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LO SCHERMO: filtro e protezione

Lo schermo è parte di noi, della nostra società, da un periodo che precede di molto l’avvento
dell’informatica, dell’elettronica o di qualsiasi tecnologia. In generale, l’uomo ha da sempre avuto
la necessità di nascondersi. Prima, per sopravvivenza, con l’intento di sfuggire a ciò che minacciava
la sua vita. Poi, questa fuga per la salvezza, pur conservando le stesse radici di fondo, si è
trasformata nella volontà di nascondere le proprie debolezze in quanto punti a favore per il
nemico. L’idea di schermo sembra dunque essere intrinseca in noi: uno strumento di protezione,
che dona una sicurezza spesso soltanto apparente e un filtro con cui ci si presenta alla società per
allontanare un pericolo.

Se lo scudo, soprattutto nell’antichità, è stato un grande oggetto di protezione, non solo fisica ma
anche morale, in quanto status-simbolo del soldato che poteva tutto e che si rifugiava in tale
stereotipo, a rompere questa tradizione sarà Archiloco.

Archiloco, poeta scomodo e trasgressivo, vive, come tutti i poeti lirici, aristocratici, nel periodo di
decadenza dell’aristocrazia stessa a cui appartiene (VII secolo a.C.). Di lui e dei suoi frammenti
ricordiamo l’autobiografismo esiodeo, la cultura, la ricerca di un equilibrio (μετριοτης), l’invettiva
(in quanto poeta giambico), e, soprattutto la duplicità della sua essenza: poeta e soldato. Viene
definito tale poiché anticonvenzionale e antitetico rispetto le norme comportamentali del tempo.
Egli svolgeva infatti la professione di soldato mercenario, figura immorale per l’epoca in quanto in
contrasto con gli ideali patriottici greci e omerici. Il soldato era, infatti, il difensore della patria per
antonomasia, nonché un nobile ruolo, adatto soltanto alle classi più alte e ricche. Ritroviamo
questa rappresentazione di soldato in Omero, nell’Iliade, poema in cui guerra e armatura sono
punti centrali e ricorrenti nella determinazione dell’uomo greco. Con l’avvento dell’oplitismo però,
la decadente aristocrazia comincia a perdere il primato della guerra, attività non più esclusiva
dell’aristocratico.
Archiloco presenta dunque una rivoluzione.
Nel celebre frammento Lo scudo abbandonato, Archiloco diventa un’eccezione, un unicum, in
quanto presenta un superamento di quell’etica eroica omerica, che si continuerà a seguire anche
dopo di lui.
«ἀσπίδι μὲν Σαΐων τις
ἀγάλλεται, ἣν παρὰ «Si fa bello uno dei Sai
θάμνωι, dello scudo che vicino a
ἔντος ἀμώμητον, un cespuglio
κάλλιπον οὐκ ἐθέλων· lasciai, ed era non
αὐτὸν δ' ἐξεσάωσα. τί μοι disonoratoǃ, controvogliaː
μέλει ἀσπὶς ἐκείνη; però mi son salvato. Chi
ἐρρέτω· ἐξαῦτις κτήσομαι se ne importa di quello
οὐ κακίω.» scudo?
Al diavoloǃ Presto ne
comprerò uno non
peggiore.»

Lo scudo che Archiloco abbandona era, per l’eroe omerico, lo schermo con il quale si presentava
alla società. Era l’eroe stesso, in una civiltà in cui si esisteva soltanto in relazione agli altri e si era
quello che gli altri si aspettavano. Essere soldato (portare lo scudo) era il filtro con cui l’uomo si
identificava, uno stereotipo così da non dover mostrare il suo lato più “debole”, quello umano.
Archiloco si riconosce uomo ancora prima di presentarsi con questo filtro, che viene da lui
abbandonato. Spesso gli stereotipi ci fanno sentire legittimati a nascondere le vere parti di noi
stessi che più ci rendono ai nostri occhi deboli, ma che in realtà evidenziano soltanto la nostra
più pura personalità.

Nella letteratura, sarà quindi un topos ricorrente quello dello schermo, sia come protezione
(pensando a Petrarca e Mimnermo e a come questi si nascondino dietro la paura delle delusioni
dimenticandosi di vivere) sia come filtro per presentare una realtà in modo contorto rispetto a
quella vera e vissuta.

È frequente che gli artisti, attraverso il proprio modo di comunicare, si presentino diversi da quello
che realmente sono. Ciò avviene, per esempio, nel caso di Catullo.
-Il suo io biografico, infatti, era probabilmente molto distante dal suo io poetico. Se attraverso i
suoi carmina Catullo si rivela anticonformista, critico nei confronti delle convenzioni matrimoniali,
lontano da quelle sociali in quanto provocatore e fortemente distaccato dall’attività politica, in
realtà conduceva una vita molto più tradizionale e moderata. Dal contrasto che emerge tra ciò che
era e ciò che avrebbe voluto essere si denota che lo schermo con cui viveva era molto spesso.
-Schermo, in Catullo, è anche la deformazione tragica che applica alla realtà, eventi veramente
vissuti che sono amplificati nella poesia. Tra questi, ci potrebbe essere l’amore per Lesbia.
-Infine, Catullo ricorre ad un elemento che lo accomunerà con Dante, seppure a secoli di distanza:
l’elogio attraverso uno schermo. In particolare, il poeta farà spesso uso di un uccellino (passer)
per elogiare in modo indiretto Lesbia, forse per via del fatto che fosse una donna sposata, anche
se, dall’immagine che ne dà Cicerone, di certo Catullo non avrebbe potuto aggravare la
reputazione di donna facile che le era stata associata nella Pro Caelio. Elogiare un animale era un
gesto provocatorio ma al contempo creava una scena domestica e affettiva. Il topos è quello di
due innamorati separati, della consolazione che Lesbia trae dalla compagnia dell’animale e
dell’insanabile tormento di Catullo, il quale, oltre alla nulla consolazione, prova invidia e odio nei
confronti del passero che può stare vicino all’amata ma che, nel contempo (Carmen 3), ne provoca
il pianto.

Carmen 2
Passer, deliciae meae puellae,
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare morsus,
cum desiderio meo nitenti
carum nescio quid lubet iocari,
et solaciorum sui doloris,
credo, ut tum gravis acquiescat ardor:
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristis animi levare curas!

Passero, delizia della mia ragazza,


con il quale gioca, che stringe nel petto,
al quale dà la punta del dito mentre salta
e incoraggia le tue dure beccate
quando al mio desiderio, alla mia luce
piace inventare qualche dolce gioco,
come lieve sollievo al suo dolore,
penso , poiché allora il suo fervore trovi pace:
potessi giocare come lei, con te
e alleviare le penose angosce del mio animo!

Carmen 3
èt quantùmst hominùm venùstiòrum!
pàsser mòrtuus èst meaè puèllae,
pàsser, dèliciaè meaè puèllae,
quèm plus ìlla oculìs suìs amàbat:
nàm mellìtus eràt suàmque nòrat
ìpsam tàm bene quàm puèlla màtrem,
nèc sese à gremio ìllius movèbat,
sèd circùmsilièns modo hùc modo ìlluc
àd solàm dominam ùsque pìpiàbat.
Quì nunc ìt per itèr tenèbricòsum
ìlluc, ùnde negànt redìre quèmquam.
àt vobìs male sìt, malaè tenèbrae
Òrci, quae òmnia bèlla dèvoràtis:
tàm bellùm mihi pàsserem àbstulìstis.
Ò factùm male, ò misèlle pàsser:
tùa nùnc operà meaè puèllae
flèndo tùrgidulì
ocèlli.

Nella letteratura cortese e nella poesia dei trovatori la “donna dello schermo” è uno dei più diffusi
espedienti retorici: il poeta finge di amare un'altra dama a copertura del suo vero amore, che
deve rimanere per qualche tempo segreto sino a quando, forse, potrà rivelarsi. I poeti si rivolgono
a questa con uno pseudonimo, il senhal, così come è Lesbia per Catullo. Il senhal è il nome fittizio
con cui, nella poesia provenzale, era designata la persona, la dama, di cui il trovatore trattava, o
quella a cui la lirica era indirizzata. Nel linguaggio critico e filologico, si indicano col termine
provenzale anche i nomi fittizi usati da poeti italiani sull'esempio provenzale.

Anche Dante utilizza, nella Vita Nova, donne “dello schermo”, in quanto coprono e nascondono il
vero oggetto del desiderio, Beatrice. Ella era infatti sposata e Dante non avrebbe potuto rovinare
lei la reputazione. Usa quindi altre donne, sminuendo il suo amore per lei, tanto che, dal momento
che “troppa gente ragionava oltre il limiti della cortesia” alimentando false notizie su Dante,
Beatrice toglie il saluto al poeta.
Lo schermo diventa dunque, in questo caso, uno strumento di protezione per Beatrice e un modo
per filtrare la realtà da parte del poeta. Da dietro lo schermo, solo Dante conosce i suoi veri e più
sinceri sentimenti riguardo la donna.

Capitolo X, Vita Nova

Appresso la mia ritornata mi misi a cercare di questa donna che lo mio segnore m’avea nominata
ne lo cammino de li sospiri; e acciò che lo mio parlare sia più brieve, dico che in poco tempo la feci
mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia; onde molte fiate mi
pensava duramente. 2. E per questa cagione, cioè di questa soverchievole voce che parea che
m’infamasse viziosamente, quella gentilissima, la quale fue distruggitrice di tutti li vizi e regina de
le virtudi, passando per alcuna parte, mi negò lo suo dolcissimo salutare, ne lo quale stava tutta la
mia beatitudine. 3. E uscendo alquanto del proposito presente, voglio dare a intendere quello che
lo suo salutare in me vertuosamente operava.

Diventa dunque naturale il paragone con la società di oggi, sempre più spinta a relazionarsi CON e
ATTRAVERSO gli schermi, ma con l’obiettivo di andarvi OLTRE: capire la persona che si cela dietro
un account, riconoscere la realtà dietro il social (la persona) e la contemporanea irrealtà (i filtri,
mostrare solo ciò che si vuole…).

Il ritiro sociale è un fenomeno sempre più studiato e sempre più attuale; alla base di questo ci
possono essere diversi fattori sociali, psicologici, storici e relazionali. Succede così che talvolta
repentinamente o in altre gradualmente, alcuni ragazzi si “tirano fuori” dalla propria vita: la
chiudano fuori dalla porta.
Una visione ampiamente condivisa nel panorama psicologico riguarda il calare questo fenomeno
nella realtà storico-sociale in cui è emerso. Spesso, infatti, i ragazzi che accettano di intraprendere
un percorso terapeutico riportano come alla base ci sia in loro una profonda angoscia e paura di
non essere all’ altezza delle richieste esterne, di fallire e di non percepire una sicurezza nel futuro.
Spesso sono ragazzi fragili, a volte vittime di bullismo, con risorse personali poco sostenute. Alcune
volte sono ragazzi che si trovano incastrati tra un’idea molto elevata di ideale di sé.
Il ritiro estremo è un fenomeno nato e studiato in primis in Giappone e i ragazzi che lo vivono
vengono definiti Hikikomori. “Sono giovani che soffrono di un acuto isolamento sociale non
derivato da altre malattie psichiatriche”. L’unico modo per agganciare, e non sempre in modo così
semplice, questi ragazzi è proprio attraverso i mezzi digitali, tramite le chat o i consulti online. La
tanto oggi citata DAD è ad esempio l’unico modo che si è trovato nel tempo per poter garantire la
scuola a questi ragazzi. Dietro lo schermo l’ansia sociale si abbassa e non si hanno gli sguardi
puntati: si ha la percezione di un distacco sicuro.

Capita molto spesso di entrare su un social, di sbloccare il telefono senza una vera ragione: è in
questi casi che lo schermo diventa quasi un luogo di rifugio per il nostro cervello, il quale sa che
non deve partecipare attivamente alla realtà, ma può distaccarsi da tutti i problemi e può non
pensare. Anzi, ci invita a farlo, così che non pensiamo.
Allo stesso tempo, la storia della letteratura ci ha dimostrato che spesso applichiamo dei filtri su
noi stessi, modi con cui vogliamo essere visti o ci presentiamo agli altri, spesso per nascondere
proprie debolezze.

Non voglio lasciare con sentenze, ma con punti interrogativi, ai quali nemmeno io so rispondere e
spunti di riflessione personali: lo schermo ci dà davvero sicurezza? Con quali filtri mi proteggo, in
quali stereotipi ricado per trarne beneficio?
Banksy, Danza di teste sul piccolo schermo

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