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La trasfiguraz.ione di Gesù 1 7, 1-13 .

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LA TRASFIGURAZIONE DI GESù 17, 1-13 124


(Mc 9, 2-13; Le 9, 28-36)

1Sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovann� suo fratello, e
li condusse in disparte su un alto monte. 2E si trasformò davanti a loro: il suo volto si
illuminò come il sole, e le sue vesti divennero bianche come la luce. 3 Ed ecco appar­
vero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui. 4Allora Pietro prendendo la parola
disse a Gesù: «Signore, è bello per noi stare qui. Se vuoi, /arò qui tre tende: una per
te, una per Mosè e una per Elia». 5Mentre egli stava ancora parlando, ecco una nube
luminosa li coprì ed una voce dalla nube che diceva: «Questi è il mio Figlio amato,
nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!». 6All'udire ciò i discepoli caddero con la
/accia a terra ed ebbero molta paura. 7Avvicinatosz� Gesù li toccò e disse loro: «Alza­
tevi e non temete.'». 8Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest'ordine: «Non parlate a nessuno
di questa vuione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti». 101 discepoli gli
domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 11 Egli
rispose: «Certo Elia viene e ristabilirà ogni cosa, 12ma io vi dico: Elia è già venuto,
non lo hanno riconosciuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche
il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per causa loro». 13Allora i discepoli compresero che
parlava di Giovannz: il Battista.

Articolazione del testo

n racconto attestato dalla triplice tradizione sinottica, nell'introduzione (v. l )


presenta la collocazione temporale - «sei giorni dopo» -, i protagonisti - «Gesù con
tre dei suoi discepoli» -, il luogo - <<Un alto monte» 12' La descrizione della trasfigu-
-
.

124
C . Deutsch, The Transfiguration Vision and Social Setting in Matthew's Gospel (Matthew
1 7, 1-9), in V. Wiles - A. Brown - G.E Snyder (edd.), Putting Body & Soul Together, Valley Forge
1997, pp. 124- 137; M.M. Faierstein, Why do the Scribes say that Elijah must come first?, in ]BL
100 (1981) pp. 75-86; J.A. Fitzmyer, More about Elijah Coming First, in ]BL 104 ( 1 985) 295-296;
A. Fuchs, Die Verkliirungserziih lung des Mk-Ev in der Sicht moderner Exegese, in TPQ 125 (1977)
29-37; J. Galot, Révélation du Christ et liturgie juive, in EspV 98 (1988) 145-152; J.P. Heil, The
Transfiguration o/ ]esus: Na"ative Meaning and Function o/Mark 9, 2-8; Matt 1 7, 1-8 and Luke 9,
28-36, (AnBib 144), Roma 2000; W.L. Liefeld, Theological Moti/s in the Transfiguration Na"ative,
in RN. Longenecker - M.C. Tenney (edd.), New Dimensions in the New Testament Study, Grand
Rapids 1974, pp. 162- 179; F.R. McCurley, «And A/ter Six Days» (Mark 9:2): A Semitic Literary De­
vice, in ]BL 93 (1974) 67-81 ; A.D.A. Moses, Matthew's Transfiguration Story and ]ewish-Christian
Controversy, USNTSS 122), Sheffield 1996; F. Neirynck, Minor Agreements Matthew-Luke in the
Transfiguration Story, in P. Hoffmann (ed.), Orientierung an ]esus, (Fs. J. Schrnidt), Freiburg 1973,
pp. 253-266;]. Moiser, Moses and EliJah, in ExpTim 96 ( 1985) 216-2 17; M. Pamment - B.A. Bristol,
Moses and Elijah in the Story of the Transfiguration, in ExpTim 92 (198 1 ) 338-339; S. Pedersen, Die
Proklamation ]esu als des eschatologischen Offenbarungstriigers (Mt. XVII. 1-13), in NT 17 (1975)
24 1 -264; J.A. Penner, Revelation and Discipleship in Matthew's Transfiguration Account, in BS 152
(1995) 201-210.
125
Nella storia dell'esegesi la trasfìgurazione è stata interpretata come: l. un racconto di
risurrezione collocato nella vicenda terrena (J. Wellhausen, R. Bultmann); 2. una prefigurazione
della risurrezione (D.E. Garland, Reading Matthew: A Literary and Theological Commentary on
the First Gospel, Crossroad 1993 , p. 181); 3 . una prefigurazione dell'ascensione (C.H. Talbert, Lit-
Il Vangelo di Matteo

razione vera e propria (vv. 2-3 .5) è inframmezzata dall'intervento di Pietro (v. 4). La
costruzione narrativa quindi sarebbe come quella delle teofanie basata sulla visione
e sulla voce. Alla conclusione, sempre secondo questo cliché letterario, si registra la
reazione di paura da parte dei discepoli (vv. 6.8) a cui fa seguito l'invito di Gesù a non
temere (v. 7). L'episodio si conclude con la discesa dal monte e l'ordine impartito ai
discepoli di non raccontare a nessuno ciò che hanno visto (v. 9).
Nella prima parte la «trasfigurazione» di Gesù viene illustrata facendo ricorso
alla descrizione di due particolari: la faccia splendente come il sole e le vesti bianche
come la luce (v. 2). Questi due elementi sono preparatori al dialogo di Gesù con i
due rappresentanti della tradizione biblica: Mosè ed Elia (v. 3 ). Fa da intermezzo alla
descrizione teofanica l'intervento di Pietro che propone la costruzione di tre tende,
una per Gesù, una per Mosè e una per Elia (v. 4). La ripresa del racconto si ha con la
comparsa della nube luminosa che non solo avvolge i tre discepoli, ma anche da cui
fuoriesce la voce. Pertanto la nube introduce il culmine della <<Visione» (d. v. 9), dato
dalla rivelazione della comunicazione divina che riafferma l'identità di Gesù e il suo
ruolo nella comunità dei credenti: «Questi è il mio Figlio amato, nel quale mi sono
compiaciuto. Ascoltatelo !» (v. 5). ll secondo momento è dato dall'incontro tra Gesù
e i discepoli preceduto dalla descrizione della reazione di questi ultimi che si pro­
strano con la faccia a terra e hanno molta paura (v. 6). La ripresa del contatto avviene
per iniziativa di Gesù che si avvicina a loro toccandoli (v. 7). L'esortazione: «alzatevi
e non temete!» corrisponde al cliché delle narrazioni teofaniche (v. 8). All 'apertura
degli occhi essi non vedono più nessuno se non Gesù da solo (v. 8).
In appendice, mentre stanno scendendo dalla montagna, vengono registrati
due particolari: l'ordine del silenzio da parte di Gesù (v. 9) e il suo dialogo con i
discepoli centrato sulla figura di Elia (vv. 10- 1 3 ; cf. vv. 3.4. 10. 1 1 . 12). Il comando
di tacere riguarda la visione, tuttavia è limitato temporalmente: «finché il Figlio
dell'uomo non sia risorto dai morti». All'annuncio i discepoli reagiscono ponen­
dogli la domanda basata sulla concezione messianica degli scribi, secondo i quali
prima del messia deve venire Elia (v. 10). Egli risponde confermando la venuta di
questo profeta (v. 1 1 ) e prende lo spunto per asserire non solo che questi è già ve­
nuto, ma che è stato anche ucciso. Alla conclusione del dialogo, con un confronto
Gesù afferma che il destino di Elia prefigura quello del Figlio dell'uomo (v. 12).
Al termine viene constatata la comprensione da parte dei discepoli della parola di
Gesù in riferimento al Battista (v. 13 ).

Interpretazione del testo

[v. l ] L'episodio della trasfìgurazione viene collocato a differenza di Luca («otto


giorni dopo»; cf. Le 9, 28) da Matteo e da Marco «sei giorni dopo» la confessio-

erary Patterns, Theological Themes, and the Genre o/ Luke-Acts, Missoula 1974, pp. 5 1 -52); 4. un
racconto centrato sul tema della sofferenza (A.A. Trites, The Transfiguration o/]esus: The Gospel
in Microsistem, in EvQ 5 1 [1979] pp. 70-72); 5. una scena di intronizzazione (H. Riesenfeld, ]ésus
transfiguré: L'amere-plan du récit évangelique de la transfiguration de Notre-Seigneur, Copenhagen
1947); 6. una scena apocalittica (E. Lohmeyer, Die Verkliirung ]esu nach dem Markus-Evangelium.
in ZNW [1922] pp. 203 -204).
La trasfigurazione di Gesù 1 7, 1-13 .5 1 9

ne di Pietro (Mt 16, 13-20) e il primo annuncio d a parte di Gesù del suo destino
di passione, morte e risurrezione (Mt 16, 2 1 -28) 126 • L'espressione temporale mette
pertanto in evidenza come la trasfigurazione sia strettamente legata alla rivelazione
dell'identità dd Signore crocifisso e risorto. È lui che, di sua iniziativa, prende con
sé (para/ambano) Pietro, il capo degli apostoli, Giacomo e Giovanni, i fratelli, figli
di Zebedeo 127 • Sono tre dei quattro discepoli che Gesù aveva chiamato per primi
(Mt 4, 18-22), facenti parte dei nomi iniziali nell'elenco dei dodici missionari (Mt
10, 2) 128 • Gesù li conduce su «un monte alto» 129 • ll fatto che non se ne indichi il
nome fa desumere che nel primo vangelo, erede della tradizione biblica (Es 19, 1 1 -
15; 24, 15), esso è il luogo della rivelazione di Dio realizzata in Gesù (vedi Mt 5 , 1).
L'aggettivo «alto»/hypselos ricorre soltanto due volte in questo vangelo sempre in
riferimento al monte (Mt 4, 8). Da un punto di vista scenografico il luogo prepara
la prossima rivelazione. L'espressione kat'idian da tradursi «in disparte» indica il
carattere intimo e al contempo privato dell' awenimento 1 30•

[v. 2] n verbo metamorpho6 che qualifica l'esperienza che sta per essere raccontata,
è usato unicamente in questo episodio nei vangeli di Matteo e Marco (cf. 2 Cor 3 ,
18 e R m 12, 2; cf. Filone, Mosis l , 57; 2 , 228; Legatio 95) 13 1 • Costruito al passivo,
esso dà risalto all 'azione di Dio u2 • n termine indica un cambiamento di forma, una

1 26 Filone, QuaestionesEx 2, 46-47, compara i sei giorni di Es 24, 16 con quelli della cre­
azione. Così per F.R. McCurley, «And A/ter Six Days» (Mark 9:2): A Semitic Literary Device, in
]BL 93 ( 197 4) pp. 67-81, l'espressione «sei giorni dopo» rimanda alla teologia del settimo giorno.
Tuttavia, sembra infondato il collegamento tra la trasfigurazione ed Es 24, 16, in cui la nube ri­
copre per sei giorni il monte. Ugualmente non è riscontrabile una relazione della trasfigurazione
con la festa delle capanne che iniziava sei giorni dopo lo Yom Kippur, anche se nel testo abbiamo
la proposta da parte di Pietro di costruire tre tende (cf. Lv 23, 3 9A4), così come invece sostiene
J. Galot, Révélation, pp. 145- 149.
127
C. Deutsch, Transfiguration, pp. 124-127, vede le seguenti allusioni mosaiche (i sei gior­
ni, l'ascesa e la discesa dalla montagna, la faccia radiante di Gesù, le tende, la nuvola e la voce
celeste dalla nuvola, la presenza dei compagni; d. Es 24, 9-18 e 34, 29-35) e diversi tratti narrativi
apocalittici: la montagna come luogo di rivelazione ( l En 1 8, 6- 16; Test.Levi 2, 5-6; Ap Abr. 9, 9;
12, 3 ; 2Bar 13, 1), la sembianza alterata (Dn 12, 3 ; lEn 39, 14; 7 1 , 1 1 ; 2En l, 7; 2Bar 5 1 , 1 -3 . 1 0;
4Esd 7, 97; 10, 25; G. Flavio Ant 3 §83 ; Filone, Mosis 2, 70.288), la veste bianca (lEn 14, 20; 62,
, .

15- 16; 2En 22, 8-10; Ap 3, 4-5; 7, 9), la voce divina (Dn 8, 16; lEn 14, 8; ILevi 2, 5-7; 5, l ; 18, 6;
4Esd 14, 1 -26; Ap.Abr. 8, 1 -4; 17, l; 19, 1-3; 2Bar 13, 1 .22; Ap 1 1 , 12), la nuvola (Dn 7, 13; lEn
14, 8; 2En 3, l; Ap 10, 1 ) . Sulla base di questi indizi ritiene che l'autore evangelico stia usando
la narrazione della trasfigurazione con particolari accenti apocalittici per legittimare l'autorità di
Pietro, Giacomo e Giovanni, capi della comunità.
1 28 Questo gruppo più ristretto all 'interno del primo vangelo non ha la stessa importanza
che invece assume nel Vangelo di Marco (cf. Mc l , 16-20.29; 3, 16-18; 5 , 37; 9, 2; 13, 3; 14, 33).
1 29 La tradizione cristiana vede nel monte Tabor il luogo della trasfigurazione (Origene,
Commentariorum in Matthaeum, [PG 12, 1548]; Cirillo di Gerusalemme, Catecheses mystegogicae
12, 16 ecc.); recentemente si propende per il monte Ermon.
130
A.D.A. Moses, Matthew's, pp. 55-84, sottolinea gli elementi che accomunano l'espe­
rienza mosaica a quella della risurrezione: Mosè si è trasfigurato; è indicato come colui che è pre­
diletto da Dio, l'eletto; figlio di Dio colui che ha compiuto l'ascesa celeste; il Sinai è considerato
come la montagna più elevata.
13 1 Il tema della trasfigurazione è ripreso in Gv l , 16-17; 2 Cor 3, 7; 4, 6; Eh 3, 1 -6; 2 Pt l ,
16-18.
u2 Secondo F. Neirynck, Agreements, p. 259, il verbo non è riportato da Le 9, 28 perché
farebbe riferimento alle divinità pagane.
520 Il Vangelo di Matteo

trasformazione, che qui viene descritta esplicitamente mediante l'illuminazione della


faccia e lo splendore delle vesti. La prima è rimarcata soltanto da Matteo. Il verbo
lampo con il significato di «risplendere, illuminare» (Mt 5, 15. 16) in relazione al volto,
simbolo e immagine della persona stessa, descrive l'azione divina confermata dalla
comparazione con il sole (helios) che non solo nella letteratura apocalittica è simbolo
di Dio I H . n secondo elemento visibile di questa trasformazione concerne le vesti,
che sono segno stesso della persona. n bianco luminoso nella letteratura apocalittica
indica l'appartenenza al mondo di Dio (Mt 4, 16a.b; 5 , 14.16; 6, 23 ; 10, 27; cf. Mt 28,
3) 1 34 ed evidenzia come Gesù sia abilitato a mettersi in contatto con questo ambito.

[v. 3] n verbo horao all'aoristo passivo vuoi dire <<fu visto» o «apparve». Se nel
linguaggio anticotestamentario indica spesso la manifestazione divina, qui vuole
evidenziare la condizione speciale di Gesù. La sua «metamorfosi» è preparatoria al
dialogo con Mosè ed Elia. Questi due personaggi di grande importanza all'interno
della tradi�ione biblica 13' hanno la primaria funzione nel testo di rendere credibi­
le la rivelazione cristologica 136• Il primo, oltre ad essere il capo del popolo nella
liberazione dall'Egitto, è anche il mediatore della legge di Dio. Il secondo che è
l'iniziatore del profetismo biblico, ha avuto un ruolo determinante nel ricondurre
il popolo idolatrico al culto dell'unico Dio. Pertanto Mosè rappresenta l'esperienza
della legge, mentre Elia quella dei profeti (cf. Mt 5, 17 -20; 7, 12; 1 1 , 1 3 ; 22, 40) . In
Matteo l'uno ricorre alcune volte quasi sempre in riferimento alla Torah anticote­
stamentaria (Mt 8, 4; 19, 7.8; 22 , 24; 23 , 2), mentre l'altro è già stato identificato da
Gesù nella figura di Giovanni Battista e c'è chi lo ha riconosciuto anche in Gesù
stesso (Mt 16, 14). Non va dimenticato che sia Mosè 137, che Elia 138 hanno sperimen­
tato il rifiuto e la persecuzione, lo stesso suo destino. n numero (due) dei personaggi
potrebbe essere un indizio che essi hanno il compito di garantire la testimonianza a
favore dell'identità di Gesù (Dt 17, 6). Secondo la tradizione biblico-giudaica que­
ste due figure sono state rapite in cielo 139• Il fatto che nella trasfigurazione Gesù par­
li con loro vuoi dire che anch'egli ha uno statuto glorioso analogo. Il verbo syllaleo
dal significato di «parlare con qualcuno, conversare», per l'etimologia del termine
fa desumere una relazione paritetica tra i tre personaggi. La forma participiale che
ricorre soltanto qui nel Vangelo di Matteo, mette in rilievo l'aspetto continuativo
dell'azione. Tuttavia non viene indicato, a differenza di Luca, il contenuto o il tema
di questo scambio verbale (Le 9, 3 1 ) . Descrivendo questo atteggiamento colloquiale

1" Secondo S. Pedersen, Proklamation, p. 25 1 , la descrizione è fatta per evidenziare non


ciò che vedono i discepoli, ma la rivelazione stessa.
134 Cf. Dn 7, 9; Mc 16, 5; Gv 20, 12; At l , lO; Ap l, 14; 2, 17; 3 , 4.5 . 18; 4, 4; 6, 2 . 1 1 ; 7, 9.13;
14, 14; 19, 1 1 . 14; 20, 1 1 .
n' Nella storia dell'esegesi le due figure di Mosè ed Elia sono state interpretate come: tutte
e due hanno incontrato Dio sul monte (Sinai/Oreb ); entrambe connesse con la legge; sono ope­
ratrici di miracoli; rigettate come profeti; trasfigurate in qualche maniera; figure escatologiche
associate all'idea della restaurazione; rappresentanti dell'antica alleanza.
136 Vedi A. Fuchs, Verkliirungserziihlung, p. 34.
137 Cf. Es 14, 1 1 - 14; 16, 2-3; 17, 2; 32, 1-35.
138 Cf. 1 Re 18, 7-19; 19, 1 -8.
1 39 Cf. 2 Re 2, 1 1 ; G. Flavio, Ant. 4 §§323-324.
La trasfigura·zione di Gesù 1 7, 1-13 52 1

tra i tre personaggi si vuole indicare il rapporto compenetrante che esiste tra l'An·
tico Testamento e la figura salvifica di Gesù.

[v. 4] ll dialogo viene interrotto da Pietro, il quale intetviene rivolgendosi con un


tono adeguato. Infatti soltanto nel primo vangelo egli non viene biasimato per le
sue parole e chiama Gesù «Signore» («Rabbi» in Mc 9, 5 e «maestro» in Le 9, 3 _3 ).
Prima osserva l'estrema positività del momento e poi chiede di poter fare tre tende:
una per Gesù, una per Mosè, una per Elia. È forse un'allusione alla festa delle ca­
panne? Un collegamento con la tenda della Testimonianza nel deserto (Es 3 3 , 7-1 1 ;
Nm 1 1 , 16-17.24-25 ; Dt 3 1 , 14-15)? Un riferimento alle eterne dimore per i giusti
nel cielo (lEn 39, 3 -8; 7 1 , 16; Le 1 6 9; Gv 14, 2)? L'intervento dell'apostolo ha pro­
,

babilmente lo scopo di voler fermare questa situazione celestiale sulla terra oppure
di assimilare il ruolo di Gesù a quello dei protagonisti dell'antica alleanza. Tuttavia
egli non è messo in cattiva luce come nel Vangelo di Marco (Mc 9, 6).

[v. 5] Mediante un genitivo assoluto (eti autou lalountos) si mostra come la nar­
razione venga interrotta per descrivere la comparsa di una nube luminosa che
avvolge i discepoli. Questo elemento teofanico da una parte rivela, ma dall'altra
nasconde la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Essa ha qui una funzione
oracolare per la comunicazione della rivelazione (Es 1 6 , 10- 1 1 ; 19, 9; 24, 15-18;
3 3 , 9; 40, 35; Nm 9, 1 8-23 ; Nm 10, 3 6 [LXX] ; Nm 17, 7-10; Gb 38, l ; Ez l , 4.28;
2, 1 ) . La qualifica di photein el<<luminosa» , usata solo ancora una volta nel Vangelo
di Matteo, conferisce accentuazioni divine alla manifestazione (Mt 6, 22 ) . Il verbo
episkiazo con il significato di «coprire, ombreggiare, oscurare, offuscare», raro nel
Nuovo Testamento, ricorre soltanto nei paralleli (Mc 9, 7 ; Le 9, 34; cf. l , 35; At
5, 15), appartenendo alle teofanie esodali (Es 40, 35). Qui indica l'avvolgimento
nell'ombra dei tre discepoli 140• È proprio dalla nube che esce la voce celeste con
la rivelazione che costituisce il momento centrale della scena. La proclamazione:
«Questi è il mio Figlio amato . . . Ascoltatelo ! » (cf. Is 42 , l) è la medesima del bat­
tesimo, quando ha inizio la sua missione con la rivelazione della sua vera identità.
Soltanto in Matteo è riportata l'espressione: «nel quale mi sono compiaciuto».
Proprio in questa seconda parte del vangelo in cui Gesù ha ormai precisato la
modalità del suo ministero che si realizzerà nella passione, morte e risurrezione, la
voce celeste lo conferma nuovamente nella sua identità filiale (vedi Mt 3 , 17). Solo
in quanto figlio in relazione al Padre Gesù attua un messianismo non di potenza, o
di gloria, ma si sottomissione al volere divino. Questo suo ruolo rivelato dal Padre
ai discepoli dei quali Pietro è il portavoce (vedi Mt 16, 16), viene ora riconfermato
da Dio. La relazione con il Padre, nel suo carattere del tutto particolare, è già stata
resa nota ai discepoli nella preghiera di lode (Mt 1 1 , 25 -27 ). Egli così, pur comuni­
cando con grandi personaggi biblici, ha un'identità diversa da loro: è il Figlio, nel
quale Dio si è compiaciuto. L'invito finale «Ascoltatelo !», si radica nella tradizione
biblica e soprattutto nel Deuteronomio, dove al popolo viene richiesto di essere
uditore della parola di Dio. La visione e la voce provocano nei discepoli la paura,

Liefeld, Theological, p. 169, sulla base della LXX dove il verbo episkiazo tra-
140 Per W. L.
duce l'ebraico shakan, il testo della trasfigurazione richiama il tema della Shekinah.
522 Il Vangelo di Matteo

reazione umana molto frequente nelle scene di rivelazione 141 • La verbale comuni­
cazione celeste fa capire inoltre che la proposta di costruire tre tende da parte di
Pietro è inappropriata perché mette allo stesso posto le due eccellenti figure anti­
cotestamentarie con Gesù; mentre la parola divina chiarisce il ruolo assolutamente
preminente del Figlio 142 •

[v. 6] Secondo il cliché biblico la manifestazione di Dio porta l'uomo a sentirsi


inadeguato e di conseguenza a provare timore. La reazione da parte dei discepoli
di cadere con la faccia a terra (pipto epi prosopon), che viene ascritta anche a Gesù
mentre prega al Getsemani (Mt 26, 39), in questo caso più che ad un atteggiamen­
to orante rimanda ad una reazione di prostrazione o adorazione di fronte alla rive­
lazione teofanica. Congiunta a questa reazione esterna vi è anche quella interna del
timore. I discepoli, come hanno paura quando Gesù si awicina loro camminando
sulle acque, rivelandosi con ciò «Signore» della creazione (Mt 14, 26-27 3 0), così .

provano la ·stessa sensazione quando la voce celeste lo proclama Figlio prediletto.

[v. 7] Il verbo proserchomai che in maniera particolare ricorre nel Vangelo di Mat­
teo quasi sempre ha come soggetto i vari personaggi che si awicinano a Gesù ren­
dendolo così la figura centrale del racconto (vedi Mt 4 , 3 ) . Soltanto due volte ricor­
re in riferimento a lui ed entrambe sono scene teofaniche. L'altra riguarda l'ultimo
quadro di questo vangelo quando attraverso questo verbo il Risorto ristabilisce il
contatto con i discepoli (Mt 28, 18). Pertanto si tratta di due scene dove Gesù, per
la sua alterità trascendente, deve prendere l'iniziativa per farsi vicino ai discepoli,
al fine di riallacciare il rapporto con loro. Il contatto diventa anche fisico. Il verbo
apto che alla forma media ha il senso di «toccare», nella narrazione evangelica è
ricorso fino adesso nei racconti di miracolo (Mt 8, 3 . 15; 9, 20.2 1 .29; 14, 36ab; cf.
20, 34 ), soltanto qui invece serve a indicare da una parte la condizione fisica di
Gesù e dall'altra la volontà di rincuorare i discepoli impauriti. La parola loro rivol­
ta può essere considerata un ordine composto da due imperativi: «Alzatevi e non
temete !». Il primo verbo egeiro qui ha un significato semplicemente fisico di pas­
saggio da una condizione supina a quella eretta, l'uso del per corrisponde al cliché
narrativo teofanico, per il quale alla paura del destinatario della visione di solito si
aggancia sempre l'ordine di non temere.

[v. 8] n comando di Gesù provoca nei discepoli la reazione immediata di apertura


degli occhi (epairo tous ophthalous) , azione che ricorre soltanto qui nel Vangelo di
Matteo. La comprensione della sua vera identità si ha soltanto alla conclusione con

14 1 J. P.
Heil, Transfiguration, pp. 5 1 -72, ritiene che sulla base del comando finale il genere
letterario della trasfigurazione sia «epifania-perno di mandato» (cf. Nm 22, 3 1 3 5 ; Gs 5, 13-15;
-

2 Mac 3 , 22-34) con la quale non solo si stabilisce che Gesù è il Figlio amato, ma anche si ordina
di ascoltarlo.
142
A.D.A. Moses, Mattheu/s, p. 239, ritiene che la formazione del racconto della trasfigu­
razione sia da comprendere nel contesto del I secolo, alla luce della controversia tra cristiani e
giudei su chi è più importante tra Mosè e Gesù e nell'ambito della polemica nella prima Chiesa
tra Paolo e i giudaizzanti che enfatizzano la legge.
La trasfigurazione di Gesù 1 7, 1-13 523

la nota: «non videro più nessuno, se non ·Gesù solo»� Egli che si è trasfigurato per
mettersi così in contatto con Mosè ed Elia e ricevere la conferma celeste della sua
identità filiale, ora rimane solo con i discepoli. L'unica voce autorevole che essi pos­
sono ascoltare è la sua, quella che risuona ancor oggi nella comunità dei credenti
attraverso le parole del vangelo.

[v. 9] La discesa dal monte espressa con un genitivo assoluto da una parte significa
la conclusione di quella esperienza teofanica, dali' altra crea il contesto dell'ordine
del silenzio impartito da Gesù ai suoi discepoli. Di tenore apocalittico (cf. Dn 12,
4 9 ) esso è valido e quindi va rispettato, ma con un termine temporale (heos ou).
.

Non si fa riferimento qui, come nel precedente annuncio, alle azioni di violen­
za che contraddistinguono la passione, né alla sua morte, ma soltanto all'evento
della sua risurrezione. Esso mette in evidenza il carattere estremamente delicato
dell'esperienza della trasfigurazione, che può essere strumentalizzata o compresa
in maniera distorta. Questa adesso è qualificata da Gesù stesso con il sostantivo
horama che viene usato soltanto qui dall 'autore del Vangelo di Matteo in tutta la
tradizione evangelica con il significato non di «vista, spettacolo», ma di «appari­
zione, visione» 1 43 • La richiesta di Gesù resa con il verbo entellomail«comandare,
dare ordine» (cf. Mt 28, 20) , secondo cui i discepoli non diffondano l'esperienza
fatta è parallela a quella precedente, quando a loro è stato vietato di propagare la
notizia della sua identità messianica (Mt 16, 20) . L'annuncio di Gesù, trasfigurato
e appartenente al mondo celeste, in comunicazione con le grandi figure bibliche,
potrebbe infatti suscitare tra il popolo giudaico le aspettative di un messia glorioso
e vittorioso. Soltanto l'evento della risurrezione di cui i discepoli sono già a cono­
scenza mediante l'insegnamento di Gesù stesso, può far capire, senza possibilità
di distorsioni e fraintendimenti, l'esperienza della trasfigurazione. A differenza del
primo annuncio di risurrezione che viene sempre formulato con il verbo egeiro,
in questo caso è indicato anche il complemento di moto da luogo ek nekron/ «dai
morti» (vedi Mt 14, 2 ) . L'espressione rinvia alla concezione dello se'o/, dove appun­
to il mondo ebraico collocava il luogo di soggiorno di coloro che avevano concluso
la loro esperienza terrena. Matteo non riporta invece il particolare marciano: «Ed
essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti»
(Mc 9, 10).

[vv. 10- 1 1 ] Alla conclusione dell'episodio sia Matteo che Marco descrivono i disce­
poli mentre pongono una domanda a Gesù sul profeta Elia, atteso dal giudaismo
per preparare la venuta del messia. La questione che solo apparentemente sposta
l'argomento sul precursore, in realtà pone il problema del messia. In altre parole
il quesito sull'Elia che deve venire non è altro che un interrogativo che vuole com­
provare l'effettivo statuto messianico di Gesù. ll verbo dei inserito nella richiesta
dei discepoli ha la funzione di accentuare come questa attesa riguardi la volontà
divina (vedi Mt 16, 2 1 ). I due vangeli sono d'accordo nel riportare come fonte di
questa aspettativa religiosa gli scribi che hanno il ruolo di interpretare la Scrittura.

143 D termine horama invece ricorre ancora soltanto ma più frequentemente in At 7, 3 1 ; 9,


10.12; 10, 3. 17.19; 1 1 , 5; 12, 9; 16, 9.10; 18, 9.
524 Il Vangelo di Matteo

Essi in questo caso ·per sostenere la loro ipotesi si avvalgono della speranza biblico­
giudaica. Il tema del ritorno di Elia è anche ripreso dalla letteratura giudaica (M/
3 , 23 ; Ap. Elia 4 , 7-12; Or.Sib. 2 , 1 85 - 195 ; b.Men. 63 a; b.Pes. 13a; 20b ; b.Erub. 43b;
m.Sot. 9, 15; b.Sabb. 108 a ; Pes.R. 35, 3) 144• Gesù risponde alla richiesta dei disce­
poli confermando la venuta del profeta con la funzione di ristabilire ogni cosa. Il
verbo apokathistemi ha qui il significato di «rimettere alla condizione precedente,
ristabilire». È difficile capire a che cosa si riferisca l'espressione: al suo ruolo di
rappacificare le famiglie, alla sua funzione di predicatore della conversione (4Esd 6,
26), al compito di restaurare le tribù di Giacobbe (Sir 48, lO)?

[v. 12] Gesù nella seconda sentenza afferma che la venuta del profeta Elia ha già
avuto luogo, ma che non è stata individuata. Egli in questo modo identifica il pro­
feta con il Battista che ha già espletato la sua missione senza che lo abbiano rico­
nosciuto (epiginosko). Soltanto in Matteo, a differenza del parallelo marciano, si
sottolinea la mancanza di riconoscimento nei confronti di Giovanni. L'espressione
«hanno fatto di lui quello che hanno voluto» rimanda alla sua morte violenta (cf.
Mt 14, 1 - 12 ) che per altro prefigura il destino del Figlio dell'uomo, il quale deve pa­
tire. In questo caso il verbo pascho/«patire, soffrire» rimanda non a una situazione
generica di sofferenza, ma agli eventi della passione e della morte che Gesù dovrà
sopportare (cf. Mt 16, 2 1 ) . TI verbo mello con il significato di «deve arrivare, acca­
dere, stare per, essere sul punto di» evidenzia l'imminenza, ma al contempo anche
la realizzazione certa di questa sofferenza. Se finora i verbi alla terza persona plurale
non indicavano un soggetto esplicito per ciò che riguarda la passione e morte di
Gesù, l'espressione finale hyp autonl«per causa loro» attribuisce la responsabilità
'

di questi avvenimenti agli scribi stessi che nel racconto della passione sono deter­
minanti per ciò che concerne il suo destino (Mt 26, 5 7 ; 27, 4 1 ) .

[v. 1 3 ] Nella prospettiva di Matteo che, a differenza di Marco, ritrae i discepoli ca­
paci di comprendere l'insegnamento di Gesù, il dialogo si chiude con l'annotazione
che essi hanno capito come l'Elia atteso non sia altro che il Battista. ll verbo syniemtl
«comprendere, capire» che è ricorso per indicare una delle componenti salienti per
l'adesione di fede (Mt 13, 13. 14.15. 19.23 .5 1 ; 15, 10; 16, 12), in questo caso descrive
semplicemente la loro intuizione per cui hanno riconosciuto nelle parole di Gesù
l'allusione alla figura di Giovanni. Nel primo vangelo non è nuova questa identifica­
zione (Mt 1 1 , l 0.14) anche quando egli viene descritto con la caratteristica profetica
della cintura di pelle (Mt 3 , 4; cf. 2 Re l , 8).

***D racconto che comunemente viene chiamato <<trasfigurazione», è in realtà


un'esperienza molto più complessa che inizia con una trasformazione luminosa di
Gesù, ma culmina nella voce celeste che lo dichiara il Figlio prediletto. Esso ha due
funzioni: da una parte abilitarlo nel suo ruolo salvifico, dall'altra individuare la sua

144 Le credenze giudaiche sulla venuta di Elia prendono lo spunto dai testi di M/ 3, 23 -24
e Sir 48, 10. Tuttavia secondo M.M. Faierstein, Why, pp. 75-86, non c'è nessuna evidenza che
dimostri come al tempo di Gesù ci sia l'aspettativa di questo precursore; pertanto tale creden­
za sarebbe una novità del Nuovo Testamento. Anche J.A. Fitzmyer, More, pp. 295-296, dubita
dell'origine palestinese della sentenza di b.Erub. 43b.
La trasfigurazione di Gesù i l, 1-13 525

sorte futura. La sua parola acquista d'ora in poi una valenza unica per la comunità
dei discepoli, portando a compimento le esperienze precedenti della legge e dei
profeti. Gesù è sì rifiutato dal suo popolo, avendo anche di fronte un destino di
morte, ma confermato nel suo statuto messianico di tipo filiale.

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