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ANTONIN

ARTAUD

L’arte e la morte

t ? Il faut avoir connu cette aspirante montée de l’angoisse dont les ondes arrivent sur vous et vous gonflent
la collana alle fonti
del contemporaneo

La kreuzville aleph
(sorella maggiore della
kreuzville, la collana
di letteratura francese e
tedesca del XXI secolo)
raccoglie opere e auto-
ri cruciali della cultura
moderna per ricostrui-
re il paesaggio vivace,
luminosissimo, a tratti
segretamente insidioso,
del nostro passato. Per
Borges l’Aleph era «il
luogo dove si trovano,
senza confondersi, tutti
i luoghi della terra, visti
da tutti gli angoli»; così
questi testi contengono
in nuce tradizioni, ra-
gioni e furori alle fon-
ti del contemporaneo.
Kreuzberg a Berlino,
Belleville a Parigi, due
quartieri simbolo della
stratificazione umana e
del fermento culturale
della nostra epoca, fusi
in un unico nome per
libri che danno voce
all’immaginario
della nuova
Europa.
Antonin Artaud

L’arte e la morte
Traduzione e cura di
Giorgia Bongiorno e Maia Giacobbe Borelli
L’arte e la morte riunisce testi che risalgono all’epoca in cui Artaud
aveva aderito al movimento surrealista e che erano stati pubblicati
quasi tutti sulla «Révolution Surréaliste». Il volume uscì, con il fron-
tespizio di Jean de Bosschère qui riprodotto, il 17 aprile 1929 pres-
so À l’enseigne des Trois Magots, libreria del futuro editore Robert
Denoël, con una tiratura di 800 copie.

Una poesia di Artaud accompagnava il bollettino di sottoscrizione:

Nel cerchio interno del regno calcareo delle Immagini,


in quel punto sottile in cui l’occhio della coscienza, senza perdersi,
getta un fuoco estremo,
laddove il nervo abbandona finalmente il pensiero, che riposa
Dio sa in quali stratificazioni astrali,
la MORTE giace
come l’ultimo sobbalzo

piena di trance
ma SOSPESA.

Il titolo L’arte e la morte era quello di una conferenza tenuta da Artaud


nell’anfiteatro Michelet della Sorbona giovedì 22 marzo 1928, alle
21, all’interno del Gruppo di studi filosofici e scientifici per l’esame
delle nuove tendenze, fondato e animato dal dottor René Allendy.
Chi, nel cuore…
Questo testo d’apertura, l’unico della raccolta a non essere stato preceden-
temente pubblicato su rivista, fu presentato in occasione di una conferen-
za organizzata dal Gruppo di studi filosofici e scientifici per l’esame delle
nuove tendenze tenuta alla Sorbona nel 1928. In tale circostanza il testo
venne introdotto così: «Antonin Artaud ci parla dell’Arte e la morte. La
morte viene considerata come liberazione dall’ordine necessario delle cose,
l’arte rappresenta un modo d’evasione dello stesso ordine e ci permette di
avvicinarci al suo mistero». Si entra dunque nel pieno della scrittura
surrealista di Artaud, che ci fornisce un ventaglio di possibilità espressive
attraverso la rappresentazione della morte come stato onirico superiore e
necessario al ciclo delle rinascite.
Chi, nel cuore di certe angosce, in fondo ad alcuni sogni,
non ha conosciuto la morte come un senso di rottura
e meraviglia con cui nulla si può confondere nel mon-
do mentale? Bisogna aver conosciuto l’ascesa aspirante
dell’angoscia, le cui onde vi vengono addosso e vi gonfia-
no come spinte da un insopportabile mantice. L’angoscia
che si avvicina e si allontana ogni volta più grande, ogni
volta più pesante e rigonfia. È il corpo stesso, giunto al
massimo dell’espansione e delle forze, che deve comun-
que andare più lontano. Una specie di ventosa messa so-
pra l’anima, la cui asprezza corre come vetriolo fino agli
ultimi limiti del sensibile. E l’anima non ha neanche la
possibilità di spezzarsi. Perché questa stessa espansione
è falsa. La morte non si accontenta così facilmente. L’e-
spansione nell’ordine fisico è come l’immagine rovescia-
ta di un restringimento che deve occupare lo spirito su
tutta la superficie del corpo vivo.
Questo respiro sospeso è l’ultimo, davvero l’ultimo. È
il momento di fare i conti. L’istante tanto temuto, tanto
paventato, tanto sognato, è giunto. Ed è vero che stai
per morire. Spiando misuri il tuo respiro. E il tempo
immenso si versa tutto intero sul suo limite con una

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antonin artaud

determinazione per la quale non può che dissolversi sen-


za lasciare traccia.
Crepa, osso di cane. E sai bene che il tuo pensiero non è
concluso, finito, e che comunque qualsiasi cosa tu faccia,
non hai ancora cominciato a pensare.
Non importa. – La paura che si abbatte su di te ti squas-
sa fino all’impossibile, perché sai bene che devi passare da
quell’altra parte, quella per la quale niente di te è pronto,
neanche il corpo, tantomeno questo corpo, che lascerai
senza dimenticarne né la materia, né lo spessore, né l’im-
possibile asfissia.
Sarà proprio come in un brutto sogno, dove sei fuori
dalla condizione del corpo dopo che l’hai comunque tra-
scinato fino a là, mentre lui ti fa soffrire e ti illumina con
le sue assordanti percezioni in cui la sua superficie sarà
sempre più piccola o più grande di te, in cui non si potrà
soddisfare più nulla della sensazione che porti di un’anti-
ca inclinazione terrestre.
Ed è proprio così, e lo sarà per sempre. Nel sentire la
desolazione e l’innominabile malessere, che grido, degno
del latrato d’un cane in sogno, ti solleva la pelle, ti si rivol-
ta in gola, nello sconcerto di un insensato annegamento.
No, non è vero. Non è vero!
Il peggio è che è vero. E insieme alla sensazione di ve-
ridicità disperata in cui ti sembrerà di morire di nuovo,
che morirai una seconda volta (Te lo annunci, lo dici che
stai per morire. Stai per morire: Morirò una seconda volta).
Ed ecco che non si sa quale umidità d’acqua di ferro, o di
pietra, o di vento, ti rinfresca incredibilmente e ti allevia
il pensiero, e tu stesso sprofondi, ti abitui sprofondando

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alla tua morte, al tuo nuovo stato mortale. Quest’acqua


che scorre è la morte, e nel momento che ti contempli in
pace, che registri le tue nuove sensazioni, la grande iden-
tificazione comincia. Eri morto e ora ti ritrovi di nuovo
vivo, – ma questa volta sei da solo.
Ho appena descritto una sensazione d’angoscia e di so-
gno, l’angoscia che scivola nel sogno, pressappoco come
immagino che l’agonia debba scivolare e concludersi in-
fine nella morte.
E comunque simili sogni non possono mentire. Non
mentono. Queste sensazioni di morte messe una accanto
all’altra – il soffocamento, la disperazione, i torpori, la de-
solazione, il silenzio –, non le vediamo forse nella sospen-
sione allargata di un sogno, con la sensazione che una del-
le facce della nuova realtà sia perennemente dietro di sé?
Ma in fondo alla morte o al sogno, ecco che l’angoscia
ricomincia. L’angoscia, come un elastico che si tende di
nuovo e vi salta di colpo alla gola, non è né sconosciuta né
nuova. La morte nella quale si è scivolati senza rendersene
conto, il raggomitolarsi del corpo, la testa – è stato neces-
sario che passasse, lei che sosteneva la coscienza e la vita e
quindi il supremo soffocamento, e quindi la lacerazione
superiore – che passasse, anch’essa, per l’apertura più pic-
cola possibile. Ma è piena d’angoscia fino ai pori, la testa
che a forza di scuotersi e di sobbalzare per lo spavento ha
come l’idea, come la sensazione di essersi gonfiata, e che
il suo terrore si sia materializzato, che abbia germogliato
sotto la pelle.
E siccome, dopotutto, la morte non è cosa nuova, ma
invece troppo nota, non percepiamo forse, in fondo a

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questa distillazione di viscere, l’immagine di un panico


già provato? Pare che la forza stessa della disperazione re-
stituisca certe situazioni dell’infanzia, quando la morte
appariva così chiara e come una disfatta a getto continuo.
L’infanzia conosce i bruschi risvegli dello spirito, le intense
espansioni del pensiero che un’età più avanzata smarrisce.
In certe paure paniche dell’infanzia, certi terrori grandiosi
e irragionevoli dove cova la sensazione di una minaccia
extra-umana, è incontestabile che appaia la morte
come la lacerazione di una membrana intima, come il
sollevarsi di un velo che è il mondo, ancora informe e
malfermo.
Chi non ha il ricordo d’inauditi ingrandimenti, dell’or-
dine di una realtà tutta mentale, che allora non lo stu-
pivano affatto, che erano dati, consegnati per davvero
alla foresta dei suoi sensi di bambino? Espansioni im-
pregnate di una perfetta conoscenza che permeava tutto,
cristallizzata, eterna.
E quali strani pensieri sottolinea, di quale disintegrata
meteora ricostituisce gli atomi umani.
Il bambino vede cortei riconoscibili di antenati in cui
osserva le origini di tutte le somiglianze conosciute, da
uomo a uomo. Il mondo delle apparenze vince e scon-
fina nell’insensibile, nell’ignoto. Poi giunge l’ottenebra-
mento della vita e in seguito stati simili si ritrovano solo
grazie alla lucidità assolutamente anormale dovuta per
esempio alle droghe.
Da qui deriva l’immensa utilità delle sostanze tossiche
per liberare, elevare la coscienza. Menzogne o no dal
punto di vista di un reale di cui abbiamo visto lo scar-

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so valore, dato che il reale è solo uno degli aspetti più


transitori e meno riconoscibili dell’infinita realtà. Poiché
se il reale uguaglia la materia e imputridisce con lei, le
sostanze tossiche recuperano la loro dignità superiore dal
punto di vista dello spirito, cosa che ne fa le più prossime
e utili collaboratrici della morte1.
Questa morte in catene nella quale l’anima si agita per
ritrovare uno stato finalmente completo e permeabile,

1
Dichiaro – e mi affido a questa idea che la morte non sia fuori dal domi-
nio della coscienza, che sia entro un certo limite conoscibile e avvicinabile
attraverso una certa sensibilità.
Tutto quello che nell’ordine delle cose scritte abbandona il piano della per-
cezione ordinata e chiara, che mira a creare un rovesciamento delle appa-
renze, a introdurre un dubbio sulla posizione delle immagini della mente in
rapporto tra loro, che provoca la confusione senza distruggere la forza del
pensiero sorgivo, che rovescia i rapporti tra le cose dando al pensiero inquie-
to un aspetto ancora più grande di verità e di violenza, ci offre uno sbocco
alla morte, ci mette in relazione con gli stati più sottili della coscienza entro
i quali la morte si esprime.
È per questo che tutti coloro che sognano senza rimpiangere i propri sogni,
senza portare con sé una sensazione di atroce nostalgia dalle immersioni
nel fertile inconscio, sono delle bestie. Il sogno è vero. Tutti i sogni sono
veri. Ho la sensazione di asperità, di paesaggi come scolpiti, di pezzi di terra
ondeggianti ricoperti da una specie di sabbia fine, il cui senso vuol dire:
“rimorso, delusione, abbandono, rottura, quando ci rivedremo?”
Niente che assomigli all’amore quanto il richiamo di certi paesaggi visti in
sogno, quanto l’abbraccio delle colline, di una specie di argilla materiale la
cui forma è come modellata sul pensiero.
Quando ci rivedremo? Quando il sapore terroso delle tue labbra verrà a sfio-
rare di nuovo l’ansia della mia mente? La terra è come un vortice di labbra
mortali. La vita scava davanti a noi l’abisso di tutte le carezze non date. Che
fare di quest’angelo vicino a noi che non ha saputo mostrarsi? Tutte le no-
stre sensazioni saranno sempre intellettuali, e i nostri sogni non riusciranno
a infiammarsi in un’anima la cui emozione ci aiuterà a morire. Che cos’è
questa morte in cui siamo per sempre soli, e l’amore non ci indica la strada?

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antonin artaud

dove non tutto sia urto, intensità di una confusione de-


lirante che elucubra senza fine su se stessa, ingarbuglian-
dosi nei fili di un miscuglio, insopportabile e melodioso
insieme,
dove non tutto sia malessere,
dove non sia riservato continuamente il posto più pic-
colo alla più grande fame di uno spazio assoluto e questa
volta definitivo,
dove nella pressione parossistica spunti di colpo la sen-
sazione di un nuovo progetto,
dove, dal fondo di una miscela senza nome, l’anima che
si scuote e si scrolla percepisca la possibilità, come nei
sogni, di risvegliarsi in un mondo più chiaro, dopo aver
perforato chissà quale barriera, – e si ritrovi in una lumi-
nosità dove finalmente le membra si distendono, là dove
le pareti del mondo sembrano frantumabili all’infinito.
Quest’anima potrebbe rinascere, eppure non rinasce;
perché, pur alleggerita, sente che sogna ancora, che non
si è ancora abituata allo stato onirico, con il quale non
riesce a identificarsi.

A questo punto del suo sogno mortale, l’uomo vivente,


giunto davanti alla muraglia di un’impossibile identifica-
zione, ritira brutalmente l’anima.
Ed eccolo ripiombato sul piano spoglio dei sensi, in una
luce senza bassifondi.
Fuori dall’infinita musicalità delle onde nervose, in
preda alla fame senza limiti dell’atmosfera, al freddo più
assoluto.

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Indice

Un’oscura e intraducibile scienza 7


Artaud, entrare nella realtà attraverso il sogno 13

L’arte e la morte 21
Chi, nel cuore… 25
Lettera alla veggente 33
Abelardo ed Eloisa 41
Abelardo il Chiaro 47
Uccello, il pelo 53
L’incudine delle forze 59
L’automa personale 65
Il vetro d’amore 73
Scrittore e drammaturgo, teorico del «Teatro Vertiginosa raccolta di scritti surrealisti del
della Crudeltà» e martire della psichiatria, An- 1929, L’arte e la morte è un fuoco d’artificio
ANTONIN

antonin artaud
tonin Artaud (1896-1948) ha spaziato, con la nella scrittura di quell’inquieto poeta in prosa
sua opera visionaria e sovversiva, dalla prosa ARTAUD che è stato Antonin Artaud.
surrealista alla saggistica, dai resoconti di viag- Otto testi per stravolgere ogni logica. Con una
gio alla poesia. Era inevitabile che l’eternità mi vendicasse lingua lirica e allucinata, Artaud scrive una let-
L’arte e la morte è qui presentato in una nuova dell’accanito sacrificio di me stesso, tera d’amore a una veggente, narra il tormento
traduzione che tiene conto dello stile surrealista erotico di Eloisa e Abelardo, si abbandona a vi-
ed è accompagnato da due saggi che raccontano cui io non partecipavo. sioni bibliche, trasfigura il suo corpo in imma-
l’importanza letteraria e teatrale di questo libro. gine e ne esplora i confini sensoriali.
Frutto della giovanile adesione di Artaud al mo-
vimento surrealista, L’arte e la morte è un picco-
lo gioiello di scrittura visionaria, un’avventura
folle nella mente di una delle personalità più
eclettiche e irrequiete del Novecento.

l’arte e la morte
L’arte e la morte
Giorgia Bongiorno è docente di Italianistica
all’Université de Lorraine ed è specialista di
poesia italiana e francese del XX e XXI secolo.
Ha curato per Einaudi (2003) Artaud le Mômo,
Ci-gît, ripubblicato in edizione rivista da SE «Antonin Artaud si è proclamato surrealista con la
nel 2023. stessa radicalità e naturalezza con cui chiunque si ri-
conosce uomo.»
Maia Giacobbe Borelli, studiosa di teatro e inse- Julio Cortázar
gnante, dal 2004 ha pubblicato libri sul teatro, ha
curato traduzioni e scritto saggi su Artaud e su isbn 979-12-5476-051-2
vari temi legati all’influenza del teatro francese,
apparsi su riviste teatrali italiane e internazionali.
9 791254 760512

Qui, au sein de certaines angoisses, au fond de quelques rêves n’a connu la mort comme une sensation brisante et merveilleuse avec quoi rien ne se peut confondre dans l’ordre de l’esprit ? Il faut avoir connu cette aspirante montée de l’angoisse dont les ondes arrivent sur vous et vous gonflent comme mues par un insupportable soufflet. L’angoisse qui se rapproche

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