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La Tecnologia dei Materiali Compositi Avanzati nella Realizzazione delle

Strutture Aeronautiche.
Prof. Ing. Giulio ROMEO, Professore Ordinario di Progetto di Aeromobili e di Strutture
Aerospaziali
POLITECNICO DI TORINO – Dip. di Ing. Meccanica e Aerospaziale
C. Duca degli Abruzzi 24 - 10129 TORINO

Introduzione

La riduzione del peso delle strutture è uno degli obiettivi principali nella progettazione di un aeromobile in
modo da ottenere, a parità di carico pagante, un sensibile risparmio del consumo di combustibile.
Con la crisi del petrolio, dagli inizi degli anni ’70, le compagnie aeree e le industrie aeronautiche hanno dovuto
tener conto degli effetti che il forte incremento subito dal prezzo del petrolio ha prodotto sulla gestione delle
stesse linee aeree. Si è passati infatti da un costo del combustibile di 0,12 $/gallone del 1973 ad uno di
1$/gallone del 1980, di 0,5-0,6 $/gallone degli anni ‘90, tra 0.7 e 1,8 $/gallone nel periodo 2001-05, ha
raggiunto un picco di 3,7 $/gallone nel 2008, mediamente intorno a 2,9 $/gallone nel periodo 2011-14, per
scendere intorno a 1,5 $/gallone nel primo semestre 2015.

Anche per tale motivo, ma anche per ridurre fortemente l’immissione di sostanze inquinanti derivanti dalla
combustione, tutte le ditte aeronautiche hanno introdotto i materiali compositi avanzati per la realizzazione
delle strutture che possa condurre (insieme ad una maggior efficienza del progetto aerodinamico e dei sistemi di
propulsione) ad un risparmio di combustibile del 20-40%.
Un reale e notevole contributo alla riduzione del peso nella realizzazione di strutture primarie e secondarie
viene offerto al progettista dall’impiego dei materiali compositi avanzati. Innumerevoli sono le strutture
aeronautiche fino ad oggi realizzate con tali materiali ottenendo delle riduzioni di peso, rispetto alla struttura in
lega di alluminio, che vanno dal 10% al 30%. Le strutture secondarie (tipo impennaggi, flap, alettoni, etc.)
fanno parte della produzione in serie di diversi velivoli, sia civili che militari, sia da trasporto che da
combattimento, fin dagli anni ’80. Già da decine di anni è stata realizzata con tali materiali anche l’intera
struttura alare e buona parte della fusoliera di diversi velivoli da combattimento (Harrier, EFA, F-18, Rafale,
etc.)
Negli ultimissimi anni i due produttori di riferimento del mercato aeronautico civile, Boeing e Airbus, hanno
presentato audaci progetti di velivoli (B-787, A-350XWB) in cui i materiali compositi sono impiegati in
maniera estesa anche nelle strutture primarie. Circa il 50-53% della struttura è realizzata in materiale composito
(prevalentemente in fibra di carbonio), ottenendo un risparmio in peso di oltre il 20%. Inoltre tali strutture
conducono ad una sensibile riduzione dei costi di manutenzione rispetto alle strutture in alluminio visto il
miglior comportamento a fatica dei compositi.

Impiego Materiali nel B-787 (alto) e A-350-XWB (basso)

La grande sfida di tali progetti sta nella costruzione, e certificazione, della fusoliera e dell’ala. La forte
innovazione, e gli importanti problemi rispecchiati in grandi ritardi nelle consegne del prodotto finito, consiste
nella dimensione del velivolo; in entrambi i casi si tratta di velivoli a lunga tratta, capaci di trasportare
mediamente 300 passeggeri. L’impiego di materiali compositi ha permesso di ridurre il peso a vuoto del
velivolo ed i consumi di carburante e di soddisfare le sempre più stringenti norme ambientali.
L’idea alla base dei materiali compositi è quella di unire e ottimizzare in un solo materiale proprietà
meccaniche riscontrabili separatamente in due o più materiali diversi tra loro. La combinazione delle fasi, in
varie proporzioni e forme, dà origine a un nuovo materiale che mette in evidenza le caratteristiche migliori dei
due componenti. Delle due fasi i due materiali costituenti di partenza, uno, il rinforzo, è solitamente costituito
da fibre che hanno lo scopo di conferire maggiori resistenza e rigidezza al materiale finale, mentre l’altro, la
matrice, è in forma continua e destinata principalmente a determinare la geometria della struttura mantenendo la
disposizione data alle fibre.
Per meglio far risaltare i vantaggi di questi materiali può essere utile il confronto tra le caratteristiche
meccaniche lungo la direzione delle fibre di alcuni materiali compositi con fibre unidirezionali e quelle dei
materiali metallici maggiormente usati nelle costruzioni aerospaziali; fa eccezione il composito in kevlar il
quale presenta uno scadente comportamento alla compressione.
Le caratteristiche meccaniche dei materiali compositi possono subire delle lievi o sensibili diminuzioni a
seconda della disposizione delle fibre nella formazione del multistrato; poiché lo spessore di ogni strato è di
circa 0,1-0,2 mm sarà necessario disporre un numero adeguato di strati a 0°, 90°, ±45°, etc. Inoltre, dipendono
dalla percentuale in volume di fibra all’interno del composito; normalmente i compositi in carbonio hanno un
60% di volume in fibra; quelli in kevlar circa 45-50%.

Cenni sulle fibre e matrici maggiormente in uso


Sebbene i materiali compositi in fibra di vetro siano stati utilizzati nelle strutture aeronautiche (soprattutto
alianti) sin dagli anni ’50, i materiali compositi avanzati sono stati sviluppati nella seconda metà degli anni ’60.
Una considerevole quantità di mezzi e di denaro fu spesa in USA per lo sviluppo delle fibre di boro ottenendo
rimarchevoli successi, anche se a costi relativamente elevati, mentre in Giappone l’attenzione fu concentrata
sulla produzione delle fibre di carbonio. Agli inizi del ’70 è stata inoltre presentata sul mercato una nuova fibra
organica, Kevlar, prodotta dalla du Pont de Nemours.
Le fibre di carbonio sono oggi quelle maggiormente utilizzate; sono ottenute per pirolisi del Poliacrilonitrile,
dapprima con una reazione primaria a 200-250°C, quindi per successiva carbonizzazione/grafitizzazione in
atmosfera di gas inerte a temperature di 1.400-3.000°C; durante tale fase si ottengono le fibre con una struttura
cristallina simile a quella classica della grafite con infiniti piani a traliccio paralleli tra di loro. Le ottime
caratteristiche meccaniche delle fibre dipendono da diversi parametri quali lo stretching che si applica alle fibre,
durante la reazione primaria, per aumentare l’orientamento preferenziale dei cristallini e dalla temperatura di
carbonizzazione; alle temperature di circa 1.400 – 1.500°C si ottiene infatti una tensione di rottura a trazione
più elevata (ma con moduli elastici longitudinali più modesti), mentre alle temperature più elevate si ottengono
degli elevati valori della rigidezza del materiale. Variando la temperatura di grafitizzazione ed il grado di
stretching si hanno 5 diversi gruppi principali di fibre:
- UHM (Ultra High Modulus)
 Tensile elastic modulus: 600 GPa or higher
 Tensile strength: 2,500 MPa or higher
- HM (High Modulus)
 Tensile elastic modulus: 350-600 GPa
 Tensile strength: 2,500 MPa or higher
- IM (Intermediate Modulus)
 Tensile elastic modulus: 280-350 GPa
 Tensile strength: 3,500 MPa or higher
- HS (High Strength)
 Tensile elastic modulus: 200-280 GPa
 Tensile strength: approximately 2,500 MPa or higher
- VHS (Very High Strength)
 Tensile elastic modulus: 200 GPa or lower
 Tensile strength: 3,500 MPa or lower

Per cui viene offerta al progettista la possibilità di scegliere il materiale più idoneo alle proprie necessità. Per
migliorare l’adesione con la matrice, le fibre vengono rivestite superficialmente con appretti epossidici (o altri)
compatibili ed in grado di reagire chimicamente, in fase di impregnazione, con la matrice. I filamenti hanno
diametro compreso tra 5-7µm. La resistenza all’urto di tali fibre è inferiore a quella delle fibre di vetro o di
aramide, ed è soprattutto marcata per fibre di modulo alto e ultra-alto.
Le fibre di boro vengono realizzate per decomposizione termica del tricloruro di boro su un sottile filamento di
tungsteno (diametro 0,013mm) elettricamente conduttivo. Riscaldando il filo di tungsteno per effetto Joule fino
ad una temperatura compresa tra 900 e 1.400°C, nella camera di reazione, in presenza si idrogeno, avviene la
decomposizione del tricloruro e conseguente deposizione di uno strato di boro abbastanza spesso (0,05mm)
sulla superficie di tungsteno. La fibra finale ha uno spessore di circa 0,14-0,20 mm. Poiché la superficie del
tungsteno presenta delle irregolarità, anche la fibra di boro che si ottiene presenta tale irregolarità; e ciò
favorisce fortemente, in una fase successiva, l’adesione con la matrice (adesione di tipo meccanico). Per
ottenere un prodotto omogeneo (esente cioè da vuoti e da cricche) il processo deve avvenire a temperature ben
controllate ed a velocità di produzione molto basse (circa 150 m/h) da cui deriva l’elevato costo del processo.

Tow e Nastro unidirezionale non tessuto in fibra di carbonio

Fibra di vetro in filo su spolette e in tessuto Fibra aramidica in tessuto


Le fibre aramidiche (ARomatic polyAMIDE) (la più famosa delle quali è il kevlar prodotto dalla Du Pont,
sebbene vi siano altri produttori), vengono ottenute dalla filatura di un polimero organico (p-fenilene
tereftalamide) dando origine ad una struttura molecolare e cristallina in cui anelli benzenici sono collegati tra di
loro da legami lineari; è disponibile sotto forma di rovings dai 125 ai 10 000 filamenti a seconda della
lavorazione che seguirà. Combinano bassa densità, di circa 1,45g/cm 3, con alta resistenza a trazione e all’urto,
mentre la resistenza a compressione è molto bassa (in virtù della struttura molecolare). L’elevata tenacità lo
rende un materiale difficile da rompere o tagliare, implicando lo sviluppo di particolari utensili per permettere
la lavorazione. Il punto debole di questo materiale, soprattutto dal punto di vista aeronautico, è dato dalle
scarse prestazioni in presenza di condizioni ambientali ostili come l’umidità. La presenza di rami esterni alla
struttura ad anello terminanti in ossigeno o in idrogeno favorisce l’aggregazione dell’acqua. Questa si lega alla
struttura polimerica, viene assorbita, e il materiale si gonfia e perde le sue caratteristiche meccaniche.
Le fibre di vetro sono ricavate da trafilatura di vetro liquido o solido ma ancora in forma plastica ottenuto dalla
fusione di prodotti di cava (sabbia, caolino, carbonato di calcio); all’uscita delle boccole i filamenti vengono
tirati in modo da diminuirne il diametro e raffreddati. In seguito vengono rivestiti di polimeri per evitare che si
incollino tra loro e assemblate in fili o in rovings, a seconda che la congiunzione sia più o meno stretta.
Vengono poi avvolte su un supporto, asciugate e cotte. Il diametro delle fibre ottenute varia tra 5 e 24µm. le
fibre caratterizzate da superficie maggiore implementano la produttività e forniscono migliore coesione con la
matrice.
Il materiale di rinforzo si colloca all’interno della matrice sotto-forma di fibra per incrementarne le
caratteristiche meccaniche. I principali fattori da cui dipende il contributo del rinforzo all’assorbimento delle
sollecitazioni meccaniche sono:
 Le proprietà meccaniche della fibra stessa
 L’interazione superficiale (interfaccia) tra fibra e matrice
 Il rapporto in volume tra fibra e matrice
 L’orientazione delle fibre nel composito
L’interazione tra fibra e matrice è determinata dal grado di adesione tra i due materiali ed è risultato soprattutto
del trattamento superficiale applicato alla fibra.
La lunghezza delle fibre può variare da pochi millimetri (rinforzi particellari e whiskers) a qualche centinaio di
metri a seconda dell’uso cui è destinata la struttura finale. Le fibre sono poi raggruppate in fasci (tow da 3.000 a
24.000 filamenti: 3K, 6K, 12K e 24K) che verranno poi convertiti in altre configurazioni quali fibre tagliate
(chopped), nastri (tapes) unidirezionali, tessuti filati (fabrics), trecce tubolari (braid), mat, asciutti o con una
parte di resina nel caso dei preimpregnati o prepreg. Ognuna di tali configurazioni possiede caratteristiche
fisiche e meccaniche particolari ed è destinata ad un uso differente a seconda della distribuzione dei carichi che
dovranno essere sopportati, della forma desiderata e del processo di lavorazione che subirà la struttura.
Matrice: Mentre le fibre hanno il compito di sopportare i carichi a cui la struttura è soggetta, assicurando
quindi la voluta rigidezza e resistenza, diversi sono i compiti demandati alla matrice: fornire una buona e
uniforme adesione con le fibre; distribuire il carico esterno tra le fibre in modo relativamente uniforme;
mantenere le fibre allineate nella posizione voluta; proteggere le fibre da abrasioni, impatti, umidità, eTc.;
evitare entro certi limiti lo scorrimento tra due strati contigui.
Un’ importante peculiarità dei sistemi di resine è la possibilità di evitare il degrado causato dall’ingresso di
acqua. L’aspetto di maggiore importanza dell’assorbimento di umidità da parte della resina è che l’acqua andrà
ad interferire con il legame tra fibra e matrice, portando a graduale perdita di proprietà meccaniche.
L’orientamento più seguito fu quello di ricorrere all’uso delle resine termoindurenti, in quanto riescono a
sopportare delle temperature più elevate, orientandosi verso le resine epossidiche, bismaleimidiche e poli-
immidiche; le prime hanno trovato vasta applicazione in tutte quelle strutture dei velivoli subsonici e transonici
in cui non si superano in modo continuo i 150°C; le seconde e le ultime sono state sviluppate per strutture di
velivoli supersonici in cui la temperatura massima raggiungibile, per brevi periodi, non superi i 215°C e 315°C,
rispettivamente.
Le resine epossidiche sono quelle maggiormente utilizzate per le strutture aeronautiche fino ad oggi realizzate;
presentano buone proprietà meccaniche ed un’ottima resistenza agli agenti chimici; inoltre hanno un ritiro quasi
trascurabile (rispetto alle resine poliestere).
Il processo di cura è affidato a un catalizzatore o a una indurente aggiunto in soluzione alla resina. È
fondamentale assicurare il giusto rapporto di resina e di agente curante, in quanto questi reagiscono
chimicamente, quando esposti al calore, in proporzioni fissate. Quando viene fornito calore, la viscosità del
sistema aumenta fino che non si ha più un liquido in grado di scorrere; dopo questo stadio, detto punto di gel,
l’indurimento continua fino quando la resina raggiunge la consistenza finale. La velocità della cura è controllata
variando il tipo, non la quantità, di indurente o di catalizzatore, e dalla quantità di calore fornito. Per
applicazioni particolari possono essere aggiunte delle sostanze chimiche appropriate: elastomeri per conferire
tenacità, difenoli bromurati per conferire proprietà ignifughe; etc.
Nell’utilizzare tali resine è assolutamente necessario prendere delle precauzioni igienico-ambientali a
salvaguardia della salute del lavoratore (ventilazione dei locali di lavoro, dispositivi di aspirazione di tavoli di
lavoro, etc.); è estremamente pericoloso riscaldare la resina fino alla temperatura di decomposizione (circa
450°C) in quanto si formano fumi altamente tossici.
In questi ultimi anni i ricercatori stanno mettendo a punto delle matrici di resine termoplastiche con l’obiettivo,
anche, di abbreviare i tempi di polimerizzazione; inoltre presentano il vantaggio di essere più tenaci della
maggior parte delle termoindurenti.
Quando le temperature di esercizio sono troppe elevate non è più possibile utilizzare una matrice polimerica,
per cui si fa ricorso a matrici metalliche in titanio oppure a matrici di carburo di Silicio; in questi casi, si
utilizzano le fibre di carbonio (ma con le dovute precauzioni) oppure, meglio, le fibre anch’esse in carburo di
silicio.

Composito Fibra/Resina
Dopo aver esaminato separatamente la tecnologia dei due costituenti il materiale composito, si descrive la
tecnologia di produzione ed il processo di polimerizzazione del materiale composito stesso.
Interfaccia fibra matrice. La forza del legame tra fibre e matrici è una caratteristica fondamentale, in quanto
definisce la modalità e i meccanismi di rottura del composito. Da essa conseguono tutte le altre caratteristiche
meccaniche del materiale. Infatti, quando il carico è allineato alle fibre, sono queste a sopportare il massimo
sforzo, ma quando il carico non è allineato all’asse delle fibre, viene caricata l’interfaccia. È a questo livello che
inizia la frattura, perché possiede minore resistenza rispetto ai due componenti. La spaccatura può avvenire
lungo le fibre, ed è riparabile, oltre a mantenere integre entrambe le componenti, o trasversalmente alla fibra,
nel qual caso può procedere gradualmente creando discontinuità in vari strati in tempi diversi, assorbendo così
maggiore energia e fornendo quindi maggiori possibilità di controllo della propagazione. L’energia totale di
rottura si compone di molti fattori, tra cui i carichi, la geometria e le caratteristiche del materiale, che devono
tutti essere riproducibili per una esatta determinazione dei carichi sopportabili, dei coefficienti di sicurezza e
per i criteri di previsione.
Per rinforzare l’adesione tra matrice e fibre vengono applicati a queste ultime dei trattamenti superficiali,
chimici o meccanici. I trattamenti meccanici aumentano la rugosità della superficie (tipo fibra di boro),
fornendo maggiore aderenza tra i due componenti; i trattamenti chimici formano dei gruppi che reagiscono con
la matrice formando con essa dei legami. Questo tipo di lavorazione è applicato, ad esempio, alle fibre di vetro,
la cui superficie si presenta molto liscia a seguito del processo che le produce, dove si usa un agente chimico
accoppiante in cui un’estremità della molecola si lega al silicio, l’altra alla matrice. Le fibre di carbonio, invece,
sono trattate con un agente ossidante. La forza del legame in questo caso è determinata dalla temperatura di fine
trattamento durante la produzione: più questa temperatura è alta, più le molecole di carbonio tendono a
allinearsi alla superficie della fibra, risultando in una minore propensione a legarsi con la resina. L’allineamento
alla superficie è la spiegazione sul piano molecolare dell’aumento del modulo delle fibre. Questo tipo di
materiale vede una particolarità rispetto agli altri da cui vengono prodotti rinforzi, in cui si mira solo a
rinforzare l’interfaccia, nel fatto che il trattamento superficiale deve essere ben controllato e ottimizzato
affinché non si produca un legame troppo forte tra carbonio e resina, che renderebbe il composito fragile.
Dal punto di vista della matrice, è necessario notare che non tutti i tipi di resina accolgono allo stesso modo i
trattamenti superficiali delle fibre; alcuni tipi sono più sensibili di altri, probabilmente a causa di particolare
proprietà chimiche all’interfaccia. La non corrispondenza tra l’espansione termica delle fibre e delle resine può
condurre a stress all’interfaccia; inoltre, alcune resine posso presentare proprietà diverse tra il corpo del
materiale e la superficie. La forza che lega matrice e rinforzo, quindi, è funzione di molti fattori, che vanno
valutati con cura e testati.
I parametri principali che determinano il legame fibra/matrice sono la viscosità e la tensione superficiale. La
viscosità in particolare influisce sulla scelta della resina, se termoplastica o termoindurente: le resine
termoplastiche sono più viscose di quelle termoindurenti quindi necessiteranno di mezzi differenti per garantire
la capillarità tra le fibre, come ad esempio l’applicazione di pressione.
Le lamine vengono poi consolidate, creando un contatto profondo tra i vari strati. Questo stadio mira anche a
rimuovere l’aria che rimane intrappolata, determinando la qualità del pezzo. Il consolidamento vede una fase di
flusso della resina attraverso le porosità, in cui questo componente è il solo a essere sottoposto alla pressione
applicata, e un’altra in cui le fibre subiscono una deformazione elastica a seguito dell’aumento della pressione e
dello scorrere della resina. L’ultimo passaggio e la solidificazione, che richiede tempi più o meno lunghi a
seconda che la resina sia termoindurente o termoplastica. In questo lasso di tempo viene mantenuta la pressione
applicata allo stadio precedente. Per accelerare i tempi di cura della resina, e quindi aumentare la produzione, si
fornisce calore al sistema in quanto, più è alta la temperatura più veloci sono le reazioni tra la catene
polimeriche.
Sebbene siano diverse le tecnologie impiegate per la produzione del composito sono due i metodi
maggiormente impiegati nel campo aeronautico.
Con il primo (filament winding) il composito viene attuato direttamente durante la realizzazione della struttura
stessa. E’ un metodo che si presta molto bene per la produzione di corpi cilindrici o sferici, ma può essere usato
anche per forme più complesse, tipo pale di elicotteri o di generatori eolici. Consiste nel far passare le fibre
attraverso un contenitore in cui si trova la resina allo stato liquido, per poi avvolgerla, opportunamente
impregnata, sullo stampo con un’angolazione voluta variabile strato per strato. Raggiunto lo spessore finale si
effettua la polimerizzazione del composito ed infine si estrae lo stampo. Il punto delicato di tale processo è la
capacità di assicurare un costante rapporto tra il contenuto della resina e quella della fibra con conseguente
variazione lungo l’asse sia delle caratteristiche meccaniche che del peso.

Nel secondo metodo (pre-preg o pre-impregnato), le fibre sono impregnate di resina, in un processo distinto
da quello di realizzazione della struttura, ottenendo nastri di fibre unidirezionali o tessuti con fibre disposte a
0/90° o anche a ±45°, con differenti valori di spessori, peso, dimensioni, contenuto di resina, etc. Le fibre così
impregnate subiscono una parziale polimerizzazione (B-stage) in modo da fornire al composito una prima
necessaria compattezza, ma lasciandone inalterate le caratteristiche di lavorazione (taglio nelle dimensioni
volute, piegatura nella forma opportuna, stratificazione fino allo spessore di progetto, etc.).
Questo metodo è quello oggi maggiormente usato dalle industrie aeronautiche in quanto lascia a ditte chimiche
altamente specializzate (Hexcel, Saati, Cytec, Textreme, etc.) il compito di produrre i pre-preg (la cui
produzione è controllata entro precisi margini di tolleranza e di qualità), riservandosi esse stesse solamente il
processo di stratificazione e di polimerizzazione completa del composito. Conservati a -18°C tali pre-preg, a
seconda del sistema di resina, hanno una durata variabile di 6 – 18 mesi, oltre ad una durata di lavorabilità a
temperatura ambiente di 15-60 giorni.
I nastri unidirezionali sono ricavati disponendo parallelamente tra loro tows o rovings . Un sottile strato di carta
siliconata, che verrà rimosso al momento dell’utilizzo del materiale, impedisce poi che nell’avvolgimento su
bobina i vari strati si attacchino tra loro; la larghezza del nastro può variare da un minimo di 1-2mm a un
massimo di circa 1000mm. Lo spessore di ogni singolo strato può variare tra 0,1 e 0,3 mm.
Poiché raramente i carichi applicati sono unidirezionali è necessario poter disporre le fibre con orientazioni
diverse. Questo è possibile sovrapponendo più strati di unidirezionali a diverse angolazioni, oppure creare dei
tessuti pre-preg in cui le fibre siano già orientate secondo precise direzioni. Molti sono i tessuti sviluppati a tal
fine, ma tra le numerose soluzioni le più comunemente adottate sono le configurazioni plain, in cui ogni
filamento di trama passa alternativamente sopra e sotto ogni filamento di ordito, e, viceversa, ogni filo di ordito
passa alternativamente sopra e sotto ogni filo di trama; twill, ogni filo di trama o di ordito passa sopra e sotto
due fili a esso perpendicolari, producendo un disegno diagonale; satin, ogni filo di trama e di ordito passa sotto
uno e sopra N fili ad esso perpendicolari. Questi disegni vedono crescere, nell’ordine descritto, la capacità di
adattarsi a superfici curve grazie al fatto che le fibre sono sempre meno rigide nello schema. Va ricordato che il
rinforzo costituisce solitamente il 55-60% dell’intero composito, e tale percentuale deve essere ripartita sulle
varie direzioni in cui sono orientate le fibre, e allo stesso modo le proprietà meccaniche ad esse collegate. la
larghezza del tessuto può raggiungere valori di circa 1,5-2 m.

Schemi delle principali orientazioni 0°/90°


Il fatto che siano le fibre a determinare la direzione di massima resistenza ai carichi applicati comporta un forte
comportamento anisotropo, più marcato nel caso di sole fibre unidirezionali che decresce con orientazioni a
due, tre o più direzioni fino all’orientazione casuale delle fibre tagliate.
Per avere fibre orientate nel maggior numero di direzioni possibili si sovrappongono vari strati di unidirezionale
o di tessuto, detti lamine, variando l’angolo dell’asse della lamina, che definisce la direzione delle fibre; le
lamine sovrapposte costituiscono un laminato. Dunque, la risposta della singola lamina sarà diversa a seconda
che venga sollecitata nella direzione delle fibre o in un’altra, e sarà legata, a parità di altre condizioni, alla
quantità di fibre impiegate. In teoria, poiché le caratteristiche meccaniche delle fibre sono superiori a quelle
della matrice, maggiore è la percentuale di rinforzi maggiori saranno le proprietà del materiale. In realtà questo
non si verifica, perché le fibre devono essere completamente coperte dalla matrice per essere efficienti; ci sarà
quindi un sistema di impacchettamento che ottimizza il numero di fibre in un volume dato. La quantità di fibre
(frazione in volume) dipende in gran parte dal processo produttivo adottato, per cui sarà maggiore nel caso di
impacchettamento stretto e minore in presenza di ampi spazi tra una fibra e l’altra o di fibre grossolane. Il
processo produttivo e il tipo di lavorazione porteranno a variazioni del massimo rapporto rinforzo-matrice
ottenibile; con processi di alta qualità si può raggiungere il 70% di rinforzo.
Oltre a questi due processi, ve ne sono altri, che vedremo in seguito, che meglio si prestano per la realizzazione
di manufatti, specie in campi diversi da quello aerospaziale. Gran parte di questi processi richiedevano
inizialmente operazioni eseguite a mano da operai altamente specializzati, mentre, negli ultimissimi anni, sono
stati provvisti di un altissimo livello di automazione, che ha richiesto l’ingresso in questo settore di aziende
specializzate nella robotica e nella lavorazione, in una indispensabile collaborazione con i produttori di
compositi e con le aziende che li trasformano in prodotti finiti per il mercato, per le quali sarebbe stato
impossibile sviluppare internamente tecnologie, personale e strumentazione di pari livello. Questo elevato
grado di automazione ha condotto anche ad una sensibile riduzione dei costi di produzione delle strutture
rendendo sempre più efficiente l’impiego dei materiali compositi avanzati.
Processo di realizzazione di una struttura multistrato.
La tecnica maggiormente utilizzata dall’industria aerospaziale internazionale è quella dell’impiego di pre-preg
con processo di polimerizzazione sotto vuoto ed in forno o autoclave. Dopo aver lasciato stemperare i pre-preg
a temperatura ambiente in modo che possano riacquistare la necessaria flessibilità e lavorabilità, la prima
operazione che viene effettuata è quella del taglio delle singole lamine costituenti il laminato nelle dimensioni
opportune. Tale operazione può essere effettuata sia manualmente che automaticamente, sebbene sempre più
quest’ultimo sistema sia quello più diffuso, specie per una produzione di “serie”. Il taglio viene effettuato con
delle macchine a controllo numerico, anche per mezzo del laser o di sistemi water-jet ad alta pressione. I vari
strati vengono quindi stratificati con il prefissato orientamento fino a raggiungere lo spessore finale; durante la
stratificazione di forme complesse è preferibile effettuare dei pre-vuoti intermedi, per mezzo di un sacco a
vuoto provvisorio, per fare meglio assumere alle lamine la forma voluta.
Completata la disposizione dei vari strati di materiale composito si procede alla preparazione del sacco a vuoto,
prima dell’invio in autoclave, secondo un possibile schema come quello riportato in figura.

AIRTECH
Lo stampo d’appoggio, raffigurante il profilo finale della struttura, è usualmente in alluminio e deve essere ben
levigato se si vogliono ottenere delle buone finiture superficiali; lo stampo di alluminio presenta il vantaggio di
essere un buon conduttore di calore e di essere facilmente lavorabile ad un costo inferiore di quello dell’acciaio;
di contro ha un coefficiente di dilatazione termica molto maggiore di quello dei compositi e può indurre delle
diversità dimensionali e delle tensioni residue interne. Uno stampo in acciaio offre una maggiore durata ad un
maggior numero di cicli di polimerizzazione ed è utilizzabile anche fino a temperature di 300°C; ma per contro
presenta una maggior difficoltà di lavorazione e quindi dei costi maggiori. Quando si richiede una maggior
tolleranza dimensionale delle strutture vengono utilizzati degli stampi in invar, lega metallica Fe-Ni (fusoliera
B-787), oppure in carbonio; entrambi infatti posseggono un bassissimo valore di coefficiente di dilatazione
termica.
Sopra lo stampo viene sempre appoggiato (o spruzzato) un agente separatore (solido o liquido) impedendo così
che la resina possa aderire ad esso; viene quindi disposto il laminato in composito preparato in precedenza; se
questo lo si volesse ottenere con una pellicola protettiva spelabile successivamente (per eventuali incollaggi
successivi) si dispone, prima e dopo il laminato, un foglio di peel-ply; quindi si dispone un foglio di film
perforato che permette la traspirazione dell’aria e, eventualmente, il passaggio di resina; se il pre-preg da
polimerizzare ha un contenuto di resina in eccesso di quello teorico finale, si dispone uno strato, o più a
seconda del numero di lamine, di tessuto in fibra di vetro (bleeder) che possa assorbire quella parte di resina
eliminata dal laminato durante la polimerizzazione; se l’eccesso di resina è notevole è preferibile disporre una
striscia di tale tessuto anche sui bordi laterali del laminato; quando invece si usano dei pre-preg aventi un esatto
contenuto di resina si elimina tale operazione e si pone a diretto contatto del laminato il solo foglio di teflon. Se
si vuole ottenere una migliore finitura superficiale anche della superficie superiore viene disposto un contro
stampo in modo da esercitare una migliore pressione sul laminato; viene quindi disposto un breather per
facilitare l’evacuazione dell’aria.
Intorno al laminato si dispone una striscia di fibra di vetro o di breather su cui appoggiare in due angoli opposti
le valvole per il vuoto e permettere una più facile evacuazione dell’aria all’interno del laminato; bisogna anche
prevedere l’installazione di un vacuometro; viene fissato infine, quasi ai bordi dello stampo, il sigillante per la
tenuta del sacco a vuoto; prima di sigillare il sacco vanno collegate al laminato una o più termocoppie per il
monitoraggio della temperatura durante il ciclo di polimerizzazione. Effettuato un vuoto di circa 700-750
mmHg (70-75kPa) è necessario verificare che non vi siano perdite nel sacco, controllando che il vuoto non
perda più di 125 mmHg (12.5 kPa) in 5 minuti. Naturalmente esistono molte variazioni alla sequenza sopra
descritta e dovuto al continuo perfezionamento a cui lo stesso processo è soggetto.
Comunque venga formato, il laminato va quindi inviato a ricevere l’opportuno ciclo di polimerizzazione. Ci
sono molti modi diversi per procedere alla cura, dalla più semplice a temperature ambiente, a quello che
prevede l’esposizione al calore e all’uso combinato di calore e pressione o vuoto. La maggior parte dei
compositi ad alte prestazioni richiede cura ad alte temperature e pressioni, condizioni raggiungibili con l’ausilio
di un’autoclave. A causa degli alti costi operativi solitamente si procede alla cura in autoclave di un certo
numero di pezzi simultaneamente. Un sistema computerizzato controlla attivamente temperatura, pressione,
vuoto e atmosfera inerte, che permettono il monitoraggio e la supervisione della cura e massimizzano
l’efficienza.
Il calore è fornito secondo uno schema preciso: la temperatura è innalzata linearmente fino a un dato valore,
ottenuto dopo numerose prove, poi è mantenuta costante per uno specifico periodo di tempo, e infine abbassata
gradualmente per evitare distorsioni causate da espansione e contrazione disomogenee. Quando questo ciclo è
terminato e il pezzo curato è smontato dagli stampi può seguire un ciclo di post-cura, senza stampi, che consiste
nell’ulteriore esposizione a temperatura più elevata di quella impiegata nel ciclo precedente (ma senza applicare
alcuna pressione) per aumentare la densità dei legami. Più nel dettaglio, la cura ha la funzione di iniziare e
sostenere le reazioni chimiche, riducono la viscosità della resina dallo stato semi-solido a liquido, e in seguito
aumentarla attraverso lo stato di gel fino a quello di vetrificazione. Per indagare questo complesso cambiamento
nelle proprietà viscoelastiche, funzione della temperatura e del tempo, vengono condotte molte prove prime
della produzione definitiva.
All’interno dell’autoclave si assume che si siano raggiunte le condizioni viscoelastiche finali quando termina il
ciclo messo a punto durante le prove. Vengono introdotti dei margini di sicurezza sul tempo e sulla temperatura
per assicurare la cura completa. Poiché il processo di cura deve essere strettamente controllato vengono
collegati fisicamente dei sistemi di monitoraggio alle apparecchiature che saranno supervisionati da un tecnico
durante l’intero ciclo (della durata di parecchie ore). Benché il tecnico possa adattare manualmente i vari
parametri di controllo per mantenerli entro i limiti prescritti, possono presentarsi vari problemi legati al
rilevamento dei dati in zone particolari del componente o dell’autoclave che inducono dubbi sulla effettiva
completezza della cura. Tali condizioni possono implicare il blocco del ciclo di cura, con la possibilità di dover
scartare un gran numero di parti molto costose.
Il ciclo di polimerizzazione in autoclave offre una maggiore flessibilità in quanto permette di curare più pezzi
contemporaneamente o pezzi di grosse dimensioni (anche fino a 30m di lunghezza con 6-7m di diametro); di
contro richiede un grosso capitale di investimento. I valori di temperatura e pressioni del ciclo di cura variano
generalmente in funzione del tipo di resina adoperata, per cui le ditte fornitrici indicano dettagliatamente le
varie fasi del ciclo da seguire. A volte le stesse ditte aerospaziali sperimentano, e poi adottano, diversi valori in
quanto conducono ad un più soddisfacente risultato delle caratteristiche fisico-meccaniche. In figura sono
riportati, a titolo esemplificativo, i cicli di polimerizzazione in autoclave di alcuni materiali compositi in resina
epossidica; il raffreddamento avviene in genere a 2-4°C/min.
Automated Fibre Placement (AFP) e Automated Tape Laying (ATL)
Si tratta di due procedimenti molto simili, particolarmente efficaci per applicare rinforzi in posizioni specifiche
delle strutture, dove i carichi si concentrano maggiormente. Entrambi impiegano preimpregnati a fibre continue.
L’AFP posiziona automaticamente file continue parallele di singoli tows su un mandrino a alta velocità, usando
una testina azionata da un sistema a controllo numerico (Computer Numerical Control, CNC) che li posiziona,
li fissa, li taglia e ricomincia il posizionamento su un tratto adiacente. La lunghezza minima di taglio, ossia il
taglio più corto di fibre che la macchina può realizzare, è essenziale per determinare la forma del pezzo che si
va a costruire. La testina che posiziona la fibre può essere montata su un robot multi-asse, in cui il mandrino o
la testina, o entrambi, si muovono dietro istruzioni di un software, o su una gru a ponte, gantry, o, ancora, di
seguito a una macchina per il filament winding. I tows sono prelevati da rastrelliere poste in prossimità della
testina; il numero di tows varia, a seconda della larghezza che si vuole raggiungere, da 1 a 32.
Il metodo AFP si rivela particolarmente adatto per oggetti di geometria complessa: stende tows larghi 3-6mm
affiancati che possono essere guidati su contorni a stretto raggio di curvatura e di 6-12mm per spigoli meno
acuti, dove nastri più larghi sarebbero instabili creando zone deboli nel laminato. Si può ottenere,
programmando il sistema computerizzato, qualunque orientazione delle fibre da 0° a 90°, in modo che la
struttura del laminato è modellata secondo i carichi che ci si aspetta dovranno essere sopportati. Il materiale è
posizionato senza stress né tensioni o pieghe con una precisa pressione applicata dal rullo di compattazione. Si
possono stendere nastri larghi 50mm considerando il processo ancora AFP, in quanto l’ATL li posiziona a
distanza leggermente maggiore tra loro.

AFP su una superficie concava con stretto raggio di curvatura


Il consolidamento in loco è operato tramite un rullo di compattazione che può essere riscaldato o raffreddato a
seconda della resina; ne risultano strutture con minor contenuto di vuoti, migliore finitura della superficie e
minima instabilità delle fibre.
Nuovi sviluppi mirano a rendere il processo sempre più veloce, producendo una quantità maggiore di pezzi per
soddisfare la richiesta e la sempre crescente velocità con cui le industrie aerospaziali desiderano effettuare le
consegne. Per questo, si richiedono macchine capaci di posizionare fibre per circa 50m al minuto, limite ancora
lontano dalle possibilità concrete. Queste velocità permetterebbero di eliminare macchine uguali che lavorano
in parallelo, sostituendole con una sola. La velocità fa aumentare la domanda di sistemi meccanici, sistemi di
controllo e di programmazione.
Il sistema ATL, invece, stende le fibre sotto forma di nastri unidirezionali o di strisce continue di tessuti. È un
processo versatile, adatto per cambiare facilmente direzione nell’orientazione delle fibre e per frequenti
interruzioni della stesura. Può applicare prepreg termoplastici e termoindurenti. Le bobine, una o più, sono
incorporate nella testina, insieme a delle guide, un rullo di compattazione, sensori di posizione e un utensile per
il taglio, trasversale o longitudinale. In entrambi i casi, la testina può essere collocata all’estremità di un robot
multi-asse che si muove attorno a un mandrino su cui il materiale viene applicato o, di nuovo, su una gru a
ponte. Il componente in movimento, traslatorio, rotatorio o entrambi, può essere il mandrino oppure la testina,
per poter accedere a tutti i punti necessari. I nastri sono applicati in gruppi in cui sono affiancati, in diverse
passate per sovrapporre le orientazioni. Anche in questo caso, tutto il processo è coordinato da un programma
CNC.
Molte aziende hanno dato il loro contributo in questo campo, ciascuna con la propria peculiarità; tra le più note
del settore, MAG Cincinnati ha creato una serie di macchinari incrementandone col tempo le prestazioni: la più
recente può gestire mandrini fino a circa 90Kg e lunghi fino a 27m, con controllo indipendente
sull’alimentazione delle fibre alla testina, il blocco, il taglio e ripresa fino a 32 nastri, permettendo
aggiustamenti in corso d’opera della larghezza delle bande, automazione della guida delle fibre sui cambi di
contorno. Questa applicazione è impiegata da Vaught Aircraft Industries per realizzare il cono di coda di
fusoliera del B787.

ATL su una superficie piana; luce infrarossa usata per fluidificare la resina nel punto di contatto

Nel campo dell’ATL è stata sviluppata una macchina che dispone nastri unidirezionali di 75, 150 o 300mm che
permettono di avvolgere contorni e zone spigolose fino a angoli di 25°. Un sistema a controllo numerico
gestisce un sistema gantry a 10 assi che applica e taglia i nastri automaticamente, usando una testina a carico
unilaterale, che consente un cambio veloce e semplice delle bobine.
Alcuni di questi dispositivi sono utilizzati da Mitsubishi Heavy Industries per la fabbricazione delle wing-skin,
realizzate in un solo pezzo, e da Fuji Heavy Industries per il cassone alare del B787. Ciascuna ala misura 6,5m
sulla corda massima e 36,5m di lunghezza. Il sistema progettato da MTorres per ATL fornisce la migliore
capacità di compattazione durante la deposizione dei nastri, eliminando la necessità di sottoporre il laminato a
trattamento a vuoto per raggiungerla. Le testine sono in grado di stendere fibre con resina a bassa viscosità, che
danno le migliori prestazioni dopo polimerizzazione, di larghezza variabile da 75 a 300mm, tagliate con sistemi
a ultrasuoni e, inoltre, includono dispositivi per il rilevamento dei difetti di costruzione, e possono essere
associate a programmi CNC reperibili in commercio. MTorres produce, con diversi macchinari, wing-skins,
correnti e longheroni dell’Airbus A350 XWB.

Tape winding
Questa lavorazione permette di ottenere laminati con fibre continue in diverse orientazioni.
Le fibre preimpregnate, vengono avvolte attorno a un mandrino, la cui forma determina la geometria del pezzo
da realizzare, tipicamente circolare o ellissoidale. La sovrapposizione ad angoli diversi delle fibre è resa
possibile dai diversi moti relativi tra il mandrino e la testina che applica i nastri; l’angolo di avvolgimento è
misurato a partire da una direzione predefinita che è la tangente al meridiano del mandrino e può variare tra 0° e
90°. A seconda dell’angolo si riscontrano avvolgimenti di tre tipi: l’avvolgimento polare vede sia il mandrino
che la testina di deposizione ruotare allineando le fibre ai meridiani senza quasi avere sovrapposizione;
l’angolazione è strettamente legata alla larghezza dei nastri, infatti per ottenere angolazioni maggiori sono
necessari nastri più larghi; nell’avvolgimento elicoidale il mandrino ruota mentre la testina trasla con moto
alternato, facendo in modo che le fibre si dispongano come in un tessuto; infine, nell’avvolgimento
circonferenziale per ogni rotazione completa del mandrino la testina trasla longitudinalmente di un tratto pari
alla larghezza del nastro che viene applicato, fornendo fibre non intrecciate che danno rinforzo alla sola
direzione tangenziale alla circonferenza. Naturalmente, i tre avvolgimenti possono essere combinati nella stessa
struttura, che risulta, in ogni caso, dotata di una grande resistenza nella direzione circolare.
Lavorazione a mano o con spray
Nella lavorazione con spray una pistola aerografo spruzza, grazie ad aria compressa, una miscela di resina e
fibre tagliate corte su uno stampo, maschio o femmina, solitamente in vetroresina o gesso, precedentemente
preparato con un gel di rivestimento per fare in modo che il composto non resti attaccato al momento della
rimozione. Le fibre arrivano alla pistola da un gruppo di spolette, lontane dalla postazione di lavorazione, su cui
sono avvolte in filo tramite un sistema che ne regola la tensione all’ingresso dell’aerografo dove vengono
tagliate secondo una misura predefinita. Spesso, per aumentare l’uniformità dello strato di fibre e resina disteso
e semplificare il lavoro dell’operatore, lo stampo è montato su un supporto mobile, rotante o oscillante.
Nel caso della lavorazione a mano, invece, gli stampi vengono foderati con tessuti secchi che vengono fatti
aderire con l’aiuto della resina, applicata degli addetti con vari strumenti quali pennelli, spatole, rulli costituiti
di materiali morbidi, etc. Affinché il rinforzo segua le curvature dello stampo è necessario che la struttura in cui
sono tessute abbia una buona capacità di coprire le forme aderendovi senza presentare vuoti o grinze. I
filamenti nei tessuti devono potersi muovere ma senza creare punti in cui la loro densità sia insufficiente.
Le fibre vengono spianate e premute contro lo stampo con l’aiuto della resina molte volte e in varie direzioni.
Questa procedura fa sì che le fibre, oltre ad aderire perfettamente, siano penetrate perfettamente dalla resina che
deve infiltrarsi in ogni punto. A questa pre-formatura segue la formatura definitiva per pressatura a caldo tra
stampo e controstampo.
Infine, il composito viene curato, solitamente a temperatura ambiente. In questo modo, senza pressione durante
la cura, non c’è modo di controllare e di ridurre la quantità di vuoti all’interna della resina, né lo spessore esatto
del profilo.
La lavorazione a mano è ormai stata soppiantata, per la produzione industriale su grandi volumi, da quella
automatizzata, ma è ancora praticata nelle procedure di riparazione dei componenti.
Hand and spray Lay-up (Ref. SP Systems)

Stampaggio per trasferimento di resina (resin transfer moulding, RTM)


Il tessuto secco o preimpregnato con minima quantità di resina è posto tra stampo e controstampo. Talvolta
vengono usati tessuti preformati fissati insieme con un agente legante al fine di inserirli più agevolmente tra le
presse. Gli stampi vengono bloccati e viene iniettata la resina, composta da due formulazioni che vengono
mescolate dalle bocchette appena prima dell’ingresso in cavità. In questo passaggio è importante tenere conto
della viscosità della resina, che non deve essere troppo alta per consentire una rapida diffusione uniforme in
tutto il laminato e una impregnazione ottimale in tutte le cavità presenti tra le fibre. All’occorrenza, sia la resina
sia gli stampi possono essere riscaldati: in questo modo non sarà necessario sottoporre il componente a cura
dopo l’estrazione dallo stampo perché la polimerizzazione ha luogo durante lo stampaggio; se il componente è
destinato a alte temperature di esercizio potrà essere post-curato fuori dallo stampo.
Questo metodo permette di conoscere in anticipo con buona precisione la quantità di resina necessaria, e quindi
di ottimizzare il rapporto fibra matrice, che con le attuali tecnologie robotizzate è attorno al 68%, e con una
percentuale molto bassa di vuoti (tra lo 0 e il 2%). Inoltre, la precisione nella lavorazione degli stampi consente
di ottenere un laminato che necessita di un minimo lavoro di post-fabbricazione sia in termini di finitura
superficiale sia per lo spessore nominale delle pareti, che sarà molto vicino a quello ottenuto solo calibrando la
distanza tra gli stampi. Si possono produrre pezzi di spessore notevole, parti di forma molto complessa e
incorporare altri inserti nel composito, che vengono così direttamente fissati al resto della struttura.
Questo processo impiega preformati secchi in prevalenza, che sono meno costosi dei prepreg e possono essere
stoccati a temperatura ambiente e non in ambiente refrigerato, i tempi di ciclo sono brevi, e possono essere
adattati per processi ripetibili per la produzione in serie.
Uno dei principali problemi presentati dal RTM è la possibilità che alcune aree non vengano impregnate,
producendo così pezzi da scartare con una notevole perdita economica. In secondo luogo, bisogna considerare
l’elevato costo degli stampi data dall’elevata complessità delle forme che riproducono, per le quali questo
metodo si rivela particolarmente performante.
Una variante al RTM è data dal reaction injection molding, RIM (stmpaggio per iniezione a reazione), che si
differenzia dal processo descritto in quanto la resina, a cura rapida, e il catalizzatore sono iniettati nella cavità di
stampo in flussi separati, non miscelati.
Ancora, un’altra alternativa simile al RTM e la Resin Film Infusion, RFI; questa consiste nell’alternare strati di
rinforzi secchi con strati di fogli di resina, in modo che con la pressione applicata agli stampi e l’azione del
calore la resina allo stato liquido vada a impregnare le fibre nel senso dello spessore. È un metodo indicato per
componenti dallo spessore limitato, ma, al contrario dei precedenti, non preclude l’uso di resine con alta
viscosità.
Questo processo è stato tra i primi impiegati per la costruzione di parti strutturali aeronautiche, dando origine a
compositi con alta percentuale di fibre e basso contenuto di vuoti, a garantendo una impregnazione delle fibre
altamente uniforme.
RTM and VARTM (Ref. SP Systems)

Stampaggio per trasferimento di resina tramite vuoto (Vacuum Assisted Resin


Transfer Moulding, VARTM)

Questo metodo è molto simile al precedente, con la differenza che uno degli stampi è sostituito da un sacco a
vuoto che circonda la pila di lamine.
Le lamine sono appoggiate sul semi-stampo rigido e vengono coperte con un rivestimento, rigido o flessibile,
che le chiuderà ermeticamente sotto-vuoto. Quando viene fatto il vuoto nel sacco la resina scorre nella cavità
attraverso canali progettati che agevolano l’impregnazione entrando da porte situate in posizioni strategiche,
riempiendo gli spazi e espellendo l’aria in eccesso. Si raggiunge una percentuale di fibre pari al 70%.
È un processo che richiede tempi lunghi, e quindi non adatto alla produzione di ampia scala, benché fornisca
parti con ottime finitura e tolleranza. Non sono necessarie alte temperature o pressioni, e il costo
dell’attrezzatura è inferiore al caso precedente, rendendo possibile la produzione di in una volta pezzi di grandi
dimensioni e complessità.
Il procedere della resina attraverso le fibre è un fenomeno complesso e per lo più non facilmente indagabile. La
posizione di bocchette e sfiatatoi deriva dall’esperienza e può non rivelarsi efficace con l’aumentare della
complessità dalle forme. Questa inefficienza si riflette in una incompleta impregnazione delle fibre, cura
disomogenea, interfaccia fragile e stress residui. Per ovviare a queste difficoltà negli ultimi anni sono state
sviluppate tecnologie che permettono di prevedere l’evoluzione della resina attraverso la cavità dello stampo
tramite la simulazione con modelli digitali, consentendo di ottimizzare il progetto delle strumentazioni, dei
prodotti e della produzione. In associazione al software è stato realizzato un sistema di monitoraggio in tempo
reale della progressione del flusso di resina, aumentando la qualità e la ripetibilità delle parti prodotte.
Alla luce di questi sviluppi si ritiene che il VARTM sia utilizzabile per la produzione di componenti
aeronautici, permettendo di risparmiare lavoro e ridurre il numero di componenti grazie alla possibilità di
progettare geometrie complesse e prevederne la buona qualità di produzione. Infatti, finora il VARTM non era
considerato adeguato alla costruzione di parti strutturali per uso aeronautico.
Uno studio che dà un ulteriore contributo alla tesi di usare il VARTM in aeronautica, oltre a introdotte una
nuova variante di questa tecnica, è stato condotto in Giappone per la costruzione del nuovo Mitsubishi Regional
Jet, velivolo 70-90 posti a tratta breve, di Mitsubishi Heavy Industries. In particolare, questa tecnica è stata
impiegata per la deriva. La tecnologia, chiamata Advanced Vacuum Assisted Resin Transfer Moulding, A-
VARTM, comprende la compattazione a caldo del preformato e il trattamento con particelle di termoplastico.
Nel VARTM tradizionale l’aggiunta di materiale termoplastico, in forme di polvere, spray o in particelle, funge
da adesivo per consolidare il preformato, oltre a permettere l’uso di una resina epossidica termoindurente con
viscosità e costo minore. La resina e l’adesivo si mescolano con il calore durante la cura, facendo risultare che
il composito finito possiede durabilità e resistenza all’urto tipici di una resina con formulazione indurita. Il
modo in cui vengono controllati il tempo di compattazione, la temperatura e il termoplastico scelto stabilizza il
preformato contro il calo di dimensioni, aumenta la manipolabilità e la conformabilità alla superficie dello
stampo, e incrementa i legami interlamina del pezzo finito.
MHI utilizza mezzi di diffusione per controllare il flusso della resina e la sua velocità, e per eliminarne
l’eccesso. Questo massimizza il volume di fibre nel componente finito, che è stato fissato a 55-60% per
l’impiego aeronautico. L’evoluzione nella compattazione a caldo ha condotto a preformati di densità maggiore.
È stato dimostrato che la compattazione a caldo e i mezzi di diffusione favoriscono il flusso di resina lungo
nella direzione dello spessore e migliorano la resistenza fuori dal piano in direzione z. Seguono due cicli di
cura, a vuoto e in forno a 180° C.

Pultrusion
È una produzione continua di materiale che preleva il rinforzo secco, per lo più monodirezionale, da una
rastrelliera tirandolo attraverso un bagno di resina e in seguito in uno stampo a temperatura controllata per
evitare fratture termiche e alterazione delle proprietà della resina, che fornirà un primo abbozzo della forma
finale. La preformatura è finalizzata anche a eliminare l’eventuale eccesso di resina e l’aria intrappolata.
Seguono poi la formatura definitiva e la cura, talvolta eseguite contemporaneamente, in cui è necessario
controllare adeguatamente la velocità di avanzamento per garantire al materiale un tempo sufficiente
all’esposizione al calore. Il profilato viene poi trascinato a un’altra macchina per la tranciatura. I pezzi prodotti
escono con un grado di finitura tale da non richiedere altre lavorazioni. L’alta automatizzazione di questo
processo rende possibile la produzione di grandi volumi a costi molto bassi.

Schema del processo di pultrusion (Ref: SP Systems)


Un esempio di evoluzione della pultrusion classica è fornito dall’ADvanced Pultrusion (ADP), elaborata dalla
nipponica JAMCO per la produzione di parti strutturali aeronautiche in sostituzione di quelle ricavate da
estrusione di alluminio. Questa combina le alte proprietà meccaniche tipiche della lavorazione a mano con l’alta
automazione della pultrusion, risultando in profilati di basso costo, alta direzionalità delle fibre e percentuale di
queste fino al 65% del prodotto finito. Al contrario del metodo tradizionale questo impiega preimpregnati
approvati per l’uso aerospaziale, minimizzando così il costo della qualificazione. L’uso dei prepreg elimina i
problemi legati alla viscosità della resina nell’avanzamento e al rapporto in volume tra fibre e matrice. Quindi,
possono essere usati tutti i tipi di preimpregnato, senza limitazione per alte viscosità e inserimento di indurenti.
Questo processo produce compositi con basso contenuto di vuoti, sotto l’1%, rispetto al metodo classico, 3%. È
stato impiegato recentemente per costituire solette e correnti dell’impennaggio verticale del nuovo Airbus
A380, e, sempre su questo velivolo, per le travi di sostegno del ponte superiore, dove, per massimizzare lo
spazio, si sono usate travi a I che attraversano l’intera fusoliera.

Pannello rinforzato prodotto con poltrusion

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