente rigida, per cui sarà pure vero che impiego un peso supplementare del core, ma
vado a risparmiare ( e non poco!!!) sul peso dei correnti e dei longheroni che avrei dovuto usare per
irrigidimento, con impiego di materiali comuni: ho, così, un “materiale a resistenza diffusa “, e non
più “concentrata”, visto che il nido d’ape è in grado da solo di compensare a svariate sollecitazioni,
in primis i tagli e la flessione, contrastando anche le possibili failure.
Un piccolo “neo” che possiamo additare a tale materiale è che spesso esso va “scaricato” per la
chiodatura/rivettatura, in quanto non posso chiodare una zona con un nido d’ape interposto. Perciò vi
è la necessità di un rinforzo di bordo per garantire la opportuna rigidezza anche nella zona
chiodata/rivettata, per sopperire alla locale carenza di nido d’ape.

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