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GRAFFI G. - SCALISE S.
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MANUALI
Linguistica
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Lelingue
e il linguaggio
Introduzionealla linguistica
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il Mulino
ISBN 978-88-15-24179-5 Copyright© 2002 by Società editrice il Mulino, Bologna. Terza edizione 2013. Tutti
i diritti sono riservaù. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata,
riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo- elettronico,
meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalJa legge che tutela il
Diritto d'Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie
Indice
Prefazione 11
dei temi trattati nel capitolo stesso. Abbiamo cercato di ridurre al minimo le
citazioni bibliografiche all'interno del testo per non appesantirne la lettura,
ma è owio che un lavoro di questo genere è debitore a schiere di studiosi
che hanno illuminato il cammino della linguistica moderna e che ci hanno
consegnato un dominio di studi concettualmente molto ricco, denso di pro-
blematiche appassionanti e di conoscenze che in ultima istanza hanno a che
fare con la mente umana, di cui il linguaggio è uno dei prodotti non secondari.
Il lettore potrà stupirsi del fatto che molti dei concetti di base sono difficili a
definirsi e a volte appaiono perfino sfuggenti, ma questo è il cammino della
scienza che non deve arrestarsi di fronte a difficoltà di definizione: il linguaggio
umano e le lingue del mondo sono un dato di fatto, accompagnano la nostra
esistenza fin dalla nascita e sono lo strumento principale dei nostri modi di
comunicare e di esprimerci.
Nei capitoli che trattano i livelli linguistici di base - e cioè fonologia, morfolo-
gia, sintassi e semantica - abbiamo cercato infatti di rispondere alla domanda:
che cosa conosce un parlante per poter parlare come parla e per poter capire i
suoi interlocutori come li capisce? Questo manuale non è dunque una tratta-
zione del pensiero delle varie scuole linguistiche, ma è un manuale che affronta
il problema linguaggio nel suo aspetto teorico e nei suoi aspetti empirici: vi
sono esemplificati e discussi molti dati da diverse lingue del mondo, anche se
la lingua privilegiata è per ovvi motivi l'italiano. Abbiamo inoltre cercato di
impostare il manuale in modo da fornire elementi di metodo per lo studio dei
suoni, delle parole, delle frasi e dei significati linguistici, guidando il lettore
attraverso percorsi di analisi che privilegiassero non le discussioni teoriche ma
quei metodi che hanno ormai uno statuto consolidato e che possono essere
condivisibili da studiosi di tendenze diverse.
Come abbiamo detto sopra, il manuale è pensato fondamentalmente come
un manuale universitario. Per un primo livello introduttivo, ci permettiamo
di consigliare solo quei paragrafi non contrassegnati da un asterisco(*). Gli
altri paragrafi- contrassegnati da asterisco e in corpo minore - possono essere
considerati degli approfondimenti, e dunque da riprendere in un secondo
momento. Naturalmente ogni docente darà una sua valutazione di quali parti
possono essere considerate introduttive e quali di approfondimento.
Diversi colleghi e amici hanno letto e commentato precedenti versioni del nostro
manoscritto. Ringraziamo innanzi tutto Edoardo Vineis, che, nonostante i suoi
impegni di Preside della Facoltà di Lingue di Bologna, ci ha fornito una serie
innumerevole di osservazioni critiche, costruttive e precise. Antonietta Bisetto,
Claudia Caffi, Antonella Ceccagno, Paola Cotticelli, Denis Delfitto, Caterina Do-
nati, Alberto Mioni, Clelia Mora, Andrea Moro, Salvatore Sgroi, Tullio Telmon,
Anna Thornton, Alessandra Tomaselli, Mario Vayra hanno letto parti del dattilo-
scritto fornendoci utili commenti. A tutti rivolgiamo un caloroso ringraziamento,
senza che per questo nessuno si debba sentire responsabile della versione finale di
questo lavoro. Un ringraziamento va infine al ministero dell'Istruzione, Università
e Ricerca per fondi 40% di cui ha usufruito Sergio Scalise.
13
-------- PREFAZIONE
Nota allasecondaedizione
Aicolleghi ringraziati nella prefazione del 2001 (tra i quali Denis Delfitto, Alberto
Mioni, Andrea Moro e Salvatore Sgroi ci sono stati prodighi di consigli anche in
occasione di questa nuova edizione), aggiungiamo ora Ernesto Napoli, Lorenzo
Renzi e Laura Vanelli.
Un ringraziamento speciale, infine, a Ugo Berti, Biagio Forino e a tutta la casa edi-
trice il Mulino, con cui abbiamo entrambi una confidenza ormai quasi trentennale.
ota
GIORGIO GRAFFI
SERGIO SCALISE
Checos'èil linguaggio?
1. LALINGUISTICA,IL «LINGUAGGIO»
E I «LINGUAGGI»
2. CARATTERISTICHE
PROPRIE
DELLINGUAGGIO
UMANO
Una volta chiarito cosa si intende con «studio scientifico», dobbiamo ora
specificare cosa intendiamo con «linguaggio umano». Abbiamo detto nel
paragrafo precedente che la riflessione sul linguaggio umano negli ultimi
decenni è giunta alla conclusione che esso abbia delle caratteristiche molto
specifiche, essenzialmente diverse da quelle dei linguaggi animali o dei lin-
guaggi di programmazione tipici dell'informatica. Su che base si fonda una
tale conclusione? Questo argomento, per poter essere affrontato in modo
adeguato, necessiterebbe di una trattazione piuttosto lunga; qui cercheremo
di fornire soltanto alcuni cenni.
Cominciamo da una caratteristica che distingue tipicamente il linguaggio
umano dal linguaggio di molte specie animali, a cominciare da quello delle
api: il primo tipo di linguaggio è discreto, gli altri tipi sono continui. Cosa
vuol dire che il linguaggio umano è «discreto»? Vuol dire che i suoi elementi
si distinguono gli uni dagli altri per l'esistenza di limiti ben definiti. Ad esem-
pio, in italiano i suoni [p] e [b], oppure [t] e [d], per quanto molto simili
sotto vari punti di vista (i primi due sono articolati con le labbra, gli altri due
tramite il contatto della lingua con i denti superiori; v. più avanti, IV.2.1.),
hanno però, per il parlante e per l'ascoltatore, un effetto di contrasto netto:
patto vuol dire una cosa ben diversa da batto, e tardo una cosa ben diversa da
dardo. Non esistono cioè, nella mente del parlante e dell'ascoltatore, entità
«intermedie» tra p e b, oppure tra te d: a un certo momento, bruscamente,
l'ascoltatore percepirà batto invece di patto, o dardo invece di tardo. Nei
sistemi continui è sempre possibile, invece, «specializzare» sempre più il
segnale: la danza delle api ha queste caratteristiche. L'ape esploratrice, con
la sua 'danza', indica la direzione in cui si trova il cibo e la sua distanza. La
direzione è indicata dall'asse della danza mentre per la distanza essa si serve
della velocità in modo 'non-discreto': più è veloce la danza più vicino sarà il
cibo, più è lenta, più esso sarà lontano, con una gamma illimitata di variazioni
possibili.
CHE COS'ÈIL LINGUAGGIO? 19
Inoltre, dobbiamo notare che i segnali del linguaggio delle api (e, a quanto
si sa, dei «linguaggi» animali in genere) sono strutturati in modo abbastanza
diverso da quelli del linguaggio umano. In quest'ultimo, parole come batto o
patto,tardoo dardo,ecc., ciascuna delle quali ha un significato, sono formate
da entità più piccole, dette fonemi (su questo termine, v. il cap. IV) come
«b», «p», «a», ecc., nessuna delle quali ha significato, ma, se scambiata con
un'altra, ha la possibilità di produrre un significato diverso (ad esempio, i
casi di patto e batto, tardo e dardo citati sopra). In ogni lingua, i fonemi sono
in numero limitato (in generale, non più di qualche decina), mentre le parole
sono decine, anzi centinaia, di migliaia, ed è sempre possibile formare parole
nuove (cfr. a questo proposito i capp. V e VI). Quindi, una delle caratteri-
stiche del linguaggio umano è quella di poter formare un numero altissimo
di segni, cioè di entità dotate di significantee significato(cfr. II.7.), mediante
un numero molto limitato di elementi (i fonemi) che non hanno significato,
ma solo la capacità di distingueresignificati. Questa caratteristica, chiamata
doppiaarticolazione,sembra essere assente dai «linguaggi» degli animali: ad
esempio, nel linguaggio delle api, ogni specifico movimento di danza indica
la direzione e la distanza della fonte di cibo, ma non è analizzabile come
composto di «piccoli» movimenti ciascuno privo in sé di significato, e capace
di distinguere un movimento «significativo» da altri.
Un'altra differenza tra il linguaggio umano e i «linguaggi» animali è data
dall'inventario dei segni a disposizione in questi differenti sistemi (sul concetto
di segno cfr. II.7 .): in generale i sistemi di comunicazione animale sono carat-
terizzati da un numero finito di segni; le parole di ogni lingua umana, invece,
non costituiscono un insieme finito, perché si creano continuamente parole
nuove; e nel nostro parlare quotidiano facciamo uso, nella larga maggioranza
dei casi, di frasi nuove, create sul momento. A questa possibilità di creazione
continua di nuove frasi contribuisce in modo decisivo il meccanismo della
ricorsività:esso permette di costruire frasi sempre nuove inserendo, in una
frase data, un'altra frase, poi in quest'ultima un'altra frase ancora, e così via.
Per vedere come funziona in concreto il meccanismo della ricorsività, partiamo
da una frase semplice come (1):
Utilizzando un verbo come dire, possiamo trasformare (1) in una frase com-
plessa, cioè formata da una frase principale(I ragazzidicono) e da una frase
dipendente(che Maria mi ha colpito). (Sui concetti di frase semplice e frase
complessa, frase principale e frase dipendente cfr. VII.3.2.)
(4) I Rossi sostengono che i vicini credono che i ragazzi dicano che Maria mi
ha colpito
Il verbo della frase dipendente più «incassata», ha colpito,è alla terza persona
singolare: si accordacioè con il nome singolare donna, che non è immediata-
mente vicino ad esso, ma ne è separato da una lunga sequenza di parole (che
i ragazzidicono che mi). Il nome ragazziè molto più vicino al verbo ha colpito
che non il nome donna, eppure, se trasformassimo ha colpitoin hanno colpito,
per accordarlo al plurale con ragazzi,otterremmo una frase, (7), che suona
«non ben formata» o «agrammaticale» (i due termini sono equivalenti, e in
questo libro useremo indifferentemente ora l'uno e ora l'altro):
(7) *La donna che i ragazzi dicono che mi hanno colpito è Maria
un po' su di esse. Occorre tenere sempre presente che la linguistica non è una
disciplina normativa, bensì descrittiva: quindi «agrammaticale» non significa
«scorretto», bensì «mal formato per il parlante nativo di una determinata
lingua». Per esempio, qualunque parlante nativo dell'italiano, anche privo di
istruzione, riconoscerà che soltanto (8) è una frase ben formata, mentre (9)
non è che una pura «lista» (o «insalata») di parole italiane:
3. ILLINGUAGGIO
E LELINGUE
Finora abbiamo usato prevalentemente il termine «linguaggio», mentre ab-
biamo fatto poco uso del termine «lingua». L'esame di qualche lingua diversa
dall'italiano ci potrebbe indurre a pensare che in realtà tra «linguaggio» e
«lingua» non ci sia differenza: per esempio, in inglese abbiamo soltanto la
parola language,che equivale tanto a «linguaggio» quanto a «lingua», e lo
stesso accade in tedesco (Sprache).In francese, invece, la situazione è identica
all'italiano: oltre a langage,esiste anche langue.Di fatto, però, è molto im-
portante mantenere distinta la nozione di «linguaggio» da quella di «lingua»;
quindi, in inglese e in tedesco, la stessa parola indica due entità diverse, an-
che se ovviamente collegate. Con linguaggio intendiamo dunque la capacità
comune a tutti gli esseri umani di sviluppare un sistema di comunicazione
dotato di quelle caratteristiche proprie che abbiamo descritto nel paragrafo
precedente, e che lo distinguono da altri sistemi di comunicazione. Con
lingua intendiamo la forma specifica che questo sistema di comunicazione
assume nelle varie comunità. Pertanto, se ci riferiamo al linguaggio umano,
generalmente parliamo di linguaggio al singolare, perché questa capacità è
propria della specie umana, e comune a tutti gli esseri umani in quanto tali.
Parliamo, invece, di lingua tanto al singolare che al plurale, perché tante sono
le lingue del mondo. Esiste poi un senso più specifico e più tecnico di «lingua»
al singolare, su cui torneremo nel prossimo capitolo (II.2.1.).
Qual è il rapporto tra il linguaggio da un lato e le lingue dall'altro? E quale
il rapporto delle varie lingue tra di loro? Questo problema è stato affrontato
molte volte nella storia della linguistica, e le soluzioni avanzate sono state
spesso diverse, se non opposte. Un filosofo medievale, Ruggero Bacone
(1214-1292), scrisse che «la grammatica è unica ed identica nella sostanza,
anche se varia accidentalmente»: quindi (potremmo dire usando la nostra
terminologia), le lingue sono differenti, ma entro limiti ben definiti, ossia
quelli del linguaggio come capacità umana specifica. Di conseguenza, le lingue
non possono differire oltre certi limiti, ed hanno molti elementi in comune,
dato che sono realizzazioni diverse dell'unico «linguaggio». Una posizione
come quella di Ruggero Bacone cominciò ad entrare lentamente in crisi verso
l'inizio dell'età moderna, e fu abbandonata completamente nell'Ottocento e
nella prima metà del Novecento: in quest'epoca, la maggior parte (o forse la
totalità) dei linguisti riteneva che non ci fosse nulla in comune a tutte le lingue
del mondo, che esse cioè potessero, in linea di principio, differire l'una dall' al-
tra senza limiti. Nella seconda metà del secolo scorso, quest'ultima posizione
(che rimane comunque ancora quella di diversi linguisti) ha cominciato ad
essere abbandonata, e si è tornati di nuovo ad una concezione del rapporto
tra unicità del linguaggio e diversità delle lingue simile a quella di Ruggero
Bacone, anche se, ovviamente, formulata in modo diverso.
Ci si può a questo punto domandare: quali sono gli elementi comuni a tutte
le lingue (ossia, gli universalilinguistici) e quali invece gli elementi diversi
da lingua a lingua, o almeno non comuni a tutte? Tra gli universali linguistici,
CHE cos't IL LINGUAGGIO? 25
possiamo citare alcune delle caratteristiche proprie del linguaggio umano che
abbiamo già imparato a conoscere: la ricorsività e la dipendenza dalla struttura.
Finora, non sono stati trovati casi di lingue in cui sia impossibile applicare il
meccanismo della ricorsività, o che presentino casi di regole indipendenti dalla
struttura. Una caratteristica, invece, che distingue le varie lingue (o meglio,
vari tipi di lingue) è l'ordinedelle paroleo, come sarebbe meglio dire, l'ordine
degli elementi principali della frase. In italiano, l'ordine più comune in una
frase dichiarativa è quello Soggetto-Verbo-Oggetto (SVO):
NOTASTORICO-BIBLIOGRAFICA
La riflessione sul linguaggio caratterizza quasi tutte le culture, da quella cinese a quella indiana
a quelle ebraica ed araba. Nella tradizione occidentale, i primi ad occuparsi del linguaggio
furono i filosofi greci, principalmente Platone (429-347 a.C. circa), Aristotele (384-322 a.C.)
e gli stoici (IV-IIIsec. a.C.). La linguistica si costituisce come disciplina scientifica autonoma
(nel senso, ad esempio, di essere dotata di cattedre universitarie proprie) soltanto a partire
dall'inizio dell'Ottocento; in quest'epoca, viene a chiarirsi definitivamente il suo statuto di di-
sciplina descrittiva e non normativa. Una storia delle teorie sul linguaggio è Formigari [2001];
una storia dettagliata della linguistica, contenente anche capitoli sugli studi linguistici in culture
non occidentali, è Lepschy [1990-1994]; per l'epoca della cosiddetta linguistica «scientifica»,
v. Graffi [2010].
26 CAPITOLO 1
La concezione del linguaggio come capacità specifica, sia nel senso di struttura dotata di carat-
teristiche proprie che in quello di proprietà esclusiva della specie umana, è alla base della teoria
linguistica elaborata dallo studioso americano Noam Chomsky (n. 1928), nota come grammatica
generativa (termine con il quale si intende il carattere formale ed esplicito della teoria stessa).
Questa teoria ha trovato sia convinti sostenitori che decisi oppositori, ma in ogni caso rimane
il modello linguistico che ha avuto maggiore risonanza nella seconda metà del ovecento. Il
nostro elenco di caratteristiche proprie del linguaggio umano si basa per la maggior parte sulle
ricerche di impostazione generativa; il concetto di «doppia articolazione» è invece dovuto al
linguista francese A. Martinet [ad es., 1960].
Tra i numerosissimi testi di Chomsky, segnaliamo alcuni di quelli più significativi: Chomsky
[1975, specialmente il cap. I]; Chomsky [1980]; Chomsky [1986, s·pecialmente i capp. I e II;
2000]. Chomsky [1988] è particolarmente indicato per i non specialisti. Un'eccellente presen-
tazione della concezione chomskiana del linguaggio, anch'essa molto adatta ai principianti ed
inoltre di piacevole lettura, è Pinker [1994]. Sui sistemi di comunicazione animali, v. Sebeok
[1968]. Per gli universali e la tipologia linguistica, v. di recente Scalise, Magni e Bisetto [2008]
e le indicazioni nella nota al cap. III.
DOMANDE
Le lingue storico-naturali sono sistemi articolati su più livelli: quello dei suoni, quello
delle parole, quello delle frasi e quello dei significati. I parlanti nativi di una determinata
lingua hanno conoscenze (competenza) di ognuno di questi livelli (competenza
fonologica, morfologica, sintattica e semantica). Le lingue del mondo si possono studiare
sia sincronicamente (senza fare ricorso alla variabile tempo) sia diacronicamente
(considerandone cioè il mutamento nel corso del tempo).
INTRODUZIONE
per minacciare usiamo toni di voce, parole, giri di frase diversi). Ma definire
scientificamente una lingua sarebbe difficile per il profano così come sarebbe
difficile per chi non conosca l'anatomia umana definire il numero di muscoli
che prendono parte al semplice atto di camminare.
Basta poco a dimostrare questo aspetto inconsapevole del linguaggio umano:
per produrre una [b] (la [b] di bello) l'organismo umano deve «pompare»
dell'aria dai polmoni; quest'aria passa attraverso la trachea e la laringe; nella
laringe si trova la glottide dove vi sono le cosiddette corde vocali (ce ne sono
due vere e due false); l'aria, passando, fa vibrare le due corde vere (ma non
tutti i suoni - come si vedrà - fanno vibrare le corde vocali), il velo palatino
chiude il passaggio verso la cavità nasale (lo apre invece per formare i suoni
cosiddetti «nasali»); tutta l'aria prende dunque la via della cavità orale, le lab-
bra vengono chiuse ermeticamente, l'aria arriva dietro questo «sbarramento»
e vi resta per un minuscolo istante (si chiama «tenuta»); poi le labbra vengono
dischiuse e l'aria fuoriesce come una piccola esplosione; l'aria fuoriesce tutta
ed il suono non si può protrarre nel tempo (come si può invece fare con un
altro tipo di suoni, come con la [f] di/orse per esempio).
Immaginiamo poi di dover costruire una parola come inconfessabilmente: se
per produrre una [b] abbiamo dovuto realizzare quel che si è visto sopra, si
immagini il «lavoro» per costruire tutti i suoni di questa parola e disporli in
un continuum sonoro (dato che non pronunciamo le parole suono per suono
ma in un'unica emissione di fiato). Ma oltre al lavoro per realizzare i suoni,
è necessario mettere insieme dei «pezzi» per costruire la parola di cui sopra:
si parte da confessare, che è un verbo, vi si aggiunge il suffisso -bile e si fa
confessabile; bisogna però «sapere» che non sempre, dato un verbo, si fa una
parola in -bile: *volabtle non si può fare e *corribile nemmeno (l'asterisco
indica - come si è già detto nel capitolo I - una forma non grammaticale);
poi a confessabile si aggiunge il prefisso negativo in-: inconfessabile (ma non
sempre dato un aggettivo si può aggiungere un prefisso negativo: *inbrutto
non si può fare e *in/erroviario nemmeno); infine si aggiunge il suffisso
-mente ma, ancora, non a tutti gli aggettivi si può aggiungere questo suffisso
(*giallamente, *erbosamente). Ed ancora, questi «pezzi» sono messi insieme
in un certo ordine in-confessa-bile-mente e non in altri *mente-bile-con/essa-in,
*in-mente-bile-confessa, ecc. Si immagini ancora di costruire una frase come:
Si tratta di una frase molto complessa in cui si debbono produrre più di 400
suoni, 88 parole, alcune semplici (solo, di, ho) altre complesse (lontanamente,
angoscianti, tranquillità), coniugare verbi (avevi, ho spedito), disporre le
CHE cos'è UNA LINGUA? 29
1. PARLATOE SCRITTO
Una lingua, nelle società a noi più vicine, è sia scritta che parlata. La lingui-
stica, tuttavia, privilegia la lingua come espressione orale su quella scritta e
ciò per diversi motivi.
1) Esistono (e sono esistite) lingue che sono (o sono state) solo parlate e non
scritte. Per esempio il somalo è stato una lingua solo parlata fino al 1972, anno
in cui si è introdotto un sistema di scrittura. Molte lingue indiane d'America
sono (e sono state) lingue solo parlate. Dunque l'aspetto orale è primario e
quello scritto è, in linea di massima, secondario, derivativo. Non ci sono lingue
naturali che sono state soltanto scritte ma mai parlate.
2) Il bambino, quando impara una lingua, impara prima a parlare che a scri-
vere. Non solo, il bambino impara a parlare in modo del tutto naturale, anche
senza insegnamento specifico, mentre per imparare a scrivere ha bisogno di
addestramento specifico.
3) Le lingue cambiano nel corso del tempo. Ma ciò che cambia è la lingua
parlata e solo in ritardo la scrittura registra questi cambiamenti (e a volte vi
è bisogno di un atto formale come una riforma ortografica). Se una lingua è
molto usata, è soggetta a cambiamenti; se una lingua è solo scritta o preva-
lentemente scritta (come ad esempio è accaduto sostanzialmente all'italiano
fino all'unità d'Italia) non cambia, tende a mantenersi. Si pensi al latino che,
in generale, oggi non è una lingua parlata ma solo una lingua scritta (nelle
encicliche papali per esempio); ebbene è molto difficile che oggi il latino
cambi in modi sostanziali: è una lingua fossilizzata.
30 CAPITOLO2
Molto spesso gli alfabeti (che servono appunto a «scrivere» una lingua) sono
in ritardo rispetto ali'evoluzione delle lingue, che possono in certi periodi
cambiare anche molto velocemente. Gli alfabeti sono anche contraddittori
e incongruenti rispetto alle lingue «parlate»: basti pensare che in inglese
il suono [fJ può essere scritto/ (fly 'volare'), ph (philosophy 'filosofia'), gh
(enough 'abbastanza').
Certo, la lingua scritta è importante (e sicuramente l'umanità deve essere grata
alla moglie di Tolstoj, che ha copiato sette volte Guerrae Pace...) non solo per
le opere letterarie, ma per il funzionamento delle società complesse di oggi:
si pensi al numero di libri, riviste, lettere, fax o di e-mail che circolano per
il mondo o al numero di pagine web che si possono trovare in Internet. Tra
scritto e parlato vi è sicuramente «appoggio» e scambio reciproco: la lingua
scritta «fissa» la lingua, la lingua parlata offre variazione e novità.
2. ASTRATTO
- CONCRETO
In tutte le parole qui sopra non si dirà che esistono dodici [a] diverse e dodici
[e] diverse: non è rilevante. Diremo invece che esiste una vocale [a] che «si
oppone» ad una vocale [e] e questa opposizione basta da sola a distinguere
moltissime parole. Resta vero che concretamente tutte e dodici le [a] in que-
stione sono fisicamente diverse l'una dall'altra, ma tale diversità non produce
diversità di significato. Una buona descrizione di questi fatti potrebbe dunque
essere la seguente: vi è un livello astratto dove vi è una /a/ (ed una sola) e poi
questa /a/ si può realizzare in n modi diversi. E lo stesso si può dire per /e/:
CHE COS'ÈUNA LINGUA? 31
(3) livelloastratto
livelloconcreto
e vi è poi un livello «concreto», «fisico» dove c'è molta varietà (che dipende
da come in quel momento sono atteggiati gli organi della fonazione). La
distinzione tra /a/ ed /e/ è linguistica (perché su di essa si basa la distinzione
tra parole con significati diversi), quella tra [a 1] e [a3] oppure quella tra [e2]
ed [e3] non lo è. Dunque l'idea che esista un livello «astratto» della lingua
è importante perché aiuta ad identificare un livello in cui i fenomeni sono
«pertinenti».
In effetti, tutti i linguisti che hanno avuto un ruolo decisivo nello sviluppo
della linguistica contemporanea hanno fatto una distinzione tra un livello
astratto ed un livello concreto. illustreremo qui di seguito tre distinzioni,
quella tra languee paroledi Ferdinand de Saussure [1916], quella tra codice e
messaggio di RomanJakobson [1960] e quella tra competenza ed esecuzione
di oam Chomsky [1965].
Sia (6a) che (6b) sono costruite con le stesse unità del codice ma i «messaggi»
in (6a) rispettano le regole con cui tali unità debbono essere messe insieme in
italiano, mentre le sequenze in (6b) non le rispettano e sono dei «non-mes-
saggi» (una regola violata in (6b), per esempio, è che non possono esistere in
italiano - ad eccezione delle sigle - parole che terminino con due consonanti).
Combinando le proposte di Saussure e J akobson, avremo dunque il seguente
quadro:
CHE COS'ÈUNA LINGUA? 33
Una terza distinzione tra un livello astratto e uno concreto è stata fatta da
Noam Chomsky tra competenza ed esecuzione. La competenza è tutto ciò
che l'individuo «sa» della propria lingua per poter parlare come parla e
per poter capire come capisce, l'esecuzione è tutto ciò che l'individuo «fa»
(linguisticamente). L'esecuzione è un atto di realizzazione (come la parole e
il messaggio) e dunque concreto. Di un'orchestra si dice che ha compiuto
un'ottima esecuzione, una buona performance,e che orchestre diverse pos-
sono dare esecuzioni diverse di uno stesso spartito musicale. L'esecuzione
corrisponde abbastanza bene alla nozione di paroledi Ferdinand de Saussure,
mentre la competenza è profondamente diversa dalla langue. La langue è
sociale e trascende l'individuo mentre la competenza è individuale ed ha sede
nella mente dell'individuo. Completando il quadro in (7) avremo dunque:
3. CONOSCENZE
LINGUISTICHE
DI UN PARLANTE
Un parlante italiano «sa» che i suoni [p, n, a, e] sono suoni della sua lingua
ma che suoni come [pf] (del tedesco P/erd 'cavallo'), il primo suono dello
spagnolo ]oséo il suono rappresentato da th nell'inglese thing 'cosa', ecc. non
sono suoni della sua lingua. Conosce inoltre - come si è già visto - quali sono
le combinazioni dei suoni che formano parole e quali no:
Un parlante «sa» anche fatti più sottili. Per esempio in un qualche modo sa
che se una parola in italiano inizia con tre consonanti, la prima deve essere [s]:
Un parlante ha anche una competenza relativa alle parole della propria lingua.
Sa che in italiano le parole finiscono di norma in vocale, tranne poche parole
come non, per, del ed alcune parole di origine straniera come sport o come
qualche «ideofono» (splash).Sa che due parole in tutto eguali tranne che per
l'accento come quelle in (11) hanno significati diversi:
(11) ancora/ancora
pero/pero
capitano/ capitano/ capitano
Un parlante «sa» che alla parola libro si possono aggiungere molti dei co-
siddetti suffissi «valutativi» (14a), ma che lo stesso non può awenire per
una parola come balcone(14b) (il punto di domanda in esponente indica un
giudizio di grammaticalità incerto):
o che ad una stessa parola si possono applicare sia suffissi che prefissi (15):
(17) capostazione/*stazionecapo
cassaforte/*fortecassa
(18) stazioncina/*capostazioncina
capostazione/*capettostazione
si osserverà che il pronome cliticolo può essere unito sia al verbo della frase
dipendente (20a) sia al verbo della frase principale (206), mentre può essere
unito solo al verbo della frase dipendente in (20c) ma non al verbo della frase
principale, come si vede in (20d). Si considerino ora le seguenti coppie di frasi:
CHE COS'ÈUNA LINGUA? 37
a'. La gente che va alla Normale che ama la fisica otterrà il laboratorio
b'. *Giorgio, che va alla Normale, che ama la fisica, otterrà il laboratorio
(24) avaro/spilorcio
molteplice/numeroso
Però i parlanti hanno anche intuizioni sul fatto che la sinonimia completa
non esiste, come si può vedere dalle due frasi qui di seguito, la prima delle
38 CAPITOLO2
(26) vecchio/giovane
vivo/morto
alto/basso
ma, ancora una volta, i parlanti hanno intuizioni sul fatto che ci sono somi-
glianze e differenze: vecchioe giovanesono una coppia di antonimi diversa
dalla coppia vivo/mortoperché i primi sono aggettivi graduabili (Giovanniè
più giovanedi Franco),mentre i secondi non lo sono (*Giovanniè più morto
di Franco).I parlanti sanno identificare molte altre relazioni di significato e
riescono anche a disambiguare frasi potenzialmente ambigue come
L'ambiguità di queste due espressioni sta nel fatto che la parola caneha due
significati possibili, mentre l'ambiguità dell'espressione seguente
sta nel fatto che ha due «letture» diverse, a seconda della struttura sintattica:
I parlanti «sanno» che esistono determinati rapporti tra le parole. Per esempio,
in (3la) il pronome lo non può riferirsi a Mario (è Mario che guarda qualcun
altro), mentre in (316) il pronome si deve riferirsi a Marioe a nessun altro:
4. UNALINGUANON REALIZZA
TUTTELEPOSSIBILITÀ
(33) pane *pnae *npea *eapn nepa pean enap *naep *enpa
pena pnea *aepn *eanp *apne apen anep *neap
*npae *aenp nape epna paen *anpe epan
Dati due aggettivi che si riferiscono allo stesso nome, dunque, l'italiano (in cui
pure l'aggettivo è più libero di quanto non sia l'aggettivo inglese - che occupa
sempre la posizione prenominale) non permette sempre tutte le combinazioni
logicamente possibili.
CHE cosl UNA LINGUA? 41
5. SINTAGMATICO
E PARADIGMATICO
(38) a. il libro
b. questo libro
c. quel libro
(41) amavo
amavt
amava
amavamo
amavate
amavano
queste forme hanno una parte comune (amav-) e delle desinenze (o, i, a, mo,
te, no). Queste desinenze intrattengono tra loro rapporti paradigmatici: se
ne realizziamo una escludiamo tutte le altre. Tutte queste desinenze formano
un paradigma:forme che si possono aggiungere (una ad esclusione dell'altra)
ad una· stessa base. Lo stesso si applica alla declinazione di una parola latina
come rosa 'rosa':
(42) ros-a
ros-ae
ros-ae
ros-am
ros-a
ros-a
6. SINCRONIAE DIACRONIA
Le lingue possono cambiare nel corso del tempo. Si pensi ad alcuni cambia-
menti dal latino all'italiano: le consonanti finali di parola sono cadute (RO-
SAM>rosa),il sistema dei «casi» (v.VII.5.2.) è stato sostituito da un sistema con
preposizioni e articoli (REGIS>delre, REGEM>ilre, REGUM> dei re) e l'ordine
delle parole da Soggetto-Oggetto-Verbo è diventato Soggetto-Verbo-Oggetto
(PUERPUELLAMAMAT> il ragazzoama la ragazza).Lo studio del cambiamento
linguistico è detto diacronico:è quindi lo studio di un fenomeno attraverso
il tempo. Una lingua può però essere studiata anche escludendo il fattore
«tempo». Se per esempio studiamo come funziona l'accordo tra nome ed
aggettivo in italiano senza ricorrere alla variabile «tempo» (Mario è buono,
Maria è buona,Mario e Gianni sono buoni, Mario e Maria sono buoni, Maria e
Carlasono buone) facciamo uno studio sincronico.Un fenomeno sincronico
è un rapporto tra elementi simultanei, un fenomeno
diacronico è la sostituzione di un elemento con un
altro nel corso del tempo. Questi due aspetti della e
lingua (il cambiamento e la coesistenza) possono
essere rappresentati su due assi (fig. 2.1).
L'asse AB è quello della sincronia (detto anche asse A----+----- B
delle simultaneità) e concerne i rapporti tra elementi
linguistici coesistenti con l'esclusione dell'intervento
del tempo. L'asse CD è quello della diacronia (detto
anche asse delle successioni) e concerne i cambiamenti D
lungo l'asse del tempo. Si noti che «sincronico» non
vuol dire «presente»: se studiassimo il sistema dell' ac- fig. 2.1.
cordo tra nome ed aggettivo in latino (senza conside-
rare la sua evoluzione dall'indoeuropeo) faremmo della linguistica sincronica
non diacronica. Entrambi questi aspetti delle lingue sono importanti perché
le lingue - in quanto «sistemi» - hanno la proprietà sia di «funzionare» che
di «cambiare».
7. IL SEGNOLINGUISTICO
Una parola è un segno (anche una frase è un segno, per quanto complesso).
Un segno è una unione di un significato e di un significante. Se diciamo
44 CAPITOLO 2
8. LEFUNZIONIDELLALINGUA
(43)
2) referente
1) parlante 3) messaggio 6) ascoltatore
4) canale
5) codice
(44)
2) referenziale
1) emotiva 3) poetica 6) conativa
4) fàtica
5) metalinguistica
9. LINGUAE DIALETII
Si pensi alla situazione linguistica italiana. In Italia si parla «italiano»: lo
chiameremo italiano standard. Se qualcuno però si addentra nel quartiere di
Castello a Venezia non sentirà italiano, sentirà dialetto veneziano. Se si passerà
per il mercato della Vucciria a Palermo non si sentirà italiano né veneto, si
sentirà dialetto siciliano. Al quartiere Testaccio di Roma sarà il romanesco a
prevalere, e così via. In Italia si parla una lingua «ufficiale» che è l'italiano e
una quantità innumerevole di dialetti, dalle Alpi alle isole a sud della Sicilia
(oltre a diverse lingue «estranee» all'italiano come il greco in Puglia, il tedesco
in Alto Adige o il franco-provenzale in Piemonte).
Questa situazione è più o meno vera per tutti i paesi, ma torniamo all'Italia,
dove - come si è detto -la lingua ufficiale del paese è l'italiano. In realtà non
CHE cos't UNA LINGUA? 47
esiste un italiano unico per tutto il paese: un milanese parla un italiano sensi-
bilmente diverso da quello di un napoletano. Un parlante si «porta dietro» una
certa patina che ne denuncia la provenienza. Per cogliere questo fatto, si dice
che esistono quelli che vengono chiamati italianiregionali.Semplificando un
po', si dirà che esistono almeno tre grandi italiani regionali: quello del nord,
quello del centro e quello del sud. L'italiano regionale è dunque una varietà di
italiano parlata in un'area corrispondente approssimativamente ad una delle
tre principali aree geografiche dell'Italia (v. anche IX.5 .).
Questa nozione è importante perché costituisce un tramite, un livello inter-
medio tra dialetto e italiano standard:
Il dialetto è a sua volta articolato in alcune varietà: dialetto di koinè, che iden-
tifica grosso modo una regione dialettale (per esempio «il veneto» rispetto al
lombardo, al piemontese); dialetto del capoluogo di provincia (per esempio
il dialetto che si parla a Venezia); infine la forma più stretta di dialetto, quello
che si trova nei quartieri di una città (per esempio il dialetto del quartiere di
Castello a Venezia).
Dunque in uno stesso luogo possono coesistere diversi registri linguistici ed i
parlanti possono anche passare dall'uno all'altro (il cosiddetto codeswitching),
come succedeva ad esempio a Bologna in piazza Maggiore, dove i componenti
dei capannelli che popolavano la piazza si rivolgevano ad un nuovo arrivato
prima in dialetto e poi «traducendo» in italiano ...
È importante sapere che la lingua è articolata in modi simili a quelli appena
descritti perché è una caratteristica specifica delle lingue quella di non essere
un blocco monolitico: una lingua è articolata in codici e sottocodici, che a
loro volta servono a definire e a identificare dei gruppi sociali. Ed è ancora
stratificata per registri stilistici come ci si può rendere conto sfogliando
un giornale dove si troveranno sfumature diverse per parlare di politica (il
cosiddetto politichese), per parlare di letteratura, di cronaca, di sport e così
via. A questo proposito si può ricordare quell'esempio che Calvino chiamò di
«antilingua» e che esemplificò con il seguente gustoso episodio. Un testimone
fa il suo resoconto nei termini seguenti:
(47) Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato
tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. e ho preso uno per
bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata
scassinata.
(48) Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali
dello scantinato per eseguire l'awiamento dell'impianto termico, dichia-
ra di essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di
prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al
contenimento del combustibile, e di aver effettuato l'asportazione di uno
dei detti articoli nell'intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano,
non essendo a conoscenza dell'awenuta effrazione dell'esercizio sopra-
stante.
costituito - come tutte le lingue del mondo - da suoni, parole, frasi e signi-
ficati e dunque la differenza di «importanza» tra una lingua ed un dialetto
non è una differenza linguistica: è semmai una differenza socioculturale (al
punto che qualcuno scherzosamente, ma non senza ragioni, ha definito una
lingua come «un dialetto con un esercito e una marina»). Si potrebbe anche
dire che la lingua è «un dialetto con una letteratura importante» e così via.
Certamente un dialetto può avere un lessico carente in determinati settori,
ma è anche vero che i dialetti - come le lingue - hanno strumenti interni per
arricchire il proprio lessico (v. cap. IX).
10. PREGIUDIZI
LINGUISTICI
Le lingue, come s'è detto, fanno parte della nostra vita quotidiana ma sono
spesso oggetto di diversi pregiudizi. Uno di questi riguarda l'idea che vi siano
(o vi siano state) lingue «primitive» nel senso di lingue con sistemi fonologici,
morfologici e grammaticali poco sviluppati e che da queste lingue si siano
poi evolute le lingue «complesse» come le conosciamo oggi. In realtà lingue
di questo tipo non sono attestate: tutte le lingue - sia quelle parlate oggi sia
quelle «morte» di cui abbiamo documentazione - hanno sistemi fonologici,
morfologici e sintattici complessi. Il parallelismo società primitive/lingue
primitive non ha dunque motivazioni scientifiche.
Il pregiudizio opposto è quello secondo cui vi sono lingue per eccellenza
«logiche» (status spesso attribuito a lingue come il latino o il greco, per esem-
pio): gli argomenti per contrastare questo punto di vista sono esattamente
gli stessi di quelli per contrastare la visione «primitiva». on esistono lingue
logiche e lingue illogiche: tutte le lingue hanno una loro logica interna per il
semplice motivo che sono un prodotto della mente umana e debbono poter
essere apprese e tramandate.
Un altro pregiudizio - simile al primo qui discusso - ha a che fare con la
distinzione lingua/dialetto: la lingua sarebbe un sistema più evoluto dei
dialetti. Anche questo - se ne è appena parlato nel paragrafo precedente - è
un pregiudizio, nel senso che i dialetti non si differenziano qualitativamente
- come «sistemi» - da una lingua (v. cap. IX). I dialetti potranno avere delle
lacune lessicali in determinati ambiti, ma ogni dialetto - come si è appena
detto - ha sistemi fonologici e sintattici complessi esattamente come quelli di
qualsiasi altra lingua e d'altra parte le lingue «nazionali» sono spesso (come
nel caso dell'italiano) dei dialetti all'origine, assurti poi per una serie di fat-
tori sociopolitici e letterari a lingue nazionali. Ogni affermazione del tipo «la
lingua x è superiore alle lingue y, z» è quindi destituita di fondamento. Allo
stesso modo sono destituite di fondamento opinioni come quella di Carlo V
secondo cui il francese era adatto per parlare agli uomini, l'italiano alle donne
e il tedesco ai cavalli!
Un altro punto - forse più controverso - riguarda giudizi estetici secondo
cui certe lingue sono «belle» ed altre sono «brutte» (gli olandesi, ad esempio,
50 CAPITOLO 2
fanno dell'autoironia sulla propria lingua dicendo che l'olandese non è una
lingua ma un «mal di gola» ...). È molto probabile che questi giudizi siano
soggettivi dato che non saremmo in grado di trovare dei parametri oggettivi
per definire una lingua come bella o come brutta.
L'ultimo punto riguarda infine giudizi secondo cui ci sono lingue «facili»
e lingue «difficili». Nel dare questi giudizi in genere non si tiene conto del
punto di partenza. Per esempio gli italiani sostengono che lo spagnolo è
facile e che il tedesco è difficile. Ciò può sembrare vero (anche se non tutti
i linguisti sarebbero d'accordo) perché italiano e spagnolo sono lingue ro-
manze non molto distanti {italiano e francese sono anche lingue romanze ma
con una «distanza» maggiore, misurata in termini di differenziazione rispetto
alla comune lingua madre, il latino), mentre italiano e tedesco appartengono
a due famiglie linguistiche diverse, la romanza e la germanica. È presumibile
però che per un cinese lo spagnolo e il tedesco siano entrambe ugualmente
«difficili».
NOTASTORICO-BIBLIOGRAFICA
Come si è detto nel testo, le distinzioni tra langue e parole, sincronia e diacronia, rapporti
sintagmatici e rapporti paradigmatici, significante e significato, sono dovute a F. de Saussure
(1857-1913), il fondatore della cosiddetta linguistica strutturale. Roman J akobson (1896-1982)fu
uno dei principali rappresentanti di questa corrente linguistica; i concetti di codice e messaggio,
come pure l'analisi delle sei funzioni della lingua (cfr. II.8.), sono discussi in Jakobson [1960].
Tra gli altri linguisti strutturalisti, ricordiamo anche Nikolaj S. Trubeckoj (1890-1938), di cui si
parlerà nel capitolo IV, Louis Hjelmslev (1899-1965), al quale propriamente si deve l'adozione
del termine «paradigmatici» per indicare quei rapporti che Saussure aveva originariamente
battezzato «associativi».
L'opposizione tra competenza ed esecuzione è stata introdotta in Chomsky [1965, cap. I,§ 1]
che, richiamandosi esplicitamente alla distinzione saussuriana tra languee parole,osservava al
tempo stesso che i concetti di langue e di competenza non sono identici. Nel § 4 Chomsky ha
introdotto anche l'uso del termine «grammatica» per indicare sia ciò che abbiamo chiamato
«grammatica dei parlanti» (II.3 .5.), sia la descrizione che di essa viene data dal linguista.
Uno strumento indispensabile per la comprensione di Saussure [1916], nonché per la colloca-
zione storica del pensiero di Saussure e la sua fortuna presso glistudiosi successivi,è il commento
di T. De Mauro, originariamente preparato per la traduzione italiana e che dal 1972 correda
anche le riedizioni francesi del volume. La migliore panoramica della linguistica strutturale è a
tutt'oggi Lepschy [1966]. Per la bibliografia relativa a Chomsky e alla grammatica generativa,
v. la nota al cap. I.
Le nozioni presentate in questo capitolo (insieme a molte altre) sono trattate in vari manuali di
linguistica di uso corrente, tra i quali ricordiamo De Mauro [1998], Simone [1990], Basile et
al. [2010] e Berruto e Cerruti [2011]. Esistono poi vari dizionari di terminologia linguistica, tra
cui segnaliamo Beccaria [1994] e Casadei [2001]. Un volume di esercizi è Luraghi, Thornton
e Voghera [2000].
CHE cos1 UNA LINGUA? S1
DOMANDE
Lelinguedel mondo
INTRODUZIONE
Quante sono le lingue del mondo? Una risposta precisa è impossibile: si cal-
cola, comunque, che il loro numero si aggiri sulle settemila. Questo numero
può aumentare ancora se anche i vari dialetti sono considerati lingue: come
abbiamo visto nel capitolo precedente, la differenza tra lingua e dialetto è
infatti di carattere sociopolitico, non linguistico. Il numero di parlanti di
ciascuna di queste lingue presenta differenze impressionanti; ci sono lingue
che contano più di un miliardo di parlanti: è il caso dell'inglese o del cinese
mandarino (putonghuà).Dal lato opposto rispetto all'inglese o al cinese man-
darino, ci sono lingue che contano poche migliaia, se non poche centinaia, di
parlanti: è il caso di alcune lingue degli indiani d'America, o degli aborigeni
australiani. Ad esempio, il Matukar Panau (Nuova Guinea) è parlato solo da
circa seicento persone.
Possiamo in qualche modo mettere ordine in questa molteplicità, cioè fornire
un raggruppamento, una classificazione delle varie lingue? Naturalmente,
ogni classificazione presuppone la scelta di un criterio, di un punto di vista.
Un criterio potrebbe essere proprio quello del numero di parlanti. Un'or-
ganizzazione appositamente dedita allo studio delle lingue del mondo, la
Linguasphere,ha proposto sulla base del numero dei parlanti un indice di
classificazione che conta 10 ordini di grandezza, che vanno da 9 (lingue che
54 CAPITOLO3
-----
T10p,co
del C.11cro AlLANTICO
Equ,toff I OCEANO
PACIFJCO OCEANO
INDIANO
AlLANTICO --
indoruropcc '
- sudanesi
uralo-alWchc
- sahariane
amerindie
- khoisanc
nigcrkordofanianc - giapponcs:i e COl"Nnc
sinotibetane - dravidiche
camito-amùtichc
- aiUllichc
papi.liie australiane -.Ju,
- m.Jcopolinesianc
Fonte:G. FERRARO
(1995, 11o-111).
56 CAPITOLO3
i dati più significativi sul numero dei parlanti delle varie lingue non sono tanto
quelli assoluti, ma piuttosto quelli che indicano l'ordine di grandezza a cui
una determinata lingua appartiene (e questa è, del resto, anche la posizione
di Linguasphere).
In ogni caso, classificare le lingue in base al numero dei parlanti, per quanto
certamente importante dal punto di vista sociopolitico, non è particolarmente
significativo dal punto di vista linguistico: da questo punto di vista, una lingua
come l'inglese, o una come il sopracitato Matukar Panau, parlata da poche
centinaia di parlanti, o una lingua morta, sono esattamente equivalenti. Un
altro criterio possibile è quello puramente geografico. Potremmo cioè distin-
guere le lingue a seconda del continente in cui sono parlate, e così avremmo
lingue dell'Europa, lingue dell'Asia, lingue delle Americhe, ecc. Un criterio
di questo genere è senz'altro utile e, di fatto, qualche volta capiterà anche a
noi di ricorrervi: per esempio, parleremo spesso di «lingue delle Americhe».
Tuttavia, anch'esso è un criterio sostanzialmente non linguistico, in quanto
non si basa su caratteristiche proprie delle lingue, ma sulla loro distribuzione
territoriale. Si può quindi andare alla ricerca di criteri propriamente linguistici,
cioè basati sulle proprietà che le varie lingue manifestano.
Come abbiamo già detto in I.3., tutte le lingue del mondo condividono certe
caratteristiche, che abbiamo chiamato universali linguistici. Ma le relazioni
tra le lingue non si limitano alla condivisione degli universali: infatti alcune
lingue sono «più vicine» tra loro che non a certe altre. Come si fa a stabilire
questa vicinanza, questa relazione? Da un punto di vista linguistico, esistono
tre modalità possibili di classificazione:esse sono denominate, rispettivamente,
genealogica, tipologica e areale. Tutte e tre sono perfettamente legittime e
ugualmente significative, perché si basano su tre diverse modalità di relazione
tra le lingue umane. Queste modalità di classificazione forniscono, in certi
casi, risultati differenti: per esempio, dal punto di vista genealogico l'italiano e
l'inglese sono raggruppati insieme, mentre il cinese (oltre a molte altre lingue)
non può essere raggruppato con queste lingue; dal punto di vista tipologico,
l'inglese presenta alcune caratteristiche che lo possono avvicinare al cinese
più che all'italiano; dal punto di vista areale, il giapponese e il cinese possono
essere raggruppate insieme ma, contrariamente a quello che si potrebbe cre-
dere, non dal punto di vista genealogico.
Si dice che due lingue fanno parte dello stesso raggruppamento genealogico
se esse derivano da una stessa lingua originaria (o lingua madre, da non
confondersi con madrelingua, che è la lingua che ognuno di noi ha acquisito
per prima nella sua infanzia). Un caso evidente di lingue genealogicamente
apparentate è quello delle lingue romanze, o neolatine (italiano, francese,
spagnolo, portoghese, romeno e altre ancora): esse sono tutte derivate da
un'unica lingua madre, il latino. A loro volta, poi, le lingue romanze fanno
parte di un'unità genealogica più ampia, quella delle lingue indoeuropee,
che costituiscono una famiglia linguistica. La famiglia è l'unità genealogica
massima: se due lingue non appartengono alla stessa famiglia, esse non sono
genealogicamente apparentate. Le unità genealogiche di livello inferiore
~DA
r:;i" i:J
o
ASI A
6 o
URALICO NORD-CAUCASICO
Germanico □ slavo D Finno-ugrico § Abcaso-Ad,ghé
alla famiglia sono chiamate gruppi (o classi): quindi una famiglia linguistica
contiene abitualmente diversi gruppi, che a loro volta si articolano in sot-
togruppi,o rami, e così via (la terminologia varia a seconda degli studiosi).
Quindi l'inglese e l'italiano fanno parte della famiglia indoeuropea (di cui
non fa parte, per esempio, il cinese), ma appartengono a due gruppi distinti;
su questi argomenti torneremo in III. I. e in III.2.
Si dice che due lingue sono tipologicamente correlate se esse manifestano
una o più caratteristiche comuni. Quindi, come vedremo in III.3., visto che
l'inglese e il cinese manifestano alcune caratteristiche comuni, esse possono
essere considerate tipologicamente correlate. La classificazione tipologica è
molto più complessa e molto più difficile da realizzare che non quella genea-
logica; inoltre, c'è da tenere presente che una lingua può essere tipologica-
mente correlata ad un'altra per quanto riguarda determinate caratteristiche, e
tipologicamente correlata a una terza per quanto riguarda altre caratteristiche.
Anche su questo torneremo in III.3. Infine, l'affinità tipologica non esclude la
parentela genealogica: due lingue tipologicamente correlate possono derivare
da un'unica lingua madre. Semplicemente, non è necessario il contrario: due
lingue tipologicamente correlate possono anche non essere genealogicamente
parenti, come è appunto il caso dell'inglese e del cinese.
Il punto di vista areale coglie quelle affinità che si creano tra lingue genea-
logicamente irrelate, oppure solo lontane parenti, ma che hanno sviluppato
alcune caratteristiche strutturali comuni in quanto sono parlate in una stessa
area geografica. In casi di questo genere, si dice che le lingue in questione
formano una legalinguistica.Cinese e giapponese non sono genealogicamente
parenti, cioè non derivano da una stessa lingua madre, ma i contatti che nei
secoli hanno avuto corso tra la cultura cinese e la cultura giapponese hanno
fatto sì che le due lingue, che, oltretutto, sono anche assai diverse dal punto
di vista tipologico, abbiano sviluppato alcune caratteristiche comuni.
Un altro caso di lega linguistica, geograficamente più vicina a noi, è quello
delle lingue balcaniche, così chiamate perché parlate nella penisola balcanica
o in territori vicini ad essa. Queste lingue sono «lontane parenti» dal punto di
vista genealogico, in quanto sono tutte lingue indoeuropee, ma appartenenti
a gruppi diversi: il serbo-croato, il bulgaro e il macedone appartengono al
gruppo slavo, il romeno appartiene al gruppo romanzo, l'albanese e il neo-
greco formano gruppi a sé stanti. Ciononostante, queste lingue presentano
delle caratteristiche comuni, che non ricorrono in altre lingue dello stesso
gruppo genealogico. Una di queste caratteristiche è la cosiddetta «assenza
dell'infinito»: nelle lingue balcaniche, una frase come l'italiano Voglio man-
giare suona all'incirca come 'voglio che mangio'. Questa struttura è propria
anche del romeno, in quanto lingua balcanica, mentre manca in tutte le altre
lingue romanze, a cominciare dall'italiano (è presente, tuttavia, in alcuni dia-
letti italiani meridionali, probabilmente influenzati dal neogreco). Un altro
fenomeno, comune soltanto ad alcune lingue della lega (macedone, bulgaro,
albanese e romeno), è il fenomeno dell'«articolo posposto»: invece di dire la
casa,in queste lingue si dice qualcosa di analogo a 'casa la'. Questo fenomeno
LE LINGUEDELMONDO 59
è, come si è detto, proprio anche di due lingue slave della lega linguistica
balcanica, ossia il bulgaro e il macedone, mentre in tutte le altre lingue slave
(russo, polacco, ecc.) l'articolo (preposto o posposto) manca.
Per quanto riguarda le relazioni linguistiche di tipo areale, ci limitiamo a questi
cenni. Il resto del nostro capitolo sarà dedicato alla classificazione genealogica
(ill.1. e III.2.) e alla classificazione tipologica; il paragrafo conclusivo (III.4.)
è dedicato ai sistemi di scrittura, cioè ai vari modi in cui, nel corso della storia
dell'umanità, le varie lingue sono state fissate su un «supporto stabile».
1. CIASSIFICAZIONE
GENEALOGICA:
LEFAMIGUE LINGUISTICHE
2. LAFAMIGLIA
LINGlITSTICA
INDOEUROPEA
Una delle più importanti scoperte nella storia della linguistica fu quella,
compiuta nei primi decenni dell'Ottocento, che un'antica lingua dell'India,
il sanscrito,ed alcune lingue europee, come il latino e il greco, sono genealo-
gicamente apparentate. Negli anni intorno al 1830, per indicare questa fami-
glia linguistica fu coniato il termine indoeuropeo. Altri termini equivalenti a
«indoeuropeo» sono arioeuropeoe indogermanico.La famiglia indoeuropea
si suddivide nei seguenti gruppi e sottogruppi:
• Il gruppo indo-iranico,suddiviso in due sottogruppi: indiano ed iranico.
Al primo di questi due sottogruppi appartengono varie lingue antiche e varie
lingue moderne. Tra le prime, ricordiamo le due lingue della cultura e della
religione indù: il già citato sanscrito, parlato nel I millennio avanti Cristo, e
il vedico, di attestazione ancora più antica (fine del II millennio a.C.). Tra
le lingue indiane moderne, derivate non direttamente dal sanscrito ma dai
cosiddetti dialetti pracriti,ricordiamo lo hindi e lo urdu.
Il gruppo iranico è ulteriormente suddiviso in due rami: lingue iraniche occi-
dentalie lingue iraniche orientali.Tra le lingue antiche del ramo occidentale
ricordiamo il persiano antico, conservato nelle iscrizioni dell'impero degli
Achemenidi, risalenti all'epoca tra il VI e il IV secolo a.C., e l'avestico, così
denominato perché in tale lingua è scritto l'Avesta, libro sacro della religione
di Zarathustra; tra le lingue moderne ricordiamo il persianomoderno,lingua
ufficiale dell'Iran, e il curdo. Anche al ramo orientale delle lingue iraniche
appartengono varie lingue antiche e moderne: tra queste ultime ricordiamo
il pashto o afgano.
62 CAPITOLO3
avuto due destini molto diversi: il primo, comprendente alcune lingue dell'I-
talia antica, come l'osco, l'umbro,il sannita, attestate da documenti risalenti
agli ultimi secoli a.C., si è successivamente estinto; il secondo comprende il
latino,attestato dal 600 a.C. circa, la cui importanza culturale non ha bisogno
di essere sottolineata e che ha dato origine a numerose altre lingue, dette
neolatine o romanze.
Tra le lingue romanze ricordiamo quelle ufficiali dei rispettivi paesi, andando
da ovest verso est: il portoghese,lo spagnolo,il francese,l'italiano,il romeno.
Altre lingue romanze che hanno un riconoscimento ufficiale a livello regionale
sono il gallego(lingua della Galizia, nella Spagna nord-occidentale), il catalano
(lingua della Catalogna, la regione della Spagna con capitale Barcellona, non-
ché di Valenza e delle Baleari) e le diverse varietà del ladino (ladino grigionese,
o retoromanzo,parlato in Svizzera, cantone dei Grigioni, ladino centrale o
dolomitico, parlato nelle vallate dolomitiche intorno al Gruppo di Sella, e
friulano).Ricordiamo infine il provenzale,lingua romanza del sud-est della
Francia, oggi poco parlata, ma assai importante nel medioevo per la copiosa
letteratura in essa prodotta (in particolare la poesia dei trovatori). Alcune lin-
gue romanze sono attestate già in epoca alto-medievale: per esempio, il primo
testo francese risale all'anno 848, e il primo testo italiano al 960. Tra queste
lingue, il francese, il portoghese e lo spagnolo, per effetto delle dominazioni
coloniali, si sono diffuse in molti paesi dell'Africa e dell'Asia sud-orientale
(soprattutto il francese) e dell'America centrale e meridionale (soprattutto il
portoghese, lingua ufficiale del Brasile, e lo spagnolo, lingua ufficiale di quasi
tutti gli stati centro- e sud-americani).
• Il gruppo germanico, diviso in tre sottogruppi: germanico orientale,
germanico settentrionale (o nordico) e germanico occidentale. L'unica
lingua sufficientemente attestata del sottogruppo orientale è il gotico, oggi
estinto, che ci è documentato da alcune parti di una traduzione della Bibbia
eseguita nel IV secolo d.C. Il sottogruppo settentrionale (che alcuni studiosi
uniscono a quello orientale, considerando entrambi due diversi rami di un
unico sottogruppo) comprende le lingue nordiche, ossia lo svedese, il danese,
il norvegese, l'islandese e il feroico (lingua delle Frer 0er). Il sottogruppo
occidentale si divide in due rami: anglo-frisonee neerlando-tedesco.Al primo
di questi due rami appartengono il frisone, lingua riconosciuta ufficialmente
nella Frisia, una regione dell'Olanda, e l'inglese, che, come sappiamo, dal suo
luogo d'origine, l'Inghilterra, si è diffuso in tutto il mondo, fino a diventare la
prima lingua al mondo come numero di parlanti, assieme al cinese mandarino.
Il ramo neerlando-tedesco comprende, come lingue ufficiali, l'olandese o ne-
derlandese,lingua ufficiale dell'Olanda e della parte fiamminga del Belgio, e il
tedesco, lingua ufficiale della Germania, dell'Austria e di parte della Svizzera.
Ad esse vanno aggiunte l' afrikaans,varietà di olandese parlato dai coloni di
origine olandese in Zimbabwe, in Namibia e in Sudafrica (i cosiddetti «boeri»),
e lo yiddish ('giudaico'), dialetto tedesco proprio degli ebrei di Germania,
che a causa di successive migrazioni si diffuse anche in vari paesi dell'Europa
orientale, come la Polonia e la Russia.
64 CAPITOLO 3
---------------------
Ora che abbiamo dato uno sguardo alla classificazione genealogica delle
lingue del mondo, proviamo a confrontarla con il criterio di classificazione
puramente geografico a cui abbiamo alluso all'inizio di questo capitolo. Ve-
diamo immediatamente che i due criteri non coincidono, in quanto non tutte
le lingue genealogicamente parenti si collocano in una stessa entità geografica
e, viceversa, una stessa entità geografica non contiene soltanto lingue genea-
logicamente parenti. Le lingue indoeuropee non sono parlate soltanto in
Europa, ma anche in Asia (e non soltanto in India, a dispetto del loro nome,
ma anche in Iran, ad esempio). D'altro lato, le lingue dell'Europa non sono
soltanto indoeuropee: il finlandese, l'estone e l'ungherese sono lingue uraliche
(e altre lingue uraliche si parlano nella parte europea della Russia), il basco
è una lingua isolata, dalle origini incerte. Ugualmente, non tutte le lingue
dell'India sono indoeuropee: ad esempio, le lingue della parte meridionale di
questo paese appartengono alla famiglia dravidica. Un altro fatto ben noto,
che ha fatto capolino qua e là anche nella nostra presentazione, è che un'unità
politica non corrisponde necessariamente ad un'unità linguistica: una stessa
lingua può essere la lingua ufficiale di paesi diversi (l'inglese è lingua ufficiale
della Gran Bretagna, degli Stati Uniti, dell'Australia e di altri paesi ancora,
il tedesco è lingua ufficiale della Germania, dell'Austria e della Svizzera),
e uno stesso paese può avere più lingue ufficiali (per esempio, il Belgio ha
il francese e il nederlandese, la Svizzera il tedesco, il francese, l'italiano e il
retoromanzo). Il quadro si fa poi ulteriormente complicato se si tiene conto
delle lingue che hanno un riconoscimento ufficiale soltanto a livello regionale
(come il catalano) e complicatissimo se si tiene conto anche delle lingue «senza
esercito né marina», ossia i dialetti.
Come si vede, la problematica linguistica finisce qui col confondersi con
quella antropogeografica e sociopolitica. Come è bene che un linguista non
ignori i rapporti tra lingua e società (ne parleremo nel capitolo IX, dedicato
alla sociolinguistica), così è bene che i sociologi, i politici e gli studiosi di
geografia umana non ignorino certe nozioni base di linguistica: come av-
venimenti recenti purtroppo ci insegnano, la convivenza tra popolazioni
diverse sullo stesso territorio è spesso stata resa difficile anche dal fatto che
esse parlavano lingue diverse, genealogicamente lontane e a volte addirittura
genealogicamente irrelate.
LE LINGUE DEL MONDO 65
3. LACLASSIFICAZIONE
TIPOLOGICA
Abbiamo detto all'inizio del capitolo che due lingue sono tipologicamente
correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni, e questa correlazione
è indipendente dal fatto che tali lingue siano apparentate genealogicamente
oppure no. In quali aspetti del linguaggio vanno ricercate queste caratteri-
stiche comuni? Nella storia delle ricerche di tipologia linguistica, esse sono
state prima ricercate nella struttura delle parole, successivamente in quella
dei gruppi di parole e delle frasi. Si parla quindi di una tipologia morfolo-
gica e di una tipologia sintattica. La classificazione tipologica, pur essendo
nata più o meno contemporaneamente a quella genealogica, cioè all'inizio
dell'Ottocento, e in molti casi ad opera degli stessi studiosi, non è riuscita
finora a raggiungere dei risultati così sicuri come quelli che ha ottenuto la
classificazione genealogica. Ciononostante, anzi forse proprio per questo
carattere di «impresa ancora da completare», la tipologia è uno dei settori di
ricerca più vivaci della linguistica contemporanea.
(2)
Singolare Plurale
Nominativo ku§ ku§-lar
Accusativo kup ku§-lar-1
Genitivo ku§-JD ku§-lar-m
Dativo kup ku§-lar-a
Locativo ku§-da ku§-lar-da
Ablativo ku§-dan ku§-lar-dan
Si noti che -in indica sempre e solo il genitivo, -dan sempre e solo l'ablativo.
LE LINGUEDELMONDO 67
(3) angya-ghlla-ng-yug-tuq
barca-ACCRESCITIVO-acquistare-DESIDERATIVO-III SINGOLARE
'vuole acquistare una grande barca'
(4) ni-k-qua in-nakati ni-naka-qua
'io mangio la carne' 'io carnemangio'
68 CAPITOLO3
In (4), l'oggetto del verbo viene anteposto al verbo stesso, formando un'unica
parola complessa.
Questa classificazione in tipi morfologici non appare completamente soddi-
sfacente: alcune lingue che, sulla base di certe loro caratteristiche, dovrebbero
essere collocate in un tipo, sulla base di altre caratteristiche sembrerebbero
invece appartenere ad un altro. Si pensi al caso dell'inglese: abbiamo detto
che esso presenta molti aspetti propri delle lingue isolanti, ma abbiamo visto
che presenta anche fenomeni di flessione interna, propri delle lingue flessive.
Inoltre, l'inglese presenta anche fenomeni tipici delle lingue agglutinanti (lo-
nely+ ness'solitudine', overt+ ly 'apertamente', drink+er 'bevitore'), e perfino
alcuni fenomeni che ricordano quelle incorporanti (cfr. horseriding'andare a
cavallo'). Gli esempi si potrebbero moltiplicare, anche relativamente ad altre
lingue, e probabilmente non troveremmo nessuna lingua che sia soloisolante,
solo agglutinante, solo flessiva, o solo incorporante. In altri termini, ne po-
tremmo concludere che non esistono tipi «puri». Per esempio in italiano, che è
una lingua prevalentemente flessiva,vi sono fenomeni isolanti (come nomi che
non variano per il genere, come artista,o per il numero, come città),fenomeni
agglutinanti (ad esempio in parole col suffisso -mente, come veloce-mente,o
con più suffissazioni come credi-bil-ità),fenomeni introflessivi (vedo-vidi),
e molto parzialmente fenomeni incorporanti (manomettere,pescivendolo).
Questo vuol dire dunque che la tipologia morfologica è una classificazione
senza valore? No, purché la si interpreti non come una classificazione delle
lingue ma, appunto, dei tipi o, come a volte si è detto, dei sistemi. In altre
parole: esistono fenomeni di tipo isolante, agglutinante, flessivo e incorpo-
rante (o polisintetico), e normalmente ogni lingua presenta fenomeni di più
tipi diversi. In una data lingua prevarranno fenomeni isolanti, in un'altra
fenomeni flessivi, e così via, ma nessuna lingua (probabilmente) presenterà
fenomeni di un solo tipo.
tre costituenti, sono logicamente possibili i seguenti ordini: SVO, SOV, VSO,
VOS, OSV, OVS. Di questi, soltanto i primi tre sono attestati da un numero
considerevole di lingue; il quarto solo da pochissime lingue, il sesto (forse) da
una sola e il quinto, per quanto se ne sa, da nessuna. Di fatto, quindi, i tipi di
ordine dominanti sono solo i primi tre, ossia SVO,SOVe VSO.3) L'ordine
dell'aggettivo (A) rispetto al nome (N) che esso modifica: in certe lingue
prevale l'ordine AN (come in inglese, white borse),mentre in altre lingue
prevale l'ordine NA (come in italiano, cavallobianco).4) L'ordine del com-
plemento di specificazione o, come si dice ricorrendo alla terminologia della
grammatica latina, del «genitivo» (G) rispetto al nome (N) che esso modifica.
In giapponese l'ordine è GN: Taroonoie ('Taroo-di-casa', 'la casa di Taroo'),
Taroono otoosannoie ('Taroo-di-padre-di-casa', 'la casa del padre di Taroo');
in italiano l'ordine è NG: la casadi Gianni, la casadel padredi Gianni.
L'esame di un buon numero di lingue diverse mostra che esistono delle
correlazioni sistematiche tra l'ordine delle parole in questi quattro tipi di
costruzioni, ossia tra Pr oppure Po, SVO, SOV o VSO, AN oppure NA,
GN oppure NG. In generale, queste correlazioni sistematiche possono essere
riassunte come segue:
(4) a. VSO/Pr/NG/NA
b. SVO/Pr/NG/NA
c. SOV/Po/G / AN
d. SOV/Po/G /NA
4. I SISTEMI
DI SCRITI1JRA
DELLELINGUEDELMONDO*
Abbiamo visto in II.1. che la scrittura è un fenomeno, in certo senso, «derivativo»
rispetto alla lingua parlata. I più antichi sistemi di scrittura (quelli elaborati nell'Egitto
antico e nella Mesopotamia antica) risalgono «soltanto» a tre millenni circa prima di
Cristo, cioè a cinquemila anni fa.
LE LINGUEDELMONDO 71
I primi sistemi di scrittura elaborati dagli antichi egizi e dalla popolazione dei sumeri,
stanziata in Mesopotamia (all'incirca, l'odierno Iraq), ma di origine sconosciuta, sono
del tipo cosiddetto ideograficoo per meglio dire logografico.Un tipo di scrittura ideo-
grafica (sviluppatosi, owiamente, in modo del tutto indipendente da quelli egiziano e
sumerico) è utilizzato ancora in diverse lingue importanti, prima fra tutte il cinese; i
caratteri ideografici cinesi sono usati, accanto ad altri sistemi di scrittura, dei quali però
non parleremo qui, anche per scrivere il giapponese. Gli altri tipi di scrittura, oltre a
quello ideografico, sono il tipo sillabico e il tipo alfabetico.Esaminiamo brevemente
le caratteristiche di ciascuno dei tre tipi.
Nel tipo ideografico,in teoria, ad ogni simbolo (ideogramma)corrisponde un concetto,
concreto o astratto: per esempio, nei geroglifici egiziani 'occhio' è rappresentato dal
disegno di un occhio, 'rondine' dal disegno di una rondine, e 'vecchiaia' dal disegno
di un uomo curvo che si sorregge con un bastone. In molti casi, però, i simboli ideo-
grafici vengono ad assumere un valore puramente fonetico, in virtù di quello che
viene spesso chiamato, con riferimento al classico gioco enigmistico, il «principio
del rebus». Ad esempio, la parola 'rondine', che, come si è detto, era indicata col
disegno di una rondine, veniva pronunciata wr: dato che anche la parola 'grande'
era pronunciata wr (un caso, questo, di omonimia; v. più avanti, VIII.2.1.), nei testi
scritti in geroglifico egiziano il disegno della rondine può indicare tanto il sostantivo
'rondine' quanto l'aggettivo 'grande'.
L'utilizzazione fonetica del simbolo ideografico determinò il passaggio dal sistema di
scrittura ideografico al sistema sillabico. (Bisogna tenere presente, per l'esattezza, che i
primi sistemi di scrittura sillabica, come il cuneiforme mesopotamico sviluppato dalla
primitiva scrittura sumerica, mantengono una componente ideografica. Inoltre, non
tutti i sistemi ideografici si sono trasformati in sistemi sillabici: è il caso del cinese.) Nei
sistemi sillabici, determinati segni passarono a indicare determinati gruppi di suoni,
ossia determinate sillabe (sul concetto di sillaba v. più avanti, IV.9.). Così, ad esempio,
nel sumerico 'bocca' si pronunciava ka: quindi il segno per 'bocca' fu utilizzato in
varie parole in cui ricorreva la sillaba ka, ad esempio ka-bar'giovane pastore', ka-du
'riscatto'. L'adozione di un sistema sillabico riduce grandemente il numero dei segni,
rispetto a un sistema ideografico: mentre in un sistema di quest'ultimo tipo i segni
sono normalmente qualche migliaio, in un sistema sillabico non sono più di qualche
centinaio, e in alcuni casi non superano le cento unità.
Un inventario ancora più ridotto di segni è necessario nei sistemi di scrittura alfa-
betici, la cui invenzione è di solito attribuita ai Fenici, ma che in realtà furono ela-
borati, con passaggi successivi, da diverse popolazioni semitiche durante la seconda
metà del secondo millennio a.C.: di fatto, i Fenici furono semplicemente la popo-
lazione che trasmise l'idea dell'alfabeto ai Greci, con cui erano in stretto contatto
commerciale. I sistemi alfabetici sono caratterizzati da un principio che potremmo
chiamare «a ogni suono corrisponde un segno»: quindi si differenziano nettamente
dai sistemi sillabici, in cui un segno corrisponde a un gruppo di suoni. Di fatto,
questo principio ideale non sempre viene rispettato, anzi spesso viene violato:
nella parola italiana chiesai segni sono sei, ma i suoni sono cinque, o nella parola
inglese tough ('duro') i segni sono cinque, ma i suoni sono tre (essa si pronuncia,
approssimativamente, «taf»; per una trascrizione più accurata v. il cap. IV). Del
resto, ognuno di noi che abbia un po' di familiarità con l'inglese o con il francese
sa che nella maggior parte delle parole il numero dei segni grafici non corrisponde
al numero dei suoni. Questo è in buona parte dovuto al fatto che le lingue mutano
attraverso il tempo, ma il modo di scriverle non riesce a tenere il passo di questi
mutamenti: quindi, in molti casi, una parola si pronunciava «come è scritta», per
esempio in inglese, vari secoli fa, mentre oggi non c'è più corrispondenza tra la sua
forma grafica e il suo suono. Sul cambiamento di pronuncia delle parole torneremo
più avanti (cap. X).
72 CAPITOLO3
I greci costruirono un loro alfabeto, adattando alla propria lingua quello fenicio.
L'alfabeto greco è, con varie modificazioni, all'origine della stragrande maggioranza
delle altre scritture alfabetiche europee, una delle quali, l'alfabeto latino, si è diffusa
in tutto il mondo. Un altro alfabeto derivato da quello greco è il cirillico, in cui sono
scritti il russo e alcune altre lingue slave dell'Europa orientale (per es., serbo, bulgaro
e ucraino).
Prima di chiudere questa breve rassegna sui vari sistemi di scrittura, dobbiamo dissi-
pare un equivoco abbastanza diffuso: se due lingue usano lo stesso sistema di scrittura,
ciò non significa necessariamente che siano lingue genealogicamente apparentate, e
viceversa, due lingue apparentate genealogicamente possono essere scritte in due modi
diversi. Per esempio, tanto l'italiano che il vietnamita sono scritti in caratteri latini, ma
non sono apparentati; viceversa, il polacco e il russo sono apparentati strettamente, ma
il primo si scrive in alfabeto latino, l'altro in alfabeto cirillico. Il sistema di scrittura è
un fatto accidentale, che non ha rdazione con l'effettiva storia della lingua: quindi la
stessa lingua può essere stata scritta, in una certa epoca, con un determinato sistema,
e in un'altra epoca con un altro. Il romeno esemplifica benissimo questa situazione:
fino a metà dell'Ottocento lo si scriveva in caratteri cirillici, e da quell'epoca in poi
lo si è scritto in caratteri latini, ma è stato sempre una lingua romanza. Per fare un
altro esempio: il turco, fino al 1928, si scriveva in caratteri arabi, poi è stato scritto
in caratteri latini, non è però né una lingua semitica né una lingua romanza, ma fa
parte della famiglia altaica.
NOTASTORICO-BIBLIOGRAFICA
Nell'antichità e nel medioevo le uniche lingue oggetto di studio in Occidente erano il greco
e il latino: quindi, scarso era l'interesse per le altre lingue del mondo. Con le grandi scoperte
geografiche che caratterizzano l'età moderna, la situazione comincia a capovolgersi: gli studiosi
occidentali, all'inizio soprattutto per scopi pratici (come la predicazione del cristianesimo nei
«nuovi mondi» o l'instaurazione di rapporti commerciali, o la creazione di colonie), comin-
ciano a studiare attentamente le lingue «esotiche», come le lingue dell'Estremo Oriente, le
lingue dell'India, le lingue amerindiane, ecc.; inoltre, si rafforza in quest'epoca lo studio delle
lingue semitiche, una delle quali (l'ebraico) aveva sempre goduto di grande prestigio, in quanto
lingua della Bibbia. Uno dei risultati di questo nuovo interesse per la diversità delle lingue è
la nascita della tipologia linguistica, che (con alcuni precedenti settecenteschi) si ha all'inizio
dell'Ottocento per opera dei fratelli F.e A.W. Schlegel e, soprattutto, di Wilhelm von Humboldt
(1767-1835): a questi studiosi risale, sostanzialmente, la classificazione delle lingue in isolanti,
agglutinanti, flessive e polisintetiche. L'opera più famosa di Humboldt nell'ambito della tipologia
linguistica è Humboldt [1836]. Contemporaneo allo sviluppo della tipologia linguistica è quello
della classificazione genealogica delle lingue: alla fine del Settecento, gli ungheresi}. Sajnovics
(nel 1770) e S. Gyarmathi (nel 1799) dimostrano la parentela tra l'ungherese e il finlandese e
all'inizio dell'Ottocento incomincia la grande stagione dell'indoeuropeistica, cioè lo studio
comparato delle lingue appartenenti alla famiglia indoeuropea; su questo argomento, v. la nota
al cap. X. Gli studi di tipologia linguistica continuano ad essere coltivati per tutto l'Ottocento,
ma con risonanza relativamente scarsa, tanto che oggi sono in buona parte dimenticati. Nella
prima metà del Novecento, le osservazioni più acute di tipologia linguistica sono probabilmente
quelle dovute a Sapir, contenute nel capitolo VI di Sapir [1921]. Una svolta radicale agli studi
tipologici è data dal saggio di Greenberg [1963], che fonda la tipologia dell'ordine delle pa-
LE LINGUEDELMONDO 73
role, dando l'avvio a una serie ricchissima di ricerche che prosegue tuttora [si vedano Ruhlen
1987; Greenberg 2000]. Nell'ambito della teoria generativa elaborata da Chomsky (cfr. la nota
al cap. I), la tipologia linguistica è interpretata come studio dei rapporti tra gli universali del
linguaggio umano e le proprietà dei singoli gruppi di lingue, ossia, nella terminologia propria
della teoria, tra principi e parametri. La dipendenza dalla struttura (di cui si è parlato nel cap.
I), ad esempio, è un principio, cioè è presente in qualunque lingua umana; l'ordine delle parole
OV, oppure VO, è un parametro.
Tra le panoramiche delle lingue del mondo segnaliamo, in lingua straniera: Meillet e Cohen
[1952], Voegelin e Voegelin [1977], Comrie [2009]; in italiano, Banfi e Grandi [2003; 2008a;
20086]. Una sommaria presentazione delle varie famiglie linguistiche del mondo si può trovare in
Hjelmslev [1963, trad. it. pp. 78-92]. Lo stesso volume contiene osservazioni molto interessanti
in merito alla tipologia. Per quanto riguarda la famiglia indoeuropea, v. la nota al cap. X. Come
introduzioni alla tipologia linguistica, v. Comrie [1981] e Grandi [2003]; alcuni classici della
tipologia (tra cui il citato Greenberg [1963]) sono raccolti, in traduzione italiana, in Ramat [1976].
Una raccolta di studi tipologici recenti è Cristofaro e Ramat [1999]. Per un'interpretazione
della tipologia dell'ordine delle parole nel quadro della grammatica generativa, v. Graffi [1980].
Sui diversi sistemi di scrittura, v. Friedrich [1966] e Gelb [1963]. Si vedano anche Cardona
[1986] e Daniels e Bright [1996].
DOMANDE
In questo capitolo studieremo prima l'apparato preposto alla produzione dei suoni,
distingueremo poi tra suoni e fonemi. Introdurremo l'Alfabeto Fonetico Internazionale,
analizzeremo le principali proprietà del sistema fonologico dell'italiano (inventario di
fonemi e regole fonologiche) ma accenneremo anche a singole proprietà di alcune altre
lingue europee maggiori.
INTRODUZIONE
1. FONETICA
cresta
alveolare palato duro
epiglottide
laringe
glottide
t
(polmoni)
Per classificare un suono, ad una prima analisi, sono necessari tre pa-
rametri: modo di articolazione, punto di articolazione e sonorità. I vari
organi della fonazione (labbra, lingua, velo palatino) possono essere po-
sizionati in modi diversi nella produzione di un suono: i vari assetti che
gli organi assumono nella produzione di un suono sono detti modo di
articolazione.
I Occlusive p b t d t cl c J k g q G 11
Nasali m l'!) n 'l Jl lJ N
Vibranti B r R
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Fricative q, ~ f V e ò Is zl 5 3 ? 2i. ç j X 'i X li" h ) h fi
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o Approssimanti u
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Appross. laterali I l ,(
I L
VOCALI
Dove i simboli appaiono in coppia, quello a destra rappresenta una vocale arrotondata.
78 (APITO_L_0_4
________ ~~---,-------------~~-·----
2. I SUONIDELL'ITALIANO
Ogni lingua, come si è visto nel capitolo Il, fa delle «scelte» e così, se la tabella
4 .1 rappresenta i suoni di tutte le lingue del mondo, l'italiano ne seleziona circa
una trentina, che sono quelli riprodotti qui sotto (prima i suoni consonantici
e poi quelli vocalici; i suoni tra parentesi sono «varianti combinatorie» come
si vedrà in IV.5.4.):
(2)
Definizioni Esempi
p occlusiva, bilabiale, sorda pane, epico, tappo, stop
b occlusiva, bilabiale, sonora bene, ebanista, abbastanza, kebab
t occlusiva, dentale, sorda tana, eterno, otto, alt
d occlusiva, dentale, sonora dente, adorare, addentrarsi, yod
k occlusiva, velare, sorda caro, che, pacchi, accanto, tic tac
g occlusiva, velare, sonora gara, ghiro, alghe, traggo, smog
m nasale, bilabiale (sonora) mano, amare, lemma, uhm
l'D nasale, labiodentale (sonora) anfora, inferno, invidia, inverno
n nasale, alveolare (sonora) naso, lana, danno, non
J1 nasale, palatale (sonora) gnocco, ignifugo, ogni
lJ nasale, velare (sonora) ancora, anguria
l laterale, alveolare (sonora) lana, alato, palla, col
!. laterale, palatale (sonora) gli, aglio, imbroglio
r polivibrante, alveolare (sonora) rana, motore, carro, per
f fricativa, labiodentale, sorda fame, afa, ceffo, arf
V fricativa, labiodentale, sonora vento, avaro, avviso, vov
s fricativa, alveolare, sorda sano, casa (in toscano), cassa, lapis
z fricativa, alveolare, sonora smodato, casa (it. del nord)
s fricativa, palato-alveolare, sorda
ts affricata, alveolare, sorda
scemo, ascesa, slash
stazione, pazzo, zio (toscano)
80 CAPITOLO 4
nella tabella 4.1 ma viene elencata in una tabella a parte, in genere, perché è
da molti ritenuta una labio-velare, dall'articolazione complessa che, in quanto
tale, non viene rappresentata in IPA.
L'italiano utilizza sette punti di articolazione: non ci sono dunque in italiano
consonanti interdentali, uvulari, faringali o glottidali.
bilabiali: il suono è prodotto tramite l'occlusione, cioè la chiusura di entrambe
le labbra [p, b, m];
labiodentali: il suono deve attraversare una fessura che si forma appoggiando
gli incisivi superiori al labbro inferiore [f, v];
dentali: la parte anteriore della lingua (la lamina) tocca la parte interna degli
incisivi [t, d];
alveolari: la lamina della lingua tocca o si avvicina agli alveoli [s, z, ts, dz, n,
1,r]; la lingua si avvicina senza toccare gli alveoli per suoni come [s, z, ts, dz],
tocca gli alveoli per suoni come [n, l];
palato-alveolari: la lamina della lingua si avvicina agli alveoli ed ha il corpo
arcuato [f,tJ, d3];
palatali (o anteriori): suoni prodotti con la lingua che si avvicina al palato
[Jl, /., j];
velari (o posteriori): suoni prodotti con la lingua che tocca il velo palatino
[k,g,w].
(3)
anteriore centrale posteriore
(o palatale) (o velare)
u
alte (chiuse)
medio-alte (semichiuse) e o
medio-basse (semiaperte) e: ;)
basse (aperte) a
82 CAPITOLO 4
(4)
Definizioni Esempi
alta, anteriore (o palatale), italiano, vino, soli
non arrotondata
e medio-alta, anteriore (o palatale), eroico, venti (numero), sapore
non arrotondata
e medio-bassa, anteriore (o palatale), elle, venti (plurale di vento),lacchè
non arrotondata
a bassa, centrale, non arrotondata amo, sano, scorta
;:i medio-bassa, posteriore (o velare), otto, botte (percosse), però
arrotondata
o medio-alta, posteriore (o velare), obesità, botte (recipiente), amico
arrotondata
u alta, posteriore (o velare), unico, luna, zebù
arrotondata
Esistono anche dei trittonghicome ad es. miei [mjci]. Come si è già detto,
[j] e [w] nei dittonghi ascendenti sono di norma chiamate semiconsonanti.
mentre [i] e [u] nei dittonghi discendenti sono chiamate semivocali. Le
combinazioni di due vocali appartenenti a sillabe diverse danno luogo ad
uno iato (follia, idea, beato).
3. SUONIE GRAFIA
Anche se si dice comunemente che l'italiano ha una grafia abbastanza coerente,
si possono rilevare diverse incoerenze del sistema grafico: si è infatti appena
visto che nella grafia dell'italiano le due vocali [o] ed [o] sono rappresentate da
un unico simbolo o. Un sistema è coerente quando ad un suono corrisponde un
segno e viceversa, cioè quando si dà una relazione biunivoca del tipo seguente:
c. due simboli per un solo suono (9a) e tre simboli per un solo suono (96):
Quelle che seguono sono, oltre a quelle appena viste, le «incoerenze» del-
l'italiano (nella riga superiore vi sono i simboli dell'alfabeto italiano, in quella
84 CAPITOLO4
(10)
a b c d e f g h i m n
I I /\ I I\ I /\ I /Ì\ I /Ì\
a b tf k d e t f d3 g 0 i i 0 m n ~ lJ
o p q r s u V z
I\ I I I I\ I\ I I\
o o p k r s z t u w V ts dz
Come si vede, il simbolo dell'alfabeto e sta per due suoni diversi, e lo stesso
vale per il simbolo g; il simbolo s sta per il suono sia sordo [s] sia sonoro
[z], il simbolo dell'alfabeto e sta (nella maggior parte delle varietà regionali
dell'italiano) sia per la vocale chiusa [e] che per la vocale aperta [E] e, pa-
rallelamente, il simbolo o sta sia per la vocale chiusa [o] che per la vocale
aperta [o]. Vi sono poi simboli dell'alfabeto che non sempre rappresentano un
suono: il simbolo i può rappresentare la vocale alta anteriore (come in [vino]),
oppure può stare per la semiconsonante palatale (come in [pjano]) ed infine
può essere solo grafico, senza un corrispettivo nella pronuncia (come si vede
in ( 11a, b)); h non corrisponde ad un suono ma ha la funzione di indicare che
la e o la g precedente seguite da e o da i si pronunciano velari e non palatali
(llc). I contrasti in (lld) illustrano il modo in cui l'ortografia italiana rende
conto della differenza di pronuncia di e e g palatali e velari:
4. TRASCRIZIONEFONETICA
I suoni possono essere semplici, per es. [t, d, k, tJ, dz], o geminati [tt, dd,
kk, tJtJ, dzdz] (si noti che la lunghezza delle affricate può anche essere resa
I SUONIDELLELINGUE 85
(12)
italiano trascrizioneIPA
Tanto gentile e tanto onesta pare 'tanto d3en'tile e 'tanto o'm:sta 'pare
La donna mia quand'ella altrui saluta la 'don:a 'mia kwand 'el:a al'trui sa'luta
Ch'ogni lingua devien tremando muta 'b]1:i 'liIJgwade'vjrn tre'mando 'muta
E li occhi no l' ardiscon di guardare e li 'ok:i no lar'diskon di gwar'dare
Ella s'en va sentendosi laudare 'el:a sen va s:en'tcndosi lau'dare
Benignamente d'umiltà vestuta be'niJ1:a'mentedurnil'ta ves'tuta
E par che sia una cosa venuta e 'parke 'sia 'una 'kosa ve'nuta
da ciel in terra a miracol mostrare da 'tJd in 'ter:a 'a mi'rakol mos'trare
Mostrasi sì piacente a chi la mira 'mostrasi si pja'tJrnte a ki la 'mira
Che dà per li occhi una dolcezza al core ke da per li 'ok:i una dol'tJet:sa al 'bre
Che 'ntender no la può chi no la prova ke 'ntrnder no la pwo ki no la 'prova
E par che de la sua labbia si mova e 'parke de la 'sua 'lab:ja si 'mova
un spirito soave e pien d'amore un 'spirito so'ave e pjrn da'more
che va dicendo a l'anima 'sospira' ke va di'tJrndo a 'lanirna sos'pira
(13) /rancese
vous écriviez [vuzckri 'vje] 'voi scrivevate'
des petits tas [dcpti'ta] 'dei piccoli mucchi'
chaque petit os [fakpti'tos] 'ogni piccolo osso'
cette latte [sct'lat] 'questa asticella'
Per l'inglese, sono qui riprodotte due pronunce, una accurata ed una più
veloce [O'Grady et al. 1987, 67]:
86 CAPITOLO4
(14)
accurata veloce
in my room [m ma1 ru:m] [1mmai ru:m] 'nella mia stanza'
I see him [a1si: hlffi] [a1si: j1m] 'Io vedo lui'
shall we [Jalwi] [Jwi] 'ausiliare del futuro e I
pers. pi.'
balloons [balu:nz] [blu:nz] 'palloni'
my advice [ma1.dva1s] [ma1.va1s] '(il) mio consiglio'
best book [best bok] [bes bok] 'libro migliore'
hand me that [ha::ndmi: òa::t] [ha::mi:òa::t] 'allungami quello'
Pam willmiss you [pa::mwtl mis ju:] [pa::mlrmJja] 'Pam sentirà la tua
mancanza'
4.1. Confini
Nelle trascrizioni può essere importante indicare vari tipi di confine: quello di
sillaba, quello di morfema e quello di parola. La sillaba sarà discussa in IV.9.,
il morfema e la parola nel capitolo successivo. Mentre le nozioni di sillaba
e di parola sono nozioni con un ampio contenuto intuitivo (pe, lu, stra,spin
sono sillabe e ieri, ottobre, virtù sono parole), il morfema è una unità che si
ricava attraverso analisi specifiche. Anticipiamo qui che il morfema è l'unità
più piccola dotata di significato in una lingua (v. V.3.) e dunque parole come
veloce-mente,bar-istasono costituite da due morfemi, mentre in-abil-ità,in-
civil-mentesono costituite da tre morfemi.
Il confine di sillaba viene di norma rappresentato con un punto (.). Dunque
alcune delle parole italiane citate qui sopra hanno la seguente divisione in
sillabe:
5. FONETICAE FONOLOGIA
2) come i suoni si combinano insieme; in italiano ci sono suoni come [J], [t]
e [r], ma mentre alcune combinazioni di questi suoni sono ammesse (20a),
altre non lo sono (20b):
5.1. Contesto
Lo stesso suono, però, non può comparire in altri contesti; ad esempio non
può comparire:
Tra i suoni che l'apparato fonatorio può produrre, ogni lingua ne sceglie un
certo numero che usa nel linguaggio articolato: questi suoni saranno allora
detti foni, cioè suoni/rumori del linguaggio articolato. I foni hanno valore
linguistico quando sono distintivi, quando cioè contribuiscono a differenziare
dei significati. Così [p] e [t] non solo sono suoni dell'italiano ma contribui-
scono anche a formare delle coppie minime, cioè coppie di parole che si
differenziano solo per un suono nella stessa posizione:
Due foni che abbiano valore distintivo sono detti fonemi. Un fonema non
«ha» significato in sé ma contribuisce a differenziare dei significati.
I SUONIOELLELINGUE 89
Ci sono suoni che sono intercambiabili e suoni che non lo sono. I suoni in-
tercambiabili sono quelli che possono apparire nel medesimo contesto (nelle
stesse posizioni), i suoni non intercambiabili sono quelli che non possono
comparire nel medesimo contesto. Per esempio, /p/ e /bi in italiano sono
intercambiabili in quanto possono comparire nello stesso contesto: in pare
e bare /pi e /bi possono comparire in posizione iniziale di parola prima di
/a/ (#_a).
Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo e siano quindi fonemi di
una determinata lingua, Trubeckoj [1939], uno dei padri della fonologia, ha
proposto una serie di regole, le più importanti delle quali sono le seguenti:
Prima regola
«Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere
scambiati fra loro senza con ciò mutare il significato delle parole o renderle
irriconoscibili, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di due
diversi fonemi».
Secondaregola
«Quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni
e si possono scambiare fra loro senza causare variazione di significato della
parola, questi due suoni sono soltanto varianti fonetiche facoltative, o libere,
di un unico fonema».
Terzaregola
«Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non
ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi sono due varianti combinatorie dello
stesso fonema».
5.4. Allofoni
Si consideri la distribuzione dei suoni [s] e [z] nell'italiano del nord (si leggano
le parole a voce alta e si faccia attenzione alla pronuncia):
I SUONIDELLELINGUE 91
Si sarà notato che nella tabella dei suoni dell'italiano in (1) ci sono dei suoni
tra parentesi: la nasale velare [IJ] e la nasale labiodentale [l'!)J.Il primo fono
si trova solo e soltanto nel contesto «prima di consonante velare» (__ k, g),
il secondo si trova solo e soltanto prima di consonanti labiodentali (_f, v),
[n] nasale alveolare si trova in tutti gli altri contesti. La descrizione di questi
fatti può dunque essere la seguente:
(31) /n/
~
[n] [JJ] [T!)]
(32)
[ph] [p] [th] [t] [khJ [k]
pat spat tat cat scat 'colpetto', 'litigio', 'groviglio', 'gatto',
'filare via'
pan span tan stan can scan 'tegame', 'spanna', 'tintarella', 'Stan',
'barattolo', 'scansione'
pin spin rin kin skin 'spillo', 'rotazione', 'lattina', 'stirpe',
'pelle'
pub tub stub cub 'pub', 'tinozza', 'mozzicone', 'cucciolo'
spoon tune coon 'cucchiaio', 'armonia', 'procione'
92 CAPITOLO 4
I due foni [ph] e [p] non sono intercambiabili: [ph] ricorre all'inizio di parola
prima di vocale, mentre [p] ricorre dopo una [s] e prima di vocale. Questi
due suoni, secondo la terza regola di Trubeckoj, sono varianti combinatorie o,
secondo la terminologia statunitense, sono in distribuzione complementare e
dunque sono due allofoni di uno stesso fonema. Stesso discorso vale per [th]
e [t] e per [kh] e [k]. Se si confrontano invece [p] e [t] si vedrà che i due foni
ricorrono nello stesso contesto (dopo sibilante e prima di vocale) e pertanto
sono in distribuzione contrastiva e dunque sono realizzazioni fonetiche di
due fonemi diversi. La soluzione di questo problema sarà quindi la seguente:
vi sono cioè tre fonemi ognuno con due allofoni o varianti combinatorie.
Dati analoghi possono ricevere un'analisi diversa se l'aspirazione è un fattore
pertinente e dunque distintivo, come in hinru:
In altre parole, in hinru ci sono fonemi aspirati e non aspirati, ognuno dei quali
si realizza in un fono corrispondente. Come si vede la differenza tra hindi: e
inglese non è a livello fonetico ma a livello di inventario dei fonemi. Lo hinru
ha fonemi aspirati, l'inglese no.
Sì No
cambiano il significato varianti combinatorie
~
Sì No
2 fonemi diversi varianti libere
I I
Es. [pare] [bare] [rema] [Rema] [stanko] [zbat:ere]
[dito] [rito] [pane] [Ifane] [naso] [atJkora]
In un sistema ogni unità si definisce in relazione a tutte le altre unità. I fonemi di una
lingua intrattengono tra loro dei rapporti di opposizione: una /6/ funziona in quanto si
oppone e si distingue da /p/, da /k/, ecc. dando luogo a dei contrasti (bare/pare/care,
ecc.). Le opposizioni fonologiche sono state·studiate magistralmente da Trubeckoj.
Ne illustreremo qui solo alcune.
Un'opposizione è bilateralequando la base di comparazione è propria solo dei membri
dell'opposizione (la base di comparazione è la parte uguale di due fonemi), altrimenti
è multilaterale.Si consideri l'opposizione /p/ -/bi in italiano:
6. TRATTIDISTINTIVI*
Le opposizioni privative hanno costituito la base per lo sviluppo di una teoria fono-
logica nota con il nome di binarismo, dovuta a Roman Jakobson. Secondo questa
teoria ogni elemento linguistico si differenzia dagli altri per una serie di scelte binarie
(di tipo «sì/no»).
Ogni fonema può essere analizzato in un insieme di tratti distintivi che definiscono quel
fonema in opposizione a tutti gli altri. Una matrice di tratti distintivi delle consonanti
(41) e delle vocali (42) dell'italiano è la seguente:
(O ~O
(41)
p b f V d ts dz s z k g tf d3 f m n J1 f. r w
sillabico - - - - - -
conson. + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + +
sonorante - - + + + + + + + +
sonoro - + - + - + - + - + - + - + - + + + + + + + +
continuo - - + + - - + + - - + + + + + + + + +
nasale - - - - - - - - + + +
stridente - - + + + + + + + + +
laterale - + + -
arretrato - - - - - - + + - - +
anteriore + + + + + + + + + + - - - - - + + - + - +
ril. ritardato - - - - - - + + - - - - + + - - - - - - - - -
, coronale - - - - + + + + + + - - + + + - + - + - +
~
95
------------------------------ I SUONIDELLELINGUE
o c.
(42)
e e a o o u
sillabico + + + + + + +
arrotondato - - - - + + +
alto + - - - - - +
basso - - + + +
arretrato - - - + + + +
Il segno + significa che il fonema in questione ha quel determinato tratto, il segno -
che non ce l'ha; [+continuo] accomuna dunque le consonanti continue, che sono /f,
v, s, z,J, m, n,J1, 1,/..,r, j, w/.
Il «significato» dei tratù è, semplificando molto, il seguente:
[+sillabico]: sono i fonemi che possono fungere da nucleo sillabico (v. IV.9.); [-sil-
labico] i fonemi che non possono fungere da nucleo sillabico. Le consonanti sono
[-sillabico], le vocali sono [+sillabico]. In italiano nasali e liquide sono [-sillabico]
ma in altre lingue possono anche essere [+sillabico] (v. IV.9.).
[+consonantico]: sono i fonemi la cui realizzazione implica un'ostruzione dell'aria.
[+sonorante]: sono i fonemi per la produzione dei quali l'aria fuoriesce dall'apparato
vocale piuttosto liberamente e sono le vocali, le semiconsonanti, le liquide e le nasali.
Le consonanù [-sonorante] sono dette ostruenti.
[+sonoro]: sono i suoni prodotù con vibrazione delle corde vocali.
[+continuo]: sono suoni la cui articolazione può essere protratta nel tempo.
[+nasale]: sono i suoni prodotti con il velo palatino abbassato (il flusso d'aria passa
dunque anche attraverso la cavità nasale).
[+stridente]: suoni la cui produzione comporta una frizione dovuta ali'attrito del
flusso d'aria.
[+laterale]: il flusso d'aria supera l'ostacolo (la lingua) dai due lati.
[+anteriore]: suoni prodotù con un'ostruzione situata nella regione alveolare o davanù
ad essa; quindi labiali, dentali, ecc. sono [+anteriore], postalveolari, palatali, velari
sono [-anteriore].
[+rilascio ritardato]: sono suoni che iniziano con un'articolazione occlusiva e termi-
nano con un'arùcolazione fricaùva.
[+coronale]: suoni prodotù con la parte anteriore della lingua (corona) sollevata al di
sopra della sua posizione neutra. Un suono è [-coronale] se la corona è in posizione
neutra.
[+arrotondato]: sono suoni prodotù con arrotondamento delle labbra.
[+alto]: sono suoni prodotti con la lingua in posizione più alta rispetto alla posizione
di riposo.
[ +basso]: sono suoni prodotti con la lingua in posizione più bassa rispetto alla po-
sizione di riposo.
[ +arretrato]: sono suoni prodotti con il corpo della lingua arretrato rispetto alla
posizione di riposo.
Ogni fonema viene individuato in modo univoco da un fascio di tratù distinùvi. L'uùlità
dei tratti distintivi consiste principalmente nel fatto che il loro impiego permette di
cogliere delle generalizzazioni nei processi fonologici, come si vedrà più sotto.
96 CAPITOLO 4
7. REGOLEFONOLOGICHE*
che si legge: [k] diventa [tJ] prima di [i] preceduto da un confine di morfema. La
stessa alternanza si trova in forme come [diko]-> [ditJi], [viJJko]-> [vintJi], ecc.
(Questa regola in realtà è sottoposta a molti condizionamenti morfologici che qui
non discuteremo.)
7.1. Parentesi*
È importante disporre di strumenti descrittivi per poter unificare fatti che sono
formalmente un po' diversi tra loro ma che in realtà sono manifestazioni di un unico
fenomeno. In fonologia uno di questi strumenti sono le parentesi. Si considerino i
seguenti dati dell'italiano:
Ora, se si confrontano le due regole in (46) ed in (48) si constata che si tratta eviden-
temente dello «stesso» processo, nel primo caso è una occlusiva velare semplice che
I SUONIDELLELINGUE 97
~----------------------------•--
viene palatalizzata, nel secondo è una occlusiva velare «geminata» che viene palata-
lizzata. Si possono descrivere tutti i dati in (45) e (47) nei termini seguenti: una velare
sonora semplice o geminata viene palatalizzata in una affricata semplice o geminata
prima della vocale palatale [i]:
queste tre regole riguardano evidentemente uno stesso fenomeno e cioè il fatto che il
suono nasale alveolare [n] si assimila (v. IV.8.1.) al punto di articolazione del suono
seguente ([p, b, m] tutte e tre bilabiali). Queste tre regole possono essere unificate in
un'unica regola mediante l'uso delle parentesi graffe che indicano «scelta». La regola
(51) indica che la nasale alveolare /n/ diventa una nasale bilabiale davanti a /p, b, ml
(tre suoni bilabiali):
(53)
I
a. dirigo -> dirigi a. g _, d:y'_+i
prediligo-> prediligi
b. dirigo -> dirige b'. g --+d:y'__ +e
e. g _, d3/_+
{~}
prediligo-> predilige
c. leggo _, leggi c'. g: --+d::y'_+i
friggo ➔ friggi f. g: _, d:3/ __ + {~}
d. leggo -> legge d'. g: --+d::y'_+e
friggo -> frigge
(54) si legge così: la velare sonora (semplice o geminata) diventa una affricata palato-
alveolare (semplice o geminata) davanti alle vocali palatali [i] o [e]. Non vi è quindi
bisogno di quattro regole diverse per descrivere i dati sopra esposti, ma solo di una
regola, dato che si tratta dello stesso processo: palatalizzazione della velare (semplice
o geminata) davanti a vocale palatale.
Una regola fonologica può essere formulata sia ricorrendo ai fonemi, sia utilizzando
i tratti distintivi. Si considerino i seguenti dati:
dato che tutti i suoni del contesto della regola [d, b, g, v, n, 1, r, d3] sono sonori, è
inutile menzionare tutti i suoni uno per uno, basta cogliere ciò che hanno in comune,
la sonorità appunto:
La regola in (57) si legge dunque così: la sibilante non sonora diventa sonora prima
di consonante sonora. Allo stesso modo, per gli esempi in (53), si tratta di cogliere
la generalizzazione per cui una consonante posteriore (o velare) diventa anteriore (o
palatale) davanti ad una vocale anteriore (o palatale). Un sistema di tratti distintivi
rende bene questo processo in modo semplice: con la regola in (58) non si postula
che sia tutto il suono a cambiare ma solo il tratto [± arretrato]:
(58) C _. [-arr]/_ V
[+arr] [-arr]
Questa notazione permette inoltre di evidenziare la causa del cambiamento: le vocali
anteriori ([-arretrato]) esercitano un influsso sul segmento consonantico precedente
rendendolo [-arretrato].
8. FENOMENI
FONOLOGICI
ETIPIDI REGOLE*
Una regola fonologica, come si è visto, è un meccanismo che connette una rappresen-
tazione fonologica ad una rappresentazione fonetica ed opera una serie di cambia-
menti. Tali cambiamenti non sono liberi ma sono soggetti a restrizioni (non vi sono
I SUONIDELLELINGUE 99
regole «pazze» che dicano: cambia tutte le [k] della seconda sillaba in [a], cosa che
cambierebbe parole come vicolo e fico rispettivamente in *viaolo e */iao). Le regole
sono in genere motivate e operano una ristretta serie di cambiamenti; in particolare,
le regole fonologiche possono:
I
(60) a. dico -+ dici a. k-+ tJ/_+i
c. k-+ tf/_+{ ~}
vmco -+ vinci
b. dico -+ dice b'. k-+ tJ/_+e
vinco -+ vince
b. 0 -+ i/ { ~} _#sC
La regola si legge così: inserisci una [i] dopo una [n] o una [r] finale di parola e una
parola che inizia con una sibilante seguita da una consonante (bisogna menzionare la
«Consonante» nd contesto della regola altrimenti in#solitudine dovrebbe diventare
*inisolitudine).
C) Le regole che cambiano l'ordine dei segmenti sono note col nome di «metatesi».
In italiano non sono regole produttive e si ritrovano quasi esclusivamente nei lapsus
(cimena per cinema) o nei linguaggi patologici, come si vede dai seguenti dati di un
paziente afasico:
100 CAPITOLO4
D) Le cancellazioni sono un fenomeno molto diffuso nelle lingue del mondo. Esem-
plificheremo la cancellazione di vocale e la cancellazione di sillaba. Come sempre, si
considerino dei dati e la regola che li descrive (vocale passa a zero prima di confine
di morfema seguito da vocale):
b. V ➔ 0/_ +V
La regola di cancellazione della vocale non agisce però se la vocale è accentata, come
si vede dai dati seguenti:
b. V ➔ 0/_ +V
[-accento]
La regola (646) andrà quindi modificata come (656), che si legge: vocale non accen-
tata viene cancellata quando si trova prima di confine di morfema seguito da vocale.
In inglese vi possono essere regole che cancellano la vocale indistinta [a] in posizione
atona come si vede negli esempi seguenti:
Questa regola agisce solo in una varietà linguistica di discorso casuale ed informale
non nel linguaggio formale ed accurato. Si tratta di una regola facoltativa e quindi
diversa dalla cancellazione di vocale in italiano vista sopra in (656), che è obbligatoria.
8.1. Assimilazioni
( .,
(70) dog+[s] -+ dog[z] cani
head+[s] -+ head[z] 'teste'
[i]. Analogamente, in (726), la sostituzione della vocale finale media [o] con
la vocale chiusa [i] comporta la chiusura della vocale media non adiacente
[o] nella vocale chiusa [u].
Ed infine, è un tipo di assimilazione a distanza quella che viene chiamata armo-
nia vocalica,che si ritrova in lingue come il turco o l'ungherese e che riguarda
il fenomeno per cui le vocali entro un determinato dominio, tipicamente la
parola, si assimilano per un particolare tratto o per più tratti. Nell'esempio
turco che segue, la vocale del suffisso flessivo (plurale) si «armonizza» alla
vocale più vicina della parola cui si aggiunge:
La differenza tra metafonesi e armonia vocalica sta nel fatto che nella metafo-
nesi sono le vocali postoniche ad influenzare le vocali toniche, mentre nell' ar-
monia vocalica sono le vocali toniche che influenzano le vocali postoniche.
La dissimilazione invece è il fenomeno contrario (ed anche più raro): un
segmento cambia tratti per distinguersi da segmenti del suo contesto:
9. LASILLABA
La sillaba è stata definita in vari modi nel corso del tempo: sostanzialmente vi
sono definizioni di tipo fonetico e di tipo fonologico. Una definizione fonetica
è la seguente: «la sillaba rappresenta un'unità prosodica costituita da uno o
più foni agglomerati intorno a un picco di intensità» [Albano Leoni e Maturi
1998, 70]. Nella parola [pata:ta] si osservano tre picchi in corrispondenza
delle tre vocali e tre avvallamenti in corrispondenza delle tre consonanti. Ad
ogni «picco» corrisponde una sillaba: [pa.ta.ta]. Gli approcci fonologici alla
sillaba assumono in genere che vi sia una correlazione tra sillaba e parola e
che le restrizioni sulle sequenze possibili all'inizio di sillaba valgano anche per
l'inizio di parola e che lo stesso avvenga per le restrizioni sulla fine della parola
I SUONIDELLELINGUE 103
(75) o
~
attacco
nma
~
nucleo coda
a (a)
m a (ma)
c o n (con-durre)
tr o Il (tron-co)
a n (an-tico)
L'attacco può dunque essere costituito da una o più consonanti. Il nucleo può
essere costituito da un dittongo (pie-de).
Una sillaba è aperta o libera se è priva di coda e finisce dunque in vocale (a,
ma) altrimenti è detta chiusa o implicata (con, an).
Vi sono lingue in cui il nucleo può essere costituito da sonoranti come [r, 1,n,
m]: è il caso dello sloveno Trst [trst] 'Trieste' o dell'inglese americano bottle
[bot:JJ'bottiglia' o garden [ga:dt?-]'giardino' dove il nucleo sillabico nel primo
caso è la liquida e nel secondo la nasale, o ancora dello svedese vatten 'acqua'
[vati;i]o del tedesco haben [ha:bn;i] 'avere'.
Come si è detto, il componente obbligatoriamente presente in una sillaba
è il nucleo: in italiano attacco e coda possono esserci o non esserci. Che la
sillaba abbia struttura interna lo si può verificare dal fatto che nella cosiddetta
aplologia (cancellazione di sillaba in composizione) la regola tiene conto solo
di una parte della sillaba stessa:
esempi in (76b), la regola tiene conto solo dell'attacco sillabico (te#ta ➔ ta) e
va formulata diversamente: si cancelli la sillaba finale di parola prima di una
parola che inizia con una sillaba con attacco uguale.
10. DALLAPAROLAAITRAmDISTINTIVI
(77)
a
~
Il
ne
e
(o livello segmentale)
11.1. Lunghezza
La lunghezzaè relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni.
Non tutti i suoni hanno la stessa durata. Per esempio - di norma - le vocali
alte sono più brevi delle vocali basse. Una fricativa sonora è più lunga di una
occlusiva sorda. Una vocale tonica (con accento) non finale e in sillaba aperta
è più lunga di una vocale atona (senza accento) in sillaba aperta o chiusa che
sia: si confrontino le due [a] di [ka:za]: la prima è più lunga della seconda.
In certe lingue la lunghezza vocalica assume valore distintivo (come ad es.
in latino, dove si trovano coppie minime come lévisllevis 'leggero/levigato',
p6puluslpopulus 'popolo/pioppo').
I SUONIDELLELINGUE 105
Rispetto alla lunghezza, le lingue del mondo possono avere diverse opzioni.
Per esempio in finlandese è distintiva sia la lunghezza consonantica che quella
vocalica:
11.2. Accento
L'accento è una proprietà delle sillabe e non di singoli segmenti. Una sillaba
tonica è più prominente di una sillaba atona perché è realizzata con maggiore
forza o intensità di una sillaba atona. L'accento può essere contrastivo, come
accade in italiano:
(82) 'ankora/an'kora
'kapito/ka'pito/kapi'to
'kapitano/kapi' tano/kapita' no
In altre parole, si può considerare l'accento come un «fonema» anche se di tipo
un po' speciale. I fonemi- come abbiamo detto - si possono considerare come
dei segmenti [k-a-n-e], mentre l'accento è un fenomeno soprasegmentale.
Dagli esempi sopra citati, però, si può dedurre che in italiano l'accento non
è prevedibile su basi esclusivamente fonologiche: non vi è una regola per
prevedere dove comparirà l'accento; infatti nelle parole viste sopra non vi è
alcun contesto «speciale» per l'accento: su una parola di tre sillabe può essere
sia sulla terzultima, sia sulla penultima, sia sull'ultima. In realtà vi possono
essere contesti in base ai quali si può prevedere la posizione dell'accento, ma
sono contesti morfologici, come ad es. la terza persona singolare del passato
remoto della prima coniugazione, che richiede accento sull'ultima vocale,
amò, cantò,lodò.
Vi sono lingue che hanno accento fisso e lingue che hanno accento non fisso:
in ungherese cade sempre sulla prima sillaba, in francese l'accento cade sem-
pre sull'ultima sillaba (si faccia attenzione alla pronuncia e non alla grafia):
(83) fenetre, camion, solitude, portenfant
Solo nelle lingue con accento non fisso l'accento può avere funzione distintiva.
In inglese (e, come si è visto, in italiano) l'accento è libero e può dar luogo
a coppie minime:
(84) verbo nome
kan'trrest 'kantrrest 'contrastare' - 'contrasto'
,m'po:t '1mpo:t 'importare' - 'importazione'
to:'mcnt 'to:mcnt 'tormentare' - 'tormento'
Una parola può avere più di un accento. Per esempio, in capostazionevi è un
accento primario sulla o di [stat'tsjone] ed uno secondario sulla a di [,kapo]:
i due tipi di accento, come si vede, sono marcati diversamente (in apice il
primario ed in pedice il secondario).
11.3. Intonazione
L'altezza dei suoni non è uniforme: ci sono dei picchi e degli awallamenti che
producono un effetto percettivo di tipo melodico che è quello che si chiama
intonazione. L'intonazione è chiamata appunto «melodia» o curva melodica
o contorno intonativo. L'intonazione ha grande rilevanza sintattica, come si
può capire leggendo ad alta voce tipi diversi di frase come una dichiarativa
(85a) e la corrispondente interrogativa (856):
(85) a. Piermarco diverte gli amici con le sue storie incredibili
b. diverte gli amici con le sue storie incredibili Piermarco?
Le dichiarative hanno una curva melodica con andamento finale discendente,
mentre le interrogative hanno un andamento finale ascendente. Si osservi
che in (856) l'interrogativa è ottenuta sia spostando il soggetto (e dunque
I SUONIDELLELINGUE 107
11.4. Tono
Una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse: la parola ma,
in italiano, può essere realizzata con una pronuncia molto «bassa» o con
una pronuncia «alta». In italiano però a queste due differenti pronunce non
corrisponde un cambiamento di significato. Vi sono lingue invece dove a
differenza di «altezza» di pronuncia corrispondono variazioni di significato.
Queste lingue sono dette tonali. Il cinese mandarino è una lingua tonale o a
toni. In questa lingua la stessa sillaba può essere realizzata con quattro toni
diversi e ad ogni realizzazione diversa corrisponde un significato diverso:
12. ILSISTEMA
FONOLOGICO
DELL'INGLESE*
Diamo qui di seguito, e senza commentarla ulteriormente, una tabella del sistema
fonologicodell'ingleseseguita da alcuni esempi. I suoni qui descritti rappresentano
un compromessotra l'ingleseamericanoe l'inglesebritannico. Il sistemaconsonantico
108 CAPITO_L_o_4~~~----------------~-~--~-------'
(87)
labiali labiodent. interdentali alveolari palato-alveo!. velari glottidali
occlusive p b d k g (7)
fricative f V e ò s z J 3 h
affricate tJ d3
nasali m n lJ
laterali I
(mono)vibranti r
semiconsonanti w
(88)
Simbolo Esempi
[p] pit, tip, appear, hiccough
[b] hall, globe, tab, bubble
[t] tag, pat, stick, pterodactyl
[d] dip, card, drop, loved
[k] kit, scoot, car, exceed, character
[g] guard, longer, designate, Pittsburgh
[7] Batman, Manhattan
[f] foot, coffee, carafe, philosophy, laugh
[v] vest, dove, average
[9] through, wrath, thistle, teeth
[ò] the, mother, either, teethe
[s] soap, psychology, descent, peace
[z] zip, roads, kisses, design
[J] shy, shock, mission, nation, glacial, sure
[3] measure, vision, casualty
[h] who, hat, rehash, hole
[tJ] choke, match, feature •
[d3] judge, George, region
[m] moose, lamb, smack, amnesty
[n] nap, design, snow, mnemonic, know,
[IJ] sing, thing, finger, singer, ankie
[I] leaf, feel, Lloyd, mild, applaud
[r] reef, fear, Harris, prune, carp
[j] you, beautiful, feud, yell
[w] water, weapon, which, whale
Il simbolo [7] indica il cosiddetto «colpo di glottide» o, più propriamente, !'«occlusiva
glottidale». In italiano, come in inglese, tale suono non ha valore fonematico: può
essere utilizzato per «scandire bene» le parole, ad esempio in una frase come «Ho
detto la ama [la?ama], non lama [lama]».
Il vocalismo dell'inglese è più complesso di quello dell'italiano e vede la presenza di
vocali centrali medie (come [a]) che non esistono in italiano standard. Il sistemavo-
calico varia molto non solo tra l'inglese britannico e l'americano, ma anche all'interno
di queste due varietà. Seguiremo qui in parte Radford et al. [1999]:
I SUONIDELLELINGUE 109
(89)
anteriori centrali posteriori
alte 1: u:
u
medie e e: a ,\ J:
re
basse a:a
Le vocali i ed u sono realizzate con un'articolazione più «tesa» mentre I ed u sono
realizzate con un'articolazione più «rilassata». L'opposizione teso/rilassato distingue
le vocali tese [i, e, u, o] dalle vocali rilassate [1,u, e, ;i]:
(90)
[i:] alta, anteriore, tesa, non beat, we, bdieve, keep, people,
arrotondata money
[1] medio-alta, anteriore, rilassata, bit, pin, tip, fish, business
non arrotondata
[e] media, anteriore, tesa, non bait, reign, great, they, gauge
arrotondata
[e:] media, anteriore, rilassata, non bet, reception, says, guest, bury
arrotondata
[re] medio-bassa, anteriore, rilassata, bat, man, gas, anger, rally
non arrotondata
[u:] alta, posteriore, tesa, arrotondata boot, who, sewer, through
[o] alta, posteriore, rilassata, put, butcher, could, boogie-woogie
arrotondata
[J:] media, posteriore, rilassata, bought, caught, wrong, stalk, core
arrotondata
[A] media, rilassata, posteriore, but, cut, some, another, oven
non arrotondata
[a:] bassa, posteriore, non arrotondata card, master, heart
[a] bassa, posteriore, arrotondata cod, pot, what, rock
[a] media, centrale, non arrotondata among, sofa
L'inglese esibisce anche diversi dittonghi: [au] low, [ao] loud, [a1]light, [el] lane, [J1]
loin, [u:] loon, [i:] lean, [1a] leer, [ca] lair, [oa] Iure.
13. DIVERSITÀ
FONOLOGICA
TRALELINGUE*
Le lingue differiscono tra loro sia per l'inventario dei fonemi e degli allofoni che
per le regole fonologiche. Si metta a confronto il sistema consonantico dell'inglese e
quello dell'italiano.
Le occlusive sono sei in entrambi i sistemi [p, b, t, d, k, g]. Si noti però un fatto arti-
colatorio molto importante per chi impara l'inglese: [t] e [d] sono dentali in italiano
ed alveolari in inglese, differiscono dunque quanto al punto di articolazione. Vi sono
più fricative in inglese che in italiano (le interdentali [8] [ò], la glottidale [h]). Le
affricate sono quattro in italiano [ts, dz, tf, d3], due in inglese [tj] e [d3]. Nell'inglese
americano la [tt] di una parola come better 'migliore' è pronunciata con un suono
vicino alla [d], in IPA [r], chiamato/lap.
Per quanto riguarda le nasali, entrambe le lingue hanno [m] e [n], ma l'italiano ha
la nasale palatale (r) che l'inglese non _ha,ed inoltre l'inglese - come si è già detto
110 CAPITOLO4
sopra - ha il fonema velare [!J] che per l'italiano è solo una variante combinatoria.
L'italiano ha due fonemi laterali, [l] e [,(J, laddove l'inglese ha solo [l], ma l'inglese ha
due varianti di [l]: una, detta «chiara», che ricorre prima di vocali anteriori come /i/
o hl, ed una detta «oscura» (o velarizzata), che ricorre davanti a vocali non anteriori.
Infine polivibranti e semiconsonanti sono simili.
Il francese ha suoni uvulari, come la tipica [R] parigina, ed anche l'arabo ha suoni
uvulari come [q].
Per quel che riguarda le vocali, vi sono lingue come il francese che fanno un uso
estensivo di vocali nasali (ad es. bien [bji:], dans [do] bon (65]) e di vocali anteriori
arrotondate, come ad es. la [y] di lune 'luna' o del lombardo luna (che è un suono
prodotto nella stessa posizione della [i], ma con le labbra arrotondate).
Per quel che riguarda le regole fonologiche, si può osservare che vi sono regole che
esistono in una lingua e non in un'altra o regole che funzionano in modo diverso a
seconda della lingua.
Una regola del primo tipo è la regola di assimilazione della sibilante. In italiano la
sibilante si assimila in sonorità al fonema successivo:
L'inglese, al contrario, non ha questa regola e parole come smoke 'fumo' o come smile
'sorriso' si pronunciano [s]moke, [s]mile con la sibilante sorda (si noti che un italiano
che apprende l'inglese tende a trasportare le proprie abitudini articolatorie e quindi
a dire erroneamente [z]moke, [z]mile, ecc.).
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
DOMANDE
INTRODUZIONE
Lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere è la
morfologia. Le parole (che rappresenteremo tra parentesi quadre) possono
essere semplici [capo] o complesse. Le parole complesse sono le parole
derivate (che possono essere prefissate [ex-capo] o suffissate [capetto]) e
le parole composte [capostazione]. Sia le parole semplici che le parole com-
plesse possono poi essere flesse (per genere, numero, ecc.): [capi], [ex-capi],
[capetti], [capistazione].
Una parola semplice non ha struttura interna [capo], mentre le parole com-
plesse hanno struttura interna [[capo]+ [stazione]], [[capo] +etto].
La morfologia è tradizionalmente concepita come lo studio della struttura
interna delle parole. Oggi alla morfologia è affidato un compito più complesso:
di dar conto di tutte le conoscenze che un parlante ha delle parole della pro-
pria lingua, di dire cioè se una parola è ben formata o meno, se è una parola
possibile o non possibile, ecc. (II.3 .2.), a quale categoria lessicale appartiene,
come si può combinare con prefissi e suffissi o con altre parole. Ed inoltre, il
parlante conosce il genere delle parole, sa come formare forme flesse e a che
grado di complessità può giungere una parola complessa e molte altre cose
ancora, come si vedrà nei paragrafi seguenti.
114 CAPITOLO5
I
1. LANOZIONEDI PAROLA
Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consa-
pevolezza dei parlanti. Quasi quotidianamente abbiamo a che fare con parole
(basti pensare anche ai numerosi modi di dire: paroled'oro,/atti, non parole,
un uomo di pocheparole,rimaneresenzaparole,ecc.).
Ogni parlante di italiano dirà che nella frase Il ragazzoha dato una rosaa
Mariavi sono otto parole o che nella frase Telefonamidomanisera,diròio al
capostazionedi/ermareil trenove ne sono undici e dunque - almeno a livello
di rappresentazione grafica - in italiano non sembrano esservi problemi per
l'identificazione delle «parole».
Se però traduciamo la prima frase in latino (puer dedit rosamMariae),le
parole da otto diventano quattro. C'è pertanto un primo problema: ciò che
conta come «parola» in una lingua non è detto che valga anche per altre
lingue. Per esempio, nel confronto tra italiano e latino si osserva che, nella
frase appena data sopra, a due parole dell'italiano corrisponde sempre una
parola sola del latino:
(2) a. a
b. precipitevolissimevolmente
c. Donaudampfschiffahrtgesellschaftkapitanwitwe
'vedova del capitano della società di navigazione di battelli a vapore
del Danubio'
d. student filmsociety committee scandal inquiry
'inchiesta sullo scandalo della commissione della società del cinema
studentesco'
e. brandweerladderwagenknipperlichtinstallatiemonteurs
'meccanici per l'installazione di luci lampeggianti per le scale della
macchina dei pompieri'
f. iqalussuarniariartuqqusaagaluaqaagunnuuq
'è stato detto che abbiamo avuto l'ordine tassativo di andare fuori a
pescare pescecani'
I LASTRUTTURADELLEPAROLE:MORFOLOGIA 115
I criteri proposti per definire una parola sono stati molti, ma quasi tutti - di
fronte alla grande varietà delle lingue del mondo e di fronte a problemi interni
ad ogni lingua - si sono rivelati alla lunga inadeguati. Per contare le parole
delle frasi citate sopra, di fatto, abbiamo utilizzato il criterio seguente: è parola
ciò che è compreso tra due spazi bianchi.
Questa definizione di parola è intuitivamente semplice e sembra molto efficace,
ma ha un limite di applicazione in quanto può funzionare solo per lingue dotate
di scrittura e non per lingue che ne sono sprovviste: gli «spazi bianchi» sono
evidentemente un criterio ortografico. Il somalo, ad esempio, non ha avuto un
sistema di scrittura fino al 1972, ma non per questo prima di quella data era
privo di parole. Vi sono poi lingue- come il cinese-dove esistono parole com-
poste da due caratteri, a volte separati da un puntino (ad es. mii· ma che significa
'mamma'). Infine, non sempre la grafia è coerente: per esempio nave traghetto
si scrive a volte come due parole separate, a volte con un trattino in mezzo.
Un'altra possibilità è definire «parole» quelle unità della lingua che possono
essere usate da sole, che possono, cioè, da sole formare un enunciato, come
Elvira (in risposta a chi è?), domani in risposta a quando?, ecc. Ma questo
criterio escluderebbe le parole grammaticali come di, e, ecc. che di norma
non possono da sole costituire un enunciato. Vi sono stati naturalmente altri
tentativi di definizione della parola, ma sinora tutte le proposte avanzate
hanno rivelato delle debolezze.
onostante le difficoltà, non si può abbandonare la nozione di parola, dato
che le si è sempre riconosciuta un'importante realtà psicologica. Le soluzioni
contemporanee a questo problema si fondano sul riconoscimento che non è
possibile definire la nozione di parola una volta per tutte. Si possono distin-
guere varie accezioni di «parola», a seconda del punto di vista a partire dal
quale si considera questo «oggetto». Così, la nozione di parola fonologica
(tutto ciò che si raggruppa attorno ad un accento primario) non coincide con
la nozione di parola morfologicao di parola sintattica:da un punto di vista
fonologico, per esempio, telefonami è una parola sola, ma dal punto di vista
sintattico è costituita da più unità(= telefona a me), una parola composta come
capostazione invece è una parola sola da un punto di vista sintattico (si tratta
di un nome maschile singolare e questo è quanto è rilevante per la sintassi),
ma dal punto di vista fonologico è forse costituita da due unità separate, dato
che ha due accenti [, kapostat'tsjone].
Un criterio operativo abbastanza efficace è di considerare «parola» quelle
unità che non possono essere «interrotte», o meglio al cui interno non si può
inserire dell'altro «materiale» linguistico. Così le due espressioni lat. sentis e
it. tu senti - anche se a un qualche livello possono essere considerate equiva-
lenti - sono rispettivamente costituite da una parola in latino e da due parole
in italiano, dato che in italiano tra le due unità tu e senti si può inserire del
«materiale» lessicale (tu lo senti, tu oggi non senti), mentre non si può inserire
alcunché all'interno della parola latina sentis.
Non cercheremo oltre di definire la nozione di «parola»; assumeremo invece
che nella maggior parte dei casi un parlante nativo abbia intuizioni corrette su
J
[ 116 CAPITOLO5 l
(3) TEMA
/ormadi citaz. radice voc.tematica
amare am a
temere tem e
sentire sent
2. CLASSIDI PAROLE
processi: queste parole non sono però verbi, bensì nomi. Viceversa, è abba-
stanza strano dire che verbi come sapere,conoscereo credereindicano azioni
o processi, quando piuttosto designano degli stati. Osservazioni come queste
mostrano l'insufficienza dei criteri di tipo semantico per definire le parti del
discorso. Esiste però un'importante proprietà delle parti del discorso in base
alla quale si possono elaborare criteri di classificazione diversi e più attendibili.
Si può supporre che le parole siano immagazzinate nella memoria dei parlanti:
tutti noi sappiamo produrre una lista di parole; è del tutto plausibile, inoltre,
che le parole siano immagazzinate nella memoria insieme alla loro categoria
lessicale: tutti noi sappiamo produrre una lista di nomi (cane,/antasia,libro),
di verbi (cantare,correre,disobbedire,indovinare), di aggettivi (bello, brutto,
dolce, ingrato, elegante), di preposizioni (di, a, da, in, con, su, per, tra.fra),
ecc. (v. VI.I.). Il fatto che ad una parola sia associata una categoria lessicale
limita in modo drastico le combinazioni delle parole. Se prendiamo quattro
parole come Mario/mangiare/la/melae cerchiamo di combinarle, osserveremo
che non tutte le combinazioni sono grammaticali. Combinando due parole,
osserviamo che si danno tre casi: (4a) il caso in cui sono possibili sia un ordine
di parole che il suo inverso, (46) il caso in cui solo un ordine è possibile e (4c)
il caso in cui nessun ordine è possibile ma, in ogni modo, sono più numerose
le combinazioni impossibili che le combinazioni possibili:
Il fatto che solo la prima di queste frasi sia grammaticale e le altre siano invece
non grammaticali (o, almeno, suonino alquanto bizzarre) ha una spiegazione:
il soggetto del verbo leggeredeve essere un nome ma non un nome qualunque,
deve essere un nome «di persona» o, come si dice più tecnicamente, un nome
marcato con il tratto [+umano]. Questi tratti che suddividono la categoria
«nome» in (altre) sottocategorie del nome possono essere rappresentati
come segue:
(6) ±comune
±numerabile ±animato
~ ~
±animato ±astratto ±umano Egitto
A
±umano libro
A
virtù sporcizia
A
Carlo Fido
ragazzo cane
Al nome proprio Gianni non può di norma unirsi alcuno dei suffissi dati (in
certi contesti è forse possibile dire una giannatamal' espressione è marginale;
ai nomi propri possono unirsi di norma quasi esclusivamente degli affissi
diminutivi o accrescitivi: ad es. Giannino, Cariane,Pinuccia,ecc.; -ata può
unirsi a nomi [+umano] come ragazzoa significare 'azione da ragazzo' e ad
alcuni nomi [+animato] [-umano] (asino➔ asinata,porco➔ porcata),ma non a
tutti, come si vede per uccello ➔ *uccellata,leone ➔ *leonata,gatto ➔ *gattata.
E ancora, un suffisso come il suffisso -iera(nel senso di 'contenitore') si di-
stribuisce nelle seguenti due possibilità:
Si vede quindi che categoria e tratti specificati nel lessico sono informazioni
importanti per il funzionamento dell'apparato morfologico di una lingua. Si
può concludere dicendo che tutte le informazioni associate ad una determinata
parola nella sua rappresentazione lessicale «servono» per il funzionamento
dei processi morfologici che possono riguardare quella parola.
3. MORFEMA
Se la nozione di parola è una nozione intuitivamente semplice ma di difficile
definizione, la nozione di morfemaè, al contrario, intuitivamente meno evi-
dente ma di più semplice definizione. Un morfema è la più piccola parte di una
lingua dotata di significato. Un morfema è un «segno linguistico» ed è quindi
costituito da un significante e da un significato (v. II.7.). Se applichiamo la
definizione di morfema alle seguenti unità dell'inglese (9a) e dell'italiano (96):
I morfemi possono essere liberio legati:sono morfemi liberi quelli che possono
ricorrere da soli in una frase e dunque bar, ieri, virtù sono morfemi liberi.
Sono morfemi legati quelli che non possono ricorrere da soli in una frase e
che per poterlo fare si debbono «aggiungere» a qualche altra unità e dunque
-s dell'inglese (in boy+s)o -i dell'italiano (in libr+i)sono morfemi legati.
I morfemi liberi dell'italiano sono parole (di, voi, che, ecc.), i morfemi legati
sono quelli flessivi (-a del femminile singolare, -i del maschile plurale, -e del
femminile plurale; tutte le desinenze del verbo), tutti i suffissi (-oso, -tare,
-zione, ecc.) e tutti i prefissi (ri-,s-, in-, ecc.).
Le parole in (9) sono composte da due morfemi, sono dunque parole bimor-
femiche. In inglese generalmente le parole semplici sono mono-morfemiche,
in italiano generalmente nomi ed aggettivi semplici sono bimorfemici mentre
i verbi regolari sono trimorfemici (dato che si possono analizzare in radice,
vocale tematica e desinenza flessiva):
allomorfì
~
S
Z IZ
4. FLESSIONE,
DERIVAZIONEE COMPOSIZIONE
(17) Derivazione
(affissi)
La flessione delle parole derivate (216) e composte (21c) non è diversa quanto
a desinenze da quella delle parole semplici (21a), come si vede qui sotto per
la flessione del plurale:
Una categoria lessicale, come ad esempio il verbo, può o «nascere» come tale (rom-
pereè un verbo (22a)) oppure può «diventare» verbo attraverso vari processi, come
si vede qui sotto (22b-h):
(22) a. V rompere
b. V ➔V giocare -+ giocherellare
c. -+ V magnete -+ magnetizzare
d. A-+ V attivo -+ attivare
e. V-+ N ➔ V agire -+ azione -+ azionare
f. N ➔ N ➔ V palla -+ palleggio -+ palleggiare
g. A ➔ N ➔ V giusto -+ giustizia -+ giustiziare
h. -+A-+ V centro -+ centrale ➔ centralizzare
Esistono dunque diverse modalità che possono portare alla categoria verbo: questo
è l'aspetto dinamico della morfologia.
Si consideri una parola come indubitabilmente. Dal punto di vista categoriale è un
awerbio. Se la morfologiaavessesolo un compito classificatorioci si potrebbe fermare
qui. Ci si può però chiedere anche «come» questo awerbio è stato costruito. Per
126 CAPITOLO5
Si può poi affrontare la questione dell'ordine degli elementi costitutivi dei composti,
detti costituenti. Perché capostazioneè un composto ben formato mentre *stazione-
caposembra non esserlo? Perché cassa/orteè ben formato mentre */ortecassano? Si
può ancora cercare di capire perché stazioncinae/ortissimasono due parole del tutto
normali ma collocate in un composto rendono il composto anomalo: *capostazioncina,
*cassa/ortissima. E perché, ancora, la combinazione di categorie uguali non dà sempre,
come risultato, la stessa categoria di partenza (26c), come si vede qui sotto:
In secondo luogo, la prefissazione non cambia la categoria lessicale della parola cui
si aggiunge, mentre la suffissazione, di norma, la cambia:
(28) Pre/issazione
[elegante]A -+ [in+[elegante]A]A
[presidente]N -+ [ex+[presidente]N]N
[scrivere lv -+ [ri+[scriverelvlv
Su/fissazione
[atomo]N -+ [[atomo]N+izzare]v
[inverno]N -+ [[inverno] N+ale]A
[veloce]A -+ [[ veloce]A+ità]N
(29) N -+ V
-1zzare atomo -+ atomizzare
-arei-ire film -+ filmare, fiore -+ fiorire
-eggiare alba -+ albeggiare
-ificare pace -+ pacificare
N -+ A
-oso fama -+ famoso
-ale funzione -+ funzionale
-ano confusione -+ confusionario
-ico filosofia -+ filosofico
-ese Milano -+ milanese
N -+
-aio giornale -+ giornalaio
-ena pirata -+ pirateria
-ista Petrarca -+ petrarchista
-ismo Mao -+ maoismo
-iere banca -+ banchiere
-ato console -+ consolato
128 CAPITOLO5
---------
V-+ N
-zione amministra(re) -+ amministrazione
-ata cammina(re) -+ camminata
-aggio lava(re) -+ lavaggio
-mento arreda(re) -+ arredamento
-tare lavora(re) -+ lavoratore
V -+ A
-bile giustifica(re) -+ giustificabile
-tivo collabora(re) -+ collaborativo
-torio consola(re) -+ consolatorio
-evole ammira(re) -+ ammirevole
A-+ N
-ezza bello -+ bellezza
-anza/-enza abbondante -+ abbondanza, intelligente -+ intelligenza
-aggme ridicolo -+ ridicolaggine
-ità/-età semplice -+ semplicità, vario -+ varietà
A -+ V
-arei-ire calmo -+ calmare, snello -+ snellire
-ificare beato -+ beatificare
-eggiare bianco -+ biancheggiare
-izzare impermeabile -+ impermeabilizzare
A-+ Avv
-mente veloce -+ velocemente
Generalizzando, si può dire che in derivazione ogni categoria lessicale maggiore (N, V,
A) può diventare qualsiasi altra categoria lessicale maggiore. Questa generalizzazione
esclude le preposizioni, sia come categoria di entrata sia come categoria di uscita. In
più, gli aggettivi possono diventare avverbi.
In terzo ed ultimo luogo, la suffissazione in italiano di norma cambia la posizione
dell'accento della parola di base, mentre con la prefissazione di norma questo non
avviene:
6. FLESSIONE
Una delle variazioni morfologiche più comuni, soprattutto nelle lingue a
tendenza flessiva e a tendenza agglutinante, è la flessione. La morfologia
dà luogo a forme flesse di parola, ovvero a forme che esprimono, oltre ad
un significato lessicale, anche uno o più significati grammaticali. Possiamo
dire che la flessione è realizzata tramite morfemi legati che si aggiungono a
basi che necessitano marche grammaticali di qualche tipo. Le informazioni
grammaticali, dette morfosintattiche perché danno 'istruzioni' rilevanti sia in
LASTRUTTURADELLEPAROLE:MORFOLOGIA 129
(31) libr-o
In altre lingue ancora si può trovare anche il triale, il paucale, e così via. Inoltre,
i tratti che le varie categorie morfosintattiche possono assumere sono di due
tipi, cioè inerenti e contestuali. I tratti inerenti sono i tratti che sono insiti
nella parola. In italiano, si pensi al genere maschile (il cane) o femminile (la
donna) dei nomi. Tali tratti non vengono cambiati in alcun contesto. Diver-
samente, i tratti contestuali, appunto, sono legati al contesto in cui la parola
viene a trovarsi, come ad esempio il caso dell'accordo di genere (maschile o
femminile), ma anche di numero (singolare o plurale) negli aggettivi italiani.
Si noti come l'aggettivo bell- venga modificato a seconda del contesto sintat-
tico. Per quanto concerne la categoria genere, con un nome maschile, esso
assumerà tratto maschile ((33a) e (33c)). Con un nome femminile, esso assu-
merà tratto femminile ((33 b) e (33 d)). Per quanto invece riguarda la categoria
numero, con nomi al singolare l'aggettivo assume tratto singolare, e con nomi
al plurale l'aggettivo assume tratto plurale. Si osservi che poi i tratti di due
categorie coesistono nell'aggettivo: maschile singolare (33 a), maschile plurale
(33c), femminile singolare (336), femminile plurale (33d). Diversamente,
i nomi qui hanno determinato il tratto contestuale della categoria genere
dell'aggettivo tramite il loro tratto di genere inerente. Ma in italiano i nomi
hanno tratto contestuale numero, che però a sua volta determina il tratto della
categoria numero aggettivale.
130 CAPITOLO5
7. DERIVAZIONE
7 .1. La suffissazione
Si noti che uno stesso nome può fungere come nome d'azione e come nome
risultato (La costruzionedellacasaè stata laboriosadi contro a Quellacostru-
zione giallaè orrenda;La frittura del pesce mi è costatadue ore di lavorodi
contro a Lafrittura non è proprioindicataper il tuo colesterolo).
Vi sono suffissi che formano nomi agentivi [+umano] (ed a volte strumentali
[-umano]):
Vi è poi la grande classe dei suffissi valutativi (formata dai cosiddetti diminu-
tivi, accrescitivi, peggiorativi, vezzeggiativi, ecc.):
7.3. Prefissazione
(41)
N A V Pre+N Pre+A Pre+V
a-/an- + + - asimmetria a-politico
ante- + + + anteguerra antelucano anteporre
anti- 1 + + - antitarlo antigovernativo
anti-2 + + + anticamera antidatato antivedere
arei- + + - arcivescovo arcinoto
auto- + + + autobiografia autosufficiente autoconvincersi
avan- + avanguardia . .
c1rcum- - + + circumterrestre c1rcumnav1gare
cis- - + - cisalpino
CO- + + + coinquilino coassiale coabitare
con- + + + condirettore connazionale convivere
contro- + + + controcanto controfattuale controbattere
de- - - + deumidificare
dis- + + + disarmonia disabile disfare
ex- + exmoglie
extra- + + - extrasistole extralucido
• I
m- - - + immettere
• 2
m- + + - inesperienza incapace
infra- + + - infrastruttura infrarosso
inter- + + + interregno internazionale intercorrere
intra- - + + intramolecolare intraprendere
iper- + + + ipermercato iperattivo ipernutrire
ipo- + + + ipoalimentazione ipocalorico iponutrirsi
macro- + - - macroeconomia
max1- + maxischermo
mega- + megaconcerto
meta- + + - metalinguaggio metagiuridico
m1cro- + microclima
mmi- + miniappartamento
multi- + + - multistrato multidimensionale
neo- + + - neoformazione neoclassico
oltre- + + + oltretomba oltremarino oltrepassare
paleo- + + - paleografia paleocristiano
para- + + - parastato paramilitare
pluri- + + - plurilingue pluricentrico
poli- + + - poliambulatorio policentrico
post- - + + postmoderno postdatare
pre- + + + preguerra prematrimoniale prevedere
LASTRUTTURADELLEPAROLE:MORFOLOGIA 133
7.5. Infissazione
In Seri (una lingua parlata nella regione costiera di Sonora, Messico), si trovano
ad esempio casi come il seguente:
(42) itk .....iti-t6o-c 'l'ha piantato?' 'l'hanno piantato?'
8. ALTRIPROCESSI
9. ALLOMORFIA
E SUPPLETMSMO
(45) N A
acqua idrico
fuoco pmco
cavallo equestre
maiale SUlilO
Il suppletivismo può essere sia forte che debole. È forte quando vi è alternanza
dell'intera radice (Chieti/teatino),è debole quando tra i membri della coppia
vi è una base comune riconoscibile e la differenza è di singoli segmenti fono-
logici (Arezzo/aretino).Non è semplice distinguere tra suppletivismo forte e
suppletivismo debole da una parte, così come non è semplice distinguere tra
suppletivismo e allomorfia dall'altra. Si considerino tre casi come i seguenti:
L'alternanza in (48c) è diversa da quella in (48a) perché tra le due forme alter-
nanti in (48c) vi è un evidente rapporto semantico accanto ad un altrettanto
evidente rapporto formale. Nell'alternanza in (48a) vi è un rapporto semantico
ma non vi è alcun rapporto formale. (48a) è un caso netto di suppletivismo
forte e (48c) è un caso netto di allomorfia.
Il rapporto tra le forme alternanti in (48a) è un rapporto «lessicale», cioè è
«dato» e deve essere memorizzato come tale. Il rapporto tra le forme di (48c),
invece, può essere espresso da una regola anche perché tale regola ipotizzata
non è ad hoc ma può dar conto di molti casi analoghi (per/etto/perfezione,
distratto/distrazione,circospetto/circospezione,ecc.).
LASTRUTTURADELLEPAROLE:MORFOLOGIA 13 7
~------------------------
Quando si mettono insieme due costituenti per formare una costruzione lin-
guistica più complessa, i due costituenti non sono sullo stesso piano: uno è,
per così dire, più importante dell'altro, per esempio è quello che attribuisce
a tutta la costruzione la categoria lessicale e molte altre proprietà.
Si considerino le seguenti parole:
(50)
138 CAPITOLO5
------------------------------~
La testa inoltre attribuisce alla parola in uscita altre informazioni. Si consi-
derino le seguenti derivazioni:
in (51a) è il suffisso a determinare che baristaè una parola col tratto [+umano];
in (516) è il suffisso a determinare che la frittura è un nome femminile mentre
è maschile in (5 lc); in (5ld) il suffisso produce un verbo transitivo, mentre
in (5 le) un verbo intransitivo.
Vi sono casi in cui il suffisso non sembra cambiare la categoria, ma cambia
comunque altre informazioni della parola di base. Si considerino i seguenti
esempi:
dato che in una parola prefissata la testa è la base e non il prefisso e dato che
in una parola suffissata la testa è il suffisso, si può confermare la generalizza-
zione di cui sopra: in derivazione la testa si trova a destra.
LASTRUTTURADELLEPAROLE:MORFOLOGIA 139
11. COMPOSIZIONE
(56) a. capostazione
nave traghetto
lavavetri
agrodolce
Ciò che è peculiare della composizione è il fatto che le due parole che ven-
gono combinate esprimono una relazione grammaticale che è nascosta, non
è fisicamente presente, ma che tuttavia è 'recuperabile':
Nelle varie lingue del mondo si riscontrano differenze per quel che riguarda
l'esistenza di verbi composti: mentre ad es. tali formazioni sono comuni in
140 CAPITOLO5
inglese, non lo sono in italiano (con l'eccezione di residui 'latini' come ad es.
crocefiggere,manomettere).
Quella che segue è una lista delle possibilità combinatorie della composizione
in italiano (date le categorie lessicali nome, aggettivo, verbo, preposizione ed
awerbio). Accanto vi sono altre specificazioni e cioè se il tipo di composto
esiste, se è produttivo, ed infine due esempi:
(61)
categoriedei cat. del esiste pro- esempi
costituenti composto duttivo
1. N+N N sì sì crocevia, pescecane
il. A+A A sì sì dolceamaro, verdeazzurro
lll. V+V N sì no saliscendi, giravolta
IV. P+P no *dicon, *senzaper
V. Aw+Aw Aw sì no malvolentieri, sottosopra
Vl. V+N N sì sì scolapasta, cantastorie
Vll. V+A no *pagacaro, *vedibello
Vili. V+P no *saltafra
IX. V+Aw N sì no buttafuori, cacasotto
X. N+A N sì no camposanto, cassaforte
xi. N+V V sì no manomettere, crocefiggere
Xli. N+P no *scalasotto, *abitosenza
xiii. N+Aw no *casamale, *tavolobene
XIV. A+N N/A sì no biancospino, verde bottiglia
xv. A+V no *gentileparla, *caropaga
XVI. A+P no *bellocon, *biancosenza
xvii. A+Aw no *bellobene, *biancooggi
xviii. P + N N sì no sottopassaggio, oltretomba
xix. P+A no *senzagentile, *soprabello
xx. P+V sì no contraddire, sottomettere
XXl. P+Aw sì no didietro, perbene
(63)
Vi sono lingue in cui la testa dei composti può essere identificata «posizionalmente».
Per esempio, in inglese, si dice comunemente che «la testa è a destra», come si può
verificare negli esempi che seguono:
Come si vede, la categoria lessicale di tutto il composto è sempre uguale alla categoria
del costituente a destra. In italiano la situazione è più complessa. Si consideri ancora
una lista di composti:
I dati in (66) sembrano suggerire che in italiano la testa di un composto può essere
sia a destra che a sinistra. Ma non è così. Analizzando i dati più da vicino, si noterà
che i composti come (666) presentano un ordine «marcato» (si dice normalmente un
uomo gentile non un gentile uomo) e non sono più produttivi in italiano. Per quelli
come (66c) si constaterà facilmente che si tratta di composti di origine latina (la e di
te"e è il residuo di un genitivo: 'moto della terra') ed infine per quelli come (66d) si
può facilmente vedere che si tratta di un calco dall'inglese, che ha testa a destra (per
la nozione di calco, v. Vl.3.1.).
Riassumendo, i casi di tipo (666) non sono produttivi, quelli di tipo (66c) sono residui
di uno stadio precedente della lingua italiana (illatino) e quelli di tipo (66d) derivano
da «contatti» sincronici con l'inglese. Ne concluderemo pertanto che la regola sin-
cronica produttiva per la formazione dei composti in italiano contemporaneo genera
composti con testa a sinistra, come quelli in (66a).
Non tutti i composti hanno però una testa. Si considerino gli esempi seguenti e le
loro strutture:
(67) a. saliscendi
b. portalettere
c. sottoscala
In (67a) nessuno dei due costituenti può essere testa del composto perché i due
costituenti hanno una categoria diversa dal composto; in (676) lettere sembra essere
testa del composto ma non lo è perché ha un tratto [-animato], mentre portalettere
è [+animato] (portalettere NON È un lettere); in (67c) vale lo stesso discorso: sotto-
scala NON È un tipo di scala, è uno spazio che si trova sotto una scala.
Distingueremo dunque tra composti endocentrici (che hanno una testa) e composti
esocentrici (che non hanno una testa). I composti endocentrici possono poi a loro
volta essere distinti in composti con una testa e in composti con due teste (come è il
caso dei composti coordinati, discussi nel paragrafo seguente).
LA STRUTTURA MORFOLOGIA143
DELLEPAROLE:
Come si è detto, i costituenti dei composti sono uniti da una relazione gram-
maticale non esplicita. Si considerino questi tre tipi di composti:
(68) portalettere
nave traghetto
cassaforte
(70) Composti
Abbiamo ancora visto che ogni composto può essere endocentrico o eso-
centrico, a seconda che abbia o meno una testa e dunque, completando il
quadro classificatorio, i composti delle lingue del mondo possono rientrare
in questo schema:
(71) Composti
endo
~eso ~eso
endo
~eso
endo
I I I I I I
capostazione lavavetri nave traghetto saliscendi cassaforte pellerossa
144 CAPITOLO5
I casi possibili possono pertanto essere i seguenti: flessione alla fine del com-
posto (72a); flessione dopo la prima parola del composto (72b); flessione
dopo entrambe le parole (72c). In questi tre casi, la flessione è flessione di
tutto il composto. Vi sono poi il caso di composti senza flessione (72d), cioè
composti invariabili, e due casi in cui la flessione è flessione non di tutto il
composto, ma di uno dei suoi costituenti: flessione di Parola2 (72e); flessione
di Parolal (72f).
Queste possibilità si realizzano tutte ad eccezione di (72f), come si può vedere
in (73):
Il plurale del tipo (73c), il plurale «doppio», sembra avere una duplice natura:
o è un plurale, per così dire, di «accordo» (tra nome ed aggettivo terre/erme)o
è un plurale di «doppia testa»: cassapanca «è sia una» cassa,«che una» panca
e quindi richiede la flessione di entrambi i costituenti.
Come si è detto in precedenza, però, è. difficile «prevedere» con regolarità il
plurale del composto. Le osservazioni sopra svolte sulla «testa» in alcuni casi
possono però aiutare. Si considerino questi tre composti: capostazione, capogiro
e capomastro; essi fanno il plurale in tre modi diversi e cioè capistazione(tipo
(736)), capogiri(tipo (73a)) e capimastri(tipo (73c)).
Ora, il tipo (73b) è un composto con testa a sinistra e flessione della sola testa;
il tipo (73a) è diverso perché la testa non è capoma giro,e quindi la flessione
DELLEPAROLE:MORFOLOGIA 145
LA STRUTTURA
sta a destra, sulla parola che è testa, ed infine capimastri(73c) si può spiegare
se si assume che si tratti di un composto di coordinazione che essenzialmente
si compone di due teste, flesse entrambe.
Un accorgimento molto importante è comunque di assicurarsi che i composti
in esame siano produttivi: solo per questi si può costruire una «regola». Con
un certo margine di approssimazione, si può dire che i composti produttivi
oggi sono quelli del tipo (736), vale a dire composti con testa a sinistra e
flessione della sola testa. Nel corso del tempo (e probabilmente in relazione
a fatti extralinguistici come la frequenza d'uso) i composti tendono a perdere
trasparenza, nel qual caso la testa diventa meno identificabile e il composto,
percepito come privo di struttura interna, viene flesso secondo la regola
generale di flessione dell'italiano, vale a dire «a destra».
Le lingue del mondo presentano una grande varietà di tipi di composti. In partico-
lare vi sono composti costruiti con forme legate (i cosiddetti composti neoclassici) e
vi sono costruzioni «multiparole» per le quali - come appena visto - non è sempre
facile decidere se si tratta di composti o di sintagmi, come i composti incorporanti,
i composti sintagmatici, i composti reduplicati, ecc. Ne diamo qui di seguito alcuni
esempi.
• COMPOSTINEOCLASSICI
I composti neoclassici sono formati da due forme legate (74a) di origine per lo più
greca o latina (spesso detti confissi) o da una forma libera più una forma legata (746):
(74) a. antropo+fago
copro+lalia
parri+cida
b. dieta+logo -> dietologo
lacrima+geno -> lacrimogeno
calore+fero -> calorifero
callo+fugo -> callifugo
Queste formazioni sono molto produttive in tutte le lingue europee (basti pensare a
forme come -logia/-logocon cui si possono formare decine e decine di parole nuove:
politologo,musicologia,ecc.).
• COMPOSTIINCORPORANTI
I composti incorporanti derivano da un sintagma costituito da un verbo seguito da
un SN oggetto. L'incorporazione consiste nella formazione di un verbo composto il
cui primo costituente è il SN «oggetto». Di norma il nome incorporato nel verbo è
appunto l'oggetto, come si vede in questo esempio del nahuatl, una lingua uto-azteca
parlata in Messico:
Queste formazioni sembrano essere dei composti, tuttavia sono diverse dai composti
veri e propri, nel senso che le restrizioni sui composti tendono a riguardare la relazione
tra i due costituenti piuttosto che i significati individuali dei costituenti (a volte i nomi
incorporati possono essere solo quelli che designano le parti del corpo, in altri casi i
nomi propri non possono essere incorporati, ma i nomi umani non animati debbono
incorporare e così via).
• COMPOSTISINTAGMATICI
Un altro tipo di composto che si trova in inglese (77a) e in afrikaans (776) è detto
«composto sintagmatico», in quanto sembra più di origine sintattica che di origine
morfologica:
Che si tratti di costruzioni più sintattiche che morfologiche è testimoniato dal fatto
che in corrispondenti costruzioni dell'italiano si può inserire materiale lessicale, come
si vede qui di seguito:
• COMPOSTIREDUPLICATI
Si trovano composti reduplicati in tamil (79a) ma anche in spagnolo (796). Si tratta
di composti costituiti dalla stessa parola ripetuta ed hanno in genere un significato
intensivo o iterativo:
• COMPOSTITRONCATI
In russo vi sono composti che vengono formati per troncamento o del primo costi-
tuente o di entrambi, come si vede qui sotto:
In questi compostisi concatenano delle sottoparti dei due costituenti, un po' come le
cosiddetteparole-macedonia tipo motel (da motor 'motore' e hotel 'hotel') o smog(da
smoke'fumo' e/og 'nebbia'). Anche in italiano vi sono formazioni simili,ad esempio
con/commercio, con/industria.
Quando le regole morfologiche combinano due forme libere o una forma libera
più una forma legata, la sequenza che ne risulta può essere o perfettamente
normale (81a) o può necessitare di piccoli riaggiustamenti fonologici (816):
Per gli esempi in (816) vi è bisogno di una regola «di riaggiustamento» che
cancelli la vocale finale della prima parola. Sono regole di riaggiustamento
anche quelle che «riaggiustano» la vocale finale di parola in composizione
con una forma legata (v. V.11.6.): se una forma legata è di origine greca, la
vocale finale di parola diventa o, se è latina, la vocale finale di parola diventa
i, come si vede negli esempi riportati sopra in (746).
Altre regole di riaggiustamento riguardano casi di allomorfia (amico➔ amici,
dove agisce la regola di palatalizzazione della velare) o sporadici casi di inse-
rimento come gas ➔ gassoso,cognac➔ cognacchino.
Meglio ancora, le parole sono «isole», nel senso che non vi si può inserire
nulla (come appena visto) né estrarre nulla (*lbro,*liro, ecc.). Se si applica
dunque questo criterio, costruzioni come /erro da stiro (°''ferropesanteda stiro)
sembrano essere dei composti, mentre più problematica è la decisione per
costruzioni come produzionescarpe(cfr. produzioneinvernalescarpe).
Il secondo criterio riguarda il fatto che i costituenti di un composto (ma anche
di una parola derivata) non sono «visibili» alle normali regole della sintassi.
Si considerino le due frasi qui sotto:
In entrambe queste frasi il pronome (/i/lo) non può «fare riferimento» ri-
spettivamente a piatti ed a Reaganperché queste due parole sono «opache»
alle regole della sintassi: sono parole complesse al cui interno la sintassi non
può «entrare». Lo stesso tipo di riferimento è invece possibile se le parole
in questione non sono incorporate in una struttura morfologica (cfr. Giorgio
lavai piatti ma non li lavabene e Sonoproprioi sostenitoridi Reaganche non
lo amano).
La formazione delle parole consta di una parte formale e di una parte se-
mantica.
È naturale che i processi di formazione di parola abbiano una diretta relazione
con la semantica, giacché gli affissi portano con sé la loro parte di significato
che si unirà in una funzione con il significato della parola di base. Allo stesso
modo la semantica entra in composizione, giacché le singole semantiche dei
due costituenti dei composti si formano per dare luogo al significato della
forma di uscita.
In affissazione, si consideri il significato delle parole suHissate vinaio,giorna-
laio,verduraio,che può essere reso con le parafrasi in (84):
La parte «fissa» è la parte di significato, per così dire, introdotta dal suffisso,
mentre la parte variabile corrisponde al nome di base. Possiamo quindi
arrivare ad una parafrasi unica se formuliamo il significato utilizzando delle
variabili:
(91) ingl.
a. curious ➔ curiosity
b. glorious ➔ *gloriosity perché esiste 'glory'
Con «blocco» si definisce anche la condizione per cui alcuni affissi bloc-
cano, appunto, l'applicazione di altri affissi loro concorrenti, per così dire:
la negazione di correttosi fa col prefisso s- (scorretto)e questo 'blocca' la pur
possibile forma con in- (1'incorretto),o al contrario incapacevs.*scapace. Dato
che esistono diversi controesempi alla cosiddetta regola del blocco (per esem-
pio parole formate con suffissi 'rivali' come coordinamento/coordinazione),
ne concluderemo che non si tratta di una regola vera e propria ma piuttosto
della tendenza generale a non creare sinonimi.
Finora, abbiamo detto che le regole di formazione di parola hanno signifi-
cato composizionale. Ciò è vero quando la regola è produttiva, mentre una
parola che permane a lungo nel lessico può acquistare, come si è già detto,
significati idiomatici non più desumibili dagli elementi che la costituiscono.
Ad esempio, una parola come tavolaccionon significa soltanto 'un pessimo
tavolo' ma si riferisce anche al 'giaciglio del prigioniero', significato, questo,
che non si può desumere dai due costituenti tavolo e -accia.Si tratta delle
cosiddette idiosincrasie, owero, casi della lingua in cui il comportamento
delle unità linguistiche, in questo caso delle parole, non è prevedibile o non
risponde a regole sincroniche produttive. Per tornare al caso visto prece-
dentemente, X -bile ha parafrasi di aggettivo 'che si può X', ma abbiamo
dirigibile,che (ormai) è un nome e significa 'aerostato' e non 'che può essere
diretto'.
Per quanto riguarda la composizione, si è visto che la relazione semantica tra
i costituenti è un primo criterio della classificazione dei composti. Inoltre, il
LASTRUTTURADELLEPAROLE:MORFOLOGIA 151
------------------------
contenuto semantico è fondamentale nel rintracciare la testa in composizione.
Nello stesso modo in cui si assiste a idiosincrasie in affissazione, vi sono casi
di semantica non composizionale nei composti. Un esempio, in italiano, è
quello di pomodoro:il pomodoro non è un 'pomo di oro'. Allo stesso modo,
parole come gentildonna,alto/orno,santabarbara,e così via, non hanno se-
mantica trasparente, rintracciabile cioè tramite la somma della semantica dei
due costituenti. Parliamo dunque, in questi casi, di composti lessicalizzati,
vale a dire forme immagazzinate nel lessico come tali e dunque non formate
tramite regole.
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
corrente altrettanto importante è quella della cosiddetta morfologia naturale, dovuta soprat-
tutto al lavoro del Wolfgang Dressler [per es. Dressler et al. 1987]. Una buona fonte di dati per
l'italiano si trova in Dardano [1978e].
DOMANDE
In questo capitolo ci occuperemo brevemente del lessico da vari punti vista, da quello
lessicograficoa quello mentale; prenderemo anche in esame prima la stratificazione del
lessico dell'italiano, poi la struttura del dizionario monolingue ed infine illustreremo
diversi tipi di dizionari.
INTRODUZIONE
tutti i sintagmi sono costruiti tramite regole, tutte le frasi sono costruite
tramite regole. Naturalmente questa è solo una semplificazione ma serve ad
impostare il problema.
1. ILLESSICO
MENTALE
2. DIZIONARI
2.2. LesskaHzzazioni
gono invece «costruiti» tramite le regole della morfologia, come si è visto nel
capitolo V (derivazione, composizione e flessione). In realtà in un dizionario
non si trovano solo parole semplici, si trovano anche altre unità, tra cui le
forme lessicalizzate e le sigle. In altri termini, in un dizionario devono trovare
posto tutte le forme imprevedibili, che non si possono spiegare o analizzare
in modo regolare, forme cioè che non vengono formate tramite regole e che
pertanto hanno forme o significati idiosincratici.
Così, accanto a parole semplici come libro o come sollevare (che sono «ir-
regolari» nel senso che sono del tutto immotivate; v. cap. II), si troveranno
quelle espressioni il cui significato non è desumibile dalla somma dei signifi-
cati delle parti, come le cosiddette lessicalizzazioni,dette anche costruzioni
polirematiche.
Sono casi di lessicalizzazione le espressioni idiomatiche come tagliare
la corda, scoprire il fianco, ecc., ma anche unità originariamente frasali
come nontiscordardimé. Si può supporre che tali unità abbiano struttura
interna, ma che tale struttura sia opaca, vale a dire non analizzabile sulla
base di regole produttive della grammatica. Si può supporre che tali unità
abbiano subito una ricategorizzazione, come è probabilmente il caso per
nontiscordardimé che ha struttura frasale internamente ma che, per quel che
riguarda i suoi rapporti sintattici, vale come un nome dato che la categoria
più «esterna» è nome e non frase: [[#non+ti+scordar+di+me#]F]N. on-
tiscordardimé si comporta sintatticamente come un nome (cfr. raccoglimi
dei fiori/raccoglimi dei nontiscordardime/ e la sua struttura frasale interna
è, si potrebbe dire, opaca, non più trasparente. Se vi inseriamo un qualsiasi
elemento, infatti, ne distruggiamo l'unità oscurandone il significato (cfr. *rac-
coglimi dei non ti scordar mai più di me) e lo stesso accade se vi applichiamo
una delle normali regole della sintassi (*di me non ti scordar). Il processo di
lessicalizzazione fa sì che un gruppo di più parole si trasformi in una unità
lessicale che si comporta come una parola sola indipen-den-temente dalla
sua struttura interna.
Questo processo va distinto da un altro processo, anch'esso diacronico, noto
col nome di grammaticalizzazione,per cui una unità perde il suo significato
lessicalee ne acquisisce uno grammaticale, come il suffisso dell'italiano -mente,
che oggi è un suffisso mentre in latino era una parola (mens, mentis, ablativo
mente) o come l'inglese -able, che oggi può essere sia un aggettivo (be is not
able to do it 'non è capace di farlo') che un suffisso (drink-ab/e 'bevibile')
mentre in passato era soltanto un aggettivo (v. anche più avanti, X.3.).
3. STRATIFICAZIONE
DELLESSICO
Il lessico di ogni lingua è stratificato, nel senso che è costituito da vari strati
(spesso dovuti a contatti tra sistemi linguistici, prestiti, ecc.).
Lo strato [+nativo] è quello «centrale» di una data lingua, quello [-nativo]
definisce gli strati «periferici» che spesso riflettono le vicende storiche, i
«contatti» che la lingua in questione ha o ha avuto con altri sistemi linguistici.
L'italiano ha diversi strati non nativi, come testimoniano voci di origine latina
(pamàda), greca (antropologia), inglese (spot), francese (garage), araba (bazar),
come vedremo meglio nei paragrafi seguenti.
Distinzioni di questo tipo sono rilevanti, perché affissidiversi possono scegliere
strati lessicali diversi. Per esempio, un tratto di strato che ha molta importanza
in inglese è il tratto [±latino]. L'invasione normanna dell'XI secolo infatti ha
comportato un'imponente irruzione nell'inglese di voci lessicali di origine
romanza (e quindi anche di origine latina) al punto che a tutt'oggi il lessico
dell'inglese è per larga parte di origine romanza, come testimoniano tanti
doppioni tipo darklobscure 'oscuro', Jatherlylpaternal 'paterno', heavenlyl
160 CAPITOLO6
-----~,--•------
In questo senso, -ity contrasta con il suffisso -ness, che non discrimina tra
parole [+latino] (cfr. (4a)) e [-latino] (cfr. (46)):
La selezione «di strato», per dire così, non è sempre esclusiva, dato che esi-
stono forme miste, come ad esempio epatobiliare, che consta di due forme
con tratti [+greco] e [+latino] rispettivamente. I tratti di strato sono rilevanti
per il lessico delle maggiori lingue europee, dal momento che in tutte queste
lingue la formazione di parole «colta» o «neoclassica» è presente e produttiva.
L'italiano oggi è particolarmente aperto a prestiti dall'inglese, ma la sua strati-
ficazione storica è molto più complessa, come si vedrà nel paragrafo seguente.
162 CAPITOLO6
-------------------------------
4, DIZIONARISPECIALISTICI
Vi è una grande varietà di tipi di dizionari diversi, mirati a vari usi. Vi sono
dizionari monolingui(il cui scopo principale è di dare «definizioni»), dizionari
bilingui (il cui scopo principale è fornire una traduzione di un termine da
una lingua ad un'altra), dizionari plurilingui(dove si trovano corrispondenze
tra diverse lingue), dizionari etimologici (che tracciano la storia delle parole
- quando è documentata - dalle origini alla contemporaneità), dizionari di
sinonimi e contrari, dizionari di neologismi, dizionari elettronici, inversi,
dizionari di frequenza e concordanze. Nei paragrafi che seguono esemplifi-
cheremo brevemente gli ultimi quattro tipi di «dizionari».
4.2. Giochi•
Molti dizionari su supporto elettronico, accanto alle ricerche più tipiche, prevedono
un settore «giochi». I giochi linguistici sono spesso una cosa seria... perché sono
anch'essi strumenti di conoscenza di una lingua.
Tra i giochi ad esempio trovano posto gli anagrammi (a partire da anticosi possono
formare catino,catoni,citano,conati,contai,ctonia,anticae tonica),le rime (che pos-
sono servire al poeta come allo studioso di morfologia per riunire tutte le parole che
terminano allo stesso modo), i palindromi(parole che rimangono le stesse anche se
scritte al contrario: afa,emme,ossesso),i bifronti(parole che diventano altre parole
diversese scritte al contrario: asso,enoteca,oremus),gli omografi(parole uguali per la
forma scritta ma distinte per significato:boanel senso di 'serpente' o di 'galleggiante',
atticonel senso di 'proveniente dall'Attica' o di 'ultimo piano abitabile di un edificio',
angolare:verbo o aggettivo), omografi ma non omofoni (parole uguali per la forma
scritta ma non per la pronuncia: ambito/ambito,balia/balia,compito/compito).Ed
164 CAPITOLO6
ancora gli «scarti» (ad una forma data viene tolta una lettera alla volta e vengono
cercate tutte le forme possibili anagrammando le rimanenti: sono ➔ oso, son) e le
«zeppe» (ad una forma data viene aggiunta una lettera alla volta e vengono cercate
tutte le parole possibili anagrammando: sono ➔ snodo, suono, sogno). (Si noti che il
gioco viene eseguito sulle lettere e non sui suoni: sono e sogno contengono sì quattro e
cinque lettere rispettivamente ma entrambi constano di quattro suoni: [sono] [so<ol)
Altre «curiosità» che possono essere facilmente soddisfatte grazie all'elettronica
applicata alla lessicografia sono liste di parole che iniziano con una certa lettera o
con una certa stringa di lettere e che finiscono con una certa lettera o con una certa
stringa di lettere, l'elenco delle parole più lunghe (non ce n'è nessuna di 27 lettere,
una di 26 (precipitevolissimevolmente),alcune di 25 (teleradiotrasmetterebbero)o di
24 (autoblindomitragliatrice,interconfessionalistiche))o la lista delle parole costruite
solo con una consonante o solo con una vocale.
In un dizionario normale l'ordine dei lemmi è dato dall'ordine alfabetico. Date cioè
le parole antico, epoca,estate, estensione, rubacuorie valorosol'ordine in cui queste
parole compariranno in un dizionario è esattamente quello dato perché a di antico
viene prima di e di epoca,e di epocaviene prima di r di rubacuorie così via. Se due
parole iniziano con la stessa lettera, l'ordine sarà determinato dalla lettera immediata-
mente successivaed è per questo che epocaviene prima di estate. Se, ancora, le prime
due lettere sono uguali si passa alla terza ed è per questo che estate viene prima di
estensione.L'ordine va dunque da sinistra verso destra.
Si immagini ora di invertire questo principio e di avere le seguenti regole: ordina le
parole a partire dall'ultima lettera, se per due parole l'ultima lettera è uguale passa
alla lettera immediatamente alla sua sinistra e così via. Per le parole date avremo
quindi due esiti diversi:
Questo è il principio di ordinamento che vale per i dizionari «inversi». Questo tipo
di dizionari è importante per chi fa ricerche in ambito linguistico perché, ordinando
le parole a partire da destra, permette di ottenere liste di parole che terminano con
le stesse lettere e quindi anche con lo stesso suffisso. Per vedere bene la differenza si
consideri un gruppo di parole in ordine «normale» in (7a) e le stesse parole disposte
in ordine inverso in (76):
faticoso bellicoso
focoso faticoso
giocoso vorticoso
lumacoso focoso
pescoso giocoso
succoso burrascoso
verboso pescoso
vorticoso boscoso
Le parole in (7a) saranno «sparse» in tutto il dizionario, le parole in (76) si troveranno
tutte insieme e permetteranno di studiare le proprietà delle parole suffissate con il
suffisso -oso.
Naturalmente questi strumenti debbono essere compilati con cura; per esempio è indi-
spensabile che le parole siano contrassegnate con la loro categoria lessicale, altrimenti
se chiediamo a un dizionario inverso elettronico tutte le parole in -are,otterremo una
serie di verbi (amare,contare,ecc.) ma anche una serie di aggettivi (lunare, militare,
ecc.). Un dizionario inverso può essere visto anche come un «rimario», vale a dire
una raccolta di voci che «fanno rima».
(8) T R e p s
lemma: altezza 12 6 1 3 8
forme: altezza 11 6 1 3 5
altezze 1 o o o 3
Come si vede, nel corpus esistono le due forme del singolare e del plurale (altezza,
altezze) la cui somma (11+1) dà la frequenza del lemma altezza (12), evidenziato in
neretto. La parola ricorre più spesso nei testi teatrali, nei sussidiari e nei romanzi che
nei copioni cinematografici e nei periodici.
Scorrendo questo dizionario, il lettore può fare molte scoperte interessanti sulla pro-
pria lingua e su alcune differenze tra i vari generi linguistici rappresentati. La seconda
parte è la lista dei lemmi in ordine di frequenza. Le parole più frequenti dell'italiano
risultano essere: il, di, egli, a, essere,e, uno, in, che, non, io, avere, da, ecc.
Le liste di frequenza hanno molta importanza nello studio delle lingue straniere.
Nell'introduzione al LIF si sostiene infatti che le prime 100 parole più frequenti
arrivano a coprire il 60% di qualsiasi testo, le prime 1.000 1'85%e le prime 4.000 il
97%. Nell'affrontare una lingua straniera converrà dunque cercare di tener conto di
questa proprietà statistica dei vocabolari.
166 CAPITOLO6
4.5. Concordanze•
Le concordanze non sono propriamente dei dizionari. Sono piuttosto le liste dei
contesti in cui una determinata parola appare (ci sono concordanze basate sulle
forme o concordanze basate sui lemmi). Agli inizi, le concordanze, specialmente per
opere letterarie di grande prestigio, venivano fatte a mano. Oggi si possono elaborare
piuttosto facilmente ricorrendo ad ausili elettronici. Quello che segue è un piccolo
campione di concordanze della Divina Commediaper le forme amor ed amore:
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
La compilazione dei primi dizionari risale all'età moderna. In particolare, per l'italiano, la
prima edizione del Vocabolario degliAccademicidellaCruscaè del 1612, a cui ne seguirono altre
quattro (1623, 1691, 1729-38). Anche i primi dizionari del francese e dell'inglese risalgono a
quell'epoca: il Dictionnairede l'Académie/rançaiseal 1694 e il Diction-aryo/ EnglishLanguage
di Samuel J ohnson al 1775. L'attività lessicografica è proseguita nel corso dei secoli per tutte
le principali lingue di cultura, e negli ultimi decenni si è avvalsa in maniera sostanziale del
contributo dell'informatica.
Sul lessico mentale si può consultare Laudanna e Burani [1993] e, più recentemente, Cacciari
[2001] che affronta anche temi relativi alle basi biologiche del linguaggio. Sull'organizzazione
mentale della grammatica, si veda inveceJackendoff [1993].
Una buona guida per orientarsi nei problemi della lessicografia è Marello [1996]. Vedi anche
Massariello Merzagora [1983]. Su prestiti e calchi, si veda Gusmani [1986]. Oltre ai dizionari
citati in questo capitolo (e cioè Drsc,DM,Zingarelli) ricordiamo anche Devoto-Oli [2000-2001],
Battaglia [1961-2002] e il GRADIT. Molti di questi dizionari sono anche su CD-ROMciò che
permette la loro consultazione come dizionari inversi.
Per quel che riguarda i dizionari stranieri, si vedano rispettivamente: per l'inglese l'OxfordEn-
glishDictionary,per il francese il Trésorde la langue/rançaise,per il tedesco il Duden (Deutsches
Universal-Worterbuch ), e per lo spagnolo ilDiccionariode la lenguaespaiioladella Real Academia
Espaiiola.
DOMANDE
INTRODUZIONE
egli ultimi capitoli abbiamo trattato delle parole: una lingua, tuttavia, non
è fatta soltanto di parole isolate, ma anche di combinazioni di queste parole.
Inoltre, non tutte le combinazioni di parole sono possibili, nel senso che non
tutte suonano grammaticali (cioè «ben formate») all'orecchio di un parlante
nativo di una determinata lingua. Per esempio, qualunque parlante nativo
dell'italiano, anche privo di istruzione, riconoscerà che soltanto (1) è una frase
grammaticale, mentre (2) non è che una pura «lista» (o «insalata») di parole
italiane (per altri esempi di sequenze di parole grammaticali o agrammaticali
v. anche V.2.):
Proviamo a leggere la frase (3) a voce alta: vedremo che essa ha la stessa into-
nazione di (1), cioè di una frase perfettamente «normale» (e questo fa sì che
(3) potrebbe anche essere utilizzata in contesti particolari, per esempio una
poesia surrealista). Viceversa, leggendo (4) a voce alta, ci accorgiamo subito
che l'intonazione «scende» dopo ogni parola. Questo accade, naturalmente,
anche in (2): è l'intonazione, appunto, con cui leggiamo non una combina-
zione, ma una lista di parole (un po' come la lista della spesa). Confrontiamo
ora (5) con (6):
Tanto (5) quanto (6) appaiono perfettamente sensate, ed è chiaro che vogliono
dire entrambe la stessa cosa, ma solo (5) suona come ben formata. La colpa,
per così dire, è della parola di, che in (6) è di troppo. Ma di non è sempre
di troppo; qualche volta, invece, è necessaria e, se manca, la frase non è ben
formata, come possiamo vedere confrontando (7) e (8):
Come si vede, anche (7) e (8) hanno lo stesso significato, che è poi lo stesso
di (5) e (6), ma, al contrario di quanto succedeva con la prima coppia di frasi,
in questo caso di è necessaria perché la frase sia ben formata. In altre parole,
di non può ricorrere dopo vuole, ma deve ricorrere dopo voglia.
Che conclusioni possiamo trarre da queste osservazioni? Evidentemente, che
le combinazioni di parole possono essere ben formate oppure no indipenden-
temente dal senso delle parole stesse. Bisogna quindi andare alla ricerca dei
motivi per cui certe combinazioni sono ben formate, mentre altre no. La parte
della linguistica che si occupa di questo problema è la sintassi.
Fino a questo punto abbiamo parlato genericamente di «combinazioni di
parole» e più specificamente di frasi. Dire «frase» e «combinazione di parole»
è quindi dire la stessa cosa? No, perché esistono sia combinazioni di parole
che comprendono più frasi (ad esempio, i discorsi o testi), sia combinazioni
di parole più piccole di una frase, ossia i gruppi di parole o sintagmi (dal
greco syntagma'composizione',' combinazione'). L'oggetto della sintassi sono
dunque la frase e le altre combinazioni possibili di parole.
In VII.1. tratteremo di uno dei meccanismi fondamentali che determinano il
raggruppamento delle parole, ossia la valenza verbale; in VII.2. esamineremo
i vari tipi di gruppi di parole ed introdurremo un modo per rappresentarne
graficamente la struttura; in VII.3. tratteremo delle frasi, mostrandone prima
la differenza rispetto agli altri gruppi di parole e poi esaminandone i vari tipi;
nel paragrafo VII.4. analizzeremo in modo più approfondito i due elementi
essenziali della frase, ossia il soggetto e il predicato; infine, nel paragrafo
VII.5. tratteremo di quelle categorie sintattiche che sono realizzate tramite
LACOMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI 171
1. LAVALENZA
I verbi, quindi, come gli elementi chimici, hanno bisogno di essere accom-
pagnati da un numero determinato di altri elementi perché la frase in cui
ricorrono sia ben formata; come gli elementi chimici hanno dunque una
valenza (per esempio, l'ossigeno ha valenza doppia di quella dell'idrogeno,
come mostra la formula dell'acqua, H 20), così esiste una valenza verbale. Per
tornare agli esempi precedenti, si dice che un verbo come catturareè bivalente,
mentre uno come camminareè monovalente. Gli elementi che sono richiesti
obbligatoriamente dai vari verbi sono detti argomenti: ad esempio, in (9) il
poliziottoe il ladrosono gli argomenti del verbo catturare;in (11) Gianni è
l'unico argomento del verbo camminare.Il quadro completo delle classi verbali
dal punto di vista della valenza è il seguente.
In una frase sono presenti solo il verbo e gli argomenti del verbo? Certamente
no. In una frase possono essere presenti molti altri elementi:
(13) A mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa che aveva
appena svaligiato
Al contrario, (16) ha un senso ben diverso da (9), da cui differisce solo per il
diverso ordine in cui si presentano gli argomenti del verbo catturare:
2. I GRUPPI
DIPAROLE
Si sarà osservato che, nel paragrafo precedente, come esempi di argomenti
o di circostanziali sono state a volte usate parole singole (es. Gianni), a volte
più parole insieme (es. il ladro, il poliziotto, a mezzanotte, davanti alla casa
LACOMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI 173
Una risposta grammaticale a (19) è (20a). Una risposta a (19) del tipo di (206)
è invece malformata:
(20) a. Il poliziotto
b. *Il poliziotto ha
il contrasto tra (20a) e (206) indica che il e poliziotto appartengono allo stesso
gruppo di parole, mentre poliziotto e ha non vi appartengono.
Sappiamo già che le parole appartengono a classi diverse, e che quindi non
tutte le parole di qualunque classe sono intercambiabili l'una con l'altra (cfr.
V.2.). Lo stesso accade ai gruppi di parole, come possiamo vedere immedia-
tamente tramite il criterio della coordinabilità.Abbiamo visto che tanto a
mezzanotte quanto il poliziotto sono gruppi di parole, eppure una frase come
(21) non è ben formata:
(21) *A mezzanotte e il poliziotto catturò il ladro
174 CAPITOLO7
(22)
a. SN b. SV c. SP
~ ~ ~
Art N V SN P SN
~ I
Art. N N
I I I
il poliziotto catturò il ladro a mezzanotte
uomini e donne in gamba, vi sono due possibili letture: in base alla prima,
sono «in gamba» sia gli uomini che le donne, in base alla seconda, invece,
lo sono soltanto le donne. La diversa struttura sintattica associata a queste
due letture risulta molto chiaramente se rappresentiamo la loro struttura
sintagmatica come segue:
I sintagmi sono i costituenti della frase. Come si è già visto, essi possono es-
sere costituiti da altri sintagmi, fino alle singole parole, che sono i costituenti
ultimidella sintassi. Ad esempio, la rappresentazione della frase il poliziotto
catturò il ladro è la seguente (dove: F = Frase, e le altre sigle hanno i valori
dati più sopra):
(24) F
SN sv
~ ~
Art N V SN
~
Art N
I
Il
I
poliziotto catturò
I
il
I
ladro
La differenza di lunghezza tra (25) e (26) è dovuta al fatto che solo nella
seconda di esse i due sintagmi che costituiscono la frase sono costituiti da
altri sintagmi, e non dalle sole teste, contrariamente a quanto avviene in
(25). Questa analogia di struttura tra (25) e (26) si vede molto chiaramente
176 CAPITOLO7
----··-
(25') F
SN
N
----------
I
SV
I
V
I I
Gianni passeggia
(26') F
sv
~p
/"'- ~ /"'-- ~
Art N PSN Art N P SN
l
I
A~N N
I I I
Il figlio mio cugmo attraversa la strada con calma
I diagrammi ad albero come (24), (25') o (26') sono detti anche gli indicatorisintag-
matici (in inglese, phrase markers) delle rispettive frasi, in quanto ne rappresentano
la struttura in sintagmi. In questo paragrafo, daremo anzitutto qualche altro esempio
di indicatore sintagmatico, poi vedremo che le varie categorie di sintagmi presentano
una struttura analoga. Per esempio, alle frasi (27) e (28) si potrebbero assegnare,
rispettivamente, gli indicatori sintagmatici (27') e (28') (per semplicità, etichettiamo
questi come «Aggettivo», anche se probabilmente sarebbe più adeguato assegnarlo
ad una diversa categoria, quella dei determinanti):
(27') F
s sv
~
V SN
~
A N
I I
Gianni legge questi libri
(28') F
SN sv
~
---------------
SN SP V
~
SN
0 /\ Art N
P SN
~
A N
I I
La lettura di questi libri migliora la mente
questi libri è complemento di leggein (27): infatti, mentre in (27') leggee questi libri
formano un unico sintagma (SV), in (28') letturae questi libri ricorrono all'interno di
due sintagmi diversi, rispettivamente il SN (lalettura)e il SP (di questi librz)dominati
dal S «più alto».
Prima di passare a quella che potrebbe essere una rappresentazione più adeguata
di SN del tipo la letturadi questi libri, notiamo che anche alcuni aggettivi ed alcune
preposizioni hanno complementi. Pensiamo, ad esempio, ad un aggettivo come unita,
derivato, come il nome unione, dal verbo unire:
(29) Fino a qualche anno fa, la Slovacchia era unita alla Repubblica Ceca
(30) SN
---------------
Art N'
---------------
N
s ~
p
SP
~
A N'
hI
la lettura di questi libri
LACOMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI 179
Si può notare che anche nel SN complemento questi libri abbiamo introdotto la
categoria N'. Infatti, il dimostrativo questi svolge la stessa funzione dell'articolo la
in la lettura:questi è in rapporto paradigmatico con l'articolo i (i libri, questi libri,
ma non *i questi libri, *questii libri;cfr. II.5). In termini tecnici, si dice che tanto gli
articoli, quanto i dimostrativi svolgono la funzione di specificatore del SN. Quindi,
diremo che nel SN (30) la letturadi questi libri, la è lo specificatore, letturala testa e
questilibri (o di questi libri)il complemento. L'intero SN (specificatore, testa e com-
plemento) può anche essere rappresentato come N" (leggi: «N due barre»); la testa
più il complemento, come si è visto, sono rappresentati come N'; la sola testa come N.
Veniamo ora all'analogia di struttura tra SN, SV, SA e SP. Si è visto che tutti questi
sintagmi possono contenere un complemento; si può vedere facilmente che essi
possono contenere anche uno specificatore. Consideriamo tre sintagmi come (31) e
forniamone i rispettivi indicatori sintagmatici (31'):
c. SP (= P")
~
Avverbio P'
~
P SN
~
Art N'
I
N
I
poco dietro la porta
Si vede dunque che, esattamente come i SN, anche i SV,i SA e i SP hanno uno speci-
ficatore, una testa e un complemento. Nel SV (3 la), lo specificatore è spesso,la testa
legge,e il complemento questi libri;nel SA (316), lo specificatore è molto, la testa
unito, e il complemento Gianni (o a Gianni);nel SP (3 lc), lo specificatore è poco,
la testa dietro,e il complemento la porta. Naturalmente, non tutti i sintagmi devono
possedere questa struttura, cioè essere dotati di uno specificatore, di una testa e di
un complemento: come già sappiamo, l'unico elemento la cui presenza è obbligatoria
in ogni sintagma è la testa.
180 CAPITOLO7
(32) X"
~X'
Spec(i.fìcatore)
X
~ Comp(lemento)
3. LEFRASI
3.1. Frasi e gruppi di parole
(33) A mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa che aveva
appena svaligiato
essere anche parole singole. Facciamo qualche esempio. Io vedo il mio amico
Gianni passare dall'altro lato della strada, e voglio richiamare la sua attenzione:
gli grido Gianni!, e questa sola parola è sufficiente ad esprimere un senso
compiuto, cioè appunto richiamare l'attenzione di Gianni. Ora, mettiamo
che Gianni si sia accorto di me e mi guardi con un'aria interrogativa: io gli
grido ancora una parola sola, per esempio, Vieni!, e anche così ho espresso
un senso compiuto. Altri esempi di espressione di senso compiuto vengono
dall'uso delle interiezioni. Io sto cercando di piantare un chiodo nel muro,
e causa la mia goffaggine, mi schiaccio un dito: con la sola interiezione Ahi/
esprimo compiutamente il mio stato d'animo (e il mio stato fisico). Da queste
osservazioni possiamo dunque trarre due conclusioni: 1) non tutti i gruppi
di parole che chiamiamo frasi esprimono un senso compiuto (es. che aveva
appena svaligiato in (33)); 2) non tutte le espressioni di senso compiuto sono
gruppi di parole (es. Gianni/, Vieni/, Ahi/).
Il fatto che alcune frasi siano formate da una sola parola non significa però che
tutte le frasi siano formate da una sola parola. A questo punto si ripropone
un altro quesito che ci eravamo posti prima: che differenza c'è- se c'è- tra
la frase e gli altri gruppi di parole, come il gruppo nominale, il gruppo agget-
tivale, ecc.? In realtà, una differenza essenziale esiste tra i gruppi di parole
chiamati «frasi» e gli altri tipi di gruppi di parole: solo le frasi sono composte
di soggettoe predicato.La definizione esatta di queste ultime categorie è assai
complessa, e la affronteremo in VII.4. Per il momento, ci basta osservare una
cosa: il rapporto soggetto/predicato è un rapporto di dipendenza reciproca,
ossia l'uno dei due elementi esiste solo perché esiste anche l'altro e viceversa;
gli altri rapporti possibili all'interno dei gruppi di parole non sono di questo
tipo. In VII.2. abbiamo introdotto il concetto di testa del gruppo di parole,
e l'abbiamo definito come l'unico elemento necessario del gruppo di parole
stesso: non c'è quindi dipendenza reciproca tra la testa e gli altri elementi
all'interno del gruppo di parole (elementi che possiamo chiamare modificatori
o, con i termini introdotti in VII.2.1., specificatori e complementi), perché
la testa può esserci anche senza i modificatori, mentre i modificatori non
possono esserci senza la testa.
Confrontiamo due strutture sintattiche come l'albero è verde e l'albero verde:
la prima è una frase, la seconda un sintagma nominale. Espressioni come
Yalbero è oppure *verde sono sentite entrambe come malformate, come
incomplete: questo è dovuto al fatto che nella prima manca il predicato,
nella seconda il soggetto. Al contrario, l'albero è perfettamente ben formato,
mentre '°'verdenon lo è: questo accade perché la prima delle due espressioni
contiene la testa del gruppo, mentre la seconda contiene solo il modificatore.
Un'obiezione che si potrebbe fare, a questo punto, è la seguente: la differenza
tra l'albero è verde e l'albero verde è che la prima struttura contiene un verbo
di modo finito (su questo concetto, cfr. VII.5.3.), mentre la seconda no.
Quindi, ciò che distingue le frasi dagli altri gruppi di parole è la presenza di
un verbo di questo tipo. Questa obiezione può essere vera (ma in realtà ci
sono dei controesempi) per l'italiano, ma in altre lingue non avrebbe peso:
182 CAPITOLO 7
Una prima distinzione da operare è quella tra frase semplicee frase complessa.
La frase semplice è quella che non contiene altre frasi; la frase complessa (o
periodo) è una frase che contiene altre frasi. Il rapporto tra le frasi semplici
che costituiscono una frase complessa può essere di coordinazioneoppure di
subordinazione:più frasi semplici sono coordinate se sono tutte sullo stesso
piano, mentre una frase semplice è subordinata ad un'altra se le due frasi
non sono sullo stesso piano. Che cosa intendiamo esattamente dicendo «sullo
stesso piano»? Vediamo prima un esempio di coordinazione:
(34) Gianni è partito e Maria è rimasta a casa
la frase principale, la frase che risulta, *che aveva appena svaligiato, detta in
isolamento, è agrammaticale. Nel rapporto di subordinazione vi è quindi
asimmetria tra le due frasi semplici che formano la frase complessa: questo
intendevamo quando abbiamo detto che in tale rapporto, al contrario che in
quello di coordinazione, le due frasi non sono «sullo stesso piano».
In una frase come (33), si dice anche che la frase principale è una frase indi-
pendente. Le frasi indipendenti sono quelle che esprimono un senso com-
piuto (es. A mezzanotte, il poliziotto catturò il ladro davanti alla casa oppure
l'albero è verde, ecc.). Le frasi indipendenti sono sempre frasi principali, ma
non sempre le frasi principali sono anche frasi indipendenti. Consideriamo
una frase come (35):
(35) è costituita dalle due frasi Gianni crede e che Paolo abbia mentito: Gianni
crede è la frase principale, e che Paolo abbia mentito la frase dipendente.
Quest'ultima frase, detta da sola, è evidentemente agrammaticale (*che Paolo
abbia mentito non ha senso compiuto). Tuttavia, anche ·:«;iannicrede, detta in
isolamento, suona malformata, incompiuta; l'unico modo in cui può risultare
ben formata, all'orecchio del parlante italiano, è attribuendole il senso 'Gianni
è credente, Gianni ha fede in Dio', che non è evidentemente quello che crede
ha in (35). Perché allora diciamo che essa è la principale, mentre che Paolo
abbia mentito è la dipendente? Perché Gianni crede contiene il verbo credere,
la cui valenza è saturata da che Paolo abbia mentito.
Ora che abbiamo stabilito la differenza tra frase semplice e frase complessa
e abbiamo introdotto la distinzione tra coordinazione e subordinazione,
esaminiamo i vari punti di vista in base ai quali si possono classificare le
frasi semplici: la dipendenza, la modalità, la polarità, la diatesi e la segmen-
tazione.
Il punto di vista della dipendenzaè già stato introdotto nella discussione pre-
cedente: in una struttura di subordinazione, le frasi possono essere principali
o dipendenti. ell'esempio (35) Gianni crede è la frase principale e che Paolo
abbia mentito la frase dipendente.
Dal punto di vista della modalità,le frasi si possono distinguere in dichiarative
(Gianni è partito), interrogative(Gianni è partito? oppure Chi è partito?),
imperative(Gianni, parti!) ed esclamative(Che sorpresa mi ha fatto Gianni/).
Come vedremo in VIII.4., non è sempre detto che la forma sintattica della
frase corrisponda allo scopo per cui è usata: quindi non sempre una frase
dichiarativa è enunciata per constatare un fatto, o una frase interrogativa per
fare una domanda. La distinzione che abbiamo introdotto è quindi di tipo
puramente sintattico, e può non sempre coincidere con il valore semantico o
pragmatico delle frasi. Si sarà poi notato che della frase interrogativa abbiamo
dato due esempi abbastanza diversi: il primo (Gianni è partito?) contiene le
stesse parole della frase dichiarativa corrispondente Gianni è partito, e nello
stesso ordine; l'unica differenza è data dall'intonazione (cfr. IV.11.3.), che è
184 CAPITOLO7
(38) Questo signore, Dio gli ha toccato il cuore (Manzoni; frase a tema so-
speso)
(39) Gianniho visto ieri, non Paolo (frase focalizzata; il corsivo su Gianni
indica che la parola è pronunciata con un innalzamento del tono)
(40) Non lo avevo mai letto, questo libro (frase dislocata a destra)
(41) È questo libro che non avevo mai letto (frase scissa)
A) COMPLF.sSITÀ
< <
semplici coordinate
frasi
complesse
subordinate
B) DIPENDENZA
frasi < principali
dipendenti
C) MODALITÀ
dichiarative
frasi
interrogative
imperative
< «sì-no»
h
«:w -»
esclamative
D) POLARITÀ
negative
E) DIATF.sI
passive
F) SEGMENTAZIONE
< a sinistra
focalizzate
scisse
a destra
a tema sospeso
non segmentate
Naturalmente, una frase non è solo dichiarativa, o solo principale, o solo
affermativa, ecc., ma appartiene ad un determinato tipo per ciascuno dei
vari punti di vista. Ad esempio, una frase come (42) è semplice, dichiarativa,
principale, affermativa, attiva e non segmentata:
(44) Pietro ha domandato da quale professore non era stato ancora interrogato
Gianni
Si sarà notato che, per ciascuno dei punti di vista discussi nel paragrafo precedente,
esiste una corrispondenza sistematica tra frasi di un determinato tipo e frasi di un
determinato altro: per esempio, alla dichiarativa corrisponde un'interrogativa «sì-no»
che differisce dalla dichiarativa soltanto per l'intonazione (Gianni è partito rispetto a
Gianni è partito?); alla frase affermativa corrisponde una frase negativa che differisce
dalla prima soltanto per la presenza della particella non (Gianni è partito rispetto a
Gianni non è partito). A questo tipo di corrispondenza sistematica tra frasi di tipo
diverso si dà il nome di trasformazioni.Esaminiamo ora due di queste relazioni
trasformazionali: quella tra frasi attive e frasi passive e quella tra frasi dichiarative e
frasi interrogative «wh-».
Le corrispondenze che si possono osservare tra frasi attive e frasi passive sono le
seguenti: 1) il complemento oggetto della frase attiva è il soggetto della corrispon-
dente frase passiva (Gianni ama Maria rispetto a Maria è amata da Gianni) e 2) il
soggetto della frase attiva non deve essere espresso obbligatoriamente nella frase
passiva e, se è espresso, assume sempre la forma di un sintagma preposizionale la
cui testa è da.
Nelle frasi interrogative «wh-» si presenta questo fenomeno: un argomento del verbo
non compare nella stessa posizione della dichiarativa corrispondente, ma all'inizio
della frase. Se la frase interrogativa è complessa, cioè è costituita da una principale e
una o più dipendenti, questo ha l'effetto che un argomento può trovarsi in una frase
semplice diversa da quella in cui si trova il verbo a cui è collegato. Per esemplificare
quanto appena detto, consideriamo anzitutto queste due frasi dichiarative:
(45) è una frase semplice; se vogliamo porre la domanda su che cosa ha comprato
Mario, avremo l'interrogativa «wh-» (47), in cui il secondo argomento del verbo
comprareè rappresentato dal pronome interrogativo cosa,posto all'inizio della frase:
(46) è invece una frase complessa, costituita da una principale (Gianniha detto) e da
una dipendente (cheMarioha compratoil giornale).La frase interrogativa corrispon-
dente a (46) è quindi (48):
Anche in (48), il secondo argomento del verbo comprareè rappresentato dal pronome
cosa:quest'ultimo si trova all'inizio della frase principale (cosaha detto Gianm),
mentre il verbo compraresi trova nella frase dipendente (cheMarioha comprato).Si
può notare che, in linea di principio, non c'è limite alla distanza alla quale si possono
trovare, in una frase interrogativa «wh-», il pronome interrogativo e il verbo a cui
esso è collegato. Possiamo, infatti, complicare ulteriormente (48) come (49) e (50),
e si potrebbe continuare:
(49) Cosa ha detto Gianni che Pietro crede che Mario abbia comprato?
(50) Cosa ha detto Gianni che Pietro crede che Luisa pensi che Mario abbia com-
prato?
Ovviamente, è alquanto improbabile che frasi come (49) o (50) siano effettivamente
utilizzate nel nostro discorso quotidiano: esse però si possono costruire, e con un
minimo di attenzione qualunque parlante nativo dell'italiano ne può controllare la
grammaticalità. In altre parole, esse difficilmente ricorreranno nell'esecuzione, ma
appartengono alla competenzadei parlanti italiani (cfr. II.2.3.). Esse possono essere
costruite in base al meccanismo della ricorsività,che, come abbiamo visto in I.2., è
una delle caratteristiche proprie del linguaggio umano. Nel caso delle frasi interro-
gative «wh-», in lingue come l'italiano, questo meccanismo ha il curioso effetto che
abbiamo visto: quello di poter «allontanare indefinitamente» un argomento dal verbo
a cui è collegato.
La teoria sintattica elaborata da oam Chomsky e dai suoi allievi (la cosiddetta «gram-
matica generativa»; v. la nota storico-bibliografica alla fine del capitolo) ha dedicato
particolare attenzione allo studio di questo fenomeno, cercando di descriverlo nel
modo più adeguato e di individuarne le possibili ragioni. Qui ci limiteremo a dare
qualche indicazione solo sulla descrizione del fenomeno, lasciando a studi più avanzati
l'analisi delle sue possibili cause.
Le due nozioni chiave che dobbiamo introdurre sono quelle di movimento e di copia.
L'idea di Chomsky è che i sintagmi che sono interpretati in una posizione della frase
(cosaè interpretato come oggetto del verbo compraree lo dovrebbe quindi seguire)
ma pronunciati in una posizione diversa (in posizione iniziale di frase) sono introdotti
due volte nella derivazione: prima nella posizione cosiddetta di base, dove soddisfano
la valenza del verbo, poi nella posizione cosiddetta di arrivo, dove segnalano la moda-
lità interrogativa della frase. Il legame tra queste due posizioni può essere visto come
un'operazione di movimento: ad esempio il sintagma WH (cfr. VII.3.2.) cosaviene
introdotto come oggetto del verbo compraree quindi collocato dopo di esso, e mosso in
posizione iniziale di frase.
Al di là di questa metafora del movimento, l'idea fondamentale di questo approccio
è che la frase contenga due copie dello stesso elemento, e che entrambe svolgano un
ruolo nell'elaborazione della frase. La circostanza che una delle due copie, quella
188 CAPITOLO7
nella posizione di base, non venga pronunciata è vista come un fatto superficiale ri-
conducibile ad esigenze di economia dello sforzo, per cui parlando si tende ad evitare
le ripetizioni. La presenza di una copia nella posizione di base dell'elemento mosso
viene solitamente rappresentata con il simbolo t, o traccia, come si vede in (49') e (50').
(49') Cosai ha detto Gianni che Pietro crede che Mario abbia comprato t/
(50') Cosai ha detto Gianni che Pietro crede che Luisa pensi che Mario abbia
comprato t/
Nella teoria di Chomsky il simbolo tè ben più che una pura notazione, bensì indica
una precisa 'realtà mentale': la presenza di una copia di un elemento mosso. Non
affronteremo qui i dettagli di questa teoria, che è molto articolata e complessa (per
maggiori informazioni v. ancora la nota in fondo al capitolo). Ci limitiamo a notare
una particolarità del movimento, ossia che esso appare «limitato»: non nel senso che
non possa essere esteso indefinitamente, a livello di competenza (gli esempi come (49)
e (50) mostrano che ciò è possibile), ma nel senso che può trovare degli «ostacoli»
lungo il suo «percorso». Chiariamo questo concetto con qualche esempio. Le due
frasi in (51) hanno più o meno lo stesso significato, e, quello che più ci interessa, sono
entrambe grammaticali:
Tutti gli esempi di frasi dipendenti che abbiamo dato finora riguardavano frasi dipen-
denti che rappresentano degli argomenti del verbo della frase principale. Parliamo
quindi, in questo caso, di frasi dipendenti argomentali.Ricordiamo però che esistono,
oltre agli argomenti, anche i circostanziali: quindi, oltre alle frasi dipendenti argomen-
tali, avremo anche le frasi dipendenti circostanziali Gli esempi in corsivo di (53)-(59)
illustrano ciascuno un tipo di frase circostanziale (il cui nome è indicato tra parentesi).
(53) Quando Gianni è arrivato, Maria era già partita da un pezzo (temporale)
(54) Dato che Gianni è arrivato in ritardo, ce ne siamo andati (causale)
LACOMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI 189
Vi è poi un terzo tipo di frasi dipendenti, oltre a quelle argomentali e a quelle circo-
stanziali, ossia le cosiddette frasi relative,alcuni esempi delle quali sono i seguenti:
(64) Gli studenti che non si sono iscrittiall'appellonon possono sostenere l'esame
(65) Gianni, che non si è iscrittoall'appello,non può sostenere l'esame
Entrambe le frasi sono caratterizzate dal fatto di modificare un sintagma nominale che
le precede (glistudenti in (66a); Gianni in (66b)). In questo senso hanno una funzione
molto simile a quella dell'aggettivo. (64) e (65) hanno tuttavia una funzione un po'
diversa: mentre la relativa in (64) serve a indicare, all'interno dell'insieme degli studenti,
il sottoinsieme di quelli che non si sono iscritti all'appello, (65) non svolge questa
funzione di delimitazione (Gianni, essendo un singolo individuo, non è ulteriormente
delimitabile), ma aggiunge alcune informazioni sul conto di Gianni. Questa differente
funzione dei due tipi di relative fa sì che esse siano chiamate rispettivamente relative
restrittive(il tipo in (64)) e relative appositive (il tipo in (65)).
190 (APITO_L_O_7
_______________ ~--
(67)
~
soggettive
argomentali completive
interrogative
< .. oggettive
norrunali
indirette
restrittive
relative<
appositive
Oltre che dal punto di vista del loro rapporto con la principale, possiamo classificare
le frasi dipendenti anche in base alla loro forma, ossia in esplicite e implicite.Chia-
miamo esplicite le frasi dipendenti che contengono un verbo di modo finito; implicite
quelle che contengono un verbo di modo non finito. Così la parte in corsivo di (68)
è un esempio di frase dipendente esplicita, quella di (69) di dipendente implicita:
Allo stesso modo, (72) e (73) sono esempi, rispettivamente, di una relativa (restrittiva)
esplicita ed implicita:
Quindi le due dimensioni di classificazione delle frasi dipendenti che abbiamo intro-
dotto, la prima in base al loro rapporto con la principale, la seconda in base alla loro
forma, si combinano in tutti i modi possibili.
In VII.3 .1. abbiamo visto che né il soggetto né il predicato possono essere considerati
la testa della frase: infatti, non si può avere (in una frase a struttura predicativa) né un
predicato senza un soggetto, né un soggetto senza un predicato. Questo fatto sembra
opporre nettamente la frase agli altri tipi di gruppi di parole, che sono tutti caratteriz-
zati dal possedere una testa, e sembra anche rendere impossibile ricondurre la frase
allo «schema X-barra», che, come si è visto in VII.2.1., descrive l'analogia di struttura
tra i vari tipi di sintagmi (SN, SV,SA, SP). In effetti, per molto tempo si è pensato che
la frase fosse una categoria priva di testa, o esocentrica,al contrario degli altri tipi di
sintagmi, che sono invece dotati di testa o endocentrici(questa distinzione è la stessa
che si applica ai composti in morfologia; cfr. V.11.3.). Da circa una ventina d'anni,
però, si è cominciato a proporre una struttura endocentrica anche per le frasi. Questo
comporta, naturalmente, l'individuazione di un elemento che possa essere la testa della
frase stessa, e che non può essere, per le ragioni che conosciamo, né il soggetto né il
predicato. Questa analisi richiede non solo di prendere in considerazione il livello
sintattico «concreto», «osservabile», ma di collocarsi a un livello più astratto, come
si è fatto alla fine di V.3.3. discutendo del concetto di «movimento». Aggiungiamo
anche che la struttura di frase che presenteremo qui non è quella dei lavori sintattici
più recenti, ma è ancora quella che si trova nei primi studi che hanno analizzato la frase
come categoria endocentrica. Gli studi più recenti, tuttavia, non hanno contraddetto
questa impostazione iniziale, ma l'hanno semplicemente approfondita ed elaborata.
Essa è quindi ancora un punto di partenza utile.
Tale punto di partenza è che la testa della frase sia la flessione del verbo, cioè, ad
esempio, in una frase come (25) (Giannipasseggia)la terza persona singolare dell'in-
dicativo presente. Ciò può sembrare a prima vista abbastanza strano, perché il verbo
fa parte del predicato, come vedremo ancora in VII.4., e già sappiamo che né il pre-
dicato né il soggetto possono essere la testa della frase. Tuttavia, occorre distinguere
il contenutolessicaledel verbo dalla sua flessione, in quanto sono l'uno indipendente
dall'altra. Il contenuto lessicale di un verbo come passeggiareè che si tratta di un verbo
monovalente (cfr. VII.I.), il cui significato è «camminare lentamente, spec. senza
meta precisa, per divertimento, esercizio fisico o per distrarsi» (definizione tratta dal
dizionario DM).Tale contenuto lessicale è identico per qualunque modo, qualunque
tempo e qualunque persona del verbo passeggiare,e lo stesso vale per tutti gli altri
verbi. Viceversa, la flessione (nel nostro caso, «indicativo presente terza persona
singolare») è identica per qualunque altro tipo di verbo, sia esso monovalente come
nevica, bivalente come ama, o trivalente come dona. Quindi, il contenuto lessicale
192 CAPITOLO7
del verbo è indipendente dalla sua flessione, e la flessione del verbo è indipendente
dal suo contenuto lessicale. Questo suggerisce che in realtà il verbo come categoria
lessicale e testa del SV sia, ad un livello astratto, disgiunto dalla flessione: a tale livello
dunque la flessione è un morfema libero (cfr. V.3.1.), mentre è un morfema legato
(al verbo) solo al livello concreto, osservabile. Il passo immediatamente successivo
è considerare la flessione come la testa della frase; del resto, chi ha familiarità con
grammatiche tradizionali, soprattutto delle lingue classiche, sa che spesso si parla non
solo di verbi, ma anche di/rasi all'indicativo, congiuntivo, ecc., a dimostrazione del
fatto che proprietà come quelle della flessione vengono considerate come non limitate
al verbo, ma come caratterizzanti la frase nella sua totalità.
In base a queste considerazioni, possiamo dare di una frase come Gianni passeggiala
seguente rappresentazione (in cui FLESS = flessione):
(74) FLESS"
~
SN (= N")FLESS'
I
N'
~
FLESS
SV (= V")
I I
N V'
I
V
I
Gianni III Sing. passeggiare
Ind. Pres.
Si può confrontare (74) con (25') e notare le differenze tra le due rappresentazioni.
In (25'), la categoria F è rappresentata come esocentrica: né SN né SV possono
essere infatti considerati la testa. (74) invece segue esattamente lo schema X-barra:
la testa è FLESS, che con il suo complemento, SV, costituisce il primo livello di
proiezione, FLESS'; quest'ultimo, insieme allo specificatore SN, forma l'intero co-
stituente FLESS", che equivale a F di (25). Si noterà che il soggetto è lo specificato re
di FLESS", e il predicato il complemento: ciò è conforme alle nostre precedenti
considerazioni, in base alle quali né il soggetto né il predicato sono la testa della
frase. Notiamo infine che in (74) la testa V di SV è indicata con la forma del verbo
all'infinito (passeggiare),a differenza di quanto accade in (25): questo perché essa
rappresenta il puro contenuto lessicale del verbo, che è separato dalla flessione, al
livello astratto in cui si colloca la rappresentazione (74). Un'operazione di trasfor-
mazione (cfr. VII.3.3.) porterà poi il verbo passeggiaread «amalgamarsi» con i tratti
«terza persona singolare indicativo presente» della testa FLESS, e questo produrrà
la forma osservabile passeggia.
Non tutte le frasi hanno una struttura così semplice come quella rappresentata in (25),
o nel suo equivalente più «formalizzato» (74). Come rappresentare, ad esempio, una
interrogativa «wh-» come (75), o una interrogativa «wh-» segmentata come (76) (per
queste frasi, cfr. VII.3.2-3.):
Inoltre, quale posizione assegnare agli elementi che introducono le frasi dipendenti,
come che o di in (77)-(78) (cfr. VII.3.4.):
LACOMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI 193
(79) COMP"
~
Specifìcatore COMP'
COMP
~FLESS"
~
SN (= N")
FLESS'
FLESS
~SV (=V")
(80)
---------
SN
FLESS"
---------------
FLESS
FLESS'
SV
I
V'
~
V COMP"
I
I~
COMP'
FLESS"
partirà/partire domani
Ind. Pres.
Per brevità, abbiamo «fuso» i due indicatori sintagmatici in uno solo, segnando le
due alternative: la testa COMP può essere realizzata come che oppure come di, e di
1 94 CAPITOLO7
----~---~--
conseguenza il sintagma FLESS" dipendente sarà realizzato come partirà domani (se
la testa COMP è che), oppure come partire domani (se la testa COMP è di). Quindi,
la flessione finita o infinita della frase dipendente dipende dalla scelta del comple-
mentatore: questa è un'ulteriore prova del fatto che la flessione è indipendente dal
contenuto lessicale del verbo, e che è una proprietà dell'intera frase.
La struttura descritta in (79) si estende però anche alle frasi principali. Senza entrare
in dettagli, possiamo dire che i sintagmi «focalizzati», «dislocati a sinistra» e «spo-
stati» (cfr. VII.3 .2-3.) si trovano nella posizione di specificato re del sintagma COMP"
principale. Questa posizione è anche quella in cui vengono «mossi» (cfr. VII.3.3.)
costituenti come quale paese in (52a) e in (75), o cosa in (47)-(50). Può sembrare
strano ipotizzare che anche le frasi principali abbiano un complementatore, nozione
che per il suo stesso nome sembra essere limitata alle frasi dipendenti: tuttavia, in
alcune lingue (ad esempio l'arabo, il persiano, o il polacco) anche determinate frasi
principali sono introdotte da complementatori. La differenza tra tali lingue e le lingue
come l'italiano starebbe dunque nel fatto che in queste ultime il complementatore
della frase principale non ha mai una realizzazione concreta, ma esiste solo al livello
astratto.
4. SOGGETTOE PREDICATO
strano che avessero potuto godere per così lungo tempo di tanta fortuna.
Piuttosto, si tratta di definizioni parziali,perché colgono soltanto alcuni aspetti
dell'organizzazione del linguaggio. Qual è la causa di questa parzialità? Il fatto
che, in realtà, parlando di «soggetto», e, correlativamente, di «predicato», esse
non distinguono i diversi livelli di analisi della frase: potremmo chiamare questi
livelli, rispettivamente, sintattico (o grammaticale), semantico e comunicativo
(altre etichette sono possibili ed usate da altri autori, ma l'importante non è
quali etichette si usano, ma a quali fenomeni ci si riferisce). La definizione di
soggetto che abbiamo proposto qui, ossia «l'argomento che ha obbligatoria-
mente la stessa persona e lo stesso numero del verbo», individua il soggetto
come entità sintattica.La definizione del soggetto come «colui che compie
l'azione» si colloca invece a livello semantico:tra i vari argomenti del verbo,
essa ne individua uno che svolge un particolare ruolo all'interno della frase,
ossia appunto quello di chi compie l'azione. Definire il soggetto come «ciò
di cui si parla» si basa su un'analisi dell'aspetto comunicativodella frase: essa
viene suddivisa in «ciò che è il tema» e «ciò che viene detto a proposito di tale
tema». Alcune volte, le tre nozioni (sintattica, semantica e comunicativa) sono
realizzate dalla stessa entità linguistica; altre volte, no. Per esempio, in Gianni
colpiscePietro,Gianniè, a livello sintattico, l'argomento che si accorda obbli-
gatoriamente col verbo; a livello semantico, indica colui che compie l'azione; a
livello comunicativo, indica colui di cui si parla. Negli altri esempi, la situazione
è diversa: in Gianniteme la guerra,Gianniè, a livello sintattico, il soggetto (in
quanto è l'argomento che si accorda obbligatoriamente col verbo) e a livello
comunicativo indica ciò di cui si parla, ma a livello semantico non indica colui
che compie l'azione (di fatto, non descrivendo questa frase un'azione, non
viene neppure indicato chi la compie). In A Pietropiaccionoi fiori, i fiori è
a livello sintattico il soggetto, ma a livello semantico non indica l'agente e a
livello comunicativo non indica ciò di cui si parla, che è invece Pietro.
Una volta chiariti i diversi livelli di analisi della frase, cioè sintattico, semantico
e comunicativo, è preferibile non continuare ad usare indifferentemente iter-
mini «soggetto» e «predicato», ma usare un'etichetta specifica per indicare tale
funzione a ciascuno dei tre livelli. Più esattamente, è meglio limitarsi ad usare
soggetto e predicato per riferirsi alle nozioni del livello sintattico: a questo
livello, il soggetto è dunque l'argomento che ha obbligatoriamente la stessa
persona e lo stesso numero del verbo. Il predicato è costituito dal verbo più
gli altri argomenti del verbo stesso, ossia dal sintagma verbale. (Naturalmente,
questo criterio di identificazione del soggetto e del predicato vale, formulato
così, solo per le frasi che contengono verbi flessi per persona e numero, cioè
verbi di modo finito; cfr. VII.3.1. È comunque possibile estenderlo in modo
tale da poter riconoscere il soggetto e il predicato anche in altri tipi di frasi.)
A livello semantico, invece di soggetto parleremo di agente, e, invece di pre-
dicato, di azione (nelle frasi come Quel ragazzopicchiaquel signore),oppure,
nelle frasi che non esprimono un'azione (come Gianni teme la guerra),di
stato; in queste ultime frasi, al soggetto sintattico daremo, dal punto di vista
semantico, l'etichetta di esperiente (cioè di chi prova un certo stato d'animo).
LA COMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI 197
5. CATEGORIEFLESSIONALI
Per quanto riguarda la prima persona del plurale, essa può indicare sia i parlanti
che gli ascoltatori, oppure i parlanti ma non gli ascoltatori: nel primo caso si parla
di noi inclusivo,nel secondo di noi esclusivo. Mentre in lingue come l'italiano non
c'è differenza morfologica tra questi due tipi di noi, diverse altre lingue usano due
forme distinte, una per ognuno dei due significati. A questo proposito, un vecchio
aneddoto racconta di un missionario in Africa che, durante una predica che cercava
di tenere nella lingua degli indigeni, diceva una frase come Noi siamo tutti peccatorie
dobbiamoconvertirci,ma sbagliava ed usava la forma del «noi esclusivo», ottenendo
così l'effetto esattamente contrario a quello voluto.
5.2. Caso•
In prima approssimazione, possiamo dire che il caso indica la relazione che un dato
elemento nominale (nome, sintagma nominale o pronome) ha con le altre parole della
frase in cui si trova. L'esistenza di queste relazioni è universale; la loro realizzazione
mediante una categoria flessionale si ha invece soltanto in alcune lingue, ma non in
altre. Ritorniamo ad un esempio dato in V.1. Alla frase italiana (86a) corrisponde
quella latina (866):
Le relazioni tra gli elementi sono le stesse in entrambe le lingue: le due frasi contengono
lo stesso verbo trivalente (dare),il quale ha come primo argomento (il «soggetto») il
ragazzooppure puer, come secondo argomento (l' «oggetto diretto») una rosaoppure
rosam e come terzo argomento (!'«oggetto indiretto» o «complemento di termine»)
a Maria oppure Mariae. Queste relazioni tra verbo e argomenti sono espresse in ita-
liano mediante 1) l'ordine delle parole (il soggetto precede il complemento oggetto,
e questo precede il complemento di termine) e 2) l'uso di un morfema grammaticale
libero (cfr. V.3.1.), la preposizione a, che distingue il terzo dal secondo argomento,
il cui ordine può quindi essere invertito: il ragazzoha dato una Rosa a Maria oppure
il ragazzoha dato a Maria una rosa. In latino, invece, l'ordine delle parole non ha la
funzione di indicare i diversi argomenti: (866) potrebbe essere trasformata in puer
Mariaerosamdedit, oppure Mariaepuer rosamdedit, oppure ancora rosamdedit puer
Mariae, ecc. mantenendo sempre lo stesso significato. Questo è possibile perché in
latino, a differenza che in italiano, la diversa relazione degli argomenti con il verbo è
espressa dalla loro desinenza: se rosam (caso accusativo)invece che oggetto diretto
fosse soggetto, avrebbe la forma rosa (caso nominativo);se fosse oggetto indiretto,
rosae(caso dativo). Se puer fosse oggetto diretto, avrebbe la forma puerum; se fosse
oggetto indiretto, puero.Alcuni studiosi chiamano «casi>>le relazioni tra i vari sintagmi
nominali ed il verbo, indipendentemente dal fatto che esse siano manifestate da una
variazione morfologica della parola, come in latino, oppure con altri mezzi, come in
italiano. Secondo questi studiosi, quindi, tanto il latino quanto l'italiano avrebbero un
caso nominativo, un caso accusativo ed un caso dativo. La differenza tra lingue come
il latino da un lato e come l'italiano dall'altro starebbe solo nel fatto che le prime, ma
non le seconde, danno un'espressione morfologica al caso o, più in breve, hanno casi
morfologici.Altri studiosi preferiscono invece riservare il termine «caso» alle lingue
come il latino, e dire che lingue come l'italiano non hanno la categoria del caso. Qui
non prenderemo posizione per nessuno dei due partiti. Si può comunque osservare
che l'italiano presenta anche un numero limitato di casi morfologici, nel sistema
LACOMBINAZIONEDELLEPAROLE:SINTASSI201
I due sintagmi nominali (87a) e (876) possono essere parafrasati mediante queste frasi:
Come si vede, a ciascuno dei due esempi di sintagmi nominali ((87a) e (876)) corri-
spondono due frasi ((88a) e (886), (88c) e (88d), rispettivamente). In (88a) e (88c)
il nome che nel sintagma nominale era al genitivo è il soggetto, in (886) e (88d) è
l'oggetto diretto: quindi, nel primo caso si parla di genitivo soggettivo, nel secondo
di genitivo oggettivo.
(89) Quando Gianni era già partito da tempo, Piero finalmente arrivò
(90) Quando Piero fu finalmente arrivato, Gianni poté partire
(91) Quando Piero sarà arrivato, Gianni potrà partire
In tutti e tre questi esempi, il verbo della frase dipendente (era partito, fu arrivato,
sarà arrivato) indica un evento anteriore al momento di riferimento, che è quello del
verbo della frase principale (arrivò, poté, potrà). Si noti che (89) e (90) sono frasi ad
un tempo passato e quindi il momento dell'evento e il momento del riferimento sono
anteriori al momento dell'enunciazione; (91), invece, è una frase al tempo futuro e
quindi il momento dell'evento e ilmomento di riferimento sono posteriori al momento
dell'enunciazione. Se volessimo indicare lungo una linea la successione dei tre momenti
per ciascuno dei tre verbi erapartito,/u arrivato, sarà a"ivato di (89)-(91), otterremmo
la seguente rappresentazione (dove E= enunciazione, Ev = evento, R = riferimento):
(89') Ev----------R------------E
(90') Ev----------R ----------E
(91') E-----------Ev----------R
ci permette di distinguere fra tre tempi del passato: l'imperfetto, il passato prossimo
e il passato remoto.
Il termine stesso di «imperfetto» rimanda a qualcosa di non finito, non concluso:
si parla quindi, in questo caso, di aspetto imperfettivo. Passato prossimo e passato
remoto, invece, sono esempi di aspetto perfettivo, cioè «compiuto». Per cogliere
questa differenza, consideriamo queste tre frasi:
(92) a'. L'anno scorso, Gianni scriveva un libro, ma a tutt'oggi non l'ha ancora
finito
b'. *L'anno scorso, Gianni ha scritto un libro, ma a tutt'oggi non l'ha ancora
finito
c'. *L'anno scorso, Gianni scrisse un libro, ma a tutt'oggi non l'ha ancora
finito
Quindi l'imperfetto si distingue dal passato prossimo e dal passato remoto sulla base
dell'opposizione imperfettivo/perfettivo. Questa stessa opposizione, sia pure in un
modo non così netto, distingue anche il trapassato prossimo dal trapassato remoto.
Come si giustifica invece la distinzione tra passato prossimo e passato remoto? Os-
serviamo anzitutto che questa distinzione è presente solo in alcune varietà di italiano,
come la lingua scritta e le varietà toscane. La maggioranza delle varietà settentrionali
(ma non tutte, contrariamente a quanto spesso si dice) usano esclusivamente il passato
prossimo, mentre molte varietà centro-meridionali usano esclusivamente il passato
remoto. Il nostro discorso riguarderà quindi solo le varietà dell'italiano che usano i
due tempi con valori aspettuali diversi.
I termini «prossimo» e «remoto» suggeriscono l'idea di una distanza temporale
minore o, rispettivamente, maggiore, del momento dell'evento rispetto al momento
dell'enunciazione, ma una considerazione un po' attenta ci mostra che non è così. Per
esempio, parlando di una persona che è ancora viva, si dice Gianni è nato nel 1960,
e non Gianni nacque nel 1960: se si dicesse Gianni nacque nel 1960, si suggerirebbe
l'idea che Gianni sia già morto (e infatti è preferibile dire Manzoni nacque nel 1785
piuttosto che Manzoni è nato nel 1785). Invece, dicendo Gianni è partito per il servizio
militare nel 1980, si suggerisce l'idea che Gianni sia ancora militare, il che è perfetta-
mente possibile se Gianni avesse scelto la carriera militare, ma non se Gianni è stato
semplicemente militare di leva; in quest'ultimo caso sarebbe meglio dire Gianni parti'
per il servizio militare nel 1980. Quindi, in termini molto informali, possiamo dire
che il passato prossimo descrive un evento passato i cui effetti sussistono ancora nel
presente; il passato remoto descrive invece un evento passato che non ha più alcun
rapporto con il presente. In termini più formali, si dice che entrambi i tempi sono
perfettivi, ma il passato prossimo è compiuto, mentre il passato remoto è aoristico
(termine, quest'ultimo, tratto dal nome di un tempo del verbo greco e di altre lingue
indoeuropee antiche, che significa 'indefinito', 'indeterminato').
Potremmo definire il modo come l'espressione dell'atteggiamento del parlante rispetto
all'evento descritto dal verbo. Quindi, tra i modi dell'italiano, l'indicativo esprime la
pura e semplice constatazione di un fatto: Gianni parte; il congiuntivo un desiderio o
un augurio: (Se) Gianni partisse';l'imperativo un ordine: Gianni, parti.';il condizionale
204 CAPITOLO7
In una frase come (95) l'uso del futuro sarebbe invece agrammaticale:
(95) *Gianni disse che arriverà alle quattro
Dicendo (96), normalmente, non si vuole intendere che il nostro interlocutore non è
più qui, bensì che è ancora qui, nel momento della mia enunciazione: l'uso del perfetto
eri è dovuto semplicemente alla presenza dell'imperfetto sapevo.In certi casi, l'uso
del tempo passato può essere ambiguo:
(97) può significare tanto che Gianni è ancora malato, quanto che lo era nel passato,
ma ora non lo è più. Nel primo significato, il tempo passato del verbo della frase
dipendente è dovuto a un fenomeno di consecutio;nel secondo indica effettivamente
un evento che si è svolto nel passato (la malattia di Gianni), ma che poi è cessato.
NOTASTORICO-BIBLIOGRAFICA
Alcune nozioni base della sintassi, come quelle di parola e di frase, e il termine stesso sintassi,
risalgono all'antichità greca: già nel II secolo d.C. il grammatico Apollonio Discolo scrive un
trattato intitolato Della sintassi. Lo scopo di questo trattato era essenzialmente di tipo norma-
tivo: esso voleva cioè indicare le combinazioni di parole corrette e distinguerle dai «solecismi»,
cioè dagli errori. Questa concezione normativa caratterizzerà i lavori di sintassi (come, del
resto, tutta la linguistica) per molti secoli successivi. Tra Seicento e Settecento, cominciano a
essere formulate in modo esplicito alcune nozioni ancora non chiaramente presenti negli studi
di sintassi antichi e medievali, come quelle di frase dipendente e di gruppo di parole. Tra gli
ultimi decenni dell'Ottocento e i primi del Novecento vengono elaborate (con termini diversi
a seconda dei vari studiosi) le nozioni di tema e rema, distinte da quelle di soggetto e predicato
in senso sintattico. Intorno alla prima metà del Novecento, il linguista francese Lucien Tesnière
elabora i concetti di valenza verbale, di argomento e di circostanziale [v. Tesnière 1959]. Una
svolta radicale alle ricerche di sintassi è stata data, a partire dagli anni Cinquanta del ove-
cento, da Noam Chomsky, che ha ripreso l'idea di trasformazione originariamente dovuta a
Zellig Harris e ha progressivamente sviluppato la teoria sintattica detta «generativa» (v. nota
al cap. I). Qui di seguito segnaliamo i lavori più importanti di Chomsky dedicati alla sintassi
[1957; 1965; 1975 specialmente il cap. III; 1980, specialmente il cap. IV; 1986, specialmente il
cap. III; 1995].
Come introduzione ai concetti fondamentali della sintassi, v. Graffi [1994] e Donati [2008];
v. anche Frascarelli, Ramaglia e Corpina [2012]. La necessità di distinguere tra le nozioni di
soggetto e predicato, agente e azione, tema e rema è presentata in modo molto chiaro, anche se
con una terminologia in parte diversa da quella adottata qui, in Halliday [1970]. Su questo stesso
argomento e sulla nozione di valenza, v. anche il capitolo I di Renzi, Salvi e Cardinaletti [2001,
vol. I, in particolare i paragrafi 1.1. e 1.2.]. Molte delle osservazioni qui svolte sulle categorie di
genere, numero, persona, caso, tempo e modo si basano sulla classica trattazione di Jespersen
[1924; capp. XIII-XVII, XIX-XXI, XXIII]. Sul tempo verbale, v. Renzi, Salvi e Cardinaletti
[2001, vol. II, cap. I, paragrafi 1.1. e 1.2.].
206 CAPITOLO7
DOMANDE
1. Che cos'è un «argomento» e che cos'è un «circostanziale»? Quali sono i criteri per distin-
guerli?
2. Come si classificano i verbi in base alle valenze?
3. Quali sono i criteri per l'individuazione dei costituenti?
4. Cos'è una «struttura predicativa»? Tutte le frasi sono strutture predicative? Tutte le strutture
predicative hanno «senso compiuto»?
5. In base a quali punti di vista possono essere classificate le frasi?
6. Quali sono le relazioni sistematiche tra frasi interrogative «wh-» e frasi dichiarative corri-
spondenti?
7. Come si possono classificare le frasi dipendenti?
8. Cosa si intende, rispettivamente, con «soggetto» e «predicato», «agente» e «azione», «tema»
e «rema»?
9. Cosa si intende con «accordo» e cosa con «reggenza»?
10. Quali sono i rapporti tra categorie linguistiche di «genere», «numero» e «tempo gramma-
ticale» e le corrispondenti categorie della realtà extralinguistica? Questa corrispondenza è
esatta? Se no, perché?
CAPITOLO 8
Il significato
e l'usodelleparole
e dellefrasi:
semanticae pragmatica
INTRODUZIONE
Finora abbiamo trattato gli aspetti per così dire «interni» della struttura
del linguaggio, cioè i suoni linguistici, la struttura delle parole e la loro
combinazione in gruppi e in frasi. Ma è chiaro che il linguaggio umano ha
anche un aspetto «esterno», ed anzi è proprio quest'ultimo aspetto quello
che maggiormente salta agli occhi di ciascuno di noi: il linguaggio si riferisce
al mondo e ci permette di comunicarci reciprocamente le nostre visioni del
mondo. Altrimenti detto, le espressioni del nostro linguaggio hanno signifi-
cato e vengono usate per comunicare questi significati da un parlante ad un
ascoltatore. Allo studio del significato delle espressioni linguistiche si dà il
nome di semantica (da una radice greca che vuol dire 'segnalare', 'indicare');
allo studio del loro uso si dà il nome di pragmatica (da un'altra radice greca
che significa 'fare', 'agire').
Ma che cosa vuol dire che «le espressioni del nostro linguaggio hanno un si-
gnificato»? Apparentemente, una cosa molto semplice: per esempio, la parola
gatto indica la specie animale dei gatti, oppure la frase Ieri sono partito per
Roma indica che nel giorno precedente a quello in cui io sto parlando sono
partito per Roma. Quindi, potremmo dire che il significato di una parola o
di una frase è il «segmento di realtà» cui la parola o la frase in questione si
208 CAPITOLO8
I. SIGNIFICATO,
DENOTAZIONE
E RIFERIMENTO
2. SEMANTICA
LESSICALE
2.1. Ambiguità del significato: omonimia e polisemia
In diversi casi la polisemia di un termine può anche non essere esplicitamente regi-
strata all'interno di un dizionario. Questo accade quando i significati che il termine in
questione può assumere sono molto vicini l'uno all'altro, ma sono comunque diversi.
Questa diversità è causata dalle diverse combinazioni sintattiche in cui alcune classi
di parole possono ricorrere. Un caso di questo tipo di polisemia è illustrato da due
frasi come le seguenti:
(3) Gianni si è dimenticato che aveva chiuso la porta e allora, visto che non aveva
con sé le chiavi, ha dovuto sfondarla
(4) ??Giannisi è dimenticato di chiudere la porta e allora, visto che aveva dimen-
ticato anche le chiavi, ha dovuto sfondarla
Sulla base di (5), noi concludiamo che le uova esistevano anche prima che Gianni le
cuocesse, e che quindi l'azione di Gianni ha avuto come effetto solo un «cambiamento
di stato» delle stesse uova; la frase (6) ci trasmette invece l'informazione che Gianni,
cuocendo, ha «prodotto» qualcosa di nuovo. In altre parole, le uova esistevano indi-
pendentemente dal cucinare di Gianni, mentre la frittata esiste solo perché Gianni
l'ha cotta.
Esistono poi alcune parole che assumono un numero indefinito di significati diversi
a seconda dei differenti contesti in cui possono ricorrere, tanto che alcuni hanno de-
finito questo fenomeno «creatività del significato». Esempi tipici di parole di questo
genere sono gli aggettivi che indicano qualità, come buono, rapido,ecc.: il significato
di buono non è identico in sintagmi come buon ragazzo,buon pianista,buon pane,
buon libro, buon negozio,ecc. Nel caso di buon ragazzo,l'aggettivo buono indica
che il ragazzo è particolarmente gentile, premuroso, ecc.; un buon pianista, invece,
può essere benissimo scortese, egoista, ecc., ma è un buon pianista perché è bravo a
suonare il pianoforte; un buon pane non ha né le qualità morali del buon ragazzo né
quelle artistiche del buon pianista, ma è piacevole da mangiare (informazione, questa,
che non ci è suggerita né da buon ragazzoné da buon pianista,a meno che non siamo
in una società di antropofagi); un buon libro, invece, non è piacevole da mangiare e
neppure da leggere, o almeno non necessariamente, ma contiene informazioni utili,
edificanti, ecc.; un buon negozio, infine, è quello in cui troviamo ciò che cerchiamo
E PRAGMATICA21 5
SEMANTICA
a prezzo conveniente. La polisemia dell'aggettivo buono sta quindi nel fatto che
esso indica, genericamente, una «qualità positiva» del nome con cui si combina: la
natura precisa di tale qualità è determinata dalle proprietà del nome stesso. Quindi,
se il nome è ragazzo,che indica un essere umano, e perciò dotato di qualità morali,
buono dà una valutazione positiva di tali qualità; se il nome è pianista, che indica un
suonatore di strumento, che può essere più o meno abile, l'aggettivo buono indicherà
una valutazione positiva di tali abilità; e così via.
Come uno stesso lessema può avere più significati, così più lessemi diversi
possono avere lo stesso significato: in questo caso la relazione tra tali les-
semi è detta di sinonimia. Ad esempio, manchee smazzatasono sinonimi di
manonel senso di «turno di gioco»; sovente e frequentementesono sinonimi
dell'avverbio spesso.Il fenomeno opposto alla sinonimia è l'antonimia, cioè
l'espressione di due significati opposti da parte di due lessemi: biancorispetto
a nero,caldorispetto a freddo, sposatorispetto a scapolo.Come si può vedere
facilmente, le prime due coppie di opposti sono diverse rispetto alla terza, in
quanto esse ammettono l'esistenza di entità intermedie, mentre per la terza
non è così. Tra biancoe nero,infatti, può stare grigio,come tra caldoe/reddo
può stare tiepido,mentre non c'è via di mezzo tra l'essere sposati e l'essere
scapoli. Si dice quindi, più esattamente, che le relazioni antonimiche del
primo tipo (biancoe nero,caldoe freddo) sono esempi di significati contrari,
mentre quelle del secondo (scapoloe sposato,oppure veroe falso)sono esempi
216 CAPITOLO8
-~--------~
Nella seconda metà del Novecento alcune teorie linguistiche hanno cercato di rappre-
sentare in modo esplicito le relazioni di significato come quelle che abbiamo appena
descritto (sinonimia, antonimia, iponimia, iperonimia, ecc.) mediante un sistema di
simboli che faceva uso della nozione di trattosemantico,modellata su quella di tratto
distintivodella fonologia (cfr. IV.6.). Così, come ad esempio si dice che un determi-
nato fonema è caratterizzato dal tratto [±sonoro], si può dire che un dato lessema è
caratterizzato dal tratto [±animato]. Quindi, la sinonimia tra due lessemi potrebbe
essere spiegata dicendo che essi condividono gli stessi tratti, e l'antonimia dicendo che
due lessemi hanno valori opposti rispetto allo stesso tratto. Analogamente, l'iponimia
e l'iperonimia potrebbero essere descritte in termini di condivisione di alcuni tratti
e dell'aggiunta o della mancanza di certi altri: uccello contiene più tratti semantici di
animale, e airone più tratti semantici di uccello.
L'analisi in tratti semantici non è stata coronata dallo stesso successo di quella in
tratti fonologici, per diversi motivi, tra i quali: 1) mentre per quanto riguarda la
fonologia, è chiarissima la differenza tra i fonemi e i tratti di cui essi sono costituiti
(così, ad esempio, un fonema come /si è [-sonoro], [+continuo] e uno come /z/ è
[+sonoro], [+continuo]), i tratti semantici sono sempre identici ai les emi (animale
è sia un lessema, sia un tratto semantico posseduto da un lessema come uccello). I
fautori dell'analisi in tratti semantici, naturalmente, hanno sempre insistito sul fatto
che, anche se si usa un lessema per indicare un tratto semantico, le due nozioni de-
vono essere tenute ben distinte: di fatto, tuttavia, questa distinzione non è sempre
trasparente. 2) Un secondo insuccesso dell'applicazione dell'analisi in tratti alla
semantica, rispetto alla fonologia, è che, mentre in quest'ultimo caso si è riusciti a
proporre un inventario di tratti assai basso (dodici o pochi di più) e comunque/i'nito,
per la semantica non si è mai arrivati a niente di neppure lontanamente comparabile:
nessun linguista è riuscito a proporre un inventario finito di tratti semantici, in grado
di rendere conto dei significati di un numero indefinito di parole in un numero in-
definito di lingue.
Tuttavia, questi insuccessi non devono fare necessariamente concludere che ogni
tentativo di individuare un inventario finito di tratti semantici, presumibilmente
comuni a tutte le lingue del mondo, debba essere considerato privo di senso. Di
fatto, lo studio del!' acquisizione del linguaggio da parte del bambino spinge proprio
in questa direzione. È stato calcolato che, dal momento in cui il linguaggio comincia
a svilupparsi in età infantile, si acquisiscono in media dieci nuove parole al giorno,
in modo che un diciottenne con un livello medio di istruzione conosce all'incirca
60.000 parole. Se l'acquisizione delle parole si basasse sui meccanismi generali di
E PRAGMATICA217
SEMANTICA
3. SEMANTICA
FRASALE
Veniamo però ora ad alcuni dei moltissimi casi in cui il principio di compo-
sizionalità funziona: questo ci permetterà anche di analizzare il significato di
alcuni tipi di parole che non abbiamo trattato in Vlll.2., e non a caso, ma
perché in quel contesto sarebbe stato difficile analizzarle. Ci stiamo riferendo
alle parole come e, o oppure se: come è intuitivo, il loro significato è di tipo
diverso da quello di nomi come vite o animale,o di verbi come leggere,o di
aggettivi come biancoe nero, o di avverbi come spesso,e così via. e, o, se e
parole analoghe sono, come la tradizionale teoria delle parti del discorso ci
insegna, delle congiunzioni, cioè combinano parole o frasi; in quest'ultimo
caso, producono delle frasi complesse (cfr. Vll.3 .2.), e sono quindi dette, nella
terminologia logica, connettivi proposizionali (o frasali; cfr. VII.3.1.). Una
frase semplice è vera o è falsa; il significato dei connettivi frasali è illustrato
dall'effetto che essi hanno sulla verità o la falsità delle frasi complesse che
contribuiscono a formare. Quindi, ad esempio, una frase come (7) è certamente
falsa, e una frase come (8) è certamente vera:
Oltre alle tautologie e alle contraddizioni, anche altri tipi di frasi possono
essere giudicati veri o falsi su base puramente linguistica. Esempi di questo
genere sono le frasi seguenti:
È chiaro che (13) e (14), essendo in contraddizione l'una con l'altra, non
possono essere entrambe vere. Tuttavia, si potrebbe dire che sono entrambe
false, in quanto non esiste attualmente nessun re di Francia. Questa analisi è
stata proposta, in passato, da alcuni studiosi, ma ad essa è stata preferita un' a-
nalisi diversa, quella cioè che dice che tanto (13) quanto (14) presuppongono
entrambe la verità di (15):
Le frasi (16) e (17) sono linguisticamente vere, mentre (18) è linguisticamente falsa.
Per stabilire la verità di (19), dobbiamo invece fare entrare in gioco la nostra cono-
scenza dei fatti:
(20) Se qualche studente non ha superato l'esame, allora ogni studente ha superato
l'esame
(21) Se qualche studente non ha superato l'esame, allora ogni studente non ha
superato l'esame
(20) è falsa, su basi puramente linguistiche, come dovrebbe essere facile vedere. Si
potrebbe pensare che lo stesso valga di (21), ma in realtà non è così: il fatto che qualche
studente non abbia superato l'esame non è in contraddizione col fatto che ogni studente
non l'abbia superato (ossia, detto in modo più semplice, che nessuno studente l'abbia
superato). Torniamo ora a (19): enunciandola, io direi senz'altro la verità anche se
ogni studente, e non solo qualcuno tra gli studenti, avesse superato l'esame. Tuttavia,
questo sarebbe un modo abbastanza curioso di esprimersi: normalmente, enunciare
una frase come (19) significa voler comunicare che qualche studente non ha superato
l'esame, mentre qualche altro studente l'ha superato. Questo è uno dei tipici casi in
cui l'uso del linguaggio naturale restringe, di fatto, il numero delle interpretazioni che
di una data frase sono possibili in base alla sua struttura puramente linguistica, cioè
un caso in cui la pragmatica viene a completare la semantica. Torneremo su questo
argomento in VIII.5.
Ritornando ora all'aspetto puramente semantico dei quantificatori, notiamo alcuni
effetti che la presenza di due di essi ha sull'interpretazione della frase, partendo da
un esempio come (22):
(22) può avere due significati: il primo è che ogni ragazzo ama una ragazza diversa
(quindi Gianni ama Maria, Pietro ama Paola, Carlo ama Eva, ecc.), oppure che c'è
una ragazza determinata (per esempio Maria) che è amata da ogni ragazzo (Gianni,
Pietro, Carlo, ecc.). Naturalmente, sarà la situazione in cui una frase come (22) è
enunciata a risolvere l'ambiguità; dal punto di vista linguistico, tuttavia, entrambe le
interpretazioni sono possibili.
Quando in una frase ricorrono, oltre a un quantificatore, anche dei pronomi per-
sonali o delle espressioni analoghe a questi ultimi, si possono avere ulteriori effetti
SEMANTICAE PRAGMATICA221
Questa frase può significare tanto che ogni ragazzo ama una ragazza differente (come
nel primo significato di (22), Gianni ama Maria, Pietro ama Paola, Carlo ama Eva, ecc.),
oppure che ogni ragazzo ama la ragazza di un ragazzo determinato (quindi, Gianni,
Pietro, Carlo, ecc. amano tutti la ragazza di Antonio). el primo caso, si dice che il
possessivo sua è legato dal quantificatore ogni, mentre nel secondo caso si dice che il
possessivo è libero. otiamo ancora che, nella frase passiva corrispondente a (23), è
molto difficile interpretare sua come legato (quindi l'unico significato possibile è che
la ragazza di Antonio sia amata da Gianni, Pietro, Carlo, ecc.):
Come si vede, la differenza essenziale tra (23) e (24) è che nella prima il quantificatore
ogni precede il possessivo sua, mentre nella seconda sua precede ogni. In termini
tecnici, il possessivo è dentro la portata del quantificatore in (23), ma non in (24):
perché un pronome o un elemento analogo possa essere interpretato come legato da
un quantificatore, è necessario che esso sia nella portata del quantificatore stesso.
La proprietà dei pronomi e delle espressioni analoghe, come i possessivi, di essere
legati oppure liberi caratterizza in generale questa classe di parole, quindi non è
necessariamente connessa alla presenza di un quantificatore. Anche in questo caso,
i significati possibili delle frasi sono determinabili su base puramente linguistica; nel
caso in cui una frase sia ambigua, cioè possa avere più di un significato, sarà come
sempre la situazione in cui essa è utilizzata a far scegliere l'interpretazione pertinente.
Consideriamo, ad esempio, una frase come (25):
Il pronome lo può riferirsi sia a Gianni, sia a un altro individuo (per esempio, Antonio)
che Gianni dice che è stato ingannato da Francesco. Nel primo caso, si dice che lo è
legato da Gianni;nel secondo caso, che è libero. Notiamo che un'altra interpretazione
non è possibile, ossia quella in cui lo si riferirebbe a Francesco: la nostra intuizione di
parlanti dell'italiano la esclude. Viceversa, questa nostra stessa intuizione ci dice che
in una frase come (26) il pronome se stessopuò riferirsi soltanto a Francesco (quindi
né a Gianni né a un altro individuo):
Quali sono le differenze tra (25) e (26)? Entrambe sono frasi complesse, formate da
una principale e da una dipendente (cfr. VII.3.2.). Tuttavia, i pronomi che le due frasi
contengono appartengono a due categorie diverse: lo è un pronome personale, se stesso
un pronome riflessivo. Possiamo quindi ipotizzare questa regolarità: un pronome
personale non può essere legato entro la frase semplice in cui si trova (quindi lo in
(25) non può essere legato da Francesco),mentre un pronome riflessivo deve essere
legato entro la frase semplice in cui si trova (quindi se stessoin (26) deve essere legato
da Francesco).Vediamo qualche altro esempio di questa regolarità:
4. GLIAID LINGUISTICI
4.1. Tipi di atti linguistici
4.2. I performativi•
Un tipo particolare di atti illocutori sono quelli contenenti i cosiddetti verbi perfor-
mativi. Essi sono esemplificati da frasi come le seguenti:
5. USO LETTERALE
E USO NON LETTERALE
DELLEESPRESSIONILINGUISTICHE
Nel paragrafo precedente abbiamo dunque visto come una caratteristica del
linguaggio naturale sia quella di poter essere usato non letteralmente, di dire
qualcosa «di diverso» e «di più» di quanto le sue espressioni non significhino.
Un caso tipico di uso non letterale del linguaggio è infatti quello degli atti
linguistici indiretti, ma vi sono diversi altri casi. Com'è possibile che la comu-
nicazione riesca ad avvenire ugualmente, nonostante in molti casi i parlanti
non usino le espressioni della lingua nel loro senso letterale? Le risposte più
soddisfacenti a questa domanda sono venute finora da un filosofo inglese,
Paul Grice, che ha mostrato come gli scambi comunicativi siano guidati da
quella che egli ha chiamato la «logica della conversazione».
Secondo Grice, la conversazione è regolata da massime, che egli raggruppa in
quattro categorie: quantità, qualità, relazione e modalità, che suonano come
«raccomandazioni» date al parlante. La massima della quantità dice: «fornisci
l'informazione necessaria, ossia né troppa né troppo poca». La massima della
qualità dice: «sii veritiero, in base alle prove in tuo possesso». La massima
della relazione dice: «sii pertinente» (ossia fornisci soltanto informazioni
pertinenti alla conversazione che stai svolgendo). La massima della modalità
dice: «evita oscurità e ambiguità; sii breve ed ordinato». I partecipanti alla
conversazione, tacitamente e inconsciamente, si comportano seguendo queste
massime, sia come parlanti sia come ascoltatori. A volte, però, i partecipanti
a una conversazione sembrano violare alcune di queste massime: in qualche
caso, questa violazione è reale, e allora la comunicazione corre il rischio di
fallire; altre volte, invece, la violazione è solo apparente, perché il parlante
non ha usato le espressioni nel loro significato letterale, bensì ha voluto tra-
smettere un altro significato. In quest'ultimo caso, dice Grice, si realizza una
implicatura conversazionale.
Il termine implicatura è stato scelto per distinguerlo da quello di implicazione,
che è un termine della logica. Non sempre, infatti, le implicature della nostra
conversazione nel linguaggio naturale corrispondono a quelle che i logici
definiscono, in senso tecnico, implicazioni. Del resto, l'analisi delle frasi del
linguaggio naturale compiuta in base ali'analisi puramente logica di espressioni
come e, o, e i vari tipi di quantificatori, spesso non rende ragione in modo
soddisfacente delle nostre intuizioni semantiche. Consideriamo l'esempio
(19), ossia la frase Qualchestudenteha superatol'esame.Da un punto di vista
puramente logico essa non implica che qualche studente non abbia superato
SEMANTICAE PRAGMATICA225
l'esame: è cioè vera anche se tutti glistudenti hanno superato l'esame. Tuttavia,
se io enuncio (19), la conclusione più semplice che il mio interlocutore ne
trae è che qualche studente ha superato l'esame, ma qualche altro studente
non l'ha superato. Questa è appunto un'implicatura nel senso della «logica
della conversazione», ma non è un'implicazione nel senso della logica formale.
Come opera, quindi, la logica della conversazione, quando io enuncio una
frase come Qualche studente ha superato l'esame? In questo caso, entra in
gioco la massima della quantità, cioè si presume che io abbia fornito tutta
l'informazione necessaria. Se dunque io so che in realtà tutti gli studenti
hanno superato l'esame, e ciononostante dicessi che qualche studente l'ha
superato, violerei tale massima: non fornirei l'informazione necessaria. Ma il
mio interlocutore assume che io parli seguendo le massime: quindi trae dal
mio discorso l'implicatura che qualche studente non ha superato l'esame. Si
badi bene: da un punto di vista puramente formale io dico la verità, quindi
non sto violando nessuna regola logica, ma sto violando una massima dello
scambio comunicativo. In altre parole, dal punto di vista semantico sto di-
cendo il vero, ma dal punto di vista pragmatico mi sto comportando in modo
inappropriato. Ma, come abbiamo visto all'inizio di questo capitolo, l'aspetto
pragmatico è essenziale nelle lingue naturali.
Veniamo ora a qualche altro caso di implicatura, e precisamente a quelli che
chiaramente manifestano un uso non letterale del linguaggio. Supponiamo che
il mio amico Gianni, di cui mi fidavo moltissimo, mi abbia giocato un brutto
tiro; parlando della faccenda con una terza persona, che sa come stanno le
cose, dico, riferendomi a Gianni: Ah, Gianni è davvero un amico!. In questo
caso, io ho violato palesemente la massima della qualità, perché non sono
stato veritiero; tuttavia, la conversazione funziona perfettamente, perché io
ho trasmesso l'implicatura che ciò che dico non va inteso nel suo significato
letterale, ma nel suo esatto contrario, cioè che Gianni è un falso amico. Ancora:
se io ho ricevuto una serie di buone notizie, ma l'ultima è particolarmente
buona (oppure, ho ricevuto una serie di cattive notizie, e l'ultima è partico-
larmente cattiva), posso esclamare: Questa è la ciliegina sulla torta!. Anche
in questo caso, owiamente, non sono veritiero, ma trasmetto l'implicatura
conversazionale che l'ultima notizia che ho ricevuto è della natura di tutte le
altre precedenti, ma nella sua particolarità si può dire che le completa, come
la ciliegina completa la torta.
Il lettore informato si accorgerà che questi due ultimi esempi sono casi di
uso retorico, o figurato,del linguaggio: nel primo caso la figura in questione
è quella dell'ironia, nel secondo è quella della metafora. Ma come abbiamo
già visto in VIII.2.3 ., gli usi retorici costituiscono una componente essenziale
anche dell'uso ordinario del nostro linguaggio.
226 CAPITOLO8
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
Il termine semantica in senso linguistico è di origine relativamente recente: esso fu infatti co-
niato dal linguista francese Miche! Bréal (1832-1915), v. Bréal [1897]. La trattazione di temi
semantici è comunque molto più antica, soprattutto nell'ambito della riflessione filosofica sul
linguaggio: da questo punto di vista, si può dire che la semantica incomincia già con (almeno)
Aristotele. Gli studi semantici dei linguisti e quelli dei filosofi hanno per lo più proceduto
in modo parallelo, spesso addirittura ignorandosi a vicenda, tanto che a volte si parla di una
semantica «linguistica» contrapposta ad una semantica «filosofica». In realtà, questa opposi-
zione è infondata: tanto gli studi di matrice linguistica quanto quelli di matrice filosofica hanno
contribuito a cogliere proprietà importanti del linguaggio naturale. Se una distinzione si può
tracciare, si può forse dire (ma con molta approssimazione) che la semantica lessicale ha attratto
maggiormente l'attenzione dei linguisti, e quella frasale l'attenzione dei filosofi, ma dovrebbe
essere evidente che, in linea di principio, nessuno di questi due aspetti può essere trascurato a
scapito dell'altro.
La distinzione tra significato e riferimento risale a un saggio [Frege 1892] del logico tedesco
Gottlob Frege (1848-1925), che può essere a buon diritto considerato l'inizio della riflessione
logica e filosofica sulla semantica nell'epoca contemporanea. Altri lavori fondamentali in
quest'area di ricerca sono Wittgenstein [1922], Tarski [1935] e Carnap [1947]. Questi studiosi
partivano dall'analisi del linguaggio naturale, ma il loro interesse fondamentale era rivolto
alla definizione delle proprietà dei linguaggi della logica; qualche decennio più tardi, Richard
Montague (1932-1971) si pose invece lo scopo esplicito di analizzare il linguaggio naturale con
gli strumenti elaborati per lo studio dei linguaggi logici [v. soprattutto Montague 1974]. Per
un'accurata presentazione di tutti questi studiosi e delle problematiche da essi affrontate, si
veda Casalegno [1997].
L'inventore del termine pragmatica è considerato il filosofo americano Charles Morris (1901-
1979) [v. Morris 1938; 1946]. Il concetto di atto linguistico fu introdotto dal filosofo inglese
John L. Austin (1911-1960), in un ciclo di conferenze pubblicate postume [Austin 1962]; la
tematica degli atti linguistici è stata successivamente sviluppata dall'americano John R. Searle
[1969]. I lavori di Paul Grice sulla «logica della conversazione» hanno cominciato ad apparire
negli anni Settanta e sono stati successivamente raccolti in Grice [1989].
Tra le introduzioni alla semantica, v. Lyons [1977], Chierchia e McConnell-Ginet [1991], Chier-
chia [1997] e Delfitto e Zamparelli [2009]. Tra le introduzioni alla pragmatica disponibili in
italiano, segnaliamo Levinson [1983], Bianchi [2003] e Caffi [2009].
DOMANDE
INTRODUZIONE
Come si è già visto nel capitolo II, una lingua non è un blocco monolitico:
è stratificata sia verticalmente che orizzontalmente. La stratificazione verti-
cale (o diastratica) riguarda le variabili legate alla stratificazione sociale. La
stratificazione orizzontale (o diatopica) riguarda le differenze dialettali. Con
queste dimensioni di variazione linguistica spesso se ne intrecciano altre due:
il livello di formalità, che riguarda il grado di accuratezza e di controllo con
cui si parla (variazione diafasica), e le variazioni dipendenti dal mezzo usato
per comunicare: scritto, inviato per e-mail, telefonato, parlato, ecc. (varia-
zione diamesica). È la sociolinguistica che ha affrontato queste tematiche
capovolgendo alcuni punti di vista della linguistica teorica, come vedremo
nel paragrafo seguente.
1. LINGUISTICA
TEORICAE SOCIOLINGUISTICA
2. SOCIOLINGUISTICA
È vero però che gli studi di sociolinguistica sono stati in gran parte basati su
fatti fonetico-fonologici. Un po' si è lavorato anche sulla morfologia e molto
poco sugli altri livelli. In quello che segue, esporremo a grandi linee il lavoro
che ha gettato le basi di tutta la sociolinguistica contemporanea più feconda.
Il «campo» di studio è l'isola di Martha's Vineyard (nota sia ai lettori di Moby Dick
come «il Vigneto»nella traduzione italiana di Cesare Pavese,sia ai lettori di cronache
mondane, essendo l'isola luogo di villeggiaturadi vip americani).
L'isola,nel 1962,era abitata oltre che da pescatori anglofoni,da immigrati portoghesi
e indiani (6.000abitanti). I continentali, con la loro presenza vacanziera(42.000)de-
terminavano uno stravolgimentodell'economia dell'isola spingendola forzosamente
verso un'economia di tipo turistico.
Il fenomeno osservato (inconsapevoleper la maggioranza dei parlanti) è stato chia-
mato centra/iv.azione di [a]. Questo fenomeno riguarda la pronuncia «centralizzata»
232 CAPITOLO 9
di /a/, cioè invece di [haus] house si cominciava a sentire sull'isola una pronuncia
come [haus]. Foneticamente, questo fenomeno si può rappresentare molto bene su
un triangolo vocalico:
(3)
[a] viene realizzata più verso il «centro» del triangolo vocalico, nella direzione di
[a]. Si noti che la pronuncia [haus] o [haus] può essere considerata un tipico caso
di variazione libera: se si sostituisce il suono [a] col suono [a] non si ottengono due
parole con due significati diversi: sono due modi diversi di dire la stessa cosa.
Ora, le lingue esibiscono variazioni continue. Gran parte di queste finiscono nel nulla,
solo alcune acquisiscono un «senso» e hanno quindi diffusione. In questo secondo
caso, alcune di queste variazioni diventano una variabile.Una variabile è dunque una
variazione cui si può attribuire un significato (sociale). Identificare le variabili non
è facile: esse debbono essere a) frequenti (devono occorrere anche nel linguaggio
spontaneo), 6) strutturali(integrate nel sistema), c) stratificate(distribuzione asim-
metrica negli strati sociali).
Registrata dunque la variazione [haus]/[haus], si tratta di stabilire se è una variazione
occasionale o se è una variabile e qual è ilsuo significato.Allo scopo, fu somministrato un
questionario ad un campione di parlanti (69 su 6.000) e furono effettuate registrazioni.
Tali registrazioni sono una parte molto delicata di tutta la ricerca perché si trattava di
ottenere campioni di linguaggio «spontaneo» in una situazione di intervista formale
(situazione che spesso fa adottare da parte dell'intervistato registri stilistici «alti» e
controllati). Le registrazioni si rendevano altresì necessarie non solo perché ilfenomeno
della centralizzazione era al di sotto della soglia di consapevolezza ma anche perché i giu-
dizi dei parlanti relativamente ai propri comportamenti linguistici non sono affidabili.
La batteria di test somministrati era molto complessa e comprendeva domande sul
lessico, giudizi di valore sulla vita sull'isola, lettura di brani e tentativi di provocare
campioni di linguaggio spontaneo. Per esempio, ai pescatori - che si trovano spesso
in situazioni rischiose - veniva chiesto se avevano mai corso pericolo di vita. Questa
domanda provocava racconti molto concitati che potevano essere ritenuti molto
vicini al linguaggio spontaneo (alcune «spie» esterne, come l'aumento della velocità
di respirazione, risate nervose, ecc., sembravano confermare la spontaneità di questi
brani di parlato). Il questionario fu sottoposto, come s'è detto, a diversi gruppi sociali
(addetti alla pesca, all'agricoltura, al commercio, professionisti, casalinghe, studenti)
ed ai diversi gruppi etnici presenti sull'isola (anglofoni, portoghesi, indiani).
Si consideri ora il triangolo in (3) e si focalizzi lo «spazio fonetico» tra [a] e [a].
Anzi lo si «ingrandisca» e si attribuisca ad ogni segmento di questo spazio un valore
numerico, come qui sotto:
(4) a 5
4
3
2
1
a 0
Ogni parlante può realizzare la /a/ più o meno «centralizzata»: se dice [a] la centra-
lizzazione è zero, se dice [a] la centralizzazione è 5. Dato che la distanza fonetica tra
SOCIOLINGUISTICA
E DIALITTOLOGIA 233
[a] e [a] non è molto grande - almeno per l'orecchio umano - si è semplificato nel
modo seguente:
Per quel che riguarda la centralizzazione di [a] nel dittongo [aj] (ma lo stesso
discorso vale anche per [a] in [aw]), si constatò che una [t] seguente favorisce la
centralizzazione, così come la favoriscono i suoni [h], [I], [r] seguenti, un suono [k]
seguente sembra essere piuttosto neutrale, mentre un suono come [m] sfavorisce la
centralizzazione. Quindi, in parole come right,light ci si aspetta molta centralizzazione
(pronunciate cioè [rajt, lajt]).
Si ricordi che solo quando viene assegnato un significato sociale alle variazioni lingui-
stiche tali variazioni iniziano ad essere imitate (o evitate) e a svolgere un certo ruolo
nella lingua. Si ricordi ancora che non tutte le variazioni hanno significato sociale. Si
noti infine che questo metodo consente di definire il grado di «centralizzazione» di
ogni individuo intervistato. È dunque possibile definire anche il grado di centraliz-
zazione di un gruppo sociale, dei maschi rispetto alle femmine, dei giovani rispetto
agli anziani, dei pescatori rispetto agli impiegati, ecc.
I dati (incrociati) mostrarono senza ombra di dubbio che i «portatori» del massimo
grado di centralizzazione erano i «pescatori» «maschi» di circa «35 anni». Questo
gruppo di persone condivideva un giudizio di valore positivo nei confronti dell'isola
(a 35 anni in genere i pescatori intervistati non ritenevano di dover cambiare vita, si
identificavano con i valori dell'isola e li volevano difendere). In più questo gruppo
esprimeva anche una forte avversione alle incursioni estive degli yankees e alla sem-
pre più marcata dipendenza dell'isola da un'economia del turismo. Ecco dunque il
«significato» della centralizzazione: identificazione del gruppo dei «nativi» dell'isola
ed avversione agli «estranei». Una tabella relativa al comportamento dei vari gruppi
etnici presenti sull'isola è la seguente (i dati numerici esprimono il grado di centra-
lizzazione di ogni gruppo):
(7) inglesi portoghesi indiani
età [aj] [aw] [aj] [aw] [aj] [aw]
oltre i 60 36 34 26 26 32 40
46-60 85 63 37 59 71 100
31-45 108 109 73 83 80 133
sotto i 30 35 31 34 52 47 88
tutte le età 67 60 42 54 56 90
234 CAPITOLO9
rivolgerà con il Lei, ai propri compagni di studio con il Tu. Se questo/a stu-
dente/essa fosse pugliese e vivesse in una città del nord, dovrebbe ridefinire la
norma che in Puglia rende del tutto accettabile un saluto come Ciaosignora,
dato che il saluto ciao al nord implica il tu e l'appellativo signoraimplica il
Lei. Se questo/a studente/essa poi entra in contatto con studenti stranieri che
non conoscono perfettamente l'italiano, cercherà di semplificare la propria
lingua in modo da farsi capire (ed è accertato che i modi di semplificazione
di una lingua sono piuttosto sistematici e non casuali).
La competenza comunicativa va oltre la capacità di usare un codice adatto
alla situazione: essa regola tutti gli aspetti extralinguistici (sociali, culturali
e pragmatici) implicati nello scambio verbale e forma un tutt'uno con tutti
gli altri codici del comportamento comunicativo (ivi compresi il linguaggio
gestuale e la mimica facciale).
3. SOCIOLOGIA
DELLINGUAGGIO
Accanto alla sociolinguistica intesa in senso stretto ed esemplificata dalla
ricerca condotta a Martha's Vineyard, vi è la «sociologia del linguaggio» (che
forse sarebbe meglio chiamare «sociologia delle lingue»), che si occupa di
problemi su più larga scala e con maggiore attenzione rivolta alla società (la
sociolinguistica è una scienza più linguistica che sociale), come ad esempio
SOCIOLINGUISTICAE DIALETTOLOGIA 237
4. ETNOGRAFIADELLACOMUNICAZIONE
Il potere cliuna persona su un'altra (per funzioni sociali - datore clilavoro, genitori o
anziani- ma anche per ricchezza o forza fisica) implica una relazione asimmetrica. Le
lingue possono esprimere questa asimmetria con i pronomidi cortesia(Lei/voi, vous,
Usted, Sie, ecc. =V) clicontro ai pronomidella solidarietà(tu, toi, tu, du, ecc. =T).
Vi sono relazioni asimmetriche dove un parlante usa il V e l'altro risponde con il T,
ma vi sono relazioni simmetriche dove i parlanti usano reciprocamente il T o il V
[Brown e Gilman 2000].
Se i parlanti usano T si tratta cliuna relazione - clinorma - simmetrica e solidale, se
usano il V si tratta cliuna relazione - clinorma - simmetrica ma non solidale.
Fino ad un certo momento ha prevalso nel Novecento una semantica asimmetrica
(8a) che è poi stata sostituita, in un quadro clidemocratizzazione dei rapporti sociali,
con una semantica della reciprocità (86):
!v
cameriere
!v
soldato
lv
impiegato
r!
figlio
Il sistema è oggi ancora in evoluzione (nei negozi climedio livello della penisola italiana
si sta sempre più diffondendo l'uso del T verso il cliente) ed è marcatamente diverso
da paese a paese (per esempio in Olanda vi sono ambienti - come l'università - dove
la regola è che tutti danno del T a tutti).
Sono anche molto interessanti le modalità per il passaggio dal V al T (è la persona con
status sociale più alto che «propone» il passaggio). Vi può essere un periodo interme-
dio di «imbarazzo» che consiglia alla persona con status sociale meno elevato l'uso
cliespressioni impersonali o ambigue tra il T ed il V e l'adozione cliforme clisaluto
intermedie come salve dato che ciaoimplica decisamente il T e buongiornoimplica il
V.L'uso del titolo professionale (professore,dottore,ingegnere)è clisolito solidale con
l'uso del V mentre l'uso del nome proprio (a parte qualche situazione particolare) è cli
solito solidale con l'uso del T. In Italia, ci si rivolge abitualmente agli immigrati con il
Te questo è spesso espressione clirazzismo, ma in alcuni casi può anche corrispondere
all'intenzione di adottare un sistema pronominale (e soprattutto - cliconseguenza -
verbale) semplificato (in questo caso, l'uso del T e cliun'unica morfologia verbale
rientrerebbe nell'ambito del cosiddetto /oreigner talk, cioè quel sistema semplificato
che adottiamo quando parliamo con chi padroneggia male la nostra lingua).
SOCIOLINGUISTICA E DIALITTOLOGIA 239
5. LINGUAE DIALETTO
Anche la questione dei criteri per distinguere tra dialetto e lingua è di quelle
da lungo tempo dibattute e mai risolte in modo soddisfacente. Il problema è il
seguente: date due varietà X e Y, come facciamo a stabilire se sono due varietà
diverse di una stessa lingua o due lingue diverse? Alcuni criteri proposti per
stabilire se X e Y sono due varietà diverse di una stessa lingua sono i seguenti:
Inutile dire che questi criteri non danno sempre delle soluzioni univoche ed è
facile aggiungere altri criteri (ad es. il volume di scambi linguistici, la presenza
o assenza di strumenti normativi come dizionari e grammatiche, ecc.). In Italia,
ad esempio, ci sono diverse varietà che da sempre hanno aspirato (sulla base
soprattutto di criteri «interni», cioè linguistici) allo status di lingua, tra queste
il friulano e il sardo. Se accanto alle considerazioni strettamente linguistiche
aggiungiamo altri criteri di carattere sociolinguistico come i seguenti:
a) sovraregionalità
b) la varietà è parlata da ceti medio-alti
e) la varietà è scritta e codificata in base ad un corpus riconosciuto di opere
di riferimento
allora ne dovremmo concludere che sardo e friulano non sono «lingue», dato
che non superano questi ultimi tre test.
Per quel che riguarda la situazione linguistica italiana, si faccia attenzione
al fatto che l'espressione «l'italiano e i "suoi" dialetti» non è propriamente
corretta perché l'italiano di oggi non è che un dialetto (il toscano) assurto -
per varie vicende politiche, sociali, economiche, letterarie - a ruolo di lingua
nazionale: i dialetti italiani (emiliano, lombardo, abruzzese, pugliese, ecc.)
sono varietà «sorelle» tra di loro e sorelle con il toscano, discendendo tutte
da un'unica lingua madre, il latino:
(9) latino
~
emiliano toscano pugliese
I
italiano standard
Si notino ancora due fatti importanti a questo proposito. Il primo è che l'i-
taliano contemporaneo deriva sì dal toscano, ma nella sua forma scritta non
240 CAPITOLO9
nella sua forma parlata (per es. l'italiano non ha un fenomeno così tipico del
toscano come la cosiddetta gorgia toscana, v. IX.6.).
In secondo luogo, la differenza tra lingua e dialetto non è una differenza «di
sistema»: le lingue e i dialetti sono sistemi linguistici a tutti gli effetti: ogni
dialetto ha un sistema fonologico, morfologico, sintattico (quindi non è vero
che i dialetti non hanno grammatica come capita di sentir dire). La differenza
potrebbe consistere nella ricchezza lessicale, ma si noti che ogni sistema lin-
guistico ha in se stesso la possibilità di ampliare il proprio lessico attraverso
molte vie, come si è visto nel capitolo V.
6. DIALEffi IN ITALIA
Una delle prime classificazioni dei dialetti di Italia la si deve a Dante, il quale
nel De Vulgari Eloquentia individuò quattordici dialetti («volgari» nella
sua terminologia) divisi grosso modo dalla linea appenninica: sette ad est
e sette ad ovest. Dante però fu in grado di rilevare anche differenze molto
sottili, sottolineando non solo la differenza tra il ravennate e il faentino o tra
il ferrarese e il piacentino, ma individuando anche differenze tra varietà di
bolognese parlato in località diverse della stessa città, nei pressi di «Borgo San
Felice» e nei pressi di «Strada Maggiore». Anche le classificazioni dialettali
contemporanee sono di tipo «geografico», ma mentre Dante divideva l'Italia
SOCIOLINGUISTICAE DIALETTOLOGIA 241
--
Legenda:
Franco-provenzale
Provenzale
-
D
D
Toscano
Mediano
-
D Gallo-italico D Meridionale intermedio
Veneto Meridionale estremo
Friulano Sassarese-gallurese
Tedesco D Logudorese-campidanese
Ladino
7. BILINGUISMO
E DIGLOSSIA
In una stessa area possono essere presenti due varietà linguistiche. A seconda
del rapporto tra queste due varietà si parlerà di bilinguismo o di diglossia. Si
ha una situazione di bilinguismo quando tutti i parlanti padroneggiano le due
varietà. Si ha una situazione di diglossia quando le due varietà sono usate in
modo complementare e una varietà ha uno statuto socioculturale più «alto»
e l'altra uno statuto più «basso».
Se applichiamo all'Italia queste definizioni (ed in particolare alle varietà ita-
liano/ dialetto) le situazioni possono «incrociarsi» per dare quattro possibilità
[Fishman 1972]:
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
L'importanza dei fatti sociali per lo studio del linguaggio è stata messa in risalto sin dai primi del
Novecento con la scuola francese di Antoine Meillet. Un lavoro che prelude allo sviluppo della
sociolinguistica contemporanea è Weinreich [1953]. Questa disciplina ha ricevuto un impulso
decisivo a partire dagli anni Sessanta con la scuola cosiddetta variazionistica di William Labov
[1972], che ha dato luogo ad una serie innumerevole di importanti lavori sulla stratificazione
sociale del linguaggio. Anche i problemi della nascita dei cambiamenti linguistici e della loro
diffusione tra le varie classi sociali sono stati analizzati minuziosamente. Un buon manuale di
questo tipo di sociolinguistica è Dittmar [1973]. Si vedano anche Berruto [1995] e Hudson
[1996] che affronta anche tematiche sul rapporto tra lingua e cultura. Per lo studio dell'etno-
grafia della comunicazione, si vedano soprattutto Gumperz e Hymes [1972].
La dialettologia italiana scientifica nasce con i lavori di Grazia dio Isaia Ascoli (1829-1907). Un
manuale di dialettologia di solida impostazione storica è Cortelazzo [1969] mentre un punto
di riferimento completo ed aggiornato è Grassi, Sobrero e Telmon [1999]. Per le lingue pidgin
e creole si può vedere ancora Dittmar [1973] oppure Miihlhasler [1986].
DOMANDE
Nel capitolo lii si è detto che due o più lingue fanno parte della stessa famiglia lingui-
stica se derivano da una stessa lingua originaria. In questo capitolo, ci occupiamo della
famiglia indoeuropea. l'origine comune delle lingue indoeuropee è mostrata da una
serie di corrispondenze sistematiche che si riscontrano soprattutto tra i loro sistemi
fonologici e morfologici. L'analisi di queste corrispondenze sistematiche permette di
«ricostruire» la lingua originaria, da cui le varie lingue della famiglia sono derivate per i
mutamenti che hanno subito nel corso del tempo. li tempo è infatti l'agente fondamen-
tale del cambiamento linguistico.
INTRODUZIONE
L'idea che le diverse lingue derivino tutte da un'unica lingua originaria è molto
antica: naturalmente, ad essa doveva anche aggiungersi una spiegazione del
perché l'originaria unità si fosse poi frantumata. Il mito biblico della torre di
Babele (Genesi, 11) è il tentativo più noto di risolvere il problema: la lingua
primitiva dell'umanità sarebbe stata una sola, l'ebraico, cioè la lingua in cui Dio
parlava ad Adamo, e gli uomini avrebbero cominciato a parlare lingue diverse
per effetto della punizione divina lanciata contro il loro blasfemo tentativo di
costruire una torre che giungesse fino al cielo. La spiegazione «babelica» della
diversità linguistica continuò ad essere accettata per molti secoli. Più tardi,
a partire all'incirca dal Rinascimento, furono elaborate ipotesi alternative,
alcune decisamente fantasiose (un erudito del Cinquecento, Goropius Beca-
nus, arrivò a sostenere, in pratica, che il fiammingo era la lingua originaria di
tutte le lingue del mondo), altre, invece, anticipatrici di scoperte successive:
Leibniz, ad esempio, ipotizzò una famiglia di lingue «giapetiche», estesa non
solo all'Europa ma anche a parte dell'Asia, prefigurando così quella che più
tardi verrà chiamata la famiglia linguistica indoeuropea (cfr. III.2.). Tuttavia,
è soltanto con l'inizio dell'Ottocento che lo studio della parentela genealogica
248 CAPITOLO1 0
delle lingue e del loro mutamento attraverso il tempo assume l'aspetto che
lo caratterizza ancora oggi. A questo settore degli studi sul linguaggio viene
dato il nome di linguistica storica (o storico-comparativa).
I principi e i metodi della linguistica storica come si è sviluppata a partire dai
primi decenni dell'Ottocento si distinguono in modo radicale dalle ipotesi
sui rapporti tra lingue che erano state elaborate nelle epoche precedenti.
Anzitutto, essi tengono ben distinti i due problemi delle lingue originarie
da un lato e dell'origine del linguaggio dall'altro, che invece una spiegazione
come quella babelica di fatto unificava (e certamente in questa unificazione
stava una parte del suo fascino): l'origine del linguaggio sta nella creazione
dell'uomo da parte di Dio, che gli dona la sua lingua, l'ebraico, e l'ebraico
è, al tempo stesso, la lingua originaria. Nell'epoca moderna, la spiegazione
biblica venne abbandonata, e la questione dell'origine del linguaggio fu
affrontata da numerosi filosofi partendo da ipotesi radicalmente diverse: ad
esempio, il filosofo francese E.B. de Condillac (1715-1780) ipotizzò che il
linguaggio avesse avuto origine da suoni primitivi (principalmente, grida),
all'inizio espressioni di emozioni, senza alcun valore simbolico, e poi divenuti
segni convenzionali di quelle entità, animate o inanimate, che tali emozioni
avevano prodotto negli esseri umani. Spiegazioni come queste, per quanto
affascinanti, non superarono mai però il livello di congetture, e gli studiosi di
inizio Ottocento che fondarono la linguistica storica nel senso moderno non
si preoccuparono più di spiegare come e perché fossero nati suoni e parole
delle lingue originarie, ma si interessarono unicamente a ricostruirli sulla
base della comparazione delle lingue da esse derivate (v.X.l.). Quanto fosse
diverso l'atteggiamento dei linguisti dell'Ottocento rispetto a quello degli
studiosi dei secoli precedenti lo si può capire molto bene da una decisione
presa dalla Società Linguistica di Parigi all'atto della sua fondazione (1866):
si stabiliva infatti che comunicazioni riguardanti l'origine del linguaggio non
sarebbero state accettate. Il problema dell'origine del linguaggio veniva cioè
considerato irrisolvibile, quindi, di fatto, «ascientifico». on tutti i linguisti,
in realtà, accettarono una conclusione così drastica, e al giorno d'oggi il pro-
blema dell'origine del linguaggio umano è tornato al centro dell'interesse di
molti studiosi, grazie anche al supporto fornito dagli studi di biologia, ed in
particolare di genetica. Una delle assunzioni più comunemente accettate è
che l'origine del linguaggio nella specie umana sia, almeno in parte, dovuta
all'aumento proporzionale del peso del cervello umano rispetto all'intero
peso corporeo durante l'evoluzione di Homo sapiens.Questa ipotesi è stata
contestata da alcuni, sulla base, ad esempio, del fatto che anche i delfini
hanno un cervello di dimensioni paragonabili a quello umano, ma certo non
possiedono un sistema di comunicazione comparabile al linguaggio umano
(su linguaggio umano e «linguaggi.»degli animali cfr. anche sopra, I.2.). Qui
non ci occuperemo ulteriormente della questione. In ogni caso, anche se il
problema dell'origine del linguaggio umano non può essere certo conside-
rato ascientifico, rimane sempre vero che esso va distinto dal problema della
ricostruzione delle lingue originarie. Inoltre, come si è detto in II.10., è bene
STORICA 249
LINGUISTICA
tenere presente che non esistono lingue «più primitive» di altre: anche popo-
lazioni di cultura molto «primitiva», almeno rispetto agli standard occidentali,
come gli indigeni dell'Amazzonia o della Nuova Guinea, parlano lingue
ugualmente complesse come quelle dei popoli di più antica civilizzazione.
Lo stesso vale per le lingue originarie di una determinata famiglia linguistica:
esse sono ricostruite sulla base delle lingue che ne discendono, e quindi non
dimostrano alcun tipo particolare di «primitività».
Un altro tratto che caratterizza la linguistica storica moderna dai suoi pre-
decessori pre-ottocenteschi è la rinuncia a qualunque ipotesi «catastrofista»
per spiegare il mutamento linguistico. Il mito babelico è un esempio tipico di
spiegazione catastrofista: le lingue si sono differenziate per punizione divina.
Ma spiegazioni catastrofiste furono avanzate fino a tempi molto più recenti:
per esempio, un umanista del Quattrocento, Flavio Biondo, sosteneva che
la trasformazione del latino nell'italiano era un effetto delle invasioni barba-
riche dell'Italia (in particolare, di quella longobarda). A quella del Biondo
si opponeva la spiegazione di un altro umanista, Leonardo Bruni: l'italiano
era sempre esistito, era semplicemente la forma di «volgare» parlata dal po-
polo anche in epoca latina. Caratteristica comune di tutte queste posizioni
era comunque assumere la necessità di una causa esterna del mutamento
linguistico. Con una geniale intuizione, invece, Dante aveva già individuato
la causa dei cambiamenti linguistici nel semplice scorrere del tempo: ad
esempio, egli sosteneva, se i pavesi antichi potessero risorgere all'improvviso,
si troverebbero a parlare una lingua molto diversa da quella dei pavesi mo-
derni (De vulgari eloquentia, libro I, cap. IX). La linguistica storica assume
una posizione analoga a quella dantesca: il tempo in se stesso è sufficiente a
produrre il mutamento linguistico (questo non significa, naturalmente, che
eventi catastrofici, come una conquista o un'invasione, non possano pro-
durre cambiamenti linguistici; semplicemente, essi non sono necessari). Non
c'è niente di mistico in questo rilievo assoluto dato al tempo come fonte dei
cambiamenti linguistici: ogni generazione apprende la propria lingua dalla
generazione precedente, ma questo apprendimento non è puramente pas-
sivo, perché ogni volta nei bambini si sviluppa una competenza (cfr. Il.2.3.)
propria e per ciò stesso diversa, almeno in parte, da quella dei genitori (per
l'acquisizione del linguaggio da parte del bambino, v. cap. XI). Queste dif-
ferenze sono molto lievi tra due generazioni immediatamente successive, ma
naturalmente si possono sommare tra più generazioni, in modo tale che, a
distanza di secoli, le fasi più antiche di una lingua sono incomprensibili ai
parlanti delle ultime generazioni: un italiano che non abbia studiato latino
non comprende un testo di Cicerone, o un inglese che non abbia studiato
inglese antico difficilmente riesce a leggere il Beowul/ (poema epico risalente
all'VIII secolo d.C., uno dei primi documenti della letteratura inglese).
In questo capitolo presenteremo dunque alcune nozioni di linguistica storica
ed alcuni fenomeni di mutamento linguistico. In X.l. esamineremo le carat-
teristiche fondamentali del metodo comparativo; nei paragrafi successivi,
vedremo alcuni esempi di mutamenti linguistici relativamente ai vari livelli
250 CAPITOLO10
di analisi che abbiamo trattato nei capitoli precedenti: tratteremo quindi del
mutamento fonetico (X.2.), di quello morfologico (X.3.), di quello sintattico
(X.4.) e di quello semantico e lessicale (X.5.).
1. ILMETODOCOMPARATIVO E LARICOSTRUZIONE
DELLE LINGUEORIGINARIE
1.1. Caratteristiche del metodo comparativo
altre lingue, a quelle cioè che in VI.3. abbiamo chiamato «native». Tra queste
parti, possiamo scegliere le parole indicanti i numerali e i nomi di parentela.
Se quindi confrontiamo ancora una volta le nostre tre lingue in questi campi
semantici, vediamo che il quadro delle somiglianze che ne risulta è ben diverso
da quello precedente:
celtico germanico italico ellenico baltico slavo albanese armeno anatolico tocario iramco indiano
~ ~ A ~ A
gaelico brit. occ. sett. or. occ. or. occ. mer. or. occ. or.
I I I I I I I I I I I I
irl. bret. ingl. dan. got. latino greco lituano pol. bul. russo albanese armeno ittita tocario av. afg. sanscrito
ecc. cimr. ted. svedese lettone ceco s.c. ucraino ecc. pers. ecc. ecc.
ecc. ol. norvegese slc. slv. ecc. curdo
ecc. ecc. ecc. ecc. ecc.
italiano
francese
spagnolo
ecc.
Abbreviazioni:afg. =afgano; av. =avestico; bret. =bretone; brit. =britannico; bul. =bulgaro; cimr. =cimrico; dan. =danese; got. =gotico; ingl. =inglese; irl. =
irlandese; mer. =meridionale; occ. =occidentale; ol. =olandese; or. =orientale; pers. =persiano; poi. =polacco; s.c. =serbo-croato; sett. =settentrionale; slc. =
slovacco; slv. =sloveno; ted. =tedesco.
(tipo latino amor 'sono amato'), e questa è una delle caratteristiche che ha
talvolta fatto ipotizzare l'esistenza di un super-gruppo italo-celtico. Ma l'italico
ha anche una caratteristica in comune con il germanico, ossia la mancanza
dell'opposizione tra perfetto e aoristo, che è presente invece in greco. D'altra
parte, italico e greco hanno in comune un'altra caratteristica, ossia la presenza
di sostantivi femminili con desinenza maschile (tipo latino populus'pioppo').
Dal canto suo, il greco condivide una caratteristica con l'armeno, l'iranico e
l'indiano, !'«aumento», ossia un prefisso vocalico prima delle forme di tempo
passato (come nel greco élegon'dicevo'). L'elenco potrebbe continuare, ma gli
esempi dovrebbero essere sufficienti: tra i vari gruppi di lingue indoeuropee
esistono sovrapposizioni parziali, ora in direzione di un gruppo, ora di un
altro. Questo stato di cose suggerì un modello alternativo a quello dell'albero
genealogico, la cosiddetta «teoria delle onde»: i vari fenomeni linguistici si
distribuirebbero, all'interno delle lingue indoeuropee, come le onde in uno
specchio d'acqua, in modo che alcuni fenomeni linguistici si estenderebbero
fino a un certo punto, altri fino ad un altro, altri si incrocerebbero tra loro,
e così via. Alle linee che determinano l'estensione dei vari fenomeni viene
dato il nome di isoglosse, sul modello dei termini geografici tipo «isoterme»
(che indicano sulla carta geografica tutti i luoghi dove si registra la stessa
temperatura) o «isoipse» (che indicano tutti i punti che hanno la stessa alti-
tudine sul mare). Tornando ai nostri esempi, si può dire che italico e celtico
(e anatolico e tocario) condividono l'isoglossa dei passivi in -r, italico e greco
quella dei sostantivi femminili con desinenza maschile, greco, iranico e indiano
l'isoglossa dell'aumento, ecc.
L'immagine dell'albero genealogico va dunque sostituita con l'immagine dei
mutamenti diffusisi a onde? Da vari decenni, le due immagini non sono più
concepite come alternative, ma piuttosto come complementari. Se si vogliono
indicare con nettezza le proprietà che caratterizzano le differenziazioni tra
i sistemifonologico e morfologico di un determinato gruppo o sottogruppo
di lingue, l'albero genealogico è senz'altro la rappresentazione più chiara: la
mutazione consonantica germanica (v. X.1.3) distacca nettamente le lingue
germaniche dalle altre lingue indoeuropee, e questo distacco è ottimamente
rappresentato dall'immagine di un ramo che si stacca da un tronco. Se vo-
gliamo indicare invece l'estensione che un determinato fenomeno ha avuto
nell'ambito della famiglia indoeuropea, eventualmente indicandone anche
la cronologia relativa (ossia, in quale gruppo di lingue si è diffuso prima ed
in quali dopo, ecc.), allora il ricorso all'immagine delle onde e al concetto di
isoglossa diventa necessario.
Le immagini dell'albero genealogico - e, rispettivamente, delle onde - ci
suggeriscono anche due diverse immagini della lingua originaria indoeu-
ropea (e, se si vuole, anche delle lingue originarie dei singoli gruppi, ma la
discussione si è concentrata sostanzialmente sulla lingua madre dell'intera
famiglia): l'albero genealogico ce la presenta come una lingua rigorosamente
omogenea, senza variazioni dialettali, la «teoria delle onde» come una lingua
distinta in gruppi dialettali considerevolmente diversi l'uno dall'altro. Anche
LINGUISTICASTORICA 257
Proviamo ora ad esaminare una per una le corrispondenze tra i diversi fonemi che
costituiscono le parole in questione, cominciando dai fonemi consonantici. Come si
vede, il fonema /r/ ricorre nella posizione finale di tutte le parole. Più complesso è
il caso delle occlusive: cominciando dalle labiali, osserviamo, esaminando la parola
per 'padre', che alla /p/ sanscrita, greca e latina corrispondono, rispettivamente, /f/
in gotico e nessun fonema in irlandese; esaminando la parola per 'fratello', vediamo
che alla occlusiva aspirata sonora sanscrita (/bh/), corrispondono rispettivamente una
occlusiva sorda aspirata in greco (/ph/), una fricativa in latino, come pure in gotico
e in irlandese. Passando alle occlusive dentali, notiamo che la sorda /ti del sanscrito
si trova anche in greco e in latino, in tutte e due le parole esaminate, diventa una fri-
cativa (/0/, scritta th) in irlandese, mentre un po' curioso appare il caso delle lingue
germaniche: alla occlusiva sorda /t/ del sanscrito, del greco e del latino corrisponde
una fricativa sorda (/8/, scritta P) nella parola per 'fratello', ma una fricativa sonora
(/ò/) in quella per 'padre'.
Osserviamo ora i fonemi vocalici. Nelle parole per 'fratello', il primo di essi è una /a/
in tutte le lingue, ad eccezione di quelle germaniche, in cui troviamo una /o/. ella
parola per 'padre', invece, al fonema/ a/ del greco e del latino corrisponde in sanscrito
una /i/, e in gotico una /a/. Il secondo fonema vocalico è una /e/ in greco e latino,
una /a/ in sanscrito, una /a/ in gotico e una /i/ in irlandese.
Cerchiamo di tirare le somme da queste osservazioni. Abbiamo riscontrato tre corri-
spondenze sistematiche: prendendo per comodità come punto di riferimento le parole
latine, quelle con i fonemi /e/ e /r/ difrater e pater, e quelle con la /p/ di pater. Due
corrispondenze, invece, mostrano qualche anomalia: si tratta di quelle del fonema /t/
di /rater e pater, a cui corrispondono due fonemi diversi nelle lingue germaniche, e
del fonema /a/ delle tre parole latine, a cui corrispondono due fonemi diversi in san-
scrito. Osserviamo però che le corrispondenze sono sistematiche per quanto riguarda
le altre lingue considerate. Ancora una volta insistiamo sul fatto che corrispondenza
sistematica non significa necessariamente identità, e neppure somiglianza: al latino
pater corrisponde sistematicamente, fonema per fonema, l'armeno hayr, ma difficil-
mente queste due parole potrebbero essere considerate simili. Queste corrispondenze
sistematiche sono confermate da un gran numero di altre parole (che non possiamo
riprodurre qui per brevità), in cui ricorrono questi stessi fonemi.
Di fatto, molte delle corrispondenze sistematiche osservate sono casi particolari di
corrispondenze più generali, e i due casi di anomalia che abbiamo riscontrato relativa-
mente alle lingue germaniche ed al sanscrito non sono in realtà tali, ma sono anch'essi
riconducibili ad altre corrispondenze, più difficili da riconoscere ad un primo esame
ma non per questo meno dimostrabili. Lasciamo però da parte, provvisoriamente,
questi casi più complessi, e presentiamo una corrispondenza sistematica generale tra
gruppi diversi di lingue indoeuropee, un caso della quale è stato illustrato dagli esempi
appena discussi. Ci riferiamo al caso della corrispondenza tra /p/ del sanscrito, del
greco e del latino, da un lato, e /f/ del gotico dall'altro: si tratta di un caso particolare
della corrispondenza sistematica che esiste tra le occlusive delle lingue germaniche
e quelle di altri gruppi di lingue indoeuropee. La formulazione completa di tale
corrispondenza è la seguente.
( 1) Alle occlusive sorde del sanscrito, del greco e del latino corrispondono nelle lingue
germaniche fricative sorde. Quindi, a /p/ corrisponde nelle lingue germaniche /f/
(oltre a lat. pater- got.fadar, cfr. lat. pes- ingl.foot, lat. piscis- ingl.fish); a /ti, /0/
Oat. tres - ingl. three, lat. tenuis - ingl. thin, lat. tacere - got. f,ahan); a /k/, /h/ (cfr.
lat. centum [kentum] - ingl. hundred, lat. caput- ingl. head, lat. cornu - ingl. horn).
(2) Alle occlusive sonore del sanscrito, del greco e del latino corrispondono nelle
lingue germaniche occlusive sorde. Quindi, a /6/ corrisponde nelle lingue germa-
LINGUISTICA
STORICA 259
niche /p/ (greco krinnabis 'canapa' - ingl. hemp; notare come le consonanti iniziali
delle due parole siano un ulteriore esempio della corrispondenza descritta al punto
precedente); a /di, /ti Oat. duo - ingl. two, lat. dens - ingl. tooth, lat. edere - ingl.
eat); a /g/, /k/ Oat. granum - ingl. korn, lat. genus 'genere' - ingl. kin 'famiglia', lat.
ager 'campo'- ingl. acre 'acro (unità di misura del terreno)').
(3) Ai fonemi che sono in sanscrito occlusive sonore aspirate, in greco occlusive sorde
aspirate, in latino fricative sorde, corrispondono nelle lingue germaniche occlusive
sonore. Quindi, a /bh/ del sanscrito, /ph/ del greco e /f/ del latino corrisponde nelle
lingue germaniche /6/ (sanscrito bhririimi 'porto' - greco phéro - latino faro - ingl.
bear);a /dh/ del sanscrito, /th/ del greco e/f/ del latino, /di (sanscrito mridhu 'miele',
'idromele (alcolicoderivato dal miele)' -greco méthu 'bevanda' -ingl. mead'idromele';
a /h/ del latino, /g/ Oat. hostis 'straniero', 'ospite' - ingl. guest 'ospite').
Serie (3): questa serie, ossia quella delle occlusive aspirate, pone più problemi delle
precedenti, e in alcuni casi è necessario ipotizzare un fonema indoeuropeo originario
diverso da quello documentato da qualunque lingua attestata. Sulla base comunque
di una serie di studi che qui non possiamo permetterci neppure di riassumere, si
postulano le seguenti corrispondenze:
Su queste basi, possiamo procedere alla ricostruzione di due intere parole indoeuropee,
ossia quelle per 'fratello' e 'padre'. Assumendo inoltre che l'accento indoeuropeo
avesse la stessa posizione dell'accento sanscrito, possiamo ricostruire la parola per
'fratello' come *bhrriter. Come ricostruiamo la parola indoeuropea che significava
'padre'? Per poterlo fare, dobbiamo risolvere due problemi che abbiamo notato sopra.
Il primo sta nelle diverse corrispondenze che il fonema /a/ in latino e in greco ha in
260 CAPITOLO10
-----------------
sanscrito: lat. /rater - sanscrito bhrdtar, ma lat. pater - sanscrito pitdr. La soluzione,
in questo caso, è stata trovata nell'ipotizzare che le /a/ di /rater e di pater e delle
corrispondenti parole greche non derivino dallo stesso fonema indoeuropeo, ma da
due fonemi diversi: /a/ di/rater corrisponderebbe a un fonema indoeuropeo */a/,
conservato anche in sanscrito; /a/ di pater a un fonema indoeuropeo detto laringale
e corrispondente a una vocale di timbro indistinto, il cui simbolo è /Hl. (Sull'esatta
natura della laringale indoeuropea si è discusso e si discute molto, come pure sul fatto
che le laringali possano essere più d'una; anche in questo caso non ci addentreremo
nella questione.) Il secondo problema è che in alcuni casi, come quello del gotico
/adar, al fonema */ti indoeuropeo, attestato da sanscrito, greco e latino, non corri-
sponde una fricativa sorda, come previsto da 1), ma una fricativa sonora. Su questo
problema ritorneremo in X.2.1., a cui rimandiamo, dunque, la ricostruzione della
parola indoeuropea per 'padre'.
Torniamo ora alle lingue germaniche, per esaminare un'apparente eccezione che il
tedesco sembra fare alla «legge di Grimm», rispetto alle altre lingue del gruppo: ad
esempio, a i.e. */ti non corrisponde in tedesco /8/, come in inglese, bensì /di: ingl.
three, ma ted. drei, ingl. thin, ma ted. dunn; e a i.e. */d/ non corrisponde !ti, bensì
/ts/: inglese two, ma ted. zwei [tsvai], ingl. tooth, ma ted. 7-ahn [tsa:n]. Senza entrare
in tutti i dettagli, possiamo osservare che in questo caso si ha una corrispondenza
sistematica tra tutte le altre lingue germaniche da un lato e il tedesco dall'altro
(per l'esattezza, bisognerebbe parlare di «dialetti alto-tedeschi», cioè delle varietà
di tedesco parlate grosso modo a sud del fiume Meno, e chiamate «alte» perché il
territorio è in queste zone collinoso o montuoso, a differenza dei territori a nord,
prevalentemente pianeggianti; il tedesco standard moderno si basa sostanzialmente
su questi dialetti alto-tedeschi). i può quindi ipotizzare che il tedesco abbia subito
un ulteriore mutamento consonantico, chiamato anche «seconda mutazione (o «ro-
tazione») consonantica germanica», o «seconda legge di Grimm». In altre parole: i
fonemi originari del germanico comune sarebbero, nei casi ricordati sopra, */8/ e* /ti,
derivati rispettivamente da i.e. */ti e *Idi. Nei dialetti alto-tedeschi, essi avrebbero
subito un ulteriore mutamento, diventando /d/ e /ts/; nelle altre lingue germaniche,
essi sarebbero invece rimasti tali e quali.
Le linee essenziali del metodo comparativo dovrebbero a questo punto essere chiare.
Qui sono state illustrate con esempi dalla fonologia, ma analoghi risultati sono stati
ottenuti anche nel campo della comparazione dei morfemi, cioè nella morfologia.
Molto più difficile, invece, è risultata l'applicazione di rigorose tecniche comparative
ai campi della sintassi e del lessico. I motivi di queste difficoltà sono vari e discussi,
ma non ce ne occuperemo qui.
latino I E E A A o o ù D
italiano
V I V I V I
e a ;:, o u
Uno dei mutamenti fonetici più importanti della storia della lingua inglese
è il cosiddetto Great Vowel Shi/t («grande mutazione vocalica»), verificatosi
all'incirca nella prima metà del Cinquecento, e che segna il passaggio dal
cosiddetto «inglese medio» (Middle English) all'inglese moderno. In sintesi,
si può descrivere tale fenomeno nel modo seguente.
A) Le vocali lunghe alte dell'inglese medio sono diventate dittonghi: ad es.,
five 'cinque', in precedenza pronunciato [fi:v], ha cominciato ad essere pro-
nunciato [faiv]; town 'città', in precedenza pronunciato [tu:n] e scritto tune,
ha cominciato ad essere pronunciato [tawn].
B) Le vocali lunghe medie dell'inglese medio sono diventate vocali alte: ad
esempio, /eet 'piedi', già pronunciato [fe:t], ha mutato la sua pronuncia in
[fi:t];foot 'piede', già pronunciato [fo:t], ha mutato la sua pronuncia in [fu:t].
C) Le vocali medio-basse dell'inglese medio sono diventate vocali medie: ad
esempio, mate 'compagno', già pronunciato [mre:t], ha cominciato ad essere
pronunciato [meit]; goat 'capretto', già pronunciato [go:t], ha cominciato ad
essere pronunciato [gout].
Come si vede, la grafia dell'inglese è riuscita a tener dietro a questi mutamenti
fonetici solo in pochi casi; nella maggioranza degli altri, essa è rimasta più o
meno identica a quella dell'inglese medio. Questo è uno dei motivi per cui la
distanza della grafia dell'inglese moderno dalla sua pronuncia è così rilevante.
I mutamenti fonetici che abbiamo descritto sembrano operare con assoluta
regolarità: questo è il motivo per cui è stato coniato il termine cli«legge fo-
netica», clicui la mutazione consonantica germanica, o legge cliGrimm (su
cui v. X.1.3 .), è forse l'esempio più classico. Sul concetto clilegge fonetica si
è discusso moltissimo e si continua a discutere ancora. Uno dei problemi è
se queste leggi siano analoghe alle leggi delle scienze naturali, come la fisica
o la chimica, o ne siano invece essenzialmente diverse. Un altro problema,
collegato del resto al precedente, è come debbano essere trattate le numerose
«eccezioni» che praticamente ogni legge fonetica presenta. Per esempio, la
legge cliGrimm prevede che alle occlusive sorde indoeuropee corrispondano,
nelle lingue germaniche, delle fricative sorde: e in effetti, a */ti indoeuropeo,
I
conservato tra l'altro nel latino /rater 'fratello', corrisponde il gotico bropar, b
dove il simbolo pindica la fricativa sorda /0/ (pronunciata come il segno th I
r
nell'inglese thing). La stessa corrispondenza si osserva in molte altre parole r
(p. es., lat. tres - ingl. three, lat. tenuis - ingl. thin, lat. tacere- got. f:,ahan).
Tuttavia, contrariamente a quanto previsto dalla legge di Grimm, nella parola
gotica per 'padre', ossia/adar,alla* /ti indoeuropea, conservata in latino (pater)
e in varie altre lingue indoeuropee, non corrisponde una fricativa sorda /0/,
ma una fricativa sonora /ò/. Per quanto riguarda, invece, il mutamento del
sistema fonologico dal latino all'italiano, possiamo osservare queste eccezioni:
parole come vinco, lingua,/amigliaderivano rispettivamente dal latino vznco,
lzngua(m),/amzlia(m):in base a quanto detto più sopra, ossia che la i breve
latina in posizione accentata diventa /e/ in italiano, il mutamento «regolare»
avrebbe dovuto produrre *venco,*lengua,*/amelia(si noti che qui l'asteri-
sco non indica «forma ricostruita», ma «forma agrammaticale»). Un altro
controesempio, relativo ancora al primo caso della legge di Grimm: al primo
fonema dell'italiano pagare(dal latino PACARE),dovrebbe corrispondere in
inglese una /f/, ed invece vi corrisponde una /p/: pay.
I propugnatori della nozione di «legge fonetica», i cosiddetti Neogrammatici,
attivi in Germania tra l'ultimo quarto dell'Ottocento e l'inizio del Novecento,
sostenevano che il mutamento fonetico era «privo di eccezioni», e quindi in
quanto tale soggetto a «leggi», ma «nella misura in cui procede meccanica-
mente». Essi quindi riconoscevano tutte le eccezioni alle leggi fonetiche, di
cui quelle che abbiamo appena elencato sono un esempio, ma riconoscevano
anche che il «procedere meccanico» dei mutamenti veniva spesso ad inter-
ferire con altri fattori: il risultato è quindi che, in molti casi, il mutamento
fonetico che si è verificato non è quello che ci si aspetterebbe in base alla legge
fonetica. Naturalmente, si tratta di individuare e definire in modo adeguato
i motivi che hanno causato queste «eccezioni» alle leggi fonetiche. Come
vedremo, questo è possibile, e quindi la posizione dei Neogrammatici può,
nella sostanza, essere considerata adeguata. L'esame della questione, tuttavia,
ci impone di riconsiderare radicalmente il contenuto del concetto di «legge
fonetica», come vedremo in X.2.6.
Le eccezioni alle leggi fonetiche si possono distinguere in due grandi gruppi,
ognuno dei quali ha poi ulteriori suddivisioni. Nel primo gruppo, possiamo
collocare le eccezioni dovute all'effetto di altri fattori, rispetto alla legge fo-
netica in questione, sull'aspetto fonetico assunto dalla parola che ha subito il
mutamento. Questi fattori sono di diverso tipo; li descriviamo nei paragrafi
X.2.1.-X.2.4. Il secondo gruppo di eccezioni sarà trattato in X.2.5.
bhrdtare pitdr. ella prima, l'accento è sulla prima sillaba, e quindi precede l'occlusiva
/ti; nella seconda, è sulla seconda sillaba, e quindi segue l'occlusiva /ti. Nell'ipotesi
ragionevole che la posizione dell'accento sanscrito sia quella originaria dell'indoeu-
ropeo, si può ipotizzare quindi che tale posizione abbia un ruolo determinante nel
mutamento delle consonanti occlusive dall'indoeuropeo al germanico. Nel 1876 il
linguista danese Karl Verner formulò quindi questa legge che porta il suo nome: nel
passaggio dall'indoeuropeo alle lingue germaniche, le occlusive sorde indoeuropee
diventano dapprima fricative sorde; tali fricative sorde, oltre ali'originaria fricativa
indoeuropea /si, diventano sonore se l'accento le segue, mentre rimangono sorde se
l'accento le precede. Quindi, dato che nella parola indoeuropea per 'fratello'(* bhrdter)
l'accento precede l'occlusiva /ti, essa diventa fricativa sorda nelle lingue germaniche
e rimane tale; invece, nella parola per 'padre', l'accento segue la stessa occlusiva, che
diventa quindi prima /6/ e infine /ò/. Possiamo, a questo punto, sulla base della legge
di Verner e di quanto abbiamo detto in X.1.3. sul primo fonema vocalico della parola
indoeuropea per 'padre', ricostruire questa parola come *pHtér.
Della legge di Verner sono state date molte successive riformulazioni, rispetto a quella
originaria qui riportata. La sostanza della spiegazione di Verner è però rimasta intatta:
l'eccezione alla legge di Grimm è spiegabile come effetto dell'intervento di un'altra
legge, che riguarda la sonorizzazione delle consonanti in germanico in una determinata
posizione della parola, ossia quella immediatamente precedente l'originario accento
indoeuropeo. Si noti che la legge di Verner parla di consonantein genere e non di oc-
clusiva:per esempio, la parola per 'figliastra', riconducibile ad una forma indoeuropea
*snusd,è in antico inglese snoru e in antico alto-tedesco snura, con sonorizzazione
del fonema /si in /r/. Anche l'alternanza tra le forme del preterito inglese I was - you
were è riconducibile a questo processo.
L'effetto di un'altra legge spiega anche l'eccezione al mutamento del sistema voca-
lico dal latino all'italiano che abbiamo ricordato sopra, ossia il fatto che lat. vznco,
lzngua(m),/amzlia(m)danno in italiano vinco, lingua,/amiglia, senza trasformazione
della /i/ breve latina in /e/. Questo è il fenomeno detto anafonesi:la /e/ tonica italiana
si è trasformata in /i/ davanti a nasale velare (la [JJ] di [viJJko] e [li)Jgwa]) e a laterale
palatale (la f. di [fa'rnif.f.a]). Questo fenomeno si è verificato soltanto nel toscano,
cioè nel dialetto che è poi diventato la lingua standard dell'Italia (cfr. IX.5.): infatti,
negli altri dialetti troviamo i tipi venco,/ameglia, lengua, ecc.
Veniamo ora a un secondo fattore che può interferire con l'effetto di una legge fo.
netica, ossia il contesto fonetico. Esaminiamo alcune altre «eccezioni» alla legge di
Grimm. Per esempio, al greco ast!r, latino stella, corrisponde il gotico stairno, senza
mutazione di /t/ in /6/; al latino specere 'vedere' corrisponde l'antico alto-tedesco
spehon 'spiare', senza mutazione di /p/ in /f/. Un altro esempio di contesto fonetico
è dato dal rapporto del gotico ahtau con il greco okt&e il latino octo 'otto': l'occlusiva
sorda /ti del greco e del latino è rimasta identica in gotico, invece di mutarsi in /6/. La
mutazione consonantica germanica è dunque bloccata nei seguenti contesti: 1) se le
occlusive sorde sono precedute dalla fricativa sorda /s/; oppure 2) se sono precedute
da una fricativa prodotta per effetto della stessa mutazione consonantica. Il caso 1)
spiega «eccezioni» come ast!r-stella-stairnoe specere-spehon,il caso 2) quelle come
ahtau-okt6-octo.
2.2. Analogia•
-tore a un tema verbale X dà come risultato un nome con il significato «colui che fa
l'azione descritta da X» (cfr. V.8.). Così da parla(re)abbiamo parlatore,da lavora(re),
lavoratore,e così via. In base a questo modello, si possono costruire parole nuove: ad
esempio, da un verbo come sviolinaresi può tranquillamente derivare un nome come
sviolinatore.Quest'ultima parola non è registrata da molti vocabolari (per esempio,
il DM, nonché da quello su cui si basa il correttore ortografico del mio sistema di
scrittura, che me la sottolinea in rosso): tuttavia, essa è perfettamente comprensibile
a qualunque parlante italiano conosca il significato del verbo sviolinare.In generale,
si rappresenta una creazione analogica come risultato dell'applicazione di una pro-
porzione, nel senso aritmetico del termine. Nel nostro caso, tale proporzione sarebbe:
2.3. Contaminazione*
Questi fenomeni sono già stati definiti ed esemplificati, anche con casi di derivazioni
storiche, nel capitolo IV. Ci limitiamo quindi a fornire alcuni esempi solo diacronici,
in qualche caso ripetendoci. Per l'assimilazione: latino FACTU(M)> italiano fatto,
latino OCTO > italiano otto, latino LACTE> italiano latte. Per la dissimilazione: latino
ARBORE(M)> italiano albero,lat. MIRACULU(M)> spagnolo milagro.Per la metatesi:
latino CROCODILUS> italiano coccodrillo.Per l'aplologia: latino stipendium da *stipi-
pendium, composto da stips (gen. stipis)'piccola moneta' e pendere'pagare'.
Un esempio del primo caso è il già citato inglese pay, che presenta una occlusiva sorda
/p/, tanto quanto i suoi corrispondenti nelle lingue romanze, invece di una /f/, come
/oot, che corrisponde al latino pes. Il motivo di questa differenza è che, mentre/oot
e pes derivano entrambi da una radice indoeuropea, e quindi, nel passaggio dall'in-
doeuropeo alle lingue germaniche, il fonema /p/ si è mutato in /f/, pay è un prestito
dal francese payer,a sua volta derivato dal latino pacare,da cui deriva anche l'italiano
pagare.Pay è entrato nella lingua inglese verso il Due-Trecento, quando la mutazione
consonantica germanica non era più attiva.
I prestiti dalle lingue classiche alle lingue moderne sono numerosissimi, soprattutto
nei settori del lessico relativi a concetti astratti, e sono entrati nelle lingue moderne in
epoche diverse. Parole come abolire,arguzia,esagerare,pugile sono prestiti dal latino
entrati in italiano nel Cinquecento; assioma,entusiasmo,plastico,sono entrati dal greco,
nello stesso periodo. Redigeree utente sono prestiti latini attestati in italiano a partire
dall'Ottocento. Un fenomeno particolarmente interessante che riguarda i rapporti
tra latino e italiano è quello dei cosiddetti allòtropi, ossia coppie di parole italiane
derivate dalla stessa parola latina, ma entrate in italiano per due vie diverse, ossia per
mutamento fonetico «regolare» da un lato e per prestito dall'altro. Nel primo caso si
parla anche di «derivazione popolare», perché si suppone che la parola abbia sempre
appartenuto alla lingua parlata, in tutte le fasi di trasformazione di quest'ultima dal
latino all'italiano; nel secondo, di «derivazione dotta», perché la parola è stata presa
a prestito dal latino in fasi successive, normalmente ad opera di eruditi. Un esempio
classico di allotropi è rappresentato dalla coppia pieve- plebe, derivate entrambe dal
latino plebe(m) 'popolo', la prima, però, per via popolare, la seconda per via dotta.
La derivazione di pieve è conforme a tutte le leggi fonetiche che caratterizzano il
passaggio dal latino all'italiano: il nesso consonante+ liquida /pi/ si è trasformato
in consonante+semiconsonante /pj/, la /6/ intervocalica si è spirantizzata, cioè è
diventata la fricativa lvi, e la consonante finale Imi è caduta. In plebe, al contrario, i
primi due processi non si sono verificati: questo è accaduto perché plebe è stata presa
a prestito dal latino nel Due-Trecento, senza percorrere il mutamento che ha portato
dal latino all'italiano. Altri esempi di allotropi sono coltura (derivazione popolare)
e cultura (derivazione dotta), dal latino CULTURA(M),vezzo (derivazione popolare)
e vizio (derivazione dotta) dal latino ViTIU(M), cosa (derivazione popolare) e causa
(derivazione dotta) dal latino CAUSA(M),ecc.
Molte parole sono poi entrate nell'italiano, fin dai primi secoli della sua storia,
come prestiti da altre lingue romanze. Ad esempio, coraggio,gioia, omaggio,viaggio
sono parole entrate in italiano dal francese o dal provenzale in epoca medievale.
Esse quindi non rispettano le leggi fonetiche che descrivono il passaggio dal latino
all'italiano: ad esempio, gioia deriva dal francesejoie, a sua volta derivato dal latino
GAUDIA,che, se passato direttamente in italiano per via popolare, avrebbe dato *gazza
oppure *gaggia.Un termine come guerra è entrato in italiano nel medioevo da una
lingua germanica, soppiantando il latino bellum (che è rimasto invece nel derivato
dotto bellico). Naturalmente, l'adozione di parole di prestito in italiano da lingue
classiche, altre lingue romanze, lingue germaniche, altre lingue indoeuropee e anche
non indoeuropee (in primo luogo, arabo ed ebraico) non ha caratterizzato soltanto
i primi secoli della storia della nostra lingua, ma anche quelli successivi, e continua
tuttora.
Passiamo ora al terzo caso di prestito, seguendo la distinzione di comodo che abbiamo
introdotto, ossia l'ingresso in italiano (o meglio, nel toscano) di parole prese a prestito
da altri dialetti. Ad esempio, corazzae rugiadasono prestiti entrati in toscano già nel
Trecento da dialetti settentrionali. Rugiada deriva dal latino ROSATA(M),e presenta
quindi la sonorizzazione dell'occlusiva intervocalica /ti, un fenomeno questo che non
si verifica nel toscano, in cui dovrebbe dare *rosata.Anche in questo caso, quindi,
l'eccezione alla legge fonetica è solo apparente: la parola rugiadafa parte del lessico
LINGUISTICASTORICA 267
italiano da molti secoli, ma non vi è giunta per una derivazione diretta dal latino, bensì
per un fenomeno di prestito.
3. IL MUTAMENTO MORFOLOGICO
4. IL MUTAMENTO SINTAmco
I verbi modali quindi si comportano come i verbi ausiliari inglesi (to be, to
bave e to do) ed in modo diverso dai verbi lessicali, tanto che a volte sono
chiamati anche «ausiliari modali». Fino alla metà del Cinquecento circa questa
differenza di comportamento tra verbi modali e verbi lessicali non esisteva
in inglese: le frasi interrogative e negative contenenti verbi lessicali avevano,
rispettivamente, le forme (76) e (96), non quelle (7a) e (9a). A partire da
quell'epoca, una serie di mutamenti morfologici e intattici ha progressiva-
mente «isolato» i verbi modali dai verbi lessicali, ed ha fatto sì che queste due
classi verbali sviluppassero due modi diversi di formare le frasi interrogative
e le frasi negative, nonché altre strutture sintattiche.
Ritorniamo ora alla questione del diverso ordine delle costruzioni latine tipo
litteras scriptas habeo oppure litteras scriptum habeo rispetto alle corrispon-
denti italiane ho scritto una lettera. Anche se è difficile dare una valutazione
esatta di quello che poteva essere l'ordine delle parole in latino, sia per le dif-
ferenze che esso presenta nei vari testi latini, sia, ovviamente, per la mancanza
di parlanti nativi che ci possano informare sull'ordine che essi avvertono come
«più normale», ci sono tuttavia buoni motivi, almeno su base statistica, per
affermare che nel latino classico l'ordine prevalente fosse quello con il verbo
dopo il complemento oggetto, ossia quello dei due esempi appena riportati.
Usando la terminologia introdotta in III.3.2., diremo quindi che il latino è
272 CAPITOLO 10
-----------~--~-----
una lingua OV. In III.3 .2. abbiamo visto anche che l'ordine rispettivo dell' og-
getto e del verbo, in una lingua, è correlato sistematicamente all'ordine delle
parole all'interno di altre costruzioni: le lingue OV sono posposizionali, e se
collocano l'aggettivo prima del nome, collocano anche il genitivo prima del
nome. Viceversa, le lingue VO sono preposizionali e collocano l'aggettivo e
il genitivo dopo il nome. L'italiano è una lingua VO, e quasi senza eccezioni
manifesta tutte le altre proprietà d'ordine di questo tipo di lingue. Ci si può
quindi chiedere: se il latino era una lingua di tipo OV, presentava tutte le
caratteristiche delle lingue di questo tipo? E il passaggio dal latino all'italiano
ha comportato un cambiamento di tutte le proprietà d'ordine, dal tipo OV
al tipo VO? Una risposta decisamente affermativa a questi due quesiti non è
possibile: il latino non manifesta in modo netto tutte le caratteristiche del tipo
OV, e quindi non si potrebbe parlare neppure di un completo cambiamento
tipologico realizzatosi nel mutamento sintattico dal latino all'italiano. Tuttavia,
in termini almeno di «rafforzamento» dell'ordine VO un simile cambiamento
non può essere negato.
Una caratteristica del tipo OV che il latino non dimostra certamente in ma-
niera preponderante è la presenza di posposizioni invece che di preposizioni:
infatti il latino possiede molte preposizioni. Non mancano, però, alcuni casi
di posposizioni, in espressioni del tipo legiscausa,legisgratiii'per legge', an-
che se si potrebbe obiettare che queste costruzioni sono piuttosto dei gruppi
nominali, con il nome testa (causa,gratiii)all'ablativo, preceduto dal genitivo
legis.Interpretando in questo secondo modo tali esempi, comunque, si vede
che il latino manifesta un'altra caratteristica propria delle lingue OV, ossia
l'ordine genitivo-nome (GN); tale ordine ci è documentato anche dai composti
italiani come terremoto,che conservano l'ordine latino terrae(gen.) motus (cfr.
V.11.3.). Assai problematico è stabilire se il latino possedesse l'ordine NA
(tipico delle lingue VO) oppure quello AN (tipico, sia pure in misura minore,
delle lingue OV; cfr. III.3.2.), in quanto entrambi gli ordini sono largamente
attestati: ad esempio, anche con lo stesso aggettivo, abbiamo sia ordini AN
come Punicaarbos 'melograno', lett. 'punico albero', che ordini NA come
malumPunicum'melagrana', lett. 'mela punica'. Stando così le cose, il latino
sembrerebbe possedere alcune caratteristiche delle lingue OV e altre delle
lingue VO. Come si è detto, invece, l'italiano, come tutte le lingue romanze,
appartiene decisamente al tipo VO: ciò significa che nel passaggio dal latino
all'italiano le caratteristiche OV del latino sono andate mano a mano perdute.
Ora, un'altra delle caratteristiche del tipo OV è che l'ausiliare segue il verbo
lessicale (nel nostro caso, rappresentato dal participio), mentre nel tipo VO, al
contrario, l'ausiliare lo precede. Si può dunque spiegare il mutamento dall' or-
dine litterasscriptashabeo,litterasscriptumhabeodel latino a quello ho scritto
una letteradell'italiano come dovuto al definitivo imporsi dell'ordine VO in
italiano. Il verbo haberelatino si era trasformato da verbo lessicale a verbo
ausiliare, mantenendo però la posizione che l'ausiliare ha nelle lingue OV: la
definitiva affermazione che il tipo VO ha avuto con la nascita dell'italiano ha
implicato il cambiamento dell'ordine tra ausiliare e participio.
STORICA273
LINGUISTICA
5. ILMUTAMENTO
LESSICALE
E SEMANTICO
In VIII.1. abbiamo definito il significato come «il modo di indicare la realtà»
da parte di una data parola in una data lingua. Un mutamento semantico sarà
dunque un mutamento nel modo di indicare la realtà: per esempio, la parola
latina plebs (accusativo plebe(m))indicava originariamente la 'popolazione';
successivamente, diventando l'italiano pieve, ha cominciato ad indicare il
gruppo di fedeli che facevano capo ad una certa chiesa rurale; infine, è passata
ad indicare la chiesa stessa. Per indicare la popolazione, e in particolare gli
strati più umili di essa, si è ricorsi quindi al termine plebe, di «derivazione
dotta» (v. sopra, p. 266).
Possiamo ora elencare alcune categorie principali in base alle quali possono
essere classificati i mutamenti semantici. Come si vedrà, in diversi casi queste
categorie sono quelle della retorica: ma si è già visto in VIII.2 .3. come i concetti
retorici abbiano un ruolo importante anche nell'uso ordinario del linguaggio.
Un primo tipo di mutamento semantico è il restringimento del significato
di una parola: il latino necaresignificava genericamente 'uccidere', ma i suoi
derivati romanzi (italiano annegare,francese noyer,ecc.) significano specifi-
camente 'uccidere per mezzo dell'acqua'. Il latino fortuna significava 'sorte'
in generale, poi ha assunto il significato più ristretto di 'buona sorte', 'sorte
favorevole'. In inglese, meatè passato dal significato generale di 'cibo' a quello
più specifico di 'carne'.
Il fenomeno contrario al restringimento è l'ampliamento di significato. La
parola latina virtus, che significava le qualità proprie dell'uomo maschio
(vir),quindi in primo luogo il valore, soprattutto bellico, ha assunto, nei suoi
derivati nelle lingue romanze, come l'italiano virtù, il significato di 'qualità
positiva'~ generale. Un altro esempio è quello di caballus,che originariamente
significava 'cavallo da lavoro', 'ronzino', e che è poi passato ad indicare il
cavallo in generale, soppiantando equus(che è rimasto nelle derivazioni dotte
equino,equestre,ecc.).
Un mutamento semantico per metafora si ha in un caso come quello dell'ita-
liano capire,che deriva dal latino capere,il cui significato originario è 'afferrare',
nel senso concreto del termine (afferrare con le mani). L'estensione metaforica
consiste nell'attribuire a tale verbo il significato di 'afferrare in senso astratto',
afferrare cioè con la mente.
Un esempio di mutamento semantico per metonimia è quello che ha portato
dal latino BUCCA(M),originariamente 'guancia', al significato di 'bocca' (che
si diceva originariamente os, da cui l'italiano orale):la metonimia è la crea-
zione di un nuovo significato per contiguità con quello precedente; quindi la
contiguità dei significati di 'guancia' e 'bocca' ha portato la parola buccadal
primo al secondo. Anche il passaggio del significato di pieve da 'popolazione
che si raccoglie intorno ad una determinata chiesa' a 'chiesa' può essere un
esempio di metonimia.
Un caso di sineddoche (una parte per il tutto) è quello dell'inglese stove, che
significa 'stufa', ma che deriva da una parola che significava 'stanza riscaldata'
274 CAPITOLO10
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
DOMANDE
1. Perché la somiglianza di parole non è un criterio adeguato per dire che due lingue sono
apparentate genealogicamente?
2. Sapresti fare un esempio di «corrispondenza sistematica» tra fonemi di più lingue?
3. Che cos'è una «forma ricostruita»? E come la si indica?
4. Che cos'è l'«albero genealogico» delle lingue indoeuropee? Quali sono i vantaggi e quali i
limiti di tale immagine?
5. Quali sono le corrispondenze fonetiche descritte dalla cosiddetta «legge di Grimm»?
6. Quali sono i motivi che possono causare «eccezioni» alle «leggi fonetiche»?
7. Le «leggi fonetiche» possono essere considerate analoghe alle leggi delle scienze naturali?
8. Cosa si intende rispettivamente con «retroformazione», «grammaticalizzazione» e «ricate-
gorizzazione»?
9. In base a quali fatti si può dire che nella trasformazione dal latino all'italiano si è rafforzato
l'ordine VO?
10. Quali sono i tipi principali di mutamento semantico?
CAPITOLO 11
L'acquisizione
del linguaggio
INTRODUZIONE
1. LAPOVERTÀDELLOSTIMOLO
2. COMESI STUDIAL'ACQUISIZIONE
due __ ». È importante usare parole inventate, perché solo così si può essere
sicuri che il bambino stia seguendo una regolaastratta e non ripetendo una
forma già sentita. È stato grazie a questo tipo di esperimento che si è scoperto
che i bambini conoscono e seguono regole di questo tipo per la formazione
dei plurali e altro ben prima di aver mai messo piede in una scuola. Il test di
wug rappresenta ancora oggi un modello di tecnica sperimentale per ottenere
dati di produzione focalizzati intorno a un determinato fenomeno. Ma non
c'è limite alla fantasia dei ricercatori quando si tratta di indurre i bambini a
produrre la struttura in esame: pupazzi parlanti, cartoni animati, giochi di
ruolo, vignette e via dicendo.
fig. 11.2. Fammi vedereil gallo che guarda i cani I Fammi vedereil gallo che i cani guardano.
il repertorio fonetico della propria lingua. Come vedremo meglio più avanti,
diversi studi hanno ipotizzato che la percezione di differenze molto piccole
nel ritmo e nell'altezza dei suoni possa aiutare i bambini a segmentare il
flusso sonoro in parole, o addirittura indirizzarli verso alcune caratteristiche
sintattiche della loro lingua.
Quanto alla produzione linguistica, gli studiosi pensano che inizi intorno ai
sei mesi di vita, con la lallazione,o balbettio. Il neonato produce molti suoni
vocalici prima di quell'età, alcuni dei quali anche dotati di contorni intonativi e
ritmici che li avvicinano già agli enunciati della loro (futura) lingua. C'è anche
una chiara evoluzione in questi vocalizzi, che si fanno via via più complessi
e variegati. Ma è solo a sei mesi che il bambino comincia a produrre suoni
dotati di una struttura linguistica, e più precisamente sillabe (cfr. IV.9.) con
un contorno intonativo. Le prime sillabe prodotte sono le stesse per tutti i
bambini: hanno generalmente la forma consonante-vocale (CV), e la vocale
preferita è sempre la /a/. Solo in un secondo momento le sillabe cominciano
a convergere verso i modelli sonori della lingua degli adulti.
La lallazione, ovvero la ripetizione di sequenze sillabiche senza significato, ha
sicuramente una componente di esercizio per così dire «ginnico», per cui il
bambino esercita il suo apparato fonatorio ad articolare suoni combinati. Ma
ha anche una funzione più astratta e più strettamente linguistica. Una scoperta
molto interessante in questo senso è stata che i bambini sordi esposti alla
lingua dei segni fin dalla nascita attraversano anch'essi, e intorno alla stessa
età, una fase di lallazione, ma manuale anziché vocale: ripetono ritmicamente
configurazioni della mano in movimento, senza associarvi alcun significato.
Quest'osservazione conferma l'importanza di questa tappa, indipendente-
mente dalla modalità (vocalica o manuale), nello sviluppo del linguaggio.
Quanto alla produzione dei singoli suoni che vanno a comporre il repertorio
fonetico della lingua di arrivo, si evolve in un arco di tempo piuttosto lungo.
Per i bambini italiani i primi suoni sono quelli appunto della lallazione, ovvero
vocali, occlusive e nasali alveolari, labiali e dentali (cfr. IV.2.1.), che vengono
apprese prima del primo anno. Seguono le occlusive velari prima e le fricative
dopo, nel secondo anno. Gli ultimi suoni, come in particolare la/ r/ e talvolta
la /s/, possono non essere prodotti correttamente fino al momento di andare
a scuola. Si evolve anche la capacità del bambino di combinare sillabe diverse
nella stessa sequenza, per cui si passa da «parole» sempre omosillabiche
(mamma,pappa, nanna ecc.) a «parole» dalla struttura più variabile.
virgole: sono tutte legate insieme in un'unica melodia. Per compiere questa
prodezza, il bambino usa sottili indizi acustici, quali la posizione dell'accento
o la durata delle sillabe. In questo modo apprende la struttura ritmica della
lingua, e impara che in quella struttura alcune combinazioni di suoni sono
possibili o probabili, e altre no. Grazie alle tecniche cui si accennava, si sa che
il bambino intorno ai nove mesi esegue vere e proprie analisi statistiche su
questa base. È grazie a questa straordinaria capacità che un bambino italiano
può capire, per esempio, che lananna è formato da due parole, la e nanna, e
non da tre, fan, nane na.
Il difficile è cominciare: una volta riconosciute alcune parole, come il proprio
nome (è stato dimostrato che all'età di quattro mesi un bambino è già in grado
di distinguerlo anche da parole dalla struttura simile) e quello di protagonisti
della propria vita quotidiana, è tutto più facile: le parole già riconosciute
possono aiutare il bambino a segmentare quello che rimane, e così di seguito,
in una sorta di effetto valanga.
D'altra parte, non basta «trovare» le parole, bisogna anche capire cosa si-
gnifichino. Sembra che il bambino sia in grado di riconoscere e ricordare
parole, a partire dai quattro mesi, molto prima di avere una qualsiasi idea del
loro significato. È solo intorno ai dieci mesi che si colgono i segni del primo
apprendimento lessicale vero e proprio. Questo ritardo non deve stupirci:
cogliere il nesso tra una parola e il suo significato è un compito davvero
arduo, soprattutto se si pensa che si tratta di un legame del tutto arbitrario
(cfr. II.7 .). Il bambino ha quindi bisogno di rilevare una stretta coordinazione
tra parola e oggetto. Vari studi hanno mostrato che tale coordinazione è resa
visibile, e l'apprendimento facilitato, se il nome viene detto mentre l'oggetto
si muove. Più in generale, la natura degli scambi in cui tipicamente è impe-
gnato - ripetitivi, concreti, basati sul qui e ora - viene in aiuto del bambino.
In particolare, svolge un ruolo importantissimo in questa fase un gesto che
compare ed è compreso dal bambino nell'ultimo trimestre del primo anno,
quello dell'indicare (o pointing). C'è infatti una relazione tra l'età in cui un
determinato bambino comincia a indicare e la comparsa delle sue prime parole.
Sappiamo così che intorno all'anno, un bambino è generalmente in grado di
comprendere una settantina di parole diverse, mentre il suo vocabolario attivo
è ancora di pochissime unità. Questo iato non sorprende. Per cominciare a
parlare, il bambino, oltre che riconoscerle, memorizzarle e associarle a un
significato, deve imparare a pronunciare le parole. Il primo passo in questa
direzione è costituito dalle cosiddette protoparole:associazioni stabili tra
suono e significato, ma del tutto personali e comprese solo dalle persone che
sono a più stretto contatto con il bambino. Un esempio potrebbe essere il
caso di un bambino che dice dadda ogni volta che vuole qualcosa.
Subentrano successivamente le prime parole, che sono però ancora diverse
dalle parole «adulte» perché legate alcontesto: si tratta di etichette per oggetti
specifici prima che di nomi per categorie di oggetti. Un esempio potrebbe
essere quello del bambino che adopera la parola gatto solo riferita alsimpatico
micio di casa, e non agli altri membri della classe felina.
L'ACQUISIZIONEDELLINGUAGGIO 287
La prima cosa che possiamo osservare è che queste espressioni hanno ancora
bisogno di una forte integrazione dal contesto per poter essere interpretate.
Prendiamo la prima: è probabile, data l'intonazione esclamativa con cui è
proferita, che corrisponda a una richiesta o a un ordine, qualcosa come: «voglio
ancora del latte!», o «Datemi altro latte!», ma l'espressione di per sé è molto
rudimentale. In questo tipo di enunciati, manca in particolare tutta una serie
di elementi grammaticali che costituiscono l'ossatura delle frasi grammaticali
«mature», le cosiddette parole funzionali (cfr. IX.8.): non ci sono (o ci sono
solo ogni tanto) articoli e altri determinanti, preposizioni, ausiliari, la copula.
In questo senso queste espressioni somigliano abbastanza alla modalità che
adottiamo noi adulti quando siamo costretti per motivi di tempo o di spazio
a scrivere molto velocemente (come si faceva un tempo, appunto, nei tele-
grammi, o oggi negli SMS), e riduciamo i nostri messaggi a sequenze di parole
contenuto omettendo appunto tutte le parole solo grammaticali.
Ma il fatto che queste espressioni siano incomplete e rudimentali non signi-
fica che siano prive di proprietà strutturali, che le rendono ben diverse da
semplici insiemi di parole. Torniamo agli esempi in (2). In ognuno di essi c'è
una precisa relazione tra le due parole combinate che possiamo ricondurre a
relazioni grammaticali: (2b) corrisponde alla combinazione di agente e azione
(qualcosa come soggetto-verbo); (2c) combina un'azione e il suo oggetto
(verbo-oggetto); (2d) e (2e) combinano un tema con un predicato.
La varietà delle relazioni espresse rispecchia sicuramente anche lo sviluppo
cognitivo che il bambino sta raggiungendo intorno al compimento dei due
anni: sta scoprendo un intero mondo di relazioni tra persone e oggetti che si
possono esprimere solo combinando più parole insieme. Ma il modo in cui
le esprime, sfruttando l'ordine per assegnare una funzione alle parole com-
binate, non è una conseguenza passiva di queste nuove scoperte sul mondo,
è un'operazione attiva, puramente grammaticale.
L'ACQUISIZIONEDELLINGUAGGIO 289
(3) aprirlo
lo sai, babbo
Ciò suggerisce che la grammatica in questa fase sia più complessa di quanto
possa apparire. Ma si deve ancora una volta guardare ai dati di comprensione
per capire meglio cosa sappia il bambino in questo stadio.
È importante soprattutto verificare se il bambino sia in grado di interpretare
le parole grammaticali quando ancora non le produce. I dati mostrano chia-
ramente che lo è. In particolare, è stato provato che bambini di due anni, che
non producono ancora sistematicamente l'articolo, sono in grado di ricono-
scerlo nel flusso del parlato e di interpretarlo. Per fare un esempio (tratto da
Michnick Golinkoff e Hirsh-Pasek [1999)), se si chiede a dei bambini, usando
le forme in (4), di indicare un cane su un libro illustrato
questi saranno molto più accurati nel soddisfare la nostra richiesta quando la
frase è corretta e contiene quindi il giusto articolo. Lo stesso tipo di risultato
si è ottenuto con preposizioni e desinenze.
L'idea che prevale oggi è quindi che la struttura funzionale della frase sia già
presente nella grammatica del bambino quando comincia a produrre le prime
frasi (in una sostanziale continuità con la grammatica matura), ma che per
risparmiare energia cognitiva, egli faccia più o meno quello che facciamo noi
quando abbiamo fretta o problemi di spazio: tronca la struttura, mantenendo
la frase ali'osso pur essendo in grado ali'occorrenza di espanderla.
Il bambino naturalmente non si ferma qui, e impiega i successivi anni ad
arricchire la propria produzione e comprensione morfosintattica. Una delle
scoperte sconvolgenti che sono state fatte grazie agli studi longitudinali degli
290 CAPITOLO11
anni Settanta (in particolare lo studio di Brown già citato) è che tutti i bambini
che imparano una data lingua seguono uno sviluppo morfologico e sintattico
prevedibile: esiste cioè una vera e propria sequenza invariabile di acquisizione
di desinenze e parole funzionali. Può variare l'età in cui un singolo bambino
raggiunge un determinato stadio, ma la sequenza degli eventi rimane senza
dubbio la stessa. Si noti che già l'esistenza della fase delle due parole, e la sua
durata, mostrano chiaramente come il bambino sia lontano dall'imitazione:
gli adulti, tranne circostanze eccezionali che non coinvolgono tipicamente i
bambini (SMS,telegrammi, diari veloci), non parlano così. Ma la prevedibi-
lità del successivo sviluppo conferma ancora una volta quanto il processo di
acquisizione del linguaggio sia lontano da un processo di passiva ripetizione
di cose dette da altri.
Per i bambini italiani, questo ulteriore sviluppo inizia con il singolare, tanto
dei nomi quanto dei verbi, i quali sono spesso al participio passato o alla terza
persona del presente indicativo. Il plurale compare dopo, insieme all'imper-
fetto. Contemporaneamente compaiono gli articoli: prima una forma femmi-
nile invariabile (a o la), e poi le altre forme. Le prime preposizioni sono in e
a. È a questo punto che cominciano quegli errori di ipergeneralizzazione che
abbiamo già menzionato (aprilo,romputo, diti), segno chiaro dell'aderenza sin
troppo perfetta a una regola di cui queste forme sono invece eccezioni. Anche
le costruzioni grammaticali sono acquisite con un certo ordine, e richiedono
un certo tempo. Abbiamo già accennato che le frasi relative sull'oggetto
(cose come: «Voglio il giocattolo che il bambino tiene in mano») non sono
comprese perfettamente prima dei cinque anni. Le interrogative, sia quelle
sì/no che quelle «-wh» (cfr. VII.3.2.), sembrano essere già del tutto acquisite
tra i due e i tre anni di età. Le ricerche sono tuttora in corso, e non è ancora
del tutto chiaro quando si possa parlare di grammatica matura nello sviluppo
di un bambino.
4. LASECONDALlNGUA
Finora abbiamo visto come bambini e adulti siano diversi dal punto di vista
linguistico. Gli adulti non sembrano avere facile accesso a quel complesso ma
naturale, irrevocabile e regolare processo cui soggiacciono i bambini quando
imparano la loro prima lingua. In questo paragrafo cercheremo di capire
meglio la natura di questa differenza. In particolare ci chiederemo: quando si
«diventa adulti» da questo punto di vista? In altre parole, quando viene meno
la straordinaria capacità che abbiamo descritto nella prima parte di questo
capitolo? E che relazione c'è tra il processo di sviluppo del linguaggio e l'ac-
quisizione della seconda (e della terza) lingua? Infine: oltre alla dimensione
temporale, ci sono altri limiti nella capacità dei bambini di imparare le lingue?
In altre parole, si può imparare più di una lingua secondo questa modalità?
dal medico Jean-Marc Itard. Un secondo caso, molto più moderno, è quello di
Genie, una ragazzina trovata nel 1970 a Los Angeles in uno stato di cattività e
di isolamento, che fu poi a lungo seguita ed istruita da una équipe di linguisti e
psicologi. In entrambi i casi, gli anni di sforzi degli studiosi che si occuparono
di loro si risolsero in un fallimento dal punto di vista linguistico: i due ragazzi
non andarono mai oltre un lessico limitatissimo e semplici giustapposizioni non
strutturate di poche parole. Alle soglie della pubertà l'istinto del linguaggio
che abbiamo già citato, non essendo stato sollecitato durante l'appropriata
finestra temporale, si era per così dire atrofizzato.
La forza dell'evidenza fornita da questi casi è tuttavia indebolita dalla loro
stessa natura di fatti straordinari: in particolare, è impossibile avere la certezza
che questi due bambini non presentassero dei deficit linguistici o in generale
cognitivi anche prima di venire isolati o abbandonati. Oggi, si preferisce
quindi concentrarsi sull'osservazione di casi meno clamorosi ma più facil-
mente controllabili di deprivazione linguistica: quella di molti bambini sordi.
La maggior parte dei bambini sordi non nasce da genitori sordi, ma udenti,
che in molti casi impiegano un certo numero di anni per accorgersi della loro
sordità e per correre ai ripari esponendoli a una lingua naturale, la lingua dei
segni del loro paese. È stato così dimostrato che c'è una relazione diretta tra
l'età di esposizione alla lingua e la competenza linguistica testabile con test
di comprensione e di produzione. Più tardivamente un bambino è esposto al
linguaggio e peggio imparerà la sua prima lingua.
Oggi si tende a pensare che esistano due periodi critici nella vita di un essere
umano. Dopo il primo, diventa difficile l'acquisizione della prima lingua (o
Ll); dopo il secondo diventa difficile l'acquisizione di una seconda lingua
(o L2).
Per quanto riguarda Ll, sembra che questo primo periodo critico si aggiri
intorno ai cinque anni di età. Per quanto riguarda L2, la soglia critica si aggira
intorno al periodo della pubertà: dopo tale periodo è molto difficile che un
individuo riesca ad apprendere una lingua a livello di un madrelingua, specie
per quanto riguarda l'accento. Alcuni studiosi indagano sui cambiamenti
neurofisiologici che potrebbero essere alla base di questo sviluppo a finestre.
Al di là dei risultati, che sono senz'altro diversi nel senso che la competenza
nella prima lingua è sempre superiore a quella in una L2 acquisita più o meno
tardivamente, ci si può chiedere se il processocon cui si apprendono la prima e
la seconda lingua sia lo stesso oppure no. In questo paragrafo ci concentreremo
su quanto sappiamo sul punto di partenza (4.2.1.), sui progressi o interlingue
(4.2.2.) e sul punto di arrivo (4.2.3.) dell'acquisizione di L2.
L'ACQUISIZIONEDEL LINGUAGGIO 293
Queste tre possibili ipotesi sullo stato iniziale danno luogo a diverse predi-
zioni per quanto riguarda le difficoltà e gli errori che compiranno coloro che
apprendono una seconda lingua. Se chi impara 12 ha a disposizione solo
LI come punto di partenza, ci si aspetta che nella maggior parte dei casi gli
errori compiuti saranno errori di interferenza:dovuti cioè al trasferimento
improprio di una regola di L1 alla grammatica di 12. Un esempio di errore di
interferenza potrebbe esser quello per cui gli italiani che imparano l'inglese
tendono a produrre enunciati come (6).
Anche (7) è una frase agrammaticale, perché manca l'ausiliare (ho). Questo
enunciato non è riconducibile a un'interferenza di LI, in quanto potrebbe
essere prodotto da qualunque apprendente di italiano L2, sia esso di LI spa-
gnola o francese (dove esiste un sistema di ausiliari molto simile al nostro),
che di L1 per esempio cinese (dove invece gli ausiliari non esistono). Somiglia
294
--------
CAPITOLO 11
invece molto a quegli enunciati telegrafici dei bambini che abbiamo discusso
a lungo nelle pagine precedenti.
Nella realtà dei fatti, gli apprendenti una L2 compiono tanto errori simili a
(6) che errori simili a (7). Sembrano basarsi sulla loro grammatica di L1 come
punto di partenza, pur mostrando segni di un processo in parte indipendente
da essa. È possibile che questa duplice natura sia spiegabile con il modello
c) in (5), quello per cui si ha ancora accesso alla proto-grammatica ma solo
attraverso la mediazione di Ll.
Oltre la metà dell'umanità è bilingue, nel senso che parla correntemente due
lingue nazionali (cfr. IX.7.). Ma se si calcolano tra i bilingui anche coloro
che parlano una lingua nazionale e un dialetto (cfr. IX.5.), il numero è an-
cora maggiore. Eppure, almeno in teoria, apprendere due lingue dovrebbe
essere difficile, eccezionale, fonte di confusione e magari problemi. In effetti,
il motivo per cui nella maggior parte dei sistemi scolastici si cominciano a
studiare le lingue alle medie sta proprio in questa convinzione, piuttosto e
purtroppo diffusa: che il bambino piccolo sia in grado di occuparsi di una sola
lingua alla volta e che quindi sia meglio aspettare che abbia «consolidato» la
sua Ll prima di passare alla L2. Lo stesso pregiudizio è stato per molti anni
alla base del consiglio frequente che veniva dato alle famiglie di immigrati:
quello di abbandonare la propria lingua di origine per non intralciare l'ap-
prendimento linguistico del bambino e la sua conseguente integrazione nel
paese di accoglienza.
La realtà è molto diversa, come ha ampiamente dimostrato la ricerca scienti-
fica. Non solo i bambini non fanno confusione quando apprendono due (o
più!) lingue insieme, ma non iniziano necessariamente a parlare più tardi o
con un lessico impoverito.
Addirittura, alcuni studi hanno mostrato che i bilingui hanno indubbi vantaggi
cognitivi sui monolingui: i bambini bilingui sono più abili nei compiti che
richiedono riflessione metalinguistica e più abili a gestire più attività contem-
poraneamente. Quanto agli adulti, sembra che il bilinguismo li preservi più a
lungo dall'invecchiamento cognitivo e che ritardi significativamentel'emergere
di sintomi nelle persone affette dal morbo di Alzheimer.
Torniamo allo sviluppo del linguaggio. I bambini che sono esposti precoce-
mente a due o più lingue raggiungono le diverse fasi di sviluppo in ognuna
delle lingue seguendo la stessa tabella maturazionale che abbiamo visto valere
per i bambini monolingui. Ma come è possibile?
Il vecchio pregiudizio che il bilinguismo fa male si basava su un'idea molto
ragionevole: owero che non siamo fatti per imparare più lingue, ma una
alla volta, e che quindi il bambino parta inizialmente dall'ipotesi che i di-
versi input cui è esposto sono da ricondurre a un'unica grammatica. Da qui
sorgerebbero la difficoltà e il ritardo, dovuti al fatto che nella fase iniziale il
bambino confonderebbe le due lingue. La versione scientifica di questa idea,
detta ipotesi del sistema linguistico unitario, ipotizza che il bambino bilin-
gue passi attraverso una fase unitaria, da cui si allontana progressivamente
separando le due lingue. Studi più recenti ci portano a ripensare radicalmente
questa ipotesi.
L'ACQUISIZIONEDEL LINGUAGGIO 297
NOTA STORICO-BIBLIOGRAFICA
La ricostruzione presentata nel testo è per forza di cose molto semplificata, e non rende giustizia
al lungo dibattito sull'apprendimento del linguaggio che ha preceduto gli studi su cui si basa il
capitolo, tutti grosso modo successivi agli anni Sessanta e alla svolta cognitivista inaugurata in
linguistica da Noam Chomsky (cfr. cap. VII). Uno dei suoi primi articoli importanti [Chomsky
1959] fu proprio una recensione ferocemente polemica a VerbalBehavior di Skinner [1957],
che connetteva l'acquisizione del linguaggio al condizionamento operante, il meccanismo di
stimolo e rinforzo al centro dell'ipotesi comportamentista. Ma il dibattito sul problema della
povertà dello stimolo e sulla necessità (o meno) di postulare meccanismi innati (quello che qui
abbiamo chiamato l'istinto del linguaggio) non è ancora chiuso. In anni più recenti, partico-
larmente influenti sono state le ricerche di Michael Tomasello, che ha rinnovato su nuove basi
il tentativo di spiegare lo sviluppo del linguaggio invocando semplici processi di analogia e
induzione [Tomasello 2003].
Per un'introduzione rapida e abbastanza completa alle diverse scuole che studiano lo sviluppo
del linguaggio e agli obiettivi delle diverse teorie, si veda King e Mackey [2008].
Per un'introduzione al sistema CHILDES si raccomanda Mac Whinney [1995]. Tra gli studi
cui si fa riferimento nel testo, vanno segnalati almeno gli studi pionieristici di Brown [1973] per
l'approccio naturalistico e di Berko [ 1958] per quello sperimentale. Sulla conoscenza preverbale,
non solo linguistica, dei neonati, presenta una panoramica molto appassionante e divulgativa
Mehler e Dupoux [1990].
Le scoperte sulla lallazione manuale si devono a Petitto e Marentette [1991]. L'ipotesi del periodo
critico è stata formalizzata per la prima volta in Lenneberg [1967]. Gli studi sulla correlazione
tra deficit linguistici e ritardo di esposizione alla lingua nei bambini sordi americani sono di
Newport e Supalla [1987].
Quanto allo sviluppo della sintassi, l'ipotesi della maturazione si deve a Radford [1990]. L'al-
ternativa presentata nel testo, per cui il bambino «tronca» la propria struttura sintattica, si deve
a Luigi Rizzi (v. i saggi raccolti in Rizzi [2000]).
Per approfondire gli aspetti empirici, metodologici e formali dell'acquisizione della prima
lingua, si può leggere in italiano Michnick-Golinkoff e Hirsh-Pasek [1999], libro ricchissimo
e molto informativo ma che risente un po' dell'impostazione «per le mamme» scelta nel com-
pilarlo. Un'introduzione di taglio più scientifico è Guasti [2007], versione breve e divulgativa
L'ACQUISIZIONEDEL LINGUAGGIO 299
dell'autorevole Guasti [2002]. Scritti dalla massima studiosa italiana di processi di acquisizione
linguistica (autrice tra l'altro di numerose ricerche sulle frasi relative cui si accenna nel testo),
questi testi hanno entrambi il vantaggio di citare molti risultati riguardanti anche l'italiano.
Per quanto concerne l'acquisizione di L2, White [2003], ricercatrice di punta in questo campo,
presenta una visione di insieme sui problemi teorici, empirici e metodologici. Sul bilinguismo: gli
studi sui vantaggi cognitivi dei bilingui si devono a Bialystock e alla sua équipe (v. per esempio
Bialystock [2001]), mentre l'ipotesi del sistema unitario è solitamente ricondotta a Volterra e
Taeschner [1978] e Taeschner [1983]; per quella dei due sistemi paralleli, si veda per esempio
De Houwer [1990].
DOMANDE
Cervelloe linguaggio
1. METODI
Come sopra accennato, lo studio delle malattie del cervello ha costituito il fon-
damento storico della neurobiologia del linguaggio, e continua a svolgere un
ruolo centrale nello sviluppo delle nostre conoscenze. Qualsiasi patologia che
coinvolge le aree cerebrali specializzate può rappresentare una finestra sull' or-
ganizzazione cerebrale del linguaggio. In particolare, glistudi si sono rivolti alle
afasie, ovvero ai disturbi acquisiti del linguaggio conseguenti a lesioni acute
dell'encefalo, come le lesioni vascolari cerebrali. A questo tipo di osservazioni
si devono le prime fondamentali scoperte sulla specializzazione dell'emisfero
sinistro per il linguaggio e sul ruolo di regioni circoscritte in aspetti specifici
dell'elaborazione linguistica. Lo studio di pazienti colpiti da lesioni localizzate,
in particolare i pazienti divenuti afasici per lesioni vascolari come infarti ed
emorragie, ha infatti consentito di dimostrare il legame tra preferenza manuale
(nella maggior parte dei soggetti, per la mano destra) e dominanza emisferica
per il linguaggio. Tale legame è sistematico per i soggetti destrimani, che pre-
sentano quasi universalmente una specializzazione dell'emisfero sinistro per il
linguaggio, più complesso nei soggetti mancini (meno della metà presenta una
dominanza dell'emisfero destro). Tali osservazioni hanno consentito inoltre di
stabilire le prime correlazioni, necessariamente grossolane, tra alcuni aspetti
dell'elaborazione linguistica e regioni specifiche dell'emisfero dominante,
quali il rapporto tra produzione e area frontale ventrolaterale (area di Broca)
o tra comprensione e giro temporale superiore (area di Wernicke) (fig. A.1).
Un evidente limite della correlazione anatomo-clinica classica, praticata dai
clinici neurologi sino alla metà del secolo scorso, era l'impossibilità di stabilire
a paziente vivente dove fosse localizzata nel cervello la lesione responsabile
dell'afasia. L'unica possibilità era infatti di attendere il decesso del paziente
ed eseguire un'autopsia. Il quadro si modifica radicalmente prima con gli
Area
di Broca
cissura
silviana
clivista dei paradigmi utilizzabili che della sensibilità dei metodi. A titolo cli
esempio, vale la pena cliricordare come nei primi esperimenti con la tecnica
della tomografia ad emissione clipositroni (PET) le modalità cliacquisizione del
segnale (tipicamente variazioni del flusso sanguigno regionale) richiedessero
situazioni sperimentali del tutto innaturali, come la presentazione cliparole
per 40 secondi cliseguito [Petersen et al. 1988). Gli sviluppi della tecnologia,
in particolare con la risonanza magnetica funzionale (RMf), consentono la mi-
surazione della risposta emodinamica a singoli eventi, quali la presentazione di
un singolo stimolo, consentendo cliriprodurre situazioni sperimentali classiche
della psicolinguistica. Analogamente, il miglioramento del rapporto segnale-
rumore negli studi clirisonanza magnetica funzionale consente attualmente
clieseguire degli studi in singoli soggetti, piuttosto che in gruppi [Abutalebi
et al.2009]. Questo tipo cliindagine è stata applicata in particolare allo studio
clisoggetti afasici, al fine di valutare la riorganizzazione funzionale spontanea
o conseguente a trattamento riabilitativo [Vitali et al. 2007].
Un cenno particolare meritano gli sviluppi dei metodi analitici che consen-
tono clistudiare, oltre alla localizzazione cerebrale dei diversi aspetti della
elaborazione linguistica, la comunicazione tra le diverse aree (connettività)
durante l'esecuzione di un compito [Friston 2002).
2. DUEINDIRIZZI
DI RICERCA
RAPPRESENTATM
Come abbiamo visto, da quei primi risultati della seconda metà dell'Ottocento
la ricerca nell'ambito della neuropsicologia del linguaggio si è arricchita di
tanti e tali strumenti e metodi di indagine che il campo si presenta in un modo
completamente diverso. Non solo l'enfasi sulla patologia diminuisce a favore
dello studio di soggetti normali, ma si può procedere indagando aspetti funzio-
nali e morfologici senza dover aprire la scatola cranica. Tuttavia, come sempre,
un avanzamento metodologico e la scoperta di nuovi fatti empirici permet-
tono sì nuove domande ed offrono nuove risorse, ma pongono al contempo
anche nuovi problemi. Il maggiore tra tutti è, almeno al momento, capire
come mettere in relazione le scoperte ottenute nell'ambito della linguistica
teorica (e comparata) con quelle inerenti la struttura e i processi effettivi che
hanno luogo nelle reti neuronali individuate con i nuovi metodi di indagine
in vivo (sui soggetti sani). In altre parole: il problema principale è verificare
se ciò che si è scoperto sulla struttura formale delle lingue umane e quello
che si è scoperto sulla struttura morfologica e funzionale dell'encefalo sono
comparabili, compatibili e, in linea di principio, integrabili.
Per procedere in questa direzione, non esistono ovviamente strategie speri-
mentali privilegiate né fenomeni che emergano in modo speciale; occorre come
sempre fare delle scelte e tentare nuove vie. Qui sceglieremo due indirizzi
rappresentativi di questo percorso scientifico, nella convinzione non solo che
siano più stabili di altri rispetto ai risultati e alle conferme ottenuti, ma anche
che rappresentino in qualche modo due aspetti complementari dei fenomeni
linguistici: la sintassi e il lessico.
dei lavori rimandiamo a Cappa [2012), mentre per una trattazione divulga-
tiva ed estesa degli esperimenti che presentiamo in questo paragrafo si veda
Moro [2008). Il discorso verrà scandito in due parti: una preliminare ed una
centrale, dove si affronta la questione dei correlati neurali della ricorsività.
La parte preliminare, ovviamente, consiste nel verificare che innanzitutto nel
cervello esiste una rete dedicata alla sintassi. Questo punto fu affrontato all'i-
nizio di questo secolo da almeno due gruppi di ricerca che hanno dato risultati
del tutto convergenti. Per comprendere la strategia sperimentale occorre
mettere in evidenza uno dei limiti sperimentali principali che caratterizzano
le indagini basate sulle neuroimmagini. Dal momento che queste metodiche
danno fondamentalmente una misura dell'attività emodinamica del cervello,
dalla quale si deduce l'attività metabolica e dunque funzionale dell'organo,
non è possibile avere dati diretti selettivi su un determinato compito, cognitivo
o meno: il cervello, infatti, com'è ovvio, salvo patologie, è comunque sempre
completamenteirrorato dal flusso ematico. Occorre dunque procedere secondo
almeno due possibili alternative: o si confrontano due compiti minimamente
differenti e si associa il risultato emodinamico alla differenza tra i due com-
piti (metodo sottrattivo); oppure si confrontano due fasi diverse dello stesso
compito e si associa il risultato emodinamico all'andamento del compito, ad
esempio in termini comportamentali (metodo parametrico; per queste diffe-
renze si veda il lavoro pionieristico di Friston [1997)).
È ovvio che, per vedere se esiste nel cervello una rete dedicata alla sintassi, non
possiamo confrontare due compiti linguistici che si differenziano per il fatto
che in un caso vengono eseguiti compiti sintattici e in un caso no: non esiste
infatti alcun linguaggio senza sintassi; può certo esistere comunicazione, ma
linguaggio nel senso normalmente inteso no. Una soluzione a questo apparente
vicolo cieco è stata quella di confrontare se nel cervello si attivano reti diverse
in corrispondenza di errori di tipo diverso. Questa strategia d'indagine è stata
utilizzata per la prima volta in due lavori indipendenti e diversi ma convergenti:
Embick et al. [2000] e Moro et al. [2001). L'idea comune nei due lavori consiste
nell'ipotesi che, se esiste una reazione diversa del cervello agli errori sintattici
rispetto ad errori di altro tipo (ad esempio, fonotattici o morfosintattici), allora
il cervello contiene una rete dedicata alla sintassi. Questa deduzione è valida,
com'è ovvio, solo se si ammette che la rete che riconosceerrori di un certo tipo
è fondamentalmente sovrapponibile alla rete che produce le regolarità dello
stesso tipo; d'altronde, ammettere che nel cervello le regole sintattiche siano
codificate due volte in modo separato - una volta per la produzione, una volta
per il controllo - equivarrebbe ad ammettere una costosa ridondanza nell' ar-
chitettura funzionale delle facoltà cognitive che non sarebbe facile giustificare.
Come se avessimo in testa due aritmetiche: una per calcolare se 2 + 2 fa 4 e una
per dire che 2 + 2 non fa 5. La differenza tra i due esperimenti sta invece nel
fatto che nel secondo esperimento citato si sono utilizzate pseudoparole, vale
a dire parole di classe aperta (v. V.2.), morfologicamente e fonotatticamente
corrette, ma con una radice lessicale inventata. Un esempio è la frase: il gulco
gianigevale brale. In questa frase riconosciamo la buona formazione delle
CERVELLOE LINGUAGGIO 311
surabile con quello che sappiamo sulla struttura neurobiologica del cervello.
Un altro ambito di ricerca promettente è ad esempio quello che riguarda la
natura della struttura dei sintagmi. Si sente spesso dire che i sintagmi, anzi la
rappresentazione che ne diamo, è un'astrazione e che la realtà sono invece i
neuroni che a tale regolarità danno origine. Certamente la rappresentazione
dei sintagmi è un'astrazione; ma è altrettanto certamente vero che - come
propose Rutherford nel 1911- anche la rappresentazione di un atomo come
un piccolo sistema solare lo era. L'atomo di Rutherford era semplicemente
un modo sintetico e coerente di rappresentare la risposta ad alcuni esperi-
menti e non una realtà di «rango minore» da contrapporre ad una realtà «più
reale». Allo stesso modo dovrebbe senza alcun dubbio essere interpretata la
rappresentazione sintattica in termini di teoria X-barra o in altre notazioni
equivalenti anche se non è stata ottenuta indagando la base materiale dalla
quale la sintassi scaturisce, cioè la struttura neurobiologica.
A questo proposito, tuttavia, va senz'altro aggiunto che, anche in questo set-
tore specifico della sintassi, si stanno iniziando ad accumulare dati empirici
di natura neuropsicologica che offrono nuovi supporti a tali rappresentazioni,
rendendo questa cautela nel valutare le rappresentazioni sintattiche, già di per
sé non giustificabile, ancor meno plausibile. In questa direzione si sono mossi
ad esempio Abutalebi et al. [2007] e Pallier et al. [2011], con due esperimenti
di neuroimmagini che utilizzano RMf.Nel primo si è misurata la differenza
di reazione nel cervello di soggetti bilingui sottoposti all'ascolto di una storia
in cui si saltava in modo inaspettato da una lingua all'altra. Si è osservato che,
in caso di salto dopo lo specificatore di un sintagma, il cervello reagiva in
modo diverso che in caso di salto dopo la testa del sintagma. Nel secondo si
è misurata invece la diversa attività cerebrale nel caso di accumulo di parole
senza legame sintattico, come in una lista, rispetto al caso di legami strutturali
sintagmatici. In entrambi gli esperimenti, tolti ovviamente gli aspetti non
rilevanti, si è visto che la rappresentazione dei costituenti in termini formali
si correla in modo del tutto coerente con le attivazioni nelle reti corticali (e
subcorticali) dedicate al linguaggio.
ducono errori che indicano una disfunzione a livello della selezione lessicale
o rappresentazioni concettuali (parafasie verbali o semantiche). Gli studi di
correlazione con la sede della lesione in pazienti con lesioni vascolari hanno
individuato una possibile differenza, con lesioni delle aree poste all'intorno
della scissura di Silvio (fig. A.1) associate a deficit fonologici e lesioni in aree
temporali o parietali extrasilviane associate alle difficoltà semantico-lessicali
[Cappa et al. 1981]. Più recentemente, lo studio dei pazienti con afasia pri-
maria progressiva ha confermato e precisato questa distinzione, attraverso il
confronto tra le caratteristiche cliniche e di neuroimmagine tra pazienti con
variante semantica e pazienti con variante logopenica [Gorno-Tempini et al.
2004]. Le osservazioni cliniche sono supportate dagli studi di neuroimmagine
eseguiti in soggetti normali. Un classico studio eseguito con la PET [Demonet
et al. 1992] ha confrontato le attivazioni cerebrali quando i volontari esegui-
vano un compito puramente fonologico (giudicare l'organizzazione fonologica
all'interno di sequenze sillabiche prive di significato) con quelle relative a un
compito semantico-lessicale (decidere se la parola presentata si riferiva ad una
specifica categoria di entità concrete). Nel primo caso l'attivazione cerebrale
era limitata alle classiche aree del linguaggio all'intorno della scissura silviana.
Nel caso del compito semantico l'attivazione si estendeva invece più estesa-
mente nelle aree sopra definite come extrasilviane: giro temporale medio e
inferiore, lobulo parietale inferiore e aree prefrontali.
Un importante ulteriore contributo allo studio delle basi neurologiche dei
processi di elaborazione semantico-lessicale è derivato da altre osservazioni
cliniche, basate sullo studio di singoli casi con l'approccio della neuropsi-
cologia cognitiva [Shallice 1988]. In particolare, alcune osservazioni hanno
dimostrato la possibilità che lesioni cerebrali colpiscano in modo relativamente
selettivo la capacità di produrre e/o comprendere parole riferite a specifiche
categorie semantiche, oppure appartenenti a diverse categorie grammaticali.
Nel primo caso, i primi disturbi selettivi sono stati verificati al livello delle
categorie delle entità biologiche e degli artefatti. Nel secondo, la principale
distinzione riguarda i nomi ed i verbi. Passiamo brevemente in rassegna le
ipotesi che sono state formulate per spiegare le dissociazioni osservate a livello
clinico, e gli studi che hanno cercato di mettere in relazione questi fenomeni
con l'organizzazione neurale della elaborazione semantico-lessicale.
L'osservazione di disturbi specifici per alcuni domini semantici è stata ini-
zialmente interpretata come effetto secondario della organizzazione delle
conoscenze concettuali sulla base delle modalità sensorimotorie associate alla
loro acquisizione [McCarthy e Warrington 1988]. Un ruolo essenziale delle
conoscenze di tipo visuo-percettivo, preponderanti nelle rappresentazioni
concettuali relative alle entità biologiche (animali, frutta e verdura), deter-
minerebbe, nel caso della loro compromissione in seguito a danno cerebrale
di aree dedicate, un disturbo selettivo per le entità biologiche. Viceversa, il
disturbo relativo agli artefatti conseguirebbe ad una compromissione delle
conoscenze relative alla funzione, in cui un ruolo importante hanno rappre-
sentazioni motorie ed enciclopediche (come si usano, a quale scopo, in quali
316 APPENDICE
--~--------------------------~
3. PROSPETI1VE:
GENETICA,
EVOLUZIONE,
NUOVETECNICHE DI INDAGINE
È ovvio da quanto abbiamo visto sopra che non si può trarre ancora alcuna
conclusione definitiva sul legame tra linguaggio e cervello se non che si
sono aperte strade che portano a domande totalmente nuove. Nemmeno le
tecniche di indagine sono stabilizzate: dati promettenti arrivano ad esempio
ora dalla neurochirurgia funzionale, investendo settori importantissimi
come quelli relativi alla scrittura [si veda ad esempio Magrassi et al. 2010] e
alla elaborazione lessicale [Sahin et al. 2009]. Le possibilità di un'indagine
nei termini di genetica molecolare della facoltà di linguaggio umano sono
limitate dall'ovvia impossibilità ad accedere a modelli animali - è ormai più
che assodato quello che a livello intuitivo era già colto da Cartesio e poi von
Humboldt, cioè che solo noi esseri umani facciamo «uso infinito di mezzi
finiti», come dimostra ad esempio Anderson [2008] e Terrace et al. [1979].
Informazioni interessanti derivano dallo studio dei disturbi dell' acquisi-
zione, in particolare per quanto riguarda il linguaggio scritto. L'importanza
dei lavori sulle mutazioni del gene FOXP2 - una mutazione nella sequenza
delle molecole (nucleotidi) che costituiscono la specifica porzione di DNA
corrispondente a questo gene, che era stato dapprima messo in relazione a
un deficit di tipo grammaticale e poi derubricato ad una capacità molto più
periferica, legata sostanzialmente alla pronuncia dei morfemi plurali rego-
lari in inglese - è stata in qualche modo ridimensionata (si vedano a questo
proposito Marcus e Fisher [2003], Moro [2008; 2012], ed i riferimenti ivi
citati); ciò nonostante, l'applicazione di modelli genetici più complessi sem-
bra fornire dei risultati promettenti [Pinel et al. 2012; Vernes et al. 2008].
Anche gli studi sull'evoluzione del linguaggio sembrano ancora una volta
esser fermi: un motivo è che non abbiamo equivalenti fossili del linguaggio
(ovviamente non considerando le testimonianze scritte sufficientemente
antiche per essere sfruttate rispetto ai tempi della scala evolutiva); un altro
motivo sta nel fatto che, se la marca distintiva della sintassi è la ricorsività e
se la ricorsività produce per definizione strutture potenzialmente infinite, la
sintassi non può per definizione manifestarsi gradualmente, sbarrando con
questo la strada all'ipotesi di protolinguaggi che non siano caricature delle
lingue naturali. Ma qui il discorso si fa troppo complesso, non solo rispetto
all'orizzonte di questo libro, ma anche per la sua stessa natura, e dunque non
è possibile affrontarlo in modo definitivo.
318 APP_EN_D_IC_E
_____________ _
La storia della relazione tra cervello e linguaggio dunque non finisce cer-
tamente qui, semmai inizia: quel che è certo è che né la neuropsicologia
può fare a meno della linguistica né la linguistica della neuropsicologia. Per
fortuna, il linguaggio, come l'universo, è patrimonio comune di chiunque sia
interessato ad indagarlo.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Forniamo qui di seguito una serie di indicazioni bibliografiche utili per tutti i lettori che vogliano
approfondire i temi trattati nell'appendice.
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[2009], Moro [2008; 2012], Moro et al. [2001], Musso et al. [2003], Odifreddi [1989], Pallier,
Devauchelle e Dehaene [2011], Patterson, Nestore Rogers [2007], Petersen et al. [1988], Pinel
et al. [2012], Rizzi [2009], Rorden, Karnath e Bonilha [2007], Sahin et al. [2009], Seghier et al.
[2008], Shallice [1988], Terrace et al. [1979], Tettamanti et al. [2002], Tettamanti et al. [2009],
Vernes et al. [2008], Visser et al. [2010], Vitali et al. [2007].
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Indici
Indicedellelingue
indoeuropee, lingue, 56, 58, 61, 62, 64, 66, 67, persiano, 61, 194,255
69, 133, 134, 203, 247, 253-259, 261-263, polacco,59,62, 72,110,194,255
266,275,276 portoghese, 54, 56, 63,244
inglese, 24, 25, 30, 34, 39, 53, 54, 56, 58, 63, 64, provenzale,59,63,242,266
66-71, 85, 91, 92, 99,100,103, 106-110, 114, prussiano, 62
121-123, 134, 135, 142, 146, 157-161, 199,
201,20~210,211,234,251~53, 255,260- retoromanzo, 63, 64
268,271,273,274,293 romanze, lingue, 50, 56, 58, 59, 63, 69, 135, 198,
iraniche, lingue, 61,254 250,252,254,266,269,270,272,273,275
irlandese, 64,255,257,258 romeno,56,58,63, 72,252
islandese, 63 russo,54,59,62, 72,94, 110,147,255,274
italiano, 24, 25, 29-32, 34-36, 39, 40, 43, 44, 46-50,
54, 56, 58, 59, 63, 64, 66-69, 78-85, 87-91, 93- sahariane, lingue, 55
96, 99-101, 103, 105-110, 114-117, 121-124, sannita, 63
129-137, 140, 142, 160, 161, 198-204, 235, sanscrito, 61, 62, 67,198,255, 257-260, 263,275
239,240,243,244, 249-252, 255,259-274, 293 semitiche, lingue, 25, 65, 67, 69, 72
ittita, 62,255 serbo-croato, 58, 62, 255
sino-tibetane, lingue, 60
khmer, 60 slave, lingue, 59, 62, 70, 72, 201, 202, 254, 257
khoisane, lingue, 55 slovacco, 62, 255
sloveno, 62, 103, 129,243,255
ladino, 63,242 somalo, 29, 115
latino, 29, 43, 49, 50, 54, 56, 59, 61-63, 67, 72, spagnolo,34,50,54,56,63,80, 146,161,244,
101,104,114-117,136,142,158-160,l98,200, 252,255,265,297
201,204,237, 239-241, 243,249,252, 254-274 sudanesi, lingue, 55
lettone, 62, 255 sumerico, 71
lituano, 62, 255 sundanese, 135
lolo-birmano, 60 svedese,63, 103,255
swahili, 60
macedone, 58, 59, 62
malgascio, 60 tamil, 60, 146
maleo-indonesiano, 54 tedesco,24,34,40,46,50,54,63,64,67,70,94,
maori, 135 103, 114, 161, 198, 199,201,237, 242-244,
mongolo, 60 250-255,259,260,263,264,274,313
telugu, 60
nahuatl,67, 145,146 tibetano, 60
nederlandese, 63, 64 (vedi anche olandese) tocario, 62, 254-256
neogreco, vedi greco moderno turco,25,60,66,67, 70, 72,102,135,250,251
neolatine, vedi romanze
ucraino, 62, 72, 255
nigerkordofaniane, lingue, 55
ulwa, 124
norvegese, 63,255
umbro, 63
nostratica, famiglia, 61
ungherese,60,64, 72,102
uraliche,lingue,59,64
olandese, 50, 63, 70, 94, 105,114,244,245,252,
urdu,54,61
253,255
osco, 63 vedico, 61
vietnamita, 60, 72
papua,55
pashto, 61 yiddish, 63
Indiceanalitico
parola/e, 104, 106, 113-122 rotazione consonantica, 259, 260 (vedi anche
complesse, 35, 36, 113, 122 legge di Grimm),
composte, 113-115, 125, 126
derivate, 125, 137 sandhi, 102, 110
macedonia, 147, 159 segmentazione, 184,185,285
possibili, 34, 35, 164 segno linguistico, 43, 121
prefissate, 113 semantica, 29, 37, 148-151, 207-213, 216-219, 226
semplici, 113, 122-125 semiconsonanti, 78-80, 83, 95, 108, 110
suffissate, 113, 148, 165 semiologia/semiotica, 44
parti del discorso, 116-118, 151,197,218 senso, 180-183,209,211,218
performativo, 223,224 sigle, 158, 159
periodo critico, 291, 292, 298 significato, 31, 37-39, 43, 44, 148-150, 207-212,
persona, 65, 119, 197-200 214-217, 273
plurilinguismo, 237, 244 vs. significante, 31, 43, 44, 50
polisemia, 212-215 sillaba, 102-107
polisintetico (o incorporante), tipo linguistico, sillabico, sistema di scrittura, 71
65, 67, 68 sincronia e diacronia, 31, 43, 50
posposizione, 241 sinonimia, 37,209,215,216
povertà dello stimolo, 277,278,293,294,298 sintagma/i, 170, 173-180
pragmatica, 207-210, 226,290 aggettivale, 174,178
predicato, 181, 182, 191, 192, 194, 196, 197 nominale, 174-176, 178
pregiudizi linguistici, 49 preposizionale, 174,178,180,186
prefissi, 122, 124, 132, 133 verbale, 174, 176, 178
preposizione, 117,157,174,178 sintagmatico e paradigmatico, 41
prestito, 250, 266 sintassi, 147,148,169,170,205,298, 307-311
presupposizione, 214,218,219 sistemi di comunicazione, 16, 19, 20, 24
pronomi, 220,221,238 sistemi di scrittura, 70-72
proposizione, 182 soggetto, 25, 43, 177, 181, 182, 186, 191, 192,
protoparola, 286 194-197
punto di articolazione, 77, 78, 97, 100, 101, 109 specificatore, 179,180, 192-194
stato, 196, 197
quantificatori, 220, 224 stratificazione, 159, 160, 229
suffissi, 29, 35, 36, 127, 130, 131, 149
radice, 116 suoni, 28, 31, 34, 41, 75-84, 87-93, 95
reduplicazione, 134, 135 e grafia, 83, 84
reggenza, 198 suppletivismo, 135-137
registri stilistici, 48, 162, 232
regole tautologia, 218
di riaggiustamento, 137, 147 telegrafica, fase, 288
di Trubeckoj, 89-92 tema (di una frase), 197,205
fonologiche, 75, 87, 96-99, 109,110 tema verbale, 116, 126,264
rema, 197,205 tempo, 125,130,201
repertorio linguistico, 234,235 testa, 137,138, 141-145, 174-181, 191-194
retroformazione, 268 tipologia linguistica, 25, 65, 70, 72, 73
ricategorizzazione, 158, 269, 270 morfologica, 65-68
ricevente, 16 sintattica, 68-70
ricorsività, 19-23, 25, 187, 308-310, 317 tono, 107
ricostruzione, 250, 253, 254, 257-260 trascrizione fonetica, 84, 85, 110
riferimento,210-212,226 trasformazione, 186, 192
INDICEANALITICO337