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CHIARA

“Quoniam tamen ipsa materia accedimus ad reputationem eiusdem parentis et


noxia: nostris eam criminibus urguemus nostramque culpam illi inputamus.”
“Infatti il soggetto in sé porta a notare che essa produce anche cose nocive, per
cui facciamo ricadere su di lei i nostri delitti, attribuendole una colpa che è solo
nostra”.
Pensatore asistematico, autore di quello sterminato "inventario del mondo"
che è la Naturalis Historia, raccoglitore farraginoso di schede di lettura, ma
anche attento osservatore di ogni forma di conoscenza empirica del mondo
naturale, Plinio sviluppò assai prima di Leopardi, con parole che Leopardi
avrebbe riecheggiato, il tema - già lucreziano - della natura noverca, della
natura matrigna la cui ostilità si mostra, all’atto stesso della nascita, nelle
condizioni di fragilità e indigenza dell’essere umano, ma che sa poi farsi palese
a mezzo di una rovinosa catena di terremoti, inondazioni, crolli. Se la sfera
d’azione umana e quella naturale erano distinte e potenzialmente in conflitto,
anche per Plinio, però, l’ambiente non poteva che essere terreno d’esercizio
dell’industriosa attività umana. Egli ebbe tuttavia il merito di richiamare
l’attenzione sugli effetti di deformazione ambientale implicati dal lavoro
umano, e dunque sui vincoli che sarebbe stato auspicabile porre a tale attività.
Ciò lo condusse ad una attenta ricognizione dei mutamenti che, a partire dalla
tarda età repubblicana, e poi in età giulio-claudia, furono introdotti
nell’ambiente italico: frequenti drenaggi delle acque, massicci disboscamenti,
alterazioni profonde della geomorfologia del terreno, introdotte ora a
beneficio della privata luxuria, ora in nome della pubblica utilità: lavori che non
si arrestavano, talora, neppure di fronte alla sacralità di luoghi legati a
remotissime tradizioni religiose, quale il disboscamento del lago d’Averno in
area cumana, operato da M. Vipsanio Agrippa.
«noi inquiniamo sia i fiumi che gli elementi della natura, e rendiamo dannosa
l’aria stessa che respiriamo. E non c’è ragione di credere che i veleni siano
ignoti agli animali: abbiamo mostrato quali precauzioni essi prendano nella
lotta con i serpenti, e quali rimedi abbiano escogitato per medicarsi dopo lo
scontro. Eppure, solo l’uomo lotta con veleni non suoi. Riconosciamo dunque
la colpa di noi uomini, non paghi neanche dei veleni che si trovano in natura».

DANIELE
Ma Plinio il vecchio non è stato di certo l'unico ad affrontare il tema della tema
della natura nelle sue creazioni. Infatti questo argomento è stato uno di quello
che più ha ispirato gli scrittori, i pittori, i compositori di tutte le epoche. Basti
pensare al greco Teocrito che è stato uno dei poeti che si distaccò dalla
concezione della poesia, vista come arte che poteva avere un senso solo nella
città. Cantore che in età ellenistica, nonostante l’avvento di una società
cosmopolita, ebbe il coraggio di praticare un’arte vicina alla natura e creare
dunque un nuovo mondo, anche se idealizzato. Teocrito è essenzialmente il
creatore di un nuovo genere poetico, vale a dire la poesia pastorale o bucolica
che tratteggia situazioni di vita agreste sullo sfondo di scenari campagnoli,
privilegiando tematiche che riguardano amori campestri e sfide di canto
(“agoni”) che hanno come protagonisti bovari, pecorari e caprai. La poesia
bucolica, naturalmente, ha dei precedenti: nell’Iliade Omero allude a gare
musicali tra pastori; spetta tuttavia a Teocrito il merito di aver organizzato le
strutture essenziali di questo microcosmo poetico e soprattutto di aver
delineato in forme definitive l’antropologia letteraria del mondo pastorale.
L’originalità di questa poesia risiede in primo luogo nella sua ambientazione
campestre: in effetti, la grande letteratura greca precedente aveva avuto come
centro focale la πολιϛ, il solo luogo in cui sembrava che l’operare degli uomini
avesse un significato. Ora questo mondo cittadino si dissolve, mentre prende
importanza un luogo “altro”, lontano sia nel tempo sia nello spazio. Il mondo
campestre di Teocrito è un luogo che porta a ritroso nel tempo: è il mondo
della pastorizia e dell’agricoltura, sostanzialmente estraneo al fluire della
civiltà, cristallizzato com’è in un tempo immobile senza né oggi né ieri. I
personaggi che popolano questo mondo sono figure che riescono ad evadere
dalle forme rigide imposte dalla civiltà, che sanno ancora ascoltare le voci della
natura, il fruscio del vento tra le foglie. L’operazione Teocritea ripropone uno
dei temi profondi della riflessione culturale greca, vale a dire quello della
dialettica tra natura e cultura. È significativo che proprio uno degli emblemi del
mondo selvaggio, il Polifemo omerico che non conosce leggi, divenga in
Teocrito un eroe positivo, bonario protagonista di una vicenda d’amore,
manifestando in tal modo la sua affinità psicologica con la sensibilità comune.
L’ambientazione di un paesaggio ideale consente a Teocrito di recuperare alla
poesia figure che ne erano state escluse: pastori, mandriani, mietitori. Quello
teocriteo è in verità un mondo idealizzato letteralmente, ai limiti
dell’artificioso: è una campagna rarefatta, popolata da pastori di animo
delicato dediti al canto e all’amore. Rarefatte sono anche le trame di questi
canti, che spesso presuppongono una finzione mimetica (il dialogo tra pastori)
e si risolvono nel tratteggio di piccoli quadri e bozzetti di vita campestre; questi
contemplano alcune situazioni standard come la descrizione del locus
amoenus, il carme amebeo tra i pastori, i palpiti di un amore per lo più infelice,
che non ha i tratti di un’intensa passione, ma un languore un po’ malinconico.
Con gli idilli bucolici la campagna diviene lo scenario privilegiato della poesia; la
campagna Teocritea è quella che poteva piacere al pubblico della cosmopolita
Alessandria, vale a dire un luogo fisicamente e spiritualmente remoto,
collocato nella Sicilia pastorale e nell’Italia campestre, popolato da gente che
parla l’antico dialetto dorico. L’invenzione di questo clima, fa di Teocrito il
poeta più istintivamente dotato ma, più sfuggente dell’età ellenistica. Una
delle realistiche descrizioni paesaggistiche che ci offre, si trova ne “Il rapimento
di Ila” dove scrive: “Eros dai bianchi capelli verso Zeus né quando gli uccelli
pigolanti già pensavano al nido per dormire e sul famoso trespolo la madre
sbatteva l’ali, perché ben formato fosse il ragazzo, come a lui piaceva e
procedendo bene, col suo aiuto, infine diventasse un uomo vero”.

LUNA
Secoli dopo a riprendere questo tema e questo genere fu Virgilio con le sue
Bucoliche. Il termine “bukolos” significa proprio mandriano e i Bucolica
Carmina sono le Poesie di pastori. Queste sono di contenuto pastorale e hanno
come ambientazione la campagna, la natura, dove vengono descritti ruscelli e
piante. L’osservazione di Virgilio della natura nelle Bucoliche non è mai fredda
e oggettiva, perché tutto viene passato al filtro della fantasia e della grande
sensibilità creativa del poeta. Ne deriva che la natura stessa non è concepita
diversamente dall’uomo, ma ne condivide i sentimenti e le sofferenze. La
poesia e la natura sono l’unico mezzo per evadere dalla realtà: solo con essa è
possibile superare la tragicità della vita. Solo attraverso la contemplazione
della natura è possibile rifuggire il tragico.
M: Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi silvestrem tenui musam
meditaris avena nos patriae fines et dulcia linquimus arva; nos patriam
fugimus: tu, Tityre, lentus in umbra formosam resonare doces Amaryllida
silvas.
T: O Meliboee, deus, nobis haec otia fecit. Namque erit ille mihi semper deus;
illius aram saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus. Ille meas errare boves,
ut cernis, et ipsum ludere quae vellem calamo permisit agresti.
T: Urbem quam dicunt Romam, Meliboee, putavi stultus ego huic nostrae
similem, quo saepe solemus pastores ovium teneros depellere fetus. Sic
canibus catulos similes, sic matribus haedos moram; sic parvis componere
magna solebam. Verum haec tantum alias inter caput extulit urbes, quantum
lenta solent inter viburna cupressi.

M.: Titiro, tu che riposi all'ombra di un ampio faggio, vai modulando con il
flauto dolce un canto agreste; noi lasciamo i territori della patria e i dolci
campi, noi fuggiamo dalla patria; tu, Titiro, adagiato all'ombra, insegni alle
selve a (far risuonare) cantare la bella Amarillide.

T: O Melibeo, un dio ci ha offerto questa tranquillità. E infatti egli sarà sempre


un dio per me; spesso un tenero agnello tratto dai nostri ovili bagnerà di
sangue il suo altare. Lui, come vedi, ha permesso che le mie giovenche
pascolassero e che io stesso suonassi quello che volevo con il mio strumento
agreste.
T: O Melibeo, io da stolto ho reputato la città che chiamiamo Roma simile a
questa nostra (città), nella quale spesso noi pastori siamo soliti portare i teneri
agnelli. Così sapevo che i cuccioli sono simili ai cani, così i capretti alle madri;
così ero solito confrontare le cose grandi con le piccole. Tuttavia questa (città)
ha innalzato il capo tra le altre città, tanto quanto sono soliti (fare) i cipressi tra
i viburni flessibili.

I due protagonisti di questi versi, ripresi dalla prima ecloga sono Titiro e
Melibeo. Melibeo è costretto ad abbandonare le sue terre e Titiro invece è
riuscito a conservare il suo podere e a dedicarsi ai suoi otia. A questo punto la
campagna non appare sempre assolata, o il locus amoenus come la descrive
Teocrito nei suoi idilli, ma è lo specchio delle emozioni del poeta e dei
protagonisti stessi. Virgilio si immedesima nei suoi pastori. Ispiratosi all’antica
e mitica regione greca dell’Arcadia per la stesura dell’opera, non ne condivide
le ambientazioni: le Bucoliche, infatti, sono sempre fredde e ambientate al
crepuscolo. A differenza degli Idilli di Teocrito ambientati in Sicilia, dove il
rigoglio della natura è scalpitante. I pastori dell’Arcadia virgiliana non sono
logori, né compiono lavori che li degradino: intonano canti silvestri con il loro
flauto e nel loro mondo campestre si rifugiano da una realtà tragica. Virgilio si
distacca dal realismo trasfigurando il paesaggio campestre, ambientando le
vicende nell’ideale del locus amoenus: un luogo idealizzato, mitico. L’Arcadia è
il locus amoenus dei pastori descritti da Virgilio. Questo luogo mitico non era
privo di accezioni allegoriche che vi si riflettevano: simbolicamente, infatti,
l’Arcadia era un luogo d’amore e civiltà privo dall’impellenza delle barbarie. Un
ambiente dove sentirsi protetti sospeso fra spazio e tempo dove nulla si
trasforma.

DEBORA
La natura indubbiamente è stata un argomento molto trattato secoli dopo
anche da svariati autori italiani. C'è chi la vede come la madre creatrice, chi
come una matrigna cattiva che ci fa vivere nell’infelicità. Tra gli autori che
offrono gli spunti più interessanti al riguardo troviamo certamente Ugo
Foscolo, Giacomo Leopardi e Giovanni Pascoli. Foscolo osannava la bellezza
della natura, ma considerava l’uomo un prigioniero di essa. Foscolo, attraverso
la natura, esprime il suo stato d'animo, infatti scriveva: “O Natura!... Ma se tu
ci hai dotati del funesto istinto della vita sì che il morale non vada sotto la
somma delle sue infermità ed ubbidisca irrepugnabilmente a tutte le sue leggi,
perché può darci questo ancor più funesto della ragione?”. Il poeta infatti
considera la natura portatrice del dolore che vivono gli uomini perché diceva
lui: “Le sciagure derivano dall'ordine universale e il genere umano serve
orgogliosamente e ciecamente a' destini”. Altro autore che ha avuto un
rapporto controverso con la natura, è sicuramente Leopardi. Lui infatti, in una
prima fase della sua vita, la considerava una madre benevola che aveva dato
agli uomini la capacità di illudersi e quindi di essere felici. E attribuiva la colpa
dell’infelicità umana agli uomini stessi, poiché questi nel settecento avevano
conosciuto <l’arido vero>, che li aveva resi infelici. Poi cambia idea, e descrive
la natura come una matrigna, che ci crea con un gran bisogno di felicità che poi
non riusciamo a soddisfare. Questa sua convenzione la dimostra, in modo
metaforico, ne “Il dialogo tra un Islandese e la natura”, in questo passo infatti
l’islandese accusa la natura che lei, avendoci creati, ha l'obbligo di renderci
felici, cosa che in realtà non accade. Infatti dice: “sono stato arso dal caldo fra i
tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati
dall’incostanza dell’aria, infestato dalle commozioni degli elementi in ogni
dove; Molte bestie salvatiche mi hanno voluto divorare; molti serpenti
avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato poco che gl’insetti volanti non mi
abbiano consumato infino alle ossa”. Con questa frase l’autore vuole far
intendere che l'uomo, dovunque vada è infelice a causa della natura e
quest’ultima risponde: “Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa
vostra? Quando io vi offendo… io non me n’avveggo; come, ordinariamente, se
io vi diletto o vi benefico, io non lo so. E finalmente, se anche mi avvenisse di
estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.” Con ciò Leopardi
spiega che il mondo è governato da un meccanicismo e che la natura non fa
niente per punire o premiare gli uomini, proprio perché il mondo non è creato
per soddisfare loro. Ne “L’infinito” invece vediamo che descrive la natura come
un ostacolo visivo, grazie al quale riesce poi ad immaginare e a smarrirsi
nell'infinito. Infatti scrive: “Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da
quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove
per poco il cor non si spaura.” Pascoli parla molto della natura in sue diverse
opere, come le Mirycae e I Canti di Castelvecchio. Ma qui, dietro le descrizioni
da lui presentate, c'è sempre un significato molto più profondo. Infatti il
mondo della campagna diventa lo specchio dell’interiorità del poeta, delle sue
angosce e inquietudini, ci sono elementi che richiamano la sua infanzia e il
nucleo familiare distrutto. Inoltre lui descrive l'alternarsi delle stagioni e
simbolicamente allude all'alternarsi della vita e della morte. Quindi ci descrive
un bozzetto naturalistico che nasconde significati ben più profondi.

LUNA
Questo tema tanto dibattuto, non è stato affrontato soltanto dalle antiche
civiltà greche e romane o da autori italiani, ma da artisti di tutto il mondo e,
certamente anche da quelli anglosassoni. William Wordsworth (1770-1850),
considerato Coleridge l'iniziatore del movimento romantico in Inghilterra, si
distingue come il più grande poeta della natura; una natura percepita con una
forza e una sensibilità assolutamente originali e senza precedenti nella
letteratura inglese. La sua "nuova" concezione della poesia risulta dalla fusione
del mondo interiore del poeta con quello esterno; il suo compito nella
composizione delle Lyrical ballads, che scrisse insieme con Coleridge, fu quello
di "proporsi di trasfigurare con il fascino della novità le cose di tutti i giorni e di
destare un sentimento analogo al soprannaturale". Nella famosa Prefazione
alla seconda edizione (1800) delle Lyrical ballads Wordsworth diede la propria
definizione di poesia: la poesia è soprattutto espressione di uno stato d'animo
e il suo valore coincide con quello dello stato d'animo espresso. Essa non
dipende da un uso corretto delle immagini e della tradizione letteraria, ma dal
fluire delle emozioni, filtrate dal ricordo: la poesia non nasce infatti
direttamente da un'emozione, ma quando quell'emozione stessa è rivissuta nel
ricordo, "in tranquillità", per usare le sue parole. Le capacità ricreative del
ricordo riproducono quell'emozione in una forma purificata e poetica. Il poeta
è un uomo dotato di una maggiore sensibilità e conoscenza della natura umana
e possiede talenti superiori per qualità e intensità a quelli dell'uomo comune;
egli ha quindi il compito di mostrare la verità intima delle cose agli altri uomini
per insegnare loro a migliorare i propri sentimenti e la propria etica.
Componente essenziale della sua poesia è la natura, non più quella
meccanicistica descritta dall'illuminismo, ma quella palpitante di vita della
filosofia naturale tedesca, in una visione che stabilisce una profonda continuità
fra naturalità e umanità e, attraverso di essa, fra l'uomo e Dio. La natura è
contemplata nel suo grande disegno, ma anche negli aspetti più minuti (i colori
dei muschi, i campi in fiore), interesse per il particolare che si estende alle
figure umane: i suoi personaggi sono spesso persone umili (la mietitrice, il
piccolo montanaro cieco), la cui semplicità è emblematica di una vita condotta
in sintonia con la natura, e proprio la loro vicinanza con la natura li rende i
migliori rappresentanti della vera umanità. Wordsworth aveva la capacità di
trovare in oggetti, esperienze e personaggi della vita campestre la fonte del
suo pensiero e della sua poesia. Il poeta prestò grande attenzione alle figure
marginali della società inglese, e la volontà tipicamente romantica di offrire un
resoconto simpatetico e realistico dell’esperienza popolare rurale rappresentò
un elemento innovativo nella poesia inglese. Famosa è la sua poesia “I
Wandered Lonely As A Cloud”, “Vagavo solitario come una nuvola”.
Vagavo solitario come una nuvola
che fluttua in alto sopra valli e colline,
quando all'improvviso vidi una folla,
un mare, di giunchiglie dorate;
vicino al lago, sotto gli alberi,
tremolanti e danzanti nella brezza.
Intermittenti come stelle che brillano
e luccicano nella Via Lattea,
si estendevano in una linea infinita
lungo il margine della baia:
con uno sguardo ne vidi diecimila,
che scuotevano il capo danzando briose.
Le onde accanto a loro danzavano; ma esse
superavano in gioia le luccicanti onde:
un poeta non poteva che esser felice,
in una tale compagnia gioiosa.
Osservavo - e osservavo - ma non pensavo
a quanto benessere un tale spettacolo mi avesse donato:
poiché spesso, quando mi sdraio sul mio divano
in uno stato d'animo ozioso o pensieroso,
esse appaiono davanti a quell'occhio interiore
che è la beatitudine della solitudine;
e allora il mio cuore si riempie di piacere,
e danza con le giunchiglie
Si tratta di una passeggiata effettuata dai due nel 1804 nei pressi di Glencoyne
Bay, nel Lake District, in un campo ricco di giunchiglie. Il testo, infatti, è distinto
da una delicata osservazione della Natura, che viene presentata da
Wordsworth in tre modi distinti. La Natura, innanzitutto, per il poeta è forza
vitale, tanto che gli esseri umani comunicano con essa nel senso letterale del
termine. Notevole, inoltre, il contrasto tra la Natura e l'ambiente urbano: il
campo di giunchiglie di Glencoyne Bay, con la sua quiete idilliaca che stimola
nell'uomo il piacere e la creazione poetica, è infatti contrapposto alla
confusione e ai turbamenti della città. Non a caso, i veri protagonisti di I
Wandered Lonely as a Cloud non sono né gli uomini, né Wordsworth stesso,
bensì gli elementi naturali, con le giunchiglie e le nuvole che quasi competendo
tra di loro per vedere chi offra più gioia. La Natura, infine, è presentata come
fonte d'ispirazione per l'uomo, siccome secondo Wordsworth tra l'una e l'altro
intercorre un legame di intima correlazione; gli esseri umani, in questo modo,
non sono estranei all'idillio naturale, bensì ne fanno intrinsecamente parte.
L'intera composizione, inoltre, è vivificata da una profonda sensazione di gioia
e serenità; sono questi infatti i sentimenti provati da Wordsworth, privilegiato
nella sua solitudine e nella compagnia intima con gli elementi naturali, e dalla
Natura stessa. Gli elementi naturali non sono affatto statici, bensì
straordinariamente vivi: le nuvole vagabondano alte nel cielo, e i fiori danzano
briosi muovendo la testa; come già accennato, questa visione rende gioioso
Wordsworth, che però riconosce questo sentimento non subito, bensì a
posteriori, durante il momento del ricordo delle giunchiglie.

MARTINA
Come si è già detto, rapporto tra l’uomo e la natura è spesso stato oggetto di
curiosità da parte dell’uomo e, di conseguenza, di riflessione umana. È proprio
la natura, infatti, a essere protagonista delle più antiche forme di filosofia. A
questa, nel corso della storia della filosofia, vengono accostate le accezioni più
disparate: passa dall’essere un’entità eterna in continua trasformazione per
Anassagora, a una realtà fallace per Platone, per poi divenire un ente
caratterizzato da meccanicismo con Aristotele. Con il tempo muta totalmente
la concezione di natura, che però non perderà mai la propria centralità. Con
l’avvento del cristianesimo, infatti, questa diventa vertice del creato divino,
caratterizzata da un finalismo aulico, dettato proprio dalla volontà divina. È a
questa idea di natura che si contrappone quella rinascimentale, sostenuta da
grandi menti dell’epoca quali Giordano Bruno e Galileo Galilei, filosofi che per il
loro pensiero furono accusati anche di eresia da parte della Chiesa cattolica. Il
primo ci riportava una concezione panteistica immanentistica della natura, per
cui il Creatore era artefice e parte della natura stessa, mentre il secondo si
faceva promotore di una visione più scientifica della realtà, tant’è vero che è il
padre della fisica e dell’astronomia moderna. Questo, infatti, rinuncia le visioni
mistiche che si hanno della natura, per darne una definizione quanto più
scientifica possibile, attraverso il metodo scientifico da lui coniato. Per il
filosofo pisano, infatti, la natura è un insieme di leggi matematiche che
determinano la fenomenologia della natura stessa. È con il Romanticismo che
si ha, in campo filosofico, un ritorno al trascendentale, con il ritorno alla magia
e all’alchimia, con il suo massimo esponente, Kant, che partorisce il concetto di
io penso, che permette al filosofo di riunire tutte le conoscenze, sia quelle
sensibili, derivanti dalla natura stessa, sia quelle intellegibili. Il filosofo
romantico più interessato alla natura, però, è Schelling, iniziatore della
cosiddetta Naturalphilosopie (dall’unione delle parole tedesche per “natura” e
“filosofia”). È questa una filosofia che si interessa in particolar modo dello
studio della natura e i suoi massimi esponenti sono, per l’appunto, Schelling ed
Hegel. Schelling ci offre una natura caratterizzata da un finalismo
immanentistico: la natura, secondo Schelling, è una totalità animata. La natura
coincide con la vita e la vita è attività. Perciò natura e spirito sono entrambi
parte di un comune processo vitale. È facile comprendere come, nel corso della
storia, sia ampiamente variato il rapporto uomo-natura, e ora risulta
spontaneo chiedersi come questo rapporto si evolverà nel tempo. In tempi
recenti, infatti, è stata da più parti affermata la necessità di una ripresa della
riflessione filosofica sulla natura. È stato argomentato che una riflessione
filosofica, con delle basi ben fondate sulle moderne concezioni scientifiche del
mondo fisico e biologico, è necessaria sia per un'interpretazione e una
comprensione effettiva delle teorie scientifiche, sia per l'elaborazione di
concezioni antropologiche che non ne trascurino le basi fisico-biologiche.
D'altra parte anche all'interno della comunità scientifica viene spesso
rimarcata la necessità di un'elaborazione in chiave ontologica delle tecniche e
delle teorie scientifiche utilizzate, nonché delle conseguenze pratiche del loro
impiego sull'ambiente, sui pazienti, sulla società. In questo senso viene
auspicata la rinascita di una riflessione filosofica sulla natura (che tuttavia non
si candidi come sostitutiva delle scienze, ma a queste si accompagni), già in
parte avvenuta con il fiorire contemporaneo di nuove discipline a cavallo tra
scienza e filosofia quali la filosofia della fisica, la filosofia della biologia o
l'epistemologia evoluzionistica.
Anche in campo artistico l’arte ha ricoperto un ruolo fondamentale. È questa
stata il pretesto di ogni opera artistica, che tendeva a presentarsi come la più
fedele possibile riproduzione della realtà. Uno degli artisti che più si è distinto
nel rappresentare la natura è Claude Monet, che afferma proprio di essere
diventato pittore dopo aver osservato dei fiori. Infatti lui è uno degli artisti che
più apprezza la natura in ogni sua forma o manifestazione. Ciò si deduce da
molti suoi dipinti come “Papaveri” e “Impressione, sole nascente”. Infatti
Monet disse «Lavoro come non mai, e a delle prove nuove, delle figure en
plein air come le intendo, fatte come paesaggi. È un vecchio sogno che mi
tormenta di continuo e che vorrei una volta realizzare; ma è cosa difficile!»
En plein air (letteralmente all'aria aperta) è una locuzione in lingua francese
che indica un metodo pittorico consistente nel dipingere all'aperto per cogliere
le sottili sfumature che la luce genera su ogni particolare. Altro obiettivo di
questa tecnica è quello di cogliere la vera essenza delle cose, poiché risulta
essere espressione derivante dall'osservazione diretta della natura. Altro
artista che si caratterizza per la rappresentazione della natura, è Vincent Van
Gogh. Tra le sue opere infatti spiccano alcuni quadri raffiguranti dei girasoli con
i quali si identifica l'artista stesso, infatti questi una volta dipinti non muoiono
più. Inoltre questi, secondo l'artista, davano conforto ai cuori turbati. Per
molto tempo, infatti, l’arte si è identificata nel concetto aristotelico di mimesi.
Con il tempo, però, questa materia ha intrapreso un cammino di
autonomizzazione, per portarla poi ad un punto di non ritorno nel XX secolo.
Già nelle epoche precedenti, in particolar modo con l’avvento
dell’impressionismo, gli artisti hanno deciso di sottrarsi alla volontà di
rappresentare la realtà così come la conosciamo (e quindi attraverso la
rielaborazione che ne fa il nostro cervello), per rappresentare l’impressione
che questa lascia sulla nostra retina. È con il movimento successivo, però,
ovvero quello dell’espressionismo, che l’arte raggiunge il pieno della propria
autonomia. Questa corrente artistica si sviluppa parallelamente nel 1905 in
due luoghi differenti: la Francia e la Germania. Prima di analizzare questi due
gruppi, però, risulterà utile analizzare le caratteristiche principali
dell’espressionismo. È questa un’arte antinaturalistica, contrassegnata dalla
presenza di colori vividi e antinaturalistici e da una linea arabescata. Gli
espressionisti, infatti, tenderanno a plasmare la realtà esterna di modo che
questa vada a veicolare nel miglior modo possibile il loro pensiero ed è proprio
da ciò che derivano le principali caratteristiche di questo movimento.
L’espressionismo è contrassegnato dalla presenza di due sottogruppi, uno
francese, ovvero i Fauves (=le bestie) e uno tedesco, la die brücke (=il ponte). Il
massimo rappresentane della prima corrente è Matisse, di cui ricordiamo le
opere “La gioia di vivere” risalente al 1906 e “La Danza” risalente al 1910.
Quello della Die Brücke è Kirchner, di cui ricordiamo “Cinque donne per
strada” e “Scene di strada berlinese”, entrambi risalenti al 1913.

DEBORA
Certamente la natura ha ispirato anche i grandi musicisti come Vivaldi.
Quest’ultimo infatti ha fatto quattro concerti ciascuno ispirato ad una stagione
dell'anno: inverno, primavera, estate e l’autunno. Ne “La Primavera” descrive
tutti i singoli episodi di essa come il canto degli uccelli, il temporale e la danza
finale. Ne “L'Estate” la protagonista è la tempesta e la si sente avvicinarsi da
lontano per poi scoppiare nel finale in tutta la sua violenza”. L'assolo che segue
la composizione, descrive il pastore spaventato dalla tempesta improvvisa. Ne
“L’Autunno” Vivaldi riproduce l’ebbrezza provocata dal vino mentre, in un
secondo momento” si avverte il clima tranquillo del dopo-festa. Infine descrive
i ritmi e i rumori della caccia. “L'Inverno”, invece, era stato concepito da Vivaldi
per essere eseguito in chiesa, quindi presenta toni pastorali molto bassi per
non disturbare i fedeli in preghiera. Adorando una diversa lettura, non molto
descrittiva ma più profonda, possiamo scorgere la rappresentazione allegorica
del tema. Le stagioni si associano al ciclo della vita e diventano il simbolo di
diversi momenti dell’esistenza: la freschezza della primavera, la calma
malinconica dell'autunno, la pienezza dell'estate, al lento morire dell’inverno
che poi lascia spazio alla rinascita.

CHIARA
Purtroppo noi uomini non abbiamo rispettato la natura nel corso degli anni,
anzi l'abbiamo deturpata e maltrattata e adesso ne stiamo pagando gli effetti.
Gran parte delle catastrofi avvenute nel 2020, ma anche precedentemente
sono opera dell'uomo che, come sempre accade, finisce per essere la causa
stessa del suo male. Basti pensare al covid, all'incendio in Amazzonia e allo
scioglimento dei ghiacciai.
Incendi in Australia
Tra gli ultimi mesi del 2019 e i primi del 2020 una serie di grandi incendi portò
alla distruzione, in Australia, di almeno 85mila chilometri quadrati di foreste, e
circa altri 10mila chilometri quadrati di altre aree: una superficie più grande di
quella dell’intero Portogallo. I primi incendi erano iniziati nel luglio del 2019, in
anticipo rispetto agli anni precedenti e in conseguenza del fatto che, come
accertato in seguito, il 2019 è stato per l’Australia l’anno più caldo e più secco
mai registrato dal 1910 in poi. È impossibile avere dati certi, ma secondo un
recente studio commissionato dal WWF ed effettuato da cinque diverse
istituzioni, gli animali più grandi che potrebbero aver sofferto le conseguenze
degli incendi potrebbero essere quasi 3 miliardi: alcuni perché morti
direttamente negli incendi da cui non riuscivano a scappare, altri perché si
sono trovati poi a vivere in un habitat particolarmente ostile con pochissima
acqua, pochissime prede e pochissimi luoghi in cui ripararsi da eventuali
predatori. Secondo lo studio, gli incendi potrebbero aver causato la morte, tra
gli altri, di 143 milioni di mammiferi, 180 milioni di uccelli e oltre 2 miliardi di
rettili.
Invasione di locuste
Dalla fine dello scorso anno sciami immensi di locuste del deserto (Schistocerca
gregaria) hanno invaso il Corno d'Africa, in particolar modo il Kenya, l'Etiopia e
la Somalia, così come diversi Stati dell'India, il Pakistan e altre aree dell'Asia.
Questi insetti possono aggregarsi in gruppi composti da centinaia di milioni di
esemplari, che hanno la capacità di divorare circa 2 milioni di tonnellate di
vegetazione ogni 24 ore in un'area di 350 chilometri quadrati. È sufficiente uno
sciame di medie dimensioni (con 40 milioni di esemplari) per distruggere
raccolti utili al sostentamento di milioni di persone. Non è un caso che le
locuste fossero contemplate tra le piaghe bibliche. Durante il loro recente
passaggio hanno devastato moltissime piantagioni e creato danni economici e
sociali ingentissimi. Si teme che nei prossimi mesi possano avere un impatto
catastrofico soprattutto in India. Anche la nascita di questi sciami enormi
sarebbe legata alle “bizze” del Dipolo dell'Oceano Indiano.
Inondazioni in Indonesia
L'estrema differenza tra le temperature superficiali della parte orientale e
occidentale dell'Oceano Indiano ha determinato alta pressione persistente
sull'Australia e bassa pressione su "sponda" opposta, in Asia, che ha innescato
tempeste e alluvioni violentissime. Tra i Paesi più colpiti l'Indonesia; il primo
gennaio è stata investita da inondazioni che hanno seminato morte e
distruzione a Giacarta e nelle aree circostanti. Circa 70 persone sono morte a
causa della furia dell'acqua; molti hanno perso la vita per frane e folgorazioni,
oltre che per annegamento.

Uragani nell'Oceano Atlantico


Quest'anno è originato un numero impressionante di uragani nel cuore
dell'Oceano Atlantico, ben 30, il più alto mai registrato. Il precedente primato
risaliva al 2015, fermo a 28. La forza distruttiva di questi eventi atmosferici
estremi ha ucciso centinaia di persone e provocato decine di miliardi di dollari
di danni. Negli Stati Uniti, a causa di un uragano particolarmente distruttivo,
sono scoppiati incendi catastrofici che hanno causato a loro volta 60 miliardi di
dollari.

Terremoti
In tutto il mondo durante il 2020 ci sono stati circa 50 terremoti con una
magnitudo superiore a 6, l'ultimo dei quali ha colpito la Croazia ed è stato
avvertito distintamente anche in Italia. Tra i sismi più catastrofici quelli che
hanno colpito la Grecia e la Turchia, che hanno provocato la morte di decine di
persone.

Asia investita da cicloni e monsoni


Circa 2mila morti si sono registrati in India a causa delle precipitazioni
monsoniche iniziate nel mese di giugno. I fenomeni degli ultimi anni risultano
molto più intensi e violenti rispetto alla media, con un impatto catastrofico in
termini di danni e perdita di vite umane e animali. In Pakistan i monsoni del
2020 hanno ucciso 410 persone. A maggio il ciclone Amphan che ha squassato
l'India e il Bangladesh ha lasciato dietro di sé una lunga scia di morte e
distruzione.

Scioglimento dei ghiacciai


Quello dello scioglimento dei ghiacciai è uno degli effetti più evidenti dei
cambiamenti climatici in atto. Le attività dell’uomo, in particolare l’immissione
in atmosfera di gas serra e altre sostanze inquinanti, stanno comportando un
aumento delle temperature a livello globale e una sensibile riduzione dei
ghiacci sia all’Artico che in Antartide. Per la prima volta nella storia da quando
viene monitorato il Polo Nord, il ghiaccio artico non si era ancora formato alla
fine del mese di ottobre, a causa delle temperature insolitamente elevate
registrate nei mesi precedenti oltre il circolo polare. Le temperature infernali
stanno facendo sciogliere anche lo strato di permafrost alla base della “Porta
dell'Inferno” in Siberia, una enorme voragine che si allarga di circa 30 metri
all'anno a causa del riscaldamento globale. In Antartide le temperature
anomale stanno dando vita ad esplosioni di fioriture algali che stanno tingendo
di verde una parte del ghiaccio.

Eruzione nelle Filippine


Il 12 gennaio 2020 il vulcano Taal – il secondo più attivo delle Filippine – ha
dato vita a un'eruzione che ha proiettato ceneri e polveri a 100 chilometri di
distanza. Centinaia di migliaia di persone sono state evacuate dalle proprie
abitazioni e da allora l'intera regione è squassata da terremoti legati all'attività
del gigante risvegliato (dopo oltre 40 anni). I sismi registrati fino ad oggi sono
stati circa 3mila.

DANIELE
Tutto ciò non è colpa di una natura malvagia, ma soltanto colpa
dell'incoscienza umana che continua a rovinare tutto ciò che di bello c’è al
mondo. In Italia però si è cercato di tutelare quello che c'è di bello dal
patrimonio culturale fino a quello ambientale attraverso l'articolo 9.
L’Articolo 9 dice: La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e
tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Che cosa significa? Scienza, tecnica, paesaggio e opere d’arte sono indicati da
questo articolo come beni da tutelare.
Promuovere la scienza e la tecnica significa concedere la libertà di ricerca e di
divulgazione; questa parte dell’articolo esprime allora l’esigenza di difendere
sia ciò che costituisce una conquista della creatività umana. Tutelare il
paesaggio e il patrimonio storico significa invece riconoscere e difendere la
particolare ricchezza artistica e ambientale italiana.
Questo perché gli scempi ambientali che hanno caratterizzato l’edilizia italiana
per decenni, l’incuria mostrata verso i reperti artistici e le opere dei musei sono
un chiaro esempio di come una parte di questo articolo sia stata disattesa,
mentre hanno preso il sopravvento gli interessi economici e il disinteresse
verso i beni culturali e ambientali.
Questa tendenza si è invertita man mano che sono sorti una maggiore
sensibilità verso l’ambiente e un interesse per l’arte non solo come bene in sé,
ma anche come elemento fondamentale per il turismo.
Agenda 2030 (sempre Daniele)
Gli obiettivi fissati per lo sviluppo sostenibile hanno una validità globale,
riguardano e coinvolgono tutti i Paesi e le componenti della società, dalle
imprese private al settore pubblico, dalla società civile agli operatori
dell’informazione e cultura.
I 17 Goals fanno riferimento ad un insieme di questioni importanti per lo
sviluppo che prendono in considerazione in maniera equilibrata le tre
dimensioni dello sviluppo sostenibile – economica, sociale ed ecologica – e
mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l‘ineguaglianza, ad affrontare
i cambiamenti climatici, a costruire società pacifiche che rispettino i diritti
umani.
Goal 1: Sconfiggere la povertà
Goal 2: Sconfiggere la fame
Goal 3: Salute e benessere
Goal 4: Istruzione di qualità
Goal 5: Parità di genere
Goal 6: Acqua pulita e servizi igienico-sanitari
Goal 7: Energia pulita e accessibile
Goal 8: Lavoro dignitoso e crescita economica
Goal 9: Imprese, innovazione e infrastrutture
Goal 10: Ridurre le disuguaglianze
Goal 11: Città e comunità sostenibili
Goal 12: Consumo e produzione responsabili
Goal 13: Lotta contro il cambiamento climatico
Goal 14: Vita sott’acqua
Goal 15: Vita sulla Terra
Goal 16: Pace, giustizia e istituzioni solide
Goal 17: Partnership per gli obiettivi
La sostenibilità non è una questione puramente ambientale. A quattro anni
dalla sottoscrizione dell’Agenda 2030 vi è sempre più consapevolezza nella
società civile riguardo la necessità di adottare un approccio integrato e misure
concrete per affrontare le numerose e complesse sfide ambientali e
istituzionali. L’attuazione dell’Agenda 2030 richiede, infatti, un forte
coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalle imprese private al
settore pubblico. Tutti i Paesi sono chiamati a impegnarsi per definire una
propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli
obiettivi fissati, comunicando i risultati conseguiti all’interno di un processo
coordinato dall’ONU. Ogni Paese del pianeta è tenuto a fornire il suo
contributo per affrontare queste grandi sfide verso un sentiero sostenibile,
sviluppando una propria Strategia nazionale.
In Italia è stata istituita la Cabina di regia “Benessere Italia”, l’organo della
Presidenza del Consiglio cui spetta il compito di “coordinare, monitorare,
misurare e migliorare le politiche di tutti i Ministeri nel segno del benessere dei
cittadini”. Uno strumento che permetterà al Governo di promuovere un
benessere equo e sostenibile attraverso la definizione di nuovi approcci e
nuove politiche. Pone al centro la persona e mirano alla promozione di stili di
vita sani, alla definizione di tempi di vita equilibrati, alla progettazione di
condizioni di vita eque, alla promozione di azioni finalizzate allo sviluppo
umano, alla formazione continua.

“Non è l’uomo che deve battersi contro una natura ostile, ma è la natura
indifesa che da generazioni è vittima dell’umanità.”

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