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Significato del non spezzare il legame tra vivi e morti.

Il canto undicesimo, si apre con la preghiera del Pater Nostro recitata dal anime penitenti costretti a camminare con un masso
sulla schiena per stare chini in segno di umiltà, si tratta delle anime dei superbi, che così concludono la loro supplica:
<<Nostra virtù che di legger s’adona,
non sperimentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
Quest’ ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro»
La preghiera è un atto di comunicazione tra l’uomo e la divinità, questa è ricorrente nel Purgatorio in quanto un segno di
umiltà, in cui l’individuo cessa di collocarsi al di sopra del suo prossimo, ma coralmente si unisce agli altri spiriti per invocare
Dio e chiedere la sua misericordia nella speranza che l’orazione abbia effetto.
L’ultima parte della preghiera non può riguardare le anime del Purgatorio, ma i vivi, con cui gli spiriti del Purgatorio si sentono
in comunione con gli esseri viventi.
Uno dei motivi che ci ha condotti a scegliere questo canto è proprio il tema introdotto da queste due terzine: il bisogno di
legare con un filo mondo ultraterreno e mondo terreno, una necessità da sempre intrinseca nell’uomo.
Oggi noi parliamo di vivi come coloro che si trovano nella dimensione “vera” dell’esistenza, perché attuale, tangibile,
dimostrabile; mentre i morti, essendo stati vivi un tempo godessero di uno statuto di serie B rispetto al nostro.
Nella visione di Dante al contrario, chi è vivo, lo è per una manciata di anni; chi ha già terminato la propria vita, appartiene
all’eternità.
Nella Divina Commedia il bisogno di tenere vivo il legame tra anime e vivi si riflette negli esseri viventi nell’atto di rivolgere
preghiere al padre divino per la salvezza reciproca, come in una sorta di ‘’scambio’’, in tempi moderni la corrispondenza con
l’ultraterreno è molto mutato.
Anche noi oggi manteniamo in qualche modo il legame tra vivi e morti. Perché sentiamo il bisogno di questo legame?
Francesco Lamendola dice ‘’ Senza il legame con i morti la nostra vita non è che un’assurda corsa nel vuoto’’.
Tutto nasce dalla consapevolezza di non essere i padroni e i signori del mondo, ma solamente degli ospiti: come il nostro
dovere è mostrare riconoscenza verso colui che ci ha accolti, nutriti e protetti, e lasciare la dimora in condizioni abitabili e
accoglienti per altri ospiti, che giungeranno a loro volta.
Un altro motivo è legato alle abitudini, alla routine, a gesti che essendo abituati a compiere rinnovano ogni volta il nostro
dolore.
Ancora, sappiamo bene come ad esempio il legame affettivo che lega i figli ai padri si traduca nel ricordo indelebile nel cuore,
un legame che rivela il bisogno umano di non scomparire dopo una vita di sacrifici, impegni sociali, familiari, culturali.
Dopotutto, il culto riservato ai defunti ha radici antiche, non è pertanto possibile capire quali sono i motivi di fondo a tale
bisogno, si tratta di motivi che mutano in concomitanza al mutare della società.
Abbiamo numerose notizie storiche su come dare degne sepolture, una pratica che sia passata dall’essere un culto familiare
all’essere un preciso impegno umano.
Lo stesso Foscolo ne parla: ‘’ Non vive ei forse anche sotterra, quando/ Gli sarà muta l’armonia del giorno,/Se può destarla con
soavi cure/Nella mente de’ suoi? Celeste è questa/Corrispondenza d’amorosi sensi’’ Foscolo passa dal non credere
all’immortalità dell’anima, al comprendere che la corrispondenza degli affetti con i defunti è un’illusione a cui l’uomo non può
rinunciare poiché si tratta di una ‘’celeste dote’’.
Le condizioni che Foscolo pone per il legame danno allo stesso valenza laica: bisogna ‘’porger sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ membri e dal profano piede del volgo, e serbi un sasso il nome’’. Per Foscolo le tombe sono il modo che
abbiamo sia credenti che non, come specificato dal Foscolo stesso, di restare immortali, di sopravvivere alla nostra vita
mortale. Grazie alle tombe possiamo rimanere nel ricordo dei nostri cari e continuare a vivere nella loro memoria. Foscolo
scrive a proposito di questo che essa è una "celeste corrispondenza d'amorosi sensi", un corrispondersi di vite passate e ricordi
presenti di chi resta.
Questa corrispondenza per Dante è legata alla fede, come si sottolinea nel padre nostro attraverso l’efficacia delle preghiere
provenienti da ambo le parti.
La vita umana ha dei limiti, un tempo, l’anelito del cuore invece è senza limiti. I morti vivono nei nostri cuori con il loro esempio
di vita, con i loro valori ideali e persino con i loro errori.
La liturgia dei defunti ci spiega che ‘’la vita non ci viene tolta, ma trasformata’’. La trasformazione del corpo in spirito pro ci
permette di comunicare spiritualmente con i defunti, con preghiere, suppliche per favorire la loro purificazione dal peccato
commesso nella fragilità della condizione umana.
La nostra stessa tradizione ci permette di educare i bambini al mantenimento del ricordo delle persone di famiglia che ci
lasciano invitandoli a pregare e offrendo loro, nella commemorazione religiosa dei morti, in nome dei parenti defunti regali.

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