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COLLEZIONE STORICA
Volume pubblicato con il contributo
del JN^fCJR e dell’Università degli
Studi di Firenze p Dipartimento di
Scienze dell’Antichità «G.
Pasquali»
© 2005, Gius. Laterza &
Figli
Antonio La Penna
L’IMPOSSIB
ILE
© 2005, Gius. Laterza &
Figli
GIUSTIFICA
ZIONE
DELLA
STORIA
© 2005, Gius. Laterza &
Figli
UN'INTERPRETAZIO
NE DI VIRGILIO
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
LE «BUCOLICHE» OVVERO
L’IMPOSSIBILE ARCADIA
1
1
12 Parte prima. Le «Bucoliche» ovvero l'impossibile Arcadial
n
LE «BUCOLICHE» E TEOCRITO
Musa sono uniti più strettamente per Titiro; ma neppure per lui
il primo termine si risolve nel secondo. Si può forse dire che la
funzione primaria di Coridone sia quella di poeta-cantore?
Certamente no; egli non canta il suo amore infelice per trovare
una materia di canto, ma per dare sfogo, anche se vano, alla sua
passione e soprattutto per convincere Alessi: disperato d'amore,
egli non potrebbe cantare di altro; sarebbe più giusto concludere
che egli è innanzi tutto l'amante infelice (la situazione, sotto
questo aspetto, è diversa per Gallo). Neppure nell'ecloga 5,
come abbiamo visto, la funzione di Dafni è primariamente
quella di poeta. La riflessione più impegnativa sulla poesia, che
si ha nell'ecloga sesta, è quella che porta più lontano dalla poe-
sia bucolica.
Se l'interpretazione filosofica e religiosa riduce il mondo bu-
colico a simbolo di altro, l'interpretazione delle Bucoliche come
Dichtung der Dichtung, pur illuminando felicemente una parte
dell'opera, porta a fraintenderne un'altra (e certamente non la
peggiore). La «poesia della poesia» costruisce un mondo ideale
chiuso e completo in sé, che non si misura con la realtà, che
ignora la realtà10. Che nelle Bucoliche operi questa tendenza, è
innegabile; ma il muro che divide dalla realtà si dimostra
illusorio, e tutta una parte essenziale dell'opera nasce dall'urto
con la realtà.
L’EROS INFELICE
Prima che dalla realtà esterna, cioè dalla storia con la sua
violenza, il mondo bucolico è minacciato al suo interno, e
proprio da una forza che è il primo alimento del canto stesso,
cioè dalla forza dell'eros. L'amore ha una gran parte nella poesia
di Teocrito: egli è, a suo modo, poeta d'amore di grande finezza
(Le incantatrici ne sono una bella prova); ma la sua poesia
d'amore attenua il pathos o addirittura gioca col pathos, mentre
Virgilio si muove decisamente in direzione inversa. L'eros ha
una parte notevole, come abbiamo già visto, nell'agone
dell'elegia 3, dove alcune battute sono cariche d'incanto o di
malinconia (oltre 64 s., cfr. 72-75; 78 s.). Nel giudizio finale
Palemone dà all'eros un risalto ancora più netto, anzi quasi un
posto esclusivo nel canto (109 s.):
24 Parte prima. Le «Bucoliche» ovvero l’impossibile Arcadia
epicureo del saggio che dalla riva guarda la tempesta del mare e
gli stolti che ne sono in balia 4. La sgradevole sensazione non è
del tutto ingiustificata, anche se si attenua di fronte alla celebre
e bellissima chiusa, dove l'invito di Titiro sembra anch'esso
impregnato della mestizia dell'esule. ’
A proposito dei rapporti fra poeta e potere Valéry, nelle va-
riations citate poco fa, aggiungeva: «Le problème admet autant
de solutions que l’humeur et la condition de chacun, ou les cir-
constances en proposent». Il problema si poneva presto per qua-
lunque letterato romano che non fosse già nelYélite dei potenti.
Dunque a Virgilio si sarebbe posto (o si pose) anche senza la
violenza delle spoliazioni di terre; ma in una situazione così
precaria la protezione dei potenti si poneva come una necessità,
se egli voleva restare fedele alla sua vocazione di letterato. I
rapporti con Pollione e con Gallo, uomini di politica e di guerra,
ma dediti alle Muse, conobbero certamente il calore
dell’amicizia. Queste protezioni non furono sufficienti:
l’intervento di Ottaviano, a quanto pare, fu necessario per
conservare (o riacquistare) la proprietà mantovana o per
continuare, comunque, una vita senza preoccupazioni
economiche. La gratitudine per Ottaviano fu accompagnata da
devozione e venerazione, ma l’espressione poetica non superò
le convenzioni letterarie panegiristiche che venivano
affermandosi insieme coi mutamenti di regime: non sarà di-
versamente nelle liriche di Orazio. Ciò resta vero anche se a Ot-
taviano, all’erede di Cesare, Virgilio ha dato un certo rilievo
nell’architettura delle Bucoliche: l’ecloga dove egli è celebrato
è posta all’inizio; e in questa prima ecloga le lodi religiose per il
dominatore, il deus, sono poste poco dopo l’inizio (6-10) e poi
al centro del componimento (42-45). Ciò non deve ingannare
chi conserva il senso della poesia autentica: la struttura
dell’ecloga è basata sul contrasto fra il pastore fortunato e il
pastore esule; e la disperazione dell’esule poteva essere sentita
anche come un’accusa o una protesta contro la violenza del
potere: è persino sostenibile (ma è meglio essere prudenti) che
la prima ecloga implichi un atto di coraggio5.
La crisi sanguinosa, se generò angoscia e disperazione,
generò anche immense attese, speranze non sempre artificiali e
talvolta grandiose; tra gli aspetti importanti della politica di
44 Parte prima. Le «Bucoliche» ovvero l’impossibile Arcadia
negabili1.
Contentiamoci di ciò che riesce meno oscuro. La collocazio-
ne della decima ecloga alla fine, come ecloga di commiato, è un
omaggio a Gallo. Le restanti nove ecloghe formano un corpo
armonico avente come nucleo centrale l’ecloga 5, l’ecloga di
Dafni, l’eroe del mondo pastorale, che era in scena nel primo
idillio di Teocrito (altri dicono di Dafni come allegoria di Ce-
sare)2. Intorno a questo nucleo 1 e 9 si corrispondono come
ecloghe autobiografiche e 1 ha un posto d’onore, all’apertura
del libro, in omaggio ad Ottaviano; 2 e 8 si corrispondono come
monologhi amorosi; 3 e 7 come dialoghi; si capisce meno la
corrispondenza fra 4 e 6: forse ambedue sono viste come in par-
te estranee al mondo pastorale; d’altra parte 6, come programma
poetico, è adatta ad aprire la seconda metà del libro. Avremmo
dunque lo schema:
Vili. L'architettura delle «Bucoliche» 53
54 Parte prima. Le «Bucoliche» ovvero l’impossibile Arcadia
ulnas
[Là tengono gli armenti chiusi nelle stalle, / non appaiono
erbe sulla terra o fronde sugli alberi, / ma giace
ampiamente il suolo informe per mucchi di neve / e
spesso ghiaccio: s'innalza fino a sette cubiti].
Qui non è possibile illustrare questo squarcio etnografico
virgiliano come meriterebbe. E un pezzo piuttosto anomalo
nell'opera di Virgilio. Secondo il gusto dell'etnografìa antica, vi
fanno spicco gli aspetti paradossali: i carri che viaggiano sul
ghiaccio, il ghiacciarsi dei vestiti, delle barbe, del vino. Le
bestie di allevamento muoiono in gran numero sotto la neve che
cade incessante, monotona (367: Interea toto non setius aere
ninguit)\ in compenso la caccia è facile, e gli Sciti, al contrario
di quanto ci si potrebbe aspettare, vivono sotto terra
allegramente, bevendo e giocando. Nella descrizione di Virgilio
una festosa comicità fa da contrappeso alla tristezza del deserto
invernale.
Ostile o assecondatrice, la natura non è sentita come un mon-
do sostanzialmente diverso dall'uomo, come un complesso di
forze brute opposte alla sensibilità dell'uomo, anzi è avvicinata
il più possibile alla sua sensibilità e ai suoi sentimenti:
l'umanizzazione della natura è un carattere delle Georgiche che
colpisce anche a prima vista, benché occorra poi molta cura per
coglierne tutte le manifestazioni nelle pieghe del linguaggio
poetico, specialmente nell'aggettivazione e nei verbi. In tale
modo di sentire la natura, Virgilio deve qualche cosa a
Lucrezio, il quale - almeno sul piano della sensibilità - non
distingue fra la natura come meccanismo e la natura come forza
vitale, ed è, anzi, decisamente portato a sentirla nel secondo
modo (si potrebbe parlare di un vitalismo di Lucrezio). Tuttavia
forza vitale non significa necessariamente sensibilità umana:
l'importante passaggio dall'una all'altra è piuttosto di Virgilio ed
è in piena coerenza sia col modo di sentire la natura delle
Bucoliche1 sia con la poesia del dramma umano neìl’Eneide.
D'altra parte Virgilio si preoccupa molto meno che Lucrezio di
arrivare a una concezione filosofica della natura; vi sono solo
pochi accenni, poco coerenti fra loro, probabilmente anche per
il mutare delle convinzioni di Virgilio nel periodo delle
II. Dalle «Bucoliche» alle «Georgiche». La teodicea del lavoro 81
1-8 Proemio.
9-258 Coltivazione delle piante in generale; varietà delle
pian
te, dei lavori, dei climi, dei terreni.
Digressione: le lodi delTItalia, 136-176.
259-419 Coltivazione della vite.
Digressione: le lodi della primavera, 315-345.
420-540 Coltivazione di altre piante di particolare interesse,
come l’olivo, il melo ecc.
Digressione: le lodi della vita agreste, 458-540.
Libro IH. Animali
1-48 Proemio.
49-283 Allevamento del bestiame grosso.
Digressione: l’amore, 205-283.
284-566 Allevamento del bestiame piccolo, capre e pecore.
Digressione: la peste degli animali nel Norico, 470-
566.
Libro IV. Api
1-7 Proemio.
8-280 Allevamento delle api e loro natura.
Digressione: il vecchio di Corico, 116-148.
281-558 Riproduzione delle api distrutte dal morbo.
Digressione: il mito di Aristeo e di Orfeo, 315-558.
559-566 «Sigillo» finale.
Struttura tripartita nei primi due libri, bipartita negli altri due.
Ma l’ampiezza e il carattere dei proemi uniscono chiaramente il
I libro al III, il minor respiro dei proemi con la semplice funzio-
ne di argumenta unisce il II al IV. Le digressioni finali sono le
più ampie e le più importanti. Il finale del I libro è di tono cupo,
quello del II di tono lieto, quello del III di nuovo di tono cupo:
ci aspetteremmo nel IV un finale lieto. L’epillio di Aristeo, por-
tando incastrato dentro di sé l’epillio di Orfeo, può dirsi tale fino
a un certo punto; le lodi dell’Egitto, se veramente costituivano il
finale del libro IV nell’edizione originaria, rispettavano l’al-
ternanza dei toni.
L’alternanza dei toni vale anche per gli interi libri oltre che per i
pezzi finali? Si può rispondere di sì, ma le opposizioni sono
certamente più tenui: la fatica umana, come abbiamo visto, è più
IV. Le forze devastanti della natura: Amore e Morte 93
dura nel libro I, meno nel E; il mondo delle api è molto più
luminoso e sereno di quello degli altri animali; ma per i primi
tre libri si può parlare solo di toni predominanti, non di tono
uniforme; anzi anche le differenze di tono all'interno di ciascun
libro hanno una funzione importante.
Le digressioni non sono sempre legate alle singole sezioni
quanto alla materia, ma - ripeto - sono legate intimamente ai
motivi ideali dell'opera. L'architettura è complessa, forse anche
complicata; tuttavia il disegno d'insieme è classico 1.
Dentro questo disegno Virgilio non poteva, ma ancora meno
voleva, abbracciare tutta la materia dell'agricoltura: sia perché
l'opera non aveva un fine tecnico, sia perché la poesia deve
sempre scegliere l'essenziale (non rispecchiare la realtà, ma
interpretarla) e proprio la poesia classica ha avuto la coscienza
più profonda di tale compito.
Non ego cuncta meis amplecti versibus opto,
non, mihi si linguae centum sint oraque
centum, ferrea vox (Ge. II, 42 ss.)
[Non desidero abbracciare tutto con questi miei versi, /
neanche se avessi cento lingue e cento bocche, / e ferrea
voce].
H procedimento selettivo induce a tralasciare i legami di un
punto con l'altro; né i criteri di selezione riescono sempre chiari;
a volte, inoltre, Virgilio preferisce affidarsi ad associazioni
spontanee, di carattere intuitivo, più che a legami logici. Per
questi e per altri motivi le articolazioni secondarie delle
Georgiche presentano difficoltà serie, a volte insolubili.
1
1
8
104 Parte seconda. Le «Georgiche»: il poema esiodeo e lucreziano
dio ampio e centrale del libro, con una funzione importante an-
che nel complesso del poema, carico di senso e di poesia. Per
l'itinerario, a cui qui ci limitiamo, la traccia si poteva rinvenire
nella tradizione: anche' secondo Dionigi (Ant. Rom. I, 50, 4-51,
2) Enea passava per Azio, approdava poi nel porto di Butroto e
di là raggiungeva l'oracolo di Dodona; in quell’occasione
incontrano i Troiani ivi stanziati sotto la guida di Eleno.
Durante la navigazione lungo le coste sud-orientali
dell'Italia, Virgilio {Aen. Ut, 533-547) colloca una sosta presso
il Castrum Minervae (nella penisola Salentina, poco prima della
punta estrema): la sosta è segnalata anche da Dionigi (Ant. Rom.
I, 51, 3), ma egli ne segnala un'altra, per un'offerta votiva ad
Era, al capo Lacinio, mentre in Virgilio (Aen. Ili, 552) i Troiani
vedono il tempio dal mare. In Sicilia Dionigi (Ant. Rom. I, 52)
pone una sola sosta, presso Aigestos, sulle cui vicende si
sofferma relativamente a lungo, e narra l'incendio delle navi da
parte delle donne, che Virgilio colloca nel libro V, durante il
secondo passaggio di Enea nell’isola23. Giustamente si ritiene
che siano innovazioni virgiliane l'episodio di Achemenide (col
recupero del Polifemo omerico) e la morte di Anchise in Sicilia.
E chiara anche la ragione dell’aggiunta dell’episodio di
Achemenide: Virgilio vuole esaltare, in contrapposizione con i
Greci, il comportamento dei Romani verso i nemici supplici; i
Troiani mantengono i loro princìpi morali anche dopo avere
sperimentato la perfìdia dei Greci. Notevoli, infine, le
coincidenze nel corso della navigazione lungo le coste
meridionali del Tirreno: Dionigi (Ant. Rom. 1,53, 2-3) segnala
le tracce lasciate in varie località dal passaggio dei Troiani:
Palinu- ro, Leucosia (dal nome di una cugina di Enea), Miseno,
Prochy- ta, Caieta: come si vede, in Virgilio mancano Leucosia
e Prochy- ta (che, però, era in Nevio: fr. 9 Mariotti). Dionigi
conosce l'approdo finale di Enea nella zona di Laurento (Ant.
Rom. 1,53, 3), mentre Virgilio fa entrare i Troiani, avvolti dalla
luce dell'aurora, nella foce del Tevere24.
Non abbiamo segnalato ancora la differenza più vistosa:
Dionigi non conosce la sosta di Enea a Cartagine né Didone;
per questa parte, così importante, del poema Virgilio ha preso lo
spunto, anche se solo lo spunto, dal poeta latino arcaico Nevio.
Questa ascendenza non è una certezza esente da dubbi, tuttavia
118 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
scena) dell’origi-
naie; ma in parte non irrilevante rimandano a passi vari dei due
poemi (le prime si potrebbero dire omocontestuali o isotopiche,
le seconde eterocontestuali): anche in questo grande libertà di
comportamento. Dare un’idea, anche generica, del modo in cui
Virgilio lavora, verso per verso, sul testo omerico è impresa im-
mane; del resto un’idea adeguata si può avere solo dai buoni
commenti. Sempre lasciando da parte grandi ambizioni, qualche
assaggio cercherò di dare in sèguito. '
V. Omero interpretato 145
1
7
7
VI. L’«Eneide» e il ciclo epico 163
164 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
VII. L'assenza della lirica e la presenza della tragedia greca 165
166 Parte terza. Lf «Eneide»: il costo tragico del potere
cresciuto intatto nel giardino, che perde pregio dopo essere stato
còlto, ha suggerito molto di più, la delicata e mesta similitudine di
Pallante morto col fiore troncato (Aen. XI, 68-71). Naturalmente ci
sono casi in cui la traccia è così evanescente da restare dubbia: per
esempio, Aen. II, 519 s.
Quae mens tam dira, miserrime coniunx,
impulit...
[Quale tanto funesta intenzione, infelicissimo sposo / ti ha
spinto...]
o anche 40, 1 s.
Quaenam te mala mens, miselle Ravide, agit...?
[Quale malvagia intenzione, povero Ravido, / ti spinge...?].
Ci sono poi casi in cui la trasposizione è sorprendente: per
esempio, lumen ademptum, bellissima metafora con cui Catullo
indica il fratello morto (68, 93), viene ripreso da Virgilio in senso
proprio per indicare l’occhio accecato .di Polifemo (o la luce
strappatagli) (Aen. HI, 658)4. Ma il caso più sorprendente resta la
citazione di Catullo nell’allocuzione di Enea a Didone nell’ol-
tretomba (Aen. VI, 460):
dunque una formula (cfr. Ennio, Ara., Vestigia II Sk.). La più chia-
ra impronta che il senso enniano del sublime abbia lasciata in Vir-
gilio si scorge nel quadro del silenzio cosmico che si produce
quando Giove parla nell’assemblea degli dèi (Aen. X, 101-103):
(eo dicente deum domus alta silescit
et tremefacta solo tellus, silet arduus
aether, tum zephyri posuere, premit placida
aequora pontus)
[(mentre egli parla, l’alta dimora degli dèi si fa silenziosa, /
la terra tremò, tace il sublime etere, / anche gli zefiri
posarono, il mare trattiene e placa i suoi flutti)].
Ci sono poi casi in cui Virgilio gioca anche col pater Ennius:
famoso il caso di Aen. VI, 404: it nigrum campis agmen [avanza
nella pianura la negra schiera], riferito alle formiche, che ripete
pari pari Ennio, Ann. 502 Sk.; ma Ennio si riferiva ad una marcia
di elefanti!
Non solo in quest’ultimo caso, ma generalmente Virgilio assi-
mila elementi enniani prescindendo dal contesto; poiché abbiamo a
che fare con frammenti, occorre cautela; comunque solo in
pochissimi casi abbiamo la certezza che Virgilio ha trasportato
nella sua narrazione episodi o situazioni degli Annales; ciò, del
resto, riusciva difficile, perché gli Annales riflettevano pur sempre
una realtà storica e un tipo di guerra diverso da quello dell’epica.
Fra i casi già citati si possono prendere in considerazione, per
esempio, quello della Discordia che apre le porte della guerra, e
quello dell'exddium Albanum. H caso più notevole è l’episodio di
Pandaro e Bitia, i due giganteschi fratelli troiani che difendono
l’entrata dell’accampamento, e di Turno che entra da solo
nell’accampamento stesso. Virgilio ricavò alcune linee della
narrazione da vicende di una guerra in Istria, svoltasi durante la
vecchiaia di Ennio8. In particolare la scena di Turno assediato da
ogni parte dai Troiani, bersaglio di una fitta pioggia di dardi (Aen.
IX, 806-814), è simile ad ima di Aiace nelYIliade (XVI, 102111),
ma più da vicino segue quella di un tribuno militare raffigurata da
Ennio (Ann. 391-398 Sk.). La descrizione minuta evoca
202 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
oltre che nelle similitudini, nei discorsi. Nel I libro, nel discorso
che Ilioneo tiene davanti a Didone, egli riferisce verso quale ter-
ra erano diretti i Troiani (530-533):
Ora i quattro versi che indicano ITtalia, si ritrovano nel libro III
(163-166), nel discorso che i Penati, apparsi in sogno, tengono
ad Enea. Qui il contesto non presenta nessuna crepa; invece nel
libro
I abbiamo un verso incompleto e una proposizione subordinata,
introdotta dal cum invermm, che si lega a mala pena al moncone
di verso. In questo caso la ricerca analitica approda ad un
risultato probabile: i quattro versi, scritti in un primo tempo per
il libro IH, sono stati adattati anche al discorso di Ilioneo; per
introdurli in questo punto è stato eliminato un pezzo precedente,
a cui si riattaccava il cum inversum\ come nel caso della
similitudine in VII, 698-702, la rielaborazione si è fermata, in
attesa di una revisione e di un completamento 13. In tanti altri
casi la situazione è meno chiara e le proposte più incerte. Qui
non posso inoltrarmi in questo ginepraio; ma va ribadito che
l’analisi di questo tipo non è fatta so
lodi sottigliezze futili. Oggi viene rivalutato il fiuto del Cartault,
XXV. La genesi dell1 «Eneide» 379
ritorna in XI, 523 e, con una lieve variazione (et per at), in XII,
128. La cura di variare, anche se talvolta di poco, nella ripetizio-
ne (per esempio, Giove è divum pater atque hominum rex in I,
65; Et, 648; X, 2; 743, divum sator atque hominum rex in XI,
725; XII, 524: molto probabilmente la seconda formula è una
variazione posteriore alla prima), è, néYEneide, un orientamento
netto: i casi di versi interamente ripetuti si riducono a pochi: per
esempio, III, 589:
umentemque Aurora polo dimoverat umbram [e
l'Aurora aveva allontanato dal cielo l’ombra
umida]
XI, 346, nel discorso di Drance contro Turno, dopo due versi
dall'inizio citato:
Det libertatem fandi flatusque remittat...
XXXV. Poche note sull'espressività metrica 477
[Dia libertà di parola, raffreni le sue vanterie...].
Insomma, un terreno inesauribile di ricerca.
La funzione espressiva dei dattili, che è più rara, si coglie più
facilmente. Ho già accennato al verso famoso della corsa della ca-
valleria; musica affine a proposito della fuga delle schiere di cervi
nella caccia offerta da Didone (IV, 155):
pulverulenta fuga glomerant montisque relinquunt
[raccolgono (i cervi) le (loro schiere) avvolte di polvere nella
fuga e lasciano i monti].
Va notata anche revocazione, subito dopo, della corsa di Asca- nio;
At puer Ascanius mediis in vallibus acri gaudet equo...
, [Ma il giovinetto Ascanio, in mezzo alla valle, guida con
gioia / il suo cavallo animoso...].
Ho già avuto occasione di citare il verso che evoca musical-
mente lo svanire di Mercurio (IV, 288 = IX, 658, riferito ad Apol-
lo); altri casi ben noti il verso sui mille colori dell’arcobaleno (IV,
701 e altrove) e quello che risuona della musica violenta e sinistra
delle ah della Dira, che sbattono sullo scudo di Turno (XII, 865 s.):
Turni se pestis ob ora fertque refertque sonans
clipeumque everberat alis...
[la peste davanti al volto di Turno / passa e ripassa con stre-
pito e flagella lo scudo con le ali...].
All’effetto qui concorre la scelta dei suoni. Ma al di là dei casi ben
visibili come questi, anche la funzione espressiva dei dattili va
seguita con attenzione (qui ricavo alcuni esempi dai primi quattro
libri; per lo più si tratta di versi con quattro dattili, compreso il
dattilo in penultima sede). Il quadro di Aiace Oileo fulminato, nella
tempesta, da Minerva (I, 42-45):
Ipsa, Iovis rapidum iaculata e nubibus ignem, disiecitque
rates evertitque aequora ventis,
illum expirantem transfixo pectore
flammas turbine corripuit scopuloque
infixit acuto
[Ella, scagliando dalle nubi il rapido fuoco di Giove, /
478 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
disperse le navi e coi venti sconvolse la distesa del mare, / e
lui che spirava fiamme dal petto trafitto, / afferrò con un
turbine e confisse sulla punta di uno scoglio].
I quattro dattili del primo verso accompagnano la corsa del ful-
mine; i dattili diminuiscono nel secondo verso e scompaiono,
tranne che nella quinta sede, per evocare l'atroce agonia di Aiace;
poi tornano i dattili per evocare la violenza della tempesta. La
supposta partenza liberatrice dei Greci (II, 25, che segue ad un
verso con quattro spondei);
Nos abiisse rati et vento petiisse Mycenas
[Noi credemmo che fossero partiti e col vento navigassero
verso Micene],
L'effetto è sensibile, anche se i dattili sono solo tre: è dovuto alla
collocazione di due dattili all'inizio. Enea che affretta la partenza
da Cartagine (IV, 579-582):
Dixit vaginaque eripit ensem
Fulmineum strictoque ferit retinacula ferro.
Idem omnis simul ardor habet rapiuntque ruuntque;
litora deseruere; latet sub classibus aequor...
[Disse e strappa dal fodero la spada / fulminea e, impugnato
il ferro, / colpisce le gomene. / Nello stesso momento lo stes-
so ardore invade tutti, / si affrettano, si precipitano; hanno
lasciato la costa, / sotto la flotta il mare è scomparso...].
Ma segue un verso con quattro spondei:
adnixi torquent spumas et caerula verrunt
[con sforzo fanno turbinare la schiuma, spazzano la cerulea
distesa],
adatto alla fatica della navigazione a remi.
479 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
480 Parte terza. Lf «Eneide»: il costo tragico del potere
XXXV. Poche note sull'espressività metrica 481
482 Parte terza. Lf «Eneide»: il costo tragico del potere
Haec tum multiplici populos sermone replebat gaudens...
[Questa allora riempiva i popoli di dicerie molteplici, / con
gioia...].
VIE, 639-641:
reges
armati Iovis ante aram paterasque tenentes stabant...
[i re / armati, con le coppe in mano, davanti all’altare di Gio-
ve / si ergevano immobili...].
X, 841 s.:
At Lausum socii exanimem super arma ferebant flentes...
\XXV. Poche note sull1 espressività metrica 483
484 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
\XXV. Poche note sull1 espressività metrica 485
quam fors inopina salutem
ostentata Fatis huc te poscentibus adfers
[questa salvezza da una sorte inattesa / ci viene mostrata. È
per volontà del destino che tu arrivi da noi].
In un discorso di Evandro ad Enea; la collocazione iniziale di
ostentat, lo spondeo (seguito da altri tre spondei) danno salda
certezza.
VETI, 527:
Suspiciunt; iterum atque iterum fragor increpat ingens
[Guardano in alto; di nuovo e poi di nuovo un fragore im-
menso (di rami) risuona].
Enea ad Acate, mentre le armi appaiono in cielo: la pausa esprime
l’attesa dell’animo; la fuga di dattili evoca il rapido susseguirsi
delle manifestazioni prodigiose.
Vale anche la pena di notare l’effetto della pausa dopo il tro-
cheo del secondo piede: casi rari; per esempio:
IX, 189 s.:
somno vinoque soluti
procubuere...
[Liberati (dai pensieri) sotto l’effetto del sonno e del vino, /
si sono distesi...].
I Rutuli sprofondati nel sonno; ritmo adatto al rilassamento. L’ef-
fetto si ripete nella ripresa del quadro (IX, 236 s.):
Rutuli somno vinoque soluti
conticuere...
XXXV. Poche note sull'espressività metrica 486
487 Varie terza. U«Eneide»: il costo tragico del potere
\XXV. Poche note sull1 espressività metrica 488
XXXV. Poche note sull'espressività metrica 489
490 Parte iena. L} «Eneide»: il costo tragico del potere
XXXV. Poche note sull'espressività metrica 491
492 Parte terza. L‘«Eneide»; il costo tragico del potere
Negli ultimi due casi si aggiunge l'allungamento in arsi dell'ultima
sillaba di canti e di profugus, facilitato dall'aspirazione della prima
vocale della parola greca che segue; raffinatezza analoga in
XI, 69:
florem
seu mollis violae, seu languentis hyacinthi...
[il fiore / o della molle viola o del languente giacinto...].
IH. Il mito e la
storia
Note alla Parte terza 519
19
Ivi, p. 191.
20
Ivi, p. 264.
21
Ivi, p. 274.
22
Ivi, p. 327.
23
Ivi, p. 239.
24
Ivi, p. 291.
25
Ivi, pp. 354 ss., cfr. anche Id., Vergil und Homer dt., p. 889.
V. Omero interpretato
1
Rimando ad una mia nota su Servio e la crùyKQioig fra l'Iliade e
l’Odissea. Un dubbio sul testo di Servio ad Aen. VII, 1, in «Maia», n.s. 50, 1998,
pp. 147150. Sulla teoria aristotelica che qui interessa, cfr. S. Koster, Antike
Epostheorien, Wiesbaden 1970 («Palingenesis», 5), pp. 58; 66.
2
Cfr. Knauer, Die Aeneis und Homer cit., p. 168 n. 2 (l’autore ha accolto
suggerimenti di altri studiosi); cfr. anche Id., Vergil und Homer cit., p. 888, nota
22.
3
Per i cataloghi dei temi di filosofia della natura in Virgilio rimando al mio
studio Per la storia del catalogo poetico dei temi filosofici, risalente al 1992, ora
in Da Lucrezio a Persio, Firenze 1995, pp. 169 ss.
4
The Homeric Scholia and thè Aeneid. A Study of thè Influence of Ancient
Homeric Criticism on Vergil, Ann Arbor 1974.
5
Ivi, cit., pp, 18 ss. Cfr. Schol ADad IIVII, 39 e ad II. IV, 515.
6
Cfr. Schlunk, The Homeric Scholia dt., pp. 17 s.
7
Cfr. ivi, p. 20. La nota al verso dell 'Iliade in Schol D.
8
Cfr. ivi, pp. 23 s.
9
Cfr. ivi, pp. 51ss., spec. 53.
10
Cfr. ivi, pp. 89-91; cfr. anche 42 ss.
11
Ivi, pp. 95-99.
12
Ivi, pp. 37 ss.
13
Per tutta la questione ivi, pp. 22 s.
14
T. Schmit-Neuerburg, Vergib Aeneis und die antike Homerexegese. Un-
tersuchungen zum Einfluss ethischer und kritischer Homer-rezeption auf «imita-
tio» und «aemulatio» Vergils, Berlin-New York 1999.
15
Cfr. ivi, pp. 27-37, spec. 28; 29 s.; cfr. anche pp. 223 s.
520 Note
Note alla Parte terza 521
522 Note
1978, pp. 994-997; sulla tradizione risalente a Lesche di Lesbo pp. 990 s. Tra gli
argomenti più fragili a favore dell’autenticità sono quelli, la cui novità è solo
apparente, ricavati dalla tessitura di ragnatele semiotiche. Un riesame accurato e
minuto, che conclude per l’autenticità, in Th. Berres, Vergil und die Helenszene
mit einem Exkurs zu den Halbeversen, Heidelberg 1992.
6
II IH libro è ben commentato da R.D. Williams (Oxford 1962); commento
non amplissimo, ma ben ponderato, di P.V. Cova (Milano 1994).
7
Per la lettura del libro IV sono sempre utili vecchi commenti: C. Busca-
roli, Milano 1932; quello amplissimo e dottissimo di A.S. Pease, Cambridge
(Mass.) 1935 (rist. anast. Darmstadt 1967); più succinto, ma notevole, quello di
R.G. Austin, Oxford 1955.
8
Sul libro V bel commento di Giusto Monaco (Firenze 1953,1958 2); il mi-
gliore è quello di R.D. Williams (Oxford 1960).
9
Sulla rivolta delle donne, in cui si rinvengono motivi e scene delle rivolte
militari, rimando al mio studio La stanchezza del lungo viaggio cit., pp. 52-69.
10
Sul VI libro resta sempre importantissimo il commento del Norden (Lipsia
1903; 19263; rist. anast. Stuttgart 1957); molto più succinto, ma, come al solito,
egregio, quello di R.G. Austin (Oxford 1977).
11
Cfr. il mio studio Deifobo ed Enea cit., pp. 993 s., in polemica con un’in-
terpretazione di Otis. La successione Palinuro-Didone-Deifobo ricalca Omero.
12
Sul libro VH commento di C J. Fordyce, Oxford 1977 (unito col com-
mento al libro Vili); ampio, minuto e di alto livello il recente commento di N.
Horsfall, già cit. Commento scolastico notevole di G. Garuti (Firenze 1961).
13
A questa spiegazione data da E. Fraenkel mi attenni in Virgilio cit., p. LIV;
cfr. anche L'arrivo di Enea alla foce del Tevere cit., pp. 103 s., e la bibliografìa
ivi citata; ora si veda anche il commento di N. Horsfall.
14
Rimando di nuovo al mio studio L’arrivo di Enea alla foce del Tevere cit.
15
Per la bibliografia più nota rimando all’ampio commento di R.A.B. My-
nors alle Georgiche, Oxford 1990, pp. 2 s.
16
Commento al libro Vili di C.J. Fordyce, Oxford 1977 (unito col libro VH);
di P.T. Eden, Leiden 1975 («Mnemosyne», Suppl. 15). Un commento limitato
agli aspetti antiquari, storici e ideologici in G. Binder, Aeneas und Augustus.
Interpretationen zum 8. Buch der «Aeneis», Meisenheim 1971.
17
Sul IX libro commento di Ph. Hardie, Cambridge 1994, non molto ampio,
ma impegnativo e accurato; ampio e accurato il commento recente di J. Dingel,
Heidelberg 1997,
18
Sul X libro commento impegnativo, ma non amplissimo, di St. J. Harri-
son, Oxford 1991; giuste riserve di A. Perutelli, in «Gnomon», 67, 1995, pp. 311-
315.
19
Sul libro XI commento di K.W. Gransden, Cambridge 1991, ora si ag-
giunge il ricchissimo commento di N. Horsfall, Leiden-Boston 2003.
20
Sul libro XII commento di A. Traina, Torino 1997, destinato alla scuola,
ma utile ad ogni livello, corredato di amplissima bibliografia.
Adante
12
assimila
Sulle Enea che
similitudini conprende sullecfr.
anacoluto spalle lo scudo:
Berres, cfr. Virgil’s
Die Entstehung des Aeneid
Aeneis cit.,
pp. 282;
91 ss.373. ^ ^
13
Discussione esauriente ivi, pp. 56-72; benché Berres sostenga una data-
zione alta per il libro Ut, ammette che il discorso dei Penati sia fra le parti tarde;
ma nello stesso tempo mantiene l’anteriorità del passo del libro HI rispetto a
quello del I: uno zig-zag molto complicato (cfr. spec. p. 58; 68). Nuova tratta -
zione del problema in Günther, Überlegungen zur Entstehung cit., p. 35.
14
A questo proposito conclusióni persuasive si possono leggere nelle ultime
pagine dell’opuscolo del Günther, ivi.
XXVII. I discorsi
1
Sui discorsi nél'Eneide l’opera più impegnativa e più utile resta quella
di
G. Highet, The Speeches in VergiVs Aeneid, Princeton 1972; dello stesso Hi-
ghet cfr. Speech and Narrative in thè Aeneid, in «Harvard St. in Class. Philol.»,
78, 1974, pp. 188-229. Prima di Highet e dopo Heinze sarà opportuno segnalare
K. Billmayer, Rhetorische Studien zu den Reden in Vergils Aeneis, Würzburg
1932; M.L. Clarke, Rhetorical Influences in the Aeneid, in «Greece and Rome»,
18, 1949, pp. 14-27; J.R. Gjerlow, Bemerkungen zu einigen Einleitungen zur
direkten Rede in Vergib Aeneis, in «Symbolae Osloenses», 32, 1956, pp. 44-68;
dopo Highet si può segnalare S. Lundström, Acht Reden in der Aeneis, Uppsala
1977. Un’informazione essenziale, molto accurata, si trova in A. Setaioli, voce
Discorso diretto in EV, II, Roma 1985, pp. 102-105.
2
Highet, The Speeches in VergiVs Aeneid cit., pp. 310 s., enumera 25 casi di
discorsi con funzione narrativa, esplicativa o descrittiva, ma io mi riferisco solo a
pochi di quei casi, cioè a quelli che non hanno, o hanno poca, funzione
drammatica.
3
Ivi, pp. 311-313. Scelgo solo pochi casi, cioè i meno «drammatizzati».
4
Per dati più precisi rimando alla voce Ilioneo in EV, II, Roma 1985, pp.
913 s., redatta da G. Milanese.
5
Per indicazioni più precise rimando alla mia Lettura del nono libro del-
l’Eneide cit., p. 332.
6
Cfr. Highet, The Speeches in Vergil’s Aeneid cit., spec. p. 278; 282 s.
Vorrei segnalare anche i notevoli contributi che Highet ha dati sui rapporti con
i modelli (pp. 185-276), contributi forse non abbastanza noti e utilizzati.
7
Ivi, pp. 49 s.; 56.
8
Oltre alcuni accenni di Highet sarà utile leggere Ph. Hardie, Fame and
Defamation in the Aeneid: the Council of Latins Aeneid 11.225-467 in
AA.W., Augustan Epic and Political Context cit., pp. 243-270, spec. 249.
XXVTEL Le similitudini
1
Una buona informazione, anche dossografica, è data da R. Rieks, Die
Gleichnisse Vergils in AA.W., ANRW cit., pp. 1011-1110. Tra gli studi
precedenti segnalo M. von Duhn, Die Gleichnisse in den ersten sechs Büchern
von Vergib Ae- neis, Diss. Hamburg 1952; D. West, Multiple-correspondence
Similes in the Aeneid, in «Journ. of Roman St.», 59, 1969, pp. 40-49; R.A.
Hornsby, Patterns of Action in the Aeneid. An Interpretation ofVergil’s Epic
Similes, Iowa City 1970; W. Briggs, Narrative and Simile from the Georgics
to the Aeneid, Leiden 1980.
2
Per la classificazione tematica delle similitudini è particolarmente utile
Hornsby, Patterns of Action in the Aeneid cit.
Note alla Parte terza 537
3
Ivi, p. 73: l’autore suppone che Tarcone venga confrontato con l’aquila
perché discendente di Giove. Non ne sono sicuro.
4
Non credo che il riferimento al lupo nella similitudine riferita ai Troiani
e in quella riferita a Turno basti ad associare l’eroe rutulo con i compagni di
Enea; ma secondo Hornsby, ivi, p. 65, la prima delle due similitudini su Turno
richiama quella del II libro per prefigurare la distruzione di Turno. Inter-
pretazione sottile ed ingegnosa!
5
La presenza, relativamente ampia, di serpenti nel libro II ha dato luogo a
costruzioni raffinate: mi riferisco in particolare ad un noto studio di B.M.W.
Knox, The Serpent and the Piarne, in «American Journ. of Philol.», 71, 1959,
pp. 379-400, che gioca con grande agilità e facilità su associazioni dimostrate
in base al comune uso di certe immagini e metafore. Indico qualche esempio:
in II, 2J3 (soporfessos complectitur artus) il sonno è assimilato al serpente
perché complecti è usato (II, 214) anche per i serpenti che avvinghiano i due
figli di Laocoonte (pp. 387 s.); la fiamma è assimilata al serpente perché
stiperare («sovrastare») è usato sia per i serpenti che, avvinghiato Laocoonte,
sovrastano con la testa e il collo (II, 219) sia per le fiamme che s’innalzano dal
palazzo di Deifobo (II, 310: Volcano superante domus) e dal palazzo di Enea
(II, 759) (p. 390); l’uso di latere o latebrae unisce in una sola immagine il
serpente che ferisce Euridice, i Greci nascosti nel ventre del cavallo, Sinone
nascosto nella palude, Elena nascosta nel tempio di Vesta (pp. 393; 395 s.);
lambere unisce la fiamma che scorre sul capo di Iulo e i serpenti (pp. 396 s.);
Pirro è assimilato al serpente anche quando afferra Priamo per i capelli
(l’immagine del serpente è in implicuit... comam) (p. 393); il dolus dei Troiani
travestiti li assimila a serpenti (p. 392); il serpente dalla pelle rinnovata, a cui
viene paragonato Pirro (e perché non lo stesso Pirro?), diventa simbolo della
resurrezione
538 Note
Note alla Parte terza 539
540 Note
XXXI. LJespressionismo
dell*«Eneide»
541 Note
5
l allitterazione a vocale interposta variabile costituisce certamente una forma
a sé, ma dubito che le funzioni siano specifiche, cioè diverse da quelle dell’allit-
terazione in generale. Comunque le analisi di Ceccarelli sono attente e ben degne
di attenzione.
5
Avverto che userò il termine allitterazione nell’accezione più ristretta
(senza per questo considerare illegittime altre accezioni), cioè come ripetizione
del suono o di suoni iniziali, senza considerare come iniziale il suono che nei
composti viene dopo il prefisso; l’accezione, però, è larga sotto un altro aspetto:
vengono presi in considerazione anche i casi in cui le parole allitte- ranti non
sono nella stessa unità sintattica, purché la distanza non superi tre
o quattro parole.
6
All’allitterazione dell’angoscia ho accennato più volte nei miei studi vir-
giliani: più chiaramente nella Lettura del libro nono dell’Eneide cit., pp. 323325,
dove sono indicate anche le ascendenze lucreziane ed enniane.
7
Sull’allitterazione mediante v giuste e fini osservazioni in Ceccarelli, L’al-
litterazione cit., pp. 110 ss. (a proposito àìAenNl, 833); p. 148 (a proposito di VI,
356); ma l’effetto è lo stesso in parecchi altri casi, anche senza la vocale
interposta variabile.
EDIZIONI CRITICHE
Opere complete
O. Ribbeck, Leipzig 1859-1868.
A. Hirzel, Oxford 1900.
E. de Saint-Denis, H. Gòlzer, R. Durand, A. BeUessort, Paris, 1925 ss.
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«Eneide»
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Libro I: R.G, Austin, Oxford 1971.
Libro II: V. Ussani jr., Roma 1952; R.G. Austin, Oxford 1964; F. Speranza,.
Napoli 1964. •
Libro III: R.D. Williams, Oxford 1962; P.V. Cova, Milano 1994.
Libro IV: C. Buscaroli, Roma-Milano 1932; A.S. Pease, Harvard 1935; E.
Paratore, Roma 1947; R.G. Austin, Oxford 1955.
Libro V: R.D. Williams, Oxford 1960.
Libro VI: E. Norden, Leipzig 1903 (19263; ora rist. anast. Darmstadt 1957); R.G.
Austin, Oxford 1977.
Libri VII-VIII: C.F. Fordyce, Oxford 1977.
Libro VII: G. Garuti, Firenze 1961; N. Horsfall, Leiden 2000.
Libro Vili: P.T. Eden, Leiden 1975; K.W. Gransden, Cambridge 1976. Libro IX:
E.T. Page, London 1938; Ph.R. Hardie, Cambridge 1994; J.
Dingel, Heidelberg 1997.
Libro X: R.J. Forman, Ann Arbor (Mich.) 1973; S.J. Harrison, Oxford 1991.
Libro XI. E. Gould, London 1964; K.W. Gransden, Cambridge 1991; N.
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Libro XII: W.S. Maguinness, London 19643; A. Traina, Torino 1997.
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V. Zabughin, Virgilio nel Rinascimento italiano da Dante a Torquato Tasso, 2
voli., Bologna 1921-1923 (rist. anast. Trento 2000).
CM. Bowra, From Virgil to Milton, London 1945.
C. Kallendorf, Virgil and the Myth of Venice. Books and Readers in the Italian
Renaissance, Oxford 1999.
Età moderna
M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, Roma 1981. T. Ziolkowski, Viir gii
and thè Moderns, Princeton 1993.
BIBLIOGRAFIE
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M. Bonaria in K. Büchner, Virgilio (trad. it.), Brescia 1963.
W. Süerbaum in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt {ANRW),
II, 31, 1, Berlin-New York 1980, pp. 3-499.
Enciclopedia virgiliana, 5 voll., Roma 1984-1991 (con una ricca informazione
bibliografica).
INDICI
Indice dei nomi di persona e divinità 551
85. 149,161,187,216,229,233,2
Giuturna, 157, 228-229, 233, 39, 243,245, 250, 254,305-
292293,315,317,360- 306,314315, 317, 345-
363,369,412, 414-415. 347,360,362, 396, 401-402,
Gyas, 233. 405, 407, 418, 426,428,
439, 519.
Hermes, vedi Mercurio. Latona, 414.
Lauso, 131, 148-149, 162, 303,
Iapige, 361. 306, 308,311,316,319,355-
Iarba, 178, 224, 250, 337, 368, 356,366, 373, 428, 453,
405, 436.
484-485, 491.
Icaro, 341,371-372.
Lavinia, 123, 131-132, 149,
Ifigenia, 219.
Ila, 35. 207, 239,
Hia, 126, 132, 202. 268,277,307,345,360,362,3
Ilioneo, 327, 345-346, 382, 73,
395, 400 402, 412, 426, 455, 534.
401. Leandro, 89.
Ilo, 264. Leda, 494.
Inaco, 254. Leopardi, Giacomo, 9, 18, 24,
Io, 36, 192, 254, 370, 491, 532. 88, 104, 224, 298, 453,
Iopa, 153, 177, 223. 489.
Ipermestra, 373. Lepido, 138.
Ippocoonte, 339. Lesche di Lesbo, 331, 538.
Ippolito, 172-173, 309. Lete, 262.
Issìpile, 178-179. Leucosia, 129.
Iride, 169, 175, 228. Levio, 211-212, 526.
Isidoro di Siviglia, 237. Licida, 6, 23, 41-42, 55.
Ismene, 337. Licinio Calvo, 36, 182, 192,
Italo, 345. 525.
Iulo, 132, 134, 177, 184, 189, Licofrone, 124, 519.
233, Licoride, 14, 37-38.
304,346,519, 527, 543. Linceo, 179, 373.
Lino, 35.
Landino, Cristoforo, 277. Livia, 277.
Laocoonte, 133, 154, 156, 163, Livio Andronico, 116, 196-197,
167, 234.
235,329,367,388,410,416,4 Livio Druso Salinatore, Marco,
71, 274.
475, 543. Livio, Tito, 137, 254, 500, 528.
Laodamia, 189. Lucano, 323,418, 437,540.
Latino, 123, 130-131, 140, 146, Lucilio, 391, 491-492, 526.
148- Lucrezio, Vin, 8-9, 11, 34, 37,
Indice dei nomi di persona e divinità 559
Premessa V
577 Indice degli autori moderni
Nota dell’autore XI
m Il lavoro e la natura 8
2
.IV Le forze devastanti della natura: Amore e 8
. Morte 7
V. La fiaba tragica di Orfeo 9
3
578 Indice degli autori moderni
Note 509
Bibliografia essenziale 551
Indice dei nomi di persona e divinità 563
Indice degli autori moderni 573
Indice del vohime
11
repertori più ampi di passi paralleli sono ancora W.A. Merril, Parallels
and coincidences in Lucretius and Virgil, in «Univ. of California Public, in
Class. St.», 3,1918, pp. 135-247, e C. Bailey, Virgil and Lucretius, London
1947. H primo elenca 1635 passi di Lucrezio e trova confronto in 2638 passi
di Virgilio; il secondo riduce i passi di Lucrezio a 1000. C’è ancora bisogno di
un vaglio rigoroso, presupposto necessario per cercare di fissare delle linee di
orientamento di Virgilio rispetto al De rerum natura; io mi limiterò a fissarne
qualcuna. Una breve trattazione, per lo più giusta, in Wigodsky, Vergil and
Early Latin Poeùy cit., pp. 132-139; utile anche la voce Lucrezio delTEV^,
HE, Roma 1987, pp. 264-271 (sulYEneide, pp, 268-270), redatta da G.
Castelli, che dà una ricca (e forse eccessiva) bibliografìa.
2
Cfr. Wigodsky, Vergil and Early Latin Poetry cit., p. 134.
3
II resto del verso di Lucrezio (terram genibus summissa petebat) ha sug-
gerito Aen IH, 93: Summissi petimus terram.
1
Qui sviluppo uno spunto dal mio saggio pubblicato quasi quarantanni
fa: Virgilio e la crisi del mondo antico, introd. a Virgilio, Tutte le opere
tradotte da Enzio Cetrangolo, Firenze 1967, p. XLVn.
3
Un’attenta e chiara analisi, condotta secondo lo strutturalismo del lin-
guista americano K.L. Pike, si trova nell’opera di R. Jeanneret, Recherches
sur rhymne et la prière chez Vergile, Bruxelles-Paris 1973. La tradizione
poetica vi è presente in parte: sono analizzate alcune preghiere nei poemi
omerici, ma non nella poesia greca tra Omero e Virgilio (lirica, tragedia,
poesia alessandrina); dalla poesia latina sono presi in esame preghiere e
inni di Lucrezio e di
1
La Penna, Virgilio cit., pp. LXXVI s.
2
Una discussione accurata e ponderata del problema è stata data da
R.O.A.M. Lyne, Further Voices in VergiVs Aeneid, Oxford 1987, pp. 71 ss.,
spec. 79, che inclina per l’identificazione, mettendo da parte i passi in cui la
rappresentazione di Giove è omerizzante e non stoica.
4
A proposito di Venere ho condensato una trattazione più ampia, pubbli-
cata in una miscellanea in onore del vecchio amico Luca Canali: Arma virum-
que...y a cura di E. Lelli, Pisa-Roma 2002, pp. 97-107.
5
Per ascendenze poetiche (Bione) e filosofiche (Filodemo) del motivo ri-
mando alle indicazioni date da A. Traina nel commento al libro XH, Torino
1997, p. 180 (nota al v. 882). Io ritengo, anche se non ho le prove per dimo -
strarlo, che il motivo risalga a tragedie greche in cui comparivano eroine vio-
lentate dagli dèi, come la Io del Prometeo di Eschilo.
1
Cfr. G. Williams, Technique and Ideas in thè Aeneid, New Haven-Lon-
don 1983, pp. 245-285. Non credo che l’autore abbia convinto qualcuno, ma
l’analisi del diverso ruolo di Enea narrante nel II e nel Ut libro è condotta con
finezza e merita attenzione. Ho trovato strano che il dotto latinista non faccia
mai il nome di Sabbadini, omesso anche nella bibliografia.
2
Poco prima e poco dopo la metà del secolo scorso la proposta del Gercke
è stata difesa e sviluppata in Italia più con prolisse esercitazioni sofistiche che
con dimostrazioni filologiche. L’ultimo sostenitore è stato, per quanto ne so,
un assecla fedele e miope, che per tutta la vita si è industriato a spostare qual-
che virgola nelle opere di latinisti anteriori. La posteriorità della seconda parte
è stata sostenuta anche da me in base ad un confronto fra la narrazione re-
lativa ad Amata e quella relativa a Didone: cfr. La Penna, Amata e Didone cit.
Indice del vohime