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L’eco muto di un mondo indifferente

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Sommario

L’ eco muto di un mondo indifferente……………………………………………………………1

Ombre del tempo………………………………………………………………………………...4

Il ritorno dell’io alla natura……………………………………………………………………...5

Poeta delle piccole cose………………………………………………………………………….6

Una ricerca incessante di appartenenza pascoli e la politica…………………………………......8

Il nido poetico……………………………………………………………...……………………9

Conclusioni…………………………………………………………………………………….13

Bibliografia…………………………………………………………………………………….14

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Nel labirinto dell'anima umana, dove i ricordi intrecciano le trame del tempo e la nostalgia tesse i
sogni, risiede un fanciullino silenzioso e saggio: una voce antica che risuona nel cuore come un canto
dimenticato. L'infanzia, con le sue ombre e luci, è come un giardino segreto, un luogo dove ogni fiore
racconta una storia, ogni risata ha il sapore del miele e ogni lacrima la profondità di un oceano. È lì
che il nostro fanciullino impara a parlare e ad esprimere con timidezza le sue prime parole. Ma quale
voce può descrivere con maggiore dolcezza e intensità l'essenza del fanciullino se non quella di
Pascoli?

Il tema d’infanzia nella visione pascoliana ha un ruolo centrale e ci viene presentato come “paradiso
perduto”. L’età della fanciullezza è un eden dove il poeta vorrebbe tornare cercando uno sguardo
innocente. Mentre il tempo avanza implacabile, la voce dell’autore ci ricorda che il nostro fanciullino
interiore rimarrà sempre con noi, compagno silenzioso e fedele che ci guida nel labirinto della vita,
illuminandoci il cammino con la sua luce.

Con maestria, Pascoli ci invita a guardare oltre le apparenze, a cercare nel profondo di noi stessi
quella voce soffusa che, nonostante le tempeste e i turbamenti, conserva intatta la sua essenza
primordiale.

Nel cuore di ogni uomo e donna risiede un angolo di eternità, un rifugio intimo dove il fanciullino di
Pascoli continua a sussurrare le sue melodie, a raccontare storie di giorni lontani e di sogni mai
realizzati. E in questo dialogo silenzioso tra poeta e lettore si manifesta la capacità di trasformare la
materia grezza della vita in un capolavoro di emozioni e sentimenti.

Nel suo fondamentale scritto "Il fanciullino", pubblicato nel 1897 su «Il Marzocco», l’autore affronta
profondamente la natura umana e il ruolo essenziale della poesia. Egli sostiene che ogni individuo
possiede un "fanciullino", una parte interiore capace di meraviglia e di emozione pura. Questa
sensibilità infantile, purtroppo, viene spesso soffocata nella maturità. Tuttavia, se riscoperta questa
capacità offre una prospettiva unica, permettendo di vedere il sublime nel semplice e di dialogare con
la natura in modo genuino.

Il punto di vista del fanciullino è ribaltato: ciò che è vasto appare piccolo e viceversa. Tale visione
contrasta nettamente con il metro di giudizio degli adulti civilizzati, essendo radicata nella natura
anziché nella cultura. Per il poeta il fanciullino rappresenta uno stato d'animo piuttosto che un'età:
una purezza che può persistere nell'individuo anche nell'età adulta, purché non venga soffocata.

Pascoli vede nel mantenimento di questa purezza la chiave per osservare il mondo con stupore, per
riconoscere la bellezza in ogni situazione e per andare oltre le apparenze. Il poeta, per lui, è colui che
incarna questa visione, un individuo che meraviglia piuttosto che ragiona. La vera poesia, dunque,
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nasce da questa capacità di percepire la realtà in modo poetico, evitando l'eloquenza e la mimesi degli
autori precedenti.

Egli enfatizza che il fanciullino raggiunge la verità attraverso l'intuizione, non il ragionamento, e che
la poesia autentica emerge da un'osservazione spontanea e profonda delle cose, svelando la loro
essenza nascosta. La poesia, per Pascoli, è una rivelazione, un'illuminazione di ciò che è misterioso
e sconosciuto, e viene realizzata dal poeta che, mantenendo viva la sua natura fanciulla, può vedere
al di là delle semplici apparenze. In sintesi, la poesia è la capacità di percepire le emozioni e le verità
intrinseche delle cose, un atto di scoperta reso possibile dallo sguardo puro e semplice del fanciullino
interiore.

Il fanciullino, che prima aveva una voce da bambino, diventa diverso in prigione. La sua voce cambia
e diventa più simile a quella di una donna. Adesso, invece di sentire la voce di un giovane ragazzo,
Pascoli sente una voce dolce e soave che lo chiama "Zvanì", un nome che sua madre usava per lui
quando era piccolo. Questo nome gli ricorda il passato e la sua famiglia, dando conforto durante i
momenti difficili. Così, anche se la vita di Pascoli è cambiata, il ricordo della sua infanzia e della sua
famiglia rimane con lui.

Ombre del tempo

Siamo soggetti a un incessante processo di cambiamento, come un fiume in cui tutto fluisce: ciascuno
di noi cresce e invecchia, evolvendosi costantemente. Questo principio è alla base della vita, inizia
con la nascita e culmina con la morte.

Ogni individuo si confronta con il concetto di morte: direttamente, poiché tutto ha una fine, e siamo
tutti legati da questo destino ineluttabile; indirettamente, dato che tutto ciò che ci circonda un giorno
cesserà di esistere. Il lutto percepito è una forma di perdita, un vuoto che perdura nel tempo. Tuttavia,
i defunti rimangono con noi: ricordandoli quando lo desideriamo, essi ci aiutano a mantenere il
legame con la vita. Nonostante la natura mortale dell’uomo e la sua difficoltà nell’accettare le assenze,
la voce del loro ricordo vivifica e riduce la percezione della separazione da chi non è più con noi. Nei
momenti più oscuri, evocare i nostri cari defunti, pur causando dolore, ci guida verso la luce.

"Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa
sciogliere in lacrime, e ci salva”

(Giovanni Pascoli, il fanciullino III)

In questa citazione, il "fanciullino" simboleggia la parte più pura e sensibile di una persona, radicata
nei ricordi e nelle sensazioni dell'infanzia. È l'essenza emotiva e autentica che emerge quando si vive
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il dolore della perdita, manifestando un sentimento genuino e profondo che rispecchia la nostra natura
più vulnerabile.

Pascoli ci suggerisce che, quando si affronta la morte di persone amate, emerge una dimensione
puerile e profondamente emotiva che ci tocca nel profondo. Questa dimensione puerile rappresenta
la nostra reazione più istintiva e genuina di fronte al dolore, quella parte di noi che non ha paura di
mostrare la propria fragilità e il proprio dolore. L'autore enfatizza che l'espressione autentica delle
nostre emozioni, come il pianto e la riflessione sui ricordi legati all'infanzia e alla persona perduta, è
fondamentale per il processo di guarigione e consolazione: è soltanto cadendo e toccando il fondo
che si può risalire e rivedere la luce

La tragica uccisione del padre Ruggero si insinua profondamente nell’animo di Pascoli, che vede in
quel momento una ferita profonda, inflitta dalla malvagità umana. Questo evento gli appare come un
atto di violenza che sconvolge e disorienta, lontano ed incompatibile dal ritmo naturale della vita.

L’ombra della morte avvolge il poeta in un manto di mistero e angoscia, evidenzia le sue paure più
intime ed accrescendo la sua sensazione di solitudine. Il poeta vive un tormento fatto di abbandono,
smarrimento e un senso pervasivo di morte, come se fossero compagni costanti nel suo viaggio
esistenziale.

Nella visione pascoliana della natura, la morte emerge attraverso segnali enigmatici e presenze
inquietanti, evocando un senso di destino inesorabile e predestinato. Di fronte all'abisso del mistero
esistenziale, il poeta cerca rifugio e consolazione, ma si trova invece di fronte a un vuoto angosciante
e insormontabile.

La sua incessante lotta per riconciliarsi con i suoi cari defunti si lega a un'antica mitologia di
persecuzioni funebri, una sorta di condanna eterna che lo tiene legato al passato e gli impedisce di
trovare un senso e uno scopo alla sua esistenza. In questo contesto il destino di Pascoli diventa legato
a quello delle sue ombre del tempo, rappresentando la sua unica possibile redenzione e pacificazione
di fronte all’ineluttabilità della morte e la fragilità dell’esistenza umana.

Il ritorno dell’io alla natura

L’uomo, nei momenti di dolore e di perdita, ha la necessità di mettere da parte il “superuomo”, forte
e tenace, e di esprimere il fanciullino in ognuno all’interno di sé: c’è il bisogno di ritornare nel proprio
“posto sicuro”, dove possiamo tornare a percepire il senso di sicurezza di quando eravamo piccoli.
Pascoli, cercando questo posto sicuro, lo va a trovare nell’intimità familiare. Infatti, l’autore per
rispondere al dolore causato dai lutti cercherà di ricongiungersi con la propria famiglia: nel 1884, a

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Massa, chiama a vivere con sé le due sorelle, Ida e Maria, detta Mariù, che si trovavano a Sogliano
presso la zia Rita. Ricongiungendosi con le sorelle, Pascoli ricostruisce così idealmente quel nido
familiare che i lutti hanno distrutto, ma questo lo allontana dal mondo esterno e lo fa chiudere in sé
stesso, e non accetterà l’allontanamento della sorella Ida.

Nella sua poesia, incontriamo quasi sempre riferimenti a questo, ma sottoforma di elementi naturali.
Pascoli, parlando della sua famiglia, parla del “nido”. Il concetto del nido si erge come elemento
cardine. Oltre alla sua manifestazione letterale, in cui il nido diviene il delicato rifugio degli uccelli
nelle sue composizioni poetiche, esso assume una profondità metaforica che permea l’intero universo
pascoliano. Il nido, in questo contesto, non è solo un luogo fisico: è un santuario di protezione,
rappresenta l’idea di famiglia e si estende fino a incarnare l’essenza stessa della patria.

Oltre al nido, Pascoli riempie ogni suo componimento di simboli naturalistici: la siepe, la nebbia, il
tuono, il gelsomino notturno, sono solo esempi di poesie dove l’autore parla: attraverso la sua poesia
sulla natura, spesso inserisce elementi autobiografici, ricordi ed emozioni personali.

Verrebbe da domandarsi, come mai Pascoli non se la prende con la natura, considerandola causa della
morte e del suo dolore? La risposta la ritroviamo in questo passo:

“Ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce, e più il male altrui che il proprio bene. E del
male volontario dànno, a torto, biasimo alla natura, madre dolcissima, che anche nello spengerci
sembra che ci culli e addormenti. Oh! Lasciamo fare a lei, che sa quello che fa, e ci vuol bene!”

(La Prefazione, Giovanni Pascoli)

La natura di pascoli non è matrigna, ma è “madre dolcissima”, persino nel momento della morte. Solo
gli uomini sono responsabili del male che soffrono durante la vita, male al quale il poeta cerca di
rispondere con amore e non con odio.

Il fanciullo non si sente affatto superiore rispetto alla natura, e anzi s'immerge con timore in essa,
parla agli animali e alle nuvole, s'immedesima con i fili d'erba: il paesaggio naturale è inquieto e
risente dello sguardo dell’osservatore, che vi proietta sensazioni e angosce proprie. Nonostante la
accuratezza dei termini usati, i paesaggi e i ritratti umani di Pascoli non hanno nulla di realistico, ma
sembrano fluttuare in una dimensione fantastica che li rende sfuggenti.

Poeta delle piccole cose

In un’epoca dominata dalla rapidità e dalla superficialità, la società sembra aver smarrito il dono
prezioso di osservare e ammirare le piccole cose. I fanciullini questo dono lo custodiscono come un
tesoro, con i loro occhi curiosi e incontaminati scorgono incantesimi dove gli adulti vedono solo
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routine. Esplorano mondi in ogni dettaglio, sfumature che gli adulti spesso trascurano e non riescono
nemmeno a percepire. La loro è una dimensione che molti hanno dimenticato, un’essenza pura che
giace nascosta dietro le apparenze.

Crescendo queste luci si affievoliscono, ci ritroviamo a girare in un mondo sbiadito come un


caleidoscopio che ha dimenticato come riprodurre i colori. Dimentichiamo ogni risata, ogni momento
felice, ogni primavera… in questo smarrimento, forse, perdiamo pezzi del nostro cuore che solo un
bimbo sa come ricordarci di avere.

In questo intricato labirinto della vita, la sfida non è solo ricercare, ma ritrovare quel dono perso che
solo i veri poeti sanno custodire.

Giovanni Pascoli con la sua sensibilità acuta ci ha ricordato l’importanza delle piccole cose. Ha
esplorato il terreno dell’anima umana, scavando nelle profondità della memoria e dell’esperienza, ha
trovato poesia in ogni angolo di vita. Era un maestro nel rivelare l’infinito nel finito ed è proprio in
questo contesto che la sfida diventa un ritorno all’introspezione, una riscoperta delle ricchezze
nascoste nel tessuto della nostra esistenza. Come Pascoli dobbiamo riconnetterci con la capacità di
trovare un significato nelle cose apparentemente semplici. Solo allora potremmo dire di aver ascoltato
il nostro fanciullino interiore.

Egli eleva il piccolo e l'insignificante a un livello di risonanza poetica, rappresentando così la sua
poetica delle piccole cose. L'assiuolo stesso, un piccolo uccello notturno, diventa un simbolo potente
in mano a Pascoli, incarnando la bellezza e la profondità che possono essere scoperte anche nelle
entità più modeste della natura.

“Dov’era la luna? ché il cielo


notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù…”

La poesia di Pascoli si apre sotto un cielo notturno, illuminato dalla luminosa presenza della Luna,
un'ambientazione che evoca un delicato equilibrio tra realtà tangibile e un velo di incanto. In questo
contesto, l'assiuolo emerge con il suo canto misterioso, un richiamo che risveglia nell'animo del poeta
profonde riflessioni.
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Il ritmo della poesia è marcato dal persistente richiamo dell'assiuolo, "chiù", un suono che conclude
ogni strofa e incarna una vasta gamma di emozioni, dalla meraviglia al timore, dall'incertezza alla
profonda riflessione. La poesia avanza la tesi che l'intera natura partecipa a un annuncio universale
della morte, un presagio enfatizzato dal cupo e insistente canto dell'assiuolo.

Il cuore della poesia è permeato dal canto dell'assiuolo, un suono che anticipa la presenza ineluttabile
della morte e risveglia nel poeta memorie angosciose del passato. Associato al canto delle cavallette,
questo suono evoca nell'animo del poeta l'immagine dell'antica cerimonia dedicata alla dea Iside, una
figura simbolica di rinascita e promessa di vita oltre la morte.

Attraverso l'assiuolo come simbolo dominante, la poesia esplora temi universali come la fugacità
dell'esistenza, la nostra incessante ricerca di significato e la realtà inevitabile della morte come parte
integrante della vita. Al termine della poesia, emerge un profondo senso di reverenza e ammirazione
per la natura, enfatizzando la sua potente e misteriosa essenza.

Una ricerca incessante di appartenenza, Pascoli e la politica

È ormai noto, come Giovanni Pascoli sia sempre stato guidato da una “voce”, ma questa voce è
presente anche nella politica?

La risposta è sì. L’autore ha compiuto un’incessante ricerca di un partito politico che lo rappresenti
e che lo faccia finalmente sentire parte di qualcosa, di un gruppo o di una “famiglia” o “nido” politico.
Però, perché Pascoli ha così bisogno di sentirsi parte di qualcosa? Per rispondere a questo quesito
dobbiamo tener conto anche della sua visione molto negativa del mondo; infatti, come si evince da
“X Agosto” e dalla poesia “La Voce” lo descrive come “…quest’atomo opaco del Male!” oppure
come “Oh! La terra, come è cattiva!

La terra, che amari bocconi!”. Da queste citazioni è possibile comprendere come Pascoli e
soprattutto il dolore da lui patito abbiano influenzato il suo giudizio in modo tale da riconoscere nella
vita, non un’opportunità da cogliere e da sfruttare, ma come una condanna temporanea che sa offrire
solo dolore.

Ed è dunque conoscendo questi presupposti che possiamo comprendere le sue scelte politiche.

All’incirca in età liceale, molti adolescenti iniziano ad interessarsi all’attualità e alla politica e pascoli
di certo non fa eccezione.

Infatti, nel biennio 1871-1872, quando viene trasferito al Liceo Gambalunga del collegio di Urbino,
il poeta si dichiara leopardiano ed ateo, apparentemente queste sono due affermazioni che possono
apparire immature e quasi senza senso, ma questa è solo l’apparenza.
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L’interesse e lo sviluppo della passione politica di pascoli possono essere divisi in due fasi: la fase
giovanile e la maturità.

La fase giovanile come precedentemente accennato inizia durante gli anni del liceo a Rimini, ma fu
quasi un caso che una delle istituzioni politiche più importanti del tempo si riunisse proprio in quella
città; infatti, proprio nel 1872 ci fu in primo congresso internazionale della penisola dove il
movimento anarchico di Bakunin ci distaccava dagli ideali mazziniani e dal socialismo di Marx ed
Engels. Questo movimento riteneva che il popolo potesse insorgere tramite atti clamorosi.

Nel 1872, Pascoli fu trasferito ad un liceo di Firenze, e la sua permanenza li viene descritta come
molto triste portandolo a ripetere il quinto anno di liceo in un istituto di Cesena dove conseguì la
licenza nel 1873. In seguito, cominciò i suoi studi universitari grazie ad una borsa di studio e a stretto
contatto con Giosuè Carducci.

Gli anni bolognesi possono essere descritti come felici e ribelli, dato che il Pascoli, non esitò ad
emergere come rivoluzionario politico, arrivando addirittura a perdere la tanto ambita borsa di studio
e a sospendere gli studi per cinque anni a causa di problemi economici. Dopo una lunga lista di
insorgenze, L’autore fu arrestato nel 1879, ma liberato nel dicembre dello stesso anno grazie alla
testimonianza dello stesso Carducci.

Dopo questa esperienza, Pascoli si asterrà da una vita politica attiva per riprendere gli studi e laurearsi
con una rarissima lode in filologia nel 1882, e con una raccomandazione da parte del suo professore,
per essere assunto come docente di lettere in un liceo di Teramo. Nello stesso anno redige un articolo
su Carducci per un giornale triestino, i cui redattori potranno pubblicare dopo trent’anni, e stessa sorte
toccherà alla biografia da lui curata e sempre dedicata al Carducci.

Come sappiamo la famiglia Pascoli fu sconvolta 16 anni prima dall’omicidio del padre Ruggero, e da
allora, tutti i fratelli erano stati divisi tra un collegio, una zia ed un convento, ed è proprio al convento
che il poeta si dedica, mettendosi in contatto con le sorelle Ida e Maria per ricreare il nido di strutto
ed un clima le familiarità da troppo assente. Inoltre, il tema del nido ora si riverserà anche nella sua
produzione letteraria dato che redigerà un’intera racconta legata ai tempi del passato, e dei dolori
familiari: Myricae. Da questo momento il passato sarà la sua ombra non lo abbandonerà mai, e anche
quando la felicità sembra ritrovata, il passato ritornerà in modo irruento nella vita tormentata
dell’autore.

Da questo momento comincia la seconda fase della prospera attività politica pascoliana, ovvero quella
della maturità.

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Questa fase possiamo dire che venga evidenziata da Mario Pazzaglia, giornalista curatore della
“Rivista Pascoliana”, che nel 2001 ha ritenuto che Myricae costituisca l’evoluzione dal Pascoli social-
rivoluzionario a quello nazional-patriottico.

“Pascoli dovette avvertire una certa difficoltà a seguire i giovani rivoluzionari in modi di vita lontani
dal persistere in lui d'un certo conformismo borghese (le sorelline disperate per la sua carcerazione;
il silenzio, anche in seguito, di loro e di lui sull'episodio..."

Così lo stesso Pazzaglia dubita del fatto che pascoli ha ufficialmente abbandonato certi stili di vita e
scelte politiche.

Myricae viene descritto come una poesia pascoliana impregnata di senso sociopolitico, fattore che è
presente solo nella suddetta raccolta; infatti, nel Fanciullino è possibile osservare un radicale
cambiamento.

Il Fanciullino va a classificarsi come continuazione di quelli che erano l’Emilio di Rousseau e la


filosofia di Kant oltre che quella sull’inconscio di Schopenhauer, dove lo stesso inconscio non è altro
che una sorgente da cui attingere nel deserto delle difficoltà; inoltre è la scoperta di una psiche
“primordiale e perenne” impegnata idealmente che deve essere obbligatoriamente socialista.

Queste sono le ragioni che spiegano la ricorrente inclinazione del Pascoli verso il passato, che fanno
sembrare il tentativo di comprensione del suo presente come costantemente inadatto: Il Pascoli legalo
alla natura, generoso e sofferente continua ad essere in conflitto con l’interpretazione oggettiva della
realtà.

Nonostante un decennio passato come socialista rivoluzionario, il passaggio agli ideali anarchici, non
hanno affatto modificato quello che era il suo pensiero do costante distacco da qualsiasi autorità,
istituzione d’organizzazione.

“Il suo socialismo campagnolo – ha scritto P. Rondinelli – fu spesso individuale, appartato e lontano
dalle ambizioni cittadine dell’organizzazione partitica”

Pascoli, con la sua politica della siepe, ha sempre difeso la piccola borghesia delle campagne, senza
rendersi conto che già agli inizi dell’Ottocento questa classe stava per essere spazzata via dalla marcia
prepotente ed incombente del capitalismo industriale.

Il nuovo Pascoli, il Pascoli maturo risulta regressivo addirittura ai teorici socialisti utopistici.

In conclusione, se è davvero possibile parlare di socialismo come movimento politico e non come
sostituzione alla religione, professata sottoforma di sentimenti di fraternità e patriottismo, per Pascoli

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anche il marxismo sarebbe stato un valido movimento politico se avesse parlato più di umanità che
di classi e più di sacrificio che di lotta.

Ma gli ideali politici del tormentato poeta saranno considerati vani solo con l’avvento della Prima
guerra mondiale, in quanto considerate inadeguate per i problemi sociali della nazione.

Volendo riassumere il fervore politico del poeta, egli si dichiara difensore della borghesia campagnola
consapevole che un unificazione affosserebbe questa classe sociale, patriota della nazione proletaria
che inneggia al riscatto dalla miseria e dall’oppressione politica, un seguace inconsapevole dello stato
federalista di Cattaneo e Ferrari ma con un risvolto più campagnolo che borghese, ma nonostante
tutto ciò, Giovanni Pascoli era ingenuo ed illuso che il suo socialismo avrebbe potuto cambiare i
cosiddetti poteri forti, che la borghesia avrebbe perso interesse per il denaro e si sarebbe dedicata alle
genti meno abbienti.

Pascoli è un socialista del desiderio, dell’immaginazione e degli ideali, non della pratica.

È obbligatorio ricordare che Pascoli è stato molto influenzato dalla storia, oltre che dalla sua epoca,
dunque, bisogna esplorare il complesso rapporto di Giovanni Pascoli con le ideologie del suo
tempo, concentrandosi su cattolicesimo, socialismo e il suo dualismo interiore. Pascoli, nonostante
la sua natura non credente, si trovò isolato, incapace di ottenere pieno sostegno dai socialisti,
cattolici o dalla borghesia. Il suo dualismo interiore lo spingeva tra un’affinità con il misticismo
laico e un richiamo a visioni eroiche. Il poeta cercò consenso favorendo la guerra coloniale, ma ciò
rispecchiava la sua lotta per mantenere consensi. Il testo suggerisce che le influenze della tradizione
classica e della latinità pesarono sulla sua interpretazione oggettiva degli eventi contemporanei,
mentre lui sostituiva la lotta di classe con il diritto-dovere di un popolo di emanciparsi.

Il nido poetico

Pascoli, con la sua scrittura intensa, accarezza il mistero insondabile della vita e sottolinea
l’importanza vitale di avvicinarsi e stringersi agli altri. Ma il nido, nell’analisi degli studiosi, svela
ulteriori strati di significato. Alcuni interpretano il nido come una manifestazione della profonda
regressione di Pascoli verso la sua infanzia, una sorta di nostalgia per un’epoca di pura sicurezza e
innocenza. Altri vedono nel nido un simbolo della cauta diffidenza di Pascoli verso l’ambiguo e
spesso ostile mondo esterno, quasi una reazione istintiva a ritirarsi e proteggersi entro le mura sicure
di affetti familiari e ricordi dolci.

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In una prospettiva più ampia, il nido può essere interpretato come un riflesso delle tensioni e delle
paure che pervadevano la società rurale di fine Ottocento di fronte all’avvento e alle trasformazioni
della civiltà industriale e borghese.

Parallelamente al simbolismo del nido, emerge in tutta la sua potenza la figura materna. Essa
rappresenta la guardiana dei legami familiari, dei riti ancestrali e dei sentimenti che legano
indissolubilmente vivi e defunti. In questa visione, la culla diventa un prolungamento tangibile del
seno materno: un luogo in cui il bambino, avvolto in un senso di sicurezza e protezione, si abbandona
al sonno, dimentico di ogni incertezza e timore, proprio come descritto nella poesia “Tuono” di
Pascoli. Questa fusione di simbolismi, emozioni e riflessioni offre uno sguardo profondo e avvolgente
nell’universo poetico pascoliano.

E nella notte nera come il nulla,

a un tratto, col fragor d’arduo dirupo

che frana, il tuono rimbombò di schianto:

rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,

e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,

e poi vanì. Soave allora un canto

s’udì di madre, e il moto di una culla.

La poesia si apre con la potente congiunzione "e", suggerendo un legame inscindibile tra tuono e
lampo. Questi elementi naturali diventano metafore della complessità emotiva e della dualità
dell'esperienza umana. La struttura ABCCBCA crea un ritmo che evoca il tuono stesso: un inizio
pacato, seguito da un crescendo e poi una calma riflessiva.

Le figure retoriche arricchiscono il tessuto poetico. L'allitterazione con "r" (come in "rimbombo" e
"rimbalzo") enfatizza la sonorità e l'impatto sensoriale della tempesta. L'enumerazione attraverso
l'asindeto e il polisindeto (come "rimbombo, rimbalzo, rotolo" e "e tacque, e poi…, e vani") sottolinea
la natura inarrestabile della tempesta e l'ansia che essa genera.

L'enjambement, in particolare nella frase "canto sui …. e che frana, dirupo, che frana", cattura il senso
di una caduta inarrestabile, parallela alla crescita emotiva e fisica del bambino che cerca conforto
nella madre. La sinestesia, attraverso termini come "Rimbombo" e "Rimbalzo", fonde sensazioni
uditive e visive, amplificando l'esperienza emotiva.

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Il confronto tra il tuono e la madre rafforza il tema centrale della poesia: la paura infantile e il conforto
materno. La madre emerge come l'unico baluardo contro la tempesta emotiva e naturale. La culla,
simbolo di protezione e sicurezza, si oppone al "nulla" evocato dal tuono, rappresentando un vuoto
incolmabile.

Il poeta, attraverso un lessico semplice ma efficace, evoca un senso di nostalgia e riconnessione con
l'infanzia, periodo di innocenza e felicità. La morte del padre accentua questa necessità di ritorno alla
protezione materna e al "nido familiare".

La poesia mira a suscitare nel lettore una "paura quasi reverenziale", un senso di smarrimento di
fronte all'oscillazione tra potenza distruttiva e costruttiva. Attraverso l'uso magistrale delle figure
retoriche e del ritmo, il poeta ci invita a riflettere sulla fragilità dell'esistenza umana e sul potere
salvavita dell'amore materno.

Conclusioni

Seppur ognuno di noi possieda un fanciullino nel proprio io, nonostante possieda un lato che rimane
affascinato nei confronti delle piccole cose, dei dettagli, delle leggi della natura nella quale si
immerge, che è sensibile, in un mondo dove l'empatia è bandita, dove il sentimento è debolezza, ci
sentiamo costretti a reprimere questo bambino. Ci viene costantemente chiesto di crescere, di essere
forti. In un mondo dove tutti corrono, non ci si può fermare a constatare i dettagli, ci ritroviamo
sovrastati dalla superficialità del mondo, da una realtà che valorizza l'apparenza a discapito
dell'autenticità. Il nostro fanciullino, con la sua voce chiara e sincera, viene calpestato dalla
pesantezza delle responsabilità, dalle preoccupazioni e dai mille tormenti che quotidianamente
dobbiamo affrontare.

In questo scenario, la sua voce rischia di diventare un eco muto, un sussurro soffocato nel frastuono
della nostra esistenza frenetica. Ma la verità è che, nonostante tutto, quel fanciullino continua a
risiedere in noi, attendendo pazientemente di essere riscoperto e ascoltato. Per ritrovare le sinfonie
perdute, per riconnetterci con la melodia autentica del nostro essere, dobbiamo fare un passo indietro,
ritornare alle radici, e cercare quella voce pura e incontaminata che una volta guidava i nostri sogni e
le nostre aspirazioni.

Riconnettersi con il fanciullino interiore significa abbracciare la vulnerabilità, accogliere la sincerità


e riscoprire la bellezza delle piccole cose. E in quel ritrovamento, in quella riconnessione, scopriamo
che le sinfonie della vita, con tutte le loro sfumature e armonie, sono sempre state lì, aspettando solo
di essere ascoltate.

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Bibliografia

Accademia Pascoliana, Rivista Pascoliana

Corrado Bologna, Paola Rocchi, Fresca Rosa Novella, “Nascita e morte della natura pascoliana”

Giovanni Pascoli a cura di Arnaldo Colasanti e Nora Calzolaio, Tutte le poesie

Giovanni Pascoli a cura di Carla Chiummo, Myricae

Giovanni Pascoli a cura di Giorgio Agamben, il fanciullino

Giovanni Pascoli a cura di Rizzoli, i Canti di Castelvecchio

L’isola della poesia, il tuono

Pearson, G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori

Silvana Poli, Giovanni Pascoli alla ricerca del “nido perduto”

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