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MANUALE DI MUSICOTERAPIA BENENZON

DEFINIZIONE DI MT

Secondo B. , la Musicoterapia ha come oggetto di studio, ricerca ed


intervento, l’essere umano “in quanto suono”.

Ciò comprende:

-Ciò che produce stimoli sonori provenienti dall’esterno (strumenti


musicali, corpo umano, natura etc…)
- Stimoli interni (suoni interni al corpo, silenzio, movimenti armonici,
ritmici, melodici, parole etc…)
- Modalità, vie di propagazione delle vibrazioni
- Modalità di ricezione dei suoni da parte del cervello: dal sistema
nervoso alla sua trasmissione correlata al sistema endocrino, e il
resto del corpo.
- Reazione allo stimolo, risposta psico-biologica ed elaborazione
- Tale elaborazione: comportamentale, motoria, sensoriale, organica,
comunicativa (canto, produzione di suoni vari, produzione musicale,
danza)

Lui unisce nella sua definizione sia l’aspetto scientifico (legato alla
ricerca di metodi diagnostici e terapeutici, anche dal punto di vista
storico), che quello terapeutico, più legato al suono come medium nella
relazione intra e interpersonale.

Arriva a definirla una tecnica psicoterapica che unisce suono (in quanto
tale), musica (intesa come strutturata) e movimento per creare una
relazione di cura tra terapeuta e paziente, che si sviluppi in un percorso
terapeutico, con l’obiettivo di attivare cambiamenti positivi nella vita del
paziente (es. reinserimento sociale), e migliorarne la qualità.
Tale relazione, essendo di cura, ha caratteristiche materne, in quanto
osservando la relazione bambino-musica/paziente-musica, si possono
scoprire le dinamiche tra bambino e madre o tra paziente e madre, e le
radici delle dinamiche relazionali dell’individuo.

Suono, musica e movimento sono inscindibili, in quanto gli stimoli


sonori possono suscitare nell’individuo manifestazioni organico-
fisiologiche, emotive e psicologiche, e queste ci danno indizi preziosi
per comprendere il funzionamento dell’essere umano.
Si pensi ad alcuni suoni usati in ambito di ElettroEncefaloGramma per
causare turbe latenti (cioè che non presentano manifestazioni motorie
convulsive) del ritmo nel paziente e così diagnosticare l’epilessia.
La musica, come dimostrato anche da Gabrielle Boissier a Ginevra, è
un percetto, e lei parte dal presupposto che questo sia diverso in ogni
soggetto, per cui analizzare la percezione uditiva, come quella visiva
(tipo Rorshach), può indicare che determinate percezioni possono
essere modificare da problemi della personalità, ad esempio, e questo
permette una diagnosi differenziale tra soggetti adattati e soggetti
invece con strutture problematiche (nevrosi, psicosi).

Il MT, fa parte di equipe mediche, integrando le sue tecniche


terapeutiche a quelle delle altre professioni.
In quanto si occupa di prevenzione rispetto a malattie psico-fisiche e ha
come scopo l’integrazione sociale, il Mt deve essere in costante
supervisione in ambito medico.
L’OBIETTIVO DELLA MT NON E’ IL FATTO MUSICALE, MA LA
TERAPIA, ed è per questo che si prende in considerazione il suono in
quanto tale, al di là della forma musicale che assume.

Il suono è movimento e relazione, poiché nella relazione terapeutica lo


stesso evento sonoro è “esperienziato” da entrambe le parti (MT e
paziente).
Senza movimento non c’è suono, e ogni suono genera ed è generato
da un movimento.

“Tornare indietro per andare avanti”. Un ulteriore “movimento” che


genera la musica, secondo B. è quello regressivo. La musica può
riportare l’uomo a stadi pregressi del suo sviluppo, vissuti in maniera
più o meno funzionale: es. anale, fetale, orale.
Regressione come difesa dell’io, che si fa per compensare un presente
insoddisfacente, oppure per rivivere e migliorare stadi all’epoca non
vissuti in maniera funzionale.

Secondo B ci sono due tipi di regressione:

1) Da tappe adulte a tappe infantili: sintomo di possibile nevrosi


2) Tappa del narcisismo primario, in cui l’”io” non ha ancora funzione
di mediatore tra soddisfazione degli istinti e morale.
Questa seconda regressione è il sistema di difesa più antico, e diventa
“blocco dell’io”, sfociando in schizofrenie, autismo, psicosi infantili etc..
Tali processi implicano chiusura e non desiderio di contatto con gli altri
individui, in quanto il soggetto è regredito ad uno stadio anteriore di
esistenza degli oggetti. La possibilità di transfer è facilitata dal fatto che
nei soggetti psicotici permane, tramite l’oggetto, un desiderio di
relazione.
Come può essere di aiuto la musica? I fenomeni acustici sono tipici di
questo stadio primitivo dello sviluppo, e quindi il Mt nella sua
formazione appende come utilizzare tale linguaggio pre-verbale o non
verbale in maniera codificata per accedere allo stadio del paziente,
senza provocare ulteriore e dannosa regressione: il MT conosce le
caratteristiche di tale stadio e i suoi elementi noti.

In base alle caratteristiche di queste regressioni, Benenzon ha


sviluppato due concetti:

-Suoni regressivo genetici: suoni specifici che provocano nell’essere


umano effetti regressivi, più di qualunque altro suono, e
indipendentemente dalle caratteristiche individuali del paziente. Ad es.
il battito del cuore.

-Complesso non verbale: elementi (caratteristiche del suono) sonori e


musicali, fenomeni acustici che provocano effetti regressivi.

L’obiettivo è quello di aprire canali di comunicazione su più livelli, e la


regressione pre-verbale è solo uno di questi.
Tramite le caratteristiche sonoro-musicali (ritmo, altezza, ampiezza,
dinamiche, timbrica etc…), si possono creare vie o “ristrutturarne”
alcune già esistenti.

La musicoterapia è spesso utilizzata come input iniziale di un percorso,


e poi diventa una costante del processo di rieducazione.
Si parla di processo proprio perché il processo, il progresso, implica
avanzamento, e a sua volta l’avanzamento implica tempo.
La relazione di cura avviene in uno spazio-tempo condiviso (setting), e
questo legame si stabilisce col tempo, creando un percorso
terapeutico. NON BASTA UNA SOLA SEDUTA PER DEFINIRSI
MUSICOTERAPIA, in quanto l’obiettivo della MT è quello di generare
nel paziente cambiamenti positivi che durino nel tempo.
Benenzon pone l’attenzione su un terreno di comunicazione non
verbale, proprio perché secondo lui è tornare all’essenza di una
comunicazione in cui non si nega l’esistenza delle parole, ma si pone
maggiormente l’attenzione sulle caratteristiche non simboliche del
suono: movimento degli accenti, ritmo, altezza, ampiezza, dinamiche,
timbrica, corporea etc…

CONCETTO DI IDENTITA’ SONORO-MUSICALE

Il principio basilare della MT è l’ISO, e si basa sul presupposto che


ognuno di noi abbia un insieme di suoni e fenomeni sonori interni,
acquisiti dal nostro vissuto sonoro intrauterino fino al presente.
Il nostro ISO riassume i nostri archetipi sonori ed è una costruzione
sempre in corso d’opera come l’identità, che ci caratterizza ed
individualizza.
La mt e psichiatra Altshuer è stata la prima a lavorare su questo
concetto, osservando nei suoi pazienti delle costanti: ad es. i depressi
rispondevano meglio a stimoli sonori dal ritmo lento, con appoggiature
e caratteristiche “tristi”; viceversa i maniaci, con tempo mentale più
veloce, rispondevano meglio ad un’agogia “allegro andante”.

ISO: tempo mentale del paziente = tempo mentale Musicoterapeuta,


ma dinamico, perché è evoluzione dal passato al presente e li
racchiude entrambi nella loro transitorietà e transizione costante.
L’obiettivo del MT è quello di scoprire l’ISO del paziente e di entrarci in
interazione.
Vengono distinti cinque tipi di ISO: Gestaltico, complementare,
gruppale e universale.

1) Quello Gestaltico (dalla scuola psicologica Gestalt) è la “forma


sonora” dell’individuo preso singolarmente, e che ci suggerisce il
canale di comunicazione primario del soggetto. La gestalt intende
una percezione globale dei suoni da parte del soggetto, ma questo
non è rilevante nell’ISO musicoterapico, perché affidarsi alla
risonanza di paziente e terapeuta potrebbe in alcuni casi
danneggiare la relazione terapeutica. Invece scoprire l’ISO è un
campo neutro e non la danneggia mai.

2) Complementare: fluttuazioni e cambiamenti dell’ISO gestaltico, che


avvengono nel tempo, nel corso del percorso delle sedute di
musicoterapia, in circostanze ambientali specifiche.
3) ISO gruppale: identità sonora del gruppo sociale entro cui il
soggetto interagisce, nelle sue dinamiche e fluttuazioni. Occorre del
tempo perché questo si formi, si strutturi o venga alla luce. Occorre
che il MT conosca l’ISO di ogni paziente del gruppo, perché questo
processo di integrazione avvenga a livello non verbale. Si può
definire come la sintesi di tutte le identità sonore del gruppo. Il
gruppo è formato anche di parti culturali che interagiscono in un
insieme, per cui, dice Benenzon, è impossibile scindere l’ISO
dall’identità etnico-culturale. Ne deriva che l’ISO culturale è
l’identità sonora condivisa di un gruppo culturale, per modalità di
apprendimento e regole di tale gruppo culturale, che si manifestano
anche nella musica prodotta da tale gruppo e dai suoni che lo
caratterizzano. ISO di Gruppo e ISO culturali interagiscono,
comportando cambiamenti tra loro (come tra ISO gestaltica e
complementare), anche a livello sociale, oltre che musicale. ISO
gruppale è la somma di tutti i fattori psico-fisiologici dell’ISO
gestaltico di ogni individuo del gruppo.

4) L’ISO universale caratterizza tutti gli esseri umani, e rappresenta


una sorta di entità globale. Comprende suoni comuni tra gli
individui, come battito cardiaco, voce della mamma, suono di
inspirazione ed espirazione etc…
Confondibile con l’imprinting, perché questo concorre alla formazione
di un ISO gestaltico. Però l’imprinting è un engramma (elemento
biologico statico di memorizzazione), mentre invece l’ISO universale è
dinamica. Sono stati fatti esperimenti con spettrografia per determinare
quali caratteristiche comuni avessero i suoni che attivano determinate
risposte. Benenzon parte dal presupposto che per aprire un canale di
comunicazione è necessario il rispecchiamento, quindi la ripetizione per
imitazione dell’altro, e fa esempio di bambino autistico con grave
regressione, con cui la comunicazione si è avviata per mezzo di suoni
non solo prodotti per vie “standard” o dirette (es. bocca), ma anche
tramite altri fenomeni naturali (battito cardiaco, respirazione, rumori
intestinali, strofinamento arti), le cui variazioni diventavano codici di
comunicazione. Ciò evidenzia che l’ISO è il prodotto di archetipi sonori
della storia evolutiva globale, della specie umana e poi individuale del
soggetto (quindi sia ontogenetica che filogenetica). Gli archetipi
vengono rinforzati tramite in vissuti sonori e vibrazionali nei movimenti
di vita pre e post natale, e il loro sviluppo futuro. Queste esperienze
vanno a depositarsi nell’inconscio dell’essere umano nel corso del suo
tempo evolutivo. Insomma: la formazione di base dell’ISO è la stessa,
ma viene elaborata diversamente da ogni individuo, che la struttura in
modo diverso in base alle dinamiche che vengono messe in atto per
gestire gli stimoli.
Questi stimoli depositati hanno nel tempo dell’umanità formato
archetipi dinamici che caratterizzano l’essere umano, modelli che
possono paragonare, per certi versi, a quelli di Jung.
Ad esempio i ritmi binari cardiaci e respiratori, la camminata, l’acqua e il
vento, i codici di comunicazione animale, sono codici genetici ereditati.
L’evoluzione dei suoni è andata di pari passo con quella della civiltà,
dalle canne di bambù ai tubi di metallo, alla codifica di determinati
intervalli di suoni etc…
L’ISO universale esiste e caratterizza l’essere umano, quindi, al di là di
società, cultura, storia, e caratteristiche psicofisiologiche.
L’Iso gestaltico, per formarsi, attinge da questi prototipi-strutture
universali, a partire dall’embrione, nel quale queste strutture andranno
nella crescita a differenziarsi, formando così la sua identità dinamica.

ISO UNIVERSALE: battito cardiaco, vento, acqua, ninne nanne.


ISO GESTALTICO: voce della mamma, flusso sanguigno, flussi
intestinali, rumori esterni. Tutto ciò varia e compone l’iso gestaltica.

Cioè: parametro stabile = voce della mamma / parametro variabile =


caratteristiche di tale voce e dinamiche.

Fonti sonore:

-esterne, attraverso il liquido amniotico


-interne: provenienti dal corpo della madre
-dal feto stesso.

Tutti questi suoni sono percepiti indistintamente dal feto in un’unica


amalgama, tramite un sistema unificato di percezioni, il cui unico sentire
recepito a livello istintuale è vita o morte.
Tale amalgama sonora si stratifica a livello inconscio nell’individuo.
Il feto risponde agli stimoli sonori, perché tale amalgama di energia ha
bisogno di una scarica.
Con parto e nascita, la mente cambia struttura, e compaiono
preconscio e conscio. Nel preconscio inizia ad essere iscritto il senso
cronologico del tempo, e a formarsi l’Iso culturale, perché vengono
introiettate per ripetizione frequente, stereotipie dall’ambiente esterno.
Riguardo alla comunicazione tra paziente e MT, è stata definita e
studiata in particolare modo da Rojas Bermudez, la funzione
dell’OGGETTO INTERMEDIARIO.
B. Intende come tale, un oggetto che abbia funzione terapeutica
all’interno della relazione, e che non provochi stati di allarme
intenzionali. E’ stata scoperta questa funzione osservando le marionette
nel contesto di psicodrammi.
Oggetto inanimato, quindi potenzialmente non pericoloso (ad es. per
pazienti con turbe rispetto allo schema corporeo), quindi il terapeuta
riesce a ottenere dal paziente una risposta, dove invece a livello umano
non si era riusciti ad arrivare. Non c’è contatto diretto con l’altro.
Caratteristiche dell’oggetto intermediario:
-Concreto e tangibile
-innocuo
-malleabile nel suo utilizzo e ruolo
- è un sostituto del legame e permette distanza, facilitando la
comunicazione
- Adattabile rispetto al bisogno del soggetto
- Identificazione: Il soggetto può assimilarlo a sé stesso
- Strumentale: può utilizzarlo come sua appendice
- Identificabile: forma di facile e/o immediato riconoscimento da parte
del paziente

Gli strumenti musicali e i suoni prodotti da essi si possono considerare


oggetti sonori intermediari, con l’aggiunta che la fonte sonora di tali
strumenti esiste a prescindere dal musicoterapeuta (è già lo strumento
in sé), mentre nella marionetta è lo psicodrammista a produrla, e quindi
è molto più legata alla sorgente umana.
La marionetta permette sono le proiezioni del paziente sull’oggetto,
mentre lo strumento entra direttamente, immediatamente in risonanza
ed esprime l’identità sonora, perciò permette una vicinanza molto
intima all’ISO sia di paziente che di musicoterapeuta.
Per la scelta dell’oggetto intermediario, è perciò fondamentale, da parte
del mt, conoscere il meglio possibile l’ISO gestaltica del paziente, al
quale l’oggetto è particolarmente legato.

Riguardo alla relazione, prendiamo sempre ad esempio quella madre


bambino: come primo elemento comunicativo vi è il corpo della madre:
pelle, voce, movimento. Dopo un certo periodo, la madre sostituirà il
proprio corpo con oggetti esterni inanimati, che sostituiscano queste
funzioni.
Questi oggetti (tipo sonagli o ciuccio), diventano canali di
comunicazione al di fuori della mente, che aiutano a fluidificare quelli
precedenti e stereotipati o irrigiditi.
In questo caso, nella scelta degli oggetti da parte della madre
intervengono i suoi personali ISO.
1° fase neonatale: oggetto intermediario corporeo
2° fase lattante: oggetto scelto in base ad Iso gestaltico, universale e
culturale del lattante.
3° fase: oggetto scelto anche per integrazione socio-culturale, legato
alla crescita nel mondo, con gli altri.
Il processo terapeutico è graduale e parte dalla terza fase, per risalire
alla prima in fase regressiva.
All’interno della socialità è importante la figura del padre, grazie al quale
interverranno altri oggetti intermediari propri dell’ISO paterna.
L’oggetto è utilizzabile sia dalla madre che dal bambino.

Quando si tratta di contesti Musicoterapici di gruppo, c’è un oggetto


che assume in sé le dinamiche e i legami del gruppo, tra i partecipanti e
tra partecipanti e musicoterapeuta. Prende il nome di OGGETTO
INTEGRATORE, e di solito è il più grande strumento a percussione tra
quelli a disposizione, ed è strettamente connesso all’ISO di gruppo,
secondariamente anche a quello culturale creatosi.
Grebe ha tentato di riassumere in uno schema le varie relazioni tra
musicoterapeuta e individuo nella sua cultura, precedentemente
descritte. Si tratta di processi e interrelazioni dinamiche e complesse
che interagiscono a livello verticale, orizzontale e diagonale.

AUTISMO INFANTILE.

L’approccio non verbale precedentemente descritto, si rivela


particolarmente efficace come prima tecnica con bambini autistici,
poiché consente di aprire canali di comunicazione, in quanto i suoni
permettono di regredire fino al periodo di gestazione, in cui il feto
tentava di difendersi dai suoi del mondo esterno per ritrovare un mondo
interno di cui sente la mancanza.
Si ricorda che il paziente, in questi casi non riesce a compilare la
scheda di Musicoterapia con i propri vissuti sonori, e saranno i genitori
a farlo.

Medotologia di lavoro a tre livelli:


1) Regressione: suoni proposti all’ascolto del paziente in maniera
attiva (con risposta da parte del paziente agli stimoli) o passiva
(senza consegne precise).
Si utilizzano i suoni dell’ISO universale (battito cardiaco, acqua etc…),
poi si riproducono tali suoni con un oggetto intermediario (es. piccolo
tamburo per cuore, ritmo binario), successivamente, dopo aver lavorato
con tali suoni, viene aperto il canale di comunicazione, ottenendo
risposta dal bambino. La quinta fase prevede la ripetizione della
risposta del bambino. Si utilizza il canale nuovo aperto dalla risposta,
tramite l’imitazione, per poi arrivare a generare un cambiamento.

2) Comunicazione: tramite i canali aperti in precedenza, avviene uno


scambio tra paziente e Musicoterapeuta.
3) Integrazione: viene trasposta e amplificata tale comunicazione del
paziente anche con l’ambiente esterno e il gruppo famigliare.

Il setting deve essere sempre uguale, per permettere al paziente di


concentrarsi sui suoni.

La musicoterapia può aiutare, in fase di diagnosi, a differenziare, in


base alle risposte ottenute durante le sedute, a differenziare autismo
(risposta solo al suono, simbiosi (reazione solo con madre -
attaccamento ossessivo, comunicazione patologica) e schizofrenia
(risposta agli stimoli, ma in maniera disorganizzata).

Il bambino autistico generalmente non risponde a sintomi sonori,


mentre lo schizofrenico si.
Esempio di ragazzina autistica attivata unicamente da suoni di
ispirazione ed espirazione: flauto dolce allo stadio successivo, usato
come oggetto intermediario per gestire l’ansia, inspirandoci ed
espirandoci dentro.

DIZIONARIO DI PSICOLOGIA:

Psicologia Dinamica:
Sotto questa denominazione sono racchiuse le correnti psicologiche
che danno rilevanza ai meccanismi psicologici dell’evoluzione
dell’individuo (come intesi da Piaget), che sono la base della
costruzione psichica, dove sono in campo e interagiscono forze
diverse. Il modello dinamico prende dall’ambito fisico e logico la teoria
di causa-effetto, usata anche dalla ps. Sperimentale, ma qui con
attenzione particolare all’analisi soggettiva, soprattutto riguardo al
soggetto in interazione relazionale.
Freud introduce il termine, ponendo l’attenzione sulle forze psichiche in
contrasto tra di loro, spiegate e analizzate dinamicamente nelle loro
interazioni.
Forze in contrasto e conflitto, che presuppongono un dualismo
pulsionale alla base della risposta agli stimoli, che genera a sua volta
meccanismi contropulsionali di difesa, dai quali derivano le
manifestazioni comportamentali.
Questa teoria prevede una meta psicologia secondo cui la struttura
psichica è composta da un Super-io, un Io e un Es, e si sviluppa in tre
fasi evolutive biologiche e psicologiche, caratterizzate dalla
localizzazione e della funzionalità nei vari stadi della libido.
I maggiori esponenti che hanno sviluppato questa teoria sono, oltre a
Freud, Jung (ps. Analitica), Adler (ps. Individuale), Reich (bioenergetica),
e che si rifanno al concetto di energie in contrapposizione tra loro. Il
concetto di “dinamica” si è poi diffuso anche in ps. generale e
sperimentale, quando si parla di bisogni, tendenze e istinti alla base del
comportamento umano.
Le aree di ricerca di questa disciplina sono ampie, e rilevante è quella
all’interno della psicologia sociale, e degli studi sulle dinamiche di
gruppo (Lewin). Egli parte dal presupposto che le ultime scoperte
hanno evidenziato il fato che la causa degli eventi non è da cercare
tanto nel soggetto in sé, ma nel rapporto di tale soggetto con
l’ambiente che lo circonda, e ciò unisce la psicologia dinamica e quelle
della forma (Gestalt), e sperimentale. Prende in considerazione la
relazione interna ed esterna tra i processi di origine interiore, utilizzando
sia concetti dinamici (forza, tensione, fluidità), sia osservativi (ambiente,
confine, barriera, spazio etc…), per arrivare ad operare una descrizione
strutturale dei fenomeni che sia però anche dinamica, e tenga presente
le interrelazioni mutevoli delle forze in campo.
Allport usa il punto di vista dinamico per porre l’accento sulla totalità
dell’esistenza psichica dell’uomo (non incentrata solo su esperienza, o
solo psiche, o solo comportamento). Egli dice che non ci si può basare
solo su causa-effetto meccanicamente intesi, ma occorre tenere conto
dell’organizzazione mentale soggettiva e dinamica di principi base quali
“Sè” e “io”, indipendentemente dalla loro etichetta lessicale.
Importanti studi i merito sono stati fatti sull’origine delle motivazioni alla
base dei comportamenti umani.

Psicologia cognitiva:
Corrente della psicologia moderna in contrapposizione al
comportamentismo (mente passiva con risposta automatica a stimoli
esterni). La ps. Cognitiva concepisce la mente come elaboratrice attiva
in costante adattamento delle proprie strutture rispetto alle condizioni
esterne esistenti, filtrando e autocorreggendosi.
Il comportamentismo nasce negli anni ’60 grazie alle ricerche di Neisser
e ai suoi saggi, e poi sviluppato da Collins, Gardner, Bruner e altri illustri
esponenti.
La ps. Cognitiva ha confermato influenze derivate dalla ps. Dell’atto
(Brentan), in cui la memoria della percezione hanno un ruolo attivo e
selettivo, che sta alla base delle scelte intenzionali dell’individuo
cosciente. Un aiuto è stato dato anche dalla tecnologia cybernetica,
che mostra come la mente sia un sistema complesso in grado di
operare scelte tra input in entrata, assimilarli operando cambiamenti
nelle proprie strutture che poi si traducono in decisioni in uscita
(output).
Al meccanico ed elementare stimolo-risposta, il cognitivismo
sostituisce il sistema TOTE (test-operate/text-operate), derivato dalla
verifica che tra lo stimolo e la risposta avviene uno span di elaborazione
di 550 ms (esperimento di Craik).
In questi studi i programmi calcolatori hanno funto da simulatori dei
processi mentali.
Il cognitivismo si è anche servito di : tecniche derivate
dall’elementarismo di Wundt, come sperimentazioni basate
sull’introspezione; misurazione dei tempi di reazione come indicatore
delle operazioni mentali sottostanti; analisi dei protocolli in cui il
paziente descrive verbalmente ciò che sta facendo durante una
consegna specifica all’interno di un esperimento; analisi stratificata di
percezione, memoria, attenzione e vigilanza (intesa come cosciente),
ragionamento in base al problem solving; il linguaggio (contributo
importante dato da Chomsky: attenzione non sul messaggio, ma
sull’utente). Viene posta l’attenzione sul fatto che la mente umana, a
differenza del computer, è in grado di risolvere problemi anche quando
mancano informazioni o queste sono errate o incomplete.

Gardner ha concettualizzato cinque punti chiave del cognitivismo:

1) Rappresentazione: lo stimolo diventa una rappresentazione


mentale, tra input e output, una zona in cui avviene la
trasformazione delle strutture e la scelta operativa, e quindi bisogna
adottare un livello di analisi che non può essere unicamente
biologico, neurologico o socio-culturale.
2) Computer: il computer è la prova di esistenza del fatto che un
sistema costruito dall’uomo è efficace nell’elaborare le informazioni,
e così, quindi, si può dire della mente umana.

3) Ridimensionamento delle emozioni: tale approccio mette da parte il


fattore emotivo-culturale-relazionale-affettivo, sebbene ne riconosca
l’importanza nel funzionamento cognitivo, perché complicherebbe
l’analisi oggettiva degli eventi.

4) Interdisciplinarietà: La scienza cognitiva può essere applicata e


ricevere contributi da diverse discipline, come dimostrano anche i
diversi ambiti formativi di molto scienziati cognitivisti.

5) La filosofia classica, come origine della scienza cognitiva, in quanto


danno una base logica di partenza.

La terapia cognitiva consiste in una psicoterapia centrata sulle


distorsioni di pensiero rispetto a un modo comune di pensare e
interpretare la realtà.

Beck, il maggior esponente, ad esempio considera la depressione


come distorsione della triade cognitiva, rispetto ad aspettative su di sé,
rispetto all’ambiente e al futuro, derivate da esperienze di vita che
attivano nel paziente degli schemi cognitivi relativi alla perdita.
L’obiettivo della terapia cognitiva è quello di eliminare le distorsioni
cognitive per favorire un tipo di pensiero più realistico.
Affine a questa terapia, è quella emotivo-relazionale, secondo cui, alla
base delle psicopatologie, c’è una convinzione irrazionale nel soggetto,
che viene educato a contrastare da sé le proprie convinzioni distorte,
con giudizi più appropriati e oggettivi.

Psicologia umanistica:

Maslow fondò questo orientamento quando arrivò alla conclusione


dell’irrilevanza a livello dello sviluppo esistenziale dell’individuo, degli
approcci sperimentali e deterministici.
Secondo M. Il soggetto non si può ridurre a pulsioni sottostanti, e le
motivazioni che lo spingono ad agire sono derivate da fattori non
quantificabili, come i bisogni: di esplorazione, creatività, di esprimere la
propria identità tramite la propria visione del mondo e viceversa, di
relazione con l’altro, e al vertice la propria autorealizzazione.
L’approccio Maslowiano deriva in gran parte dall’esistenzialismo, che
ben descrive le figure dell’esistenza: dalla fenomelologia con cui questa
si sviluppa nell’esperienza, al pragmatismo, che collega ogni azione alla
motivazione sottostante (indipendente dalle pulsioni).
M. pone l’attenzione sul fatto che la chiave per il soggetto è
l’autoconoscenza delle proprie motivazioni, in modo di non incorrere
nell’autoinganno, e così di arrivare alla conoscenza del proprio sé,
senza maschere.
La psicologia umanistica, a livello terapeutico, non si serve di tecniche
e metodologie, ma adotta metodi fisici, affettivi e relazionali, come
terapia bioenergetica, psicodramma, integrazione di gruppo, analisi
transazionale e altri appartenenti anche alla psicologia rogersiana.

Psicologia sistemica:
Nell’ambito della psicologia sociale, quella sistemica considera la
singola personalità in quanto inserita dal principio in un sistema di
interazione sociale, in cui i membri si influenzano a vicenda.
Si agisce analizzando e intervenendo sul sistema e le sue relazioni per
modificare il comportamento del singolo, in quanto i parametri del
sistema prevalgono rispetto a quelli di origine del singolo.
Wirheit ha sviluppato il concetto di “nostralità”, per cui uno si relaziona
agli altri in maniera autentica e accessibile, o inautentica e
manipolatoria, e il Tu agisce per ottenere i propri scopi, perciò la
relazione diventa un gioco di ruoli reificato, e non centrato sulla
relazione umana.

Psicologia sperimentale:
Si basa sulla metodologia delle scienze naturali, che prevede
sperimentazioni e quantificazioni, a differenza dell’approccio filosofico,
da cui è indipendente.
Non indaga la natura della psiche, ma vuole comprendere il modo di
agire e di svilupparsi dell’essere psichico.
La sperimentazione vuole prendere in considerazione tutte le condizioni
e le variabili in cui si può verificare un determinato fenomeno, in modo
da poterlo prevedere e poterlo riprodurre.
L’attenzione è quindi posta sulle variabili che possono intervenire e sulle
fasi di procedura metodologica.

Variabili:
1) Situazione/stimolo: ambiente fisico con agenti compresi. Situazione
analizzata dal punto di vista sociale, fisico, o percettivo.
Comportamento = interazione tra stimolo e personalità.

2) Comportamento: si analizzano la latenza tra stimolo e risposta in


relazione alla personalità, l’ampiezza, la frequenza e la durata.
Questa analisi della risposta può essere osservata dal punto di vista
di un solo aspetto (ad es. fisiologico), oppure prendendo in
considerazione tutto il risultato manifestato globalmente.

3) Personalità/organismo: L’individuo è tale perché variano all’interno


della popolazione di appartenenza fattori psico-fisico-sociali. Ciò
significa che la personalità può essere studiata nelle sue funzioni
psicologiche relativamente alla reazione rispetto a variazioni nelle
situazioni. Si compara e differenzia per verificare come individui
diversi rispondano alla stessa situazione, e si studia come a
situazioni diverse ci possano essere risposte comuni a livello
strutturale.

Fasi della sperimentazione scientifica:

1) Osservazione: sistematica, cioè ambiente controllato in cui si può


procedere a verifiche (lab), ma sovrapponibile a quello naturale.
2) Ipotesi: dai fatti osservati si procede alle ipotesi indotte (pura
osservazione), sia dedotte, da cui derivano conseguenze verificabili.
La verifica in psicologia è sempre parziale, in quanto gli intrecci
delle variabili di personalità e stimolo-situazione sono in numero
troppo elevato da poter essere verificate.
3) Esperimento: Setting sperimentale, dove si introducono variabili
isolate, la cui modifica altera il fenomeno osservato. Vi è una
variabile Indipendente, modificata dallo sperimentatore, e una
dipendente, che cambia di conseguenza alle alterazioni della prima.
4) Elaborazione dei dati: dati a confronto attraverso procedure
statistico-matematiche, e poi correlati. Così si verificano casistiche
di probabilità messe a confronto, e tramite queste casistiche viene
spigato il fenomeno osservato tramite una generalizzazione, che
porta alla formulazione di leggi che regolano tale fenomeno. Viene
fornita una spiegazione causale degli eventi, e le leggi vengono
inserite in teorie esplicative. Tali teorie possono essere:

- riduzionistiche: le varie manifestazioni della personalità vengono fatte


convergere ad un unico principio esplicativo (es. Freud, libido).
- costruttivistico, in cui le manifestazioni non sono prodotto di un unico
substrato, ma ad un modello sotto il quale se ne trovano altri a livello
probabilistico, senza che nessuno vada in contraddizione con gli altri.
Quest’ultimo approccio è quello più indicato come idoneo all’indagine
psicologica, secondo i capostipiti di epistemologia genetica e
psicologia del profondo (Piaget e Jung).

PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTI NOSOGRAFICI (da “Psicopatologia


del bambino” di Marcelli-Cohen)

Le seguenti descrizioni delle malattie si basano principalmente su


assetti teorici riguardo a comprensione dello sviluppo, approccio
psicodinamico (disarmonia psicotica), cognitivo, disturbo della
personalità dal punto di vista olistico, o riguardo alla valutazione dei
sintomi diagnostici (semeiotica) dal punto di vista delle lesioni.
Questi raggruppamenti hanno in comune disturbi del comportamento in
primo piano (condotta, oppositività, Disturbo da Deficit dell’Attenzione
con Iperattività. DDAI), la semiologia è variabile nelle sue manifestazioni
disarmoniche/prepsicotiche, e spesso nello stesso individuo si
presentano più patologie (comorbilità).
Questi riferimenti sono utili per considerare la complessità del soggetto,
e non commettere errori di valutazione nel considerare
irrimediabilmente compromesse le potenzialità evolutive del paziente.
Una comunicazione errata può generare effetti peggiorativi nel percorso
clinico. D’altra parte, la varietà delle nosografie e dei sintomi che
possono coincidere nello stesso individuo può portare a strategie
terapeutiche meno specifiche , più dispersive, qualora invece si
necessiti di una particolare stategia terapeutica.

Disturbo da Deficit dell’Attenzione con Iperattività

Si colloca nella definizione anglosassone di Disfunzione Cerebrale


Minima, ”MBD” (Minimal Brain Dysfunction).
Era prima definita “lesione”, perché spesso si ricollegava alle
conseguenze della encefalite infettiva in età infantile, a patologie
neurologiche o traumi cranici. Tali conseguenze comprendevano anche
reazioni ipercinetiche. Col tempo si è spostata l’attenzione dal fisico-
motorio all’idetico (deficit neurocerebrale). Riguardo alla diagnosi è
importante tenere conto anche del contesto sociale, politico e culturale
del paziente.

Descrizione clinica:
Disturbi dell’attenzione + iperattività e impulsività

Disturbi dell’attenzione:
Scarsa capacità di focus attentivo su tasks. Scarsa organizzazione,
incapacità di portare a termine lavori. Frequente cambio di attività. Alta
distraibilità, chiusura in sé, poco ascolto. Test per riconoscere il tipo di
disturbo: attenzione selettiva, globale o riguardante sensi specifici
(udito, vista).

Iperattività:
Attività motoria esagerata in base alla fascia di età, incapacità di stare
seduti per un lasso di tempo, ritmo veloce del movimento.
Maneggiamento costante di oggetti. Poca attenzione visiva a causa
della velocità.

Impulsività:

Scarso rispetto delle norme, non rispettano il proprio turno. Impongono


la propria presenza senza rispetto di spazio e tempo altrui. Non
considerano le conseguenze delle azioni. Manifestazioni colleriche e/o
aggressive.

Sintomi:

- Difficoltà cognitive rilevate tramite tests (risultati compromessi da


scarsa attenzione, errori di distrazione). Non vengono colte le sequenze
ritmiche e il loro significato.

- Ritardo scolastico difficilmente recuperabile, enuresi (non controllo


dello sfintere), scostanza affettiva, conflitto nei rapporti (scuola e
famiglia).
- Segni neurologici (anche qualora difficilmente rilevabili). Scarsa
coordinazione della motoria fine, movimenti coreiformi (incontrollati),
anomalie percettivo-motorie, segni non comuni nell’EEG.

La DDAI presentano 18 sintomi definiti in tre aree: attenzione,


iperattività, impulsività, che possono essere combinate tra di loro.
I maschi sono maggiormente colpiti (rapporto da 3 a 9), e i sintomi
compaiono prima dei 7 anni di età.
E’ associata molto fortemente a fattori psicosociali, patologie perinatali
maltrattamenti e trascuratezza, anossia perinatale (mancanza di
ossigeno nel sangue), esposizione al fumo durante la gravidanza,
traumi cerebrali. Associato a disturbo oppositivo provocatorio, disturbi
dell’apprendimento, disturbi internalizzati (ansia e depressione) e
disturbo derivato della condotta.

La comorbosità può essere di intralcio alla rilevazione della patologia


primaria da parte dei caregivers.

Tre tipi di comorbilità:

-Disturbi esternalizzati: condotte e oppositivo-provocatori


-Disturbi internalizzati: ansia, depressione
-Disturbi dell’apprendimento: occorre fare un bilancio ortofonico
approfondito.

Ulteriori associazioni con tic e disturbi bipolari, disturbi dell’umore.

La diagnosi è effettuata tramite valutazione clinica e utilizzo di scale


(Pelham, Conners, Swanson). Il più utilizzato è il Continuous
Performance Test di Conners.

Evoluzione: attenuazione o scomparsa in adolescenza, persistenza,


aggravamento con comparsa di altre patologie (alcolismo,
tossicomania, psicopatia, personalità antisociale). La terza opzione è
più frequente in caso di precedente comorbilità rispetto a condotta o
sintomatologia maniacale.
La valutazione è multidimensionale ed eziopatogenetica (causa e
meccanismo di azione della malattia), e si tengono in considerazione i
fattori che favoriscono il disturbo, quelli di mantenimento, di protezione,
da punto di vista del soggetto e del contesto.

Occorre seguire sia a scuola che a casa un programma specializzato e


ed un atteggiamento educativo molto rigoroso e severo.

L’intervento sul bambino prevede la prescrizione di psicostimolanti


(anfetaminici e non) e un percorso di psicoterapia, prescritto in primo
luogo da medico specialista ospedaliero, per non più di 28 giorni.
Affiancamento con sostegno a scuola, all’interno di un percorso
rieducativo (psicomotricità, ortofonia), individuale o di gruppo in base
alla singola situazione.

PATOLOGIE CARATTERIALI: DISTURBO OPPOSITIVO


PROVOCATORIO E DISTURBO DELLA CONDOTTA.

Carattere, termine specificato da Heuyer: insieme di tendenze emotivo-


affettive congenite e acquisite, che regolano i rapporti dell’individuo alle
condizioni ambientali (sociali, educative, pedagogiche), in una
prospettiva dinamica.

Il soggetto risolve i conflitti con pulsioni agressive (manifeste o non), ed


presenta un carattere spesso egosintonico.
Altre costanti sono difficoltà economiche e instabilità famigliare,
carenza educativa e affettiva.
Perciò queste diagnosi appartengono anch’esse ai disturbi disgregativi
dell’infanzia.

Tale disturbo è un insieme di comportamenti che nega, provoca,


disobbedisce ed è ostile alle persone in posizione di autorità, e che
presuppone una condotta ripetitiva e dannosa, con la quale vengono
violati i diritti fondamentali altrui e le norme/regole sociali.
I principali segni clinici vengono valutati anche rispetto a età di esordio,
gravità dei disturbi, carattere isolato o meno rispetto a un contesto
specifico, comorbilità, contesto psicosociale.

Disturbi del comportamento dirompente (classificazione di Da Carr):

1) I disturbi di comportamento ed emozioni in bambini e adolescenti


può dividersi in:

-Disturbi della condotta: oppositivo-provocatorio, condotte


intrafamiliari, condotte non socializzanti, condotte socializzanti.

-Disturbi misti condotta/emozioni: con depressione.

-Disturbo ipercinetico: delle condotte con iperattività.

2) Disturbi dell’adattamento e reazioni a stress severi:


-dell’adattamento con condotte perturbate

-con perturbamento sia di condotte che di emozioni.

Vi è una tecnica di cura originale: la terapia multisistemica teorizzata da


Perisse e il suo gruppo di lavoro, e si basa sul fatto che il
comportamento dell’individuo è determinato dall’interazione tra le sue
caratteristiche individuali e il mondo in cui esso evolve, in dinamiche
familiari, sociali con i pari e nel loro insieme.

Fattori di rischio e predisponenti

Personali:

- biologici (genetica, difficoltà prenatali o durante il parto con


rallentamento ritmo cardiaco e poca ossigenazione, malattia della
prima infanzia);
- Psicologici (problemi relativi all’attaccamento (insicurezza),
intelligenza al limite, aspetti narcisistici, controllo debole, difficoltà di
apprendimento, azioni antisociali)

Contestuali:

- Fattori di interazione nella prima infanzia (interazioni gentori-infante;


genitore troppo autoritario, o troppo permissivo-negligente; assenza
di disciplina, o stile genitoriale intrusivo.
- Problemi famigliari nella prima infanzia: famigliarità per disturbi
psichiatrici, violenza, conflittualità, disorganizzazione, disturbi di
tossicodipendenza nel contesto, criminalità, famiglia numerosa o
posizione intermedia tra fratelli.
- Stress nella prima infanzia: Stress derivato da svantaggio sociale,
collocamento in istituzioni, maltrattamento, abuso sessuale.

Fattori di mantenimento

Personali

-Biologici: ipervigilanza e impulsività di base, disregolazioni delle reti di


neuroni che usano monoamine per regolare importanti processi
cognitivi.
-Psicologici: bassa autostima, scarse capacità di adattamento, disturbo
dell’attribuzione (deresponsabilizzazione), ritardo del linguaggio.

Contestuali:

- Adesione alle cure: genitori ambivalenti o restii, negazione delle


problematiche, cattivo coordinamento e cooperazione tra membri
dell’equipe.
- Dinamiche famigliari: difficoltà nella gestione interna al nucleo della
problematica, tra interazione col bambino e impegno richiesto.
Pattern di comunicazione confusi. Assenza genitoriale o stili
genitoriali non idonei, attaccamento da abbandono
- Fattori parentali: disturbi già presenti nello storico famigliare,
criminalità, bassa autostima parentale, difese immature, stile
negativo-depresso, personalità di tipo abbandonino o al limite.
- Fattori sociali: svantaggi sociali, debole sostegno sociale,
appartenenza a minoranze, violenza nei media.

I fattori di protezione possono essere un’intelligenza superiore, o


genitori aderenti alle cure.

Il trattamento è multifocale, su ogni ambito valutato come disfunzionale,


adeguato ad età e contesto sociale-famigliare del bambino. L’obiettivo
è un miglioramento comportamentale e una protezione psicosociale
(integrazione sana nella società), in prospettiva evolutiva.
Intervento rieducativo con ortofonia e psicomotricità.

In famiglia si sono però ottenuti i risultati migliori, in quanto vi sono


programmi di educazione e orientamento genitoriale, in cui i genitori
vengono guidati a modificare i loro comportamenti e quelli del bambino,
poiché numerosi aspetti della relazione genitore-bambino possono
favorire comportamenti antisociali.

Avviene in comunità, su frequenza quotidiana, e il terapeuta ne è il


responsabile.

Nelle forme più gravi si interviene anche con trattamenti farmacologici


di tre tipi: timoregolatori (regolatori dell’umore, neurolettici (tranquillanti,
che agiscono su zone neuronali specifiche, psicostimolanti.
MULTIPLEX DEVELOPMENTAL DISORDER E ORGANIZZAZIONI
DISARMONICHE (MDD)

Riguarda le linee di sviluppo, e la prima ad occuparsene fu Anna Freud.


Lei sosteneva che quando Io e Super Io non hanno maturità sufficiente
rispetto alla parte pulsionale, manca il legame che controlla le pulsioni
aggressive e pregenitali, causando disarmonia disorganizzata.

Non esiste una sintomatologia propria dei MDD, ma vi si possono


riscontrare sintomi esternalizzati o internalizzati, quali fobie, rituali
ossessivi, tic, iperattività, inibizione comportamentale, insieme a
disturbi delle principali funzioni somatiche (anoressia ribelle, insonnia
grave) e a ritardi nella linea di sviluppo rispetto ad ambiti specifici ( ad
es. linguaggio) e a difficoltà relazionali tra fratelli, coetanei o scarsa
integrazione scolastica.

Età di esordio: 3-4 anni


Variabilità e molteplicità dei sintomi, che si traducono in una alterazione
nella regolazione degli stati affettivi e dell’ansia (es. tic che spariscono e
poi inizia la fase di insonnia). Il bambino non trova metodi efficaci per
controllare le proprie emozioni, e quindi il suo sistema ne prova diversi.
Vi è un apparente adattamento alla società, e in questo caso, il
bambino pre-psicotico investe in modo massiccio nelle relazioni, e
l’espressione fantastica nel gioco può essere molto immediata. La
tematica di fondo è un’aggressività mal contenuta, e queste
manifestazioni sono modalità di sfogo della tensione psichica.
Questo profilo nosografico è caratterizzato da sfalsamenti nelle linee di
sviluppo: neurobiologico (motricità, linguaggio, intelligenza);
maturazione pulsionale relativamente all’organizzazione della
personalità (sessualizzazione precoce rispetto a un Io ancora infantile o
viceversa); disarmonia in una stessa linea di sviluppo (ad es. tra stadio
pre-operatorio, operatorio e logico). Tutto ciò porta ad un’alterazione
del processo di pensiero, senza che ciò implichi per forza autismo o
schizofrenia.

I test psicologici sono particolarmente utili nella valutazione clinica della


MDD.

Possono essere di tipo cognitivo o proiettivo.


Questi ultimi (tipo Rorshach), si basano sul bisogno espressivo del
bambino, e bypassano la preoccupazione riguardante fattori
intellettuale. Produttività e associazioni elevate, riferimenti al mondo
animale.

Permettono di notare meccanismi quali proiezione, identificazione


proiettiva e scissione, che si esprimono in divoramento orale, forma
sadico-anale, minaccia di annullamento.

Meccanismi di difesa:

Scissione rispetto a fattori qualitativi degli oggetti (buono e cattivo


separati), che denota blocco nella fase schizoparanoide, impedendosi
di vivere la fase depressiva, che porta ad una relazione piena e intera
con l’oggetto. La scissione viene rinforzata da altri meccanismi difensivi
in un loop autostimolante: idealizzazione, negazione, onnipotenza.
Secondo Diatkine, questi processi primari non possono essere
sovrascritti da una rieducazione efficente, sia che l’aggressività sia
costituzione innata del bambino, o che sia appresa: è una pulsione
troppo invadente.
Sul piano strutturale io e non-io sembrano distinti, ma il super-io che è
sottosviluppato viene sostituito dalla problematica narcisistica.
Nei test le figure genitoriali emergono disorganizzate sul registro
edipico, e rimangono involute allo stadio pre-edipico (figure non distinte
a livello di ruoli e caratteristiche, caratteristiche comunque sempre
troppo invadenti e identificate con un potere fallico temuto).

Studi americani hanno teorizzato il Self, che rappresenta una struttura


mentale che integra pensiero, sentimenti e relazioni sociali, vedendo i
disturbi dell’organizzazione sotto una prospettiva evolutiva: è definita
come disorganizzazione una non integrazione tra il senso di sé, il
funzionamento cognitivo (che è disarmonico), il funzionamento sociale
ed emozionale.

L’evoluzione di questa patologia è relativamente positiva, a differenza


dei bambini che presentano un disturbo pervasivo dello sviluppo.

-Dopo la fase di latenza, si sviluppa un’organizzazione psicotica con


schizofrenia probabile.

- Deficit in uno o più settori specifici (linguaggio, disprassia - motorio,


inibizione sociale etc…)
- La maggior parte dei casi si evolve in una patologia del trauma:
adattamento alla società con però rigidità di adattamento, ansia, difese
proiettive.

L’OSSERVAZIONE DEL COMPORTAMENTO INFANTILE - Baumgartner

Gli approcci teorici su cui si basano i moderni metodi osservativi sono:

-Ecologico
-Etologico
-Piagetiano (quasi sperimentale)
-Diretto psicoanalitico

Osservazione Ecologica:

Tra gli anni ’50 e ’60 del 1900 si inverte la tendenza riguardo agli
esperimenti in laboratorio, e Wright scrive un saggio a favore dei metodi
osservativi aperti, che descrivono in modo esteso gli eventi.
Insieme ad altri colleghi dell’Istituto di Psicologia dell’Università del
Kansas, W, studiò le relazioni tra gli individui e le caratteristiche degli
ambienti in cui essi vivono.
Secondo questi studi è fondamentale considerare l’interdipendenza tra
soggetto, comportamento e ambiente, poiché è nella vita quotidiana
che il primo si manifesta nel suo funzionamento individuale.
Accadono due fenomeni coincidenti: l’individuo cambia
comportamento a seconda delle circostanze, e persone diverse in uno
stesso ambiente avranno un comportamento simile.
Ciò dipende dall’organizzazione dei fattori contestuali che intervengono
a circoscrivere le azioni delle persone quando si ritrovano ad esprimersi
in un determinato ambiente.
Nella prospettiva ecologica, il principale elemento di rilievo è il LUOGO,
che ci racconta e ci aiuta ad interpretare i comportamenti delle persone.
Secondo W. il fine delle azioni creerà un’inter intenzionale e costante
nel comportamento del soggetto, e ha definito due unità fondamentali
nella teoria ecologica: behaviour episode e behaviour setting.
Quest’ultimo è la situazione specifica in cui vengono riscontrati
determinati comportamenti. Si descrive la struttura del setting e delle
dinamiche che si verificano. Gli schemi comportamentali dipendono
dall’ambiente, indipendentemente dalle persone coinvolte, e dipende
dalla struttura interna spazio temporale dell’ambiente stesso, e tale
ambiente rimane costante e invariato.
(Es: scuola ore 8-12, tutti gli studenti compiono lo stesso tragitto per
arrivare, allo stesso orario, per lo stesso motivo e frequentano le stesse
lezioni)

Si prende in considerazione in comportamento collettivo in determinati


ambienti fisici.
Ciò è utile per verificare cambiamenti negli schemi comportamentali
quando il soggetto si trova in setting diversi, pressione ambientale,

Cioè si fa tramite la registrazione di campioni (specimen records),


descrizioni narrative dei comportamenti e delle scene osservate, su
registratore, carta, della durata di 30 min. circa. Per ogni azione del
soggetto viene usata una breve frase descrittiva.

Principi metodologici:

-Contesto
-Scansione temporale
-Sequenza delle azioni
-Modalità delle azioni
-Descrizione oggettiva degli eventi
-Commenti a margine riguardo a tali eventi

Questa metodologia è utile specialmente per il suo carattere


procedurale, descrittivo e circoscritto. Non bisogna dimenticare di
considerare anche il pre e post evento descritto. E’ consigliabile usare
un linguaggio descrittivo non valutativo e giudicante, semplice ma
preciso, informativo.

Osservazione etologica:

Uno dei principali esponenti di tale teoria è il biologo Konrad Lorenz.


Questo metodo è nato alla fine degli anni ’70, da alcuni studi di
Eibesfeldt sulla comunicazione non verbale in diverse culture, su
schemi comportamentali di bambini con deficit sensoriali.
Secondo questa prospettiva, nello sviluppo del comportamento è
fondamentale la storia naturale del comportamento animale e umano, e
per ricostruirla è necessaria una descrizione dettagliata dei moduli
comportamentali, che sono frutto della selezione naturale che l’uomo
ha affrontato nella sua evoluzione per adattarsi all’ambiente circostante.
L’osservazione etologica, perciò, indaga le relazioni adattive
dell’individuo con l’ambiente in cui si sviluppa.

Etologia = biologia + zoologia + psicologia

Permane, come in quella ecologica, lo studio diretto nell’ambiente di


azione naturale, ma non c’è valutazione riguardo a motivazioni, e fattori
emotivo-affettivi.

Domande utili secondo Tinbergern:

-Qual è la motivazione all’azione in un determinato momento?


-Quali fattori di sviluppo hanno portato ad agire così?
-Qual’è la funzione di tale adattamento/comportamento?
-Perché questa specie di animale risolve un problema proprio con quel
comportamento?

In breve: causa, sviluppo ontogenetico, valore adattivo, filogenesi del


comportamento.

La metodologia prevede una descrizione oggettiva senza interpretazioni


dell’osservatore, e si cerca di convalidare empiricamente le categorie di
camportamento.
Hinde ne ha individuate di due tipi: una di natura fisica, e una in base
alle conseguenze socio-psicologiche di un comportamento.
I comportamenti vengono racconti in un ETOGRAMMA (repertorio
comportamentale esaustivo), in cui ogni comportamento viene riportato
e descritto.
L’obiettivo è quello di individuare, tramite questo etogramma, dei
pattern fissi di azione, delle stereotipie che si verificano da un
determinato campione di soggetti in un determinato ambiente.
L’etogramma ha un’organizzazione gerarchica_

-Tema (ambito comportamentale)


-Sottocategorie del tema (le sottocategorie di devono escludere a
vicenda, i comportamenti di una sottoclasse non si possono
sovrapporre a quelli di un’altra)
-Comportamenti specifici di ogni sottocategoria
L’osservazione etologica è particolarmente efficace nello studio della
prima infanzia e specialmente del comportamento sociale infantile, in
quanto in questa fascia di età l’inibizione è meno presente, il
comportamento è senza filtri, e quindi la valutazione in contesto
spontaneo risulta meno falsata.
L’attenzione di questa metodologia ad uno storico evolutivo, è utile per
ridurre in margine di errore, poiché chiarisce la valenza e la funzionalità
di un determinato comportamento in relazione non solo allo spazio, ma
anche al momento di sviluppo in cui il soggetto si trova.

Osservazione Piagietiana:

Piaget ha riportato invece all’attenzione all’esame clinico, una ricerca


tramite ipotesi, da verificare sistematicamente manipolando le variabili.
Un esempio ne è la sua teoria dello sviluppo del pensiero, che secondo
lui derivava dalle azioni (assimilazione di nuove informazioni, e
accomodamento di tali informazioni in schemi mentali precedenti, che
ne vengono conseguentemente modificati).

Secondo P. per accedere alla mente del bambino occorre osservare


senza falsare le sue risposte (atteggiamento clinico), ma al contempo
guidarlo gradualmente oltre la propria zona di comfort problematica
(sperimentazione). L’osservatore dirige e al contempo si lascia dirigere
da ciò che riesce già a formulare del pensiero del bambino e da ciò che
è ancora inespresso.

La metodologia prevede un colloquio clinico, poi ripreso e perfezionato


dal metodo critico (osservazione controllata).
Non ci si limita ad osservare, ma si interviene modificando
sistematicamente le condizioni all’origine dei comportamenti. La riposta
ne risulta, perciò, SEMPRE spontanea.
Le situazioni critiche e le modifiche vengono introdotte gradualmente
per facilitare la comparsa di comportamenti adattivi, nuovi e più
avanzati dei precedenti, e ne verifica mano a mano in consolidamento.
Le fasi e le tempistiche delle manipolazioni delle variabili non sono
decise a prescindere in base alla tesi che si intende dimostrare, ma
segue lo sviluppo longitudinale del processo individuale del soggetto
preso in esame.
E’ perciò fondamentale anche in questo caso osservare la storia del
processo assimilativo e non solo il fatto isolato.
Il punto di forza di questa teoria non è costituito da grafici e tabelle, ma
dal ragionamento sui processi osservati nel momento esatto in cui
accadono, e questo può osservare e prevenire i momenti critici che
generano disturbi. La conoscenza dello storico del soggetto può aiutare
a risalire a questi momenti, e quindi ad individuare, in casi di
regressione, la modalità di intervento più adeguata.

Osservazione psicoanalitica:

Nello studio psicoanalitico i dati vengono ottenuti per via ricostruttiva


(anamnesi), e sia tramite osservazione diretta del bambino con la
madre.
E’ necessario considerare entrambi, integrarli e metterli a confronto,
poiché nel racconto verbale del bambino durante la seduta, non è
inclusa la fase pre-verbale, perché non verbalizzabile.
Hanna Kennedy (1970), ha inoltre rilevato, oltre a questo “pezzo
mancante”, il fatto che i processi evolutivi reali possono non
corrispondere al ricordo narrato verbalmente nella seduta.
In questo è particolarmente utile la distinzione che fa Winnicott tra
“profondo”, cioè eventi lontani dal presente, e “sepolti” nell’inconscio, e
“precoce”, inteso come prime fasi di vita del bambino, e le
caratteristiche specifiche ambientali di quel periodo.
Viene perciò incoraggiata e consigliata la collaborazione di psicoanalisti
con osservatori diretti.

Metodologia:

Nel 1960 viene introdotta in Inghilterra l’osservazione del lattante nella


formazione psicoanalitica.
Tale osservazione avviene a casa, dura circa due anni, e tiene conto di
tutte le interazioni che il bambino ha con i famigliari.
L’osservatore è sia neutrale che partecipante. Collabora, ma non
assume ruoli che altererebbero le dinamiche famigliari e minerebbero
l’oggettività del suo punto di vista.
Bick affermò che questo tipo di osservazione è utile al terapeuta per
imparare a riconoscere il bambino che vive e si è sviluppato in ogni
paziente.
Il setting deve essere rigorosamente definito, il terapeuta è sottoposto a
supervisioni settimanali di equipe, mentre studia lui stesso il suo
operato, analizzando l’accaduto in termini anche di vissuti emotivi degli
osservatori.
E’ importante che questa metodologia rimanga iscritta in ambito clinico,
per la quale è stata progettata, a causa del coinvolgimento emotivo che
può provocare.

Il punto di forza di questa metodologia è sicuramente l’enfasi sulla


relazione e come queste prime relazioni primarie influenzino lo sviluppo
dell’individuo.
Delicata è invece la posizione dell’osservatore, che deve costantemente
monitorare la sua soggettività e coinvolgimento emotivo, come non può
tenere documentazione audio e video di situazioni di intimità famigliare.
L’essere interno alla situazione, in più, impedisce all’osservatore di
prendere appunti nel tempo presente, e quindi l’attendibilità postuma di
tali appunti presi in differita è danneggiata.

MUSICA E TERAPIA

Articolo 1: “Musica E Struttura Psichica” di Edith Lecourt

Lecourt, in Francia ha indagato su quale funzione svolgesse la musica


nella formazione della struttura psichica umana.
Per fare ciò è passata da primi esperimenti in cui si prendevano in
esame brani musicali specifici per verificarne l’influenza su
comportamento e affettività, e per capire se ci fossero musiche più
funzionali di altri in sede di terapia.
Alla fine degli anni ’70, però, si rese conto della poca specificità di
questa somministrazione in “pillole”, in quanto dagli esperimenti in
questione emerse che gli effetti delle musiche dipendevano
principalmente dalla qualità della RELAZIONE tra paziente e terapeuta
(fiducia), nonché dal contesto e dallo stato psico-fisico del momento in
cui venivano ascoltate, sia dal paziente, sia dal terapeuta.
Date queste premesse, l’attenzione delle ricerche si è spostata dal
brano in sé, alla funzione che questo svolge nella vita del paziente.
Prende in considerazione la dimensione temporale della musica come
storico del paziente, ma soprattutto si interroga sul bisogno sottostante
all’espressione sonoro-musicale, e sulla necessità di utilizzare più
codici e strutturazioni simbolici, in questo caso la diade verbale e
musicale.
L. Ha riscontrato che vi è una sensorialità di base ad entrambi i codici,
e ha studiato il ruolo dell’esperienza sonora nelle patologie mentali,
partendo dalla considerazione di come tale sviluppo parta già prima
della nascita.
Il fattore temporale è importante da considerare perché ci offre la
prospettiva secondo cui la verbalizzazione offre una singola
espressione orizzontale, mentre la musicalità offre nello stesso istante
più stratificazioni associate sincronicamente, che provocano il piacere
di una espressione di sé ad ampio spettro.
L. Ha dimostrato ciò analizzando la storia della musica, e il perché nel
medioevo si sia sentita la necessità di passare dalla monodia a alla
cosiddetta “espressione degli affetti” dei mottetti cinquecenteschi.
L’uniformità strutturale, stilistica ed espressiva determinata
politicamente/religiosamente e storicamente, confluita nel Canto
Gregoriano, si sostituisce l’intreccio e la sovrapposizione di più voci in
contemporanea, che si sviluppano in tutte le loro differenze (melodiche,
armoniche, ritmiche, testuali - testi diversi di natura diversa, alcune
religiose e altre profane; in lingue diverse!) sullo spartito.
Ciò può aiutare a descrivere le dinamiche sociali dell’epoca, e le
relazioni tra gruppi: dalla fusione, alla separazione che convive o si
frammenta tra i gruppi, sia per mezzo degli intervalli tonali nelle diverse
voci, sia per mezzo dell’ampliamento dello spazio musicale (proprio
fisicamente sullo spartito) a prospettive diverse di espressione.
L. Ha poi unito questi studi a quelli su gruppi di improvvisazione sonora,
analizzandone le relazioni tra i componenti interni a livello di
comunicazione sonora, e comprenderne gli sviluppi, in termini di
struttura (quand’è e com’è che il suono diventa musica per il gruppo?)
Quali meccanismi si intrecciano per strutturare una relazione basata sul
suono? Come fa il gruppo a organizzare i diversi stimoli percettivi?

La ha aiutata in ciò la comparazione tra i gruppi di psicoterapia


(verbalizzanti) e i gruppi di improvvisazione sonora (non verbale), e ne
ha dedotto che la struttura musicale consente di raggiungere tutte le
sfumature di comunicazione (in un “gioco” di contrasti tra fusione e
separazione), e che l’Io è in realtà un contenitore, un insieme
complesso che si riflette nel gruppo, e nel quale il gruppo si riflette. La
struttura musicale è il prodotto della psiche collettiva per come viene
strutturata nella mente del singolo, e quindi dei diversi aspetti che
compongono la psiche stessa.

La musicoterapia secondo L, si può quindi applicare in tre modi:

-Lavorare sulla strutturazione di una esperienza sonora per arrivare ad


integrare codici socio-culturali.
-Per lavorare sulla relazione: integrazione, separazione, fusione
-Per lavorare sull’elaborazione e l’espressione degli affetti legati alle
esperienze della prima infanzia, a causa della profonda incidenza della
polifonia di voci famigliari (contesto sonoro-musicale) che abbiamo
vissuto in quel periodo di sviluppo. Queste esperienze precedono la
verbalizzazione, e il gruppo di improvvisazione musicale funge da
contenitore per il recupero di questa espressione primitiva in quanto
esperienza affettiva.

Articolo 2: “La Riabilitazione del Ritardo Mentale e il Contributo della


Musicoterapia” di Giorgio Moretti

Si parte dal presupposto che il ritardo mentale non è una malattia da


cui si è affetti in maniera transitoria, ma è uno stato d’essere con basi
biologiche e determinanti genetiche, perciò con lo sviluppo degli studi
si è constatato che non ci sono modelli e tecniche specifiche in grado
di trovare sistematicamente soluzioni, poiché il ritardo mentale non è un
problema che si può risolvere.
Pertanto, oggi si pone l’attenzione soprattutto ai bisogni dell’ESSERE
ritardati e nella situazione in cui si trova ad essere il soggetto, e non
tanto alla condizione fisica della patologia.
Grande ricerca in quest’ottica è anche stata fatta negli U.S.A da
Whitman.

Detterman, negli anni ’80 ha rilevato come le diverse casistiche


possano ricondursi a due ipotesi: una settoriale e una globale.

Nel primo caso, vi è un danno specifico che ha provocato uno spettro


di conseguenze a cascata; nel secondo invece il danno è diffuso già a
partire dall’origine.
Anche nel primo caso, però, il danno è un dato di fatto, un “essere” che
ha significazioni globali, per cui non vengono richieste specializzazioni
degli operatori, ma un lavoro di equipe, in cui LA PRESA IN CARICO è
fondamentale nella gestione della patologia.

In questi casi si usa il termine “terapia” non tanto come procedura per
abbattere, limitare o cancellare un agente o condizione patogena.
L’obiettivo non è la guarigione, ma attività che mantengano attivo il
sé dell’individuo, evitandone la regressione o il collasso.
Sono ovviamente fondamentali anche in questo caso le indagini
scientifiche riguardo all’azione che la musica (attiva o passiva) può
avere su soggetti con patologie ad espressione psichica.
Ionescu, nel suo trattato relativo, annovera infatti la MT tra le
metodologie di intervento, con l’obiettivo di far accettare al paziente il
proprio deficit e a farne aumentare l’autostima, l’integrazione nel sé di
sfera emotiva e affettiva in maniera positiva, regolazione emotiva
(ridurre ansia e stress), migliorare la comunicazione e
conseguentemente le relazioni.
Questi obiettivi sono concreti e riguardano l’area educativo-
comportamentale, settore a cui mira la musicoterapia.
Tali studi dimostrano il valore affettivo di particolare incidenza che la
musica ha sui pazienti con ritardo mentale di qualunque gravità.

Per spiegar questo, Moretti prende in considerazione le basi


neurofisiologiche della musica, per cui essa agisce in maniera attiva o
passiva indipendentemente dal quoziente intellettivo, in quanto stimolo.
La musica è un canale di comunicazione che si apre in modalità
multiple, e questo facilita il contatto con il sé e con l’altro, nonché il
rispecchiamento e la scoperta di sé in una società dove la persona
ritardata ha poche occasioni e modalità di manifestarsi ed esprimersi.
La musica diventa per gli operatori un tramite attivo e creativo per
sviluppare un contatto con il paziente.
Un ulteriore punto di forza dell’approccio musicoterapico è proprio il
fatto che la musica dà un apporto fluido e stratificato dal punto di vista
dei codici espressivi, laddove nel percorso nel paziente gli apporti
riabilitativi si esauriscono nel tempo, soprattutto nel caso di situazioni
istituzionalizzate.
L’obiettivo fondamentale e l’apporto fondamentale di questi interventi
informali ma pur sempre clinici, è quello di preservare nell’individuo con
ritardo mentale, la capacità di essere ricettivo, di elaborare e filtrare, e
riuscire il più possibile di prendersi cura di sé e del proprio progetto
esistenziale, capacità che nel ritardato adulto manca.

Articolo 3: “La Musicoterapia Non Esiste” di Denis Gaita

Gaita parte dal presupposto Nattieziano che nessun oggetto ha


significato in sé, ma lo assume solo se messo in relazione con altri
fattori che fanno parte dell’esperienza del mondo dell’individuo.
Il musicoterapeuta, quindi, è colui che conosce e riesce a mettere in
relazione l’oggetto sonoro con il suo significato, e di riconoscerlo.
Può essere un oggetto sonoro qualsiasi: un frammento melodico, un
timbro, uno strumento, un pattern ritmico etc…
Queste risonanze derivano da sagome, strutture mentali formate, create
dagli affetti nel momento dell’esperienza sonora vissuta.
Ma come avviene la comprensione di tale significato?
Il linguista Benveniste afferma che occorre prendere in considerazione
sia la semiotica (descrittiva) che la semantica (associazione di
significato) di tali suoni.
Dunque, come fanno le strutture musicali a mettersi in relazione con i
contenuti mentali? Freud individua il link tra i pensieri non ancora
pensati non nelle parole, ma nei profili di segni e immagini da
combinare. Cioè, alla base del pensiero c’è un movimento: ad es. curva
melodica ascendente che ricorda la curva del braccio di mia madre
mentre mi culla. In questo caso la sagoma formale diventa il simbolo
perfetto per la mente per evocare un affetto vissuto durante una mia
esperienza di vita, nella globalità della sua percezione.
Questa è la base, perciò il musicoterapeuta deve avere famigliarità con
l’ascolto profondo, inconscio e dimenticato, e con le associazioni libere,
senza però perdersi nelle proprie analogie personali, e tenendo sempre
conto del fatto che ogni musica ha anche significati socio-culturali,
strutturali, storici, teatrali, vocali, etc.
E’ quindi importante, per il musicoterapeuta, fare esperienza della
musica per farla diventare, da mera nozione, un’oggetto interno che
serva come tool nella propria professione.

Gaita nota come la musica sia un tragitto simbolico che va verso di sé,
come diceva Boezio, ma anche verso il Mondo, e forse, verso la
comprensione del funzionamento primario della mente.
Sostiene che la musica guidi l’uomo attraverso questo tragitto tramite il
canto, che lui individua come fatto musicale primario. G. porta come
prova di ciò, ad esempio, il fatto che il buon esecutore è colui che
comprende il senso della musica tramite il riconoscimento del profilo
melodico-cantato di ciò che suona. Il musicoterapeuta deve essere in
grado di evocare sagome musicali.
A dimostrare tale simbolismo può essere di aiuto la scienza storico-
ermeneutica della psicanalisi, entro cui Bollas parla di un "conosciuto
non pensato”, in parte composto da un’eredità genetica (quindi
condiviso), poi messa a frutto dall’esperienza soggettiva, che
caratterizzerà l’individuo come tale, nelle sue personali associazioni e
nel suo personale “idioma” musicale.

La “cosa musicale” sembra avvicinarsi all’assoluto, perché racchiude in


sé gli archetipi del mondo che circonda, e che ci compone.
Lacan infatti afferma che non è tanto il trovare un oggetto nella sua
percezione presente della realtà, ma un ri-trovare questo oggetto e
riconoscere che è sempre stato lì, e che è ancora presente.
(commento personale: come il ritrovamento delle ossa che la
psicanalista Clarissa Pinkola Estes descrive nel suo libro “Donne Che
Corrono Coi Lupi”).
Nella storia di vita dell’individuo questi simboli vengono trasformati,
elaborati, persi, sostituiti, in un costante percorso di evoluzione.
Secondo G., il musicoterapeuta deve tenere conto del fatto che nella
musica, di fatto, di musica c’è ben poco, perché essa è composta di
arte, scienza, religione, storia etc… dalla realtà tutta, insomma, tra una
verità interiore e una supposta, e tramite essa ci pone in costante
ricerca su ciò che ci circonda.
La Musicoterapia, quindi, non esiste, come non esiste la musica a sé
stante, ma esiste la terapeuticità della relazione tra terapeuta e
paziente, che ha come terzo elemento mediatore e facilitatore, la
musica.

Articolo 4: “Metodologie Musicoterapiche in Ambito Psichiatrico” di


Marco Vaggi

In questo articolo viene fatta una sintesi riguardo all’applicazione in


psichiatria della musicoterapia come descritta dal “The European
Handbook Of Psychiatry” di Seva. Hanno dato il loro contributo, allo
scritto citato, i due musicoterapeuti Schwabe e Reinhardt.
Il disagio mentale viene visto come un insieme bio-psico-sociale, e la
MT viene definita come una forma di psicoterapia con tecniche di
intervento specifiche, senza finalità prettamente educativo-
pedagogiche.
Negli ultimi anni, in Germania, si è verificato un incremento della terapia
di gruppo, e si è ampliata l’area di azione a contesti non strettamente
ospedalieri, determinando un cambiamento nella flessibilità delle
tecniche musicoterapiche stesse. L’obiettivo, in questo caso, è spesso
riabilitativo.

La MT consiste in tecniche terapeutiche organizzate attorno


all’elemento musicale dell’attività svolta.
La Musica viene usata principalmente in tre modalità:

-Ascolto (ricezione)
-Riproduzione musicale: canto, arrangiamento, danza (tutto ciò
prevalentemente con repertorio prevalentemente folkloristico).
-Produzione musicale: Improvvisazione con strumenti ritmici, melodici,
corpo.
La MT favorisce l’espressione di contenuti emozionali, e funge da
OGGETTO INTERMEDIARIO (come concettualizzato da Benenzon), con
la capacità di aggirare pattern comunicativi patologicamente
predeterminati, anche grazie a una comunicazione privilegiata non-
verbale.
La MT viene usata come strumento per mettere in luce i processi interni
alla comunicazione, e diventa una forma specifica di linguaggio umano.
L’attenzione del mt viene posta all’aspetto comportamentale-relazionale
ed espressivo, affettivo-emozionale, in base ai quali, NELLE DIVERSE
SITUAZIONI SPECIFICHE, verranno scelti determinati compiti musicali
per il paziente. La finalità principale NON E’ ESTETICA.

Metodologie impiegate

1) Terapia del canto: 20-30 pazienti che usano la voce in diverse


modalità. Riproduzione di canzoni, canoni, fantasie; improvvisazione
vocale melodica (tonale e ritmica) creativa; manifestazioni
elementari di suono vocale (gemiti, sospiri, sbadigli); canto a bocca
chiusa di note, anche senza vocalizzazione, prediligendo l’aspetto
dinamico e musicale.

2) Improvvisazione strumentale: 8-12 pazienti coinvolti in attività


produttive spontanee con strumenti elementari che non richiedono
specifiche competenze musicali (es. tamburi), o col proprio corpo
(mani, piedi, etc.). Tali attività possono essere orientate a produrre o
riprodurre temi musicali; a produrre un insieme di suoni senza un
tema musicale specificato; a utilizzare metodi musicali per
rappresentare oggetti o situazioni esterne o interne al gruppo.

Quando vi sono gruppi di improvvisazione di movimento su base


musicale, ciò viene distinto dalla danza perché non sono richiesti
movimenti prescritti e strutturati, e qualora si utilizzi la danza come
procedimento terapeutico, vengono usati riferimenti di danze e
movimenti relativi conosciuti dal gruppo.

L’obiettivi dei gruppi di ascolto (8-12 pazienti) è quello di sviluppare una


maggior consapevolezza riguardo ai propri pensieri ed emozioni, e
l’attività viene strutturata in due parti: 15 min. circa di ascolto, e 30 min,
circa di riflessione.

Ogni attività musicale sopra descritta è seguita da un feedback verbale


del gruppo.
Shwabe and Coll. prendono in considerazione la musicoterapia come
particolarmente efficace in tre campi nosografici di intervento: psicosi,
tossicodipendenze, geropsichiatria.

Psicosi:
Musicoterapia attiva e cantoterapia.

-Miglioramento dei sintomi e crescente aderenza alla realtà grazie al


rispecchiamento nel gruppo.
-Attivazione e sviluppo di schemi psicomotori
-Maggior consapevolezza della propria espressività emozionale, e
conseguente sviluppo, differenziazione e modulazione.
-Maggiore autonomia, collaborazione, e senso di responsabilità.
-Sviluppo delle capacità di interazione tramite il non-verbale.

Tossicodipendenza:
Improvvisazione strumentale e di movimento.

Intervento su aree della personalità, comportamenti e atteggiamenti,


modi di reagire. In quest’ottica la relazione interne tra i partecipanti e tra
partecipanti e terapeuta sono gestite per favorire il processo
terapeutico in tali aree.

-rilassamento che contrasta tensioni da addiction


-sviluppo della creatività
-sviluppo e differenziazione di un ruolo sociale all’interno di situazioni
concrete di gruppo
-sviluppo della consapevolezza di aspetti dannosi e destabilizzanti della
propria personalità.

Geropsichiatria:

Per quanto riguarda gli anziani, l’obiettivo è principalmente quello di


potenziare e consapevolizzare le componenti sane della personalità del
paziente, creando situazioni esperienziali adeguate alle condizioni
specifiche di ogni gruppo nel qui e ora.
L’insieme bio-psico-sociale dell’individuo richiede, quindi un intervento
sul paziente che non sia solo ed esclusivamente musicoterapico, ma
organizzato per livelli e all’interno di una equipe multidisciplinare, di
diverse specializzazioni terapeutiche che collaborano ad una terapia
globale, creando di fatto un contesto terapeutico efficace.

Articolo 5: “L’Inventiva Del Terapeuta Come Fattore Di Terapia” di


Giandomenico Montinari

La creatività viene qui intesa come la capacità di ricerca,


sperimentazione, apertura al nuovo sconosciuto, che porta a sviluppare
capacità di organizzazione e riorganizzazione.
Questo è ciò che dovrebbe fare il terapeuta: guidare il paziente allo
sviluppo di modelli creativi che portano alla trasformazione positiva del
sé.
Qual è la situazione che permette questo processo?
Sicuramente interviene il fatto che arte e psicoterapia hanno la stessa
matrice comune, e quindi alla radice sono la stessa cosa: espressione
di sé all’interno di una relazione, con lo stesso obiettivo catartico, o di
cura.
Storicamente si era partiti da riti rappresentativi (drammatizzazione) in
cui vi era una messa in scena di maschere archetipiche che
raccontavano il mito dell’uomo da diversi punti di vista, per conoscerlo
e padroneggiarlo meglio.
Tali attività primordiali mimico-narrative-rituali e simili al gioco infantile,
un tempo (es. Greci) unite, si sono poi differenziate nei diversi ambiti
(religioso, teatrale, medico, sportivo, e gli spettacoli di tutte le tipologie.

Caratteristiche comuni di esperienza artistica e psicoterapia:


tecnicismo, ricerca dell’efficacia, specializzazione, obiettivo di curarsi
esistenzialmente e rassicurarsi; componente ludica (gioco delle parti
interne ed esterne - relazione sé-altro/sé-pubblico, come anche di
conscio e inconscio/sonno che continua a giocare durante la veglia).

Ciò è stato dimostrato da riscontri storici e archeologici che riguardano


i paradigmi formali, la cornice e le loro strutture.
Sia nell’arte che nelle terapie viene riprodotto, tramite strumenti
corporei (suoni, immagini, movimenti, senzadioni), un modo di
funzionare della mente in cui vengono inibite le funzioni deputate
all’interfacciamento con la realtà esterna (come nel sogno), per attivare
delle modalità di riproduzione/messa in scena della realtà stessa, nel
quale vige la libertà espressiva non condizionata dalle leggi di quel
mondo lasciato all’esterno.
Questa capacità dell’essere umano è insita nella biologia del cervello,
ed è derivata da una comunicazione particolare tra emisfero destro ed
emisfero sinistro.
Nel sonno, come nei rituali di diverso tipo (anche il sonno in cui certo
senso lo è, perché avviene con costanza e regolarità tutti i giorni), le
funzionalità dell’emisfero sinistro vengono sospese, e lasciano spazio a
quelle dell’emisfero destro.
La stessa cosa, per il suo carattere di ricorrenza facilitato dal terapeuta
o artista “officiante, avviene durante le terapie e le attività artistiche di
vario tipo, che conservano le caratteristiche dei loro precursori biologici
ed antropologici.
Durante questi “riti” terapeutici avviene:
-perdita del senso del tempo (passato, presente, futuro)
-Viene annullato o attenuato il principio di identità, in cui i ruoli possono
essere scambiati o adoperati funzionalmente all’obiettivo
-Viene fatta emergere una logica analogico-figurativa, in cui le
rappresentazioni del mondo avvengono in maniera più concreta (gesti,
suoni, immagini, emozioni), e non con parole o concetti astratti.
-Il proprio mondo interno riacquista una particolare rilevanza

A causa di questa dimensione non ordinaria, però, si rischia di mitizzare


l’esperienza, creando una dissociazione dannosa.

Per non cadere in confusione, occorre tenere in considerazione tre


punti fondamentali alla base del setting terapeutico, come del sogno, e
in cui viene scomposta l’esperienza umana:

1)Chi crea i contenuti della situazione? Nel sogno è l’inconscio/


bambino interiore libero; nel rito pubblico, è l’immaginazione di chi
assiste, che opera una regressione condivisa tramite le tematiche
proposte. Caratteristiche materne.

2)La realtà. Inesistente fisiologicamente nel sogno, e fuori dal setting


(stanza, palco etc.), che fa da cornice, da spazio “sacro” che contiene il
non ordinario, e in cui si operano procedure per arrivare da una
determinata condizione regressiva. Caratteristiche paterne nel modo in
cui il bambino vede la realtà esterna (setting-padre, cornice).
3)Il sognatore/paziente, o chi lo rappresenta durante il rito/sogno/
seduta, che è li come una coscienza esterna che osserva e vive il
processo di regressione, senza mai intervenirvi. Punto passivo di
confluenza tra conscio e inconscio.

Il rito semplifica il complesso, da adulto lo fa tornare bambino.

Il mt deve prestare attenzione a non identificarsi con il ruolo che


interpreta in tale rito a seconda delle diverse esigenze, monitorandosi, e
monitorando il paziente.
Nel sonno e nella seduta, l’inconscio/personaggio agisce prendendo e
mescolando a seconda delle esigenze, tutto ciò che appartiene
all’archivio della persona sveglia, e la psiche elementare recupera la
propria unità e coerenza.
Il rito è qualcosa di ricorrente e ciclico, che presuppone cicli di apertura
e chiusura, come il respiro (insp-esp), il giorno e la notte, l’inizio e la fine
di una frazione temporale in un posto specifico.
L’obiettivo è raggiunto quando queste tre parti dell’esperienza umana
rimangono integrate anche dopo la chiusa del campo rituale.
L’inventiva-creatività del terapeuta è fondamentale per creare questo
processo, in quanto la creatività nelle sue caratteristiche di non
condizionamento, la mancanza di difese e della novità, è propria della
natura del bambino. Prevede cioè una destrutturazione di schemi
pregressi, e cambia il mondo circostante con soluzioni originali,
basandosi sul puro funzionamento del’inconscio. Ciò serve da
sostegno e flessibilità quando l’individuo si trova in situazioni esterne
rigide.
Durante questo processo, l’individuo ha oggettificato sé stesso,
prendendo il potere di sé nelle sue parti riemerse e trasformate da lui
stesso, e inserendosi in una visione di insieme, una realtà esterna che
lui accetta, perché la ha oggettificata come sua parte paterna e
integrata come parte di sé, come generata da lui.

Questa dualità tra artista e produzione, tra soggetto e oggetto non è


così netta, ma è necessaria per permettere il suo essere plasmato e
riprendere una nuova vita propria a livello di soggetto.
Questa particolarità del processo creativo è utile perché trasforma gli
oggetti in metafore pregne di significato fruibile e comprensibile per
tutti, e in contatto con un’armonia di fondo.
Nel processo terapeutico, questi oggetti sono i sintomi, che
rappresentano pezzi di inconscio che non sono riusciti a svilupparsi a
livello cosciente, che hanno perso la loro fluidità, irrigidendosi fino a
manifestarsi in azioni frammentate e lontane, non riconosciute sia da
chi le ha create che da chi ne sarebbe il destinatario, poiché hanno
perso di significato per l’individuo stesso, creando incomunicabilità.
L’invenzione dà un riconoscimento, una validazione pubblica
all’inconscio, come nell’interpretazione Freudiana, tramite il lavoro tra
interno ed esterno. Questo lavoro dà all’inconscio la possibilità di
spiegarsi, e lo rende espressione obiettiva tramite simboli. In questo
modo rende il sintomo un simbolo, dandogli valenza comunicativa, in
modo che l’interlocutore possa comprenderlo e portato dentro e fuori
nella sua concretezza.

Articolo n. 6: “Il Senso Estetico E La Sofferenza Psichica: accostamento


stridente o scommessa terapeutica?” Di Elena Giordano

Come possono menti e corpi malati avere e/o produrre senso estetico e
percepirlo?
L’arteterapia si propone di utilizzare l’arte intesa come ricerca del bello
a fine terapeutico, proprio in quelle situazioni in cui l’individuo ha un
corpo deforme, e/o una mente che non riesce a riconoscere la bellezza
propria e del mondo circostante.
In questo approccio non si interviene direttamente sulla rieducazione
(igiene, abbigliamento appropriato, cura di sé, competenze lavorative,
integrazione nella società), ma si utilizzano le arti e i loro strumenti
come mediatori per la ricerca del personale senso del bello del
soggetto, da condividere con gli altri.
Nelle artiterapie, i risultati ottenuti nel percorso terapeutico vengono
dimostrati dall’evoluzione evidente delle opere dei pazienti, che vanno
di pari passo al loro cambiamento comportamentale e alle loro modalità
di interazione con gli altri.
Non si tratta tanto di quali tecniche hanno funzionato e perché: non è la
tecnica che cura, ma i fattori specifici di ogni relazione tra terapeuta e
paziente.
I fattori del godimento, del bello e del piacere sono strettamente
collegati tra di loro “E’ bello perché mi piace”, e hanno particolare
valenza nella terapia per quanto riguarda i pazienti psicotici.
Questo perché nei pazienti psicotici si riscontra una mancanza di
interesse verso tutto ciò che è esterno, che si manifesta con una
passività e scarsa relazione con un oggetto “altro”.
L’arte invece motiva a causa del suo intrinseco aspetto ludico, che non
è presente in un “fare” imposto e generico. Le arti permettono
un’infinità di possibilità in un contesto circoscritto, percepito non come
fonte di ansia o paura, ma come possibilità espressiva in cui misurarsi.
Lo spazio, l’ambiente, è ri-creato a propria misura.
L’arte NON E’ fuga dalla realtà, ma una sua oggettivizzazione in chiave
simbolica, prodotta in forma di opera tangibile e condivisibile, che
perdura nel tempo e nello spazio che prima erano rifiutati, e di cui ora,
grazie alla sua produzione, il paziente si riconosce come parte
integrante.
In quanto prodotta da sé, quella parte espressa non viene più
dissociata dalla propria identità, ma riconosciuta, ed è un oggetto
transizionale che appartiene sia al creatore che al mondo esterno.
Questa transizione in un percorso terapeutico, è auspicabilmente un
ponte da percorrere per arrivare alla realtà riconosciuta anche snelle
sue componenti piacevoli.
Per questo motivo è efficace, specie per i pazienti più gravi, una
arteterapia attiva.
Il fare arte favorisce il contatto con la realtà, proprio perché la differenza
tra sogno e realtà consiste nella sua tangibilità.
L’arteterapia pratica può essere anche riabilitazione di movimenti (ad
es, quando si dipinge, si danza e si suona), e la ri-scoperta di essi in
nuove forme e modalità, nel ritrovare valori universali e condivisibili con
gli altri.
Nel valutare il percorso del paziente è fondamentale conoscere,
sfruttare e rilevare gli aspetti formali delle arti che fungono da ponte,
nella loro evoluzione all’interno delle produzioni del paziente.
I materiali stessi delle varie discipline sono mezzo tangibile per
acquisire dei codici e tramite essi formare il pensiero.
Elena Giordano, che è pittrice e arteterapeuta, individua nella copia dal
vero un aiuto importante, perché, ad esempio, nel caso dei corpi umani,
le strutture corporali umane sono sempre le stesse, ma variano le
caratteristiche, e così stando in uno stesso contesto tematico, se ne
variano i contenuti EVITANDO IL RINFORZO DELLE STEREOTIPIE DEL
PAZIENTE.
Si lavora sulla composizione dei soggetti dei quadro, la loro posizione,
le relazioni spaziali tra gli oggetti e la coerenza tra di loro, per creare un
insieme che abbia senso per il paziente.
Nel caso dei ritratti, l’autore è stimolato a trovare le caratteristiche
peculiari del compagno ritratto, e successivamente a trovarne il bello
per non urtarne la sensibilità, e ciò rafforza la relazione (la proposta di
fare ritratti o di essere ritratti è soggetta a accettazione o rifiuto).
Nel ritratto dell’altro c’è un pò dell’autore, perché esso evidenzia il
proprio punto di vista sull’oggetto ritratto. Questo stimola un
autoriconoscimento e il riconoscimento dell’altro, in aspetti nuovi
rispetto alla rigidità degli schemi e delle stereotipie della propria psicosi.
Ci si concede così il diritto al piacere, e di contatto con l’altro (guardare)
e con sé stesso, e ciò può essere utile anche nel caso di traumi relativi
a violenza sessuale, come con problematiche fisiche in cui non ci si
riconosce nel proprio corpo o con parti di esso, in quanto ciò porta
anche a svalorizzazione di sé e il non concedersi di esistere come
essere autonomo e differenziato.
L’arteterapia è una ricerca del bello non elitaria per i più dotati, ma un
percorso unico che può fare parte della vita di ogni individuo.
L’identificazione del paziente in un oggetto bello è quindi una potente
presa di potere all’interno della propria vita, in quanto il prodotto non è
semplicemente un’azione, ma diventa simbolo della capacità personale
di comunicare, di agire con un riscontro riconosciuto da sé e dal
mondo.

Articolo 7: “Terapie Espressive E Strutture Intermedie”, di


Giandomenico Montinari.

Le terapie espressive vengono definite da M. come un’insieme di


tecniche a prevalente canale comunicativo non verbale, e non limitate al
contenimento logico delle emozioni, la cui espressione viene favorita da
uno strumento tramite e di una cornice legata al mondo dell’arte nelle
sue diverse discipline.
Anche nelle terapie verbali quando il paziente descrive una scena
vissuta, interpreta un ruolo e recita una parte sul “palcoscenico” dello
studio, con pubblico e partner nel terapeuta, in cui i ruoli di paziente e
terapeuta sono in quel momento invisibili, a causa dell’artefatto tecnico.
Per valorizzare le componenti non verbali di una seduta verbale,
dovremmo ricorrere a tecniche di mediazione più psicanalitiche, come
psicodramma, teatroterapia o terapia gestaltica, ma non sempre questo
è possibile o rientra nella priorità di intervento.
Come le sedute verbali utilizzano materiale non verbale, è vero anche
che le terapie non verbali non censurano il verbale e spesso lo
utilizzano.
In entrambi gli approcci c’è una commistione di verbale e non verbale,
in quanto l’espressività pura di uno solo dei due canali comunicativi non
sarebbe terapeutica.
La differenza sta nel tipo di atteggiamento verso il paziente: nelle
terapie espressive si favorisce la libera espressione delle emozioni,
mentre in quelle verbali si cerca di contenerle e circoscriverle.
Sono due filosofie differenti e difficili da conciliare, ma anche se non
sempre possono e devono convivere, perché la terapia sia efficace,
devono avere un intreccio armonico nella relazione tra terapeuta e
paziente.
La terapia deve, infatti, provocare un dialogo tra struttura e non-
struttura, tramite un percorso che implica inizialmente un processo di
punto di rottura, una distanza e una destrutturazione, tramite
regressione a stadi infantili e pre-verbali.
Il punto di forza delle terapie non verbali è che trasforma un’emozione
indefinita o un conflitto, in qualcosa di tangibile, coinvolgente e
armonicamente composto. Unifica, cioè, le esperienze in un unico
oggetto, che prende forma nuova rispetto all’emozione che lo ha
generato, e da cui esso prende distanza, perché facendo a meno della
parola, si sottrae al confronto con una rigida realtà esterna. Ed è in
questo che c’è la debolezza di tale canale comunicativo: tale distanza
può diventare evitamento di quel confronto che porta oltre alla zona di
comfort, alla crescita e al cambiamento.
E’ esemplificativo di ciò il percorso delle scritture: dagli ideogrammi che
rappresentano l’oggetto in questione, alla scansione delle sillabe (parti)
che lo compongono, e poi nei suoni definiti con segni scelti condivisi
dalla collettività.
Si è da una parte perso il contatto diretto con l’oggetto e la sua
manifestazione concreta e definita, ma d’altra parte c’è la strada
alfabetica, che è più obiettiva e precisa, snella.
Vi sono due filoni di psicoterapie: uno che raggruppa quelle che
privilegiano la realtà esterna, l’adattamento sociale, la tecnica e le scale
di valori (sistemica, comportamentista, freudiana e derivati - Lacan e
Kein), e uno la cui attenzione è sull’individuo e sulla sua realizzazione,
l’indipendenza dai condizionamenti, l’espressione delle emozioni
(junghiana, umanistica, transpersonale, Gestalt, terapie espressive).

Montinari definisce come ambiente fortemente terapeutico, quello che


mantiene un’alta tensione tra polo identificativo, non-verbale materno, e
quello paterno, esterno, reale e verbale, all’interno di un contesto
ludico-rituale in cui vi è una presa di distanza e una rappresentazione
simbolica delle cose, come anche nello spazio psichico tridimensionale
concettualizzato da Freud.
Il modello “Madre - Padre - Io Potenziale”, è efficace per individuare le
dinamiche interne ed esterne del paziente. Se lo spazio tra queste
coordinate non c’è o si è frammentato, bisogna intervenire dall’esterno
per evitare lo sviluppo di patologie.
La prassi è di usare tecniche non verbali in situazioni terapeutiche che
hanno per oggetto bambini, psicotici e pazienti con handicap di vario
tipo, e in cui occorre lavorare su strutturazione e non-strutturazione. In
questi casi è utile per dare una forma, figura comprensibile alla
destrutturazione. La debolezza delle terapie non verbali può l’aspetto
paterno dell’intervento, e cioè il setting e il suo utilizzo più libero.
Pertanto è consigliabile che l’arteterapia sia integrata con altri approcci
a carattere più paterno e non sia l’unica tecnica utilizzata nel percorso
del paziente, oppure che venga usata in maniera più paterna, oppure
utilizzata in maniera più paterna dal terapeuta, che darà consegne più
precise riguardo all’organizzazione del processo di produzione.
E’ maggiormente efficace un setting articolato, con un’equipe di diverse
specializzazioni, e in cui alcune di esse siano più paterne, improntate su
una maggior divisione dei ruoli, della cronologia, etc. con l’obiettivo di
contrastare la tendenza alla globalità indifferenziata tipica dei pazienti
psicotici.
Il terapeuta espressivo deve astenersi dal dare un taglio psicoanalitico
al suo lavoro, cioè dal dare interpretazioni su ciò che viene fatto.
L’approccio materno, invece, è sempre efficace, perché pone l’accento
sull’accettazione e quindi il paziente viene maggiormente stimolato all’
apertura.
Tuttavia, come già detto in precedenza, solo un confronto tra queste
parti può portare ad una terapia efficace.
Inoltre, è importante nelle sue dinamiche, il rapporto tra i membri
dell’equipe di lavoro e all’interno dell’istituzione entro cui si agisce, il
concordare gli obiettivi comuni e la loro direzione nelle diverse fasi del
percorso terapeutico.

Articolo n.8: “IL SUONO DELLA VOCE IN PSICOPATOLOGIA”, di


Gerardo Manarolo e Franco Giberti.

La voce costituisce la struttura attorno alla quale si organizza lo


sviluppo psicosomatico del bambino, e la sua gestione dipende dalla
consapevolezza del meccanismo di inspirazione ed espirazione, che
contribuisce alla conoscenza del proprio corpo. Attraverso l’udito, il
bambino incorpora la voce dei genitori, elemento che va a strutturare il
suo mondo interno.
Secondo Lecourt, queste sonorità famigliari vengono percepite dal feto
come un’unica produzione sonora in cui i soggetti “strumenti” si
intrecciano tra loro, chiamata eterofonia, come intesa da Stumpf nel
1901.
Il feto, e poi il neonato reagiscono a questo ambiente sonoro,
rispondendo ad esso. Alcuni di questi suoni vengono fissati e
oggettificati dal bambino, e diventano il suo “imprinting”, il suo punto di
riferimento, all’interno di un ambiente sonoro confuso, tra eterofonia e
unisono.
Il bambino si modula su di essi, perciò diventano una sorta di “oggetto
trasformativo”, che inizia a formare la relazione di cura e che plasmano
il bambino nella sua globalità.
Le caratteristiche acustiche di tali voci rappresentano modelli famigliari
della cultura di appartenenza, con il loro profili melodici che assumono,
dei ruoli all’interno della struttura del bambino, e si nota come in alcuni
quadri psicologici abbia avuto più incidenza l’aspetto sensoriale (ad es.
la reazione ad una certa dinamica per esempio forte e acuta), rispetto a
quello del ruolo relazionale che la produce (ad es. madre).
L’eterofonia è la base dell’organizzazione armonica polifonica, come
anche le differenze timbriche biologiche di maschile e femminile.
Secondo Lecourt, infatti, l’interiorizzazione del gruppo vocale famigliare
è all’origine delle strutture musicali di gruppo, e il punto di partenza per
arrivare all’integrazione armonica delle parti di sé: dal caos di questa
fuzione, alla discriminazione, alla convivenza di questo multiplo di voci.
Anche Freud sosteneva che l’inconscio fosse composto dalle “parole
ascoltate nella prima infanzia”.
Si fa notare come le nostre conflittualità psichiche siano come delle
voci discordanti tra di loro che convivono in noi, in una sorta di polifonia
di fondo.
La risoluzione di un conflitto può essere descritto infatti da una
distensione/cadenza perfetta a chiusura dell’armonia (non a caso in
musica si chiamano così le chiusure armoniche).
Le dinamiche e caratteristiche di questo insieme vocale determinarà
l’ISO del soggetto.
Il bambino interagisce con l’ambiente tramite le sue produzioni vocali di
vario tipo, e sono il suo link tra il prima (pancia) e il dopo (essere umano
autonomo).
Il grido gli assicura assistenza fisica ed emotiva (cibo,affetto, da lì il
collegamento di cibo=affetto), ed è il primo modo in cui si impone
sull’ambiente (lui piccolo, ambiente grande), il suo primo potere su un
mondo ancora estraneo.
Il grido rappresenta lo strumento solista, che inizia a dialogare con il
gruppo di “strumenti” famigliari quando la mamma risponde anche
vocalmente alle sue richieste di aiuto, avviando lo “specchio sonoro”,
come descritto da Anzieu.
Le alterazioni di questo dialogo sonoro in questa prima fase, possono
essere la base di sviluppi psicopatologici.
Ad esempio, viene disatteso lo scambio, rude, eccessivo, scostante,
contraddittorio, contrastante, impersonale.
In questo dialogo il bambino dovrebbe venire informato su di sé e sul
suo interlocutore, e quando ciò non avviene, manca in lui un punto di
riferimento su cui plasmare il proprio sé, e il suo modo di autoregolarsi.
Un disturbo fonematico derivato da una incongruenza semantica
verbale/non-verbale (tipo un’ingiunzione paradossale, ad es. ti dico che
ti voglio bene, ma te lo urlo in modo aggressivo), potrebbe favorire lo
sviluppo di schizofrenia, o, a seconda della gravità di questa
incongruenza, disturbo narcisistico o reazioni psicosomatiche che si
riflettono su adattamento scolastico, a livello intellettuale e sociale.
La voce è il primo modo in cui il bambino si associa al proprio corpo, in
maniera naturale e non ancora articolata nel linguaggio verbale, e che
poi assume una codifica una volta inserito nel gruppo vocale famigliare.
E’ tramite questa relazione che il bambino inizia a riconoscersi e ad
essere riconosciuto come soggetto. Nel suo sviluppo la voce diventa la
terra di mezzo in cui si incontrano l’espressione di affetti e pulsioni
(corpo e inconscio), e la rappresentazione del mondo tramite le parole
(pre-conscio/conscio).
Quando prevale la dimensione senso-percettiva, si rischia di perdere la
valenza simbolica del suono, mentre quando prevale quella verbale, il
segno irrigidisce l’espressività vocale, e diventa codice vuoto.
L’equilibrio sta nel mezzo, tra l’esasperazione corporea e del
formalismo del linguaggio, da ciò deriva l’efficacia della voce come
oggetto transizionale.
La voce è collegata al pensiero e lo determina a livello pulsionale,
mutando in relazione al tono psicologico, che si manifesta attraverso
intonazione e fonazione.
Le caratteristiche dell’espressività vocale si sviluppano insieme alle fasi
dello sviluppo sessuale:
1)Lallazione: funzione alimentare, unione con la mamma, piacere
sessuale connesso alla successiva voce cantata e parlata. La voce può
essere trattenuta o rigettata a seconda di sentimenti piacevoli o
spiacevoli (parallelismo con fase anale). Lo stato d’animo reale
sottostante può essere rilevato non solo con le caratteristiche sonore
(ritmo, altezza, dinamiche, velocità, accenti), ma anche fisiche (vene sul
collo in evidenza, quando c’è ritenzione, ad es.). Prima della pubertà
voce femminile e maschile sono simili, poi avviene un processo attivo di
differenziazione.
2) Nella fase fallica viene presa coscienza di questa differenza di timbro,
ma la voce del bambino non è ancora mutata. In questa fase si scopre il
piacere legato all’emissione/espulsione da parte di entrambi i sessi. Più
vocali, suoni più rilassati ma in potenza, con attacchi duri e forti,
ripetizioni della stessa configurazione melodica. Dal punto di vista
edipico è quando il bambino si identifica col padre, ma non ha ancora
la voce grave.
3) Stadio genitale, la voce maschile di differenzia, e raggiunge la
maturità sessuale. Qui avviene una problematica identificatoria, che
nasce dal precedente conflitto Edipico.
La voce si sessualizza biologicamente, ma a volte l’identificazione
psichica può essere più decisiva ancora, e questo può dipendere anche
dalla voce che è stata più incidente per il bambino durante il periodo
del gruppo vocale famigliare indistinto.
L’espressione di una risoluzione sana di questo conflitto sarà una voce
piena, senza costrizioni laringee, senza fughe d’aria per ipotonia o
ipertonia (sfregamento imperfetto delle corde vocali), articolazione
melodica funzionale ad una giusta evoluzione prosodica.

Lo stile verbale che caratterizza ciascuno in modo diverso, è il frutto di


una comunicazione preconscia e inconscia, che trasmette un
messaggio primario in una determinata combinazione fono-
articolatoria.
La differenza tra il suono mentale e la sua produzione, tra intenzione ed
effetto, produce il personale stile dell’individuo. Determinati gesti vocali
(atto articolatorio che vuole riprodurre un fonema), se assumono una
certa costanza, oltre che a caratteristiche individuali e a messaggi,
possono rappresentare dei conflitti irrisolti che permangono.
Il messaggio vocale in questo caso non esiste nella sua coerenza,
poiché la voce è parzialmente scollata dal messaggio verbale che
veicola e dall’ambiente circostante.

Lavorare sulla voce in ambito psicopatologico, significa lavorare sul


rapporto tra voce e corpo e la loro integrazione o dissociazione come
specchio dell’identità.

Vengono riportate testimonianze riguardanti casi di pazienti di Freud,


Ferenczi e Ostwald, in cui si descrivono casi affetti da sintomi vocali.
Si evidenzia come le emozioni possono scindersi dal contenuto
emotivo e riapparire in forma vocale senza motivazione conscia.
Un’altra funzione del gesto vocale disfunzionale può essere quella di
drammatizzare (ciò dare una forma più accettabile) ad un desiderio
inconscio del paziente (ad es. R. che vuole strangolare lo zio, ma non
può, allora somatizza una contrazione della laringe), avere una funzione
compensativa o rispecchia una regressione ad uno stadio specifico
dello sviluppo non vissuta nella sua fluidità.

Moses ha descritto i tratti specifici che caratterizzano la voce nel


paziente schizofrenico: ritmo > melodia, registri spesso separati (testa e
petto), assenza di pathos, poca risonanza nasale, prosodia dissociata
dal contenuto, manierismo/stereotipia, accenti non appropriati.

Muller ha confermato attraverso statistiche come il ritiro affettivo dei


pazienti schizofrenici corrisponda a un’assenza di melodia nel parlato,
altezze e dinamiche sono appiattite.
Nella psicosi maniacodepressiva, invece si rilevano: accelerazione del
ritmo, contrazione e poche pause (durante fase maniacale); dilatazione
delle pause e rallentamento del ritmo, prosodia monotona e di debole
intensità (fase depressiva).

In ambito clinico, possono verificarsi diverse manifestazioni sonore e


vocali:
-Silenzio: nei quadri psicotici, se è totale rappresenta un vuoto interiore
e un ritiro, una rinuncia al contatto col mondo, e può assere associato
all’arresto parziale o totale del corso del pensiero; in altri casi può
essere una semplice pausa comunicativa prima della parola.

-Una voce debole o fievole può essere un segno depressivo, o nello


schizofrenico-delirante un sussurrare alle proprie allucinazioni-
ossessioni.

-Le risa possono coincidere con il sentire del paziente, oppure


dissociarsi dal contesto ambientale e dal contenuto della sua
comunicazione.

-Le grida (nelle loro varie valenze e modalità espressive) sono


direttamente collegate all’aspetto corporale, ed esprimono l’intensità di
emozioni non controllabili: se incanalati nel canto possono diventare
oggetto integratore tra voce e corpo (legato anche a tristezza e
sessualità), oppure diventare un’espressione narcisistica.

-Le voci delle allucinazioni schizofreniche, rappresentano


l’esteriorizzazione delle voci interne del paziente, da cui esso si dissocia
e sente come esterne. Può ascoltarle, obbedire ad esse o fuggirle, ed è
spesso in conflitto con esse. Contemporaneamente alle allucinazion,
accade frequentemente un discorso infravocale (due volte più rapido
del normale.
Le caratteristiche sonore di queste voci possono essere di sconosciuti,
oppure, nella maggior parte dei casi, replicare quelle di una persona
che ha avuto o ha un’incidenza particolare nella vita del paziente, e
questo può aiutare ad identificare l’origine di alcune dinamiche di
conflitto.
Le frequenti modificazioni della voce nella totalità delle sue
caratteristiche, può darci importanti indicazioni non-verbali sulla
modificazione dello stato d’animo del paziente durante le sedute, anche
quando non è possibile seguire il filo logico-associativo del discorso e
dei suoi contenuti.
Il flusso vocale può anche essere una protezione che il paziente mette
in atto rispetto al terapeuta, per non lasciarlo entrare.
Si rileva anche l’incidenza dell’aspetto seduttivo o di rifiuto, che vuole
mascherare al terapeuta ciò che realmente pensa o intende.
La voce, inoltre, può imitare le caratteristiche della persona con cui è in
conflitto il paziente (sia che stia raccontando una dinamica, che parli di
quella persona nello specifico, o che stia facendo in terapia una
drammatizzazione in cui gli è richiesto di interpretare un ruolo).
Abbiamo quindi visto come le caratteristiche sonore della voce
possono offrire un canale parallelo di comunicazione rispetto alle
interne opinioni, emozioni, e convinzioni dell’individuo, quando queste
non vengono espresse nei contenuti verbali e nella loro narrazione
logica. Questo canale sonoro può quindi coincidere, rinforzare,
contraddire o modificare il significato verbale del paziente.

MANUALE DI MUSICOTERAPIA - MANAROLO

Capitolo 1: “Teorie, modelli e ambiti di intervento”

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per le terapie non verbali. Si è


notata, infatti, la problematicità della parola e si è quindi valorizzata la
dimensione corporea.
La musicoterapia rientra tra le terapie non verbali, il cui valore sta
emergendo sempre più a causa della rilevata problematicità della parola
in contesto terapeutico.
La MT si avvale di modelli di riferimento, definiti da specifici quadri
teorici.
Il modello di una teoria viene considerato sotto tre profili principali:
quello epistemologico, quello dell’orientamento teorico e quello del
metodo.
Secondo Carmelo Conforto, il modello differisce dalla teoria per la sua
flessibilità: il modello può modificarsi nel tempo e quindi perfezionarsi.
Il terapeuta si serve del modello di musicoterapia per orientare il suo
approccio secondo un quadro di riferimento scientificamente condiviso.
A causa della multidisciplinarietà della musicoterapia, esiste una frattura
tra l’ambito teorico e quello applicativo e spesso il quadro teorico è frutto
di accostamenti piuttosto che di integrazioni tra i vari modelli.
Nel congresso della World Federation of Music Therapy (WFMT),
tenutosi a Washington nel 1999, sono stati riconosciuti 5 diversi modelli
musicoterapici: la musicoterapia benenzoniana, la musicoterapia
comportamentale e cognitiva, la musicoterapia creativa di Nordoff e
Robbins, la musicoterapia analitica di Mary Priestley, l’approccio
“immaginario guidato e musica” (GIM) e altri modelli più recenti come il
songwriting, la Neurologic Music Therapy (NMT) e le ricerche in ambito
neuroscientifico.
La musicoterapia benenzoniana prende il nome dal suo fondatore
Roland Omar Benenzon, psichiatra argentino, nato a Buenos Aires nel
1939.
Il modello Benenzon si basa su una fase di osservazione-diagnosi in cui
è fondamentale il concetto di ISO. Esso è un principio che rappresenta il
vissuto sonoro di ogni individuo. Benenzon distingue l'ISO universale,
l'ISO gestaltico, l'ISO culturale, l’ISO gruppale, l'ISO complementare.
L'ISO permette al musicoterapista il contatto con il paziente, mentre
l'oggetto intermediario consente di sviluppare l'interazione relazionale
con l'altro. Nella terapia di gruppo questa funzione è assolta dall'oggetto
integratore. Dopo la fase di osservazione-diagnosi, si passa al processo
musicoterapico, che impiega una tecnica di tipo attivo, incentrata
sull'ascolto del paziente e sull’improvvisazione.
Il setting è ben definito, in un contesto non verbale, idealmente con una
coppia terapeutica.

La seduta si articola in tre diversi momenti:


1) Fase di catarsi, si allentano le tensioni del paziente;

2) Fase di percezione e osservazione, durante la quale entrano in gioco


l’ISO del paziente e l’ISO del musicoterapeuta;

3) Dialogo sonoro.

Tale metodo viene soprattutto utilizzato nei pazienti in stato di coma


vegetativo, nei malati di Alzheimer e nell'autismo infantile.

La musicoterapia comportamentale si è sviluppata principalmente


negli Stati Uniti. Questo approccio impiega tecniche attive e ricettive, e
la sua finalità è la modificazione di specifici comportamenti. Il modello
prevede l'Impiego di rinforzi positivi, negativi, di strategie quali
l'esposizione, l'estinzione e la desensibilizzazione, di tecniche di
rilassamento, di giochi di ruolo finalizzati a ottenere condizionamenti e
contro condizionamenti.

Le principali funzioni dell'elemento sonoro-musicale sono le seguenti:

1) Stimolo;

2) Sviluppo di una dimensione temporale e movimento corporeo;

3) Focus attentivo;

4) Rinforzo.

L’attenzione del terapeuta deve essere sull’individuare il comportamento


da modificare e sull’obiettivo nella fase specifica: rinforzo, inibizione o
annullamento?

Vengono individuati diversi tipi di comportamento:

1) comportamento fisiologico;

2) comportamento motorio;

3) comportamento psicologico;
4) comportamento emotivo.

La musica può quindi essere introdotta come elemento di rinforzo


positivo o negativo a seconda che sia fornita o sottratta al fine di
modulare un determinato comportamento.
La musicoterapia creativa è stata fondata da Paul Nordoff e Clive
Robbins.
E’ una tecnica attiva, con l’obiettivo di promuovere l'essere umano, di
potenziarne l’espressività, gli aspetti comunicativi e relazionali, e di
ridurre i comportamenti patologici.
È un approccio non direttivo e il terapeuta ha il ruolo di facilitatore.
Tale modello prevede due musicoterapeuti: uno di questi si relaziona
con il paziente per facilitarne l'accesso all’esperienza sonoro-musicale,
l'altro, al pianoforte, improvvisa sequenze sonoro-musicali in rapporto al
contesto e all'utente.
L'intervento prevede tre fasi:
1) incontro e il rispecchiamento;

2) induzione della risposta e della produzione musicale;

3) sviluppo di espressioni musicali ed espressive.

Il lavoro di Nordoff-Robbins si basa sull'improvvisazione clinica, in cui il


paziente trova la sua personale identità musicale. L’improvvisazione
serve sia all'indagine diagnostica che alla terapia e deve essere libera
da convenzioni musicali e flessibile.

La musicoterapia analitica venne fondata all'inizio degli anni ‘70 dalla


violinista inglese Mary Priestley.
Questo approccio si basa sull’analisi dell'utilizzo simbolico
dell'improvvisazione musicale all'interno della relazione di cura.

Le fasi dell'intervento prevedono:

1) l'identificazione di un problema;

2) la definizione dei ruoli improvvisativi tra paziente e mt

3) improvvisare il tema;
4) Discussione dell’esperienza di improvvisazione

il musicoterapeuta cerca di collegare attraverso il processo verbale e


sonoro emerso, alla storia emotiva del paziente.
Priestley impiega varie tecniche, come: entrare nella comunicazione
somatica, la comunicazione non verbale, la tecnica della separazione e
le prove di realtà.
La musicoterapia analitica viene adoperata ampiamente, poiché la
simbolizzazione tramite l’improvvisazione può aiutare a rafforzare la
struttura identitaria di bambini e adolescenti, che acquisiscono una più
chiara immagine di sé.

Il modello “immaginario guidato e musica” (GIM) fa parte dei modelli di


musicoterapia ricettiva e ha come punto di partenza l'ascolto attivo
condiviso della musica.
E’ principalmente applicato in America e Oceania.
Nel processo GIM, le metafore e le esperienze di vita vengono evocate
durante l'ascolto musicale. Si tratta di un approccio ricettivo che impiega
la mediazione verbale, inducendo risposte affettive.

Una sessione standard di GIM dura da 90 a 120 minuti e si divide in tre


fasi:

1) Rilassamento e individuazione di un tema su cui lavorare;

2) Processo immaginativo;

3) Integrazione dell’esperienza.

La GIM è stata utilizzata in ambito formativo e in diversi contesti clinici:


nel trattamento della nevrosi, nella tossicodipendenza, per patologie
neoplastiche, HIV e altre malattie terminali.
Il campo clinico di applicazione si sta ampliando velocemente grazie
anche a delle modifiche della procedura originaria. Infatti le sessioni
possono essere più brevi e la musica può essere “somministrata” come
intervento, oltre che esplorativa e stimolante. Possono essere utilizzati
altri generi musicali oltre a quello classico e la guida può essere
direttiva.
E’ da far notare la distinzione tra pratiche musicoterapiche che
considerano la musica un mezzo per la terapia e le attività musicali in
cui la musica riveste un ruolo evolutivo.
Per la psicologia dinamica e quella cognitivo-comportamentale, la
musica rappresenta un mezzo per l'avvio di un percorso evolutivo,
mentre per la psicologia umanistica, invece, considera l'esperienza
musicale potenzialmente maturativa.
Gli approcci precedentemente analizzati hanno come comune
denominatore la psicologia dinamica.
La musicoterapia creativa di Nordoff e Robbins ha aperto la strada
dell’indirizzo psicologico umanistico-esistenziale.

Tra le tecniche più utilizzate da questo indirizzo, vi è il songwriting.


Il songwriting è un processo in cui il paziente e il terapista scrivono la
partitura di musica e parole nel contesto di una relazione terapeutica
con lo scopo di affrontare bisogni psicosociali, emotivi, cognitivi e
comunicativi.

Attraverso la scrittura di canzoni le persone hanno la possibilità di:


- Esplorare ed esprimere le proprie emozioni;

- Sviluppare o recuperare una serie di abilità cognitive;

- Affrontare problematiche di tipo relazionale;

- Ricostruire un senso di sé e lavorare su esperienze passate.

Le possibilità narrative del songwriting incoraggiano le persone a


raccontare la loro storia, ad analizzare le proprie idee, a gestire le
proprie emozioni e a migliorare le proprie capacità di generare.
Il songwriting è anche un mezzo con cui le persone esplorano gli eventi
traumatici vissuti nelle loro esistenze.

Il processo di songwriting coinvolge numerose tecniche, quali:


brainstorming, ascolto, improvvisazione vocale e strumentale, creazione
di partiture, esecuzione, uso della voce, uso degli strumenti,
drammatizzazione di un testo, la realizzazione di una coreografia,
incisione di un disco o videoclip.

Baker ha descritto 10 diverse tecniche di songwriting:


1. Brano parodia

2. “Fill The Blanks” (riempire gli spazi vuoti)

3. Songwriting strategico

4. Rap su basi precomposte

5. Songwriting di brani originali

6. Collage tra diverse canzoni esistenti

7. Rap su musica originale

8. Songwriting improvvisato

9. Mash-up tra brani diversi

10. Remix di musica originale

Inoltre songwriting favorisce la creazione di più prodotti che vengono poi


riuniti in uno: partitura, testo, registrazione audio, videoclip, grafiche.
Il processo di cambiamento attivato dal songwriting ha permesso di
studiare lo “stato di flow”, ovvero lo stato di flusso attraverso cui la
persona vive un'esperienza di coinvolgimento totalizzante.
Il songwriting viene utilizzato con persone di tutte le età e soprattutto in
ambito psichiatrico, ed è stata rilevata scientificamente la sua efficacia
nella qualità della vita e nel benessere fisico dei pazienti.
Ma quali sono esattamente gli indicatori specifici del benessere causato
dagli interventi di songwriting?
Koelsch sottolinea come ascoltare musica e soprattutto fare musica
abbia delle ricadute positive sulla salute psicofisica e sulle competenze
cognitive. Durante l'esperienza musicale si registrano diverse attivazioni
positive che operano simultaneamente, come: la percezione, l'arco
attentivo, la memoria a lungo termine, l'intelligenza, l'azione e la
modulazione del movimento, l'emozione e il coinvolgimento nelle
funzioni sociali.
Per quanto riguarda la percezione, la formazione musicale migliora la
decodifica delle caratteristiche acustiche dei segnali ricevuti a partire dal
tronco encefalo fino alla corteccia uditiva. I musicisti presentano una
maggiore competenza nella codifica di stimoli linguistici. Tale riscontro
suggerisce la valenza riabilitativa della formazione musicale nei
confronti dei disturbi del linguaggio dell'età evolutiva. Mado Proverbio ha
verificato come l'educazione musicale possa svolgere una funzione
preventiva e riabilitativa nei confronti della dislessia fonologica e di
quella superficiale.
Fare musica ha una ricaduta positiva sui disturbi da deficit di attenzione
e iperattività (ADHD) e può distrarre dalla rievocazione di esperienze
negative.
L'esperienza musicale richiede l'attivazione della memoria procedurale,
implicita, episodica esplicita, ed emozionale.
Questo potrebbe intervenire nella malattia di Alzheimer. Infatti, nel
paziente affetto dalla malattia di Alzheimer, permane una risposta
emotiva alla musica familiare e quindi la musica potrebbe rallentare la
degenerazione della corteccia prefrontale, addetta le informazioni
autobiografiche e alle risposte emotive.
L'esperienza musicale, soprattutto durante l'improvvisazione, attiva dei
processi cognitivi come la pianificazione e l'esecuzione di azioni
complesse, organizzate secondo una precisa struttura musicale. Questo
ha ripercussione sui collegamenti neuronali e di conseguenza
sull’intelligenza.
La danza aiuta a ristabilire e mantenere le capacità senso-motorie nei
pazienti colpiti da ictus cerebrale con esito di emiplegia e può migliorare
la deambulazione nei pazienti affetti da morbo di Parkinson.
Le emozioni sollecitate dall'esperienza musicale equilibrano l'attivazione
delle strutture limbiche e paralimbiche, e questo è particolarmente
rilevante nel trattamento del quadri depressivi, dell'ansia patologica e
del disturbo da stress post traumatico.
Il contesto sociale influenza positivamente la capacità di sincronizzarsi e
la coesione temporale induce un comportamento prosociale.
Fare musica in gruppo soddisfa bisogni umani fondamentali, come la
creazione dei legami, e puoi evocare emozioni positive ad essi correlati.
La musicoterapia a partire dalla metà del ventunesimo secolo si è
focalizzata sui contenuti delle scienze sociali. Con l'avvento delle nuove
scoperte riguardanti lo studio del cervello e con lo svilupparsi dei
concetti della Neurologic Music Therapy vi è stato uno spostamento del
concetto di musica da una prospettiva socioculturale a una prospettiva
cognitiva. Tale cambiamento di prospettiva ha portato la musicoterapia a
seguire i principi della medicina evidence-based e della riabilitazione
guidata dalle neuroscienze.
La Neurologic Music Therapy è un approccio musicoterapico
specificatamente indicato per tutte le problematiche derivanti da danni
neurologici. La musicoterapia neurologica viene teorizzata
principalmente da Thaut che ha messo in luce le connessioni cerebrali
alla base dell’esperienza musicale.

Questa tecnica consiste nell'applicazione dell'elemento sonoro-musicale


alle problematiche motorie, sensoriali e cognitive derivanti da deficit
neurologici. Tutti gli elementi costitutivi della musica (ritmo, melodia,
dinamiche etc.) possono essere applicati alla riabilitazione funzionale
del paziente neurologico.
Questo modello non individua specifici contenuti musicali che possono
produrre degli effetti terapeutici, ma fornisce le basi per trovarli nel modo
più logico - scientifico.
I risultati ottenuti da queste indagini possono essere tradotti nella pratica
clinica grazie al Transformational Design Model (TDM).
Le fasi del TDM sono 6:

1) Assessment diagnostico funzionale-clinico del paziente;

2) Sviluppo degli obiettivi terapeutici;

3) Strutturazione di esercizi funzionali non musicali;

4) Traduzione degli esercizi non musicali in esercizi formati da elementi


sonoro- musicali;

5) Assessment dell’outcome (risultato) del paziente;

6) Trasferimento delle facoltà apprese, alle attività della vita quotidiana.

Il TDM si basa su tre principi fondamentali: la validità scientifica,


assicurata dal modello do riferimento, la logica musicale e l'equivalenza
strutturale.
Esistono due tipi di assessment da applicare alla riabilitazione
neurologica: diagnostico e clinico.

Per la riabilitazione del movimento, le tecniche previste dalla NMT sono


quattro.
1) Rhythmic Auditory Stimulation (RAS) e si basa su quattro principi:
l’entrainment (intrattenimento) ritmico, il priming (innesco), la
stimolazione dell'intero periodo del movimento e la cadenza naturale dei
movimenti del paziente.
La riabilitazione del passo tramite la RAS prevede il susseguirsi di
diverse fasi: la valutazione della deambulazione attuale, la valutazione
della cinematica del passo.

2)Il terapista comincia ad accompagnare il passo del paziente con


l'elemento ritmico, che deve essere caratterizzato da una metrica in 2/4.
Sempre in questa fase, al paziente vengono fatti fare degli esercizi
cinematici preliminari al cammino.

3) Modulazione della frequenza del passo del paziente.

La RAS è indicata soprattutto per i pazienti affetti da morbo di


Parkinson.

All'interno della riabilitazione del movimento possiamo trovare anche la


Patterned Sensory Enhancement (PSE), una tecnica rivolta
principalmente alla riabilitazione dei movimenti che sono funzionali alla
vita di tutti i giorni. Anche in questo caso vi è l'utilizzo del pattern ritmico
volto all’entrainment del movimento da riabilitare.
Gli strumenti più indicati per questa tecnica sono la tastiera è l'autoharp.
I tipi di stimolazione che si possono attuare tramite la PSE sono la
stimolazione spaziale, temporale e dinamica.
Una peculiarità di questo metodo, è la possibilità di poterlo utilizzare
insieme alla Constraint-Induced Therapy (CIT), una delle tecniche più
utilizzate per la riabilitazione post-ictus degli arti superiori.
Anche la Therapeutical Instrumental Music Performance (TIMP) è
una tecnica per la riabilitazione del movimento ed è basata sull'utilizzo di
strumenti musicali. Il coinvolgimento del paziente nell'utilizzo dello
strumentario consente la riabilitazione dei movimenti funzionali
attraverso l'attuazione di movimenti appropriati, la coordinazione degli
arti, la destrezza delle dita, la postura il controllo motorio.
Questa tecnica può essere utilizzata nella maggioranza dei deficit motori
neurologici. L'applicazione della TIMP deve essere guidata da tre
principi: struttura musicale, scelta degli strumenti e del metodo da
utilizzare, organizzazione spaziale del setting.
La NMT si occupa anche di disordini linguistici come l'afasia, l'aprassia e
la disartria. La Melodic Intonation Therapy (MIT) è una tecnica intensiva
indicata per il trattamento dell’afasia. Usa l'elemento ritmico e melodico
della musica per stimolare la produzione verbale del paziente. Il
soggetto viene invitato a intonare delle brevi parole o frasi funzionali,
mentre batte costantemente la mano sinistra a tempo. Il metodo si basa
sul concetto dello “sprechgesang”, una forma di produzione linguistica
che si pone a metà tra il cantato e il parlato. Il tapping della mano
sinistra va estinguendosi con il graduale ritorno alla pronuncia normale
delle frasi.
La Musical Speech Stimulation (MUSTIM) è un'altra tecnica per
l'intervento sul paziente afasico ed è indicata per le afasie non fluenti.
Vengono utilizzate frasi intonate o canzoni per stimolare la produzione
del linguaggio automatico, che può essere conservato come base per il
linguaggio spontaneo. L'obiettivo di questo intervento è favorire
l'iniziativa verbale.
La NMT comprende anche alcune tecniche dedicate alla respirazione, al
rilassamento dell'apparato fonatorio e all’aprassia articolatoria. La
Rhytmic Speech Cueing (RSC) è un training nato per la disartria, ma
può essere applicato anche in caso di aprassia. Nel training OMREX
(Oral Motor and Respiratory Exercises), il paziente viene allenato al
controllo articolatorio, all'aumento del monitoraggio respiratorio e
all'apparato fonatorio attraverso l'utilizzo della voce o di strumenti a fiato.
La Vocal Intonation Therapy (VIT) si occupa di sviluppare, mantenere o
riabilitare aspetti della produzione vocale, come l'inflessione, la
dinamica, il controllo, la respirazione e il tono. All'interno della NMT
troviamo anche il Therapeutic Singing (TS), che consiste nell'utilizzo del
canto per molti obiettivi terapeutici, come il potenziamento della
motivazione, il miglioramento dell'articolazione del linguaggio e per la
funzionalità dell'apparato respiratorio. La Developmental Speech and
Language Training through Music (DSLM) è una tecnica che utilizza il
canto per favorire l'implementazione della parola e per aumentare le
funzioni dell'apparato respiratorio nei bambini. Il training della Symbolic
Communication Training through Music (SYCOM ) sfrutta le
caratteristiche pragmatiche della comunicazione.
Questa tecnica è particolarmente indicata per pazienti con un linguaggio
spontaneo molto povero in quanto rappresenta una simulazione del
linguaggio verbale e delle sue regole attraverso l'utilizzo di esercizi
musicali improvvisati svolti con strumenti o con la voce stessa.
L'approccio della NMT proposto da Thaut comprende anche diverse
tecniche per un ulteriori disturbi cognitivi relativi all'attenzione, alla
memoria, alle funzioni esecutive e per il neglect.
Le tecniche per la riabilitazione dell'attenzione sono la MSOT, l’APT e la
MACT. Il Musical Sensory Orientation Training (MSOT) prevede l'utilizzo
di musica suonata o registrata per stimolare le componenti attentive e
per migliorare l'orientamento del paziente verso il tempo, i luoghi e le
persone.
Per la stimolazione della percezione uditiva e dell'integrazione
sensoriale, la NMT propone l'Auditory Perception Training (APT) che
consiste nell'utilizzo di esercizi musicali attivi volti ad aiutare il paziente
nell'identificazione delle differenti componenti del suono. L'ultima tecnica
per la riabilitazione delle facoltà attentive è la Musical Attention Control
Training (MACT), che si serve della musica per stimolare le funzioni
attentive nella maggior parte dei disordini neurologici. Il neglect
(negligenza spaziale unilaterale, NSU), è un deficit di percezione e di
rappresentazione di uno dei due lati del corpo a seguito di danni
all'emisfero destro. Il Musical Training Neglect (MNT) È stato ideato per
la riabilitazione di questa patologia e può essere applicato secondo
metodologie attive o recettive.
La musica potrebbe essere un valido elemento per la riabilitazione
del neglect in quanto stimola l'attivazione di network cerebrali
bilaterali.
Il Musical Executive Function Training (MEFT) è una tecnica utilizzata
per il trattamento delle funzioni esecutive deficitarie in seguito a diverse
patologie di deficit neurologico. Consiste nell'improvvisazione o
composizione di esercizi musicali volti a stimolare la cooperazione, il
problem solving il processo decisionale, il ragionamento e la
comprensione.

Per la riabilitazione della memoria le tecniche di intervento proposte


sono tre:

1) Musical Mnemonics Training (MMT), in cui viene utilizzato lo stimolo


musicale come stimolo per aiutare il paziente nella formazione e nel
recupero dei ricordi consentendo di dare significato, emozione e
motivazione alle tracce al fine di renderle più pregnanti.

2) Musical Echoic Memory Training (MEM). Viene sfruttata la capacità


della musica di fornire una ricca stimolazione del registro uditivo,
favorendo l'organizzazione la formazione della memoria ecoica.

3)Associative Mood and Memory Training (AMMT), che utilizza la


musica in tre modi: per migliorare la congruenza dell'umore al contesto;
per favorire l'attivazione di collegamenti associativi alla base sia
dell'elaborazione emozionale che di quella mnemonica, per avere
accesso a memorie passate; per stimolare l'umore positivo al fine di
facilitare il processo di encoding mnemonico e quindi il richiamo della
traccia.

La musicoterapia italiana nasce grazie all'opera di promozione svolta


dalla Pro Civitate Christiana di Assisi a partire dagli anni ‘70. Nel 1981
viene avviato il primo corso italiano di musicoterapia. Loredano Matteo
Lorenzetti, Pier Luigi Postacchini e Mauro Scardovelli sviluppano un
pensiero peculiare e fruttuoso. L'approccio teorico della scuola italiana
considera l'elemento sonoro-musicale un mediatore facilitante lo
sviluppo di percorsi relazionali.
Loredano Matteo Lorenzetti dà all'ascolto un ruolo preponderante
nella facilitazione dell'incontro con l'altro. Il suo approccio è di
derivazione psicodinamica, e ha radici nel pensiero multidimensionale.
Per Lorenzetti il suono e la musica racchiudono elementi antropologici,
sociologici, culturali, esistenziali. Secondo lui, la musicoterapia, come
approccio sintetico, promuove un atteggiamento critico rispetto a
diagnosi, intervento, prognosi e verifica.
Pier Luigi Postacchini, la musicoterapia è concepisce la MT come una
prassi preventiva, riabilitativa o terapeutica, in cui la musica ha ruolo di
fattore relazionale non verbale in situazioni di handicap neuropsichico.
Questo modello fa riferimento alla psicologia dinamica.
In quest’ottica, la finalità dell'intervento musicoterapico è quella di
costruire una relazione terapeutica attraverso l'elemento sonoro
musicale che possa favorire un’integrazione spaziale, temporale e
sociale. Alla base di questo processo di armonizzazione troviamo il
concetto di sintonizzazione.
Mauro Scardovelli considera la MT una tecnica applicabile nei disturbi
della comunicazione. Questo modello fa riferimento a diversi riferimenti
teorici integrati fra loro.
S. impiega categorie proprie della pragmatica della comunicazione,
della PNL (programmazione neurolinguistica), della psicologia
umanistica, della teoria dell'attaccamento di Bowlby.
Sia Postacchini che Scardovelli individuano come ambito specifico della
musicoterapia gli aspetti espressivi, comunicativi e relazionali. Sul piano
operativo si evidenziano invece alcune divergenze: Postacchini & Co.,
sottolineano l'importanza della neutralità, dell'ascolto, dell'attesa.
Scardovelli invece propone una modalità più attiva e interventista.

CAPITOLO 2: “Presupposti scientifici e definizione “

Alcuni dati recentemente emersi rinforzano la valenza terapeutico-


riabilitativa della musica facendo ipotizzare percorsi di cura che dal
musicale vadano a condizionare positivamente altre competenze:

-Mado Proverbio precisa come la pratica musicale implementi diverse


aree corticali e sottocorticali in particolare: il corpo calloso, le aree
motorie, premotorie e il cervelletto, la regione parietale superiore,
l'insula, l'amigdala, l'ippocampo, i gangli della base, il talamo e
l'ipotalamo;

-La musica potrebbe favorire processi riabilitativi. Vi potrebbero essere


cambiamenti strutturali e funzionali neuroplastici simili a quelli osservati
nei musicisti;

-La musica attiva il sistema parasimpatico e inibisce il simpatico. Questo


potrebbe svolgere un effetto calmante e migliorare i sintomi
neuropsichiatrici nella demenza;

-La musica determina una riduzione del cortisolo ematico e un’inibizione


delle reazioni da stress cardiovascolare;

-La fruizione-espressione musicale determina l'attivazione di reti neurali


alternative o risparmiate in quadri clinici che presentano aspetti
deficitari;

-La proposta-ritmico motoria può facilitare l'esecuzione di compiti-motori;

-Il canto attiva le regioni fronto-temporali e le regioni vocali-motorie


bilateralmente, agevolando la riabilitazione del paziente afasico;
-La musica familiare attiva il cingolo anteriore e la corteccia prefrontale
mediale, aiutando chi soffre di Alzheimer;

-La musica è in grado di attivare il sistema mesolimbico dopaminergico


implicato nella memoria, nell'attenzione, nell'umore, nella motivazione e
nelle funzioni esecutive;

-Ascoltare e fare musica può attivare una preziosa sinergia tra gli
emisferi;

-La musica può svolgere una funzione preventiva e maturativa.

La musicoterapia studia il rapporto uomo/elemento sonoro-musicale con


finalità diagnostiche e applicative. La musica trae il proprio potere dalla
sua doppia natura, biologica ma anche profondamente sociale,
esattamente come linguaggio. Inoltre ha un forte impatto nella
dimensione emotiva, e già Aristotele attribuiva alla musica il valore
catartico. L'elemento sonoro musicale è considerato un mediatore fra
una dimensione corporea e una dimensione mentale.
Alcuni autori come Shoen e Vecchi sottolineano come le capacità
musicali precoci siano parte di una predisposizione biologica, e vedono
la musica come fattore evolutivo predominante, con particolare valore
adattivo nel processo filogenetico. Il primo a porre la questione relativa
al significato della musica sotto il profilo evolutivo è stato Darwin nel
1871 con lo scritto “L'origine Dell'uomo e La Selezione Sessuale”.
Secondo D., i suoni cantati avrebbero preceduto e determinato la
nascita del linguaggio verbale, e rileva come la musica costituisca un
comportamento legato alla selezione sessuale. Per Darwin l'abilità
musicale rappresenterebbe una sorta di esibizionismo, simile ai canti e
alle danze di corteggiamento di alcuni animali, capace di comunicare
implicitamente la presenza di buoni geni. Un'altra spiegazione relativa al
valore adattivo della musica risiede nella sua funzione socializzante. Il
canto materno agirebbe come regolatore emotivo modulando la
percentuale di cortisolo ematico.

Le ipotesi relative al valore adattivo della musica appaiono le seguenti:

-La musica potrebbe essersi sviluppata per veicolare significati concreti


prima della nascita del linguaggio verbale;
-La musica potrebbe derivare da un protolinguaggio, la musilingua, da
cui deriverebbe anche il linguaggio verbale;

-La musica potrebbe avere un ruolo evolutivo per quanto concerne la


selezione sessuale, fungendo da elemento di corteggiamento;

-La musica potrebbe avere avuto un ruolo adattivo nel rapporto madre-
bambino;

-La musica potrebbe avere avuto un ruolo adattivo per quanto riguarda
lo sviluppo di comportamenti sociali e cooperativi;

-La musica potrebbe aver favorito lo sviluppo mentale e sociale.

Patel confronta musica e linguaggio, criticando la tesi adattazionista che


sostiene che vi siano specializzazioni cognitive e neurali per la musica.
Musica e linguaggio condividono i seguenti punti: la comparsa
spontanea e precoce della lallazione, la specifica anatomia umana del
tratto vocale, la presenza dell'apprendimento vocale. Tuttavia vi sono
anche significative divergenze: le competenze musicali a differenza di
quelle verbali si sviluppano più lentamente, hanno una minore solidità,
la loro assenza non determina un costo biologico e rappresentano una
competenza non trasferibile ad altri contesti espressivi e comunicativi.
Patel cerca di superare il dibattito concernente la maggiore o minore
valenza adattiva della musica proponendo una terza via: la musica non
è espressione di un processo di adattamento né può essere considerata
un accessorio, è piuttosto un'invenzione capace di trasformare la vita
umana (anche a livello cerebrale). La musica per Patel è universale
perché quello che fa è universalmente apprezzato.
Confrontando la produzione sonora animale con la dimensione musicale
la differenza sostanziale consiste nell'assenza di relazioni implicite che
sono viceversa presenti nella produzione musicale. Inoltre il canto
animale non è intenzionale ma stimolato da cambiamenti stagionali e
ormonali. Tuttavia, se il dato riferito alla sincronizzazione viene descritto
come tipicamente umano, alcuni animali sembrano possedere questa
competenza (leoni marini, cavalli, pappagalli). Ball sottolinea come nel
mondo animale la capacità di apprendere repertori sonoro-musicali si
sia evoluta differentemente: negli uccelli, nei pipistrelli, nelle balene e
nelle foche, appare infatti maggiormente rappresentata rispetto ai
primati, i nostri antenati. I primati possiedono poche competenze
musicali anche se alcune scimmie si battono sul corpo o su altre parti
del corpo, (lo strutturato pant-hoot degli scimpanzé). In genere i primati
sembrano non mostrare per la musica particolare interesse, preferendo
a essa il silenzio.
Si fa risalire l'origine della musica ai canti dei pigmei che
rimanderebbero ai suoni degli antenati circa 100.000-70.000 anni fa.
Per Grauer, invece, la storia della musica inizierebbe in Africa, come
espressione di gruppi di cacciatori-raccoglitori.
Le polifonie boscimane e pigmee sono per Grauer la forma di musica
più arcaica conosciuta e tale dato è in discordanza con la visione
evolutiva positivista, secondo la quale il semplice (la monodia) si
svilupperebbe verso il complesso ( la polifonia).

Grauer sintetizza nei seguenti passaggi la nascita della musica:

1)I primi primati e gli antenati degli esseri umani iniziano a produrre
vocalizzazioni urlate;

2) Con il passaggio a una dieta carnivora le urla preumane si


trasformano in uno Jodel modulato su imitazione degli uccelli e
funzionale alla loro caccia;

3)Il canto degli uccelli viene imitato soffiando in una canna vuota;

4) Forse lo jodel e i flauti di canna si sviluppano contemporaneamente;

5)Dalle singole note si passa a un sistema organizzato;

6)Le relazioni tonali che vengono individuate diventano una sorta di


protolinguaggio;

7) Tale protolinguaggio si articola in uno sviluppo propriamente musicale


e nella nascita del linguaggio.

La funzione socializzante della competenza musicale viene sottolineata


anche da Paolo Apolito, all’interno di una prospettiva antropologica.
Apolito individua diversi fattori che ne sono alla base: l'impulso a
festeggiare, la forza del ritmo, tessere legami, mimesi e imitazione,
sentimento, performance.
Per Koelsch le funzioni sociali della musica possono essere classificate
in sette aree:

1)Contatto;

2)Cognizione sociale;

3)Copatia;

4)Comunicazione;

5)Coordinazione;

6)Cooperazione;

7)Coesione sociale.

Imberty precisa come nelle prime settimane di vita il sistema uditivo si


sviluppi in misura maggiore rispetto agli altri distretti sensoriali. La voce
materna è immediatamente riconosciuta e cercata, ed è tramite
l'interazione con questa voce che l'ambiente sonoro del neonato
acquista progressivamente senso. A meno di 3 settimane le madri sono
capaci di riconoscere 4 tipi di grida (fame, collera, dolore, frustrazione).
Dai 2 ai 5 mesi e mezzo, secondo Imberty, i bambini sono capaci di
percepire frasi melodiche, semplici e ben organizzate sulla base dei
principi gestaltici di vicinanza e similarità. Dai 4 ai 6 mesi iniziano anche
ad essere sensibili alla struttura della frase musicale, alla sua unità, alle
sue articolazioni. Ogni bambino attiva competenze innate finalizzate alla
comunicazione e alla relazione. Le competenze del neonato trovano
rispondenza nella figura materna. La comunicazione madre -bambino è
caratterizzata da reciproche competenze innate. Si realizza una
protoconversazione che si sviluppa su un ritmo comune in cui i membri
della relazione si alternano.
Vi sono diverse tipologie di baby talk in relazione alle diverse culture;
esistono tuttavia tratti comuni: segmentazione, ripetizione, semplicità
sintattica, lentezza del tempo, semplificazione e amplificazione dei
moduli espressivi e dei contorni melodici.
Le competenze attivate dalla coppia madre-bambino per avviare questa
interazione fanno parte, secondo Trevarthen, del “sistema regolatore
centrale della comunicazione umana”, vale a dire una dotazione innata
proprio di ogni individuo che consente l’attuarsi di processi
intersoggettivi fin dai primi giorni di vita. Tale sistema costituisce la base
su cui si struttura il linguaggio verbale e quello musicale.
Stern pone a fondamento del rapporto madre-bambino il
comportamento di sintonizzazione. Si tratta della competenza inconscia
della madre di restituire al figlio non solo un'imitazione, ma una rilettura
metaforica e analogica che dà attenzione non tanto al fenomeno, ma a
ciò che sta dietro di esso: la qualità dello stato d'animo.
Le interazioni con la figura materna influenzano la costruzione del
mondo psichico del bambino. In queste interazioni assumono particolare
rilevanza i messaggi analogici, gestuali, corporei e vocali, specialmente
nell'età preverbale. La nostra comunicazione, che si esprime attraverso
il parlare, il vocalizzare, le espressioni facciali, gestualità in movimento,
è sostenuta continuamente da elementi musicali quali pulsazione, ritmo,
profilo di intonazione, intensità, timbro.

Malloch ha utilizzato le seguenti misure per definire tale musicalità:


pulsazione, qualità, narratività dell'esperienza individuale dell'essere in
relazione.

Per Trevarthen esiste una pulsazione intrinseca (inner continuous pulse,


che è anche la base di tecniche improvvisative, come la conduction di
Butch Morris), che supporta il movimento e l'azione dell'individuo, così
come le esperienze condivise.
La musicalità, avviando l'immedesimazione attraverso l'impulso al
movimento, porta le persone a sentimenti di condivisione.
Le linee di ricerca delineate da Stern e Trevarthen trovano ulteriore
sviluppo e approfondimento nell'approccio neurobiologico proposto da
Siegel. Secondo questa prospettiva, la contrapposizione tra innato e
appreso viene superata da una concezione dello sviluppo cerebrale
dell’esperienza dipendente.
Le prime esperienze a svolgere questa funzione regolatrice e
strutturante, sono le precoci relazioni che si instaurano all'interno
della relazione madre-neonato, in quanto veicolano contenuti emotivi.
Le emozioni acquisiscono un ruolo fondante e strutturante lo sviluppo
psichico.
L'emozione è una reazione affettiva intensa, con insorgenza acuta e di
breve durata, determinata da uno stimolo ambientale. La sua comparsa
provoca una modificazione a livello somatico, vegetativo e psichico.
Per Darwin le emozioni sono residui di risposte un tempo funzionali al
processo evolutivo, in contrasto alla tesi anti-innatistica che si basa sul
presupposto che molte emozioni hanno un significato diverso da cultura
a cultura.

Secondo Darwin le emozioni rappresentano una rielaborazione delle


informazioni a carico della parte più antica del nostro cervello, la parte
sottocorticale, che consente di riconoscere un insieme di stimoli e di
reagire immediatamente a essi.

La sua struttura prevede tre fasi:

1) Percezione di una situazione;

2) Tensione scatenata dalla privazione degli abituali schemi di


organizzazione a cui il soggetto solitamente ricorre, e potenzialità per
una nuova attualizzazione del campo di possibilità;

3) Entrata in gioco dei meccanismi omeostatici, che ristrutturano schemi


di risposte organizzate, producendo distensione.

L'esperienza emotiva può configurarsi come pura risposta istintuale, o


essere integrata e anche inibita dall'elaborazione corticale.
Uno stimolo proveniente dall'esterno raggiunge dapprima il talamo, poi
inviato alla corteccia uditiva come informazione, e infine all'amigdala.

Talamo e amigdala fanno parte del sistema limbico.


Questo è costituito da un insieme di strutture che svolgono diverse
funzioni:

-Coordinazione delle afferenze sensoriali e delle conseguenti reazioni


corporee;

-Controllo e integrazione dei meccanismi autonomi periferici, attività


endocrina, della termoregolazione e del ciclo sonno veglia;

-Sede delle emozioni e dei ricordi più duraturi;


-Stabilizzazione di ricordi recenti e quindi dei processi di apprendimento.

Secondo l'orientamento cognitivista, nella risposta emotiva possiamo


distinguere tre elementi: oggetto intenzionale, credenza, componente
affettiva. L’elemento principale è la relazione tra oggetto e giudizio.
L'elemento affettivo è l'effetto del giudizio su un oggetto.
Nel modello affettivo psicodinamico, invece, sono centrali altre
componenti: l'attivazione psicofisiologica, la sensazione qualitativa di
benessere o malessere, il giudizio cognitivo su un fatto o su un oggetto,
l'espressione gestuale motoria.
La componente musicale svolge un ruolo fondamentale nell’espressione
e nella comunicazione delle emozioni a partire dalla primissima infanzia,
rivestendo nello stesso tempo una funzione attivante e regolativa;
l'interazione mamma-bambino su moduli sonori e corporei permette la
comunicazione dei rispettivi stati psicocorporei e avvia il percorso su cui
si fonderà la maturazione simbolica. La musica viene utilizzata in un
contesto di espressione e di regolazione emozionale, e il linguaggio
diretto ai neonati ha una funzione adattiva di sviluppo.

Bertinetto individua tre principali orientamenti: la teoria isomorfica, la


teoria metaforica e il disposizionalismo.

1)Le teorie isomorfiche fanno riferimento al pensiero di Susanne Langer,


per la quale la musica è espressivamente connotata perché assume
forme corrispondenti a quelle delle emozioni. Kivy elabora la teoria del
profilo secondo la quale le emozioni non sono percepite come
rappresentate, cioè in maniera mediata, ma in maniera immediata;

2)La teoria metaforica. L’attribuzione di qualità emotive alla musica è


frutto di un procedimento metaforico. Vengono così fatte associazioni
metaforiche fra le nostre esperienze emotive e alcune qualità musicali;

3)Disposizionalismo. Per il disposizionalismo, l'attribuzione di un


significato emotivo alla musica dipende dal suo impatto emotivo sugli
ascoltatori. Le teorie espressiviste comprendono la teoria della persona
e la teoria della simulazione. La teoria della persona individua
nell'ascolto musicale un processo caratterizzato da diverse fasi:
riconoscimento di gesti espressivi, attribuzione di questi gesti a un
ipotetico individuo che sta esprimendo le proprie emozioni, attivazione di
una risposta soggettiva determinata dall'attivazione di un analogo profilo
emotivo. Nell'ascolto viene quindi attivato un processo empatico che
determinerebbe il sorgere di una dimensione emotiva.
Per la teoria della simulazione, invece, le qualità espressive della
musica non vengono attribuite a una persona immaginaria ma vengono
esperite come se fossero le proprie.

Le strutture limbiche e paralimbiche sono considerate strutture


fondamentali nei processi di elaborazione emotiva, in quanto la
loro lesione o disfunzione è associata a una riduzione della
risonanza emotiva.

Le principali strutture coinvolte sono:

1)Amigdala: si sono osservati cambiamenti di attività nell'amigdala


superficiale sinistra e nell'amigdala latero-basale destra. La prima è
implicata nella comunicazione intra specie attraverso la risposta a
stimoli olfattivi, a qualità fisiognomiche e a stimoli sonoro-musicali. La
seconda è implicata nella valutazione della musica e svolge un ruolo
nella codifica del valore di ricompensa positivo o negativo della musica.
La musica percepita come positiva rimane uno degli unici esempi in
grado di diminuire l'attività dell'amigdala, la musica sembra dunque
possedere la capacità di sottoregolare l'amigdala. La constatazione che
l'attività dell'amigdala può essere modulata dalla musica ha rinforzato le
ipotesi dell'efficacia della musicoterapia nel trattamento dei quadri
depressivi e dell'ansia, in quanto tali disturbi appaiono in parte essere
legati a disfunzioni dell'amigdala.

2) Nucleo accumbens: il NAC è coinvolto nell'attivazione e nel


sostegno di comportamenti volti a ottenere e consumare ricompense.
Questa struttura è attivata dalla musica nel corso di intense esperienze
emotive gratificanti evocate dalla musica, evidenziando che il piacere
indotto dalla musica è associato con l'attivazione di una rete di
ricompensa filogeneticamente antica, che funziona per assicurare la
sopravvivenza all'individuo e alla specie. La musica non agisce come
ricompensa in altre specie animali in quanto queste sono prive della
dotazione corticale che consente di elaborare, organizzare, imparare,
prevedere e anticipare lunghe sequenze di toni in modo da produrre una
ricompensa intrinseca. Quindi il piacere musicale nasce da
un’interazione tra meccanismi di ricompensa biologicamente antichi e
sistemi corticali evolutisi molto più recentemente e modificabili
dall'esperienza individuale e dalla cultura.

3)Circuito dopaminergico: la dopamina non rappresenta solo un


substrato neurale per la ricompensa, ma svolge un ruolo critico nei
processi legati alla previsione e alla anticipazione. Le cellule
dopaminergiche mostrano due tipi di accensione: la prima può produrre
effetti prolungati, la seconda comporta invece scariche brevi ed è
sintonizzata sulla previsione di ricompensa. Queste cellule si accendono
quando una ricompensa è imprevista o sottopredetta, perciò non sono
attivate se la ricompensa è prevista, ma accendono segnali che
predicono l'accadimento. Il sistema dopaminergico svolge un ruolo
anche nella risposta alle novità. L'incertezza riveste un ruolo importante
nell’apprezzamento della musica, sia aumentando la motivazione per
trovare conferma della previsione, sia innescando la ricompensa in caso
di errore di previsione positivo.

4)Ippocampo: svolge un ruolo nei processi di apprendimento, nei


processi riguardanti la memoria, di orientamento spaziale e
nell'elaborazione delle novità. Possiede, inoltre, collegamenti con
strutture coinvolte nella regolazione dei comportamenti essenziali per la
sopravvivenza, con le strutture coinvolte nella regolazione del sistema
nervoso autonomo e con il sistema immunitario. La connettività
funzionale fra ipotalamo ippocampo è stata mostrata in risposta alla
gioia evocata dalla musica; questo dato supporta la teoria che
l'ippocampo sia coinvolto nelle emozioni positive evocate dalla musica le
quali hanno una ricaduta endocrina determinando una riduzione dello
stress emozionale del livello di cortisolo.

5)Giro paraippocampale: svolge un ruolo per la codifica e la


conservazione dei ricordi di eventi emotivi.

6)Corteccia cingolata insulare e anteriore: le variazioni di attività del


sistema nervoso autonomo generati da un'esperienza emotiva sono
associati con cambiamenti di attività nella corteccia cingolata insulare in
quella anteriore. La corteccia cingolata insulare svolge un ruolo nel
processo di integrazione delle informazioni viscerali e somatosensoriali
con l'attività del sistema nervoso autonomo, mentre la corteccia
cingolata anteriore svolge una funzione della sincronizzazione tra
eccitazione fisiologica, aspetti motori e cognitivi.
Sulla base di queste evidenze di ulteriori studi, Koelsch descrive i
diversi processi che possono sottostare all’evocazione di un'emozione
musicale:

1)Brain stem reflexes: esso è relativo alla percezione delle


caratteristiche acustiche della musica da parte del tronco encefalo per
segnalare un potenziale e importante evento urgente.

2)Contagio emotivo: la musica è una forma di comunicazione. Juslin e


Laukka sostengono che lo sviluppo della musica possa essere una
conseguenza specifica dei vantaggi adattivi acquisiti dalla capacità di
codificare e decodificare le emozioni attraverso le vocalizzazioni.

3)Evento biografico evocato dalla musica.

4)Aspettativa musicale: la prevedibilità o meno del divenire musicale


può avere effetti emotivi ( sorpresa, attenzione, rilassamento).

5)Immaginazione: evocazione di immagini visive con qualità emotive.

6)Comprensione: la comprensione della musica è connessa al


significato extra musicale e al significato intramusicale comunicato.

7)Funzioni sociali: il fare musica con gli altri suscita risposte emotive di
piacere e legati ai processi di attaccamento.

Possiamo integrare tali dati con altre significative evidenze riportate da


Mado Proverbio:

1)La musica a valenza positiva attiverebbe l'area tegmentale ventrale, la


corteccia striata, il circuito della ricompensa e la corteccia orbito-
frontale;

2)La musica capace di evocare nostalgia, dolore psicologico


coinvolgerebbe l'insula, la corteccia cingolata, la corteccia prefrontale
ventromediale e l'ippocampo

3)Intense emozioni negative attiverebbero l'amigdala e le aree sensoriali


e motorie
4)Una vocalizzazione negativa sollecita la corteccia temporale in
prevalenza a destra;

5) Una vocalizzazione positiva la corteccia frontale inferiore;

6) Entrambe le vocalizzazioni attivano la corteccia orbito-frontale.

Il linguaggio sonoro-musicale, in virtù di tali caratteristiche, può facilitare


l'espressione diretta dei vissuti emotivi ma, per le potenzialità simbolo-
poietiche che possiede, può anche favorire l'accesso ad una
comunicazione mediata da un codice.
La musicoterapia può quindi essere considerata un intervento specifico
in tutti quei casi in cui esiste un disturbo qualitativo e/o quantitativo della
sfera emotiva e delle relative competenze espressive-comunicative-
relazionali.
La musicoterapia è in grado di agire in ugual modo sulle qualità innate,
pre e protosimboliche, ma anche su quelle acquisite, simboliche, al fine
di attivarle, regolarle, qualificarle, integrarle in una dimensione
intrapersonale e interpersonale.
La musicoterapia, a livello applicativo, può trovare utilizzo in un contesto
preventivo, riabilitativo e psicoterapico.
L'intervento di tipo preventivo è caratterizzato dall'impiego dell'elemento
sonoro- musicale con finalità globalmente contenitive e maturative.
L'intervento con valenza riabilitativa si prefigge di riattivare e potenziare
settori deficitari, funzioni non evolute o regredite.
Infine, negli interventi con valenze psicoterapiche osserviamo due
possibili iter metodologici, tra i quali può avvenire una commistione:
1)Un lavoro centrato sui contenuti evocati e rappresentati dal musicale
fornendo riformulazioni e interpretazioni;
2)E’ il lavoro espressivo e sull’espressivo che costituisce parte
integrante del processo terapeutico.

Capitolo 3. “Aspetti Simbolici E Parasemantici Dell’Elemento Sonoro-


Musicale”

Il mediatore espressivo-relazionale impiegato in ambito musicoterapico


viene definito convenzionalmente elemento sonoro-musicale.
Il sostantivo sonoro rimanda in realtà a elementi non solo sonori ma
anche a oggetti acustici qualificabili, sotto il profilo acustico, come
rumori. Il concetto di “sonoro-musicale” comprende sia l’ambito pre- e
protosimbolico (in cui compaiono eventi acustici connotati da aspetti
concreti e dotati di valenze espressive e relazionali), e sia un contesto
musicale al cui interno gli eventi acustici possiedono specifiche qualità
simboliche e intenzionalità espressive, relazionali, estetiche.
Le valenze parasemantiche dell'elemento sonoro-musicale e le
risonanze psicocorporee che esso può indurre, descrivono situazioni in
cui gli aspetti sensoriali, percettivi, simbolici e cognitivi appaiono vicini,
interconnessi, e si plasmano in scenari multiformi.

Da tutte le ricerche in merito, risultano due principi base su cui tutti gli
studiosi concordano:

1) l'esperienza causa dinamismi;

2) la musica è contatto, relazione.

Le ricerche neuroscientifiche sugli specifici dell'esperienza musicale per


l’uomo negli ultimi anni si sono intensificate, ma sono ancora da
rafforzare le ricerche interdisciplinari sugli effetti trasformativi prodotti da
questa, sulla vita delle persone.
Non è possibile per l'uomo vivere senza musica: gli esperimenti intorno
alla privazione di musica durante periodi prolungati di tempo, hanno
prodotto scompensi comportamentali e psichici significativi, in
particolare negli adolescenti.

Da un punto di vista evolutivo, la musica potrebbe contribuire a


sviluppare il potenziale adattivo dell'uomo, a incrementare la nostra
idoneità alla sopravvivenza in termini di: migliore selezione del partner,
maggiore coesione sociale, maggiore sviluppo percettivo, sviluppo delle
capacità motorie, riduzione delle situazioni conflittuali, dominio del
tempo esistenziale, incremento di occasioni per una comunicazione
transgenerazionale, autoregolazione.

La necessità di immergersi dentro esperienze sonore organizzate e


complesse nasce dall'urgenza di accrescere la propria conoscenza del
mondo e di sé stessi per il tramite di rappresentazioni simboliche.

L'ascolto della musica, quando suscita attenzione, interesse è


primariamente olistico o incarnato, totale e connesso al corpo.
Così l'ascolto sembra basarsi su processi di entrainment. Infatti i
processi di entrainment si riferiscono alla sincronizzazione di azioni
performative tra più interpreti, implicano l'organizzazione della
percezione e della gestualità funzionale attorno a regolarità temporali
che sono trasmesse dai suoni appena prodotti, e dal contatto tra corpo e
oggetto vibrante sotto forma di impulsi periodici.
Tale fenomeno si verifica sia durante un'attività musicale produttiva che
durante un ascolto.
Sotto il profilo psicologico, le suddivisioni in misure con le conseguenti
distinzioni tra accenti forti e deboli, insieme agli elementi ritmici più o
meno ricorrenti non sono, da sole, portatrici di alcun impatto sulla
persona che ascolta musica: è il movimento generale nel quale è
coinvolta, poiché avviene una decodifica da parte della mente razionale,
e un’adesione naturale da parte del “corpo pensante”.

Da questa induzione diretta, dalla covibrazione, deriva l'attribuzione alla


musica di un potere emotivo.
Il sistema di segni di un improvvisatore non è la trascrizione musicale di
come si sente in quel momento, ma il frutto corporeo e intellettuale di
una serie di esperienze emotive vissute.

La corrispondenza tra stati d'animo e musiche è determinata dalla


presenza di una o più tra queste componenti: corrispondenza, qualità
estetica, trigger della memoria, messaggio musicale.
La tendenza di qualunque organismo al mantenimento di un livello
omeostatico, un equilibrio tra le varie forze e componenti fisiologiche ha
anche una sua corrispondente psichica: tutti noi cerchiamo di regolare i
flussi di energia facendo esperienze di stress per poi favorire il recupero
con una situazione di quiete.
Dunque, sembra essere preferibile adottare, in situazioni di crisi e
durante contingenze depressive, delle strategie di ascolto e proposte
improvvisative che creino contrasto. Tensioni e ricerche di empatia
possono agevolare l'accettazione di perdite e lutti, soprattutto negli
adolescenti. Secondo Anzieu, a partire dalla vita fetale, tutto passa
attraverso l’"Io Pelle”, che è costituito da diversi strati: termico, olfattivo,
muscolare, di sofferenza, di sogno e sonoro.
L'apertura verso il mondo è accompagnata dalla voce materna che
permette di creare, attraverso un rispecchiamento sonoro, dei legami
temporali che si sviluppano fuori dall'inviluppo, rivelando all'Io la
presenza del Sé e dell'Altro. Questa conquista permette di esprimere
l'affettività. La stessa esperienza si rivive quando si ascolta un brano
musicale che possiede qualità transizionali, che presenta alcune tra le
caratteristiche morfologiche e stilistiche sopra descritte e richiama
un'esperienza epidermica di intimo contatto.
La musica transizionale affonda direttamente nel corpo.
La relazione tra musica e tristezza è espressione di un paradosso
secondo il quale uno stato d'animo evitato nella vita è cercato
nell'esperienza di ascolto o nella pratica musicale.
Studi neuroscientifici sottolineano come siano coinvolte principalmente
le strutture cerebrali subcorticali e neocorticali.
In particolare, la modalità minore stimola la corteccia orbitale sinistra e
la corteccia frontale dorsolaterale centrale.

Alcune indagini si interrogano su come la tristezza evocata dalla musica


interagisca con i tratti della personalità, sintetizzando tale rapporto in
quattro diverse forme di gratificazione:

1)Ricompensa immaginativa;
2)Regolazione delle emozioni;
3)Manifestazione empatica;
4) Assenza di implicazioni reali; attraverso la musica si simbolizza e si
vive condizione specifica, in una situazione di sicurezza, in modo da
comprenderla senza rischi e sublimarla.

L'apprezzamento della musica triste pare risultare più compatibile con


un profilo personologico a elevato coefficiente di empatia e bassa
stabilità emotiva.
La ragione del paradosso di cui parlavamo sta nel fatto che è la
nostalgia a migliorare il nostro umore, a rafforzare i legami sociali e a
incrementare il rispetto di sé.
L'attrattività della musica per l'uomo deriva dal fatto che l'ascolto
disegna contorni melodici sensuali e seducenti, e determina stati affettivi
rievocando i loro tratti.
La funzione della memoria nel raccogliere, dare ordine, consolidare
conservare l'esperienza musicale si articola lungo più passaggi.
Nel breve termine compie due operazioni: la prima nella cosiddetta
memoria sensoriale o ecoica che ha una durata di pochi millisecondi,
funge da selettore degli stimoli sensoriali presenti nel contesto, dei quali
trattiene circa il 25% e poi permette ad alcuni particolari sonori di
concatenarsi, lasciando una persistenza prima dell’estinzione. Ciò è
sufficiente a legare lo stimolo istantaneo precedente con quello
successivo.
Solo grazie a questo collante percettivo sarà possibile una seconda
operazione, nella memoria a breve termine o working memory,
disponendo elementi cellulari lungo trame di senso.
Grazie alla capacità della mente di creare tracce mnestiche, le
trascrizioni sommarie e provvisorie permettono alla mente di
impossessarsi almeno di parte del fenomeno percepito.
Imberty teorizza le strategie per la cattura dei fenomeni musicali da
parte della memoria sensoriale a breve termine secondo il principio dei
vettori dinamici: progressione, diminuzione, crescita, ripetizione e
ritorno, mettendo in relazione l'istante con l'immediato futuro e il passato
prossimo o la dimensione remota con quella che deve ancora verificarsi.
I cambiamenti vengono così assimilati secondo i filtri culturali dei codici
in uso.
Questo favorisce l'organizzazione del tempo in schemi d'ordine che
obbligano ad accomodamenti e a continue ricentrazioni.
La memoria a lungo termine entra in gioco da subito insieme alle due
memorie sopra descritte, quando, al primo ascolto o alla prima
esecuzione, influenza la costruzione di schemi d'ordine e di relazione
richiamando elementi macro e microstrutturali immagazzinati durante le
proprie esperienze passate sulla base di criteri di carattere estetico
educativo o culturale. L'ippocampo è nato come cuscinetto tra la
corteccia primitiva e la neocorteccia, dunque tra la parte che regola i
comportamenti relativi ai bisogni primari e alle loro componenti emotive
e quella che permette lo sviluppo di processi adattivi più complessi
dell'uomo all'ambiente. Ricerche recenti attribuiscono a questa
componente cerebrale non il compito di immagazzinare ricordi, ma di
smistarli ed evocarli per associazione. Recenti studi, rispetto
all'organizzazione temporale dell'esperienza che aderiscono alla
cosiddetta codifica predittiva, asseriscono come, a ogni livello di un
processo cognitivo, il cervello generi modelli, o credenze, relative alle
informazioni che dovrebbe ricevere dal livello sottostante. Sia
nell'ascolto che nell'improvvisazione, tali aspettative sono basate sulla
conoscenza implicita delle caratteristiche comuni del genere musicale
cui appartiene il brano e di cui si ha conoscenza (pattern recognition).

Le emozioni create dall'aspettativa derivano da 5 sistemi distinti:


immaginazione, tensione, previsione, reazione e valutazione (ITPRA).
McDermott ha identificato diverse proprietà universali della musica:
impulso, organizzazione gerarchica delle scale, canto infantile, danza e
metro. L’autore del libro aggiungere come universale il principio di
l'irregolarità, dunque l'imperfezione sia di tipo frequenziale che ritmica,
condizione indispensabile perché la musica sia umanamente
espressiva.
L'idea di una stretta correlazione tra musica e linguaggio ha una solida
base neurobiologica, poiché è dimostrato che esiste una parziale
sovrapposizione tra i circuiti neurali dedicati ai due tipi di informazioni.
Inoltre, l'esercizio con gli strumenti musicali, è associato ad un elevato
grado di plasticità del cervello, come avevano rilevato gli studi di
cognitivisti, come Patel e Daniele: indagando le differenze tra le musiche
composte da musicisti di madrelingua inglese rispetto a quelle scritte da
francesi, hanno rilevato che le prime registravano contrasti di durata
assai più marcati dei secondi. Infatti l'inglese britannico mostra una
percentuale molto più elevata di sillabe accentate assai corte rispetto
alle altre lingue presi in esame. Più in generale il modo in cui
raggruppiamo le note all'interno di sequenze sonore continue segue la “
legge giambo-trocaica”, secondo la quale tendiamo a legare due suoni
di diversa intensità sonora in trochei e due suoni di diversa durata in
giambi.
È l’improvvisazione sonoro musicale nella vita neonatale e infantile a
destare l'interesse dei ricercatori rispetto alla relazione tra sviluppo
cognitivo e socio-relazionale in particolare rispetto alla formazione del
pensiero creativo. Nell'età evolutiva, e precisamente tra i 6 e gli 11 anni,
pare essere significativamente rilevante l'incremento delle capacità
improvvisative. Questa pratica produce benefici, non solo nel contesto
strettamente disciplinare, ma anche nello sviluppo cognitivo più
generale. Sawyer identifica tre elementi principali: improvvisazione,
collaborazione ed emergenza. L'improvvisazione si riferisce alla
produzione di nuove idee istantanee; la collaborazione localizza la
creatività nel gruppo nel suo insieme; l’emergente è il principio secondo
il quale l'intero è maggiore della somma delle sue parti, e produce un
risultato terzo, che ha proprietà dinamiche difficili da prevedere in
anticipo.
Non esiste solo una musica fatta di suoni, ma una musicalità espressa
nei comportamenti: i gesti del linguaggio parlato, la postura, lo stile nel
camminare, nel correre, nel saltare, nell’uso della propria corporeità
nello spazio. La prosodia intrinseca ad un messaggio verbale è
accompagnata da gestualità e da espressioni facciali (co-speech).
Si ritiene che i gesti agevolino l'apprendimento negli adulti come nei
bambini, per attuare la pianificazione concettuale dei messaggi e per
sottolineare le accentuazioni lessicali. La musicoterapia può intercettare
profili espressivo-corporei per valorizzarne il potenziale sonoro, il
coefficiente di trasferibilità modale (il grado di possibilità di trasferire
quel profilo in altre modalità epressivo-comunicative), e tramutare la
coreografia in musica e in musica in movimenti corporei. I linguisti che
sostengono la concezione di una parola motivata (dove fra significante il
significato esiste un legame che esprime una qualche forma di analogia
o di mimetismo del suono rispetto al senso) ci fanno intravedere una
continuità tra musica e parola; viceversa, c’è chi sostiene la distanza
tra parola e musica.
Patel ritiene che la competenza musicale non possegga una sua
specificità, in quanto i substrati cognitivi e neurali che impiega sarebbero
propri anche della dimensione verbale.
L'organizzazione musicale si fonda sul parametro altezza mentre quella
verbale privilegia l'aspetto timbrico. Musica e linguaggio possono essere
considerati sistemi parcellari, cioè la loro unione in un insieme di
elementi distinti con scarso significato intrinseco, combinati per formare
strutture capaci di esprimere significati molteplici. Questo è il tratto che li
distingue dalle sonorità del mondo animale. L'organizzazione linguaggio
verbale comprende la fonetica e la fonologia. Il fonema rappresenta
l'unità minima del discorso. Le lingue tonali, vale a dire i sistemi
linguistici dove le variazioni di altezza influenzano la dimensione
semantica, ci offrono un contesto di confronto con la dimensione
musicale.
I rapporti di altezza presenti nel discorso e nella musica, non possono
essere posti in rapporto, poiché nel linguaggio verbale non sono
presenti intervalli stabili.

Ecco alcuni dati riportati da Patel relativi alla dissociazione seguiti da


quelli relativi alla sovrapposizione.

Riguardo le asimmetrie:
-Le rappresentazioni in categorie una volta apprese non si
sovrappongono ;
-Le altezze musicali impegnano l'emisfero destro, mentre l'analisi dei
fonemi attiva la corteccia uditiva temporale superiore sinistra e la
corteccia frontale inferiore sinistra
Riguardo la bilateralità:

-L’ascolto passivo del discorso è associato all'attivazione bilaterale della


corteccia temporale superiore. Nella sordità pura alla parola la lesione
del lobo temporale superiore è bilaterale.

-L’analisi dei contorni melodici del discorso e della musica è situata a


destra;

-Le categorie sonore relative agli interventi musicali sembrerebbero


avere una rappresentazione bilaterale;

-In musica, la pulsazione regolare ha la funzione di coordinare il


movimento sincronizzato e di fornire un riferimento condiviso per
suonare insieme. Alcune qualità ritmiche presenti nella musica
occidentale sono presenti anche in altri contesti culturali (battito
regolare, anche se l'ambito culturale ne può condizionare la percezione,
raggruppamento in frasi).

La circoscrizione di un insieme sonoro-musicale viene definita


raggruppamento. La percezione dei confini è secondaria al rilevamento
di alcune qualità: allungamento della durata, abbassamento dell’altezza,
significative modificazioni di altezza, timbro, durata, intensità, ripetizione
dei motivi.

All'interno del linguaggio verbale è assente la periodicità ma è rilevabile


una dimensione ritmica. Il ritmo del discorso è una conseguenza
fonologica, mentre in musica è un costrutto strutturato coscientemente.
Le operazioni cognitive di raggruppamento riguardano anche il
linguaggio verbale. Tuttavia, una ricerca che ha confrontato ascoltatori
anglo-americani e giapponesi ha individuato modelli percettivi diversi.
Per quanto riguarda il raggruppamento in musica e nel discorso alcuni
dati indicherebbero una sovrapposizione delle aree corticali deputate.
La percezione dei confini di una frase è associata a un ERP definito
Closure Positive Shift (CPS).
La melodia può essere definita come una sequenza organizzata di
altezze che veicola diverse informazioni, costruita su di un insieme
stabile di intervalli. Cambiamenti significativi dell'altezza svolgono un
ruolo nel definire i confini di un gruppo. Il contorno melodico è distinto in
età neonatale, e tale competenza deriva dalla percezione
dell'interazione del linguaggio.
L'intonazione linguistica trasmette informazioni sintattiche, pragmatiche
ed enfatiche. All'interno del linguaggio verbale, le variazioni di altezza
indicano i confini di un gruppo. Vi sono però differenze di ordine
culturale. Per Peretz e Coltheart, l'analisi del contorno melodico
costituisce una funzione specificamente musicale non condivisa con il
linguaggio. Per Patel anche nei casi di amusia congenita esisterebbe
una compromissione a livello linguistico.
La sintassi musicale è costituita da un insieme di regole che guidano
la combinazione di singoli elementi in sequenza. L'acquisizione della
sintassi tonale riflette le caratteristiche più frequenti di un particolare
ambiente musicale. Nelle diverse culture la strutturazione delle scale
presenta spesso un centro tonale, e i rapporti tra i diversi suoni della
scala rimandano a differenti gradienti di stabilità. La sintassi musicale
conferisce alla musica una coerenza percettiva fondata più sul contrasto
che sulla somiglianza. La sintassi linguistica presenta specifiche
funzioni grammaticali non presenti in musica. Tuttavia sia in musica che
nel linguaggio le strutture ad albero pongono in relazione le categorie
grammaticali in modo gerarchico, e in entrambi i contesti le stesse
categorie grammaticali possono contenere elementi della stessa
categoria.
L'area di Broca più attiva a destra per l'analisi della musica, fa parte di
una rete corticale impegnata nelle analisi sintattica.

Alcuni dati neuropsicologici relativi alla dissociazione delle competenze:

- Amusia senza compromissione della sintassi linguistica;

- Afasia senza musica.

La contraddizione può essere risolta distinguendo la rappresentazione


sintattica dall’elaborazione sintattica, cioè evidenziando la differenza tra
conoscenza strutturale a lungo termine in un dominio, e le operazioni
attivate su queste rappresentazioni per costruire la percezione di oggetti
coerenti.
La convergenza fra i domini musicale e linguistico si osserva soprattutto
nei processi di integrazione.
Nella seconda metà del XIX secolo il dibattito sulla musica allarga i
propri partecipati: ai filosofi si aggiungono compositori e critici musicali,
che si interrogano sulla domanda che ha sempre destato opinioni
contrastanti: può la musica esprimere emozioni e significati?

Due sono i punti di vista principali: formalismo e contenutismo.

La potenzialità semantica del musicale è indirizzata da diversi indizi:

-I significati naturali;
-Il semantismo per convenzione;
-I fattori propriamente musicali.

La musica avrebbe quindi la potenzialità di stimolare interpretazioni sulla


base degli indizi che contiene, cioè di invitare a ricostruire schemi
affettivi, sia generici e universali, sia specifici di una determinata cultura.
Collisani studia la dimensione simbolica del linguaggio musicale
indagando gli aspetti che ne caratterizzano l'esperienza senso-
percettiva e l'elaborazione psicologica. Individua così alcune valenze
simboliche proprie del musicale in quanto derivate da elementi formali,
strutturali e materici, propri dell'espressività sonoro musicale e
condizionanti a loro volta il modo attraverso cui l'uomo si relaziona con
la musica: l'immaterialità del suono, la qualità espressiva intrinseca al
fenomeno sonoro, i livelli simbolici connessi al momento poietico e a
quello percettivo.

Vi sono diverse tipologie fonosimboliche: ecoico, sinestesico,


fisiognomico.

Di Benedetto individua nella musica diverse coppie di opposti:

-Ordine/Disordine;

-Creatività/Distruttività;

-Presenza/Assenza;

- Consolazione/Lutto

- Regressione/Progressione.

Nell'introduzione a “L'ascolto e l’ostacolo", Fausto Petrella individua


una connessione profonda tra due universi che si propongono di
tradurre ed esprimere l'esperienza emotiva umana. Riflettere sul
pensiero richiede un lavoro di decostruzione e ricostruzione, di
contestualizzazione e ritessitura interpretativa.
Il termine interpretazione viene utilizzato in riferimento a un livello
elementare dell'esperienza dell'esecutore musicale o del parlante o
dell'ascoltatore attraverso il quale si viene costituendo l'oggetto sonoro,
con le sue qualità connettive e i suoi molteplici rimandi di senso.
L'ascolto non si esaurisce nella percezione uditiva, ma presuppone una
dimensione interiore senza tradurre la risposta in azione, privilegiando
una posizione ricettiva. La ricettività non è di per sé passività o
devitalizzazione, ma è piuttosto accoglienza del carattere frammentario,
disarmonico, enigmatico dell'esistenza. L'ascolto è quindi di per sé
attivo, presuppone una esplorazione dello spazio acustico, attivandone
le potenzialità immaginative. Di fronte all'angoscia psicotica
sottostante la necessità di definire e comprendere anche gli aspetti
ultimi e più sfuggenti della realtà, l'ascolto analitico comporta
un'accettazione del vuoto di senso - l'ostacolo - una rinuncia alla
fantasia onnipotente di spiegare la realtà. La libera associazione è in
ordine di importanza, il primo strumento di cura, insieme alla capacità
del terapeuta di gestire, attraverso un ascolto ben guidato, le
caratteristiche e i timbri che formano i conflitti e le dinamiche/giochi delle
parti dello scenario terapeutico.
In conclusione, la comune radice del linguaggio analitico e di quello
musicale, è ancor più fortemente accentuata dai percorsi formativi
musicali e da quelli clinici: entrambi richiedono una interiorizzazione
selettiva degli strumenti accedendo a una dimensione empatica e
sensibile.
Giovanni Piana nel suo saggio “Filosofia della musica” descrive una
prospettiva di studio relativa alle possibili direzioni di senso proprie del
musicale. L'approccio fenomenologico individua le regole inerenti la
dimensione sonoro-musicale, analizzando gli aspetti senso-percettivi
che la caratterizzano. La musica, nelle sue innumerevoli espressioni
linguistiche, nascerebbe da precise scelte di senso effettuate all'interno
dell'universo sonoro, privilegiando certe direzioni e negandone altre.
Tale prospettiva supera una concezione puramente percettiva del senso
in musica.
Relativamente alla musicoterapia:
1)Il silenzio: è caratterizzato dalla consapevolezza ma anche dal vuoto,
dal nulla, dalla morte e dall'assoluto;

2)Il suono: esistono suoni potenzialmente fantomatici e suoni


strettamente materici;

3)Il tempo: la dimensione temporale costituisce un'area intermedia dove


possono incontrarsi articolarsi la temporalità del suono e la temporalità
della nostra vita interiore. Il flusso temporale vuoto caratterizzato dal
continuum viene allora ostacolato da questo ritmo, che va a porre tratti
distintivi che differenziano e contraddistinguono. Per certi aspetti tutta la
musica si articola seguendo questo dinamismo: suono continuo e
discontinuo.
4)Lo spazio sonoro: può comprendere la totalità dei fenomeni uditivi ma
in un'accezione più ristretta lo possiamo intendere come il percorso
sonoro che intercorre fra due note o ancora come il percorso sonoro che
esiste fra una nota e la sua ottava. Il continuum di questo spazio sonoro
non è indifferenziato; vi sono Infatti diversi punti distinti. Possiamo avere
la sensazione che il suono udito si dilati o si contragga in confronto al
suono fondamentale, o, viceversa, avere la sensazione di un altro
suono.

5)Consonanza e dissonanza: questi concetti sono inerenti allo spazio


sonoro. La relazione tra due suoni è da intendersi sia come simultanea,
sia come successiva. Il punto di massima consonanza è il punto più
distante dalla nota fondamentale, mentre il punto più vicino risulta quello
più dissonante.

6)Gli aspetti simbolici: ancora una volta viene presa in considerazione la


contrapposizione fra la tesi formalista e quella contenutista.

L'antropologia dei sensi di David le Breton si basa sull'idea che le


percezioni non siano soltanto il frutto di una fisiologia, ma dipendono
anzitutto da un orientamento culturale che lascia spazio all'espressione
della sensibilità individuale. Il corpo per Le Breton è il mezzo attraverso
cui noi conosciamo il mondo: i nostri cinque sensi danno significato a ciò
che percepiscono in termini di semplici input esterni. Il suono è la
principale forma di espressione del pensiero: attraverso la parola l'uomo
comunica ciò che percepisce ad altri. Se da un lato il suono è un
oggetto fisico, al tempo stesso è culturalmente determinato. La
dimensione di senso attribuito culturalmente al suono permette anche di
distinguere lo stesso dal rumore.
Per Vladimir Jankélévitch, la musica testimonia e comunica con l’uomo.
La musica di per sé non dice niente, perché priva di contenuto.
Semplicemente, indica. Secondo questa visione non è importante
definire concettualmente la musica, ma il pensare la musica come
azione, come segno della temporalità umana. La musica è testimone,
cioè indica all'uomo ciò che per lui è decisivo. In molti passi della sua
produzione filosofica l'autore associa la musica quello che egli definisce
l'Assoluto. La musica per lui non è mai solo tecnica musicale, ma la
ricerca della verità. Come l'assoluto, la musica non è riducibile a cosa,
così come non può essere nemmeno ridotta a rappresentazione dell'
Assoluto come un oggetto esterno. La musica rafforza una convinzione
che tutti abbiamo, non aggiunge conoscenza. La filosofia, come la
musica, dice sempre ciò che tutti già da sempre sanno: archetipi
universali. Non chiediamo alla musica più di quanto essa ci può dare.

Imberty ricorda che l'espressione delle emozioni si manifesta mediante


tutta una serie di atteggiamenti corporei, mimici, e mediante gradi
diversi del tono muscolare. Si può parlare quindi di schemi di tensione e
di distensione, poiché le verbalizzazioni associate all'ascolto di brani
musicali contengono evocazioni di natura dinamica parallele fra stato
emozionale e coinvolgimento corporeo. Il concetto di integrazione e di
disintegrazione, è qui considerato parallelamente alla sensazione di
integrazione e di disintegrazione formale della musica.
Imberty evidenzia che la sensazione di integrità o meno della forma
musicale è indipendente dal fatto che la musica segua sempre una sua
unità formale, in quanto è possibile che l'attenzione di chi ascolta sia più
o meno orientata alle strutture di antagonismo e di rottura, piuttosto che
alle strutture ordinate e consequenziali, e ricorda che anche in strutture
discontinua è sempre presente una qual forma di unità formale.
Il simbolismo musicale appare come un qualcosa di diverso dal
possibile contenuto delle unità elementari della musica, poiché ciò che
viene associato agli schemi presentati contiene strutture musicali molto
più complesse e articolate che verranno analizzate di seguito.
Imberty afferma che quanto più uno stimolo sonoro è complesso, tanto
più sollecita all'attività reticolare, e tanto più lo stesso stimolo è brusco,
rilevante, inaspettato o diversificato dai precedenti, tanto più genera
conflitto fra i potenziali di risposta della corteccia cerebrale, producendo
una tensione che potrebbe farlo respingere come assolutamente
sgradevole.
Un altro spunto importante di riflessione proposto da Imberty riguarda
l'attesa dell'ascoltatore. L'opera musicale da un lato asseconda le
possibilità di anticipazione dell'ascoltatore, ma dall'altro propone nuclei
strutturali che interferiscono con i sistemi di attese percettive, creando
un effetto sorpresa che produce un innalzamento del tono reticolare e di
conseguenza un aumento della tensione emotiva. Anche per quanto
riguarda la velocità vale quanto affermato, poiché dalle analisi
dell'autore emerge come la velocità interagisca con la durata.
Secondo lo stesso autore, la minore velocità rischia di alimentare la
sensazione di destrutturazione dello stimolo musicale.
La durata dell'intervallo metrico influisce direttamente sulla
percezione dell'unità, del brano, se questa durata inferiore a un
secondo, mentre acuisce la sensazione di complessità e di
disintegrazione della forma, quando è superiore a un secondo.
Nell'esposizione dei suoi concetti, Imberty considera fondamentali due
parametri: variazione media di intensità e variazione media di durata. Il
primo parametro prende in considerazione molti elementi strutturali della
musica: l'intensità di ogni nota, la sua collocazione nello spazio sonoro,
il suo ruolo armonico, il suo manifestarsi metrico e il tipo di
accentuazione che la caratterizza. Il secondo parametro fa riferimento ai
valori dei rapporti fra le durate e prende in considerazione ogni singola
nota in riferimento alla sua figura di durata.
Se il valore assunto risulta essere elevato ci potranno essere due tipi di
risposte emozionali: da un lato malinconiche e depressive e dall'altro
d’angoscia e d’aggressività. Quando invece il valore assunto dall'indice
di complessità formale è tenue, le risposte emozionali risultano essere
connotate da euforia, serenità e piacevolezza.

Secondo Imberty esiste una stretta correlazione fra l'indice di


complessità formale e l'indice di dinamismo generale, che permette di
prevedere il livello di tensione emozionale suscitato dalla forma
musicale e la semantica delle risposte verbali. Le risposte emozionali
malinconiche e depressive sono suscitate da una forte tensione causata
da conflitti derivanti da una complessità formale elevata, ma inibiti dal
rallentamento eccessivo della velocità e dalla debole intensità sonora:
ciò tende a far diminuire l'attivazione globale. Le risposte emozionali di
angoscia e d’aggressività sono invece frutto di tensioni causate da
accelerazione della velocità aumento dell'intensità sonora: ciò alza il
livello dell'attivazione globale.

Il processo semantico per Patel include le seguenti fasi:

1)Recupero della memoria;

2)Attivazione delle rappresentazioni delle informazioni più importanti;

3)Selezione delle rappresentazioni delle informazioni più importanti;

4) Integrazione delle informazioni nel contesto semantico.

Patel, nella sua trattazione, individua alcuni tipi di significato musicale:

1)L’interconnessione strutturale degli elementi musicali: è relativa ai


rapporti gerarchici e gestaltici presenti all'interno di una struttura
musicale, e alcuni elementi musicali creano l'attesa di altri elementi
musicali. Si crea così un’aspettativa che una volta soddisfatta sollecita
un'emozione.

2)L’espressione delle emozioni: è necessario distinguere l'espressione


delle emozioni generata dalla musica e l'esperienza dell'emozione da
parte degli ascoltatori. Vi sono delle analogie fra le qualità acustiche
usate nella musica per l'espressione di alcune emozioni di base e le
qualità acustiche impiegate nel linguaggio verbale per esprimere le
stesse emozioni.

3)L’esperienza delle emozioni: la musica è in grado di sollecitare


emozioni specificatamente musicali. La musica è anche capace di
evocare emozioni che fanno parte della comune esperienza soggettiva,
in questi casi entra in gioco una componente biografica individuale che
risuona all'espressione emotiva della musica.

4)Pittura tonale: con questa definizione Patel si riferisce alle limitazioni


musicali di fenomeni naturali; tale dimensione corrisponde alla
concezione fonosimbolica.
5)Argomenti musicali: si tratta di caratteristiche figure musicali
consolidatesi nel corso del divenire storico e associati con particolari
funzioni sociali e religiose.

6)Associazioni sociali: la musica, nel suo genere, è espressione di


diversi contesti socio-culturali.

7)Associazione con l'esperienza di vita: la musica quando connessa con


la personale biografia è capace di svolgere un'intensa funzione
evocativa.

8)Creare o trasformare il Sé: la musica può essere impiegata soprattutto


in età adolescenziale per definire la propria identità.

9)Struttura musicale e concetti culturali: esiste un rapporto tra cultura di


appartenenza e struttura musicale che può riflettere alcuni elementi
peculiari della stessa.

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