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CARLO EBANISTA
* Per il sostegno fornito nel corso delle ricerche e della stesura del testo si ringraziano la dotto-
ressa Mara Amodio, la professoressa Giuliana Boccadamo, l’architetto Rosario Claudio La Fata, i
professori Carmine Matarazzo, Michele Miele, Francesco Russo e la dottoressa Amalia Russo.
1 Cf. A. BELLUCCI, Monsignor Gennaro Aspreno Galante ed i suoi contributi nel movimento
archeologico, storico e letterario cristiano in Napoli negli ultimi cinquant’anni, Napoli 1925,
263-272; A. ILLIBATO, Gennaro Aspreno Galante e gli studi storico-archeologici del clero napole-
tano alla fine dell’Ottocento, in Campania Sacra 15-17 (1984-1986) 218-237.
2 Cf. D. MALLARDO, Don Modesto Catalano, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 3 (1932) 3, 155-
160, qui 158 («Questo che dico del Galante non è una mia immaginazione, è un ritratto autentico
che sedici anni della più intima consuetudine di vita e di studio con lui mi danno il diritto di traccia-
re, giacché a nessuno come a me egli aprì tanto della sua anima»); ID., Ricerche di storia e di to-
pografia degli antichi cimiteri cristiani di Napoli, Napoli 1936, 36, nota 2: «ho goduto per sedi-
ci anni la più intima consuetudine col compianto Maestro»; G. CAPASSO, Ricordo di Domenico Mal-
lardo sacerdote e maestro, Napoli 1959, 3, nota 1: «il Mallardo è stato uno degli ultimi pochissimi
discepoli amato come un figlio; anzi, era intimo di casa Galante».
3 Cf. U. DOVERE, Domenico Mallardo (1887-1956), in Campania Sacra 15-17 (1984-1986) 367-
370, qui 367.
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4 Allievo di Galante, nel 1923 Catalano succede al maestro nella cattedra di Archeologia cristia-
na al Seminario arcivescovile, insegnamento che aveva già ricoperto dal 1907 al 1916 (MALLARDO,
Don Modesto Catalano, 158; ID., In memoria del Can.co Don Modesto Catalano, in Bollettino
Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli 13 [1932] 5, 111-112); cf. A. BELLUCCI, Commemorazione
del socio Mons. Domenico Mallardo, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle
Arti in Napoli n.s. 40 (1965) 3-20, qui 3.
5 Diversamente da quanto è stato sostenuto – cf. P. ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo: nel
centenario della nascita, in Ianuarius. Rivista Diocesana di Napoli 68 (1987) 5, 312-318, qui
313; U. DOVERE, Mons. Domenico Mallardo (1887-1958), in I nostri compagni di viaggio, Napoli
1999, 121-125, qui 121 –, Mallardo entrò in Seminario nel novembre 1902 (cf. MALLARDO, Don
Modesto Catalano, 155).
6 Cf. Lo studio della Storia e della Archeologia nel Liceo Arcivescovile di Napoli, in Rivista di
Scienze e Lettere 5 (1904) 7, 72-80; P. ORLANDO, Storia del capitolo cattedrale di Napoli (sec. XX).
II. L’episcopato del cardinale Alessio Ascalesi (1924-1952), Napoli 2003, 324, nota 1628.
7 Cf. G. A. GALANTE, Un sepolcreto giudaico recentemente scoperto in Napoli, in Memorie della
Reale Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 2 (1913) 1, 231-245.
8 Per la correttezza dell’interpretazione (pax super requiem tuam) proposta da Mallardo
(GALANTE, Un sepolcreto giudaico, 242-245), cf. E. MIRANDA, Iscrizioni giudaiche del Napoletano, in
L. CIRILLO - G. RINALDI (curr.), Roma, la Campania e l’Oriente cristiano antico. Atti del Convegno di
studi (Napoli, 9-11 ottobre 2000), Napoli 2004, 189-209, qui 193 («Pace al tuo luogo di riposo»).
9 Il testo è inserito tra virgolette nell’articolo di Galante e non è intitolato Interpretazione e
commento di una iscrizione latino-ebraica, com’è stato più volte ripetuto; cf. Studi in onore di
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 163
compiacendosi che sia opera del «giovane sacerdote Domenico Mallardo del
nostro Clero di Napoli, studioso d’Archeologia» 10 e augurando «a chi ci coa-
diuva nello studio degli antichi sepolcreti napoletani, e che assai meglio di
noi, non ostante l’età sua giovanile, sa esplorare ed illustrare le nostre patrie
antiche memorie […], che possa dare finalmente la tanto desiderata NAPOLI
SOTTERRANEA CRISTIANA» 11. Il 9 aprile 1912 è, invece, lo stesso Mallardo, ovvia-
mente presentato dal maestro, a illustrare all’Accademia una memoria su
una Nuova epigrafe greco-latina della fratria napoletana degli Artemisi 12.
L’iscrizione era stata rinvenuta verso la metà del mese precedente in contra-
da Carbonella a 2 km circa da Casoria. Galante, subito informato della sco-
perta, affida lo studio del manufatto al giovane allievo, insieme al quale si re-
ca a Casoria il 20 marzo, prima che l’epigrafe venga trasferita al Museo Ar-
cheologico Nazionale di Napoli. Il testo è inciso in tre colonne, le prime due
in greco, la terza in latino. L’iscrizione, datata al 194 d.C., contiene un de-
creto della fratria napoletana degli Artemisi in onore di Lucius Munatius
Hilarianus e la risposta di questi ai fretori.
La circostanza che nell’articolo ringrazia per i consigli il professor Anto-
nio Sogliano 13 potrebbe suggerire che, in quel periodo, Mallardo frequenta i
corsi che il docente tiene all’Università degli Studi di Napoli. Resta da accer-
tare se egli ha discusso la tesi proprio con Sogliano: sappiamo, infatti, che
consegue il diploma di Magistero in Filologia classica 14, presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Ateneo napoletano, il 22 giugno 1915, dies festus di
Paolino di Nola, alla cui devozione gli allievi di Galante erano educati 15. In
quegli anni, come si dirà, grazie all’appoggio del maestro, Mallardo dà avvio
alle ricerche archeologiche a Napoli, dirigendo un’indagine nell’atrio della
Domenico Mallardo, Napoli 1957, 205; V. DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo (1887-1958), in
Ephemerides Liturgicae 73 (1959) 145-148, qui 146-147; ORLANDO, Storia del capitolo, 324.
10 GALANTE, Un sepolcreto giudaico, 242.
11 Ivi 245.
12 Cf. D. MALLARDO, Nuova epigrafe greco-latina della fratria napoletana degli Artemisi, in
Memorie della Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 2 (1913) 2, 149-175.
13 Cf. MALLARDO, Nuova epigrafe greco-latina, 175, nota 1.
14 Cf. A. ZAMA, In devota memoria di Mons. Domenico Mallardo (1887-1958), Napoli 1958, 8-9;
CAPASSO, Ricordo, 2; DOVERE, Domenico Mallardo, 367; ID., Mons. Domenico Mallardo, 121; ORLANDO,
Storia del capitolo, 320.
15 Cf. DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo, 145.
164 CARLO EBANISTA
come ancella della teologia» 22. Mallardo non risparmia critiche al suo ex pro-
fessore per alcune imperdonabili lacune bibliografiche (come, ad esempio, la
mancata citazione del volume di Joseph Wilpert, Malereien der Katakomben
Roms, Freiburg 1903) e perché dimostra di non possedere «la fluidità e
quella apparente – ma solo apparente – semplicità di Galante»; nel rilevare
che Catalano, più che archeologo fu un apologista, ribadisce che «l’importan-
za dell’archeologia cristiana ossia dello studio dei monumenti dell’arte cri-
stiana antica (paleocristiana direi, se amassi le parole difficili) per gli studi
teologici rimane indiscussa» 23.
Al 1933 risalgono tre recensioni ad altrettanti saggi, apparsi tre anni pri-
ma nella Rivista di Archeologia Cristiana, che Mallardo pubblica nella
Rivista di Scienze e Lettere. Leggendo l’articolo di Francesco Fornari sulla
Regione cimiteriale nella ex vigna Chiaraviglio sulla via Appia, rimane
colpito dalla raffigurazione sul fronte dell’arcosolio 8 della galleria m’-o di
un giovane imberbe con lunga tunica clavata, pallio e sandali 24 che gli ricor-
da, per la posizione e il gesto della mano destra sollevata verso l’alto, l’imma-
gine di sant’Eutiche dipinta in un arcosolio della Catacomba di S. Severo a
Napoli 25. Il suo interesse, però, è rivolto in particolare a due epigrafi della
seconda metà del IV secolo edite da Fornari e che presentano riferimenti alla
Campania: se nella prima, infatti, è citato un consularis Campaniae 26, l’iscri-
zione di Quodvultdeus 27 gli offre la possibilità di segnalare la ricorrenza
28 G. A. GALANTE, Illustrazione d’una lapide greca ritrovata in Napoli, in Atti della Accademia
Pontaniana 51 (1921) 123-126, qui 123.
29 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. P. KIRSCH, Pitture inedite di un arcosolio del cimitero dei
ss. Pietro e Marcellino, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 1, 29-30.
30 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. P. KIRSCH, Un gruppo di cripte dipinte inedite del cimitero
dei ss. Pietro e Marcellino, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 1, 30-33, qui 32 («Voglio
credere che il chiarissimo illustratore di questi dipinti mi consenta volentieri di aggiungere qualche
mia idea a quelle egregiamente esposte da lui»).
31 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. P. KIRSCH, Cubicoli dipinti del cimitero dei ss. Pietro e Mar-
cellino sulla via Labicana, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1934) 2, 92-94.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 167
però, le vesti di Cristo sono sorrette dall’angelo 32, come si riscontra nel cimi-
tero romano di Ponziano.
Il primo contributo interamente dedicato a un argomento di archeologia
cristiana è rappresentato dal saggio La questione dei cristiani a Pompei
che Mallardo pubblica nel primo numero della Rivista di Studi Pompeiani
(1934-1935) 33. Il lavoro, come si dirà, rientra nell’appassionata polemica tra
fautori e negatori della presenza cristiana nell’antica cittadina vesuviana. Mal-
lardo, con un tono talora sarcastico e pungente, critica severamente la posi-
zione degli studiosi (tra i quali Giovanni Battista de Rossi, Raffaele Garrucci,
Henri Leclercq e Matteo Della Corte) che avevano interpretato in chiave cri-
stiana graffiti, iscrizioni e manufatti rinvenuti nel corso degli scavi. Nel 1936
dà alle stampe una monografia intitolata Ricerche di storia e di topografia
degli antichi cimiteri cristiani di Napoli, ma che, come vedremo, rappresen-
ta la rielaborazione di alcuni articoli apparsi tra il 1933 e il 1934 nella Rivista
di Scienze e Lettere 34. «Il titolo, che si presenta un po’ troppo generico, si li-
mita a esaminare l’intrigata questione dei santi Efebo, Fortunato e Massimo,
vescovi napoletani del sec. IV, e della loro traslazione dai cimiteri suburbani
alla Stefania»; «intrigata questione […] perché essa implica tutto un com-
plesso di problemi di critica storia e di archeologia locale, in cui il prof. Mal-
lardo rivela tutta la sua speciale competenza, oramai da lunghi anni a tutti
nota» 35. Tra il 1938 e il 1941 la sua attenzione alle testimonianze archeolo-
giche napoletane di età paleocristiana aumenta gradualmente in rapporto al
progresso dei suoi studi sul dossier agiografico di san Gennaro pubblicati nei
Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 36.
32 Per l’affresco cf. U. M. FASOLA, Le Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, Roma 1975, 204;
G. BERTELLI, Affreschi altomedievali dalle Catacombe di S. Gennaro a Napoli. Note preliminari, in
Bessarione. La Cristologia nei Padri della Chiesa, Roma 1992, 119-139, qui 126, fig. 2.
33 Cf. D. MALLARDO, La questione dei cristiani a Pompei, Napoli 1935 [estratto da Rivista di
Studi Pompeiani 1 (1934-1935) 2-3, 116-165 e 217-261].
34 Cf. D. MALLARDO, Calendario inedito della Chiesa napoletana. L’invenzione dei SS. Efebo
Fortunato e Massimo, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 4 (1933) 4, 173-196; 5 (1934) 1, 7-34; 5
(1934) 2, 69-81; cf. pure ID., Ricerche di storia, 3.
35 G. M. PERRELLA, recensione a D. MALLARDO, Ricerche di storia e di topografia degli antichi
cimiteri cristiani di Napoli, Napoli 1936, in Ephemerides Liturgicae 54 (1940) 3-4, 219-220.
36 Cf. D. MALLARDO, La via Antiniana e le memorie di S. Gennaro, in Rendiconti della Real
Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 19 (1938-1939) 301-365; ID., S. Genna-
ro e compagni, 161-267; ID., Un supposto fratello di S. Gennaro e l’onestà scientifica di Nicolò
168 CARLO EBANISTA
Intanto, sulla scia della devozione di Galante per Paolino di Nola, comincia a
occuparsi del complesso basilicale di Cimitile; nel 1938, come si dirà, pub-
blica uno studio iconografico su una lastra marmorea paleocristiana che era
stata rinvenuta tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nella cripta
della cattedrale di Nola 37.
Sebbene il principale interesse di studio rimanga l’epigrafia cristiana, come
dimostrano i ripetuti accenni alle iscrizioni in quasi tutti i suoi lavori, nel 1946
affronta un tema di architettura, pubblicando nella Rivista di Archeologia
Cristiana un contributo su L’exedra nella basilica cristiana 38. L’esame delle
testimonianze letterarie gli consente di respingere l’identificazione dell’exedra
con il pulpito, la cattedra episcopale o l’ambone e di dimostrare che il termi-
ne indica l’abside della basilica paleocristiana 39. L’anno successivo pubblica Il
Calendario Marmoreo di Napoli che, come rileva Antonio Ferrua, è un «egre-
gio esempio di ricerca storico-erudita, fatta con quella profondità, serietà e cu-
ra del particolare, che troppo spesso oggi si desidererebbero maggiori in simi-
li trattazioni di autori nostrani» 40. Il lavoro, pur essendo incentrato su temati-
che di agiografia e storia della chiesa, contiene molti spunti di riflessione sui
temi dell’archeologia cristiana. Il primo contatto con il calendario risale al
1933, allorché monsignor Kirsch chiede a Mallardo di rilevare le misure delle
lastre «per corredarne lo studio dell’Erhard in Riv. di archeologia cristiana»;
i dati, però, non vengono pubblicati, perché Kirsch li ritiene «più meritevoli
di comparire insieme col testo del Calendario nei Monumenta christiana
epigraphica del Silvagni» 41, dove poi saranno effettivamente inseriti 42.
Carminio Falcone, in Rendiconti della Real Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in
Napoli 21 (1941) 165-191.
37 Cf. D. MALLARDO, Una fronte d’altare nolana della fine del sec. V, in Campania Romana.
Studi e materiali editi a cura della sezione campana degli Studi Romani, I, Napoli 1938, 269-291.
38 Cf. D. MALLARDO, L’exedra nella basilica cristiana, in Rivista di Archeologia Cristiana 22
(1946) 191-211.
39 Cf. V. DE ROSA, recensione a D. MALLARDO, L’exedra nella basilica cristiana, in Bollettino
Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli 28 (1946) 1, 15.
40 A. FERRUA, Antichità cristiane. Il Calendario Marmoreo di Napoli, in La Civiltà Cattolica
99 (1948) I, 53-61, qui 60-61.
41 D. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo di Napoli, Roma 1947, 8.
42 Cf. A. SILVAGNI, Monumenta epigraphica christiana saeculo XIII antiquiora quae in Italiae
finibus adhuc extant, IV/I, Neapolis, Città del Vaticano 1943, tavv. I-VI (dimensioni di ciascuna
tavola: 6,05x0,85 m); cf. pure MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 9 (la lastra con i primi sei
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 169
Sempre nel 1947 Mallardo recensisce, sulle pagine della rivista Epheme-
rides Liturgicae, un inedito lavoro di Giovanni Battista de Rossi Sulla que-
stione del vaso di sangue, che era stato pubblicato tre anni prima a cura di
Ferrua; nel riassumere gli argomenti trattati nel volume, Mallardo, come già
aveva fatto in altre occasioni, non manca di riferire qualche sua «breve nota»
e di registrare alcune manchevolezze 43.
Stimolato dalla lettura del volume ‘Ampelos. Il simbolo della vite nell’arte
pagana e paleocristiana pubblicato nel 1947 da Corrado Leonardi 44 e dalle
discordanti recensioni di Giuseppe Bovini e Ferrua 45, Mallardo nel 1949 de-
dica uno studio a La vite negli antichi monumenti cristiani di Napoli e
della Campania con la speranza che il lavoro «possa recare un utile contri-
buto alla esattezza delle interpretazioni e alla fondatezza delle conclusioni» 46.
Lo studio iconografico è basato su motivi raffigurati nelle Catacombe di S. Gen-
naro e S. Gaudioso, nel Battistero di S. Giovanni in Fonte, nella Cappella di
S. Matrona a S. Prisco presso S. Maria Capua Vetere, nella Basilica di S. Felice
a Cimitile, nell’abside della Basilica severiana di Napoli e nella lastra con la cro-
ce gemmata [Fig. 19] conservata nella Cattedrale di Nola 47. A suo avviso, i tral-
ci e i grappoli visibili nell’ambulacro massimo al piano inferiore delle Catacom-
be di S. Gennaro, nel vestibolo superiore e in alcuni arcosoli adiacenti rivesto-
no una funzione puramente decorativa 48. Il mosaico con il cantharus [Fig. 3],
da cui escono due tralci vitinei popolati di volatili, esistente in un arcosolio
della Catacomba di S. Gaudioso, mostra, invece, «una reminiscenza, quantun-
que inconsapevole, del simbolismo dionisiaco della felicità ultraterrena» e, se
mesi è lunga 6,03 m e alta 88 cm, mentre quella con i rimanenti sei mesi è lunga 6,05 m e alta 87-
88 cm).
43 Cf. D. MALLARDO, recensione a G. B. DE ROSSI, Sulla questione del vaso di sangue. Memoria
inedita con introduzione e appendici di documenti inediti, a cura di A. Ferrua, Città del Vaticano
1944, in Ephemerides Liturgicae 61 (1947) 1, 120-124, qui 123-124.
44 Cf. C. LEONARDI, ‘Ampelos. Il simbolo della vite nell’arte pagana e paleocristiana, Roma 1947.
45 Cf. G. BOVINI, in Ephemerides Liturgicae 61 (1947) 1, 359-362; A. FERRUA, in La Civiltà Cat-
tolica 99 (1948) II, 199-200.
46 MALLARDO, La vite, 73. Per il tema iconografico cf. M. GUJ, Vite, in F. BISCONTI (cur.), Temi di
iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000, 306.
47 Un’analoga scelta di motivi iconografici è alla base di un inedito lavoro sulla raffigurazione
della Vergine (AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7
luglio 1947); cf. il contributo di Carmine Matarazzo in questo volume.
48 Cf. MALLARDO, La vite, 73-77, fig. 1.
170 CARLO EBANISTA
L’interesse per questo affascinante tema trae origine da due contributi pub-
blicati da Matteo Della Corte nel 1927 e nel 1934 62, cui Mallardo risponde con
un lungo, polemico saggio apparso nel primo numero della Rivista di Studi
Pompeiani (1934-1935) 63. Dopo aver passato in rassegna le testimonianze
della presenza giudaica a Pompei, lo studioso esamina le iscrizioni e i graffiti
della cosiddetta “Casa dei cristiani” dimostrando la completa assenza di legami
con l’ambiente cristiano, considerato peraltro che alcuni di essi hanno un evi-
dente contenuto osceno o erotico. È il caso, ad esempio, del graffito mulus
hic muscellas docuit che de Rossi e Della Corte avevano interpretato in chia-
ve cristiana, mentre – come rileva Mallardo – il disegno che accompagna il
testo è chiaramente evocativo del carattere osceno del messaggio. Il termine
mulus, sottolinea lo studioso, non ha alcuna relazione con l’accusa di onola-
tria che veniva rivolta ai cristiani; su questo tema, come tiene a precisare,
Mallardo tornerà con uno studio specifico 64. Nessuna allusione ai cristiani
traspare dall’iscrizione otiosus locus hic non est discede morator che rap-
presenta, infatti, un monito a non insozzare la strada e a non fermarsi davan-
ti alla vicina cella meretricia. Nella parte finale del saggio Mallardo analizza le
testimonianze della cultura materiale (anelli, dolia, anfore, lucerne) che, per
la presenza di segni o simboli, sono state attribuite all’ambito cristiano. An-
che in questo caso non risparmia critiche a de Rossi, autore di un articolo
sugli anelli con raffigurazione del pesce o della colomba, «che difetta di com-
piuta chiarezza e precisione» 65. Ancora più severo è il giudizio espresso su
Leclercq che, a differenza del celebre archeologo romano, aveva annoverato
gli anelli con il pesce tra gli oggetti sicuramente cristiani. Mallardo, acco-
gliendo la tesi proposta da de Rossi, esclude che gli anelli con pesce o co-
lomba trovati a Pompei siano riconducibili a cristiani. Analogo discorso vale
62 Cf. M. DELLA CORTE, Pompei e i Cristiani, in Archivio Storico della Provincia di Salerno 6
(1927) 2-3, 175-178; ID., Le più remote esplorazioni di Pompei. Nuovi contributi allo studio su
Pompei e i cristiani, in Historia: studi storici per l’antichità classica 8 (1934) 354-372.
63 Cf. MALLARDO, La questione.
64 Cf. D. MALLARDO, La calunnia onolatrica contro i cristiani, in Atti della Reale Accademia di
Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli n.s. 15 (1935-1936) 117-138.
65 MALLARDO, La questione, 74.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 173
per i dolia e le anfore con presunti segni cristiani; a tal proposito confuta le
«fantasticherie» di Garrucci che aveva interpretato in chiave cristiana alcuni
monogrammi tracciati su anfore pompeiane 66. L’ultima parte del saggio è de-
dicata all’analisi di quattro lucerne in terracotta: una decorata con croce
gemmata fu scoperta a Pompei 67, una con gli esploratori che tornano da Ca-
naan recando su una pertica un grande grappolo d’uva (cf. Nm 13,1-27)
venne trovata a Boscoreale in contrada Pisanella 68, mentre le altre due, orna-
te rispettivamente con la croce tra due ramoscelli o con la croce monogram-
matica, furono rinvenute in una villa rustica in contrada Rota a Boscoreale;
se della prima lucerna s’ignora l’esatta provenienza, le altre sono chiaramen-
te riconducibili a sepolcreti del IV secolo d.C. Rinvenendo negli scritti di Pao-
lino di Nola un riferimento all’episodio biblico 69, Mallardo ipotizza che la lu-
cerna di contrada Pisanella venne prodotta in un’officina «posta entro il rag-
gio d’influenza del Santo di Nola» 70. In merito alle lucerne di contrada Rota,
lo studioso precisa, invece, che bisogna «prendere in esame tutti i dati strati-
grafici e monumentali della zona del ritrovamento e procedere anche a un
esame diretto delle due lucerne» 71. Il suo saggio dimostra l’infondatezza del-
le presunte prove della presenza cristiana a Pompei, ma non convince del tut-
to Ferrua che, pur apprezzando il rigore scientifico del «notevole studio» di
Mallardo, ritiene difficile negare che nel graffito della cosiddetta “Casa dei
cristiani” «vi fosse scritto il nome cristiano» 72, come ribadirà qualche anno
dopo anche Carlo Cecchelli 73. Della Corte, dal canto suo, non si dà per vinto,
soprattutto dopo che nel 1936 scopre a Pompei due graffiti con il cosiddetto
“quadrato magico” 74. Mallardo ritorna brevemente sull’argomento nel 1948,
ribadendo la sua posizione, dal momento che «nessuno degli indizi di cristia-
nesimo, neppure il quadrato magico […], resiste ad un esame critico»;
quanto poi alla cosiddetta “croce” di Ercolano, dichiara «con rincrescimen-
to» di non essere «persuaso che si tratti di una croce» 75.
Destinato da Galante a dare alle stampe «la tanto desiderata» Napoli sot-
terranea cristiana 76, Mallardo dedica gran parte delle sue ricerche alle te-
stimonianze archeologiche napoletane (iconografia, topografia cimiteriale,
epigrafia, architettura) nella convinzione che «la storia delle origini della
Chiesa di Napoli può essere tracciata col sussidio di fonti letterarie e di fonti
monumentali» 77.
Sin dalle prime pubblicazioni presta attenzione agli aspetti iconografici per
i quali mostra «interessanti intuizioni» 78. Nel 1931, in un lavoro sul vescovo Se-
vero (fine IV-inizi V secolo) edito nel Bollettino Ecclesiastico dell’Archidiocesi
di Napoli, si occupa dello scomparso mosaico con il collegio apostolico, sedu-
to e serrato intorno a Cristo, che, stando alla descrizione dei Gesta episcoporum
Neapolitanorum 79, decorava l’abside della Basilica severiana (odierna S. Giorgio
74 Cf. M. DELLA CORTE, Il crittogramma del “Pater Noster” rinvenuto a Pompei, in Rendiconti
della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 12 (1936) 397-400; ID., Il crittogramma del
“Pater Noster”, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 17
(1937) 79-99, qui 96 («senza dar peso a qualche voce discordante» con riferimento a Mallardo);
ID., I cristiani a Pompei, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in
Napoli 19 (1938-1939) 5-30, qui 11-17.
75 D. MALLARDO, Le origini della Chiesa di Napoli, in Miscellanea Pio Paschini. Studi di Storia
Ecclesiastica n.s. 14 (1948) 1, 27-68, qui 67-68.
76 Cf. GALANTE, Un sepolcreto giudaico, 245.
77 MALLARDO, Le origini, 33.
78 M. AMODIO, Gli studi di archeologia cristiana a Napoli dal ’600 ad oggi, in CIRILLO - RINALDI,
Roma, 229-253, qui 241.
79 Cf. Gesta Episcoporum Neapolitanorum, a cura di G. WAITZ, in MGH, Scriptores rerum Lan-
gobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878, 398-436, qui 405, cap. 4 («depixit ex
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 175
Maggiore) 80. Scampata alla distruzione nel 1880, grazie al provvidenziale in-
tervento di Galante, l’abside presenta al centro un triforium costituito da tre
archi poggianti su due colonne con capitelli e pulvini adorni di croci mono-
grammatiche del tipo apocalittico [Fig. 5]. Accogliendo l’ipotesi avanzata da
de Rossi 81, Mallardo sostiene che i quattro personaggi che erano raffigurati
al di sotto del collegio apostolico, con in mano una corona di ulivo, grappoli
d’uva, spighe, rose e gigli, simboleggiavano le stagioni 82 e non i profeti Isaia,
Geremia, Daniele e Ezechiele, come invece riferisce l’autore dei Gesta. Mallar-
do respinge decisamente l’allusione alla Madre di Dio che, secondo il cronista,
si evincerebbe dalla corona di ulivo. Accettando la possibilità che le parole fiat
pax fossero in corrispondenza dell’ulivo, simbolo ordinario di pace, Mallar-
do rileva che il salmo fiat pax in virtute tua et abundantia in turribus tuis
(Ps 121,7) compariva sulla porta di una chiesa presso Theveste in Numidia,
dove, tra due monogrammi fiancheggiati dalle lettere apocalittiche, si leggeva
aeclesiae domus, in deo vivitur | fiat pax in virtute tua | et abundantia in
turribus tuis. L’identificazione con le stagioni, che intanto è stata accolta da Le-
clercq 83, viene riproposta da Mallardo nel 1949, allorché dichiara che le quat-
tro figure erano posizionate «forse tra le finestre» e ribadisce l’assenza di qual-
siasi riferimento alla Vergine; quanto alla datazione, non ha dubbi che l’abside
venne costruita agli inizi del V secolo, durante l’episcopato di Severo 84.
musivo Salvatorem cum 12 apostolos sedentes, habentes subtus quattuor prophetas, distinctos pre-
tiosis marmorum metallis. Esaias cum olive coronam nativitatem Christi et perpetue virginitatis Dei
genetricis Mariae designare voluit, dicendo: “Fiat pax”. Hieremias per uvarum offertionem virtutem
Christi et gloriam passionis prefiguratur, cum dicitur: “In virtute tua”. Danihel spicas gerens Domini
adnuntiatur secundum adventum, in quo omnes boni et mali colliguntur ad iudicium. Propterea dic-
tum est: “Et abundantia”. Ezechias proferens manibus rosas et lilias, fidelibus regnum caelorum de-
nuntians; unde scriptum est: “In turribus tuis”. Etenim in rosis sanguis martyrum, in liliis perseve-
rantia confessionis exprimitur»).
80 Cf. D. MALLARDO, Sacre Memorie Napoletane: S. Severo vescovo di Napoli, in Bollettino Ec-
clesiastico dell’Archidiocesi di Napoli 12 (1931) 4-7, 61-66, 92-96, 121-123, 140-142, qui 92-94.
81 Cf. G. B. DE ROSSI, L’abside della basilica severiana di Napoli, in Bullettino di Archeologia
Cristiana serie III 5 (1880) 144-160, qui 146.
82 Cf. MALLARDO, Sacre Memorie, 94 («Le stagioni dovevano essere rappresentate da figure maschi-
li; se fossero state femminili, era impossibile che il cronista le avesse scambiate per i quattro profeti»).
83 Cf. H. LECLERCQ, Naples, in Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, XII/1, Paris
1935, 691-776, qui 732.
84 Cf. MALLARDO, La vite, 100.
176 CARLO EBANISTA
Nel 1967 Bovini, che conosce solo l’articolo di Mallardo del 1949, respin-
ge l’ipotesi dello studioso napoletano, riproponendo la tradizionale identifi-
cazione dei quattro personaggi con i profeti 85 e immaginando che essi fosse-
ro collocati «due a destra e due a sinistra della grande apertura a trifora rica-
vata al centro dell’abside» 86. Di recente, l’ipotesi di Mallardo, peraltro già ri-
gettata da Mario Rotili 87, è stata riconsiderata da Fabrizio Bisconti, secondo il
quale le personificazioni delle stagioni attribuirebbero alla composizione
musiva napoletana quel generico contesto cosmico, non estraneo ai progetti
iconografici dell’epoca, che è attestato nel programma absidale dello scom-
parso oratorio romano del Monte della Giustizia e nella cosiddetta “cripta dei
fornai” nelle Catacombe di Domitilla 88.
L’interesse di Mallardo per le pitture paleocristiane e altomedievali delle ca-
tacombe napoletane si sviluppa negli anni Trenta in rapporto soprattutto allo
studio del dossier agiografico di san Gennaro. Nel 1934, in margine alla recen-
sione di un articolo di Kirsch sui dipinti del cimitero romano dei SS. Pietro e
Marcellino 89, accenna al suo dissenso con la periodizzazione degli affreschi ci-
miteriali di Napoli che era stata proposta da Galante 90. Tre anni dopo Mallardo
si sofferma, invece, sull’affresco con le sante Giuliana, Caterina, Agata, Eugenia
e Margherita visibile in un’edicola al livello inferiore delle Catacombe di S.
Gennaro 91; in relazione ai lavori promossi dal vescovo Atanasio I, assegna il di-
pinto al IX secolo 92. Tra il 1937 e il 1938 prende in esame l’affresco che orna
85 Cf. G. BOVINI, Mosaici paleocristiani scomparsi di Napoli, in XIV Corso di cultura sull’arte
ravennate e bizantina (Ravenna 5-17 marzo 1967), Ravenna 1967, 21-34, qui 27 (se i quattro per-
sonaggi fossero stati «allegorie di stagioni […], avrebbero, con ogni verosimiglianza, avuto l’aspet-
to di figure femminili, anziché virili. In questo caso – è evidente – il cronista del IX secolo non le
avrebbe certo scambiate per figure di Profeti»).
86 Ivi 25-26.
87 Cf. M. ROTILI, L’arte a Napoli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, 19-20.
88 Cf. F. BISCONTI, Imprese musive paleocristiane negli edifici di culto dell’Italia Meridionale:
documenti e monumenti dell’area campana, in R. M. CARRA BONACASA - F. GUIDOBALDI (curr.), Atti del
IV Colloquio AISCOM (Palermo, 9-13 dicembre 1996), Ravenna 1997, 733-746, qui 738, figg. 7-8.
89 Cf. MALLARDO, recensione a KIRSCH, Cubicoli dipinti, 93.
90 Cf. G. A. GALANTE, Importanza delle pitture nelle catacombe di Napoli, in Atti della Accade-
mia Pontaniana 36 (1906) 1-17.
91 Cf. D. MALLARDO, Ordo ad ungendum infirmum, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 8 (1937)
4, 144-197, qui 176-177 e 191.
92 Più di recente l’affresco è stato variamente datato all’VIII secolo (ROTILI, L’arte a Napoli, 40), al
X (FASOLA, Le Catacombe, 204, fig. 128, tav. XV) o all’XI (BERTELLI, Affreschi altomedievali, 137, fig. 8).
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 177
93 La «lunga e sottile dissertazione» compare negli appunti presi dai suoi allievi del Seminario
durante il corso tenuto nel 1937-1938; cf. N. CIAVOLINO, Scavi e scoperte di archeologia cristiana
in Campania dal 1983 al 1993, in E. RUSSO (cur.), 1983-1993: dieci anni di archeologia cri-
stiana in Italia. Atti del VII Congresso nazionale di archeologia cristiana (Cassino, 20-24 set-
tembre 1993), Cassino 2003, 615-669, qui 655-656; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 60-61, n. 20;
cf. pure infra, nota 170. Per l’ordine con cui sono citati gli evangelisti cf. D. MAZZOLENI, Note e os-
servazioni sulle iscrizioni del complesso monumentale di San Gennaro, in San Gennaro nel XVII
centenario del martirio, I, 147-164, qui 151.
94 MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 225-226, tav. I.
95 Cf. FASOLA, Le Catacombe, 102, fig. 70, tav. VII. Per l’affresco cf. da ultimo F. BISCONTI, Riflessi
del culto di san Gennaro nel complesso catacombale di Capodimonte, in San Gennaro nel XVII
centenario del martirio, I, 165-176, qui 172-173, fig. 5.
96 Cf. MALLARDO, Le origini, 49-50. In precedenza, invece, aveva sostenuto che gli affreschi del
vestibolo superiore «non sono posteriori al II secolo» (ID., Ricerche di storia, 42-43).
178 CARLO EBANISTA
111 Conferenze di archeologia cristiana degli anni 1924 e 1925, in Rivista di Archeologia
Cristiana 3 (1926) 299-339, qui 314.
112 Ivi 314-315.
113 E. LAVAGNINO, I lavori di ripristino nella basilica di San Gennaro extra moenia a Napoli,
in Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione serie I 8 (1928) 4, 145-166, qui 160.
114 Cf. LAVAGNINO, Osservazioni, 337, 345.
115 Ivi 354 («Ma io rinuncio ad una dissertazione sull’argomento, tanto più che un illustre
studioso di memorie paleocristiane partenopee da tempo sta preparando uno studio sull’argo-
mento»).
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 181
122 Ivi 10. Nel 1934 Mallardo esprime l’augurio che il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana
«non debba ritardare troppo la pubblicazione di tutti gli affreschi della catacomba napoletana di
S. Gennaro (qualcuno è del tutto sconosciuto e vari, di non scarsa importanza, sono inediti!) insie-
me con l’illustrazione preparata dal ch.mo prof. dell’Università di Lipsia Hans Achelis» (MALLARDO,
recensione a KIRSCH, Cubicoli dipinti, 93).
123 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 25, nota 1. Per il testo dipinto cf. FASOLA, Le Catacombe, 49
nota 20; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 63-64, n. 26; MAZZOLENI, Note e osservazioni, 157, fig. 16.
124 Visto il riserbo dello studioso, prende la parola «Bellucci, tra la meraviglia di tutti, renden-
do giustizia all’amico studioso per quanto aveva ritrovato, e dimostrando come la Soprintendenza ai
Monumenti non poteva, perchè ultima giunta, usurpare il diritto di scoperta, che spettava al Mallar-
do» (CAPASSO, Ricordo, 12). Cf. BELLUCCI, Commemorazione, 3-20, qui 18 («Né il Lavagnino, né il
Chierici, anch’egli presente, contestarono quanto era stato mio dovere di precisare»).
125 Cf. A. BELLUCCI, Le origini della Chiesa di Napoli e nuovi ritrovamenti nel cimitero paleo-
cristiano di San Gennaro extra moenia, in Actes du Ve Congrès International d’Archéologie
Chrétienne, 487-504, qui 502, nota 29; FASOLA, Le Catacombe, 13, 22, figg. 10-11.
126 Sul retro delle foto si legge: «R. Soprintendenza all’arte Medioevale e moderna della Campa-
nia. Gabinetto Fotografico» (AM).
127 CHIERICI, Contributo, 214: «L’ultimo locale ad occidente è privo di decorazioni, ma sulla pa-
rete di settentrione è visibile un arco murato, in direzione di una scala che scoprimmo tagliata nel-
la roccia e per mezzo della quale si saliva al piano delle attuali catacombe».
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 183
centrale (3,20 x 1,80 m), che aveva un pavimento cementizio con un reticola-
to di losanghe a una fila di tessere continue di marmo bianco 128 [Fig. 10A],
era delimitato a sud-est da una parete in opus vittatum, lungo la quale erano
rimasti in situ quattro tubuli [Fig. 12], a sezione rettangolare, pertinenti al
sistema di riscaldamento 129. Nell’ambiente meridionale, pavimentato con un
cementizio dall’analogo disegno a losanghe [Figg. 10 e 13], si conservava un
lacerto di mosaico con una corona d’alloro, inquadrata da due circonferenze
concentriche costituite da una fila di tessere, intorno alla quale si svolgeva, su
fondo bianco, un tralcio a girali animato da volatili; come attestano le fotogra-
fie d’epoca [Figg. 13-14], il mosaico, che Chierici attribuiva a una volta 130,
era sistemato in posizione verticale. Nello stesso ambiente doveva trovarsi an-
che un secondo lacerto di mosaico con cesti di fiori inquadrati, a quanto pa-
re, da un meandro circolare [Fig. 15]. Chierici, nell’attribuire il balneum a
una «villa suburbana di una ricca famiglia patrizia convertitasi al cristianesi-
mo», data la stesura musiva alla fine del III secolo d.C. 131, ma non si pronun-
cia sul pavimento cementizio che presenta un motivo decorativo molto diffu-
so tra il III e il I secolo a.C. 132. Nessun accenno si rinviene alla vicinanza del-
la villa a un’area funeraria, una circostanza che, com’è stato rilevato, «non è
discorde dalle costumanze romane antiche» 133.
L’arco absidale [Fig. 11], conservato per un’altezza di circa 4 m, si trovava al-
l’interno di un vano quadrangolare (3x3 m), cui si accedeva mediante «una roz-
za scaletta pure ricavata nella roccia» 134. Sul piedritto sinistro dell’arco era raf-
figurato un personaggio (acefalo) con tunica clavata, pallio, calzari e una corona
128 CHIERICI, Contributo, 214: «Il pavimento delle stanze è un battuto di coccio pesto diviso a
quadri da filari di piccole tessere di marmo bianco».
129 CHIERICI, Contributo, 213-214, fig. 6: «calidarium ben determinato dal rivestimento parieta-
le dei soliti laterizi vuoti per il passaggio dell’aria calda».
130 CHIERICI, Contributo, 213: «si trovarono a terra grossi frammenti di volta decorota [sic] da
un mosaico della fine del III sec. con amorini ed uccelli entro corone di alloro su fondo bianco»; cf.
FASOLA, Le Catacombe, fig. 11: «Frammento della volta mosaicata di un ambiente della terma con raf-
figurazioni di uccelli, ghirlande di foglie e fiori stilizzati».
131 Cf. CHIERICI, Contributo, 213, fig. 6.
132 Cf. M. GRANDI, Riflessioni sulla cronologia dei pavimenti cementizi con decorazione in
tessere, in F. GUIDOBALDI - A. PARIBENI (curr.), Atti dell’VIII Colloquio AISCOM (Firenze, 21-23 feb-
braio 2001), Ravenna 1997, 71-86, qui 76-77, fig. 1d.
133 FASOLA, Le Catacombe, 22.
134 CHIERICI, Contributo, 214.
184 CARLO EBANISTA
gemmata nelle mani [Fig. 9]; sembra da escludere che la corona, come riferi-
sce Chierici, fosse poggiata «sopra un bacile» 135. Il soggetto, chiaramente rico-
noscibile come un martire 136, era inquadrato a sinistra e in basso da una larga
fascia scura sottesa da una linea nera, al di sotto della quale correvano una cor-
nice bianca e una scura; la zona inferiore della parete doveva essere decorata
da un velarium, come lascia supporre la presenza di un elemento triangolare.
Molto probabilmente sul piedritto destro era rappresentato, in posizione specu-
lare, un altro personaggio; è ragionevole supporre che i due santi offrissero la
corona del martirio a Cristo che forse era raffigurato nel catino dell’abside. Sen-
za esprimersi sull’identificazione delle strutture con «l’abside della basilica di
S. Stefano» avanzata da Lavagnino, Chierici osserva giustamente che si tratta del-
la «parete terminale di una chiesa di non grandi dimensioni» poiché «la spalla
sinistra dell’arco absidale e l’inizio del semicatino sono chiaramente visibili»
137. Inverosimile è, invece, la sua proposta di interpretare le scale come una so-
135 Ivi 215 («figura, ora acefala, di un santo che presenta una corona gemmata sopra un bacile»).
136 Nelle vicine Catacombe di S. Gennaro sono attestate diversi immagini di santi (V secolo) che
presentano la corona del martirio (cf. FASOLA, Le Catacombe, 102, fig. 69, tav. VI; LICCARDO, Redemptor
meus vivit, 85, n. 68). A Napoli analoghe figure, interpretate come martiri o apostoli, ricorrono an-
che nel Battistero di S. Giovanni in Fonte; cf. MALLARDO, Napoli, 1639; J. L. MAIER, Les baptistère de
Naples et ses mosaiques. Étude historique et iconographique, Fribourg 1964, 45-52, tav. VI; P.
PARISET, I mosaici del battistero di San Giovanni in Fonte nello sviluppo della pittura paleocri-
stiana a Napoli, Cahiers archeologiques 20 (1970) 1-13, qui 1, figg. 1-4; F. STRAZZULLO, Il battistero di
Napoli, in Arte Cristiana 62 (1974) 611, 145-176, qui 153; ROTILI, L’arte a Napoli, 25-26, figg. 14-15.
137 A suo avviso, la chiesa «ad una sola nave» era «larga forse non più di nove metri» (CHIERICI, Con-
tributo, 213-215); cf. invece LAVAGNINO, Osservazioni, 345 (edificio largo 7 m e lungo poco più di 20 m).
138 Molto interessante appare la tipologia di quest’edificio di culto semirupestre, collegato alle
catacombe e, a quanto pare, al balneum; scrive CHIERICI, Contributo, 215: chiesa «con tre pareti li-
bere e una addossata alla roccia tufacea. Il lato sinistro del muro absidale (quello rimasto) è co-
struito sopra alcuni scalini di tufo i quali penetravano nella chiesa fermandosi a breve distanza del-
l’abside e corrispondevano ad un ingresso volto a settentrione, verso le catacombe. Un’altra scalet-
ta già descritta, addossata alla parete, conduceva nei locali del bagno».
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 185
con corona avvolte nel pallio «mostra la sua piena aderenza all’arte classica»,
a differenza delle tre figure visibili [Fig. 16] «sul frammento di un arco della
basilica di S. Gennaro» extra moenia che «nelle loro dimensioni allungate e
nel segno già stilizzato delle pieghe rivelano una influenza bizantina» 139. Si
esprime, dunque, in maniera nettamente opposta a Lavagnino che aveva, inve-
ce, riconosciuto nell’affresco absidale [Fig. 9] «influssi orientali e propria-
mente bizantini, rivelati da un secco schematismo di linee e di contorni e da
una chiara convenzionalità di gesti»; lo studioso, che, in un primo momento,
aveva assegnato l’affresco della Basilica di S. Gennaro al V secolo 140, aveva poi
optato per una datazione tra la fine del IV secolo e gli inizi del successivo 141. As-
segnato da Paola Pariset al primo decennio del V secolo 142, il dipinto, che raffi-
gura Cristo tra due santi [Fig. 16], è stato datato da Fasola agli inizi del VI 143.
Mallardo non si esprime in merito alla datazione del balneum [Figg. 8, 10
e 12-14] e dell’affresco absidale [Figg. 9 e 11], forse perché spera di poter ri-
tornare sull’argomento con uno studio specifico. Nel 1936, intanto, pubblica
il volume Ricerche di storia e di topografia degli antichi cimiteri cristiani
di Napoli che, a dispetto del titolo, non è un lavoro originale e d’insieme sul-
le catacombe napoletane, ma soltanto la rielaborazione di alcuni articoli sul-
le traslazioni dei santi Efebo, Fortunato e Massimo, che erano comparsi nelle
annate 1933 e 1934 della Rivista di Scienze e Lettere 144. La monografia, cui
lo studioso allega «uno schizzo topografico», prende avvio dall’inventio dei
corpi dei tre santi, avvenuta tra il 20 e il 22 novembre 1589 nella chiesa di
Sant’Eframo Vecchio, grazie alla demolizione di «una certa fabrica, che vi stava
dietro l’altare di S. Eufebio (a guisa di cascia, dove anco vi era una imagine
di rilievo antica colcata a modo di uno che si riposa, dietro a quella di marmo
bianca, che si vede sul detto altare)» e che aveva «dalla sommità fin alla terra
da tre palmi di voto» 145. Dopo aver accennato al luogo del rinvenimento e alla
tipologia dei sepolcri 146, Mallardo si sofferma sull’epigrafe relativa ai santi For-
tunato e Massimo segnalata per primo da Cesare D’Engenio e analizzata da
Alessio Simmaco Mazzocchi e Galante; insinuando seri dubbi sulla genuinità
del testo e respingendo le integrazioni fatte dagli studiosi 147, precisa che «la ri-
costruzione delle vicende dei corpi dei ss. Fortunato e Massimo va fatta con
metodo. E dapprima occorre fissare bene, per quanto è possibile, alcuni punti
della topografia della Napoli sotterranea cristiana» 148. Analizzando le fonti let-
terarie, le testimonianze degli eruditi e inediti documenti d’archivio, Mallardo
conclude che la Basilica di S. Fortunato sorgeva presso la Chiesa di S. Eufemia
in vicolo Lammatari, dove sono «avanzi già noti di loculi ed arcosoli […] ap-
partenenti senza dubbio ad una più vasta galleria cimiteriale»; ricordando la
sua prima visita «nel sottosuolo di quel vicolo» in compagnia di Galante nel
1908, dichiara che gli eventuali rapporti tra questa galleria e la Catacomba di S.
Gaudioso sono «problemi ai quali soltanto uno scavo condotto con rigore di
metodo potrà dare risposta» 149. Egli non ha dubbi, però, che in questa scom-
parsa basilica cimiteriale, «posta nelle immediate vicinanze dell’attuale piazza
della Sanità ebbe la sua prima sepoltura il vescovo Fortunato, e presso di lui fu
deposta, quando venne trasportata in Napoli dal luogo dell’esilio, la salma del
successore Massimo» 150; la traslazione, secondo Mallardo, sarebbe stata effet-
tuata dal vescovo Severo che si sarebbe fatto seppellire presso il suo illustre
predecessore 151. Fortunato e Massimo riposarono nella Basilica cimiteriale di
145 Il passo è tratto da una lettera inviata il 17 dicembre 1589 a monsignor Paolo Regio da fra
Evangelista da Lecce, vicario provinciale dei frati cappuccini, che fu promotore e testimone del-
l’inventio (cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 7); cf. A. BELLUCCI, Ritrovamenti archeologici pagani
e cristiani, in Rivista di Scienze e Lettere n.s. 6 (1935) 2, 66-83, qui 73-75.
146 MALLARDO, Ricerche di storia, 10 («Mi astengo dall’esporre le mie idee in proposito e lascio
la parola all’amico carissimo P. Bellucci per la illustrazione che egli farà della Catacomba di S. Efe-
bo»), 13 («Io suppongo che S. Efebo fosse nella cassa, o arca, di un arcosolio-altare, e S. Fortunato,
o meglio il terzo corpo, sotto il piano del pavimento, sotto la predella di questo altare»).
147 Cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 18-23, 50-56. Padre Bellucci fin dal 1932 aveva dichiarato
che l’iscrizione era un falso (cf. BELLUCCI, Ritrovamenti archeologici pagani, 78, nota 2).
148 MALLARDO, Ricerche di storia, 23.
149 Ivi 23-35. Per la localizzazione della catacomba di vico Lammatari cf. CIAVOLINO, Scavi e sco-
perte, 644-646; AMODIO, La componente africana, 24, fig. 4 n. 9.
150 MALLARDO, Ricerche di storia, 35.
151 Cf. ivi 39.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 187
S. Fortunato dal secolo IV fino alla loro traslazione nella Stefania a opera del ve-
scovo Giovanni IV lo Scriba 152. L’epigrafe del vescovo Massimo, scoperta il 27
giugno 1882 da Galante nella cappella del Sacramento del duomo di Napoli 153,
non dimostra che i resti rinvenuti nel sottostante sarcofago appartengono al
presule; la circostanza che a partire dal 1384 la cappella risulta dedicata a
sant’Atanasio suggerisce piuttosto che si tratta dei resti di quest’ultimo vescovo 154.
Mallardo ritorna brevemente sull’argomento il 4 aprile 1939, in occasio-
ne della presentazione di una memoria all’Accademia di Archeologia, Lettere
e Belle Arti in Napoli; poiché Galante aveva ricomposto l’altare nascondendo
nuovamente alla vista l’iscrizione, precisa che il suo «giudizio poggia soltan-
to sul dettato dell’epigrafe: l’argomento paleografico – che sarebbe di gran-
de importanza – manca» 155. Comunica ai soci dell’Accademia che l’anno
precedente non ha trovato i mezzi per rimettere in luce l’«iscrizione sepol-
crale […] MAXIMVS EPISCOPVS QVI ET CONFESSOR CHR(i-sti)» e il sottostante sarcofa-
go 156 [Fig. 17]. Deve aspettare altri due decenni per riuscire nell’impresa
che nel complesso aveva sognato «per più di quarant’anni»: il 14 maggio
1957, «dopo lunghi anni di vana attesa e di altrettanto inefficaci quanto reite-
rate insistenze» ottiene «un piccolo fondo per riaprire l’altare» 157. Lo stesso
giorno avvia i lavori che vengono proseguiti il 29 maggio e l’11 giugno; il 4
luglio presenta all’Accademia i risultati delle ricerche che, a causa della sua
scomparsa, saranno pubblicati due anni dopo nella rivista Asprenas, a cura
di Vitale De Rosa 158. Mallardo, avendo appurato che l’epigrafe è incisa sul
bordo di una mensa marmorea poggiata su due coppie di grifi marmorei, an-
nuncia di aver scoperto «un antico altare cristiano» 159. Il sottostante sarco-
fago, realizzato per la sepoltura di un bambino e chiuso da un coperchio a
due spioventi, è diviso «in cinque campi, tre figurati, e due a strigili con dorsi
160 La notizia che l’arcivescovo ha istituito «una commissione ad alto livello scientifico, per la
ricognizione scrupolosa di questi avanzi mortali, ed un esame di essi che sarà fatto anche per mezzo
di isotopi» (MALLARDO, Recenti scavi, 148-149) trova un interessante parallelo con quanto era da
poco avvenuto a Cimitile, in occasione del rinvenimento di resti ossei nell’altare della Basilica di S.
Felice (C. EBANISTA, La tomba di S. Felice nel santuario di Cimitile a cinquant’anni dalla scoperta,
Marigliano 2006, 143, 163-167).
161 MALLARDO, Recenti scavi, 150.
162 Cf. A. PANTONI, Nota su di un sarcofago strigilato a leoni angolari ricordato dal Mallardo,
in Asprenas 7 (1960) 1, 110.
163 Cf. MALLARDO, La via Antiniana, 355; ID., S. Gennaro e compagni, 230-238, tav. II.
164 Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 234. Cf. M. AMODIO, Riflessi monumentali del culto
ianuariano: le Catacombe di San Gennaro a Capodimonte. Dalla curiositas degli eruditi alle inda-
gini archeologiche, in San Gennaro nel XVII centenario del martirio, I, 123-145, qui 140, nota 68.
165 Ivi 232-233.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 189
175 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 209-210; LICCARDO, Redemptor meus vivit, 138-139,
n. 161.
176
Cf. MALLARDO, La vite, 97, nota 2.
177
Cf. MALLARDO, Capsella di piombo, 143.
178 Ivi 143.
179 Cf. R. DI STEFANO, La cattedrale di Napoli. Storia, restauro, scoperte, ritrovamenti, Napoli
1975, 141-142, figg. 80-81.
180 Cf. MALLARDO, Capsella di piombo, 115-147.
181 Ivi 147.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 191
182 Cf. Ivi 116: «io ho ragione di credere che questa affermazione del Filangieri sia completa-
mente inesatta, e che la capsella appartenesse all’altare di S. Maria del Principio».
183 MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 16; cf. pure ID., Napoli, 1640.
184 Cf. É. BERTAUX, L’art dans l’Italie méridionale, Paris 1903, 76-77, figg. 12, 16-17.
185 Cf. P. TOESCA, Storia dell’arte italiana. I. Medioevo, Torino 1927, 442; A. O. QUINTAVALLE, Plu-
tei e frammenti d’ambone nel Museo Correale a Sorrento, in Rivista del R. Istituto d’Archeolo-
gia e Storia dell’Arte 3 (1931) 1-2, 160-183, qui 178; M. TOZZI, Sculture medioevali dell’antico
duomo di Sorrento, Roma 1931, 42; W. F. VOLBACH, Oriental influences in the Animal Sculpture of
Campania, in The Art Bulletin 24 (1942) 2, 172-180, qui 176, fig. 12.
186 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 17-19.
187 Cf. MALLARDO, Napoli, 1639.
192 CARLO EBANISTA
188 D. MALLARDO, La Pasqua e la settimana maggiore a Napoli dal secolo V al XIV, in Epheme-
rides liturgicae 66 (1952) 1, 3-36, qui 20.
189 Cf. G. CANTINO WATAGHIN - M. CECCHELLI - L. PANI ERMINI, L’edificio battesimale nel tessuto ur-
bano della città tardoantica e altomedievale in Italia, in L’edificio battesimale in Italia. Aspetti e
problemi. Atti dell’VIII Congresso nazionale di archeologia cristiana (Genova-Sarzana-Albenga-
Finale Ligure-Ventimiglia, 21-26 settembre 1998), Bordighera 2001, 231-265, qui 240-242.
190 Cf. C. EBANISTA, et manet in mediis quasi gemma intersita tectis. La basilica di S. Felice
a Cimitile: storia degli scavi, fasi edilizie, reperti, Napoli 2003, 561.
191 Archivio Galante, nella Biblioteca della Sezione S. Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà
Teologica dell’Italia Meridionale [d’ora in poi AG] Chronicon, 14 gennaio 1914; 16 gennaio 1915;
16 gennaio 1916. Per il ruolo svolto da Peluso nel restauro delle basiliche di Cimitile cf. EBANISTA, et
manet, 508-517.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 193
192 Archivio Centrale dello Stato, Roma [d’ora in poi ACS], Ministero Pubblica Istruzione, Dire-
zione Generale Antichità e Belle Arti, IV versamento, Divisione I, busta 1239, Cimitile, Basiliche di
S. Felice in Cimitile. Progetto di ricostruzione.
193 Ivi, lettera di Giulio De Petra al Ministero della Pubblica Istruzione, 3 maggio 1918.
194 Ivi.
195 Cf. ivi, lettera del Ministero della Pubblica Istruzione al Ministero della Guerra, giugno 1918.
196 Cf. EBANISTA, et manet, 516.
197 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 269-291; cf. la recensione di G. P. KIRSCH, in Rivista di
Archeologia Cristiana 15 (1938) 372-373.
194 CARLO EBANISTA
annesse all’oratorio. La lastra fu rimossa, e, nel venir fuori della faccia nascosta, ci si trovò davanti a
un monumento di notevole importanza. Il vescovo di Nola del tempo, monsignor Agnello Renzullo,
su proposta del compianto monsignor Gennaro Aspreno Galante, fece incastrare la lastra nella pare-
te posta di fronte all’altare della Confessione, con la faccia primitiva in vista dei visitatori»).
204 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 2
(«Vedesi nel mezzo una croce, della forma che dicesi latina, gemmata, ai cui lati si svolgono due ra-
mi, con foglie e frutta, ed uccelli. Dalle braccia della croce pendono da catenelle le lettere A ed W.
Nella riquadratura o cornice si intrecciano due tralci con foglie e grappoli; e finalmente ai lati sono
due candelabri con fiaccole»).
205 Cf. ivi, f. 3 («Primamente si domanda sarà questa lapide o lastra marmorea la testata d’un
sarcofago, ovvero un paliotto d’altare? A me sembra piuttosto il paliotto d’un altare, dappoiché tut-
ta la parte ornamentale e simbolica è in onore della croce, quindi l’attribuiamo piuttosto ad altare;
<e> la vite che si ravvolge intorno è simbolica del sacrificio eucaristico»); MALLARDO, Una fronte
d’altare, 286-287.
206 Cf. PAOLINO DI NOLA, Epistula 32, 14 (Quaequae super signum resident caeleste columbae |
Simplicibus produnt regna patere Dei).
207 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 5.
196 CARLO EBANISTA
208
MALLARDO, Una fronte d’altare, 278 e 280.
209
Ivi 279.
210 Ivi 280.
211 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 6
(«La vite poi che co suoi pampani [sic] e grappoli circonda tutta la scena della croce è senza dub-
bio simbolica dell’altare eucaristico, e quindi del sacrificio dell’altare»).
212 Cf. ivi, f. 10; MALLARDO, Una fronte d’altare, 283-284. La presenza dei candelabri sui monu-
menti può essere riferita a due ambiti, da una parte a quello funerario, dall’altra a contesti a caratte-
re meramente glorificante quando l’elemento è associato alla croce, a Cristo e al monogramma (M.
ESPOSITO, Candelabro, in BISCONTI, Temi di iconografia paleocristiana, 141-143, qui 142).
213 Auspicando che «venga rintracciato», lo studioso data il manufatto tra VI e VIII secolo (MAL-
LARDO, Una fronte d’altare, 287-288, nota 2, fig. 1).
214 Cf. MALLARDO, La vite, 102.
215 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 289.
216 BISCONTI, Imprese musive, 738, figg. 7-8.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 197
217 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, ff. 11-
12: «Ma donde la sua provenienza? Non vorremmo esitare a dichiararlo proveniente da Cimitile»).
218 Cf. P. TESTINI, Note per servire allo studio del complesso paleocristiano di s. Felice a Cimi-
tile (Nola), in Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité 97 (1985) 329-371, qui 371.
219 Cf. AG, fascicolo 5-308, Nola. Basiliche di S. Felice a Cimitile, Galante Fronte d’altare, f. 11
(«Ma di qual tempo è il nostro monumento? Lo stile alquanto trascurato; la forma dei candelabri, la
croce medesima assai prolungata nell’asta inferiore; se non la fanno risalire verso il sesto e settimo
secolo; certo non la fanno posteriore al secolo decimo»).
220 Cf. MALLARDO, Una fronte d’altare, 289.
221 Ivi 288.
222 Ivi 289.
223 D. MALLARDO, Nola, diocesi di, in Enciclopedia Cattolica, VIII, Città del Vaticano 1952,
1912-1915, qui 1915.
224 MALLARDO, Una fronte d’altare, 288.
225 Cf. ivi 288.
226 Cf. TESTINI, Note, 371.
198 CARLO EBANISTA
sia per la funzione 227. L’apparato iconografico, costituito da una serie di sim-
boli giustapposti paratatticamente, dimostra che si tratta di un paliotto d’alta-
re, assimilabile all’esemplare di Giffoni Valle Piana (oggi nell’atrio della Pina-
coteca Provinciale di Salerno) 228, ma avvicinabile anche a quello della Chiesa
di S. Maria di Capaccio Vecchia 229. Entrambi questi paliotti sono datati al VI
secolo, epoca alla quale risalgono anche quattro manufatti campani, a desti-
nazione funeraria, che sono decorati da analoghe coppie di candelabri: oltre
al sarcofago cimitilese di Adeodato già richiamato da Mallardo, si tratta dell’e-
semplare reimpiegato per accogliere le spoglie del vescovo Sabino, dell’epi-
grafe del levita Romolo (entrambi conservati nello Specus Martyrum di Atri-
palda) e del sarcofago collocato nel Museo Archeologico Provinciale dell’Agro
Nocerino 230. Quest’ultimo è inquadrato da un tralcio con grappoli d’uva e fo-
glie lanceolate che, per la forma e la lavorazione con il trapano corrente o “a
violino”, è perfettamente analogo a quello che decora la lastra nolana. Conside-
rato che un ornato simile ricorre anche in un inedito pilastrino conservato nel-
la cattedrale di Teano 231 e in uno proveniente da Sorrento (VII secolo) 232, la
227 Come già precisato in altra sede (cf. EBANISTA, Tra Nola e Cimitile, 95), non può essere, in-
fatti, accolta l’ipotesi che il manufatto sia «parte di un monumento funerario per un martire» (M. C.
CAMPONE, Apporti teologici paoliniani all’evoluzione dell’arte liturgica dei primi secoli: la croce
gemmata della cattedrale di Nola, in Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle
Arti in Napoli 69 (2000) 13-18, qui 18) ovvero un pluteo (cf. V. PACE, Arte medievale in Italia Me-
ridionale. I. Campania, Napoli 2007, 13).
228 Cf. P. PEDUTO, Arechi II a Salerno: continuità e rinnovamento, in Rassegna Storica Salerni-
tana n.s. 15 (1998) 1, 7-28, qui 11-12, fig. 2; S. CARILLO, Tutela e restauro dei monumenti nella
provincia di Salerno. Gli atti della commissione archeologica (1873-1874), in Apollo. Bolletti-
no dei Musei Provinciali del Salernitano 17 (2001) 97-118, qui 110, nota 59, fig. 7; C. LAMBERT,
Un prezioso anello di congiunzione tra tarda antichità ed altomedioevo nel Museo di Nocera,
in Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano 21 (2005) 44-58, qui 47-48, fig. 13.
229 Cf. R. CALVINO, Una lastra paleocristiana sconosciuta a Capaccio, in Campania Sacra 4
(1973) 291-294; P. PEDUTO, Aspetti urbanistici e caratteri architettonici di Capaccio Vecchia, in
Caputaquis Medievale, I, Ricerche 1973, Salerno 1976, 33-45, qui 39-40, tav. XIV; A. BUKO - P.
PEDUTO, Problemi di periodizzazione, in Caputaquis Medievale, II, Napoli 1984, 317-339, qui
320, nota 1; LAMBERT, Un prezioso anello, 47-48, fig. 12.
230 Cf. LAMBERT, Un prezioso anello, 44-45, figg. 3-5; C. LAMBERT, Studi di epigrafia tardoantica
e medievale in Campania. Volume I. Secoli IV-VII, Firenze 2008, 74-76, fig. 29b-e.
231 Cf. F. ACETO, Pittura e scultura dal tardo-antico al Trecento, in Storia del Mezzogiorno di-
retta da G. Galasso e R. Romeo, XI/4, Napoli 1993, 297-366, qui 312.
232 Cf. C. EBANISTA, Inediti elementi di arredo scultoreo altomedievale da Sorrento, in Rendi-
conti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti in Napoli 70 (2001) 269-306, qui 279-282,
figg. 5-6.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 199
datazione del paliotto nolano va fissata al pieno VI secolo, piuttosto che alla
fine del V o agli inizi del VI, come propone Mallardo.
A testimonianza del suo interesse per l’architettura paleocristiana di Cimi-
tile è lo schizzo a inchiostro della basilica nova [Fig. 22] tratto dall’articolo
pubblicato da Heinrich Holtzinger nel 1885 233. Nel corso di una visita alla Ba-
silica di S. Felice, «presieduta dal Soprintendente Gino Chierici »234 (eviden-
temente prima del suo trasferimento a Milano nel dicembre 1935 235), l’at-
tenzione di Mallardo cade su un affresco visibile sulla parete che separa l’ab-
side occidentale dall’edicola mosaicata. Ritornato sul posto agli inizi di luglio
del 1947 236, in compagnia di Vitale De Rosa, «ispettore dei monumenti di Ci-
mitile» 237, Mallardo ha l’occasione di visionare da vicino l’inedito affresco e di
accertare che, come già sospettava, si tratta della Vergine orante tra i santi
Felice e Paolino [Fig. 24]; il sopralluogo è funzionale alla preparazione di
una conferenza prevista per il successivo 7 luglio 238. Nella relazione lo studio-
so, dopo aver giustamente respinto l’identificazione della parete con un’ico-
nostasi 239, si sofferma sull’immagine della Vergine, lamentando che, dopo la
233 La planimetria della basilica nova è impropriamente indicata con la sigla «S.L. flm» (ossia
S. Lorenzo fuori le mura) che andava apposta alla pianta disegnata sulla parte alta del foglio che, in-
vece, è indicata come «S.S.» (AM, XXII.2); cf. H. HOLTZINGER, Die Basilika des Paulinus zu Nola, in
Zeitschrift für bildende Kunst 20 (1885) 135-141, figg. 1, 5.
234 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 7r.
235 Cf. L. GALLI, Il restauro nell’opera di Gino Chierici (1877-1961), Milano 1989, 14 e 113.
236 Nel manoscritto, che è datato 7 luglio 1947, Mallardo afferma di essersi recato a Cimitile
«sette giorni fa» ovvero il martedì precedente; poiché il 7 luglio cadeva di lunedì, il sopralluogo do-
vrebbe essere avvenuto martedì 1° luglio; questa data è compatibile con la domanda che lo studioso
si pone: «cosa volete che potessi fare in quattro giorni soltanto, anzi in alcune ore soltanto di questi
quattro giorni, io che purtroppo non sono in condizioni per poter pensare solo allo studio?» (AM,
VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio 1947, ff. 7r,
8r-v).
237 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 7r.
238 L’intervento rientrava nel Convegno Mariano celebrato presso il Seminario Maggiore di Na-
poli dal 7 al 9 luglio 1947; cf. il contributo di Carmine Matarazzo in questo volume.
239 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 7r («È stata definita come una iconostasi; ma non lievi ragioni si oppongono a farla credere
tale»); l’identificazione, destituita di ogni fondamento, era stata avanzata da Chierici (cf. G. CHIERICI,
Di alcuni risultati sui recenti lavori intorno alla basilica di S. Lorenzo a Milano e alle basiliche
paoliniane di Cimitile, in Rivista di Archeologia Cristiana 16 (1939) 51-72, qui 69; ID., Sant’Am-
brogio e le costruzioni paoliniane di Cimitile, in Ambrosiana. Scritti di storia, archeologia ed arte,
200 CARLO EBANISTA
visita compiuta negli anni Trenta, la «parte superiore del volto, dal labbro in
su, più non si vede, è andata distrutta» 240. L’affresco, in realtà, era stato dan-
neggiato nel 1687, allorché il preposito di Cimitile, Carlo Guadagni, fece ap-
porre sulla parte alta della parete [Fig. 23] un’epigrafe marmorea che è stata
rimossa in occasione dei restauri del 1890 o del 1903 241. Non a caso il 15 feb-
braio 1934 Agnello Baldi, collaboratore del soprintendente Chierici, annotò
nel diario di scavo la presenza sulla parete del «busto della Madonna» 242. In-
teressato alle immagini della Vergine e dei due santi, Mallardo illustra con
dovizia di particolari le vesti e la postura dei personaggi, ma pone scarsa at-
tenzione alla campitura del fondo e trascura completamente gli intradossi dei
due archi adiacenti 243. La cura maggiore, com’è facilmente intuibile, è ripo-
sta nell’identificazione dei due santi; grazie all’aiuto di una persona del luo-
go, che gli fornisce «una scala, il metro, una bacinella con l’acqua, una pez-
zuola da pulire e bagnare dove occorresse, il dipinto», lo studioso, coadiuva-
to da Vitale De Rosa, riesce a decifrare l’iscrizione (PaVLINVs) relativa al
santo raffigurato a destra; avendo identificato questo personaggio, l’altro san-
to – conclude giustamente Mallardo – dev’essere «il Martire locale, il domi-
naedius di s. Paolino, s. Felice» 244. Della scoperta lo studioso dà una fugace
pubblicati nel XVI centenario della nascita di Sant’Ambrogio, CCCXL-MCMXL, Milano 1942, 315-
331, qui 319).
240 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 lu-
glio 1947, ff. 7r-v («La figura centrale, purtroppo, non è quale io vidi la prima volta. La parte su-
periore del volto, dal labbro in su, più non si vede, è andata distrutta: ma a me sembra di avere
ancora avanti agli occhi, la pensosa austerità del volto, pure soave nella severa compostezza delle
linee»).
241 Cf. EBANISTA, et manet, 412, fig. 33; ID., Carlo Guadagni e il santuario di Cimitile, in C.
GUADAGNI, Breve relatione e modo di visitar il S. Cimiterio e le cinque basiliche di S. Felice in
Pincis or terra di Cimetino, a cura di C. EBANISTA, Cimitile 2010, 7-51, qui 31-32, figg. 13-14.
242 EBANISTA, La tomba di S. Felice, 190.
243 Il dipinto è in fase con gli affreschi che decorano gli intradossi, nei quali, su fondo scuro,
sono raffigurati rispettivamente un festone con fiori tripetali bianchi e un tralcio con melagrane,
grappoli d’uva, fichi e altri frutti (EBANISTA, et manet, 231).
244 AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 luglio
1947, f. 8r («Aguzzammo da terra in esplorazione lo sguardo, nell’ultima fascia verde scura, ac-
canto all’aureola, a destra, ci parve di scorgere tracce di lettere: salii sulla scala a circa tre metri
dal suolo, fissai bene lo sguardo con trepidazione pari al desiderio; le lettere per quanto attenuate,
c’erano davvero, le decifrai e lessi chiaramente VLIN. La restituzione delle lettere mancanti si pre-
sentava ovvia, quasi s’imponeva. Ma quel senso di circospensione e di diffidenza che è insito nel me-
todo dei nostri studi ci s’impose un esame ulteriore. Salì De Rosa, salii una seconda volta anch’io,
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 201
notizia nel 1952 245, senza, però, proporre la datazione al VII secolo che aveva
avanzato nel 1947 246. Il confronto stilistico con alcuni affreschi campani, nel-
l’escludere questa proposta, consente di assegnare il dipinto cimitilese al X-XI
secolo 247.
In relazione al già citato saggio su La vite negli antichi monumenti cri-
stiani di Napoli e della Campania, nel 1949 Mallardo s’interessa ai mosaici
dell’edicola che sorge intorno alla tomba di san Felice a Cimitile 248. Nell’asso-
ciazione dei pavoni alla vite [Fig. 25] lo studioso vede un chiaro riferimento
all’hortus paradisiaco che ricorreva anche nello scomparso mosaico absidale
della basilica nova eretta da Paolino di Nola nei primi anni del V secolo 249.
Oltre a escludere il «carattere orientale» del mosaico dell’edicola riconosciu-
to da Chierici 250 e, prima di lui, da Charles Diehl 251, Mallardo critica Leonardi
che aveva proposto la dipendenza della stesura musiva cimitilese dal mosaico
con il cantharus (cosiddetto del Calice ansato) che decora un arcosolio
della Catacomba di S. Gaudioso 252 [Fig. 3]. Assegnando quest’ultimo al «sec.
V inoltrato», Mallardo ritiene impossibile che possa aver influenzato i mosai-
ci dell’edicola che «in nessun caso» sono «posteriori al 403», essendo stati
discutemmo, diffidammo, scrutammo ancora. Ma infine, per i contorni della quinta lettera che dap-
prima era apparsa a metà, si fissarono nitidi nella nostra pupilla, la quinta lettera era V, la lettura
dunque VLINV era certa, non meno certa poteva essere la restituzione PAVLINVS. Non ci aveva già
detto il pallio che si trattava di un vescovo? Identificato con s. Paolino il personaggio a sinistra della
Vergine, la identificazione del santo di destra s’impone: esso è il Martire locale, il dominaedius di s.
Paolino, s. Felice. E giustamente non ha il pallio: s. Felice era solo prete»).
245 Cf. MALLARDO, Nola, 1914: «la Vergine fiancheggiata da s. Paolino e s. Felice».
246 Cf. AM, VII.25, La Vergine nei primi secoli della Chiesa nella Campania e a Napoli, 7 lu-
glio 1947, f. 8v («Io dapprima non ero alieno dal datare i dipinti nolani dall’VIII secolo. Oggi, dopo
d’averci ben riflettuto, non credo esatta la datazione dell’VIII, sia pure della prima metà dell’VIII, e li
assegno senza esitazione al sec. VII»).
247 Cf. EBANISTA, et manet, 231-232, fig. 139.
248 Sorprende l’impropria collocazione dei pavoni con il cantharus sulla parete nord dell’edi-
cola e l’errata articolazione del titulus interno in otto distici (cf. MALLARDO, La vite, 83); è noto, in-
fatti, che i distici sono quattro e che i pavoni ricorrono sulla parete est (cf. EBANISTA, et manet, 184-
185, 191-192, fig. 136).
249 Cf. MALLARDO, La vite, 86.
250 Cf. ivi 82-83, nota 9: «Perché il Chierici […] dica “di carattere orientale” la decorazione
musiva […], né egli dimostra, né a noi è dato di indovinare»; cf. CHIERICI, Di alcuni risultati, 71.
251 Cf. C. DIEHL, Manuel d’art byzantin I, Paris 1925, 127 («caractère purement oriental»).
252 Cf. LEONARDI, ‘Ampelos, 133, fig. 18.
202 CARLO EBANISTA
261 Cf. M. TOZZI, Sculture medioevali campane. Marmi dal IX al XII secolo a Cimitile e Capua,
in Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione serie III 25 (1932) 11, 505-516, qui
506, fig. 1.
262 Cf. MALLARDO, Nola, 1914; cf. la critica di A. FERRUA, Leo e Lupinus vescovi di Nola, in Vetera
Christianorum 11 (1974) 97-109, qui 102. Di recente nell’errore di Tozzi e di Mallardo è incorso
R. CORONEO, Scultura mediobizantina in Sardegna, Nuoro 2000, 151, fig. 111.
263 Cf. MALLARDO, Nola, 1914.
264 Cf. D. MALLARDO, San Castrese vescovo e martire nella storia e nell’arte, Napoli 1957, 73-74.
265 Cf. H. BELTING, Die Basilica dei SS. Martiri in Cimitile und ihr frühmittelalterlicher Fresken-
zyklus, Wiesbaden 1962, 153-155; ID., Studien zur beneventanischen Malerei, Wiesbaden 1968,
95; O. CAPITANI, Ausilio, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, 597-600, qui 600.
266 Cf. M. TOZZI, Di alcune sculture medioevali della Campania, in Bollettino d’Arte del Mini-
stero della Pubblica Istruzione serie III 25 (1931) 6, 272-281 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Sala
Consultazione, Per. 4).
204 CARLO EBANISTA
che la tomba del vescovo Paolino iunior († 442), da sempre visibile nella
Basilica di S. Felice, lo studioso formula «il voto che così la tomba di Paolino
iuniore, come l’altra del vescovo Felice, morto nel 484 […], non siano ri-
mosse dai posti che hanno occupato sino ad oggi» 279. Nella nota scientifica
presentata nel giugno 1954 all’Accademia di Archeologia conferma la validità
della sua ipotesi e rileva che entrambe le segnalazioni giornalistiche proven-
gono dalla redazione di Caserta e attingono alla stessa fonte 280. Le notizie, an-
ziché favorire l’andamento delle ricerche, finiscono col creare un’immagine
ancora più negativa degli scavi condotti a Cimitile, tanto che Mallardo com-
menta amaramente: «non so in base a che […] a Nola c’è chi crede che si sia-
no ritrovate alcune ossa, addirittura, di S. Felice prete» 281.
Nell’intento di evidenziare le gravi «inverosimiglianze» registrate nei due
articoli 282, Mallardo passa in rassegna i presuli che occuparono la cattedra
nolana fino al VI secolo. Molto interessante è la discussione relativa al vesco-
vo Sisto, la cui esistenza era stata supposta da de Rossi sulla base della testi-
monianza della silloge epigrafica contenuta in un codice del IX secolo, in cui
sono riportati, tra l’altro, alcuni tituli composti da Paolino di Nola per le ba-
siliche di Cimitile 283. Nella silloge il distico finale (Plebs gemina Christum
Felicis adorat in aula, | Paulus apostolico quam temperat ore sacerdos)
291MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 200; per la datazione alla fine del I secolo d.C. cf. A. FERRUA,
Cimitile ed altre iscrizioni dell’Italia inferiore, I, in Epigraphica 33 (1971) 99-104, qui 101.
292 Mallardo riferisce che costituiva la «chiusura del sarcofago» (MALLARDO, Iscrizione sepolcrale,
199-200), mentre Ferrua, quindici anni dopo, affermerà che la lastra, databile tra il 124 e il 132 d.C.,
era stata sistemata sul lato sud della tomba (cf. FERRUA, Cimitile, 102-104).
293 Nel sepolcro sottostante quello di Paolino iunior venne rinvenuta un’iscrizione († 556) re-
lativa ai fanciulli Johannes e Paula (cf. EBANISTA, et manet, 145; D. KOROL, Le celebri pitture del
Vecchio e Nuovo Testamento eseguite nella seconda metà del III ed all’inizio del V secolo a Ci-
mitile/ Nola, in M. DE MATTEIS - A. TRINCHESE [curr.], Cimitile di Nola. Inizi dell’arte cristiana e
tradizioni locali, Oberhausen 2004, 147-173, qui 161, nota 83; EBANISTA, La tomba di S. Felice, 73,
nota 275) che Mallardo non conosce perché evidentemente fu scoperta successivamente alla sua
visita del 14 luglio 1954.
294 L’arco era attraversato da una scala composta da tre gradini, due dei quali costruiti sull’epi-
grafe (cf. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 208, tav. II n. 2; EBANISTA, et manet, 157, nota 331).
295 Cf. MALLARDO, Iscrizione sepolcrale, 201.
296 Cf. ivi 202-206.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 209
304 Cf. J. D. MANSI, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XI, Florentiae 1765,
290.
305Cf. LAMBERT, Studi di epigrafia, 142, fig. 39a-b.
306Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 238-243; ID., Capua, arcidiocesi di, in Enciclo-
pedia Cattolica, III, Città del Vaticano 1949, 729-732, qui 729-730. Per la stesura musiva cf. G.
BOVINI, Mosaici paleocristiani scomparsi di S. Prisco, in Corso di cultura sull’arte ravennate e
bizantina, Ravenna 5-17 marzo 1967, Ravenna 1967, 43-62.
307 Cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 241.
308 Cf. MALLARDO, Capua, 729-730. Sul mosaico absidale di S. Maria Maggiore lo studioso si era
soffermato nella conferenza del 7 luglio 1947 (supra, nota 238); cf. il contributo di Carmine Mata-
razzo in questo volume.
309 Cf. J. WILPERT, I sarcofagi cristiani antichi, I, Roma 1929, 116, tav. IX n. 2.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 211
secolo 310. Nel saggio su La vite negli antichi monumenti cristiani di Napoli
e della Campania, pubblicato anch’esso nel 1949, si sofferma, invece, sui mo-
saici della Cappella di S. Matrona a S. Prisco per respingere l’ipotesi di Leo-
nardi che, supponendo la presenza dell’immagine di san Prisco al centro della
volta, vi ha riconosciuto «il simbolo della vigna-Chiesa, custodita da Santi Ve-
scovi e Martiri»; Mallardo, rilevando giustamente che l’etimasia e i quattro evan-
gelisti raffigurati nelle lunette della cappella non possono «far da corteggio al-
la figura di S. Prisco», è portato a pensare che al centro della volta «possa es-
serci stato qualche motivo simbolico del Cristo» 311.
310 Il sarcofago, che di recente è stato trasferito nella Chiesa dei SS. Rufo e Carponio (cf. M. PAGANO,
Capua nella tarda antichità, in Capys 40 [2007-2008] 21-44, qui 38), è datato al primo decennio
del IV secolo da Bovini (cf. G. BOVINI, Note iconografiche sul sarcofago paleocristiano della chie-
sa di S. Marcello di Capua, in Il contributo dell’archidiocesi di Capua alla vita religiosa e cul-
turale del Meridione, Atti del Convegno nazionale di Studi storici promosso dalla Società di
Storia Patria di Terra di Lavoro [Capua-Caserta-S. Maria C.V.-Sessa Aurunca-Marcianise-
Caiazzo-S. Agata dei Goti, 26-31 ottobre 1966], Roma 1967, 431-438, qui 438), che si è occupato
anche degli scomparsi mosaici capuani (cf. G. BOVINI, Mosaici paleocristiani scomparsi di S. Maria
Capua Vetere, in Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina, 35-42).
311 MALLARDO, La vite, 98-99.
312 Cf. MALLARDO, Il Calendario Marmoreo, 201-207.
313 La relazione, conservata nell’archivio del Santuario di S. Restituta a Lacco Ameno (P. MONTI,
Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, Napoli 1968, 131), è stata integralmente pub-
blicata nel 1971 (D. MALLARDO, Le antiche memorie cristiane di Ischia nella luce dei ritrovamen-
ti paleocristiani in Lacco Ameno, in Ricerche contributi e memorie, Centro di Studi sull’Isola
d’Ischia, Atti relativi al periodo 1944-1970, I, Napoli 1971, 333-345).
212 CARLO EBANISTA
stesso quotidiano, dopo il rinvenimento di una seconda tomba 320. Intanto sem-
pre «nello stesso piano» vengono scoperte altre due sepolture e «una lucerna
cristiana del secolo VI-VII» 321. Alla fine del 1950 322 ovvero il 20 gennaio del-
l’anno seguente 323, «in mezzo all’area sepolcrale sotto il pavimento del vec-
chio oratorio», Monti scopre un pilastrino (20 x 20 cm; altezza 133) decorato
da semplici scanalature 324 e un arcosolio, sul quale è poggiata una lucerna
con la scena degli esploratori che tornano da Canaan 325 [Fig. 28]. Secondo
Mallardo la circostanza che la lucerna, risalente alla prima metà del IV seco-
lo, è stata trovata in situ indica che l’arcosolio è cristiano, come tutta l’area
cimiteriale; il sepolcreto, sorto tra IV e V secolo, nell’area di «una cisterna
disusata, posta in prossimità della spiaggia», fu impiegato a lungo, come atte-
sta «l’altra lucerna ornata di semplice croce ad estremità slargate, molto più
trascurata e rozza, e di età più tarda» che è stata rinvenuta «fuori posto»326.
Tra VIII e X secolo in quest’area sorse un edificio di culto, la cui esistenza è
attestata dal «pilastrino terminale di un cancello di altare»327 che lo studioso
assegna al IX-X secolo sulla base della presunta analogia con gli esemplari al-
tomedievali campani che, com’egli stesso rileva, sono, però, ornati da tralci a
girali 328. Quest’oratorio, osserva Mallardo, «non potette essere il primo a
sorgere […] sull’area cimiteriale di Lacco», dal momento che la comunità
secondo scheletro – avvenuto dopo quello di cui parlammo – I due scheletri sono sconnessi e di-
sgiunti nella loro formazione esistenti nel sarcofago sottostante all’altare»).
320 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 341.
321 Ivi 341; cf. MONTI, Ischia preistorica, 137.
322 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 341.
323 Cf. MONTI, Ischia preistorica, 137.
324 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 343-344; MONTI, Ischia preistorica, 138-139, nota 25.
325 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 341-342; MONTI, Ischia preistorica, 137-138, fig. 50. La
scena fu introdotta nei monumenti cristiani soprattutto per il suo valore allegorico legato alla sim-
bologia cristologica dell’uva (cf. V. CIPOLLONE, Canaan, in BISCONTI, Temi di iconografia paleocri-
stiana, 139-140, qui 140), come Mallardo non aveva mancato di rilevare nel suo saggio del 1949
(MALLARDO, La vite, 100); d’altra parte il suo interesse per le lucerne con questo tema risale al 1935,
allorché si occupò dell’esemplare di Boscoreale (cf. MALLARDO, La questione, 82-86).
326 MALLARDO, Le antiche memorie, 341-343; cf. MONTI, Ischia preistorica, 138.
327 MALLARDO, Le antiche memorie, 343; cf., invece, MONTI, Ischia preistorica, 138 («pilastro
terminale di un cancello d’altare o pluteo»).
328 Lo studioso cita gli esemplari di sant’Aspreno a Napoli, san Felice a Cimitile e san Castrese a
Marano di Napoli (cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 344; MONTI, Ischia preistorica, 138-139,
nota 25).
214 CARLO EBANISTA
locale «non poteva non avere il suo luogo di culto, la sua basilica. E per la
legge costante della persistenza e del perpetuarsi sulla stessa area dei luoghi
di culto, bisogna supporla questa basilica del secolo IV-V, nello stesso posto
dove abbiamo ritrovata quella del IX-X» 329. Mettendo in relazione l’edifica-
zione della chiesa con la presenza di una sepoltura venerata, lo studioso ritie-
ne probabile che in quest’area siano stati deposti «gli avanzi mortali della
martire africana, S. Restituta» 330. L’edificio di culto sarebbe poi stato rico-
struito dal conte Marino e dalla moglie Teodora 331, come attesta un docu-
mento del 1036 332.
La periodizzazione proposta da Mallardo è stata in parte accolta da Mon-
ti che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ha proseguito gli scavi, estendendo
le ricerche anche all’esterno della Chiesa di S. Restituta 333. La mancata rile-
vazione delle stratigrafie impedisce, tuttavia, di avere un quadro chiaro delle
fasi costruttive, tanto che di recente, sebbene siano stati identificati i resti di
un battistero 334, è stato sostenuto che gli scavi non hanno evidenziato tracce
riferibili «ad un possibile edificio di culto cristiano di IV-V secolo» 335, ma
solo i resti di «un ambiente annesso al complesso ecclesiastico» paleocri-
stiano 336. Non essendo questa la sede per analizzare le stratigrafie indivi-
duate nel corso degli scavi 337, faccio solo rilevare che la lucerna con gli
esploratori che tornano da Canaan va datata tra la fine del V secolo e gli inizi
329MALLARDO, Le antiche memorie, 344; cf., invece, MONTI, Ischia preistorica, 138-139.
330MALLARDO, Le antiche memorie, 344; cf. MONTI, Ischia preistorica, 140.
331 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 343; MONTI, Ischia preistorica, 138-140.
332 Cf. Regii Neapolitani archivi Monumenta edita ac illustrata, IV, Neapoli 1854, 270; B. CAPAS-
SO, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia […], II/1, Neapoli 1885, 282-283.
333 Cf. MONTI, Ischia preistorica, 147-149; ID., Ischia. Archeologia e storia, Napoli 1980, 283-
315; ID., Testimonianze bizantine sull’isola d’Ischia, in La tradizione storica e archeologica in
età tardo-antica e medievale: i materiali e l’ambiente. Primo colloquio di studi per il 17° cen-
tenario di S. Restituta, Napoli 1989, 57-79, qui 64, 77.
334 Cf. M. D’ANTONIO, L’edificio battesimale in Campania dalle origini all’altomedioevo, in
L’edificio battesimale in Italia, 1003-1036, qui 1011-1013.
335 C. GENNACCARI, Una nuova lettura degli scavi sotto il santuario di S. Restituta a Lacco Ame-
no, in RUSSO, 1983-1993: dieci anni di archeologia cristiana, 719-723, qui 723.
336 Cf. V. GUARINO - D. MAURO - P. PEDUTO, Un tentativo di recupero di una stratigrafia e mate-
riali vari da collezione: il caso del complesso ecclesiastico di S. Restituta a Lacco Ameno di
Ischia, in Archeologia Medievale 15 (1988) 439-469, qui 447-448.
337 Cf. P. ARTHUR, Naples, from Roman town to city-state: An Archaeological Perspective, London
2002, 75.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 215
del VII 338 piuttosto che alla prima metà del IV, laddove l’esemplare con
«semplice croce ad estremità slargate» segnalato nella conferenza del 3 mag-
gio 1951 dovrebbe corrispondere alla lucerna «con croce monogrammatica
gemmata» che nel 1957 Mallardo cita tra i principali rinvenimenti del 1950-
1951 339, insieme a quella con gli esploratori e al pilastrino; quest’ultimo,
stando alla descrizione fornita proprio dallo studioso, sembra più vicino agli
esemplari campani di IV-V secolo che a quelli di IX-X 340.
Nella conferenza del 1951 Mallardo si sofferma sulla fronte di sarcofago
[Fig. 29] di età teodosiana, «vale a dire della fine del sec. V o dei principi del VI»,
che è conservata nel palazzo vescovile di Ischia 341. Il manufatto «dal punto di vi-
sta dell’archeologia cristiana», scrive lo studioso, «non è affatto conosciuto, al
punto che è ignoto» sia a Wilpert, sia a Simon «che ha pubblicato uno studio
speciale sui sarcofagi cristiani del tipo Bethesda», cui l’esemplare ischitano
appartiene 342. Riservandosi di sviluppare il tema in un «apposito lavoro», si
dichiara d’accordo con monsignor Onofrio Buonocore che aveva supposto
l’importazione del manufatto da Roma nella seconda metà del XIV secolo per
essere reimpiegato nel monumento funerario di Giovanni Cossa 343. Tre anni
dopo, in occasione del V Congresso internazionale di Archeologia cristiana di
Aix-en-Provence, Mallardo illustra il sarcofago, rilevando giustamente che
338 Si tratta, infatti, di un esemplare della forma II del tipo C che si data tra la fine del V secolo e
gli inizi del VII (cf. GARCEA, Le produzioni di lucerne, 458). La scena, che è particolarmente attestata
sulle lucerne di produzione africana di V e VI secolo (CIPOLLONE, Canaan, 140), in Campania ricorre,
tra l’altro, su manufatti rinvenuti a Boscoreale, Avella e nella Civita di Ogliara, presso Serino (GUARINO -
MAURO - PEDUTO, Un tentativo, 460; C. EBANISTA, Testimonianze di culto cristiano ad Avella tra tar-
da antichità e medioevo, in A. V. NAZZARO [cur.], Giuliano d’Eclano e l’Hirpinia christiana, Atti del
convegno [4-6 giugno 2003], Napoli 2004, 287-363, qui 301).
339 Cf. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano, 254; la lucerna va riconosciuta tra gli esemplari “a
ciabatta” del VII secolo (GUARINO - MAURO - PEDUTO, Un tentativo, 460, fig. 13,c, f) e quelli del VII-
VIII secolo appartenenti ai tipi Provoost 10A e 10B (F. GARCEA, Appunti sulla produzione e circola-
zione delle lucerne nel Napoletano tra VII ed VIII secolo, in Archeologia Medievale 14 [1987]
537-544, qui 539) che sono conservati nel Museo degli scavi di S. Restituta.
340 Ci riferiamo, ad esempio, ai pilastrini cimitilesi con terminazione a bugna conoide e sempli-
ci scanalature (cf. EBANISTA, et manet, 135-137, figg. 44, 80; ID., La tomba di S. Felice, 58, figg. 32-
34, 105-107).
341 MALLARDO, Le antiche memorie, 338; cf. MONTI, Ischia preistorica, 135.
342 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 338; per l’iconografia cf. A. NICOLETTI, I sarcofagi di Bethe-
sda, Milano 1981; F. CRISTINI, Zaccheo, in BISCONTI, Temi di iconografia paleocristiana, 307-308.
343 Cf. MALLARDO, Le antiche memorie, 338.
216 CARLO EBANISTA
nessun dato autorizza a supporre che sia stato importato da Roma nel Tre-
cento o agli inizi del Cinquecento, come avevano ipotizzato rispettivamente
Buonocore 344 e Gina Algranati 345. Esso va messo piuttosto in relazione con il
sepolcreto e gli «avanzi di un edificio che fu forse una basilica paleocristia-
na» scoperti a Lacco Ameno durante gli scavi eseguiti, «sia pure in maniera
non sistematica», nella Chiesa di S. Restituta 346. Il sarcofago d’Ischia si diffe-
renzia dagli altri esemplari Bethesda per la presenza di «un piccolo puledro,
dalle orecchie ritte, che sgambetta sotto la pancia dell’asina» su cui è assiso
Cristo nella scena dell’entrata trionfale a Gerusalemme 347. Mallardo osserva
con compiacimento che, «per ricostruire le origini e il cammino progressivo
del tipo», d’ora in poi bisogna prendere in esame il manufatto ischitano che
«relega al secondo piano il sarcofago Lateranese 125, giudicato dal Wilpert e
da altri che lo hanno seguito, come il prototipo del gruppo» 348. Consapevole
che la sua pubblicazione ha recato «un contributo decisivo» alla conoscenza
dei sarcofagi Bethesda, lo studioso rileva che i problemi che già prima pre-
sentava il gruppo «si prospettano ora […] sotto nuova luce» 349.
344 Cf. O. BUONOCORE, La diocesi d’Ischia dall’origine ad oggi, Napoli s.d., 17 e 124.
345 Cf. G. ALGRANATI, Ischia (Collezione di monografie illustrate. Ser. 1., Italia artistica, 102), Bergamo
1930, 91.
346 Cf. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano, 253-254; l’assenza di qualsiasi legame con il monu-
mento Cossa è ribadita da G. ALPARONE, Sculture del Medio Evo ad Ischia, in Ricerche contributi e
memorie, 391-397, qui 393.
347 Cf. MALLARDO, Sarcofago paleocristiano, 251-252, fig. 6.
348 Ivi 254.
349 Ivi. Per l’aggiornamento delle problematiche relative all’origine e alla diffusione dei sarcofagi
Bethesda cf. NICOLETTI, I sarcofagi.
350 Cf. H. DELEHAYE, Commentarius in Martyrologium Hieronymianum ad recensionem Hen-
rici Quentin, in Acta Sanctorum Novembris, II/2, Bruxellis 1931, 87.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 217
351 MALLARDO, San Castrese, 51-52, tav. I. Di recente a Marano, in località “Città Giardino”, sono
stati scoperti i resti di un edificio di culto rurale del IV-V secolo che fu abbandonato, in seguito a un
incendio, nel corso del VI secolo; l’area, frequentata ancora durante il medioevo, è stata messa in
collegamento con il villaggio sorto intorno alla Chiesa di S. Castrese (cf. M. PAGANO, Continuità inse-
diativa delle ville nella Campania fra tarda antichità e alto medioevo, in C. EBANISTA - M. ROTILI
[curr.], La Campania tra tarda antichità e alto medioevo: ricerche di archeologia del territorio,
Atti della Giornata di studio [Cimitile, 10 giugno 2008], Cimitile 2009, 9-21, qui 12).
352 G. B. DE ROSSI, Transenna marmorea trovata a Castel Volturno ora nel Museo di Capua, in
Bullettino di Archeologia Cristiana serie III 7 (1881) 147-153.
353 MALLARDO, San Castrese, 51-53.
354 Cf. ivi 75-82, tavv. IV-VI.
355 Cf. G. B. DE ROSSI, Conferenze della Società di cultori della cristiana archeologia in Roma.
12 marzo 1882, in Bullettino di Archeologia Cristiana serie III 9 (1883) 74-77, qui 74-75.
356 Per l’utilizzo cultuale delle grotte campane nel medioevo cf. C. EBANISTA, Culto micaelico e in-
sediamenti rupestri in Campania: la grotta di S. Michele ad Avella, in R. FRANCOVICH - M. VALENTI
218 CARLO EBANISTA
dei bracci reca «due altre foglioline o, piuttosto, fiorellini» 369. In verità la cro-
ce greca potenziata, gemmata al centro, nasce da due foglie contrapposte,
come si riscontra, tanto per rimanere in Campania, in tre pilastrini di Cimiti-
le 370. Lo studioso assegna i due esemplari maranesi al IX secolo sulla base
delle stringenti analogie con i pilastrini di S. Aspreno a Napoli, del Museo
Correale di Sorrento e di Cimitile 371. Per la presenza della melagrana spacca-
ta che lascia intravedere i chicchi, il tralcio gli ricorda in particolare il paliot-
to napoletano di S. Maria a Piazza 372 e un pilastrino cimitilese 373 [Fig. 36].
Nonostante le condizioni di reimpiego non consentano di apprezzare che
un’unica faccia 374, è probabile che i due pilastrini siano parte di un recinto
presbiteriale, databile tra IX e X secolo. Se, infatti, il tralcio a girali si sviluppa
da mezze foglie palmate e contrapposte, come si riscontra nell’iscrizione fu-
neraria del duca Bono (832-834) proveniente dalla chiesa napoletana di S.
Maria a Piazza 375, occorre rilevare che i pilastrini maranesi sono delimitati
da una cornice a doppio listello che in Campania, nei marmi parallelepipedi
(architravi, pilastrini, stipiti), è ampiamente documentata tra la fine del IX
secolo e la seconda metà del successivo 376.
369Ivi.
370Cf. EBANISTA, et manet, 269-270, fig. 98.
371 Cf. MALLARDO, San Castrese, 71-72.
372 Cf. ivi 72, tav. III.
373 Nella fotografia pubblicata nel 1957 si riconosce anche la base del pilastrino cimitilese (cf.
MALLARDO, San Castrese, 72-73, tav. II n. 3) a testimonianza che il manufatto forse era stato già ri-
mosso dalla parete nella quale era murato; successivamente al 30 maggio 1961, il pilastrino è stato
trafugato (cf. EBANISTA, et manet, 269, nota 487).
374 Attualmente non è possibile scorgere le facce laterali dei pilastrini che, secondo Mallardo,
misurano 16 cm (cf. MALLARDO, San Castrese, 71).
375 Cf. CORONEO, Scultura mediobizantina, 159, fig. 125.
376 Cf. ivi 113.
377 ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo, 317.
DOMENICO MALLARDO E L’ARCHEOLOGIA CRISTIANA IN CAMPANIA 221
378 Cf. ZAMA, In devota memoria, 9; DE ROSA, Mons. Domenico Mallardo, 145; DILIGENZA, Mons.
Domenico Mallardo, 137, nota 1; CAPASSO, Ricordo, 3; BELLUCCI, Commemorazione, 4; DOVERE, Do-
menico Mallardo, 367; ID., Mons. Domenico Mallardo, 121; ORLANDO, Storia del capitolo, 319;
AMBRASI, Gli studi ianuariani, 59.
379 Dopo la scomparsa di Galante, avvenuta l’11 giugno 1923, alcuni manoscritti del maestro ri-
mangono in possesso dell’allievo (cf. MALLARDO, S. Gennaro e compagni, 169, 232; ID., Storia anti-
ca, 26-27; ID., La Pasqua, 8), invece di confluire nel Seminario Arcivescovile di Napoli insieme alla
biblioteca privata dell’anziano studioso (cf. MALLARDO, Ricerche di storia, 72, nota 1; ID., Una fron-
te d’altare, 284, nota 8; ILLIBATO, Gennaro Aspreno Galante, 232).
380 D. MALLARDO, Il Calendario Lotteriano del sec. XIII, Napoli 1940, 3.
381 DILIGENZA, Mons. Domenico Mallardo, 138 e 140; cf. pure BELLUCCI, Commemorazione, 12;
DOVERE, Domenico Mallardo, 368; ID., Mons. Domenico Mallardo, 123.
222 CARLO EBANISTA
nei confronti dei “falsari” del passato 384, degli studiosi contemporanei 385 e
perfino del suo maestro 386. In un saggio del 1931 sul vescovo Severo, edito nel
Bollettino Ecclesiastico dell’Archidiocesi di Napoli, giunge addirittura a bia-
simare il cronista dei Gesta episcoporum Neapolitanorum per la «spiegazio-
ne altrettanto goffa quanto primitiva e ingenua» del mosaico absidale della
Basilica severiana (attuale S. Giorgio Maggiore) 387.
Le ricerche di Mallardo prendono quasi sempre le mossa dagli aspetti sto-
rici e letterari, per poi estendersi progressivamente all’analisi delle fonti mate-
riali, nella convinzione che queste possano integrare il quadro storico-lettera-
rio. La predominanza attribuita alle testimonianze scritte si evince chiaramen-
te dall’impostazione metodologica che egli stesso professa, allorché dichiara
che «occorre dapprima raccogliere quante più fonti è possibile: vagliare, rie-
saminare criticamente e coordinare quelle già conosciute, frugare archivi e
biblioteche per scoprirne eventualmente delle nuove, poiché soltanto dal ma-
teriale raccolto tutto insieme e criticamente coordinato nascono la facilità
delle ricerche e dei confronti e la fecondità dei risultati» 388. Anche quando si
384 Cf., ad esempio, MALLARDO, Ricerche di storia, 13: «Brava fabbricante di casse, la fantasia del
D’Engenio, o quella dei suoi informatori!»; ID., La via Antiniana, 364: «Disgraziatamente, in quasi
tutti gli scrittori del 1500, 1600 e 1700, il senso critico non fu pari al grande amore per S. Gennaro»;
ID., Un supposto fratello, 165-191.
385 Si rinvia, a titolo di esempio, a: MALLARDO, La via Antiniana, 357 («Il quadro dunque, l’ha
immaginato l’Achelis, non l’hanno inventato i Napoletani, i quali con tutta la loro fantasia sanno an-
che, negli studi storici, dar prova di essere molto meno capaci di certi studiosi del freddo clima ger-
manico, di lasciarsi beflügeln die Phantasie»); ID., S. Gennaro e compagni, 167, nota 2 («Tre svi-
ste così gravi, in due righe appena, sono un po’ troppo. Ma non faranno meraviglia a chi conosce
davvero il Dictionnaire» di Leclercq); ID., Il Calendario Lotteriano, 131, nota 3 («quello che ha
scritto sulle origini della Chiesa di Napoli il LANZONI […] va interamente rifatto»); ID., Le origini,
27 («giudizi, datazioni ed affermazioni inesatte o addirittura errate, sono sparse un po’ dappertut-
to» nel capitolo dedicato da Lanzoni a Napoli); ID., La vite, 97, nota 2 («Il DIEHL, per quanto riguar-
da la Campania, è incorso in altre sviste, oltre a quelle già segnalate»).
386 Cf., ad esempio, MALLARDO, Ricerche di storia, 50 («A me che l’amai di amore intenso, e che
ho in venerazione la sua memoria, mi costa assai il dir questo, ma non posso nascondere che la sua
Relazione sulla Catacomba di S. Eufebio, per quanto concerne l’epigrafe, è assai difettosa di conce-
zione e di critica […] la sua è, oltre a mancata critica delle fonti, una invincibile riluttanza a rileva-
re la debolezza o la inverosimiglianza di fonti sospette»), 56 («scivolò in un errore assai grave […]
è incredibile come il migliore conoscitore della storia degli antichi cimiteri cristiani di Napoli abbia
potuto cadere in un errore simile»).
387 Cf. MALLARDO, Sacre Memorie, 92-94.
388 MALLARDO, Il Calendario Lotteriano, 3.
224 CARLO EBANISTA
393 Cf. DOVERE, Domenico Mallardo, 368 («Secondo un giudizio di Nicola Cilento, M. avrebbe
potuto sostenere con decoro varie cattedre universitarie, invece una sola volta pensò di partecipare
a un concorso a cattedre e fu nel 1942, per la cattedra di Archeologia cristiana nell’Università di Ro-
ma, che fu poi ottenuta da Carlo Cecchelli»); ID., Mons. Domenico Mallardo, 122-123 («Com’è sta-
to sostenuto da qualche illustre studioso, avrebbe potuto sostenere con decoro varie cattedre uni-
versitarie, tuttavia una sola volta pensò di partecipare a un concorso a cattedre e fu nel 1942, per la
cattedra di Archeologia cristiana nell’Università di Roma, che fu poi ottenuta da Carlo Cecchelli»);
AMBRASI, Gli studi ianuariani, 59 («Aveva i titoli per concorrere alla cattedra di Archeologia cristia-
na alla Sapienza di Roma; ne fu escluso perché – come egli stesso scrisse – gli mancava la tessera
d’iscrizione al P.N.F., allora raro appannaggio di un ecclesiastico»).
394 Cf., ad esempio, CORONEO, Scultura mediobizantina.
395 Cf. P. ORLANDO, Appunti di storia patria. I dintorni di Napoli. I. Marano di Napoli dalle
origini al 1650, Napoli 1970, 32-35, fig. 8.
396 Cf. BELTING, Studien, 105, nota 9; PIAZZA, La Grotta dei Santi, 169-208; ID., Pittura rupestre
medievale. Lazio e Campania settentrionale (secoli VI-XIII), Roma 2006, 145-148.
226 CARLO EBANISTA
Sessanta, nella Chiesa di S. Restituta 397. Forte è, quindi, l’auspicio che questo
volume, oltre a contribuire al tanto desiderato riesame dell’attività scientifica
di Mallardo 398, possa assegnare alle sue ricerche un posto di rilievo nell’am-
bito dell’Archeologia cristiana del Novecento. Molte sue osservazioni e intui-
zioni sono, infatti, ancora oggi valide, mentre altre hanno contribuito definiti-
vamente a smentire alcune consolidate, quanto infondate tradizioni.
397 Cf. M. D’AGOSTINO - F. MARAZZI, Notizia preliminare sullo studio di materiali tardoantichi e
altomedievali da Lacco Ameno, Ischia (NA), in Archeologia Medievale 12 (1985) 611-625; GUARINO -
MAURO - PEDUTO, Un tentativo, 439-469; D’ANTONIO, L’edificio battesimale, 1011-1013; ARTHUR,
Naples, 75; GENNACCARI, Una nuova lettura, 719-723.
398 Cf. ILLIBATO, Gennaro Aspreno Galante, 237; ORLANDO, Mons. Domenico Mallardo, 318.
1. Napoli, Cimitero ebraico di Corso Orientale (ora Corso Malta): epigrafe di Barbarus (da G. A. GALANTE,
Un sepolcreto giudaico recentemente scoperto in Napoli, tav. II, fig. 2).
4. Napoli, Catacomba di S. Gaudioso: mosaico del Trionfo della croce (da M. AMODIO, La componente
africana nella civiltà napoletana tardo-antica, fig. 44).
5. Napoli, Basilica di S. Giorgio Maggiore: capitello e pulvino con croce monogrammatica (foto C.
Ebanista).
6. Napoli, Catacombe di S. Gennaro, vestibolo superiore: affresco della Costruzione di una torre (foto
PCAS).
7. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: epigrafe dipinta nella galleria cimiteriale alle spalle del-
l’abside (Archivio Mallardo).
8. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: planimetria con i resti del balneum (E) e dell’abside (F)
messi in luce da Mallardo nell’atrio (da G. CHIERICI, Contributo allo studio dell’architettura, fig. s.n.).
9. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: personaggio con corona affrescato sul piedritto dell’arco
absidale scoperto nell’atrio (Archivio Mallardo).
10. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: planimetria del balneum esistente nell’atrio (da G. CHIERICI,
Contributo allo studio dell’architettura, fig. 6).
11. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: pianta e sezioni dell’arco absidale scoperto nell’atrio
(da G. CHIERICI, Contributo allo studio dell’architettura, fig. 7).
12. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: ambiente centrale del balneum, parete in opus vittatum
con fodera in tubuli (Archivio Mallardo).
13. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: ambiente meridionale del balneum (da U. M. FASOLA, Le
Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, fig. 10).
14. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: lacerto di mosaico con corona d’alloro e tralcio animato,
conservato nell’ambiente meridionale del balneum (Archivio Mallardo).
15. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: lacerto di mosaico con cesti di fiori, esistente nell’am-
biente meridionale del balneum (Archivio Mallardo).
16. Napoli, Basilica di S. Gennaro extra moenia: affresco di Cristo tra i santi (da U. M. FASOLA, Le Cata-
combe di S. Gennaro a Capodimonte, fig. 102).
17. Napoli, Cappella Galeota (nella Cattedrale): mensa d’altare con iscrizione del vescovo Massimo e
sarcofago strigilato con leoni angolari (foto C. Ebanista).
18. Napoli, Catacombe di S. Gennaro: epigrafe con il nome del martire Gennaro (da U. M. FASOLA, Le
Catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, fig. 104).
19. Nola, Cripta del Duomo: lastra con croce gemmata (da C. EBANISTA, Tra Nola e Cimitile: alla ricerca
della prima cattedrale, fig. 15).
20. Schizzo di Gennaro A. Galante raffigurante la lastra nolana con la croce gemmata (da C. EBANISTA,
Tra Nola e Cimitile: alla ricerca della prima cattedrale, fig. 16).
21. Giffoni Valle Piana, Chiesa di S. Maria a Vico: paliotto d’altare (foto C. Lambert).
22. Schizzo di Domenico Mallardo con la planimetria della basilica nova di Cimitile (Archivio Mallardo).
23. Cimitile, Basilica di S. Felice: al centro l’affresco con la Vergine orante tra i santi Felice e Paolino
(1933) (da C. EBANISTA, et manet in mediis quasi gemma intersita tectis, fig. 4).
24. Cimitile, Basilica di S. Felice: affresco con la Vergine orante tra i santi Felice e Paolino (foto C.
Ebanista).
25. Cimitile, Basilica di S. Felice: particolare del lato est dell’edicola mosaicata (foto C. Ebanista).
26. Annotazione autografa di Domenico Mallardo sul margine destro della pagina 275 del Bollettino
d’Arte del 1931, conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli (foto C. Ebanista).
27. Lettera di Gino Chierici con schizzo della tomba del vescovo Musonio (26 maggio 1958) (da C.
EBANISTA, Gli scavi degli anni Cinquanta e Sessanta nel complesso basilicale di Cimitile, fig. 2).
28. Lacco Ameno, Museo di S. Restituta: disegno di lucerna con scena biblica, raffigurante gli esploratori
che tornano da Canaan (da P. MONTI, Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, fig. 50).
29. Ischia, Episcopio: fronte di sarcofago Bethesda, particolare con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme
(da P. MONTI, Ischia preistorica, greca, romana, paleocristiana, fig. 81).
30. Museo Campano di Capua: fenestella o transenna clatrata proveniente da Castelvolturno (da D.
MALLARDO, San Castrese vescovo e martire nella storia dell’arte, tav. I).
31. Calvi, Grotta dei santi: affresco raffigurante 32. Calvi, Grotta dei santi: affresco raffigurante
san Castrese (da D. MALLARDO, San Castrese san Prisco (da D. MALLARDO, San Castrese
vescovo e martire, tav. V). vescovo e martire, tav. VI).
33. Napoli, Catacombe di S. Gennaro: affresco raffigurante sant’Acuzio (da D. MALLARDO, San Castrese
vescovo e martire, tav. VII).
34. Marano di Napoli, Chiesa di S. Castrese: pi- 35. Marano di Napoli, Chiesa di S. Castrese: pi-
lastrino sinistro (da D. MALLARDO, San Castre- lastrino destro (da D. MALLARDO, San Castre-
se vescovo e martire, tav. II, n. 1). se vescovo e martire, tav. II, n. 2).
36. Cimitile, Basilica di S. Felice: pilastrino già murato nel presbiterio occidentale (da M. TOZZI, Di alcune
sculture medioevali della Campania, fig. 5).