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DOMENICO MALLARDO

E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA

CARLO EBANISTA

1. Formazione accademica, ricerche e scavi archeologici

La formazione accademica di Domenico Mallardo, svoltasi tra il Semina-


rio Arcivescovile napoletano e l’Università degli Studi di Napoli, è stretta-
mente connessa alla figura di monsignor Gennaro Aspreno Galante che, agli
inizi del Novecento, rappresenta il punto di riferimento per quanti si occu-
pano delle antichità cristiane della Campania 1. Se Galante, del quale Mallar-
do è uno degli allievi prediletti al Seminario 2, lo avvia alle ricerche storico-
archeologiche e lo guida nelle prime pubblicazioni 3, non meno importante
è l’influenza esercitata sul giovane studioso dal canonico Modesto Catalano
che insegna nello stesso istituto Storia della Chiesa e, alla morte del comune

* Per il sostegno fornito nel corso delle ricerche e della stesura del testo si ringraziano la dotto-
ressa Mara Amodio, la professoressa Giuliana Boccadamo, l’architetto Rosario Claudio La Fata, i
professori Carmine Matarazzo, Michele Miele, Francesco Russo e la dottoressa Amalia Russo.
1 Cf. A. BELLUCCI, Monsignor Gennaro Aspreno Galante ed i suoi contributi nel movimento
archeologico, storico e letterario cristiano in Napoli negli ultimi cinquant’anni, Napoli 1925,
263-272; A. ILLIBATO, Gennaro Aspreno Galante e gli studi storico-archeologici del clero napole-
tano alla fine dell’Ottocento, in Campania Sacra 15-17 (1984-1986) 218-237.
2 Cf. D. MALLARDO, Don Modesto Catalano, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 3 (1932) 3, 155-
160, qui 158 («Questo che dico del Galante non è una mia immaginazione, è un ritratto autentico
che sedici anni della più intima consuetudine di vita e di studio con lui mi danno il diritto di traccia-
re, giacché a nessuno come a me egli aprì tanto della sua anima»); ID., Ricerche di storia e di to-
pografia degli antichi cimiteri cristiani di Napoli, Napoli 1936, 36, nota 2: «ho goduto per sedi-
ci anni la più intima consuetudine col compianto Maestro»; G. CAPASSO, Ricordo di Domenico Mal-
lardo sacerdote e maestro, Napoli 1959, 3, nota 1: «il Mallardo è stato uno degli ultimi pochissimi
discepoli amato come un figlio; anzi, era intimo di casa Galante».
3 Cf. U. DOVERE, Domenico Mallardo (1887-1956), in Campania Sacra 15-17 (1984-1986) 367-
370, qui 367.
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maestro, anche Archeologia cristiana 4. Ed è proprio sotto la guida dei due


docenti che nel 1904 il diciassettenne Mallardo 5, in occasione di una «gara
letteraria» sul tema S. Gennaro nell’anfiteatro si piazza al primo posto, a
pari merito con il seminarista Raffaele Galiero, elaborando un lavoro, dal ti-
tolo Hic olim ex imis emissi postibus ursi Januari ad divos procubuere
pedes, il cui sunto è pubblicato nella Rivista di Scienze e Lettere; il «valoro-
so Disserente», come viene definito dall’anonimo estensore dell’articolo, di-
mostra di conoscere bene i testi agiografici e i più recenti studi sulla Passio
Ianuarii 6.
Le indubbie capacità del giovane allievo spingono Galante a coinvolgerlo
nei suoi studi archeologici. È il caso, ad esempio, delle iscrizioni funerarie del
cimitero ebraico rinvenuto nel 1908 in corso Orientale (ora corso Malta) a
Napoli. Quando il 6 aprile 1909 il maestro presenta all’Accademia di Archeo-
logia, Lettere e Belle Arti in Napoli una memoria su Un sepolcreto giudaico
recentemente scoperto in Napoli 7, Mallardo gli fornisce il commento alla
terza parola dell’acclamazione in ebraico [Fig. 1] che chiude l’epigrafe di Bar-
barus (V secolo) 8. Nel 1913 Galante pubblica integralmente il commento 9,

4 Allievo di Galante, nel 1923 Catalano succede al maestro nella cattedra di Archeologia cristia-
na al Seminario arcivescovile, insegnamento che aveva già ricoperto dal 1907 al 1916 (MALLARDO,
Don Modesto Catalano, 158; ID., In memoria del Can.co Don Modesto Catalano, in Bollettino
Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli 13 [1932] 5, 111-112); cf. A. BELLUCCI, Commemorazione
del socio Mons. Domenico Mallardo, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle
Arti in Napoli n.s. 40 (1965) 3-20, qui 3.
5 Diversamente da quanto è stato sostenuto – cf. P. ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo: nel
centenario della nascita, in Ianuarius. Rivista Diocesana di Napoli 68 (1987) 5, 312-318, qui
313; U. DOVERE, Mons. Domenico Mallardo (1887-1958), in I nostri compagni di viaggio, Napoli
1999, 121-125, qui 121 –, Mallardo entrò in Seminario nel novembre 1902 (cf. MALLARDO, Don
Modesto Catalano, 155).
6 Cf. Lo studio della Storia e della Archeologia nel Liceo Arcivescovile di Napoli, in Rivista di
Scienze e Lettere 5 (1904) 7, 72-80; P. ORLANDO, Storia del capitolo cattedrale di Napoli (sec. XX).
II. L’episcopato del cardinale Alessio Ascalesi (1924-1952), Napoli 2003, 324, nota 1628.
7 Cf. G. A. GALANTE, Un sepolcreto giudaico recentemente scoperto in Napoli, in Memorie della
Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 2 (1913) 1, 231-245.
8 Per la correttezza dell’interpretazione (pax super requiem tuam) proposta da Mallardo
(GALANTE, Un sepolcreto giudaico, 242-245), cf. E. MIRANDA, Iscrizioni giudaiche del Napoletano, in
L. CIRILLO - G. RINALDI (curr.), Roma, la Campania e l’Oriente cristiano antico. Atti del Convegno di
studi (Napoli, 9-11 ottobre 2000), Napoli 2004, 189-209, qui 193 («Pace al tuo luogo di riposo»).
9 Il testo è inserito tra virgolette nell’articolo di Galante e non è intitolato Interpretazione e
commento di una iscrizione latino-ebraica, com’è stato più volte ripetuto; cf. Studi in onore di
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compiacendosi che sia opera del «giovane sacerdote Domenico Mallardo del
nostro Clero di Napoli, studioso d’Archeologia» 10 e augurando «a chi ci coa-
diuva nello studio degli antichi sepolcreti napoletani, e che assai meglio di
noi, non ostante l’età sua giovanile, sa esplorare ed illustrare le nostre patrie
antiche memorie […], che possa dare finalmente la tanto desiderata NAPOLI
SOTTERRANEA CRISTIANA» 11. Il 9 aprile 1912 è, invece, lo stesso Mallardo, ovvia-
mente presentato dal maestro, a illustrare all’Accademia una memoria su
una Nuova epigrafe greco-latina della fratria napoletana degli Artemisi 12.
L’iscrizione era stata rinvenuta verso la metà del mese precedente in contra-
da Carbonella a 2 km circa da Casoria. Galante, subito informato della sco-
perta, affida lo studio del manufatto al giovane allievo, insieme al quale si re-
ca a Casoria il 20 marzo, prima che l’epigrafe venga trasferita al Museo Ar-
cheologico Nazionale di Napoli. Il testo è inciso in tre colonne, le prime due
in greco, la terza in latino. L’iscrizione, datata al 194 d.C., contiene un de-
creto della fratria napoletana degli Artemisi in onore di Lucius Munatius
Hilarianus e la risposta di questi ai fretori.
La circostanza che nell’articolo ringrazia per i consigli il professor Anto-
nio Sogliano 13 potrebbe suggerire che, in quel periodo, Mallardo frequenta i
corsi che il docente tiene all’Università degli Studi di Napoli. Resta da accer-
tare se egli ha discusso la tesi proprio con Sogliano: sappiamo, infatti, che
consegue il diploma di Magistero in Filologia classica 14, presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Ateneo napoletano, il 22 giugno 1915, dies festus di
Paolino di Nola, alla cui devozione gli allievi di Galante erano educati 15. In
quegli anni, come si dirà, grazie all’appoggio del maestro, Mallardo dà avvio
alle ricerche archeologiche a Napoli, dirigendo un’indagine nell’atrio della

Domenico Mallardo, Napoli 1957, 205; V. DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo (1887-1958), in
Ephemerides Liturgicae 73 (1959) 145-148, qui 146-147; ORLANDO, Storia del capitolo, 324.
10 GALANTE, Un sepolcreto giudaico, 242.
11 Ivi 245.
12 Cf. D. MALLARDO, Nuova epigrafe greco-latina della fratria napoletana degli Artemisi, in
Memorie della Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 2 (1913) 2, 149-175.
13 Cf. MALLARDO, Nuova epigrafe greco-latina, 175, nota 1.
14 Cf. A. ZAMA, In devota memoria di Mons. Domenico Mallardo (1887-1958), Napoli 1958, 8-9;
CAPASSO, Ricordo, 2; DOVERE, Domenico Mallardo, 367; ID., Mons. Domenico Mallardo, 121; ORLANDO,
Storia del capitolo, 320.
15 Cf. DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo, 145.
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Basilica di S. Gennaro extra moenia e nella retrostante catacomba 16 e pren-


dendo parte a uno scavo in S. Restituta 17.
Nel 1927, a seguito della rinuncia del professor Catalano, Mallardo viene
nominato docente di Archeologia cristiana presso il Seminario Arcivescovile di
Napoli, incarico che mantiene anche dopo l’istituzione della Facoltà Teologica
Napoletana, dove assume anche la cattedra di Storia della Chiesa 18. L’attività
didattica, che esercita con impegno e dedizione fino agli ultimi giorni di vita 19,
gli offre l’occasione di approfondire le ricerche e di avviare nuove indagini 20.
Nel 1932, in occasione della scomparsa di Catalano, Mallardo pubblica una
sorta di recensione ai due volumi del Corso fondamentale di archeologia
cristiana compilato su i più recenti autori: ad uso delle scuole teologiche
d’Italia, nei quali il docente aveva raccolto le sue lezioni 21. Il primo volume,
intitolato La catacomba cristiana (Napoli 1904), rivela «l’ambito mentale
dell’autore, portato […] più a costruzioni di filosofia e di logica che a ricerca
ad esame e a coordinamento di fonti storiche e materiale archeologico», men-
tre il secondo, dedicato all’Arte cristiana primitiva (Napoli 1905), denuncia
chiaramente lo scopo che Catalano si era prefissato: «illustrare il materiale ar-
cheologico in funzione degli studi di teologia, trattare la scienza archeologica

16 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 25, nota 1 e 43, nota 1.


17 Cf. D. MALLARDO, Capsella di piombo della seconda metà del sec. XVI ritrovata nella basilica
di S. Restituta in Napoli, in Solemne Praeconium Januario Asprenati Galante ab amicis quin-
quagesimo recurrente anno ab initio ejus sacerdotio tributum, Neapoli 1921, 115-147, qui 143.
18 Cf. ZAMA, In devota memoria, 9; DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo, 145; L. DILIGENZA, Mons.
Domenico Mallardo, in Asprenas 6 (1959) 2, 137-143, qui 137, nota 1; CAPASSO, Ricordo, 3; BELLUCCI,
Commemorazione, 4; DOVERE, Domenico Mallardo, 367; DOVERE, Mons. Domenico Mallardo, 121;
ORLANDO, Storia del capitolo, 319; D. AMBRASI, Gli studi ianuariani di Domenico Mallardo, in San
Gennaro nel XVII centenario del martirio (305-2005). Atti del Convegno internazionale (Napoli,
21-23 settembre 2005), a cura di G. Luongo, 2 voll., Napoli 2007 [= Campania Sacra 37-38 (2006-
2007)], I, 57-64, qui 59.
19 Cf. DILIGENZA, Mons. Domenico Mallardo, 137: «Instancabile lavoratore moriva sulla breccia
dopo aver tenuto la lezione di archeologia il 7 giugno e dopo aver preparato schemi ed appunti per
la lezione del giorno 9 agli alunni della Facoltà Teologica».
20 Nell’ambito della sua attività di docente rientra un inedito manoscritto, intitolato Nozioni, li-
miti e ufficio dell’Archeologia cristiana (Archivio Mallardo, nella Biblioteca della Sezione S. Tom-
maso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale [d’ora in poi AM], fascicolo
7/11; cf. ORLANDO, Storia del capitolo, 327).
21 L’opera era stata recensita anche dal comune maestro (G. A. GALANTE, Un nuovo corso di ar-
cheologia cristiana, in Rivista di Scienze e Lettere 7 [1906] 2, 157-160).
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come ancella della teologia» 22. Mallardo non risparmia critiche al suo ex pro-
fessore per alcune imperdonabili lacune bibliografiche (come, ad esempio, la
mancata citazione del volume di Joseph Wilpert, Malereien der Katakomben
Roms, Freiburg 1903) e perché dimostra di non possedere «la fluidità e
quella apparente – ma solo apparente – semplicità di Galante»; nel rilevare
che Catalano, più che archeologo fu un apologista, ribadisce che «l’importan-
za dell’archeologia cristiana ossia dello studio dei monumenti dell’arte cri-
stiana antica (paleocristiana direi, se amassi le parole difficili) per gli studi
teologici rimane indiscussa» 23.
Al 1933 risalgono tre recensioni ad altrettanti saggi, apparsi tre anni pri-
ma nella Rivista di Archeologia Cristiana, che Mallardo pubblica nella
Rivista di Scienze e Lettere. Leggendo l’articolo di Francesco Fornari sulla
Regione cimiteriale nella ex vigna Chiaraviglio sulla via Appia, rimane
colpito dalla raffigurazione sul fronte dell’arcosolio 8 della galleria m’-o di
un giovane imberbe con lunga tunica clavata, pallio e sandali 24 che gli ricor-
da, per la posizione e il gesto della mano destra sollevata verso l’alto, l’imma-
gine di sant’Eutiche dipinta in un arcosolio della Catacomba di S. Severo a
Napoli 25. Il suo interesse, però, è rivolto in particolare a due epigrafi della
seconda metà del IV secolo edite da Fornari e che presentano riferimenti alla
Campania: se nella prima, infatti, è citato un consularis Campaniae 26, l’iscri-
zione di Quodvultdeus 27 gli offre la possibilità di segnalare la ricorrenza

22 MALLARDO, Don Modesto Catalano, 158-159.


23 Ivi 159. Cf. a tal proposito quanto aveva scritto il comune maestro (G. A. GALANTE, Importanza
degli studi di archeologia cristiana nella teologia, in Rivista di Scienze e Lettere 5 [1904] 36).
24 Cf. F. FORNARI, Regione cimiteriale nella ex vigna Chiaraviglio sulla via Appia, in Rivista di
Archeologia Cristiana 7 (1930) 167-200, qui 184, fig. 6.
25 Cf. D. MALLARDO, recensione a F. FORNARI, Regione cimiteriale nella ex vigna Chiaraviglio sul-
la via Appia, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 1, 28-29. Per l’immagine di sant’Eutiche
cf. H. ACHELIS, Die Katakomben von Neapel, Leipzig 1936, 67-68, tav. 37; D. MALLARDO, S. Gennaro e
compagni nei più antichi testi e documenti, in Rendiconti della Real Accademia di Archeologia,
Lettere e Belle Arti in Napoli 20 (1939-1940) 161-267, qui 227; ID., La vite negli antichi monu-
menti cristiani di Napoli e della Campania, in Rivista di Archeologia Cristiana 25 (1949) 73-
103, qui 86; G. RASSELLO, S. Severo fuori le mura, Napoli 1985, 30; G. A. GALANTE, La Catacomba di
San Severo in Napoli, a cura di G. Rassello, Napoli 1987, 95; G. LICCARDO, Redemptor meus vivit.
Iscrizioni cristiane antiche dell’area napoletana, Trapani 2008, 126, n. 143.
26 Cf. FORNARI, Regione cimiteriale, 196.
27 Cf. ivi 190.
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dell’antroponimo in un’epigrafe nolana del 455 (CIL, X, 1341) [Fig. 2] e nel


contempo di criticare Galante per l’interpretazione di un testo greco trovato a
Napoli «nella bonifica della regione di Porto» 28.
Le altre due recensioni sono relative ad altrettanti contributi su alcune pittu-
re del cimitero romano dei SS. Pietro e Marcellino sulla via Labicana, pubblica-
ti da Johann Peter Kirsch, direttore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristia-
na. Nella recensione all’articolo intitolato Pitture inedite di un arcosolio del
cimitero dei ss. Pietro e Marcellino, Mallardo concorda con Kirsch che ha
interpretato la scena di banchetto raffigurata nell’arcosolio situato in fondo al
cubicolo doppio come un refrigerium celeste 29. Nella recensione all’altro
contributo, relativo a Un gruppo di cripte dipinte inedite del cimitero dei
ss. Pietro e Marcellino, lo studioso napoletano accenna alle pitture dei cubi-
coli 9, 19 e 21, avanzando una personale interpretazione dei quattro perso-
naggi con rotolo (tre uomini e una donna) dipinti negli arcosoli laterali del
cubicolo 19 30. La «mancanza di spazio» impedisce a Mallardo di pubblicare
nello stesso numero della Rivista di Scienze e Lettere la recensione a un al-
tro articolo che Kirsch aveva dedicato ai Cubicoli dipinti del cimitero dei
ss. Pietro e Marcellino sulla via Labicana nell’annata 1932 della Rivista di
Archeologia Cristiana; quando nel 1934 dà alle stampe la recensione, la sua
attenzione ricade sul Battesimo di Cristo raffigurato al centro della volta in
un arcosolio del cimitero romano 31. Nell’accettare l’identificazione dei raggi
che partono dal becco della colomba con la luce, Mallardo si dichiara stupi-
to per il mancato confronto con «il sarcofago di Giunio Basso, che, se non è
anteriore al nuovo dipinto del cimitero dei ss. M. e P., è coevo perchè sulla
sua fronte è incisa, come si sa, la data consolare del 359»; nel contempo ri-
chiama l’analoga scena esistente nelle Catacombe di S. Gennaro a Napoli, dove,

28 G. A. GALANTE, Illustrazione d’una lapide greca ritrovata in Napoli, in Atti della Accademia
Pontaniana 51 (1921) 123-126, qui 123.
29 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. P. KIRSCH, Pitture inedite di un arcosolio del cimitero dei
ss. Pietro e Marcellino, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 1, 29-30.
30 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. P. KIRSCH, Un gruppo di cripte dipinte inedite del cimitero
dei ss. Pietro e Marcellino, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 1, 30-33, qui 32 («Voglio
credere che il chiarissimo illustratore di questi dipinti mi consenta volentieri di aggiungere qualche
mia idea a quelle egregiamente esposte da lui»).
31 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. P. KIRSCH, Cubicoli dipinti del cimitero dei ss. Pietro e Mar-
cellino sulla via Labicana, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1934) 2, 92-94.
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però, le vesti di Cristo sono sorrette dall’angelo 32, come si riscontra nel cimi-
tero romano di Ponziano.
Il primo contributo interamente dedicato a un argomento di archeologia
cristiana è rappresentato dal saggio La questione dei cristiani a Pompei
che Mallardo pubblica nel primo numero della Rivista di Studi Pompeiani
(1934-1935) 33. Il lavoro, come si dirà, rientra nell’appassionata polemica tra
fautori e negatori della presenza cristiana nell’antica cittadina vesuviana. Mal-
lardo, con un tono talora sarcastico e pungente, critica severamente la posi-
zione degli studiosi (tra i quali Giovanni Battista de Rossi, Raffaele Garrucci,
Henri Leclercq e Matteo Della Corte) che avevano interpretato in chiave cri-
stiana graffiti, iscrizioni e manufatti rinvenuti nel corso degli scavi. Nel 1936
dà alle stampe una monografia intitolata Ricerche di storia e di topografia
degli antichi cimiteri cristiani di Napoli, ma che, come vedremo, rappresen-
ta la rielaborazione di alcuni articoli apparsi tra il 1933 e il 1934 nella Rivista
di Scienze e Lettere 34. «Il titolo, che si presenta un po’ troppo generico, si li-
mita a esaminare l’intrigata questione dei santi Efebo, Fortunato e Massimo,
vescovi napoletani del sec. IV, e della loro traslazione dai cimiteri suburbani
alla Stefania»; «intrigata questione […] perché essa implica tutto un com-
plesso di problemi di critica storia e di archeologia locale, in cui il prof. Mal-
lardo rivela tutta la sua speciale competenza, oramai da lunghi anni a tutti
nota» 35. Tra il 1938 e il 1941 la sua attenzione alle testimonianze archeolo-
giche napoletane di età paleocristiana aumenta gradualmente in rapporto al
progresso dei suoi studi sul dossier agiografico di san Gennaro pubblicati nei
Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 36.

32 Per l’affresco cf. U. M. FASOLA, Le Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, Roma 1975, 204;
G. BERTELLI, Affreschi altomedievali dalle Catacombe di S. Gennaro a Napoli. Note preliminari, in
Bessarione. La Cristologia nei Padri della Chiesa, Roma 1992, 119-139, qui 126, fig. 2.
33 Cf. D. MALLARDO, La questione dei cristiani a Pompei, Napoli 1935 [estratto da Rivista di
Studi Pompeiani 1 (1934-1935) 2-3, 116-165 e 217-261].
34 Cf. D. MALLARDO, Calendario inedito della Chiesa napoletana. L’invenzione dei SS. Efebo
Fortunato e Massimo, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 4, 173-196; 5 (1934) 1, 7-34; 5
(1934) 2, 69-81; cf. pure ID., Ricerche di storia, 3.
35 G. M. PERRELLA, recensione a D. MALLARDO, Ricerche di storia e di topografia degli antichi
cimiteri cristiani di Napoli, Napoli 1936, in Ephemerides Liturgicae 54 (1940) 3-4, 219-220.
36 Cf. D. MALLARDO, La via Antiniana e le memorie di S. Gennaro, in Rendiconti della Real
Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 19 (1938-1939) 301-365; ID., S. Genna-
ro e compagni, 161-267; ID., Un supposto fratello di S. Gennaro e l’onestà scientifica di Nicolò
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Intanto, sulla scia della devozione di Galante per Paolino di Nola, comincia a
occuparsi del complesso basilicale di Cimitile; nel 1938, come si dirà, pub-
blica uno studio iconografico su una lastra marmorea paleocristiana che era
stata rinvenuta tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nella cripta
della cattedrale di Nola 37.
Sebbene il principale interesse di studio rimanga l’epigrafia cristiana, come
dimostrano i ripetuti accenni alle iscrizioni in quasi tutti i suoi lavori, nel 1946
affronta un tema di architettura, pubblicando nella Rivista di Archeologia
Cristiana un contributo su L’exedra nella basilica cristiana 38. L’esame delle
testimonianze letterarie gli consente di respingere l’identificazione dell’exedra
con il pulpito, la cattedra episcopale o l’ambone e di dimostrare che il termi-
ne indica l’abside della basilica paleocristiana 39. L’anno successivo pubblica Il
Calendario Marmoreo di Napoli che, come rileva Antonio Ferrua, è un «egre-
gio esempio di ricerca storico-erudita, fatta con quella profondità, serietà e cu-
ra del particolare, che troppo spesso oggi si desidererebbero maggiori in simi-
li trattazioni di autori nostrani» 40. Il lavoro, pur essendo incentrato su temati-
che di agiografia e storia della chiesa, contiene molti spunti di riflessione sui
temi dell’archeologia cristiana. Il primo contatto con il calendario risale al
1933, allorché monsignor Kirsch chiede a Mallardo di rilevare le misure delle
lastre «per corredarne lo studio dell’Erhard in Riv. di archeologia cristiana»;
i dati, però, non vengono pubblicati, perché Kirsch li ritiene «più meritevoli
di comparire insieme col testo del Calendario nei Monumenta christiana
epigraphica del Silvagni» 41, dove poi saranno effettivamente inseriti 42.

Carminio Falcone, in Rendiconti della Real Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in
Napoli 21 (1941) 165-191.
37 Cf. D. MALLARDO, Una fronte d’altare nolana della fine del sec. V, in Campania Romana.
Studi e materiali editi a cura della sezione campana degli Studi Romani, I, Napoli 1938, 269-291.
38 Cf. D. MALLARDO, L’exedra nella basilica cristiana, in Rivista di Archeologia Cristiana 22
(1946) 191-211.
39 Cf. V. DE ROSA, recensione a D. MALLARDO, L’exedra nella basilica cristiana, in Bollettino
Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli 28 (1946) 1, 15.
40 A. FERRUA, Antichità cristiane. Il Calendario Marmoreo di Napoli, in La Civiltà Cattolica
99 (1948) I, 53-61, qui 60-61.
41 D. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo di Napoli, Roma 1947, 8.
42 Cf. A. SILVAGNI, Monumenta epigraphica christiana saeculo XIII antiquiora quae in Italiae
finibus adhuc extant, IV/I, Neapolis, Città del Vaticano 1943, tavv. I-VI (dimensioni di ciascuna
tavola: 6,05x0,85 m); cf. pure MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 9 (la lastra con i primi sei
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Sempre nel 1947 Mallardo recensisce, sulle pagine della rivista Epheme-
rides Liturgicae, un inedito lavoro di Giovanni Battista de Rossi Sulla que-
stione del vaso di sangue, che era stato pubblicato tre anni prima a cura di
Ferrua; nel riassumere gli argomenti trattati nel volume, Mallardo, come già
aveva fatto in altre occasioni, non manca di riferire qualche sua «breve nota»
e di registrare alcune manchevolezze 43.
Stimolato dalla lettura del volume ‘Ampelos. Il simbolo della vite nell’arte
pagana e paleocristiana pubblicato nel 1947 da Corrado Leonardi 44 e dalle
discordanti recensioni di Giuseppe Bovini e Ferrua 45, Mallardo nel 1949 de-
dica uno studio a La vite negli antichi monumenti cristiani di Napoli e
della Campania con la speranza che il lavoro «possa recare un utile contri-
buto alla esattezza delle interpretazioni e alla fondatezza delle conclusioni» 46.
Lo studio iconografico è basato su motivi raffigurati nelle Catacombe di S. Gen-
naro e S. Gaudioso, nel Battistero di S. Giovanni in Fonte, nella Cappella di
S. Matrona a S. Prisco presso S. Maria Capua Vetere, nella Basilica di S. Felice
a Cimitile, nell’abside della Basilica severiana di Napoli e nella lastra con la cro-
ce gemmata [Fig. 19] conservata nella Cattedrale di Nola 47. A suo avviso, i tral-
ci e i grappoli visibili nell’ambulacro massimo al piano inferiore delle Catacom-
be di S. Gennaro, nel vestibolo superiore e in alcuni arcosoli adiacenti rivesto-
no una funzione puramente decorativa 48. Il mosaico con il cantharus [Fig. 3],
da cui escono due tralci vitinei popolati di volatili, esistente in un arcosolio
della Catacomba di S. Gaudioso, mostra, invece, «una reminiscenza, quantun-
que inconsapevole, del simbolismo dionisiaco della felicità ultraterrena» e, se

mesi è lunga 6,03 m e alta 88 cm, mentre quella con i rimanenti sei mesi è lunga 6,05 m e alta 87-
88 cm).
43 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. B. DE ROSSI, Sulla questione del vaso di sangue. Memoria
inedita con introduzione e appendici di documenti inediti, a cura di A. Ferrua, Città del Vaticano
1944, in Ephemerides Liturgicae 61 (1947) 1, 120-124, qui 123-124.
44 Cf. C. LEONARDI, ‘Ampelos. Il simbolo della vite nell’arte pagana e paleocristiana, Roma 1947.
45 Cf. G. BOVINI, in Ephemerides Liturgicae 61 (1947) 1, 359-362; A. FERRUA, in La Civiltà Cat-
tolica 99 (1948) II, 199-200.
46 MALLARDO, La vite, 73. Per il tema iconografico cf. M. GUJ, Vite, in F. BISCONTI (cur.), Temi di
iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 306.
47 Un’analoga scelta di motivi iconografici è alla base di un inedito lavoro sulla raffigurazione
della Vergine (AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7
luglio 1947); cf. il contributo di Carmine Matarazzo in questo volume.
48 Cf. MALLARDO, La vite, 73-77, fig. 1.
170 CARLO EBANISTA

«deve avere un significato simbolico, esso simboleggia il paradiso» 49. Escluden-


do l’ispirazione al passo evangelico (cf. Gv 15,1-6) richiamata da Leonardi,
Mallardo critica fortemente lo studioso perché, basandosi esclusivamente
sulla vicinanza e sulla presenza della vite, ha accostato questa stesura musiva
(cosiddetta del Calice ansato) al mosaico con tralcio vitineo che percorre la
calotta di un altro arcosolio della Catacomba di S. Gaudioso e include in bas-
so una coppia di agnelli e al centro un’aquila ad ali spiegate posata su un cli-
peo campito da una croce apocalittica 50 [Fig. 4]. La mancanza della mano
divina esclude che questo mosaico rappresenta un’allusione al dogma della
Trinità, come ha supposto padre Antonio Bellucci; per Mallardo esso «è una
allegoria del Cristo, incoronato quale vincitore e trionfatore» 51. La sua lettu-
ra del mosaico, oggi comunemente noto come Trionfo della croce [Fig. 4],
appare però «riduttiva», in quanto l’aquila allude anche alla celebrazione del-
la vittoria sulla morte 52. Contestando il valore simbolico della vite per la posi-
zione non dominante nel mosaico 53, lo studioso, che dichiara di non essere «un
negatore del simbolismo», sostiene «che non si può ritener che ogni prodotto
dell’antica arte cristiana sia una sintesi teologica, e, nel caso speciale, che l’ar-
cosolio napoletano debba essere un trattato completo di Cristologia» 54. Appel-
landosi all’autorità di de Rossi, afferma inoltre che «il simbolismo deve essere
sempre dimostrato con prove positive» 55.
Mallardo esclude ogni riferimento al simbolismo della vitis vera del Van-
gelo di Giovanni anche per un altro tema iconografico presente nelle catacom-
be napoletane: l’immagine di Cristo, di un santo o di un fedele in un clipeo,

49 L’accenno a un paradiso simbolico (MALLARDO, La vite, 85-86) è stato recentemente ribadito


da F. BISCONTI, Mosaici nel cimitero di S. Gaudioso: revisione iconografica e approfondimenti
iconologici, in A. PARIBENI (cur.), Atti del VII Colloquio AISCOM (Pompei, 22-25 marzo 2000), Ra-
venna 2001, 87-98, qui 91.
50 Cf. MALLARDO, La vite, 80.
51 Ivi 87 e 91.
52 Cf. M. AMODIO, La componente africana nella civiltà napoletana tardo-antica. Fonti lette-
rarie ed evidenze archeologiche, in Memorie della Pontificia Accademia Romana di Archeologia
serie III 3 (2005) 1-257, qui 101, nota 182.
53 Cf. MALLARDO, La vite, 92.
54 Ivi 92.
55 Ivi 100. Nel 1932 Mallardo aveva scritto che «oggi le teorie di cinquant’anni fa sulle idee ispi-
ratrici e sul valore simbolico dell’antica arte cristiana vengono da alcuni battute in breccia, da altri,
se non del tutto, in gran parte abbandonate» (MALLARDO, Don Modesto Catalano, 159).
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 171

intorno al quale si sviluppano avvolgimenti vitinei 56: è il caso, ad esempio,


dell’effigie di Cristo rappresentata in alcuni dipinti delle Catacombe di S. Gen-
naro 57; il tralcio con pampini e grappoli in cui è incastonato il busto di san
Gaudioso visibile in un arcosolio dell’omonima catacomba non rappresenta
la Chiesa napoletana, dal momento che il santo fu vescovo di Abitinae nel-
l’Africa Proconsolare e non di Napoli, dove approdò come esule con altri
compagni 58. A proposito della lastra nolana con la croce gemmata [Fig. 19]
Mallardo afferma che è «assurdo ridurre l’idea ispiratrice dello schema ico-
nografico […] al concetto di Cristo-vite», dal momento che «l’idea domi-
nante è quella del Cristo trionfante, venerato dal coro apostolico»; il motivo
della vite, tuttavia, «non può essere ridotto alla funzione di una semplice cor-
nice decorativa», ma è strettamente legato all’impiego del manufatto come
paliotto di altare 59.
Negli anni Cinquanta l’interesse di Mallardo, come vedremo, si estende al-
le antichità cristiane dell’isola d’Ischia, in relazione alle scoperte archeologi-
che effettuate da don Pietro Monti nella Chiesa di S. Restituta a Lacco Ameno.
Nel 1954 partecipa al V Congresso internazionale di Archeologia cristiana ad
Aix-en-Provence illustrando la fronte di un sarcofago Bethesda [Fig. 28] con-
servato nell’episcopio di Ischia e sconosciuto agli specialisti 60. Tre anni dopo
rimette in luce l’epigrafe del vescovo Massimo che era stata scoperta e nuova-
mente sotterrata da Galante nel 1882 nella cappella del Sacramento del duo-
mo di Napoli; quando il 4 luglio 1957 presenta i risultati dell’indagine all’Ac-
cademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli, Mallardo, conscio del-
le difficoltà che incontrerà sul suo cammino, si augura di «continuare il lavo-
ro per rimettere in luce tutto il monumento, e che esso non sia di nuovo se-
polto nell’altare» 61. Se questo auspicio si è poi realizzato, purtroppo non fa
in tempo a pubblicare i risultati della sua ultima indagine archeologica.

56 Cf. MALLARDO, La vite, 93-94.


57 Cf. ivi 95.
58 Cf. ivi 97-98.
59 Cf. Ivi 102-103.
60 Cf. D. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano dell’isola d’Ischia, in Actes du Ve Congrès Interna-
tional d’Archéologie Chrétienne (Aix-en-Provence 1954), Città del Vaticano-Paris 1957, 245-255.
61 D. MALLARDO, Recenti scavi nella Cattedrale di Napoli, in Asprenas 6 (1959) 2, 144-151,
qui 151.
172 CARLO EBANISTA

2. La questione dei cristiani a Pompei

L’interesse per questo affascinante tema trae origine da due contributi pub-
blicati da Matteo Della Corte nel 1927 e nel 1934 62, cui Mallardo risponde con
un lungo, polemico saggio apparso nel primo numero della Rivista di Studi
Pompeiani (1934-1935) 63. Dopo aver passato in rassegna le testimonianze
della presenza giudaica a Pompei, lo studioso esamina le iscrizioni e i graffiti
della cosiddetta “Casa dei cristiani” dimostrando la completa assenza di legami
con l’ambiente cristiano, considerato peraltro che alcuni di essi hanno un evi-
dente contenuto osceno o erotico. È il caso, ad esempio, del graffito mulus
hic muscellas docuit che de Rossi e Della Corte avevano interpretato in chia-
ve cristiana, mentre – come rileva Mallardo – il disegno che accompagna il
testo è chiaramente evocativo del carattere osceno del messaggio. Il termine
mulus, sottolinea lo studioso, non ha alcuna relazione con l’accusa di onola-
tria che veniva rivolta ai cristiani; su questo tema, come tiene a precisare,
Mallardo tornerà con uno studio specifico 64. Nessuna allusione ai cristiani
traspare dall’iscrizione otiosus locus hic non est discede morator che rap-
presenta, infatti, un monito a non insozzare la strada e a non fermarsi davan-
ti alla vicina cella meretricia. Nella parte finale del saggio Mallardo analizza le
testimonianze della cultura materiale (anelli, dolia, anfore, lucerne) che, per
la presenza di segni o simboli, sono state attribuite all’ambito cristiano. An-
che in questo caso non risparmia critiche a de Rossi, autore di un articolo
sugli anelli con raffigurazione del pesce o della colomba, «che difetta di com-
piuta chiarezza e precisione» 65. Ancora più severo è il giudizio espresso su
Leclercq che, a differenza del celebre archeologo romano, aveva annoverato
gli anelli con il pesce tra gli oggetti sicuramente cristiani. Mallardo, acco-
gliendo la tesi proposta da de Rossi, esclude che gli anelli con pesce o co-
lomba trovati a Pompei siano riconducibili a cristiani. Analogo discorso vale

62 Cf. M. DELLA CORTE, Pompei e i Cristiani, in Archivio Storico della Provincia di Salerno 6
(1927) 2-3, 175-178; ID., Le più remote esplorazioni di Pompei. Nuovi contributi allo studio su
Pompei e i cristiani, in Historia: studi storici per l’antichità classica 8 (1934) 354-372.
63 Cf. MALLARDO, La questione.
64 Cf. D. MALLARDO, La calunnia onolatrica contro i cristiani, in Atti della Reale Accademia di
Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli n.s. 15 (1935-1936) 117-138.
65 MALLARDO, La questione, 74.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 173

per i dolia e le anfore con presunti segni cristiani; a tal proposito confuta le
«fantasticherie» di Garrucci che aveva interpretato in chiave cristiana alcuni
monogrammi tracciati su anfore pompeiane 66. L’ultima parte del saggio è de-
dicata all’analisi di quattro lucerne in terracotta: una decorata con croce
gemmata fu scoperta a Pompei 67, una con gli esploratori che tornano da Ca-
naan recando su una pertica un grande grappolo d’uva (cf. Nm 13,1-27)
venne trovata a Boscoreale in contrada Pisanella 68, mentre le altre due, orna-
te rispettivamente con la croce tra due ramoscelli o con la croce monogram-
matica, furono rinvenute in una villa rustica in contrada Rota a Boscoreale;
se della prima lucerna s’ignora l’esatta provenienza, le altre sono chiaramen-
te riconducibili a sepolcreti del IV secolo d.C. Rinvenendo negli scritti di Pao-
lino di Nola un riferimento all’episodio biblico 69, Mallardo ipotizza che la lu-
cerna di contrada Pisanella venne prodotta in un’officina «posta entro il rag-
gio d’influenza del Santo di Nola» 70. In merito alle lucerne di contrada Rota,
lo studioso precisa, invece, che bisogna «prendere in esame tutti i dati strati-
grafici e monumentali della zona del ritrovamento e procedere anche a un
esame diretto delle due lucerne» 71. Il suo saggio dimostra l’infondatezza del-
le presunte prove della presenza cristiana a Pompei, ma non convince del tut-
to Ferrua che, pur apprezzando il rigore scientifico del «notevole studio» di
Mallardo, ritiene difficile negare che nel graffito della cosiddetta “Casa dei
cristiani” «vi fosse scritto il nome cristiano» 72, come ribadirà qualche anno
dopo anche Carlo Cecchelli 73. Della Corte, dal canto suo, non si dà per vinto,

66 Cf. ivi 79.


67 La lucerna non venne rinvenuta l’11 gennaio 1756 come aveva scritto Garrucci, ma fu regi-
strata il 1° febbraio 1756 (MALLARDO, La questione, 81-82); cf. M. PAGANO - R. PRISCIANDARO, Studio
sulle provenienze degli oggetti rinvenuti negli scavi borbonici del Regno di Napoli. Una lettura
integrata, coordinata e commentata della documentazione, Castellammare di Stabia 2006, 21.
68 Cf. A. SOGLIANO, Boscoreale. Tombe cristiane in contrada “Pisanella”, in Notizie degli Scavi
di Antichità 5 (1897) 1, 109.
69 Cf. PAOLINO DI NOLA, Epistula 23, 7.
70 MALLARDO, La questione, 86. La lucerna di contrada Pisanella sembra appartenere alla Forma III
della produzione napoletana (cf. F. GARCEA, Le produzioni di lucerne fittili nel golfo di Napoli fra tar-
doantico ed altomedioevo [IV-VIII secolo], in Archeologia Medievale 26 [1999] 447-461, qui 458).
71 Ivi 91.
72 A. FERRUA, Sull’esistenza di cristiani a Pompei, in La Civiltà Cattolica 88 (1937) III, 127-
139, qui 128.
73 Cf. C. CECCHELLI, Il trionfo della croce, Roma 1954, 158.
174 CARLO EBANISTA

soprattutto dopo che nel 1936 scopre a Pompei due graffiti con il cosiddetto
“quadrato magico” 74. Mallardo ritorna brevemente sull’argomento nel 1948,
ribadendo la sua posizione, dal momento che «nessuno degli indizi di cristia-
nesimo, neppure il quadrato magico […], resiste ad un esame critico»;
quanto poi alla cosiddetta “croce” di Ercolano, dichiara «con rincrescimen-
to» di non essere «persuaso che si tratti di una croce» 75.

3. Le antichità cristiane di Napoli

Destinato da Galante a dare alle stampe «la tanto desiderata» Napoli sot-
terranea cristiana 76, Mallardo dedica gran parte delle sue ricerche alle te-
stimonianze archeologiche napoletane (iconografia, topografia cimiteriale,
epigrafia, architettura) nella convinzione che «la storia delle origini della
Chiesa di Napoli può essere tracciata col sussidio di fonti letterarie e di fonti
monumentali» 77.
Sin dalle prime pubblicazioni presta attenzione agli aspetti iconografici per
i quali mostra «interessanti intuizioni» 78. Nel 1931, in un lavoro sul vescovo Se-
vero (fine IV-inizi V secolo) edito nel Bollettino Ecclesiastico dell’Archidiocesi
di Napoli, si occupa dello scomparso mosaico con il collegio apostolico, sedu-
to e serrato intorno a Cristo, che, stando alla descrizione dei Gesta episcoporum
Neapolitanorum 79, decorava l’abside della Basilica severiana (odierna S. Giorgio

74 Cf. M. DELLA CORTE, Il crittogramma del “Pater Noster” rinvenuto a Pompei, in Rendiconti
della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 12 (1936) 397-400; ID., Il crittogramma del
“Pater Noster”, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 17
(1937) 79-99, qui 96 («senza dar peso a qualche voce discordante» con riferimento a Mallardo);
ID., I cristiani a Pompei, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in
Napoli 19 (1938-1939) 5-30, qui 11-17.
75 D. MALLARDO, Le origini della Chiesa di Napoli, in Miscellanea Pio Paschini. Studi di Storia
Ecclesiastica n.s. 14 (1948) 1, 27-68, qui 67-68.
76 Cf. GALANTE, Un sepolcreto giudaico, 245.
77 MALLARDO, Le origini, 33.
78 M. AMODIO, Gli studi di archeologia cristiana a Napoli dal ’600 ad oggi, in CIRILLO - RINALDI,
Roma, 229-253, qui 241.
79 Cf. Gesta Episcoporum Neapolitanorum, a cura di G. WAITZ, in MGH, Scriptores rerum Lan-
gobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, 398-436, qui 405, cap. 4 («depixit ex
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 175

Maggiore) 80. Scampata alla distruzione nel 1880, grazie al provvidenziale in-
tervento di Galante, l’abside presenta al centro un triforium costituito da tre
archi poggianti su due colonne con capitelli e pulvini adorni di croci mono-
grammatiche del tipo apocalittico [Fig. 5]. Accogliendo l’ipotesi avanzata da
de Rossi 81, Mallardo sostiene che i quattro personaggi che erano raffigurati
al di sotto del collegio apostolico, con in mano una corona di ulivo, grappoli
d’uva, spighe, rose e gigli, simboleggiavano le stagioni 82 e non i profeti Isaia,
Geremia, Daniele e Ezechiele, come invece riferisce l’autore dei Gesta. Mallar-
do respinge decisamente l’allusione alla Madre di Dio che, secondo il cronista,
si evincerebbe dalla corona di ulivo. Accettando la possibilità che le parole fiat
pax fossero in corrispondenza dell’ulivo, simbolo ordinario di pace, Mallar-
do rileva che il salmo fiat pax in virtute tua et abundantia in turribus tuis
(Ps 121,7) compariva sulla porta di una chiesa presso Theveste in Numidia,
dove, tra due monogrammi fiancheggiati dalle lettere apocalittiche, si leggeva
aeclesiae domus, in deo vivitur | fiat pax in virtute tua | et abundantia in
turribus tuis. L’identificazione con le stagioni, che intanto è stata accolta da Le-
clercq 83, viene riproposta da Mallardo nel 1949, allorché dichiara che le quat-
tro figure erano posizionate «forse tra le finestre» e ribadisce l’assenza di qual-
siasi riferimento alla Vergine; quanto alla datazione, non ha dubbi che l’abside
venne costruita agli inizi del V secolo, durante l’episcopato di Severo 84.

musivo Salvatorem cum 12 apostolos sedentes, habentes subtus quattuor prophetas, distinctos pre-
tiosis marmorum metallis. Esaias cum olive coronam nativitatem Christi et perpetue virginitatis Dei
genetricis Mariae designare voluit, dicendo: “Fiat pax”. Hieremias per uvarum offertionem virtutem
Christi et gloriam passionis prefiguratur, cum dicitur: “In virtute tua”. Danihel spicas gerens Domini
adnuntiatur secundum adventum, in quo omnes boni et mali colliguntur ad iudicium. Propterea dic-
tum est: “Et abundantia”. Ezechias proferens manibus rosas et lilias, fidelibus regnum caelorum de-
nuntians; unde scriptum est: “In turribus tuis”. Etenim in rosis sanguis martyrum, in liliis perseve-
rantia confessionis exprimitur»).
80 Cf. D. MALLARDO, Sacre Memorie Napoletane: S. Severo vescovo di Napoli, in Bollettino Ec-
clesiastico dell’Archidiocesi di Napoli 12 (1931) 4-7, 61-66, 92-96, 121-123, 140-142, qui 92-94.
81 Cf. G. B. DE ROSSI, L’abside della basilica severiana di Napoli, in Bullettino di Archeologia
Cristiana serie III 5 (1880) 144-160, qui 146.
82 Cf. MALLARDO, Sacre Memorie, 94 («Le stagioni dovevano essere rappresentate da figure maschi-
li; se fossero state femminili, era impossibile che il cronista le avesse scambiate per i quattro profeti»).
83 Cf. H. LECLERCQ, Naples, in Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, XII/1, Paris
1935, 691-776, qui 732.
84 Cf. MALLARDO, La vite, 100.
176 CARLO EBANISTA

Nel 1967 Bovini, che conosce solo l’articolo di Mallardo del 1949, respin-
ge l’ipotesi dello studioso napoletano, riproponendo la tradizionale identifi-
cazione dei quattro personaggi con i profeti 85 e immaginando che essi fosse-
ro collocati «due a destra e due a sinistra della grande apertura a trifora rica-
vata al centro dell’abside» 86. Di recente, l’ipotesi di Mallardo, peraltro già ri-
gettata da Mario Rotili 87, è stata riconsiderata da Fabrizio Bisconti, secondo il
quale le personificazioni delle stagioni attribuirebbero alla composizione
musiva napoletana quel generico contesto cosmico, non estraneo ai progetti
iconografici dell’epoca, che è attestato nel programma absidale dello scom-
parso oratorio romano del Monte della Giustizia e nella cosiddetta “cripta dei
fornai” nelle Catacombe di Domitilla 88.
L’interesse di Mallardo per le pitture paleocristiane e altomedievali delle ca-
tacombe napoletane si sviluppa negli anni Trenta in rapporto soprattutto allo
studio del dossier agiografico di san Gennaro. Nel 1934, in margine alla recen-
sione di un articolo di Kirsch sui dipinti del cimitero romano dei SS. Pietro e
Marcellino 89, accenna al suo dissenso con la periodizzazione degli affreschi ci-
miteriali di Napoli che era stata proposta da Galante 90. Tre anni dopo Mallardo
si sofferma, invece, sull’affresco con le sante Giuliana, Caterina, Agata, Eugenia
e Margherita visibile in un’edicola al livello inferiore delle Catacombe di S.
Gennaro 91; in relazione ai lavori promossi dal vescovo Atanasio I, assegna il di-
pinto al IX secolo 92. Tra il 1937 e il 1938 prende in esame l’affresco che orna

85 Cf. G. BOVINI, Mosaici paleocristiani scomparsi di Napoli, in XIV Corso di cultura sull’arte
ravennate e bizantina (Ravenna 5-17 marzo 1967), Ravenna 1967, 21-34, qui 27 (se i quattro per-
sonaggi fossero stati «allegorie di stagioni […], avrebbero, con ogni verosimiglianza, avuto l’aspet-
to di figure femminili, anziché virili. In questo caso – è evidente – il cronista del IX secolo non le
avrebbe certo scambiate per figure di Profeti»).
86 Ivi 25-26.
87 Cf. M. ROTILI, L’arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, 19-20.
88 Cf. F. BISCONTI, Imprese musive paleocristiane negli edifici di culto dell’Italia Meridionale:
documenti e monumenti dell’area campana, in R. M. CARRA BONACASA - F. GUIDOBALDI (curr.), Atti del
IV Colloquio AISCOM (Palermo, 9-13 dicembre 1996), Ravenna 1997, 733-746, qui 738, figg. 7-8.
89 Cf. MALLARDO, recensione a KIRSCH, Cubicoli dipinti, 93.
90 Cf. G. A. GALANTE, Importanza delle pitture nelle catacombe di Napoli, in Atti della Accade-
mia Pontaniana 36 (1906) 1-17.
91 Cf. D. MALLARDO, Ordo ad ungendum infirmum, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 8 (1937)
4, 144-197, qui 176-177 e 191.
92 Più di recente l’affresco è stato variamente datato all’VIII secolo (ROTILI, L’arte a Napoli, 40), al
X (FASOLA, Le Catacombe, 204, fig. 128, tav. XV) o all’XI (BERTELLI, Affreschi altomedievali, 137, fig. 8).
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 177

la tomba a calotta di Bitalia nelle medesime catacombe, entrando in polemi-


ca con Hans Achelis in merito alla disposizione dei nomi degli evangelisti di-
pinti ai lati del busto della defunta 93. Nel 1939 osserva che l’affresco con san
Gennaro tra le defunte Cominia e Nicatiola, visibile in un arcosolio delle Ca-
tacombe di S. Gennaro, va attribuito «ad una data posteriore al secondo de-
cennio del sec. V», poiché non può essere stato eseguito prima della trasla-
zione dei resti del santo compiuta dal vescovo Giovanni I († 432); se non
chiarisce il motivo per cui è «incline a giudicarlo della seconda metà inoltrata
del sec. V», rileva, però, che la presenza del nimbo con la croce monogram-
matica è «indizio di specialissimo onore» per il santo 94. In realtà, come han-
no evidenziato i restauri degli anni Settanta, nel nimbo c’è il chrismon con le
lettere apocalittiche e non la croce monogrammatica 95.
Nel saggio su Le origini della Chiesa di Napoli pubblicato nel 1948 Mal-
lardo si sofferma sui più antichi affreschi delle Catacombe di S. Gennaro; rile-
vando che il vestibolo inferiore nasce come ipogeo di famiglia, a differenza di
quello superiore, data le pitture presenti nella volta del vestibolo inferiore al-
la metà del II secolo e quelle del soffitto del vestibolo superiore agli inizi del
III secolo 96. A proposito di questi ultimi affreschi, afferma che il Pastore di
Erma (140-154 d.C.) «offre un decisivo terminus post quem per la datazio-
ne del dipinto» con la Costruzione di una torre [Fig. 6]: poiché il Canone
Muratoriano (fine II secolo-inizi III secolo) sentenzia che il Pastore non può
essere annoverato tra i libri canonici, Mallardo si chiede se il dipinto sia an-
teriore o posteriore al divieto contenuto nel Canone; a tal proposito sottolinea

93 La «lunga e sottile dissertazione» compare negli appunti presi dai suoi allievi del Seminario
durante il corso tenuto nel 1937-1938; cf. N. CIAVOLINO, Scavi e scoperte di archeologia cristiana
in Campania dal 1983 al 1993, in E. RUSSO (cur.), 1983-1993: dieci anni di archeologia cri-
stiana in Italia. Atti del VII Congresso nazionale di archeologia cristiana (Cassino, 20-24 set-
tembre 1993), Cassino 2003, 615-669, qui 655-656; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 60-61, n. 20;
cf. pure infra, nota 170. Per l’ordine con cui sono citati gli evangelisti cf. D. MAZZOLENI, Note e os-
servazioni sulle iscrizioni del complesso monumentale di San Gennaro, in San Gennaro nel XVII
centenario del martirio, I, 147-164, qui 151.
94 MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 225-226, tav. I.
95 Cf. FASOLA, Le Catacombe, 102, fig. 70, tav. VII. Per l’affresco cf. da ultimo F. BISCONTI, Riflessi
del culto di san Gennaro nel complesso catacombale di Capodimonte, in San Gennaro nel XVII
centenario del martirio, I, 165-176, qui 172-173, fig. 5.
96 Cf. MALLARDO, Le origini, 49-50. In precedenza, invece, aveva sostenuto che gli affreschi del
vestibolo superiore «non sono posteriori al II secolo» (ID., Ricerche di storia, 42-43).
178 CARLO EBANISTA

che «mentre il patrologo domanda, ansioso, il suo parere all’archeologo,


l’archeologo aspetta a sua volta, non meno ansioso, il parere del patrologo» 97.
Quando lo studioso asserisce che gli affreschi della volta del vestibolo superio-
re con Adamo ed Eva, non possono essere datati «oltre i primi decenni del sec.
III» 98 sembra quasi che voglia piegare l’iconografia alla patristica; poi, però,
dichiara che «potrebbe essere il dipinto a determinare il grado di diffusione e
l’autorità di quel canone» 99. La datazione degli affreschi del vestibolo superio-
re entro gli inizi del III secolo, confermata nei suoi successivi lavori 100, è stata
rivista da padre Umberto M. Fasola che, considerando anche la «situazione
degli ambienti negli sviluppi topografici della regione», ha assegnato le pittu-
re alla prima metà del III secolo 101.
L’attenzione che Mallardo dedica ai dipinti della Catacomba di S. Severo è,
ancora una volta, connessa ai suoi interessi per il dossier agiografico di san
Gennaro e dei suoi compagni di martirio. È il caso, ad esempio, dell’arcoso-
lio con l’immagine di sant’Eutiche: la presenza dell’epiteto sanctus, della cro-
ce gemmata e del nimbo escludono la datazione al IV secolo e consentono di
assegnare il dipinto agli inizi del V 102. A proposito di un altro arcosolio della
stessa catacomba, in cui sono raffigurati i santi Protasio e Gervasio insieme a
Pietro e Paolo (V secolo), lo studioso mette in evidenza i rapporti tra Napoli e
Milano intessuti dai rispettivi vescovi Severo e Ambrogio 103.
Mallardo approfondisce «il problema agiografico di San Gennaro e la que-
stione degli ipogei più antichi del cimitero, analizzandoli in connessione alla
prima diffusione del cristianesimo a Napoli»; egli riesce «in maniera equili-
brata, a far interagire lo studio delle fonti con la ricerca storica e archeologica»

97MALLARDO, Le origini, 52.


98Ivi 59.
99 Ivi 61.
100 Cf. MALLARDO, La vite, 76; ID., Napoli, arcidiocesi di, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città
del Vaticano 1952, 1631-1642, qui 1632 e 1638.
101 Cf. FASOLA, Le Catacombe, 29; F. BISCONTI, Introduzione, in BISCONTI, Temi di iconografia
paleocristiana, 11-86, qui 42; ID., Testimonianze archeologiche delle origini cristiane nel Napo-
letano. Le Catacombe di S. Gennaro, in CIRILLO - RINALDI, Roma, 211-228, qui 222-223, fig. 10.
102 Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 227-228; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 126,
n. 143.
103 Cf. MALLARDO, Napoli, 1639; AMBRASI, Gli studi ianuariani, 62; per l’immagine del santo
cf. GALANTE, La Catacomba di San Severo, 17-19, 91-100; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 127,
n. 144.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 179

e respinge «le posizioni poco attendibili, in particolare sulla topografia cimi-


teriale della Napoli paleocristiana» 104, sottolineando come quasi tutti gli
scrittori del XVII e XVIII secolo non ne hanno avuto una esatta cognizione 105.
Com’è stato autorevolmente evidenziato, i suoi studi hanno contribuito in ma-
niera significativa al progresso della conoscenza topografica e storica delle
catacombe napoletane 106.
Negli anni 1911 e 1915-1916 (ovvero 1915-1917) Mallardo, in collabo-
razione verosimilmente con Galante, esegue degli scavi nell’atrio della Basili-
ca di S. Gennaro extra moenia e nella galleria della catacomba situata alle
spalle dell’abside dell’edificio, dove mette in luce un’epigrafe dipinta relativa
al locus Donati isici[ari] 107 [Fig. 7]. Le scoperte più interessanti avvengono
negli ambienti ubicati al piano terra dell’atrio 108: nell’angolo sud [Fig. 8F] rin-
viene «l’affresco di un Santo, di grandezza naturale, in atto di offrire la corona,
sul fianco esterno di un arco probabilmente absidale» [Fig. 9] e «gli avanzi di
una cripta posta a un livello di circa m. 4,50 più basso di quello della basili-
ca di S. Gennaro […] con avanzi di una scala di tufo», mentre nel settore
nord-est porta in vista i resti di un edificio termale 109 [Fig. 8E]. Per «l’assolu-
ta mancanza di mezzi finanziari e tecnici» non riesce, però, a rendere noti «i
risultati dei suoi studi e delle sue ricerche» 110. Il 1° giugno 1924 il «giovane

104 AMODIO, Gli studi, 240-241.


105 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 41.
106 Cf. FASOLA, Le Catacombe, 8.
107 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 25, nota 1 («uno scavo che intrapresi e diressi negli
anni 1911 e 1915-17»), 43, nota 1 («scavo da me iniziato nel 1911 e poi continuato negli anni
1915-16»).
108 E. LAVAGNINO, Osservazioni sulla topografia della Catacomba di S. Gennaro a Napoli, in
Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione serie II 9 (1930) 8, 337-354, qui 345
(«stanza sotterranea, alla quale si accede dal cortile che attualmente precede la chiesa di S. Genna-
ro»); G. CHIERICI, Contributo allo studio dell’architettura paleocristiana nella Campania, in Atti
del III Congresso internazionale di Archeologia cristiana (Ravenna, 25-30 settembre 1932),
Roma 1934, 203-216, qui 213 («tre piccole stanze a livello del cortile che precede la chiesa»).
109 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 25, nota 1 («l’affresco del Santo che offre la corona fu,
con altri importantissimi monumenti, scoperto da me»), 43, nota 1 («Nel corso dei lavori da me
diretti, misi in luce: 1) - l’affresco di un Santo, di grandezza naturale, in atto di offrire la corona, sul
fianco esterno di un arco probabilmente absidale; 2) - gli avanzi di una cripta posta a un livello di
circa m. 4,50 più basso di quello della basilica di S. Gennaro, a una trentina di metri più a sud, con
avanzi di una scala di tufo; 3) - altri avanzi, tra l’arco suddetto e la basilica di S. Gennaro, di impor-
tanza veramente straordinaria, di un ambiente che io identificai subito per termale»).
110 MALLARDO, recensione a KIRSCH, Cubicoli dipinti, 93.
180 CARLO EBANISTA

archeologo napoletano» Vitale De Rosa, «diligente allievo» di Galante, nel cor-


so di una conferenza al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana a Roma illu-
stra le Catacombe di S. Gennaro, soffermandosi sulle scoperte effettuate dal
maestro e accennando «ai lavori del Mallardo in questo cimitero, lavori che,
proseguiti, daranno un contributo notevole per l’identificazione di memorie
storiche e per la storia dell’arte cristiana» 111. De Rosa attribuisce la scoperta
dell’«imbasamento di abside […] davanti la basilica cimiteriale del Santo Mar-
tire» a Galante; a suo avviso, la struttura non appartiene «alla basilica maggiore
che una tradizione dice edificata da San Severo» nel IV secolo, ma alla chiesa
eretta dal vescovo Vittore, alla fine del V secolo, in onore di santo Stefano 112.
Nel 1928 Emilio Lavagnino, funzionario della Soprintendenza all’Arte Me-
dioevale e Moderna della Campania, al termine del restauro della Basilica di
S. Gennaro extra moenia avviato nel maggio dell’anno precedente, accenna ai
«resti di costruzione che sono nei sotterranei dell’ospizio di S. Gennaro», a
«pitture e mosaici» e a «qualche lavoro» eseguito «per esplorare sistematica-
mente quei ruderi» 113. Due anni dopo ritorna sull’argomento precisando che
l’affresco [Fig. 9] raffigura di tre quarti un personaggio (ora acefalo) vestito di
pallio e proteso verso l’abside «per accompagnare col moto di tutta la persona
l’offerta di una corona gemmata»; rilevando nel dipinto «influssi orientali e pro-
priamente bizantini», non ha dubbi che l’arco absidale appartiene alla Chiesa di
S. Stefano edificata dal vescovo Vittore alla fine del V secolo 114. Pur rinviando a
«un illustre studioso di memorie paleocristiane partenopee» che «da tempo sta
preparando uno studio sull’argomento» 115, Lavagnino omette di citarne il nome
e attribuisce a sé il merito delle scoperte effettuate da Mallardo nella galleria ci-
miteriale alle spalle dell’abside della Basilica di S. Gennaro extra moenia. Non
fa alcun accenno, invece, all’ambiente termale [Fig. 8E], la cui esistenza viene
resa nota solo nel 1932 dal soprintendente Gino Chierici, in occasione del III

111 Conferenze di archeologia cristiana degli anni 1924 e 1925, in Rivista di Archeologia
Cristiana 3 (1926) 299-339, qui 314.
112 Ivi 314-315.
113 E. LAVAGNINO, I lavori di ripristino nella basilica di San Gennaro extra moenia a Napoli,
in Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione serie I 8 (1928) 4, 145-166, qui 160.
114 Cf. LAVAGNINO, Osservazioni, 337, 345.
115 Ivi 354 («Ma io rinuncio ad una dissertazione sull’argomento, tanto più che un illustre
studioso di memorie paleocristiane partenopee da tempo sta preparando uno studio sull’argo-
mento»).
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 181

Congresso internazionale di Archeologia cristiana tenutosi a Ravenna 116. Nel


1936 Mallardo, auspicando «di non dover mai esporre minutamente i motivi
della ritardata illustrazione» dei suoi «importanti trovamenti», in considerazio-
ne del «riserbo, forse eccessivo», che si è imposto e che gli vieta di riferire
«da che parte […] siano venute le difficoltà per l’esecuzione di un lavoro am-
pio e organico», rivendica a sé «la priorità dei trovamenti e della loro inter-
pretazione» e spera di condurre a termine un lavoro «sulle origini della Cata-
comba di S. Gennaro» 117. Queste parole lasciano trasparire un certo risenti-
mento verso la Curia napoletana e gli enti preposti alla tutela e alla conserva-
zione dei monumenti 118.
Nel settembre 1927 Achelis, docente presso l’Università di Lipsia, era riu-
scito a fotografare gli affreschi delle Catacombe di S. Gennaro, ottenendo i
necessari permessi dall’arcivescovo di Napoli e dal Ministero della Pubblica
Istruzione, grazie all’appoggio del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana,
dove insegnava il suo “collaboratore” Enrico Josi, e al sostegno finanziario del-
la «Notgemeinschaft per la scienza in Germania» 119. Due anni dopo, nel dare
notizia dei primi risultati di questa campagna fotografica, Achelis riconobbe a
Josi il merito di aver scoperto un affresco raffigurante «Gesù Cristo in piedi
tra due angeli e con S. Gennaro» 120, ma non fece alcun riferimento alla colla-
borazione di Mallardo che «in cotali ricerche non fu piccola» 121. Quest’ulti-
mo, infatti, «era in continua corrispondenza con l’Achelis e gli fu vicinissimo,
quando questo studioso fu a Napoli per il suo lavoro sulla Catacomba di San

116 Cf. CHIERICI, Contributo, 213-214, fig. 6.


117 MALLARDO, Ricerche di storia, 43, nota 1.
118 Mentre Mallardo non riesce a portare avanti i suoi studi sulle Catacombe di S. Gennaro, pa-
dre Antonio Bellucci, grazie all’appoggio della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, del Pon-
tificio Istituto di Archeologia Cristiana e della Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna della
Campania, conduce ricerche e scavi nei complessi di S. Efebo e S. Gaudioso; cf. F. PESCE, Relazione
verbalizzata del ritrovamento della Catacomba di Sant’Eufebio, Vescovo di Napoli, in Rivista di
Scienze e Lettere n.s. 2 (1931) 2, 119-122; A. BELLUCCI, Ritrovamenti archeologici nelle Cata-
combe di San Gaudioso e di Sant’Eusebio a Napoli, in Rivista di Archeologia Cristiana 11 (1934)
73-118, qui 106, note 2-3.
119 H. ACHELIS, Le catacombe di Napoli, in Rivista di Archeologia Cristiana 6 (1929) 3-4, 368-
370, qui 368. Per il contributo fornito da Josi alle ricerche cf. sempre ACHELIS, Die Katakomben, VI.
120 ACHELIS, Le catacombe, 369; per l’affresco cf. ID., Die Katakomben, 76, tav. 53; FASOLA, Le
Catacombe, 172, fig. 111; BERTELLI, Affreschi altomedievali, 137, fig. 8.
121 BELLUCCI, Commemorazione, 8-9.
182 CARLO EBANISTA

Gennaro» 122. Nel correggere la lettura dell’epigrafe dipinta [Fig. 7] proposta


da Lavagnino, Mallardo nel 1936 si rammarica «con rincrescimento» che il
funzionario della Soprintendenza ha omesso di ricordare che è stato lui a ef-
fettuare le scoperte 123, laddove nel 1954, al V Congresso internazionale di
Archeologia cristiana di Aix-en-Provence, preferisce tacere, allorché il presi-
dente di una tornata accenna allo scritto di Lavagnino «inesattamente attri-
buendo a questi» le scoperte effettuate da Mallardo 124. Nel frattempo, in occa-
sione dei lavori di restauro avviati dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’am-
biente termale e i resti dell’arco absidale con l’affresco sono stati interrati 125.
Lo studioso aveva in animo di portare a termine le ricerche intraprese ne-
gli anni Dieci e mai pubblicate, come lasciano supporre quattro fotografie
[Figg. 9, 12 e 14-15] rinvenute tra le sue carte 126. Le immagini, grazie alla
comparazione con i rilievi editi da Chierici [Figg. 10-11] e con una fotografia
pubblicata da Fasola [Fig. 13], permettono di integrare la testimonianza del-
l’ex soprintendente che peraltro è inficiata dall’erroneo orientamento delle
strutture generato dalla confusione tra nord e ovest. Il balneum era costitui-
to da tre ambienti intercomunicanti: quello settentrionale (5,30 x 2,30 m),
stando alla planimetria, doveva essere parzialmente scavato nel banco di tufo
e presentava a nord-est le tracce di un «arco murato» 127 [Fig. 10B]. Il vano

122 Ivi 10. Nel 1934 Mallardo esprime l’augurio che il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana
«non debba ritardare troppo la pubblicazione di tutti gli affreschi della catacomba napoletana di
S. Gennaro (qualcuno è del tutto sconosciuto e vari, di non scarsa importanza, sono inediti!) insie-
me con l’illustrazione preparata dal ch.mo prof. dell’Università di Lipsia Hans Achelis» (MALLARDO,
recensione a KIRSCH, Cubicoli dipinti, 93).
123 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 25, nota 1. Per il testo dipinto cf. FASOLA, Le Catacombe, 49
nota 20; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 63-64, n. 26; MAZZOLENI, Note e osservazioni, 157, fig. 16.
124 Visto il riserbo dello studioso, prende la parola «Bellucci, tra la meraviglia di tutti, renden-
do giustizia all’amico studioso per quanto aveva ritrovato, e dimostrando come la Soprintendenza ai
Monumenti non poteva, perchè ultima giunta, usurpare il diritto di scoperta, che spettava al Mallar-
do» (CAPASSO, Ricordo, 12). Cf. BELLUCCI, Commemorazione, 3-20, qui 18 («Né il Lavagnino, né il
Chierici, anch’egli presente, contestarono quanto era stato mio dovere di precisare»).
125 Cf. A. BELLUCCI, Le origini della Chiesa di Napoli e nuovi ritrovamenti nel cimitero paleo-
cristiano di San Gennaro extra moenia, in Actes du Ve Congrès International d’Archéologie
Chrétienne, 487-504, qui 502, nota 29; FASOLA, Le Catacombe, 13, 22, figg. 10-11.
126 Sul retro delle foto si legge: «R. Soprintendenza all’arte Medioevale e moderna della Campa-
nia. Gabinetto Fotografico» (AM).
127 CHIERICI, Contributo, 214: «L’ultimo locale ad occidente è privo di decorazioni, ma sulla pa-
rete di settentrione è visibile un arco murato, in direzione di una scala che scoprimmo tagliata nel-
la roccia e per mezzo della quale si saliva al piano delle attuali catacombe».
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 183

centrale (3,20 x 1,80 m), che aveva un pavimento cementizio con un reticola-
to di losanghe a una fila di tessere continue di marmo bianco 128 [Fig. 10A],
era delimitato a sud-est da una parete in opus vittatum, lungo la quale erano
rimasti in situ quattro tubuli [Fig. 12], a sezione rettangolare, pertinenti al
sistema di riscaldamento 129. Nell’ambiente meridionale, pavimentato con un
cementizio dall’analogo disegno a losanghe [Figg. 10 e 13], si conservava un
lacerto di mosaico con una corona d’alloro, inquadrata da due circonferenze
concentriche costituite da una fila di tessere, intorno alla quale si svolgeva, su
fondo bianco, un tralcio a girali animato da volatili; come attestano le fotogra-
fie d’epoca [Figg. 13-14], il mosaico, che Chierici attribuiva a una volta 130,
era sistemato in posizione verticale. Nello stesso ambiente doveva trovarsi an-
che un secondo lacerto di mosaico con cesti di fiori inquadrati, a quanto pa-
re, da un meandro circolare [Fig. 15]. Chierici, nell’attribuire il balneum a
una «villa suburbana di una ricca famiglia patrizia convertitasi al cristianesi-
mo», data la stesura musiva alla fine del III secolo d.C. 131, ma non si pronun-
cia sul pavimento cementizio che presenta un motivo decorativo molto diffu-
so tra il III e il I secolo a.C. 132. Nessun accenno si rinviene alla vicinanza del-
la villa a un’area funeraria, una circostanza che, com’è stato rilevato, «non è
discorde dalle costumanze romane antiche» 133.
L’arco absidale [Fig. 11], conservato per un’altezza di circa 4 m, si trovava al-
l’interno di un vano quadrangolare (3x3 m), cui si accedeva mediante «una roz-
za scaletta pure ricavata nella roccia» 134. Sul piedritto sinistro dell’arco era raf-
figurato un personaggio (acefalo) con tunica clavata, pallio, calzari e una corona

128 CHIERICI, Contributo, 214: «Il pavimento delle stanze è un battuto di coccio pesto diviso a
quadri da filari di piccole tessere di marmo bianco».
129 CHIERICI, Contributo, 213-214, fig. 6: «calidarium ben determinato dal rivestimento parieta-
le dei soliti laterizi vuoti per il passaggio dell’aria calda».
130 CHIERICI, Contributo, 213: «si trovarono a terra grossi frammenti di volta decorota [sic] da
un mosaico della fine del III sec. con amorini ed uccelli entro corone di alloro su fondo bianco»; cf.
FASOLA, Le Catacombe, fig. 11: «Frammento della volta mosaicata di un ambiente della terma con raf-
figurazioni di uccelli, ghirlande di foglie e fiori stilizzati».
131 Cf. CHIERICI, Contributo, 213, fig. 6.
132 Cf. M. GRANDI, Riflessioni sulla cronologia dei pavimenti cementizi con decorazione in
tessere, in F. GUIDOBALDI - A. PARIBENI (curr.), Atti dell’VIII Colloquio AISCOM (Firenze, 21-23 feb-
braio 2001), Ravenna 1997, 71-86, qui 76-77, fig. 1d.
133 FASOLA, Le Catacombe, 22.
134 CHIERICI, Contributo, 214.
184 CARLO EBANISTA

gemmata nelle mani [Fig. 9]; sembra da escludere che la corona, come riferi-
sce Chierici, fosse poggiata «sopra un bacile» 135. Il soggetto, chiaramente rico-
noscibile come un martire 136, era inquadrato a sinistra e in basso da una larga
fascia scura sottesa da una linea nera, al di sotto della quale correvano una cor-
nice bianca e una scura; la zona inferiore della parete doveva essere decorata
da un velarium, come lascia supporre la presenza di un elemento triangolare.
Molto probabilmente sul piedritto destro era rappresentato, in posizione specu-
lare, un altro personaggio; è ragionevole supporre che i due santi offrissero la
corona del martirio a Cristo che forse era raffigurato nel catino dell’abside. Sen-
za esprimersi sull’identificazione delle strutture con «l’abside della basilica di
S. Stefano» avanzata da Lavagnino, Chierici osserva giustamente che si tratta del-
la «parete terminale di una chiesa di non grandi dimensioni» poiché «la spalla
sinistra dell’arco absidale e l’inizio del semicatino sono chiaramente visibili»
137. Inverosimile è, invece, la sua proposta di interpretare le scale come una so-

luzione escogitata «quando l’accesso della catacomba doveva essere mantenuto


segreto» e di datare l’affresco absidale [Fig. 9] al IV secolo, «allorché, allonta-
nato ormai ogni pericolo di persecuzioni, i Cristiani potevano liberamente se-
guire le pratiche del loro culto, ma non per questo» la chiesa «cessò di far par-
te dell’insieme catacombale al quale appartenne fino dalle sue origini» 138.
Chierici respinge la datazione dell’affresco alla seconda metà del V secolo
proposta da Lavagnino perché la «plastica evidenza» delle forme del personaggio

135 Ivi 215 («figura, ora acefala, di un santo che presenta una corona gemmata sopra un bacile»).
136 Nelle vicine Catacombe di S. Gennaro sono attestate diversi immagini di santi (V secolo) che
presentano la corona del martirio (cf. FASOLA, Le Catacombe, 102, fig. 69, tav. VI; LICCARDO, Redemptor
meus vivit, 85, n. 68). A Napoli analoghe figure, interpretate come martiri o apostoli, ricorrono an-
che nel Battistero di S. Giovanni in Fonte; cf. MALLARDO, Napoli, 1639; J. L. MAIER, Les baptistère de
Naples et ses mosaiques. Étude historique et iconographique, Fribourg 1964, 45-52, tav. VI; P.
PARISET, I mosaici del battistero di San Giovanni in Fonte nello sviluppo della pittura paleocri-
stiana a Napoli, Cahiers archeologiques 20 (1970) 1-13, qui 1, figg. 1-4; F. STRAZZULLO, Il battistero di
Napoli, in Arte Cristiana 62 (1974) 611, 145-176, qui 153; ROTILI, L’arte a Napoli, 25-26, figg. 14-15.
137 A suo avviso, la chiesa «ad una sola nave» era «larga forse non più di nove metri» (CHIERICI, Con-
tributo, 213-215); cf. invece LAVAGNINO, Osservazioni, 345 (edificio largo 7 m e lungo poco più di 20 m).
138 Molto interessante appare la tipologia di quest’edificio di culto semirupestre, collegato alle
catacombe e, a quanto pare, al balneum; scrive CHIERICI, Contributo, 215: chiesa «con tre pareti li-
bere e una addossata alla roccia tufacea. Il lato sinistro del muro absidale (quello rimasto) è co-
struito sopra alcuni scalini di tufo i quali penetravano nella chiesa fermandosi a breve distanza del-
l’abside e corrispondevano ad un ingresso volto a settentrione, verso le catacombe. Un’altra scalet-
ta già descritta, addossata alla parete, conduceva nei locali del bagno».
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 185

con corona avvolte nel pallio «mostra la sua piena aderenza all’arte classica»,
a differenza delle tre figure visibili [Fig. 16] «sul frammento di un arco della
basilica di S. Gennaro» extra moenia che «nelle loro dimensioni allungate e
nel segno già stilizzato delle pieghe rivelano una influenza bizantina» 139. Si
esprime, dunque, in maniera nettamente opposta a Lavagnino che aveva, inve-
ce, riconosciuto nell’affresco absidale [Fig. 9] «influssi orientali e propria-
mente bizantini, rivelati da un secco schematismo di linee e di contorni e da
una chiara convenzionalità di gesti»; lo studioso, che, in un primo momento,
aveva assegnato l’affresco della Basilica di S. Gennaro al V secolo 140, aveva poi
optato per una datazione tra la fine del IV secolo e gli inizi del successivo 141. As-
segnato da Paola Pariset al primo decennio del V secolo 142, il dipinto, che raffi-
gura Cristo tra due santi [Fig. 16], è stato datato da Fasola agli inizi del VI 143.
Mallardo non si esprime in merito alla datazione del balneum [Figg. 8, 10
e 12-14] e dell’affresco absidale [Figg. 9 e 11], forse perché spera di poter ri-
tornare sull’argomento con uno studio specifico. Nel 1936, intanto, pubblica
il volume Ricerche di storia e di topografia degli antichi cimiteri cristiani
di Napoli che, a dispetto del titolo, non è un lavoro originale e d’insieme sul-
le catacombe napoletane, ma soltanto la rielaborazione di alcuni articoli sul-
le traslazioni dei santi Efebo, Fortunato e Massimo, che erano comparsi nelle
annate 1933 e 1934 della Rivista di Scienze e Lettere 144. La monografia, cui
lo studioso allega «uno schizzo topografico», prende avvio dall’inventio dei
corpi dei tre santi, avvenuta tra il 20 e il 22 novembre 1589 nella chiesa di
Sant’Eframo Vecchio, grazie alla demolizione di «una certa fabrica, che vi stava
dietro l’altare di S. Eufebio (a guisa di cascia, dove anco vi era una imagine
di rilievo antica colcata a modo di uno che si riposa, dietro a quella di marmo
bianca, che si vede sul detto altare)» e che aveva «dalla sommità fin alla terra

139 CHIERICI, Contributo, 215.


140 Cf. LAVAGNINO, I lavori, 156, figg. 15-18.
141 Cf. LAVAGNINO, Osservazioni, 342, fig. 1. Inoltre ID., L’arte medioevale: l’età paleocristiana e
l’alto medioevo, l’arte romanica, il gotico e il Trecento (Storia dell’arte classica e italiana, 2, To-
rino 1949, 81, figg. 86-87 («figure colossali di tre Santi, forse ancora più antiche» dei mosaici del
Battistero di S. Giovanni in Fonte «che possono essere ascritti al V secolo»).
142 Cf. P. PARISET, Un monumento della pittura paleocristiana a Napoli. L’affresco di S. Gennaro
extra moenia, in Cahiers Archéologiques fin de l’Antiquité et Moyen Age 18 (1968) 13-20, qui 20.
143 Cf. FASOLA, Le Catacombe, 164, figg. 102-103; così pure ROTILI, L’arte a Napoli, 34-35, fig. 20.
144 Cf. MALLARDO, Calendario inedito; ID., Ricerche di storia, 3.
186 CARLO EBANISTA

da tre palmi di voto» 145. Dopo aver accennato al luogo del rinvenimento e alla
tipologia dei sepolcri 146, Mallardo si sofferma sull’epigrafe relativa ai santi For-
tunato e Massimo segnalata per primo da Cesare D’Engenio e analizzata da
Alessio Simmaco Mazzocchi e Galante; insinuando seri dubbi sulla genuinità
del testo e respingendo le integrazioni fatte dagli studiosi 147, precisa che «la ri-
costruzione delle vicende dei corpi dei ss. Fortunato e Massimo va fatta con
metodo. E dapprima occorre fissare bene, per quanto è possibile, alcuni punti
della topografia della Napoli sotterranea cristiana» 148. Analizzando le fonti let-
terarie, le testimonianze degli eruditi e inediti documenti d’archivio, Mallardo
conclude che la Basilica di S. Fortunato sorgeva presso la Chiesa di S. Eufemia
in vicolo Lammatari, dove sono «avanzi già noti di loculi ed arcosoli […] ap-
partenenti senza dubbio ad una più vasta galleria cimiteriale»; ricordando la
sua prima visita «nel sottosuolo di quel vicolo» in compagnia di Galante nel
1908, dichiara che gli eventuali rapporti tra questa galleria e la Catacomba di S.
Gaudioso sono «problemi ai quali soltanto uno scavo condotto con rigore di
metodo potrà dare risposta» 149. Egli non ha dubbi, però, che in questa scom-
parsa basilica cimiteriale, «posta nelle immediate vicinanze dell’attuale piazza
della Sanità ebbe la sua prima sepoltura il vescovo Fortunato, e presso di lui fu
deposta, quando venne trasportata in Napoli dal luogo dell’esilio, la salma del
successore Massimo» 150; la traslazione, secondo Mallardo, sarebbe stata effet-
tuata dal vescovo Severo che si sarebbe fatto seppellire presso il suo illustre
predecessore 151. Fortunato e Massimo riposarono nella Basilica cimiteriale di

145 Il passo è tratto da una lettera inviata il 17 dicembre 1589 a monsignor Paolo Regio da fra
Evangelista da Lecce, vicario provinciale dei frati cappuccini, che fu promotore e testimone del-
l’inventio (cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 7); cf. A. BELLUCCI, Ritrovamenti archeologici pagani
e cristiani, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 6 (1935) 2, 66-83, qui 73-75.
146 MALLARDO, Ricerche di storia, 10 («Mi astengo dall’esporre le mie idee in proposito e lascio
la parola all’amico carissimo P. Bellucci per la illustrazione che egli farà della Catacomba di S. Efe-
bo»), 13 («Io suppongo che S. Efebo fosse nella cassa, o arca, di un arcosolio-altare, e S. Fortunato,
o meglio il terzo corpo, sotto il piano del pavimento, sotto la predella di questo altare»).
147 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 18-23, 50-56. Padre Bellucci fin dal 1932 aveva dichiarato
che l’iscrizione era un falso (cf. BELLUCCI, Ritrovamenti archeologici pagani, 78, nota 2).
148 MALLARDO, Ricerche di storia, 23.
149 Ivi 23-35. Per la localizzazione della catacomba di vico Lammatari cf. CIAVOLINO, Scavi e sco-
perte, 644-646; AMODIO, La componente africana, 24, fig. 4 n. 9.
150 MALLARDO, Ricerche di storia, 35.
151 Cf. ivi 39.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 187

S. Fortunato dal secolo IV fino alla loro traslazione nella Stefania a opera del ve-
scovo Giovanni IV lo Scriba 152. L’epigrafe del vescovo Massimo, scoperta il 27
giugno 1882 da Galante nella cappella del Sacramento del duomo di Napoli 153,
non dimostra che i resti rinvenuti nel sottostante sarcofago appartengono al
presule; la circostanza che a partire dal 1384 la cappella risulta dedicata a
sant’Atanasio suggerisce piuttosto che si tratta dei resti di quest’ultimo vescovo 154.
Mallardo ritorna brevemente sull’argomento il 4 aprile 1939, in occasio-
ne della presentazione di una memoria all’Accademia di Archeologia, Lettere
e Belle Arti in Napoli; poiché Galante aveva ricomposto l’altare nascondendo
nuovamente alla vista l’iscrizione, precisa che il suo «giudizio poggia soltan-
to sul dettato dell’epigrafe: l’argomento paleografico – che sarebbe di gran-
de importanza – manca» 155. Comunica ai soci dell’Accademia che l’anno
precedente non ha trovato i mezzi per rimettere in luce l’«iscrizione sepol-
crale […] MAXIMVS EPISCOPVS QVI ET CONFESSOR CHR(i-sti)» e il sottostante sarcofa-
go 156 [Fig. 17]. Deve aspettare altri due decenni per riuscire nell’impresa
che nel complesso aveva sognato «per più di quarant’anni»: il 14 maggio
1957, «dopo lunghi anni di vana attesa e di altrettanto inefficaci quanto reite-
rate insistenze» ottiene «un piccolo fondo per riaprire l’altare» 157. Lo stesso
giorno avvia i lavori che vengono proseguiti il 29 maggio e l’11 giugno; il 4
luglio presenta all’Accademia i risultati delle ricerche che, a causa della sua
scomparsa, saranno pubblicati due anni dopo nella rivista Asprenas, a cura
di Vitale De Rosa 158. Mallardo, avendo appurato che l’epigrafe è incisa sul
bordo di una mensa marmorea poggiata su due coppie di grifi marmorei, an-
nuncia di aver scoperto «un antico altare cristiano» 159. Il sottostante sarco-
fago, realizzato per la sepoltura di un bambino e chiuso da un coperchio a
due spioventi, è diviso «in cinque campi, tre figurati, e due a strigili con dorsi

152 Cf. ivi 41, 56 e 66.


153 Cf. ivi 36-39, 71-72.
154 Cf. ivi 74-75.
155 MALLARDO, La via Antiniana, 355, nota 1.
156 Cf. ivi 355, nota 1 («il marmo, per il posto in cui è sotterra, non è accessibile se non con
grave spesa. Per questa ragione il tentativo fatto l’anno scorso di riportarlo alla luce, non potette es-
sere condotto a compimento»).
157 MALLARDO, Recenti scavi, 145-146.
158 Cf. ivi 144-151.
159 Ivi 147.
188 CARLO EBANISTA

arrotondati, combacianti»; all’interno lo studioso trova «avanzi mortali ridotti,


tranne due sole ossa di una qualche importanza, ad un ammasso di terriccio,
con frammisti, detriti ossei» 160. Nonostante la scalpellatura delle cinque figure
(personaggio seduto centrale, due leoni, due bestiarii) renda «difficile, quasi
impossibile, l’esame stilistico», Mallardo data il manufatto alla prima metà del
III secolo, accostandolo a esemplari strigilati con leoni angolari che sbranano
la preda; in particolare lo avvicina a un sarcofago citato da Garrucci e «ap-
partenente a una ecclesia S. Herculani non meglio definita» 161. Quest’ulti-
mo esemplare, come rileva Angelo Pantoni nel 1960, è reimpiegato nell’alta-
re maggiore della Chiesa di S. Ercolano a Perugia, dove venne messo in ope-
ra nel 1609 per accogliere le reliquie di sant’Orfito 162.
Mallardo mostra vivo interesse per l’iscrizione mutila [Fig. 18] con il nome
del martire Gennaro 163 che, su iniziativa di Galante, era stata rimossa dal pavi-
mento della Basilica di S. Gennaro extra moenia e trasferita «nel piccolo atrio
della basilica e poi nel Museo lapidario della catacomba»; «alcuni anni» prima
del 1939 era stata, infine, spostata nella Basilichetta di S. Agrippino 164. Respin-
ge le integrazioni suggerite dagli studiosi, compresa quella proposta da Galan-
te «in un lavoro però inedito»; il maestro – precisa l’allievo – «offre un saggio
della bella educazione umanistica», ma la lettura metrica, suggeritagli da de
Rossi, «non si regge affatto» 165. Convinto che l’epigrafe sia metrica, Mallardo
rileva che i caratteri non sono posteriori al VI secolo e nemmeno anteriori al V
secolo, osservando che, qualora «l’argomento paleografico potesse venirci in
soccorso e fornirci la prova sicura che l’iscrizione è anteriore alla metà del

160 La notizia che l’arcivescovo ha istituito «una commissione ad alto livello scientifico, per la
ricognizione scrupolosa di questi avanzi mortali, ed un esame di essi che sarà fatto anche per mezzo
di isotopi» (MALLARDO, Recenti scavi, 148-149) trova un interessante parallelo con quanto era da
poco avvenuto a Cimitile, in occasione del rinvenimento di resti ossei nell’altare della Basilica di S.
Felice (C. EBANISTA, La tomba di S. Felice nel santuario di Cimitile a cinquant’anni dalla scoperta,
Marigliano 2006, 143, 163-167).
161 MALLARDO, Recenti scavi, 150.
162 Cf. A. PANTONI, Nota su di un sarcofago strigilato a leoni angolari ricordato dal Mallardo,
in Asprenas 7 (1960) 1, 110.
163 Cf. MALLARDO, La via Antiniana, 355; ID., S. Gennaro e compagni, 230-238, tav. II.
164 Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 234. Cf. M. AMODIO, Riflessi monumentali del culto
ianuariano: le Catacombe di San Gennaro a Capodimonte. Dalla curiositas degli eruditi alle inda-
gini archeologiche, in San Gennaro nel XVII centenario del martirio, I, 123-145, qui 140, nota 68.
165 Ivi 232-233.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 189

sec. V, si avrebbe un elemento decisivo per far pendere la bilancia in favore


dell’attribuzione dell’epigrafe alla tomba del Martire» 166. È noto, infatti, che
mentre Theodor Mommsen l’aveva inserita tra le falsae vel alienae (CIL, X,
362*), «dallo Scherillo in poi non si esitò a dare per certo che l’iscrizione fos-
se appartenuta alla tomba di S. Gennaro», in virtù della presenza del nome
del martire e dell’espressione aeterno flore 167. L’iscrizione in realtà «non è la
lastra tombale del martire» 168, ma rappresenta forse «solo una dedica di un
devoto al martire, la cui intercessione è augurata come garanzia eterna» 169.
L’interesse di Mallardo per l’epigrafia cristiana di Napoli non si limita a
queste due ben note iscrizioni, come dimostra tra l’altro un «corso […] te-
nuto in seminario nel 1937-38» 170. Egli compie «il primo tentativo di edizio-
ne critica delle epigrafi napoletane, ma della sua sintesi, mai pubblicata, ri-
mane una serie di appunti mutili presi dai suoi alunni del seminario» 171. Ol-
tre a queste inedite annotazioni 172, rimangono alcune considerazioni pubbli-
cate nel 1952 nella voce Napoli dell’Enciclopedia Cattolica; nonostante il
carattere sintetico del contributo, Mallardo rileva la modesta quantità del ma-
teriale epigrafico paleocristiano di Napoli e accenna alle iscrizioni di età bi-
zantina 173. Queste ultime avevano da tempo suscitato la sua attenzione: è il
caso, ad esempio, dell’iscrizione sepolcrale di sant’Agnello (VI secolo), aba-
te del monastero fondato da san Gaudioso 174, o dell’epigrafe in greco (VI-VII

166 Ivi 237-238.


167 Cf. ivi 234-235.
168 FASOLA, Le Catacombe, 168, fig. 104.
169 G. LICCARDO, Iscrizioni cristiane latine incise delle Catacombe di San Gennaro in Napo-
li, in Campania Sacra 19 (1988) 2, 171-189, qui 182; ID., Redemptor meus vivit, 70-72, n. 41;
MAZZOLENI, Note e osservazioni, 151, fig. 11.
170 D. MALLARDO, Storia antica della Chiesa di Napoli. Le fonti, Napoli 1943, 31.
171 LICCARDO, Redemptor meus vivit, 38; cf. pure ID., Iscrizioni cristiane, 173, n. 19.
172 Cf. CIAVOLINO, Scavi e scoperte, 655, nota 67.
173 Cf. MALLARDO, Napoli, 1641.
174 Cf. MALLARDO, Ordo ad ungendum infirmum, 172-173 («Agnelli titulus sepulcralis, quem
ego cum Ianuario Asprenate Galante perlegisse memini in pariete postico maioris altaris ecclesiae
parochialis S. Agnelli ad caput Neapolis, et qui ibidem usque ad ann. 1915 conspectus fuit»); ID.,
L’incubazione nella cristianità medievale napoletana, in Analecta Bollandiana 67 (1949) 465-
498, qui 475, nota 4 («L’originale lo vidi ancora affisso alla parete posteriore dell’altare maggiore
della chiesa di S. Agnello Maggiore a Caponapoli, chiusa oramai, e non più restaurata, per incuria
del Comune, da più di 30 anni. Sembra incredibile che la tutela del patrimonio storico e artistico
possa essere trascurata sino a tal punto»); cf. LICCARDO, Redemptor meus vivit, 136-137, n. 159.
190 CARLO EBANISTA

secolo) reimpiegata nel monumento funerario di Carlo di Durazzo nella Chie-


sa di S. Lorenzo Maggiore 175. Nel 1949 annuncia che appena gli sarà possibi-
le darà «una riproduzione fotografica della lastra sepolcrale» della matrona
Candida, clarissima femina, deceduta nel 585 176.
Decisamente marginale, rispetto alle altre tematiche (iconografia, topogra-
fia cimiteriale, epigrafia), è l’interesse di Mallardo per l’architettura paleocri-
stiana. Oltre alle già citate indagini archeologiche degli anni Dieci nella Basili-
ca di S. Gennaro extra moenia, lo studioso si occupa di S. Restituta, S. Gio-
vanni Maggiore e del Battistero di S. Giovanni in Fonte. Nel 1915, «in occasio-
ne del restauro della cappella Piromallo» in S. Restituta, fece eseguire, verosi-
milmente in collaborazione con Galante, «alcuni saggi a’ piedi della fila inter-
na delle colonne», accertando «che la base di esse si trova a 75 cm. sotto l’at-
tuale pavimento della basilica»; lo scavo venne eseguito proprio per verificare
se, come aveva sostenuto Carlo Celano, il pavimento della chiesa fosse stato ef-
fettivamente rialzato 177. Mallardo assegna l’innalzamento del pavimento «al-
l’epoca della erezione dell’odierno Duomo» 178, laddove le ricerche condotte
dall’architetto Roberto Di Stefano nella Basilica di S. Restituta tra il 1969 e il
1972 hanno permesso di appurare che l’operazione venne, invece, effettuata
alla fine del Seicento 179. Nell’agosto 1920 Mallardo ultima un lavoro che l’an-
no seguente viene pubblicato nel volume offerto a Galante in occasione del cin-
quantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale 180. In questo con-
tributo l’allievo, che rende un devoto omaggio a colui che «dedicò tutte le ener-
gie della sua vita operosa a fondare in Napoli una scuola ed a salvare i monu-
menti dell’antichità cristiana» 181, si occupa di una capsella in piombo della
seconda metà del XVI secolo che era stata rinvenuta dal maestro nella Basili-
ca di S. Restituta nel mese di ottobre 1899, mentre si procedeva al restauro

175 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 209-210; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 138-139,
n. 161.
176
Cf. MALLARDO, La vite, 97, nota 2.
177
Cf. MALLARDO, Capsella di piombo, 143.
178 Ivi 143.
179 Cf. R. DI STEFANO, La cattedrale di Napoli. Storia, restauro, scoperte, ritrovamenti, Napoli
1975, 141-142, figg. 80-81.
180 Cf. MALLARDO, Capsella di piombo, 115-147.
181 Ivi 147.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 191

dell’altare della Cappella di S. Maria del Principio. Servendosi di un passo trat-


to dal diario personale di Galante del 1° novembre 1899, dimostra che, diver-
samente da quanto aveva sostenuto Riccardo Filangieri, la capsella non era
stata trovata nell’altare del Beato Nicolò 182.
Nel volume del 1947 sul Calendario Marmoreo Mallardo accenna breve-
mente alle vicende della Basilica di S. Giovanni Maggiore, dove il manufatto
era stato rinvenuto nel 1742; nel riassumere le opinioni di quanti, a partire
da Giovanni Battista de Rossi, si erano occupati della basilica e del suo arre-
do scultoreo, non manca di lamentare che l’abside «con i vani ora chiusi ed
accecati, aspetta ancora – e da troppo tempo invano – di essere rimessa alla
luce» 183. Escludendo la possibilità che il calendario sin dall’origine nel IX se-
colo fosse stato decorato sul retro con tralci animati da grifi e cavalli alati 184,
accoglie l’ipotesi che le lastre furono rilavorate solo in un secondo momento;
non accettando, però, la datazione di questo intervento al XII secolo 185, lo as-
segna all’XI 186.
Nella voce Napoli dell’Enciclopedia Cattolica Mallardo passa in rassegna
gli edifici di culto sub divo di età paleocristiana, soffermandosi in particolare
sui mosaici del Battistero di S. Giovanni in Fonte che egli data agli ultimi anni
del IV secolo, più che ai primi del V 187. Lo studioso è convinto che S. Giovanni
in Fonte non corrisponde a nessuno dei due battisteri citati dalle fonti scritte
altomedievali, dal momento che i suoi mosaici risalgono alla fine del IV seco-
lo; anche se si correggesse il nome del vescovo Sotero registrato nei Gesta
episcoporum Neapolitanorum quale fondatore del battistero con il vescovo
Severo, l’edificio tuttora conservato – prosegue Mallardo – non potrebbe «es-
sere il primo in Napoli», poiché «non è possibile che la basilica dell’imperatore

182 Cf. Ivi 116: «io ho ragione di credere che questa affermazione del Filangieri sia completa-
mente inesatta, e che la capsella appartenesse all’altare di S. Maria del Principio».
183 MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 16; cf. pure ID., Napoli, 1640.
184 Cf. É. BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, Paris 1903, 76-77, figg. 12, 16-17.
185 Cf. P. TOESCA, Storia dell’arte italiana. I. Medioevo, Torino 1927, 442; A. O. QUINTAVALLE, Plu-
tei e frammenti d’ambone nel Museo Correale a Sorrento, in Rivista del R. Istituto d’Archeolo-
gia e Storia dell’Arte 3 (1931) 1-2, 160-183, qui 178; M. TOZZI, Sculture medioevali dell’antico
duomo di Sorrento, Roma 1931, 42; W. F. VOLBACH, Oriental influences in the Animal Sculpture of
Campania, in The Art Bulletin 24 (1942) 2, 172-180, qui 176, fig. 12.
186 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 17-19.
187 Cf. MALLARDO, Napoli, 1639.
192 CARLO EBANISTA

Costantino, che fu la prima cattedrale napoletana, sia rimasta senza battistero


per una sessantina o settantina d’anni almeno» 188. In realtà «non pochi dei
battisteri monumentali attualmente conosciuti appaiono di fondazione non
precoce e comunque posteriore a quella accertata o presumibile della chiesa
episcopale», tanto che in alcuni casi essi si configurano come la monumenta-
lizzazione di un battistero originario costituito da un vano modesto annesso
alla chiesa e apparentemente privo sul piano strutturale di particolari ele-
menti di distinzione 189.

4. Paolino di Nola e le basiliche di Cimitile

L’interesse di Mallardo per Cimitile è chiaramente riconducibile alla pro-


fonda devozione nutrita da Galante per Paolino di Nola che, tra IV e V secolo,
aveva promosso la diffusione del culto di san Felice e la trasformazione del
cimitero che ne aveva accolto le spoglie in un grandioso e frequentatissimo
santuario 190. Nel 1914 il maestro, che si interessava al restauro e alla valoriz-
zazione del complesso basilicale sin dal 1876, cerca di coinvolgere nelle ricer-
che il giovane allievo. Il 14 gennaio 1914, dies natalis di san Felice, i due sa-
cerdoti si recano a Cimitile per incontrare l’ispettore onorario ai Monumenti,
dott. Gaetano Peluso, per «cominciare il lavoro di riordinazione dei monu-
menti delle basiliche di Cimitile»; vi ritornano nei due anni seguenti, sempre
con l’intento di avviare i lavori di restauro 191. Nel marzo 1918 la Soprinten-
denza ai Monumenti di Napoli invia finalmente al Ministero della Pubblica

188 D. MALLARDO, La Pasqua e la settimana maggiore a Napoli dal secolo V al XIV, in Epheme-
rides liturgicae 66 (1952) 1, 3-36, qui 20.
189 Cf. G. CANTINO WATAGHIN - M. CECCHELLI - L. PANI ERMINI, L’edificio battesimale nel tessuto ur-
bano della città tardoantica e altomedievale in Italia, in L’edificio battesimale in Italia. Aspetti e
problemi. Atti dell’VIII Congresso nazionale di archeologia cristiana (Genova-Sarzana-Albenga-
Finale Ligure-Ventimiglia, 21-26 settembre 1998), Bordighera 2001, 231-265, qui 240-242.
190 Cf. C. EBANISTA, et manet in mediis quasi gemma intersita tectis. La basilica di S. Felice
a Cimitile: storia degli scavi, fasi edilizie, reperti, Napoli 2003, 561.
191 Archivio Galante, nella Biblioteca della Sezione S. Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà
Teologica dell’Italia Meridionale [d’ora in poi AG] Chronicon, 14 gennaio 1914; 16 gennaio 1915;
16 gennaio 1916. Per il ruolo svolto da Peluso nel restauro delle basiliche di Cimitile cf. EBANISTA, et
manet, 508-517.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 193

Istruzione un progetto di massima, redatto dall’architetto professor Vincenzo


Rinaldo, che prevede la raccolta, la catalogazione e l’esposizione dei marmi, ol-
tre ad alcuni saggi di scavo e al restauro dei mosaici 192. Dopo l’approvazione
della proposta limitatamente alla sistemazione del materiale scultoreo ed epi-
grafico, il 3 maggio 1918 Giulio De Petra, presidente della Commissione Con-
servatrice dei Monumenti di Terra di Lavoro, scrive al Ministero che, «per assi-
curare la migliore riuscita di tale lavoro», sarebbe «utile aggiungere all’opera
dell’architetto il consiglio e l’aiuto di persona versatissima nell’Archeologia cri-
stiana»; poiché Galante non può accettare l’incarico «per la sua età e lo stato
delle sue forze», si è rivolto al «prof. Domenico Mallardo, valente epigrafista e
studiosissimo delle nostre antichità, ed in particolare delle opere di S. Paolino e
delle Basiliche da lui edificate» 193. Lo studioso, come riferisce De Petra, «accet-
ta volentieri l’invito», ma ha già inoltrato richiesta per la promozione da cappel-
lano militare aggiunto a ordinario, «cosa che lo allontanerebbe dal Monumento
su cui si richiede il suo lavoro»; per tali ragioni il presidente della Commissione
Conservatrice chiede al suo interlocutore «di adoperarsi perché il Ministero
della Guerra trattenga la promozione del Prof. Mallardo, finché il suo lavoro
sulla Basilica di Cimitile non sia compiuto» 194. Nonostante il ministro della Pub-
blica Istruzione scriva al collega di sospendere momentaneamente la promozio-
ne 195, Mallardo non prende parte ai lavori che, iniziati tra il 1° e il 6 maggio
1918 sotto la direzione dell’arch. Rinaldo, ben presto s’interrompono 196.
Vent’anni dopo, essendo nel frattempo ripresi i restauri sotto la direzione del-
l’architetto Chierici, soprintendente all’Arte Medievale e Moderna della Campa-
nia, Mallardo avvia le ricerche su Paolino di Nola e il santuario di Cimitile, pub-
blicando la lastra marmorea paleocristiana [Fig. 19] conservata nella cripta del-
la cattedrale nolana 197. Grazie alla disponibilità del vescovo di Nola, monsignor

192 Archivio Centrale dello Stato, Roma [d’ora in poi ACS], Ministero Pubblica Istruzione, Dire-
zione Generale Antichità e Belle Arti, IV versamento, Divisione I, busta 1239, Cimitile, Basiliche di
S. Felice in Cimitile. Progetto di ricostruzione.
193 Ivi, lettera di Giulio De Petra al Ministero della Pubblica Istruzione, 3 maggio 1918.
194 Ivi.
195 Cf. ivi, lettera del Ministero della Pubblica Istruzione al Ministero della Guerra, giugno 1918.
196 Cf. EBANISTA, et manet, 516.
197 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 269-291; cf. la recensione di G. P. KIRSCH, in Rivista di
Archeologia Cristiana 15 (1938) 372-373.
194 CARLO EBANISTA

Michele Camerlengo, e all’incoraggiamento di Amedeo Maiuri, soprintendente


alle Antichità della Campania e del Molise, Mallardo studia il «pregevole monu-
mento» che «ora per la prima volta viene alla luce» 198. Molto probabilmente
l’interesse per il manufatto deriva dalla lettura di un manoscritto di Galante che,
come attesta lo schizzo allegato al testo [Fig. 20], aveva intenzione di pubblica-
re la lastra, alla cui scoperta forse non fu estraneo. Il manoscritto, purtroppo
privo di data, non aiuta a precisare l’epoca e le modalità del rinvenimento del
marmo che era venuto alla luce nella cripta in occasione dei «recenti restauri»
connessi alla «ricostruzione della Cattedrale Nolana» 199. Galante riferisce che
la «grossa lapide marmorea era affissa al lato destro dell’abside della Confes-
sione od ipogeo suddetto, presso la fenestrella donde sgorga il prodigioso li-
quore di san Felice. Al rimuoversi questa lapide, si è ritrovato che alla parte sua
postica avea un incisione [sic] nel marmo; era stata quindi in epoca posteriore,
che noi a tutto diritto chiameremo barbarica o vandalica, adoperata per iscri-
vervi alla parte opposta un epigrafe [sic] dichiarante l’indulgenze annesse alla
Confessione» 200. Al termine dei lavori, la lastra venne murata nella parete op-
posta della cripta (dov’è segnalata per la prima volta nel 1909 201 ed è tuttora
collocata), lasciando in vista la decorazione e nascondendo l’iscrizione 202.
Le indicazioni fornite da Galante sono ripetute, quasi alla lettera, nel saggio
edito da Mallardo nel 1938 203. Dal confronto tra il manoscritto del maestro e

198MALLARDO, Una fronte d’altare, 271, 289-290.


199AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 1.
Nonostante i dati disponibili, risulta difficile capire se la lastra venne rimossa prima o dopo gli scavi
che nel 1898 Galante, coadiuvato dal sacerdote nolano Geremia Trinchese, condusse nella cripta
della cattedrale di Nola (C. EBANISTA, Tra Nola e Cimitile: alla ricerca della prima cattedrale, in
Rassegna Storica Salernitana n.s. 24 [2007] 1, 25-119, qui 58-60, 65). Dopo gli scavi, Trinchese
venne inviato a Marsiglia, dove rimase alcuni anni prima di poter ritornare a Nola (AG, busta AC/IX,
fascicolo 1199/1, lettera di Geremia Trinchese del 29 luglio 1899: «Se avete dimenticato il mio no-
me, basta ricordarvi l’affare di S. Felice nel soccorpo della cattedrale, per ricordarvene»).
200 AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 1.
201 Cf. G. TRINCHESE, Cripta di S. Felice primo vescovo di Nola e martire, patrono della città e
diocesi, in Jubilate! Numero unico, traslazione del corpo di S. Paolino di Nola, Napoli 1909, 12-
13, qui 13.
202 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, ff. 1-
2 («Il Rmo Vescovo di Nola, Mg D Agnello Renzullo ha fatto collocare il pregevole monumento con la
primitiva faccia a vista dei visitatori, incastrandola alla parete di fronte all’altare della Confessione»).
203 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 271 («Al lato destro di questo ipogeo, presso la fenestella
della “manna di san Felice” era incastrata nel muro una grossa lapide, che dichiarava le indulgenze
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 195

il saggio dell’allievo emerge chiaramente che quest’ultimo ha tratto spunto dal


testo di Galante, sebbene non lo menzioni affatto. Mallardo ha esaminato di
persona la lastra, dal momento che ne riporta con estrema precisione le di-
mensioni e le caratteristiche; alcuni dati metrici peraltro corrispondono a
quelli registrati nello schizzo del maestro [Fig. 20].
La lastra [Fig. 19] è decorata da incisioni distribuite su tre specchiature:
quelle laterali sono occupate da un candelabro, mentre quella centrale, incor-
niciata da un tralcio con grappoli d’uva alternati a foglie lanceolate e cuorifor-
mi, è ornata da una croce gemmata (dai cui bracci pendono le lettere apoca-
littiche e alla cui base sono rappresentati i quattro fiumi del paradiso) circon-
data da colombe, stelle e melograni. Se la descrizione di Mallardo è molto più
dettagliata di quella fornita da Galante 204, i due studiosi concordano nell’iden-
tificare la lastra con un paliotto d’altare 205. A proposito dell’analisi iconogra-
fica e iconologica, si riscontrano significative differenze, ma anche talune ana-
logie. Il maestro, rinviando al titulus fatto apporre da Paolino di Nola sugli
ingressi laterali della basilica nova 206, identifica le colombe con le anime
dei semplici che hanno parte nel trionfo di Cristo e nel regno di Dio 207, men-
tre l’allievo, incerto nell’accogliere questa ipotesi o l’identificazione con gli
apostoli, ritiene che le colombe riproducano quelle disposte a corona nel mo-
saico absidale della basilica nova, cui il lapicida si sarebbe ispirato «senza

annesse all’oratorio. La lastra fu rimossa, e, nel venir fuori della faccia nascosta, ci si trovò davanti a
un monumento di notevole importanza. Il vescovo di Nola del tempo, monsignor Agnello Renzullo,
su proposta del compianto monsignor Gennaro Aspreno Galante, fece incastrare la lastra nella pare-
te posta di fronte all’altare della Confessione, con la faccia primitiva in vista dei visitatori»).
204 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 2
(«Vedesi nel mezzo una croce, della forma che dicesi latina, gemmata, ai cui lati si svolgono due ra-
mi, con foglie e frutta, ed uccelli. Dalle braccia della croce pendono da catenelle le lettere A ed W.
Nella riquadratura o cornice si intrecciano due tralci con foglie e grappoli; e finalmente ai lati sono
due candelabri con fiaccole»).
205 Cf. ivi, f. 3 («Primamente si domanda sarà questa lapide o lastra marmorea la testata d’un
sarcofago, ovvero un paliotto d’altare? A me sembra piuttosto il paliotto d’un altare, dappoiché tut-
ta la parte ornamentale e simbolica è in onore della croce, quindi l’attribuiamo piuttosto ad altare;
<e> la vite che si ravvolge intorno è simbolica del sacrificio eucaristico»); MALLARDO, Una fronte
d’altare, 286-287.
206 Cf. PAOLINO DI NOLA, Epistula 32, 14 (Quaequae super signum resident caeleste columbae |
Simplicibus produnt regna patere Dei).
207 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 5.
196 CARLO EBANISTA

approfondire troppo il loro significato simbolico» 208. Dopo aver evidenziato


che le stelle, i fiumi e i melograni «stanno ad indicare chiaramente che qui si
son voluti rappresentare la glorificazione della croce, e il Cristo trionfante nel
Paradiso» 209, Mallardo si sofferma sul tralcio di vite che interpreta come «un
emblema eucaristico» 210, secondo quanto già aveva supposto Galante 211. Se
la matrice africana dei candelabri è riconosciuta da entrambi gli studiosi, l’al-
lievo trova nella lastra una conferma all’ipotesi di de Rossi che la simbologia
paradisiaca dei candelabri si sia sviluppata in Africa 212. Mallardo istituisce un
parallelo con i candelabri raffigurati nel paliotto di Santa Maria a Vico a
Giffoni Valle Piana [Fig. 21], già pubblicato da de Rossi e «andato dolorosa-
mente perduto» 213. Nel 1949 ritorna brevemente sulla lastra nolana, sugge-
rendo ulteriori confronti con i candelabri rappresentati in una lastra del Mu-
seo Lateranense, in un inedito dipinto delle Catacombe di S. Gennaro e nel
sarcofago dell’archipresviter Adeodato conservato a Cimitile 214. Convinto
che «la composizione del marmo nolano sia ispirata dall’arte monumentale
delle decorazioni musive delle grandi absidi basilicali», lo studioso rileva che
a Nola predomina l’iconografia romana 215. La giustezza della sua intuizione è
stata di recente confermata da Bisconti, allorché, analizzando le linee analo-
giche che collegano l’area campana con Roma, ha attribuito «all’Urbe il ruo-
lo di centro propulsore, di sede progettuale o comunque di snodo delle in-
venzioni iconografiche» 216.

208
MALLARDO, Una fronte d’altare, 278 e 280.
209
Ivi 279.
210 Ivi 280.
211 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 6
(«La vite poi che co suoi pampani [sic] e grappoli circonda tutta la scena della croce è senza dub-
bio simbolica dell’altare eucaristico, e quindi del sacrificio dell’altare»).
212 Cf. ivi, f. 10; MALLARDO, Una fronte d’altare, 283-284. La presenza dei candelabri sui monu-
menti può essere riferita a due ambiti, da una parte a quello funerario, dall’altra a contesti a caratte-
re meramente glorificante quando l’elemento è associato alla croce, a Cristo e al monogramma (M.
ESPOSITO, Candelabro, in BISCONTI, Temi di iconografia paleocristiana, 141-143, qui 142).
213 Auspicando che «venga rintracciato», lo studioso data il manufatto tra VI e VIII secolo (MAL-
LARDO, Una fronte d’altare, 287-288, nota 2, fig. 1).
214 Cf. MALLARDO, La vite, 102.
215 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 289.
216 BISCONTI, Imprese musive, 738, figg. 7-8.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 197

Le opinioni di Galante e Mallardo sulla primitiva ubicazione della lastra


nolana risultano completamente divergenti: il maestro, infatti, si esprime a fa-
vore della provenienza da Cimitile 217, mentre l’allievo non si pone il proble-
ma, in quanto non ha «dubbi sulla sua collocazione originaria» forse per il
fatto che è stato scoperto sotto la cattedrale di Nola 218. Completamente in di-
saccordo appaiono, invece, in merito alla datazione del marmo; mentre, in-
fatti, Galante data la lastra tra VIII e X secolo 219, Mallardo è certo che risale
alla fine del V secolo 220. «L’iconografia, se si tien conto dell’alto simbolismo
che la ispira […], ci porta al sec. V, agli inizi, anzi, di questo secolo», mentre
«l’esecuzione così trascurata nella distribuzione degli spazi, nella rappresen-
tazione sommaria dei grappoli, ad es., e delle colombe (si osservino i piedi),
e la incapacità di produrre un’opera d’arte scultorea vera e propria, ci fareb-
bero scendere al sec. VI» 221. Escluso «qualunque influsso di arte bizantina o
longobarda» e considerato il forte valore simbolico, lo studioso preferisce
assegnare la lastra «piuttosto alla fine del V, che al VI»222, anche se, un quin-
dicennio dopo, attribuirà l’esecuzione del manufatto «alla fine del V sec., al
più tardi agli inizi del VI» 223. Pur riconoscendone la «grande povertà tecni-
ca» 224, respinge, invece, con decisione la datazione all’VIII secolo proposta
dalla guida della Campania edita dal Touring Club Italiano nel 1928 225.
Le conclusioni di Mallardo, accolte in pieno da Pasquale Testini 226, appaio-
no ancora oggi valide, sia per quanto riguarda l’analisi iconografica e iconologica,

217 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, ff. 11-
12: «Ma donde la sua provenienza? Non vorremmo esitare a dichiararlo proveniente da Cimitile»).
218 Cf. P. TESTINI, Note per servire allo studio del complesso paleocristiano di s. Felice a Cimi-
tile (Nola), in Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité 97 (1985) 329-371, qui 371.
219 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 11
(«Ma di qual tempo è il nostro monumento? Lo stile alquanto trascurato; la forma dei candelabri, la
croce medesima assai prolungata nell’asta inferiore; se non la fanno risalire verso il sesto e settimo
secolo; certo non la fanno posteriore al secolo decimo»).
220 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 289.
221 Ivi 288.
222 Ivi 289.
223 D. MALLARDO, Nola, diocesi di, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano 1952,
1912-1915, qui 1915.
224 MALLARDO, Una fronte d’altare, 288.
225 Cf. ivi 288.
226 Cf. TESTINI, Note, 371.
198 CARLO EBANISTA

sia per la funzione 227. L’apparato iconografico, costituito da una serie di sim-
boli giustapposti paratatticamente, dimostra che si tratta di un paliotto d’alta-
re, assimilabile all’esemplare di Giffoni Valle Piana (oggi nell’atrio della Pina-
coteca Provinciale di Salerno) 228, ma avvicinabile anche a quello della Chiesa
di S. Maria di Capaccio Vecchia 229. Entrambi questi paliotti sono datati al VI
secolo, epoca alla quale risalgono anche quattro manufatti campani, a desti-
nazione funeraria, che sono decorati da analoghe coppie di candelabri: oltre
al sarcofago cimitilese di Adeodato già richiamato da Mallardo, si tratta dell’e-
semplare reimpiegato per accogliere le spoglie del vescovo Sabino, dell’epi-
grafe del levita Romolo (entrambi conservati nello Specus Martyrum di Atri-
palda) e del sarcofago collocato nel Museo Archeologico Provinciale dell’Agro
Nocerino 230. Quest’ultimo è inquadrato da un tralcio con grappoli d’uva e fo-
glie lanceolate che, per la forma e la lavorazione con il trapano corrente o “a
violino”, è perfettamente analogo a quello che decora la lastra nolana. Conside-
rato che un ornato simile ricorre anche in un inedito pilastrino conservato nel-
la cattedrale di Teano 231 e in uno proveniente da Sorrento (VII secolo) 232, la

227 Come già precisato in altra sede (cf. EBANISTA, Tra Nola e Cimitile, 95), non può essere, in-
fatti, accolta l’ipotesi che il manufatto sia «parte di un monumento funerario per un martire» (M. C.
CAMPONE, Apporti teologici paoliniani all’evoluzione dell’arte liturgica dei primi secoli: la croce
gemmata della cattedrale di Nola, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle
Arti in Napoli 69 (2000) 13-18, qui 18) ovvero un pluteo (cf. V. PACE, Arte medievale in Italia Me-
ridionale. I. Campania, Napoli 2007, 13).
228 Cf. P. PEDUTO, Arechi II a Salerno: continuità e rinnovamento, in Rassegna Storica Salerni-
tana n.s. 15 (1998) 1, 7-28, qui 11-12, fig. 2; S. CARILLO, Tutela e restauro dei monumenti nella
provincia di Salerno. Gli atti della commissione archeologica (1873-1874), in Apollo. Bolletti-
no dei Musei Provinciali del Salernitano 17 (2001) 97-118, qui 110, nota 59, fig. 7; C. LAMBERT,
Un prezioso anello di congiunzione tra tarda antichità ed altomedioevo nel Museo di Nocera,
in Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano 21 (2005) 44-58, qui 47-48, fig. 13.
229 Cf. R. CALVINO, Una lastra paleocristiana sconosciuta a Capaccio, in Campania Sacra 4
(1973) 291-294; P. PEDUTO, Aspetti urbanistici e caratteri architettonici di Capaccio Vecchia, in
Caputaquis Medievale, I, Ricerche 1973, Salerno 1976, 33-45, qui 39-40, tav. XIV; A. BUKO - P.
PEDUTO, Problemi di periodizzazione, in Caputaquis Medievale, II, Napoli 1984, 317-339, qui
320, nota 1; LAMBERT, Un prezioso anello, 47-48, fig. 12.
230 Cf. LAMBERT, Un prezioso anello, 44-45, figg. 3-5; C. LAMBERT, Studi di epigrafia tardoantica
e medievale in Campania. Volume I. Secoli IV-VII, Firenze 2008, 74-76, fig. 29b-e.
231 Cf. F. ACETO, Pittura e scultura dal tardo-antico al Trecento, in Storia del Mezzogiorno di-
retta da G. Galasso e R. Romeo, XI/4, Napoli 1993, 297-366, qui 312.
232 Cf. C. EBANISTA, Inediti elementi di arredo scultoreo altomedievale da Sorrento, in Rendi-
conti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 70 (2001) 269-306, qui 279-282,
figg. 5-6.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 199

datazione del paliotto nolano va fissata al pieno VI secolo, piuttosto che alla
fine del V o agli inizi del VI, come propone Mallardo.
A testimonianza del suo interesse per l’architettura paleocristiana di Cimi-
tile è lo schizzo a inchiostro della basilica nova [Fig. 22] tratto dall’articolo
pubblicato da Heinrich Holtzinger nel 1885 233. Nel corso di una visita alla Ba-
silica di S. Felice, «presieduta dal Soprintendente Gino Chierici »234 (eviden-
temente prima del suo trasferimento a Milano nel dicembre 1935 235), l’at-
tenzione di Mallardo cade su un affresco visibile sulla parete che separa l’ab-
side occidentale dall’edicola mosaicata. Ritornato sul posto agli inizi di luglio
del 1947 236, in compagnia di Vitale De Rosa, «ispettore dei monumenti di Ci-
mitile» 237, Mallardo ha l’occasione di visionare da vicino l’inedito affresco e di
accertare che, come già sospettava, si tratta della Vergine orante tra i santi
Felice e Paolino [Fig. 24]; il sopralluogo è funzionale alla preparazione di
una conferenza prevista per il successivo 7 luglio 238. Nella relazione lo studio-
so, dopo aver giustamente respinto l’identificazione della parete con un’ico-
nostasi 239, si sofferma sull’immagine della Vergine, lamentando che, dopo la

233 La planimetria della basilica nova è impropriamente indicata con la sigla «S.L. flm» (ossia
S. Lorenzo fuori le mura) che andava apposta alla pianta disegnata sulla parte alta del foglio che, in-
vece, è indicata come «S.S.» (AM, XXII.2); cf. H. HOLTZINGER, Die Basilika des Paulinus zu Nola, in
Zeitschrift für bildende Kunst 20 (1885) 135-141, figg. 1, 5.
234 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 7r.
235 Cf. L. GALLI, Il restauro nell’opera di Gino Chierici (1877-1961), Milano 1989, 14 e 113.
236 Nel manoscritto, che è datato 7 luglio 1947, Mallardo afferma di essersi recato a Cimitile
«sette giorni fa» ovvero il martedì precedente; poiché il 7 luglio cadeva di lunedì, il sopralluogo do-
vrebbe essere avvenuto martedì 1° luglio; questa data è compatibile con la domanda che lo studioso
si pone: «cosa volete che potessi fare in quattro giorni soltanto, anzi in alcune ore soltanto di questi
quattro giorni, io che purtroppo non sono in condizioni per poter pensare solo allo studio?» (AM,
VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio 1947, ff. 7r,
8r-v).
237 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 7r.
238 L’intervento rientrava nel Convegno Mariano celebrato presso il Seminario Maggiore di Na-
poli dal 7 al 9 luglio 1947; cf. il contributo di Carmine Matarazzo in questo volume.
239 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 7r («È stata definita come una iconostasi; ma non lievi ragioni si oppongono a farla credere
tale»); l’identificazione, destituita di ogni fondamento, era stata avanzata da Chierici (cf. G. CHIERICI,
Di alcuni risultati sui recenti lavori intorno alla basilica di S. Lorenzo a Milano e alle basiliche
paoliniane di Cimitile, in Rivista di Archeologia Cristiana 16 (1939) 51-72, qui 69; ID., Sant’Am-
brogio e le costruzioni paoliniane di Cimitile, in Ambrosiana. Scritti di storia, archeologia ed arte,
200 CARLO EBANISTA

visita compiuta negli anni Trenta, la «parte superiore del volto, dal labbro in
su, più non si vede, è andata distrutta» 240. L’affresco, in realtà, era stato dan-
neggiato nel 1687, allorché il preposito di Cimitile, Carlo Guadagni, fece ap-
porre sulla parte alta della parete [Fig. 23] un’epigrafe marmorea che è stata
rimossa in occasione dei restauri del 1890 o del 1903 241. Non a caso il 15 feb-
braio 1934 Agnello Baldi, collaboratore del soprintendente Chierici, annotò
nel diario di scavo la presenza sulla parete del «busto della Madonna» 242. In-
teressato alle immagini della Vergine e dei due santi, Mallardo illustra con
dovizia di particolari le vesti e la postura dei personaggi, ma pone scarsa at-
tenzione alla campitura del fondo e trascura completamente gli intradossi dei
due archi adiacenti 243. La cura maggiore, com’è facilmente intuibile, è ripo-
sta nell’identificazione dei due santi; grazie all’aiuto di una persona del luo-
go, che gli fornisce «una scala, il metro, una bacinella con l’acqua, una pez-
zuola da pulire e bagnare dove occorresse, il dipinto», lo studioso, coadiuva-
to da Vitale De Rosa, riesce a decifrare l’iscrizione (PaVLINVs) relativa al
santo raffigurato a destra; avendo identificato questo personaggio, l’altro san-
to – conclude giustamente Mallardo – dev’essere «il Martire locale, il domi-
naedius di s. Paolino, s. Felice» 244. Della scoperta lo studioso dà una fugace

pubblicati nel XVI centenario della nascita di Sant’Ambrogio, CCCXL-MCMXL, Milano 1942, 315-
331, qui 319).
240 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 lu-
glio 1947, ff. 7r-v («La figura centrale, purtroppo, non è quale io vidi la prima volta. La parte su-
periore del volto, dal labbro in su, più non si vede, è andata distrutta: ma a me sembra di avere
ancora avanti agli occhi, la pensosa austerità del volto, pure soave nella severa compostezza delle
linee»).
241 Cf. EBANISTA, et manet, 412, fig. 33; ID., Carlo Guadagni e il santuario di Cimitile, in C.
GUADAGNI, Breve relatione e modo di visitar il S. Cimiterio e le cinque basiliche di S. Felice in
Pincis or terra di Cimetino, a cura di C. EBANISTA, Cimitile 2010, 7-51, qui 31-32, figg. 13-14.
242 EBANISTA, La tomba di S. Felice, 190.
243 Il dipinto è in fase con gli affreschi che decorano gli intradossi, nei quali, su fondo scuro,
sono raffigurati rispettivamente un festone con fiori tripetali bianchi e un tralcio con melagrane,
grappoli d’uva, fichi e altri frutti (EBANISTA, et manet, 231).
244 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 8r («Aguzzammo da terra in esplorazione lo sguardo, nell’ultima fascia verde scura, ac-
canto all’aureola, a destra, ci parve di scorgere tracce di lettere: salii sulla scala a circa tre metri
dal suolo, fissai bene lo sguardo con trepidazione pari al desiderio; le lettere per quanto attenuate,
c’erano davvero, le decifrai e lessi chiaramente VLIN. La restituzione delle lettere mancanti si pre-
sentava ovvia, quasi s’imponeva. Ma quel senso di circospensione e di diffidenza che è insito nel me-
todo dei nostri studi ci s’impose un esame ulteriore. Salì De Rosa, salii una seconda volta anch’io,
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 201

notizia nel 1952 245, senza, però, proporre la datazione al VII secolo che aveva
avanzato nel 1947 246. Il confronto stilistico con alcuni affreschi campani, nel-
l’escludere questa proposta, consente di assegnare il dipinto cimitilese al X-XI
secolo 247.
In relazione al già citato saggio su La vite negli antichi monumenti cri-
stiani di Napoli e della Campania, nel 1949 Mallardo s’interessa ai mosaici
dell’edicola che sorge intorno alla tomba di san Felice a Cimitile 248. Nell’asso-
ciazione dei pavoni alla vite [Fig. 25] lo studioso vede un chiaro riferimento
all’hortus paradisiaco che ricorreva anche nello scomparso mosaico absidale
della basilica nova eretta da Paolino di Nola nei primi anni del V secolo 249.
Oltre a escludere il «carattere orientale» del mosaico dell’edicola riconosciu-
to da Chierici 250 e, prima di lui, da Charles Diehl 251, Mallardo critica Leonardi
che aveva proposto la dipendenza della stesura musiva cimitilese dal mosaico
con il cantharus (cosiddetto del Calice ansato) che decora un arcosolio
della Catacomba di S. Gaudioso 252 [Fig. 3]. Assegnando quest’ultimo al «sec.
V inoltrato», Mallardo ritiene impossibile che possa aver influenzato i mosai-
ci dell’edicola che «in nessun caso» sono «posteriori al 403», essendo stati

discutemmo, diffidammo, scrutammo ancora. Ma infine, per i contorni della quinta lettera che dap-
prima era apparsa a metà, si fissarono nitidi nella nostra pupilla, la quinta lettera era V, la lettura
dunque VLINV era certa, non meno certa poteva essere la restituzione PAVLINVS. Non ci aveva già
detto il pallio che si trattava di un vescovo? Identificato con s. Paolino il personaggio a sinistra della
Vergine, la identificazione del santo di destra s’impone: esso è il Martire locale, il dominaedius di s.
Paolino, s. Felice. E giustamente non ha il pallio: s. Felice era solo prete»).
245 Cf. MALLARDO, Nola, 1914: «la Vergine fiancheggiata da s. Paolino e s. Felice».
246 Cf. AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 lu-
glio 1947, f. 8v («Io dapprima non ero alieno dal datare i dipinti nolani dall’VIII secolo. Oggi, dopo
d’averci ben riflettuto, non credo esatta la datazione dell’VIII, sia pure della prima metà dell’VIII, e li
assegno senza esitazione al sec. VII»).
247 Cf. EBANISTA, et manet, 231-232, fig. 139.
248 Sorprende l’impropria collocazione dei pavoni con il cantharus sulla parete nord dell’edi-
cola e l’errata articolazione del titulus interno in otto distici (cf. MALLARDO, La vite, 83); è noto, in-
fatti, che i distici sono quattro e che i pavoni ricorrono sulla parete est (cf. EBANISTA, et manet, 184-
185, 191-192, fig. 136).
249 Cf. MALLARDO, La vite, 86.
250 Cf. ivi 82-83, nota 9: «Perché il Chierici […] dica “di carattere orientale” la decorazione
musiva […], né egli dimostra, né a noi è dato di indovinare»; cf. CHIERICI, Di alcuni risultati, 71.
251 Cf. C. DIEHL, Manuel d’art byzantin I, Paris 1925, 127 («caractère purement oriental»).
252 Cf. LEONARDI, ‘Ampelos, 133, fig. 18.
202 CARLO EBANISTA

commissionati da Paolino di Nola 253. La datazione della decorazione cimitile-


se tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, appurata grazie all’analisi delle
stratigrafie murarie 254, permette ora di riconsiderare i rapporti con l’arcoso-
lio mosaicato di san Gaudioso che peraltro di recente, in base a confronti sti-
listici, è stato anch’esso datato tra la fine del V secolo e i primi decenni del
successivo 255. Nonostante le affinità compositive e iconografiche, non si può
negare che l’astratto geometrismo e il fondo aureo della decorazione cimiti-
lese, che immerge animali e motivi vegetali in una realtà trascendente e meta-
fisica, tendano a una visione più avanzata; a Cimitile le raffigurazioni si staglia-
no piatte sul fondo aureo con un’impronta decisamente astratta, prive di ogni
espansione visuale in profondità e compresse in superficie 256. Queste circo-
stanze sembrano indicare che, come voleva Mallardo, la stesura napoletana
preceda effettivamente quella cimitilese; inaccettabili risultano, però, le data-
zioni dei due mosaici proposte dallo studioso.
Nel saggio La Pasqua e la settimana maggiore a Napoli dal secolo V al XIV,
pubblicato nel 1952 nella rivista Ephemerides liturgicae, Mallardo dichiara
di possedere un inedito manoscritto di Galante, in cui, tra l’altro, è registrata
l’epigrafe del presbitero Uranio 257 (CIL, X, 1385). Il maestro, che aveva visto
l’iscrizione «al suolo presso l’altare» della Basilica di S. Felice, la registrò in
uno schizzo realizzato prima del 28 gennaio 1876 258. Mallardo non ha dubbi
che l’Uranius presbyter dell’epigrafe sia l’autore del de obitu S. Paulini 259, di
cui intende realizzare «l’edizione critica e il commento di tutti i passi liturgi-
ci» 260. Nella voce Nola dell’Enciclopedia Cattolica, anch’essa pubblicata nel

253Cf. MALLARDO, La vite, 93.


254Cf. EBANISTA, et manet, 152.
255 Cf. AMODIO, La componente africana, 93 e 97, figg. 41-42.
256 Cf. EBANISTA, et manet, 195-197.
257 Cf. MALLARDO, La Pasqua, 8.
258 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile. In merito C. EBANISTA, Gli ap-
punti inediti di Gennaro Aspreno Galante sulla chiesa di S. Giovanni a Cimitile, in Campania
Sacra 28 (1997) 2, 189-212; ID., et manet, 503.
259 Cf. Epistula Uranii presbyteri de obitu S. Paulini ad Pacatum, in PL 53, 859-866. In pre-
cedenza, invece, aveva espresso qualche dubbio sull’identificazione tra l’autore dell’epistula e il de-
funto ricordato nell’epigrafe (MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 170).
260 MALLARDO, La Pasqua, 9; a quest’edizione critica fanno capo, con ogni probabilità, alcuni ine-
diti appunti (AM, VII).
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 203

1952, lo studioso rende noto qualche ulteriore, nuovo elemento di riflessione


in margine al complesso basilicale di Cimitile, a testimonianza del suo costante
e crescente interesse per il santuario. L’eccessiva frammentarietà e la disper-
sione dei marmi altomedievali sono, però, all’origine di un’inesattezza, in cui
era incorsa già la Tozzi 261; non avendo visto il pezzo con la testa della pistrice
pertinente al parapetto dell’ambone, Mallardo immagina, infatti, che nelle fau-
ci del mostro fosse raffigurato Giona 262. Da attento studioso della storia della
Chiesa, esprime, invece, forti dubbi sulla datazione, allora quasi unanimemen-
te accolta, dell’episcopato di Leone III agli inizi dell’VIII secolo 263. Cinque anni
dopo ritorna sull’argomento, rilevando che la datazione dei marmi cimitilesi
proposta dalla Tozzi «è stata fuorviata dall’epoca comunemente assegnata al
vescovo Leo Tertius, il cui nome si legge sui pilastri» del protiro della Cappella
dei SS. Martiri; nell’ammettere che Leone III «può essere vissuto così nell’VIII,
come nel IX secolo», esclude l’identificazione con l’omonimo vescovo consa-
crato da papa Formoso (891-896) e menzionato in una lettera di Ausilio del
911 264. Un’ipotesi, questa, che dagli anni Sessanta viene, invece, ormai con-
cordemente accettata 265. Molto interessante è un’inedita annotazione firmata
[Fig. 26] che Mallardo appose sul margine destro della pagina 275 dell’artico-
lo della Tozzi nella copia del Bollettino d’Arte del 1931 conservata alla Biblio-
teca Nazionale di Napoli 266; a commento della datazione dei marmi di Cimitile
proposta dalla studiosa, scrive: «questo supporrebbe come già dimostrato che
Leone III fu vescovo al principio del sec. VIII. Il che invece non è. Due Leoni,
certi, ha Nola, uno al 536, l’altro alla fine del sec. IX. D. Mallardo».

261 Cf. M. TOZZI, Sculture medioevali campane. Marmi dal IX al XII secolo a Cimitile e Capua,
in Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione serie III 25 (1932) 11, 505-516, qui
506, fig. 1.
262 Cf. MALLARDO, Nola, 1914; cf. la critica di A. FERRUA, Leo e Lupinus vescovi di Nola, in Vetera
Christianorum 11 (1974) 97-109, qui 102. Di recente nell’errore di Tozzi e di Mallardo è incorso
R. CORONEO, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro 2000, 151, fig. 111.
263 Cf. MALLARDO, Nola, 1914.
264 Cf. D. MALLARDO, San Castrese vescovo e martire nella storia e nell’arte, Napoli 1957, 73-74.
265 Cf. H. BELTING, Die Basilica dei SS. Martiri in Cimitile und ihr frühmittelalterlicher Fresken-
zyklus, Wiesbaden 1962, 153-155; ID., Studien zur beneventanischen Malerei, Wiesbaden 1968,
95; O. CAPITANI, Ausilio, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, 597-600, qui 600.
266 Cf. M. TOZZI, Di alcune sculture medioevali della Campania, in Bollettino d’Arte del Mini-
stero della Pubblica Istruzione serie III 25 (1931) 6, 272-281 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Sala
Consultazione, Per. 4).
204 CARLO EBANISTA

Nel 1954 presenta all’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Na-


poli due note relative ad alcune epigrafi cristiane di Cimitile. Da poco Chierici
ha ripreso gli scavi nel complesso basilicale e Mallardo non perde l’occasione
per esprimere severe critiche per il modo con cui l’ex soprintendente condu-
ce i lavori: se già nel 1949 aveva dichiarato che negli «scritti nolani del Chieri-
ci non poche cose sono da correggere» 267, ora precisa «con rincrescimento»
che le conclusioni della prima campagna di scavi (1931-35) «non sono né
chiare, né convincenti, né immuni da sviste e contraddizioni; per non parlare
poi delle lacune bibliografiche» 268. Già prima della ripresa degli scavi, Ferrua
nel 1953 aveva rivelato che Chierici non era «la persona più adatta» a dirigere
l’intervento, «essendo naturalmente portato ad integrare le ricerche e gli studi
lasciati un giorno a metà, forse per forza di cose o mancanza di denari, come
suole avvenire» 269. Mallardo, mentre sono da poco cominciati i lavori, auspi-
ca che gli scavi siano «sempre guidati da una matura preparazione storica, let-
teraria e archeologica» 270. La penuria di informazioni sulle indagini svolte da
Chierici e la metodologia seguita inducono lo studioso a sottolineare che «il
problema dei rapporti reciproci e delle varie fasi dei monumenti prepaolinia-
ni e paoliniani di Cimitile è tra i più complessi e intricati che presenti l’archeo-
logia cristiana, reso ancora più difficile dagli ardori non sempre illuminati,
spesso, anzi, ignoranti o impulsivi, della pietà dei secoli seriori, e dalle ricer-
che di studiosi impreparati ad affrontarlo» 271. Conclude, quindi, con l’auspi-
cio che «il santuario più celebre e più frequentato di tutta l’Italia, dopo Roma»
possa trovare «l’archeologo degno di svelare la sua primitiva bellezza e il fa-
scinoso succedersi degli eventi» 272. I timori di Mallardo, purtroppo, si rivela-
no ampiamente fondati, mentre gli auspici sono destinati a rimanere disattesi,

267MALLARDO, La vite, 83, nota 9.


268D. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale di un ignoto vescovo nolano del sec. VI, in Rendiconti
dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 30 (1955) 199-210, qui 207.
269 ACS, Ministero Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, IV versamento,
Ufficio Conservazione Monumenti, busta 143, Cimitile, 1954-1960, relazione di Ferrua, 10 aprile 1953.
270 D. MALLARDO, Presunto rinvenimento a Cimitile dei sarcofagi di un Antonino junior e di
S. Paolino vescovi di Nola, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in
Napoli 30 (1955) 193-198, qui 198.
271 MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 209-210.
272 Ivi 210.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 205

dal momento che la seconda campagna di scavi (1954-1960), nonostante gli


indubbi miglioramenti rispetto alla prima, è anch’essa caratterizzata da una
metodologia inappropriata che prevede l’asportazione non controllata dei ter-
reni, la demolizione delle strutture ritenute “tarde” e l’effettuazione di scassi
nei muri 273. Il riserbo che circonda le indagini di Chierici determina, inoltre,
una costante penuria di informazioni che non è soddisfatta dai suoi scritti 274,
anche perché «i risultati delle indagini si trovano pubblicati in brevi notizie o
relazioni, tutte a carattere prevalentemente informativo, le quali però, appun-
to perché tali, risentono del progresso dei lavori, dello studio dei reperti o
della riflessione attenta su alcuni problemi» 275.
Nonostante la riservatezza, qualche notizia, però, finisce sui giornali, ma in
maniera così distorta da suscitare l’immediata reazione di Mallardo. Il quoti-
diano Il Mattino il 5 giugno 1954 dà notizia della scoperta del «sarcofago di
S. Antonino Iunior Vescovo di Nola […] con lo scheletro intatto del santo»
(oltre a riferire che «gli scavi procedono per il rinvenimento della tomba di
San Felice» 276), mentre l’Osservatore Romano del 6 giugno segnala il rinve-
nimento del sepolcro di san Paolino, vescovo di Nola nel IV secolo 277. Senza
escludere del tutto un coinvolgimento dello stesso Chierici, nel tentativo forse
di suscitare clamore e sollecitare nuovi finanziamenti per il prosieguo degli
scavi 278, sembra profilarsi piuttosto la possibilità di una fuga di notizie. Il 6
giugno 1954 Mallardo, in una lettera indirizzata al direttore de Il Mattino, si
chiede se «è consentito ad uno studioso dei monumenti paleocristiani della
Campania, rettificare le inesattezze contenute in questa notizia»; dopo aver
precisato, che il sepolcro menzionato dall’«autore del trafiletto» non è altro

273 Cf. EBANISTA, et manet, 43.


274 Cf. EBANISTA, La tomba di S. Felice, 129-130, 141 e 154.
275 P. TESTINI, Cimitile. L’antichità cristiana, in L’art dans l’Italie Mèridionale. Aggiornamen-
to dell’opera di Émile Bertaux sotto la direzione di A. Prandi, IV, Rome 1978, 163-176, qui 164.
276 Il Mattino del 5 giugno 1954, 2 (Rinvenuto il sarcofago di S. Antonino Vescovo).
277 Cf. L’Osservatore Romano del 6 giugno 1954, 6 (Il rinvenimento del sarcofago di S. Pao-
lino).
278 Una delle principali preoccupazioni di Chierici, quasi fino alla morte, fu quella di ottenere
fondi per completare gli scavi (cf. EBANISTA, et manet, 521-523; A. MERCOGLIANO - C. EBANISTA, Gli sca-
vi degli anni Cinquanta e Sessanta nel complesso basilicale di Cimitile. Documenti inediti e
nuove acquisizioni, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli
72 (2003) 167-273, qui 175; EBANISTA, La tomba di S. Felice, 168, nota 727).
206 CARLO EBANISTA

che la tomba del vescovo Paolino iunior († 442), da sempre visibile nella
Basilica di S. Felice, lo studioso formula «il voto che così la tomba di Paolino
iuniore, come l’altra del vescovo Felice, morto nel 484 […], non siano ri-
mosse dai posti che hanno occupato sino ad oggi» 279. Nella nota scientifica
presentata nel giugno 1954 all’Accademia di Archeologia conferma la validità
della sua ipotesi e rileva che entrambe le segnalazioni giornalistiche proven-
gono dalla redazione di Caserta e attingono alla stessa fonte 280. Le notizie, an-
ziché favorire l’andamento delle ricerche, finiscono col creare un’immagine
ancora più negativa degli scavi condotti a Cimitile, tanto che Mallardo com-
menta amaramente: «non so in base a che […] a Nola c’è chi crede che si sia-
no ritrovate alcune ossa, addirittura, di S. Felice prete» 281.
Nell’intento di evidenziare le gravi «inverosimiglianze» registrate nei due
articoli 282, Mallardo passa in rassegna i presuli che occuparono la cattedra
nolana fino al VI secolo. Molto interessante è la discussione relativa al vesco-
vo Sisto, la cui esistenza era stata supposta da de Rossi sulla base della testi-
monianza della silloge epigrafica contenuta in un codice del IX secolo, in cui
sono riportati, tra l’altro, alcuni tituli composti da Paolino di Nola per le ba-
siliche di Cimitile 283. Nella silloge il distico finale (Plebs gemina Christum
Felicis adorat in aula, | Paulus apostolico quam temperat ore sacerdos)

279AM, Corrispondenza spedita, 38.


280Cf. MALLARDO, Presunto rinvenimento, 193 e 197-198. L’annotazione dello studioso trova una
precisa rispondenza nel fatto che, in primavera e autunno, Chierici abitava a Caserta, donde nei gior-
ni feriali di buon mattino si recava a Cimitile, rimanendo in cantiere «fin oltre mezzodì» (P. B ORRARO,
Nel ricordo di Gino Chierici il Convegno Internazionale sulle antichità cristiane, in Idee nuove.
Periodico di informazione e attualità 2 [1970] 3, 1). Tra le altre notizie apparse sulla stampa lo-
cale riveste particolare rilevanza un articolo scritto nel giugno 1958 dal casertano Pietro Borraro
che «al tempo della seconda fase delle esplorazioni» è al fianco dell’anziano architetto con il quale
quotidianamente approfondisce «particolari temi connessi alle sue ricerche archeologiche» (ivi 1);
oltre a riferire dell’esistenza del venerato sepolcro nell’edicola mosaicata, Borraro mette in eviden-
za che «intanto sembra (e la notizia non può non suscitare un’eco di vivo interesse) che sia stata
identificata, senza possibilità di dubbi, la tomba di san Felice e siano state sfatate così tante leggende
che avevano raggiunto valore e dignità di storia» (P. BORRARO, Le antiche basiliche cristiane di Ci-
mitile. Il restauro all’importante complesso costituisce uno dei più interessanti capitoli del-
l’archeologia, in La Campana, giugno 1958, 3).
281 MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 199.
282 Cf. ivi 192.
283 Cf. Biblioteca Nazionale di Parigi, NAL 1443 (già Cluniacense); T. LEHMANN, Eine spätantike
Inschriftensammlung und der Besuch des Papstes Damasus an der Pilgerstätte des hl. Felix in
Cimitile/Nola, in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 91 (1992) 243-281.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 207

di un titulus, che Paolino aveva collocato e regione basilicae novae super


medianum arcum 284, è trascritto con significative varianti (Lex gemina
Christum Felicis adorat in aula, | Syxtus apostolico quod temporat ore
sacerdos). Secondo de Rossi, il lex per plebs e il quod temporat per quam
temperat sono sviste dell’amanuense, mentre la sostituzione di Syxtus a
Paulus fu resa necessaria dalla successione del vescovo Sisto a Paolo che era
deceduto nel periodo compreso tra la composizione del titulus e la sua ripro-
duzione sulle pareti della basilica nova 285. Mallardo respinge decisamente
l’ipotesi di Angelo Silvagni che, rifiutando la supposizione di de Rossi, aveva
congetturato che il distico paoliniano fosse stato adoperato «altrove» 286. Rin-
viando ad altra sede la disamina della questione dell’episcopato di Sisto, Mal-
lardo anticipa solo che questo vescovo, «di cui il de Rossi dice di aver avuto
notizia dal Galante, non può essere affatto vissuto ai primi del sec. V, ma è di
età molto più tarda» 287. Già in precedenza, del resto, Mallardo aveva collocato
quest’episcopato dopo il VII secolo 288, sulla base verosimilmente della testimo-
nianza di Remondini che, sulla scorta dei cataloghi di Capaccio e Clementelli,
lo aveva assegnato alla fine del X secolo 289.
Il 14 luglio 1954 Mallardo, accompagnato dal conte Riccardo Filangieri,
si reca a Cimitile per un sopralluogo finalizzato a verificare se, come crede, il
sepolcro citato nei due articoli sia effettivamente quello del vescovo Paolino
iunior 290. La visita gli offre l’occasione di accertare che la sua ipotesi è giusta
e che Chierici ha smontato anche la tomba del vescovo Felice; nel contempo
esamina due iscrizioni pagane e una cristiana che sono da poco venute alla

284 PAOLINO DI NOLA, Epistula 32, 15.


285 G. B. DE ROSSI, Inscriptiones christianae urbis Romae, septimo saeculo antiquiores, II/1,
Roma 1888, 192.
286 A. SILVAGNI, Se il carme damasiano di S. Felice appartenga veramente a Nola, in Rivista di
Archeologia Cristiana 12 (1935) 249-264, qui 257.
287 MALLARDO, Presunto rinvenimento, 195, nota 1: «ne parlerò in altra occasione». A questo
progettato studio rinviano, con ogni probabilità, gli appunti intitolati NOLA. Sisto vescovo di Nola.
Carme Damasiano, in cui Mallardo annota che Sisto è menzionato nel Codice Cassinese 139 dell’XI
secolo e nel Codice Bibl. Naz. Napoli VIII.B.3 (AM, II.2).
288 Cf. MALLARDO, Nola, 1913.
289 Cf. G. REMONDINI, Della nolana ecclesiastica storia, I, Napoli 1747, 666; ID., Della nolana
ecclesiastica storia, III, Napoli 1757, 106-107.
290 La tomba, in effetti, era stata aperta da Chierici il 18 maggio 1954 (cf. EBANISTA, La tomba di
S. Felice, 191).
208 CARLO EBANISTA

luce e che il successivo 10 novembre illustrerà nella sede dell’Accademia di


Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli. Della prima epigrafe, commissio-
nata dal magister augustalis Attico, lo studioso fornisce solo il testo e le di-
mensioni riservandosi di «dire qualche parola di commento» in una succes-
siva comunicazione all’Accademia; non manca, però, di riferire che era stata
riutilizzata come «chiusura del sarcofago del vescovo Felice († 9 febbraio
484)» 291. Anche per la seconda iscrizione – fatta apporre dalla nolana Varia
Pansina sulla porticum numini Veneris Ioviae et Coloniae – Mallardo in-
dica solo il testo, le dimensioni e le circostanze del rinvenimento: il marmo,
già resecato di circa 40 cm in occasione del reimpiego nella tomba del ve-
scovo Paolino iunior 292, si era rotto in due pezzi durante l’apertura del se-
polcro 293. Maggiore spazio lo studioso dedica, invece, all’epigrafe del vesco-
vo Musonio [Fig. 27] che era venuta alla luce grazie alla rimozione di due
gradini esistenti nell’arco che a sud collega l’edicola mosaicata all’abside oc-
cidentale della Basilica di S. Felice 294. «Non nuovo agli studi della storia e dei
monumenti dell’antica chiesa nolana», Mallardo si accorge subito dell’im-
portanza del testo per la ricostruzione della cronotassi episcopale: Musonio,
infatti, non è registrato da altre fonti 295. L’epigrafe, datata all’anno 535, forni-
sce, altresì, preziose informazioni in merito al successore di Musonio, Leone,
che, poco dopo la sua consacrazione, prese parte in qualità di legato di papa
Agapeto a una missione a Costantinopoli 296.

291MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 200; per la datazione alla fine del I secolo d.C. cf. A. FERRUA,
Cimitile ed altre iscrizioni dell’Italia inferiore, I, in Epigraphica 33 (1971) 99-104, qui 101.
292 Mallardo riferisce che costituiva la «chiusura del sarcofago» (MALLARDO, Iscrizione sepolcrale,
199-200), mentre Ferrua, quindici anni dopo, affermerà che la lastra, databile tra il 124 e il 132 d.C.,
era stata sistemata sul lato sud della tomba (cf. FERRUA, Cimitile, 102-104).
293 Nel sepolcro sottostante quello di Paolino iunior venne rinvenuta un’iscrizione († 556) re-
lativa ai fanciulli Johannes e Paula (cf. EBANISTA, et manet, 145; D. KOROL, Le celebri pitture del
Vecchio e Nuovo Testamento eseguite nella seconda metà del III ed all’inizio del V secolo a Ci-
mitile/ Nola, in M. DE MATTEIS - A. TRINCHESE [curr.], Cimitile di Nola. Inizi dell’arte cristiana e
tradizioni locali, Oberhausen 2004, 147-173, qui 161, nota 83; EBANISTA, La tomba di S. Felice, 73,
nota 275) che Mallardo non conosce perché evidentemente fu scoperta successivamente alla sua
visita del 14 luglio 1954.
294 L’arco era attraversato da una scala composta da tre gradini, due dei quali costruiti sull’epi-
grafe (cf. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 208, tav. II n. 2; EBANISTA, et manet, 157, nota 331).
295 Cf. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 201.
296 Cf. ivi 202-206.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 209

L’iscrizione viene utilizzata da Mallardo anche ai fini della datazione della


parete su cui è raffigurato il già citato affresco con la Vergine orante tra i
santi Felice e Paolino [Fig. 24] e nella quale si apre l’arco che ospita la tom-
ba di Musonio. A suo avviso, la parete non può appartenere, come ha invece
ipotizzato Chierici 297, alla primitiva basilica, dal momento che la tomba di san
Felice si sarebbe trovata «presso la porta d’ingresso e quasi addossata al muro
di testata» dell’edificio 298. Inoltre, poiché l’epigrafe di Musonio penetra «per
circa 3 cm. sotto il muro laterale» sud, egli conclude che è «nata prima la
tomba e poi il fornice» 299. Quest’ultima osservazione non può essere accolta
perché in realtà l’iscrizione era coperta esclusivamente dall’intonaco che, alla
fine del XVII secolo, aveva rivestito il piedritto sud dell’arco 300. Gli studi recen-
ti hanno consentito di appurare che il muro in cui si apre l’arco appartiene ef-
fettivamente alla primitiva basilica ad corpus, anche se questa, diversamente
da quanto supponeva Chierici, era orientata nord-sud e non est-ovest 301. Tut-
tora valida è, invece, la considerazione di Mallardo che la tomba del vescovo
Aureliano rappresenta il terminus ante quem per la costruzione della parete
che divide l’edicola dall’abside; la datazione dell’epigrafe (CIL, X, 1366) al VII
secolo, anziché al VI come aveva proposto Francesco Lanzoni 302, ha trovato
un’autorevole conferma. Ferrua, rilevando che il lato sud della tomba è deli-
mitato da un frammento di epigrafe con il postconsolato di Basilio (541), ha
stabilito che Aureliano dev’essere deceduto «nella prima metà almeno del sec.
VII», anche perché in tutto il VI secolo non c’è posto nella cronotassi episco-
pale nolana per il suo episcopato durato ben 38 anni 303. La circostanza che

297 Cf. CHIERICI, Di alcuni risultati, 67, 69 e 71.


298 Cf. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 209.
299 Ivi 208.
300 Cf. EBANISTA, et manet, 115-116, e 412, fig. 33. La tomba di Musonio venne aperta e ricostrui-
ta prima del 26 maggio 1958, allorché Chierici scrisse al suo collaboratore Vincenzo Mercogliano di
asportare nuovamente la «lastra tombale che si rimise a posto nella prima arcata a mezzogiorno»;
nella lettera, cui allegò uno schizzo dell’arco con la «pietra tombale», gli chiese di rimuovere la la-
stra per rilevare le dimensioni della sepoltura e accertare se fosse rivestita di marmo: al termine del-
l’operazione Mercogliano avrebbe dovuto ricollocare il marmo «provvisoriamente […] a posto»
per dargli «la possibilità di un […] controllo» (MERCOGLIANO - EBANISTA, Gli scavi, 176, fig. 2).
301 Cf. EBANISTA, et manet, 118-119, fig. 32.
302 Cf. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 209, tav. II n. 1.
303 A. FERRUA, Le iscrizioni paleocristiane di Cimitile, in Rivista di Archeologia Cristiana 53
(1977) 105-136, qui 120-121.
210 CARLO EBANISTA

alla sinodo romana del 680 fu presente un Aurelianus humilis episcopus


sanctae Nolanae ecclesiae provinciae Campaniae 304, nell’apportare un al-
tro utile elemento cronologico, esclude che l’epigrafe sia stata eseguita tra la
fine del VI secolo e gli inizi del VII 305.

5. Testimonianze d’età paleocristiana nell’antica Capua

Mallardo s’interessa ai monumenti paleocristiani dell’antica Capua in re-


lazione alle ricerche sul santorale campano, avviate sin dagli anni Trenta. La
sua attenzione è rivolta, in particolare, alle immagini dei santi campani che
fino al 1766 erano raffigurate nei mosaici della Chiesa di S. Prisco nell’omo-
nima località situata presso S. Maria Capua Vetere 306. L’assenza dell’effigie di
san Gennaro lo induce ad assegnare gli scomparsi mosaici «ad un’età ante-
riore al quarto decennio del V secolo», allorché la traslazione dei resti del
martire nelle catacombe di Capodimonte diede un forte impulso al culto ia-
nuariano 307. Quando nel 1949 redige la voce Capua per l’Enciclopedia
Cattolica, lo studioso accenna altresì alla decorazione musiva dell’abside
della Basilica di S. Maria Maggiore (V secolo), alla basilica costantiniana
menzionata nel Liber Pontificalis, alle iscrizioni sepolcrali della seconda
metà del IV secolo trovate a S. Prisco e al sarcofago conservato nel cortile
della Chiesa di S. Marcello 308. Considerata la sede, Mallardo non approfon-
disce gli argomenti, ma rinvia alla bibliografia disponibile; respingendo la
datazione al III secolo proposta da Wilpert 309, assegna, però, il sarcofago al V

304 Cf. J. D. MANSI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XI, Florentiae 1765,
290.
305Cf. LAMBERT, Studi di epigrafia, 142, fig. 39a-b.
306Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 238-243; ID., Capua, arcidiocesi di, in Enciclo-
pedia Cattolica, III, Città del Vaticano 1949, 729-732, qui 729-730. Per la stesura musiva cf. G.
BOVINI, Mosaici paleocristiani scomparsi di S. Prisco, in Corso di cultura sull’arte ravennate e
bizantina, Ravenna 5-17 marzo 1967, Ravenna 1967, 43-62.
307 Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 241.
308 Cf. MALLARDO, Capua, 729-730. Sul mosaico absidale di S. Maria Maggiore lo studioso si era
soffermato nella conferenza del 7 luglio 1947 (supra, nota 238); cf. il contributo di Carmine Mata-
razzo in questo volume.
309 Cf. J. WILPERT, I sarcofagi cristiani antichi, I, Roma 1929, 116, tav. IX n. 2.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 211

secolo 310. Nel saggio su La vite negli antichi monumenti cristiani di Napoli
e della Campania, pubblicato anch’esso nel 1949, si sofferma, invece, sui mo-
saici della Cappella di S. Matrona a S. Prisco per respingere l’ipotesi di Leo-
nardi che, supponendo la presenza dell’immagine di san Prisco al centro della
volta, vi ha riconosciuto «il simbolo della vigna-Chiesa, custodita da Santi Ve-
scovi e Martiri»; Mallardo, rilevando giustamente che l’etimasia e i quattro evan-
gelisti raffigurati nelle lunette della cappella non possono «far da corteggio al-
la figura di S. Prisco», è portato a pensare che al centro della volta «possa es-
serci stato qualche motivo simbolico del Cristo» 311.

6. L’isola d’Ischia e il culto di santa Restituta

Le scoperte archeologiche effettuate da don Pietro Monti, tra il 1950 e il


1951, nella Chiesa di S. Restituta a Lacco Ameno inducono Mallardo, che si era
già occupato del dossier agiografico della martire 312, a interessarsi alle anti-
chità cristiane di Ischia. Il 3 maggio 1951, nell’ambito di una conferenza orga-
nizzata dal Centro di Studi sull’Isola d’Ischia, tiene una relazione su Le antiche
memorie cristiane di Ischia nella luce dei ritrovamenti paleocristiani in
Lacco Ameno 313. Dopo aver analizzato le testimonianze letterarie e agiogra-
fiche, dà notizia degli scavi e dei reperti più significativi. Agli inizi del 1950

310 Il sarcofago, che di recente è stato trasferito nella Chiesa dei SS. Rufo e Carponio (cf. M. PAGANO,
Capua nella tarda antichità, in Capys 40 [2007-2008] 21-44, qui 38), è datato al primo decennio
del IV secolo da Bovini (cf. G. BOVINI, Note iconografiche sul sarcofago paleocristiano della chie-
sa di S. Marcello di Capua, in Il contributo dell’archidiocesi di Capua alla vita religiosa e cul-
turale del Meridione, Atti del Convegno nazionale di Studi storici promosso dalla Società di
Storia Patria di Terra di Lavoro [Capua-Caserta-S. Maria C.V.-Sessa Aurunca-Marcianise-
Caiazzo-S. Agata dei Goti, 26-31 ottobre 1966], Roma 1967, 431-438, qui 438), che si è occupato
anche degli scomparsi mosaici capuani (cf. G. BOVINI, Mosaici paleocristiani scomparsi di S. Maria
Capua Vetere, in Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina, 35-42).
311 MALLARDO, La vite, 98-99.
312 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 201-207.
313 La relazione, conservata nell’archivio del Santuario di S. Restituta a Lacco Ameno (P. MONTI,
Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, Napoli 1968, 131), è stata integralmente pub-
blicata nel 1971 (D. MALLARDO, Le antiche memorie cristiane di Ischia nella luce dei ritrovamen-
ti paleocristiani in Lacco Ameno, in Ricerche contributi e memorie, Centro di Studi sull’Isola
d’Ischia, Atti relativi al periodo 1944-1970, I, Napoli 1971, 333-345).
212 CARLO EBANISTA

Monti, coadiuvato dall’ingegner Caccioppoli, fa rimuovere il settecentesco


pavimento dell’«oratorio antico di S. Restituta», mettendo in luce un impian-
tito del XV secolo, al di sotto del quale, a una profondità di 150 cm, nel pre-
sbiterio rinviene un pavimento di età tardoantica; «su quel piano, in corri-
spondenza del lato del Vangelo dell’altare già rimosso nel pavimento superio-
re, ultimo in ordine di tempo», è impiantata una tomba, «orientata nello stes-
so senso della Basilica, e quindi perpendicolare all’altare», nella quale si
conserva «lo scheletro del corpo umano che vi era stato rinchiuso» 314. Su in-
vito di Monti e del canonico Pasquale Polito, parroco di Casamicciola 315,
Mallardo si reca a Lacco Ameno nel successivo mese di aprile; dopo aver os-
servato «attentamente ogni cosa», lo studioso suggerisce di non «avventare
giudizi, ancora prematuri» e di andare avanti con gli scavi 316. Il 19 aprile
esce un articolo su Il Giornale 317, in cui, «accanto ad alcune osservazioni
giudiziose», compaiono molte inesattezze; l’Autore, infatti, non «aveva con-
suetudine con l’agiografia, né era informato del punto a cui era la quistione
agiografica di S. Restituta, dopo il capitolo» che Mallardo le aveva dedicato
nel volume del 1947 su Il Calendario Marmoreo di Napoli 318. Un secondo
articolo 319, «più prudente e rispettoso», viene pubblicato il 26 aprile dallo

314 MALLARDO, Le antiche memorie, 339-340.


315 Il 3 maggio 1951, nell’ambito della stessa conferenza cui prende parte Mallardo, monsignor
Polito tiene una relazione dal titolo Documenti inediti su Santa Restituta, nel corso della quale il-
lustra, tra l’altro, un inno dedicato alla martire che lo studioso napoletano aveva trascritto «di suo pu-
gno» dal Chronicon di S. Maria del Principio (Ricerche contributi e memorie, 347-354, qui 350).
316 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 340.
317 Cf. Grosso quesito dopo uno scavo ad Ischia. Uno scheletro del IV secolo sotto l’altare di S.
Restituta, in Il Giornale del 19 aprile 1950, 4 («Nel corso dei lavori di rinnovo del tempio […] il par-
roco ha rinvenuto dapprima un pavimento tipicamente ed inconfondibilmente medioevale; ma segui-
tando a scavare, nel sottostante strato, ha rinvenuto un impiantito riconosciuto romano con la tomba»).
318 MALLARDO, Le antiche memorie, 340.
319 Gli importanti ritrovamenti ad Ischia. Un secondo scheletro rinvenuto a Santa Restituta,
in Il Giornale del 26 aprile 1950, 4 («L’intervento del Rettore D Pietro Monti mirava a rimuovere e
rinnovare il consunto pavimento della chiesetta, originaria appendice dell’attuale Tempio, e di rac-
cogliere in un’urna [sic] votiva le reliquie sparse della Santa per collocarle più degnamente e me-
glio esporle al culto. Così veniva alla luce un altro pavimento in lapillo battuto ed uniforme come si
usava costruire nel secolo scorso. Volendosi ancora ispezionare sotto questo secondo pavimento,
con grande sorpresa si riscontrava la civiltà di un secolo assai più remoto, attraverso una pavimen-
tazione grezza e ruvida che lasciava pensare ad un succedersi di evoluzioni storiche, data la perma-
nenza dei Greci e dei Latini in quella plaga. Il fatto più salie<n>te è da rivelarsi nella scoperta di un
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 213

stesso quotidiano, dopo il rinvenimento di una seconda tomba 320. Intanto sem-
pre «nello stesso piano» vengono scoperte altre due sepolture e «una lucerna
cristiana del secolo VI-VII» 321. Alla fine del 1950 322 ovvero il 20 gennaio del-
l’anno seguente 323, «in mezzo all’area sepolcrale sotto il pavimento del vec-
chio oratorio», Monti scopre un pilastrino (20 x 20 cm; altezza 133) decorato
da semplici scanalature 324 e un arcosolio, sul quale è poggiata una lucerna
con la scena degli esploratori che tornano da Canaan 325 [Fig. 28]. Secondo
Mallardo la circostanza che la lucerna, risalente alla prima metà del IV seco-
lo, è stata trovata in situ indica che l’arcosolio è cristiano, come tutta l’area
cimiteriale; il sepolcreto, sorto tra IV e V secolo, nell’area di «una cisterna
disusata, posta in prossimità della spiaggia», fu impiegato a lungo, come atte-
sta «l’altra lucerna ornata di semplice croce ad estremità slargate, molto più
trascurata e rozza, e di età più tarda» che è stata rinvenuta «fuori posto»326.
Tra VIII e X secolo in quest’area sorse un edificio di culto, la cui esistenza è
attestata dal «pilastrino terminale di un cancello di altare»327 che lo studioso
assegna al IX-X secolo sulla base della presunta analogia con gli esemplari al-
tomedievali campani che, com’egli stesso rileva, sono, però, ornati da tralci a
girali 328. Quest’oratorio, osserva Mallardo, «non potette essere il primo a
sorgere […] sull’area cimiteriale di Lacco», dal momento che la comunità

secondo scheletro – avvenuto dopo quello di cui parlammo – I due scheletri sono sconnessi e di-
sgiunti nella loro formazione esistenti nel sarcofago sottostante all’altare»).
320 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 341.
321 Ivi 341; cf. MONTI, Ischia preistorica, 137.
322 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 341.
323 Cf. MONTI, Ischia preistorica, 137.
324 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 343-344; MONTI, Ischia preistorica, 138-139, nota 25.
325 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 341-342; MONTI, Ischia preistorica, 137-138, fig. 50. La
scena fu introdotta nei monumenti cristiani soprattutto per il suo valore allegorico legato alla sim-
bologia cristologica dell’uva (cf. V. CIPOLLONE, Canaan, in BISCONTI, Temi di iconografia paleocri-
stiana, 139-140, qui 140), come Mallardo non aveva mancato di rilevare nel suo saggio del 1949
(MALLARDO, La vite, 100); d’altra parte il suo interesse per le lucerne con questo tema risale al 1935,
allorché si occupò dell’esemplare di Boscoreale (cf. MALLARDO, La questione, 82-86).
326 MALLARDO, Le antiche memorie, 341-343; cf. MONTI, Ischia preistorica, 138.
327 MALLARDO, Le antiche memorie, 343; cf., invece, MONTI, Ischia preistorica, 138 («pilastro
terminale di un cancello d’altare o pluteo»).
328 Lo studioso cita gli esemplari di sant’Aspreno a Napoli, san Felice a Cimitile e san Castrese a
Marano di Napoli (cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 344; MONTI, Ischia preistorica, 138-139,
nota 25).
214 CARLO EBANISTA

locale «non poteva non avere il suo luogo di culto, la sua basilica. E per la
legge costante della persistenza e del perpetuarsi sulla stessa area dei luoghi
di culto, bisogna supporla questa basilica del secolo IV-V, nello stesso posto
dove abbiamo ritrovata quella del IX-X» 329. Mettendo in relazione l’edifica-
zione della chiesa con la presenza di una sepoltura venerata, lo studioso ritie-
ne probabile che in quest’area siano stati deposti «gli avanzi mortali della
martire africana, S. Restituta» 330. L’edificio di culto sarebbe poi stato rico-
struito dal conte Marino e dalla moglie Teodora 331, come attesta un docu-
mento del 1036 332.
La periodizzazione proposta da Mallardo è stata in parte accolta da Mon-
ti che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ha proseguito gli scavi, estendendo
le ricerche anche all’esterno della Chiesa di S. Restituta 333. La mancata rile-
vazione delle stratigrafie impedisce, tuttavia, di avere un quadro chiaro delle
fasi costruttive, tanto che di recente, sebbene siano stati identificati i resti di
un battistero 334, è stato sostenuto che gli scavi non hanno evidenziato tracce
riferibili «ad un possibile edificio di culto cristiano di IV-V secolo» 335, ma
solo i resti di «un ambiente annesso al complesso ecclesiastico» paleocri-
stiano 336. Non essendo questa la sede per analizzare le stratigrafie indivi-
duate nel corso degli scavi 337, faccio solo rilevare che la lucerna con gli
esploratori che tornano da Canaan va datata tra la fine del V secolo e gli inizi

329MALLARDO, Le antiche memorie, 344; cf., invece, MONTI, Ischia preistorica, 138-139.
330MALLARDO, Le antiche memorie, 344; cf. MONTI, Ischia preistorica, 140.
331 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 343; MONTI, Ischia preistorica, 138-140.
332 Cf. Regii Neapolitani archivi Monumenta edita ac illustrata, IV, Neapoli 1854, 270; B. CAPAS-
SO, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia […], II/1, Neapoli 1885, 282-283.
333 Cf. MONTI, Ischia preistorica, 147-149; ID., Ischia. Archeologia e storia, Napoli 1980, 283-
315; ID., Testimonianze bizantine sull’isola d’Ischia, in La tradizione storica e archeologica in
età tardo-antica e medievale: i materiali e l’ambiente. Primo colloquio di studi per il 17° cen-
tenario di S. Restituta, Napoli 1989, 57-79, qui 64, 77.
334 Cf. M. D’ANTONIO, L’edificio battesimale in Campania dalle origini all’altomedioevo, in
L’edificio battesimale in Italia, 1003-1036, qui 1011-1013.
335 C. GENNACCARI, Una nuova lettura degli scavi sotto il santuario di S. Restituta a Lacco Ame-
no, in RUSSO, 1983-1993: dieci anni di archeologia cristiana, 719-723, qui 723.
336 Cf. V. GUARINO - D. MAURO - P. PEDUTO, Un tentativo di recupero di una stratigrafia e mate-
riali vari da collezione: il caso del complesso ecclesiastico di S. Restituta a Lacco Ameno di
Ischia, in Archeologia Medievale 15 (1988) 439-469, qui 447-448.
337 Cf. P. ARTHUR, Naples, from Roman town to city-state: An Archaeological Perspective, London
2002, 75.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 215

del VII 338 piuttosto che alla prima metà del IV, laddove l’esemplare con
«semplice croce ad estremità slargate» segnalato nella conferenza del 3 mag-
gio 1951 dovrebbe corrispondere alla lucerna «con croce monogrammatica
gemmata» che nel 1957 Mallardo cita tra i principali rinvenimenti del 1950-
1951 339, insieme a quella con gli esploratori e al pilastrino; quest’ultimo,
stando alla descrizione fornita proprio dallo studioso, sembra più vicino agli
esemplari campani di IV-V secolo che a quelli di IX-X 340.
Nella conferenza del 1951 Mallardo si sofferma sulla fronte di sarcofago
[Fig. 29] di età teodosiana, «vale a dire della fine del sec. V o dei principi del VI»,
che è conservata nel palazzo vescovile di Ischia 341. Il manufatto «dal punto di vi-
sta dell’archeologia cristiana», scrive lo studioso, «non è affatto conosciuto, al
punto che è ignoto» sia a Wilpert, sia a Simon «che ha pubblicato uno studio
speciale sui sarcofagi cristiani del tipo Bethesda», cui l’esemplare ischitano
appartiene 342. Riservandosi di sviluppare il tema in un «apposito lavoro», si
dichiara d’accordo con monsignor Onofrio Buonocore che aveva supposto
l’importazione del manufatto da Roma nella seconda metà del XIV secolo per
essere reimpiegato nel monumento funerario di Giovanni Cossa 343. Tre anni
dopo, in occasione del V Congresso internazionale di Archeologia cristiana di
Aix-en-Provence, Mallardo illustra il sarcofago, rilevando giustamente che

338 Si tratta, infatti, di un esemplare della forma II del tipo C che si data tra la fine del V secolo e
gli inizi del VII (cf. GARCEA, Le produzioni di lucerne, 458). La scena, che è particolarmente attestata
sulle lucerne di produzione africana di V e VI secolo (CIPOLLONE, Canaan, 140), in Campania ricorre,
tra l’altro, su manufatti rinvenuti a Boscoreale, Avella e nella Civita di Ogliara, presso Serino (GUARINO -
MAURO - PEDUTO, Un tentativo, 460; C. EBANISTA, Testimonianze di culto cristiano ad Avella tra tar-
da antichità e medioevo, in A. V. NAZZARO [cur.], Giuliano d’Eclano e l’Hirpinia christiana, Atti del
convegno [4-6 giugno 2003], Napoli 2004, 287-363, qui 301).
339 Cf. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano, 254; la lucerna va riconosciuta tra gli esemplari “a
ciabatta” del VII secolo (GUARINO - MAURO - PEDUTO, Un tentativo, 460, fig. 13,c, f) e quelli del VII-
VIII secolo appartenenti ai tipi Provoost 10A e 10B (F. GARCEA, Appunti sulla produzione e circola-
zione delle lucerne nel Napoletano tra VII ed VIII secolo, in Archeologia Medievale 14 [1987]
537-544, qui 539) che sono conservati nel Museo degli scavi di S. Restituta.
340 Ci riferiamo, ad esempio, ai pilastrini cimitilesi con terminazione a bugna conoide e sempli-
ci scanalature (cf. EBANISTA, et manet, 135-137, figg. 44, 80; ID., La tomba di S. Felice, 58, figg. 32-
34, 105-107).
341 MALLARDO, Le antiche memorie, 338; cf. MONTI, Ischia preistorica, 135.
342 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 338; per l’iconografia cf. A. NICOLETTI, I sarcofagi di Bethe-
sda, Milano 1981; F. CRISTINI, Zaccheo, in BISCONTI, Temi di iconografia paleocristiana, 307-308.
343 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 338.
216 CARLO EBANISTA

nessun dato autorizza a supporre che sia stato importato da Roma nel Tre-
cento o agli inizi del Cinquecento, come avevano ipotizzato rispettivamente
Buonocore 344 e Gina Algranati 345. Esso va messo piuttosto in relazione con il
sepolcreto e gli «avanzi di un edificio che fu forse una basilica paleocristia-
na» scoperti a Lacco Ameno durante gli scavi eseguiti, «sia pure in maniera
non sistematica», nella Chiesa di S. Restituta 346. Il sarcofago d’Ischia si diffe-
renzia dagli altri esemplari Bethesda per la presenza di «un piccolo puledro,
dalle orecchie ritte, che sgambetta sotto la pancia dell’asina» su cui è assiso
Cristo nella scena dell’entrata trionfale a Gerusalemme 347. Mallardo osserva
con compiacimento che, «per ricostruire le origini e il cammino progressivo
del tipo», d’ora in poi bisogna prendere in esame il manufatto ischitano che
«relega al secondo piano il sarcofago Lateranese 125, giudicato dal Wilpert e
da altri che lo hanno seguito, come il prototipo del gruppo» 348. Consapevole
che la sua pubblicazione ha recato «un contributo decisivo» alla conoscenza
dei sarcofagi Bethesda, lo studioso rileva che i problemi che già prima pre-
sentava il gruppo «si prospettano ora […] sotto nuova luce» 349.

7. Il culto di san Castrese a Volturnum, Calvi e Marano di Napoli

L’interesse per il dossier agiografico di san Castrese spinge Mallardo a oc-


cuparsi delle testimonianze paleocristiane dell’antica Volturnum, dove il san-
to morì e fu sepolto 350. «Della esistenza di una basilica cristiana, del secolo V
o del principio del VI, in Volturnum», scrive lo studioso, «è prova evidente la

344 Cf. O. BUONOCORE, La diocesi d’Ischia dall’origine ad oggi, Napoli s.d., 17 e 124.
345 Cf. G. ALGRANATI, Ischia (Collezione di monografie illustrate. Ser. 1., Italia artistica, 102), Bergamo
1930, 91.
346 Cf. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano, 253-254; l’assenza di qualsiasi legame con il monu-
mento Cossa è ribadita da G. ALPARONE, Sculture del Medio Evo ad Ischia, in Ricerche contributi e
memorie, 391-397, qui 393.
347 Cf. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano, 251-252, fig. 6.
348 Ivi 254.
349 Ivi. Per l’aggiornamento delle problematiche relative all’origine e alla diffusione dei sarcofagi
Bethesda cf. NICOLETTI, I sarcofagi.
350 Cf. H. DELEHAYE, Commentarius in Martyrologium Hieronymianum ad recensionem Hen-
rici Quentin, in Acta Sanctorum Novembris, II/2, Bruxellis 1931, 87.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 217

fenestella o transenna clathrata del Museo Campano di Capua, proveniente da


Castelvolturno, il paese succeduto alla romana Volturnum» 351. Nel 1881 de
Rossi, ritenendo che il manufatto [Fig. 30] fosse stato realizzato, nel V secolo
o ai principi del VI, a imitazione delle fenestellae clatratae africane, aveva ri-
conosciuto un legame con gli esuli della persecuzione vandalica morti in Ita-
lia, non escludendo l’appartenenza del marmo al «venerato sepolcro del con-
fessore» 352. Mallardo, nel respingere questa identificazione basata sulla tradi-
zione agiografica che faceva erroneamente di Castrese un martire africano, ri-
leva giustamente «che se anche la fenestella clathrata di Volturnum fosse di
ispirazione africana, non ne seguirebbe senz’altro che abbia chiuso proprio la
tomba di san Castrese, e nemmeno che abbia chiuso la tomba di un africano.
Se nell’arte campana, dei sec. V-VI, ci sono stati influssi africani, non c’è biso-
gno, per spiegarli, di ricorrere alla leggenda, piuttosto che alla storia» 353.
Sempre in relazione al culto di san Castrese, Mallardo esamina un affre-
sco del X secolo esistente nella grotta dei Santi a Calvi, l’antica Cales; nel di-
pinto il martire è raffigurato, in compagnia di un altro santo, a lato dell’Ar-
cangelo Michele 354. Ancora una volta è l’interesse per l’agiografia ad avvici-
nare lo studioso a problematiche iconografiche, sulle quali, tra gli altri, si era
già pronunciato Cosimo Stornaiolo, anch’egli allievo di Galante 355. Senza pren-
dere posizione tra l’opinione di Stornaiolo che aveva identificato la grotta dei
Santi con un oratorio privato e quella di Felice Bernabei che l’aveva, invece,
collegata al fenomeno eremitico 356, Mallardo si sofferma sulle immagini dei

351 MALLARDO, San Castrese, 51-52, tav. I. Di recente a Marano, in località “Città Giardino”, sono
stati scoperti i resti di un edificio di culto rurale del IV-V secolo che fu abbandonato, in seguito a un
incendio, nel corso del VI secolo; l’area, frequentata ancora durante il medioevo, è stata messa in
collegamento con il villaggio sorto intorno alla Chiesa di S. Castrese (cf. M. PAGANO, Continuità inse-
diativa delle ville nella Campania fra tarda antichità e alto medioevo, in C. EBANISTA - M. ROTILI
[curr.], La Campania tra tarda antichità e alto medioevo: ricerche di archeologia del territorio,
Atti della Giornata di studio [Cimitile, 10 giugno 2008], Cimitile 2009, 9-21, qui 12).
352 G. B. DE ROSSI, Transenna marmorea trovata a Castel Volturno ora nel Museo di Capua, in
Bullettino di Archeologia Cristiana serie III 7 (1881) 147-153.
353 MALLARDO, San Castrese, 51-53.
354 Cf. ivi 75-82, tavv. IV-VI.
355 Cf. G. B. DE ROSSI, Conferenze della Società di cultori della cristiana archeologia in Roma.
12 marzo 1882, in Bullettino di Archeologia Cristiana serie III 9 (1883) 74-77, qui 74-75.
356 Per l’utilizzo cultuale delle grotte campane nel medioevo cf. C. EBANISTA, Culto micaelico e in-
sediamenti rupestri in Campania: la grotta di S. Michele ad Avella, in R. FRANCOVICH - M. VALENTI
218 CARLO EBANISTA

due santi e sulle iscrizioni che li individuano: a destra dell’Arcistratega ricono-


sce san Castrese in abiti vescovili [Fig. 31], mentre a sinistra, come aveva già
proposto Stornaiolo, san Prisco [Fig. 32], nella consueta iconografia del mar-
tire con la croce astile nella mano destra 357. La clamide trattenuta sulla spalla
destra da una fibula e l’assenza di tonsura attesta, secondo Mallardo, che si
tratta di un laico, così come si riscontra nell’immagine di sant’Acuzio [Fig. 33]
raffigurata, a lato di sant’Eutiche, nelle Catacombe di S. Gennaro a Napoli 358.
Esclusa l’identificazione con il Nucerinus episcopus citato da Paolino di Nola 359,
lo studioso riconosce nel personaggio «il Prisco martire capuano, attestato dal
martirologio geronimiano, dai musaici della chiesa di S. Prisco presso Capua,
del V secolo, dal Sacramentario Gelasiano» 360. Questa proposta non ha susci-
tato consensi, dal momento che il soggetto è stato identificato da George Kaftal
con sant’Ireneo 361 e da Hans Belting con san Quirico 362; occorre, tuttavia, rile-
vare che i due studiosi non conoscono il saggio di Mallardo.
Nell’altomedioevo il culto di san Castrese dall’agro sinuessano giunse a Ma-
rano di Napoli, il paese che avrebbe dato i natali a Mallardo 363. Questi nel 1947
dà la notizia dell’esistenza di due inediti pilastrini marmorei del IX secolo

(curr.), IV Congresso nazionale di Archeologia medievale (Abbazia di San Galgano (Chiusdino-


Siena), 26-30 settembre 2006), Firenze 2006, 389-400; ID., La chiesa rupestre di S. Michele ad
Avella, in Klanion/Clanius. Semestrale del Gruppo Archeologico Avellano per la ricerca storica e
lo studio del territorio XII/1-2 gennaio-dicembre 2005; ID., L’utilizzo cultuale delle grotte cam-
pane nel medioevo, in S. DEL PRETE - F. MAURANO (curr.), Atti I Convegno Regionale di Speleologia,
Campania Speleologica (Oliveto Citra, 1-3 giugno 2007), Piedimonte Matese 2007, 127-150; C.
EBANISTA - M. AMODIO, Aree funerarie e luoghi di culto in rupe: le cavità artificiali campane tra
tarda antichità e medioevo, in Atti VI Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali
(Napoli, 30 maggio-2 giugno 2008) (= Opera ipogea 1/2 2008), 117-144.
357 Cf. MALLARDO, San Castrese, 78-80, tavv. V-VI.
358 Cf. ivi 81, tav. VII.
359 Cf. PAOLINO DI NOLA, Carme 19, 515-518.
360 MALLARDO, San Castrese, 82.
361 Lo studioso è stato fuorviato dall’erronea lettura dell’iscrizione determinata dall’inversione
della diapositiva (cf. G. KAFTAL, Iconography of the Saints in Central and South Italian Schools of
Painting, Florence 1965, 567, fig. 185a).
362 Cf. BELTING, Studien, 107, fig. 41 n. 42, tav. LIII n. 114; così pure S. PIAZZA, La Grotta dei
Santi a Calvi e le sue pitture, in Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte 57
III serie XXV (2002) 169-208, qui 190, tav. I n. 3.
363 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 65, nota 220: «è il paese da cui traggo i natali. Mi è
caro notarlo qui in grazia del Martire campano».
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 219

provenienti dall’ecclesia S. Castresi che è attestata a Marano sin dal 942; i


manufatti, «ornati con la solita decorazione a girali di grappoli d’uva e melo-
grani», recano un’iscrizione (COLAVMB | REBFECIT) che lo studioso legge
Colaum breb fecit, ossia (Ni)colau[s] [p]re(s)b(yter) fecit 364. Dieci anni
dopo, nel volume San Castrese vescovo e martire nella storia e nell’arte,
Mallardo ritorna sull’argomento offrendo maggiori dettagli sulla collocazione e
sulla decorazione dei pilastrini, di cui fornisce le dimensioni e una buona ri-
produzione fotografica 365 [Figg. 34-35]. I marmi sono murati nella facciata del-
la Chiesa di S. Castrese ai lati dell’ingresso, laddove li vide Michele Monaco agli
inizi del Seicento 366. Nel riferire che l’iscrizione comincia nella parte superiore
del pilastrino di sinistra (COLAVMB) e termina in quella corrispondente dell’al-
tro esemplare (REBFECIT), Mallardo propone una lettura del testo leggermen-
te diversa da quella suggerita nel 1947: (Ni) Colaum pre(s)b(yter) fecit 367. I
pilastrini, a suo avviso, sono decorati da un tralcio che trae origine «da una
base, formata da due grandi foglie d’acanto, che divaricano simmetricamen-
te»; nei girali, dal basso verso l’alto, si riconoscerebbero «una foglia di acan-
to, il frutto del melograno (balausto), una foglia di vite, un grappolo d’uva,
una foglia di vite» 368. In realtà il tralcio a girali si sviluppa da mezze foglie pal-
mate e contrapposte che nulla hanno a che vedere con l’acanto; nei girali, con
racemi percorsi da solco mediano, compaiono dal basso verso l’alto un pam-
pino eptalobato, una melagrana, un pampino (pentalobato nell’esemplare di
sinistra ed eptalobato in quello di destra), un grappolo d’uva e un pampino
(pentalobato a sinistra ed eptalobato a destra). Le estremità libere del tralcio
sono a mezza foglia palmata con punte arrotondate; negli spazi di risulta ri-
corrono dei trifogli. Sulla cuspide dei pilastrini maranesi Mallardo rileva la
presenza di una croce «uscente da due foglie divaricate» e che, all’intersezione

364 Ivi 65.


365 Il pilastrino di sinistra è alto 136 cm, mentre l’altro 134 cm; larghi 19,5 cm, sono profondi
16 cm (cf. MALLARDO, San Castrese, 70-71, tav. II, nn. 1-2).
366 Cf. M. MONACO, Recognitio Sanctuarii Capuani, Neapoli 1637, 5 («In diocesi Neapolitana
est Pagus vulgo nuncupatus Marano, ibique visitur Ecclesia Parochialis sub invocatione Sancti Ca-
strensis, quae temporum iniuria collapsa, nunc reaedificata ab incolis illius loci in magna veneratio-
ne habetur: aspiciuntur enim ante valvas illius Ecclesiae tantum duae porvae [sic] columnae mar-
moreae illius antiqui Templi; quae a fidelibus antequam Ecclesiam ingrediuntur exoscula(n)tur»).
367 MALLARDO, San Castrese, 71.
368 Ivi.
220 CARLO EBANISTA

dei bracci reca «due altre foglioline o, piuttosto, fiorellini» 369. In verità la cro-
ce greca potenziata, gemmata al centro, nasce da due foglie contrapposte,
come si riscontra, tanto per rimanere in Campania, in tre pilastrini di Cimiti-
le 370. Lo studioso assegna i due esemplari maranesi al IX secolo sulla base
delle stringenti analogie con i pilastrini di S. Aspreno a Napoli, del Museo
Correale di Sorrento e di Cimitile 371. Per la presenza della melagrana spacca-
ta che lascia intravedere i chicchi, il tralcio gli ricorda in particolare il paliot-
to napoletano di S. Maria a Piazza 372 e un pilastrino cimitilese 373 [Fig. 36].
Nonostante le condizioni di reimpiego non consentano di apprezzare che
un’unica faccia 374, è probabile che i due pilastrini siano parte di un recinto
presbiteriale, databile tra IX e X secolo. Se, infatti, il tralcio a girali si sviluppa
da mezze foglie palmate e contrapposte, come si riscontra nell’iscrizione fu-
neraria del duca Bono (832-834) proveniente dalla chiesa napoletana di S.
Maria a Piazza 375, occorre rilevare che i pilastrini maranesi sono delimitati
da una cornice a doppio listello che in Campania, nei marmi parallelepipedi
(architravi, pilastrini, stipiti), è ampiamente documentata tra la fine del IX
secolo e la seconda metà del successivo 376.

8. Dalla storia all’archeologia: l’apporto di Mallardo alla conoscenza


della Campania paleocristiana

Storico di grande rigore metodologico e «penetrante acribia» 377, Mal-


lardo, sulla scia di Galante, introduce l’archeologia cristiana napoletana nel

369Ivi.
370Cf. EBANISTA, et manet, 269-270, fig. 98.
371 Cf. MALLARDO, San Castrese, 71-72.
372 Cf. ivi 72, tav. III.
373 Nella fotografia pubblicata nel 1957 si riconosce anche la base del pilastrino cimitilese (cf.
MALLARDO, San Castrese, 72-73, tav. II n. 3) a testimonianza che il manufatto forse era stato già ri-
mosso dalla parete nella quale era murato; successivamente al 30 maggio 1961, il pilastrino è stato
trafugato (cf. EBANISTA, et manet, 269, nota 487).
374 Attualmente non è possibile scorgere le facce laterali dei pilastrini che, secondo Mallardo,
misurano 16 cm (cf. MALLARDO, San Castrese, 71).
375 Cf. CORONEO, Scultura mediobizantina, 159, fig. 125.
376 Cf. ivi 113.
377 ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo, 317.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 221

cammino verso la disciplina scientifica moderna. L’interesse per la materia


non si sviluppa, come ci si aspetterebbe, per l’impulso ricevuto dal maestro,
quanto piuttosto in rapporto all’insegnamento di Archeologia cristiana che ri-
copre dal 1927 al 1958 presso il Seminario Arcivescovile di Napoli e quindi
alla rinata Facoltà Teologica Napoletana 378. Occorre, tuttavia, rilevare che le
sue ricerche in diversi casi traggono spunto proprio da inediti appunti di Ga-
lante che, sin dagli anni Dieci del Novecento, lo aveva avviato allo studio del-
l’archeologia cristiana 379.
Le pubblicazioni di Mallardo (monografie, articoli in riviste, saggi in atti di
convegni, contributi in volumi miscellanei, voci di enciclopedie, recensioni)
che, in maniera diretta o indiretta, trattano argomenti di archeologia cristiana
(topografia cimiteriale, iconografia, epigrafia) sono dedicate perlopiù alla re-
gione ecclesiastica campana. La scelta di concentrare l’attenzione su Napoli,
Cimitile/Nola, Capua, Ischia, Volturnum, Calvi e Marano di Napoli risponde a
un «disegno, concepito fin da giovane», di riscrivere «su basi più ampie […]
la Storia antica della Chiesa di Napoli, dalle origini fino al 1000» 380. Com’è
stato opportunamente rilevato, questa decisione, lungi dal collocare le sue ri-
cerche tra la «solita storiografia regionale», gli ha consentito «una intensità
insospettata di approfondimento scientifico che ha fatto di lui il più illustre
storico dell’età contemporanea della diocesi napoletana e delle antiche dio-
cesi campane» 381.
Il contributo di Mallardo al dibattito scientifico emerge chiaramente dal
raffronto con gli altri studiosi che, nella prima metà del Novecento, si occupa-
no della Campania in età paleocristiana. Ci riferiamo da un lato a quelli che,

378 Cf. ZAMA, In devota memoria, 9; DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo, 145; DILIGENZA, Mons.
Domenico Mallardo, 137, nota 1; CAPASSO, Ricordo, 3; BELLUCCI, Commemorazione, 4; DOVERE, Do-
menico Mallardo, 367; ID., Mons. Domenico Mallardo, 121; ORLANDO, Storia del capitolo, 319;
AMBRASI, Gli studi ianuariani, 59.
379 Dopo la scomparsa di Galante, avvenuta l’11 giugno 1923, alcuni manoscritti del maestro ri-
mangono in possesso dell’allievo (cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 169, 232; ID., Storia anti-
ca, 26-27; ID., La Pasqua, 8), invece di confluire nel Seminario Arcivescovile di Napoli insieme alla
biblioteca privata dell’anziano studioso (cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 72, nota 1; ID., Una fron-
te d’altare, 284, nota 8; ILLIBATO, Gennaro Aspreno Galante, 232).
380 D. MALLARDO, Il Calendario Lotteriano del sec. XIII, Napoli 1940, 3.
381 DILIGENZA, Mons. Domenico Mallardo, 138 e 140; cf. pure BELLUCCI, Commemorazione, 12;
DOVERE, Domenico Mallardo, 368; ID., Mons. Domenico Mallardo, 123.
222 CARLO EBANISTA

sulla scia del comune maestro Galante, operano nell’ambiente ecclesiastico


napoletano (Catalano, Bellucci, De Rosa) talora in stretto contatto con il
Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e la Pontificia Commissione di Ar-
cheologia Sacra o con esponenti del mondo accademico romano ed euro-
peo (Ferrua, Cecchelli, Achelis) e dall’altro agli archeologi e agli architetti
delle Soprintendenze campane (Della Corte, Lavagnino, Chierici). Questi ul-
timi, forse meno avveduti sul versante erudito e letterario, appaiono più abi-
li nell’approccio con le testimonianze materiali, anche in rapporto alla loro
formazione accademica e all’esperienza sul campo. Chierici, nel suo inter-
vento al III Congresso internazionale di Archeologia cristiana tenutosi a Ra-
venna nel settembre 1932, tiene a precisare che «lo studio dell’architettura
paleo-cristiana della Campania è stato finora condotto più che altro sulla
scorta di antichi testi […], spesso di incerta interpretazione, e sull’esame
dei monumenti alterati da ricostruzioni posteriori o manomessi da restauri
eseguiti senza criteri scientifici. Non si è data – prosegue il Soprintendente –
la dovuta importanza a quell’altra forma di indagine che può costituire una
base preziosa alle nostre conoscenze e cioè l’esame analitico, attraverso sag-
gi, rilievi, confronti, delle fabbriche giunte fino a noi e liberate da insidiosi ri-
facimenti» 382.
Ed è proprio sui funzionari delle Soprintendenze che si appuntano le prin-
cipali critiche di Mallardo, in merito all’interpretazione delle presunte tracce
cristiane a Pompei, agli scavi nelle Catacombe di S. Gennaro a Napoli e al re-
stauro del complesso basilicale di Cimitile; le censure riguardano, in partico-
lare, l’errata lettura delle iscrizioni (graffiti, epigrafi funerarie), l’impropria
interpretazione delle testimonianze archeologiche e, nel caso di Cimitile, la
conduzione degli scavi. La forte vena polemica è un tratto distintivo della pro-
duzione scientifica di Mallardo che emerge sin dalle prime pubblicazioni. Nei
suoi lavori, infatti, non manca mai di puntualizzare gli errori in cui sono ca-
duti quanti lo hanno preceduto nelle ricerche, tanto da meritarsi l’elogio di
Ferrua per il lavoro di correzione «delle asserzioni altrui» 383. Alla ricchezza
dei dati e all’originalità degli argomenti discussi, si associano severe critiche

382 CHIERICI, Contributo, 203.


383 FERRUA, Antichità cristiane, 54.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 223

nei confronti dei “falsari” del passato 384, degli studiosi contemporanei 385 e
perfino del suo maestro 386. In un saggio del 1931 sul vescovo Severo, edito nel
Bollettino Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli, giunge addirittura a bia-
simare il cronista dei Gesta episcoporum Neapolitanorum per la «spiegazio-
ne altrettanto goffa quanto primitiva e ingenua» del mosaico absidale della
Basilica severiana (attuale S. Giorgio Maggiore) 387.
Le ricerche di Mallardo prendono quasi sempre le mossa dagli aspetti sto-
rici e letterari, per poi estendersi progressivamente all’analisi delle fonti mate-
riali, nella convinzione che queste possano integrare il quadro storico-lettera-
rio. La predominanza attribuita alle testimonianze scritte si evince chiaramen-
te dall’impostazione metodologica che egli stesso professa, allorché dichiara
che «occorre dapprima raccogliere quante più fonti è possibile: vagliare, rie-
saminare criticamente e coordinare quelle già conosciute, frugare archivi e
biblioteche per scoprirne eventualmente delle nuove, poiché soltanto dal ma-
teriale raccolto tutto insieme e criticamente coordinato nascono la facilità
delle ricerche e dei confronti e la fecondità dei risultati» 388. Anche quando si

384 Cf., ad esempio, MALLARDO, Ricerche di storia, 13: «Brava fabbricante di casse, la fantasia del
D’Engenio, o quella dei suoi informatori!»; ID., La via Antiniana, 364: «Disgraziatamente, in quasi
tutti gli scrittori del 1500, 1600 e 1700, il senso critico non fu pari al grande amore per S. Gennaro»;
ID., Un supposto fratello, 165-191.
385 Si rinvia, a titolo di esempio, a: MALLARDO, La via Antiniana, 357 («Il quadro dunque, l’ha
immaginato l’Achelis, non l’hanno inventato i Napoletani, i quali con tutta la loro fantasia sanno an-
che, negli studi storici, dar prova di essere molto meno capaci di certi studiosi del freddo clima ger-
manico, di lasciarsi beflügeln die Phantasie»); ID., S. Gennaro e compagni, 167, nota 2 («Tre svi-
ste così gravi, in due righe appena, sono un po’ troppo. Ma non faranno meraviglia a chi conosce
davvero il Dictionnaire» di Leclercq); ID., Il Calendario Lotteriano, 131, nota 3 («quello che ha
scritto sulle origini della Chiesa di Napoli il LANZONI […] va interamente rifatto»); ID., Le origini,
27 («giudizi, datazioni ed affermazioni inesatte o addirittura errate, sono sparse un po’ dappertut-
to» nel capitolo dedicato da Lanzoni a Napoli); ID., La vite, 97, nota 2 («Il DIEHL, per quanto riguar-
da la Campania, è incorso in altre sviste, oltre a quelle già segnalate»).
386 Cf., ad esempio, MALLARDO, Ricerche di storia, 50 («A me che l’amai di amore intenso, e che
ho in venerazione la sua memoria, mi costa assai il dir questo, ma non posso nascondere che la sua
Relazione sulla Catacomba di S. Eufebio, per quanto concerne l’epigrafe, è assai difettosa di conce-
zione e di critica […] la sua è, oltre a mancata critica delle fonti, una invincibile riluttanza a rileva-
re la debolezza o la inverosimiglianza di fonti sospette»), 56 («scivolò in un errore assai grave […]
è incredibile come il migliore conoscitore della storia degli antichi cimiteri cristiani di Napoli abbia
potuto cadere in un errore simile»).
387 Cf. MALLARDO, Sacre Memorie, 92-94.
388 MALLARDO, Il Calendario Lotteriano, 3.
224 CARLO EBANISTA

occupa specificatamente di tematiche storiche o agiografiche, non manca, però,


di esaminare con attenzione le testimonianze archeologiche. Il principale inte-
resse di studio, come dimostrano i ripetuti accenni alle iscrizioni in quasi tutti
i suoi lavori, rimane l’epigrafia cristiana, anche se dall’agiografia si accosta
gradualmente all’iconografia. Sebbene in maniera marginale rispetto agli altri
temi di studio, non trascura, infine, la topografia cimiteriale e gli edifici di cul-
to sub divo.
Se si escludono i comprensibili accenni polemici di Della Corte, le pubbli-
cazioni di Mallardo sono unanimemente apprezzate dalla critica sin dall’usci-
ta, come attestano in particolare i commenti di Ferrua che lo definisce «chia-
rissimo storico della Chiesa antica Napoletana» 389. Costante è l’esigenza di
Mallardo di approfondire la conoscenza delle testimonianze archeologiche
esaminate e di aggiornarsi sui progressi degli studi, come si evince dai richia-
mi alle più recenti pubblicazioni. Vitale de Rosa, nel primo anniversario della
scomparsa dello studioso, rileva che la sua produzione, «non quantitativa-
mente ponderosa ma qualitativamente poderosa», attesta indubbiamente che
egli non fu «soltanto un archeologo dotto o un critico possente o un agio-
grafo sicuro ed aquilino», ma principalmente «un maestro di vita» che ha la-
sciato ai suoi allievi «la metodologia chiara, esatta per continuare quegli studi
nei quali Egli rimane Maestro desideratissimo e insuperabile» 390.
Alla fama di eminente studioso di Storia della Chiesa e di Archeologia cri-
stiana sono legate le nomine a socio delle principali istituzioni culturali par-
tenopee (Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, Accademia Ponta-
niana, Società Napoletana di Storia Patria, Accademia Ecclesiastica Napoleta-
na 391) e a ispettore onorario ai Monumenti della Campania 392 nonché l’affi-
damento della redazione delle voci Capua, Napoli e Nola per l’Enciclopedia

389 FERRUA, Antichità cristiane, 53.


390 V. DE ROSA, Nel I anniversario d’una morte lagrimata Mons. Domenico Mallardo Mistagogo
degli studi di archeologia cristiana, in La Croce del 28 giugno 1959, 4.
391 Cf. ZAMA, In devota memoria, 12; E. JOVINE, Nuovo grave lutto del nostro Clero e della
Scienza Mons. Domenico Mallardo Canonico della Metropolitana, in Bollettino Ecclesiastico
dell’Archidiocesi di Napoli 39 (1958) 6, 147-149, qui 148; DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo,
145; DILIGENZA, Mons. Domenico Mallardo, 137, nota 1; CAPASSO, Ricordo, 2; BELLUCCI, Commemo-
razione, 5; DOVERE, Domenico Mallardo, 368; ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo, 317-318;
DOVERE, Mons. Domenico Mallardo, 122.
392 Cf. ORLANDO, Storia del capitolo, 320.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 225

Cattolica. Se la sua produzione scientifica nel settore dell’Archeologia cri-


stiana non viene giudicata sufficiente per il conseguimento della docenza uni-
versitaria 393, occorre rilevare che non tutte le sue pubblicazioni archeologi-
che hanno un’ampia divulgazione. Alcuni articoli sono, infatti, pubblicati in
riviste locali (Bollettino Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli, Rivista
di Scienze e Lettere), mentre due monografie vengono stampate da piccoli
editori napoletani (Tipografia Unione, Giannini).
In altri casi, invece, gli argomenti sono trattati in libri di agiografia o storia
della chiesa che hanno scarsa diffusione tra gli archeologi e gli storici dell’ar-
te. È il caso, ad esempio, dei pilastrini di Marano di Napoli [Figg. 34-35] che
sono rimasti completamente sconosciuti 394, nonostante Pasquale Orlando, al-
lievo di Mallardo, li abbia ripubblicati nel 1970, ma in un volume ancora una
volta a carattere locale 395. Anche per gli affreschi della grotta dei Santi a Calvi
[Figg. 31-32] le osservazioni di Mallardo sono ignorate dagli specialisti 396.
Discorso analogo vale, infine, per le testimonianze di età paleocristiana del-
l’isola d’Ischia; se, infatti, il saggio sul sarcofago conservato nell’episcopio
[Fig. 29] è ben noto agli studiosi, grazie alle sede prestigiosa in cui è stato
presentato (Actes du Ve Congrès International d’Archéologie Chrétienne,
Aix-en-Provence 1954, Città del Vaticano-Paris 1957), la relazione tenuta a
Lacco Ameno nel 1951 e pubblicata postuma vent’anni dopo, in un volume
edito dal Centro di Studi sull’Isola d’Ischia, è rimasta sconosciuta finanche a
quanti si sono occupati degli scavi condotti da Monti, tra gli anni Cinquanta e

393 Cf. DOVERE, Domenico Mallardo, 368 («Secondo un giudizio di Nicola Cilento, M. avrebbe
potuto sostenere con decoro varie cattedre universitarie, invece una sola volta pensò di partecipare
a un concorso a cattedre e fu nel 1942, per la cattedra di Archeologia cristiana nell’Università di Ro-
ma, che fu poi ottenuta da Carlo Cecchelli»); ID., Mons. Domenico Mallardo, 122-123 («Com’è sta-
to sostenuto da qualche illustre studioso, avrebbe potuto sostenere con decoro varie cattedre uni-
versitarie, tuttavia una sola volta pensò di partecipare a un concorso a cattedre e fu nel 1942, per la
cattedra di Archeologia cristiana nell’Università di Roma, che fu poi ottenuta da Carlo Cecchelli»);
AMBRASI, Gli studi ianuariani, 59 («Aveva i titoli per concorrere alla cattedra di Archeologia cristia-
na alla Sapienza di Roma; ne fu escluso perché – come egli stesso scrisse – gli mancava la tessera
d’iscrizione al P.N.F., allora raro appannaggio di un ecclesiastico»).
394 Cf., ad esempio, CORONEO, Scultura mediobizantina.
395 Cf. P. ORLANDO, Appunti di storia patria. I dintorni di Napoli. I. Marano di Napoli dalle
origini al 1650, Napoli 1970, 32-35, fig. 8.
396 Cf. BELTING, Studien, 105, nota 9; PIAZZA, La Grotta dei Santi, 169-208; ID., Pittura rupestre
medievale. Lazio e Campania settentrionale (secoli VI-XIII), Roma 2006, 145-148.
226 CARLO EBANISTA

Sessanta, nella Chiesa di S. Restituta 397. Forte è, quindi, l’auspicio che questo
volume, oltre a contribuire al tanto desiderato riesame dell’attività scientifica
di Mallardo 398, possa assegnare alle sue ricerche un posto di rilievo nell’am-
bito dell’Archeologia cristiana del Novecento. Molte sue osservazioni e intui-
zioni sono, infatti, ancora oggi valide, mentre altre hanno contribuito definiti-
vamente a smentire alcune consolidate, quanto infondate tradizioni.

397 Cf. M. D’AGOSTINO - F. MARAZZI, Notizia preliminare sullo studio di materiali tardoantichi e
altomedievali da Lacco Ameno, Ischia (NA), in Archeologia Medievale 12 (1985) 611-625; GUARINO -
MAURO - PEDUTO, Un tentativo, 439-469; D’ANTONIO, L’edificio battesimale, 1011-1013; ARTHUR,
Naples, 75; GENNACCARI, Una nuova lettura, 719-723.
398 Cf. ILLIBATO, Gennaro Aspreno Galante, 237; ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo, 318.
1. Napoli, Cimitero ebraico di Corso Orientale (ora Corso Malta): epigrafe di Barbarus (da G. A. GALANTE,
Un sepolcreto giudaico recentemente scoperto in Napoli, tav. II, fig. 2).

2. Cimitile, Cappella dei martiri: particolare dell’epigrafe di Quodvultdeus (foto C. Ebanista).


3. Napoli, Catacomba di S. Gaudioso: mosaico del Calice ansato (da M. AMODIO, La componente africana
nella civiltà napoletana tardo-antica, fig. 41).

4. Napoli, Catacomba di S. Gaudioso: mosaico del Trionfo della croce (da M. AMODIO, La componente
africana nella civiltà napoletana tardo-antica, fig. 44).
5. Napoli, Basilica di S. Giorgio Maggiore: capitello e pulvino con croce monogrammatica (foto C.
Ebanista).

6. Napoli, Catacombe di S. Gennaro, vestibolo superiore: affresco della Costruzione di una torre (foto
PCAS).
7. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: epigrafe dipinta nella galleria cimiteriale alle spalle del-
l’abside (Archivio Mallardo).

8. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: planimetria con i resti del balneum (E) e dell’abside (F)
messi in luce da Mallardo nell’atrio (da G. CHIERICI, Contributo allo studio dell’architettura, fig. s.n.).
9. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: personaggio con corona affrescato sul piedritto dell’arco
absidale scoperto nell’atrio (Archivio Mallardo).

10. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: planimetria del balneum esistente nell’atrio (da G. CHIERICI,
Contributo allo studio dell’architettura, fig. 6).
11. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: pianta e sezioni dell’arco absidale scoperto nell’atrio
(da G. CHIERICI, Contributo allo studio dell’architettura, fig. 7).
12. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: ambiente centrale del balneum, parete in opus vittatum
con fodera in tubuli (Archivio Mallardo).

13. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: ambiente meridionale del balneum (da U. M. FASOLA, Le
Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, fig. 10).
14. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: lacerto di mosaico con corona d’alloro e tralcio animato,
conservato nell’ambiente meridionale del balneum (Archivio Mallardo).

15. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: lacerto di mosaico con cesti di fiori, esistente nell’am-
biente meridionale del balneum (Archivio Mallardo).
16. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: affresco di Cristo tra i santi (da U. M. FASOLA, Le Cata-
combe di S. Gennaro a Capodimonte, fig. 102).
17. Napoli, Cappella Galeota (nella Cattedrale): mensa d’altare con iscrizione del vescovo Massimo e
sarcofago strigilato con leoni angolari (foto C. Ebanista).

18. Napoli, Catacombe di S. Gennaro: epigrafe con il nome del martire Gennaro (da U. M. FASOLA, Le
Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, fig. 104).
19. Nola, Cripta del Duomo: lastra con croce gemmata (da C. EBANISTA, Tra Nola e Cimitile: alla ricerca
della prima cattedrale, fig. 15).

20. Schizzo di Gennaro A. Galante raffigurante la lastra nolana con la croce gemmata (da C. EBANISTA,
Tra Nola e Cimitile: alla ricerca della prima cattedrale, fig. 16).
21. Giffoni Valle Piana, Chiesa di S. Maria a Vico: paliotto d’altare (foto C. Lambert).

22. Schizzo di Domenico Mallardo con la planimetria della basilica nova di Cimitile (Archivio Mallardo).
23. Cimitile, Basilica di S. Felice: al centro l’affresco con la Vergine orante tra i santi Felice e Paolino
(1933) (da C. EBANISTA, et manet in mediis quasi gemma intersita tectis, fig. 4).

24. Cimitile, Basilica di S. Felice: affresco con la Vergine orante tra i santi Felice e Paolino (foto C.
Ebanista).
25. Cimitile, Basilica di S. Felice: particolare del lato est dell’edicola mosaicata (foto C. Ebanista).
26. Annotazione autografa di Domenico Mallardo sul margine destro della pagina 275 del Bollettino
d’Arte del 1931, conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli (foto C. Ebanista).

27. Lettera di Gino Chierici con schizzo della tomba del vescovo Musonio (26 maggio 1958) (da C.
EBANISTA, Gli scavi degli anni Cinquanta e Sessanta nel complesso basilicale di Cimitile, fig. 2).
28. Lacco Ameno, Museo di S. Restituta: disegno di lucerna con scena biblica, raffigurante gli esploratori
che tornano da Canaan (da P. MONTI, Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, fig. 50).

29. Ischia, Episcopio: fronte di sarcofago Bethesda, particolare con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme
(da P. MONTI, Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, fig. 81).
30. Museo Campano di Capua: fenestella o transenna clatrata proveniente da Castelvolturno (da D.
MALLARDO, San Castrese vescovo e martire nella storia dell’arte, tav. I).

31. Calvi, Grotta dei santi: affresco raffigurante 32. Calvi, Grotta dei santi: affresco raffigurante
san Castrese (da D. MALLARDO, San Castrese san Prisco (da D. MALLARDO, San Castrese
vescovo e martire, tav. V). vescovo e martire, tav. VI).
33. Napoli, Catacombe di S. Gennaro: affresco raffigurante sant’Acuzio (da D. MALLARDO, San Castrese
vescovo e martire, tav. VII).
34. Marano di Napoli, Chiesa di S. Castrese: pi- 35. Marano di Napoli, Chiesa di S. Castrese: pi-
lastrino sinistro (da D. MALLARDO, San Castre- lastrino destro (da D. MALLARDO, San Castre-
se vescovo e martire, tav. II, n. 1). se vescovo e martire, tav. II, n. 2).
36. Cimitile, Basilica di S. Felice: pilastrino già murato nel presbiterio occidentale (da M. TOZZI, Di alcune
sculture medioevali della Campania, fig. 5).

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