Sei sulla pagina 1di 3

Palestina.

E’ una insurrezione popolare, non una guerra


sinistrainrete.info/articoli-brevi/26495-sergio-cararo-palestina-e-una-insurrezione-popolare-non-una-guerra.html

di Sergio Cararo
Il 7 ottobre il mondo si è svegliato con la notizia di una vera e propria insurrezione del popolo
palestinese ben coordinata che ha completamente colto di sorpresa, demolendolo, il mito
degli apparati di sicurezza e di spionaggio israeliani. Ma ha colto di sorpresa anche il resto il
mondo, sia quello più ostile che quello più sensibile alla causa palestinese.

Il governo israeliano, i mass media e le cancellerie occidentali – le uniche ancora una volta
schierate con Israele – hanno parlato di guerra. Alcuni aspetti dell’azione militare palestinese
sono indubbiamente di carattere bellico ma il contesto appare più quello di una insurrezione
popolare contro una pluridecennale e brutale occupazione israeliana che di una guerra tra
eserciti convenzionali.

Quella tra palestinesi e israeliani non è mai stata una guerra simmetrica. La sproporzione di
forze è stata sempre pesantissima, il bilancio delle vittime civili è sempre stato asimmetrico a
sfavore dei palestinesi.

1/3
Lo stesso atteggiamento della cosiddetta comunità internazionale – troppe volte ritenuta
limitata a Stati Uniti ed Unione Europea – non è mai stato equidistante o simmetrico tra le
ragioni dei palestinesi e quelle di Israele. Al contrario è ricorso sistematicamente ai “due pesi
e due misure”, liquidando tutti gli impegni formali presi nei decenni dalle Nazioni Unite verso
il popolo palestinese e sostenendo esclusivamente e ossessivamente la supremazia della
sicurezza e dell’espansione coloniale israeliana.

Solo la miopia occidentale e l’arroganza israeliana potevano ritenere che questo arbitrio
consolidato e ripetuto per decenni non potesse prima o poi avere ripercussioni.

La Resistenza palestinese ha utilizzato emblematicamente la data del cinquantesima


anniversario della guerra del Kippur nel 1973 per scatenare una insurrezione popolare a
Gaza, in Cisgiordania e perfino nei Territori Palestinesi occupati dal 1948.

Il 1973 fu uno spartiacque per la storia del mondo capitalista occidentale e dei suoi satelliti.
La guerra lampo di alcuni paesi arabi contro Israele prevalse in un prima fase ma fu poi
sconfitta grazie al sostegno militare statunitense alle forze armate israeliane. Testimonianze
significative, come quella del generale e politico israeliano Moshe Dayan, affermano che
Israele era pronta a ricorrere alle sue armi nucleari stoccate nel sito di Dimona per fermare
l’offensiva militare di Siria ed Egitto.

Ma di fronte al sostegno occidentale ed europeo a Israele, i paesi arabi produttori di petrolio


dichiararono nel 1973 l’embargo sulle esportazioni scatenando la più profonda crisi
economica del capitalismo occidentale, dalla quale – sostanzialmente – non si è più
sollevato nonostante la controffensiva liberista avviata dagli anni ‘80.

Cinquanta anni dopo, le organizzazioni della Resistenza palestinese, dopo tre decenni di
massacri, occupazione militare, oppressione coloniale, bombardamenti devastanti e la cui
contabilità di morti farebbe impallidire qualsiasi persona di buon senso, ha dato vita alla terza
insurrezione dopo le due Intifade precedenti (fine anni Ottanta e primi anni del Duemila).

Nonostante la pervasività dello spionaggio e dell’intelligence israeliane, nonostante la


brutalità dei raid militari contro le comunità palestinesi a Gaza e Cisgiordania, nonostante
l’asfissiante controllo militare israeliano, i palestinesi hanno colto di sorpresa tutti gli apparati
di Israele con una azione militare coordinata che ne ha demolito il mito dell’invincibilità e
l’ossessione della sicurezza.

I palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme, nei Territori Occupati dal 1948 e nei
campi profughi della diaspora sanno benissimo che la reazione militare israeliana sarà
violentissima e, molto probabilmente, l’hanno messo in conto da tempo.

Ma sono anni ormai che i palestinesi gridano al mondo che l’unico modo per esistere e
vedersi riconoscere i propri diritti è quello di resistere. Lo hanno pacificamente con il Somud,
lo hanno fatto militarmente con al Mukawama, lo hanno fatto con le pietre e con marce

2/3
pacifiche mitragliate dai cecchini israeliani, pagando un prezzo in vite umane, prigionieri,
mutilati che pochi paesi hanno pagato negli anni più recenti.

Adesso il mondo ha subito un brusco risveglio e la comunità internazionale dovrà dire e fare
molto di più che dichiarazioni di circostanza e ulteriore complicità con Israele. Ed anche la
sinistra italiana ed europea dovrebbero smettere di balbettare banalità e obsoleti luoghi
comuni sulla questione palestinese. Tutti avremmo preferito sentir gridare agli insorti
“Palestina libera” invece di invocazioni ad Allah, ma se questo sono contesto e forze in
campo sarà bene cominciare a fare i conti con la realtà, riconoscendola invece di
esorcizzarla o temerla.

Anche perché il mondo è cambiato rapidamente in questi ultimissimi anni. Il doppio standard
utilizzato da Usa e Ue per agire nelle relazioni internazionali è diventato insopportabile a
gran parte del mondo.

Ragione per cui sulla questione palestinese è tempo di impegni sostanziali nel
riconoscimento dei diritti storici e di quelli attuali. L’insurrezione palestinese, seppur con
caratteristiche simili ma diverse da quelle di una guerra convenzionale, ha posto il problema
sul piatto, anche con il rischio che si scateni un conflitto regionale di dimensioni inedite
rispetto a quelli precedenti.

L’insurrezione palestinese ha mandato un avviso di garanzia, sia alle autorità israeliane sia
al mondo arabo, a quelle statunitensi ed a quelle europee. Il tempo dell’ipocrisia è
definitivamente finito.

fCondividi
Whatsapp

3/3

Potrebbero piacerti anche