Sei sulla pagina 1di 7

Krzysztof Stefański (Università di Łódź)

Accenti italiani nell’arte della Łódź industriale a cavallo fra Otto- e


Novecento

Łódź fra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo è un grande centro
dell’industria tessile al centro delle terre polacche, una città con centinaia di ciminiere, col
cielo coperto dai fumi. Un luogo dove il lavoro è duro, pesante; un luogo che viene chiamato
ora “terra promessa”, ora “città cattiva”; una città che non ha molto in comune con i paesaggi
pittoreschi e ricchi di monumenti dell’assolata Italia. Tuttavia un’analisi più precisa dei
fenomeni artistici che troviamo a Łódź nel periodo preso in esame ci permetterà di trovare
molti elementi che legano la città polacca all’arte italiana. Questo riguarda sia l’architettura,
sia le decorazioni che la accompagnano, sia l’arte sepolcrale.
Iniziamo dalla figura di Hilary Majewski, che a partire dal 1872 ricoprì per venti anni la
posizione di architetto comunale a Łódź. La biografia e l’attività professionale di Majewski
sono un enigma con ancora molti punti interrogativi. Nacque nel 1838 a Radom, figlio di uno
spazzacamino. Proveniva dunque dagli strati più bassi e la sua carriera è un caso interessante
di avanzamento sociale. Dopo aver terminato il ginnasio nella sua città natale si formò e fece
pratica a Varsavia dal costruttore locale Ludwik Adolf Szmidecki. Questo apprendistato
significò molto per Majewski, poiché l’opinione di Szmidecki, nell’agosto 1859, gli permise
di tentare la strada dell’ammissione agli studi di architettura presso l’Accademia Imperiale
delle Belle Arti a San Pietroburgo. Riuscì ad entrare, anche se di sicuro i suoi studi non
dovettero dare una formazione completa: all’Accademia rimase infatti solo due anni.
Nell’agosto di quello stesso anno Majewski completò gli studi a pieni voti, ottenendo così di
ufficio il titolo di “artista di XIV livello”.
È da questo momento che inizia il periodo della vita di Majewski che ci interessa di più.
Ottenuto il diploma fece richiesta alla direzione dell’Accademia delle Belle Arti di una borsa
di studio di tre anni, 750 rubli all’anno, per andare all’estero allo scopo di “proseguire la
propria formazione”. La prima risposta alle richieste di Majewski fu negativa. Ciò nonostante,
nel dicembre dello stesso anno giunse la decisione di assegnargli una borsa di studio del
Regno di Polonia consistente in 500 rubli all’anno per due anni. Nel documento della
Commissione Governativa fu tracciato un programma dettagliato del viaggio finanziato con la
borsa: la prima tappa consisteva in un lungo soggiorno in Italia. Majewski avrebbe dovuto
trascorrere cinque mesi a Roma e inviare ogni tre mesi un rapporto con la descrizione dei suoi

1
lavori e alcuni disegni copiati dalla natura. Nei tre mesi successivi avrebbe dovuto visitare una
serie di città italiane: Siena, Firenze, Bologna, Modena, Mantova, Verona, Vicenza, Milano,
Pavia, Genova e Torino, con la quale si sarebbe concluso – come era stato definito – “il
principale scopo estetico del viaggio”. Nel documento si leggeva ancora: “Alla formazione
utilitaristica si dovranno dedicare i rimanenti sedici mesi, recandosi a questo scopo in Francia,
Belgio, Baviera, Prussia e Inghilterra”. Si indicavano inoltre come esempi i monumenti più
importanti: ospedali, carceri e biblioteche che il borsista avrebbe dovuto conoscere.
Seguendo queste indicazioni, all’inizio del 1862 Majewski cominciò il suo soggiorno
all’estero. Ci concentreremo sul periodo in Italia, sul quale però abbiamo scarse informazioni.
Mancano soprattutto notizie sulla sua presenza a Roma, mentre è sicuro e confermato dagli
archivi il suo soggiorno a Firenze. Lo dimostrano i certificati rilasciati nella città toscana nel
1863 dal Ministero dei Lavori Pubblici e nel 1864 dall’Accademia di Belle Arti.
Ma le tracce più importanti del soggiorno dell’architetto nel capoluogo toscano sono i
progetti per il restauro del tabernacolo della chiesa di Orsanmichele, nonché il progetto
presentato al concorso per la facciata della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. La Cattedrale
di Santa Maria del Fiore è l’edificio più importante di Firenze e uno dei capolavori dell’arte
mondiale. La costruzione era tuttavia rimasta fino al diciannovesimo secolo senza una
realizzazione architettonica della facciata. Verso la metà del secolo nacque l’idea di dare una
forma architettonica piena all’edificio portando a termine l’alzato frontale. Negli anni
Sessanta furono indetti due concorsi per progetti della facciata della Cattedrale: nel 1861-63 e
nel 1863-64. Nessuno dei due ebbe un vincitore e alla fine fu deciso di affidare il lavoro a
Emilio De Fabris, il cui progetto fu realizzato fra il 1876 e il 1887. Ne uscì una forma molto
ad effetto che si inseriva nello spirito del gotico italiano con un rivestimento marmoreo
variopinto che si collegava all’alzato già esistente e all’adiacente Campanile di Giotto. Il
progetto di Majewski, datato 1864, deve essere correlato al secondo dei due concorsi. La sua
proposta non si differenzia in maniera particolare dalle altre: i partecipanti al concorso
dovevano rispettare le proporzioni della chiesa e collegarsi al rivestimento già esistente
dell’alzato. Si caratterizza per una maggiore piattezza e per la decoratività delle forme,
nonché per la maniera in cui espone il portale centrale, concepito verticalmente. Certamente la
proposta non incontrò un giudizio favorevole, né fu in alcun modo premiata, altrimenti
l’architetto lo avrebbe senz’altro fatto presente negli anni successivi.
La seconda opera di Majewski legata a Firenze è il progetto per il restauro del
tabernacolo nella chiesa di Orsanmichele. La chiesa, non molto grande, a due navate, occupa
il piano inferiore di una costruzione dalla forma architettonica semplice, ma che aveva la

2
particolarità di unire la funzione sacra a quella commerciale. È famosa soprattutto per le
decorazioni esterne con le statue finanziate dalle diverse arti, le antiche corporazioni
fiorentine. La principale decorazione interna è l’altare con tabernacolo del 1359 di Andrea
Orcagna. Il tabernacolo ha la forma raffinata di un ciborio di carattere gotico con punte
intarsiate e snelli pinnacoli agli angoli. Il progetto di Majewski consisteva nel restituire a
quest’opera la sua forma originaria. L’architetto dava un grande peso ai suoi lavori realizzati
in Italia, come testimonia il fatto che successivamente ne espose le riproduzioni nel proprio
studio.
Le opere menzionate e il documento dell’Accademia di Belle Arti mostrano che
Majewski fu a Firenze almeno fino alla metà del 1864, e che nella città toscana trascorse la
maggior parte del suo tempo in Italia. Gli anni successivi del soggiorno italiano di Majewski
sono avvolti dal mistero. Non sappiamo se realizzò il programma che gli era stato imposto
dalla Commissione Governativa per gli Affari Interni, né dove soggiornò, né per quanto
tempo. La questione più intrigante è l’abbondante superamento del tempo di soggiorno
all’estero prefissato: per questo Majewski doveva avere sicuramente avuto il permesso delle
autorità russe e le possibilità economiche. Un documento importante a nostra disposizione è
una lettera del gennaio 1868, ossia sei anni dopo la sua partenza dalla Polonia. In essa
Majewski si rivolge al Ministro della Corte Imperiale chiedendo i soldi per tornare in Russia
e per l’acquisto di libri utili alla sua professione. Se si era rivolto direttamente alla corte
imperiale evidentemente Majewski doveva avere nelle alte sfere contatti dei quali non siamo a
conoscenza. L’architetto chiedeva anche il permesso di inviare in omaggio allo zar
Alessandro II il suo progetto per il restauro del tabernacolo in Orsanmichele. La lettera fu
inoltrata al vicepresidente dell’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, il principe
Gagarin, il quale in risposta dichiarò che dopo la partenza di Majewski non aveva ricevuto
nessuna informazione su di lui. Ad ogni modo Majewski ottenne i soldi, in quanto poco dopo
tornò in Polonia, a Varsavia.
Resta però l’enigma su cosa abbia fatto l’architetto negli ultimi quattro anni del suo
soggiorno all’estero e come abbia fatto a mantenersi. Nasce a questo punto l’ipotesi che il
viaggio di Majewski non aveva il solo scopo di ampliare le sue conoscenze, ma era legato
anche ad un’attività di spionaggio per conto del governo russo. Poteva essere fatta ad esempio
attraverso i disegni delle fortificazioni, dei ponti o dei viadotti ferroviari in alcuni paesi
europei.
Tutto mostra che la carriera di Majewski ebbe un carattere particolare. Lo testimonia
anche la sua attività come architetto comunale a Łódź, quando si fece conoscere come un

3
impiegato fedele allo zar che eseguiva in maniera esemplare gli incarichi assegnati. Gli onori
arrivarono soprattutto con la progettazione e la costruzione negli anni 1880-1884 della chiesa
ortodossa di san Alexander Nevskij a Łódź, mentre il suo devoto servizio allo zar fu
confermato dal progetto di monumento ad Alessandro II a Częstochowa, presso il santuario di
Jasna Góra nel 1889.
Il prolungato soggiorno di Majewski in Italia lasciò senz’altro un segno sulla sua attività
di architetto. Ne sono testimonianza i suoi lavori del periodo a Łódź, fra i quali troviamo una
serie di cose in stile rinascimentale, in particolare nello spirito del Cinquecento, secolo del
quale Majewski era considerato un grande conoscitore. Fra le opere migliori si deve senz’altro
considerare la sede della Società di Credito (1870-1872), che si distingue per la composizione
dinamica dei blocchi e la facciata modellata in maniera plastica. Un altro edificio importante
da lui progettato è il Ginnasio maschile della fondazione della famiglia Scheibler con la
facciata contrassegnata dal motivo di tre grandi finestre sormontate da archi. C’è anche una
serie di edifici dal carattere simile che sono attribuite a Majewski, ma dei quali la paternità
non è sicura. Fra essi ci sono la villa di Ludwik Grohmann o il palazzo di Maksymilian
Goldfeder, costruzioni dalle forme decorative neorinascimentali nell’arteria principale della
città, ulica Piotrowska.
Naturalmente i motivi italiani possono essere rintracciati in molte altre opere a Łódź,
anche di inizio Novecento, legate ad altri autori. Fra le molte residenze degli industriali di
Łódź destano particolare attenzione per il loro fascino la villa di Józef Richter figlio (1898-
1999) e i due palazzi dei fratelli Kindermann in ulica Piotrkowska (quello di Juliusz è degli
anni 1907-1909 e quello di Adolf è del 1910-1911). In essi possiamo rintracciare certi precisi
dettagli architettonici che mostrano una stretta relazione con l’arte italiana, specialmente
quella di ambiente veneziano, ma anche fiorentino. L’autore di questi tre edifici è l’architetto
viennese Karl Seidl, un artista che raggiunse la notorietà grazie alle opere costruite a cavallo
fra XIX e XX secolo nella zona della cosiddetta Riviera Austriaca, quel frammento di costa
adriatica nella penisola d’Istria che all’epoca si trovava dentro i confini dell’impero austro-
ungarico e attualmente appartiene alla Croazia. Storicamente quei terreni erano parte dello
stato veneziano e a Venezia erano strettamente legati sia culturalmente che artisticamente.
Nelle ville e nei palazzi progettati in questi territori per l’aristocrazia e la borghesia viennese,
Seidl traspose abilmente motivi presi dall’architettura veneziana e li unì a soluzioni tipiche
dell’arte del Quattrocento. I suoi edifici a Łódź menzionati prima sono un curioso esempio di
trasposizione di quelle forme sul terreno di una città industriale, nella quale furono così
introdotti evidenti accenti italo-dalmati.

4
Un elemento che attira particolarmente l’attenzione è il fregio a mosaico che decora la
facciata del palazzo di Juliusz Kindermann. È una composizione ricca, movimentata, che
viene interpretata come una simbolica rappresentazione del commercio di cotone, che
arrivava a Łódź dai paesi dell’Asia centrale. I mosaici del palazzo di Juliusz Kindermann
furono attributi al laboratorio veneziano di Andrea Salviati. L’opera non è firmata, ma
l’attribuzione è stata comunque confermata da un comunicato stampa risalente al periodo
della costruzione dell’edificio, nella quale si informava che l’opera era stata eseguita dalla
ditta “Compagna di Venezia e Murano” fondata da Salviati. Questa non è l’unica opera legata
a Salviati che si trova a Łódź. Nel palazzo della famiglia Scheibler, la più importante famiglia
di industriali, che Anna Scheibler ristrutturò negli anni 1885-1886, nello studio, a decorazione
del caminetto, si trova un mosaico che raffigura una zingara col tamburello. In basso si legge
la firma: “D. A. Salviati” e l’informazione “Venezia 1886”.
Alla ditta di Salviati è stato collegato ancora un mosaico di Łódź, ossia quella
decorazione di grandi dimensioni che ricopre l’interno della cupola del mausoleo di
Poznański al nuovo cimitero ebraico, in ulica Bracka. Nella forma di questa costruzione,
risalente agli anni 1901-1903, si possono notare ispirazioni italiane, cioè dei rimandi al
Mauseoleo di Teodorico a Ravenna. Il mosaico in questione è una rappresentazione simbolica
che rimanda alla Bibbia e mostra i quattro fiumi del Paradiso. La mancanza di documenti
d’archivio ha reso impossibile l’attribuzione dell’opera. Alcuni comunicati stampa dell’epoca
mostrano comunque che si tratta di un lavoro della ditta architettonica berlinese “Cremer &
Wolffenstein”, nota a cavallo fra i due secoli, e che il mosaico è stato realizzato molto
probabilmente dal laboratorio berlinese di Johann Odorico. Dei collegamenti italiani riguardo
a questa opera sembravano non essere confermati; tuttavia un altro comunicato stampa del
luglio 1902 attesta in maniera inattesa che per la costruzione del mausoleo, realizzato in
granito, furono fatti venire degli operai dall’Italia. Dunque il monumento sarebbe stato
realizzato da italiani che avevano una buona confidenza con la lavorazione della pietra.
Il mausoleo di Poznański sposta il nostro discorso sull’arte sepolcrale, dove troviamo un
numero notevole di lavori legati all’arte italiana. Due esempi particolarmente notevoli si
trovano al Vecchio Cimitero Evangelico-Asburgico, dove riposa la maggior parte degli
industriali di Łódź. Presso il vialetto principale della necropoli si trovano due opere legate
all’Italia, che sono anche fra quelle artisticamente più interessanti. Il primo è il monumento a
Zofia Biedermann, la moglie prematuramente scomparsa, all’età di 25 anni, di Alfred
Biedermann, una delle figure più importanti della vita economica di Łódź a cavallo fra Otto- e
Novecento. Egli si prodigò per ricordare in maniera degna la giovane moglie, madre di due

5
figli. Per l’erezione del monumento si rivolse ad un artista tedesco all’epoca molto
conosciuto, lo scultore e pittore Otto Lessing (1846-1912). La firma sul monumento “O.
Lessing, Roma 1898” conferma la paternità dell’artista tedesco e indica il luogo di
realizzazione dell’opera, che da Roma fu trasportata nella “Manchester polacca”.
Il monumento di Łódź mostra una figura femminile che ha assunto la forma di un
angelo con le ali aperte, il vestito al vento; in una posa dinamica si china su due bambini che
giocano sull’orlo di un precipizio. L’angelo è il ritratto della defunta e i bambini sono i suoi
piccoli figli rappresentati in maniera realistica. Nella scena non è difficile rintracciare un
riflesso del motivo popolare dell’angelo custode che protegge i bambini in pericolo, presente
nell’arte fin dal XVII secolo, poi diffuso e banalizzato nel corso dell’Ottocento. Il monumento
di Łódź è un curioso esempio di interpretazione personale di un noto modello iconografico: la
madre morta diventa angelo custode, estendendo la sua protezione sui propri figli.
Un altro tipo di legame con l’Italia si manifesta nella tomba dell’industriale Henryk
Feder, che si trova 200 metri più avanti. Ha la forma di una lunga stele-parete al cui centro si
trova un pilone, che si assottiglia in alto, con le “porte della morte”. Accanto, a destra, una
donna in lutto con un lungo vestito increspato, il capo chino appoggiato sulle mani attaccate
allo stipite. Sopra si trova un tondo col ritratto del defunto. Il monumento è stato realizzato in
marmo bianco di Carrara, con la porta in marmo grigio chiaro. Si riallaccia a quei motivi
antichi popolarizzati all’inizio dell’Ottocento dal maestro italiano della scultura neoclassica,
Antonio Canova. L’opera di Łódź si caratterizza per la frugalità dei mezzi espressivi, emana
calma e solennità. È firmato “V. CASAL FEC. Berlin”, il che indica inconfutabilmente che
l’autore era l’artista italiano stabilitosi a Berlino Valentino Casal (1867-1951). Nel caso
precedente avevamo a che fare con l’opera di un artista tedesco eseguita nella città eterna; qui
abbiamo invece l’opera di un italiano che viveva nella capitale tedesca. Tuttavia i fatti sono
un po’ più complessi.
Henryk Feder apparteneva nella città polacca a quel gruppo di imprenditori mediamente
ricchi, era proprietario di un lanificio. Nel 1906 i Feder, come molte altre famiglie di
industriali, fuggirono da Łódź spaventati dalla rivoluzione del 1905 e si stabilirono a Berlino.
Lì, nel 1910, Henryk mori. La vedova, Julia, decise di far seppellire il marito a Łódź e fargli
erigere un monumento funebre. Si rivolse a questo scopo all’inizio del 1911 a Valentino
Casal. Questo artista, nato nel 1867 a Venezia, nel 1891 si era stabilito a Berlino, dove aveva
ricevuto diversi riconoscimenti, realizzando fra l’altro il busto dell’imperatore Guglielmo II e
dell’imperatrice Augusta Vittoria, nonché il monumento alla regina Luisa di Hannover. Lo
chiamavano “il virtuoso del marmo”. I primi anni del Novecento furono il periodo di maggior

6
successo dello scultore. Nel cercare chi potesse realizzare il monumento funebre per il
defunto marito, Julia Feder si rivolse al maestro italiano e di certo non dovette lesinare sul
denaro da investire per questa commissione. L’artista si mise volentieri al lavoro e dopo due
anni l’opera compiuta era già nel cimitero di Łódź.
Si è conservata un’ampia “Autobiografia” di Valentino Casal, reperibile in italiano e in
traduzione tedesca su internet. Contiene una serie di informazioni interessanti sull’attività
dell’artista. Menziona il monumento di Łódź, fornendo anche dei particolari sulla sua
creazione: “Nel 1911 mi fu commissionata la tomba della famiglia Feder a Łódź. Sulla base
del mio progetto e dei miei disegni l’opera fu realizzata da Bettinelli a Viggiù. Nel febbraio
1912 i lavori erano già quasi finiti. Dovetti andare a Viggiù per rifinire la figura ”. Questo
frammento mostra che il monumento fu realizzato a Viggiù da un collaboratore di Casal, tale
Bettinelli (non siamo riusciti a definire il nome), secondo il modello e i disegni del maestro.
L’opera fu poi portata a Łódź. Dunque, anche se nella menzionata indicazione sul monumento
si legge “Berlin”, in realtà l’opera fu eseguita in Italia.
Gli esempi sopra riportati naturalmente non esauriscono la lista delle opere legate
all’Italia, ma i limiti di tempo non permettono qui di presentarne altri. A parte il caso
particolare di Hilary Majewski e della sua borsa di studio in Italia, gli altri esempi riguardano
principalmente il primo decennio del XX secolo. L’affermazione che l’arte italiana ha avuto
un forte influsso sugli artisti europei a cavallo fra diciannovesimo e ventesimo secolo è
un’ovvietà. Vale la pena però notare che gli esempi dati si contrappongono alla “leggenda
nera” – creatasi col romanzo di Reymont Terra promessa e ribadita dal film di Andrzej Wajda
La terra della grande promessa – che circonda gli industriali di Łódź, rappresentati come
ignoranti che non capiscono niente di arte. In realtà essi erano persone – specialmente quelli
della seconda generazione – dal gusto raffinato, che cercavano esecutori per i loro
investimenti fra gli artisti berlinesi o viennesi più apprezzati e, attraverso di essi, anche negli
atelier italiani. Attingevano inoltre ai modelli migliori, e di ottimi modelli l’Italia ne ha
sempre dati in gran numero.

Potrebbero piacerti anche