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UNIVERSITÀ’ DEGLI STUDI DI PARMA

FACOLTÀ’ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E COMMERCIO

CONCEZIONI DELL’EGUAGLIANZA
NEL SOCIALISMO FRANCESE:
BABEUF, SAINT-SIMON, FOURIER

Relatore:
Chiar.mo Prof. MARCO BIANCHINI
Correlatore:
Dott. TERENZIO MACCABELLI
Laureando:
FILIPPO BIANCHI

ANNO ACCADEMICO 1996/97


2

Indice

Introduzione p. 3

I. François-Noël Babeuf 13

Introduzione - Cenni biografici - Presupposti teorici - Eguaglianza


reale - Organizzazione economica - Distribuzione delle risorse -
Sovranità popolare - Educazione - Misure economiche transitorie
- Lo schema finale.

II. Claude-Henri de Saint-Simon 75

Introduzione - Cenni biografici - Il sistema industriale - Il mondo


capovolto - Misure pratiche - Eguaglianza e organicismo - La
questione distributiva - Il nuovo cristianesimo.

III. Charles Fourier 128

Introduzione - Cenni biografici - L’attrazione passionata - Contro


la civiltà - La teoria dei destini - L’armonia e il falansterio -
L’obiettivo del falansterio - Il falansterio: differenze e eguaglianza
- Eguaglianza e fraternità.

Conclusione 188

Bibliografia 205
3

Introduzione

Dell’eguaglianza si parla in vari e differenti modi. L’idea che tale concetto

richiama è complessa e ricca di sfumature. Secondo Norberto Bobbio

l’eguaglianza, a differenza della libertà, è “puramente e semplicemente un tipo

di relazione formale, che può essere riempita dei più diversi contenuti”1.

D’altra parte, Sen afferma che la questione fondamentale non è tanto

chiedersi “perché l’eguaglianza?”, quanto domandarsi “eguaglianza di che

cosa?”. In tale contesto, infatti, la naturale diversità e complessità degli esseri

umani rende problematica la definizione di un unico spazio in cui

l’eguaglianza debba esplicarsi2. Inoltre, per lo stesso motivo, accade spesso

che l’eguaglianza in uno spazio si accompagni a sostanziali diseguaglianze in

un altro, cosicché, sostiene Sen, tutte le principali teorie dell’organizzazione

sociale, anche quelle, apparentemente, del tutto inegualitarie, “tendono a

richiedere l’eguaglianza in qualche spazio - uno spazio che riveste

un’importanza di base in quelle teorie”3. Il principale problema da affrontare è,

dunque, stabilire in che cosa si deve ricercare l’eguaglianza.

In ogni caso, semplificando, si può affermare che la questione

dell’eguaglianza nell’organizzazione sociale tradizionalmente ha investito tre


1
La citazione di N. Bobbio è tratta dalla voce Eguaglianza in AA. VV., Enciclopedia del
Novecento, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1977.
2
A. K. Sen, La diseguaglianza, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 181.
3
Ibidem., p. 183.
4

diverse sfere nel rapporto tra uomo e società e tra gli uomini all’interno della

società: l’eguaglianza dei diritti, idea centrale della tradizione liberale;

l’eguaglianza delle opportunità; l’eguaglianza nelle condizioni socio-

economiche, su cui ha posto l’accento la tradizione socialista 4. Marshall, del

resto, vede l’eguaglianza composta da tre diversi elementi 5: l’elemento civile,

al quale corrisponde la parità dei cittadini di fronte alla legge e a tutti gli atti

del potere legislativo, esecutivo e giudiziario; l’elemento politico, connesso

agli eguali diritti di partecipare alla vita politica attiva e passiva; infine

l’elemento sociale, legato alle effettive condizioni socio-economiche.

Il legame tra questi tre diversi aspetti dell’eguaglianza è complesso e spesso

contraddittorio. Se in alcuni casi, infatti, essi possono rafforzarsi

reciprocamente (si pensi al fatto che un’effettiva eguaglianza di fronte alla

legge non può essere pienamente realizzata senza la presenza di condizioni

economiche simili), in altri ci possono essere forti contrasti, nel senso che la

richiesta di eguaglianza in un aspetto può richiederne la diseguaglianza in un

altro6. A tal riguardo, l’attuazione di misure di attenuazione della

diseguaglianza può richiedere una riduzione della sfera della libertà, ad

esempio attraverso interventi che ledono i diritti patrimoniali dei cittadini più

facoltosi. Ci sono autori, poi, come Hayek, che arrivano anche a sostenere che
4
S. Veca, Libertà e eguaglianza. Una prospettiva filosofica, in A. Martinelli, M. Salvati, S. Veca,
Progetto 89. Tre saggi su libertà, eguaglianza e fraternità, Il Saggiatore, Milano, 1989, p. 27.
5
T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Torino. UTET, 1976, p. 9, cit. in S. Veca, Libertà
e eguaglianza. Una prospettiva filosofica, in A. Martinelli, M. Salvati, S. Veca, Progetto 89. Tre
saggi su libertà, eguaglianza e fraternità cit., p. 31.
6
Riguardo ai contrasti tra spazi diversi in cui si richiede la diseguaglianza, cfr. Sen, La
diseguaglianza, cit., pp. 182 e segg.
5

l’imposizione fiscale progressiva - come mezzo per conseguire una

redistribuzione del reddito - sia incompatibile con l’eguaglianza dinanzi alla

legge7.

Nella storia dell’affermazione del principio egualitario, e di tutte le

problematiche ad esso connesse, un punto cruciale è rappresentato

naturalmente dalla Rivoluzione francese8. Essa, infatti, pur non esprimendo

principi ed aspirazioni radicalmente nuove, riprendendo concetti e idee già

espresse - in particolare una vasto dibattito su questi temi si sviluppò a partire

dagli inizi del XVIII° secolo - fece improvvisamente diventare possibile

l’applicazione di quei principi. Da quel momento, l’egalité, unitamente alla

liberté e fraternitè, ha acquistato un significato universale, divenendo parte

essenziale di qualsiasi progetto di società desiderabile 9. Ma, al di là di

affermazioni di principio, nelle diverse vicende che vanno sotto il nome della

Rivoluzione, e nei numerosi documenti redatti in quel periodo, non si ha una

definizione univoca di eguaglianza. Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo

che precede la Costituzione del 1793 si afferma che gli uomini sono per natura

uguali, spingendo l’eguaglianza, al di là della semplice eguaglianza di diritto,

statuita dalla Carta dell’89, in una direzione non ben definita10 e dalla quale

7
F. A. Hayek, Nuovi studi di filosofia, politica, economia e storia delle idee, , Armando, Roma,
1988, p. 158, cit. in D. Losurdo, L’egalité e i suoi problemi, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a
cura di), Egalite/Inegalite, Quattroventi, Napoli, 1990, p. 141.
8
Chevallier J. J., Storia del pensiero politico, volume III, Un’epoca di transizione: 1789-1848, Il
Mulino, Bologna, 1986, p. 311.
9
A. Martinelli, I principi della Rivoluzione francese e la società moderna, in A. Martinelli, M.
Salvati, S. Veca, Progetto 89. Tre saggi su libertà, eguaglianza e fraternità, cit., p. 57.
10
Ibid., p. 66.
6

non discendono conseguenze precise11.

Figli più o meno diretti della Rivoluzione e dei principi che con essa si sono

affermati sono tutti quei riformatori, rivoluzionari, teorici, utopisti che

vengono inclusi nel gruppo, del resto dai contorni un po’ indefiniti, che va

sotto il nome di socialisti pre-marxiani. Fra questi, ve ne sono tre, Babeuf,

Saint-Simon e Fourier, che, principalmente per ragioni di tempo e di spazio12,

sono ancora più stretti discendenti delle idee di quegli anni.

Il tentativo di ricostruire le diverse concezioni che questi tre autori hanno

dell’eguaglianza, di metterne in luce differenze e analogie, è l’obiettivo del

lavoro svolto.

Esso è stato organizzato in tre capitoli, ognuno dei quali corrisponde ad un

autore. L’ordine dei capitoli è stato scelto seguendo un criterio cronologico,

legato alla “apparizione sulla scena” di ognuno dei tre autori. Viene così prima

esposto Babeuf, successivamente Saint-Simon ed, infine, Fourier. Ogni

capitolo si apre con una breve introduzione bio-bibliografica, interessante

soprattutto per cercare qualche legame tra le condizioni socio-economiche

dell’autore e lo sviluppo del suo pensiero13. Successivamente, attraverso la

11
Ibid., p. 71.
12
Tutti e tre gli autori vissero in maniera diretta, seppur in modi decisamente diversi anche a causa
delle loro fortemente dissimili condizioni socio-economiche, il periodo rivoluzionario. Del resto tutti e
tre, durante quegli anni, trascorsero un certo periodo in carcere; gli esiti di quella esperienza, senza
conseguenza per Fourier e Saint-Simon, saranno ben diversi per Babeuf.
13
Semplificando al limite dell’errore: Babeuf, uomo del popolo, lotta per l’affermazione di ciò che
è stato definito “comunismo dei bisogni”, in cui si realizza un’eguaglianza reale ed assoluta; Saint-
Simon ex-nobile propone un socialismo gerarchico; Fourier, infine, commerciante e piccolo borghese
immagina un mondo in cui le passioni di ognuno siano liberate da ogni falsa morale e soddisfatte
pienamente.
7

sintetica esposizione delle loro dottrine, si è cercato di mettere in luce le loro

idee riguardo alla questione dell’eguaglianza, con particolare attenzione

all’eguaglianza economica e ai criteri secondo i quali essi pensavano di

organizzare la distribuzione delle ricchezze nelle loro costruzioni sociali.

I tre autori, pur avendo concezioni dell’eguaglianza assai diverse, hanno

numerosi e significativi punti in comune, come si è tentato di sottolineare nel

capitolo conclusivo.

Babeuf, Saint-Simon e Fourier pur partendo, inevitabilmente, dalle stesse

premesse e principi sviluppatesi tra la fine del XVIII° e l’inizio del XIX°

secolo intraprendono tre strade diverse e parallele 14 che, nascendo dallo stesso

punto e sfiorandosi ripetutamente, arrivano a risultati, almeno apparentemente,

assai distanti per ciò che riguarda il problema della distribuzione delle

ricchezze15.

In ogni caso, è opportuno anticipare che, a parte Babeuf, per il quale

“un’eguaglianza senza macchia e senza riserve” 16 è, al tempo stesso,

presupposto e obiettivo della società, la questione dell’eguaglianza e dei criteri

distributivi non è il tema portante né del pensiero di Saint-Simon né di quello

14
E’ assai significativo il fatto che nelle opere dei tre autori, benché contemporanei
(l’affermazione è, in un certo senso, inesatta nel caso di Babeuf, il quale benché nato lo stesso anno di
Saint-Simon morì ghigliottinato nel 1797, quando gli altri due non avevano ancora pubblicato le loro
principali opere), non ci siano riferimenti reciproci agli altri, se si esclude la feroce critica di Fourier
contenuta nell’opuscolo Imposture e ciarlatanerie delle due sette di Saint-Simon.
15
Babeuf, Saint-Simon e Fourier sono tra loro più vicini come pensiero per quel che riguarda
l’eguaglianza civile e politica. Tutti e tre, infatti, seppur con motivazione e soprattutto modalità
diverse, sostengono, sostanzialmente, una assoluta eguaglianza civile e politica tra gli uomini.
16
F. N. Babeuf, Tribun de peuple, n. 35, 9 frimaio ann IV (30 novembre 1795), trad. it. in Id., Il
tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, Muggiani, Milano, 1945, p. 64.
8

di Fourier. Obiettivo principale di entrambi, a cui la società ideale deve

necessariamente tendere, è il benessere 17, inteso non semplicemente come

abbondanza di beni materiali; il problema distributivo, pur essendo una

presenza inevitabilmente costante nelle loro opere, non è quasi mai affrontato

in maniera dettagliata e approfondita, rimanendo un argomento accessorio al

tema principale della felicità.

Inoltre, nel pensiero di Saint-Simon e Babeuf - per Fourier il discorso è più

complesso - la società non è semplicemente considerata come un insieme

eterogeneo di individui, ma come un’unità inscindibile. La conseguenza è che,

venendo meno la distinzione tra benessere individuale e collettivo, in loro

diventa meno pressante il problema distributivo, anche perché la solidarietà18

fra gli uomini diventa carattere naturale delle loro costruzioni sociali.

Ritornando al problema generale dell’eguaglianza economica e

concentrando l’attenzione esclusivamente sulla questione distributiva,

trascurando, quindi, i complessi rapporti che la collegano agli altri due

principali aspetti dell’eguaglianza in un’organizzazione sociale, ossia

l’eguaglianza civile e quella politica, non è possibile darne una definizione

univoca e definitiva. Il problema si riconnette alla difficoltà di trovare un

criterio materiale in base al quale distribuire le risorse in senso egualitario19.


17
Naturalmente anche per Babeuf il fine della società è la felicità. In lui, però, è fondamentale
l’idea che tra benessere e eguaglianza ci sia un legame inscindibile: non può esistere vera felicità
senza eguaglianza perché la felicità è nell’eguaglianza. I due termini tendono, dunque, a coincidere,
rappresentando due aspetti della stessa realtà.
18
In tale contesto, la solidarietà assume un significato ampio e dai contorni sfumati. Si ricollega
direttamente al principio rivoluzionario della fraternitè.
19
Cfr., AA. VV., Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano, 1993, p. 1173.
9

In ogni caso, tra gli innumerevoli criteri 20 proposti è possibile fare una netta

distinzione tra due categorie di principi.

La prima possibilità, che segue quello che si considera normalmente il vero

principio egualitario, consiste in una distribuzione dei beni assolutamente

identica per ogni individuo. Questa è la posizione assunta da Babeuf, il quale

richiede e sostiene l’eguaglianza reale, l’unica che permetta a tutti, allo stesso

modo, la soddisfazione dei bisogni. La principale critica concettuale mossa a

questo criterio è che procedendo ad una distribuzione eguale, si arriverebbe, a

causa della naturale diversità degli individui, ad un soddisfacimento diseguale

dei bisogni21. La risposta a questa critica solitamente fa riferimento, è questo il

caso di Babeuf, alla convinzione che non solo i bisogni fondamentali delle

persone siano pressoché uguali, ma anche all’idea che un trattamento

assolutamente egualitario, non solo nella distribuzione dei beni ma anche

nell’educazione, tenderebbe a livellare le maggiori differenze tra gli uomini.

La seconda categoria di criteri si rifanno al principio di distribuzione

proporzionale. La questione fondamentale diventa allora trovare la

caratteristica rilevante in base alla quale vanno distribuite le risorse. In tale

contesto, il più delle volte si fa riferimento ai meriti o alle capacità, concetti

generici che vengono specificati e definiti in modi diversi. Fourier, ad

esempio, ricollega la distribuzione delle risorse a ciò che chiama i tre fattori
20
Per un sintetica panoramica dei principali criteri distributivi, cfr. N. Bobbio e N. Matteucci,
Dizionario di politica, UTET, Torino, 1976, pp. 1066- 1067.
21
Cfr. D. Losurdo, L’egalitè e i suoi problemi, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a cura di),
Egalite/Inegalite, cit., p. 139.
10

industriali: lavoro, talento, capitale. Saint-Simon, invece, parla di

distribuzione proporzionale alle capacità senza spiegare in dettaglio che cosa

intenda precisamente, anche se, soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi del

suo pensiero, sembra rifarsi a concetti già espressi da Rousseau secondo il

quale la distribuzione delle risorse e delle posizione sociali devono essere

regolate non tanto sul merito individuale, quanto sui servizi resi da ognuno

alla società e dunque al benessere collettivo22.

La richiesta di una distribuzione delle ricchezze proporzionale al merito o

alle capacità, d’altra parte, si accompagna spesso all’istanza di altre misure,

atte ad assicurare una maggiore giustizia; è questo il caso di Fourier e Saint-

Simon. Entrambi, infatti, seppur con notevoli differenze, ipotizzano dei

sistemi sociali che, da una parte, assicurino a tutti il soddisfacimento dei

bisogni primari e, dall’altra offrano, eliminando qualsiasi tipo di privilegio,

reali pari opportunità23, in modo che ognuno abbia l’effettiva possibilità di

ottenere ciò che merita.

Al di là di qualsiasi criterio distributivo, quando si tratta delle possibili

concezioni dell’eguaglianza economica è necessario considerare un altro

aspetto fondamentale: il rapporto inscindibile che lega la distribuzione delle

22
A. Burgio, L’ineguaglianza legittima, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a cura di),
Egalite/Inegalite, cit., p. 87.
23
E’ interessante la distinzione che Thomas Nagel fa tra eguaglianza negativa e positiva delle
opportunità. La prima concerne l’eliminazione della discriminazione intenzionale: razziale, sessuale,
religiosa ed etnica. La seconda è connessa al “vantaggio ereditario consistente nel possesso di risorse
e nell’accesso ai mezzi per ottenere qualificazioni in vista di posizioni competitive aperte” (T. Nagel,
I paradossi dell’uguaglianza, Il Saggiatore, Milano, 1993, pp. 130-131).
11

risorse con l’efficienza economica24 e, dunque, con la capacità di produrre

ricchezza di ogni organizzazione sociale. L’abbondanza, infatti, per certi versi,

permette di superare le contraddizioni insite nel concetto di eguaglianza,

perché, mentre le scarsità rende inevitabile l’ineguaglianza, l’abbondanza la

rende priva di rilievo pratico25. In tal modo, per Talmon, il problema

economico fondamentale nella costruzione di nuove organizzazioni sociali si

apre a due decisive possibilità. Da una parte, infatti, nell’ideare la società

perfetta si può partire dalla necessità primaria di assicurare a tutti la

soddisfazione dei bisogni, con il rischio, ipotizzando che l’uomo sia per natura

egoista, che, eliminando l’impulso al guadagno, verrebbe meno lo stimolo a

produrre, facendo cadere la società nella scarsità. L’altra possibilità è lasciare

agli individui la libertà di fare con la seria possibilità di aprire la strada al

disordine, allo sfruttamento e alla diseguaglianza sociale26.

Il problema, connesso alla questione fondamentale se l’uomo sia

naturalmente spinto all’egoismo e alla ricchezza o possa essere rieducato, è

affrontato e risolto da Babeuf, Saint-Simon e Fourier, ognuno a suo modo, in

maniera originale attraverso la costruzione di tre possibili società, tra le quali,

le evidenti differenze si accompagnano ad inaspettate analogie.

24
Per interessanti considerazioni sul rapporto tra eguaglianza e creazione dell’abbondanza, cfr. A.
M. Iacono, Congetture illuministiche sulla storia della civiltà, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a
cura di), Egalite/Inegalite, pp. 108-109.
25
D. Losurdo, L’egalitè e i suoi problemi, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a cura di),
Egalite/Inegalite, cit., p. 139.
26
J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967, p. 207.
12

Capitolo primo

François-Noël Babeuf

Introduzione

François-Noël Babeuf non ha mai esposto le sue idee in una dottrina

completa. Per questo, il suo pensiero è, a volte, oscuro nei particolari: non è

possibile essere troppo precisi e sistematici, bisogna accontentarsi di schemi

generali27. Egli fu principalmente uomo d’azione e la sua ideologia deve essere

ricostruita attraverso le lettere della sua numerosa corrispondenza e,

soprattutto, attraverso gli articoli dei suoi giornali, in particolare il Tribun du

peuple.

Babeuf, in ogni caso, non fu un pensatore isolato e il suo nome è legato

indissolubilmente a quello della Congiura degli Uguali e con i membri di essa.

Non è possibile distinguere il suo pensiero dall’ideologia degli Uguali: il

babouvismo è opera collettiva. Per questo, nel ricostruire il pensiero di Babeuf

è opportuno rifarsi anche agli scritti di altri membri della congiura: Analisi

della dottrina di Babeuf, Progetto di decreto economico e, soprattutto,

Cospirazione per l’eguaglianza, tutti di Filippo Buonarroti e, in parte, Il

27
C. Mazauric, “introduzione” a F. N. Babeuf, Il Tribuno del Popolo, Editori Riuniti, Roma, 1969,
p. 45.
13

Manifesto degli Uguali di Sylvain Maréchal28.

Del resto, pur non essendo agevole individuare quale fu la parte dei vari

membri nella congiura e nell’ideologia degli Uguali29, il ruolo di Babeuf fu,

senza dubbio, di preminenza: fu il capo, l’elemento attivo, propulsore,

animatore30. Lo stesso Buonarroti, descrivendo il processo contro gli Uguali,

scrive:

Nessuno degli accusati era più impacciato di Babeuf nella difesa dalla risoluzione, presa

in comune, di negare la cospirazione. Su circa cinquecento documenti probatori, sequestrati

quasi tutti presso di lui, e contenenti, in tutte lettere, l’organizzazione, il piano, gli atti e la

corrispondenza del comitato insurrezionale, ce n’erano più di cento scritti di sua mano. La

denuncia era tutta contro di lui...31

Il pensiero di Babeuf parte dalla ricerca di felicità e di benessere per tutti i

membri della società e dalla convinzione che questa può essere raggiunta solo

attraverso un eguaglianza reale e assoluta che deve ristabilire l’eguaglianza

naturale goduta dagli uomini prima dell’avvento della proprietà. In queste

idee, il rivoluzionario non è originale ed è assai vicino ai pensatori illuministi,

in particolare Rousseau, Mably e, soprattutto, Morelly32. La sua originalità è

altrove; l’esperienza della rivoluzione e il contatto con le disperate situazioni


28
Ibid., p. 46.
29
G. M. Bravo (a cura di), Scritti di socialisti, Rossi, Napoli, 1972, p. 22.
30
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, De Silva, Torino, 1948, p. 92.
31
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, Libraire Romantique, Bruxelles,
1828, trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, Einaudi,
1971, Torino, p. 250.
32
M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, Feltrinelli, Milano, 1976, p. 46.
14

dei sanculotti a Parigi, danno al suo pensiero spunti del tutto nuovi, facendogli

superare lo stadio dell’utopismo puro33.

Babeuf immagina una società, in cui non esiste proprietà, dove ogni

membro, svolgendo le attività che è in grado di eseguire, ottiene tutto ciò di

cui necessita. Si accenna ad una pianificazione del lavoro; la legge e

l’amministrazione regolano la produzione e la distribuzione, tenendo conto

delle reali necessità della comunità.

Lo sforzo di Babeuf, in ogni caso, non è stato quello di ideare

semplicemente una società che realizzasse gli ideali di eguaglianza e giustizia.

Egli, consapevole della difficoltà della realizzazione del progetto, dedicò la

propria vita ad elaborare misure pratiche ed efficaci per sovvertire l’ordine

sociale esistente.

La Congiura è nata con questo obiettivo reale; essa divenne il nucleo di un

partito che conduceva una lotta politica, abbandonando l’idea della

sperimentazione dell’utopia su una piccola popolazione34.

33
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p.80.
34
G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf,
cit., p. XXXVI.
15

Cenni biografici

François-Noël Babeuf35 nasce nel 1760 a Saint-Quentin in una famiglia

numerosa e poco agiata. Nonostante questo, e grazie al padre autodidatta,

riceve un’educazione intellettuale che gli permette di emergere dagli strati più

oppressi dell’ancient régime. Nel 1777 diventa apprendista feudista e due

anni più tardi, a Flixecort, è impiegato presso un cancelliere di comunità. Qui,

dopo aver conosciuto la miseria sua e della sua famiglia, grazie al suo lavoro 36,

viene a contatto con le disperate condizioni dei contadini Piccardi.

A partire dal 1785, Babeuf inizia una lunga corrispondenza con

l’Accademia di Arras, la quale spediva ai suoi corrispondenti ritagli di stampa,

prospetti, opuscoli su qualsiasi argomento di interesse. Tale corrispondenza,

che durerà fino al 1788, permette a Babeuf di ampliare la sua cultura di

autodidatta. Già in queste lettere spedite all’Accademia, cominciano a

trapelare le sue preoccupazioni di ordine sociale: il suo pensiero non è

perfettamente chiaro, anche se comincia a prendere corpo l’idea della

comunione dei beni.

Nel 1789, si trasferisce a Parigi e diventa corrispondente del giornale Le

Courrier de l’Europe. Nello stesso anno pubblica il suo Cadastre perpétuel,

un’opera di riforma fiscale, in cui Babeuf lascia intendere che quella non è che
35
Le notizie riguardanti la vita di Babeuf sono tratte da: F. N. Babeuf, Il Tribuno del Popolo, a
cura di C. Mazauric, cit.; M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit.
36
La professione di Babeuf consisteva nel ricostruire e determinare i diritti signorili gravanti sulle
terre, a profitto dell’aristocrazia terriera.
16

il primo passo verso la felicità generale.

Nel 1790, tornato in Piccardia, redige una petizione contro le imposte

indirette e le gabelle: questo lo porta in prigione; l’aiuto di Marat riesce a

liberarlo.

A partire da questo momento, Babeuf si consacra interamente alla

propaganda democratica e, nel 1792, viene eletto amministratore del

dipartimento della Somme.

Nel 1793, Babeuf è di nuovo a Parigi dove, deluso dalle incertezze della

rivoluzione democratica, diventa un vero sanculotto e si schiera a favore

dell’abolizione della proprietà privata. Scrive numerose lettere, in cui espone

le sue idee sociali. Nel frattempo, continuamente sotto l’incubo di un decreto

di arresto, occupa un posto nell’amministrazione rivoluzionaria.

Nel 1794 Babeuf, dopo un breve periodo in carcere, redige l’opuscolo

antigiacobino Le systeme de dépupolation, ou les crimes de Carrier e si dedica

completamente ai suoi giornali: dal 3 settembre al 1° ottobre esce il Journal de

la libertè de la presse e dal 5 ottobre al 24 aprile 1796 il Tribun du peuple ou

le defenseur des droits de l’homme. In esso viene esposta la sua dottrina e

diventa ben presto il giornale della congiura.

Nel 1795, durante le insurrezioni di germinale e di pratile, Babeuf è, ancora

una volta, in prigione. Dopo la scarcerazione la vita di Babeuf, costretto alla

clandestinità per sottrarsi alle azioni giudiziarie intentate contro di lui, si


17

confonde con la storia della Congiura degli Uguali37, il cui obiettivo

immediato era porre in vigore la costituzione del 1793 mentre l’obiettivo

finale era il trionfo del comunismo.

Il 10 maggio 1796, in seguito alla denuncia di un traditore, i principali capi

babouvisti furono arrestati e dopo lunghi dibattimenti condannati: Babeuf e

Darthé a morte, Buonarroti e altri alla deportazione. E’ noto che, all’atto della

pronuncia della loro condanna, Babeuf e Darthé si colpirono con uno stiletto e

furono ghigliottinati, moribondi, l’8 pratile anno V (28 maggio 1797).

Presupposti teorici

L’ideologia di Babeuf è permeata delle idee degli ideologues. Parte da

presupposti e analisi tipicamente illuministe, ma compie un grande balzo in

avanti superando lo stadio dell’utopismo puro38.

Il suo egualitarismo si basa su principi etici, rifacendosi al concetto di

eguaglianza naturale. Ogni aspetto della dottrina, dal rifiuto della proprietà

privata e della diversità dei talenti e delle retribuzioni all’idea dell’eguaglianza

reale, intesa come distribuzione egualitaria assoluta dei beni e del lavori, dal

principio dell’eguaglianza come forza rigeneratrice dell’uomo, alla funzione


37
Per la storia della congiura si veda direttamente F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite
de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G.
Manacorda, cit.
38
G. M. Bravo (a cura di), Scritti di socialisti, cit., p. 22.
18

dell’educazione, ha la sua origine e giustificazione filosofica nelle idee dei

pensatori del XVIII secolo, ma, al tempo stesso, questi medesimi principi

vengono rivitalizzati dall’esperienza rivoluzionaria e dalle aspirazioni sociali

dei sanculotti39.

Il suo innato realismo, lo stretto contatto con le gravi ristrettezze

economiche, nelle quali viveva il popolo e l’esperienza della rivoluzione

portano Babeuf oltre le idee riguardanti l’eguaglianza naturale. Egli parla

continuamente di eguaglianza reale, intesa da una parte come eguaglianza

effettiva, non solo nei diritti civili, ma anche in quelli politici e, soprattutto,

nella distribuzione delle ricchezze e dall’altra, esplicitamente, come un

obiettivo reale, non chimerico, raggiungibile attraverso un’insurrezione

armata.

La grandezza degli Eguali è stata quella di essere stato il primo partito

rivoluzionario comunista della storia, organizzato nei minimi dettagli, con

grande senso della realtà, per sovvertire l’ordine sociale esistente con quello

basato sull’eguaglianza, attraverso la rivolta popolare e la sua forza

dirompente40. Chiaramente è ancora presto, l’industrializzazione era agli

albori, per poter sentir parlare di rivolta del proletariato, ma Babeuf era

consapevole dell’immensa forza del popolo, la quale, se ben guidata, avrebbe

potuto cambiare radicalmente la società.

39
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 120.
40
Cfr. G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di
Babeuf, cit., pp. XLIII-XLVIII.
19

I babouvisti, inoltre, hanno afferrato, con piena consapevolezza, la necessità

di un periodo di transizione, di una dittatura temporanea, successiva

all’insurrezione vittoriosa, guidata da pochi illuminati, per preparare gli

uomini al nuovo ordine di cose41.

Il sistema di Babeuf è egualitario e, come conclusione logica del suo

pensiero, comunista42: per gli Eguali, la comunità dei beni è l’unico sistema in

grado di assicurare a tutti gli uomini il soddisfacimento dei propri bisogni. In

questo, il rivoluzionario non si discosta da Morelly 43, ma il progetto, i cui

presupposti affondano le radici nell’utopismo, diventa soluzione della crisi

sociale44.

Lo scopo di ogni ordinamento sociale è la felicità degli uomini; questo è

necessariamente un punto di convergenza per tutti coloro che si dedicano alla

costruzione di nuove società. Le strade cominciano a dividersi, quando si

osserva come viene intesa la felicità sociale. Per Babeuf, illuminista fino in

fondo, la felicità sociale non è semplicemente la felicità del maggior numero

o, ancora meglio, di tutti i consociati, ma la felicità di tutta la comunità, intesa

come unità inscindibile45. La felicità deve esplicarsi nella socialità: la felicità


41
M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 148.
42
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 90.
43
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 12, nota 2..
44
C. Mazauric, “introduzione” a F. N. Babeuf, Il Tribuno del Popolo, cit., p. 46.
45
“Il fine della Società è il bene comune” (F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 34, 15 brumaio anno
IV, trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, Muggiani, Milano, 1945, p. 52). Babeuf
considera il benessere collettivo fonte della felicità del singolo. Nella repubblica degli Eguali, gli
uomini non saranno egoisti o ambiziosi; in essi, si svilupperanno sentimenti legati alla comunità, quali
la fratellanza, l’amore per la patria: il benessere della comunità diventerà la fonte della loro felicità.
“La ricerca del bene comune è il fine ultimo di Babeuf... La comunione dei beni non era in fin dei
conti altro che il mezzo per conseguire tale bene o felicità comune precedentemente definiti secondo
20

sociale è il fondamento della società e obiettivo primario.

Essa può essere raggiunta, solamente, in una società fondata sul principio

dell’eguaglianza reale e su quello della sovranità popolare, necessaria

conseguenza della prima e sua garanzia di conservazione.

Babeuf arriva al concetto di eguaglianza reale, radicalizzando il principio

dell’eguaglianza naturale dei bisogni: dalla constatazione che gli uomini

hanno le stesse necessità fondamentali46 consegue l’eguaglianza su tutti gli

altri aspetti ed, in particolare, per quel che riguarda la distribuzione delle

risorse. L’eguaglianza distributiva, la quale assicura a tutti un benessere

minimo, è solo uno dei primi passi per arrivare alla vera eguaglianza; l’uguale

distribuzione delle risorse, oltre ad assicurare il diritto dell’uomo di

“provvedere alla conservazione dell’esistenza” 47, crea le premesse per

superare l’individualismo, per fare in modo che l’interesse personale venga

abbandonato, o meglio venga a coincidere con quello dell’intera collettività,

attraverso “il disinteresse simpatico manifestato dalla solenne pratica della

fraternità umana”48. In questo, si vede l’ottimistica fiducia di Babeuf nella

canoni metafisici come la felicità sociale: Babeuf è, dal principio alla fine della sua vita, un filosofo
del XVIII secolo” ( C. Mazauric, nota 3 a F. N. Babeuf, Il tribuno del popolo, cit., p. 82).
46
“... Allora, si è logicamente portati a riflettere sui diritti primordiali dell’uomo: li si discute, si
esamina quali sono allo stato di natura e quali diventano col passaggio allo stato sociale: si riconosce
che la natura ha fatto nascere gli uomini eguali in diritti e bisogni, e che la sorte di ogni individuo non
dev’essere alterata dal passaggio alla vita sociale; che gli istituti civili, lungi dal turbare la felicità
comune - frutto della conservazione di quest’eguaglianza - non hanno se non il compito d’impedirne
la violazione” (F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 34, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura
di B. Maffi, cit., p. 57).
47
M. Robespierre, Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, art. 2, in F. Buonarroti ,
Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di
Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit, p. 271.
48
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, 10 termidoro anno III (28 luglio 1795), trad. it. in Id.,
Il tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, cit., p. 131.
21

forza rigeneratrice dell’eguaglianza, nella sua capacità di elevare gli uomini,

oltre al puro interesse personale, di renderli giusti e saggi49.

La giustificazione ideologica dell’egualitarismo si rifà al concetto di

eguaglianza naturale. Babeuf afferma che le differenze naturali sono minime,

e, conseguentemente, se gli uomini fossero posti nella medesima situazione e

con le stesse opportunità di partenza50 svilupperebbero capacità non molto

dissimili tra loro. In ogni caso, anche se così non fosse, l’unica cosa certa e

significativa, per Babeuf, è l’eguaglianza dei bisogni; essa è più importante di

qualsiasi altra possibile differenza, e da questa deve conseguire la parità reale

fra gli uomini, e, in particolare, l’eguaglianza economica assoluta.

Questi concetti sono esposti da Buonarroti in maniera assai chiara:

...la natura ha fatto gli uomini eguali: ma come e in che cosa? E’ quel che importa

conoscere a fondo.

Coloro che approvano le ineguaglianze sociali, pretendono che esse siano inevitabili,

perché, secondo loro, traggono la loro origine da quelle che la natura ha posto tra gli

individui della specie umana.

Poiché gli uomini, essi dicono, differiscono naturalmente nel sesso, nella stature, nel

colore, nei tratti del volto, nell’età e nel vigore delle membra, non possono essere uguali né

in potenza né in ricchezza; l’eguaglianza, sia naturale, sia sociale, è dunque una vera e

propria astrazione.

(...)
49
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 134.
50
L’ideologia babouvista da enorme importanza all’educazione come strumento per assicurare
l’eguaglianza e l’emancipazione dei poveri. Le differenze di istruzione diventano infatti un arma in
mano ai potenti per assicurare le loro posizioni di predominio. L’educazione deve di conseguenza,
come un qualsiasi bene reale, essere assicurata a tutti.
22

C’è fra gli uomini, dicono i partigiani dell’ineguaglianza, un’altra differenza naturale che

si riflette necessariamente nella loro cultura e nella loro posizione sociale: quella

dell’intelligenza...

Tuttavia un sentimento segreto sembra avvertirci che le cose non sono state ordinate così

dall’autore della natura, e che, se gli uomini comunemente ben costituiti non hanno tutti la

stessa capacità di intendere, la differenza che esiste fra di loro a tal riguardo, è determinata

molto meno dalla diversità di conformazione, che da quella delle circostanze in cui si sono

trovati. Chi può dubitare che molti uomini ignoranti non sarebbero stati tali, se avessero

avuto la possibilità di istruirsi?...

D’altronde, fosse pure naturale, come si pretende, l’ineguaglianza di intelligenza, sarebbe

impossibile vedervi la fonte delle differenze di ricchezza e di potenza che esistono nella

società, perché non è affatto vero che i beni e l’autorità siano comunemente il retaggio del

sapere e della saggezza.

Ma si tratta veramente delle qualità di cui parliamo? Niente affatto. L’eguaglianza

naturale a cui si mira è l’uniformità dei bisogni...

Il bisogno di nutrirsi e quello di riprodursi, l’amore di sé , la pietà, l’attitudine a sentire, a

pensare, a volere, a comunicare le proprie idee e a comprendere quelle dei propri simili, a

conformare le proprie azioni alla norma, l’odio della costrizione e l’amore della libertà

esistono press’a poco nello stesso grado in tutti gli uomini sani e ben costituiti. Tale è la

legge di natura da cui emanano, per tutti gli uomini, gli stessi diritti naturali.

(...)

Non v’è dubbio che la disparità delle forze fisiche possa turbare, almeno

momentaneamente, il godimento della eguaglianza naturale: probabilmente proprio per

ovviare a questo male si fece ricorso ai patti e fu costituita la società civile... 51

Da questi principi generali, che si rifanno alle idee di Rousseau, Mably,

51
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit. trad it. in Id, Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., pp. 12-13, nota 4.
23

Morelly, Babeuf trae conclusioni radicali.

L’eguaglianza, nella società civile, deve essere reale e assoluta, superiore

all’eguaglianza naturale: essa deve esplicarsi non solo sul piano dei diritti o

delle pari opportunità, ma di una distribuzione delle ricchezze assolutamente

identica per tutti. Babeuf rifiuta il principio della giustizia distributiva; dal

presupposto dell’assoluta eguaglianza degli uomini nei bisogni discende il loro

diritto ad avere gli stessi mezzi per soddisfarli e questo diritto deve essere più

forte di qualsiasi considerazione legata alle diverse capacità degli uomini.

Babeuf è contrario ad una distribuzione delle ricchezze proporzionale ai talenti

o alle capacità.
24

Nel Manifesto dei Plebei, si legge:

Proveremo che, per un membro del corpo sociale, tutto quanto è al disotto della

soddisfazione dei suoi bisogni d’ogni genere e di tutti i giorni, è il frutto di una spoliazione

della sua proprietà naturale individuale, operata dagli accaparratori dei beni comuni.

Che, per ciò stesso, tutto ciò che un membro del corpo sociale ha al disopra della

soddisfazione dei suoi bisogni d’ogni genere e di tutti i giorni è il frutto di un furto, compiuto

ai danni degli altri associati, il quale priva necessariamente della sua parte di beni comuni un

numero più o meno grande di uomini.52

Babeuf non si limita a questi principi per dimostrare la necessità dell’uguale

distribuzione delle ricchezze: egli, infatti, considera tutti i lavori svolti

all’interno della società identicamente utili alla comunità, per cui essi non

devono dare luogo a differenze retributive. Inoltre, ritiene che le opinioni

riguardanti le presunte differenze di utilità delle varie attività umane, così

come le idee sulle diverse capacità degli uomini siano sbagliate e frutto di

cattivi pregiudizi.

Sempre nel Manifesto dei Plebei afferma

Che la superiorità d’ingegno e d’industria è una chimera, un inganno specioso che ha

sempre e indebitamente servito ai complotti dei cospiratori contro l’eguaglianza.

Che la differenza di valore e di merito nel prodotto del lavoro umano riposa unicamente

sull’opinione che taluni se ne sono fatta, e che hanno saputo imporre.

52
F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 35, 9 frimaio, anno IV (30 novembre 1795), trad. it. in Id., Il
tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, cit., p. 77.
25

Che a torto, in base a questa opinione, si è stimata la giornata di lavoro di chi fabbrica un

orologio venti volte più della giornata di chi traccia un solco.

Che, proprio in grazia di questa falsa valutazione, il guadagno dell’operaio orologiaio ha

messo quest’ultimo in grado di ottenere il patrimonio di cento operai contadini, da lui in tal

modo espropriati.

Che tutti i proletari sono divenuti tali solo grazie ad analoghe combinazioni in tutti gli

altri rapporti di proprietà: combinazione fondate sulla stessa base della differenza di valore

venutasi a stabilire fra le cose per la sola autorità dell’opinione.

(...)

Che, allo stesso modo, il valore dell’intelligenza è questione di opinione, e che resta

ancora da decidere se il valore della forza puramente naturale e fisica non gli stia alla pari.

Che chi ha dato un prezzo tanto alto alle concezioni del cervello sono stati proprio gli

intelligenti e che, se fossero stati i forti a sistemare le cose, avrebbero senza dubbio alcuno

stabilito che il merito delle braccia vale quello della testa e che la fatica di tutto il corpo può

ben equilibrare quella della sola parte ruminante. 53

Qui Babeuf si lancia in un appassionata difesa della pari dignità del lavoro

umano.

In ogni caso, il rivoluzionario francese è convinto che le uniche eventuali

differenze siano frutto della diversa educazione 54 ad afferma “ch’è verità

53
Ibid., pp. 77-78. Cfr. M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 112.
54
Come vedremo meglio inseguito, l’educazione gioca un ruolo decisivo per instaurare e
mantenere il sistema d’eguaglianza. Essa, da una parte, essendo uguale e comune, attenuerà le
differenze fra gli uomini eliminando i contrasti, che da esse possono derivare, dall’altra, insegnando i
giusti principi della fraternità e dell’eguaglianza, migliorerà gli individui, liberandoli dai vizi morali.
Al contrario, l’educazione può diventare un potente strumento di asservimento, quando è nelle mani di
pochi. “L’educazione è una mostruosità quando è ineguale, quando è patrimonio esclusivo di una
parte sola della società, poiché, in tal caso, diventa, nelle mani di questa minoranza, un arsenale di
macchine e d’armi d’ogni specie, mediante la quale essa combatte l’altra parte ch’è inerme, riuscendo
facilmente a jugularla, a ingannarla a depredarla, ad asservirla sotto le più vergogose catene” (F. N.
Babeuf, Tribun du peuple, n. 35, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, cit., p.
80).
26

assoluta - a torto contestata dalla malafede dal pregiudizio o dall’irriflessione -

che [una] ripartizione uniforme delle cognizioni renderebbe gli uomini

pressoché uguali in ingegno”55.

Infine, ai motivi della pari dignità di ogni attività dell’uomo e, soprattutto,

dell’eguaglianza dei bisogni, l’autore esprime anche una motivazione di ordine

sociale alla necessità di retribuire in maniera assolutamente identica lavori

diversi: l’eguaglianza è il bene più prezioso, per esso, se necessario, si devono

eliminare tutte le cause che, anche se in sé positive, ne potrebbero minare la

stabilità.

Babeuf afferma

Che anche se si potesse dimostrare che il tale, in virtù delle sue sole forze naturali, è in

grado di lavorare per quattro, ed egli esigesse perciò la retribuzione di quattro lavoratori,

quest’individuo sarebbe pur sempre un cospiratore contro la società, in quanto ne turberebbe

l’equilibrio, e distruggerebbe quel prezioso bene ch’è l’eguaglianza.

Che la saggezza impone a tutti i co-associati di punire quest’uomo come un flagello

sociale, di ridurlo a non poter fare che il lavoro di uno solo, per non poter esigere che il

compenso di uno solo.56

Questo ci mostra fino a che punto Babeuf si spinga. L’eguaglianza reale è

un principio assoluto e per raggiungerlo e mantenerlo, l’autore è disposto a

tutto; per essa, se necessario, si deve eliminare qualsiasi fattore che possa
55
F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 35, cit.,trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 80.
56
Ibid., pp. 79-80.
27

minare l’unità della comunità57. Babeuf teme che anche le più piccole

differenze all’interno del corpo sociale possano provocare fratture e divisioni,

che riporterebbero la società al vecchio ordine di cose. Egli afferma “che

nessuna verità può eguagliare in importanza quella che già abbiamo citata, e

che un filosofo ha espresso nei seguenti termini: Discutete fin che volete della

miglior forma di governo: non avrete fatto nulla finché non avrete distrutto i

germi della cupidigia e dell’ambizione”58.

Babeuf crede nel potere rigeneratore dell’eguaglianza. Attraverso essa gli

uomini potranno diventare migliori, abbandonando l’interesse individuale in

favore del bene comune. Una volta avvenuto questo non saranno più

necessarie misure così drastiche, perché l’emancipazione dell’uomo sarà

completa.

Fino a quel momento, e per raggiungere quel momento, è, però, necessario

che le istituzioni tolgano “ad ogni individuo la speranza di diventare più ricco,

più potente, più onorato per cultura, di qualunque suo simile”59.

Il passo seguente sintetizza, in maniera perfetta, ciò che Babeuf intende:

...occorre riuscire a incatenare la sorte, a rendere quella di ogni associato indipendente

57
Manacorda, comunque, ricorda, giustamente, che se il pensiero Babeuf nel Manifesto dei Plebei,
come vediamo nei passi citati, si accosta a quanto afferma Maréchal, nel suo Manifesto degli Eguali
(“Periscano, se necessario, tutte le arti, purché ci resti l’eguaglianza reale !” ), in un altro testo
importante come la lettera privata a Germain ha idee meno radicali, riconoscendo l’importanza dello
sviluppo delle arti e delle scienze (G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, cit. p. XXII.
58
F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 35, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., pp. 80-81.
59
Ibid., p. 81
28

dalle circostanze fortunate o sfortunate della vita, ad assicurare a ciascuno e alla sua

discendenza, per numerosa che sia, la piena soddisfazione dei suoi bisogni, e nient’altro che

questa, e a precludere a tutti ogni possibile via di ottenere più della propria quota individuale

dei prodotti della natura e del lavoro.60

Babeuf vuole “un’eguaglianza senza macchia e senza riserve” 61, perché,

solo in questo modo, è possibile “garantire il bene comune, il benessere uguale

di tutti i consociati”62; tutti hanno il diritto alla felicità e, di conseguenza, tutti

hanno il diritto di soddisfare i propri bisogni.

Eguaglianza reale

Scopo della società è assicurare, realmente, l’eguaglianza degli uomini, di

fronte ai bisogni. Dal presupposto che tutti gli uomini, al di là di qualunque

altro tipo di differenza, sono assolutamente identici nei bisogni fondamentali

(nutrirsi, vestirsi, riprodursi) discende la necessità di una distribuzione delle

risorse assolutamente egualitaria: ciò che Babeuf chiama eguaglianza reale.

Secondo gli Eguali, l’unico modo per assicurare l’eguaglianza reale è

abolire la proprietà privata e instaurare la comunione dei beni.

Babeuf non arrivò immediatamente a questa soluzione. All’inizio, si era


60
Ibid.
61
Ibid., p. 64.
62
Ibid., p. 70. Cfr. G. Manacorda , “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., p. XX.
29

battuto in favore di una redistribuzione egualitaria dei terreni e di un

limitazione del diritto di proprietà connesso con la soppressione del diritto di

alienabilità della terra e del diritto di eredità 63. In una lettera del 1791, Babeuf

scrive a favore della legge agraria: “...la terra non deve essere alienabile...

ognuno nascendo ha diritto di avere la sua parte sufficiente, come avviene per

l’acqua e per l’aria... morendo deve lasciarne eredi non quelli che gli sono più

vicini nella società ma la società intera”64. La diseguaglianza si è originata a

causa degli inganni di pochi che sono riusciti ad appropriarsi dei beni della

maggioranza e sono riusciti ad imporre la falsa convinzione che alcune attività

siano più utili di altre e danno, quindi, diritto a compensi maggiori: “stando

così le cose una nuova divisione non farebbe che rimettere le cose a posto...” 65.

Successivamente, Babeuf arriva alla consapevolezza che una semplice

redistribuzione egualitaria dei beni, sia attraverso una legge agraria che porti

all’espropriazione, divisione e distribuzione dei grandi poderi sia attraverso

l’imposizione fiscale progressiva66, sia insufficiente alla creazione della vera

eguaglianza.

63
Nel pensiero di Babeuf si distinguono tre fasi, riguardo alla questione della proprietà. Dapprima
egli parla di una distribuzione delle affittanze, successivamente è a favore della legge agraria, intesa
come redistribuzione egualitaria delle terre e abolizione del diritto di alienabilità, infine egli considera
l’insataurazione della comunione dei beni l’unico sistema in grado di assicurare l’eguaglianza reale.
Cfr. M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., pp. 95-99 e C. Mazauric, “introduzione”
a F. N. Babeuf, Il Tribuno del Popolo, cit., pp. 27-31.
64
F. N. Babeuf, Seconda lettera di F. N. Cam. Babeuf, cittadino, a J. M. Coupé, legislatore, 10
settembre 1791, trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di C. Mazauric, cit., p. 162; (François-
Noël Camille Babeuf; Camille è il soprannome che Babeuf si è dato).
65
Ibid.
66
“Tassate fin che volete il ricco; detenendo tutti gli oggetti di consumo, egli troverà sempre il
modo di vendicarsi sul povero, a meno che non abbiate avuto la precauzione di fissare i limiti che la
sua cupidigia non potrà varcare” (F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 39, 1796, trad. it. in Id., Il
tribumo del popolo, a cura di B. Maffi, cit., p. 95).
30

Nel Manifesto dei Plebei, Babeuf scrive:

Ma insomma, quello che volete è la legge agraria?, grideranno a mille e mille certi

uomini onesti. No: vogliamo qualcosa di più. Sappiamo l’argomento imbattibile che ci

verrebbe opposto: si direbbe con ragione che la legge agraria può durare al massimo un

giorno, e l’indomani della sua applicazione, l’ineguaglianza si ripresenterebbe. 67

Diventa, dunque, necessario cambiare radicalmente la struttura della

società, perché “il sistema dell’eguaglianza esclude ogni tipo di

distribuzione”68.

L’unica soluzione è “la proscrizione della proprietà individuale, e...

l’instaturazione della comunione dei beni e del lavoro, unico mezzo capace di

prosciugare per sempre la fonte di ogni ineguaglianza, e di estirpare tutti i

pregiudizi e i mali che ne derivano”69.

La giustificazione ideologica dell’abolizione del diritto di proprietà riprende

le idee di Mably70: esso non è un diritto naturale, è una “deplorevole creazione


67
F.N. Babeuf, Le Tribun du Peuple, n. 35, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., pp. 73-74. Nei motivi che sconsigliano la legge agraria e suggeriscono la comunità dei
beni, Babeuf è illuminista fino in fondo. In particolare, si fa riferimento a Mably, il quale nei Droits et
devoirs du cytoien scrive: “ Qualunque sia l’eguaglianza con cui si spartiscono inizialmente i beni di
una repubblica, state pur certi che alla terza generazione l’equaglianza non regnerà più fra i cittadini”;
e questo per la diversità dei talenti, della laboriosità, del numero dei figli (A. Galante Garrone,
Buonarroti e Babeuf, cit., p. 131).
68
F. Buonarroti, Résponse à une lettre signée M. V., 28 germinale, anno IV (17 aprile 1796), in Id.,
Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta
di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 352.
69
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 148.
70
Lo stesso Buonarroti, nella Cospirazione, richiama direttamente i principi del filosofo francese.
Nell’Analisi della dottrina di Babeuf, spiega in che modo la nascita del diritto di proprietà sia stata
fonte di sventura e miseria per il genere umano: “Dal momento in cui le terre furono divise, nacque il
diritto esclusivo di proprietà. Allora ciscuno fu il padrone assoluto di tutto ciò che poteva trarre dai
campi che gli erano toccati in sorte e dall’industria che poteva esercitare. E’ probabile che gli uomini
dediti alle arti di prima necessità siano stati esclusi, in quello stesso tempo, da ogni possesso terriero
che non avevano il tempo di sfruttare. Gli uni restarono così i padroni delle cose necessarie
31

della nostra fantasia, dei nostri errori: è nato da un vizio orribile, l’avidità, e, a

sua volta, genera tutti gli altri vizi, tutte le passioni, tutti i delitti, tutti i dolori

della vita, tutti i generi di mali e di calamità” 71. La proprietà privata non può

che essere fonte di egoismo. I sistemi basati su di essa, generano negli uomini

una brama di ricchezza che li mette uno contro l’altro. La minoranza, che

riesce ad accumulare nelle proprie mani gran parte delle ricchezze, mantiene la

maggioranza in uno stato di miseria ed ignoranza.

Solo in una società rigenerata, senza diritto di proprietà, sarà possibile

assicurare il benessere di ogni individuo, senza che questo sia in contrasto con

quello degli altri.

“In una simile ordinamento l’eliminazione della cupidigia farebbe cessare le

gelosie, gli inganni e le diffidenze, e gli uomini sarebbero realmente fratelli,

strettamente interessati alla conservazione di uno stato di cose che assicura il

benessere a tutti”72. “In questa forma sociale spariscono le ricchezze

all’esistenza, mentre gli altri ebbero diritto soltanto ai salari che si volevano pagare loro. Ciò
nonostante, questo cambiamento non ne portò uno sensibile nella distribuzione dei godimenti, finchè
il numero dei salariati non eccedette quello dei possessori di terre. Ma, non appena gli accidenti
naturali, l’economia o l’astuzia degli uni, la prodigalità e l’incapacità degli altri, ebbero raccolto in un
piccolo numero di famiglie le proprietà terriere, i salariati furono molto più numerosi dei salarianti,
che li ebbero in loro balia, e, fieri della propria opulenza, li ridussero in condizioni di vita veramente
frugali... Poi si è veduto l’ozioso vivere con rivoltante ingiustizia dei sudori dell’uomo laborioso,
schiacciato sotto il fardello delle fatiche e delle privazioni; si è veduto il ricco impadronirsi dello stato
e dettar da padrone leggi tiranniche al povero, violentato dal bisogno, avvilito dall’ignoranza e
ingannato dalla religione. Le sventure e le schiavitù derivano dall’ineguaglianza, e quest’ultima dalla
proprietà. La proprietà è dunque il più grande flagello della società” (F. Buonarroti, Analyse de la
doctrine de Babeuf proscrit par le directoire exécutif pour avoir dit la vérité, 20 germinale anno IV (9
aprile 1796), in Id., Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 319).
71
F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 37, 30 frimaio anno IV, trad. it. in Id., Il Tribuno del Popolo,
a cura di B. Maffi, cit., p. 91.
72
F. Buonarroti, Résponse à une lettre signée M. V.,cit., trad. it. in Id., Conspiration pour l’égalité
dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G.
Manacorda, cit., p. 356.
32

individuali e il diritto di proprietà è sostituito dal diritto di ogni individuo ad

un’esistenza felice quanto quella di tutti gli altri membri del corpo sociale” 73:

viene assicurata l’eguaglianza reale.

Lo stesso Buonarroti ci spiega cosa essa significhi e come si realizzi:

Vediamo ora cosa si intende per eguaglianza reale. Essa ha per base due condizioni

essenziali: lavori comuni, godimenti comuni.

Anzitutto, essendo il lavoro una condizione necessaria senza la quale l’associazione

perirebbe, nessuno ha potuto sottrarvisi senza ingiustizia: chi lo ha fatto ha diminuito la

ricchezza pubblica, o ha rigettato il proprio compito sul vicino.

Due potenti considerazioni vengono in appoggio a questo sistema: 1) questo lavoro

comune aumenterebbe le ricchezze della società che, nello stato attuale, può contare solo sul

lavoro utile di una piccola parte dei suoi membri; 2) il lavoro, ripartito su tutti i membri

validi della società, libererebbe di un fardello insopportabile quelli che noi abbiamo

esclusivamente condannati alla fatica e ne trasporterebbe agli altri solo una piccolissima

porzione, che presto diverrebbe per tutti una fonte di piacere e di svago.

(...)

Che ciascuno lavori per la grande famiglia sociale e che ciascuno ne riceva l’esistenza, i

piaceri e la felicità: ecco la voce della natura, ecco lo stato in cui l’eguaglianza non è una

chimera e in cui è saldamente assicurata la libertà di ciascuno. 74

Il comunismo di Babeuf è definito comunismo dei bisogni, in quanto dal

principio fondamentale dell’eguaglianza dei bisogni discende l’organizzazione

della società, che deve assicurare una distribuzione delle ricchezze


73
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 149.
74
F. Buonarroti, Résponse à une lettre signée M. V., cit., in Id., Conspiration pour l’égalité dite de
Babeuf, cit., trad. it. in Id.,Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda,
cit., p. 354.
33

assolutamente identica per tutti.

Buonarroti, nell’Analisi alla dottrina di Babeuf dice: “I lavori e i godimenti

devono essere comuni a tutti, cioè tutti devono sopportare un’egual parte di

lavoro e trarne un’uguale quantità di godimenti”75: dal fatto che gli uomini

hanno uguali le medesime necessità, discende che debbano avere i medesimi

godimenti76 e da questo consegue che tutti debbano partecipare in eguale

misura ai lavori, indispensabili per produrre i beni necessari all’uomo.

Buonarroti aggiunge:

Quest’obbligo [di lavorare] non ha potuto essere diminuito dalla società, né per tutti né per

ciascuno dei suoi membri:

a) perché ne dipende la sua conservazione

b) perché la pena di ciascuno è la minore possibile solo quando tutti vi partecipino. 77

Una divisione equa del lavoro, non solo lo renderebbe meno duro, ma, se

esso fosse “saggiamente ed universalmente distribuito diverrebbe...

un’occupazione dolce e divertente, alla quale nessuno avrebbe voglia o

75
F. Buonarroti, Analyse de la doctrine de Babeuf, cit., Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf,
cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p.
318.
76
“Sarebbe veramente un orrore inaudito, signor M. V., che il vostro pane, la vostra carne, il
vostro vino e i vostri abiti uscissero dallo stesso magazzino ed avessero lo stesso sapore di quelli di un
ciabattino! Ma pure, perché la natura ha voluto dare a questo immondo animale uno stomaco e dei
sensi come i vostri? Disgraziato! Quando navigate nell’abbondanza, vi ci vuole anche lo spettacolo
dei dolori altrui per completare la vostra felicità” (F. Buonarroti, Résponse à une lettre signée M. V.,
cit., in Id., Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p 355).
77
F. Buonarroti, Analyse de la doctrine de Babeuf, cit.,in Id., Conspiration pour l’égalité dite de
Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda,
cit., p. 318.
34

interesse a sottrarvisi”78.

In ogni caso, Babeuf precisa:

Non esisteranno sfaticati, nella Repubblica. Non sarà difficile stabilire un controllo che

impedisca di contrarre l’abitudine alla pigrizia e, tutto considerato, non vedo che nel nostro

sistema il codice penale debba prevedere altro caso che l’attentato all’eguaglianza da parte

del non-lavoro, né che i tribunali non abbiano da punire altri delitti, che questo.79

Organizzazione economica

Il sistema economico delineato dall’ideologia babouvista, come abbiamo

accennato, non è elaborato accuratamente, non entra nei dettagli. Nei principi

generali non è originale, riprendendo idee già esposte da Montesquieu, da

Rousseau, e soprattutto da Morelly 80.

Tali principi, però, assumono un valore e una concretezza del tutto nuovi, a

causa dell’influenza su Babeuf e compagni dell’esperienza rivoluzionaria, in

particolare quella dell’anno II, con i suoi magazzini generali, le requisizioni

forzate, i censimenti, il maximum, l’accentramento economico81.


78
F. Buonarroti, Résponse à une lettre signée M. V., cit., in Id., Conspiration pour l’égalité dite de
Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda,
cit., p. 357. Questa affermazione, riguardo alla perdita da parte del lavoro dei suoi connotati negativi,
nel nuovo sistema, richiama alla mente le concezioni di Fourier sul lavoro attraente. Cfr. A. Galante
Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit. p. 139.
79
F. N. Babuef, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id,. Il Tribuno del Popolo, cit., pp. 128-
129.
80
Cfr. A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., pp. 150-151.
81
Cfr. D. Guérin, La lutte de classe sous la premiére République - Bourgeois et “bras nus”,
(1793-1797), Gallimard, Paris, 1946, vol. I, pp. 154-173; vol. II, p. 343, in A. Galante Garrone,
Buonarroti e Babeuf, cit., p. 226.
35

Inoltre, Babeuf , sempre molto realista, ebbe ben presente che il popolo

francese non inseguiva sogni chimerici, legati ad un abbondanza generalizzata

e senza limite, ma semplicemente voleva non morire di fame: quello che

chiedeva era la sussistenza82. L’organizzazione del sistema economico degli

Eguali nasce principalmente come soluzione immediata alla crisi sociale e, pur

fondandosi su idee diffuse nel XVIII secolo, non mancano spunti e soluzioni

originali.

Il principio fondamentale, su cui costruire la società è, come sappiamo,

l’eguaglianza degli uomini nei bisogni. Di fronte a questo principio universale

di giustizia, le diversità di talento, capacità, intelligenza diventano irrilevanti.

In ogni caso, Babeuf è convinto della pressoché eguaglianza naturale degli

uomini: le differenze di capacità derivano, principalmente, della diversa

istruzione.

Da queste affermazioni discendono due caratteristiche fondamentali del

sistema degli Eguali: da una parte l’affermazione che tutti i lavori sono uguali

che, quindi, non danno diritto a diversi compensi, dall’altra l’elaborazione di

un sistema di educazione e istruzione uguale e comunitario.

Partendo dall’eguaglianza dei lavori e dei godimenti, Babeuf elabora un

sistema, che si rifà a quello dei granai collettivi e alla pratica legale della

requisizione dell’anno II della Rivoluzione. In esso, viene eliminato il

compenso individuale legato al lavoro ed ognuno ottiene direttamente ciò di


82
“Posso mai politicare quando da 48 ore non mangio?” (F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 35,
cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, cit., p. 67).
36

cui necessita. Viene eliminata la possibilità di arricchirsi perché non solo non

esistono più i salari, ma viene anche eliminata la moneta: vengono distribuiti

beni reali. In tal modo, secondo Babeuf, si sarebbe estirpato l’egoismo e gli

altri vizi legati alla proprietà privata e alle ricchezze e ognuno avrebbe svolto

la propria attività senza più pensare al denaro, ma avendo come obiettivo il

benessere comune.

Nella lettera a Charles Germain, Babeuf scrive:

Nella società rigenerata tutto deve essere equilibrio e compensazione, nulla deve offrire il

destro a farsi avanti e a dominare. Non deve esistervi né alto né basso, né primo né ultimo e

gli sforzi, così come le intenzioni di tutti i consociati (non altro sono gli individui di cui la

società si compone) devono costantemente convergere verso la grande meta fraterna, la

prosperità comune, inesauribile, eterna miniera di benessere individuale...

Che ciascuno abbia la sua funzione ch’egli eserciti coscienziosamente e che gli permetta

di vivere felice e non più, giacché occorre felicità per tutti, distribuita egualmente fra tutti. 83

I prodotti del lavoro di ogni individuo vengono requisiti

dall’amministrazione centrale, che si occupa della redistribuzione egualitaria

dei beni:

...tutti gli agenti di produzione e di fabbricazione lavoreranno per il magazzino comune, e

ognuno di loro vi consegnerà il prodotto in natura della sua funzione individuale, e agenti di

distribuzione non più operanti per proprio conto ma per conto della grande famiglia faranno

rifluire verso ogni cittadino la sua parte uguale eppure diversa dell’intera massa di prodotti di

83
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, 10 termidoro anno III (28 luglio 1795), trad. it. in Id.,
Il tribuno del popolo, a cura di B. Maffi, cit., p. 123
37

tutta l’associazione, in cambio di ciò che avrà potuto fare sia per aumentarli sia per

migliorarli...84

Babeuf spiega che, in questo modo, scomparirà la falsa e funesta

convinzione, che esistano lavori di differente importanza; diventerà chiaro che

ogni tipo di lavoro è utile alla società e tutti coloro che ne hanno la possibilità

devono svolgere la propria parte nella vita economica della comunità:

...quali che siano le nostre funzioni individuali, se non siamo né fanciulli né vecchi né

infermi, saremo tutti quanti agenti di quel commercio, nel quale ogni distinzione è annullata,

e tutti sono su un piede di perfetta eguaglianza, i produttori che sono agricoltori e operai,

artigiani, artisti e intellettuali, magazzinieri, distributori incaricati di avviare al consumo i

prodotti finiti. Scompare così qualsiasi distinzione tra l’industria e il commercio, e avviene la

fusione tra tutte le professioni elevate ad un medesimo livello di onore.85

Oltre a queste considerazioni generali, Babeuf, pur non entrando nei

dettagli, accenna ad una pianificazione del lavoro, il quale verrà organizzato

razionalmente dallo stato in funzione dei bisogni reali della comunità:

Tutto ciò che viene fatto attualmente continuerà ad essere fatto dalle stesse persone.

L’agricoltore rimarrà agricoltore, il fabbro fabbro, il tessitore tessitore, e la stessa cosa sarà di

tutte le specie di lavoratori. Con la differenza che tutte le persone attive saranno classificate

secondo il tipo del lavoro; l’associazione sarà perennemente al corrente di tutto ciò che

ognuno fa, affinché non siano prodotti né troppi né troppo pochi oggetti dello stesso tipo;

84
Ibid.
85
Ibid., p. 124.
38

questo fatto determinerà per ogni specialità il numero dei cittadini che dovranno esservi

impiegati e dei giovani che vi si avvieranno. Tutto sarà proporzionato ai bisogni presenti e ai

bisogni previsti secondo l’aumento probabile e facilmente prevedibile della comunità. Tutti i

bisogni reali saranno esattamente studiati e pienamente soddisfatti, attraverso un rapido

trasferimento in tutte le località e in tutte le distanze. 86

Buonarroti aggiunge che la pianificazione delle attività partirà già attraverso

l’educazione data ai giovani. La distribuzione dei lavori “ha origine nelle case

di educazione pubblica... i magistrati incaricati della loro direzione vi fanno

praticare tutti i generi di lavoro ordinati dalle leggi, facendo applicare a

ciascuno di essi un numero di allievi proporzionato ai bisogni, tenuto conto

delle loro forze e delle loro inclinazioni”87.

Babeuf rifiuta, dunque, il sistema di mercato in favore di

un’organizzazione della produzione e della distribuzione regolata da

un’amministrazione centrale. Essa, oltre ad essere l’unico sistema in grado di

assicurare l’eguaglianza reale dei godimenti, permette di evitare gli sprechi e

l’irrazionalità del sistema concorrenziale.

Babeuf scrive:

La concorrenza che, lungi dal mirare alla perfezione, sommerge i prodotti fatti

coscienziosamente sotto montagne di prodotti deteriori, immaginati per far colpo sul

pubblico, che ottiene il prezzo basso alla sola condizione di costringere l’operaio a perdere la

86
Ibid., p. 125.
87
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 150.
39

mano in lavori abborracciati, sfibrandolo, affamandolo, uccidendone la moralità con

l’esempio della mancanza di scrupoli; la concorrenza che da la palma della vittoria solo a chi

ha più denaro; che, dopo la lotta, si conclude in un monopolio nelle mani del vincitore e nella

sparizione del prodotto a buon mercato; la concorrenza che fabbrica non importa come, a

torto e a traverso, a rischio di non trovare compratori e di distruggere una gran quantità di

materia prima che avrebbe potuto trovare un utile impiego, ma che non servirà più a nulla... 88

Nel repubblica degli Eguali, invece, l’organizzazione economica è regolata

dalla legge, che avrà come obiettivo la produzione di beni realmente utili e

farà in modo che “ tutti si trovino sottoposti a doveri egualmente proporzionati

alle loro forze e alla durezza del lavoro di cui saranno incaricati”89.

Riguardo alla distribuzione dei lavori, Buonarroti precisa ulteriormente:

Forse sarebbe stato conveniente distinguere i lavori di stretta necessità in facili e penosi, e

obbligare ogni cittadino ad esercitarne uno di una categoria e uno di un’altra.

Forse anche sarebbe stato giusto stabilire un’altra divisione dei cittadini secondo l’età, per

proporzionare il peso del lavoro all’accrescimento e alla diminuzione delle forze... 90

Egli conclude, infine, dicendo che “l’eguaglianza deve misurarsi non tanto

dall’intensità della fatica, quanto dalla capacità del lavoratore” 91 e “ colui che,

dotato di un certo grado di forza, solleva un peso di dieci libbre, lavora tanto

88
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 126.
89
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 151.
90
Ibid.
91
Ibid.
40

quanto colui che, dotato di una forza quintupla, ne sposta uno di cinquanta”92.

Al di là dei principi generali, legati alla distribuzione egualitaria del lavoro,

rimane aperta la questione della effettiva organizzazione della produzione. In

particolare, la questione fondamentale è questa: oltre che di proprietà comune,

si può parlare di sfruttamento collettivo delle terre e dei mezzi di produzione?

Innanzitutto, è necessario premettere che il tema dell’organizzazione della

produzione è poco sviluppato nell’ideologia babouvista; essa si occupa,

principalmente, della questione distributiva; si è, infatti, soliti parlare di

comunismo distributivo93. Le ragioni che possono spiegare questo sono

molteplici. In primo luogo, il principio base del sistema rimane, sempre,

l’eguaglianza nei godimenti; i babouvisti, per questo motivo, si preoccupano

principalmente della distribuzione: il loro primo obiettivo è assicurare a tutti il

soddisfacimento del bisogni naturali. In secondo luogo, gli Eguali sono

portatori e difensori delle istanze dei sanculotti e, più in generale, del popolo.

Esso, in particolare nell’anno IV della Rivoluzione, si trovava in condizione

disperate e quello che chiedeva, non erano sogni chimerici legati ad un

abbondanza generalizzata, ma la possibilità di ottenere il necessario per

sopravvivere. Per Babeuf , elaborare e ricercare un sistema produttivo che

assicurasse l’abbondanza non era un’istanza primaria. Infine, naturalmente, la

questione più immediata rimaneva l’organizzazione della congiura e

dell’insurrezione delle masse.


92
Ibid., p. 213.
93
J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967, p. 264.
41

In definitiva, problemi più urgenti e questioni di opportunità politica

possono spiegare lo scarso interesse ad approfondire un tema importante come

quello della produzione delle ricchezze.

Nei passi precedentemente citati abbiamo visto come Babeuf affermi che il

sistema di produzione non cambierà rispetto alla società nemica

dell’eguaglianza, se non per il fatto che i salari scompariranno e i beni prodotti

saranno consegnati dai produttori ai magazzini generali. L’unico accenno alla

questione produttiva, riguarda l’organizzazione del lavoro, che da una parte

sarà distribuito, in maniera egualitaria, dall’altra sarà controllato dallo stato.

Per quel che riguarda strettamente l’organizzazione e lo sfruttamento dei

mezzi produttivi, si lascia intendere che tutto sia mantenuto al livello di cellula

familiare e bottega artigiana.

Buonarroti parla di diritto di usufrutto 94 sui beni, facendo anch’egli intuire

che i metodi di produzione rimarranno invariati; non si accenna a una gestione

collettiva delle risorse. Sembra che Babeuf e compagni ignorassero le positive

conseguenze della concentrazione e dell’industria allora nascente. Secondo

Manacorda, ”gli Eguali non superarono la concezione arcaica della produzione

basata sulla piccola azienda artigiana o contadina, perché non riconobbero la

concentrazione economica e il progresso tecnico come fattori di quell’aumento

della produttività del lavoro che solo avrebbe potuto portare all’abbondanza

dei beni, da essi pur vagheggiata come condizione necessaria alla


94
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 155.
42

communauté”95.

Non dello stesso parere è, invece, Galante Garrone, il quale “ ravvisa nel

Babeuf e nel Buonarroti una consapevolezza dell’importanza dell’industria

assai maggiore che negli scrittori del settecento...” 96.

La questione da affrontare è, quindi, capire se Babeuf si fosse realmente

reso conto dell’importanza, a livello produttivo, della meccanizzazione e della

concentrazione economica e come considerasse queste in relazione

all’eguaglianza reale che propugnava.

Non è possibile affermare che Babeuf non fosse sensibile al problema

dell’efficienza produttiva o la ritenesse di scarsa importanza. In alcune lettere

della sua corrispondenza con Dubois de Fosseux, nel 1786, riguardo alla

questione della distribuzione delle terre97, aveva fatto alcune considerazioni

sulle relazioni intercorrenti tra la produttività del terreno e la sua dimensione.

Le sue aspirazioni egualitarie, che lo fanno propendere per la divisione delle

terre, non gli impediscono di riconoscere la maggior efficienza dei poderi di

grandi dimensioni98.

Non ci si sorprende, quindi, che, tenendo conto della maggior produttività

delle grandes fermes, Babeuf, successivamente, si pronunci a favore di uno

95
G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf,
cit., pp. XXIX.
96
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 139.
97
Il problema della redistribuzione delle terre era un argomento molto sentito e discusso
dall’opinione pubblica, soprattutto, negli anni precedenti al scoppio della Rivoluzione. Cfr. M.
Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., pp. 78-80.
98
M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 87.
43

sfruttamento collettivo delle terre da parte di associazioni di agricoltori. 99. In

un manoscritto del 1786, come ha rilevato Dalin 100, Babeuf, rendendosi conto

della superiorità economica dell’azienda di grandi dimensioni, aveva

abbozzato il progetto di mantenere le grandi aziende dandole in gestione

collettiva, ossia aveva pensato alla costituzione di fermes collectives101, nelle

quali ”50, 40, 30 o 20 persone vengano a vivere in associazione su questo

podere, intorno al quale, da isolati com’erano prima, vegetando appena nella

miseria, passerebbero rapidamente al benessere”102.

Del resto, non si può dimostrare che tali idee siano mantenute negli anni

seguenti103. Senza dubbio, negli scritti successivi ed in particolare in quelli

legati alla congiura non si accenna più a questo, ed anzi in molti scritti, dopo il

1786, Babeuf si pronuncia nuovamente a favore della legge agraria, ossia della

distribuzione delle terre, idea che sarà abbandonata solo al tempo della

congiura104.

In ogni caso, il comunismo babouvista del 1795-1796, pur essendo a favore

della comunità dei beni, non riprende con chiarezza le linee del progetto delle

99
C. Mazauric, “introduzione” a F. N. Babeuf, Il Tribuno del popolo, cit., p. 16.
100
Cfr. V. M. Dalin, Les idées sociales de Babeuf à la veille de la révolution, in Babeuf et les
problémes du babuvisme. Colloque international de Stockolm (21 Août 1960), Editions Sociales, Paris
1963, pp. 55-72.
101
G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione dell’eguaglianza detta di Babeuf,
cit., p. XXVI.
102
Brano estratto da A. Soboul, Précis d’histoire de la Révolution française, Editions Sociales,
Paris, 1962, p. 412, in M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 96.
103
Mazauric, comunque, ricorda che talvolta si parla di lavoro collettivo e in tal caso i lavoratori
sarebbero stati raggruppati in brigate, di tipo corporativo: questo è il solo punto in cui il comunismo
distributivo preannuncia la socializzazione delle produzione; C. Mazauric, “introduzione” a F. N.
Babeuf, Il tribuno del popolo, cit., p. 49.
104
Ibidem.
44

fermes collectives, che avrebbero conciliato l’eguaglianza con l’efficienza

economica105. L’associazione dei produttori agricoli (e non agricoli), delineata

dagli Eguali sembra destinata, soprattutto, alla vigilanza sull’equa

distribuzione dei lavori e dei prodotti più che all’organizzazione della

produzione106.

La ferme collective sembra essere rimasta, quindi, un’intuizione geniale e

isolata di Babeuf107. Non è possibile dire con certezza se il progetto fosse stato

definitivamente abbandonato, perché ritenuto irrealizzabile 108, o fosse stato

semplicemente accantonato, in attesa di essere successivamente ripreso, per

motivi di opportunità politica o per la necessità di occuparsi di questioni, in

quel momento, più urgenti.

Anche per quel che riguarda il progresso tecnico e la meccanizzazione, non

si può negare che Babeuf fosse consapevole dell’industria allora nascente. Egli

riconobbe le nefaste conseguenze che essa portò sugli operai sfruttati, ma la

considerò positiva e utile se inserita nel contesto della repubblica degli Eguali.

Sua convinzione fu che non solo l’egualitarismo e la comunione dei beni non

avrebbero portato alla distruzione dell’industria, ma, al contrario, ritenne che

105
C. Mazauric, “introduzione” a F. N. Babeuf, Il Tribuno del popolo, cit., p. 16.
106
G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione dell’eguaglianza detta di Babeuf,
cit., p. XXVIII.
107
Ibid., p. XXIX.
108
“Non v’è dubbio che sarebbe preferibile conseguire la massima felicità sociale. Ma se è
ammesso, dimostrato che vi si può arrivare con certezza solo attraverso uno stadio intermedio, è
senz’altro meglio aggiornare il nec plus ultra della felicità umana anziché correre il rischio di non
toccarlo mai” (F. N. Babeuf, Eclaireur du peuple ou le défenseur de vingtquatre millions d’opprimés,
n. 5, 1796, trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di C. Mazauric, cit., p. 51).
45

essa ne avrebbe beneficiato 109.

Né le arti, né le scienze, né l’industria andrebbero in rovina: tutt’altro. Esse riceverebbero

nuovo slancio nel senso dell’utilità generale, e si trasformerebbero nelle loro applicazioni in

modo da accrescere la somma dei godimenti di tutti. Arti, scienza, industria si

svilupperebbero e si purificherebbero cercando nuove vie; riceverebbero una sublime

impronta, conforme ai grandi sentimenti che un’immensa società di uomini felici farebbe

necessariamente sorgere. Cesserebbero d’essere schiave e, non essendo più condannate a

rimpicciolirsi ad arbitrio dei loro mecenati, si innalzerebbero alle concessioni grandiose, le

sole degne di una civiltà vera, quella che implica il bene comune, le sole che la

caratterizzano.110

Babeuf vuole dimostrare che in un regime egualitario non ci sarà un

regresso dell’industria, delle arti e della cultura, perché allo stimolo del

guadagno si sostituirà l’amore per la gloria e la solidarietà sociale111. Inoltre, in

tale sistema il frutto delle invenzioni sarà benefico per tutti, e non accadrà,

come avviene nella società basata sulla proprietà privata, che le conseguenze

di una nuovo scoperta siano positive solo per pochi e funeste per la

109
Cfr. A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., pp.140-141.
110
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., pp. 131-132.
111
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p.143. All’accusa mossa al comunismo di
Babeuf secondo la quale “se ogni specie di lavoro riceve la stessa ricompensa, non esiste più motivo
di dedicarsi alle ricerche scientifiche che conducono a scoperte utili alla società”, Buonarroti risponde:
“Credo sia abbastanza dimostrato che il progresso delle scienze dipende più dall’amore della gloria
che dall’avidità dei beni; e in questo caso, la nostra società, veramente filosofica, avendo a sua
disposizione tutti i mezzi di onorare con serietà e giustizia i suoi benefattori, avrebbe diritto di contare
su di loro più delle nostre corrotte associazioni, nelle quali il genio e la virtù, disprezzati e votati
all’indigenza, vedono quasi sempre la stupidità e il delitto colmati d’ogni bene” (F. Buonarroti,
Résponse à une lettre signée M. V., cit., in Id., Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it.
in Id.,Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., pp. 357-358.
46

moltitudine:

Se ho inventato una macchina, un procedimento che semplifica o abbrevia il lavoro del

mio mestiere, se possiedo un segreto per far meglio e più presto una qualsiasi cosa, non ho

paura che mi venga sottratto; al contrario, mi affretterò a comunicarlo all’associazione e a

deporlo nei suoi archivi perché non si abbia mai a deplorare di averlo perduto. Di questo

segreto mi sarà tenuto conto: esso allevierà le fatiche mie e di tutti nella categoria dei lavori

che la sua applicazione faciliterà, e questo alleviamento della fatica non rappresenterà più

funesta causa di disoccupazione, ma un piacevole svago.112

Il comunismo di Babeuf non è, quindi, solo agrario. Egli considera lo

sviluppo industriale come un processo irreversibile e non propone di arrestare

tutto questo per ritornare a forme produttive più semplici. Babeuf vuole creare

un nuovo sistema sociale, in cui l’eguaglianza reale e la sempre più vasta

applicazione delle macchine sia fonte di benessere per gli uomini113:

Dovrò allarmarmi all’annuncio di una macchina che sopprime nella mia professione

l’impiego di gran numero di braccia? No, mille volte no, perché so che l’introduzione di

questa macchina non deve portare a nulla di deprecabile; sarà per l’associazione, nel modo

più naturale che si possa immaginare, una somma di tempo guadagnato, e perciò un

risparmio di fatica.114

112
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 126
113
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 244.
114
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 127.
47

Babeuf vede l’effetto positivo della diffusione delle macchine non tanto in

un aumento della produzione e nell’abbondanza, quanto in una diminuzione

della fatica e del lavoro115.

Babeuf non considera l’abbondanza di beni fonte di felicità. Elogia la

moderazione, perché le ricchezza “riporterebbero in mezzo a noi il gusto della

mollezza e del lusso e noi saremmo ancora una volta perduti”116.

Il principio da assicurare, quindi, rimane, sempre, l’eguaglianza assoluta

nella distribuzione; bisogna “procurare con sovrabbondanza le cose necessarie

a tutti e fornire gli svaghi non riprovati dai pubblici costumi. Ciò che non è

comunicabile deve essere eliminato”117.

Nonostante, quindi, sia evidente la consapevolezza di Babeuf riguardo ai

problemi economici, legati all’industrializzazione e all’efficienza produttiva,

non è possibile rispondere con certezza alla seconda questione posta, ossia se

il rivoluzionario francese considerasse l’eguaglianza reale conciliabile con lo

sviluppo e il progresso. Ciò che si può dire è che, per gli Uguali, l’obiettivo

non è l’abbondanza di beni materiali, ma la creazione di un società in cui ogni

uomo sia libero dalle preoccupazioni legate alla sopravvivenza, in cui si

sviluppi un forte legame tra gli uomini e la comunità.

115
C. Mazauric, nota 1, a F. N. Babeuf, Il tribuno del poplo, cit., p. 87.
116
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 130.
117
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 150.
48

Distribuzione delle risorse

Abbiamo visto che, nella repubblica degli Uguali, ogni lavoratore consegna

i propri prodotti al magazzino comune; successivamente “un’amministrazione

delle sussistenze, tenendo un registro accurato degli individui e delle cose,

[ripartisce] queste ultime nella più scrupolosa eguaglianza e le [consegna] al

domicilio dell’interessato”118.

In questo modo, la sussistenza è assicurata a tutti perché tutti ottengono

direttamente, senza la mediazione del denaro, tutto ciò di cui hanno bisogno.

Scrive Babeuf:

Invece di esser costretto come per il passato a scambiare il lavoro delle mie mani contro

segni monetari, che sono ora appena al livello dei bisogni quotidiani, ora molto al di sotto 119,

scambierò questo lavoro contro tutti gli oggetti reali che mi sono necessari, e sarò certo che

mi procurerà costantemente tutto ciò di cui avrò bisogno, anche quando mi fosse impossibile

continuare ad eseguirlo, cioè quando fossi malato o curvo sotto il peso degli anni.120

Il principio fondamentale dell’ideologia babouvista è l’assoluta eguaglianza

dei godimenti: “poiché tutti contribuiscono egualmente a fecondare la terra e a


118
F. N. Babeuf, Tribun du peuple, n. 35, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 81.
119
Babeuf fa qui riferimento alle vicende economiche della rivoluzione e, in particolare alle
continue svalutazioni degli assegnati, fino alla loro totale perdita di potere d’acquisto all’inizio
dell’anno IV.
120
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 127.
49

prepararne i prodotti, è evidente giustizia che tutti partecipino egualmente ai

godimenti che se ne ricavano e dai quali dipende per legge di natura la

conservazione e la felicità della specie” 121. E “poiché il popolo non può

desiderare di trattare gli uni più favorevolmente di altri, quando esercita

completamente i suoi diritti, intende necessariamente che la produzione

ineguale di lavori eguali sia compensata mediante un’imparziale

distribuzione”122.

A questo, si collega la necessità di assicurare un identico benessere anche a

chi non può lavorare,

poiché la società, avendo tutto l’interesse ad essere giusta, si è impegnata a prendere cura

allo stesso modo dei bambini, degli infermi, dei vecchi. E’ un anticipo che fa ai primi perché

possano servirla nell’età della forza. Verso gli altri, se l’hanno servita, soddisfa un debito; se

sono stati incapaci di rendersi utili, paga il debito dell’umanità.123

Nella Cospirazione, si legge:

All’obbligo di lavorare imposto agli uomini validi corrisponde il diritto ad un’esistenza

felice, e quello di essere esente dal lavoro e di essere meglio curato, quando le infermità o

l’indebolimento degli organi rendono il lavoro penoso o impossibile, il provvedere al riposo e

alla cura dei vecchi e degli infermi è fra i principali doveri della società. 124
121
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 152.
122
Ibid., p. 183, nota 1.
123
F. N. Babeuf, Lettera a Charles Germain, cit., trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di B.
Maffi, cit., p. 127.
124
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
50

Buonarroti, riguardo a cosa effettivamente si debba intendere per

eguaglianza dei godimenti, si preoccupa di precisare:

Qui, l’eguaglianza deve misurarsi... dai bisogni del consumatore, e non dalla... quantità

degli oggetti consumati...

L’uomo che, per calmare una sete ardente beve una bottiglia d’acqua, non si procura un

godimento maggiore di quello del suo simile che, leggermente assetato, ne inghiotte un sorso.

Lo scopo della comunità di cui si tratta è l’eguaglianza dei godimenti e delle fatiche, e non

quella delle cose da consumare o dei compiti del lavoratore.125

Gli Eguali, propugnando l’eguaglianza dei bisogni, hanno cercato di

definire, quali siano le reali necessità degli uomini: “un alloggio sano...; abiti

da lavoro e da riposo...; la quantità sufficiente di alimenti... costituenti nel loro

complesso un mediocre e frugale trattamento; i soccorsi dell’arte medica” 126.

Babeuf assicura, dunque, all’umanità la sufficienza per vivere, non oltre 127.

La felicità, come detto, non si trova nell’abbondanza delle ricchezze, ma

nell’espandersi di sentimenti positivi e collettivi, quali la fraternità e l’amore

per la patria: la felicità individuale deriva dalla contentezza sociale.

Solo riducendo la ricchezza diventa possibile estirpare la cupidigia e

l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 156.


125
Ibid., p. 213.
126
F. Buonarroti, Frammento di un progetto di decreto economico, in Id., Conspiration pour
l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di
G. Manacorda, cit., p. 411.
127
Si è parlato, al riguardo, di socialismo delle frugalità; cfr. J. Dautry, Le pessimisme économique
de Babeuf et L’histoire des utopies, in AHRF, 1961, pp. 214 e segg.
51

sostituire ad essa sentimenti positivi.

Il contrasto eguaglianza-ricchezza, in Babeuf, sembra più nel senso che la

seconda rende impossibile la prima, che viceversa. Nel senso che se da una

parte non ci sono prove per affermare, con sicurezza, che Babeuf ritenga

impossibile, in un sistema del tutto egualitario, lo sviluppo della produzione e,

quindi, dell’abbondanza, dall’altra sappiamo che egli considera strettamente

collegati la ricchezza, il gusto del lusso e quindi l’avidità e l’egoismo:

probabilmente la ricchezza impedirebbe nell’uomo la nascita e l’espandersi

dei sentimenti legati alla collettività, gli unici, per Babeuf, che conducono alla

vera felicità128.

Sovranità popolare

La sovranità popolare, dopo l’eguaglianza reale, è l’altro fondamentale

principio su cui si basa la repubblica degli Uguali.

In Babeuf, rivoluzione politica e rivoluzione sociale sono strettamente

connesse: la seconda é necessaria per arrivare alla prima 129 e questa,

128
In questo, ancora una volta, Babeuf è illuminista fino in fondo; come Rousseau egli considera la
naturale bontà degli uomini corrotta dalla proprietà privata e dalla ricchezza.
129
“Dopo aver posto le basi dell’economia sociale atta a mantenere l’eguaglianza, il comitato
insurrezionale pensò di disporre le cose in modo che non fosse mai violato il principio della sovranità
poplare, cioè che nessuna obbligazione potesse essere imposta al popolo senza il suo effettivo
consenso, che esso potesse facilmente manifestare la sua volontà, e che portasse tutta la maturità
desiderabile nelle sue deliberazioni” (F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit.,
trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 185)
52

successivamente, ne sarebbe stata la principale difesa; avrebbe reso il sistema

egualitario irrevocabile: eguaglianza reale e sovranità popolare sono

condizioni l’una dell’altra130.

Quando Babeuf parla di sovranità popolare, egli intende dire che il popolo

deve potere esercitare realmente il proprio potere, non semplicemente

attraverso dei rappresentanti.

Buonarroti, nella Cospirazione, scrive:

Il popolo, diceva il comitato, è la totalità degli uomini viventi come fratelli sotto la stessa

legge politica, e poiché la natura fa dipendere la felicità degli individui e la durevole

tranquillità della società dall’eguaglianza dei diritti, non ci potrebbe essere in seno alla

nazione un solo individuo avente diritti che gli altri non hanno o privo dei diritti che hanno

gli altri, senza che ci sia subito un seme di disordine e di dissoluzione. Di conseguenza, tutti

gli abitanti che, giunti all’età in cui si sviluppano le facoltà intellettuali, consentano a vivere

nel paese e a sottomettersi ai decreti del popolo sovrano, sono cittadini e membri del potere

legislativo.131

Gli Uguali rifiutano il parlamentarismo di tipo inglese; sono decisamente

contrari a che il potere politico sia lasciato in mano a pochi uomini, anche se
130
Per Babeuf, l’eguaglianza dei diritti civili e politici non può sussistere senza l’eguaglianza
sociale, e quest’ultima non può mantenersi senza eguaglianza politica. Cfr. G. Manacorda,
“introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., p. XXXIV.
131
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 186. E’ opportuno ricordare che
Babeuf, a differenza di molti suoi compagni, rivendica alle donne l’eguaglianza dei diritti politici.
Scriveva il 2 novembre 1794: “Non imponete più il silenzio a questo sesso che non merita d’essere
disprezzato. Rilevate al contrario la dignità della parte migliore di voi stessi. Lasciate che le vostre
mogli prendano parte all’interesse della patria; esse possono più di quanto non si pensi per la sua
prosperità. Come volete che allevino degli uomini per farne degli eroi, se voi le annientate?... Provate
a non tenere in nessun conto, nella vostra repubblica, le donne ne farete delle civette della monarchia,
e la loro influenza sarà tale che essa la ristabiliranno” (brano citato da G. Lecoq, Un manifeste de
Gracchus Babeuf, p. 40, in F. N. Babeuf, Il tribuno del popolo, cit., a cura di C. Mazauric, p. 191,
nota1. Inoltre, Cfr. .M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 168).
53

nominati dal popolo; essi, infatti, troverebbero

ben presto nella [loro] superiorità di cultura e soprattutto nell’ignoranza dei [loro]

compatrioti, il segreto per creare distinzioni e privilegi a [loro] favore; esagerando

l’importanza dei [loro] servigi [giungerebbero] facilmente a farsi considerare [i necessari

protettori] della patria, e, colorando le [loro] audaci imprese col pretesto del bene pubblico,

[parlerebbero] ancora di libertà e di eguaglianza ai [loro] poco chiaroveggenti concittadini,

già sottomessi a una servitù tanto più dura, in quanto parrebbe legale e volontaria. 132

I progetti di Babeuf tendevano “ad assicurare l’esecuzione del dogma

fondamentale: il popolo delibera sulle leggi, consacrato dalla costituzione del

1793, della quale costituisce il carattere distintivo”133.

Il popolo esercita il proprio effettivo potere da una parte con la formazione

delle leggi e dall’altra con l’amministrazione della comunità, ed in particolare

con “la direzione suprema dell’agricoltura e delle arti” 134. Buonarroti, infatti,

scrive: “...l’eguaglianza e la libertà non si possono realizzare nella società, se

non in quanto tutti i cittadini partecipino alla formazione delle leggi, possano

132
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 164.
133
Ibid., p. 186. Gli Uguali consideravano la Costituzione del 1793 un primo passo verso
l’eguaglianza reale. Il loro favore era dovuto proprio al fatto che essa consacrava il pricipio della
sovranità popolare. La Costituzione del 1793, infatti, da una parte era stata adottata mediante una
quasi unanime decisione popolare, dall’altra sanciva il diritto del popolo a deliberare sulle leggi e la
sottomossione dei rappresentanti del popolo ai suoi ordini. Tuttavia, l’adesione dei congiurati a quella
costituzione non era senza riserve. Essi criticavano, non solo il principio del diritto di proprietà in essa
sancito, ma, dal punto di vista politico, proprio il fatto che essa non garantisse completamente la
sovranità popolare, non potendo il popolo controllare adeguatamente i propri rappresentanti. Per
unanalisi dettagliata del rapporto tra gli Uguali e la costituzione del 1793 si veda M. Dommanget,
Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., pp. 154-177.
134
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 164.
54

essere incaricati dell’amministrazione pubblica...”135.

In particolare, riguardo al potere legislativo, sempre Buonarroti dice che

“fra tutti i diritti sociali, nessuno è più importante di quelli che si riferiscono

alla formazione delle leggi, poiché in forza di esse la società vive ed agisce” 136.

Inoltre,

le leggi fondamentali non bastano a uno stato; esse non possono né tutto prevedere, né

adattarsi a tutti i tempi, spesso ne occorrono di nuove per mantenere lo spirito delle

istituzioni e provvedere ai casi imprevisti.

(...)

Se lo stato ha bisogno di un potere legislativo permanente, se, come vedremo subito, tale

potere non può risiedere che nel popolo intero, uno dei più importanti doveri del fondatore di

una repubblica è dunque di mettere tutti i cittadini in condizione di esercitarlo, cioè di dare al

popolo la possibilità di essere realmente sovrano. Le decisioni illuminate del popolo per

oggetti d’interesse generale non potrebbero essere contrarie all’eguaglianza, né alla felicità

sociale, ma non possono essere tali se non in quanto l’eguaglianza esista in tutto il vigore del

termine.

Da questo dovere fondamentale emanano per tutti i cittadini tre specie di occupazioni,

che, per l’importanza del loro oggetto, per l’attenzione che esigono e per l’elevazione che

dànno agli spiriti, renderebbero affascinante gran parte della vita; queste occupazioni

consistono nel conservare e nel diffondere i principi dell’istituzione sociale e delle leggi,

nell’apprenderli e nell’esercitarli.137

Il popolo esercita la propria sovranità attraverso numerose assemblee. In


135
Ibid.
136
Ibid., p. 166.
137
Ibid., p. 165.
55

esse, i cittadini nominano i propri delegati, “con il duplice mandato di

proporre le leggi e di emanare i decreti per assicurarne l’esecuzione” 138.

Tali delegati, che compongono il corpo dei legislatori e quello dei

magistrati, che svolgono la funzione di amministrare la comunità, sono

responsabili degli atti da loro compiuti e possono, in qualsiasi istante, essere

destituiti139.

Per Babeuf, “il veto [è il] vero attributo della sovranità” 140. Il potere di veto

deve assicurare al popolo da una parte la possibilità di togliere, in ogni

momento, la fiducia ai propri mandatari e, dall’altra, di bloccare qualsiasi atto

che sia contrario alla volontà popolare141.

Babeuf scrive, infatti:

bisogna smettere di attribuire al carattere di mandatario del popolo quel prestigio idolatra,

quel fanatismo schiavo, quella falsa idea di infallibilità o almeno di capacità superiore a

quella degli altri cittadini. No, il mio delegato non ha il potere di fare più miracoli di me; io

non ho avuto il potere, quando lo ho insignito della sua carica, di infondergli una sapienza

senza limiti: egli rimane uomo, come lo era prima; sbaglierà come tutti gli altri e forse

ancora di più, perché il fulgore del potere di cui l’ho inopinatamente investito lo

abbaglierà.142

138
Ibid., p. 188.
139
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 152.
140
F. N. Babeuf, Seconda lettera di F. N. Cam. Babeuf, cittadino, a J. M. Coupé, legislatore, cit.,
trad. it. in Id, Il tribuno del popolo, a cura di C. Mazauric, cit., p. 163.
141
Cfr M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 166.
142
F. N. Babeuf, Le systéme de depupolation, (ottobre 1794), in M. Dommanget, Babeuf e la
Congiura degli Uguali, cit. p. 151.
56

Da qui, la necessità di una partecipazione popolare diretta e costante

all’esercizio del potere legislativo.

Nella repubblica degli Uguali,

il cittadino sarebbe stato costantemente chiamato a partecipare alle assemblee ove il

popolo doveva esercitare la sovranità.

(...)

...queste assemblee si sarebbero riunite:

per discutere, adottare o respingere le leggi proposte al popolo dai suoi mandatari;

per deliberare sulle leggi richieste da un certo numero di cittadini o da altre sezioni del

popolo sovrano;

per conoscere e pubblicare le leggi approvate dal popolo intero.143

Le assemblee devono essere frequenti per permettere al popolo di esercitare

realmente la propria sovranità e per prevenire qualsiasi attentato alle istituzioni

da parte dei propri delegati144.

Gli Uguali, inoltre, pensarono, per aiutare il popolo ad esercitare la propria

sovranità, di istituire un corpo di senatori, incaricati di difendere e conservare

l’eguaglianza e i principi democratici, illuminando, con i propri consigli, sia il

corpo dei legislatori sia le assemblee popolari145.

Tale organizzazione del sistema politico, estremamente semplice e diretto,

143
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 168.
144
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 152.
145
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., pp. 191-192.
57

avrebbe dovuto assicurare l’effettiva eguaglianza nell’esercizio dei diritti civili

e politici e avrebbe evitato qualsiasi abuso di potere, difendendo l’eguaglianza

reale e conservando definitivamente la repubblica degli Uguali.

Buonarroti, infine, si cura di precisare che

per apprezzare i vantaggi che offrirebbe un potere legislativo così ordinato, bisogna

ricordare anzitutto che un popolo, senza proprietà e senza i vizi e i delitti che essa genera,

senza commercio, senza moneta, senza imposte, senza finanze, senza processi civili e senza

miseria, non avrebbe bisogno del gran numero di leggi sotto le quali gemono le società civili

d’Europa.146

Educazione

Non è possibile parlare compiutamente dell’ideologia babouvista

prescindendo dalla questione dell’educazione. Essa è un punto essenziale del

sistema, in quanto gli Uguali sono convinti che non sia possibile effettuare

alcun mutamento radicale della società se prima non avviene un mutamento,

attraverso misure transitorie concernenti sia l’educazione che le istituzioni,

nelle coscienze e nei pensieri degli uomini.

L’educazione, in Babeuf, è considerata in senso lato e ha molteplici

funzioni. In primo luogo, essa è intesa come istruzione, ossia come insieme di

conoscenze utili all’uomo nello svolgimento delle proprie attività. Come già

146
Ibid., p. 193.
58

abbiamo visto, Babeuf ritiene che le differenze di talento e capacità tra gli

uomini siano dovute principalmente a differenze nell’educazione.

Un’educazione egualitaria permetterebbe a tutti di sviluppare le proprie

capacità, eliminando quelle diversità di talento che sono spesso fonte di

usurpazione e sfruttamento, perché “se non viene data a tutti l’educazione

[diviene fattore di ineguaglianza sociale]”147.

Attraverso l’educazione si formano le coscienze degli uomini e un’adeguata

istruzione permetterebbe l’emancipazione della maggioranza della

popolazione; “il recupero dei lumi potrà da solo riabilitare l’uomo nello stato

onorevole che gli è proprio”148. Per Babeuf l’ignoranza e l’ineducazione

spiegano la passiva accettazione, da parte del popolo, di un sistema ingiusto,

in cui viene sfruttato e costretto a vivere in miseria. Esso, infatti, è

continuamente ingannato dai pochi che hanno tutto: le ricchezze e le

conoscenze.

Per questi motivi, “è dunque dimostrato che, in una società di uomini,

occorrerebbe necessariamente o che non s’avesse affatto educazione o che tutti

gli individui potessero egualmente averne. Fin tanto che sarà altrimenti, i più

sottili inganneranno sempre quelli che lo saranno meno”149.

E’ necessario, quindi, che nella società “il popolo trovi al contempo il pane

147
F, N. Babeuf, Cadastre perpétuel, 1789, trad. it. in. Id., Il tribuno del popolo, a cura di C.
Mazauric, cit., p. 109. Il Cadastre è il solo grande libro di Babeuf.; il progetto risale al 1787.
148
Ibid.
149
Ibid.
59

spirituale e il pane materiale”150, che l’educazione, come qualsiasi altro bene,

sia distribuita in eguale misura fra tutti.

In tal modo, non solo si eliminerebbero quelle differenze di capacità che

potrebbero essere un attentato al sistema ugualitario, ma anche e ,soprattutto,

si emanciperebbero le masse.

L’art. 9 dell’Analisi della dottrina di Babeuf afferma:

Nessuno può, mediante il cumulo di tutti i mezzi, privare un altro dell’istruzione

necessaria alla sua felicità: l’istruzione deve essere comune.

Prove.

1. Questo cumulo toglie agli uomini che faticano perfino la possibilità per acquistare le

conoscenze necessarie ad ogni buon cittadino.

2. Sebbene al popolo non occorra una vasta istruzione, gliene occorre un certo grado, per

non essere preda degli astuti e dei pretesi sapienti. Gli bisogna di riconoscere i suoi diritti e i

suoi doveri.151

In queste motivazioni e idee, Babeuf è assai vicino agli enciclopedisti, ad

Helvetius, a Montesquieu152.

D’altra parte, e in questo gli Uguali sono originali staccandosi dalle teorie

settecentesche, l’educazione diventa mezzo per attuare e mantenere, una volta

sorto, il nuovo sistema sociale.

150
F. N. Babeuf, Lettera a Coupé, 20 agosto 1791, trad. it. in Id., Il tribuno del popolo, a cura di C.
Mazauric, cit., p. 154.
151
F. Buonarroti, Conspiration puor l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., a cura di G. Manacorda, p. 320.
152
A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 165.
60

Da questo idea, che fa dell’educazione uno strumento politico, nasce la

necessità che le scuole siano, oltre ad essere luoghi deputati all’istruzione,

destinate a formare coscienze politiche, ad insegnare i principi della giustizia

e dell’eguaglianza153, ad indicare i diritti dell’uomo, a risvegliare l’amore per

la virtù e per la patria154.

Queste idee sono esposte da Buonarroti, nella Cospirazione:

Tra i mezzi che si possono immaginare per combattere l’ambizione e l’avarizia, inspirare

nuovi costumi e dare alla bontà naturale del popolo tutto lo slancio di cui è suscettibile, ce

n’è uno che, per quanto lento nei suoi effetti, è infallibile se i riformatori dello stato sanno

impiegarlo in tutta la sua estensione: è l’educazione.

L’educazione rimessa nelle mani dei riformatori, avrebbe completamente cambiato il

volto della nazione, rendendo sacri l’amore della patria e i principi della libertà e

dell’eguaglianza. Una volta elevato il grande edificio, spettava ancora all’educazione di

migliorarlo, fortificarlo, e renderlo immortale.155

Per gli Uguali, l’educazione deve essere “nazionale, comune eguale”156.

Essa, quindi, è “regolata dalle leggi e vigilata dai magistrati” 157, perché “il

principale scopo dell’educazione deve essere quello di scolpire profondamente

in tutti i cuori i sentimenti di fraternità generale, avversata e respinta dal

153
Ibid., p. 167.
154
M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., p. 115.
155
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 200.
156
Ibid., p. 201.
157
Ibid.
61

regime esclusivo ed egoista della famiglia” 158. Essa è impartita in comune a

tutti i fanciulli nelle case d’educazione, perché “è essenziale che i giovani si

abituino per tempo a vedere dei fratelli in tutti i loro concittadini, a confondere

i loro piaceri e i loro sentimenti con quelli degli altri, a trovare la propria

felicità soltanto in quella dei loro simili”159. Essa, infine, deve essere eguale,

perché “dall’eguaglianza d’educazione deve derivare la più grande

eguaglianza politica”160.

L’educazione, secondo gli Uguali ha tre obiettivi. In primo luogo, deve

mantenere i cittadini in forza e buona salute, perché “sono condizioni da cui

dipendono essenzialmente la felicità e la sicurezza della repubblica” 161. Per

questo, “la gioventù, speranza della patria, deve esercitarsi nei lavori più

faticosi... e vivere nella più stretta frugalità... Dalle case nazionali di

educazione [sono] banditi l’ozio e la pigrizia”162. In secondo luogo, essa deve

far nascere nei giovani “l’amore ardente dell’eguaglianza e della giustizia” 163 e

158
Ibid.
159
Ibid., p. 202.
160
Ibid. D’altronde Buonarroti afferma che “dalla naturale divisione della specie nascono due rami
di educazione: uno per i maschi, l’altro per le fanciulle. Lo scopo che la società deve proporsi è lo
stesso, ma le differenze poste dalla natura tra i due sessi ci avvertono che non si potrebbero impiegare
indistintamente gli stessi procedimenti per l’uno e per l’altro senza contrastare le sue leggi” (ibid., p.
201). Per tale motivo, propone di “fondare due case d’educazione... una per i maschi e una per le
fanciulle” (ibid., p. 203). E aggiunge “ le fanciulle saranno destinate ai lavori meno penosi
dell’agricoltura e delle arti, perché il lavoro, che è debito comune, è anche il freno delle passioni, il
bisogno e il fascino della vita domestica; esse saranno pudiche, perché il pudore è custode della salute
e condimento dell’amore; esse ameranno la patria, perché debbono farla amare agli uomini, e perciò
seguiranno gli studi atti a far loro ammirare la saggezza delle leggi; saranno esercitate al canto degli
inni nazionali che devono rallegrare le nostre feste; infine, sotto gli occhi del popolo, prenderanno
parte ai giuochi dei ragazzi perché la gaiezza e l’innocenza presiedano ai primi moti dell’amore e
precorrano le prossime unioni” (ibid., p. 209).
161
Ibid., p. 204
162
Ibid. Ritorna ancora l’ideale ascetico e la convinzione che la felicità stia, non nell’abbondanza,
ma nella semplicità e nella moderazione.
163
Ibid., p. 205.
62

allontanare “le idee di superiorità e privilegio”164. Infine, l’educazione deve

provvedere all’insegnamento delle arti, dei lavori e delle attività

“indispensabili alla felicità della società”165. Del resto, per liberare gli uomini

“dalla soggezione al superfluo e dall’amore dei godimenti che infiacchiscono

gli animi”166, si deve limitare “il lavoro delle arti e dei mestieri agli oggetti

facilmente comunicabili a tutti”167.

Quanto alle conoscenze speculative... [gli Eguali] volevano togliere alla falsa scienza

ogni pretesto di sottrarsi ai doveri comuni, ogni occasione di blandire l’orgoglio, d’ingannare

la buona fede e di offrire alle passioni una felicità individuale diversa da quella sociale...

Le conoscenze dei cittadini, dicevano, devono condurli ad amare l’eguaglianza, la libertà

e la patria, e metterli in condizioni di servirla e di difenderla. Perciò, aggiungevano, è

necessario che ogni francese sappia parlare, leggere e scrivere... che la scienza dei numeri sia

familiare a tutti... che ciascuno si abitui a ragionare rettamente e ad esprimersi con brevità e

precisione... che nessuno ignori la storia e le leggi del suo paese... che tutti conoscano la

topografia, la storia naturale e le statistiche della repubblica, per potersi fare un’idea esatta

della potenza che li protegge e della saggezza delle istituzioni che fanno concorrere tutte le

parti d’un sì gran corpo alla felicità di ogni singolo individuo; che, per ornare le feste, tutti

siano versati nella danza e nella musica.168

L’educazione ha, come si vede, un ruolo fondamentale nell’ideologia

babouvista. Essa è, insieme alle misure economiche transitorie, il mezzo

164
Ibid.
165
Ibid.
166
Ibid.
167
Ibid.
168
Ibid., pp. 206-207.
63

principale per potere instaurare con successo, dopo l’insurrezione, il sistema

dell’eguaglianza reale. Gli Uguali sono ben consci della necessità di un

periodo di transizione necessario, affinché avvenga un cambiamento negli

uomini, corrotti per avere sempre vissuto in una società ingiusta: tale

cambiamento può avvenire grazie all’educazione, regolata dallo stato, che

insegni i principi di eguaglianza e fratellanza su cui si fonderà la repubblica

degli Uguali169.

L’educazione, infine, una volta instaurato il nuovo sistema sociale è

necessaria per difendere e conservare l’eguaglianza. Gli Uguali

immaginavano, oltre alle case di educazione, e una volta sorta la comunità

finale, delle “assemblee d’istruzione, nelle quali sarebbe stato lecito ad ogni

cittadino illustrare al pubblico i precetti della morale e della politica...” 170.

Misure economiche transitorie

I babouvisti sapevano che la conquista del potere politico centrale,

attraverso l’insurrezione, non era la fine della rivoluzione per il cambiamento

della società. L’abbattimento del governo avrebbe inaugurato un nuovo

periodo di battaglia ed educazione171. Gli Uguali, infatti, consideravano il


169
Cfr. M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., pp. 152 e 176.
170
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p 209.
171
M. Dommanget, Babeuf e la Congiura degli Uguali, cit., pp. 148-149.
64

popolo, vissuto per lungo tempo in uno stato di miseria e schiavitù, non ancora

pronto per l’instaurazione della perfetta eguaglianza; esso doveva essere

guidato da un gruppo ristretto di illuminati172.

Nasce così la tesi della necessità di una dittatura provvisoria. Essa, per i

congiurati, non doveva essere di un solo uomo, ma collettiva173.

Essa avrebbe dovuto instaurare misure provvisorie per preparare

l’instaurazione dell’eguaglianza reale. Tra le misure transitorie 174, che

dovevano avere lo scopo di guidare gradualmente il popolo fino al momento in

cui sarebbe stato in grado di decidere da solo, particolare importanza hanno

quelle che riguardano l’organizzazione economica.

Buonarroti, nella Cospirazione, afferma:

Si sa che lo scopo finale dei lavori del comitato era la costituzione della grande e perfetta

comunità nazionale. Tuttavia esso si sarebbe ben guardato dal farne oggetto di un ordine

l’indomani del suo trionfo, e dal costringere gli oppositori a parteciparvi...

Ma come condurre tanti uomini depravati dall’ozio, dai godimenti artificiali e dalla vanità

a desiderare uno stato di semplicità a cui avevano opposto così viva resistenza? Costituendo

con le leggi... un ordine pubblico nel quale i ricchi, pur conservando i loro beni, non trovino

più né abbondanza, né piaceri, né rispetto. Facciamo in modo, aggiungeva, che tutti gli

uomini laboriosi, mediante un lavoro moderatissimo e senza ricevere salario, godano di

un’onesta e inalterabile agiatezza, e ben presto cadrà la benda dagli occhi dei cittadini
172
G. Manacorda, “introduzione” a F. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di
Babeuf, cit., p XL.
173
Cfr. A. Galante Garrone, Buonarroti e Babeuf, cit., p. 213 e M. Dommanget, Babeuf e la
Congiura degli Uguali, cit., p. 152.
174
Si veda direttamente il capitolo nono di F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de
Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda,
cit., pp. 215-226.
65

disorientati dai pregiudizi e dalla consuetudine.175

Nel progetto di decreto economico viene, cosi, stabilito che “si costituirà

nella repubblica una grande comunità nazionale” 176, della quale sarà membro

“ogni francese dell’uno e dell’altro sesso, che abbandoni alla patria tutti i suoi

beni, e le consacri la sua persone e il lavoro di cui è capace” 177e “i giovani

allevati nella case nazionali d’educazione” 178. Ogni membro, che ottiene dalla

comunità “tutto ciò di cui [ha] bisogno”179, deve svolgere “il lavoro

dell’agricoltura e delle arti utili di cui è capace”180.

Per coloro che, invece, non vogliono fare parte della comunità nazionale è

stabilito che siano ”i soli contribuenti”181, che non possano offrire denaro ai

membri della comunità182, che non possano “essere funzionari civili o

militari”183. Inoltre, “il diritto di successione ab intestato o per successione è

abolito: tutti i beni attualmente posseduti da privati, alla loro morte ricadranno

alla comunità nazionale”184.

175
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 222.
176
F. Buonarroti, Frammento di un progetto di decreto economico, in Id., Conspiration pour
l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di
G. Manacorda, cit., p. 408.
177
Ibid.
178
Ibid., p. 410.
179
Ibid.
180
Ibid.
181
Ibid., p. 414.
182
Ibid., p. 415.
183
Ibid., p. 409.
184
Ibid., p. 408.
66

Lo schema finale

Una comunità di sentimento è l’obiettivo finale dell’ideologia babouvista e

tale comunità, garanzia di successo in altri campi, politici ed economici,

sarebbe sorta con la scomparsa di ogni inclinazione verso la diseguaglianza e

il privilegio e con lo sviluppo di un sentimento che avrebbe portato ognuno a

desiderare ardentemente il benessere della comunità185.

Nella repubblica degli Uguali non deve esistere diversità d’interessi, perché

un solo individuo ineguale spezzerebbe l’unità del popolo186. L’obiettivo è la

felicità del popolo, intesa come entità unica, così come la sovranità deve

risiedere nel popolo tutto intero.

Del resto, sappiamo che per Babeuf la concessione dei diritti è inutile ed,

anzi, pericolosa se il popolo non è pronto, se non si è liberato dei vizi e

dell’ignoranza in cui

ha vissuto da quando è sorta la proprietà privata. La sovranità popolare, infatti,

per i babouvisti non è semplicemente la volontà della maggioranza, ma la

volontà dell’intero popolo, il quale, una volta rigenerato, non può più avere

dubbi e indecisioni su ciò che deve fare per raggiungere la felicità, perché

volontà e desiderio di ogni individuo è fare il bene della comunità.

185
J. L .Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, cit., p. 330.
186
Ibid., p. 320.
67

Il capolavoro della politica consiste nel modificare il cuore umano con l’educazione,

l’esempio, il ragionamento e le attrattive del piacere in modo tale da non fargli mai formulare

altri desideri al di fuori di quelli che tendono a rendere la società più libera, più felice e più

durevole.187

La sovranità popolare, quindi, necessita da una parte dell’eguaglianza

perfetta, perché per i babouvisti non può esistere reale eguaglianza politica e

civile senza eguaglianza economica, e dall’altra della rigenerazione spirituale

del popolo188, la quale avverrà grazie all’educazione e all’eguaglianza stessa,

che estirperà l’ambizione, l’egoismo ed ogni sentimento legato

all’individualismo, ossia contrario all’unità della repubblica.

I cittadini della comunità del futuro non sono gli attuali francesi, ma degli

uomini completamente diversi. Del resto, anche quando la nuova società sarà

sorta, non basterà nascere nella comunità per essere membri di essa, “perché la

sottomissione alle leggi della società di cui si fa parte deve essere il risultato

formalmente espresso di una volontà illuminata e libera” 189: ogni individuo,

una volta raggiunta la maggiore età deve decidere se far parte della repubblica

e, allo stesso tempo, deve dimostrare di possedere principi e sentimenti

conformi ad essa.

La comunità, in cui non esiste la proprietà privata, si basa sul principio del

187
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 330.
188
J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, cit., p. 330.
189
F. Buonarroti, Conspiration puor l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., a cura di G. Manacorda, p. 167.
68

diritto di ognuno alla felicità e dell’obbligo di tutti di lavorare 190. Il lavoro è

organizzato dall’amministrazione centrale che tiene conto delle reali necessità

dell’intera comunità. Al di là di questo, non è possibile dire con certezza in

che modo la produzione sarebbe stata effettivamente organizzata. Quel che è

certo è che la ricchezza, per Babeuf, è incompatibile con la reale eguaglianza,

perché genera sentimenti contrari alla coesione sociale; così, mentre

l’abbondanza è lo scopo del lavoro generale, la parte di ognuno deve essere

uguale e modesta191.

Babeuf elimina qualsiasi tipo di contrasto che possa minare l’unità della

comunità. Non solo, quindi, viene eliminata la ricchezza, ma anche qualsiasi

fattore che possa causare divisioni192.

Già abbiamo visto quali siano le osservazioni di Babeuf riguardo alle

presunte diversità dei talenti e delle capacità e la conseguente necessità di

un’educazione assolutamente ugualitaria. Oltre a ciò, nella comunità, da una

parte vengono soppresse le arti e le scienze non utili alla società e che portano

solo il gusto per il lusso, il privilegio, la distinzione e la superiorità193,

dall’altra riguardo alla libertà di stampa gli Uguali stabiliscono che “nessuno

[possa] esprimere opinioni direttamente contrarie ai sacri principi

dell’eguaglianza e della sovranità popolare”194.


190
J. L .Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, cit., p. 327.
191
Ibid.
192
Si parla in tal caso di egualitarismo livellatore; cfr. G. Manacorda, “introduzione” a F.
Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., pp. XXI-XXV.
193
J. L .Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, cit., p. 332.
194
F. Buonarroti, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, a cura di G. Manacorda, cit., p. 209.
69

Per questi motivi, Gian Mario Bravo afferma che la visione della società

futura, in Babeuf, è chiusa e ristretta, in quanto non ammette il dissenso ideale

(quello economico è escluso in quanto si tratta di una società egualitaria),

viene bandita la libertà e lo stato interviene sulle coscienze degli uomini 195.

D’altro canto, Mazauric rileva che seppur “limitata sul piano economico,

‘l’economia societaria’ di Babeuf [è] non di meno liberatrice sul piano sociale.

L’uomo affrancato dallo spirito di lucro o di profitto potrà infine realizzare la

sua natura profonda: dedicandosi alla collettività, allo spirito patriottico che ne

è la forma mediata, alla fraternità umana, alla nobiltà dei sentimenti,

all’esaltazione generosa...”196.

Alle critiche mosse contro il loro egualitarismo livellatore e all’austerità

individuale i babouvisti rispondono con la magnificenza collettiva197. Le arti e

le scienze avrebbero perso il carattere di autoespressione per acquisire un

nuovo significato conforme allo spirito della comunità. Buonarroti scrive:

...le case saranno semplici e la magnificenza dell’architettura e delle arti che ne mettono

in risalto le bellezze sarà riservata ai magazzini pubblici, agli anfiteatri, agli stadi, agli

acquedotti, ai ponti, ai canali, alle piazze, agli archivi, alle biblioteche e soprattutto ai luoghi

consacrati alle deliberazioni dei magistrati ed all’esercizio della sovranità popolare. 198

195
G. M. Bravo (a cura di), Scritti di socialisti, cit., p. 24.
196
C. Mazauric, “introduzione” a F. N. Babeuf, Il tribuno del popolo, cit., p. 52.
197
J. L .Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, cit., p. 334.
198
F. Buonarroti, Conspiration puor l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., a cura di G. Manacorda, p. 160.
70

Allo stesso modo, la felicità, il tempo libero i divertimenti si esplicheranno

nella collettività199, mai individualmente; Buonarroti, nella Cospirazione, dice

che “sotto la guida di un saggio legislatore, gli avvenimenti della natura, della

vita e della società divengono altrettante occasioni di educazione e di svago” 200

e conclude descrivendo le numerose feste, gli spettacoli, le adunate e le

assemblee201 a cui il popolo intero avrebbe partecipato.

199
Talmon parla di “nazionalizzazione del tempo libero”; J. L .Talmon, Le origini della
democrazia totalitaria, cit., p. 338.
200
F. Buonarroti, Conspiration puor l’égalité dite de Babeuf, cit., trad. it. in Id., Cospirazione per
l’eguaglianza detta di Babeuf, cit., a cura di G. Manacorda, p. 178.
201
Ibid., pp. 178-184.
71

Capitolo secondo

Claude-Henri de Saint-Simon

Introduzione

Saint-Simon è stato definito in vari e differenti modi: vero fondatore del

socialismo moderno, teorico della tecnocrazia, primo ideatore del fascismo

corporativo, sostenitore del capitalismo, padre del positivismo, iniziatore della

sociologia202.

Già questo dimostra la difficoltà ad inquadrare il pensiero dell’autore

francese e, a maggior ragione, le idee riguardo alla sua particolare concezione

dell’eguaglianza per quel che concerne la questione della distribuzione delle

risorse.

Il problema è che non esiste un’opera che racchiuda in maniera coerente

tutto il suo pensiero; leggendo la sua vasta produzione si incontra, nonostante

le numerose ripetizioni, una grande eterogeneità di temi e di argomenti trattati.

Inoltre, l’autore spesso non approfondisce le questioni poste rimanendo ad una

visione generale; il continuo passare da un argomento ad un altro dà al suo

pensiero un carattere non sistematico. Nelle opere di Saint-Simon si trovano,

202
M. T. Bovetti Pichetto, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Opere, UTET, Torino, 1975, p.
10.
72

infatti, intuizioni, spesso geniali, che non vengono approfondite: la generalità

delle idee esposte vela con un carattere di ambiguità il suo pensiero, il che, in

parte, giustifica le interpretazioni contrastanti della sua dottrina.

A ciò si aggiunga che il pensiero e gli interessi dell’autore non sono rimasti

costanti nel tempo, benché le concezioni che stanno alla base della sua dottrina

non siano mutate.

Bouglé propone di distinguere cinque fasi nell’opera di Saint-Simon203. Una

fase scientista, corrispondente alle prime opere, durante la quale l’autore si

propone di formulare un’unificazione della conoscenza nella convinzione che

la soluzione dei problemi sociali vada ricercata nell’applicazione del sapere

scientifico204. Una fase pacifista, che coincide con l’opera Della

riorganizzazione della società europea, in cui si auspica un alleanza tra

Francia e Inghilterra per risolvere pacificamente le crisi politiche. La terza

fase, industrialista, che corrisponde alla pubblicazione dell’Industria segna la

svolta nel pensiero di Saint-Simon il quale elabora il principio cardine della

sua dottrina: “la società tutta intera si basa sull’industria” 205. Successivamente

si incontra la fase socialista in cui è forte l’idea della necessità di una

organizzazione razionale della società in funzione dell’obiettivo produttivo.

L’ultima fase, moralista, coincide con il Nuovo Cristianesimo, in cui il

203
Cfr. C. Bouglé e E. Halévy, Doctrine de Saint-Simon, Paris, Rivière, 1924, p. 20.
204
P. Ansart, Marx e l’anarchismo, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 19.
205
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, (1816-1818), in Oeuvres, Antrophos, Paris, 1966, trad. it. in
Id., Opere, a cura di M.T. Bovetti Pichetto, cit., p. 263.
73

contenuto morale del cristianesimo206 diventa il cuore del nuovo sistema

sociale che, in ogni caso, non cambia nella struttura organizzativa207.

In ogni caso, a partire dalla pubblicazione dell’Industria la dottrina di Saint-

Simon diviene un insieme coerente in cui si ripeteranno, seppur con sfumature

diverse, gli stessi temi208. L’autore diviene il teorico del sistema industriale,

una società in cui tutto deve essere organizzato in funzione dell’industria e

dello sviluppo della produzione. Esso diviene l’obiettivo primario e generale

dell’organizzazione sociale, la quale è vista da Saint-Simon come un blocco

unitario al cui interno scompaiono gli antagonismi perché gli interessi

individuali e particolari si fondono e confondono con l’interesse generale e

collettivo della produzione.

Cenni biografici

Claude-Henri de Saint-Simon209 nasce nel 1760 da una nobile famiglia. A

17 anni intraprende la carriera militare, partecipando alla guerra

d’indipendenza americana dove ha modo di avvicinarsi alle idee democratiche.


206
“Gli uomini devono comportarsi come fratelli gli uni verso gli altri; questo sublime principio
racchiude tutto ciò che vi è di divino nella religione cristiana” (C. H. de Saint-Simon, Le nouveau
christianisme, (1825), in Oeuvres, Antrophos, Paris, 1966, trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1105).
207
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 181.
208
P. Ansart, Marx e l’anarchismo, cit., p. 31.
209
Le notizie biografiche sono tratte da: C. H. de Saint-Simon Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit.; F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit.; G. Dalmasso, La società medico-politica, Jaka
Book, Milano, 1980.
74

Nel 1789, lasciato l’esercito, si schiera a favore delle idee rivoluzionarie

rinunciando al titolo e ai privilegi nobiliari e compiendo numerosi atti di virtù

repubblicana che gli forniscono una buona reputazione. Nel frattempo

intraprende con alterna fortuna diverse speculazioni finanziarie, con l’acquisto

e la rivendita di beni nazionali, con il ministro prussiano in Inghilterra Redern.

Durante il Terrore Saint-Simon viene arrestato, ma riesce ad uscire indenne

di prigione anche grazie all’interessamento dei patrioti locali di Piccardia con i

quali aveva mostrato più volte il suo zelo rivoluzionario.

La collaborazione con Redern si interrompe nel 1798.

Saint-Simon, da questo momento, decide di dedicarsi allo studio delle

scienze e della filosofia. A partire dal 1802, con la pubblicazione

dell’opuscolo Lettere da un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei, inizia

la vasta produzione letteraria dell’autore francese.

Negli anni seguenti Saint-Simon spende il resto della fortuna che gli era

rimasta e, nel 1806, trovandosi in gravi ristrettezze economiche, comincia a

lavorare come copista al Monte di Pietà per un bassissimo stipendio. Grazie a

questo e all’aiuto di un suo vecchio servitore che lo ospita nella sua casa riesce

ad ottenere i mezzi per pubblicare privatamente alcuni suoi lavori.

Con la povertà l’amore per la scienza aumenta enormemente: l’autore

scrive una quantità di opuscoli di natura scientifica.

A partire dal 1814, dopo un periodo di crisi in cui l’autore viene, tra l’altro,

internato in un istituto per pazzi, inizia il periodo delle grandi opere. Con
75

l’aiuto di amici e collaboratori, in particolare di Thierry prima e a partire dal

1817 di Comte, scrive le sue opere più importanti ed organizza una serie di

pubblicazioni periodiche nelle quali è racchiuso la sua dottrina sociale.

Pubblica, ad intermittenza, L’Industria, L’Organizzatore, Il Sistema

Industriale, Il Catechismo degli Industriali.

Nel 1823, in un momento di disperazione, Saint-Simon tenta il suicidio. Il

tentativo fallisce. Lo scrittore vive ancora due anni durante i quali si forma un

nuovo gruppo di discepoli. In quest’ultimo periodo della sua vita l’autore

scrive la sua opera finale, che diventerà una sorta di vangelo per i suoi

seguaci: Il Nuovo Cristianesimo.

Il pensiero del maestro verrà ripreso e trasformato dai saintsimoniani

guidati da Rodrigues, Bazard ed Enfatin. Essi, pur partendo dalle premesse

della dottrina di Saint-Simon, arriveranno, anche a causa della nuova realtà

industriale che andava profilandosi nella Francia della Restaurazione, ad

elaborare un pensiero del tutto indipendente dalla dottrina originaria210.

Il sistema industriale

Nelle prime esposizioni le idee di Saint-Simon non si distinguono da quelle

degli economisti liberisti211. A partire dall’Industria, pubblicata tra il 1816 e il


210
Per un approfondimento della storia e dei caratteri del pensiero dei saintsimoniani, nonché per i
suoi rapporti con la dottrina di Saint-Simon, cfr. M. Larizza Lolli, Il Sansimonismo (1825-1830).
Un’ideologia per lo sviluppo industriale, Giappichelli, Torino, 1976.
211
M. Battini, L’ordine della gerarchia. I contributi reazionari e progressisti alle crisi della
76

1818, Saint-Simon, pur aderendo in linea generale ai principi enunciati da

Smith, arriva ad elaborare la sua teoria riguardo all’organizzazione sociale,

immaginando la società industriale come una comunità integrata212 in cui

scompaiono i conflitti sociali e in cui la produzione, lungi dal potere essere

lasciata in balia dell’iniziativa e della libertà individuale, deve essere

organizzata razionalmente213.

Negli opuscoli precedenti c’erano idee, pensieri e indicazioni su ciò che non

andava e ciò che poteva essere fatto, ma il tutto era disorganico e non

perfettamente coerente. Ora, invece, viene esposta una dottrina completa, in

cui ogni dettaglio si spiega facendo riferimento al nucleo, alla base del

pensiero dell’autore.

Nei particolari contingenti il pensiero tende a mutare nel corso del tempo,

ma l’essenza della sua dottrina, l’idea base, non cambierà più: l’industria,

“intesa nel senso più generale e che abbraccia tutti i tipi di lavori utili, la teoria

e la pratica; i lavori dello spirito e quelli manuali”214, viene posta alla base

dell’organizzazione sociale. La società, infatti, non è altro che “l’insieme e

l’unione degli uomini dediti ai lavori utili”215.

Nel “Prospetto” dell’Industria si legge:

democrazia in Francia (1789-1914), Bollati Boringhieri, Torino, 1995, p. 97.


212
Ibid., p. 98.
213
D. Fisichella, Il potere nella società industriale, Laterza, Bari, 1995, p. 66.
214
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto,
cit., p. 285.
215
Ibid., p. 264.
77

La società tutta intera si basa sull’industria. L’industria è l’unica garanzia della sua

esistenza, la sola fonte di ogni ricchezza e di ogni prosperità. Lo stato di cose più favorevole

all’industria è quindi, per questo solo motivo, il più favorevole alla società. Ecco al tempo

stesso il punto di partenza e lo scopo dei miei sforzi.

Noi ci proponiamo di porre nella sua vera luce l’importanza dell’industria, l’influenza

politica che essa può esercitare e che le compete... rafforzando l’industria ci proponiamo di

rafforzare una costituzione essenzialmente industriale.216

Ogni regola, ogni disposizione, ogni minima cosa deve dunque essere

studiata ed organizzata per favorire la produzione, per far sì che l’industria sia

posta nelle condizioni di massima efficienza. Poiché il fine della società è la

produzione, tutto deve essere subordinato, sia nell’ambito teorico che in quello

delle applicazioni, all’industria: l’obiettivo è ottenere il miglior prodotto al

minor costo, ogni ricerca deve avere questo scopo217.

Per Saint-Simon, infatti,

i mezzi generali per il raggiungimento del benessere sociale... [non sono altri] se non

quelli delle scienze, delle belle arti , e delle arti e mestieri; gli uomini infatti possono essere

felici soltanto quando riescono a soddisfare i loro bisogni fisici e morali, e questo è lo scopo

unico e l’obiettivo più o meno diretto della scienza, delle belle arti e delle arti e mestieri. 218
216
Ibid., p. 263.
217
D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 59.
218
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, (novembre 1819- febbraio 1820), in Oeuvres, Antrophos,
Paris, 1966, trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 521. “Credo che il paese nel
quale gli uomini sono meglio nutriti, meglio alloggiati, meglio vestiti, e dove possono viaggiare nel
modo più comodo, sia quella dove sono più felici dal punto di vista fisico. Credo che, se in questo
stesso paese, l’intelligenza degli uomini è sviluppata, se sono suscettibili di apprezzare le belle arti, se
conoscono le leggi che regolano i fenomeni naturali come i procedimenti per mezzo dei quali li si può
modificare, infine, se sono benevoli dal punto di vista morale, la loro felicità è la maggiore possibile”
(C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, (1820-1822), in Oeuvres, Antrophos, Paris, 1966, trad.
78

L’autore contrappone al mondo feudale basato sulla conquista e sulla

azione dell’uomo sull’uomo la società industriale che si ispira al principio

della produzione e della azione dell’uomo sulla natura.

Il passaggio da un sistema all’altro avviene in modo graduale, nel senso che

i germi della società industriale sono sorti durante l’epoca dei Comuni 219. Al

riguardo è molto importante la concezione che Saint-Simon ha della storia;

egli afferma che le forze sociali reali si trovano nella società civile: dalla

graduale indipendenza e forza economica acquisiti dalla società dei produttori

si è infine giunti alla dissoluzione del sistema feudale, il quale, a sua volta, è

sorto dall’epoca precedente, decomponendola220.

L’autore sostiene che tutte le rivoluzioni politiche si accompagnano a

profondi mutamenti dell’ordine scientifico-industriale221 e considera lo

sviluppo progressivo222 della società umana in funzione del livello raggiunto

dalle sue conoscenze. Le caratteristiche della società di ogni epoca sono

funzione delle conoscenze e concezioni raggiunte dall’uomo, in particolare

delle conquiste razionali e positive che si riflettono sui modi di produzione e

it. in Id., Opere a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 876).


219
Si veda direttamente C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di
M. T. Bovetti Pichetto, cit., pp. 479-507.
220
P. Ansart., Marx e l’anarchismo, cit., p. 12.
221
D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 49.
222
Saint-Simon considera lo storia dell’uomo, che è anche la storia degli sviluppi dell’ordinamento
sociale, come uno sviluppo continuo nel tempo. Del resto, l’autore distingue le epoche storiche in
organiche ed inorganiche, considerando le prime come i periodi di ordine e le seconde come i periodi
di disordine sociale necessari per attuare il passaggio definitivo, che in sé è continuo nel tempo, da un
periodo al successivo.
79

sull’organizzazione economica. In tal modo, per Saint-Simon, alla società

feudale, orientata in vista della conquista non avendo ancora sviluppato grandi

capacità produttive e che privilegiava l’apparato militare, subentra una società

orientata in vista del lavoro produttivo che richiede di essere completata con

un apparato adatto alle esigenze dell’industria. Lo sviluppo storico procede,

quindi, dalla società militare a quella industriale concepita da Saint-Simon

come lo stadio definitivo dell’umanità223.

Nell’Organizzatore si legge:

L’antico sistema politico... è nato nel Medioevo. Due elementi di natura assai diversa

hanno concorso alla sua formazione; esso è stato fin dall’origine e per tutta la sua durata un

misto di sistema teocratico e di sistema feudale. L’alleanza della forza fisica (attributo

precipuo dei guerrieri) con gli strumenti della malizia e dell’astuzia inventati dai preti,

avevano investito i capi del clero e quelli della nobiltà dei poteri sovrani e aveva loro

asservito tutto il resto della popolazione.

Un sistema migliore non poteva formarsi a quell’epoca... data la vaghezza e la

superficialità di tutte le conoscenze, allora possedute...

D’altra parte, in quei tempi di barbarie un grande popolo riusciva ad arricchirsi soltanto

facendo delle conquiste...

Così l’antico sistema politico ebbe come base fondamentale, da una parte, uno stato

d’ignoranza... e dall’altra uno stato d’incapacità nelle arti e mestieri, con il risultato che i

popoli (incapaci di produrre ricchezze mediante la trasformazione manuale delle materie

prime) si potevano arricchire soltanto impadronendosi delle materie prime possedute da altri

popoli.

223
P. Rossi, Positivismo e società industriale, Subalpina, Torino, 1975, p. 12.
80

Grazie ai progressi dell’industria, i popoli hanno conquistato i mezzi per prosperare tutti

insieme, arricchendosi grazie ai lavori pacifici.

Da un simile stato di cose risultano i mezzi e quindi la necessità di fondare un nuovo

sistema politico.224

Secondo l’autore, la società ha ormai i mezzi per organizzarsi in una nuova

forma che le permetta, attraverso il miglioramento delle capacità produttive, di

“migliorare la propria sorte”225.

Ormai, “il più grande desiderio di tutti gli individui non è affatto di agire

sull’uomo, quanto sulla natura”226 e “il desiderio di comandare gli uomini a

poco a poco si è trasformato nel desiderio di fare e rifare la natura a proprio

piacimento”227.
224
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., pp. 440-441. Dalla sua concezione della storia consegue l’idea che Saint-Simon ha della
rivoluzione francese come fatto ineluttabile dovuto al progressivo sviluppo della società: “Le forze
temporali e spirituali della società sono passate in altre mani. La vera forza temporale risiede ora negli
industriali, e la forza spirituale negli scienziati... Questo cambiamento fondamentale è stata la vera
causa della Rivoluzione francese. Questa grande crisi non ha avuto la sua origine in questo o
quest’altro fatto isolato, per quanta reale importanza esso abbia d’altronde potuto avere. E’ avvenuto
un sconvolgimento nel sistema politico, per la sola ragione che lo stato della società al quale
corrispondeva l’antica costituzione abbia cambiato totalmente natura... Se si vuole assolutamente
assegnare un’origine alla Rivoluzione francese, occorre datarla dal giorno nel quale ebbe inizio
l’affrancamento dei Comuni e lo studio delle scienze di osservazione nell’Europa occidentale” (C. H.
de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit.,
p. 622).
225
Ibid., p.441. Per Saint-Simon il processo storico che porterà alla nascita del sistema industriale
può essere frenato da coloro i cui interessi sono in contrasto con esso, i nobili e in generale tutti coloro
che non svolgono lavori utili, ma esso è inarrestabile. “All’epoca dell’affrancamento dei Comuni, noi
vediamo che la classe industriale, dopo aver riscattato la sua libertà, è riuscita a crearsi un potere
politico. Questo potere consiste nel diritto di approvare o meno gli aggravi fiscali. Essa a poco a poco
cresce di numero, diventa più ricca e nelle stesso tempo più importante; la sua esistenza sociale va
migliorando sotto tutti gli aspetti: le classi, invece, che potremmo chiamare feudali e teologiche
perdono continuamente la stima e il potere reale, per cui giungo alla conclusione che la classe
industriale è destinata a progredire e a conquistare infine l’intera società. Tale è il fine al quale tende
ogni cosa, al quale noi tutti tendiamo, e queste vecchie istituzioni, che non hanno già più la forza di
sostenere ciò che hanno costruito, crolleranno per sempre e si cancelleranno da sole” (C. H. de Saint-
Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 285).
226
Ibid., pag.487.
227
Ibid., p. 486, nota r. Saint-Simon non considera la brama di potere una caratteristica naturale
dell’uomo. Ciò che spinge gli uomini a cercare il potere non è il desiderio di potere in sé, ma la
volontà di procurarsi i mezzi per soddisfare le proprie necessità e i propri piaceri. Ora che l’umanità
ha raggiunto i mezzi per produrre in abbondanza e ha compreso, lentamente ma sicuramente, che il
81

Partendo da queste premesse Saint-Simon arriva alla logica conclusione del

suo pensiero: è tempo che la società assuma un nuovo tipo di organizzazione

fondato su basi razionali e con lo scopo di favorire l’industria. Il sistema

industriale deve essere fondato sulle idee positive e deve avere come

obiettivo, utilizzando tutte le conoscenze scientifiche e le scoperte utili, la

maggior efficienza possibile nella produzione perché è con l’abbondanza che

l’uomo raggiungerà la felicità. Di conseguenza,

la classe industriale deve occupare il primo posto, perché è la più importante di tutte;

perché può fare a meno di tutte le altre classi e nessun’altra può fare a meno di lei; perché

sussiste con le sue proprie forze, con i suoi lavori personali...

Il solo modo per soddisfare... i desideri della maggioranza, consiste nell’incaricare gli

industriali più importanti di dirigere il tesoro pubblico; perché gli industriali più importanti

sono i più interessati al mantenimento della pace; sono i più interessati all’economia nelle

spese pubbliche; sono anche i più interessati alla limitazione dell’arbitrio. Infine essi sono,

fra tutti i membri della società, quelli che hanno dato prova della maggiore capacità

nell’amministrazione positiva, poiché i successi da essi ottenuti nelle loro imprese private

hanno accertato le loro capacità in questo campo.228

Così come l’industria è intesa in senso lato, anche il termine industriale ha


benessere è il frutto dell’intervento umano sulla natura, tutta l’energia e la forza distruttiva utilizzata
nelle epoche passate in azioni di conquista e in lotte fratricide, verrà incanalata in modo pacifico e
positivo nell’azione sulle cose; cfr. D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., pp. 84-85.
Del resto, Manuel, parlando dell’ottimismo con il quale Saint-Simon, e in questo all’autore francese
viene accostato lo stesso Marx, era convinto della rigenerazione dell’uomo e della scomparsa del
potere e dei conflitti nella nuova società, afferma: “la semplicità con la quale la teoria socialista
dimenticò la realtà del potere fu la grande utopia della sua visione” (F. E. Manuel, I profeti di Parigi,
cit., p. 180).
228
C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, (1823-1824), in Oeuvres, Antrophos, Paris,
1966, trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., pp. 917-919.
82

un accezione molto ampia, dovendosi intendere chiunque svolga un lavoro

utile. Per Saint-Simon,

un industriale è un uomo che lavora a produrre o a mettere alla portata dei vari membri

della società, uno o più mezzi materiali in grado di soddisfare le loro necessità o i loro

desideri materiali; così, un coltivatore che semina il grano, che alleva pollame e bestiame, è

un industriale; un carradore, un maniscalco, un fabbro ferraio, un falegname, sono degli

industriali; un fabbricante di scarpe, di cappelli, di tele, di stoffe, di lane è egualmente un

industriale; un negoziante, un carrettiere, un marinaio arruolato su navi mercantili, sono degli

industriali. Tutti questi industriali riuniti lavorano per produrre e mettere alla portata di tutti i

membri della società, tutti i mezzi materiali in grado di soddisfare i loro bisogni o i loro

desideri fisici, e formano tre grandi classi che si chiamano i coltivatori, i fabbricanti e i

commercianti.229

Oltre agli industriali, grande importanza, anche se minore, hanno gli artisti,

in grado di soddisfare i bisogni morali e gli scienziati, i quali, attraverso i loro

studi, fanno progredire l’industria.

Già ora, si riconosce una delle caratteristiche fondamentali della dottrina

sociale di Saint-Simon: la mancanza di conflitto di classe. L’autore considera,

infatti, tutti i lavoratori, indipententemente dalle attività svolte, un gruppo

omogeneo per interessi che si contrappone ai parassiti e a tutti gli oziosi. In

altri termini, la classe industriale, composta dai produttori di tutte le classi,

tende a perdere i requisiti della parzialità e della settorialità finora attribuiti al

229
Ibid., p. 917.
83

concetto di classe, per acquisire i termini generali di una classe senza confini,

di un unica classe non-classe230.

L’autore aderisce, seppure in modo particolare, all’idea Smithiana della

perfetta identità tra interesse individuale e interesse collettivo231, affermando

che gli “interessi particolari [della classe industriale] son perfettamente in

accordo con l’interesse comune”232. L’autore non è immune dal fascino della

teoria della mano invisibile233: “Quanto meno si ostacolano gli interessi degli

altri lavorando per i propri, tanto minor resistenza si incontra da parte loro, e

maggiore è la facilità con cui si raggiunge lo scopo”234.

In ogni caso, l’iniziale adesione a queste idee porta l’autore a sviluppare

ulteriormente il suo pensiero perché se da una parte afferma che fattore

imprescindibile per lo sviluppo della società industriale sia la libertà, ossia il

fatto che il governo intervenga il meno possibile nella regolamentazione della

produzione235, dall’altra ritiene che il sistema debba essere organizzato in

maniera razionale dagli uomini le cui capacità sono dell’utilità più generale e

più positiva. Saint-Simon considera l’intera società come una grande

compagnia di lavoratori il cui scopo, come una qualsiasi società di produzione,

230
D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 63.
231
M. T. Bovetti Pichetto, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Opere, cit., p. 20.
232
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., in P. Rossi, Positivismo e società industriale, cit., p. 87.
233
Nelle ultime opere, in particolare nel Nuovo Cristianesimo, tale principio viene almeno in parte
abbandonato. Cfr. qui il paragrafo 6. Il Nuovo Cristianesimo.
234
C. H. de Saint-Simon, De la réorganisation de la société européenne, (ottobre 1814), in
Oeuvres, Antrophos, Paris, 1966, trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 192.
235
“Il governo nuoce all’industria ogniqualvolta si occupa dei suoi affari; nuoce anche quando si
sforza di incoraggiarla; ne segue che i governi debbono limitarsi a salvaguardare la produzione dai
tumulti e contrarietà di qualsiasi specie” (C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere,
a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 295).
84

è produrre con la massima efficienza.

Egli, partendo dall’osservazione della natura e applicando la fisiologia

all’intera società, arriva ad una visione organicistica del sistema il quale viene

considerato come una struttura composta da una molteplicità di parti ognuna

delle quali, assolvendo la propria specifica funzione, contribuisce all’esistenza

e allo sviluppo del tutto236. Allo stesso modo di un organo di un qualsiasi

essere vivente, ogni lavoratore, svolgendo la propria attività, è utile alla

società237.

Da queste idee discendono due importanti conseguenze. Da una parte il

riaffermarsi e il rafforzarsi del principio della coincidenza tra interesse

individuale e collettivo, con la conseguenza che risulta impossibile qualsiasi

tipo di contrasto all’interno del corpo sociale. Dall’altra la visione di una

società strettamente gerarchizzata perché, se è vero che tutti sono egualmente

utili, è altrettanto vero che ognuno deve svolgere la funzione che gli è

assegnata.

Il criterio necessario per organizzare il sistema è quello basato sulla

capacità: i più capaci devono guidare gli altri. Il sistema industriale è, dunque,

una società tecnocratica e, poiché l’obiettivo è la produzione e “i proprietari


236
P. Rossi, Positivismo e società industriale, cit., p. 20.
237
“La società non è un semplice agglomerato di esseri viventi le cui azioni - indipendenti da ogni
fine ultimo - non abbiano altra causa all’infuori dell’arbitrio né altro risultato che accidenti effimeri o
senza importanza; al contrario, la società è soprattutto una vera macchina organizzata le cui parti
contribuiscono tutte, in maniera diversa, alla vita del tutto. L’insieme degli uomini costituisce un
essere vero e proprio, la cui esistenza è più o meno vigorosa oppure malferma a seconda che i suoi
organi assolvano più o meno regolarmente le funzioni ad essi affidate” (C. H. de Saint-Simon, De la
physiologie appliquée à l’amélioration des institutions sociales, trad. it. in P. Rossi, Positivismo e
società industriale, cit., p. 102).
85

industriali [sono] i soli... la cui capacità nell’amministrazione sia constatata da

prove positive e pubbliche... i produttori ricchi che comandano gli operai nei

loro lavori quotidiani [sono] di conseguenza i capi del popolo di cui fanno

necessariamente parte; da ciò risulta che essi sono i capi diretti e naturali della

nazione lavoratrice”238.

D’altra parte, Saint-Simon si cura di precisare, assai spesso nei suoi scritti,

che gli operai non sono sottomessi ai capi industriali239, ma sono associati

perché hanno il medesimo loro interesse di vedere prosperare la società. Essi

sono semplicemente guidati da coloro che hanno più capacità, o meglio che

hanno la capacità di prendere decisioni, allo stesso modo degli arti di un uomo

naturalmente diretti dalla mente240. L’autore, nell’Organizzatore, osserva:

Nell’antico sistema, il popolo era inquadrato sotto i suoi capi; nel nuovo, esso è fuso con

loro. Dai capi militari veniva un comando, dai capi industriali viene un indirizzo. Nel primo

caso il popolo era soggetto, nel secondo è associato. Tale è in realtà il carattere meraviglioso

della società industriale, che coloro i quali vi concorrono sono in realtà tutti collaboratori,

tutti associati, dal più semplice manovale al più ricco industriale, fino all’ingegnere più

illuminato.

In una società in cui vengono a far parte individui che non recano né capacità né un
238
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 877.
239
“Intendo qui come capi dei diversi lavori tutti gli industriali che non sono puramente operai,
cioè esecutori, e che prendono una parte più o meno grande alla direzione dei lavori” (C. H. de Saint-
Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 807,
nota f).
240
Nella Lettera di Henri Saint-Simon agli operai, l’autore fa dire a questi: “Capi delle principali
imprese agricole, industriali e commerciali, voi siete ricchi e noi siamo poveri; voi lavorate con la
testa e noi con le braccia; deriva da queste due differenze fondamentali che esistono fra noi, che
dobbiamo essere vostri subordinati” (C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id.,
Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 866).
86

apporto qualsiasi, vi sono necessariamente padroni e schiavi, altrimenti i lavoratori non

sarebbero così sciocchi da accettare una simile situazione potendo sottrarvisi... Ma un

organizzazione dove tutti recano la propria capacità e un apporto, costituisce una vera

associazione, e l’unica disparità esistente è quella delle diverse capacità e dei diversi apporti,

entrambi necessari, cioè inevitabili, e che sarebbe assurdo, ridicolo e funesto voler far

scomparire. 241

Al di là di queste affermazioni generali, spesso Saint-Simon descrive in che

modo debba essere organizzato il sistema tecnocratico. In particolare, lo

scrittore scende nei particolari e descrive gli organi che devono dirigere

l’associazione di produzione nazionale: spiega come debbano essere

strutturati, da chi debbano essere composti e quali funzioni debbano avere.

Soprattutto nelle ultime opere l’autore si dedica alla progettazione delle

strutture dell’organizzazione amministrativa del mondo futuro 242. I particolari

sono spesso noiosi e tendono a mutare nel corso del tempo, ma il principio

rimane costante. La nuova élite del sistema industriale sarebbe stata composta

dai capi industriali, le vere guide del sistema, dagli scienziati, che con le loro
241
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 499.
242
Il primo progetto, e il più completo, è quello esposto nell’Organisateur: “Verrà creata una
prima Camera che si chiamerà Camera d’invenzione... sarà composta da duecento ingegneri... da
cinquanta poeti o da altri letterati... da venticinque pittori, quindici scultori o architetti e dieci
musicisti... Questa camera... presenterà, allo scadere del primo anno di funzionamento, un progetto di
lavori pubblici da intraprendere per accrescere le ricchezze della Francia e per migliorare le condizioni
dei suoi abitanti... dovrà poi dare ogni anno il suo parere sulle aggiunte necessarie al progetto
primitivo... Verrà poi formata una seconda Camera, denominata Camera d’Esame. Essa sarà composta
... da cento fisici dediti allo studio della fisica dei corpi organici, cento fisici dediti allo studio della
fisica dei corpi bruti e cento matematici... Essa esaminerà i progetti della prima Camera, e... elaborerà
un progetto generale di educazione pubblica... La Camera d’esecuzione... si occuperà di avere... dei
rappresentanti di ogni settore dell’industria... avrà l’incarico di dirigere l’esecuzione dei progetti
deliberati...” (C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., pp. 446-450).
87

scoperte avrebbero contribuito al miglioramento della produzione, e dagli

artisti, che avrebbero ‘prodotto’ i beni immateriali utili all’animo umano243.

Il mondo capovolto

Con il sistema industriale Saint-Simon si propone di organizzare

razionalmente e in modo efficiente le nuove forze produttive allora nascenti.

Lo sviluppo dell’industria avrebbe, infatti, significato abbondanza e quindi

benessere per tutti perché essa, se organizzata secondo principi positivi,

avrebbe creato una ricchezza pressoché illimitata.

Organizzare il sistema in modo razionale per l’autore significa ordinare la

società secondo un principio meritocratico in modo che ogni uomo sia messo

nelle condizioni di svolgere le attività per cui è portato affinché la società,

come un organismo composto da organi che si muovono in sincrono, possa

svilupparsi.

La società in cui l’autore vive non ha nessuna di queste caratteristiche e la

critica contro di lei è sempre presente nelle opere di Saint-Simon per il quale
243
Cfr. F. E. Manuel, I profeti di Parigi, Il Mulino, Bologna, 1979, pp. 159-162. Nei primi scritti
di Saint-Simon l’importanza dei capi industriali e degli scienziati era pressoché uguale.
Successivamente l’autore sembra accordare sempre minore favore a questi ultimi. “Gli scienziati
rendono dei servizi molto importanti alla classe industriale, ma ne ricevono dei servizi ancora più
importanti; ne ricevono l’esistenza; è la classe industriale che soddisfa le loro principali necessità,
come i loro desideri fisici di ogni genere; è lei che fornisce loro tutti gli strumenti utili all’esecuzione
dei loro lavori. La classe industriale è la fondamentale, la classe che sostiene tutta la società, senza la
quale nessun altra potrebbe sussistere” (C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it.
in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 1024).
88

“lo stato attuale delle cose... presenta lo spettacolo del mondo capovolto” 244.

L’autore si lamenta del fatto che “ coloro che dirigono gli affari pubblici

avrebbero un gran bisogno di essere diretti; le alte capacità si trovano nel

mondo dei governati; i governanti sono, a causa della loro formazione, molto

mediocri”245. Le classi che hanno il potere non hanno più le capacità per

guidare la nazione. Esse, infatti, sono ciò che rimane di un epoca che, crollata

definitivamente con la rivoluzione francese, ora non esiste più 246. L’autore,

quindi, si scaglia contro il clero, perché “nella classe dei laici si trovano gli

uomini le cui disposizioni rendono più perfetta la morale e contribuiscono

maggiormente all’accrescimento del benessere della specie umana; e tuttavia il

potere spirituale è affidato al clero, e gli ecclesiastici dirigono l’educazione

pubblica”247; contro gli aristocratici: “nella classe dei plebei si trovano i

direttori dei lavori che procurano alla società il soddisfacimento di tutto le

necessità fisiche, e ai nobili è accordata la principale esistenza temporale” 248.

Più in generale, la critica dell’autore è rivolta contro tutti gli oziosi, ossia

tutti coloro che non svolgono alcuna attività utile alla società. Nella celebre

Parabola249 si legge:

244
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, (1825), in Oeuvres, Antrophos, Paris, 1966,
trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 1095.
245
Ibid.
246
M. T. Bovetti Pichetto, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Opere, cit., p. 11.
247
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1095.
248
Ibid.
249
Saint-Simon per questo scritto, ritenuto sovversivo dell’ordine stabilito, venne perseguitato dal
potere giudiziario. Riuscì a difendersi e ad essere assolto anche se, proprio in quel periodo, per una
sfortunata coincidenza, il duca di Berry venne assassinato.
89

Ammettiamo che la Francia conservi tutti gli uomini di genio che possiede nel campo

delle scienze, delle belle arti, delle arti e mestieri, ma abbia la sfortuna di perdere nello stesso

giorno, Monsieur il fratello del Re, il duca d’Angoulême, il duca di Berry, il duca

d’Orléans...

E contemporaneamente perda tutti i grandi ufficiali della corona, tutti i ministri di Stato...

tutti i consiglieri di Stato, tutti i dignitari, tutti i suoi marescialli, tutti i suoi cardinali,

arcivescovi, vescovi, grandi vicari e canonici, tutti i prefetti, i sotto-prefetti, gli impiegati nei

ministeri, i giudici, e inoltre i diecimila più ricchi proprietari fra coloro che vivono come i

nobili.

Questo fatto affliggerebbe certamente i Francesi che sono di buon cuore... Ma questa

perdita di tremila personaggi, ritenuti i più importanti dello Stato, procurerebbe loro un

dolore di carattere puramente sentimentale, non risultandone infatti alcun danno politico per

lo stato.250

La Parabola, in effetti, più che una vera critica è la constatazione da parte

di Saint-Simon, che crede nell’ineluttabiltà del progresso storico 251, del fatto

che i nobili sono ormai solo i fantasmi di un’epoca passata e che non svolgono

più alcuna funzione nella nuova società, la quale non è che “una nazione che è

essenzialmente industriale e il cui governo è essenzialmente feudale”252.


250
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 431.
251
Saint-Simon afferma che il cammino dell’uomo verso il progresso è inevitabile, perché “il
riepilogo del passato della società ci ha dimostrato che la classe industriale aveva continuamente
acquistato importanza, mentre le altre ne avevano sempre persa; e da ciò dobbiamo concludere che la
classe industriale finirà col diventare la più importante di tutte... Il semplice buon senso ha posto, in
tutti gli individui, il seguente ragionamento: ‘Poiché gli uomini hanno sempre lavorato al
miglioramento della loro sorte, hanno sempre mirato allo scopo dell’instaurazione di un ordine sociale
nel quale la classe occupata nei lavori utili fosse la più considerata’. La società finirà necessariamente
per raggiungere questo scopo” (C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it. in Id.,
Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 936).
252
C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
90

In ogni caso la critica dell’autore contro la nobiltà e il clero si articola in

due serie di ragioni.

La prima, e più importante, è che essi, come abbiamo visto, non hanno più

le capacità per guidare la società. Saint-Simon che vuole sostituire

l’aristocrazia di nascita con l’aristocrazia dei talenti non può naturalmente

accettare che coloro che governano, che decidono le leggi e, soprattutto,

attraverso la legge finanziaria253, stabiliscono l’entità delle tasse, collegandola

esclusivamente alle proprie necessità personali e senza tenere conto dei

bisogni della nazione, siano i meno capaci a farlo.

L’altra critica riguarda il fatto che i nobili vivono nel lusso senza produrre

alcunché, mentre per Saint-Simon “il lavoro è la fonte di tutte le virtù [e] i

lavori più utili devono essere i più considerati” 254. Gli aristocratici, inoltre,

sprecano ingenti fortune in maniera del tutto improduttiva impoverendo

l’intera nazione. Essi, infatti, per poter mantenere il loro tenore di vita fanno sì

che “gli industriali... [siano] oberati di imposte... imposte enormi che... non

sono usate in modo utile per l’agricoltura, per il commercio e per

l’industria”255.

Bovetti Pichetto, cit., p. 931.


253
“La legge più importante di tutte è senza dubbio quella che regola il bilancio, perché il denaro è
per il corpo politico ciò che il sangue è per il corpo umano. Ogni parte del corpo in cui il sangue cessa
di circolare langue e in breve tempo muore; analogamente ogni funzione amministrativa che non sia
più pagata cessa rapidamente di esistere. Perciò la legge finanziaria è la legge generale, quella da cui
tutte le altre derivano e debbono derivare” (C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id.,
Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 355).
254
C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 936.
255
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 613.
91

Diversamente da come si potrebbe pensare, Saint-Simon non è invece

contrario alla monarchia. “L’istituzione della monarchia ha un carattere

generale che la distingue e la pone al di sopra di tutte le altre istituzioni...

Questa istituzione andrà ugualmente bene per tutti i sistemi di organizzazione

sociale che i progressi della civiltà potranno rendere necessario instaurare” 256.

Il motivo di questo favore dipende dal fatto che l’autore è contrario a qualsiasi

tipo di violenza e disordine sociale in quanto nocivo all’industria. Egli ritiene

la monarchia l’unica istituzione in grado, attraverso l’emanazione di

provvedimenti legislativi, di dare la forza ai produttori di fondare

definitivamente e in maniera del tutto pacifica il sistema industriale257.

Misure pratiche

La condizione fondamentale affinché possa essere organizzato il sistema

industriale era che “gli individui che compongono l’ultima classe della società,

fossero giunti a un grado di civiltà tale che permettesse di ammetterli come

256
C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 946. Per l’autore, del resto, non è importante la forma di governo di una
società, perché l’organizzazione politica è sempre subordinata a quello economica che è quella che
caratterizza essenzialmente la società. La cosa più importante è organizzare efficacemente la
produzione e fare in modo che il governo, indipendentemente dalla forma che può avere, non intralci
lo sviluppo dell’industria. Cfr. E. Durkheim, Il Socialismo. Definizioni - Origini - La dottrina saint-
simoniana, Franco Angeli, Milano, 1982, pp. 315-316.
257
Per le ragioni che spingono Saint-Simon ad auspicare un alleanza tra il trono e gli industriali, si
veda direttamente C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M.
T. Bovetti Pichetto, cit., pp. 605 e seg.
92

associati, e per questo era indispensabile che fossero capaci di amministrare

delle proprietà... questa esperienza è stata fatta durante la Rivoluzione, ed è

pienamente riuscita...”258; “poiché il popolo francese è giunto alla sua

maggiore età come nazione, grazie ai progressi della sua intelligenza, ne deve

derivare un cambiamento radicale nella sua organizzazione sociale” 259.

Obiettivo di Saint-Simon e dei suoi scritti è organizzare la società nel modo

più favorevole all’industria. Da quanto detto fino ad ora risulta chiaro quale

sia lo scopo immediato dell’autore: eliminare gli oziosi. D’altra parte, egli non

si spinge a tanto e quello che egli, in definitiva, propone è che coloro che non

svolgono lavori utili, i non-produttori, siano messi in condizione di non

nuocere alla società, togliendo loro il potere di governarla e facendo passare

questo attributo agli industriali260.

Le opere dell’autore sono spesso mezzi di propaganda in favore del nuovo

sistema e contengono continue esortazioni agli industriali a diventare le nuove

guide della società.

L’autore, “del resto, [vuole] solamente agevolare e illuminare il corso fatale

delle cose. [Vuole] che gli uomini facciano, scientemente ormai, con sforzi più

diretti e con maggior profitto, ciò che hanno fatto sinora, per così dire, a loro

258
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1101. Si vedano direttamente in C. H. de Saint-Simon, De l’organisation
sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., pp. 1072-1084 i due
frammenti intitolati rispettivamente “Prove delle capacità dei proletari francesi ad amministrare bene
la proprietà” e “Poiché la classe dei proletari è tanto progredita in civiltà quanto quella dei proprietari,
la legge deve classificarli come associati”.
259
Ibid., p.1071.
260
Cfr. E. Durkheim, Il Socialismo. Definizioni - Origini - La dottrina saint-simoniana, cit., p. 305.
93

insaputa, e in modo lento, indeciso e troppo poco fruttuoso”261.

La cosa, comunque, non è così semplice perché il problema è che “i

princìpi industriali non sono ancora abbastanza noti e diffusi, e non possono

quindi avere acquisito quel credito che può dare loro fiducia e forza; inoltre... i

princìpi non sono sufficienti, come si potrebbe a tutta prima ritenere, perché

l’industria si ponga a capo della società: le occorre un altro mezzo”262.

Naturalmente l’autore è contrario all’uso della violenza; essa, infatti, “è

assolutamente contraria agli interessi dell’industria; perché per lei l’uso della

forza è sempre un danno, e proprio sull’industria pesano maggiormente i

disordini popolari, perché tra tutte le proprietà, le proprietà industriali sono le

più facili da distruggere”263.

Ciò che Saint-Simon propone è “un mezzo legale” 264; in particolare un

intervento dall’alto, un ordinanza del re che assicuri più potere agli industriali.

Egli auspica un alleanza tra i produttori e la monarchia considerata “il regime

attualmente più conveniente essendo necessario per attuare la transizione dal

regime totalmente arbitrario esistito sino ad oggi al regime del tutto liberale

261
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto,
cit., p. 285.
262
Ibid., p. 388.
263
Ibid. Per l’autore è estremamente importante che il mutamento della società avvenga in modo
del tutto pacifico. Egli suggerisce, infatti, di “indennizzare le persone i cui interessi pecuniari saranno
stati danneggiati in qualche modo dall’introduzione del nuovo sistema politico” (C. H. de Saint-
Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 451). Nel
Sistema Industriale, rivolgendosi al re, l’autore scrive “Si, Sire, i nobili possono ottenere una somma ,
e anche una somma importante dai produttori, in cambio della loro rinuncia volontaria e completa al
diritto di formare una prima classe nella nazione, al diritto di amministrare gli interessi generali della
società, al diritto di dirigere l’attività nazionale” (C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit.,
trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., pp. 842-843).
264
Ibid.
94

che avremo un giorno”265. L’autore è convinto che alcuni provvedimenti da

parte del re, quali una riforma elettorale che permetta agli industriali di essere

più rappresentati nella Camera dei deputati e la costituzione di particolari

Commissioni costituite da elementi direttivi del mondo produttivo, siano

sufficienti per completare il trapasso tra sistema feudale e sistema

industriale266; per fare in modo cioè che il potere di dirigere la società passi da

coloro che avevano le caratteristiche per farlo nel passato, e che ora non hanno

più, a coloro le cui capacità si accordano con il nuovo scopo della società,

ossia la produzione.

Oltre all’ordinanza del re, misura necessaria e fondamentale per dare più

forza ai produttori, Saint-Simon suggerisce agli industriali la condotta da

tenere per instaurare il nuovo sistema in modo del tutto pacifico; li esorta,

così, a rassicurare il re sulla bontà delle loro intenzioni 267; ad assumere le

direzione di tutte le forze produttive268; a liberarsi dal senso di inferiorità che

ancora sentono nei confronti della nobiltà269; a tenersi lontano dalle dispute

religiose e filosofiche270; soprattutto li spinge a cercare di conquistare

l’opinione pubblica271.
265
Ibid., p. 319.
266
Cfr. M. T. Bovetti Pichetto, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Opere, cit., pp. 28-29.
Saint-Simon, nel Sistema industriale, spiega dettagliatamente quali provvedimenti adottare; cfr. C. H.
de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit.,
pp. 636-640.
267
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto,
cit., p. 319.
268
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 608.
269
Ibid., pp. 602-603.
270
Ibid., p. 739.
271
Ibid., pp. 848-851.
95

Eguaglianza e organicismo

Per Saint-Simon, ormai

il popolo ha contratto poco a poco tutte le abitudini di amore per l’ordine e per il lavoro,

di provvidenza e rispetto per la proprietà... e ha acquistato il primo grado di istruzione... è

ormai in possesso della capacità di vivere in società sotto il nuovo sistema, nel quale l’azione

del governo deve essere ridotta a ciò che è indispensabile per stabilire una gerarchia di lavori

nell’azione generale degli uomini sulla natura, che è lo scopo finale del sistema272.

La società deve essere organizzata esattamente come un’impresa

industriale273 il cui scopo non è altro che la produzione della maggior quantità

di beni materiali e immateriali. La caratteristica fondamentale alla quale si

deve ispirare l’organizzazione del sistema deve essere l’efficienza. Per Saint-

Simon essa può sussistere solo se ognuno svolge le funzioni per le quali è

portato.

Il sistema industriale è, quindi, un sistema tecnocratico, la cui

organizzazione sociale basata esclusivamente su idee positive, propende per

272
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 497.
273
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto,
cit., p. 385.
96

una “struttura rigidamente gerarchica”274, e al tempo stesso meritocratico,

perché chi ha maggiori conoscenze e capacità deve guidare gli altri. Da queste

caratteristiche consegue che, per ciò che riguarda la distribuzione delle

ricchezze, tema che comunque, come vedremo, non è approfondito

dall’autore, “ogni membro della società [ottiene] il maggior agio e benessere

possibile, in proporzione al suo apporto”275.

La società è paragonata dall’autore a una piramide e “partendo dalla base...

sino alla sua sommità, gli strati devono essere formati da materiali sempre più

pregiati”276. Al pari dei filosofo egualitari, Saint-Simon è convinto che

l’organizzazione della società debba ispirarsi alla natura, ma se i primi

pongono l’accento su ciò che accomuna gli uomini e li rende simili, il nostro

autore considera naturale l’ineguaglianza277.

Rifacendosi alle teorie del fisiologo Bichat278, Saint-Simon afferma che le

capacità umane possono distinguersi in tre categorie: quella scientifica, quella

motrice, quella sensibile alle quali corrispondono le tre classi degli scienziati,

degli industriali e degli artisti279 . Secondo l’autore, inoltre, le tre capacità si

escludono a vicenda e, quindi, ogni uomo sviluppa talenti che appartengono ad

una sola delle tre classi. Da questo presupposto si arriva alla conseguenza che

274
G. M. Bravo, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Nuovo Cristianesimo, Editori Riuniti,
Roma , 1968.
275
Ibid.
276
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1081.
277
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 164.
278
X. Bichat, Phsiological Researches upon Life and Death, Philadelphia, 1809.
279
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 165.
97

ogni uomo cerchi di esprimere sé stesso e che desideri lavorare e vivere

esclusivamente nel campo per cui è portato 280; da ciò l’autore arriva a negare la

possibilità di qualsiasi conflitto tra le tre classi.

Saint-Simon non si ferma qui; egli afferma che all’interno di ogni classe, e

soprattutto si occupa degli industriali, gli individui abbiano capacità diverse

che sono “ così evident[i], facil[i] da verificare, che non vi potrà essere

indecisione alcuna a questo proposito, e ogni cittadino dovrà tendere

naturalmente ad inserirsi nella funzione sociale che più gli si addice” 281. Anche

all’interno di ogni classe, quindi, il conflitto non è ammissibile perché fare una

graduatoria delle capacità non è più un fatto arbitrario 282, ma basato sui fatti e

sulle idee razionali ed ognuno dovrà arrendersi all’evidenza; per Saint-Simon

il riconoscimento della capacità superiore da parte dei meno dotati diventa

naturale e automatico283, anche perché questi stessi si avvantaggeranno, data la

migliore efficienza dell’impresa nazionale e quindi della maggiore

produzione, dal fatto di essere guidati dai migliori.

Dal fatto che il sistema industriale è basato su idee razionali discende che

esso non è più

280
Ibid., p. 166. Saint-Simon è convinto che gli uomini non siano guidati dalla passione per
l’eguaglianza con altri uomini di staus più elevato o di grande ricchezza. Essi non inseguono le
chimere del potere e della ricchezza, ma realizzare sé stessi utilizzando e sviluppando le proprie
capacità naturali.
281
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 525.
282
Saint-Simon aderisce alle idee di Holbach, Helvetius, Morelly, secondo i quali attraverso la
ragione si arriva sempre a verità cartesiane; scompare la soggettività del giudizio. Cfr. J. L. Talmon,
Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967, p. 44.
283
Cfr. F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 173.
98

governato dagli uomini... [ma] soltanto dai princìpi...

In una società organizzata in vista dello scopo positivo di lavorare per la sua prosperità

mediante le scienze, le belle arti e le arti e mestieri, l’atto politico più importante, l’atto che

consiste nel fissare la direzione lungo la quale deve procedere la società, non appartiene più a

uomini investiti della funzione sociale, ma viene esercitato dal corpo sociale stesso; in questo

modo la società, considerata collettivamente, può esercitare realmente la sovranità... In

quest’ordine di cose, i cittadini incaricati delle differenti funzioni sociali, anche le più

elevate, occupano, da un certo punto di vista, soltanto posti subalterni, poiché le loro

funzioni, qualunque ne sia l’importanza, si limitano a seguire una direzione che non è stata

da loro scelta. Inoltre, gli scopi e l’obiettivo di una simile organizzazione sono così chiari,

così determinati, che non vi è più posto per l’arbitrio... Tutti i problemi che debbono essere

dibattuti in un simile sistema politico... sono eminentemente positivi e facilmente valutabili;

le decisioni non possono essere che il risultato di dimostrazioni scientifiche, assolutamente

indipendenti da ogni volontà umana, e suscettibili di essere messe in discussione da tutti

coloro che avranno un grado sufficiente di cultura per capirle.284

Se a queste principi aggiungiamo l’idea, già esposta, di Saint-Simon che fa

coincidere la felicità con l’abbondanza di beni materiali e immateriali e che

tale abbondanza sarà raggiunta con un’organizzazione efficiente della

produzione si arriva alla logica conclusione: “L’età dell’oro del genere umano

non si trova alle nostre spalle, ma dinanzi a noi, nella perfezione dell’ordine
284
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., pp. 524-525. Tale modalità di prendere decisioni contribuisce a determinare la tendenza
che va sotto il nome di “fine delle ideologie”, secondo la quale nel momento in cui non ci sono più
controversie di opinioni riguardo la concezione del potere, le modalità di prendere decisioni e gli
obiettivi delle decisioni stesse, scompare e viene a mancare, in pratica così come in linea di principio,
qualsiasi disaccordo ideologico; cfr. D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 88, nota
24. Per un esame di tutto il problema si veda J. Meynaud, Destin des ideologies, Etudes de science
politique, Lausanne, 1961.
99

sociale”285; e, poiché è interesse di tutti, dal più ricco proprietario industriale

all’ultimo operaio, vedere prosperare la società, ogni conflitto cessa di

esistere.

La questione distributiva

La società industriale è caratterizzata da una grande abbondanza. Saint-

Simon, nei suoi scritti, pone sempre l’accento su una sempre maggiore

creazione e produzione mentre la questione del consumo e della distribuzione

è solo sfiorata. Egli parla di ricompense proporzionali ai meriti ma la

questione è affrontata in maniera vaga senza entrare in dettagli. Il motivo è

semplice: il banchetto che si offre di fronte all’umanità è talmente abbondante,

che soffermarsi sulle ricompense materiali, caratteristica di un mondo di

scarsità, è fuori luogo286.

In ogni caso l’autore afferma che, come accade in qualsiasi società

commerciale, la ricchezza prodotta dall’impresa nazionale è divisa “tra tutti i

cittadini, e la parte di ognuno rappresenta il suo reddito privato. Ogni cittadino

riceve, in questa distribuzione, nella misura in cui ha contribuito alla

produzione, ossia nella misura del capitale investito e dell’industria che vi ha

posto”287.

285
C. H. de Saint-Simon, De la réorganisation de la société industriel européenne, (ottobre
1814)., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 197.
286
F. E. Manuel, I profeti di Parigi, cit., p. 167.
287
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in P. Rossi, Positivismo e società industriale,
cit., p. 62.
100

Come accade a livello della distribuzione delle funzioni nella gerarchia

sociale anche per quel che riguarda i principi distributivi della ricchezza,

Saint-Simon si rifà al criterio meritocratico ed ognuno ottiene ricompense

proporzionali ai servizi che ha reso all’industria. “Ciascuno ottiene importanza

e benefici proporzionati alla sua capacità e al suo apporto personale” 288 e

questo, per l’autore, “costituisce il più alto grado di eguaglianza che sia

possibile ed auspicabile”289.

Saint-Simon si scaglia contro l’eguaglianza assoluta che egli definisce

turca.

Essa è precisamente il contrario della vera eguaglianza, dell’eguaglianza industriale, che

consiste nel fatto che ciascuno trae dalla società dei benefici esattamente proporzionali al suo

apporto sociale, cioè alla sua capacità positiva, all’impiego utile che fa dei suoi mezzi, fra i

quali bisogna includere, beninteso, i suoi capitali. Non si può concepire nulla di più contrario

a questa vera eguaglianza, base naturale della società industriale, del sistema anti-sociale in

virtù del quale ciascuno godrebbe a turno del potere arbitrario, perché allora si

accorderebbero vantaggi sociali senza alcuna condizione né in una proporzione qualsiasi con

l’utilità prodotta.290

Il principio meritocratico nella distribuzione delle ricchezze è, dunque, il

solo che assicura la vera eguaglianza.

288
C. H. de Saint-Simon, L’organisateur, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 500.
289
Ibid.
290
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 709.
101

L’eguaglianza assoluta non solo non è praticabile all’interno della società 291,

ma non è nemmeno naturale. La società, infatti, può funzionare proprio perché

gli uomini sono, per natura, disuguali; la struttura sociale è vista come un

organismo, le cui cellule, essendo fisiologicamente differenti, svolgono

funzioni diverse e conseguentemente hanno diritto a compensi diversi.

La giustificazione di una distribuzione di tipo aristotelico non è

esplicitamente fornita da Saint-Simon. Si può supporre che, al pari degli

economisti liberisti, la ritenesse uno stimolo necessario per spingere gli

uomini a produrre quell’abbondanza che è il solo vero scopo della società. Più

semplicemente sembra che l’autore, non motivandola in alcun modo, ritenga la

distribuzione proporzionale una cosa del tutto naturale al pari degli

egualitaristi che giustificano la necessità di una distribuzione egualitaria nella

società richiamando il concetto dell’eguaglianza primitiva goduta dagli uomini

nello stato di natura.

In ogni caso, solo un’eguaglianza in un certo senso ridimensionata e

collegata direttamente alla capacità, in particolare alla capacità produttiva,

permette la costituzione del sistema industriale292. Essa sola è in grado di

assicurare l’efficienza e l’ordine necessario allo sviluppo produttivo. Una

distribuzione non collegata alle capacità non può che significare disordine e

291
“Se cerco di stabilire quale passione ha fatto esplodere la Rivoluzione francese... mi accorgo
che è l’eguaglianza e che gli uomini delle classi inferiori si sono abbandonati ad essa con maggiore
violenza, spinti tanto dall’ignoranza che dall’interesse. La passione dell’eguaglianza ha avuto come
effetto la distruzione dell’organizzazione sociale...” (C. H. de Saint-Simon, L’ industrie, cit., trad. it.
in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto, cit., p. 283).
292
D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 73.
102

anarchia, per Saint-Simon non può che comportare una paralisi della funzione

produttiva e una conseguente scarsità di beni293.

D’altra parte l’autore ripete con insistenza, che l’uomo, in realtà, non

ricerca l’eguaglianza assoluta, questa è un'illusione filosofica. Il suo vero

desiderio è potersi realizzare, svolgendo le attività nelle quali è naturalmente

dotato. Lo scrittore arriverà a dire, infatti, che fine ultimo della sua dottrina

era offrire a tutti i membri della società la massima opportunità possibile per

lo sviluppo delle proprie capacità294.

Nella visione del mondo dell’autore, l’ineguaglianza organica tra gli

uomini, l’ineguaglianza nella gerarchia sociale e nelle funzioni è più naturale e

migliore dell’eguaglianza turca propugnata dai rivoluzionari giacobini che non

è altro che un’eguaglianza di schiavi sotto un’onnipotente autorità statale295.

Nel sistema industriale, invece, poiché ognuno fa ciò per cui è portato e

poiché ognuno ottiene ricompense proporzionali alle proprie capacità, il livello

di produzione è spinto al massimo potenziale. In tal modo, il benessere è

assicurato a tutti, ai ricchi come ai più poveri i quali potranno passare da una

vita di stenti ad una in cui avranno “la certezza di... mangiare pollo tutte le

293
Discorso analogo a quello fatto per l’eguaglianza può essere fatto per la libertà, la quale deve
essere funzione della produzione. Alla libertà individuale si sostituisce la libertà dell’intera società a
perseguire il proprio scopo che è quello di produrre e di creare abbondanza. La vera libertà diventa,
dunque, la piena possibilità di ogni individuo di lavorare, di utilizzare le proprie particolari capacità,
di vedersi riconosciuto il frutto del proprio lavoro e di goderne. D’altra parte, nel momento in cui tutti
gli uomini diverranno consapevoli del vero obiettivo della comunità non sarà più possibile alcun tipo
di dissidio perché ognuno, in vista del fine sociale, e conoscendo i propri limiti e le proprie
potenzialità, non avrà desiderio di andare oltre le proprie competenze o di pretendere più di quanto gli
spetti.
294
F. E. Manuel, I profeti di Parigi, cit., p. 167.
295
Ibid.
103

domeniche”296.

Volendo entrare maggiormente nei dettagli su ciò che Saint-Simon intende

per la vera eguaglianza si ha una qualche difficoltà, poiché, come detto,

l’autore rimane sempre piuttosto vago, senza andare al di là di formule

generiche.

Gian Mario Bravo afferma che “la nuova organizzazione sociale deve

essere egualitaria: non è sufficiente l’eguaglianza politica, perché gli uomini si

sono emancipati da ogni legame atavico con il vecchio mondo, e quindi tutti,

nella mancanza del contrasto di classe, sono membri di pari grado nell’ambito

della comunità e vengono distinti soltanto a seconda delle proprie ‘capacità’

differenziate”297.

In effetti, per Saint-Simon, l’unico criterio su cui basare le differenze deve

essere quello incentrato sul merito e sulle capacità.

Egli è a favore di un sistema che, eliminando qualsiasi tipo privilegio, offra

a tutti le medesime opportunità di partenza proponendo di “costituire la

maggior eguaglianza possibile nei confronti dei diritti di nascita e fondare i

diritti politici sulla superiorità in capacità positive” 298. “Il sistema industriale è

fondato sul principio dell’eguaglianza perfetta; si oppone all’istituzione di tutti

i diritti di nascita e anche di ogni specie di privilegio” 299 e assicura che “ogni
296
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 869.
297
G. M. Bravo, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Nuovo Cristianesimo, cit., p. XVI.
298
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1093.
299
C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 945.
104

uomo, qualunque sia il suo punto di partenza, possa giungere alla prima di

tutte le classi sociali, la monarchia sola esclusa, e possa giungervi solo per

mezzo di lavori utili ai suoi simili”300. In tale sistema, “i cittadini dell’ultima

classe potranno dunque sempre giungere al primo posto”301 se possiedono

adeguate capacità.

L’autore afferma che nel sistema industriale “non basta trasferire i privilegi,

occorre annullarli; non basta far passare gli abusi da una persona ad un altra,

occorre abolirli”302.

In particolare, Saint-Simon si scaglia contro i privilegi nobiliari e nel

Sistema industriale scrive:

Considerando che la conservazione dei titoli nobiliari dispiace molto alla nazione;

considerando anche che la conservazione di questi titoli mantiene nell’animo degli antichi

nobili la speranza di ristabilire il sistema feudale... considerando, infine che è desiderabile,

per il bene generale, che i capi industriali godano del primo grado di considerazione

temporale, noi abbiamo comandato ciò che segue:

La nuova come l’antica nobiltà sono soppresse, i titoli feudali sono aboliti...303

300
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 883.
301
Ibid., p. 877.
302
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1083, nota 1. “Tutti i privilegi saranno annullati, e non potranno più
riformarsi, poiché sarà instaurato il sistema di eguaglianza più completo che possa esistere e gli
uomini che dimostreranno più capacità nelle scienze positive, nelle belle arti e nell’industria saranno
chiamati dal nuovo sistema a godere del primo grado di considerazione sociale e saranno incaricati
della direzione degli affari pubblici, disposizioni fondamentale che destina tutti gli uomini che
posseggono un talento superiore ad elevarsi al primo rango. Qualunque sia la posizione nella quale il
caso della nascita li abbia posti” (C. H. de Saint-Simon, Suite à la brochuredes Bourbons et des
Stuarts, (gennaio 1822)., in Oeuvres, Antrophos, Paris, 1966, trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 911).
303
C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 819.
105

Per ciò che riguarda, invece, le differenze di nascita collegate alla ricchezza

e alla proprietà l’autore è più cauto limitandosi ad affermare genericamente

che anche le regole che riguardano la proprietà dovranno essere in funzione

dell’industria, e potranno essere modificate e adattate ai sempre nuovi bisogni

della società, perché la proprietà “dipende essa stessa da una legge superiore e

più generale, da quella legge della natura in virtù della quale tutte le società

politiche traggono il diritto di modificare e di perfezionare le loro istituzioni:

legge suprema che vieta di vincolare le generazioni future con disposizioni di

qualunque natura esse siano”304. Saint-Simon, comunque, che accetta

l’accumulazione capitalistica e finanziaria305, lungi dall’ipotizzarne una sua

eventuale abolizione per fini produttivistici afferma che “l’istituzione del

diritto di proprietà e dei provvedimenti per farlo rispettare è senza dubbio

l’unica base che sia possibile dare ad una società politica; essa, non potrebbe

esistere, anche nelle condizioni più imperfette, se, mancando le leggi, questo

diritto non fosse consacrato almeno dalle consuetudini” 306. E, per quel che

riguarda i capitali, aggiunge che “la ricchezza, in generale, è una prova di

304
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto,
cit., p. 353.
305
G. M. Bravo, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon, Nuovo Cristianesimo, cit., p. XVII.
306
C. H. de Saint-Simon, L’industrie, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T. Bovetti Pichetto,
cit., p. 353. Rimane il fatto che la proprietà e le leggi che la regolano devono sempre restare
subordinate al momento produttivo. Saint-Simon distingue infatti tra proprietà industriale e proprietà
fondiaria aspramente criticata perché non collegata in alcun modo con la produzione e perché dà al
proprietario il diritto ad una rendita ingiustificata per l’assenza di ogni attività lavorativa; cfr. D.
Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., pp. 75-80. Riguardo alla proprietà industriale, Saint-
Simon ha posto per primo la questione della separazione fra proprietà e controllo, caratteristica delle
moderne grandi società di capitali. Per Giovanni Sartori, Saint-Simon ha previsto la possibilità di
“socializzare” i mezzi di produzione, non tanto affermando in diritto la proprietà comune, quanto
subordinando il diritto di proprietà alla funzione produttiva; cfr. G. Sartori, Democratic Theory,
Wayne Univ. Press, 1962, p. 389.
106

capacità degli industriali, anche nel caso che essi abbiano ereditato la fortuna

che posseggono”307.

Saint-Simon non va oltre queste affermazioni generali, non spiega in che

modo debbano essere aboliti i privilegi nobiliari, non fornisce una nuova

legislazione della proprietà e soprattutto non si cura di descrivere in maniera

più dettagliata come debba avvenire la distribuzione delle ricchezze.

In ogni caso, nel sistema industriale è inevitabile che si verifichino

differenze di trattamento materiale anche se tali differenze non sarebbero state

eccessive anche per non spezzare l’assenza di antagonismo tra le classi,

caratteristica fondamentale del sistema saintsimoniano.

Ad esempio per ciò che riguarda l’istruzione viene detto: “i ricchi godranno

sempre sui poveri del vantaggio di poter consacrare un maggior tempo

all’istruzione... Ma l’istruzione della classe più povera sarà spinta abbastanza

lontano perché i ricchi non possano abusare nei loro confronti della superiorità

delle loro conoscenze”308.

Il caso specifico si può generalizzare: le differenze di trattamento sono

naturali e, d’altra parte, esse non saranno eccessive, o meglio, anche i più

svantaggiati godranno di un benessere soddisfacente. Del resto, gli stessi ricchi

vogliono differenze poco pronunciate, perché in questo modo possono

307
Ibid., p. 608, nota a. Durkheim, del resto, vede in alcuni passaggi del Sistema industriale la
possibilità che Saint-Simon alludesse addirittura ad un’abolizione della successione ereditaria . Il
sociologo, comunque, conclude dicendo “Su questo punto si possono fare soltanto delle ipotesi” (E.
Durkheim, Il Socialismo. Definizioni - Origini - La dottrina saint-simoniana, cit., p. 337, nota 3).
308
C. H. de Saint-Simon, Catéchisme des industriels, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1027, nota d.
107

soddisfare maggiormente le proprie necessità. Nell’Organizzazione sociale si

legge:

Vi sono forti ragioni per cui i ricchi preferiscono abitare nei paesi in cui l’eguaglianza è

spinta più lontano fra i membri che compongono la società, poiché questi paesi sono

contemporaneamente quelli nei quali possono soddisfare nel modo più facile e concreto i loro

desideri...

Così, in realtà, gli uomini più ricchi e più potenti sono interessati all’aumento

dell’eguaglianza, poiché i mezzi per soddisfare i loro piaceri aumentano nella stessa

proporzione del livellamento degli individui che compongono la società. 309

Tali affermazioni non dovrebbero, comunque, essere intese come

ripensamenti in senso egualitario dall’autore, ma ancora una volta come il

riaffermarsi del principio dell’identità tra interesse individuale e collettivo.

Saint-Simon, infatti, conclude il brano dicendo: “terminando questa nota

diremo ciò che avrebbe forse dovuto trovarsi all’inizio, cioè che migliorando

le sorti della massa, si assicura il benessere degli uomini di tutte le classi...” 310.

Risulta chiaro, comunque, soprattutto alla luce degli sviluppi successivi del

suo pensiero già presenti nel Sistema Industriale e in maniera definitiva nel

Nuovo Cristianesimo, che Saint-Simon non è il teorico di un semplice sistema

capitalistico basato sul profitto.

Pur essendo favorevole ad una distribuzione delle ricchezze proporzionale


309
C. H. de Saint-Simon, De l’organisation sociale, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 1082, nota 1.
310
Ibid.
108

alle capacità, l’interesse dell’autore è sempre incentrato sul fine collettivo

della produzione. Quantunque egli ipotizzi che l’industria debba continuare ad

essere amministrata da privati e non la concepisca che come un insieme di

imprese particolari, il suo sistema è socialista perché l’obiettivo economico

diventa il solo fine sociale. Saint-Simon non è il continuatore delle opere di

Smith e J. B. Say e il suo socialismo non si intravede solo in alcuni particolari,

esso è contenuto interamente nella dottrina e nel principio fondamentale del

sistema311.

Nel sistema industriale, infatti, l’individuo è sempre sottomesso alla

collettività312, perché l’interesse individuale deve arrivare a coincidere con

l’interesse collettivo delle prosperità dell’intera comunità.

Certamente con Saint-Simon risulta evidente che l’eguaglianza distributiva

non necessariamente è un carattere peculiare dei sistemi socialisti, perché,

come afferma lo stesso Schumpeter, il socialismo di Saint-Simon, “se il suo

sistema può chiamarsi socialista, è gerarchico anziché egualitario” 313. L’autore

francese, infatti, ritiene che la distribuzione proporzionale delle ricchezze sia

l’unico mezzo per assicurare la prosperità sociale e dunque anche il benessere

delle classi più disagiate. In tal modo, sostenendo la gerarchia delle capacità

Saint-Simon non intende riferirsi agli eventuali privilegi dei più capaci perché

311
E. Durkheim, Il socialismo. Definizioni - Origini - La dottrina saint-simoniana, cit., pp. 307-
308.
312
Cfr. R. Garaudy, Les sources françaises du socialisme scientifique, Paris, 1949, p.89-96.
313
J. A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, vol. II, Einaudi, Torino, 1959, cit. in D.
Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 99, nota 60.
109

egli sottolinea il carattere collettivo della produzione, in quanto atto sociale

della creazione fonte della prosperità sociale314.

Il problema della distribuzione nel sistema saintsimoniano, per i motivi

visti, diventa in un certo senso un non problema. Non solo perché una grande

abbondanza e un benessere generalizzato fanno diventare poco rilevanti la

questione distributiva315, ma anche perché in Saint-Simon è implicito e

naturale che l’interesse individuale venga a coincidere con quello collettivo:

l’egoismo scompare.

Questo che è un punto cruciale della dottrina dell’autore è anche la causa di

quell’alone di ambiguità che circonda il suo pensiero. Il principio dell’identità

fra interesse individuale e collettivo, infatti, in Saint-Simon va ben oltre il

pensiero degli economisti liberisti, perché l’industriale saintsimoniano non

semplicemente fa il bene sociale perseguendo i propri scopi; il fatto è che suo

interesse personale diventa la produzione e quindi la prosperità della

comunità. Tale principio, sempre presente ma sottolineato con chiarezza solo a

partire dal Sistema industriale, permette di affermare che proprio nella società

saintsimoniana, un sistema meritocratico e tecnocratico in cui vengono

premiate le migliore capacità, si può realizzare il principio della fratellanza 316,

a cui l’autore esplicitamente si richiama nelle ultime opere.317.

314
P. Ansart, Marx e l’anarchismo, cit., p. 142.
315
Cfr. E. Durkheim, Il socialismo. Definizioni - Origini - La dottrina saint-simoniana, cit., pp.
362-363.
316
Cfr. D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., p. 70-72.
317
Cfr. C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 742.
110

Per lo stesso motivo dell’interesse comune della produzione, nel sistema

industriale il lavoro e l’istruzione devono essere assicurati a tutti. Ognuno,

infatti, ha il diritto-dovere di lavorare; ha il dovere perché l’apporto di ognuno

è utile per raggiungere il fine sociale della produzione e al contempo ha il

diritto sia di potere svolgere le attività per le quali è competente, sia di

partecipare al consumo della sua quota. Allo stesso modo, l’istruzione da una

parte contribuisce al benessere dell’individuo, soddisfacendo ciò che l’autore

chiama i bisogni morali318, dall’altra dà allo stesso individuo i mezzi per

partecipare e contribuire, svolgendo lavori utili, all’obiettivo sociale319.

L’ambiguità che nasce dalla visione ottimistica della capacità dell’uomo di

abbandonare, in maniera spontanea, il proprio interesse particolare tende a

scomparire nelle opere successive, paradossalmente proprio perché le certezze

di Saint-Simon tendono a vacillare così come il suo ottimismo sul fatto che

l’organizzazione industriale, valorizzando le capacità e l’utilità di ognuno,

seppur differenti da individuo a individuo, porti naturalmente e

automaticamente gli uomini ad abbandonare l’interesse egoistico. Infatti, il

dubbio che il sistema industriale non riesca ad eliminare automaticamente

l’egoismo costringe Saint-Simon a compiere una scelta che prima non si

poneva: in caso di interessi contrastanti l’autore afferma, ora in maniera

chiara, che devono prevalere quelli dei più poveri 320. Così, anche se

318
Cfr. D. Fisichella, Il potere nella società industriale, cit., pp. 64-65.
319
P. Ansart, Marx e l’anarchismo, cit., pp. 136-137.
320
Ibid., p. 143.
111

l’organizzazione della società viene mantenuta, perché rimane la fiducia nelle

immense potenzialità positive del sistema industriale, ora l’obiettivo finale

della comunità diventa esplicitamente il “miglioramento della sorte della

classe più povera”321.

Proprio questi ultimi sviluppi, che, occorre ripetere ancora una volta, non

rappresentano una rottura con la dottrina precedente ma una sua ulteriore

elaborazione, faranno affermare a Marx nel Manifesto che Saint-Simon, al pari

di Owen e Fourier è cosciente di “rappresentare... gli interessi delle classi dei

lavoratori, in quanto son le classi di coloro che soffrono”322.

Il nuovo cristianesimo

Gli sviluppi conclusivi del pensiero saintsimoniano sono racchiusi nella sua

ultima opera che non verrà terminata e sarà pubblicata postuma da un seguace:

Olinde Rodrigues.

Il Nuovo Cristianesimo segna per Marx una svolta radicale nel pensiero

dell’autore ed egli afferma nel Capitale che “è soltanto nel suo ultimo lavoro...

che Saint-Simon si presenta direttamente portavoce della classe lavoratrice” 323.

321
C. H. de Saint-Simon, Nouveau christianisme, cit., trad. it. in Id, Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 1110.
322
K. Marx - F. Engels, Das Manifest der Kommuistichen Partei, trad. it. in Id., Manifesto del
partito comunista, Newton-Compton, Milano, 1994, p. 45.
323
K. Marx, Das Kapital, 3 vol., Hamburg, 1867-1894, cit. in P. Ansart, Marx e l’anarchismo, cit.,
p. 20.
112

In ogni caso, questo non significa che ci sia una frattura con gli scritti

precedenti. I principi affermati nelle opere anteriori non vengono, infatti,

abbandonati ma vengono quasi integralmente ripresi seppur sotto una luce

diversa. Il venire meno del precedente ottimismo sulla capacità immanente nel

sistema industriale di eliminare ogni frattura sociale provoca principalmente

due cambiamenti nella dottrina dell’autore.

Da una parte sorge l’esigenza di una ricerca da parte di Saint-Simon di

nuovi mezzi per costituire quell’unità che il sistema industriale potenzialmente

già possiede324. Tali mezzi sono trovati nella forza persuasiva della morale, che

ora è ritenuta necessaria per superare le divisioni e per fissare l’attenzione

dell’uomo sull’interesse comune, ossia la prosperità della società e del

maggior numero dei suoi membri325. Dunque, se precedentemente il pensiero

razionale e positivo e la nuova organizzazione sociale erano ritenuti sufficienti

per ottenere i cambiamenti necessari negli uomini ora diventa necessaria “la

forza del sentimento morale...

Coloro che guideranno questa forza saranno i filantropi; essi saranno, in

quest’occasione, come lo sono stati fin dalla fondazione del cristianesimo, gli

agenti diretti dell’ETERNO”326.

Dall’altra, l’attenzione dell’autore si sposta sulle condizioni delle classi più

disagiate e se prima il miglioramento del benessere di queste era in qualche


324
P. Ansart, Marx e l’anarchismo, cit., p. 72.
325
Ibid., p. 109.
326
Cfr. C. H. de Saint-Simon, Du systéme industriel, cit., trad. it. in Id., Opere, a cura di M. T.
Bovetti Pichetto, cit., p. 758.
113

modo implicito nell’obiettivo di rendere più efficiente il sistema produttivo ora

esso diventa l’istanza primaria.

Il Nuovo Cristianesimo è concepito nella forma di un dialogo327 tra un

conservatore e un innovatore nel corso del quale il conservatore viene

convertito con una certa facilità alla nuova religione, la quale basata sul

principio cristiano della fratellanza deve essere il fondamento della nuova

organizzazione sociale.

In quest’opera Saint-Simon è ancora il teorico di una società industriale-

scientifico-artistica basata sull’aristocrazia dei talenti e che opera sulla base

del profitto, ma alla base di essa ora è posto il principio della fratellanza,

fondamento della religione cristiana. Saint-Simon, del resto, non trova alcun

contrasto tra lo spirito imprenditoriale e l’ideale morale del nuovo

cristianesimo328.

Nel Nuovo Cristianesimo il pensiero dell’autore è ancora impostato su basi

327
Saint-Simon aveva progettato l’opera in tre dialoghi, ma lo morte lo colse quando soltanto il
primo era stato scritto. Il Nuovo Cristianesimo venne pubblicato qualche mese dopo dal seguace
Olinde Rodrigues che lo fece precedere da una breve introduzione con lo scopo di chiarirne il legame
con le prime opere filosofiche di Saint-Simon.
328
F. E. Manuel, I profeti di Parigi, cit., p. 185. Questo del resto fa sì che rimanga una certa
ambiguità nella dottrina di Saint-Simon. Infatti, si può giungere ad interpretazioni molto diversi del
pensiero dell’autore a seconda che si dia la prevalenza alle forti spinte morali che animano il Nuovo
Cristianesimo o al contrario agli aspetti riguardanti l’effettiva organizzazione della società industriale
meritocratica e tecnocratica. Tale ambiguità di fondo ha fatto sì, del resto, che alcune componenti del
pensiero saintsimoniano che in Saint-Simon si prestavano a recuperi in direzioni contrastanti
venissero riprese dai suoi seguaci con connotazioni definite e forse diverse da come le intendeva il
maestro. Ad esempio la critica dell’anarchia capitalistica e l’esigenza di una politica di piano, che in
Saint-Simon possono essere visti come anticipazioni di temi sviluppati dal pensiero socialista
successivo, acquistano rilievo ben diverso nel pensiero dei saintsimoniani che utilizzarono gli stessi
spunti per la difesa del macchinismo, del sistema di fabbrica o della speculazione. Gli stessi seguaci,
che finirono per separarsi avendo obiettivi diversi, poterono utilizzare la medesima dottrina di Saint-
Simon, gli uni per difendere i presupposti e i meccanismi dell’industrializzazione, gli altri con
obiettivi di riscatto e di emancipazione sociale. Cfr. M. Larizza Lolli, Il Saintsimonismo (1825-1830).
Un’ideologia per lo sviluppo industriale, cit., pp. 6-9.
114

razionali, nel senso che la società deve essere organizzata sulla base di idee

positive, ma il principio fondamentale diventa il precetto cristiano “gli uomini

devono comportarsi come fratelli”329. Ora il cuore di tutto il sistema diventa

la religione perché l’istanza primaria è di carattere morale330.

Saint-Simon nel corso del dialogo dimostra che l’essenza del cristianesimo

è la fratellanza tra gli uomini; il dogma e il rituale di ogni religione non sono

che aggiunte che variano di epoca in epoca all’unico vero principio divino.

Ora, giunti all’epoca del sistema industriale, abbiamo raggiunto nuove

conoscenze, nuovi saperi, nuove idee; tutti queste devono essere applicate in

maniera razionale ed efficiente seguendo l’immutabile principio della

fratellanza: questa è l’essenza della nuova religione, del nuovo cristianesimo.

Saint-Simon assume quasi un tono da messia, contribuendo a dare a tutta

l’opera un carattere mistico tale che verrà considerata da suoi seguaci come la

rivelazione di un dogma, quando afferma

io concepisco chiaramente la nuova dottrina cristiana, e la esporrò; poi esaminerò tutte le

istituzioni spirituali e temporali che esistono in Inghilterra, in Francia, nella Germania del

Nord e in quella del Sud, in Italia, in Spagna e in Russia; nell’America settentrionale e

nell’America meridionale. Confronterò le dottrine di queste diverse istituzioni con quella che

si deduce direttamente dal principio fondamentale della morale divina....

329
C. H. de Saint-Simon, Nouveau christianisme, cit., trad. it. in Id, Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., p. 1105
330
Per Gian Mario Bravo la comparsa di questa forte componente morale fa sì che Saint-Simon
con il Nuovo Cristianesimo venga proiettato nel socialismo; cfr. G. M. Bravo, Storia del socialismo
(1789-1848), Editori Riuniti, Roma, 1971, p. 90.
115

Il nuovo cristianesimo, come le associazioni eretiche 331, avrà la sua morale, il suo culto e

il suo dogma; avrà il suo clero e i suoi capi. Ma, nonostante questa somiglianza di

organizzazione, il nuovo cristianesimo si troverà purgato da tutte le eresie attuali; la dottrina

della morale sarà considerata dai nuovi cristiani come la più importante: il culto e il dogma

saranno considerati da essi soltanto come accessori...

Nel nuovo cristianesimo tutta la morale sarà dedotta direttamente da questo principio: Gli

uomini devono comportarsi come fratelli gli uni verso gli altri...332

Successivamente viene chiarito il carattere positivo e razionale che deve

avere la nuova religione il cui scopo non è organizzare il culto e alimentare

credenze ma “dirigere la società verso il grande scopo del miglioramento più

rapido possibile delle condizioni della classe più povera”333.

Con tale affermazione Saint-Simon rompe gli indugi, la sua attenzione è

posta direttamente sulle classi disagiate, ma questo non porta ad una frattura

con il pensiero precedente, perché

fondare il nuovo cristianesimo e diventare capi della nuova Chiesa è compito degli

uomini che maggiormente sono capaci di contribuire con le proprie opere ad accrescere il

benessere della classe più povera. Le funzioni del clero si ridurranno a insegnare la nuova

dottrina cristiana, al cui perfezionamento i capi della Chiesa lavoreranno senza sosta. 334

331
Saint-Simon si riferisce qui alla religione cattolica e protestante, eretiche in quanto si sono
allontanate dal principio fondamentale.
332
C. H. de Saint-Simon, Nouveau christianisme, cit., trad. it. in Id, Opere, a cura di M. T. Bovetti
Pichetto, cit., pp. 1108-1109.
333
Ibid., p. 1110.
334
Ibid.
116

Il principio tecnocratico non è abbandonato, perché è solo attraverso esso

che si raggiunge la prosperità. Saint-Simon sottolinea:

Il vero cristianesimo deve rendere gli uomini felici, non soltanto in cielo, ma sulla terra.

Non dovete più fissare l’attenzione dei fedeli su idee astratte; usando in modo adatto le

idee materiali, organizzandole in modo da procurare alla specie umana il più alto grado di

felicità ch’essa possa raggiungere durante la sua vita terrena, riuscirete a far diventare il

cristianesimo la religione generale, universale e unica.

...dovete adoperare francamente ed energicamente tutti i poteri e tutti i mezzi acquisiti

dalla chiesa militante per migliorare rapidamente l’esistenza morale e fisica della classe più

numerosa.335

Per questo motivo,

questa religione ringiovanita... è chiamata a unire insieme gli scienziati, gli artisti e gli

industriali e a farne i direttori generali della specie umana, così come degli interessi

particolari di ciascuno dei popoli che la compongono; è chiamata a porre le belle arti, le

scienze d’osservazione e l’industria a capo delle conoscenze sacre, mentre i cattolici le hanno

collocate nella classe delle conoscenze profane... 336

Da tutto ciò discende che la società deve essere organizzata “in modo che

possa essere la più vantaggiosa per il maggior numero: [gli uomini] devono

proporsi come scopo in tutti i loro lavori, in tutte le loro azioni, di migliorare

335
Ibid., pp. 1124-1125.
336
Ibid., p. 1132.
117

nel modo più rapido e completo l’esistenza fisica e morale della classe più

numerosa”337, dunque il primo dovere degli uomini potenti è “usare tutti i loro

mezzi per il più rapido miglioramento possibile dell’esistenza morale e fisica

dei poveri”338.

Quando Saint-Simon spiega in che modo tutto questo sia possibile non si

allontana dagli scritti precedenti. Immagina una società tecnocratica, in cui i

più capaci devono guidare gli altri. Ritorna l’idea della società come una

piramide in cui i migliori devono occupare le posizioni di vertice, ma tutto

questo è visto alla luce dello scopo del miglioramento delle classi povere. Se

prima egli aveva cercato di organizzare il capitalismo, ora passa ad

organizzare in esso la classe più disagiata339.

Si continua, del resto, ad affermare, negando qualsiasi conflitto di interesse,

che il miglioramento della classe più povera farebbe “prosperare tutte le classi

della società, tutte le nazioni, con la più grande rapidità possibile” 340 e

comporterebbe “l’accrescimento del benessere reale e positivo delle classi

superiori”341.

Più avanti l’autore richiama “l’attenzione... su questo fatto importante, che

l’immensa maggioranza della popolazione potrebbe godere di un’esistenza

morale e fisica molto più soddisfacente di quella di cui ha goduto sino a oggi;

337
Ibid., p. 1106.
338
Ibid.
339
G. M. Bravo, “introduzione” a C. H. de Saint-Simon “ Nuovo Cristianesimo”, cit., p. XXX.
340
Ibid., p. 1108
341
Ibid, p. 1112.
118

e che i ricchi, accrescendo il benessere dei poveri, migliorerebbero la propria

esistenza”342.

Nell’autore rimane ben salda la convinzione che “sovrapporre l’aristocrazia

delle capacità all’aristocrazia della nascita [significa] sottomettere gli interessi

particolari all’interesse generale”343. Se prima però Saint-Simon era convinto

che questo sarebbe avvenuto automaticamente con l’organizzazione del nuovo

sistema ora cerca nella morale e nel “sentimento filantropico, che è la vera

base del cristianesimo”344, le forze che permetteranno agli uomini di superare

“il sentimento d’egoismo, che è divenuto dominante in tutte le classi e in tutti

gli individui”345 per giungere finalmente ad “un’unità di fine nelle opere dei

cristiani, in quelle di tutta la specie umana”346.

L’autore si preoccupa, quindi, di ricordare che “ è l’unione che fa la forza;

una società i cui membri entrano in lotta gli uni contro gli altri tende a

disgregarsi”347.

Egli sente il dovere di “far sentire agli artisti, ai dotti e ai capi dei lavori

industriali che i loro interessi [sono] essenzialmente gli stessi della massa del

popolo; che essi [appartengono] alla classe dei lavoratori, nel momento in cui

ne erano i capi naturali; che l’approvazione della massa del popolo per i

servigi che essi le [rendono], [è] la sola ricompensa degna dei loro gloriosi

342
Ibid.
343
Ibid., p. 1141.
344
Ibid., p. 1124.
345
Ibid., p. 1142.
346
Ibid., p. 1126.
347
Ibid.
119

lavori”348.

Dal punto di vista distributivo, comunque, non cambia nulla nel pensiero

dell’autore, per il quale “un’eguaglianza che [non sia collegata alle capacità

rimane] assolutamente inattuabile”349.

La filantropia alla quale Saint-Simon si appella, del resto non lo porta a

prospettare la carità per migliorare le condizioni dei poveri, anzi l’elemosina è

condannata perché fonte di “ozio, che è padre di tutti i vizi” 350. Il lavoro è la

fonte di ogni benessere ed infatti,

per migliorare il più rapidamente possibile l’esistenza della classe più povera, la

circostanza più favorevole sarebbe di trovare una grande quantità di lavori da eseguire e che

questi lavori esigessero il più grande dispiegamento dell’intelligenza umana. Voi potete

creare questa circostanza; ora che la dimensione del nostro pianeta è conosciuta fate

preparare dagli scienziati, dagli artisti e dagli industriali un piano generale dei lavori da

eseguire per rendere il possedimento territoriale della specie umana il più produttivo

possibile e il più gradevole da abitarsi da tutti i punti di vista.

La massa immensa di lavori che voi deliberate subito contribuirà al miglioramento della

sorte della classe più povera più efficacemente di quanto potrebbero fare le più abbondanti

elemosine, e in questo modo i ricchi, invece di impoverirsi con sacrifici pecuniari, si

arricchiranno contemporaneamente ai poveri.351

Saint-Simon, dunque, “intendeva mantenere, nelle condizioni sociali della


348
Ibid., p. 1140.
349
Ibid., p. 1135.
350
Ibid., p. 1115. Per ciò che pensa Saint-Simon del carattere negativo dell’elemosina, Cfr. ibid.,
pp. 1114-1115.
351
Ibid., p.1127.
120

modernizzazione, i requisiti di una comunità morale fondata su rapporti sociali

solidali” 352. Senza proporre soluzioni sconvolgenti, egli ha posto “la soluzione

della questione sociale... nell’idea che la divisione del lavoro e la

riorganizzazione tecnocratico-corporativa dell’economia avrebbe garantito una

maggiore stabilità sociale”353, sia attraverso un accrescimento delle ricchezze

tale che anche il benessere dei più poveri sarebbe arrivato a livelli

soddisfacenti, sia nel coinvolgere e unire tutti i membri della comunità nella

ricerca dell’obiettivo comune della produzione, nella generale consapevolezza

che l’apporto di ognuno, benché differente, è utile e indispensabile allo scopo.

352
M. Battini, L’ordine della gerarchia, cit., p. 96.
353
Ibid., p. 97.
121

Capitolo terzo

Charles Fourier

Introduzione

Charles Fourier è uno degli utopisti più controversi dell‘800 francese e la

sua opera è stata oggetto di molte e diverse interpretazioni354.

E’, come lui stesso si definisce, lo scopritore della “teoria dell’Attrazione

passionale”.

Egli era convinto di avere trovato la legge suprema dell’armonia universale,

attraverso la quale il genere umano avrebbe finalmente potuto raggiungere uno

stato di felicità ed abbondanza, in cui tutte le passioni di ogni singolo uomo

sarebbero state soddisfatte355.

Fourier trascorse tutta la sua vita tra l’orgogliosa certezza della sua scoperta

e la disillusione, derivante dalla consapevolezza dell’indifferenza e, ancor

peggio, del dileggio del pubblico nei confronti suoi e delle sue teorie356.

Già dalla prima opera, la Teoria dei quattro movimenti, il pensiero

dell’autore è formato e completo. Gli scritti successivi ripetono e sviluppano le


354
G. Dalmasso (a cura di), La società Medico-Politica - Teorie sul soggetto politico nella Francia
post-rivoluzionaria, Jaka Book, Milano, 1980, p. 140.
355
G. M. Bravo (a cura di), Il socialismo prima di Marx. Antologia di scritti di riformatori,
socialisti, utopisti, comunisti e rivoluzionari premarxisti, Editori Riuniti, Roma, 1966, p. 93.
356
M. Larizza, “introduzione” a Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, UTET,
Torino, 1972, p. 20.
122

idee alla base del suo sistema. Per questo motivo, non si incontrano

contraddizioni nella lettura dei suoi scritti e le sue idee, esposte nelle varie

opere in modi diversi, sono chiare e spiegate in maniera approfondita.

Le sue idee, pur derivando dalle concezioni illuministiche, assumono

caratteristiche del tutto originali; elementi di follia e bizzarria sono spesso

presenti.

Al di là di questo, risulta chiara la sua organizzazione sociale ideale e quali

siano le sue idee riguardo alla distribuzione delle ricchezze. L’autore

condanna l’eguaglianza assoluta, perché fonte di immobilità e nichilismo, e

considera le differenze, anche quelle di ricchezza, indispensabili per creare

quell’abbondanza necessaria alla felicità di tutti.

D’altra parte, nella società da lui ipotizzata, le disuguaglianze, pur essendo

una presenza costante, tendono a scomparire di fronte all’enorme ricchezza

che viene prodotta grazie alla nuova organizzazione del lavoro.

Cenni biografici

Charles Fourier357 trascorse un’esistenza solitaria e nulla nello svolgimento

della sua vita lascia trapelare l’estremo radicalismo del suo pensiero.
357
Le notizie riguardo alla vita di Charles Fourier sono tratte da: Ch. Fourier, Teoria dei quattro
movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit.; G. M. Bravo (a cura di), Il socialismo prima di
Marx., cit.; F. E. Manuel, I profeti di Parigi, Il Mulino, Bologna, 1979; Ch. Fourier, L’Armonia
Universale, a cura di M. Larizza, Editori Riuniti, Roma, 1978.
123

Nasce nel 1772 a Besançon, da un famiglia benestante di commercianti. Già

dall’infanzia, comincia ad affiorare in lui l’avversione per il commercio,

considerata un’attività basata sulla frode e sulla menzogna. Nonostante questo,

è costretto ad abbandonare gli studi, nei quali eccelle, per dedicarsi all’azienda

paterna.

Dopo essere, finalmente, riuscito, ad abbandonare il negozio di famiglia,

nel 1793 tenta una speculazione sbagliata e perde tutti i suoi averi. Durante la

rivoluzione viene arrestato e, tre anni dopo, ottenuta la libertà diventa

commesso viaggiatore, attività che gli permette, viaggiando e conoscendo

persone diverse, di capire cosa desidera realmente la gente.

In questo periodo, elabora quasi completamente la teoria dell’Attrazione

passionale, che viene esposta, nel 1808, nella sua prima opera, la Teoria dei

quattro movimenti, la quale è stampata da un giovane tipografo, che, qualche

anno dopo, diventerà un famoso teorico socialista, Pierre-Joseph Proudhon.

L’opera viene accolta malamente della critica e dal pubblico. Non miglior

sorte ha il Trattato dell’associazione domestica e agricola358, pubblicato nel

1822.

Nel 1829, esce Il nuovo mondo industriale e societario, l’opera meglio

accolta dal pubblico, ed entra in rapporto con alcuni saintsimoniani. Nel

frattempo, sempre alla ricerca del ricco mecenate che finanzi e metta in pratica

358
Il Traité de l’associatione domestique-agricole era il primo titolo che Fourier aveva assegnato
all’opera che poi prese il nome di Théorie de l’unité universelle. Nelle citazioni seguenti si farà
sempre riferimento al secondo titolo dell’opera.
124

le sue idee con la costruzione di un falansterio di prova359, partecipa alle

conferenze, organizzate dai suoi seguaci, per far conoscere la sua dottrina.

Nel 1831, pubblica un opuscolo, Imposture e ciarlatenerie delle due sette di

Saint-Simon e Owen, con il quale rompe ogni rapporto coi seguaci dei due

utopisti.

Vari saintsimoniani confluiscono nella scuola fourierista, che, nel 1832,

comincia a pubblicare un periodico, “La Phalansterie”.

Nel 1833, viene redatta La falsa industria, e , nello stesso anno, comincia a

uscire, sotto la guida di Victor Considérant, la nuova rivista della scuola, “La

Phalange”.

Nel 1837, Charles Fourier muore, dopo aver trascorso tutta la vita a

ripetere, con ampliamenti e riassunti, quella, che, sostanzialmente, era stata la

prima stesura della sua prima opera: la sua missione era convincere l’umanità

della bontà delle sue idee, che avrebbero portato, se applicate, all’abbondanza

e alla felicità generale.

L’attrazione passionata

“Pare che la natura bisbigli all’orecchio del genere umano che esso è

destinato ad una felicità di cui ignora le vie, e che una scoperta meravigliosa,
359
Il falansterio è una piccola comunità. Nella fase di Armonia, in cui si sviluppa la società ideale
del pensatore, il mondo sarà disseminato di queste comunità, federate in un sistema amministrativo
unitario mondiale. Esse saranno pressoché autarchiche e indipendenti, e all’interno di queste si
svolgeranno, prevalentemente, attività legate all’agricoltura.
125

verrà d’un tratto a dissipare le tenebre della Civiltà” 360. La scoperta, cui

Fourier allude, è quella dell’Attrazione passionale, della quale si ritiene lo

scopritore. Esso è il principio di cui si serve Dio, per far sì che l’uomo segua la

Sua volontà e si armonizzi con l’universo.

L’idea fondamentale è che Dio abbia ordinato l’universo, secondo un unico

principio: l’attrazione. Nel campo materiale è stata scoperta la forza di

gravitazione; la convinzione dell’autore è che le leggi dell’attrazione

passionale siano “in tutto e per tutto conformi a quelle dell’attrazione

materiale dimostrate da Newton e da Lebniz; e del fatto che unitario [è] il

sistema che governa il movimento del mondo materiale e di quello

spirituale”361. Si aggiunge, poi, che questa analogia può essere estesa “dalle

leggi generali alle leggi particolari; che le attrazioni e le proprietà degli

animali, dei vegetali e dei minerali [possono] essere coordinate allo stesso

piano da cui dipendono quelle degli uomini e quelle degli astri”362.

La natura ha, quindi, ricevuto da Dio un unico principio di movimento, il

quale serve a mantenere l’ordine in tutto l’universo. Attraverso l’attrazione

ogni creatura, dagli insetti alle stelle, provano piacere a fare ciò che l’impulso

naturale detta loro, che poi è anche ciò che è necessario per mantenere

l’armonia universale363.
360
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, (1808), in Oeuvres Completes, Anthropos, Paris,
1966, trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 229.
361
Ibid., p. 223.
362
Ibid.
363
M. Moneti, introduzione a: Ch. Fourier, Contro la civiltà, a cura di M. Moneti, Guaraldi
Editore, Bologna, 1971, p. 38.
126

L’uomo non si differenzia dal resto dell’universo, anch’egli seguendo i

propri impulsi, cioè le passioni, fa il volere di Dio. “L’attrazione è nelle mani

di Dio una bacchetta magica che gli fa ottenere con lusinghe d’amore e di

piacere ciò che l’uomo non sa ottenere che con la violenza. L’attrazione

trasforma in godimenti le funzioni in se stesse più ripugnanti”364.

In questo modo, l’autore rivaluta le passioni umane: qualsiasi inclinazione e

sentimento, anche quello apparentemente peggiore, diventa positivo, se

inserito in un ordine, il meccanismo combinato, che rispecchia quello naturale;

tutte le passioni, provenendo da Dio sono buone365, seguendole non solo si ha

felicità, ma si fa il Suo volere.

Fourier fonda, quindi, la sua morale sul piacere: la sua “teoria si limita a

utilizzare le malfamate passioni così come sono date dalla natura e senza

apportarvi alcun cambiamento”366, e a fare di esse le fondamenta di un mondo,

in cui la ricchezza e l’abbondanza diventano enormi.

L’originalità dell’utopista francese sta nel far discendere da queste

convinzioni una teoria sociale che porta all’elaborazione di una società ideale

del tutto innovativa, in cui il libero dispiegarsi delle passioni non porta caos e

distruzione, ma ricchezza e ordine. La teoria dell’Attrazione passionale

diventa l’interprete dei disegni di Dio relativi all’ordinamento sociale.

364
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, (1841), in Oeuvres complètes, Anthropos, Paris,
1966, trad. it. in Id., L’armonia Universale, a cura di M. Larizza, cit., p. 52.
365
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 276.
366
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., L’Armonia Universale, a cura di
M. Larizza, cit., p. 55.
127

L’autore, partendo dalla teoria delle Passioni, costruisce una società,

Armonia, in cui, attraverso il meccanismo delle serie367, sarà assicurata

ricchezza e felicità a tutti gli esseri umani. In questa struttura sociale non ci

sarà posto per l’eguaglianza, perché l’armonia e l’ordine universale si basano

sulle differenze: le diversità di carattere, di gusto ed, anche, di ricchezza,

saranno gli ingranaggi sui quali si fonderà il nuovo ordine societario.

Prima di arrivare a questo, è necessario, dunque, chiarire quali sono i

presupposti filosofici sui quali si fonda la teoria sociale dell’autore.

Fourier elabora una dettagliata teoria delle passioni umane.

Esse sono dodici e vengono distinte “a seconda che riguardino i sensi, i

sentimenti e le modalità o intrecci delle prime due” 368. Per soddisfare le

passioni del primo gruppo, le cinque dei sensi, sono necessarie “la salute e la

ricchezza... Solo possedendo queste due risorse, si può raggiungere il primo

scopo dell’attrazione passionale che è quello di soddisfare i cinque impulsi

367
“La serie di gruppi è il modo generalmente adottato da Dio nella distribuzione dei regni e delle
cose create. Nelle loro teorie e tabelle, i naturalisti hanno ammesso all’unanimità questa
distribuzione... Se le passioni e i caratteri non fossero sottoposti come i regni materiali alla
distribuzione per serie di gruppi, l’uomo sarebbe diviso dall’intero universo; si avrebbe duplicità di
sistema e incoerenze tra il materiale e il passionale. (Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit.,
trad. it. in A. Salsano (a cura di), Antologia del pensiero socialista, volume I, I precursori, Laterza,
Bari, 1979, p. 130). “ Una serie passionale è una lega di diversi gruppi graduati in ordine ascendente e
discendente, riuniti passionalmente per identità di gusto verso qualche funzione, come ad esempio la
coltura di un frutto, e suddivisa in tanti gruppi quanti sono i tipi di lavoro che riguardano l’oggetto di
cui la serie si occupa. (Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, (1829), in Oeuvres
Complètes, Anthropos, Paris, 1966, trad. it. in Id., Contro la Civiltà, a cura di M. Moneti, cit., p. 213).
Come si vedrà meglio in seguito, attraverso le Serie viene organizzato ogni lavoro e attività,
all’interno del Falansterio. Le Serie, chiamate da Fourier anche Sette progressive, sono la cellula
fondamentale della struttura economica del sistema fourierano. Tutte le attività, compiute nel
Falansterio, vengono svolte attraverso un’attenta suddivisione e specializzazione dei lavori. Ogni
attività è svolta da una Serie, la cui struttura interna rispecchia la suddivisione delle diverse sotto-
attività, che compongono il lavoro. In tal modo, ogni falansteriano sceglie e svolge non solo le attività
che desidera, ma, all’interno di queste, compie le fasi, da lui preferite.
368
M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la civiltà, a cura di M. Moneti, cit., p. 44.
128

sensibili...”369. “Per essere felici non basta possedere il lusso interno o salute;

noi desideriamo in aggiunta il lusso esterno o ricchezza, che garantisce il

libero dispiegarsi dei sensi...”370.

Le successive quattro passioni sono quelle di onore, amicizia, amore e

famiglia. Queste hanno come scopo il desiderio dei gruppi 371. In particolare,

l’amore ha un ruolo essenziale nella struttura societaria ideata dall’utopista.

Infine, le passioni dell’ultimo gruppo, chiamate seriali, sono difficili da

descrivere essendo sconosciute in Civiltà372. Esse, chiamate rispettivamente

Composita, Cabalistica e Farfallina, sono le passioni per gli accordi, per gli

intrighi e per la varietà; si svilupperanno compiutamente solo in armonia, nelle

serie373. Sono le passioni più importanti per lo sviluppo del meccanismo

societario, senza le quali esso non potrebbe essere costituto374.

Tutte le differenze di gusti e inclinazioni che esistono tra gli uomini sono

ricondotte al diverso sviluppo delle passioni. In particolare, il filosofo precisa:

“le dodici passioni radicali si suddividono in molteplici varietà che dominano,

quale più, quale meno, in ogni individuo: ne risultano dei caratteri

infinitamente differenziati, ma che si possono ricondurre a ottocentodieci

369
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in Id. , L’Armonia
Universale, a cura di M. Larizza, cit., p. 57.
370
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 652.
371
Ibid., pp. 651 e segg.
372
Per il significato di Civiltà in Fourier si veda il prossimo paragrafo.
373
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 273.
374
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. M. Larizza, Teoria dei quattro
movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 653.
129

principali”375.

Le passioni servono a Dio per guidare gli uomini, i quali, assecondando i

propri impulsi naturali, oltre a uniformarsi all’ordine universale, raggiungono

la felicità, che, per Fourier, consiste nel provare e soddisfare un’immensa

quantità di passioni non nocive, mentre l’infelicità deriva dall’avere grandi

passioni e pochi mezzi per soddisfarle376.

Lo scopo dell’uomo, e dell’autore, in particolare, diventa, allora, porre le

premesse per far sì che tutti possano soddisfare le proprie passioni. L’ordine

combinato è strutturato in modo tale che ogni uomo possa soddisfare le

proprie passioni in linea con l’interesse generale; “si arriva all’equilibrio

sociale solo attraverso un vasto sviluppo delle passioni”377.

“Ogni ordine sociale diverso dall’armonia non è mai altro che un mezzo per

appagare l’Attrazione dei ricchi comprimendo quelle dei poveri, mentre

l’armonia soddisferebbe quella dei ricchi e quella dei poveri al contempo”378.

Contro la civiltà

L’autore, naturalmente, non si limita ad ideare una nuova struttura sociale,

375
Ibid., p. 315.
376
Ibid., p. 327.
377
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Contro la Civiltà, a cura di M.
Moneti, cit., p. 251.
378
M. Larizza, “introduzione” a Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 48.
130

ma, per contrasto, svolge una spietata critica contro il mondo in cui vive: la

Civiltà.

Essendo vicino al popolo, osserva l’estrema miseria e le privazioni della

moltitudine e al contempo vede il lusso sfrenato in cui vivono i pochi: prima

della rivoluzione i nobili ed ora i nuovi borghesi.

Come vedremo meglio in seguito, il pensatore francese ha una visione della

storia ciclica e divisa in fasi sociali: ognuna di queste ha particolari

caratteristiche che riguardano la sua struttura sociale ed economica. Fourier,

inoltre, anticipando in parte Marx, afferma che ogni epoca ha in sé i germi del

cambiamento, che la porteranno alla fase successiva.

Il periodo storico che l’autore chiama Civiltà non è solo quello

estremamente ristretto che comprende lo sviluppo della società borghese,

come è stato inteso da Engels379; questa fase sociale “nasce con la concessione

dei diritti civili alla sposa”380 e abbraccia un vasto periodo, che parte dallo

sviluppo del mondo classico. Essa, come ogni epoca, è divisa in quattro fasi e

l’autore si trova a vivere durante la terza fase, caratterizzata dallo sviluppo del

commercio e dalla libera concorrenza. E’ proprio contro questa fase che è da

intendere la sua aspra polemica.

Il pensatore francese ha un odio profondo verso il commercio, che deve

essere inteso non solo in senso ristretto di circolazione delle merci, ma anche
379
M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la civiltà, cit., p. 17, in cui si fa riferimento a
F. Engels, Il socialismo dall’utopia alla scienza, Roma, 1970.
380
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, cit., p. 492.
131

in quello di economia concorrenziale; mette in luce come il sistema liberistico,

nascondendosi sotto i vessilli della libertà, finisca per garantire il predominio

di pochi operatori economici, grazie all’inganno e allo sfruttamento perpetrato

ai danni della maggioranza381. Il sistema di mercato lungi dal creare

quell’ordine tanto decantato dagli economisti, considerati da Fourier dei servi

al cospetto dei detentori della supremazia economica, ha in sé le cause del suo

collasso, che porteranno la Civiltà alle epoche successive.

Nella Francia post-rivoluzionaria, lo sviluppo del sistema capitalistico era

ancora agli albori, ma “limpida e vigorosa è in Fourier la messa a fuoco degli

effetti sortiti dall’affermarsi dei principi liberistici a livello industriale” 382: la

concorrenza tra le fabbriche si basa sullo sfruttamento degli operai, che sono

ridotti a una sorta di schiavitù383.

Il commercio e, in senso lato, l’economia di mercato sono la causa di tutti i

mali della Civiltà In essa l’attività produttiva, in particolare l’agricoltura, è

trascurata a favore del commercio e delle altre attività parassitarie che non

creano reale ricchezza; si arricchisce chi non produce a discapito di che


381
Per la disamina e la denuncia dettagliata dell’autore del sistema liberistico e protocapitalistico,
si veda direttamente: Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei
quattro movimenti e altri scritti, cit., pp. 495 e segg.
382
M. Larizza, “introduzione” a Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 31.
383
Riguardo alle cause delle disperate condizioni degli operai, Fourier scrive: “Tutto ciò è frutto di
una concorrenza esasperata: più la rivalità mercantile è attiva, più l’operaio è sfruttato, affamato dal
fabbricante cupido, che cercando di ridurre i salari per giungere rapidamente a una grande fortuna,
spinge i suoi concorrenti d’altri paesi a ridurre del pari i salari e ad assassinare gli operai. Questi, tra la
fame e la forca, si trovano costretti ad accettare il lavoro più ingrato. E’ grazie a questo
impoverimento progressivo dell’operaio che le celebri fabbriche, quelle di Saint-Gall, di Nîmes, di
Roubaix a altre, riescono a sostenere la concorrenza dell’Inghilterra, la quale ha spinto più oltre di
qualsiasi altro paese l’arte di torturare la classe produttiva, inducendo man mano a questo regime
vessatorio ogni paese che voglia sostenere la sua concorrenza”. (Ch. Fourier, De l’anarchie
industrielle et scientifique, Librairie phalanstérienne, Paris, 1847, trad. it. in Id. , Teoria dei quattro
movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza. cit., p. 31).
132

produce; più in generale l’interesse individuale è in contrasto con il bene

comune. A tutto questo l’autore contrappone l’economia societaria che

caratterizza la produzione e la distribuzione nella società armonica.

La critica dell’autore, in ogni caso, non si ferma a questo. Nella Civiltà, tutti

sono poveri, non solo i proletari, perché le passioni rimangono inappagate

anche nei ricchi, pur avendo, questi, i mezzi materiali per soddisfarle 384.

Infatti, “...l’ordine civile ha la proprietà di far sviluppare le dodici passioni

radicali invertendone il corso generale, e di produrre costantemente tante

iniquità e tanti orrori quanto, in giustizia e benefici, queste passioni avrebbero

condotto nel loro corso diretto e nel loro sviluppo combinato” 385. C’è un

sovvertimento passionale, perché l’uomo non ha la possibilità di soddisfare le

passioni, che sono represse e riemergono in forme stravolte: esse non possono

essere bloccate, come pretende la morale, ma devono essere lasciate libere di

dispiegarsi386.

La Civiltà è, quindi, un mondo alla rovescia, perché “crea, con i suoi

progressi, le condizioni per la felicità, ma non certo la felicità... la miseria

[nasce] dalla stessa abbondanza”387.

Il primo scopo di una società, infatti, consiste nell’assicurare ad ogni uomo

un’agiatezza economica “di vario grado che metta al riparo dal bisogno gli
384
Cfr. F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 269.
385
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 317.
386
Cfr. M. Moneti, ” introduzione” a Ch. Fourier, Contro la Civiltà, cit., p. 26.
387
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétarie, cit., trad. it. in Id., L’armonia
universale., a cura di M. Larizza, cit., p.105.
133

uomini meno abbienti”388.

L’intento di Fourier, con le sue feroci critiche, “non è di migliorare la

Civiltà, ma di umiliarla e di far desiderare la scoperta di un meccanismo

sociale migliore”389. “La teoria dei destini esaudirà i voti dei popoli

assicurando a ciascuno quell’agiatezza graduata cui tutti aspirano, e che si può

trovare soltanto nell’ordine delle Sette progressive”390.

Il meccanismo combinato non assicurerà agli uomini l’eguaglianza,

considerata dall’autore come sinonimo di nichilismo391, ma benessere e felicità

a tutti.

La teoria dei destini

Fourier non considera la Civiltà in semplice rapporto dialettico con

l’Armonia, ossia non esistono solo questi due possibili società: esse, infatti,

sono solo due delle trentadue fasi che compongono il cammino sociale

dell’umanità.

Sappiamo che il pensatore ha una concezione della storia ciclica,

materialistica e dialettica392. Nel tempo, infatti, si sono succedute, e


388
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 229.
389
Ibid., p. 547.
390
Ibid., p. 230.
391
Cfr. M. Larizza, nota 39 a Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 148.
392
Sull’argomento si veda J. Nicolaï, La conception de l’évolution sociale chez Fourier, Rousseau,
Paris, 1910.
134

continueranno a succedersi, varie epoche. Ognuna di queste è caratterizzata da

una certa struttura economica e sociale e il passaggio da una fase all’altra è

dovuto a cambiamenti nelle caratteristiche specifiche del periodo. La Civiltà

non “... è il termine ultimo dei destini sociali, mentre è soltanto la quinta delle

trentadue società possibili”393, e una delle più sfortunate394.

“Il nostro destino è quello di avanzare; ogni periodo sociale deve tendere al

superiore”395. L’uomo non può fermare il movimento sociale 396, anche se, con

il suo comportamento, può influire sulla durata delle fasi d’infelicità: la difesa

che i filosofi fanno della civiltà e delle sue istituzioni è la causa principale del

prolungarsi dell’infelicità umana.

Del resto, la civiltà occupa nella scala del progresso un posto importante, perché crea i

mezzi per avvicinarsi all’associazione: crea la grande industria, le scienze pure e le belle arti.

Bisognava far uso di questi mezzi per salire più in alto nella scala sociale, per non marcire in

perpetuo in quest’abisso di miserie e di ridicolo, chiamato civiltà, che, con le sue prodezze

393
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit.,, p. 252.
394
“L’evoluzione sociale... si divide in quattro fasi e si suddivide in trentadue periodi... Le due fasi
di incoerenza o disunione sociale comprendono i tempi di infelicità. Le due fasi di combinazione o
unione sociale comprendono i periodi di benessere... Da questo schema si vede che nell’evoluzione
del genere umano, come in quella degli individui, i periodi di sofferenza si trovano ai due estremi. Noi
ci troviamo nella prima fase... Stiamo per entrare nella seconda...” (Ch. Fourier, Théorie des quatre
mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit.,
pp. 249-251). Le sedici società, dalla nona alla ventiquattresima, pur differenziandosi tra loro, saranno
tutte organizzate in Serie composte e produrranno abbondanza e felicità: formano le due fasi di
Armonia. Questo periodo non sarà infinito, ma durerà un numero determinato di anni, dopodiché il
destino dell’uomo è ricadere nella fase d’incoerenza sociale. Per una spiegazione dettagliata della
Teoria dei destini, si rimanda a: Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id.,
Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., pp. 244 e segg.
395
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in Id., L’Armonia
Universale, a cura di M. Larizza, cit., p. 63.
396
Ch. Fourier, Egarament de la raison, in Oeuvres Complètes, Anthropos, Paris, 1966, trad. it. in
Id., Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 755.
135

industriali e i suoi torrenti di false dottrine, non è capace di assicurare al popolo il lavoro e il

pane.397

Per accedere all’Armonia sono necessarie, infatti, due condizioni:

1) Creare la grande industria, le scienze pure e le belle arti, poiché questi mezzi sono

necessari per la costituzione del regime societario, che è incompatibile con la povertà e

l’ignoranza.

2) Inventare questo meccanismo societario, questo nuovo mondo industriale contrapposto

al frazionamento.398

“Dei due fattori, il secondo è assente per colpa dei filosofi, che non solo

non hanno saputo scoprire, ma hanno ritardato e scoraggiato in tutti i modi

ogni sforzo teorico che preludesse alla scoperta del meccanismo societario” 399.

Ora, grazie al filosofo francese, “il calcolo dell’attrazione passionale è

scoperto e il mondo può subito passare ai felici destini”400.

Per arrivare all’ottavo periodo sono possibili, quindi, due strade:

...la prima è via d’avvento immediato... la seconda è via d’elevazione lenta, parziale e

graduale...

Sarebbe dunque un bel dispendio provare uno dopo l’altro i vari grado dell’Associazione:

397
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in G. M. Bravo (a cura di),
Il socialismo prima di Marx., cit., p. 106.
398
Ibid., p. 107.
399
M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la Civiltà, cit., p. 55.
400
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in G. M. Bravo (a cura di),
Il socialismo prima di Marx., cit., p. 125.
136

cosa che sarebbe successa se l’intelletto umano, invece di scoprire in pieno il calcolo

dell’Attrazione passionale, si fosse limitato a scoprirne i rami inferiori... 401

Con la scoperta dell’Attrazione passionale, “...l’organizzazione dello stato

societario non richiede più di due anni, a partire dal giorno in cui apprestano

gli edifici e le piantagioni”402.

Tutto quello che è necessario fare è costituire una Falange di prova403: essa,

in poco tempo, convincerà tutti che il meccanismo societario “accontenta tutte

le classi, tutti i partiti; per questo motivo sarà così facile e un piccolo

esperimento... determinerà subito la metamorfosi generale, perché si vedranno

realizzati in esso tutti i benefici che la filosofia si limita a sognare...” 404.

L’armonia e il falansterio

Con la scoperta dell’Attrazione si arriva ad un nuovo ordine sociale, in cui

tutte le passioni si dispiegano e diventano utili: l’interesse individuale e

generale vengono a coincidere.

Nella sua visione naturalistica dell’uomo, Fourier immagina una società che

sancisce il trionfo della spontaneità. I desideri, le passioni, gli impulsi, non


401
Ch. Fourier, Crimes du Commerce, « La Phalange. Revue de la science sociale » I série
[Paris], II, 1845, trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit.,
p. 860.
402
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 328.
403
La Falange, come vedremo, è la struttura che permette lo sviluppo del meccanismo societario.
Essa è una comunità costituita da persone diverse per ricchezza, età, carattere, in cui i lavori sono
organizzati nelle Serie.
404
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in G. M. Bravo, Il
socialismo prima di Marx., cit., p. 111.
137

solo hanno la possibilità di esprimersi liberamente, ma diventano le forze

creatrici sulle quali tutta la struttura si regge.

La spiegazione di tutto questo si rifà a Dio: Egli ha fatto in modo che le

passioni umane, se correttamente guidate, diventino positive.

Attraverso il meccanismo delle Serie405, tutte le passioni vengono

raggruppate in modo tale che ogni uomo, facendo ciò che desidera, si rende

utile alla collettività.

Ognuno, seguendo le proprie aspirazioni, lavora e produce: il lavoro diventa

divertimento o, più precisamente, i divertimenti diventano produttivi e utili

agli altri. “Non sarà più un dovere amare il lavoro quando il lavoro sarà

amabile e trasformato in piacere”406. In Armonia, non c’è più differenza tra

lavoro e tempo libero; gli uomini trascorrono le giornate passando di Serie in

Serie, di lavoro in lavoro407 in un continuo, frenetico divertimento produttivo.

La conseguenza fondamentale del lavoro diventato attraente è che ognuno è

spinto a lavorare; tutti lavoreranno

senza che sia l’attrattiva del denaro a [stimolarli]... non avranno altro incentivo che la

foga della passione, che un folle fanatismo per le loro attività predilette. E la loro esaltazione

sarà così violenta che si vedrà il milionario, il sibarita di oggi, levarsi prima dell’alba per

405
Per la definizione di Serie si veda la nota 13.
406
Ch. Fourier, Manuscrits publiés par “La Phalange”, revue de la science sociale, Anthropos,
Paris, 1967, trad. it.in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul
lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I. Calvino, Einaudi, Torino,
1971, p. 190.
407
I turni di lavoro sono brevissimi, al massimo durano due ore, perché una delle fondamentali
passioni umane, chiamata Farfallante, è soddisfatta cambiando continuamente genere di piacere.
138

accelerare e dare impulso personale ai lavori delle Sette nelle quali si sarà arruolato. Nel

corso della giornata lo si vedrà lavorare come un dannato... 408

Il risultato di tutto questo sarà, naturalmente, la produzione di una ricchezza

enorme, tale da assicurare a tutti elevate condizioni di vita e, “essendo il primo

dei tre scopi dell’uomo la ricchezza”409, di felicità.

L’insieme di più Sette410 costituisce una Falange, che è una comunità

composta da circa 1600 persone; il numero è così stabilito per comprendere

tutti i possibili caratteri. Le Serie, infatti, riproducendo l’ordine naturale, si

basano su tutti i possibili contrasti e sulle differenze.

La Falange è una associazione di lavoro e di vita, infatti, le Serie, pur

partendo come cellule produttive, finiscono per essere presenti, in ogni aspetto

della vita della comunità: esse, oltre ad avere la funzione di organizzare i

lavori e le funzioni produttive sono il luogo d’incontro degli armoniani.

“L’edificio in cui abita una Falange [il Falansterio] non ha alcuna

somiglianza con le nostre costruzioni”411.

All’interno del Falansterio, si svolge la vita degli armoniani, la quale è una

frenetica corsa da una Serie all’altra. Esse svolgono tutte le attività necessaria

408
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id, Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 597.
409
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro
movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella
società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., p. 192.
410
Fourier usa indistintamente i termini Serie e Setta.
411
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 235.
139

alla vita e, di conseguenza, la vita è comunitaria. Nonostante questo, nel

Falansterio non c’è eguaglianza, essa non si concilia con le Serie, che si

basano sui contrasti: le disuguaglianze di ricchezza vengono mantenute, le

classi non sono abolite e nemmeno la proprietà privata 412. D’altra parte,

l’enorme abbondanza che viene prodotta con il meccanismo societario fa

passare in secondo piano le differenze, anche perché a tutti viene assicurato un

minimum.

Alle necessità dei membri si provvede collettivamente: le mense sono

comuni, tutti usufruiscono di un servizio domestico, i bambini sono allevati da

Nutrici, gli spettacoli, che sono molto importanti nel meccanismo societario,

sono gratuiti.

I societari vivono in appartamenti, che vengono loro affittati con pagamenti

anticipati dalla reggenza, ossia da colui o da coloro, che hanno fondato il

Falansterio413.

Nel Falansterio,

non si mangia quasi mai nei propri appartamenti... Le coppie che vivono coniugalmente

ed in appartamenti contigui414, non hanno interesse ad allontanarsi dalle sale pubbliche, da

412
Cfr. M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la civiltà, cit., p. 21.
413
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 242.
414
In Armonia non esiste il matrimonio; nei legami affettivi e in campo sessuale, come, del resto,
in ogni cosa, vige la più completa libertà. La famiglia, in particolare, scompare completamente. Essa
impedirebbe il libero svilupparsi della società armonica, minandone i presupposti, su cui si fonda,
principalmente per due motivi. In primo luogo, la famiglia, naturalmente stiamo parlando di ciò che
Fourer poteva osservare, ha una struttura gerarchica, che dà al capofamiglia un certo potere sugli altri
membri. Da questo potere discende l’opposizione, il conflitto e, quindi, la potenziale rottura
140

dove ritornano facilmente ai propri appartamenti...

Aggiungiamo che le cene in famiglia, con bambini sono sconosciute in Armonia, perché i

bambini molto mattinieri nelle loro occupazioni 415, vengono messi a letto all’ora della cena

dei padri. 416

“In una Falange il servizio domestico, come ogni altra funzione viene

gestito da determinate Serie, che destinano un gruppo ad ogni varietà di

lavoro”417. “Nessun societario nell’Armonia composita (8° periodo) presta

servizi domestici individualmente; eppure il più povero degli individui

dispone costantemente di una cinquantina di paggi ai suoi ordini”418.

Per quel che riguarda l’educazione dei bambini: “essendo la cura delle due

età estreme - bambini fino a tre anni e patriarchi o infermi - considerata in

regime di associazione come opera di carità obbligatoria per il corpo

dell’armonia. In secondo luogo, essa favorisce il monadismo sociale. Essa è una cellula indipendente,
i cui interessi spesso non coincidono con quelli dell’intera società, che viene da essa sfruttata e
strumentalizzata. La famiglia è un nucleo chiuso, che favorisce il distacco dalle altre famiglie, è
contraria alla coesione sociale. Essa, inoltre, tende a conservare le proprie caratteristiche e gli
eventuali privilegi. Favorisce l’immobilismo e si oppone all’innovazione. L’eventuale creatività o
diversità dei figli è vista come un fatto negativo e, di conseguenza, viene combattuto. Questi sono i
motivi, che hanno spinto Fourier alle feroci critiche contro la famiglia, considerata, insieme al
commercio, la causa delle sventure dell’umanità. Cfr A. Colombo, Amore, libertà eticità, in A.
Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione dell’utopia, Franco Angeli Libri, Milano, 1988,
pp. 171-174.
415
Nel Meccanismo societario anche i bambini lavorano: svolgendo attività, dalle quali sono
attratti e che per loro sono giochi divertenti, eseguono funzioni utili; a partire dall’età di quattro anni,
essi cominciano a guadagnare molto denaro (Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire,
cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro,
l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., p. 192 e p. 202). Sul
lavoro dei bambini nel Falansterio, cfr. M. Moneti, Il lavoro attrente, in A. Colombo e L. Tundo (a
cura di), Fourier. La passione dell’utopia, cit., p. 47. Inoltre, nella stessa opera, sull’importanza
dell’infanzia nel sistema di Fourier, cfr. R. Schérer, La fonction majeure de l’enfance, pp. 99-122.
416
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 258.
417
Ibid., p. 160.
418
Ibid., p. 159.
141

societario, la falange dà gratuitamente ogni cura agli infanti fino a tre

anni...”419. I bambini sono allevati collettivamente da Nutrici specializzate,

naturalmente attratte da questa attività. Questo consente, da una parte una

migliore assistenza, dall’altra lascia libere le madri di dedicarsi completamente

alle loro attività preferite.

L’educazione è naturale, cioè “tende, con il suo modo di procedere, prima

di tutto a far sbocciare fin dalla più tenera età le vocazioni d’istinto, ad

applicare ogni individuo alle diverse funzioni cui la natura lo destina...” 420.

Così facendo, Fourier ne è certo, si sviluppano tutte le possibili inclinazioni,

cosicché ogni sorta di lavoro, anche il più duro, diventa piacere per qualcuno:

ogni attività utile è svolta senza il bisogno di costrizioni o dell’incentivo del

denaro421.

E’ necessario, infine, accennare alla rilevanza degli spettacoli, in particolare

del teatro, che “diventerà una sorgente di ricchezza e di moralità” 422. Fourier

lo considera di estremo valore per il meccanismo delle Serie. In primo luogo,

419
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro
movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella
società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., p. 179.
420
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 176.
421
Caso emblematico è quello delle Piccole Orde. Fourier parte dal presupposto che “ tra i
bambini, circa i due terzi, sono inclini alla sporcizia; provano gusto a rotolarsi nel fango, giocano a
maneggiare cose sudicie” (Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in Id.,
Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione,
l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., p. 206). Ebbene, “questi bambini si
arruolano nelle Piccole Orde, la cui funzione è di compiere, per punto di onore e con coraggio i lavori
più ripugnanti...” (Ibid., p. 207), come “ spurgo delle fogne, servizio dei letamai, tripperia, ecc...”
(Ibid., p. 212).
422
Ch. Fourier, Theorié de l’unité universelle, cit., trad, it. in Id., Contro la civiltà, a cura di M.
Moneti, cit., p. 205.
142

gli spettacoli sono fonte di divertimento e piacere, sia usufruendone in modo

del tutto passivo, sia, soprattutto, partecipandovi attivamente. Tutti, infatti, nel

Falansterio sono, anche, attori, musici, ballerini, scrittori, i migliori dei quali

sono remunerati copiosamente, attraverso particolari meccanismi. Il teatro ha,

poi, una funzione educativa estremamente importante: “considerato dal punto

di vista della sua influenza morale sul bambino, il teatro è una scuola di

morale per immagini: là viene educata la gioventù all’orrore di tutto ciò che

ferisce la verità, l’Armonia e l’Unità”423.

Per quel che riguarda l’aspetto economico la Falange può essere considerata

una sorta di società per azioni.

Ogni societario, infatti, ottiene dei compensi sotto forma di dividendi, sul

prodotto finale dell’intera Falange. I dividendi sono proporzionali alle “tre

facoltà industriali, lavoro, capitale e talento” 424. Le proporzioni vengono

fissate secondo la proporzione: capitale 4/12, lavoro 5/12, talento 3/12.

In questo modo, secondo l’autore verrà raggiunta quell’equità distributiva,

che è uno dei fattori principali per rendere attraente il lavoro e quindi, per

rendere possibile il meccanismo societario425. D’altra parte, ognuno partecipa


423
Ibid., p. 209.
424
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétarie, cit., trad. it. in A. Salsano (a cura di),
Antologia del pensiero socialista, volume I, I Precursori, cit, p. 139.
425
Più precisamente, Fourier ritiene che, affinché il lavoro diventi attraente siano necessarie “le
seguenti sette condizioni:
1) che ciascun lavoratore sia associato, retribuito con un dividendo e non con salario;
2) che ciascun individuo, uomo donna o bambino, sia retribuito in proporzione alle tre
facoltà: capitale, lavoro e talento;
3) che le sedute di lavoro vengano variate circa otto volte al giorno, dato che
l’entusiasmo, nell’esercizio di un lavoro agricolo o manifatturiero, non può durare più di un ora e
mezza o due;
4) che nel corso di tali sedute il lavoro venga svolto da compagnie di amici
143

al dividendo con tutti e tre i fattori perché, come abbiamo visto, anche chi ha

un capitale da poter vivere agiatamente di rendita, lavora, per puro piacere.

L’obiettivo del falansterio

Il desiderio di felicità è la base di ogni ordinamento sociale426.

Anche per Fourier è così: le caratteristiche dell’ordine combinato, per

quanto bizzarre possano essere, hanno questo obiettivo: far sì che gli uomini

raggiungano la felicità; anche l’eguaglianza è piegata a questa esigenza.

Sappiamo che, per l’autore, la felicità coincide con il soddisfacimento delle

passioni, e, poiché il primo presupposto per soddisfarle è la ricchezza, il

Falansterio diventa, in primo luogo, una associazione produttiva che ha il fine

di creare una grande abbondanza.

L’obiettivo minimo del sistema è estirpare la sofferenza, l’indigenza.

Fourier, pur non essendo un uomo del popolo come Babeuf, conosce bene la

spontaneamente riuniti, eccitati e stimolati da rivalità molto vive;


5) che le fabbriche e i campi offrano al lavoratore l’attrattiva della leggiadria e del
decoro;
6) che la divisione del lavoro sia portata al massimo grado in modo da adibire ciascuno,
secondo il sesso e l’età, alle funzioni che più gli sono congeniali;
7) che, in questa distribuzione, ciascun individuo, uomo, donna o bambino, goda
pienamente del diritto al lavoro, cioè del diritto di partecipare in ogni momento a quel tipo di
lavoro che gli piacerà scegliere, salvo a render conto della propria rettitudine e capacità.
Infine, che il popolo goda in questo nuovo ordine di una garanzia di benessere, di un minimum
sufficiente per il presente e per il futuro e che tale garanzia lo liberi da ogni preoccupazione per sé e
per i suoi”. (Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., L’Armonia Universale, a
cura di M. Larizza, cit., p. 146).
426
J. L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna, 1967, p. 81.
144

povertà e la miseria, così diffusa nella Civiltà: il suo primo obiettivo, nel

costruire il suo sistema sociale, diventa assicurare a tutti condizioni di vita

accettabili. Egli vuole “trovare un nuovo ordine sociale che garantisca anche ai

lavoratori più umili un benessere sufficiente perché essi preferiscano

costantemente e appassionatamente il loro lavoro allo stato d’inerzia e di

brigantaggio al quale oggi aspirano”427. Del resto, il pensatore francese

afferma che gli uomini desiderano questo; il povero “non vuole essere pari ai

ricchi; sarebbe ben contento di mangiare alla tavola dei loro domestici... Egli

accetta la sottomissione, la diseguaglianza, l’assoggettamento, a patto che

pensiate al modo di venirgli in aiuto quando le alterne vicende della politica lo

avranno privato del lavoro, lo avranno ridotto alla fame, all’abiezione e allo

sconforto”428.

Il principale problema da risolvere è fare in modo che la garanzia del

minimo non sia per il povero “un incentivo alla fannullaggine” 429. Per questo,

è necessario:

...scoprire e organizzare, un regime di Attrazione industriale. Senza questa precauzione,

come si potrebbe pensare a garantire al povero un minimo? Ciò equivarrebbe ad abituarlo a

non far nulla: infatti egli si persuaderebbe facilmente che il minimo gli è dovuto, non offerto

a titolo di soccorso, e ne trarrebbe la conclusione di restarsene in ozio...

427
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 569.
428
Ch. Fourier, Egarament de la raison, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e altri
scritti, a cura di M. Larizza, cit. , p. 729.
429
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in A. Salsano (a cura di), Antologia del
pensiero socialista, volume I, I Precursori, cit., p. 128.
145

Occorrerebbe al popolo non l’elemosina, ma un lavoro abbastanza attraente, perché la

moltitudine volesse dedicarvisi anche nei giorni e nelle ore assegnati al riposo.

Se la politica sapesse utilizzare questa leva, il minimo sarebbe garantibile di fatto per la

cessazione assoluta dell’ozio. Resterebbe da provvedere agli infermi: fardello leggero e quasi

invisibile per il corpo sociale, se esso diviene opulento, e se l’industria attraente lo libera

dall’ozio e dal lavoro svogliato, pressappoco sterile quanto l’ozio. 430

Tutto questo diventa possibile con il regime societario, perché attraverso il

meccanismo delle Serie passionali, il lavoro diventa attraente, ossia non si

lavora più per dovere o per necessità, ma per divertimento 431. “Tutte le

disposizioni di tale ordine di cui sentirete parlare e vi sembreranno fatte a

caso, soggiacciono sempre a due condizioni: bisogna che producano

l’attrazione per il lavoro e l’economia delle forze”432.

All’aumento della produttività individuale, il prodotto positivo, bisogna

aggiungere “il prodotto negativo che sarà rappresentato dagli sprechi

evitati”433, derivanti soprattutto dalla vita comunitaria, che elimina la

distribuzione tramite il commercio, considerato fonte di sprechi e causa di tutti

i mali della Civiltà.

In questo modo, “la sovrabbondanza[diventa]un flagello periodico”434 e la


430
Ch. Fourier, Theorié de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Contro la civiltà, a cura di M.
Moneti, cit., p. 325.
431
Cfr. M. Moneti, Il lavoro attraente, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione
dell’utopia, cit., pp. 51-61.
432
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 433. Al riguardo, particolare rilievo assumono le pp. 423 e
segg. della traduzione di M. Larizza, che offrono un’esemplare conferma della strumentalizzazione, a
fini produttivistici, anche dell’amore.
433
Ibid., p. 414.
434
Ibid.
146

questione dell’eguaglianza diventa poco importante.

Anzi, l’eguaglianza diventa la prima cosa da sacrificare: per Fourier non è

possibile rendere il lavoro attraente e, quindi, creare l’abbondanza, se vengono

eliminati i contrasti. L’autore, rifacendosi alle sue idee riguardo all’ordine

naturale, ritiene che le differenze siano essenziali; differenze di ogni tipo di

carattere, di gusti, di età, di ricchezza.

“In questo nuovo meccanismo, le passioni e le ineguaglianze di ricchezza,

lungi dall’opporsi al vincolo societario, ne formano gli ingranaggi” 435:

“l’Associazione non può conciliarsi con i sogni di eguaglianza e di

livellamento dei nostri filosofi”436.

Nel Falansterio, “si metteranno insieme da 1500 a 1600 persone di

ineguaglianza graduale in ricchezza, età e carattere, in conoscenze teoriche e

pratiche; si disporrà in questo gruppo la più grande varietà possibile; infatti,

più esisteranno varietà nelle passioni e facoltà di qualsiasi tipo fra i societari,

più sarà facile armonizzarli in poco tempo”437.

Solo in questo modo, risulta possibile aumentare il rendimento individuale:

attraverso l’emulazione ognuno è spinto a produrre di più per eccellere.

“Maggiori sono la gradazione e il contrasto delle disuguaglianze, maggiore è il

trasporto della Setta per il lavoro, maggiori i suoi guadagni e l’armonia sociale
435
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in A. Salsano (a cura di), Antologia del
pensiero socialista, volume I, I Precursori, cit., p. 128.
436
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 577.
437
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 146.
147

che ne risulta”438.

Il falansterio: differenze e eguaglianza

L’obiettivo dell’ordine combinato, dunque, è creare abbondanza, la quale

può essere raggiunta, secondo il pensatore francese, solo attraverso

l’emulazione che nasce dai contrasti e dalle differenze tra gli abitanti del

Falansterio.

Le prime diseguaglianze che si incontrano sono quelle di ricchezza. Fourier,

infatti, afferma che ciò che è realmente importante è che “gli esseri umani

siano identici in ciò che riguarda gli impulsi dell’anima così come in ciò che

concerne lo sviluppo del corpo, che siano, cioè, omogenei per lingua e per

maniere, per quanto difformi per fortuna”439. L’autore immagina un mondo, in

cui l’eguaglianza nei diritti non è solo teorica, ma assicurata concretamente,

come vedremo. Su questa base di partenza egualitaria è costruita una società,

in cui vengono esaltate le differenze, in particolare, quelle di ricchezza.

Fourier, in accordo con i liberisti del tempo, ritiene che una perfetta

eguaglianza toglierebbe agli uomini l’incentivo a lavorare e produrre; non per

questo, però, egli accetta il sistema di mercato, pensando ad un meccanismo


438
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 585.
439
Ch. Fourier, Theorié de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Contro la civiltà, a cura di M.
Moneti, cit., p. 177.
148

differente: la piccola comunità autarchica, il Falansterio, in cui eguaglianza e

diseguaglianza si intrecciano continuamente.

Il primo fattore da considerare è il fatto che l’autore mantiene la proprietà

privata e le ricchezze acquisite, in Civiltà, prima dell’avvento dell’Armonia;

non propone una confisca o una redistribuzione dei beni con il passaggio

all’ordine combinato. Il pensatore, senza eliminare le differenze, vuole

costituire una società mediante la pacifica collaborazione di tutte le classi 440;

non solo, la spinta iniziale dovrebbe proprio partire dalle classi più ricche, le

quali hanno i mezzi economici per costituire quel primo Falansterio che

dovrebbe convincere tutti della bontà dell’ordine combinato: “Vi sono 3000

candidati per ricchezza o per potere, persone ciascuna delle quali può fare la

sperimentazione della Falange d’armonia e diventare in tal modo il monarca

ereditario dell’intero globo”441.

Le differenze di ricchezza, originatesi nella Civiltà, tendono potenzialmente

ad ampliarsi, in Armonia. La Falange, come abbiamo visto, dal punto di vista

economico può essere considerata una società per azioni, in cui il prodotto

finale viene diviso fra tutti gli associati, in base ai tre fattori lavoro, capitale, e

talento; le ricchezze investite danno, perciò, diritto a maggiori quote di

dividendo.

I criteri di ripartizione, legati ai tre fattori, in ogni caso, non sono imposti

440
M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la Civiltà, cit., p. 35.
441
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 617.
149

coercitivamente, ma si fissano automaticamente per volere di tutti gli associati.

Inoltre, essi assicurano la giustizia distributiva, che per l’autore è quella

graduazione di disuguaglianze, che assicura l’armonia, riproducendo, in un

certo senso, l’ordine naturale.

Al riguardo, è illuminante il brano seguente tratto da Il nuovo mondo

industriale e societario:

Ed eccoci infine alla questione principale, al tremendo problema di instaurare una

giustizia luminosa, una piena armonia nella divisione degli utili e una retribuzione

soddisfacente per ciascuno secondo le sue tre facoltà industriali, lavoro, capitale e talento.

Questo prodigio consiste nell’elevare la cupidigia dal modo semplice al modo composto.

(...)

Si vedrà che la cupidigia... diventa in esse [nelle Serie] via di giustizia distributiva, e che,

creando le nostre passioni, Dio ha fatto bene tutto quel che ha fatto.

(...)

Gli armoniani saranno giusti in ripartizione perché l’equità darà loro beneficio, onore e

piacere; poi procurerà gli stessi vantaggi alla massa, che oggi è offesa in ogni senso dalle

pretese individuali...

Se ciascuno degli armoniani fosse come i civilizzati dedito a una sola professione...

ciascuno giungerebbe alla seduta di ripartizione con il progetto di far prevalere il suo

mestiere... Così penserebbe ogni uomo civilizzato; ma in armonia, dove ciascun uomo,

donna, bambino, è membro di una quarantina di Serie che operano nell’industria, nelle arti,

nelle scienze, nessuno ha interesse a far prevalere smodatamente una di esse... 442

442
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétarie, cit., trad. it. in A. Salsano (a cura di),
Antologia del pensiero socialista, volume I, I Precursori, cit., pp. 139-140.
150

Fourier, ricorrendo ad un esempio, spiega in che modo si stabiliscono le

ricompense legate ai tre fattori lavoro, capitale e talento.

Alcippe è un ricco azionista di un Falansterio.

Se a titolo di grande capitalista vuol far destinare la metà del prodotto ai capitali... le due

classi numerose il cui reddito proviene solo dalle altre due facoltà, lavoro e talento saranno

scontente: l’attrazione diminuirà, il prodotto e gli accordi diminuiranno e sin dal terzo anno il

legame societario si scioglierà. Alcippe vede che nel suo stesso interesse bisogna fissare la

ripartizione come segue: capitale 4/12, lavoro 5/12, talento 3/12... Alcippe propende tanto più

per questa giustizia, in quanto ha egli stesso numerose quote da percepire, sul capitale e sul

talento...Inoltre egli ha stretto molti rapporti amichevoli con la classe dei non capitalisti, la

protegge, vuole che le sia resa giustizia.443

Allo stesso modo, l’autore esamina le ragioni e gli impulsi della classe

povera:

Gianni non ha capitali, non ha azioni...

Il suo impulso più forte è quello di favorire il lavoro, poiché non ha niente da pretendere

sui dividendi spettanti al capitale; ma altri due impulsi vengono a controbilanciare questo

rozzo impulso di cupidigia: a Gianni spettano quote di talento; brilla in certe parcelle di

diversi lavori, e gli conviene che il talento conservi i suoi diritti. D’altra parte egli conosce

l’importanza dei capitalisti in una falange, i vantaggi che il povero trae da tutte le loro spese,

la partecipazione agli spettacoli gratuiti, alle vetture e ai cavalli, ai pranzi di corporazione,

alle ricche tavole, ...444

443
Ibid., p.140.
444
Ibid., pp. 141-142.
151

Una caratteristica fondamentale dell’ordine combinato è che le persone non

sono attratte dal denaro in maniera diretta, ma solo in quanto questo permetta

di soddisfare dei piaceri. Per questo motivo in armonia non si accumula

denaro, lo si investe: “il lusso cambia direzione e forma secondo i periodi... Il

lusso dell’Armonia, 8° periodo, è corporativo: ognuno si impegna a far brillare

i gruppi e le Serie che predilige” 445, nel senso che si prova più piacere ad usare

il proprio denaro per migliorare il rendimento di una delle proprie serie, più

che usarlo per acquistare cose per sé. “Il lusso degli Armoniani è quasi nullo

in cose per le quali noi spendiamo inutilmente somme immense” 446; accade

così che i societari più facoltosi spendano somme immense per abbellire la

sede delle Serie da loro preferite, oppure invitino a pranzo i membri delle loro

Serie, o, ancora elargiscano le loro fortune per organizzare spettacoli teatrali,

che, come visto, sono estremamente importanti, soprattutto dal punto di vista

educativo.

Ritornando ai criteri distributivi del dividendo e alla distribuzione delle

risorse, il discorso per quel che riguarda i compensi specifici legati ai vari tipi

di lavori è simile a quello fatto per i tre fattori industriali. I compensi legati al

merito reale di ciascuna Serie si fissano automaticamente nella maniera più

equa; poiché ognuno partecipa ed è legato a molte serie, non c’è un’attività
445
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 165.
446
Ibid., p. 166.
152

considerata più importante di un’altra, tutte sono poste sullo stesso piano e i

compensi per i diversi lavori tendono ad equivalersi.

Fourier, ricorrendo ancora ad un esempio, mostra come i diversi interessi

degli individui per le varie Serie, portino ad un equità distributiva:

Filinto è membro di trentasei serie che distingue in tre categorie A, B, C; nelle dodici

Serie della scala A egli è ex socio sperimentato ed ha uno dei primi posti per importanza e

diritti agli utili. Nelle dodici Serie C è socio nuovo, poco sperimentato e può sperare solo in

piccole quote. Nelle dodici della scala B infine è di anzianità media, con talento e pretese

medie. Sono tre classi di interessi opposti, che stimolano Filinto in tre direzioni diverse e lo

costringono per cupidigia ed amor proprio ad optare per la rigorosa giustizia.

In effetti: se c’è errata valutazione del merito reale di ciascuna serie, Filinto sarà leso

nelle dodici serie in cui eccelle e in cui ha diritto a quote maggiori; inoltre si risentirà nel

vedere il loro e il suo proprio lavoro male apprezzato. In verità questa ingiustizia potrà

favorire le dodici serie C, ma poiché qui egli è solo subalterno, retribuito con quote modeste,

non sarebbe mai compensato delle riduzioni subite nelle dodici serie A, dove ottiene le quote

maggiori. D’altra parte, egli non vuole che si svalutino le serie C, dove le sue tendenze

l’hanno da poco portato ad arruolarsi; egli stima e protegge la loro attività, le sostiene per

amicizia cabalistica e per amor proprio. Quanto alle dodici serie B dove è socio di medio

rango e ottiene quote medie, conviene ai suoi interessi che abbiano quanto è loro dovuto

senza danneggiare le categorie A e C.447

In questo modo, nascono senz’altro delle differenze tra i compensi dei vari

associati, ma queste, in primo luogo, sono considerate naturali, perché

447
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétarie, cit., trad. it. in A. Salsano (a cura di),
Antologia del pensiero socialista, volume I, I Precursori, cit., p. 143.
153

spontanee, non imposte. Inoltre esse non saranno eccessive, perché Fourier ha

la ferma convinzione che ogni individuo, se educato naturalmente, svilupperà

talenti particolari e, di conseguenza, eccellerà in qualche Serie.

In ogni caso, in Armonia, la ricchezza non è fonte diretta di privilegi,

semplicemente attraverso essa è possibile soddisfare più ampiamente alcuni

piaceri.

Le mense, pur essendo comuni, sono di tre classi diverse, in base alla quota

pagata. Le differenze nella qualità dei cibi sono sensibili; i vari tipi di alimenti,

vengono selezionati e, a seconda del livello qualitativo, sono assegnati alle tre

classi448. Nella Teoria dei quattro movimenti si legge: “Il vitto del popolo

oscilla intorno ad una varietà di circa seicento derrate diverse; quello dei ricchi

può comprenderne il triplo o il quadruplo...”449.

Anche gli appartamenti, in cui vivono gli armoniani, sono di vari livelli a

seconda dell’affitto pagato450. D’altra parte, anche i più ricchi si accontentano

di appartamenti modesti, perché passano quasi tutto il loro tempo nelle Serie;

“a casa si sta solo in caso di malattia o per un appuntamento; e allora sono

sufficienti una camera da letto e un salottino; cosicché anche l’appartamento

448
Per una spiegazione dettagliata riguardo al modo, in cui gli alimenti di differenti qualità
vengono assegnate alle tre classi, si veda direttamente: Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit.,
trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro,
l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., pp. 263 e segg.
449
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 419.
450
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 242.
154

della persona più ricca non ha più di tre stanze”451.

Nonostante le grandi disuguaglianze di ricchezze, oltre che di inclinazioni e

capacità, necessarie al funzionamento del meccanismo societario, nonostante

emergano differenze nella raffinatezza dei piaceri 452 di un ricco e di un

povero, si può dire che in Armonia si sviluppi un’eguaglianza sostanziale453.

In primo luogo, in presenza della straripante abbondanza che si sviluppa,

anche le maggiori disuguaglianze di ricchezza tendono a scomparire. Come

già abbiamo visto, grazie al meccanismo delle Serie e dell’attrazione al lavoro,

il rendimento individuale diventa così elevato, che la produzione di ogni cosa,

in particolare dei generi alimentari aumenta a dismisura.

Fourier ripete continuamente, che nell’ordine societario, “ il popolo godrà

di un minimo che sarà superiore alla condizione del nostro buon borghese”454.

Ad esempio, riguardo al vitto si legge: “...gli alimenti di terza categoria, che

costituiranno ciò su cui dovrà ripiegare il popolo, supereranno in prelibatezza

quelli che fanno attualmente la delizia dei nostri gastronomi” 455. Ancora, “...in

451
Ibid., p. 167.
452
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 290.
453
M. Larizza, “introduzione” a Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 45.
E’ necessario precisare, per evitare ogni possibile equivoco, che, in questo caso, con eguaglianza
sostanziale non si deve intendere una distribuzione delle ricchezze perfettamente egualitaria; ad essa,
come abbiamo visto, Fourier è decisamente contrario. Ciò che si vuole affermare, come si vedrà
meglio in seguito, è che in Armonia la diseguaglianza, pur essendo sempre presente, tende a diventare
irrilevante; da una parte per l’estrema abbondanza, che viene creata, dall’altra, soprattutto, per la
particolare struttura organizzativa del Falansterio, che permette a chiunque, indipendentemente dalle
ricchezze materiali da lui possedute, di soddisfare ogni suo desiderio: proprio in questo, gli armoniani
sono perfettamente uguali.
454
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 177.
455
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 418.
155

fatto di spettacoli, l’uomo più misero avrà senza spesa alcuna godimenti cento

volte maggiori di quelli che possono procurarsi oggi i più ricchi sovrani”456.

Diventa chiaro, che in un mondo in cui non c’è più posto per la miseria e

l’indigenza, in cui i poveri diventano ricchi, la questione dell’eguaglianza

diventa secondaria e poco importa se i ricchi armoniani hanno piaceri di gran

lunga superiori ai poveri, piaceri, del resto, inimmaginabili per chi vive in

Civiltà.

In ogni caso, le differenze esistono e, allora l’autore sottolinea come, in

Armonia, siano assicurate pari opportunità e chiunque può arrivare alla classe

più ricca.

In primo luogo, l’educazione è collettiva e uguale per tutti. Come gli infanti

vengono allevati collettivamente, così i bambini vengono educati

collettivamente:

Una generale correttezza nei modi e l’omogeneità di lingua e di comportamento possono

essere ottenute solo per mezzo di una educazione collettiva che dia al fanciullo povero le

maniere proprie del fanciullo ricco. Se in Armonia vi fossero, come da noi, insegnanti di

diverso livello per le tre classi, - ricca, media, povera,- accademici per i ricchi, pedagoghi per

la classe media, semplici maestri per i poveri, si arriverebbe agli stessi nostri risultati,

all’incompatibilità tra le tre classi e alla differenza di comportamento... 457

456
Ibid., p. 409.
457
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., L’Armonia Universale, a cura di
M. Larizza, cit., p. 158.
156

L’educazione è naturale, perché tende a far sviluppare e ad assecondare le

inclinazioni personali; inoltre, essendo il primo scopo dell’uomo la ricchezza,

è necessario e naturale che i bambini fin dall’età di due anni inizino a fare

qualcosa di produttivo. In Armonia, i bambini sono lasciati liberi di andare

presso le Serie da cui sono attratti, dove svolgono le attività da loro preferite:

Un bambino, per esempio, benché figlio di un principe dà prova all’età di tre anni di aver

gusto per il mestiere di ciabattino, e vuole frequentare il laboratorio dei ciabattini, membri

dell’associazione non meno educati degli altri. Se lo si impedisce, se si reprime la sua mania

ciabattina, sotto pretesto che non è all’altezza della filosofia, il bambino si irriterà contro tutte

le altre attività, non prenderà alcun gusto per i lavori e per gli studi ai quali lo si vorrà

indurre.458

L’eredità non è abolita, ma perde la funzione di meccanismo

istituzionalizzato per trasmettere le ricchezze dai genitori ai figli 459. In questo

caso, è l’attrazione per le Serie che guida i comportamenti: “ogni bambino

ottiene dei lasciti, a titolo di adozione industriale da parte di anziani ricchi, che

vedono in lui il sostegno delle propria industria favorita”460. In tal modo, anche

i più poveri, fin dall’infanzia, hanno solitamente un piccolo capitale. D’altra

458
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro
movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella
società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., p. 198.
459
La grande libertà che si instaura in campo amoroso e sessuale, porta alla scomparsa del nucleo
famigliare.
460
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 153.
157

parte, un’altra caratteristica dell’ordine combinato è la grande mobilità sociale;

diventa facile spostarsi da una classe economica ad un altra attraverso le

unioni amorose, che non sono più guidate dal denaro, ma dalle passioni461.

Un altro mezzo per arricchirsi è attraverso l’arte e la scienza. Nel sistema

combinato, ci sono particolari modi per premiare, per mezzo di votazioni e in

modo assolutamente imparziale462, gli artisti e gli scienziati; “essi

raggiungeranno all’improvviso l’oggetto dei loro voti più ardenti, una fortuna

immensa, venti e cento volte superiore a quella che potevano sperare nello

Stato civile”463. “Per questo, ogni uomo di poche sostanze cercherà solo di far

germinare un qualche talento nel proprio figlio”464.

A parte questi casi particolari, ma non rari, Fourier sottolinea come la vita

comunitaria dia alla persona più povera grandi possibilità di risparmio465.

Poiché riceve come anticipo tutto il necessario per un anno, in cibo, vestiti, alloggio non

accade che si rimanga in arretrato con pagamenti o che ci si indebiti. Il popolo non va a

spendere all’osteria o nelle lotterie il frutto del suo lavoro: non manca di nulla e non si

abbandona più ai sogni di ricchezza causati dalla mancanza del necessario: non ha bisogno di

perdere i due giorni di domenica e lunedì per riposarsi dalle fatiche della settimana e
461
F. E. Manuel, I Profeti di Parigi, cit., p. 291.
462
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 400.
463
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétaire, cit., trad. it. in G. M. Bravo (a cura di),
Il socialismo prima di Marx., cit., p. 99.
464
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 404.
465
Anche perché i bambini cominciano a lavorare fin dalla prima infanzia e non potendo spendere
più di quanto guadagnano si trovano a pochi anni proprietari di un piccolo patrimonio (Ch. Fourier,
Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo
amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I.
Calvino, cit., p. 153).
158

dimenticarne i fastidi, perché il suo lavoro è trasformato in un piacere continuo. La spesa del

popolo è di solito limitata al debito di quel minimo che gli è stato anticipato, inferiore al

prodotto del suo lavoro.466

Allora fa economia e investe in azioni tutto l’utile che gli resta una volta pagate le spese;

è piccolo proprietario, ha lo spirito di proprietà...467

Fourier parla al riguardo di proprietà societaria o composita,

contrapponendola alla proprietà semplice, che vige nella Civiltà e che fa sì

che gli interessi individuali siano in contrasto fra loro e con il bene generale.

In Armonia, invece, lo spirito di proprietà societaria concilia gli interessi dei

poveri con i ricchi, perché “il povero, anche se non possiede che una piccola

quota di azione, che un ventesimo, è proprietario, in compartecipazione,

dell’intero cantone... Tutto è di sua proprietà; ed egli è interessato a tutto

l’insieme dei beni mobili del territorio” 468: questo crea un legame di amicizia e

benevolenza che lega tutti i membri della Falange.

In ogni caso, al di là di questo e delle differenze economiche, che pure

persistono, regna un’eguaglianza sostanziale nella possibilità di soddisfare i

piaceri, che non passano più attraverso la mediazione del denaro 469. Nei legami

amorosi e negli spettacoli, entrambi estremamente importanti per lo sviluppo

466
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il
nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro, l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a
cura di I. Calvino, cit., p. 154.
467
Ch. Fourier, Le nouveau monde industriel et sociétarie, cit., trad. it. in A. Salsano (a cura di),
Antologia del pensiero socialista, volume I, I Precursori, cit., p. 142.
468
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., L’Armonia Universale, a cura di
M. Larizza, cit., p. 144.
469
M. Larizza, “introduzione” a Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 45.
159

passionale, nonché per il meccanismo societario, non c’è alcuna distinzione tra

gli uomini. Ritornando alla teoria delle Passioni, che nell’uomo sono

ricondotte a dodici principali, solo le prime cinque necessitano, per essere

soddisfatte, del denaro in via diretta. Le altre, in particolare le tre seriali, che

sono le più importanti, si sviluppano attraverso le serie. Nel partecipare ad

esse, gli uomini sono perfettamente uguali, perché ognuno può svolgere

liberamente le attività che preferisce.

D’altra parte, è necessario precisare che le serie sono organizzate secondo

un struttura gerarchica. Ognuna di esse, infatti, oltre ad essere suddivisa in

gruppi470, connessi alle inclinazioni personali e aventi lo scopo di suscitare

quella competizione positiva che sta alla base dell’aumento di produttività, è

organizzata secondo una struttura militare. Ogni setta ha “un altissimo numero

di ufficiali... più numerosi degli stessi soldati” 471. Gli ufficiali, che hanno

funzioni e nomi diversi, sono scelti all’interno di ogni gruppo dagli stessi

settari.

Queste cariche onorifiche non danno diritto ad avere particolari poteri o

privilegi.

Il capitano non è tale che alla parata472; se si eccettua questa occasione egli lavora come
470
Per maggiori dettagli, riguardo alla struttura organizzativa delle Serie, si rimanda direttamente a
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e altri
scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 585 e segg.
471
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 592.
472
In Armonia, le Serie, periodicamente, sfilano con i propri vessilli e costumi in parate, in cui
viene reso loro onore per i risultati che hanno conseguito. Fourier ritiene questo meccanismo molto
160

tutti gli altri, perché si diventa membri di una Setta progressiva solo per Attrazione e per

amore verso le attività verso cui è appassionata la Setta. Per esempio è chiaro che in una Setta

di gastronomia il colonnello e i capitani mangeranno l’identico ottimo vitto dei semplici

settari. Lo stesso avverrà nel lavoro, che nell’ordine combinato diventerà così attraente come

possono esserlo oggi il piacere della tavola e altri godimenti. E se in un gruppo di venti

membri ad ognuno è attribuita una carica, l’attività e l’emulazione saranno per questo più

intense, senza che ciò venga a costare un soldo di più, eccettuate le spese per i distintivi

onorifici. Perché le Sette, avendo passione per l’attività che le fa riunire, non danno degli

emolumenti ai loro ufficiali: esse si avvarranno del duplice strumento della passione che

induce ad entrare nella Setta, e del grado che li distingue. Ciò basta perché questi ufficiali,

quando hanno ampie disponibilità, facciano a gara a spendere per la Setta, senza pensare al

guadagno...473

Dunque, gli unici privilegi che hanno gli ufficiali consistono nell’onore di

guidare e rappresentare le loro Serie alle numerose parate e feste, che si

tengono in Armonia. Non bisogna, però, sottovalutare l’importanza di questi

onori, che in Armonia sono più importanti della ricchezza.

Eguaglianza e fraternità

Maria Moneti, nell’introduzione alla raccolta Contro la civiltà scrive:

importante per sviluppare l’emulazione e il contrasto fra le Serie e, quindi, per spingere i societari a
produrre di più.
473
Ch. Fourier, Théorie des quatre mouvements, cit., trad. it. in Id., Teoria dei quattro movimenti e
altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 595.
161

”Mentre il socialismo rozzo predica l’eguaglianza, ma senza capire l’origine

dell’alienazione del lavoro, e quindi senza abolirla, Fourier elimina

l’alienazione senza indulgere nel mito dell’eguaglianza, anzi proteggendo e

raccomandando la diseguaglianza come fonte di varietà e di vita per il

Falansterio...”474.

Fourier non elabora un sistema che ricerchi l’eguaglianza, ma che dia a tutti

gli uomini i mezzi per raggiungere la felicità, ossia la possibilità di realizzarsi

attraverso l’espandersi e lo sviluppo delle inclinazioni individuali. Egli non

considera l’eguaglianza un valore; ripete spesso nelle proprie opere che

l’uomo non cerca l’eguaglianza, ma la felicità.

L’autore ha ben presente le condizioni disperate del popolo e dei salariati:

ciò che vuole è estirpare la sofferenza e lo sfruttamento, la miseria e la

povertà; per questo, nel Falansterio, non sono eliminate le differenze, ma, in

compenso, a tutti sono assicurate condizioni di vita soddisfacenti.

Per il pensatore francese, l’eguaglianza assoluta non significa altro che

livellamento e mortificazione della personalità individuale475; crede

fermamente nella capacità creativa delle passioni, le quali, per espandersi e

svilupparsi hanno bisogno di contrasti, che le stimolino, e di libertà:

l’eguaglianza propugnata dai filosofi non può che limitare e porre dei lacci alle

passioni.

Non potendo considerare l’eguaglianza un valore e ancor meno un obiettivo


474
M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la civiltà, cit.,, p. 21.
475
M. Larizza, nota 39 in Ch. Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 148.
162

del sistema, i due principi cardine dell’utopia fourierana, a cui fare

riferimento, sono la libertà e la giustizia, intesa “come modello geometrico di

eguaglianza alla maniera aristotelica”, essenziale a stabilire una distribuzione

di benefici armonica, ossia senza contrasti476.

Entrambi i valori sono considerati indispensabili per raggiungere la felicità

e l’armonia, vero obiettivo finale del Falansterio.

Libertà e giustizia, due principi, normalmente in contrasto, nel Falansterio

si conciliano, essendo due termini strettamente interdipendenti. L’autore è,

infatti, convinto che l’ordine e l’armonia scaturiscano direttamente dalla

spontaneità e dalla libertà di ognuno di seguire i propri impulsi477. Come

abbiamo visto nella seduta di ripartizione del dividendo, Fourier è convinto

che la giustizia distributiva arriverà in maniera automatica e naturale, una

volta che gli uomini e le loro passioni saranno organizzate nel meccanismo

societario. La giustizia distributiva è l’unico criterio che permette di ripartire

le ricompense senza creare contrasti; l’eguaglianza assoluta, invece,

eliminando l’impulso ad agire con energia e volontà non renderebbe possibile

la costruzione della società armonica.

In quanto sostenitore della forza creatrice delle passioni, l’autore è

decisamente a favore dell’individualismo; crede nelle differenze naturali tra

476
L. Tundo, La Società Armonica, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione
dell’utopia, cit., 1988, p. 225, nota 39.
477
Questo discende direttamente dalle concezioni di Fourier riguardo all’ordine naturale e al
principio di attrazione. Si veda, in questa tesi, il paragrafo L’attrazione passionata.
163

gli uomini478, le quali essendo appunto naturali, se organizzate nel giusto

modo, nel sistema societario, non sono causa di contrasti e disordine.

D’altra parte, accanto a questo, Fourier ritiene che tutti, senza distinzioni,

siano uguali di fronte alla necessità di soddisfare i bisogni primari. Al

riguardo, parla di diritti naturali, goduti dall’umanità nelle prime fasi del suo

cammino sociale, sostenendo che la soddisfazione di quei diritti non può

essere eliminata senza assicurare all’uomo condizioni di vita migliori. Nella

sua critica ai filosofi e alla Civiltà, l’autore scrive:

Pretendete di non dover nulla all’uomo? Voi gli dovete tutto ciò che avrebbe avuto allo

stato selvaggio, la possibilità di godere liberamente dei frutti della terra dove è nato, il diritto

di raccolto sulla sua terra natale, la pratica della caccia o della pesca cui l’educazione

selvaggia l’avrebbe addestrato. Voi non potete contestargli questi diritti se non assicurandogli

una condizione migliore nel lavoro, e preparandolo ad esercitarlo attraverso l’educazione

478
Bisogna aggiungere che Fourier, pur essendo sensibile alle minime differenze di inclinazioni e
capacità tra gli esseri umani, non vede, a priori, alcuna differenza sostanziale tra uomo e donna. In lui,
quindi, non solo non si pone neppure il problema della parità dei diritti, perché è scontato che, in
questo, non ci sia alcuna differenza, ma, anche, viene meno il pregiudizio che ci siano attività
prettamente maschili e femminili. In Ch. Fourier, Le nouveau monde indudtriel et sociétaire, cit., trad.
it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro,
l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., pp. 200-201: “Benché
ogni branca d’industria sia adatta in modo particolare all’uno dei due sessi, come il cucito alle donne e
l’aratura agli uomini, la natura richiede tuttavia delle mescolanze, qualche volta per metà e in talune
occupazioni per un quarto; in ogni funzione riservata a un sesso, la natura richiede la presenza di
almeno un ottavo dell’altro sesso... L’Armonia non commetterà come noi la follia di escludere le
donne dalla medicina e dall’insegnamento, e di ridurle al cucito e alla zuppa. L’Armonia saprà che la
natura distribuisce ai due sessi, in uguali proporziono, l’attitudine alle scienze ed alle arti, salvo una
ripartizione dei generi... Così i filosofi, che vogliono tirannicamente escludere un sesso da alcune
attività, sono paragonabili a quei cattivi coloni delle Antille, che dopo aver abbruttito dalle torture i
loro negri, già abbruttiti dall’educazione barbara, pretendono che questi negri non sono creature al
livello della specie umana. L’opinione dei filosofi sulle donne è giusta quanto quella dei coloni sui
negri”. Riguardo alla condizione femminile nel sistema fourierano, cfr. M. A. Sarti, La nuova
condizione della donna, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione dell’utopia, cit.,
pp. 175-192. Inoltre, cfr. M. Moneti, Charles Fourier e la liberazione della donna: attualità di
un’utopia, in “Movimento operaio e socialista”, n. 4, pp. 343-362, 1976.
164

nazionale.479

L’autore accetta, quindi, allo stesso tempo, la fondamentale eguaglianza

degli uomini nel diritto a vivere con un certo benessere e le differenze esteriori

tra essi, comprese le differenze di ricchezza. Da questa doppia convinzione,

unita a quella riguardante la necessità della più estesa libertà e spontaneità,

nasce l’organizzazione del Falansterio e le misure concernenti la distribuzione

delle ricchezze. Da una parte, a tutti è assicurato un livello minimo di

agiatezza, dall’altra, per ciò che riguarda i criteri distributivi delle ricchezze

prodotte dalla comunità, si ha a che fare con una concezione di eguaglianza

prettamente aristotelica, ossia un distribuzione proporzionale a ciò che Fourier

chiama i tre fattori industriali: lavoro, capitale e talento.

Nella Falange a tutti è assicurato il soddisfacimento dei bisogni primari:

anche il più povero ha diritto a vitto, alloggio, vestiario, educazione.

Il minimum, equivalente per l’autore al soddisfacimento dei diritti naturali,

risolve positivamente il problema dell’eguaglianza degli uomini riguardo ai

bisogni.

Il benessere è assicurato, perché il lavoro diventa attraente, perché diventa

un mezzo diretto di autorealizzazione; in questo modo, il problema della

scarsità, problema risolto da altri autori, facendo affidamento ai progressi della

tecnologia, è superato ipotizzando un aumento delle ore lavorative individuali,


479
Ch. Fourier, Le trois noeuds, in Oeuvres complètes, Anthropos, Paris, 1968, trad. it. in Id.,
Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, a cura di M. Larizza, cit., p. 552, nota 118.
165

nonché una partecipazione alle attività produttive anche da parte dei bambini.

Lasciando da parte i dubbi riguardanti l’effettiva possibile realizzazione

dell’utopia fourierana, l’autore elabora un sistema, che riesce a conciliare

assistenza e produttività480.

In ogni caso, egli non si limita ad assicurare un benessere minimo, ma

finisce per immaginare un società che crea una ricchezza e un’abbondanza

senza limiti. Ecco, quindi, che diventa ancora più facile, per Fourier,

considerare l’eguaglianza un pericolo e un male. In un mondo di scarsità, per

assicurare a tutti condizioni di vita soddisfacenti, è necessario ridurre i

consumi, predicare la temperanza e, di conseguenza, ricercare un livellamento

delle ricchezze. In un mondo di abbondanza, in cui anche il più povero ha tutto

ciò che desidera, l’eguaglianza non è più essenziale; per l’autore, essa non è

un’aspirazione degli uomini quando questi possono avere tutto quello che

desiderano.

Per quel che riguarda il riparto delle ricchezze prodotte, Fourier, come

detto, aderisce ad un principio di proporzionalità. Egli è, comunque, del tutto

originale nella scelta dei criteri; le quote di dividendo spettanti ai lavoratori

associati, ossia tutti gli abitanti della Falange, sono in funzione dei tre fattori

industriali capitale, lavoro e talento481. Per quel che riguarda gli ultimi due, è
480
L. Tundo, La Società Armonica, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione
dell’utopia, cit., p. 218.
481
Si ricorda che la Falange, per ciò che concerne la produzione e il riparto delle ricchezze, è una
sorta di società di lavoro e capitale, in cui gli strumenti di produzione sono di tutti gli associati, anche
se non è stabilito esplicitamente il principio di collettivizzazione dei mezzi di produzione. Riguardo
alla particolare organizzazione del lavoro all’interno della falange, cfr. R. Massari, Lavoro, non
lavoro, autogestione, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione dell’utopia, cit., pp.
166

importante sottolineare che non fanno tanto riferimento alla produttività

individuale, quanto all’influenza e all’importanza, che hanno nel generare e

incentivare l’armonia e l’attrazione nel meccanismo di funzionamento delle

serie482.

Le differenze, nella distribuzione, che l’adozione di questi criteri

comportano, meritano alcune considerazioni.

Si può supporre, anche se Fourier non lo dice esplicitamente, che i due

fattori lavoro e talento non generino sperequazioni sostanziali, in quanto, nel

Falansterio, qualsiasi tipo di competenza e capacità è considerata utile e

vantaggiosa per la comunità; non ci sono grandi differenze nell’importanza

attribuita ai vari lavori483, perché la concezione naturalistica dell’universo

porta l’autore a ritenere ogni inclinazione e, quindi, ogni singola attività

indispensabile al funzionamento del tutto.

Inoltre, nonostante le naturali differenze tra gli uomini, Fourier è convinto

che tutti, in un mondo che dà ad ognuno la possibilità di sviluppare le proprie

capacità, possano eccellere in qualche attività. Nessuno potrà dire di avere

capacità eccezionali, perché se primeggerà in alcune attività, in altre sarà solo

un principiante. Viceversa, nessuno sarà talmente incapace da non eccellere ed

87-88. Inoltre, dello stesso autore cfr. Le teorie dell’autogestione, Milano, 1974.
482
L. Tundo, La Società Armonica, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione
dell’utopia, cit., p. 224.
483
E’ necessario aggiungere che la quota spettante ad ogni funzione è diversa a seconda che essa
venga classificata attività necessaria, utile e gradevole. In ogni caso, difficilmente le differenze,
stabilite da tutti gli armoniani, nella seduta di ripartzione saranno sostanziali. Cfr. L. Tundo, La
Società Armonica, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione dell’utopia, cit.,
p.224.
167

essere la guida in una qualche Serie 484. Anche perché nel Falansterio

l’educazione è comunitaria e uguale per tutti e, di conseguenza, non crea

discriminazione nel dare agli individui cultura e conoscenze utili.

Oltre a stabilire le quote di dividendo, le capacità nel lavoro danno agli

individui anche il diritto di ricoprire le cariche ufficiali nelle Serie; queste,

infatti, sono ordinate in maniera gerarchica. In ogni caso, i posti di privilegio

in questa struttura non danno diritto a particolari poteri o vantaggi, se non

quello di poter rappresentare le Serie preferite nelle feste e nelle parate

cerimoniali. Sappiamo, comunque, che l’autore dà grande importanza ai

meccanismi delle gerarchie da parate; queste hanno la funzione di soddisfare il

naturale desiderio di ambizione, favorendo una competitività del tutto innocua

ed impotente a creare contrasti e discordie.

Il terzo fattore da considerare nella distribuzione del dividendo è il capitale

investito. Da questo punto di vista, la Falange può essere considerata una

società per azioni, che dà dividendi proporzionali al capitale investito.

Al momento della fondazione del Falansterio le differenze esistenti in

Civiltà non vengono eliminate, ossia Fourier non è favorevole ad una

redistribuzione. Il desiderio dell’autore è costituire il sistema societario in

modo del tutto pacifico, cercando di convincere i ricchi a costruire i primi

falansteri.

Questa iniziale condizione di diseguaglianza è destinata a mantenersi, se

484
M. Moneti, “introduzione” a Ch. Fourier, Contro la civiltà, cit., p. 45.
168

non ad aumentare, a causa del terzo fattore di dividendo. La vita comunitaria

del Falansterio dà a tutti la possibilità di risparmiare e, conseguentemente, di

investire, ma la sensazione è che le differenze iniziali tendano ad

autoalimentarsi, finendo per creare notevoli differenze di ricchezza.

Al riguardo, Laura Tundo pone il problema dell’effettiva capacità del

Falansterio di creare la società armonica485, perché la potenziale capacità di

arricchirsi e accumulare denaro difficilmente non darebbe luogo anche al

desiderio di acquisire potere e privilegi, dando vita a scontri, divisioni ed

abusi; proprio quello che Fourier vuole evitare.

L’autore è favorevole alle differenze, perché le ritiene indispensabili allo

sviluppo della produzione. Ciò che vuole assolutamente evitare sono le funeste

conseguenze che da esse possono derivare: l’egoismo, i privilegi, lo

sfruttamento dell’uomo, la miseria delle masse. Il Falansterio può essere inteso

come un sistema che, pur partendo dal principio che lo stimolo principale

all’attività dell’uomo sia l’interesse individuale, arriva, attraverso la sua

particolare organizzazione, ad impedire che questo sia fonte di contrasti e

divisioni tra gli abitanti della Falange.

In primo luogo, l’enorme benessere, dando la possibilità a tutti di soddisfare

i propri impulsi, tende a minimizzare i contrasti. Inoltre, nella Falange si ha un

alta soglia di equità sociale, non solo perché tutti godono dei medesimi diritti

politici e sociali, ma anche perché attraverso la vita comunitaria e la


485
L. Tundo, La Società Armonica, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La passione
dell’utopia, cit., p. 224.
169

particolare organizzazione della Falange vengono ridotte le differenze nei

diritti economici.

Sono presenti le premesse per creare effettive pari opportunità di partenza

attraverso una organizzazione del tutto paritaria del lavoro 486, l’educazione

unitaria e collettiva, che dà a tutti uguali possibilità di apprendimento,

eliminando i privilegi legati alla ricchezza e alla cultura, infine, il modo di vita

assolutamente libero e spontaneo, che porta alla scomparsa della famiglia e

indirettamente all’eliminazione di privilegi economici legati ai patrimoni

familiari.

Nonostante queste misure atte a dare a tutti le medesime opportunità di

partenza, derivanti non solo da una completa eguaglianza nei diritti, ma anche

dall’eliminazione di qualsiasi privilegio economico, nel Falansterio rimane la

concreta possibilità di sostanziali differenze di ricchezza tra i membri della

comunità.

Lo stesso Fourier sembra rendersi conto che il benessere, le pari

opportunità, la vita e l’educazione comunitaria, rischiano di essere misure

insufficienti a frenare, o meglio a incanalare in maniera positiva, l’ambizione,

il desiderio di ricchezza e di potere che le marcate disuguaglianze

favorirebbero. L’autore sembra, altresì, temere che il sistema, così come è

stato congegnato, potrebbe non funzionare, potrebbe incepparsi a causa di

486
Abbiamo visto che gli unici privilegi che si possono avere sono quelli legati alle gerarchie da
parata, che hanno lo scopo di soddisfare il desiderio di ambizione degli uomini, e quindi di incanalarlo
in modo che non crei disarmonie.
170

quello stesso individualismo, che dovrebbe essere la linfa vitale del

Falansterio.

In ultima analisi, egli, come garanzia al sistema, finisce per affidarsi alla

naturale487 bontà degli uomini, bontà, che seppur apparentemente scomparsa

nel corrotto sistema civile, non tarderà ad emergere con la nascita dell’ordine

combinato.

Fourier afferma che tra tutti i membri della Falange nascerà una profonda

amicizia488, che sarà più forte di qualsiasi egoismo. In tal modo, verranno

eliminati gli effetti nocivi delle disuguaglianze, considerate, d’altra parte,

essenziali per tenere alto quello spirito di emulazione necessario per produrre

l’enorme ricchezza del Falansterio.

Probabilmente, anche la necessità di favorire un forte legame tra i

falansteriani è stata uno dei motivi che ha portato l’utopista ad ideare una

società organizzata in piccole comunità: solo all’interno di queste è possibile

la nascita di un legame generale ed esteso a tutti i membri. Inoltre, molte delle

caratteristiche strutturali di queste rispondono a questa esigenza: la vita

comunitaria, l’educazione collettiva, la partecipazione di ognuno a numerose

attività hanno lo scopo di avvicinare gli uomini e di favorire gli interessi


487
Si ricorda, ancora una volta, che Fourier considera gli uomini e le loro passioni essenzialmente
buone, ossia conformi al volere di Dio, il quale si serve di esse per ordinare l’universo, facendo in
modo che la felicità e il piacere coincidano con la giustizia; al riguardo, si parla, sovente, di morale
basata sul piacere. Nella civiltà, a causa della sua struttura economica e sociale, l’interesse individuale
e collettivo non coincidono, in tal modo gli uomini possono assecondare i loro desideri solo
comprimendo quelli degli altri.
488
Fourier, nella sua mania per le classificazione, ha ordinato l’amicizia, secondo vari livelli.
Quello più elevato, chiamato onnifilia, che si svilupperà solo nell’ordine combinato, è un’amicizia
generale e disinteressata.
171

comuni.

Fourier è fiducioso, lo abbiamo visto nella descrizione delle sedute di

ripartizione, nella capacità degli uomini di riconoscere ed ammettere

l’importanza di ognuno, sia di chi mette i capitali sia di chi lavora soltanto

nelle attività svolte dalla Falange.

Il pensatore, pur affermando che sarà proprio la brama di ricchezza e

l’ambizione di ognuno a mantenere l’armonia e l’ordine nel sistema

combinato, con i suoi continui riferimenti all’onnifilia e all’uniteismo489

sembra, in definitiva, affidarsi alla fraternità, anche se questa è da intendere in

modo del tutto diverso da quella a cui si appella Saint-Simon nel Nuovo

Cristianesimo.

Nondimeno, per il successo del sistema combinato, diventa fondamentale

un reale cambiamento nella mentalità degli uomini, perché le passioni, pur non

cambiando nel corso delle varie epoche, in civiltà sono state incanalate in

modo sbagliato, dando luogo all’egoismo e al contrasto tra interesse

individuale e collettivo. Fourier vuole che l’uomo perda i vizi e le cattive

abitudini contratte nella fase civile ed è convinto che questo sia possibile

semplicemente organizzando un nuovo sistema. In tal modo, nel Falansterio,


489
“ E’ dunque certo che da ogni esercizio materiale di passione sviluppata armonicamente o per
masse concertanti, se si subordina ogni gesto all’interesse della massa si trae molto più piacere che
agendo liberamente e isolatamente, e questo genere di piacere, molto diverso dal godimento stesso, è
un piacere di unitarismo...” (Ch. Fourier, Le nouveau monde amoureux, Anthropos, Paris, 1967, trad.
it. in Id., Teoria dei quattro movimenti. Il nuovo mondo amoroso e altri scritti sul lavoro,
l’educazione, l’architettura nella società d’Armonia, a cura di I. Calvino, cit., p. 376. Le nouveau
monde amoureux è costituito da manoscritti inediti fino al 1967). L’autore continua dicendo che tali
sentimenti non esistono in Civiltà, essendo lì sconosciuta l’amicizia collettiva, che aumenta il piacere
dei piccoli sacrifici compiuti in nome del bene comune.
172

la giustizia distributiva previene le diatribe di natura economica; l’educazione

collettiva ha lo scopo di eliminare le classi, perché “ la diversità dei

modi...sarebbe germe di discordia”490; la vita comunitaria e l’identità di

interesse a vedere prosperare la falange uniscono gli uomini, al di là di ogni

possibile divisione e differenza.

Oltre a queste misure di natura socio-economica, nel falansterio i rapporti

parentali, affettivi e amorosi sono reimpostati in modo del tutto libero e

spontaneo491, in modo da eliminare le premesse per la formazione di gruppi

isolati dal resto della comunità.

Il vero cambiamento, naturalmente, avverrà con le nuove generazioni, che

allevate nella nuova società, saranno indenni dai vizi della civiltà; con esse la

società armonica diventerà effettiva.

Fourier sembra piuttosto sicuro della realizzabilità del suo progetto ed è

proprio in questo l’utopia: nei mezzi, non nell’originalità del sistema. Il

falansterio, con l’uomo armonico, può funzionare. Il problema è che dovrebbe

proprio essere l’ordine combinato a trasformare l’uomo civile, ma allo stesso

tempo quest’ultimo non può far funzionare la falange: non ci può essere

falansterio senza uomo armonico e, viceversa egli non può “nascere” senza

Falansterio.

Qualsiasi sistema, anche il più bizzarro, se strutturato in maniera coerente,


490
Ch. Fourier, Theorié de l’unité universelle, cit., trad. it.in Id., Contro la civiltà, a cura di M.
Moneti, cit., p. 176.
491
L. Tundo, La Società Armonica, in A. Colombo e L. Tundo (a cura di), Fourier. La Passione
dell’utopia, cit., p. 231.
173

può funzionare a partire da determinati presupposti. Non si può porre in

dubbio che il Falansterio possa funzionare, perché è organizzato

coerentemente alle sue premesse.

Il presupposto fondamentale nel sistema di Fourier è l’uomo armonico.

L’abitante del Falansterio possiede, infatti, alcune caratteristiche che lo

rendono diverso da quello che impropriamente potremmo chiamare uomo

civile, nel senso che questo termine ha nell’autore. Il falansteriano non pensa

al denaro o ai beni che possiede, lavora continuamente per puro piacere e

divertimento, è attirato da molte attività, è felice se le serie in cui lavora

prosperano, il suo desiderio di ambizione è soddisfatto semplicemente

guidando le serie di parata. Potremmo dire che l’uomo di Fourier, come

l’homo aeconomicus di Adam Smith, continua ad agire per interesse

personale, ma il suo sistema di valori è cambiato.

Con un tal genere di uomini non ci sono ragioni per dubitare che il

Falansterio prospererebbe.

Naturalmente non si vuole nemmeno mettere in dubbio che l’uomo possa

cambiare sistema di valori. Il rapporto tra gli uomini e la società, in cui

vivono, è di interdipendenza: gli uomini fanno la società e questa influisce su

di loro. Nel nostro caso, non si può affermare che l’uomo civile, posto nella

società armonica, non possa cambiare il proprio sistema di valori diventando

falansteriano a tutti gli effetti. Quello che si mette in dubbio è che egli

spontaneamente sia attirato da un sistema che presuppone che gli uomini


174

abbiano obiettivi e valori diversi da quelli che egli ha al momento della sua

scelta. Fourier è utopista nel senso inteso da Marx: non si è posto il problema

dei mezzi con i quali realizzare la società armonica.

Fourier chiedeva semplicemente la costruzione di una comunità di prova

per dimostrare a tutti la bontà delle sue idee; alcuni falansteri, dopo la sua

morte, sono stati costruiti, ma nessuno di essi ha avuto successo492.

Al di là di tali questioni, comunque quello che è necessario dire è che

l’obiettivo dell’autore è costituire una società libera e spontanea, senza

divisioni al suo interno; l’unica in grado, secondo l’autore, in grado di

assicurare un’eguaglianza sostanziale, ossia identiche posizioni di tutti gli

individui di fronte alla possibilità di soddisfare le proprie passioni.

F. Armand nell’introduzione ai Testes Choisies scrive: “Malgrado le

apparenze non esiste più in questa società nuova alcuna traccia di

ineguaglianza di fondo. Ci sono certo, non v’è dubbio, delle differenze di

ricchezza, ma esse non generano, come nella Civiltà, l’esorbitante privilegio

che permette al capitalista di aumentare il suo capitale di un plus-valore

prelevato sul prodotto, non pagato, della forza lavoro del proletario, acquistata

al suo valore di scambio. Se ci sono delle classi nel Falansterio, e ve ne sono

parecchie, esse non sono più né sfruttatrici né sfruttate”493.


492
Un falansterio fu costruito in Romania da un nobile proprietario terriero. Esso venne distrutto
dai proprietari circostanti che temevano il diffondersi di simili comunità. (E. Polulat, Les Cahiers
manuscrits de Fourier. Etude historique et inventaire raisonné, Paris, 1957, pp. 14-15). Un altro
Falansterio fu costruito da Mikhail Vasilevich Petrashevsky, un rivoluzionario russo che volle
diffondere il fourierismo tra i contadini del suo podere. Il falansterio venne bruciato dagli stessi
contadini. (F. Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino, 1972).
493
F. Armand, “introduzione” a Ch. Fourier, Textes Chosies, Editions Sociales, Paris, 1953, in Ch.
175

Solo alla luce questo nuovo mondo, abitato da uomini nuovi, diventa

possibile capire ciò che Fourier intende realmente per eguaglianza e giustizia.

Al di là dell’utopia e della realizzabilità del progetto, nella società armonica

tutti sono uguali e liberi da condizionamenti di fronte alla possibilità di

soddisfare le proprie passioni; in questo modo si realizza il principio

fondamentale della società senza classi, delineata da Marx, nella quale il libero

sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti494.

Nella società armonica, non scompare il denaro e la possibilità di

accumularlo, ma tutto questo non interessa più a nessuno.

In tal modo, gli armoniani dotati di capitali reinvestono nella falange; non

utilizzano il loro denaro per acquistare privilegi, perché non sanno che farsene;

offrono cene e pranzi ai loro compagni di lavoro. Non hanno il desiderio di

tramandare le ricchezze ai figli, danno i loro averi a chi ha le capacità di far

brillare le serie da loro preferite.

Il denaro perde la sua funzione di simbolo di potere 495 e diventa solo uno

strumento per soddisfare le passioni. Ci sono, così, delle pseudo-classi, legate

ai diversi piaceri che si possono ottenere tramite il denaro, ma questo non

impedisce, come invece accade nella Civiltà, il formarsi di legami e di

amicizia tra persone con ricchezze diverse.

In questo si ha la vera eguaglianza, un’eguaglianza sostanziale perché

Fourier, Teoria dei quattro movimenti e altri scritti, cit., p. 45.


494
A. Labriola, In memoria del Manifesto dei Comunisti, contenuto in K. Marx-F. Engels, Il
Manifesto del Partito Comunista, Newton-Compton, Milano, 1994, p. 66.
495
Cfr. É. Lehouck, Fourier aujourd’hui, Denoël, Paris, 1966, p. 76.
176

nessuno vuole più prevalere sugli altri. Non solo ognuno ha la possibilità di

ottenere ciò che desidera, senza nuocere agli altri, e l’interesse individuale e

collettivo diventano la medesima cosa, ma ogni abitante della Falange è

interessato agli altri come fossero fratelli.

In casi del genere il principe e il plebeo si confondono; la gioia è così piena, così sincera,

che ha bisogno di estendersi dappertutto, di comunicarsi all’ultimo venuto. Ognuno vede in

chi lo circonda un confidente e un amico. E’ in tale situazione che la filosofia può

contemplare per qualche istante l’eguaglianza e la fraternità, così maldestramente

vagheggiate nella Civiltà...496

496
Ch. Fourier, Théorie de l’unité universelle, cit., trad. it. in Id., L’Armonia Universale, a cura di
M. Larizza, cit., p.167.
177

Conclusione

Eguaglianza reale, eguaglianza industriale, ineguaglianza graduata: tre

autori socialisti e tre differenti concezioni dell’eguaglianza. Tre idee differenti

riguardo ai criteri distributivi, tre modi diversi di concepire la società ideale.

La prima cosa che risulta evidente studiando Babeuf, Saint-Simon e Fourier

è proprio la diversità: nel pensiero, nell’immaginare la perfetta organizzazione

della società, nell’idea che essi hanno dell’uomo, dalla quale deve partire

necessariamente ogni scienza sociale.

In particolare, per quel che riguarda la distribuzione delle ricchezze la

diversità delle loro idee si manifesta in maniera chiara. Babeuf, infatti, insegue

l’eguaglianza reale, intesa come distribuzione assolutamente egualitaria delle

risorse e dei lavori, nella convinzione che gli uomini siano identici nella

necessità di soddisfare i propri bisogni fondamentali. Per Saint-Simon, invece,

l’eguaglianza industriale, ossia una distribuzione dei poteri e delle risorse

proporzionale ai meriti individuali, è l’unico criterio distributivo applicabile in

una società, il sistema industriale, il cui scopo primario è spingere al massimo

la produzione e, di conseguenza, l’abbondanza e il benessere generalizzato.

Infine, Fourier sostiene quella che lui stesso definisce ineguaglianza graduata.

Anch’egli, come Saint-Simon, propone, in un certo senso, una distribuzione


178

delle risorse proporzionale alle capacità. In questo autore, però, non è

assolutamente possibile distinguere la questione strettamente distributiva dal

resto della dottrina. Fourier, infatti, difende con forza ogni minima differenza

esistente tra gli uomini. Per lui, inguaribile ottimista riguardo alle potenzialità

e alle capacità ancora inespresse degli individui, ogni possibile diseguaglianza,

non solo nelle ricchezze e nella distribuzione del reddito, ma anche nelle

inclinazioni, nei caratteri, nei gusti personali è indispensabile per instaurare

quell’ordine naturale, quell’armonia, in cui ogni uomo, realizzando la propria

vera natura, potrà raggiungere la propria felicità e, al tempo stesso, favorire

quella degli altri.

I tre autori rispondono, dunque, in maniera assai diversa alla domanda

“perché l’eguaglianza ?”- intesa qui nel suo connotato economico - o,

viceversa, “perché l’ineguaglianza ?”.

Tale diversità discende dal fatto che essi hanno opinioni divergenti riguardo

agli uomini ed in particolare a quale debba essere considerata la caratteristica

in essi rilevante e che li accomuna e li rende sostanzialmente uguali. La

costruzione di qualsiasi organizzazione sociale deve, infatti, partire da questo e

deve basarsi su un principio, al tempo stesso fondamento e scopo della società,

che assicuri il trattamento imparziale - e dunque uguale - degli uomini in

riferimento alla caratteristica rilevante.

Babeuf, nell’uomo, evidenzia soprattutto la presenza dei bisogni, siano essi

di natura materiale o spirituale. Da questo discende che gli individui devono


179

essere uguali nella possibilità di soddisfare le proprie necessità e, poiché

Babeuf non vede grosse differenze tra i bisogni fondamentali degli uomini,

nella repubblica degli Uguali le risorse sono distribuite in maniera

assolutamente imparziale.

Fourier partendo dal medesimo principio, ossia che gli uomini devono

essere posti in una condizione di perfetta eguaglianza nella possibilità di

soddisfare le proprie necessità, o meglio le proprie passioni, arriva a

conclusioni assai diverse. L’autore, infatti, contrariamente a quanto pensa

Babeuf, ritiene che i bisogni varino notevolmente, in qualità e quantità, da

persona a persona. Accade così che nel falansterio l’equità distributiva sia

bandita in favore di una distribuzione delle risorse proporzionale a lavoro,

capitale e talento. Questo permette agli abitanti della falange, non solo

attraverso una maggiore produzione di ricchezza, ma anche con la

soddisfazione di quelle passioni che non passano attraverso la mediazione del

denaro, di essere perfettamente uguali di fronte alla possibilità di appagare il

proprio piacere.

In Saint-Simon la situazione cambia ancora. Egli pone l’attenzione non

tanto sui bisogni quanto sulle capacità umane. Per l’autore, infatti, scopo

supremo della società è la produzione e, conseguentemente, la ricchezza e il

benessere. In Saint-Simon, d’altra parte, produzione e benessere hanno uno

stretto rapporto di interdipendenza. Il benessere non è esplicitamente

considerato come l’obiettivo fondamentale della società da raggiungere


180

attraverso l’efficienza produttiva. Benessere e produzione sono due aspetti

dello stesso principio497. La produzione, infatti, non è ritenuta un semplice

mezzo, ma un fine in sé.

Nel sistema industriale, il principio meritocratico, una distribuzione dei

poteri e delle risorse proporzionale ai meriti - gli uomini sono, quindi, uguali

nel diritto di essere trattati imparzialmente nel criterio che collega le ricchezze

ai meriti - consente, oltre, indirettamente, alla produzione di grande

abbondanza, agli uomini, ognuno secondo le proprie capacità, di esplicare la

propria vera natura produttiva.

In ogni caso, al di là di queste differenze di base, sicuramente importanti,

bisogna riconoscere che tra il pensiero dei tre autori le affinità non mancano.

Punti di contatto e divergenze si intrecciano continuamente. Molto spesso,

anzi, la comune adesione agli stessi principi porta i tre autori a propendere per

soluzioni estremamente diverse.

Una buona strada per cercare di mettere in luce i rapporti tra le teorie sociali

dei tre autori ed in particolare tra le loro diverse concezioni dell’eguaglianza è

osservare come essi impostano le interrelazioni tra l’idea stessa di eguaglianza

e tre concetti, strettamente connessi ad essa, che in loro assumono, seppur in

misura diversa, importanza primaria: efficienza, unità, benessere.

Eguaglianza ed efficienza. In tale contesto, l’efficienza (economica) è intesa

come la capacità della società di produrre beni e, dunque, ricchezza. Un


497
Saint-Simon, nelle ultime opere, dà, comunque, la preferenza al primo dei due aspetti e scopo
della società diventa migliorare la sorte delle classe più povera.
181

principio abbastanza condiviso è che l’eguaglianza nella distribuzione delle

ricchezze sia un disincentivo alla produzione. In questo modo, l’eguaglianza

economica, divenendo causa della povertà della comunità, andrebbe sacrificata

in nome di un abbondanza che arricchirebbe, in misura diversa, tutti; in un

certo senso la diseguaglianza, attraverso l’efficienza, permette la ricchezza e

questa, a sua volta, giustifica la diseguaglianza stessa 498.

Babeuf, Saint-Simon e Fourier si trovano più o meno tutti d’accordo sul

contrasto tra eguaglianza economica ed efficienza, ma le soluzioni che essi

propongono, e che sono la causa delle più evidenti differenze tra i loro criteri

distributivi, sono diverse.

Babeuf, semplicemente, sceglie di sacrificare l’efficienza, considerando

l’eguaglianza il vero obiettivo della società. Esso deve essere assicurato in

ogni caso, derivando dalla naturale eguaglianza degli uomini nei bisogni

fondamentali. Abbiamo visto nel capitolo a lui dedicato, come non sia

possibile affermare con certezza che Babeuf ritenga incompatibile

l’eguaglianza economica con l’efficienza produttiva; il problema non è da lui

affrontato esplicitamente. In ogni caso, nella repubblica degli Uguali ognuno

ottiene ciò che è necessario per soddisfare i propri bisogni fondamentali e

nulla di più.

Saint-Simon e Fourier si pongono, invece, in una prospettiva


498
Kant afferma che la diseguaglianza è fonte di ogni male, ma, nello stesso tempo di ogni bene.
Questo bene sono i beni disponibili. Cfr. A. M. Iacono, Congetture illuministiche sulla storia della
civiltà, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a cura di), Egalite/Inegalite, Quattroventi, Napoli, 1990,
pp. 109-110.
182

completamente diversa. Per entrambi la ricchezza è considerata necessaria,

anche se non sufficiente, per assicurare a tutti il benessere. Entrambi, Fourier

in particolare, immaginano un mondo in cui l’abbondanza è tale da rendere

poco importanti le differenze di trattamento. Entrambi considerano

l’eguaglianza assoluta nella distribuzione un principio assolutamente

incompatibile con il raggiungimento di quella ricchezza necessaria ad

assicurare a tutti condizioni di vita soddisfacenti. Entrambi preferiscono, ad

una distribuzione uguale, una distribuzione delle risorse proporzionale a ciò

che possiamo genericamente chiamare meriti e capacità. Entrambi, d’altra

parte, considerano, esattamente in modo opposto a Babeuf, naturali le

differenze tra gli uomini e, di conseguenza, nel trattamento che deve essere

loro riservato.

Fourier, in particolare, immagina che la distribuzione delle immense

ricchezze prodotte all’interno del falansterio avvenga in funzione sia dei

capitali investiti, sia del talento e del lavoro di ognuno. Tali differenze nella

retribuzione, al pari di ogni altra differenza tra gli uomini (gusto, ricchezza,

capacità, inclinazioni), sono considerate indispensabili per creare quello spirito

di emulazione, di competizione positiva, che spinga gli uomini a produrre

un’immensa abbondanza.

Tale principio distributivo, apparentemente decisamente anti-egualitario,

deve d’altra parte, essere valutato anche alla luce delle altre caratteristiche del

falansterio. In primo luogo, l’immensa abbondanza di beni rende trascurabili


183

le differenze di trattamento, perché anche i più poveri hanno standard di vita

altissimi. In secondo luogo, e l’autore lo sottolinea, a tutti è assicurato il

soddisfacimento dei bisogni, non solo primari, attraverso la gestione collettiva

e la fornitura gratuita di molti servizi: nel falansterio a tutti è assicurato un

alloggio, le mense sono comuni, i servizi domestici, gli spettacoli e le attività

ricreative sono gratuite. Infine, l’ottimismo sulle capacità umane porta l’autore

alla convinzione che ognuno sia in grado di eccellere in molte attività e,

conseguentemente, di ottenere ricompense adeguate, anche perché nel mondo

societario è eliminato qualsiasi tipo di privilegio e vengono, così, assicurate,

anche grazie ad una educazione uguale e naturale, effettive pari opportunità.

Lo scenario proposto da Saint-Simon è, per certi versi, simile a quello

prospettato da Fourier sebbene, rispetto a quest’ultimo, il sistema industriale

sia più “sobrio”, a causa, forse, del minore ottimismo dell’autore o più

probabilmente della sua maggiore concretezza. Anche Saint-Simon propone

una distribuzione proporzionale delle ricchezze, in questo caso proporzionale

all’apporto di ognuno, unita alla necessità di assicurare condizioni di vita

sufficienti per tutti, istanza primaria del Nuovo Cristianesimo, e

all’instaurazione, attraverso l’abolizione dei privilegi nobiliari e la garanzia di

educazione per tutti, di pari opportunità economiche.

Il rifiuto dell’eguaglianza assoluta, collegato anche in questo caso alla

tensione tra eguaglianza ed efficienza, è difeso e giustificato in modo diverso

rispetto a Fourier. Saint-Simon, infatti, difende la diseguaglianza nel suo


184

socialismo gerarchico non tanto ritenendola necessaria per creare un maggiore

stimolo alla produzione negli individui, quanto, in vista dell’obiettivo

aggregato della produzione, sostenendo che dare più potere alle persone più

abili e ricche di talento sarebbe d’aiuto per tutti 499. D’altra parte,

considerazioni di questo tipo si riferiscono principalmente alla distribuzione

dei poteri più che delle ricchezze, i cui criteri, come abbiamo visto, non

vengono in realtà spiegati e giustificati precisamente dall’autore.

Dei tre autori, Babeuf è l’unico a sostenere una distribuzione assolutamente

egualitaria dei beni e delle risorse. D’altra parte. è anche l’unico a non

prospettare una società traboccante di ricchezza. Nella repubblica degli

Uguali, dal punto di vista economico, si verifica quello che si potrebbe

definire un livellamento verso il basso.

I tre autori sembrano, dunque, concordi nel riconoscere la tensione tra

eguaglianza ed efficienza e le maggiori differenze, nei criteri di distribuzione

delle risorse, tra loro discendono in gran parte dall’importanza che ognuno di

essi attribuisce all’abbondanza come obiettivo sociale.

Per Babeuf la ricchezza, non solo non è un bene da inseguire, è un male da

evitare; per Saint-Simon e Fourier l’abbondanza è uno dei principali obiettivi

della società.

Eguaglianza e unità. Babeuf, Saint-Simon e Fourier considerano la società

come un’unità inscindibile. Le loro analisi hanno come punto di partenza


499
Sull’argomento si veda il paragrafo Difese alternative della diseguaglianza in A. K. Sen, La
diseguaglianza, Il Mulino, Bologna, 1994, pp. 193-197.
185

questa idea fondamentale. Le differenze tra le loro dottrine, comprese quelle

riguardanti l’eguaglianza e la distribuzione delle risorse, possono essere

ricondotte alle diverse interpretazioni di questo medesimo principio.

Babeuf e Saint-Simon partono direttamente dalla società per sviluppare le

loro teorie. La comunità è il soggetto del loro pensiero. Per entrambi,

soprattutto per Babeuf, non c’è discontinuità tra gli obiettivi dei singoli e

quelli della comunità e tra benessere individuale e collettivo.

Per Fourier, naturalmente, il discorso è più complesso. Egli, infatti, parte

dagli individui e dalle loro caratteristiche personali. Il suo obiettivo dichiarato

è mettere il singolo nelle condizioni di soddisfare le proprie passioni e di

seguire le proprie inclinazioni particolari. Da questo deciso individualismo,

però, l’autore, attraverso la sua concezione naturalistica della società umana,

arriva a ricomporre l’unità della comunità proprio partendo dagli interessi

personali ed egoistici, criticando, anzi, aspramente tutti quei comportamenti e

quelle caratteristiche della civiltà che spezzano l’unità originaria.

Tutti e tre gli autori aderiscono all’idea che tutti gli uomini siano eguali

nell’unità di specie500 e tale unità deve essere ricomposta proprio nella società.

Da questa idea centrale conseguono molte importanti analogie tra le tre

dottrine, ma, al tempo stesso, a seconda di come ogni autore pensa a come la

società possa ricostituire l’unità naturale, ci sono notevoli differenze tra la

500
Per interessanti considerazioni sul concetto di eguaglianza come unità essenziale degli uomini,
si veda D. Losurdo, L’egalitè e i suoi problemi, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a cura di),
Egalite/Inegalite, cit., pp. 143-149.
186

struttura interna delle tre organizzazioni sociali.

Il primo punto comune è che tutti e tre gli autori rifiutano il sistema di

mercato, sostituendo ad esso altri tipi di organizzazioni economiche: Babeuf

un’economia pianificata centralmente, Saint-Simon un capitalismo gerarchico

e centralizzato, Fourier, con maggiore fantasia, l’economia societaria con le

sue sette combinate. La libera concorrenza, criticata dai tre mettendone in luce

alternativamente diverse caratteristiche negative (lo sfruttamento,

l’irrazionalità, l’incoerenza e la frode), è considerata, infatti, in contrasto con i

meccanismi naturali che devono guidare la società verso gli obiettivi comuni.

Una seconda caratteristica che accomuna i tre autori è che essi ritengono

che ci sia una corrispondenza biunivoca tra interesse individuale e collettivo:

interesse individuale e collettivo non si distinguono. Tutti e tre, seppure in

modo decisamente diverso, vanno ben oltre la teoria della mano invisibile,

perché non semplicemente ritengono che tutta la società finisca per svilupparsi

direttamente grazie alla composizione degli interessi personali. Nelle loro

costruzioni sociali, infatti, l’egoismo finisce per scomparire e trasformarsi

nell’interesse a vedere prosperare la comunità.

Babeuf è il più radicale dei tre. Nella repubblica degli Uguali l’interesse

personale non esiste più. Obiettivo primario di ogni cittadino, una volta che

viene assicurata a tutti la soddisfazione dei bisogni e al contempo viene

eliminata la possibilità di acquisire più ricchezza o potere di altri, è la

prosperità dell’intera comunità. In Babeuf, non c’è quasi distinzione tra felicità
187

personale e sociale; la prima finisce per coincidere con la seconda.

Nell’autore, il concetto di società come unità inscindibile è spinto alle

estreme conseguenze. In tal modo, per non rompere tale unità diventa

necessario che la caratteristica principale dei cittadini sia l’omogeneità. Da

qui, l’esigenza di eliminare qualsiasi tipo di differenza, in primo luogo quelle

economiche attraverso una distribuzione assolutamente egualitaria delle

risorse. Successivamente, soprattutto grazie all’educazione, vengono eliminate

tutte le differenze artificiali e viene ristabilita l’eguaglianza naturale, nella

convinzione che gli uomini, posti nelle medesime condizioni e con le stesse

opportunità, sviluppino capacità e bisogni non troppo dissimili. Infine Babeuf

si spinge oltre, finendo per affermare che anche qualora si riconosca la

presenza di evidenti differenze naturali tra gli uomini, qui l’autore si riferisce

in particolare alle capacità produttive, è necessario fare in modo che esse non

nuocciano all’unità della comunità e alla fratellanza e solidarietà tra i suoi

membri che da essa necessariamente discendono.

Saint-Simon e Fourier, ancora una volta, hanno tra loro maggiori punti di

contatto rispetto a quanti ne abbiano con Babeuf. L’idea comune in loro, idea

che li distanzia da Babeuf, è che essi ritengono che l’unità della società possa

essere raggiunta, non eliminando le maggiori differenze tra gli uomini, ma

proprio grazie ad esse.

Entrambi gli autori aderiscono, in questo sono simili a Babeuf, ad una

concezione naturalistica della società. Per Saint-Simon, il quale segue le


188

teorie organicistiche, la comunità deve essere considerata come un essere

vivente, il cui scopo è svilupparsi e crescere, i cui organi, i cittadini, pur

svolgendo funzioni diverse devono muoversi in sincrono in vista dello scopo

comune. Per Fourier, la società deve essere organizzata in modo da riprodurre

l’ordine naturale attraverso l’organizzazione delle serie.

Entrambi gli autori, Fourier in modo più chiaro e deciso, sono concordi sul

fatto che si debbano eliminare tutte quelle differenze, per così dire, artificiali

tra i membri della comunità e questo può essere fatto assicurando a tutti pari

opportunità, sia attraverso l’educazione sia con l’eliminazione dei privilegi.

Per quel che riguarda, invece, le diversità naturali (per Saint-Simon queste si

ricollegano principalmente alle capacità, mentre Fourier ne fa un esame più

ampio e dettagliato), i due autori le considerano indispensabili per ricostituire

l’unità.

Saint-Simon, in vista dello scopo comune della produzione, immagina una

società in cui, attraverso una classificazione razionale delle capacità di

ognuno, ogni individuo svolga la funzione che gli compete.

Nella società armonica, invece, la struttura organizzativa è decisamente più

complessa. Fourier, infatti, a differenza di Saint-Simon, è convinto che ogni

uomo, avendo numerose inclinazioni e capacità, possa e debba svolgere più

attività all’interno della comunità. Ogni attività è, dunque, organizzata

gerarchicamente, ma ogni membro del falansterio ricopre molte e diverse

cariche, così come ottiene varie retribuzioni.


189

D’altra parte, in entrambi gli autori, la difesa delle diseguaglianza si

accompagna ad un forte richiamo alla solidarietà tra i membri della comunità.

Saint-Simon, dapprima convinto che la struttura del sistema industriale

avrebbe spontaneamente eliminato l’egoismo e fatto coincidere l’interesse

individuale con quello collettivo della produzione, nelle ultime opere si

richiama direttamente alla morale e al principio cristiano della fratellanza. Il

pensiero dell’autore, dunque, e in questo si avvicina a Babeuf, acquisisce una

forte componente etica: l’uomo deve perdere il suo punto di vista esclusivo e

personale per acquisire quello più generale e disinteressato che si ricollega alla

società nel suo complesso.

In Fourier tutto questo manca: se nel suo sistema c’è una morale questa è

quella del piacere. Non per questo, però, si può affermare che nella sua società

la fratellanza non sia presente. Fourier, infatti, è decisamente più ottimista di

Babeuf e Saint-Simon riguardo alle potenzialità umane. Nel suo sistema non

solo gli interessi individuali non sono in contrasto tra loro e si fondono con lo

sviluppo dell’intera comunità, ma la solidarietà nasce dalle stesse passioni

umane; nel mondo societario l’amore e l’amicizia acquisiscono una forza

immensa.

Eguaglianza e benessere. Obiettivo primario di tutti coloro che si dedicano

alla costruzione di nuove organizzazione sociali è la ricerca del benessere, il

quale può essere inteso come la soddisfazione generalizzata e stabile dei


190

bisogni non solo primari, ma secondari501. Ciò che accomuna Babeuf, Saint-

Simon e Fourier non è, però, solo questa ricerca, ma anche il fatto che essi, pur

in maniera diversa, si riferiscono ad un benessere che non è soltanto materiale,

ossia non è proporzionale esclusivamente all’abbondanza di beni.

Il benessere, d’altra parte, è strettamente collegato all’eguaglianza sia

indirettamente, perché la componente materiale del benessere dipende dalla

struttura economica della società a sua volta connessa in qualche modo

all’eguaglianza, sia in maniera diretta, perché a seconda di come il benessere è

definito, ossia a seconda di quali si ritengano i reali bisogni degli uomini,

cambia necessariamente il tipo di eguaglianza che viene richiesta.

In Babeuf, non solo è ridotta al minimo la componente materiale del

benessere, ma esso tende a diventare tutt’uno con l’eguaglianza: gli uomini

possono essere felici solo in una società in cui l’eguaglianza è assoluta. Per

l’autore, i bisogni degli uomini che devono essere soddisfatti, oltre

naturalmente alle strette necessità materiali, sono di natura spirituale e sociale.

I membri della repubblica degli Uguali, come abbiamo visto, raggiungono la

massima felicità nel contribuire alla prosperità della comunità, nel partecipare

attivamente alla vita pubblica e politica, nel partecipare alle numerose feste e

manifestazioni, in cui viene esaltata la natura sociale dell’uomo. Si può dire

che il benessere in Babeuf abbia un elevato contenuto morale e in esso

l’eguaglianza, non solo economica, abbia un peso determinante.


501
Cfr. A. Colombo, Le società del futuro. Saggio utopico sulle società postindustriali, Dedalo,
Bari, 1978, pp. 386-388.
191

L’autore, d’altra parte, sa bene che l’uomo che vivrà nella repubblica è ben

diverso dall’uomo che vive ora. Per fondare la società ideale è necessario che

nasca l’uomo nuovo.

Il tema della necessità di un radicale cambiamento nel sistema di valori

dell’uomo è, del resto, un’idea ben presente anche in Saint-Simon e,

soprattutto, in Fourier. A questa, si riconnette anche il fatto che tutti e tre gli

autori danno grande importanza all’educazione, che in Babeuf e Fourier, a suo

modo, è assolutamente egualitaria, come strumento di emancipazione degli

uomini e che permetta loro di esplicare le loro potenzialità, ossia la loro

umanità.

Saint-Simon, per quel che riguarda il benessere, parla della necessità da

parte di tutti gli uomini di soddisfare i bisogni materiali e spirituali. La prima

componente, comunque, è senz’altro la più importante per l’autore. Da qui, la

necessità che la produzione venga spinta a livelli sempre più elevati, e la

richiesta, più forte negli ultimi sviluppi del suo pensiero, di assicurare a tutti

condizioni di vita sufficienti. La componente, per così dire, spirituale del

benessere acquista maggior valore con le ultime opere, in cui la richiesta di

una maggiore moralità si fa pressante e Saint-Simon sembra quasi

sottintendere che lo scopo finale del suo sistema sia dare ad ogni uomo la

possibilità di esplicare le proprie particolari capacità.

Fourier, tra i tre autori, è quello che elabora maggiormente il concetto di

benessere. L’unico scopo della sua organizzazione sociale è permettere


192

all’uomo di raggiungere la felicità. Essa è intesa come la soddisfazione di tutte

le passioni, riguardo alle quali l’autore elabora complicate teorie. Il benessere

materiale è senza dubbio una componente essenziale della felicità, ma non è

tutto. L’uomo, quindi, per essere veramente felice deve essere messo in

condizione di potere soddisfare tutte le proprie passioni. Per fare questo nella

maggior parte dei casi non servono beni materiali. Il sistema societario è,

dunque, un mondo in cui, al di là dell’enorme abbondanza materiale, gli

uomini sono messi in condizione di realizzare sé stessi a tutti i livelli. In tale

società la ricchezza materiale, pur non scomparendo essendo necessaria per

soddisfare determinate esigenze, perde la sua posizione di centralità.

In tale contesto ed anche alla luce di tutte le considerazioni fatte, e il

discorso è valido seppur con qualche cautela anche per Saint-Simon, mentre

per Babeuf la questione naturalmente non si pone neanche, le eventuali

diseguaglianze economiche finirebbero per cessare di essere di per sé un

problema, perdendo automaticamente quella rilevanza che le caratterizza nella

società contemporanea502.

502
Cfr. A. Burgio, L’ineguaglianza legittima, in A. Burgio, D. Losurdo, J. Textier (a cura di),
Egalite/Inegalite, cit., p. 78.
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Si ringrazia la biblioteca U. Balestrazzi di Parma per la gentile disponibilità.

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