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CONTEMPORANEO
Magazin
SUSANNA TAMARO
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Susanna Tamaro è nata a Trieste il 12 dicembre 1957.
I la pubblicato i seguenti libri :
La testa tra le Nuvole, nel 1989
Per voce sola nel 1994,
Va* dove ti porta il cuore nel 1994.
Con questo libro ha raggiunto un grande successo, ed è sta
to tratto da questo libro un film. Ha inoltre pubblicato dei
libri per bambini :
Cuore di ciccia, nel 1992
Papirofobia, nel 1994
II cerchio magico, nel 1994
Nel 1996 è uscito un libro intervista dal titolo 11 respiro
quieto ripubblicato nel 1997.
Il suo ultimo romanzo è Anima M undis uscito nel 1997
I suoi libri sono tradotti in trentaquattro lingue.
Opicina, 16 novembre 1992
Sei partita da due mesi, e mi hai mandato una sola car
tolina. Questa mattina, in giardino, mi sono fermata a
lungo davanti alla tua rosa. Anche se è autunno, ha
^sempre il suo colore rosso. Ti ricordi quando Pabbiamo
piantata? A vevi dieci anni e da poco avevi letto il Pie- 5
colo Principe. Te l’avevo regalato io come premio per la
tua promozione. La storia ti era piaciuta molto. Tra tut
ti i personaggi, i tuoi preferiti erano la rosa e la volpe.
Così una mattina, mentre facevamo colazione, hai det
to: “Voglio una rosa che sia mia soltanto, voglio curar- io
la, farla diventare grande.” Naturalmente, volevi anche
una volpe. Su questo punto abbiamo discusso a lungo,
e alla fine abbiamo deciso per un cane.
La notte prima di andare a prenderlo non hai dormi
to. La mattina alle sette avevi già fatto colazione, ti eri 15
vestita e lavata; con il cappotto addosso mi aspettavi
seduta in poltrona. A lle otto e mezza eravamo davanti
5
alla porta del canile, era ancora chiuso. Mi dicevi:
“Come saprò qual è proprio il mio?” Eri molto preoccu
pata perché non sapevi come scegliere il cane giusto.
Siamo tornate al canile per tre giorni di seguito.
5 C'erano più di duecento cani là dentro e tu volevi
vederli tutti. Ti fermavi davanti a ogni gabbia, e stavi lì
ferma. I cani si buttavano tutti contro la rete e abbaia
vano.
rete
canile, qui, luogo dove si tengono i cani abbandonati
abbaiare, gridare (detto del cane)
6
Buck l’abbiamo incontrato al terzo giorno. Stava in
uno dei box, dove venivano messi i cani malati. Quan
do siamo arrivate davanti al box, è rimasto seduto al
suo posto senza neanche alzare la testa. “Quello,” hai
detto ad alta voce. “Voglio quel cane lì.” Ti ricordi la 5
faccia sorpresa della donna del canile? Non capiva per
ché sceglievi quello. Buck era nero, piccolo e brutto, un
misto di quasi tutte le razze del mondo. Quando siamo
box , qui, posto dove si tengono i cani malati separati dagli altri
misto , un insieme di cose diverse
7
andate negli uffici per firmare le carte, la donna ci ha
raccontato la sua storia. Era stato buttato fuori da
un’auto in corsa all’inizio dell’estate e si era ferito gra
vemente.
5 Buck adesso è qui al mio fianco. Mentre scrivo avvi
cina il naso alla mia gamba. 11 muso e le orecchie sono
ormai diventati quasi bianchi e ha gli occhi da cane
vecchio.
Mi commuovo quando lo guardo. E come se qui
io accanto a me c’è una parte di te, la parte che più amo,
quella che tanti anni fa, tra i duecento cani del canile,
ha saputo scegliere il più infelice e brutto.
In questi mesi, quando giro sola in casa, non ricordo
più tutti i nostri litigi. 1 miei ricordi sono di quando tu
15 eri bambina. E a lei che scrivo, e non alla persona arro
gante degli ultimi tempi. E stata la rosa a farmi pensare
così.
Stamattina, quando sono passata accanto alla rosa
mi ha detto: “ Prendi della carta e scrivile una lettera.”
20 So che avevamo deciso di non scriverci, e lo rispetto,
ma questa lettera non arriverà mai in America. Se non
ci sarò più io quando ritornerai, ci sarà questa lettera
che ti aspetta. Perché dico così? Perché meno di un
mese fa, per la prima volta nella mia vita, sono stata
25 male in modo grave.
Così adesso so che tra sei o sette mesi forse non potrò
più essere qui ad aprire la porta, e ad abbracciarti. Una
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mattina, mentre innaffiavo la rosa, mi sono sentita male
e ho visto tutto buio. Per fortuna la signora Razman mi
ha visto dal suo giardino.
Quando mi sono svegliata in ospedale non mi neon
davo nulla. Intorno a me c’erano soltanto delle strane 5
macchine.
Dopo qualche giorno sono stata portata in una stan
za normale. Mentre ero lì è venuto a trovarmi il signor
Razman con la moglie. “E ancora viva,” mi ha detto,
“grazie al suo cane che abbaiava come un pazzo.” io
Quando già avevo cominciato ad alzarmi è entrato nel
la stanza un giovane medico, ha preso una sedia e si è
seduto vicino al mio letto. “ Poiché non ha parenti che
possano provvedere e decidere per lei,” ha detto, “le
dovrò parlare chiaramente.” 15
Mi ha detto che la mia salute era così grave che non
potevo tornare a casa da sola. Mi ha fatto il nome di
due o tre pensionati dove potevo andare a vivere. “Dot
tore,” gli ho detto io allora, “preferisco cadere morta
nel mio orto, invece di vivere un anno ancora in un let- 20
to, in una stanza con le pareti bianche.”
Tre giorni dopo ho firmato un foglio dove era scritto
che, se morivo la colpa era mia. Poi, con le mie poche
cose raccolte in una borsa, ho preso un taxi.
Appena Buck mi ha visto ha cominciato a correre 25
come un pazzo; per far vedere la sua felicità. “Hai visto,
vecchio mio? Siamo di nuovo insieme,” e l’ho accarez
zato dietro le orecchie.
9
o rto
io
ché una nonna mamma è sempre più attenta e più buo-
na di una mamma mamma, e vantaggi per me perché
mi ha fatto vivere la vita nuovamente. A un certo pun
to, però, qualcosa si è rotto. La colpa non era né mia
né tua ma soltanto delle leggi di natura. 5
Uinfanzia e la vecchiaia sono simili, non si partecipa
ancora - o non si partecipa più - alla vita attiva e que
sto permette di vivere con più sentimento. E durante
l'adolescenza che comincia a formarsi intorno al nostro
corpo una corazza che non si vede e che diventa sempre io
più forte nell’età adulta. Ma dopo tanti anni la corazza
si rompe. E proprio questo che è successo tra me e te.
Quando la tua corazza ha cominciato a formarsi, la mia
era già rotta. Tu non sopportavi le mie lacrime ed io non
sopportavo il tuo improvviso modo di essere dura. 15
Quando il tuo carattere è cambiato nell’adolescenza ho
trovato una persona nuova davanti a me e questa per
sona non sapevo più come prenderla. La sera, nel letto,
mi dicevo, chi passa l’adolescenza senza cambiare non
diventerà mai una persona davvero grande. A lla matti- 20
na però, quando mi sbattevi la prima porta in faccia,
avevo solo voglia di piangere! Non avevo più l’energia
per combattere con te. Se arriverai a ottant’anni, capi
rai che a quest’età uno si sente come foglie su un albe
ro alla fine di settembre. Hai sempre paura di cadere 25
il
dall’albero se tira il vento. Per me il vento eri tu, con la
tua voglia di vivere e la tua voglia di discutere. Capisci,
tesoro? Abbiamo vissuto sullo stesso albero ma in sta
gioni così diverse.
5 Mi ricordo il giorno quando sei partita, come erava
mo nervose, eh? Non ti ho accompagnata all’aeroplano
perché tu non volevi, e ad ogni cosa che ti ricordavo di
prendere mi rispondevi: “Vado in America, mica nel
deserto.” Quando ti ho salutato ti ho detto: “ Abbi cura
io di te.”'T u non ti sei girata e hai detto: “ Abbi cura di
Buck e della rosa.”
Sono rimasta un po’ triste di questo tuo saluto. Mi
aspettavo un bacio o una frase dolce. Soltanto la sera
quando giravo per la casa vuota ho capito che curare
15 Buck e la rosa voleva dire curare la parte di te che con
tinua a vivere accanto a me, la parte felice di te. E ho
anche capito che non era insensibilità ma la tua corazza.”
Ora devo lasciarti. Buck mi guarda perché ha fame.
18 novembre
Questa notte è piovuto. Stamattina, sono rimasta a
20 lungo a letto. Come cambiano le cose coti gli anni!
A lla tua età potevo dormire anche fino all’ora di pran
zo. Adesso invece, mi sveglio sempre prima dell’alba.
Così le giornate diventano lunghissime. Le ore del
mattino poi sono le più terribili, stai lì e sai che i tuoi
25 pensieri possono andare soltanto indietro. 1 pensieri di
un vecchio non hanno futuro, e sono tristi. I vecchi
dormono poco e non fanno sogni, o non li ricordano. 1
12
bambini e i giovani invece sognano di più e i loro sogni
decidono rumore del giorno. Ti ricordi come piangevi
la mattina presto negli ultimi mesi quando stavi lì
seduta davanti alla tazza di caffè? “Perché piangi?” ti
chiedevo allora, e tu mi dicevi: “Non lo so.” A lla tua 5
età ci sono tante cose da mettere in ordine dentro di sé,
ci sono progetti e nei progetti i dubbi. Che sogni fai là
tra i cactus e i cowboy? Mi piacerebbe saperlo. Hai
nostalgia? C i pensi?
tazza
13
eccomi, sono qui.” In quel modo, secondo lei, potevo
ottenere un rapporto con la persona desiderata.
Questo pomeriggio, prima di mettermi a scrivere, ho
fatto proprio così. Erano circa le cinque, da te doveva
5 essere mattina. Mi hai vista? Sentita? lo ti ho visto in
uno di quei bar pieni di luci, ti ho riconosciuta subito
perché portavi l’ultimo maglione che ti ho fatto. Ma è
stato tutto così breve che non ho fatto in tempo a
vedere l’espressione dei tuoi occhi. Sei felice? E questo
io più di ogni altra cosa che mi sta a cuore.
maglione
14
Quando dicevi così mi sembrava di avere un mostro
accanto a me; e quando ti guardavo mi chiedevo, se era
questo che ti avevo insegnato. Non ti ho mai risposto
ma capivo che il tempo di poter parlare insieme era
finito. 5
Allora mi hai minacciato di andare via, di sparire dal
la mia vita senza dare più notizie. Quando ti ho detto
che partire era un’ottima idea hai cominciato a fare
diverse proposte, fino al giorno che con sicurezza,
davanti al caffè mi hai detto: “Vado in Am erica.” io
Nelle settimane seguenti hai continuato a parlarmi
dell’idea delPAmerica. “Se vado un anno là,” ripetevi,
"almeno imparo una lingua e non perdo tempo.” Ti
dava fastidio in modo terribile quando ti facevo notare
* he perdere tempo non è per niente grave. Il massimo 15
del fastidio l’hai raggiunto quando ti ho detto che la
vii a non è una corsa, non è il tempo che conta, ma
l'essere capace di trovare un centro, uno scopo.
C ’erano due tazze sul tavolo che subito hai fatto
v<dare con un braccio, poi sei scoppiata a piangere. “Sei 20
stupida,” dicevi, e nascondevi con le mani il viso. “Sei
>iupida. Non capisci che è proprio quello che voglio?”
Quando tu piangevi e mi dicevi, non capisci niente,
1u )iì capirai mai niente, ho dovuto fare degli sforzi gros-
a per non farti capire come mi sentivo. Non ti ho mai 25
parlato di tua madre e della sua morte, e forse questo ti
ha fatto credere che per me la cosa non era importante.
Ma tua madre era mia figlia, non ti rendi conto, o forse
si. Invece di dirlo, lo tieni dentro, altrimenti non pos-
15
so spiegare certi tuoi sguardi, certe parole piene di odio.
Di lei, se non il vuoto, tu non hai alt ri ricordi: eri anco-
ra troppo piccola il giorno che è morta, lo, invece, nel
la mia memoria conservo trentatré anni di ricordi.
5 Come puoi pensare che tutto questo non sia impor
tante per me?
Ma se non ho mai parlato di tua madre, era perché
prima dovevo parlare di me, delle mie colpe, vere o fal
se. Il mio amore doveva bastare per non farti sentire la
io nostalgia di lei e di domandarmi: “Chi era mia madre,
perché è morta ?”
Finché eri bambina, eravamo felici insieme. Eri una
bambina piena di gioia ma nella tua gioia c’era
un’ombra di riflessione. Dal ridere passavi al silenzio
15 molto facilmente. “Cosa c’è, cosa pensi?” ti chiedevo
allora e tu, mi rispondevi: “Penso se il cielo finisce o va
avanti per sempre.” Ero molto felice del tuo essere così,
il tuo modo di riflettere era simile al mio. Volevo il
nostro rapporto sempre così. Ma purtroppo le cose cam-
20 biano nella vita e neanche noi rimaniamo gli stessi.
Adesso sono stanca. Per il momento ti lascio, vado
un po’ a istupidirmi davanti a quella amata odiata TV.
20 novembre
Di nuovo qui. Ho girato tutto il giorno tra la casa e il
giardino. Mi sono seduta sulla panchina in giardino che
25 era nel più completo disordine. Mi sono ricordata il liti
gio per le foglie cadute. Stavo male e le foglie erano già
16
panchina
18
ìk compagnavo nella tua stanza. Lì nel letto, mi tenevi
l i inano e volevi sentire storie che finivano bene.
Qualche altra notte invece, non avevo il coraggio di
rimandarti nel tuo letto. Appena ti sentivo nella mia
•Manza ti facevo tranquilla: “Non scoppia niente, torna 5
nella tua stanza.” Poi ti facevo credere di dormire. Sen-
i ivo allora che entravi nel mio letto e ti addormentavi.
A ll’alba, ti prendevo in braccio, e ti riportavo in came
ni tua.
Quando queste paure ti prendevano durante il gior- io
no li parlavo con parole dolci. “Non vedi com’è forte
la casa,” ti dicevo, “guarda come sono grossi i muri,
non possono scoppiare.” Ma era tutto inutile. “Tutto
può scoppiare,” mi dicevi. C os’era questa paura? Pote
va essere il ricordo di tua madre, della sua morte terri- 15
bile e improvvisa? Oppure apparteneva a quella vita
i he avevi raccontato alle maestre dell’asilo? Chissà.
( 'redo che nella testa dell’uomo ci siano ancora più
ombre che luce,
b’siste un modo per liberarsi dal tuo destino? Chissà. 20
Mia madre si è sposata a sedici anni. Quando aveva
diciassette anni sono nata io. In tutta la mia infanzia, in
lutta la mia vita, non l’ho mai vista fare un solo gesto
affettuoso. 11 suo matrimonio non era stato d’amore. Mia
19
madre era ricca ed ebrea. Mio padre era più vecchio di
lei, si era innamorato della sua bella voce di cantante.
Hanno sempre litigato. Mia madre non era mai conten
ta. Io ero molto diversa da lei e già a sette anni ho
5 cominciato a non sopportarla.
Ho sofferto molto a causa sua. Mi faceva sentire cat
tiva. A ll’inizio cercavo di essere come lei, ma non ci
riuscivo. Quando ho capito che mia madre mi amava
solo per come dovevo essere e non per com’ero, ho
io cominciato a odiarla.
Così mi sono chiusa in un mondo tutto mio. Legge
vo libri di avventura e mi piaceva molto sognare. A
quattordici anni ho letto un libro sull’archeologia e ho
capito che la mia unica vera passione era l’archeologia.
15 Per questo ho combattuto la prima e unica battaglia
con mio padre: quella per andare all’università. Dopo il
liceo volevo fare l’università a Roma ma lui ha rispo
sto: “N o.” E io, come si usava allora, ho ubbidito.
Ho sbagliato, dovevo insistere di più. In quei tempi i
20 giovani non potevano decidere del loro futuro.
Per i miei genitori era importante sedersi bene a tavo
la, e comportarsi secondo le regole, l'apparenza era tut
to. Di come mi sentivo io dentro non era importante.
Così sono cresciuta con il senso di essere qualcosa di
25 simile a un animale da addestrare bene e non un essere
20
umano, una persona con le sue gioie, le sue tristezze, il
m io bisogno di essere amata. Questo mi ha fatto soffri-
iv molto e mi sono sentita sola, sempre più sola, anche
perché mi facevo domande alle quali non sapevo
rispondere. G ià a quattro, cinque anni mi guardavo 5
mi orno e mi chiedevo: “ Perché mi trovo qui? Da dove
vengo io, da dove vengono tutte le cose che vedo
mi orno a me, cosa c’è dietro, sono sempre state qui
inche se io non c’ero, ci saranno per sempre?”
C?osì mi sono sentita sempre più sola, perché nessuno io
mi aiutava a dare una risposta alle mie domande.
11 primo incontro con la morte l’ho avuto verso i sei
anni. Mio padre possedeva un cane da caccia, Argo;
era dolce e affettuoso ed era il mio compagno di giochi
preferito. Giocavo sempre con lui. Ma un giorno, ho 15
visto che sotto la gola aveva qualcosa di strano e da
a leune settimane non aveva più voglia di correre e di
aliare come una volta.
Una mattina, quando sono tornata da scuola, non
» 'era più. Quando ho visto mio padre seduto senza 20
Argo ai suoi piedi, mi è nata dentro una grande paura.
Sono uscita e l’ho chiamato per tutto il giardino, poi
.Miche in casa. La sera, alla fine, con tutto il mio corag
gio ho chiesto a mio padre:
“ Dov’è Argo?” “Argo,” ha risposto lui senza alzare lo 25
sguardo dal giornale, “Argo è andato via.” “E perché?”
ho domandato. “Perché era stufo dei tuoi dispetti.”
Quando ho sentito quelle parole, qualcosa dentro di
me si è rotto. Non dormivo più la notte, e di giorno
21
bastava poco per farmi piangere. Dopo un mese o due
hanno chiamato il medico. “La bambina è esaurita” ha
detto, e mi ha dato delle medicine. Perché non dormi-
vo, perché andavo sempre in giro con la pallina di
5 Argo, nessuno me l’ha mai chiesto.
A sei anni, sono diventata grande. Argo era andato
via perché io ero stata cattiva, avevo fatto scomparire
e distruggere.
pallina
22
Soltanto da vecchia mia madre ha cominciato a rac-
contarmi qualcosa della sua infanzia. Sua madre era
morta quando lei era ancora bambina, prima di lei ave
vi i avuto un figlio morto a tre anni. Per ricordare que
sto fatto, fin da piccola era stata vestita con i colori del 5
lutto. Sul suo piccolo letto c’era una grande foto del fra
tello. Così ogni volta che apriva gli occhi, capiva che
c’era qualcuno migliore di lei. Capisci? Come posso
dare la colpa a lei del suo modo di essere.
L'infelicità di solito, passa di madre in figlia. Per gli io
uomini allora era molto diverso, avevano il lavoro, la
politica, la guerra; la loro energia poteva andare fuori.
Noi no. N oi donne per tanto tempo, abbiamo visto sol-
lanto la stanza da letto, la cucina, il bagno; abbiamo
lutto migliaia e migliaia di passi, di gesti senza essere 15
contente. Sono diventata femminista7. No, cerco solo di
capire.
Ti ricordi quando la notte di ferragosto andavamo a
guardare i fuochi d’artificio che sparavano dal mare? Tra
tutti, ogni tanto c’era uno che non riusciva a raggiun- 20
gore il cielo. Ecco, quando penso alla vita di mia
madre, a quella di mia nonna, quando penso a tante
vite di persone che conosco, mi ricordo proprio di que
sto: Fuochi che non riescono a salire in alto.
23
21 novembre
A nche se sono passati tanti anni non mi fa nessun pia
cere parlare della mia famiglia, in particolare di mia
madre. Questa mattina, per cercare di mettere un po’
di aria tra me e lei, tra me e i ricordi, sono andata a fare
5 una passeggiata in giardino. Poi sono venuta in cucina
per scriverti.
Nei libri che avevo comprato quando tu andavi
alPasilo, ho letto che la famiglia nella quale nasci è gui
data dalle diverse vite che uno vive. Si hanno quel
io padre e quella madre perché ci permetteranno di capi
re qualcosa in più. Ma se è così, mi ero chiesta allora,
perché per tanto tempo si resta fermi?
Ho letto su un giornale che i cambiamenti, non
avvengono a poco a poco ma all’improvviso: dalla
15 madre al figlio tutto cambia, tutto è diverso. Improvvi
samente una persona decide di essere diversa.
Poco prima di sposarmi, la sorella di mio padre -
l’amica degli spiriti - mi aveva fatto fare un oroscopo da
un suo amico astrologo. U n giorno mi ha dato un foglio
20 e mi ha detto: “Ecco, questo è il tuo futuro.” C ’era un
disegno su quel foglio. Appena l’ho visto ricordo di aver
pensato, non farò una vita tranquilla. Dietro l’astrologo
aveva scritto: “Una vita difficile, e dovrai usare tutte le
tue forze per viverla bene.” Questo mi ha fatto molto
25 effetto. La mia vita fino a quel momento mi era sembra
ta molto normale, c’erano state delle difficoltà ma nul
la di grave. Anche quando poi sono diventata adulta,
24
coda
25
moglie e madre, vedova e nonna, non mi sono mai
allontanata da questa normalità. L’unico fatto straordi
nario se così si può dire, è stata la terribile morte di tua
madre. Ma in fondo, quel disegno delle stelle non men-
5 tiva, dietro la mia vita di tutti i giorni di donna borghe
se, in realtà c’era un movimento che continuava, fatto
di disperazioni. Cambiavano i tempi, cambiavano le per
sone, tutto cambiava intorno a me e io avevo l’impres
sione di restare sempre ferma.
io Con la morte di tua madre ho raggiunto il punto più
basso della mia vita. Per fortuna non ho potuto abban
donarmi a lungo alla tristezza, la vita continuava ad
andare avanti.
La vita eri tu: sei arrivata piccola, senza nessun altro
15 al mondo. Mi ricordo di aver pensato che non tutto poi
era finito. Il caso, mi aveva dato ancora una possibilità.
No. Il caso, no. Dove c’è Dio non c’è posto per il
caso, ogni cosa che ti succede ha un senso.
Ho sempre desiderato di avere una forte fede senza
20 dubbi. C on tutta la buona volontà non sono mai
riuscita ad avere una fede per più di due giorni. Perché
non sopporto le cose che non sono giuste.
Adesso vorrei mandarti un bacio.
Sono stanca. Ho riletto quello che ho scritto fino a
25 qui. Capirai qualcosa? C i sono tante cose nella mia
testa, e quando penso non riesco mai ad avere un sen
so chiaro dall’inizio alla fine. Chissà, alle volte penso
che sia perché non sono mai andata all’università. Ho
26
le i to tanti libri, sono stata curiosa di molte cose, ma
sempre con un pensiero ai pannolini, un altro ai fornel
li, un terzo ai sentimenti. Tua madre mi diceva sempre:
“Come tutte le persone borghesi non sai difendere
seriamente quello che pensi.”
<FM
fornello
pannolino
5
Tu hai dentro di te un inquietudine senza nome, tua
madre invece aveva l’ideologia. Lei mi diceva che io
parlavo di cose piccole. Mi chiamava malata di fanta
sie borghesi.
Avevo il torto di vivere in una villetta con il giardi- io
no invece che in un piccolo appartamento, inoltre
avevo ereditato una piccola somma che permetteva a
uitte e due di vivere. Per non fare gli errori che aveva
no fatto i miei genitori, mi interessavo a quello che
diceva o almeno cercavo di farlo. N on le ho mai detto 15
che non mi piacevano le sue frasi fatte.
Ilaria frequentava l’università a Padova. Poteva
benissimo farla a Trieste, ma non aveva più voglia di
vivere con me. Ogni volta che volevo andare a trovar
la mi rispondeva con silenzio. I suoi studi andavano 20
molto lentamente, non sapevo con chi divideva la casa,
non aveva mai voluto dirmelo. Ero preoccupata per lei.
27
C ’era stato il maggio francese, le università occupate, il
movimento studentesco. Le poche volte che l’ho sentita
al telefono mi rendevo conto che non riuscivo più a
capirla, era sempre occupata di qualcosa e questo qual-
5 cosa cambiava sempre. Come madre cercavo di capirla,
ma era molto difficile: c’erano troppe idee nuove.
Preoccupata da un silenzio più lungo degli altri, ho
preso il treno e sono andata a trovarla. Da quando sta
va a Padova non l’avevo mai fatto. Appena ha aperto
io la porta, invece di salutarmi, mi ha detto: “C hi ti ha
invitata? Potevi avvertirmi, devo uscire. Stamattina ho
un esame importante.” Era chiaro che mentiva. Ho
detto: “Pazienza, vuol dire che ti aspetterò.”
Rimasta sola a casa ho cominciato a guardare tra le
15 sue cose; cercavo un segno, dovevo capire che direzio
ne aveva preso la sua vita. Ma non ho trovato nulla.
Ilaria è tornata nel primo pomeriggio. “Come è anda
to l’esame?” le ho domandato con un tono dolce.
“Come tutti gli altri,” e dopo una pausa ha detto, “sei
20 venuta per questo, per controllarmi?” Non volevo lo
scontro. Ho risposto tranquillamente che volevo solo
parlare un po’ insieme.
“Parlare? E di cosa?,” “Di te, Ilaria,” ho detto allora
piano. “Non ho niente da raccontare, non a te almeno.
25 Non voglio perdere tempo in chiacchiere.” Poi ha guar
dato l’orologio e ha detto: “E tardi, ho un incontro
importante. Devi andare.”
Invece di uscire ho preso le sue mani tra le mie.
“Cosa succede?” le ho domandato, “cosa ti fa soffrire?
28
Vederti in questo stato mi fa male al cuore, anche se mi
rifiuti come madre io non ti rifiuto come figlia. Vorrei
aiutarti, ma se tu non vuoi non posso farlo.”
A quel punto stava per piangere, mi ha abbracciato.
“ Mamma, ha detto, io... io...” 5
In quel preciso momento ha suonato il telefono.
“Lascialo suonare.” “Non posso,” mi ha risposto.
Quando ha risposto al telefono la sua voce era di nuo
vo dura. Ho capito che doveva essere successo qualco
sa di grave. Infatti subito dopo mi ha detto: “Mi dispia- io
ce, adesso devi proprio andare.”
Siamo uscite insieme, e mi ha dato un abbraccio in
fretta. “Nessuno mi può aiutare,” mi ha detto mentre
mi stringeva. L’ho accompagnata alla sua bicicletta. Ha
guardato la mia collana e mi ha detto: “Le perle, eh, da 15
quando sei nata non hai mai avuto il coraggio di fare
un passo senza!”
29
Invece non l’ho fatto: perché mi mancava il corag
gio. Ho fatto come lei voleva. Avevo odiato il modo di
fare di mia madre, volevo essere una madre diversa,
rispettare la libertà della sua vita. Non sempre la liber-
5 tà è cosa buona. Solo dopo ti penti, allora hai capito
che non ci deve essere libertà. L’amore non è per i pigri,
ha bisogno di gesti precisi e forti. Hai capito? Mi ero
nascosta dietro la libertà.
L’idea del destino è un pensiero che viene con l’età.
io A lla tua età non ci si pensa. Ti senti come un’operaio,
che costruisce una strada. Soltanto molto dopo, verso i
quarantanni, capisci che la strada è già fatta, e tu non
puoi fare altro che andare avanti. Questo è un momen
to pericoloso nella vita perché credi che non puoi cam-
15 biare niente. Per vedere chiaro il destino però, bisogna
che passino ancora degli anni. Verso i sessanta, hai
capito che la tua vita non era diritta, e ad ogni passo
c’è la possibilità di cambiare direzione. Lungo la tua
strada incontri altre vite, e conoscerle bene dipende da
20 te, nel continuare diritta o cambiare direzione.
22 novembre
Questa notte il tempo è cambiato, in poche ore il ven
to ha portato via le nuvole. Prima di scrivere ho fatto
una passeggiata in giardino con Buck che era contento.
25 Voleva giocare, e mi correva accanto. Sono andata a
vedere come stava la tua rosa, e ho salutato i miei albe
ri preferiti.
30
Ti ricordi quando accarezzavo gli alberi? “Cosa'fai?”
mi dicevi, “non è un cavallo.” Quando poi ti dicevo
che toccare un albero non è diverso dal toccare un
altro essere vivente, ti dava fastidio. Quando accarezzo
la testa di Buck, ad esempio, sento sì qualcosa di caldo, 5
ina in questo qualcosa c’è sempre sotto un piccolo
movimento. Il cane, come l’uomo, è tranquillo e felice,
ma questo non dipende solo da lui.
N ell’albero invece è diverso. Da quando nasce a
quando muore, sta fermo sempre nello stesso posto, io
I siste e basta. Capisci adesso perché è bello accarezza
re* un albero? Per la saldezza.
Nella casa della mia infanzia c’era un albero, così
grande che ci volevano due persone per abbracciarlo.
( ìià a quattro o cinque anni, mi piaceva andare a tro- 15
vario. Stavo lì, sotto l’albero e sentivo che c’era un
ordine superiore delle cose e che in quell’ordine c’ero
uiche io insieme a tutto quello che vedevo. Anche se
non conoscevo la musica, qualcosa mi cantava dentro.
Ito felice di esistere. 20
A quattro, cinque anni io ancora non sapevo nulla
della religione, di Dio. Sai, quando dovevamo scegliere
1 dovevi fare religione a scuola, non sapevo cosa fare.
Ricordavo come era stato negativo il mio incontro con
l;i religione, ma ero certa che bisognava pensare anche 25
allo spirito. E stato deciso tutto quando è morto il tuo
primo criceto. “Dov’è adesso?” mi hai chiesto. Io ti ho
risposto “Secondo te, dov’è adesso?” Ti ricordi cosa mi
hai risposto? “Lui è in due posti. U n po’ è qui, un po’ tra
le nuvole.” L’abbiamo messo sotto terra. Hai detto la 30
vivente , che vive
caldezza, l’essere fermo
criceto, vedi illustrazione pag. 32
31
S! p
presepio
32
Dentro di me, con tutta la volontà, cercavo di rispetta-
re quello che mi insegnavano. Lo facevo perché volevo
essere buona e non dire le bugie. Ma la mia pecora stava
sempre per cadere giù nel burrone. Perché? Per cose da
nulla. Quando chiedevo alla maestra perché aveva spo- 5
stato la mia pecora mi rispondeva: “Perché ieri in testa
avevi un fiocco troppo grande. Perché quando uscivi da
scuola una tua compagna ti ha sentito cantare... Perché
non ti sei lavata le mani prima di andare a tavola.”
Capisci? Anche per la scuola come per mia madre era io
l’apparenza che contava. Un giorno, quando la mia
pecora stava per cadere nel burrone ho pianto: “Ma io
amo Gesù.” Allora la suora che stava lì vicino sai cosa
ha detto? “A h, sei disordinata e anche bugiarda. Se tu
ami davvero Gesù dovevi tenere i quaderni più in ordi- 15
ne.” E ha fatto cadere la mia pecora giù nel burrone.
Dopo questo non ho dormito per due mesi. Natural
mente di tutto questo non ho raccontato niente ai miei
34
A mio padre e mia madre non piaceva la mia abitudi
ne di cantare. Una volta, durante un pranzo, mi hanno
dato uno schiaffo - il mio primo schiaffo - perché avevo
fatto un “tralala.” “Non si canta a tavola,” aveva detto
mio padre. “Non si canta se non si è cantanti,” aveva 5
detto mia madre. Io piangevo e ripetevo tra le lacrime:
“Ma a me mi canta dentro.” Com ’era possibile conser
vare la mia musica? Piano piano la musica è sparita e
con lei la gioia profonda che mi aveva accompagnata
nei primi anni. La gioia, sai, è la cosa che mi è manca- io
la di più. Dopo, certo, sono stata anche felice. La felici-
Ià ha sempre un oggetto, si è felici di qualcosa, è un sen-
i imento che dipende da qualcosa che è al di fuori di te.
La gioia invece non ha oggetto, è simile al sole, brucia
grazie al tuo cuore. 15
Con gli anni sono diventata un’altra persona, quella
che i miei genitori si aspettavano da me. Ho lasciato la
mia personalità per avere un carattere. E’ più importan
te avere un carattere che non una personalità.
Ma carattere e personalità non vanno insieme. Mia 20
madre, ad esempio, aveva un forte carattere, era tal
mente sicura e convinta di quello che faceva. Io ero il
suo contrario. Non sapevo scegliere e alla fine chi mi
era accanto, perdeva la pazienza e decideva per me.
Non credere che sia stato facile lasciare la personali- 25
tà per un carattere. Una parte desiderava continuare a
essere me stessa mentre l’altra, per essere amata, voleva
lare come volevano gli altri. Che dura battaglia! Odia
vo mia madre, il suo modo vuoto di fare. La odiavo, ma
lentamente e contro la mia volontà, diventavo proprio 30
35
come lei. Nessun bambino può vivere senza amore. E
per questo cerca di fare quello che gli altri vogliono,
anche se non ti piace per niente, anche se non lo trovi
giusto. Questo effetto non sparisce con l’età. Quando
5 diventi madre questo effetto torna anche se tu non lo
vuoi. Così io quando è nata tua madre, ero assoluta-
mente certa di volermi comportare in modo diverso.
Ma questa era tutta apparenza. Per non fare a tua madre
quello che avevano fatto a me, l’ho sempre lasciata
io libera di scegliere, non facevo altro che ripeterle: “Sia
mo due persone diverse e dobbiamo rispettarci.”
C ’era un errore in tutto questo, un grave errore. E sai
qual era? Era la mia mancanza di personalità. Anche se
ero ormai grande, non ero sicura di niente. Non riusci-
15 vo ad amarmi, ad avere stima di me. Grazie alla sensi
bilità dei bambini, tua madre l’ha capito quasi subito:
ha sentito che non ero forte.
Dopo la sua terribile morte, per diversi anni non ho
più pensato a lei. A volte mi rendevo conto di averla
20 dimenticata e mi sentivo in colpa. C ’eri tu che dovevo
seguire, è vero, ma forse non era il vero motivo, o forse
lo era in parte. La sconfitta era troppo grande per poter
lo ammettere. Soltanto negli ultimi anni, quando tu
hai cominciato ad allontanarti, a cercare la tua strada,
25 il pensiero di tua madre mi è tornato in mente. Il rimor
so più grande è quello di non avere mai avuto il corag
gio di dire a lei: “Hai torto, fai una sciocchezzaSenti-
errore, sbaglio
stima, buona opinione
sconfitta, mancanza di successo
rimorso, sentimento di dolore che si prova per le colpe commesse
avere torto, non avere diritto (di comportarsi in un certo modo)
sciocchezza, idea stupida
36
vo che nei suoi discorsi c’erano degli slogan pericolosis
simi, cose che dovevo fermare subito e tuttavia non l’ho
fatto. Ma non ho fatto niente a causa dell’educazione
che mi aveva dato mia madre. Per essere amata dovevo
evitare lo scontro. Ilaria aveva più carattere e io teme- 5
vo lo scontro. Se l’amavo davvero, dovevo reagire con
rabbia, e costringerla a fare delle cose o a non farle. For
se era proprio questo che lei voleva.
Chissà perché le verità semplici sono le più difficili
da capire? Se io allora avevo capito che la prima quali- io
tà dell’amore è la forza, avevo forse potuto evitare la
sua morte. Ma per essere forti bisogna amare se stessi;
per amare se stessi bisogna conoscersi profondamente,
sapere tutto di sé, anche le cose più nascoste, le più dif
ficili da accettare. 15
Perché ti scrivo tutto questo? Forse sei stanca di legge
re. Ti chiedi, dove mi porta? Forse parlo di cose che non
sembrano molto importanti ma è questo il cammino che
devo fare per arrivare a quello che tu cerchi, il centro.
Adesso ti devo lasciare ma prima ti mando un altro 20
bacio.
29 novembre
Stamattina ho trovato una giovane merla per terra e
l’ho portata a casa e l’ho messa in una vecchia scatola
da scarpe.
37
merla
complicato, difficile
38
signore, Ilaria l’aveva conosciuto a Padova, e ci anda
va ogni settimana.
A n che se a Trieste viveva da sola avevamo
l’abitudine di vederci per pranzo almeno una volta la
settimana. Fin dall’inizio delle sue visite dal medico i 5
nostri discorsi erano stati molto superficiali. Parlavamo
di cos’era accaduto in città, del tempo. G ià dopo il suo
terzo o quarto viaggio a Padova però, ho visto che era
cambiata. Invece di parlare di niente, era lei a fare
domande: voleva sapere tutto del passato, di me, di suo io
padre, dei nostri rapporti. Non c’era affetto nelle sue
domande: il tono era freddo; non mi sembrava di par
lare con mia figlia, ma con la polizia che a ogni costo
voleva farmi confessare un delitto. U n giorno, le ho det
to: “Sii chiara, dimmi soltanto dove vuoi arrivare.” Lei 15
mi ha guardato con uno sguardo ironico, e ha detto:
Voglio sapere quando e perché tu e tuo marito mi
avete tagliato le ali.”
Mi sentivo in colpa? Certo dovevo parlare con Ilaria
di molte cose ma non mi sembrava giusto rispondere 20
solo perché lei me lo chiedeva.
Ho parlato di nuovo con lei della sua terapia molti
mesi dopo; le ho chiesto: “Di che scuola è il tuo psico
logo?” “Di nessuna,” ha risposto lei, “o meglio di una
che ha fatto lui da solo.” 25
Da quel momento, mi sono preoccupata profonda-
39
mente- Ho scoperto che il medico non era affatto
medico. Le speranze che avevo all’inizio sugli effetti
della terapia sono sparite in un solo colpo. Ilaria stava
sempre peggio. Piano piano, Ilaria aveva smesso di
5 interessarsi a tutto quello che c’era intorno. Ormai da
diversi anni aveva finito i suoi studi e non faceva nien-
te, si era allontanata dai pochi amici che aveva. Il
mondo girava intorno a quello che aveva sognato la
notte, a una frase che io o suo padre le avevamo detto
io vent’anni prima. Davanti a questo suo stato non sape
vo cosa fare.
Soltanto tre estati dopo, per alcune settimane si
vedeva un po’ di speranza. In primavera le avevo pro
posto di fare un viaggio insieme; con mia grande sor-
15 presa invece di rifiutare, Ilaria, aveva detto: “E dove
possiamo andare?” “Non lo so,” avevo risposto, “dove
vuoi tu.”
Il venerdì prima di partire Ilaria mi ha telefonato con
voce dura. “Devo andare a Padova, mi dispiace,” ha
20 detto, “ma non vengo più in Grecia.” “Aspettava la
mia reazione, anch’io la aspettavo. Dopo qualche
secondo ho risposto: “Dispiace molto anche a me. Io ci
vado lo stesso.” Ha capito che sono rimasta male. “Se
parto fuggo da me stessa,” ha detto a voce bassa.
25 Come puoi immaginare è stata una vacanza tristissi
ma e pensavo soltanto a tua madre.
Ilaria non aveva ascoltato la voce del cuore. Una vol
ta, quand’era giovane le avevo detto: il cuore è il cen
tro dello spirito. La mattina dopo sul tavolo della cuci-
30 na avevo trovato il dizionario aperto alla parola spirito.
40
Aveva sottolineato la definizione: liquido senza colore per
conservare la frutta.
Il cuore adesso fa subito pensare a qualcosa di sempli
ce. Quando ero giovane era ancora possibile parlare del
cuore, adesso invece è un termine che non usa più nes- 5
suno, nel senso del suo essere il centro dell’animo uma
no. Tante volte mi sono chiesta sulla ragione di questo.
“C hi ha fiducia del proprio cuore è uno stupido,” dice
va spesso Augusto. Perché stupido? Forse perché nel
cuore c’e del buio, del buio e del fuoco? La mente è io
moderna, il cuore è antico. C hi bada al cuore - si pen
sa allora - è vicino al mondo animale, chi ha cura del
la ragione è vicino ai pensieri più alti. Forse è la trop
pa ragione che rovina la vita.
La ragione è solo una piccola parte della realtà e in 1 5
questa parte spesso c’è la confusione perché è tutta pie
na di parole.
Per comprendere ha bisogno del silenzio. Da giovane
non lo sapevo, lo so adesso che giro per la casa solitaria.
Figurati se dovessi finire nelle mani di uno psicologo! 20
Poteva scrivere un intero libro sul rapporto andato
male con mia figlia, su tutto quello che mi dà dolore.
Ma ormai che importanza ha? Avevo una figlia e l’ho
persa. E morta in un incidente con la macchina: lo stes
so giorno le avevo raccontato che quel padre che, 25
secondo lei, era stato causa di tanti guai, non era il suo
vero padre. Quella giornata è presente davanti a me
sottolineare, mettere una liniea sotto una parola o una frase par dargli
importanza
definizione, frase per spiegare una parola o una frase
liquido, il vino, l’olio e l’acqua sono liquidi
solitario, (di luogo) non frequentato
incidente, caso non aspettato in cui qualcosa va male
41
come un film. Conosco a memoria tutte le scene. Sta
tutto dentro di me, è sempre nei miei pensieri. C i sarà
ancora dopo la mia morte.
La merla si è svegliata. “Ho fame,” sembra dire, “cosa
5 aspetti a darmi da mangiare?” Ho telefonato al signor
Walter per sentire se aveva dei vermi.
v erm e
30 novembre
io Questa mattina poco prima delle nove è arrivato W al
ter con i vermi. Ho portato la merla fuori dalla scatola,
il suo cuore batteva come pazzo. Dopo tre vermi era già
piena.
Quel giorno era l’otto maggio. Avevo passato la mat-
15 tina a curare il giardino che era bello con tutti i fiori e
il ciliegio coperto di boccioli. A ll’ora di pranzo è apparsa
tua madre. E arrivata alle mie spalle in silenzio. “Sor
presa!” ha gridato all’improvviso e io per la paura ho
lasciato cadere il rastrello. Sembrava molto nervosa.
20 Le ho chiesto dov’eri. Mi ha detto che ti aveva lascia
ta a giocare da un’amica. Mentre andavamo verso casa,
mi ha dato dei fiori. “E la festa della mamma,” ha det
to, ed è rimasta a guardarmi con i fiori in mano, senza
decidersi a fare un passo. Allora il passo l’ho fatto io, le
sono andata vicino e l’ho abbracciata con affetto e le ho
detto grazie. N el sentire il suo corpo a contatto con il
mio ho sentito una terribile rigidità in lei. In quel
42
ciliegio ciliegia
bocciolo rastrello
43
momento ricordo benissimo di aver pensato a te.
Che ne sarà della bambina, mi sono chiesta, con una
madre ridotta in queste condizioni?
Era ora di pranzo e sono andata in cucina a prepara-
5 re qualcosa. Abbiamo apparecchiato la tavola all’aperto.
In mezzo al tavolo ho messo i fiori. Vedi? Ricordo tut
to. Forse capivo che poteva essere l’ultima volta che la
vedevo viva?
Quando ci siamo sedute le ho fatto qualche doman-
10 da su di te, domande alle quali lei ha risposto in modo
evasivo.
“Ho bisogno di soldi,” mi ha detto.
La questione dei soldi andava ormai avanti da parec
chi mesi. G ià l’anno scorso Ilaria mi aveva confessato
15 di aver firmato delle carte a favore del suo medico. Le
ho chiesto di cosa si trattava. “Delle garanzie,” aveva
detto. Soltanto alla fine di febbraio, ho saputo di cosa
si trattava. Ilaria aveva garantito gli affari del suo medi
co per un valore di trecento milioni. G li affari del medi-
20 co erano andati male, e le banche avevano cominciato
a chiedere di pagare il debito. A quel punto tua madre
era venuta da me a piangere, a domandarmi cosa fare.
La garanzia infatti era costituita dalla casa nella quale
viveva insieme a te, era quella che le banche volevano
25 indietro. Puoi immaginare il mio furore. A trent’anni
tua madre non solo non era affatto capace di mantene
re sia te che lei stessa, ma aveva anche messo in peri
colo l’unica cosa che possedeva, l’appartamento che le
44
avevo dato quando era nata. Non le avevo fatto vede-
re la mia rabbia. Avevo detto: “Vediamo cosa si può
fare.”
Allora avevo cercato un buon avvocato. Avevo preso
tutte le informazioni che ci volevano per vincere la 5
causa con le banche. Così ho saputo che già da diversi
anni lui le dava dei forti psicofarmaci. Se lei era un po’
triste, le offriva del whisky. Non faceva altro che ripe-
terle che lei era tanto brava, e che anche lei poteva
aprire uno studio dove curare le persone. Mi vengono i io
brividi a pensare a questo.
In quei mesi impossibili avevo capito una cosa di lei,
non so se faccio bene a dirlo; ma dato che ho deciso di
non nasconderti niente, ti dico tutto. Vedi, avevo capi
to questo: che tua madre non era per niente intelligen- 15
te. Ho fatto tanta fatica a comprenderlo, ad accettarlo,
perché sui figli ci si inganna sempre.
Questa era la cosa più importante e me ne sono
accorta quando ormai non c’era quasi niente da fare.
L’unica cosa possibile da fare era dichiararla non capa- 20
ce di intendere e di volere, tentare un processo per pla
g i o Quando le ho detto che avevamo deciso - con
l’avvocato - di prendere questa strada, tua madre è
scoppiata a piangere. “Lo fai soltanto per portarmi via
la bambina,” gridava. 25
45
Capisci come mi sentivo quando, mi ha chiesto i sol
di? Certo, lo so, parlo di tua madre e adesso forse nelle
mie parole senti soltanto che sono cattiva, pensi che
aveva ragione a odiarmi. Ma ricordati quello che ti ho
5 detto all’inizio: tua madre era mia figlia, io ho perso
molto più di quello che hai perso tu. Mentre tu per la
sua morte non hai colpa, io si.
Quando mi ha domandato di pagare i suoi debiti, per
la prima volta nella mia vita le ho detto di no, assola
lo tamente no. “Non sono una banca svizzera,” le ho
risposto, “non ho quei soldi. Sei abbastanza grande.
Avevo una sola casa e te l’ho data, se l’hai persa la cosa
non mi riguarda più.” A quel punto, si era messa a
piangere. Abbiamo litigato. Allora le ho detto il segre-
15 to che non volevo dire mai a nessuno.
N on volevo, ma era troppo tardi. Quel “tuo padre
non è il tuo vero padre” era già arrivato alle sue orec
chie. Il suo viso è diventato ancora più pallido. Si è
alzata lentamente in piedi. “Cosa hai detto?” La sua
20 voce si sentiva appena. “Hai sentito bene,” le ho rispo
sto. “Ho detto che tuo padre non era mio marito.”
Cosa ha fatto Ilaria? Semplicemente è andata via. Si è
girata ed è uscita del giardino. “Aspetta! Parliamo,” le
ho gridato.
25 Perché non mi sono alzata, perché non le sono corsa
dietro, perché in fondo non ho fatto niente per fermar
la? Perché anch’io ero rimasta impietrita dalle mie stes
se parole. Cerca di capire, quello che avevo nascosto
per tanti anni, all’improvviso era venuto fuori.
46
Quel pomeriggio, alle sei, la polizia è venuta ad
avvertirmi dell’incidente.
Come sai, tua madre non è morta subito, ha passato
dieci giorni tra la vita e la morte. In quei giorni le ero
sempre accanto, speravo di avere almeno un’ultima 5
possibilità di chiederle scusa. Stavamo sole in una
stanzetta piena di macchine, un piccolo televisore dice
va che il suo cuore andava ancora avanti. Il medico
che si occupava di lei mi aveva detto che, alle volte fa
bene ai malati sentire qualche suono che avevano io
amato. Allora avevo trovato la sua musica preferita di
quand’era bambina e gliela facevo sentire per ore. In
effetti qualcosa le deve essere arrivato perché, già dopo
un po’, l’espressione del suo viso era cambiata, sembra
va fare un sorriso. Questo mi aveva riempito di gioia; 15
non mi stancavo di accarezzarle la testa, di ripeterle:
“Tesoro devi farcela, abbiamo ancora tutta una vita
davanti da vivere insieme, ricominceremo tutto, in
modo diverso.” Mentre le parlavo, tornava davanti a
me uriimmagine: aveva quattro o cinque anni, la vede- 20
vo girare per il giardino mentre teneva per un braccio
la sua bambola preferita, e le parlava. Io ero in cucina,
non sentivo la sua voce. Ogni tanto dal giardino la sen-
televisore bambola
47
tivo ridere forte allegra. Se una volta è stata felice, mi
dicevo allora, lo potrà essere ancora. Per farla nascere
ancora bisogna partire da lì, da quella bambina.
Ma nel tardo pomeriggio del nono giorno, dal suo
5 viso è scomparso quel sorriso ed è morta. Me ne sono
accorta subito, ma non ho avvertito il medico perché
volevo stare ancora un po’ con lei. Le ho accarezzato il
viso, le ho strette le mani tra le mie come quando era
bambina, “tesoro,” continuavo a ripeterle, “ tesoro.”
io Poi, senza lasciare la sua mano, mi sono messa in
ginocchio ai piedi del letto e ho cominciato a pregare
e a piangere.
Sono rimasta lì fino a che l’hanno portata via. Poi
ho preso un taxi e ti ho raggiunto dall’amica dove eri
15 ospite. La sera stessa eri già a casa mia. “D ov’è la mam
ma?” mi hai chiesto durante la cena. “La mamma è par
tita,” ti ho detto allora, “è andata a fare un viaggio, un
lungo viaggio fino in cielo.” Con la tua testa bionda
hai continuato a mangiare in silenzio. Appena hai fini-
20 to con voce seria mi hai chiesto: “Possiamo salutarla,
nonna?” “Ma certo, amore,” ti ho risposto e ti ho pre
so in braccio e ti ho portato in giardino. Siamo rimaste
a lungo in giardino mentre tu con la manina facevi
ciao ciao alle stelle.
1 dicembre
25 Oggi è freddo, e non sono andata in giardino. Chissà se
leggi ancora quello che ti scrivo oppure ora che mi
conosci meglio forse mi odi così tanto da non poter
48
continuare. N on posso fermarmi proprio adesso, devo
scrivere. A nche se ho nascosto quel segreto per tanti
anni, adesso non è più possibile farlo. Ti ho detto,
alPinizio che davanti al tuo smarrimento per il fatto di
non avere un centro io provavo uno smarrimento simi- 5
le al tuo, forse anche più grande. So che la tua man
canza di un centro è legato al fatto che tu non hai mai
saputo chi era tuo padre. E stato già triste dirti dov’era
andata tua madre, e alle domande su tuo padre, non ho
mai saputo rispondere. Come potevo? Non avevo nes- io
suna idea di chi era. U n ’estate Ilaria aveva fatto una
lunga vacanza da sola in Turchia, da quella vacanza era
tornata incinta. Aveva già passato i trent’anni e a
quell’età le donne, se ancora non hanno figli, li voglio
no, in che modo e con chi non ha nessuna importanza. 15
In quel periodo, poi, erano quasi tutte femministe;
tua madre era con un gruppo di amiche. C ’erano mol
te cose giuste in quel che dicevano, ma anche molte
non giuste. Una di queste era che le donne sono com
pletamente padrone del loro corpo, e fare un figlio 20
dipendeva soltanto da loro. L’uomo non era altro che
una necessità. Ma è importante sapere chi è il proprio
padre, perché si nasce con un viso che ricorda quello
del proprio padre. N el viso c’è la tua storia, ci sono tuo
padre, tua madre, i tuoi nonni. Dietro al viso c’è la per- 25
sonalità, le cose buone e quelle meno buone che hai
ricevuto dai tuoi antenati. Il viso è la nostra prima iden
tità. Così, quando verso i tredici, quattordici anni, hai
50
specchio
Mezzaluna, figura di una mezza luna, usata per esempio nella bandiera
della Turchia
inconscio, tutto ciò che nell’animo non arriva alla coscienza
4* 51
Bugiarda potrebbe essere il titolo della mia autobio
grafia. Da quando sono nata ho detto una sola bugia.
C on quella ho distrutto tre vite.
4 dicembre
La merla è ancora davanti a me sul tavolo. Ha un po'
5 meno fame ora e sta ferma al suo posto.
Quando non scrivo, giro per le stanze senza trovare
pace in nessun posto, e mi vengono in mente tutti i
ricordi tristi.
Stanno lì anche per anni, per decenni, per tutta una
io vita. Poi, un bel giorno, tornano, il dolore che li aveva
accompagnati è di nuovo presente, come lo era quel
giorno di tanti anni fa.
Ti stavo raccontando di me, del mio segreto. Ma per
raccontare una storia bisogna partire dalPinizio, e
15 l’inizio sta nella mia giovinezza. A i miei tempi,
l’intelligenza per una donna era una cosa negativa.
Una donna non doveva fare altro che figli ed essere
gentile. Una donna che faceva domande, che era
curiosa, era l’ultima cosa da desiderare. Per questo la
20 solitudine della mia giovinezza è stata veramente gran
de. A dire il vero, verso i diciotto-vent’anni, dato che
ero bellina e anche piuttosto benestante, avevo tanti
innamorati intorno a me. Appena dimostravo di saper
parlare però, appena aprivo loro il cuore con i pensieri
25 che avevo dentro, tutti scappavano via.
52
Dopo il liceo, come sai, non ho continuato gli studi
perché mio padre non voleva. Rinunciare è stato mol
to difficile per me. Proprio per questo avevo tanta
voglia di sapere. Se per esempio un giovanotto diceva
di studiare medicina gli facevo un sacco di domande, 5
volevo sapere tutto. Quando parlavo con le mie ami
che, con le mie compagne di scuola, sentivo di appar
tenere a mondi diversi. La grande differenza tra me e
loro era la malizia femminile. Ero completamente senza
malizia e loro l’avevano al massimo. io
Ero piena di amici, ma venivano da me soltanto per
confessarmi le loro storie d’amore. Una dopo l’altra, le
mie compagne si sposavano. Io vivevo ancora a casa
con i miei genitori. “Ma cosa mai avrai nella testa,”
diceva mia madre, “possibile che non ti piaccia nessu- 15
no?”
In verità, non sentivo dentro di me un grande desi
derio di famiglia né di mettere al mondo un figlio. A ve
vo sofferto troppo da bambina e temevo di far soffrire
un bambino. 20
Ero libera e avevo molta paura di perdere questa
libertà, ma col passare del tempo la sentivo sempre più
falsa. La solitudine, che all’inizio mi era sembrata bella,
cominciava a pesarmi. I miei genitori stavano diven
tando vecchi. Ho cominciato a sentirmi vecchia 25
anch’io e ho capito come stava per diventare la mia
vita. Non volevo vivere il resto della mia vita da sola.
Sentivo il mio corpo di donna diventare vecchia sen-
53
za avere vissuto e questo mi dava una grande tristezza.
E poi mi sentivo sola, molto sola. Da quando ero nata
non avevo mai avuto nessuno col quale parlare. Certo
ero molto intelligente, leggevo molto, come diceva
5 mio padre, alla fine, contento: “Olga non si sposerà
mai perché ha troppa testa.” Ma tutta questa intelli
genza non portava a niente.
Ma non era solo perché non avevo fatto l’università.
Ciò che mi tratteneva era il piccolo morto dentro, ti
io ricordi? Era lui che mi frenava, era lui che mi impedi
va di andare avanti. Stavo ferma e aspettavo. Cosa?
Non lo so.
La prima volta che Augusto è venuto a casa nostra
c’era la neve. Lo ricordo perché la neve da queste parti
15 non cade quasi mai e proprio per questo Augusto era
arrivato in ritardo a pranzo. Augusto, come mio padre,
si occupava dell’importazione del caffè. Era venuto a
Trieste perché mio padre voleva vendere la nostra ditta.
Dopo la malattia di mio padre, aveva deciso di vender-
20 la per passare gli ultimi anni in pace. Augusto non mi
era piaciuto affatto. Veniva dall’Italia, come si diceva
da noi e, come tutti gli italiani aveva un modo di esse
re che trovavo irritante. E strano ma succede spesso che
persone importanti della nostra vita, a prima vista non
25 piacciono per niente. Dopo pranzo mio padre era anda
to a riposare e io dovevo stare con l’ospite. Ero irritata.
In quell’ora o poco più che siamo rimasti insieme l’ho
trattato male. A ogni sua domanda rispondevo con una
parola sola, se lui stava zitto, stavo zitta anch’io.
54
aPer essere un italiano è simpatico il signor Augu-
sto,” aveva detto la sera a cena mia madre. “Si è sim
patico,” aveva risposto mio padre. “Ed è anche bravo in
affari, e poi, poverino, è vedovo.”
Due giorni dopo, quando sono tornata da una lezio- 5
ne, ho trovato nell’ingresso un pacco. Era il primo pac
co che ricevevo nella mia vita. N on riuscivo a capire
chi l’aveva mandato. Sotto la carta c’era un biglietto.
Conosce questi cioccolatini? Sotto c’era la firma di
Augusto. io
La sera non riuscivo a prendere sonno. Tre settimane
dopo è tornato a Trieste, “per affari” ha detto durante
il pranzo, ma invece di ripartire subito, come l’altra
volta, si è fermato un po’ in città. Prima di andare via
ha chiesto a mio padre se poteva portarmi a fare un 15
giro in macchina e mio padre gli ha detto di si. Abbia
mo girato tutto il pomeriggio per le strade della città,
lui parlava poco, mi chiedeva notizie dei monumenti e
poi stava in silenzio ad ascoltarmi. Mi ascoltava, que
sto per me era un vero miracolo. 20
Prima di partire mi ha mandato delle rose rosse. Mia
madre era nervosa, io fingevo di non esserlo ma per
aprire il biglietto e leggerlo ho aspettato molte ore. In
breve tempo ha cominciato a venire tutte le settimane.
Tutti i sabati veniva a Trieste e tutte le domeniche 25
ripartiva per la sua città. Non facevo altro che aspetta
re sabato e domenica. In poco tempo si era creata tra
55
noi una grande amicizia. Con lui finalmente potevo
parlare, gli piaceva la mia intelligenza e il mio deside
rio di sapere. Mi piaceva che mi ascoltava, e mi dava
un senso di sicurezza.
5 C i siamo sposati il primo giugno del ‘4 0 . Dieci giorni
dopo l’Italia è entrata in guerra, ed io con mio marito
siamo andati a vivere all’Aquila.*
A te che hai letto la storia di quegli anni soltanto sui
libri, che l’hai studiata invece di viverla, sembrerà stra-
io no che io non abbia mai parlato di quel periodo. C ’era
il fascismo, le leggi razziali, era scoppiata la guerra e io
continuavo soltanto a occuparmi dei piccoli dolori per
sonali. Quasi tutti nella nostra città si sono comporta
ti in questo modo. Mio padre, ad esempio, quand’era a
15 casa parlava male del duce. Poi, però, andava a cena
con i gerarchi e restava a parlare con loro fino a tardi.
A llo stesso modo io trovavo assolutamente ridicolo
andare al sabato italiano e camminare e cantare.Tutta
via ci andavo lo stesso. Non è certo bello comportarsi
20 così, ma molto comune. Vivere tranquilli è uno dei più
grandi desideri dell’uomo. A L’Aquila siamo andati ad
abitare nella casa della famiglia di Augusto, un grande
appartamento in centro. A veva i mobili vecchi e la
casa era buia. Quando sono entrata mi sono sentita
25 stringere il cuore. E qui che dovrò vivere mi sono chie
sta, con un uomo che conosco da solo sei mesi, in una
56
città dove non ho neanche un amico? Mio marito ha
capito subito come mi sentivo e per le prime due setti'
mane ha fatto tutto il possibile per stare con me. U n
giorno sì e un giorno no prendeva la macchina e anda^
vamo a fare delle passeggiate sui monti. Avevamo tut- 5
ti e due una grande passione per le gite. Quando vede-
vo quelle montagne così belle mi sembrava di non aver
lasciato il Nord, la mia casa. Continuavamo a parlare
molto. Augusto amava la natura, e quando cammina'
vamo mi spiegava tutto. Gran parte del mio sapere sub io
le scienze naturali lo devo proprio a lui.
A lla fine di quelle due settimane che erano state il
nostro viaggio di nozze, lui ha ripreso il lavoro e io ho
cominciato la mia vita, sola nella grande casa. C on me
c’era una vecchia domestica. Come tutte le mogli bon 15
ghesi dovevo soltanto occuparmi del pranzo e della
cena, per il resto non avevo niente da fare. Ho preso
l’abitudine di uscire ogni giorno da sola a fare delle
lunghe passeggiate. Avevo tanti pensieri in testa. Lo
amo, mi chiedevo, oppure è stato tutto un grande erro' 20
re? Quando stavamo seduti a tavola o la sera in salotto
lo guardavo e mi chiedevo: cosa provo? Provavo affet'
to, questo era certo, e anche lui sicuramente lo prova'
va per me. Ma era questo l’amore? Era tutto qui? Per'
ché non avevo mai provato nient’altro non riuscivo a 25
rispondermi.
Dopo un mese sono arrivate le prime voci alle oreC'
chie di mio marito. “La signora del Nord,” dicevano,
“va in giro da sola per le strade a tutte le ore.” Non
capivo. A l nord era normale fare delle passeggiate. 30
57
Augusto era dispiaciuto per me, ma per la pace cittadi
na e il suo buon nome mi ha pregato di smettere di
uscire da sola. Dopo sei mesi di quella vita mi sentivo
completamente spenta. Il piccolo morto dentro era
5 diventato un morto enorme.
Rientrato nel suo ambiente, in breve tempo Augusto
ha cominciato a comportarsi come un uomo delle sue
parti. Durante i pranzi stavamo ormai quasi in silenzio,
quando cercavo di raccontargli qualcosa rispondeva si
io e no. Io avevo voglia di avere un figlio, ormai avevo
trentanni e sentivo il tempo correre via. Augusto mi
aveva raccontato che gli uccelli in primavera cantano
più forte per far piacere alle femmine, per farle fare il
nido a loro. A veva fatto anche lui così? Poi dopo aveva
15 smesso di interessarsi di me. Stavo lì, lo tenevo caldo e
basta.
nido
20
58
che stava facendo dei vestiti per il nipote che doveva
arrivare. Ogni mattina quando mi guardavo nello spec-
chio mi trovavo più brutta. Ogni tanto la sera dicevo
ad Augusto: “Perché non parliamo ?” “Di cosa?” rispon
deva lui senza guardarmi. “N on so,” dicevo io, “forse ci 5
raccontiamo qualcosa.” “Olga,” diceva, “tu hai proprio
la fantasia malata.”
Dopo un anno abbiamo cominciato a dormire in
stanze separate. Raccontato così il mio matrimonio ti
sembrerà qualcosa di straordinariamente terribile ma io
di straordinario non c’era proprio niente. I matrimoni,
a quel tempo, erano quasi tutti così.
Perché non facevo nulla? Perché non prendevo la
mia valigia per tornare a Trieste?
Perché allora per rompere un matrimonio ci doveva- 15
no essere dei gravi motivi e Augusto con me non ha
mai alzato un dito. Dopo tre anni di matrimonio ave
vo un solo pensiero ed era quello della morte.
Tra quelle stanze tristi mi ero convinta che Ada - così
si chiamava la prima moglie - non era morta di malat- 20
tia ma si era suicidata. U n giorno, nell’armadio, ho tro
vato dei vestiti da donna, erano i suoi. Ho tirato fuori
uno nero e l’ho messo. Quando mi sono guardata allo
specchio, ho cominciato a piangere. Piangevo in modo
silenzioso, come chi sa già che il suo destino è segnato. 25
Quando non sapevo cosa fare mi chiudevo in quella
stanza e stavo per ore lì, in ginocchio. Pregavo? Non lo
so. Parlavo o cercavo di parlare con qualcuno che
immaginavo stare più in alto della mia testa. Dicevo,
59
Signore fammi trovare la mia via, se la mia via è questa
aiutami a sopportarla. Am avo leggere il Vangelo. Molte
parole di Gesù le trovavo straordinarie, e le ripetevo più
volte a voce alta.
5 La mia famiglia non era per niente religiosa.
Le poche volte che avevo chiesto a mia madre sui
fatti della fede mi aveva detto: “Non lo so, la nostra
famiglia è senza religione.”
Così, a parte le poche cose imparate dalle suore, fino
io a trentanni, della religione non avevo conosciuto
altro. Dio sta dentro di voi, mi ripetevo quando cam
minavo per la casa vuota. Lo ripetevo e cercavo di
immaginarmi dove era Dio. Non riuscivo a vederlo.
Come il mio matrimonio, anche la guerra era al suo
15 quinto anno, nel mese di febbraio le bombe erano
cadute anche su Trieste. La casa della mia infanzia era
stata completamente distrutta.
Senza più un luogo mio dove tornare mi sono senti
ta davvero persa. Vedevo svolgersi i miei anni uno
20 dopo l’altro fino alla morte.
Sai qual è un errore che si fa sempre? Quello di crede
re che la vita non può cambiare, che una volta preso
una strada la devi fare fino in fondo. Il destino invece
Vangelo, ognuno dei quattro libri del N uovo Testamento che raccom
tano la vita di Gesù Cristo
religioso, (di persona) che ha e osserva religione
60
ha molta più fantasia di noi- Proprio quando credi di
trovarti in una situazione difficile, quando arrivi alla
massima disperazione, tutto cambia all’improvviso, e da
un momento all’altro ti trovi a vivere una nuova vita.
Due mesi dopo la guerra era finita. Io ero andata 5
subito a Trieste, mio padre e mia madre si erano anda
ti a vivere in un appartamento provvisorio con altre
persone. C ’erano talmente tante cose pratiche da fare
che dopo solo una settimana avevo quasi dimenticato
gli anni passati a L’Aquila. U n mese più tardi era arri- io
vato anche Augusto. Doveva dirigere una ditta com
prata da mio padre, in tutti quegli anni di guerra non
aveva lavorato quasi per niente. E poi c’erano mio
padre e mia madre senza più casa e ormai vecchi dav
vero. Augusto ha subito deciso di lasciare la sua città 15
per venire a Trieste, ha comprato questa casa e prima
dell’autunno siamo venuti qui a vivere tutti assieme.
Mia madre è morta poco dopo l’inizio dell’estate.
Con la sua morte si è rifatto vivo in me il desiderio di
un figlio. Dormivo di nuovo con Augusto ma tra noi, 20
di notte, succedeva poco o niente. Passavo molto tem
po seduta in giardino in compagnia di mio padre. E sta
to proprio lui, un pomeriggio a dirmi: “A lle donne, le
acque possono fare miracoli.”
Due settimane più tardi Augusto mi ha accompagna- 25
to al treno per andare, a Porretta Terme. A dire il vero
credevo poco negli effetti delle terme, se avevo deciso
di partire era soprattutto per un grande desiderio di sta
re sola, sentivo il bisogno di stare in compagnia di me
stessa in modo diverso da com’ero stata negli anni pas- 30
61
sati. A vevo sofferto. Dentro di me quasi ogni parte era
morta.
10 dicembre
Questa mattina, quando sono venuta in cucina, ho tro
vato la merla morta. G ià negli ultimi due giorni man-
5 giava meno e si vedeva che stava male.
Ti ricordi quand’eri bambina, quanti uccellini abbia
mo tentato di salvare? Ma non sempre ci siamo riusci
te. Quando morivano piangevi sempre.
U n giorno mi avevi chiesto come potevamo fare per
io trovare la mamma, il cielo era così grande che era faci
lissimo perdersi. Ti avevo detto che il cielo era una spe
cie di grande albergo, ognuno lassù aveva una stanza e
in quella stanza tutte le persone che si erano volute
bene, dopo la morte si trovavano di nuovo e stavano
15 insieme per sempre. Per un po’ questo ti ha fatto stare
più tranquilla. Soltanto alla morte del tuo quarto o
quinto pesce rosso eri tornata sull’argomento e mi ave
vi chiesto: “E se non c’è più posto?” “Se non c’è posto,”
ti avevo risposto, “bisogna chiudere gli occhi e dire per
20 un minuto intero “stanza fatti più grande!” Allora,
subito la stanza diventava più grande.
Ti ricordi ancora? Io mi sono ricordata di questo solo
oggi quando ho visto la merla morta. Stanza fatti più
grande, che bello! Certo che tra la mamma, i criceti, gli
25 uccellini, i pesci rossi, la tua stanza deve essere già affol
lata. Presto ci andrò anch’io, mi vorrai nella tua stanza
o dovrò trovare una accanto? Potrò invitare la prima
affollato, pieno
62
persona che ho amato, potrò finalmente farti conosce
re il tuo vero nonno?
Che cosa ho pensato quando sono scesa dal treno
alla stazione di Porretta? Assolutamente niente. Si sen
tiva l’odore dei castagni nell’aria e mi ero soltanto
preoccupata di come trovare la pensione nella quale
avevo fissato una stanza.
castagna
castagno
63
giorno dopo già camminavamo insieme parlando per le
strade del paese. Quella vivacità che all’inizio tanto mi
aveva irritato, adesso cominciava a piacermi. In tutto
quello che diceva c’era passione, era impossibile stare
5 vicino a lui e non sentirsi allegri. Quando stavo vicina
a Ernesto in quei giorni per la prima volta nella mia vita
ho avuto la sensazione che il mio corpo non avesse
limiti. La mia vita fino ad ora era stata simile a quella
di una pianta senz’acqua. E sufficiente dare acqua alla
io pianta una sola volta perché questa si riprenda. Così era
successo a me la prima settimana. Sei giorni dopo il mio
arrivo, quando mi guardavo la mattina allo specchio mi
sono accorta di essere un’altra. La pelle era più bella, gli
occhi più chiari, mentre mi vestivo ho cominciato a
15 cantare, non l’avevo più fatto da quando ero bambina.
Forse questa storia ti sorprende. In fondo ero una
donna sposata, come potevo accettare così facilmente
la compagnia di un altro uomo? Ero come un piccolo
cane che dopo aver camminato a lungo per le strade
20 d’inverno trova un posto caldo, non si domanda nien
te, sta lì contento del caldo.
La prima domenica, quando andavo a messa a piedi,
Ernesto si è avvicinato a me in macchina. “Dove va?”
mi ha chiesto e non appena gliel’ho detto lui mi ha det-
25 to: “Mi creda, Dio è molto più contento se invece di
andare in chiesa viene a fare una bella passeggiata nei
boschi.” Io non avevo le scarpe giuste per camminare,
inciampavo tutto il tempo. Quando Ernesto mi ha preso
la mano, mi è sembrata la cosa più naturale del mondo.
30 Abbiamo camminato a lungo in silenzio. N ell’aria c’era
64
già l’odore dell’autunno, la terra era umida, sugli alberi
molte foglie erano gialle. A un certo punto, abbiamo
incontrato un castagno enorme. Mi sono ricordata del
mio albero d’infanzia e sono andata ad accarezzarlo con
una mano. Subito dopo Ernesto ha posato la testa 5
accanto alla mia. Da quando ci eravamo conosciuti non
eravamo mai stati così vicini con gli occhi.
Il giorno dopo non l’ho voluto vedere. L’amicizia si
stava trasformando in qualcos’altro e avevo bisogno di
riflettere. Non ero più una ragazzina ma una donna spo- io
sata. Anche lui era sposato e per di più aveva un figlio.
Vedevo già davanti a me fino alla vecchiaia tutta la mia
vita e questa cosa nuova mi dava una grande ansia. Non
sapevo come comportarmi. Così un momento pensavo:
“E una cosa stupida, devo dimenticare tutto.” Il 15
momento dopo mi dicevo che era stupido lasciar perde-
re, perché per la prima volta da quando ero bambina mi
sentivo di nuovo viva. Naturalmente avevo paura: che
lui mi prendesse in giro, che volesse divertirsi e basta.
Tutti questi pensieri si muovevano nella mia testa men- 20
tre stavo da sola in quella triste stanza di pensione.
Quella notte non sono riuscita a dormire. La matti
na dopo però non mi sentivo per niente stanca. Quan
do mi sono vestita ho cominciato a cantare; in quelle
poche ore era nata in me una enorme voglia di vivere. 25
A l decimo giorno ho mandato una cartolina ad Augu
sto. La notte prima l’avevo passata con Ernesto.
In quella notte all’improvviso mi ero accorta di una
cosa, ed era che tra la nostra anima e il nostro corpo ci
sono tante piccole finestre, da lì, se sono aperte, passa- 30
65
no le emozioni, solo l’amore le può spalancare tutte
insieme e di colpo, come il vento.
N ell’ultima settimana del mio soggiorno a Porretta
siamo stati sempre insieme, facevamo lunghe passeg
giate, parlavamo fino a tardi. Com ’erano diversi i dis
corsi di Ernesto da quelli di Augusto! Tutto in lui era
passione, entusiasmo. Parlavamo spesso di Dio, della
possibilità che, oltre la realtà, c’era qualcos’altro. C i
rubavamo le parole di bocca, pensavamo le stesse cose,
le dicevamo allo stesso modo.
C i restava poco tempo ancora, le ultime notti non
abbiamo dormito più di un’ora. Ernesto era convinto
che nella vita di ogni uomo esiste solo una donna
insieme alla quale raggiungere l’unione perfetta e così
anche per la donna esiste un solo uomo. Trovarsi però
era un destino di pochi, di pochissimi. “Quanti incon
tri ci saranno così,” diceva nel buio della stanza, “uno
su diecimila, uno su un milione, su dieci milioni?” Non
faceva altro che ripetere: “Come siamo stati fortunati,
eh? Chissà cosa c’è dietro, chi lo sa?”
Il giorno della partenza, quando abbiamo aspettato il
treno nella piccola stazione, mi ha abbracciato e mi ha
bisbigliato in un orecchio: “ In quale vita ci siamo già
conosciuti?” “ In tante,” gli ho risposto io, e ho comin
ciato a piangere. Nascosto nella borsa avevo il suo
indirizzo di Ferrara.
Inutile che ti spieghi i miei sentimenti in quelle lun-
67
tere. Dopo la prima lettera che gli ho mandato è segui
to il periodo più terribile di tutto il nostro rapporto. E
durato un mese e mezzo, quasi due. La settimana prima
di Natale, a casa delPamica finalmente è arrivata la let-
5 tera, di cinque pagine.
Improvvisamente sono tornata di buon umore. Tra
scrivere e aspettare le risposte l’inverno è volato via e
così la primavera. Tutte le mie energie erano rivolte sul
momento in cui potevo rivederlo,
io La sua lettera profonda mi aveva assicurata del senti
mento che ci legava. Il nostro era un amore grande,
grandissimo. Sia io che Ernesto soffrivamo per la
distanza, ma era una sofferenza dove c’erano anche altri
sentimenti. Il dolore non era importante. Eravamo due
15 persone adulte e sposate, sapevamo che le cose non
potevano andare in modo diverso.
Avere un amante a quei tempi, e riuscire a vederlo,
non era una cosa molto semplice. Per Ernesto certo era
già più facile, era medico e poteva sempre inventare un
20 convegno, ma per me che oltre a quella della donna di
casa non avevo nessun’altra attività era quasi impossi
bile. Dovevo inventarmi un impegno, qualcosa che mi
permetteva di andare via poche ore o anche dei giorni
senza dare nessun sospetto. Così prima di Pasqua mi
25 sono iscritta a una società di latinisti. Si vedevano una
volta alla settimana. Vista la mia passione per le lingue
antiche Augusto non ha sospettato nulla anzi era con-
sofferenza, atto, effetto del soffrire
amante, persona che ha un rapporto d’amore fuori del matrimonio
convegno, riunione di più persone per discutere
impegno, qualcosa che si deve fare
dare sospetto, far credere che qualcosa non è come viene presentato
latinista, persona che si interessa della lingua latina
sospettare, credere che qualcosa non è come viene presentato
68
tento che riprendevo gli interessi di una volta.
L’estate quell’anno è arrivata in un attimo. A fine
giugno, come ogni anno, Ernesto è partito per la sta
gione alle terme e io per il mare insieme a mio padre e
a mio marito. In quel mese sono riuscita a convincere 5
Augusto che non avevo smesso di desiderare un figlio.
II trentuno agosto, con la stessa valigia e lo stesso vesti
to dell’anno prima, mi ha accompagnato a prendere il
treno per Porretta. Durante il viaggio non sono riusci
ta a stare ferma un momento. io
Mi fermavo alle terme tre settimane, in quelle tre
settimane ho vissuto di più e più profondamente che in
tutto il resto della mia vita. U n giorno, mentre Ernesto
era al lavoro, passeggiavo per il giardino e ho pensato
che la cosa più bella in quell’momento era morire. Pare 15
strano ma la felicità massima, come la massima infeli
cità porta con sé sempre questo desiderio contrario. La
sera tardi, quando Ernesto mi ha raggiunto nella mia
stanza, e mi ha abbracciato, ho avvicinato la bocca al
suo orecchio per parlargli. Volevo dirgli: “Voglio mori- 20
re.” Invece sai cosa ho detto? “Voglio un figlio.” Quan
do ho lasciato Porretta sapevo di essere incinta. Credo
che anche Ernesto lo sapeva, negli ultimi giorni era
molto confuso, stava spesso zitto. Io non lo ero affatto.
Il mio corpo aveva già cominciato a cambiare. Sapevo 25
benissimo cosa era successo. A ll’improvviso mi sentivo
piena di una grande luce. Prima di allora non avevo
mai provato niente di simile.
Soltanto quando sono rimasta sola in treno ho
cominciato a pensare: Augusto, la mia vita di Trieste. 30
Ho capito subito, che abortire era molto più difficile che
abortire, interrompere la gravidanza, cioè il periodo in cui la donna è
incinta
69
tenere il figlio. Non potevo nascondere ad Augusto un
aborto.
Quando si ama un uomo - quando lo si ama con tut
to il corpo e tutta l’anima - la cosa più naturale è desi-
5 derare un figlio. Non si tratta di un desiderio intelli
gente. Prima di conoscere Ernesto immaginavo di
volere un figlio e sapevo benissimo perché lo volevo.
Volevo un figlio perché avevo una certa età ed ero
molto sola, perché ero una donna e se le donne non
io fanno niente, almeno possono fare i figli. Capisci?
Ma quando quella notte ho detto a Ernesto: “Voglio
un figlio,” era qualcosa di completamente diverso, tut
to andava contro la ragione eppure questa decisione
era più forte di tutto. E poi, in fondo, non era neanche
15 una decisione, era una follia. Volevo Ernesto dentro di
me, con me, accanto a me per sempre. Adesso che sai
come mi sono comportata, ti domanderai come mai
non ti sei accorta prima che nascondevo dei lati così
bassi. Quando sono arrivata alla stazione di Trieste ho
20 fatto l’unica cosa che potevo fare, sono scesa dal treno
come una moglie dolce e innamoratissima. Augusto è
rimasto subito colpito dal mio cambiamento, invece di
farsi domande si è lasciato coinvolgere.
Dopo un mese era ormai molto credibile che quel
25 figlio fosse suo. Il giorno in cui gli ho annunciato il
risultato delle analisi ha lasciato l’ufficio a metà matti
na e ha passato tutta la giornata con me a parlare dei
cambiamenti in casa per l’arrivo del bambino.
Naturalmente, ho scritto anche a Ernesto; la sua
70
risposta è arrivata in meno di dieci giorni. Le sue paro
le erano tranquille e ragionevoli. “Non so se questa sia
la cosa migliore da fare,” diceva, “ma se tu hai deciso
così, rispetto la tua decisione.”
Da quel giorno, ho cominciato la mia tranquilla atte- 5
sa di madre. Mi sentivo in colpa? Non lo so. Durante
la gravidanza e per molti degli anni che sono seguiti
non ho mai avuto un dubbio. Come facevo a fingere di
amare un uomo mentre portavo il figlio di un altro che
amavo davvero? Ma vedi, in realtà le cose non sono io
mai così semplici, non sono mai o nere o bianche. Non
facevo nessuna fatica a essere gentile e affettuosa con
Augusto perché gli volevo davvero bene. G li volevo
bene in modo molto diverso da come lo volevo a Erne
sto, lo amavo non come una donna ama un uomo, ma 15
come una sorella ama un fratello maggiore. Era felice
di avere quel figlio e io ero felice di darglielo. Per qua
le motivo dovevo dirgli la verità? N el farlo potevo ren
dere tre vite infelici, così almeno pensavo quella volta.
Adesso che c'è libertà di movimento, di scelta, può 20
sembrare davvero terribile quello che ho fatto, ma allo
ra - quando mi sono trovata a vivere questa situazione
- era un caso molto comune. La famiglia a quei tempi
era molto forte, per distruggerla ci voleva molto più di
un figlio diverso. Così è andata anche con tua madre. 25
E nata ed è stata subito figlia mia e di Augusto. La cosa
più importante per me era che Ilaria fosse il frutto
dell’amore e non del caso.
Nei primi anni tutto è andato avanti in modo natu
rale. Vivevo per lei, ero - o credevo di essere - una 30
madre molto affettuosa e attenta. G ià dalla prima esta-
71
te avevo preso Pabitudine di passare i mesi più caldi
insieme alla bambina al mare adriatico. Avevamo pre
so una casa in afffitto e ogni due o tre settimane Augu
sto veniva a passare il sabato e la domenica con noi.
5 Su quella spiaggia Ernesto ha visto sua figlia per la
prima volta. Naturalmente fingeva di non conoscerci,
durante la passeggiata camminava “per caso” vicino a
noi. Prendeva un ombrellone vicino a noi - quando non
c’era Augusto - dietro un libro o un giornale ci osser-
io vava per ore. La sera poi mi scriveva lunghe lettere
dove raccontava tutto quello che gli era passato per la
testa, i suoi sentimenti per noi, quello che aveva visto.
Intanto anche a sua moglie era nato un altro figlio, lui
non lavorava più alle terme e aveva aperto nella sua
15 città, a Ferrara, uno studio medico privato. N ei primi
tre anni di Ilaria, a parte quegli incontri, non ci siamo
mai visti. Io ero molto presa dalla bambina, ogni mat
tina mi svegliavo con la gioia di sapere che lei c’era, e
non avevo voglia di dedicarmi a nient’altro.
20 Poco prima di lasciarci, durante l’ultimo soggiorno
alle terme Ernesto e io avevamo stabilito un patto.
“Ogni sera,” aveva detto Ernesto, “alle undici precise,
in qualsiasi luogo mi trovi e in qualsiasi situazione,
uscirò all’aperto e nel cielo cercherò Sirio.* Tu farai
25 altrettanto e così i nostri pensieri, anche se saremo
lontanissimi, anche se è da tanto tempo che non ci
vediamo, ci ritroveremo lassù e staremo vicini.” Poi
eravamo usciti e mi aveva mostrato Sirio.
72
ombrellone
'-^v.
73
12 dicembre
Questa notte sono stata svegliata alPimprovviso da un
rumore, era il telefono. Quando mi sono alzata aveva
già suonato molto, ha smesso di suonare quando ho
risposto. Invece di tornare a letto mi sono seduta nella
5 poltrona lì accanto. Eri tu? C hi altro poteva essere?
La notte in cui è morto Ernesto sono stata svegliata
alPimprovviso da un forte rumore. Augusto ha acceso
la luce e ha detto: “C hi è?” N ella stanza non c’era nes
suno. Soltanto la mattina quando ho aperto la porta
io dell’armadio mi sono accorta che all’interno erano
crollate tutte le mensole.
Adesso posso dire “ la notte in cui è morto Ernesto.”
Quella volta però non lo sapevo, avevo appena ricevu
to una sua lettera, non potevo neanche lontanamente
15 immaginare che cosa fosse successo. Ilaria aveva quat
tro anni, da poco aveva cominciato ad andare all’asilo,
la mia vita con lei e con Augusto si era ormai fatta
tranquilla. Quel pomeriggio, sono andata in un caffè a
scrivere a Ernesto. Da lì a due mesi c’era un incontro
20 dei latinisti a Mantova, era l’occasione che aspettava
mo da tanto tempo per rivederci. Prima di tornare a
casa ho spedito la lettera e dalla settimana dopo ho
cominciato ad aspettare la risposta. Non ho ricevuto la
sua lettera la settimana seguente e neppure nelle setti-
25 mane dopo. Non mi era mai capitato di aspettare tan
to tempo. A ll’inizio ho pensato a qualche errore posta-
le, poi che forse stava male e non aveva potuto andare
allo studio a prendere la posta. U n mese dopo gli ho
crollare, cadere
mensola, vedi illustrazione pag. 60
postale, della posta
74
scritto un breve biglietto e anche quello è rimasto sen
za risposta.
Quando sono partita per il incontro, appena arrivata
a Mantova sono andata a Ferrara, lì ho cercato di capi
re cosa fosse successo. A llo studio non rispondeva nes- 5
suno. A l secondo giorno sono andata in una biblioteca
e ho chiesto di vedere i giornali dei mesi precedenti. Lì
ho trovato scritto tutto. Quando lui era tornato la not
te da una visita a un malato aveva perso il controllo
dell’auto ed era andato contro un grande albero, ed è io
morto quasi subito. Il giorno e l’ora uguale a quella in
cui erano crollate le mensole nel mio armadio.
A più di vent’anni di distanza padre e figlia sono
morti nello stesso identico modo. Dopo la morte di
Ernesto ho avuto un esaurimento nervoso. La vista di 15
Ilaria non mi dava più gioia ma irritava, stavo così
male che ho cominciato perfino ad avere il dubbio che
fosse davvero figlia di Ernesto. Ilaria ha sentito che mi
sono cambiata, si è accorta del mio rifiutarla, ed è
diventata capricciosa. Capiva i miei sensi di colpa e li 20
usava per arrivare più in alto. La casa era diventata un
piccolo inferno di litigi e strilli.
Per aiutarmi Augusto ha preso una donna che si
occupava della bambina. Per un po’ aveva provato ad
interessarsi di lei ma dopo un po’ ha lasciato perdere. 25
A ll’improvviso più che il padre di sua figlia sembrava il
75
nonno, con lei era gentile ma lontano. Quando passa
vo davanti allo specchio anch’io mi vedevo molto più
vecchia. Avevo ormai molto tempo libero, e prendevo
spesso la macchina e andavo avanti e indietro per il
5 Carso.*
Mentre camminavo ripetevo dentro di me la frase di
Sant’Agostino* per la morte della madre: “Non siamo
tristi di averla persa, ma ringraziamo di averla avuta.”
Non riuscivo a farmi una ragione della morte di Erne-
io sto. Quando lo avevo incontrato, quando era nato il
nostro amore, all’improvviso mi ero convinta che tutta
la mia vita era decisa, ero felice di esistere, felice di tut
to quello che insieme a me esisteva, mi sentivo arriva
ta al punto più alto del mio cammino, ero certa che da
15 lì niente e nessuno poteva muovermi. Per molti anni
ero stata certa di aver fatto la strada con le mie gambe,
invece non avevo fatto neanche un passo da sola.
Anche se non me ne ero mai accorta, sotto di me c’era
un cavallo, era stato lui a fare il cammino, non io. Nel
20 momento in cui il cavallo è scomparso mi sono accorta
dei miei piedi, di come erano deboli, e i passi che face
vo erano passi non sicuri. Dovevo cominciare tutto di
nuovo. Già, ma da dove? Da me stessa. Tanto era faci
le dirlo, altrettanto era difficile farlo. Dov’ero io? Chi
25 ero? Quand’era l’ultima volta che ero stata me stessa?
Te l’ho già detto, giravo per pomeriggi interi. A lle
volte, scendevo giù in città, tra la gente facevo avanti
e indietro le vie più note cercando un qualche tipo di
sollievo. Uscivo quando usciva Augusto e tornavo
76
quando lui rientrava. Il medico che mi curava gli ave
va detto che in certi esaurimenti era normale desidera
re di muoversi tanto. Visto che in me non c’era l’idea
di suicidarmi, non c’era nessun pericolo a lasciarmi
andare in giro. Augusto aveva accettato questo, e lo 5
ringraziavo di lasciarmi avere la mia libertà.
Su una cosa il medico aveva ragione, non pensavo a
suicidarmi. E strano ma era proprio così, neanche per
un momento dopo la morte di Ernesto ho pensato di
uccidermi. In qualche parte di me capivo che quella io
improvvisa morte non era - non doveva, non poteva
essere - fine a se stessa. C ’era un senso là dentro, que
sto senso lo vedevo davanti a me come un gradino enor
me. Era lì perché lo dovevo vincere? Probabilmente si,
ma non riuscivo a immaginare cosa ci fosse dietro. 15
U n giorno con la macchina sono arrivata in un posto
dove non ero mai stata prima. C ’era una piccola chie
sa e poco più in là della chiesa c’erano due o tre case di
contadini. Mi sembrava il posto giusto dove raccogliere
i pensieri. Da lì ho cominciato a camminare. Il sole tra- 20
montava ma più andavo avanti meno avevo voglia di
fermarmi. C ’era qualcosa che mi chiamava avanti, cosa
fosse l’ho capito soltanto quando ho visto davanti a me
un albero enorme.
E strano a dirlo ma appena l’ho visto il cuore ha 25
cominciato a battere in modo diverso, come quando
vedevo Ernesto. Mi sono seduta sotto, l’ho accarezzato,
ho messo la schiena e la nuca sul suo tronco. Gnosei
77
nuca
schiena
tronco
16 dicembre
5 Questa notte è caduta la neve. Buck correva sul prato
come pazzo. Più tardi è venuta a trovarmi la signora
^conosci te stesso
respiro, l’atto di respirare, cioè di tirare dentro e mandare fuori l’aria
attraverso la bocca e il naso; qui in segno di sollievo
neve, d’inverno quando fa molto freddo, invece di piovere, cade la neve
78
Razman, abbiamo bevuto un caffè, mi ha invitato a
passare la sera di Natale insieme.
Di te non mi chiede mai niente. “ I giovani,” dice
spesso “non hanno cuore, non hanno più il rispetto
che avevano una volta.” Dentro di me però sono con- 5
vinta che il cuore sia lo stesso di sempre. I giovani non
sono naturalmente egoisti, così come i vecchi non sono
naturalmente saggi. Capire e non capire non apparten
gono agli anni ma al cammino che ognuno fa. Non
molto tempo fa ho letto che gli indiani d’Am erica io
dicono: “Prima di giudicare una persona cammina per
tre lune nei suoi mocassini. Viste dal di fuori molte vite
sembrano sbagliate. Finché si sta fuori è facile frainten
dere le persone, i loro rapporti.
Chissà se metterai le mie pantofole dopo aver letto 15
questa storia? Spero di sì, perché è necessario per te,
per il tuo futuro. Capire da dove si viene, è il primo
passo per poter andare avanti senza bugie.
Questa lettera dovevo scriverla a tua madre, invece
l’ho scritta a te. Se quel giorno a quasi quarant’anni non 20
mi era venuta in mente la frase del mio quaderno di gre
co, se non avevo messo un punto prima di andare di
nuovo avanti, dovevo continuare a ripetere gli stessi
errori che avevo fatto fino a quel momento. Per
dimenticare il ricordo di Ernesto potevo trovare un 25
altro amante e poi un altro e un altro ancora; nella
ricerca di uno simile a lui. Nessuno poteva essere ugua
le a lui, o potevo odiare Augusto. A causa di lui mi era
79
stato impossibile prendere decisioni. Capisci? Trovare
scuse quando non si vuol guardare dentro se stessi è la
cosa più facile al mondo. Una colpa al di fuori di te esi
ste sempre, è necessario avere molto coraggio per accet-
5 tare che la colpa appartiene a noi soltanto. Eppure, te
l’ho detto, questo é l’unico modo per andare avanti.
A quarantanni ho capito da dove dovevo partire.
Capire dove dovevo arrivare è stato un processo lungo,
difficile ma pieno di passione. L’unico maestro che esi-
io ste, l’unico vero e credibile è la propria coscienza. Per
trovarla bisogna stare in silenzio e da soli. In principio
non senti niente. Poi cominci a sentire una voce, che
forse all’inizio ti irrita. E strano, quando ti aspetti le
cose più grandi appaiano le piccole. Sono così piccole
15 e così semplici che ti viene da gridare: “Ma come, tut
to qui?” Se la vita ha un senso - ti dirà la voce - questo
senso è la morte. Bella scoperta, dirai adesso, che si
deve morire lo sa anche l’ultimo degli uomini. E vero,
con il pensiero lo sappiamo tutti, ma saperlo con il
20 pensiero è una cosa, saperlo con il cuore è un’altra,
completamente diversa. Quando tua madre si arrabbia
va con me le dicevo: “Mi fai male al cuore.” Lei ride
va. “Non essere ridicola,” mi rispondeva, “ il cuore è un
musculo, se non corri non può far male.”
25 Tante volte ho provato a spiegarle perché mi ero
allontanata da lei. “E vero,” le dicevo, “a un certo pun
to della tua infanzia ti ho trascurata, ho avuto una gra
ve malattia.”
80
“Adesso sono io a stare male,” e si rifiutava di parla
re. Aveva deciso che il suo stato era l’infelicità. Certo,
diceva di voler essere felice, ma in realtà - nel profon
do - a sedici, diciassette anni aveva già chiuso qualsia
si possibilità di cambiamento. La mia nuova tranquilli- 5
tà la irritava, quando vedeva i Vangeli sul mio tavolo,
diceva: “Di cosa ti devi consolare?”
Quando è morto Augusto non ha neanche voluto
venire al suo funerale. Quando lui è morto lei aveva
sedici anni, da quando aveva quattordici non lo chia- io
mava più papà. E morto in ospedale un pomeriggio di
novembre.
Poco prima di morire ha detto: “Le mani di Ilaria,”
“così non ce l’ha nessun altro in famiglia.”
Per diciassette anni, senza mai far capire niente, si 15
era tenuto quel segreto dentro.
Con la morte di Augusto ho capito che la morte in
sé, da sola, non porta lo stesso tipo di dolore. C ’è un
vuoto improvviso - il vuoto è sempre uguale - ma è pro
prio in questo vuoto che esistono le forme diverse del 20
dolore. Tutto quello che non si è detto pesa. Il fatto
che Augusto sapeva di Ilaria e non me lo aveva mai
detto mi aveva fatto stare male. A quel punto dovevo
parlargli di Ernesto, di cosa era stato per me, di Ilaria,
ma non era più possibile. 25
Adesso forse puoi capire quello che ti ho detto
all’inizio: i morti pesano non tanto per la loro mancan
za quanto per quello che - tra loro e noi - non è stato
detto.
81
Come dopo la morte di Ernesto, così anche dopo la
morte di Augusto avevo cercato conforto nella religio
ne. Da poco avevo conosciuto un gesuita tedesco, ave
va qualche anno più di me. Quando ha capito che non
5 mi piaceva andare in chiesa, mi ha proposto di vederci
in un luogo diverso.
Dato che tutti e due amavamo camminare, abbiamo
deciso di fare delle passeggiate insieme. Veniva a pren
dermi tutti i mercoledì pomeriggio con gli scarponi e un
io vecchio zaino, la sua faccia mi piaceva molto. AlPinizio
avevo paura di raccontargli tutto, perché avevo paura
di provocare scandalo, di essere condannata. Poi un gior
no, mi ha detto: “Fa male a se stessa, sa. Soltanto a se
stessa.” Da quel momento ho smesso di mentire, gli ho
15 aperto il cuore come dopo la morte di Ernesto non
Pavevo fatto con nessun altro. “Solo il dolore fa cresce
re,” diceva, “ma il dolore va affrontato.”
Ogni uomo deve fare una lotta con se stesso. Secondo
lui il cuore delPuomo era come la terra, metà illumina-
20 to dal sole e metà in ombra. Neanche i santi avevano
luce dappertutto. “Vivere è lottare perché ci sia più luce
che ombra. Non si deve avere fiducia di chi è perfetto,”
mi diceva, “crede soltanto quello che le dice il suo cuo
re.” Io lo ascoltavo con molta attenzione, non avevo
conforto, sollievo
gesuita, religioso (uomo che dedica la propria vita alla chiesa)
dell'ordine gesuita, detto anche Compagnia di Gesù
scarponi, scarpe pesanti per camminare in montagna
zaino, borsa che si porta sulle spalle
provocare uno scandalo, dare cattivo esempio con un’azione contrario
alla morale
condannare, qui, giudicare male per una colpa commessa
lotta, battaglia
lottare, combattere
82
mai trovato nessuno che esprimeva così bene quello
che pensavo. Con le sue parole i miei pensieri prende
vano una forma, a un tratto c’era una via davanti, farla
non mi sembrava più impossibile.
Ogni tanto nello zaino portava qualche libro a lui 5
caro. Mi leggeva dei passaggi con la sua voce chiara e
seria. Insieme a lui ho compreso i passi del Vangelo che
prima non capivo. In tutti gli anni passati dalla morte
di Ernesto avevo sì fatto un cammino dentro di me, ma
era un cammino limitato a me stessa. In quel cammino io
sapevo che la strada andava avanti più piena di luce e
più larga, ma non sapevo come fare. U n giorno, gli ho
chiesto:. “Come si fa ad avere fede?” “Non si fa, viene.
Lei ha già la fede ma si fa troppe domande. In realtà ha
soltanto una paura terribile. Si lasci andare e quello 15
che deve venire verrà.”
Da quelle passeggiate tornavo a casa sempre più con
fusa, incerta. Era sgradevole, te l’ho detto, le sue parole
mi ferivano. Tante volte ho avuto il desiderio di non
vederlo più, il martedì sera mi dicevo adesso gli telefo- 20
no, gli dico di non venire perché sto poco bene, inve
ce non gli telefonavo.
Le nostre gite sono durate un po’ più di un anno, poi
lui è stato mandato in un’altra città. Prima di partire
mi ha dato una cartolina con delle montagne. “Dio è 25
dentro di voi,” c’era scritto.
Dio è dentro di voi, ricordi? Questa frase mi aveva già
colpito quando vivevo a L’Aquila. Quella volta, quan
do chiudevo gli occhi, e mi guardavo all’interno non
riuscivo a vedere niente. Dopo aver conosciuto padre 30
83
Thomas qualcosa era cambiato, continuavo a non
vedere niente, ma in fondo al buio c’era una luce pic
cola, debole. II fatto che c’era però mi dava gioia. Quel
che cresceva dentro di me era solo la gioia di esistere.
20 dicembre
5 Questa mattina sono andata in soffitta con Buck. Da
quanti anni non aprivo quella porta! Da bambini pia
ce molto andare in soffitta, ma non da vecchi. Tutto
quello che era mistero, diventa dolore del ricordo.
Cercavo il presepio, per trovarlo ho dovuto aprire
io diverse scatole. Ho trovato la bambola di Ilaria, i suoi
giochi di quand’era bambina le lettere di Ernesto. Di
tuo non c’era niente, tu sei giovane, viva, la soffitta
non è ancora il tuo luogo. Ho anche trovato un libro
della mia infanzia. Non era un libro qualsiasi ma quel-
15 lo che da bambina avevo amato più di tutti, quello che
più di ogni altro mi aveva fatto sognare. Si chiamava
Le meraviglie del Duemila ed era, a suo modo, un libro
di fantascienza. La storia era abbastanza semplice ma
ricca di fantasia.
20 Quando da bambina leggevo questo libro cercavo di
capire se, con i miei anni, potevo arrivare al Duemila.
N ovant’anni mi sembrava tanto, ma non impossibile
da raggiungere.
Adesso che quasi ci siamo, so che non ci arriverò.
25 Provo tristezza? No, sono soltanto molto stanca. Non
so se capita a tutti negli ultimi giorni della propria esi-
84
stenza, questo senso improvviso di aver vissuto troppo
;i lungo, di aver troppo visto, troppo sentito- Quando
penso al secolo che ho attraversato, ho l’idea che in
qualche modo il tempo sia volato, ho l’impressione che
adesso tutto si sia più accelerato. 5
La storia fa accadere tante cose. A lla fine di ogni
giorno ci si sente più stanchi; al termine di una vita,
molto stanchi.
Sono passate talmente tante cose davanti ai miei
occhi e di queste tante nessuna è rimasta. Capisci ades- io
so perché dico che il tempo è accelerato? N el neolitico
cosa mai poteva succedere nel corso di una vita? La sta
gione delle piogge, quella delle nevi, la stagione del
sole. Oltre il proprio campo, oltre il fiume non esiste
va altro, non si conosceva il mondo e il tempo per for- 15
za era più lento. Io ho vissuto in anni molto interessan
ti, ma quelli che vivrai tu forse saranno più interessan
ti ancora. Il cambio di millennio pare porti sempre con
sé un grande cambiamento.
Nel Duemila tu avrai appena ventiquattro anni e 20
vedrai tutto questo, io invece non ci sarò più. Sarai
pronta, sarai capace di affrontare i tempi nuovi? Se in
questo momento scende dal cielo una fatina e mi chiede
di esprimere tre desideri, sai cosa le chiedo? Le chiedo di
trasformarmi in un ragno di casa, in qualcosa che non si 25
vede, ma ti può vivere accanto. Non so quale sarà il tuo
futuro, non riesco a immaginarlo, siccome ti voglio bene
85
ragno
fatina
21 dicembre
Dalla soffitta ieri alla fine ho portato giù soltanto il pre
sepio e lo stampo da torta . Il presepe va bene, dirai, sia-
15 mo a Natale, ma perché lo stampo. Questo stampo
apparteneva a mia nonna ed è l’unico oggetto rimasto
di tutta la storia femminile della nostra famiglia. Pensa
quante volte è stato usato. L’ho portato giù per farlo
86
stampo da torta
87
la torta è entrata finalmente nel forno, tutt’a un tratto
ti sei ricordata perché l’avevamo fatta e hai ricomin
ciato a piangere. Davanti al forno cercavo di consolar
ti. “Non piangere,” ti dicevo, “è vero che morirò prima
di te ma quando non ci sarò più ci sarò ancora, vivrò
nella tua memoria con i bei ricordi: vedrai gli alberi,
l’orto, il giardino e ti ricorderai di tutti i momenti feli
ci che abbiamo passato insieme. La stessa cosa ti succe
derà se ti siedi sulla mia poltrona, se farai la torta che
oggi ti ho insegnato a fare e mi vedrai davanti a te.
22 dicembre
Oggi, dopo la colazione, ho cominciato a fare il prese
pio al solito posto.
Mentre sistemavo le pecore mi è tornata in mente
che amavi fare con il presepio. Per gioco nascondevi le
pecorelle che io poi dovevo trovare e con te dietro che
ridevi e belavi giravo per la casa mentre dicevo: “Dove
sei pecorella smarrita? Fatti trovare che ti salvo.”
E adesso, pecorella, dove sei? Sei laggiù in America
adesso mentre scrivo; quando leggerai questo sarai qui
e le mie cose saranno già in soffitta. Le mie parole ti
salveranno? Non desidero questo, forse avrai l’idea già
pessima che avevi di me prima di partire. Forse potrai
capirmi solo quando sarai più grande.
Se da qualche parte sarò, se avrò modo di vederti,
sarò soltanto triste come sono triste tutte le volte che
vedo una vita buttata via, una vita senza amore. Abbi
pag. 1 2 - 1 6
1 . Perché la nipote desidera andare all’estero?
2 . Come reagisce Olga quando la nipote decide di
andare in America?
pag. 1 6 - 2 3
L Perché è importante il giardino?
2 . Quali possono essere i motivi per il modo strano di
comportarsi della piccola nipote?
3 . Com e’era il rapporto della nonna con i propri
genitori?
4 . In che modo è stata educata?
5 . Come si dimostrava l’ipocrisia dei suoi genitori?
pag. 2 4 - 3 0
1 . Olga, come voleva educare la propria figlia Ilaria?
2 . Perché cambia il rapporto tra Olga e Ilaria dopo
che la figlia ha cominciato gli studi all’università?
3 . Che cosa avrebbe dovuto fare Olga per aiutare la
figlia?
4 . Perché non l’ha fatto?
5 . Che cosa pensa del destino?
90
pag. 3 0 - 3 7
1 . A che cosa serviva il presepio all’Istituto del Sacro
Cuore?
2 . Secondo le suore, perché era cattiva la piccola
Olga?
3 . Come si dimostrava l’ipocrisia delle suore?
4 . Quale effetto hanno avuto su Olga gli anni dalle
suore?
5 . Perché a Olga è mancata la gioia nell’infanzia?
6 . Perché Ilaria si è legata a persone più forti di lei?
pag. 3 7 - 4 2
1 . Perché la nonna reagisce così forte quando la
nipote vuole andare da uno psicologo?
2 . Come cambia Ilaria durante la terapia che fa?
3 . C hi è Augusto?
pag. 4 2 - 4 8
1 . Perché Ilaria ha bisogno di soldi?
2 . Come spera Olga di poter salvare la casa della
figlia?
3 . Come reagisce Ilaria al segreto della madre?
4 . In che modo si spegne la sua vita?
pag. 4 8 - 5 2
1 . Perché Ilaria vuole un figlio anche se non è
sposata?
2 . Come è l’ambiente in cui vive?
3 . Quando ha cominciato la nipote a chiedere di suo
padre?
4 . Quale storia inventa la nonna invece di dire la
verità?
5 . Perché è importante conoscere il proprio padre?
91
pag. 5 2 - 6 2
1 . In che modo la piccola Olga si distingueva dalle
altre ragazze?
2 . Esiste sempre negli uomini la paura di una donna
intelligente?
3 . Quale impressione fa Augusto su Olga e i suoi
genitori?
4 . Perché Olga cambia opinione di lui?
5 . Che cosa succede subito dopo che si sono sposati?
6 . Come è diverso L’Aquila da Trieste, il Sud dal
Nord?
7 . Come si comporta gran parte della borghesia a
L’Aquila durante il periodo fascista?
8 . Qual è lo stato d’animo di Olga nella casa triste?
9 . Perché va a Porretta Terme?
pag. 6 2 - 7 3
1 . Quale impressione fa Ernesto su Olga?
2 . Qual è il primo segno di cambiamento in Olga?
3 . Quale scusa trova Ernesto per non rispettare la fede
data alla propria moglie?
4 . Che cosa pensa Ernesto dell’amore?
5 . In che modo reagiscono gli uomini su Olga
innamorata?
6 . Olga e Ernesto, come continuano il loro rapporto?
7 . Quali pensieri si dà Olga quando capisce che è
rimasta incinta?
8 . Come reagiscono Augusto e Ernesto sulla notizia?
9 . Che cosa fa Ernesto per vedere la propria figlia?
1 0 . Adesso che non lavora più alle Terme Ernesto,
come riescono a mantenere il rapporto?
92
pag. 7 4 - 7 8
1 . Che cosa succede la notte quando muore Ernesto?
2 . Che cosa fa Olga per sapere perché Ernesto non
risponde alle sue lettere?
3 . Come reagisce quando capisce che è morto?
4 . Quale effetto ha questo sulla figlia Ilaria?
5 - G li alberi, perché sono importanti per Olga?
pag. 7 8 - 8 4
1 . Secondo la nonna, qual è l’unico modo di andare
avanti?
2 . Prima di morire, Augusto fa capire che sa che Ilaria
non è sua figlia. Che impressione fa a Olga?
3 . Quale consiglio dà il padre gesuita a Olga?
4 . Come le dà ancora la gioia di esistere?
pag. 8 4 - 8 6
1 . Che cosa pensa la nipote del proprio futuro?
2 . Perché la nonna non è d’accordo?
3 . Perché è importante lo stampo di torta?
4 . Che cosa deve fare la nipote nei momenti difficili
della vita?
93
£
Questa è Ta~storia"cTT'uha nonna™ he la da nonna
madre per la nipote dopo la morte di sua figlia. La
nonna scrive in forma di diario una lunga lettera alla
nipote che ora si trova lontano in America. Scriven
do questo diario, la nonna percorre la propria vita.
Racconta della sua vita da bambina, della sua
educazione e del rapporto con i suoi genitori, fino a
raccontare del suo matrimonio vuoto e convenzionale
e della sua storia d’amore da cui è nata sua figlia Ila-
ria.
Cerca con questo diario di spiegare alla nipote la
sua vita e i suoi sentimenti di modo che le sue espe
rienze possano servire alla nipote, e per recuperare il
rapporto tra di loro, che si era incrinato prima della
partenza.
Danimarca:
IS B N 87-11-09084-7
A S C H E H O U G A /S
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Spagna: A R C O B A L E N O vengono p resen tati in 4 serie:
Italia: E D I Z I O N I S C O L A S T I C H E
BRUNO M ONDADORI
A
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Australia: C I S / H E I N E M A N N
Stati Uniti : E M C C O R P . di 6 0 0 parole
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Norvegia: GYLD EN DAL N O R SK
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Svezia: A L M Q V I S T & W IK S E L L di 1 2 0 0 parole
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Polonia: W Y D A W N I C T W O L E K T O R K L E T T
Finlandia: T A M M I P U B L I S H E R S
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Ungheria: R A A B E - K L E T T
Germ ania: E R N S T K L E T T V E R L A G
di 2 5 0 0 parole
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JER*