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ROSANNA GIAQUINTA

VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI


Eduardo De Filippo rilegge Gogol’ attraverso Šostakovič

ESTRATTO
da

DMITRIJ D. ŠOSTAKOVIČ (1906-1975)


TRA MUSICA, LETTERATURA E CINEMA
ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE (UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
UDINE, 15-17 DICEMBRE 2005)
A CURA DI ROSANNA GIAQUINTA

Leo S. Olschki Editore


Firenze
2008
«HISTORIAE MUSICAE CULTORES»
CXII
diretta da
Lorenzo Bianconi

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DMITRIJ SOSTAKOVIC
TRA MUSICA, LETTERATURA E CINEMA

Atti del Convegno internazionale


Università degli Studi di Udine
15-17 dicembre 2005

a cura di
ROSANNA GIAQUINTA

Firenze
Leo S. Olschki Editore
MMVIII
«HISTORIAE MUSICAE CULTORES»
CXII
diretta da
LORENZO BIANCONI

DMITRIJ ŠOSTAKOVIČ
TRA MUSICA, LETTERATURA E CINEMA

Atti del Convegno internazionale


Università degli Studi di Udine
15-17 dicembre 2005

a cura di
ROSANNA GIAQUINTA

FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMVIII
Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI


Viuzzo del Pozzetto, 8
50126 Firenze
www.olschki.it

ISBN 978 88 222 5718 5


ROSANNA GIAQUINTA

VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI


EDUARDO DE FILIPPO RILEGGE GOGOL’ ATTRAVERSO ŠOSTAKOVIČ

Tutto ciò che è terribile diventa comico.


MICHAIL BACHTIN

Il 23 maggio 1964, nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino, al Teatro


della Pergola di Firenze andò in scena Il naso di Dmitrij Šostakovič, realizzato
con la regia di Eduardo De Filippo. Dirigeva il maestro Bruno Bartoletti, le sce-
ne erano di Mino Maccari; il personaggio di Kovalëv, baritono, era interpretato
da Renato Capecchi. Si trattava della prima rappresentazione in Italia. Nel pre-
sente lavoro si cercherà da un lato di ricostruire la gestazione di uno spettacolo
creato da un gruppo di artisti straordinari, e dall’altro di comprendere come
l’opera venne accolta dal pubblico e dalla critica italiani. E soprattutto, ciò che è
più importante, si cercherà di far luce sul non ovvio percorso di uno dei gogo-
liani Racconti di Pietroburgo, creato negli anni Trenta dell’Ottocento, musicato
dal giovane Šostakovič nella stessa città (trasformatasi ormai in Leningrado)
nell’ultimo scorcio degli anni Venti, infine reinterpretato da un regista erede della
più pura tradizione popolare napoletana. In altre parole, si cercherà di compren-
dere come un racconto fantastico, trasformato da un compositore serio in
un’opera amara, viene interpretato da un registra malinconico appartenente a
una cultura che ha le sue radici nella commedia dell’arte.1

1 Per la realizzazione di questo studio desidero ringraziare il maestro Roman Vlad, il maestro

Bruno Bartoletti e la signora Jolanda Meneguzzer per le interviste che mi hanno gentilmente con-
cesso e i materiali forniti; l’Ufficio Stampa del Maggio Musicale Fiorentino, presso il quale ho potuto
consultare la splendida raccolta di recensioni agli spettacoli del Maggio del 1964; il dott. Moreno
Bucci dell’Archivio del Maggio, presso il quale ho preso visione dei bozzetti di Mino Maccari e
del materiale iconografico relativo alla rappresentazione del Naso, e dal quale ho avuto utilissime
indicazioni, bibliografiche e non; l’Archivio Bonsanti di letteratura contemporanea del Gabinetto
Vieusseux di Firenze; Luca De Filippo, figlio di Eduardo, per l’autorizzazione a consultare e pub-

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Un punto di partenza può essere il breve scritto pubblicato da Fedele d’A-


mico sulla «Nuova Rivista musicale italiana» come necrologio a De Filippo. In
esso d’Amico ricostruisce la carriera di Eduardo regista d’opera e conclude:
L’altro vertice toccato da Eduardo fu Il naso, quella sorta di Wozzeck capovolto
in grottesco da uno Šostakovič ventenne, con Gogol’ alle spalle ma nel pieno dell’in-
candescente avanguardia russa dei primi anni Venti. Io avevo fatto la versione ritmica,
con la collaborazione di Ripellino, avrebbe diretto Bartoletti, Maccari si divertı̀ a
disegnare bozzetti e figurini a decine e centinaia, fra cui Eduardo avrebbe dovuto
approvare, bocciare, far rifare. Ma che c’entrava lui in quel mondo? «Come te la
caverai?», gli dissi. E lui: «Ma i russi, che ti credi che siano? Sono dei napoletani
anche loro». Al solito, sapeva benissimo in che misura il grottesco, l’espressionistico,
il russo-futuristico della faccenda andassero dosati, e la fantasia dovesse esplodere via
via, acre, crepitante e leggera. E venne fuori una meraviglia.2

I russi come napoletani, o i napoletani come russi: un’idea certamente


allettante. Già Roman Vlad, ideatore del Maggio espressionista, si era posto il
problema in questi stessi termini:
La scelta del napoletano Eduardo per la messa in scena di un lavoro dell’ucraino
Gogol’ musicato dal russo Šostakovič poté apparire a prima vista azzardata. A conti
fatti si rivelò come il vero asso nella manica per la sensazionale riuscita dello spetta-
colo, che nessuno si attendeva. L’immedesimazione di Eduardo con gli assunti e i
personaggi della novella di Gogol’ fu totale e felicissima. Come felicissima si rivelò l’idea
di affidare la progettazione delle scene e dei costumi a Mino Maccari.3

In realtà, il rapporto tra i tre, Gogol’, Šostakovič e De Filippo, è molto più


complesso, e il percorso che porta l’ultimo a incontrare il primo, lungo e non
certo lineare, presenta alcuni rischi: primo fra tutti, quello di dar vita a una
messa in scena che, pur splendida, è andata forse lontano dall’originale.

blicare i materiali del padre conservati presso l’Archivio Bonsanti; Ernesto Cilento dell’associazione
Voluptaria per i materiali relativi a Eduardo gentilmente messi a mia disposizione; Caterina e Maso-
lino d’Amico per le lettere relative al lavoro di Fedele d’Amico sul libretto; Marco Maccari per
l’autorizzazione a pubblicare i materiali del padre; l’IRTEM di Roma; la biblioteca del Conservatorio di
San Pietroburgo; e infine Eleonora Cvetkova della Biblioteca Nazionale di Pietroburgo per l’aiuto
nelle ricerche bibliografiche.
2 «Nuova Rivista musicale italiana», 1984, n. 4, p. 747.

3 R. VLAD, Eduardo e Maccari, sotto il segno del ‘‘naso’’, in Eduardo e Maccari, Napoli, Associa-

zione Voluptaria, 1994, pp. 15-16. La grafia del nome di Šostakovič e di quello di Gogol’ nel testo e
nelle citazioni bibliografiche del presente lavoro è stata standardizzata in base alla traslitterazione
scientifica italiana, e non riproduce quindi i modi, spesso fantasiosi, in cui essi vengono trascritti
sui giornali dell’epoca. Lo stesso per quanto riguarda altre menzioni di nomi russi.

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Il tentativo di descrivere e analizzare una rappresentazione teatrale non


documentata in video è necessariamente destinato a produrre un risultato
parziale e in notevole misura arbitrario. Il teatro è, per definizione, il regno
dell’effimero; nessuna rappresentazione è mai uguale alla precedente o alla
successiva, e anche oggi, con la possibilità di registrare qualsiasi evento con le
tecniche più sofisticate, lo studioso non potrà mai rendere conto in modo
completo della dinamica interna a qualsiasi lavoro teatrale, musicale e non:
si dovrebbero registrare, infatti, non uno spettacolo solo, bensı̀ tutte le sue
repliche, su tutte le piazze, nelle diverse stagioni, e cosı̀ via all’infinito. Anche
il più accurato lavoro di documentazione e ricostruzione produrrà quindi
sempre risultati dal valore mai definitivo.
Inoltre, l’analisi della recezione di un fenomeno proprio di una cultura
all’interno di un’altra non può prescindere dal ‘rumore’ che inevitabilmente
disturba e complica la trasmissione del messaggio – un problema di ordine
semiotico quanto mai banale, che però acquista particolare importanza in
un caso come quello della realizzazione e della successiva recezione di un’ope-
ra in musica basata su un testo letterario, ossia in un contesto in cui interagi-
scono linguaggi assai diversi: quello strettamente letterario, quello musicale,
quello registico, quello scenografico, quello dell’interpretazione attoriale. E
in effetti qui si parte da un testo letterario – Gogol’ riletto da Šostakovič –
e si arriva a un prodotto finale inevitabilmente per molti aspetti assai diverso.

IL NASO DI ŠOSTAKOVIČ

L’opera (op. 15) fu cominciata dal giovanissimo compositore nell’estate


del 1927, e conclusa circa un anno dopo, ossia nel periodo in cui questi lavo-
rava per Vsevolod Emil’evič Mejerchol’d e abitava presso di lui a Mosca (nel
1929 avrebbe composto le musiche per la sua realizzazione della Cimice di
Majakovskij 4). Sono gli anni di un grande ritorno a Gogol’; numerose erano
state, ad esempio, le messe in scena del Revisore, tra cui memorabili quella
moscovita di Mejerchol’d (dicembre 1926) e quella ‘scandalosa’ di I. Teren-
t’ev (aprile 1927) alla Casa della stampa di Leningrado; del 1926 è anche
un film tratto dal Cappotto, ideato da Grigorij Kozincev e Leonid Trauberg,

4 Va ricordato che per la creazione della musica per La cimice Mejerchol’d si era rivolto inizial-

mente a Sergej Prokof’ev, il quale nel 1926 aveva composto, dietro suggerimento del regista, L’amore
delle tre melarance, poi messo in scena proprio al Malyj opernyj teatr di Leningrado non da Mejer-
chol’d, ma da un suo allievo, Sergej Radlov. Cfr. I. GLIKMAN, Mejerchol’d i muzykal’nyj teatr, Lenin-
grad, Sovetskij kompozitor, 1989, p. 331.

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i quali nel 1921 avevano realizzato per la scena anche un contestatissimo


Matrimonio. La critica ortodossa vorrebbe che Gogol’ venisse riletto princi-
palmente in chiave di satira sociale e di costume; i registi, invece, sembrano
coglierne quasi esclusivamente il lato grottesco, iperbolico e addirittura, nel
Cappotto, decisamente surreale.5
Il testo del libretto si basa non soltanto sull’omonimo racconto di Gogol’,
ma anche su altre sue opere (Le anime morte, Il matrimonio, Taras Bul’ba, Pro-
prietari d’altri tempi, Memorie di un pazzo, La notte di Natale e altre ancora).
Particolarmente interessante è poi l’inserimento di un brano da Dostoevskij, la
canzoncina che il servo di Kovalëv, Ivan, canta accompagnandosi con la bala-
lajka (atto II, quadro sesto), e che è tratto dal capitolo Smerdjakov suona la
chitarra [Smerdjakov s gitaroj] dei Fratelli Karamazov.6 Nella maggior parte
dei casi il testo gogoliano viene ripreso con grande fedeltà, ed è lo stesso com-
positore che dichiara a quali principii si è ispirato nella sua stesura, e in che
cosa si è invece allontanato da Gogol’, in un breve scritto che compare sull’e-
dizione moscovita del libretto; qui Šostakovič afferma anche esplicitamente
che il testo è composto secondo il principio del montaggio letterario.7
Del libretto, dunque, è autore in primo luogo lo stesso compositore, ma
collaborano con lui i giovani letterati Aleksandr Prejs e Georgij Ionin 8 (che
contribuiscono soprattutto alla stesura del III atto, il più ampio), nonché,
ma solo inizialmente, Evgenij Zamjatin, che scrive la scena del risveglio di
Kovalëv (atto I, quadro terzo) e interviene anche sulla canzone del servo. Šosta-
kovič, inoltre, torna ad ambientare nella cattedrale di Kazan’ il colloquio tra
Kovalëv e il Naso, scena che Gogol’, per motivi di censura, aveva spostato nel
Gostinyj dvor, la loggia dei mercanti di Pietroburgo. «Se in caso la vostra stu-

5 Per comprendere l’attualità del tema gogoliano in questi anni si veda I. SOLLERTINSKIJ , Gogol’

v russkoj opere, «Rabočij i teatr», 1934, n. 10, pp. 6-9.


6 Libro quinto, capitolo II. Non sembra che Šostakovič fosse consapevole del fatto che si trat-

tava, in realtà, di una canzone popolare raccolta da Dostoevskij a Mosca molti anni prima dell’inizio
della stesura del romanzo: «Il lacchè Smerdjakov canta una canzone da lacchè», spiega lo scrittore
(cfr. F.M. DOSTOEVSKIJ, Polnoe sobranie sočinenij v tridcati tomach, t. 15: Bratja Karamazovy, Lenin-
grad, Nauka, 1976, nota p. 448).
7 D. ŠOSTAKOVIČ , Počemu ‘‘Nos’’?, in Nos. Opera v 3-ch dejstvijach, 10-ti kartinach (po Gogolju).

Muzyka D. Šostakoviča. Polnyj tekst opery, [Moskva], Teakinopečat’, 1930, p. 4.


8 Per le poche notizie disponibili su di loro cfr.: S. CHENTOVA, Molodye gody Šostakoviča, kn. 1,

Leningrad, Sovetskij kompozitor, 1975, pp. 213-215. La Chentova riferisce su Ionin, giovane di
grande talento scomparso a poco più di vent’anni, quanto racconta L. PANTELEEV, suo vecchio com-
pagno di scuola, in Geroi ‘‘Respubliki Škid’’, «Naši dostiženija», 1929, n. 3, p. 155, e in Gde vy, geroi
‘‘Respubliki Škid’’?, «Komsomol’skaja pravda», 11.VI.1967, n. 135, p. 4 (il riferimento è ai racconti
di L. Panteleev e G. Belych dedicati alla scuola per ragazzi senza famiglia da loro frequentata:
Respublika Škid, Moskva-Leningrad, Gosudarstvennoe izdatel’stvo, 1927). Con Prejs invece Šostakovič
scriverà, come è noto, anche il libretto per Lady Macbeth del distretto di Mcensk.

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pida censura si attaccherà al fatto che un naso non può venirsi a trovare nella
cattedrale di Kazan’» – aveva scritto Gogol’ già al redattore dell’«Osservatore
moscovita», la rivista alla quale aveva inizialmente offerto il racconto, – «lo si
può magari trasferire in una chiesa cattolica».9 Infatti, puntualmente, la cen-
sura non aveva accettato un’ambientazione tanto irrispettosa, e lo scrittore
aveva collocato altrove la scena, abbandonando anche qualsiasi allusione anti-
cattolica e optando per uno sfondo decisamente mondano. Proprio nel 1928
esce un’edizione delle opere di Gogol’, curata da Boris Ejchenbaum, in cui
sono per la prima volta eliminati tutti gli interventi della censura.10 È difficile,
senza un controllo nella biblioteca del compositore, stabilire se Šostakovič si
sia servito di questa edizione, oppure se abbia ripristinato il testo secondo la
primitiva intenzione dello scrittore, con l’ambientazione nel Gostinyj dvor, di
propria iniziativa. In questo secondo caso, comunque, tra i possibili motivi
della scelta quello più probabile potrebbe essere una considerazione di ordine
estetico, più che di ordine, per cosı̀ dire, filologico: nella solenne cattedrale
di Kazan’ (grandioso edificio sul Nevskij prospekt, costruito a imitazione della
basilica di San Pietro) un dialogo tra un Naso fattosi uomo e un uomo privo di
naso sarebbe risuonato, sullo sfondo di un coro quasi mistico, particolarmente
assurdo e beffardo.

La prima dell’opera ebbe luogo il 18 gennaio 1930 al Malyj opernyj teatr


di Leningrado (Piccolo teatro dell’opera, in sigla MALEGOT), con la direzione
di Samuil Abramovič Samosud,11 la regia di Nikolaj Vasil’evič Smolič 12 e le

9 Citato in G.M. FRIDLENDER [Primečanija], in N.V. GOGOL’, Sobranie sočinenij v semi tomach,

t. 6, Moskva, Chudožestvennaja literatura, 1977, p. 289.


10 N.V. GOGOL’, Sočinenija v trëch tomach. Pod red. B.M. Ejchenbauma, Moskva-Leningrad,

Gosudarstvennoe izdatel’stvo, 1928.


11 I personaggi del Naso sono ben 78: l’elenco degli interpreti principali è riportato nell’utilis-

sima guida all’opera di A.L. BRETANICKAJA, ‘‘Nos’’ D.D. Šostakoviča: putevoditel’, Moskva, Muzyka,
1983, pp. 41-42. Il nome di S.A. Samosud (1884-1964) è particolarmente legato a quello di Šosta-
kovič. Samosud fu direttore artistico e direttore d’orchestra al Malyj opernyj teatr dalla sua crea-
zione nel 1918 fino al 1936, poi passò al Bol’šoj di Mosca dove lavorò fino al 1943. Nel 1957 creò
l’orchestra sinfonico-operistica della radio sovietica. Uomo di grandissima erudizione e infaticabile
entusiasmo, si dedicò principalmente al mondo operistico, sia classico che contemporaneo, per il
quale mostrò una particolare sensibilità non solo strettamente musicale, ma anche drammaturgica.
Fu indubbiamente fortunato (considerata anche la nazionalità ebraica, fattore che in questi anni
in Unione Sovietica non era certo di vantaggio), e fu più volte insignito del premio Stalin.
12 N.V. Smolič (1888-1968), che dal 1922 aveva lavorato presso il Mariinskij, era il primo regi-

sta del teatro dal 1924; dal 1930 al 1938 fu poi primo regista al Bol’šoj di Mosca. Furono indubbia-
mente le sue scelte a determinare la linea artistica del teatro. Sulla sua attività presso il Malyj opernyj
teatr si vedano gli ottimi lavori di E.V. TRET’JAKOVA, N.V. Smolič – glavnyj režissër MALEGOTa, in
Opernaja režissura: istorija i sovremennost’. Sbornik statej i publikacij, Sankt-Peterburg, Rossijskij
institut istorii iskusstv, 2000, pp. 121-150, che ha anche il pregio di presentare un’eccellente rassegna
delle recensioni al Naso e il testo del verbale della discussione sul progetto registico dell’opera tenu-

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scene di Vladimir Vladimirovič Dmitriev.13 Il MALEGOT era stato creato nel


1918 come scena secondaria del Mariinskij (all’epoca denominato Gosudar-
stvennyj teatr opery i baleta), e aveva sede nel teatro Michajlovskij. Nel corso
degli anni aveva cambiato diverse denominazioni e aveva assunto quella defi-
nitiva nel 1926. Dalla stagione 1931-1932 poté contare su una totale indipen-
denza di mezzi, in quanto aveva una sua orchestra, un coro, una compagnia
stabile di solisti e, soprattutto, un programma preciso: quello di diventare il
laboratorio della nuova opera sovietica. Sotto la guida di Smolič, il teatro
seguiva tre filoni principali. Il primo era l’opera europea contemporanea:
ricordiamo le realizzazioni di due opere di Ernst Křenek, Der Sprung über
den Schatten (in russo Prižok čerez ten’), nel maggio del 1927, e Jonny spielt
auf (in russo Džonni naigryvaet), nel novembre 1928,14 che indubbiamente
influenzarono il giovane Šostakovič, e nel marzo del 1929 quella di Armer
Columbus (nella realizzazione del Malyj opernyj teatr Kolumbus), del tedesco
Erwin Dressel, opera per la quale proprio Šostakovič scrisse l’intermezzo che
precede il sesto quadro e il finale. Il secondo era la reinterpretazione dei
classici: ad esempio, la Dama di picche di Čajkovskij nel 1931, poi ripresa an-
che nel 1935 con la regia di Mejerchol’d. Infine, il terzo percorso era la sovre-
menničeskaja linija, ossia, appunto, gli esperimenti nel campo dell’opera
contemporanea ‘sovietica’.15 La linea stilistica del regista è tendenzialmente
eclettica e risente senz’altro notevolmente delle esperienze mejerchol’diane,
sia nella tendenza al grottesco che nella sottolineatura del carattere convenzio-
nale del teatro. Inoltre, la critica è concorde nel riconoscergli una grande sen-

tasi presso il teatro il 20 maggio 1929 (ivi, pp. 164-166), e Roždenie teatra, in Sankt-Peterburgskij
Gosudarstvennyj akademičeskij teatr opery i baleta im. M.I. Musorgskogo, Sankt-Peterburg, LIK,
2001, pp. 11-35 (a p. 27 si può vedere una foto di scena da Nos).
13 V.V. Dmitriev (1900-1948) lavorò per alcuni anni al MALEGOT , poi dalla stagione 1928-

1929 cominciò a collaborare anche con lo MCHAT di Mosca, di cui dal 1941 divenne il primo
scenografo. Nell’edizione leningradese del libretto del Naso Dmitriev firma due paginette in cui
brevemente espone e spiega la struttura della scena: O postanovke, in Nos. Opera v 3-ch aktach po
N.V. Gogolju. 15-e sočinenie D. Šostakoviča, Leningrad, Gosudarstvennyj Malyj opernyj teatr, 1931,
pp. 12-13.
14 Se il pubblico leningradese fu in parte sconcertato da queste realizzazioni, due spettatori

d’eccezione diedero invece giudizi entusiastici: Paul Hindemith, il quale dichiarò che anche soltanto
assistere a Der Sprung über den Schatten valeva il viaggio dalla Germania e decise di scrivere un’opera
per il Malyj Opernyj Teatr, ed Ernest Ansermet, il quale affermò che quello era il miglior teatro d’o-
pera della Russia e che per qualità dell’esecuzione musicale la sua orchestra non era da meno di
quella della Scala di Milano (cfr. E.V. TRET’JAKOVA, N.V. Smolič cit., pp. 137-138 e n. 59, e ID., Rož-
denie teatra cit., p. 23).
15 Il dibattito sull’opera della nuova epoca sovietica, come si è detto, è in questi anni alquanto

vivace. Sull’argomento mi limito a ricordare, in quanto analizza in particolare l’attività del MALEGOT,
uno scritto di I. SOLLERTINSKIJ, Tvorčeskie profili muzykal’nych teatrov Leningrada, «Sovetskaja mu-
zyka», 1935, n. 11, pp. 78-87 (ora in ID., Kritičeskie stat’i, Leningrad, Gosudarstvennoe muzykal’noe
izdatel’stvo, 1963, pp. 107-121).

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sibilità per l’elemento ritmico e coreografico, nonché un’estrema recettività


per tutto quanto alla scena e al cantante-attore viene suggerito dalla musica,
più che dal libretto. In ciò Smolič risulta il regista perfetto per Šostakovič,
che scriveva: «Nel Naso gli elementi dell’azione e quelli musicali sono sullo
stesso piano. Né gli uni né gli altri sono in posizione predominante. In questo
modo ho cercato di creare una sintesi di musica e rappresentazione teatra-
le».16 Non a caso, dopo l’esperienza di Nos, Šostakovič vorrà di nuovo Smolič
come regista per Lady Macbeth.

La prima era stata preceduta da alcune presentazioni preliminari: il 25


novembre 1928 Nikolaj Mal’ko diresse a Mosca in forma di suite sette brani
per il tenore e il baritono, in un’esecuzione che fu ripresa a Leningrado il 26
maggio dell’anno successivo; il 16 giugno 1929 al Malyj opernyj teatr ci fu
un’esecuzione in forma di concerto, direttore Samosud; il 14 gennaio 1930
al Moskovsko-Narvskij dom kul’tury di Leningrado ci fu la presentazione
di tre quadri dall’opera, con relativa discussione. Queste prime sortite del
nuovo lavoro del giovane compositore avevano suscitato, come è noto, un
acceso dibattito, che peraltro è opportuno inserire in quello, ben più ampio
nonché ideologicamente connotato, relativo alla creazione dell’opera sovietica
come genere nuovo. Per la natura stessa del suo nuovo lavoro, Šostakovič era il
primo a temere l’effetto che avrebbero prodotto le esecuzioni come concerto,
affidate alla sola musica e prive dell’elemento strettamente teatrale. A pochi
giorni dalla presentazione del 16 giugno scrisse infatti a Smolič: «Il Naso
per me perde ogni significato se ci si accosta ad esso solo sul piano della
musica. Perché in esso l’elemento musicale scaturisce esclusivamente dall’azio-
ne».17 Va però detto che le reazioni della critica e del pubblico inizialmente
non furono del tutto negative e testimoniavano di un grande interesse per
quest’opera, percepita a pieno titolo come sperimentale.18 Dopo la prima

16 D. ŠOSTAKOVIČ, K prem’ere ‘‘Nosa’’, «Rabočij i teatr», 1929, n. 24, p. 12.


17 Lettera a N.V. Smolič del 7.VI.1929, cit. in G. JA. JUDIN, «...Vaša rabota dlja menja sobytie na
vsju žizn’», «Sovetskaja muzyka», 1983, n. 6, p. 90.
18 Le vicende che accompagnarono la messa in scena dell’opera e le discussioni che ne segui-

rono sono riportate con dovizia di particolari in S. CHENTOVA, Molodye gody Šostakoviča cit.,
pp. 211-231, poi in ID., Šostakovič. Žizn’ i tvorčestvo, t. I, Leningrad, Sovetskij kompozitor, 1985,
pp. 194-212 (e cronologia pp. 530-533). Dopo la ripresa moscovita dell’opera nel 1974 la bibliogra-
fia sul tema si è arricchita di diversi titoli: A. BOGDANOVA, Rannie proizvedenija Šostakoviča dlja dra-
matičeskogo teatra, in Iz prošlogo sovetskoj muzykal’noj kul’tury, sost. i red. T.N. Livanovoj, vyp. 1,
Moskva, Sovetskij kompozitor, 1975, pp. 7-34; B. JARUSTOVSKIJ, Vozroždenie opery, «Sovetskaja mu-
zyka», 1975, n. 2, pp. 53-60; G. FËDOROV, Vokrug i posle ‘‘Nosa’’, «Sovetskaja muzyka», 1976, n. 9,
pp. 41-50; ID., U poroga teatra Šostakoviča, «Teatr», 1976, n. 10, pp. 26-33; V. RUBCOVA, Zametki ob
orkestre v operach S. Prokof’eva ‘‘Ljubov’ k trëm apel’sinam’’, ‘‘Duen’ja’’ i D. Šostakoviča ‘‘Nos’’, in

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del 18 gennaio, Nos rimase in cartellone per quattordici repliche nel 1930 e
due nel 1931. Ma non si deve pensare che ciò significasse un insuccesso, per-
ché queste sedici rappresentazioni sono più di quelle che negli stessi anni
ebbero, al MALEGOT, Il barbiere di Siviglia di Rossini e Il galletto d’oro e La
fanciulla di neve di Rimskij-Korsakov.19
Alcune lettere di Šostakovič di questo periodo aiutano a comprendere la
tensione del dietro le quinte. La replica del 4 febbraio 1930 dovette essere
annullata a causa della malattia di Ivan Alekseevič Nečaev, il cantante che
interpretava il personaggio del Naso, e fu sostituita dalla Tosca. Šostakovič scrive
di ciò a Zachar Isaakovič Ljubimskij, che negli anni 1928-1930 era il responsa-
bile dei teatri accademici di Leningrado e che aveva fortemente sostenuto il pro-
getto del Naso, ed esprime il proprio rammarico per il fatto che il motivo della
cancellazione dello spettacolo non era stato reso noto. «Mi sembra che in certi
casi sia indispensabile comunicarlo, altrimenti chissà cosa possono pensare»,20

Voprosy teorii i estetiki muzyki, vyp. 15, Leningrad, Muzyka, 1977, pp. 120-138; A.L. BRETANICKAJA,
‘‘Nos’’ D.D. Šostakoviča: putevoditel’ cit., p. 93; L.G. DAN’KO, Komičeskaja opera XX veka, Lenin-
grad, Sovetskij kompozitor, 1986 (1a ed. ivi 1976), pp. 137-148; K. MEJER, Šostakovič. Žizn’. Tvor-
čestvo. Vremja, Sankt-Peterburg, Kompozitor, 1998 (ed. or. K. MEYER, Szostakowicz, Kraków, Polskie
Wydawnictwo Muzyczne, 1986; trad. tedesca Schostakowitsch. Sein Leben, sein Werk, seine Zeit,
Bergisch Gladbach, Gustav Lübbe Verlag, 1995), pp. 99-115; I. RYŽKIN, O suščnosti opery ‘‘Nos’’.
Ot pokaza v 1929 godu k predšestvujuščemu i posledujuščemu, «Muzykal’naja akademija», 1997,
n. 1, pp. 83-95; ID., ‘‘Nos’’ – opera Šostakoviča i povest’ Gogol’ja (K novym aspektam rassmotrenija),
in D. Šostakovič. Problemy stilja, Sbornik trudov Rossijskoj Akademii Muzyki im. Gnesinych,
vyp. 149, Moskva, 2003, pp. 53-75; E.M. TARAKANOVA, ‘‘Nos’’ Šostakoviča. Kul’minacija i itog avan-
gardnych iskanij načala XX v., in Zapadnoe iskusstvo. XX vek. Mastera i problemy, Moskva, Nauka,
2000, pp. 117-126; ID., ‘‘Nos’’ Šostakoviča i avangardnye chudožestvennye napravlenija načala XX
veka, in Šostakoviču posvjaščaetsja. Sbornik statej k 90-letiju kompozitora (1906-1996), Moskva, Kom-
pozitor, 1997, pp. 143-149. Naturalmente vanno consultate le pagine dedicate a Nos nella recentis-
sima monografia di L. AKOPJAN, Dmitrij Šostakovič. Opyt fenomenologii tvorčestva, Sankt-Peterburg,
Dmitrij Bulanin, 2004, pp. 76-96. Negli anni precedenti, l’unico scritto di una certa importanza da
segnalare è G. GRIGOR’EVA, Pervaja opera Šostakoviča – ‘‘Nos’’, in Muzyka i sovremennost’. Sbornik
statej, vyp. 3, Moskva, Muzyka, 1965, pp. 68-103. In italiano si vedano: C. MARINELLI, Il teatro di
Šostakovič e l’opera sovietica contemporanea, in Storia dell’opera, vol. 2, Torino, UTET, 1977,
pp. 292-293; G. VINAY, Il Novecento nell’Europa orientale e negli Stati Uniti (Storia della musica,
11), Torino, EDT, 1978, 2a ed. 1991, p. 44; le parti dedicate al Naso nella monografia di F. PULCINI,
Šostakovič, Torino, EDT, 1988, pp. 25-27, 126-124 e 201-202; L. FERRARI, Il teatro musicale di D.D.
Šostakovič ispirato a Gogol’ e a Leskov, «Slavia», 1993, n. 4, pp. 93-117; la voce Il naso, in DEUMM.
Titoli e personaggi, vol. 2, Torino, UTET, 1999, p. 423 (che contiene un increscioso refuso là dove in-
forma che l’opera «non fu ripresa fino al 1947», anziché 1974). Utilissimo, sebbene ormai datato, anche
il numero dedicato al Naso e alla Lady Macbeth del distretto di Mcensk della rivista «L’Avant-Scène
Opéra», Septembre-Octobre 1991, n. 141, che offre per entrambe le opere bibliografia e discografia,
articoli e interviste, vasto materiale fotografico tratto dai vari allestimenti, la versione dei libretti in fran-
cese (in parallelo alla trascrizione francese del russo) e dati, peraltro incompleti, sulle diverse messe in
scena nei teatri mondiali.
19 S. CHENTOVA , Molodye gody Šostakoviča cit., t. I, p. 230, e ID., Šostakovič. Žizn’ i tvorčestvo

cit., t. I, p. 211.
20 Lettera a Z.I. Ljubimskij del 6.II.1930, cit. in Iz pisem 1930-ch godov, publikacija i primeča-

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

scrive Šostakovič, alludendo alle voci, che evidentemente circolavano, a propo-


sito di un presunto insuccesso di pubblico (e quindi di incassi) dell’opera. Pochi
mesi dopo, però, le voci sembrano trasformarsi in realtà, e Šostakovič si rivolge
di nuovo a Ljubimskij con l’accorata preghiera di togliere Il naso dal cartellone,
dal momento che l’ultima replica aveva raccolto solo 987 rubli, circa un terzo
dell’incasso abituale: «Il naso ha svolto il suo compito – Il naso se ne può anda-
re».21 Il compositore prega Ljubimskij di non dare pubblicità a questa sua
richiesta, e si mostra amareggiato, ma pur sempre convinto del valore della
sua opera. Ljubimskij non soddisfece però il desiderio di Šostakovič, e l’opera
fu tolta dal cartellone solo all’inizio del 1931. Non fu mai più ripresa,22 in Russia,
fino alla ‘resurrezione’ nel 1974 ad opera del Moskovskij Kamernyj Muzykal’nyj
Teatr di Mosca, con la regia di Boris Pokrovskij e la direzione musicale di Gen-
nadij Roždestvenskij. Questo fortunato allestimento, seguito con grande emozio-
ne dallo stesso compositore, ha avuto la possibilità di circolare ampiamente in
Europa, arrivando nella stagione 1978-1979 anche in varie città d’Italia. Nell’a-
prile del 1989 una nuova tournée del Teatro da camera di Mosca porta Il naso
anche a Palermo, dove offre ben otto repliche.
Tra il 1930 e il 1974 si collocano diverse realizzazioni di quest’opera in
Europa, collegate alla pubblicazione della partitura da parte della Universal
di Vienna nel 1962. La casa editrice era in possesso della partitura fin dagli
anni Trenta, ma non l’aveva mai pubblicata temendo di nuocere al suo autore;
si decise finalmente alla pubblicazione approfittando della breve stagione del
disgelo chruščëviano. In seguito a ciò, Il naso fu messo in scena a Düsseldorf
nel 1963, nel 1964 a Firenze (con un allestimento poi ripreso a Roma nel 1967
e a Milano nel 1972), nel 1965 a Santa Fe (fu la prima americana), nel 1969
alla Staatsoper di Berlino Est, con la supervisione del compositore, nel 1973 (e
poi nel 1979) a Londra. Altre messe in scena si ebbero nel 1987 di nuovo a
Santa Fe, nel 1990 a Francoforte, nel 1998 a Lipsia.

nija V. Kiselëva, «Sovetskaja muzyka», 1987, n. 9, p. 87. In questa stessa lettera troviamo poi una
vivace reazione del compositore all’«atteggiamento burocratico» dei critici, e in particolare agli attac-
chi subiti da parte di M.O. Jankovskij, lo stesso che pochi anni prima aveva calorosamente lodato lui
e il MALEGOT per il Kolumbus (in questa pubblicazione troviamo anche una foto del compositore con
Samosud e con alcuni degli interpreti dell’opera che indossano i costumi di scena).
21 Lettera a Z.I. Ljubimskij del 16.IV.1930, ivi, p. 89.

22 Sappiamo che per qualche tempo Mejerchol’d pensò di realizzare Il naso al Bol’šoj di Mosca,

e lo propose per la stagione 1930-1931; in seguito il regista meditò anche di mettere in scena La Lady
Macbet del distretto di Mcensk, ma entrambi i progetti fallirono, per motivi sui quali i biografi sia di
Šostakovič che di Mejerchol’d non sono tuttora riusciti a fare chiarezza. Sui rapporti tra i due si veda
il bel volume di I. GLIKMAN, Mejerchol’d i muzykal’nyj teatr cit., pp. 331-338.

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ROSANNA GIAQUINTA

Il rapporto di questo lavoro musicale con l’originale gogoliano non è del


tutto diretto, bensı̀ è mediato da altre letture che del grande classico russo
vengono fatte in questi anni. È quindi inevitabile interrogarsi su quali siano
i precedenti a cui Šostakovič vuole richiamarsi: la critica tende a mettere in
relazione Il naso con la celeberrima regia del Revisore di Gogol’ creata da
Mejerchol’d, facendo riferimento alla collaborazione di questi anni tra i due
e a una prima somiglianza esteriore, ossia il carattere combinatorio, il montag-
gio di testi diversi, che appaiono evidenti in entrambe le realizzazioni.23 In
realtà, Mejerchol’d interviene molto di più sul testo gogoliano: non segue il
testo canonico, bensı̀ fonde insieme le sei redazioni che se ne sono conservate;
da un’opera in cinque atti ne trae una in tre atti e quindici episodi, e dunque,
per molti aspetti, finisce per creare un testo nuovo di cui è lui l’autore.24 Di-
versa è l’operazione che compie con gli altri librettisti Šostakovič, per di più
forte della maggiore libertà che il passaggio da un testo in prosa al dramma
musicale gli consente: egli segue abbastanza fedelmente il racconto, innestan-
dovi frammenti di altri testi, e lavora sul ritmo complessivo dell’opera, attri-
buendole una struttura a quadri. È in questo senso che vanno intese le sue
affermazioni: «Ho cercato di creare una sintesi di musica e rappresentazione
teatrale, in cui ogni atto è parte di un’unica sinfonia teatrale e musicale»,25 e
«ho sinfonizzato il testo gogoliano non come una sinfonia ‘assoluta’, ‘pura’,
bensı̀ partendo da quella sinfonia teatrale che dal punto di vista formale è
Il revisore nella messa in scena di Vs. Mejerchol’d».26 Il montaggio, dunque,
è da intendersi più come un’operazione musicale, sovrasegmentale, che come
un procedimento strettamente testuale. E proprio sul rapporto tra musica e
libretto il compositore, negli stessi mesi in cui lavora all’opera, scrive ancora
che «la musica nelle prime due parti è fatta in modo tale da conferire una

23I. Martynov parla addirittura di influenza della biomeccanica mejerchol’diana: cfr. I. MARTY-
NOV, Dmitrij Šostakovič, Moskva-Leningrad, Muzgiz, 1946, p. 25.
24 Cfr. K.L. RUDNICKIJ , Režissër Mejerchold, Moskva, Nauka, 1969, p. 352. Sul Revisore di Me-

jerchol’d si possono leggere in italiano le suggestive pagine di A.M. RIPELLINO, Il trucco e l’anima. I
maestri della regia nel teatro russo del Novecento, Torino, Einaudi, 1965, pp. 319-338. E ancora:
S. DANILOV, Revizor na scene, Char’kov, Char’kovskij gosudarstvennyj teatr russkoj dramy, 1933,
pp. 108-119 (con ampia bibliografia alle pp. 139-142).
25 Questa affermazione viene più di una volta ripetuta nelle diverse interviste e negli interventi

sulla stampa che precedono la prima della nuova opera, a partire da un breve scritto dal titolo Nos,
«Krasnaja gazeta», več. vyp., 24.VII.1928, n. 202, p. 4; seguono Nos. Beseda s kompozitorom D. Šo-
stakovičem, «Novyj zritel’», 1928, n. 35, p. 14, e D. ŠOSTAKOVIČ, K prem’ere ‘‘Nosa’’ cit.
26 Relazione sulle attività come specializzando del conservatorio negli anni 1927-1928, cit. in

L. DANILEVIČ, Naš sovremennik. Tvorčestvo Šostakoviča, Moskva, Muzyka, 1965, p. 34, e in S. CHEN-
TOVA, Molodye gody Šostakoviča cit., p. 216. Questa relazione è stata pubblicata integralmente da
Manašir Jakubov, con un ampio e documentato commento, nel 1986: ‘‘...Ja pytalsja peredat’ pafos
bor’by i pobedy’’, «Sovetskaja muzyka», 1986, n. 10, pp. 52-57 (le frasi citate sono a p. 54).

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

potenziale elasticità, dal punto di vista teatrale, al libretto. Il testo deve essere
scoperto dal regista».27
Sull’idea di un debito del giovane compositore verso Mejerchol’d insisto-
no comunque diversi critici di quegli anni e di oggi,28 laddove lo stesso Šosta-
kovič sosterrà, in uno scritto del 1956, di avere composto Il naso sotto
l’influenza di Boris Asaf’ev 29 (e fu proprio Asaf’ev, peraltro, a metterlo in
contatto con Mejerchol’d). Va inoltre ricordato che lo stesso Revisore di Me-
jerchol’d è percepito come un lavoro nel quale l’elemento musicale viene in
primo piano. Le musiche originali erano del compositore Michail Fabianovič
Gnesin, ma era ampiamente intervenuto lo stesso regista (aveva avuto infatti
anche una formazione musicale), che aveva raccolto tutta una serie di musiche
per i primi due atti. Per il terzo atto, invece, dietro suggerimento del regista,
Gnesin aveva composto una sorta di ‘improvvisazione da matrimonio’, in uno
stile da orchestrina ebrea di strada. Questo aspetto era stato sottolineato pro-
prio da un recensore sensibile e attento come Boris Asaf’ev, il quale, celandosi
come di consueto sotto lo pseudonimo di Igor’ Glebov, scrive che questo
Revisore è «strapieno di musica», che il regista si serve in modo sagace di ele-
menti musicali in funzione strutturante, ad esempio utilizzando sia il principio
della variazione, sia il principio sonatistico, che introduce un elemento di ten-
sione drammatica: «Lo spettacolo di Mejerchol’d suona come una partitura
rigorosa dal punto di vista ritmico, ricca di invenzione, tecnicamente perfetta
e densa di contenuto emozionale». Infine, Glebov-Asaf’ev mette in luce come
il regista sappia «trasformare l’elemento umoristico in strano e inquietante, e
colorire qualsiasi banale aneddoto quotidiano facendolo diventare un momento
psicologicamente significativo».30 Infine non va dimenticato che Mejerchol’d

27 Ivi, p. 54.
28 Si vedano, ad esempio, V. BOGDANOV-BEREZOVSKIJ, Na repeticijach ‘‘Nosa’’, «Krasnaja ga-
zeta», več. vyp., 6.I.1930, n. 5, p. 4, M. JAN.[KOVSKIJ], ‘‘Nos’’, «Smena», 25.I.1930, n. 20, p. 6.
Tra i lavori contemporanei vanno citati due ottimi saggi di L. BUBENNIKOVA, Mejerchol’d i Šostakovič
(iz istorii sozdanija opery ‘‘Nos’’), «Sovetskaja muzyka», 1973, n. 3, pp. 43-48, e K probleme chudo-
žestvennogo vzaimodejstvija muzykal’nogo i dramatičeskogo teatrov (postanovka V. Mejerchol’da ‘‘Re-
vizor’’ – 1926 g., opera D. Šostakoviča ‘‘Nos’’ – 1928 g.), in Problemy muzykal’noj nauki. Sbornik sta-
tej, vyp. 3, Moskva, Sovetskij kompozitor, 1975, pp. 38-63 (questo secondo lavoro costituisce un
ampliamento del primo).
29 D. ŠOSTAKOVIČ , Dumy o projdennom puti, «Sovetskaja muzyka», 1956, n. 9, p. 11. Dob-

biamo ricordare, comunque, che ogni affermazione del compositore deve essere letta con una certa
cautela, e che Mejerchol’d, arrestato nel 1939 e giustiziato l’anno successivo, era stato riabilitato ap-
pena nel 1955.
30 I. GLEBOV , Muzyka v drame. (O ‘‘Revizore’’ V.E. Mejerchol’da), «Krasnaja gazeta», več. vyp.,

30.I.1927, n. 27, p. 4. Dei caratteri di musicalità del teatro del grande regista Glebov aveva già par-
lato in precendenza, in una recensione alla messa in scena de La foresta (Les) di A.N. Ostrovskij:
Muzyka v teatre Mejerchol’da, «Krasnaja gazeta», več. vyp., 12.II.1926, n. 38, p. 4.

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ROSANNA GIAQUINTA

aveva lavorato anche come regista d’opera, soprattutto nel periodo prerivolu-
zionario: nel 1909 aveva allestito a Pietroburgo Tristano e Isotta di Wagner,
nel 1909 il Boris Godunov di Musorgskij e Orfeo ed Euridice di Gluck, nel
1913 l’Elettra di Strauss. Il suo motto era: «Il dramma musicale deve essere
eseguito in modo tale che neanche per un secondo l’ascoltatore-spettatore
si ponga la domanda del perché questo dramma venga cantato e non parla-
to».31 La regia doveva quindi essere una regia musicale, musica e teatro
dovevano fondersi e compenetrarsi – e intenti quasi identici, come si è visto,
sono dichiarati anche da Šostakovič a proposito del Naso.

Oltre all’indiscutibile influenza del grande regista, non si deve sottovalutare


quella che, con ogni probabilità, ebbe anche una ripresa del testo gogoliano non
meno interessante, opera di un’altra personalità eccentrica vittima del terrore
staliniano, Igor’ Terent’ev (1892-1941), generalmente considerato un imitatore
di Mejerchol’d e un futurista in ritardo, ma certo figura di grande originalità e
audacia creativa. Questa tesi è sostenuta in uno scritto di G. Fëdorov, nel quale
si ricorda come Šostakovič avesse potuto assistere al Revisore di Mejerchol’d
solo il 10 settembre 1927, alla sua prima leningradese, mentre avrebbe potuto
già aver visto lo spettacolo di Terent’ev, che era andato in scena in aprile alla
Casa della stampa di Leningrado, con scene e costumi di Pavel Filonov, e aveva
fatto molto parlare di sé.32 In esso il testo di Gogol’ era riproposto integralmen-
te, senza omissioni o interpolazioni; dominanti erano l’elemento farsesco e il riso
(che nella lettura mejerchol’diana passava invece in secondo piano rispetto a una
visione decisamente tragica), la provocazione e un uso pungente della parola e
del montaggio verbale – fattore, quest’ultimo, al quale anche Šostakovič attribui-
sce grandissima importanza. È proprio a metà tra queste due riproposizioni go-
goliane, quella volta al tragico più che al comico di Mejerchol’d e quella
eccentrica e farsesca di Terent’ev, che viene a collocarsi il Naso di Šostakovič.

31 Citato in S. VOLKOV , Principi fondamentali della regia musicale di Mejerchol’d, «Nuova Rivi-

sta musicale italiana», 1976, n. 3, p. 386. Volkov riferisce anche (ma senza fornire dati) del progetto
di Mejerchol’d circa una messa in scena del Naso al Bol’šoj.
32 G. FËDOROV , Vokrug i posle ‘‘Nosa’’ cit., p. 45. Tra le molte riprese del Revisore, questa di

Terent’ev viene bollata come esempio di «epigonismo futurista» (anzi, addirittura di «recidiva futu-
rista») e «freudismo neoborghese»: cfr. S. DANILOV, Revizor na scene cit., p. 124 (su questa messa in
scena si vedano le pp. 119-124 e la bibliografia alle pp. 142-143). Sullo spettacolo si veda anche
M. MARZADURI, Igor’ Terent’ev – teatral’nyj režissër, in I. TERENT’EV, Sobranie sočinenij, a cura di
M. Marzaduri e T. Nikol’skaja, Bologna, San Francesco, 1988 (Eurasiatica. Quaderni del Diparti-
mento di Studi Eurasiatici dell’Università di Venezia, n. 7), pp. 53-57. La cosa che più colpı̀ pub-
blico e critica fu, a quanto pare, la presenza nel bel mezzo della scena di un gabinetto, opportuna-
mente occultato in una sorta di armadio, intorno al quale ruotavano vorticosamente i personaggi,
spinti da pulsioni di diversa natura (di qui, si può supporre, l’accusa di «freudismo»).

— 172 —
VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

A leggerle attentamente, le recensioni alla prima opera di Šostakovič


appaiono meno negative di quanto la successiva letteratura agiografica dedi-
cata al compositore vorrebbe far credere. Va notato, infatti, che tutte lodano
l’orchestra, il direttore e gli interpreti, e quasi tutte mostrano di apprezzare
regia e scenografia. Ciò che crea perplessità sono proprio la musica, aspra e
ricercata, e la scelta del soggetto, considerato poco attuale.33 Complessiva-
mente, dunque, questo lavoro viene considerato un esperimento e come tale
è in parte apprezzato, anche se il giovane compositore viene esortato a trovare
una via più sicura verso la creazione di un’opera musicale di tipo nuovo. Al di
là della discussione su questa o quella singola composizione, il grande dibattito
di questi anni è proprio questo, il dibattito intorno alla creazione di un nuovo
repertorio operistico rispondente, quanto a temi e soluzioni musicali, alle esi-
genze culturali della nuova società sovietica. E tali esigenze vengono progres-
sivamente definendosi in modo sempre più netto in base ai principii di quello
che, di lı̀ a poco, sarebbe diventato un dogma – il cosiddetto realismo socialista.

IL NASO A FIRENZE

Dal gennaio del 1931 fino al 1963, dunque, Il naso di Šostakovič non era
più stato messo in scena. Se la ripresa di Düsseldorf sembra non essere stata
memorabile, ben diverso è l’esito dell’esperimento intrapreso a Firenze un
anno più tardi.
Il Maggio Musicale Fiorentino del 1964, il XXVII, è noto come il ‘Maggio
Espressionista’, e fu un vero evento storico. Presentato con una conferenza
stampa a Palazzo Vecchio il 7 febbraio 1963, era nato sull’onda dell’entusia-
smo suscitato dalla messa in scena del Wozzeck al Teatro Comunale nel
gennaio di quell’anno, diretto da Bruno Bartoletti. Raffaello Ramat, assessore al-
le Belle arti e alla Cultura del Comune di Firenze e presidente delegato del

33 Oltre alle recensioni già citate si vedano V. MUZALEVSKIJ - A. GVOZDEV , ‘‘Nos’’ – opera D. Šo-

stakoviča (Malyj opernyj teatr), «Krasnaja gazeta», več. vyp., 20.I.1930, n. 17, p. 4 (si tratta di due
brevi articoli raccolti sotto un unico titolo); E. BRAUDO, Prem’era ‘‘Nosa’’ Šostakoviča v Leningrade,
«Pravda», 12.II.1930, n. 42, p. 6. Più serrata la polemica sulle pagine del periodico «Rabočij i teatr»:
si vedano M. JANKOVSKIJ, ‘‘Nos’’ v Malom opernom teatre, «Rabočij i teatr», 1930, n. 5, pp. 6-7;
I. SOLLERTINSKIJ, ‘‘Nos’’ – orudie dal’nobojnoe, «Rabočij i teatr», 1930, n. 7, pp. 6-7; S. GRES, Ruč-
naja bomba anarchista, «Rabočij i teatr», 1930, n. 10, pp. 6-7; e infine i commenti, del tutto negativi,
di L. LEBEDINSKIJ, in Novye zadači muzykantov, Moskva, Gosudarstvennoe izdatel’stvo, 1930, pp. 18-
19. Il più aggressivo è M.O. JANKOVSKIJ, membro del consiglio artistico del MALEGOT, che nel 1931
farà uscire uno scritto fortemente polemico dal titolo Kto protiv – edinoglasno. Otkrytoe pis’mo
D. Šostakoviču («Rabočij i teatr», 1931, n. 32-33, pp. 10-11), dedicato ai nuovi progetti di argomento
gogoliano del compositore, ossia la nuova opera I giocatori, rimasta incompiuta.

— 173 —
ROSANNA GIAQUINTA

Teatro Comunale, e il direttore artistico della manifestazione, Roman Vlad,


presentano l’elenco delle opere che avrebbero dovuto essere realizzate: Elettra
di Richard Strauss, L’opera da tre soldi e Il protagonista di Bertold Brecht e Kurt
Weill, Wozzeck e Lulu di Alban Berg, Die glückliche Hand e Erwartung di
Arnold Schönberg, Il tavolo verde di Kurt Jooss e Fritz A. Cohen, Matka di
Alois Hába, Mörder di Paul Hindemith, Carlo V di Ernst Křenek e poi Il
tabarro di Giacomo Puccini, Dottor Faust di Ferruccio Busoni, Elegia eroica di
Alfredo Casella e almeno un’opera di Luigi Dallapiccola.34 Il resoconto della
conferenza stampa apparso su «L’Unità» include anche La sagra della prima-
vera di Stravinskij e un riferimento a Prokof’ev.35 Il naso di Šostakovič entra a
far parte del programma dal maggio 1963,36 e il nome di Eduardo De Filippo
come regista di quest’opera appare per la prima volta a novembre dello stesso
anno.37 Fin dall’inizio, il maestro Vlad non nasconde di provare «una certa
preoccupazione per quanto riguarda l’accoglienza del grosso pubblico a un
simile programma». Quindi dichiara che, «per renderlo più comprensibile,
verranno realizzate anche opere che hanno preceduto e seguito nel tempo il
movimento espressionista».38 Cosı̀ si spiega il programma iniziale, piuttosto
composito e certo non strettamente ‘espressionista’. Seguono poi diversi
aggiustamenti; infine, pur tra molte polemiche (soprattutte legate alla crisi
del Comunale e ai pesanti costi di un Maggio cosı̀ ambizioso), la manifestazio-
ne si apre con un programma comunque ricchissimo.
L’intera città fu coinvolta in una serie di iniziative culturali: un ciclo di
conferenze a Palazzo Vecchio dedicate al fenomeno espressionista nelle
diverse arti denominate Incontri con l’espressionismo, una mostra di arti figura-
tive (pittura, scultura, grafica) e architettura, una mostra di scenografia e regia
espressioniste e una di dipinti e disegni di Arnold Schönberg, tutte a Palazzo
Strozzi, una mostra documentaria a cura della Biblioteca Nazionale, una serie
di proiezioni cinematografiche presso la sede del Conservatorio fiorentino e

34 Riporto i titoli nelle stesso modo in cui sono pubblicati nel programma della manifestazione,

ossia a volte nella traduzione italiana e a volte nella lingua originale.


35 A questi primi annunci segue la reazione scandalizzata della stampa più tradizionalista: L’a-

vanzata degli ‘Unni’ della musica (N. PICCINELLI su «Momento sera», 9.V.1963), Esiliata l’Italia dal
Maggio Fiorentino (A. COLLI su «Il Nazionale», 8.V.1963). Del resto, l’intera iniziativa scatenò grandi
polemiche anche in relazione ai costi, risultando essere il Maggio in cui «si è speso di più e si è in-
cassato di meno [...] si sono praticati prezzi da svendita» (articolo senza autore, Il magro bilancio del
Maggio espressionista, «Nazione sera», 24.VII.1964).
36 Troviamo la prima menzione di Šostakovič su «Il Punto» (Roma), 11.V.1963.

37 Nell’articolo senza indicazione dell’autore Al ‘‘Comunale’’ di Firenze. Eduardo regista di

un’opera di Šostakovič, «L’Avanti!», 22.XI.1963.


38 N.V., Il Maggio Musicale 1964 sarà dedicato all’espressionismo, «La Nazione», 8.II.1963.

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

infine un convegno internazionale di studi, i cui lavori seguirono tre linee:


l’atteggiamento dell’espressionismo verso il passato, l’espressionismo nelle
diverse arti, l’eredità dell’espressionismo (a Palazzo Vecchio, dal 18 al 23 mag-
gio).39 Le attività erano coordinate da un comitato scientifico presieduto da
Raffaello Ramat e composto da importanti esponenti del mondo culturale
italiano quali Luciano Anceschi, Giulio Carlo Argan, Luigi Chiarini, Paolo
Chiarini, Cesare Brandi, Fedele d’Amico, Luigi Rognoni e, come direttore
artistico, Roman Vlad, compositore e musicologo, allievo di Alfredo Casella
e uomo di sicura cultura cosmopolita. Il programma musicale definitivo
includeva ben 12 opere: Wozzeck di Berg, Bürger Schippel di Carl Sternheim,
Die glückliche Hand (diretto da Bruno Maderna) e Erwartung di Schönberg,
Pantea di Gian Francesco Malipiero (diretta da Maderna), Salome di Strauss
(con la regia di Erwin Piscator e la direzione di Maderna), Il tavolo verde di
Jooss e Cohen, Matka di Hába, Battaglia navale di Reinhard Göring, Il man-
darino meraviglioso di Béla Bartók (con regia e coreografia di Aurel Milloss),
Volo di notte di Dallapiccola (con la regia di Milloss) e infine Il naso di
Šostakovič.40
Se ci interroghiamo circa le motivazioni culturali di un progetto cosı̀
impegnativo, la risposta viene offerta dallo scritto di R. Ramat che presenta
i lavori del XXVII Maggio:
Le ragioni sono due. La prima è che l’Espressionismo si presenta oggi come un
tempo nodale nella storia delle esperienze artistiche – e perciò umane, colte nella loro
essenzialità primaria – del ’900. [...] La seconda è che questa importantissima espe-
rienza europea non fu nota in Italia quanto era necessario. Nell’arco di tempo in
cui l’Espressionismo operò, da noi gli intellettuali – salvo solitarie eccezioni – non
sentirono sollecitazioni rivoluzionarie e concrete; se se ne ebbero, furono individuali-
stiche, velleitarie e risolte in retorica.41

39 Gli atti di questo convegno non furono pubblicati. Copie delle relazioni erano state messe a

disposizione del pubblico, e ho potuto consultarne alcune conservate presso la biblioteca del Dipar-
timento di Storia delle Arti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel fondo Bettini. Tra queste, di
particolare interesse sono quelle dedicate alla letteratura di Ladislao Mittner (coll. OET 4464) e di
Lavinia Jollos Mazzucchetti (coll. OET 4413) e, com’è ovvio, quella molto corposa dedicata alla mu-
sica di Luigi Rognoni (coll. OET 4815), nella quale, peraltro, non si fa cenno alcuno all’ambito russo.
Sono invece un prodotto indiretto di questo convegno i due volumi di P. CHIARINI, Caos e geometria.
Per un regesto delle poetiche espressioniste, Firenze, La Nuova Italia, 1964 (2a ed., riveduta e am-
pliata, 1969), e L’espressionismo. Storia e struttura, ivi, 1969.
40 Per una dettagliata descrizione delle diverse attività di questa edizione del Maggio si vedano:

XXVII Maggio Musicale Fiorentino. 2 maggio - 23 giugno 1964, Firenze, 1964, e P. SANTI, Espressio-
nismo a Firenze. Libero accostamento di testi classici a concezioni assai meno rigide, «Musica d’oggi»,
anno VII, n. 6, luglio 1964, pp. 165-170.
41 XXVII Maggio Musicale Fiorentino cit., pp. 2-3.

— 175 —
ROSANNA GIAQUINTA

Il numero unico che il Maggio dedica a questa sua edizione è ricco di


splendide riproduzioni di opere esposte nella mostra di Palazzo Vecchio e
di bozzetti e figurini realizzati per le diverse messe in scena, tra cui i bozzetti
di Schönberg per Die glückliche Hand, quelli di Mario Sironi per il Dottor
Faust di Busoni e molti dei bozzetti di Mino Maccari per Il naso; in copertina
campeggia una riproduzione di Marcella di Ernst Kirchner. Compare qui anche
un lungo saggio di Roman Vlad che ripercorre le problematiche critiche legate
alla definizione stessa di espressionismo, rifiutandone qualsiasi interpretazione
schematica e semplificatoria; Vlad sottolinea, invece, la grande complessità dei
diversi fenomeni artistici che, a torto o a ragione, vengono ascritti a questo
movimento, e ne mette in luce le interferenze e i rapporti,
quasi da vasi comunicanti, tra un’arte e l’altra, che hanno pochi esempi nella storia e
stanno a testimoniare del comune sfondo spirituale e sociale sul quale l’Espressioni-
smo fiorı̀ e dell’ineluttabilità storica del suo avverarsi.42

Presentando i momenti più significativi delle scelte musicali della manifesta-


zione, Vlad ha modo anche di alludere a certe analogie tra Skrjabin (del quale
viene presentato il Prometeo in prima assoluta per l’Italia, nella versione
originale con tastiera per luci, costruita appositamente per l’evento) e lo
Schönberg del periodo precedente la prima guerra mondiale.43 Non spende
invece molte parole sul Naso di Šostakovič, in quanto in questo volume all’o-
pera è dedicato un ampio saggio di Luigi Pestalozza, sul quale sarà utile
tornare più avanti.
L’evento di punta doveva essere proprio questa ripresa del Naso, diretto
e concertato da Bruno Bartoletti, allora giovane direttore emergente partico-
larmente interessato al repertorio contemporaneo, che al Comunale di Firen-
ze aveva in gennaio diretto il Wozzeck e aveva presentato L’angelo di fuoco di
Prokof’ev. Come si è detto, la regia era stata affidata a Eduardo De Filippo,
le scene e i costumi a Mino Maccari. L’opera ebbe un successo assolutamente
travolgente, alla prima ci furono più di venti chiamate al proscenio per tutti
gli artisti; ognuna delle tre serate (il 23, il 26 e il 30 maggio) registrò il tutto
esaurito e non si poterono soddisfare le numerose richieste di nuove repli-

42 R. VLAD, Criteri per un’antologia dell’Espressionismo, ivi, p. 6.


43 Vlad ritorna su questo concetto nel programma di sala per il concerto sinfonico-corale del 23
giugno diretto da Piero Bellugi, che includeva anche brani di Webern e Schönberg e i Cinque lieder
su testi di cartoline illustrate di Berg: «Lo sviluppo dell’arte di Skrjabin, che prese le mosse da Chopin
e Wagner, si stava avviando verso un traguardo analogo a quello verso il quale, per proprio conto,
tendeva l’arte di Schönberg. Traguardo segnato dal superamento del tradizionale sistema armonico
tonale» (raccolta dei programmi del XXVII Maggio Musicale Fiorentino, p. 452).

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

che.44 Tra gli spettatori della prima vi furono anche Erwin Piscator e René
Clair, che dopo lo spettacolo vollero conoscere De Filippo.

La versione italiana del libretto fu realizzata da Fedele d’Amico, in colla-


borazione con Angelo Maria Ripellino: 45 Ripellino aveva predisposto una ver-
sione interlineare sulla quale d’Amico, che non conosceva il russo, aveva poi
lavorato per offrire una versione ritmica.46 Alcune informazioni su come si
svolse effettivamente il suo lavoro possono essere dedotte dalla corrispondenza
con un collaboratore della Universal Edition di Vienna, Alfred Schlee. Alla
domanda se avesse tradotto dal tedesco, il musicologo risponde:
Pour la traduction italienne de ‘‘Il Naso’’ je me suis basé exclusivement sur le tex-
te russe, que j’ai contrôlé soit sur un exemplaire dactylographique que j’ai eu de
Leningrad, soit sur le microfilm de la partition manuscrite (autographe). C’est vrai
que ce microfilm ne comprenait pas les premiéres pages de la partition; et pour
ces pages manquantes la partition allemande m’a été utile, afin de deviner la colloca-
tion probable du texte sur la musique. Mais même pour ces premiéres pages c’est tou-
jours du texte russe que j’ai traduit (bienentendu par l’intermédiaire de M. Ripellino,
le slaviste qui a collaboré avec moi).47

In una lettera allo stesso destinatario di poco successiva, d’Amico promet-


te di procurare di nuovo, in Russia, il testo dattilografato del libretto dell’ope-
ra, che nel frattempo aveva restituito, e spiega quale procedimento ha seguito
nel suo lavoro:

44 L’opera fu poi trasmessa dalla terza rete della RAI la sera del 3 giugno.
45 Del libretto esistono in italiano alcune edizioni, che ripropongono tutte la traduzione di d’A-
mico, l’unica tuttora esistente: l’edizione predisposta per il Maggio, della Universal - Carisch, Milano,
1964, contenente molti refusi (tra i quali la deformazione del nome di Prejs in Press, rimasta peraltro
anche nella seconda edizione in quanto non rilevata neppure da d’Amico sulla copia del libretto, con-
servata nel suo archivio, in cui egli annotò e corresse gli errori); quella della Universal - Ricordi, che
non reca indicazioni circa l’anno di pubblicazione, ma è ovviamente successiva all’edizione prece-
dente; infine quelle predisposte dai diversi teatri in occasione della tournée italiana del Teatro da
camera di Mosca nella stagione 1978-1979. Ad esempio, il programma di sala pubblicato a cura
del Teatro La Fenice (Venezia, 1978) riproduce il libretto del Maggio senza però indicare il nome
del traduttore. In questa edizione sono presenti anche un saggio di V. STRADA, Il naso da Pietroburgo
a Leningrado (pp. 63-69), e uno di E. RESTAGNO, Un compositore a Leningrado negli anni venti
(pp. 71-82); il testo presenta solo la divisione in atti e non quella in quadri.
46 D’Amico fu autore di numerose versioni ritmiche di libretti, tra le quali, da compositori russi,

Chovanščina di Musorgskij, La notte di Natale, Vera Šeloga e Il galletto d’oro di Rimskij-Korsakov, ma


anche Wozzeck e Lulu di Berg e Il flauto magico di Mozart. Questa e altre interessanti informazioni
figurano in una autobiografia dello stesso musicologo (non priva di autoironia) che si legge in Musica
senza aggettivi. Studi per Fedele d’Amico, a cura di Agostino Ziino, Firenze, Olschki, 1991, vol. I,
pp. 7-11.
47 Lettera di Fedele d’Amico ad Alfred Schlee, 31.X.1964 (archivio della famiglia d’Amico).

Risulta quindi infondata l’ipotesi, avanzata da L. ALBERTI nell’articolo Grande attesa per ‘‘Il naso’’
(«Il giornale del mattino», 23.V.1964), che d’Amico si fosse basato sulla versione tedesca.

— 177 —
ROSANNA GIAQUINTA

Or, vous savez bien qu’est-ce que c’est la Russie: on est très charmant dans cet
étrange pays, mais très lent aussi; combien de temps faudra-t-il attendre? Il s’agit
d’ailleurs d’un affaire très ‘privée’, de ceux qu’on ne traite pas par lettre: la personne
dont j’eu ce texte n’était que l’ami d’un ami...
Naturellement si je réussis je m’empresserai de vous envoyer ces papiers; mais si
je ne réussis pas le domage ne sera pas si grand, car ce texte ne saurait pas remplacer
le texte de la partition originale, duquel il diffère en plusieurs endroits (ce qui ne doit
pas nous surprendre: le cas de divergences entre le texte définitif, consacré dans la
partition, et le texte imprimé dans un libretto, n’est pas rare). Il peut donc être utile
seulement à éclaircir un cas douteux, ou bien pour les premières pages de la partition,
qui dans le microfilm n’existent pas. Quand même, le texte dactylographié ne vous
donne pas la collocation des mots sur les notes, si essentielle pour le traducteur musi-
cal, et pour laquelle la traduction n’est pas utile car le traducteur allemand l’a changée
très souvent. C’est-à-dire que la consultation du texte dactylographié ne suffira pas à
vous passer de la consultation du microfilm de la partition originale. Je dis d’ailleurs
‘consultation’ car il ne s’agit pas de ‘copier’ le texte du microfilm, ce qui ne vaut à rien
si vous ne copiez en même temps la musique; moi, j’ai d’abord passé le microfilm en
me faisant traduire littéralement le text par M. Ripellino, et en plaçant soigneusement
chaque mot sur les notes correspondantes; et après j’ai transformé tout cela dans la
version définitive. 48

Un ulteriore elemento di informazione sul lavoro di d’Amico viene da una


nota in coda al saggio di Luigi Pestalozza, il quale conferma quanto affermato
da d’Amico, ossia che la traduzione tedesca, per quanto riguarda la collocazio-
ne della frase verbale in relazione a quella musicale, lasciava molto a deside-
rare.49

48 Lettera di Fedele d’Amico ad Alfred Schlee, 22.XI.1964 (archivio della famiglia d’Amico).

Le sottolineature sono nel testo.


49 L. PESTALOZZA , «Il naso» di Dimitri Šostakovič, in XXVII Maggio Musicale Fiorentino cit.,

p. 34. Quanto fosse stato importante l’aiuto di Ripellino emerge anche da una noterella che conclude
la bella presentazione che d’Amico scrisse per la ripresa romana del Naso del 1967, poi riproposta da
vari teatri in occasione della tournée del Teatro da camera di Mosca. Qui il musicologo parla dell’«in-
dispensabile collaborazione» di Angelo M. Ripellino, al quale egli deve molto «non solo per quanto
ha ricavato dai suoi due affascinanti volumi sul teatro russo del Novecento (Majakovskij e il teatro
russo d’avanguardia, 1959 e Il trucco e l’anima, 1965, entrambi ed. Einaudi), ma anche per i suoi tanti
consigli, preziosi e pazientissimi» (traggo la citazione dal programma di sala pubblicato dal Teatro
Politeama Genovese per le rappresentazioni del Naso nella messa in scena di Pokrovskij del 5-6-7
gennaio 1979, in cui è presentato il breve saggio di D’AMICO, I vent’anni di Šostakovič; le pagine non
sono numerate). Molto interessante, con un’ottima individuazione dello sfondo culturale sul quale si
colloca l’opera di Šostakovič e naturalmente un’approfondita analisi delle ascendenze musicali di
questo lavoro, è anche la sua recensione all’allestimento della Scala del febbraio 1972, in cui il regista
stabile del teatro, Bruno Nofri, aveva riproposto la regia di De Filippo, con risultati molto migliori di
quelli ottenuti dallo stesso Eduardo nella ripresa romana del 1967: F. D’AMICO, Un naso per conte-
statori, «L’Espresso», 13.II.1972, ora in ID., Scritti teatrali, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 196-199, e in
ID., Tutte le cronache musicali. «L’espresso» 1967-1989, Roma, Bulzoni, 2000, pp. 706-709.

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

Si tratta dunque di una versione ritmica accuratamente condotta in modo


da far corrispondere il più possibile il canto in italiano alla scansione ritmica
che esso ha in russo 50 – e da queste lettere ben si vede quali fossero le diffi-
coltà incontrate dal musicologo traduttore, considerata la complessità della
partitura e i numerosi ostacoli da superare per il reperimento di partitura e
libretto originali. Nella versione italiana si riscontrano alcune differenze
rispetto al libretto russo, tra queste in primo luogo una numerazione delle
parti che si aggiunge a quella originale: Il naso, che è presentato da Šostakovič
come opera in tre atti e dieci quadri, nella versione italiana diventa opera in
tre atti e un epilogo, nella quale sono numerati non solo i quadri, ma anche
tutte le altre sezioni, orchestrali e non, come l’ouverture, l’intermezzo per stru-
menti a percussione tra il secondo e il terzo quadro, il galop tra il terzo e il
quarto quadro e l’intermezzo tra l’ottavo e il nono quadro, per un totale di
15 sezioni (per un evidente refuso, nel libretto non è numerata quella che
dovrebbe essere la sezione n. 9, corrispondente all’intermezzo orchestrale
tra il quinto e il sesto quadro). Le parti in cui alcuni personaggi cantano con-
temporaneamente (l’ottetto dei servitori che leggono le loro inserzioni nel
quinto quadro; la scena degli addii alla stazione di posta alla periferia della
città nel settimo; la lettura in contemporanea delle lettere da parte di Kovalëv
e delle Podtočiny madre e figlia nell’ottavo quadro) sono presentate grafica-
mente su più colonne. Rispetto all’originale russo mancano alcune brevi dida-
scalie, mentre altrove ne viene aggiunta qualcuna in funzione esplicativa, e tro-
viamo, sempre nelle didascalie, qualche svista di traduzione. I nomi sono
trascritti in modo da facilitarne la pronuncia, secondo l’uso di quegli anni.
Il lacchè di Kovalëv, Ivan viene ribattezzato Stepan (per la precisione, Stie-
pan), presumibilmente perché l’ascoltatore italiano non corra il rischio di
confondere questo personaggio con quello di Ivan Jakovlevič, il barbiere.
Nel suo complesso, la versione ritmica di d’Amico si presenta come un
ottimo equivalente funzionale dell’originale. Nella famosa scena dell’ottetto
in cui i lacchè dettano tutti contemporaneamente i testi delle loro inserzioni
(atto II, quadro 5), d’Amico dà poi fondo a tutta la sua inventiva e presenta

50 A questo proposito va detto che un confronto tra l’incisione del Naso del Maggio musicale

diretta da Bartoletti e quella di Roždestvenskij legata alla messa in scena di Pokrovskij del 1974 rivela
anche a un orecchio inesperto delle differenze piuttosto sostanziali. L’incisione italiana, la cui dizione
è comunque, ad onta degli sforzi di d’Amico, non molto intelligibile, appare più leggera, più acuta,
più stridente. Può essere interessante riportare il commento del critico del «New York Herald Tri-
bune»: «The only criticism one could make is that the flowing, romantic Italian language was stifled
in the choppy Russian phrases and powerful declamations. It would have been better to have sung it
in Russian» (J. MAGUIRE, ‘The Nose’ Gets Italian Première at Florence Festival, «New York Herald
Tribune», 5.VI.1964).

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ROSANNA GIAQUINTA

una serie di annunci assolutamente assurdi, che solo in minima parte si ispi-
rano all’originale; ad esempio, non ha riscontro nel testo russo l’annuncio
«calessino Luigi Quindici anche privo di ruote cerco purché verde o pervin-
ca», evidentemente inserito a mo’ di anticipazione di un altro annuncio. Poco
oltre, infatti, il traduttore si prende la libertà di introdurre un’inserzione pun-
gente nei confronti di Luigi Nono, il compositore veneziano che aveva sposato
la figlia di Schönberg: «Grande ritratto autenticato Luigi Nono svende vedova
triste esclusivamente collezionista qualificato serialità garantita...».51 Questa
frase non solo veniva cantata, ma compariva anche sul fondale della scena me-
diante strisce luminose. Come scrisse molti anni più tardi Roman Vlad, «gli
addetti ai lavori si divertirono un mondo. Nono non la prese con spirito. L’e-
pisodio comunque contribuı̀ a far parlare dello spettacolo cui arrise un successo
trionfale».52 Dunque, la vena assurdista dell’originale sottolineata da Šostakovič
contagia anche il traduttore.
Gli interpreti scelti da Vlad e da Bartoletti sono tutti giovani di grandis-
simo talento, e saranno lodati calorosamente in tutte le recensioni, anche da
coloro che non risparmiano l’ironia o la critica per l’opera in sé. Kovalëv è
interpretato da Renato Capecchi, il Naso da Antonio Pirino; il barbiere Ivan
Jakovlevič è Italo Tajo, il servo Stepan, Dino Formichini; la Podtočina è Cesy
Broggini e sua figlia è la giovane Jolanda Meneguzzer, la cui vivacità conquistò
senza riserve De Filippo. I personaggi dell’opera sono moltissimi, e diversi
cantanti interpretano più di una parte. Coro e orchestra sono, naturalmente,
quelli del Maggio Musicale Fiorentino, maestro del coro Adolfo Fanfani.53 In-
fine, il compito di tradurre in realtà i disegni di Mino Maccari è di Piero
Caliterna, deus ex machina di tutti i grandi allestimenti fiorentini di quegli anni.
Naturalmente, il lavoro del Maggio Musicale non procede all’insaputa del
compositore e delle autorità sovietiche. Dapprima era parso che Šostakovič

51 Il naso, Universal - Ricordi cit., p. 18. Franco Pulcini mi segnala poi (e lo ringrazio) la pre-

senza di un’allusione anche al nonno del compositore, Luigi anch’egli, ma pittore. Quanto alla «ve-
dova», allude al pittore veneziano Emilio Vedova, grande amico di Nono (cfr. L. BERIO – F. D’AMICO,
Nemici come prima. Carteggio 1957-1989, Milano, Archinto, 2002, p. 129, nota 8; a p. 108 la lettera
infuriata di Nono a d’Amico del 3.VI.1964).
52 R. VLAD , Eduardo e Maccari cit., pp. 16-17. L’episodio è menzionato in una sola delle moltis-

sime recensioni allo spettacolo: F. ABBIATI, A Firenze ‘‘Il naso’’ di Dmitrij Šostakovič, «Corriere della
sera», 24.V.1964. Abbiati è fortemente critico verso lo spettacolo, che pecca di «insistere su modi e
formule di un passato [...] assai più vecchio e deprimente [...], passato che va generalmente sotto il
nome di ‘espressionismo’», e commenta cosı̀ la bravata di d’Amico: «espressionismo anche questo...».
53 Va ricordato che nell’orchestra una parte di particolare importanza spetta all’esecutore del-

l’intermezzo per sole percussioni. Nel breve saggio Il Teatro di Šostakovič in Italia, a cura di Giorgio
Gualerzi e Carlo Marinelli Roscioni, pubblicato nel libretto di sala per la messa in scena del Naso
nella realizzazione del Teatro da camera di Mosca a Palermo (stagione 1988-1989; le pagine non sono
numerate), viene indicato in questo ruolo Gegè Di Giacomo, il batterista dell’orchestra di Renato
Carosone, mentre Nino Lo Vullo sulla «Nazione» del 24.V.1964 indica il nome di Amleto Pagliai.

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

avesse autorizzato la messa in scena della sua opera, ma successivamente


tramite l’ambasciata arrivò la richiesta di sospenderla, con la giustificazione
che l’autore intendeva riscriverla. A dispetto di tutto ciò, il Maggio proseguı̀
nella realizzazione del progetto. L’autore, com’è ovvio, fu invitato a presenziare
alla prima dell’opera ma non venne, e Roman Vlad ricevette da lui solo un
telegramma di scuse che definisce «imbarazzato».

LA SCENOGRAFIA DI MACCARI

Uno degli elementi di maggiore successo di questo spettacolo, oltre al fat-


tore registico sul quale ci soffermeremo in modo più dettagliato in seguito,
furono le scene e i costumi, creati da Mino Maccari. L’eccentrico artista tosca-
no (1898-1989), noto per la sua vena mordace e irriverente, negli anni 1924-
1934 animatore della rivista «Il selvaggio», non era nuovo al lavoro teatrale:
aveva esordito nel 1941 con i costumi per Il campanello di Donizetti per il
Teatro delle Arti di Roma, nel 1950 aveva poi preparato scene e costumi
per Il turco in Italia di Rossini al Teatro Eliseo di Roma, in un memorabile
allestimento che sottrasse l’opera all’oblio in cui era caduta dopo la prima alla
Scala nel 1814: con la direzione di Gianandrea Gavazzeni e la regia di Gerar-
do Guerrieri, infatti, si ebbe in quest’occasione la prima prova della Callas in
un’opera buffa e in un ruolo rossiniano.54
Nel 1951 Maccari aveva lavorato per La commedia sul ponte di Bohuslav
Martinů al Festival di musica contemporanea di Venezia, mentre nel 1964 av-
viene l’incontro con De Filippo per Il naso, dopo di che la collaborazione pro-
segue al Piccolo Teatro di Milano con un’opera di prosa, Il signor di Pourceau-
gnac di Molière nel dicembre dello stesso anno, con Franco Sportelli e Tino
Buazzelli. I lavori di Maccari per il teatro, e in particolare per l’opera, sono
più di venti; ricorderemo ancora soltanto le altre due collaborazioni con De
Filippo, ossia il Falstaff al Maggio Musicale Fiorentino del 1970 e Gli esami
non finiscono mai dello stesso Eduardo al Teatro della Pergola di Firenze
nel 1973, e citeremo infine Il convitato di pietra di Gazzaniga, realizzato nel
1973 per la Settimana Chigiana di Siena e poi ripreso dalla Piccola Scala di
Milano nel gennaio dell’anno successivo.55

54 Lo spettacolo restò memorabile anche perché costosissimo (cfr. P. VEROLI , Modernità e tea-

tro musicale. L’esperienza dell’Anfiparnaso, «Terzo occhio», n. 74, marzo 1995, pp. 36-38). Lo studio
più completo su questo aspetto dell’attività di Maccari è quello di M. BUCCI, Maccari a teatro, in
Omaggio a Mino Maccari nel centenario della nascita. Il lungo dialogo di Maccari con il suo tempo,
Firenze, Edizioni Pananti, 1998, pp. XXIX-XXXIV.
55 Su questo spettacolo si veda lo splendido volume Maccari e Buzzati al Teatro alla Scala. Boz-

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ROSANNA GIAQUINTA

L’incontro con Eduardo è quanto mai stimolante per Maccari. Ecco cosa
ricorda Isabella Quarantotti De Filippo dei loro contatti:
15 febbraio. Sorprendente come l’idea di Il naso ha stuzzicato il talento di Mac-
cari. Sforna disegni in quantità impressionante, tutti spiritosi e graffianti. Siamo già a
sessantasette! Se la intende alla perfezione con Eduardo. Sentirli parlare è fantastico,
le idee zampillano e tra loro c’è come una gara all’escalation senza limiti.56

Tra i due si instaura dunque una collaborazione vivacissima, basata su una


grande stima reciproca. Scenografo e regista hanno in comune anche un’estre-
ma attenzione per i dettagli, per l’effetto visivo di ciascuno degli elementi del-
l’apparato scenico. Ecco cosa scrive Maccari a Eduardo a pochi giorni dalla
prima:
Sono un po’ in pensiero per il boccascena e non vorrei che risultasse troppo
naturalistico e convenzionale. Perciò Le propongo due bozzetti da applicare a guisa di
stemmi che si stagliassero a destra e a sinistra sul paesaggio e che potrebbero parte-
cipare al coro delle luci da Lei desiderato durante i cambiamenti di scena, illuminan-
dosi nel modo più opportuno; [...] È un giuoco di figure dritte e capovolte che a me
sembra ben riuscito e inserirebbe anche nel boccascena quella nota grottesca che mi
sembra sempre indispensabile nella rappresentazione del Naso. Perciò la raccomando
alla Sua attenzione. Si tratta di sagome eseguibili in poche ore.
Mi spiace per la soppressione del siparietto col naso tagliato. Non potrebbe
essere utilizzato in altro modo, magari come primo sipario, prima dell’inizio della
musica? 57

zetti e figurini 1959-1973, a cura di G.C. Argan, Milano, Edizioni degli Amici della Scala / Mercedes
Benz Italia, 1990, che presenta molte riproduzioni a colori dei figurini per i costumi.
56 Diario di Isabella Quarantotti De Filippo (inedito, conservato nel fondo De Filippo all’Ar-

chivio Bonsanti del Gabinetto Vieusseux di Firenze), vol. I (1956-1969), p. 113v. Questo passo è
riportato da P. QUARENGHI, Cronologia, in E. DE FILIPPO, Teatro. Volume primo. Cantata dei giorni
pari, a cura di N. De Blasi e P. Quarenghi, Milano, Mondadori, 2000, p. CLXIII.
57 Lettera di M. Maccari a E. De Filippo del 12.V.1964. Archivio Bonsanti, fondo E. De Fi-

lippo. Corrispondenza con Mino Maccari: 2955.I.1. Il siparietto col naso tagliato trovò senz’altro
spazio nello spettacolo; criticato da alcuni tra i recensori, è rimasto l’immagine che meglio identifica
questa messa in scena, riprodotta infinite volte. Quella citata è l’unica lettera conservatasi relativa
all’edizione fiorentina del Naso. Del boccascena e del siparietto Maccari si preoccupa anche all’indo-
mani della prima della ripresa romana nel gennaio 1967: «Il boccascena è troppo evidente, e non
essendo variato come a Firenze da un gioco delle luci, disturba la scena. La quale, secondo me,
dovrebbe inquadrarsi, e quindi risaltare meglio, in una cornice neutra. [...] Il secondo inconveniente
consiste nel siparietto anonimo che cela i cambiamenti di scena ma che non s’intona con lo spetta-
colo. Quei vermicelli viscidi vischiosi e lividi, distraggono troppo senza persuaderlo lo spettatore, che
si dimentica di applaudire, come fece a Firenze, la bella ed elettrizzante pagina musicale che Barto-
letti dirige con tanta passione. Sono certo che se il pubblico romano non ha applaudito quel brano,
in gran parte è colpa di quel siparietto pretenzioso e fastidioso. Si potrà far nulla per rimediare? Io
sono come sempre agli ordini!» (lettera di M. Maccari a E. De Filippo dell’8.I.1967: 2955.II.13; sot-
tolineato nel testo). Non vi sono invece lettere relative al Naso nel carteggio con Eduardo conservato

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

Le scenografie disegnate da Maccari per Il naso e realizzate da Giuseppe


Caliterna non si sono conservate, ma nell’archivio storico del Teatro Comunale
di Firenze sono tuttora visibili una decina di bozzetti per le scene e moltissime
foto in bianco e nero di quelli per i costumi; esiste anche una documentazione
fotografica abbastanza cospicua e molte sono le riproduzioni di foto di scena,
sicché non è troppo difficile farsi un’idea dell’impatto visivo che l’opera dovet-
te avere sul pubblico.58 Lo spirito anarchico e pungente dell’artista toscano
mette da parte l’aggressività e la satira che lo caratterizzano, in particolar modo
quando oggetto della rappresentazione sono volti e momenti della realtà italia-
na; la linea continua che caratterizza il suo tratto diviene morbida, pastosa, tan-
gibile; i colori sono vividi, aerei, con una dominante rosa, e danno un’impres-
sione più di fantasia che di grottesco, più di surrealismo (pesci e figure volanti,
nuvole, il celebre siparietto con un volto di profilo con il naso staccato) che di
satira, anche là dove lo spazio si riempie di minuti, inutili oggetti quotidiani.
Le recensioni, quasi tutte entusiastiche, mostrano un pubblico soggiogato
dalla forza delle sue invenzioni visive. Scrive ad esempio Massimo Mila (e sulle
sue parole si tornerà anche più avanti):
Successo talmente vistoso che proprio da esso bisogna prendere le mosse per
chiarire che non ci troviamo di fronte a un capolavoro immortale dell’opera comica,
come chi dicesse un nuovo Barbiere di Siviglia ambientato nella narrativa russa del-
l’Ottocento, ma che il successo è essenzialmente dello spettacolo teatrale e della
sua realizzazione, alla quale l’opera giovanile di Šostakovič si offre in funzione aper-
tamente dichiarata di pretesto, e come tale, e in tale misura, può dirsi riuscita. [...]
Non si tratta solo della qualità spiritosa delle scene di Maccari, che ognuno può fa-
cilmente immaginare [...], né dell’ammirevole presenza scenica e disinvoltura che De
Filippo apprende ai cantanti, ma proprio dell’organismo teatrale in sé, con i cambia-
menti di scena che diventano essi stessi spettacolo, col fatto scenico che diventa ve-
ramente protagonista e relega in secondo piano l’ordito musicale.59

dal figlio di Maccari, che si riferisce agli anni Settanta; è però significativo per comprendere i rap-
porti tra i due artisti un biglietto di De Filippo datato 2.VI.1970, riguardante il lavoro preparatorio
per il Falstaff del Maggio Musicale Fiorentino: «La ringrazio anche dell’attrezzeria che è arrivata in
ottimo tempo. Avremo la prova antigenerale il giorno 9, e sarebbe perciò opportuno se lei venisse a
Firenze il giorno 8 per dipingere il cesto, perché farlo dipingere in attrezzeria significa fare un cesto
qualunque, mentre tutti vogliamo un vero cesto ‘maccariano’. [...] La aspetto, l’aspettiamo tutti a
braccia aperte» (sottolineato nel testo).
58 Molte riproduzioni delle scene e dei costumi di Maccari per Il naso sono contenute in

M. GIAMMUSSO, Eduardo. Da Napoli al mondo, Milano, Mondadori, 1994, pp. 141 e 182-183, non-
ché in Visualità del ‘Maggio’. Bozzetti. Figurini e spettacoli 1933-1979, Roma, De Luca Editore, 1979,
pp. 197-199 (le schede descrittive sono di M. Bucci). Anche diverse recensioni allo spettacolo sui
quotidiani riproducono foto di scena.
59 M. MILA , Le disavventure di un naso, «L’Espresso», 7.VI.1964, n. 23, p. 22.

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ROSANNA GIAQUINTA

Se lo scrittore e poeta Giorgio Vigolo afferma che «il vero trionfatore della
serata è stato Maccari»,60 il critico e musicologo Andrea Della Corte, peraltro
fortemente polemico nei confronti della musica di Šostakovič, non può non
lodare scene e costumi: «per la sua parte il Maccari ha provveduto figurini
e scene amenissimi. Comiche trasparenze di cieli, di nuvolette, di ritratti,
colori violenti e cromatismi, uniformi buffe, vestiti d’autentica foggia russa.
Uno spettacolo appropriato e curioso».61 Luciano Alberti suggerisce alcune
possibili ascendenze delle scene maccariane, «una vivacità cromatica degna
degli acquerelli di Nolde e un gioco metafisico-fiabesco alla Chagall»,62 Duilio
Courir parla di «estro malizioso» che si concretizza in immagini «ricche di
memorie espressioniste e di dolcezze crepuscolari»,63 mentre Nino Lo Vullo
parla di un «divertimento» che riesce a «portare sulla scena le stranezze di una
Russia primaverile, invasa di colori e di luce, nelle quali si stempera il morso
polemico voluto dall’autore».64 C’è addirittura chi rimprovera al pittore
proprio la leggerezza, la malizia priva di aggressività: «divertenti, ricche di
estro, ma non sufficientemente ‘cattive’ le scene realizzate su bozzetti di Mino
Maccari»,65 definite anche «aneddotiche e garbatamente caricaturali»; 66 per il
critico dell’«Unità» Erasmo Valente, al contrario, «l’arte di Maccari sembra
fatta apposta per punteggiare, anche visivamente, il sarcasmo di Šostakovič».67
Altre contestazioni arrivano da Luigi Pestalozza. Il critico marxista osserva
che Maccari «ha evidentemente lavorato sull’idea del surreale e fiabesco rac-
conto, più che sulla musica di Šostakovič», e riscontra anch’egli «discreti
richiami chagalliani», sicché la sua scenografia si pone «al limite di un espres-
sionismo addolcito, all’italiana», e, a suo avviso, «non ha risposto al discorso
musicale». Pestalozza critica anche l’«incongruente» siparietto col naso taglia-
to, «leggiadro e surreale», che si apre durante lo «strepitoso» intermezzo di
sole percussioni tra il secondo e il terzo quadro: la tensione scenica del

60 G. VIGOLO , La naseide, «Il Mondo», 9.VI.1964, ora in ID., Mille e una sera all’opera e al con-

certo, Firenze, Sansoni, 1971, p. 657.


61 A. DELLA CORTE , ‘‘Il naso’’ di Šostakovič: ameno spettacolo su di una incoerente composizione

musicale, «La Stampa», 24.V.1964.


62 L. ALBERTI , Con ‘‘Il naso’’ di Šostakovič l’espressionismo si diverte, «Il Giornale del mattino»,

24.V.1964.
63 D. COURIR , ‘‘Il naso’’ di Šostakovič. Una prima al Maggio musicale fiorentino, «Il Resto del

Carlino», 24.V.1964.
64 N. LO VULLO , Memorabile esecuzione del Naso di un felice Šostakovič giovane, «La Nazione»,

24.V.1964.
65 E. GUGLIELMI , ‘‘Il naso’’ di Šostakovič, «Il lavoro nuovo», 26.V.1964.

66 G. PIAMONTE , ‘‘Il naso’’ di Šostakovič con la regia di Eduardo, «Il Mattino», 24.V.1964 (anche

su «Il Gazzettino», ovviamente della stessa data).


67 E. VALENTE , Si scatena spietato il sarcasmo di Šostakovič, «L’Unità», 24.V.1964.

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

momento musicale viene «infranta [...] dall’estranea presenza di un elemento


visivo in una delle più geniali pagine musicali e teatrali che siano state scritte
per vivere delle proprie sole forze».68
Ma tali critiche sono episodi isolati. L’adeguatezza della scenografia alla
musica è sottolineata dallo stesso Eduardo in un’intervista alla vigilia della
prima fiorentina. Il filo conduttore della sua regia è la musica di Šostakovič:
«[...] è una musica che parla, che suggerisce l’azione, le scene. Mi sembra che anche
Maccari sia entrato del tutto nello spirito del gioco: non sono una delizia?» dice
Eduardo, e cosı̀ parco di gesti com’è, muove in una rapida mossa le mani a indicare
i rosa, gli azzurri, i verdi suggestivi degli scenari.69

E da un giudizio tanto lusinghiero espresso dal burbero regista si può conclu-


dere che la scenografia di Maccari era assolutamente rispondente alle aspetta-
tive e alle esigenze di Eduardo, pienamente in sintonia con la sua lettura del
Naso – una lettura nella quale l’elemento giocoso sembra prendere il sovrav-
vento rispetto a quello tragico.

IL NASO DI DE FILIPPO

Dal tavolino di regia [...] si alza l’ombra di un uomo. Il suo camminare è un po’
legnoso, ma il passo non fa alcun rumore: sale piano il palcoscenico, va vicino a un
cantante, sempre osservando il silenzio. Quando la scena è finita l’ombra dice: «Da
capo», ma con voce cosı̀ bassa che non si riesce a distinguere l’amato e ben noto tim-
bro di Eduardo. Dalla mattina alle sette, fino a notte fonda, Eduardo è qui, a provare
e riprovare. [...] Tutti lo chiamano «Eduardo», ma è come se dicessero «maestà».
Non dà e non vuole confidenza. Parla poco, fuma molto. Sembra vivere in un sogno,
o a Pietroburgo nel 1836.70

E ancora:
Mattina, pomeriggio, sera Eduardo De Filippo è alla Pergola: le prove del Naso di
Šostakovič proseguono a ritmo serrato, l’ordine del giorno registra implacabile gli ap-

68 L. PESTALOZZA , Trionfo del ‘‘Naso’’, «Rinascita», 30.V.1964, n. 22, p. 27. La tendenza del

critico a una lettura unilaterale del fatto artistico si può riscontrare anche in un articolo che presenta
al pubblico lo spettacolo fiorentino in preparazione, nel quale troviamo la seguente affermazione: «Il
Naso s’imporrà come un momento importante della ricerca marxista nel campo del teatro musicale»
(Le vicende del ‘‘Naso’’ di Dimitri Šostakovič, «Rinascita», 18.IV.1964, n. 21, p. 25).
69 W. LATTES , Se l’opera avrà successo la mia regia farà testo, «Il Giornale del mattino»,

22.V.1964.
70 Ibidem.

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ROSANNA GIAQUINTA

puntamenti con gli artisti con l’orchestra con i tecnici. Il volto magrissimo, spigolo-
so, nel quale gli occhi bruciano cupi di un’antica malinconia che si illumina all’im-
provviso di guizzi ironici, lieti, ilari, Eduardo è dappertutto, segue tutto, ora per
suggerire un gesto, ora per richiamare l’attenzione su un particolare in apparenza
insignificante.
Assistere a una prova del Naso vuol dire assistere a una lezione di regia di alta
scuola.71

Cosı̀ Wanda Lattes e Paolo Emilio Poesio presentano De Filippo al lavoro


in teatro durante le ultime prove. La proposta di curare la regia dell’opera di
Šostakovič, racconta il regista alla Lattes, lo aveva interessato subito, anche se
non aveva ancora letto e ascoltato libretto e musica. Aveva voluto sentire la
partitura, e aveva chiesto venti giorni di tempo per decidere; poi aveva voluto,
per la scenografia e i costumi, Mino Maccari (il maestro Vlad racconta questo
particolare in modo un po’ diverso, dice di aver pensato fin dal principio a
Maccari, e solo successivamente a Eduardo), che gli avrebbe presentato ben
duemila bozzetti tra i quali scegliere per i duecentocinquanta costumi di
scena. Dalla direzione artistica del teatro tutti i cantanti furono scelti in accordo
con De Filippo, che affermò: «Se non ci fosse stato Capecchi nella parte del
protagonista non avrei accettato: non avrei potuto scegliere un altro più
duttile e più attore».72
Tra le diverse attività alle quali Eduardo si dedicò, la regia lirica è forse
quella meno nota.73 Egli aveva esordito in questo campo nel 1959 (al termine
di un periodo dedicato alla televisione), con l’opera giovanile di Rossini La
pietra del paragone sotto la direzione di Nino Sanzogno, in un allestimento alla
Piccola Scala che ebbe molto successo (e tra i cantanti c’è appunto anche il
giovane Renato Capecchi, il futuro Kovalëv). Vale la pena di citare una recen-
sione di Eugenio Montale a questo spettacolo:
Per la parte registica nulla di meglio poteva pretendersi di quanto ha fatto quel
perfetto uomo di teatro che è Eduardo De Filippo. Non solo è stato ottenuto quel

71 P.E. POESIO , Eduardo e ‘‘Il naso’’. Si prova alla Pergola l’opera di Šostakovič, «La Nazione»,

21.V.1964.
72 W. LATTES , Se l’opera avrà successo cit. Queste affermazioni del regista sono riportate in più

di un resoconto della conferenza stampa che presentò il lavoro al pubblico fiorentino. Renato Capec-
chi (1923-1998) fu un cantante indubbiamente versatile, dedito sia al repertorio preromantico che a
quello contemporaneo; nelle sue recensioni agli spettacoli scaligeri Mila lo ricorda, e sempre in ter-
mini molto elogiativi, nella prima di Una domanda di matrimonio di Luciano Chailly nel 1957, in Lo
zar si fa fotografare di Kurt Weill nel 1962 e in Gli eroi di Bonaventura di G.F. Malipiero nel 1969
(cfr. M. MILA, Alla Scala cit., pp. 49, 172, 243-244).
73 Sull’argomento si può vedere M. GIAMMUSSO , Vita di Eduardo, Milano, Mondadori, 19962,

pp. 316-318 (ma questo lavoro contiene alcune imprecisioni).

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

complessivo senso ritmico ch’era richiesto, ma tutta l’animazione della vicenda si è


mantenuta entro i limiti del melodramma ‘giocoso’ evitando le trappole della scoperta
buffoneria.74

Seguirono Il barbiere di Siviglia di Paisiello nel 1960, sempre alla Piccola Scala
con la direzione di Sanzogno,75 e Don Pasquale di Donizetti a Edimburgo nel
1963 (con Alfredo Kraus e ancora Capecchi; questo allestimento venne poi
ripreso al San Carlo di Napoli nel 1964); dopo Il naso, nel 1965 ci sarà Il bar-
biere di Siviglia di Rossini a Roma, diretto da Carlo Maria Giulini; nel 1966
Cenerentola di Rossini al Teatro di San Carlo di Napoli e nello stesso anno
Rigoletto al Teatro dell’Opera di Roma, diretto anch’esso da Giulini, con
Renata Scotto e un Pavarotti praticamente esordiente; nel 1970 il Teatro della
Pergola di Firenze mise in scena Falstaff, con le scene di Maccari e la direzione
di Bruno Bartoletti (uno spettacolo meno fortunato, a causa, stando alle
recensioni, di una meno brillante realizzazione musicale). Ma lavorare all’in-
terno degli enti lirici in Italia si andava facendo sempre più difficile; Eduardo
abbandonò l’attività di regista d’opera in Italia, il suo successivo lavoro per la
lirica fu un Don Pasquale a Chicago nel 1974.
Questo aspetto dell’attività di De Filippo è in assoluto il meno indagato, e
ciò è dovuto al fatto che, se studiare Eduardo attore e regista delle proprie
opere significa anche studiare Eduardo drammaturgo, nel caso delle regie
liriche l’effimero teatrale riprende decisamente il sopravvento, in quanto la
regia sembra destinata a sparire senza traccia, mentre la musica, il libretto e
in parte perfino le scenografie e i costumi restano. Per di più, in proposito
c’è una sorta di dichiarazione di principio dello stesso regista, il quale, in
un’intervista rilasciata in occasione della ripresa de La pietra del paragone di
Rossini alla Piccola Scala nel 1982, affermò che non avrebbe presentato
appunti di regia:
Tali appunti sono superflui e potrei dire persino dannosi. Certo, perché non solo
si mette in dubbio la competenza del critico, ma pure l’intuito del pubblico. Se

74 E. MONTALE , ‘‘La pietra del paragone’’ di Rossini. Intenso successo per l’ultimo spettacolo della

stagione, «Il Corriere d’informazione», 31.V.1959, ora in ID., Il secondo mestiere. Arte, musica, so-
cietà, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 1112-1116. Cfr. anche la recensione di
M. MILA, Un Rossini recuperato, «L’Espresso», 7.VI.1959, ora in ID., Alla Scala. Scritti 1955-1988,
a cura di R. Garavaglia e A. Sinigaglia, Milano, Rizzoli, 1989, pp. 99-101.
75 Anche a proposito di quest’opera, raramente eseguita, si può citare una recensione di Mon-

tale, uscita sul «Corriere d’informazione» del 27.II.1960: «Un’opera tutta di canto [...], se non stu-
pisce che riuscisse gradita nell’alta stagione dell’illuminismo può sembrar povera al gusto moderno.
Nemmeno vi si riconosce – e può essere uno dei suoi meriti – la felice estemporaneità della comme-
dia dell’arte» (ora in E. MONTALE, Il secondo mestiere cit., pp. 1143-1146).

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ROSANNA GIAQUINTA

un’idea, un punto di vista vengono realizzati bene, allora non c’è dubbio che tutti
capiranno, e quindi mettere le mani avanti significa togliere al pubblico la soddisfa-
zione di scoprire da solo i meriti e i demeriti della propria idea e il punto di vista dello
spettacolo.76

Sul numero unico XXVII Maggio Musicale Fiorentino troviamo un’interes-


santissima affermazione di Eduardo, singolarmente vicina alle parole dello
stesso Šostakovič:
Ciò che nel Naso più mi ha colpito sin dalla prima lettura, è stato il realismo in-
tegrale, addirittura pignolo dei personaggi, l’umanità delle loro azioni e dei loro sen-
timenti contrapposti all’assurdità della vicenda. Da questo, io credo, scaturisce l’hu-
mor pungente della novella, la sua grandezza e la sua poesia. E tenendo questo in
mente, ho ascoltato la musica di Šostakovič, desideroso di ritrovarvi lo stesso
splendido contrasto [...] Mino Maccari ed io abbiamo cercato di essere all’altezza del
compito. [...] Quanto a me, nel mettere in scena l’opera, ho ritenuto che una recita-
zione il più possibile realistica fosse il miglior modo per dar risalto al surrealismo della
storia.77

Come non ricordare, dopo aver letto queste parole, quelle che Šostakovič ave-
va utilizzato presentando il suo lavoro con delle dichiarazioni che compaiono
su diverse riviste di quegli anni: «Questo soggetto mi ha attratto per il suo
contenuto fantastico, assurdo, esposto da Gogol’ in termini estremamente
realistici».78
Durante la conferenza stampa del 22 maggio che precede la prima del
Naso, il regista offre la sua chiave di lettura di questo testo musicale – il gioco, la
teatralità. Dal resoconto di Luciano Alberti sul «Giornale del mattino»
apprendiamo che De Filippo insiste sulla straordinaria vitalità teatrale dell’o-
pera e della musica, sul suo «surrealismo espressionistico» e sul realismo che
«è come un ‘passanastro’ circolante tra le maglie dell’assurdo».79 P.E. Poesio
riporta invece altre parole del regista:
Con Šostakovič ho dovuto, praticamente, lavorare di meno. È stata la musica a
dirmi tutto, a suggerirmi i gesti, i movimenti, le azioni: è tutto dentro la musica, è

76 E. DE FILIPPO , Al pubblico la soddisfazione di scoprirmi, «Corriere della sera», 9.II.1982. Su

questo ritorno, diretto da Piero Bellugi e con un gruppo di cantanti, com’è ovvio, completamente
diverso da quello del 1959, si può vedere una nuova recensione di M. MILA, Eduardo maestro di
satira, «La Stampa», 11.II.1982 (ora in ID., Alla Scala cit., pp. 391-392).
77 XXVII Maggio Musicale Fiorentino cit., p. 35.

78 Novinki buduščego sezona. ‘‘Nos’’, «Krasnaja gazeta», 24.VII.1928, n. 202, p. 4; Chronika.

Nos, «Novyj zritel’», 1928, n. 35, p. 14; D. ŠOSTAKOVIČ, K prem’ere ‘‘Nosa’’ cit.
79 L. ALBERTI , Grande attesa per ‘‘Il naso’’, «Il Giornale del mattino», 23.V.1964.

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

una musica che parla. È un’opera di una teatralità assoluta. Se si ascolta la musica a
sé, probabilmente fatichiamo ad accettarla. Se si ascolta la parte cantata senza musica,
può darsi che la ripudiamo. Se si ascoltano musica e canto insieme, già è diverso
l’effetto: ma quando alla musica e al canto si aggiunge il gesto, allora sappiamo che siamo
dinanzi a un’effettiva opera di teatro. [...] Penso [...] che molto derivi dalla familia-
rità che Šostakovič ebbe con Mejerchol’d: il regista gli dovette trasmettere il senso
vivo della scena in movimento. E Šostakovič, con un’umiltà meravigliosa, ha messo
la musica al servizio del libretto. Un caso raro.80

Altre parole dalla stessa intervista sono riportate dalla Lattes:


[...] Tutto è teatro, messo a servizio del teatro, pure la musica. Evidentemente Šosta-
kovič, operando in un’epoca di rottura di vecchi canoni, ha messo al servizio del
teatro anche la musica. [...] È una musica che parla, che suggerisce l’azione, le scene.
Mi sembra che anche Maccari sia entrato del tutto nello spirito del gioco.81

Già nelle anticipazioni, dunque, compare tutta una serie di termini fon-
damentali per la comprensione di questa messa in scena, nel suo rapporto
con il testo gogoliano e con la musica di Šostakovič: teatralità – espressio-
nismo – realismo – surrealismo – grottesco (e tra tutti, l’aspetto del grotte-
sco, certo il più pertinente per questo lavoro, è quello che più resta indefi-
nito). Sono i concetti chiave dell’opera non meno che della lettura di De
Filippo, sono il groviglio di –ismi che va dipanato per cercare di compren-
dere il viaggio del testo da Pietroburgo a Napoli, «un transito pieno di in-
sidie, di pericolosi allettamenti, di fallaci inviti a soluzioni semplicistiche».82
E poiché oggetto di questo lavoro è non tanto un’analisi dell’opera Il naso
in sé, come creazione satirica oppure tragica, realistica oppure surrealistica,
bensı̀ l’analisi di come essa sia stata messa in scena da Eduardo, gli unici
materiali cui si può fare riferimento sono ancora una volta le recensioni allo
spettacolo – per quanto parziali, superficiali o approssimative esse possano
essere.
Se partiamo dal realismo, è utile ritornare alle parole di Eduardo, quelle
pubblicate nel già citato volumetto Eduardo e Maccari, dove egli parla di «rea-
lismo integrale» dei personaggi che crea uno «splendido contrasto» con il
«surrealismo della storia». Inoltre non possiamo non notare che tutte le recen-

80 P.E. POESIO, Eduardo e ‘‘Il naso’’ cit.


81 W. LATTES, Se l’opera avrà successo cit. Il critico Alberti parla di un’«opera di teatro al qua-
drato (di teatro-teatro) e dunque meno di ogni altra giudicabile secondo l’astratta distinzione tra
libretto e partitura, e persino tra partitura e realizzazione»: L. ALBERTI, Con ‘‘Il naso’’ di Šostakovič
l’espressionismo si diverte cit.
82 G. ZACCARO , Memorabile serata al «Maggio» fiorentino, «L’Avanti!», 24.V.1964.

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ROSANNA GIAQUINTA

sioni riscontrano «la più limpida semplicità e normalità di narrazione»,83 il


carattere «umanissimo» della recitazione, che delinea i personaggi molto
ben individualizzati nei gesti, nella mimica dei volti e dei corpi, in una certa
goffaggine quasi marionettistica (anche se si potrebbe obiettare che il ‘mario-
nettistico’ dovrebbe opporsi al realistico). Secondo Pestalozza il regista in ciò
sarebbe andato forse troppo oltre, rendendo questa umanità addirittura
«nostrana»:
De Filippo ha insomma costruito un Kovalëv sordido, ottuso, gretto, sciocco, vile
[...] A lui si deve l’originalità di una realizzazione scenica che magari ha dato all’opera
un sapore casalingo, di turpe meschinità nostrana, ma che appunto cosı̀ l’ha fatta
vivere di un’immediatezza polemica, di un’umanità reale e presente che è poi nelle
intenzioni e nelle capacità del Naso di durare oltre la propria epoca, ovunque la
sua carica critica continui a essere attuale, aggressiva, sferzante.84

Interrogato sul rapporto tra il suo teatro e l’espressionismo, Eduardo


risponde che bisogna rifarsi al primissimo teatro che faceva con Titina e Pep-
pino, al tempo degli inizi, delle prime brevissime scenette che si succedevano
a ritmo serrato. Inoltre, racconta De Filippo nell’intervista a Poesio, anche il
suo testo Le voci di dentro presenta una forte nota espressionistica, e potrebbe
ben costituire la base per un libretto d’opera.85 Su questo particolare -ismo,
principio ispiratore delle scelte del XXVII Maggio Fiorentino, le idee appaio-
no in fondo tutt’altro che chiare, anche se sappiamo che proprio in questa
occasione studiosi di discipline diverse compirono un notevole sforzo nel
tentativo di individuare le coordinate storico-cronologiche e nazionali del
fenomeno e di offrirne una definizione concettuale nell’ambito delle diverse
arti. In tutte le recensioni e anche nelle parole dello stesso Eduardo il termine
sembra ridotto a mera etichetta, usata per tentare di qualificare un’opera di
non facile comprensione, una vicenda enigmatica resa con una musica conci-
tata e una vocalità aspra, spesso portata al limite della sgradevolezza.
Critico circa la definizione di spettacolo espressionista è anche Piero
Santi, direttore d’orchesta egli stesso e studioso delle avanguardie musicali,
che scrive:

83 Ibidem.
84 L. PESTALOZZA, Trionfo del ‘‘Naso’’, «Rinascita», 30.V.1964, n. 22, p. 27. Queste considera-
zioni sono successivamente riprese in Regia e opera, «Sipario», n. 224, dicembre 1964, pp. 10-11,
dove il critico afferma che a De Filippo era risultata più congeniale, come soggetto, La pietra del pa-
ragone di Rossini.
85 P.E. POESIO , Eduardo e ‘‘Il naso’’ cit. Poesio riferisce inoltre che per Le voci di dentro sono in

corso trattative «con un notissimo compositore moderno», del quale però non fa il nome.

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VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

Le influenze berghiane e delle avanguardie europee riscontrabili nel Naso, o ad-


dirittura gli anticipi del post-weberismo, sono concomitanze che si possono rintrac-
ciare in tanta musica del Novecento, senza per questo scomodare l’espressionismo,
col quale ci sembra che l’opera di Šostakovič non abbia proprio niente a spartire.86

Un ulteriore passo avanti nel tentativo di attribuire una definizione al


Naso di Šostakovič nella realizzazione di De Filippo lo compie il critico del
«Giornale d’Italia», che individua molto chiaramente un equivoco di fondo:
E tuttavia e in gran parte l’arido traliccio dodecafonico serve perfettamente a di-
segnare i contorni di personaggi che qui ci si affatica a far passare per ‘espressionisti’
e che sono invece ‘surrealisti’: a mordere anzi quei contorni con la raspa del sarca-
smo, a muoverli con gli scatti legnosi della marionetta.87

Con riferimento alla poetica musicale di Šostakovič e con argomentazioni


senz’altro più sofisticate, anche Massimo Mila indirettamente tocca questo
problema. Vale la pena di riportare per intero un lungo passo della sua recen-
sione, in cui l’opposizione realismo/surrealismo subisce a sua volta uno sposta-
mento e viene a configurarsi come opposizione tra satira realistica e assurdo.
Questo ‘assurdo’ per lui è «leggero» e «spensierato», sebbene il compositore
faccia proprio il linguaggio profondamente tragico usato in modo cosı̀ potente
e innovativo da Berg per il Wozzeck.

Qualunque discorso un po’ approfondito che un giorno si volesse tentare su que-


st’opera, dovrebbe probabilmente far leva su due punti: da una parte la sorprendente
assimilazione del Wozzeck di Alban Berg [...]; e dall’altra l’inconsistenza dell’asserito
impegno satirico. Nessuno vorrà contestare, suppongo, che la pretesa denuncia del-
l’arrivismo burocratico e delle meschinità piccolo-borghesi è una pia gherminella per
tentare di darla a bere all’austera critica sovietica. In realtà l’opera si pone come un
divertimento un po’ pazzo, un’allegra buffonata [...]. Ora, ben inteso, non ho la
minima intenzione di far mia la severità arcigna della critica sovietica e di rimprove-
rare al giovane Šostakovič il mancato impegno sociale, per cui ci ha dato un diverti-
mento invece di una satira. [...] Ma qui entra in gioco il secondo punto di vista, la
componente berghiana dell’opera, la pronunciatissima assimilazione del Wozzeck
[...]. Quest’assimilazione berghiana è pressoché sbalorditiva, se si tien conto della
giovanissima età del compositore, ancor fresco di Conservatorio [...]. E allora bisogna
pur constatare che quel tipo di linguaggio musicale che a Berg serve per la denuncia
appassionata di un’atroce condizione umana, qui evapora nell’effervescenza di una

86 P. SANTI, Espressionismo a Firenze cit., p. 170.


87 F.L. LUNGHI, ‘‘Il naso’’ di Dmitrij Šostakovič, «Il Giornale d’Italia», 26.V.1964.

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ROSANNA GIAQUINTA

festiva vivacità e di una allegra bizzarria. In breve, non si rimprovera al compositore la


spensierata leggerezza dell’assurdo, ma non si può fare a meno di stupire che vi abbia
impiegato dei mezzi consacrati da una delle più alte realizzazioni del tragico musicale.88

Mila coglie dunque una sorta di dissonanza, e vien fatto di chiedersi se la


avverta nella musica in sé, oppure se sia indotto alle sue riflessioni dalla con-
traddizione, forse evidente per uno spettatore della sua cultura e sensibilità,
tra la partitura e la realizzazione registico-scenica, tra una musica che volge
al tragico e i personaggi ‘ammaestrati’ da De Filippo, spesso definiti ‘mario-
nette’, che si muovono sullo sfondo delle scene coloratissime, divertenti e
divertite, di Mino Maccari.
Nella maggior parte delle recensioni, come già si è detto, si sottolineano il
divertimento, la vivacità, l’umorismo. I termini che ricorrono più spesso
appartengono a una stessa serie semantica: «inesauribile invenzione», «esilaranti
trovate», «umorismo travolgente», «comicità marionettistica» e simili. Ma tro-
viamo anche suggerimenti contrastanti: «provocazioni umoristiche e amare»,
«cupa allucinazione», «spirito surreale gogoliano», «tema gogoliano, sospeso
tra psicologico realismo e allusività metafisica». Sulla base di questo piccolo
campionario si può tentare di discernere, in mezzo a genericità e luoghi comu-
ni, ciò che nelle recensioni deve essere riferito al testo (in questo caso testo
musicale in primo luogo) e ciò che può essere riferito invece alla regia, e il
risultato di tale tentativo sembra essere una distinzione certo piuttosto grosso-
lana, ma significativa: il tragico è nella musica, il farsesco è nella regia e nella
scenografia. La luminosa vivacità delle scene e il divertimento coinvolsero, a
quanto risulta dalle testimonianze, tutti quelli che contribuirono alla realizza-
zione dello spettacolo, ma costituiscono solo una delle possibili letture del
Naso di Šostakovič, e sicuramente quella meno ‘espressionista’, quella meno
tragica, meno esistenziale proprio in quanto ludica e stilizzata.
Una contraddizione emerge anche da una corrispondenza da Roma del
gennaio 1967 di Marietta Šaginjan, in cui la scrittrice riferisce di avere assistito
alla prova generale della ripresa di questa edizione del Naso per l’Opera di

88 M. MILA , Le disavventure di un naso cit. Sull’importanza che il Wozzeck di Alban Berg ebbe

per il giovane Šostakovič concordano tutti gli studiosi, russi e non. L’opera andò in scena al teatro
Mariinskij con la regia di Sergej Radlov nel giugno del 1927, e fu ripresa con cinque repliche nella
stagione successiva, tra ottobre 1927 e marzo 1928. Cfr. I. BARSOVA, «...Nigde lučše ne prinjali moego
‘‘Vocceka’’, čem v Leningrade», «Muzykal’naja akademija», 1998, n. 3-4, pp. 141-144, e la corrispon-
denza tra Berg e Asaf’ev, in Materialy k biografii B. Asaf’eva, pod red. A.N. Krjukova, Moskva, Mu-
zyka, 1981. In russo il Wozzeck fu tradotto dal poeta Michail Kuzmin; cfr. S. VOLKOV - L. FLEJŠMAN,
Al’ban Berg i Michail Kuzmin (k 50-letiju so dnja prem’ery ‘‘Vocceka’’), «Russian Literature Triquar-
terly», n. 14, 1976, pp. 245-255 e P.V. DMITRIEV, ‘Akademičeskij’ Kuzmin, «Ežekvartal’nik russkoj
filologii i kul’tury» (Sankt-Peterburg), 1995, n. 3, pp. 164-225.

— 192 —
VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

Roma. Ripercorrendo le sfortunate vicende di quest’opera, la Šaginjan, amica


di Šostakovič e sua devota ammiratrice,89 ne attribuisce gli insuccessi al fatto
che essa era stata trattata in termini tragici (la messa in scena di Leningrado
del 1930) o impressionistici (la messa in scena di Düsseldorf, che la scrittrice
colloca erroneamente nel 1957); invece a Firenze e poi a Roma l’opera ritrova
la sua dimensione, che è musicale e drammatica, quindi dinamica. A suo
avviso, De Filippo, aiutato in ciò dalle scene di Maccari, definite «vivide e argu-
te» [jarkie i ostroumnye], sottolinea il carattere irreale della vicenda di un
naso che sale per la scala sociale, enfatizza l’elemento astratto del rango che si fa
persona per poi precipitare letteralmente nella polvere, nella scena di massa in
cui il Naso, che tenta di fuggire di soppiatto, viene fermato dalla folla e atter-
rato con un colpo di pistola. La scena, che in De Filippo acquista ampiezza
maggiore di quanta ne prevedeva la partitura originale (e sappiamo che in
Gogol’ a questo epilogo della vicenda terrena del Naso-in-sé si allude soltan-
to), si conclude con la scomparsa delle ‘spoglie’ del fuggitivo, al posto del quale
rimane appunto un semplice, povero naso.90
E dunque – comico o tragico? I due termini non sono, ovviamente, esclu-
sivi l’uno dell’altro, e l’interrelazione tra di essi è complessa. Ricordiamo che
Šostakovič parlava di un soggetto fantastico, o meglio assurdo [nelepyj], ma
non per questo giocoso, non divertente, non leggero. In un altro scritto in
cui spiegava i caratteri dell’opera, il compositore era ritornato sulla funzione
cardine del contrasto, in questo caso tra serio e umoristico:
A dispetto di tutta la comicità di ciò che accade in scena, la musica non buffo-
neggia [ne komikuet] [...]. Gogol’ tutti gli avvenimenti comici li espone sul piano
del serio [...]. Non ‘fa lo spiritoso’. E anche la musica cerca di non ‘fare la spiritosa’.91

Parole singolarmente vicine (ma questo non deve sorprenderci) a quelle pro-
nunciate da Mejerchol’d a proposito del suo Revisore:

89 Cfr. i suoi ricordi sul compositore, O Šostakoviče, Moskva, Muzyka, 1979. Nel 1982, dopo la

sua scomparsa, sono stati pubblicati estratti dal suo diario e le lettere che Šostakovič le inviò negli
anni 1941-1974: M. ŠAGINJAN, 50 pisem D.D. Šostakoviča, «Novyj mir», 1982, n. 12, pp. 128-135.
90 M. ŠAGINJAN , Opera «Nos» v Rime, «Izvestija», 8.I.1967, p. 5 (ora in ID ., O Šostakoviče,

Moskva, Muzyka, 1979, pp. 34-35). Esiste un’altra recensione russa a questo spettacolo, che, decan-
tando la fortuna in Italia della musica sovietica e dei suoi interpreti, riconosce a De Filippo il merito
di aver contribuito a riscoprire una pagina poco nota dell’arte sovietica, vero anello di congiunzione
tra i classici russi e la musica contemporanea: V. ERMAKOV, «Russkij sezon» v Italii, «Pravda»,
14.I.1967, p. 3. Molti anni più tardi l’allestimento di De Filippo è ricordato da S. CHENTOVA in
un articolo che fa seguito alla ricomparsa del Naso sulla scena sovietica: Pervaja opera Šostakoviča,
«Večernyj Leningrad», 16.XI.1976, n. 271, p. 3. Si tratta delle uniche menzioni dell’allestimento
di De Filippo che mi è capitato di trovare in fonti russe.
91 D. ŠOSTAKOVIČ, Počemu ‘‘Nos’’? cit., p. 4.

— 193 —
ROSANNA GIAQUINTA

Si deve evitare tutto ciò che è troppo da commedia, da buffonata, non bisogna
prendere nulla della commedia dell’arte e si deve cercare di porgere tutto in chiave
tragicomica. Bisogna orientarsi verso la tragedia.92

Eppure va ricordato un dettaglio curioso: nella relazione presentata al conser-


vatorio sulle sue attività tra l’estate del 1927 e l’estate del 1928, Šostakovič
definisce Il naso, che stava ancora scrivendo, «commedia musicale in tre parti
tratta da Gogol’», mentre nella relazione dell’anno successivo, presentata il 31
ottobre 1929, tale definizione scompare, e l’opus 15 viene chiamato semplice-
mente «opera in tre atti».93 Nell’oscillazione tra leggero e serio, Šostakovič
finisce per sottolineare quest’ultimo, ossia l’elemento non-comico del suo
lavoro, ritenendo in questo modo di mantenersi in perfetta aderenza al testo
gogoliano.
Uno scritto decisamente utile per comprendere come fu percepito il Naso
di Šostakovič al suo apparire è un articolo di D. Žitomirskij su «Proletarskij
muzykant», che riesce a dare una validissima definizione del grottesco di que-
st’opera. Il racconto di Gogol’ è definito «una narrazione fantastica assurda,
semi delirante [nelepaja polubredovaja fantastika]»; Žitomirskij dice esplicita-
mente che «nella lotta tra forma e contenuto ha avuto la meglio la forma»,
«anima della scena è diventata l’anima del grottesco [dušoj sceny stala duša
groteska]», e che l’opera di Šostakovič è una «una sciocchezzuola [bezdelu-
ška]», forse innocua, ma più probabilmente dannosa.94 Una lettura assolu-
tamente elementare, quella di Žitomirskij, primitiva, ma che inaspettata-
mente fornisce una possibile chiave di lettura circa l’interpretazione di Eduardo.
Eduardo e con lui Maccari sembrano prendere proprio questo aspetto leggero,
forse futile, del racconto di Gogol’ e della sua resa da parte di Šostakovič. Essi

92 Citato in K. RUDNICKIJ, Režissër Mejerchold cit., p. 352.


93 ‘‘...Ja pytalsja peredat’ pafos bor’by i pobedy’’ cit., pp. 54 e 55. Nella seconda relazione Šosta-
kovič già indica che l’opera fa parte del repertorio del Malyj opernyj teatr. Per quanto riguarda la
definizione di «commedia musicale», mai più ripresa dal compositore, si può anche ipotizzare che
essa nasca dalle conversazioni con l’amico Ivan Sollertinskij, che proprio nel 1927, quindi prima
che Šostakovič cominci la sua collaborazione con il teatro di Mejerchol’d, studia l’opera settecentesca
in generale e l’opera comica napoletana in particolare. La prima lettera di Šostakovič a Sollertinskij
giunta fino a noi, inviata nell’agosto del 1927 da Detskoe selo, parla proprio della nuova opera: «Il
naso cresce, il mio tedesco anche». Cfr. L. MICHEEVA, Istorija odnoj družby, «Sovetskaja muzyka»,
1986, n. 9, p. 26 (all’amicizia con Sollertinskij e al carteggio tra i due è dedicato anche un secondo
articolo, uscito l’anno successivo: L. MICHEEVA, Istorija odnoj družby. Čast’ vtoraja, «Sovetskaja mu-
zyka», 1987, n. 9, pp. 78-84).
94 D. ŽITOMIRSKIJ , ‘‘Nos’’ – opera D. Šostakoviča, «Proletarskij muzykant», 1929, n. 7-8, pp. 33-

39 passim. Le parole «anima della scena è diventata l’anima del grottesco» sono, in realtà, una cita-
zione modificata dal Mejerchol’d del periodo ‘blokiano’: il regista usa in realtà il futuro («diven-
terà»). Cfr. VS. E. MEJERCHOL’D, O teatre, Sankt-Peterburg, Prosveščenie, 1913.

— 194 —
VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

non mettono in primo piano la dimensione drammatica di questo grottesco


pietroburghese, bensı̀ ne esaltano la componente giocosa e assurda; Kovalëv
a volte suscita pena, ma certo mai al punto da poter diventare un eroe tragico.
La critica recente, soprattutto russa, offre di questa prima opera destinata
al teatro musicale di Šostakovič un’interpretazione molto articolata; in parti-
colare, l’opera viene storicizzata, e messa in relazione, oltre naturalmente
che con il glorioso e scintillante passato delle avanguardie teatrali, con il plum-
beo presente della nascita dello stalinismo, di un quotidiano già pervaso dalla
paura e dal sospetto. In effetti, la splendida (ma quanto dolorosa) lettura
kafkiana che dell’opera suggerisce Levon Akopjan nella sua monografia è pos-
sibile solo alla luce di una reale conoscenza della vita quotidiana, del byt degli
ultimi anni Venti, alla luce della percezione di quello che lui chiama «lo
gnosticismo viscerale dell’uomo sovietico [stichijnyj gnosticizm sovetskogo
čeloveka]», o, in parole più semplici, dell’orrore russo quotidiano [bytovoj
russkij užas], di cui parla un altro studioso, Iosif Ryžkin.95 Ed è una lettura
(nel senso di ipotesi interpretativa) basata fondamentalmente, si può dire
esclusivamente, sul dato musicale. È significativo che tutti coloro che videro
lo spettacolo fiorentino parlino di divertimento, di felice invenzione, di sbri-
gliata fantasia e cosı̀ di seguito, mentre il sottofondo inquietante, tragico, è
còlto soltanto da coloro che con particolare attenzione hanno seguito la
musica – e tra questi i cantanti.96 Verrebbe da dire che il tragico viene còlto
da chi non si lascia ‘distrarre’ dalla componente visiva e dinamica dello spetta-
colo. Ma il teatro musicale vive proprio della compenetrazione tra questi piani.
Quale può essere un’interpretazione ‘ideologicamente corretta’ accessibile
a Eduardo negli anni Sessanta, ossia in un dopoguerra italiano in cui il dibat-
tito culturale vede contrapposte in modo piuttosto netto posizioni conserva-
trici (come quella che definisce Šostakovič «un guastatore dei più sfrenati,
un cacofonico senza pietà e senza limiti» 97) e posizioni che viceversa fanno
di lui ora un compositore d’avanguardia impegnato nella fustigazione del mal-
costume, ora il corifeo della «ricerca marxista nel campo del teatro musicale»?
Una reale conoscenza della cultura e della quotidianità russe all’interno delle
quali nasce Il naso è impossibile, anche per personalità colte e avvedute come
d’Amico o Mila; e a maggior ragione non può esserci in Eduardo o in Mac-

95 L. AKOPJAN , Dmitrij Šostakovič cit., p. 15; I. RYŽKIN, ‘‘Nos’’ – opera Šostakoviča i povest’

Gogol’ja cit., p. 64.


96 Questa è, ad esempio, la testimonianza di Jolanda Meneguzzer, la soprano che interpretò il

ruolo della figlia della Podtočina.


97 G. CONFALONIERI , Batte il tam-tam per il naso perduto di Šostakovič, «Epoca», 7.VI.1964,

p. 113.

— 195 —
ROSANNA GIAQUINTA

cari. Dalla loro messa in scena rimane quindi necessariamente fuori un intero
possibile livello interpretativo, quello storicizzante (in cui il piano di riferi-
mento epocale non è tanto la Russia di Nicola I, bensı̀ quella della fine degli
anni Venti), che potrebbe in buona misura rendere ragione del tragico e
spiegare le ragioni di una scelta estetica spinta in direzione del grottesco e
dell’assurdo.
Tale carenza è evidentemente avvertita da Piero Santi, ma le sue osserva-
zioni contengono anch’esse un errore di prospettiva. Egli scrive infatti:
Può darsi che il Naso, dal punto di vista strettamente musicale, sia povero di
idee, tale anzi è il risultato dell’esecuzione fiorentina. Quello che è certo, però, è
che in quest’opera più che le idee, i particolari musicali, conta l’atteggiamento dina-
mico generale [...] È questa un’attitudine polemica legata a un certo momento del-
l’avanguardia russa e oggi definitivamente perenta? È probabile. La musica del Naso,
comunque, non si può capire fuori da quel contesto, che a Firenze non ci si è
neppure posto il problema di ricreare. Si deve dire che la sbalorditiva regia di De Filip-
po, tutta nutrita di comicità partenopea, la caustica ironia toscana delle scene e dei
costumi di Mino Maccari, l’intelligente gigionismo melodrammatico di Capecchi, se
hanno da un lato salvato l’opera, traendovi occasione per uno spettacolo d’una verve
irresistibile, destinato a rimanere memorabile, hanno in pari tempo, inesorabilmente,
sottolineato la vuotezza della partitura šostakovičiana una volta privata del suo retro-
terra naturale.98

Santi lamenta una mancanza di informazione non tanto storica, quanto cultu-
rale; ossia, secondo lui, non è stato compreso e ricreato il clima artistico da cui
Il naso nasce: ma è chiaro che la cultura musicale italiana di questi anni non
può comprendere che, nel 1928, dell’avanguardia russa rimangono solo poche
pericolanti vestigia. Il destino che toccherà alla figura di maggior spicco del
teatro russo di tutti i tempi, Mejerchol’d, ne sarà un’evidente dimostrazione
(e lo stesso Angelo Maria Ripellino, attraverso il quale si conosceranno le
meraviglie del teatro russo e dell’opera di Majakovskij, è a tal punto innamo-
rato degli aspetti creativi di queste personalità straordinarie che, leggendo i
suoi appassionati e documentatissimi lavori, il lettore è portato a dimenticare
come tutto questo finisce).
Ma Eduardo è uomo di teatro, e sente perfettamente il ritmo, il dinami-
smo, i contrasti, le scene stilizzate o macchiettistiche. Ecco quindi il diverti-
mento degli artefici dello spettacolo e del pubblico: e nei suoi ricordi il mae-
stro Vlad parla di un divertimento continuo anche da parte degli ‘autori’ in

98 P. SANTI, Espressionismo a Firenze cit., p. 170.

— 196 —
VIAGGIO DA PIETROBURGO A NAPOLI

tutte le fasi di questo splendido lavoro collettivo. Il divertimento non esclude


naturalmente la malinconia, che è uno dei tratti caratteristici dell’opera del
grande drammaturgo e attore napoletano, ma non arriva a sconfinare nel
tragico.
Sulla base delle diverse recensioni passate in rassegna e delle considerazio-
ni che ne sono scaturite, l’ipotesi che si può avanzare è che De Filippo, in una
realizzazione pur senz’altro geniale, abbia trattato Il naso come un’opera buffa
(«tutto fila benissimo: si ride, ci si diverte. Siamo di fronte a una vera opera
buffa»,99 scrive Mario Pasi). Indubbiamente il lavoro su Rossini e il melo-
dramma giocoso aveva, nella sua esperienza, portato in primo piano il teatro
in musica come ritmo e leggerezza. Ricordiamo ancora le già citate parole di
Massimo Mila:
Successo talmente vistoso che proprio da esso bisogna prendere le mosse per
chiarire che non ci troviamo di fronte a un capolavoro immortale dell’opera comica,
come chi dicesse un nuovo Barbiere di Siviglia ambientato nella narrativa russa del-
l’Ottocento, ma che il successo è essenzialmente dello spettacolo teatrale e della
sua realizzazione, alla quale l’opera giovanile di Šostakovič si offre in funzione aper-
tamente dichiarata di pretesto [...].100

Questo spettacolo non è «un nuovo Barbiere di Siviglia», eppure l’opera di


Šostakovič sembra non essere che un «pretesto» per il dispiegamento della
fantasia teatrale del regista: e il fatto stesso che Mila faccia questo paragone
con il Barbiere fa pensare che esso nasca spontaneo. Ora la regia dovrebbe
compiere una brusca virata verso il Novecento e verso una percezione del
gioco meno innocente e gaia; con Il naso il melodramma si volge al tragico, e ci
si trova di fronte a un eccellente esempio di quello che Michail Bachtin, sulla
scorta di Wolfgang Kayser, chiama «grottesco modernista».101 A quanto pare,
la lettura di De Filippo non avverte questo scarto e addirittura a volte, come
nota un critico, «si è concessa agli amplessi della farsa, tradendo Gogol’ e
Šostakovič».102
Quello di «tradimento» è un concetto senz’altro molto forte, forse ecces-
sivo in relazione a una messa in scena cosı̀ ricca e originale, che, come si è

99 M. PASI, Senza ‘naso’ come si fa?, «Corriere d’informazione», 26.V.1964.


100 M. MILA, Le disavventure di un naso cit.
101 M. BACHTIN , L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione

medievale e rinascimentale, traduzione di M. Romano, Torino, Einaudi, 1979, p. 54 e sgg. (ed. or.
Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, 1965); W. KAYSER, The
Grotesque in Art and Literature, translated by U. Weisstein, Gloucester, Mass., Peter Smith, 1968
(ed. or. Das Groteske: seine Gestaltung in Malerei und Dichtung, 1957).
102 G.A. BALDI , Le novità teatrali del XXVII Maggio Musicale Fiorentino, «Rassegna musicale

Curci», anno XVIII, n. 2, giugno 1964, p. 33.

— 197 —
14
ROSANNA GIAQUINTA

visto, ha riscosso un successo pressoché unanime. Pure, questa affermazione


viene a confermare il ‘rischio’ cui si è fatto cenno all’inizio del presente lavoro
– ossia la possibilità che si parta da un testo letterario ottocentesco messo in
musica da un compositore del Novecento e si arrivi a un evento artistico, il
Naso di Eduardo a Firenze, che costituisce qualcosa di profondamente diver-
so, se non proprio di completamente nuovo. La recezione da parte di De
Filippo di un fenomeno culturale cosı̀ particolare sembra diventare a tutti
gli effetti ricreazione e riscrittura, in cui alle moltissime affinità di immagine
ed espressione si uniscono altrettante differenze. Le parole di De Filippo
riferite da d’Amico alludevano alle affinità («Ma i russi, che ti credi che siano?
Sono dei napoletani anche loro»), nondimeno è utile riportare ancora un
passo dalla recensione di Giorgio Vigolo: qui la dialettica di somiglianze e
differenze culturali viene presentata in termini un po’ provinciali (più precisa-
mente – regionali), certo non troppo semioticamente sofisticati, ma senz’altro
adeguati ed efficaci.

Quanto alla regia di De Filippo, essa ha tanto icasticamente annapolitanato col


suo umore funebre queste macchiette di sampietroburghesi primo Ottocento, che
meglio di cosı̀ non si poteva dare ragione ad Alberto Savinio, il quale per primo intuı̀
certe affinità fra il talento gestuale-teatrale dei russi e dei napoletani, sempre pronti a
fare scena e improvvisazione recitata di tutto. [...] Uno spettacolo insomma che
segnerà forse il record dell’attuale rassegna fiorentina dell’espressionismo, ma un
record un poco barato con carte truccate, perché gli assi nella manica di Maccari e
di De Filippo erano stati presi da altri mazzi di carte toscane e napoletane.103

Nel suo giuoco con le epoche e le culture Eduardo ha dunque barato – e


non possiamo che rallegrarcene.

103 G. VIGOLO, La naseide cit.

— 198 —
INDICE

Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. V
Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » VII
Avvertenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » IX
Indice delle sigle e delle abbreviazioni utilizzate . . . . . . . . . . . . . » XI

FRANCO PULCINI, Šostakovič e Mahler . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 1


VALERIJ VOSKOBOJNIKOV , Šostakovič-pianist i ego fortepiannoe
tvorčestvo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9
EVGENIJ DOBRENKO, Šostakovič-formalist . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 23
DISCUSSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 39

PAULINE FAIRCLOUGH, The Old Shostakovich: A Short History of


his Reception in Britain . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 49
ROBERTA DE GIORGI, Il testo della Lady Macbeth da Leskov a
Šostakovič . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 69
GABRIELLA ROSSO, La monodia di Katerina «Ach, ne spitsja bol’še»
nella prima versione della Lady Macbeth del distretto di
Mcensk (1932) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 81
LEVON AKOPJAN (HAKOBIAN), Šostakovič, Proletkul’t i RAPM . . . » 97
DISCUSSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 107

ELENA PETRUŠANSKAJA, Šostakovič-čitatel’ . . . . . . . . . . . . . . . . . » 113


BORIS GASPAROV, Smert’ v sovetskom bytu: stichotvorenie B. Pa-
sternaka V bol’nice i 11-j kvartet D. Šostakoviča . . . . . . . . . . » 141

— 359 —
INDICE

LEWIS OWENS, On Trial: Shostakovich, Sinyavsky and Socialist


Realism . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 153
ROSANNA GIAQUINTA, Viaggio da Pietroburgo a Napoli. Eduardo
De Filippo rilegge Gogol’ attraverso Šostakovič . . . . . . . . . . . » 161
DISCUSSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 199

ROSAMUND BARTLETT, Shostakovich and the Debates about Opera


in 1920s Soviet Russia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 213
JOHN RILEY, Keeping the Icons on the Wall: Shostakovich’s Cinema
and Concert Music . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 223
MANAŠIR JAKUBOV, Šostakovič čerez 30 let . . . . . . . . . . . . . . . . . » 235
DISCUSSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 247

NATAL’JA NUSINOVA, Šostakovič i FEKS (Kozincev i Trauberg) . . . » 255


HÉLÈNE BERNATCHEZ, Shostakovich and FEKS. Integrating the
Theory of Russian Formalism into the Music of New Babylon » 269
ROBERTO CALABRETTO, L’Amleto di Grigorij Kozincev . . . . . . . . » 277
DISCUSSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 329

Sinossi dei contributi in lingua russa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 339

Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 343

Indice dei nomi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 347

— 360 —
CITTÀ DI CASTELLO . PG
FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2008
ISSN 0073-2516

ISBN 978 88 222 5718 5

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