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LATINO E PROUST

CENNO AD AGOSTINO

I libri I-XI costituiscono una straordinaria meditazione sulla memoria. Il ricordo e la confessione
dei propri peccati si risolve in preghiera per impetrare il perdono e quindi in lode di Dio. Il libro X
fornisce la base teorica dell’avvicinamento tra l’uomo Agostino e Dio: indagando nella memoria, il
“serbatoio delle esperienze sensoriali e delle idee”, Agostino riconosce un’idea di felicità che
prescinde dai sensi, verso la quale tutti naturalmente tendono. Le vera felicità, sottratta al
trascorrere del tempo, è in Dio. Dio è nella nostra memoria, perciò il processo del ricordo ci
riconduce da noi stessi a lui.

PROUST

Richiamandosi all’insegnamento di sant’Agostino espresso nelle Confessioni, Proust ritiene che


solo la memoria possa cogliere le trasformazioni apportate dal tempo su uomini e cose e che quindi
la “ricerca del tempo perduto” e il suo recupero alla dimensione più profonda della coscienza (il
“tempo ritrovato”) costituiscano la più autentica forma di conoscenza in gradi di restituire al
soggetto la sua identità. A tale proposito, nel brano “Le intermittenze del cuore”, Proust indica il
modo in cui si può recuperare ciò che alla memoria pare tolto per sempre e spiega l’importanza di
questo recupero per la nostra vita e per il nostro essere, trasformati incessantemente dal tempo nel
corso degli anni. In questo racconto c’è una costante alternanza di memoria volontaria (quella
dell’intelligenza, che vuole capire e spiegare e che il protagonista può tranquillamente richiamare
quando vuole) e memoria involontaria (legata a frammenti, associazioni fortuite e fatti
apparentemente insignificanti; si apre per far riaffiorare la verità, la totalità del ricordo). In un primo
momento il protagonista lamenta il suo difetto nel ricordare Combray, città in cui aveva vissuto
l’infanzia, e afferma di riuscire ad attingere solo un “lembo luminoso” che ha fermato la vita di
Combray alle sette di sera; tutto il resto è in ombra, forse perduto per sempre. Poi l’argomentazione
si sposta sul caso: solo quest’ultimo infatti può farci riappropriare di quella parte di noi stessi che
sembra esserci sfuggita, nei confronti della quale gli sforzi della nostra memoria e della nostra
intelligenza non valgono a nulla. Portando “macchinalmente” alle labbra un cucchiaino di tè in cui
aveva inzuppato un pezzo di madeleine (sorta di focaccia), il protagonista si sente invadere da un
piacere delizioso che isola il suo essere dalla mediocrità e dalla tristezza. Riacquistare il passato
significa quindi sottrarsi alla mortalità e darsi un’identità che nemmeno la morte potrà distruggere
(come diceva il pensatore francese Jankélévitch,“La morte distrugge la totalità dell’essere vivente
ma non può cancellare il fatto che siamo vissuti”). Per poter approdare al passato bisogna liberare
l’animo e, una volta individuata l’origine di quello stato sconosciuto (il sapore della madeleine),
occorre indirizzarlo verso la verità con una serie di sforzi che tuttavia sembrano inutili in quanto la
viltà invita l’uomo a bere il tè pensando solo ai “fastidi di oggi e ai “desideri di domani”. Bel
momento in cui la tensione si allenta, la memoria si definisce e trattiene senza vacillare quello che
Proust chiama “l’immenso edificio del ricordo”.

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