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1. La carica elettrica
Nella meccanica di Newton i corpi sono caratterizzati da una proprietà intrinseca che
abbiamo chiamato massa. Essa è all’origine dei fenomeni gravitazionali. L’attrazione
gravitazionale conferisce un ordine al sistema solare descritto dalle leggi di Keplero.
Gli esperimenti sopra descritti mettono in evidenza l’esistenza di una proprietà nuova
della materia. I fatti salienti che emergono dall’analisi sperimentale sono i seguenti:
- Le azioni meccaniche (forze) riscontrabili
negli esperimenti sopra descritti non si
manifestano in modo spontaneo. I corpi
necessitano di essere opportunamente preparati. Il
processo di preparazione (strofinio) può essere
visto come la somministrazione di una certa
quantità di energia al sistema.
- Le azioni meccaniche che si instaurano dopo
aver eccitato il sistema per strofinio hanno
intensità variabile con la distanza e non
necessitano del contatto fra i corpi.
- La natura attrattiva o repulsiva delle
menzionate azioni dipende dalla natura dei corpi
considerati. Corpi dello stesso materiale tendono a
respingersi, mentre si ha attrazione tra materiali
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differenti. Notiamo che la fenomenologia della repulsione emerge qui per la prima
volta. L’unica forza fin qui introdotta capace di esercitare un’azione a distanza è la
gravità. Sappiamo però che le azioni gravitazionali sono di natura attrattiva.
Quanto detto sembra coerente con l’esistenza di una nuova proprietà della materia che
chiamiamo carica elettrica. La carica elettrica deve presentarsi in due forme differenti che
chiamiamo convenzionalmente carica positiva e carica negativa. Gli esperimenti sopra
descritti si definiscono esperimenti di elettrizzazione per strofinio.
Alla luce del concetto di carica elettrica appena introdotto emerge un primo modello della
materia basato sulle seguenti affermazioni sperimentalmente motivate:
- In condizioni ordinarie, la materia è globalmente neutra, ossia dotata di carica
elettrica totale pari a zero.
- Negli esperimenti di elettrizzazione per strofinio, si ottengono corpi con carica
totale diversa da zero. Corpi con carica dello stesso segno si respingono, mentre c’è
attrazione tra corpi dotati di carica opposta.
Le precedenti affermazioni implicano che la neutralità elettrica di un corpo può essere
alterata. Dobbiamo quindi ammettere che la carica elettrica può migrare da un corpo ad
un altro con maggiore o minore facilità a seconda della natura dei corpi considerati.
Un corpo carico inoltre può tornare neutro interagendo con altri corpi (e.g. le nostre mani).
Questo è il motivo per il quale l’esperimento descritto inizialmente è condotto
sospendendo ad un filo la bacchetta in vetro. In questo modo la bacchetta risulta essere un
sistema quasi isolato (c’è sempre l’aria!).
La carica elettrica non può migrare attraverso il filo? Dipende dal materiale di cui è
costituito il filo. Esistono materiali che non lasciano migrare la carica elettrica e altri che
lo consentono. Definiamo:
- Conduttori i materiali che lasciano migrare la carica elettrica con relativa facilità
(metalli, corpo umano, acqua di rubinetto, etc.)
- Isolanti i materiali nei quali le cariche non possono muoversi liberamente (plastica,
vetro, gomma, etc)
Cosa accade se ripetiamo l’esperimento descritto inizialmente utilizzando un metallo?
Sospendiamo ad un filo una bacchetta di rame neutra ed avviciniamo ad essa una bacchetta
in plastica preventivamente elettrizzata per strofinio. Supponiamo essere negativa la
carica accumulata sulla bacchetta in plastica. Essendo neutra la bacchetta in rame (dotata
di carica totale nulla) non dovremmo osservare alcun effetto. Si osserva invece che la
bacchetta in rame è attratta da quella in plastica. D’altra parte affinché vi sia attrazione,
occorre ipotizzare che nelle immediate vicinanze della bacchetta in plastica, in una regione
localizzata sulla bacchetta in rame, vi sia un accumulo di cariche positive. Allontanando
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2. La legge di Coulomb
Ragionando in analogia a quanto visto in meccanica, risulta conveniente occuparsi di
cariche elementari che possano essere descritte come oggetti puntiformi (cariche
puntiformi). I corpi carichi estesi saranno poi descrivibili come un insieme di cariche
puntiformi.
Chiaramente non esistono cariche
𝑞2 1 2 𝑞1 puntiformi mediante le quali sperimentare
le azioni elettrostatiche. Un sistema fisico
che si comporti in forma approssimata
2
come una carica puntiforme è una sferetta
1 carica di ridotte dimensioni. L’ultima
condizione si realizza quando il raggio
della sferetta è molto minore delle scale di
distanza tipicamente rilevanti nel
problema.
Sperimentando con questi strumenti
concettuali, nel 1785 Coulomb arrivò a formulare la legge di forza che porta il suo nome.
Siano 𝑞1 e 𝑞2 due cariche puntiformi poste nel vuoto a distanza 12 l’una dall’altra. Siano
⃗1 ed ⃗2 i rispettivi vettori posizione. La forza di cui la carica 1 risente per effetto della
carica 2 vale:
𝑞1 𝑞2
𝐹⃗12 = 𝑘 (⃗ ⃗2 ).
| ⃗1 ⃗2 |3 1
Detta 12 = | ⃗1 ⃗2 | la distanza fra le cariche ed introducendo il versore
⃗1 ⃗2
̂ =
12 ,
| ⃗1 ⃗2 |
la precedente può essere riscritta nella forma compatta:
𝑞1 𝑞2
𝐹⃗12 = 𝑘 2 ̂ ,
12
12
dalla quale evidentemente risulta 𝐹⃗12 = 𝐹⃗21 . Osserviamo che la forza di Coulomb è
diretta lungo la congiungente le due cariche, risulta repulsiva se 𝑞1 𝑞2 > 0 , nulla se 𝑞1 =
0 o 𝑞2 = 0, attrattiva quando 𝑞1 𝑞2 < 0. Inoltre la forza di Coulomb tende a zero come
l’inverso del quadrato della distanza fra le cariche. La costante dimensionale 𝑘 può essere
definita compiutamente una volta definita l’unità di misura della carica elettrica.
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−12
𝐶2
𝜀0 = 8,85 ∙ 10 .
𝑁 2
Le forze coulombiane obbediscono al principio di sovrapposizione degli effetti. Ossia in
un sistema formato da 𝑁 cariche puntiformi la forza coulombiana 𝐹⃗𝑗 risentita dalla carica
j-esima è pari alla somma della forze coulombiane dovute alle restanti cariche. In
particolare, la forza 𝐹⃗𝑗𝑘 agente sulla j-esima carica per effetto della k-esima ha la stessa
espressione che avrebbe se le restanti cariche non fossero presenti. Si ha quindi:
𝑁
1 𝑞𝑗 𝑞𝑘
𝐹⃗𝑗 = ∑ 2 𝑗𝑘 ̂ .
4𝜋𝜀0 𝑗𝑘
𝑘=1
𝑘≠𝑗
concepito come una sorta di sistema solare in miniatura. Un sistema solare nel quale, ad
esempio, un nucleo carico positivamente è contornato da cariche negative. Il sistema
sarebbe stabilizzato dall’attrazione Coulombiana fra cariche di segno opposto. Cerchiamo
di capire di più su questo sistema in un caso semplice.
Supponiamo che il sistema atomico sia costituito da un nucleo carico positivamente avente
carica 𝑞 > 0 e che una particella di carica – 𝑞 e massa vi orbiti intorno. In analogia con
quanto detto per il sistema terra-sole, la forza di Coulomb rappresenta la forza centripeta
che costringe la carica negativa a muoversi di moto circolare uniforme. Imponendo che la
forza di Coulomb coincida con la forza
centripeta, otteniamo la relazione:
𝑘 𝑞2 2
𝑞 𝑅2
= 𝜔 𝑅=2
𝑅
.
1 2
𝑘 𝑞2
= .
2 2𝑅
𝐵 𝐵 𝑟𝐵
𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2
𝐿 = ∫ 𝐹⃗ ∙ 𝑑 ⃗ = ∫ ( 2
̂) ∙ ̂ 𝑑 = [ ] = .
𝐴 𝐴 𝑟𝐴 𝐵 𝐴
1 2
1 2
𝐿= 𝐵 𝐴.
2 2
1 2
𝑘 𝑞2
𝐸= .
2 𝑅
1 2
𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2
𝐸= = = .
2 𝑅 2𝑅 𝑅 2𝑅
E’ utile a questo punto osservare che la carica elettrica è una grandezza quantizzata.
Questa affermazione implica che qualsiasi carica risulta essere multipla di una carica
elementare. La carica elementare vale:
= 1,602 ∙ 10−19 𝐶.
Ne segue che l’atomo più semplice che possiamo concepire è costituito da un nucleo
carico positivamente, con carica , contornato da una carica negativa, di intensità – ,
che gli orbita intorno.
Un atomo così semplice esiste realmente ed è l’atomo d’idrogeno. Alla particella carica
positivamente si dà il nome di protone, mentre chiamiamo elettrone la carica negativa.
Classicamente l’energia dell’atomo di idrogeno vale:
𝑘 2
𝐸= .
2𝑅
L’energia dell’atomo sopra richiamata può variare con continuità. Da un punto di vista
classico, l’atomo può quindi assorbire qualsiasi quantità di energia fornita dall’esterno.
L’atomo può ricevere energia dall’ambiente esterno se sollecitato mediante
un’appropriata sorgente luminosa. Si osserva sperimentalmente che l’atomo può assorbire
energia soltanto quando interagisce con sorgenti luminose con specifiche caratteristiche
(dipendenti dall’atomo considerato).
Questa osservazione sperimentale contrasta con la visione classica sopra richiamata. In
particolare lo studio dell’interazione tra radiazione e materia (esperimenti di
spettroscopia) mostra come gli atomi rispondano soltanto a specifiche sollecitazioni.
Questa selettività nella risposta atomica alla luce non risulta spiegabile mediante la fisica
classica ed una piena comprensione richiede una trattazione quantistica del problema.
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|𝐿⃗⃗| = 𝑛ℏ
dove 𝑛 > 0 è un intero positivo. La costante di Planck ridotta ha un valore molto piccolo
(ℏ ≈ 1,05 ∙ 10−34 𝐽 ) e per valori di 𝑛 grandi (limite classico) il momento angolare
esibisce una variazione quasi continua. La natura discreta del momento angolare è invece
importante per valori di 𝑛 abbastanza piccoli.
La quantizzazione del momento angolare si scrive in forma esplicita nella forma seguente:
𝑅 = 𝑛ℏ.
(𝑛ℏ)2
𝑛 𝑅𝑛 = 𝑛ℏ 𝑛ℏ 𝑅𝑛 =
2 2 𝑛 𝑅𝑛 = 𝑛ℏ 𝑅𝑛 = 𝑘 2.
{𝑘 𝑛 →{ 2 2 →{ 𝑛 →
= 𝑛 𝑅𝑛 = 𝑘 2 𝑘 2
𝑅𝑛2 𝑅𝑛 𝑛 𝑛ℏ =𝑘
{ 𝑛 = 𝑛ℏ
Dalla soluzione trovata è evidente che non tutte le orbite classicamente permesse sono
ammissibili. Soltanto una infinità numerabile di orbite, aventi raggio 𝑅𝑛 , risultano
consentite. Per questa ragione, l’energia del sistema presenta livelli di energia discreti:
𝑘 2 𝐸0
𝐸𝑛 = =
2𝑅𝑛 𝑛2
.
(𝑘 2 )2
𝐸0 =
2ℏ2
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Questo risultato mostra che l’atomo non può assorbire arbitrarie quantità di energia.
L’orbita di raggio minore si ottiene fissando 𝑛 = 1. In questo stato l’energia del sistema
vale 𝐸0 , che corrisponde allo stato fondamentale del sistema (lo stato di minore energia).
Lo stato fondamentale è quello al quale il sistema tende se non perturbato da cause esterne.
Il raggio dell’orbita nello stato
fondamentale, detto raggio di Bohr,
𝐸 vale:
ℏ2
𝑅1 = .
𝑘 2
0 Quando si considera il valore della
massa dell’elettrone
𝑈 13,6 𝑉
= 9,109 ∙ 10−31 𝑘𝑔,
con 1 𝑉 = 1,602 ∙ 10−19 𝐽. Il raggio di Bohr rappresenta una misura delle dimensioni
tipiche di un atomo, mentre 𝐸0 rappresenta l’energia di ionizzazione dell’atomo di
idrogeno (in ottimo accordo con il valore sperimentale).
Il modello di Bohr è un modello semiclassico che recepisce sotto forma di vincolo
elementi caratterizzanti la teoria quantistica. Nonostante il successo del modello nel
rendere conto delle osservazioni sperimentali, restano problemi che non discuteremo e
che verranno risolti soltanto nel quadro della meccanica quantistica.
5. I costituenti dell’atomo
Oggi sappiamo che un atomo è costituito da un nucleo positivo e da una nuvola elettronica
negativa. Il nucleo è costituito da protoni (carica ) e neutroni di carica nulla. La nuvola
elettronica è costituita da tanti elettroni quanti sono i protoni del nucleo. Quest’ultima
proprietà garantisce la neutralità del sistema. In tabella mostriamo alcune proprietà dei
costituenti dell’atomo.
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𝒆, 𝒑, 𝒏 carica massa
elettrone 9,109 ∙ 10−31 𝑘𝑔
protone 1,673 ∙ 10−27 𝑘𝑔
neutrone 0 1,675 ∙ 10−27 𝑘𝑔
I protoni hanno una massa di circa 1836 volte maggiore di quella di un elettrone. Nella
materia cristallina i nuclei atomici sono localizzati in
reticoli geometricamente ordinati. I protoni, localizzati nel
nucleo, non sono liberi di spostarsi all’interno del materiale.
Gli elettroni, molto più leggeri, possono in principio
migrare all’interno del materiale. Lo spostamento degli
elettroni è agevole nei metalli (legame metallico), mentre
questo è molto più difficoltoso negli isolanti.
Da queste considerazioni è facile rendersi conto che gli
elettroni giocano un ruolo rilevante nei fenomeni di
trasferimento di carica tra corpi.
Dalle precedenti valutazioni appare evidente che l’attrazione gravitazionale non può
stabilizzare i nuclei atomici.
La regione nucleare è stabilizzata infatti da forze nucleari a cortissimo raggio. Queste
forze, le più intense in natura, sono dominanti alle scale subatomiche e consentono la
stabilità nucleare.
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Innanzitutto osserviamo che il sistema potrebbe essere visto come una schematizzazione
delle foglioline di un elettroscopio nell’ipotesi in cui queste siano approssimabili come
cariche puntiformi.
Il modulo della repulsione coulombiana tra le sferette vale:
𝑞2
| | 𝑘 2.
𝑥
Inoltre si ha la relazione trigonometrica
𝑥
sin .
2𝐿
Pertanto possiamo scrivere la seguente catena di uguaglianze:
| | 𝑥
tan ≈ sin .
𝑚 2𝐿
𝑘 𝑞2 𝑥 2𝐿 𝑘 2
→ 𝑥3 ( )𝑞
𝑚 𝑥2 2𝐿 𝑚
3 𝑞2 𝐿
→𝑥 √ .
2𝜋𝜀0 𝑚
Notiamo che la divaricazione 𝑥 è tanto maggiore quanto minore è la massa delle palline.
Essa inoltre aumenta con la carica.
2. Il campo elettrico
Supponiamo di poter disporre di uno spazio vuoto di dimensioni infinite e che ad un certo
istante di tempo sia creata una sorgente di carica 𝑄 in una regione di tale spazio. Sebbene
possiamo intuire che la presenza della carica modifica in qualche modo le proprietà dello
spazio circostante, non abbiamo strumenti per suffragare tale ipotesi. Gli effetti della
carica 𝑄 infatti possono essere sondati soltanto introducendo una seconda carica 𝑞. La
carica 𝑞 dovrebbe essere molto minore di 𝑄 affinché non sia essa stessa causa della
modifica delle proprietà dello spazio. Supponiamo per ragioni di convenzione che la
carica 𝑞, detta carica di prova, sia una carica puntiforme positiva. Posizioniamo quindi 𝑞
in ogni punto accessibile dello spazio e misuriamo la forza di Coulomb di cui essa risente
per effetto della carica 𝑄.
Con questa procedura stiamo evidenziando un importante ente matematico di rilevanza
fisica. Stiamo introducendo un campo vettoriale. Un campo vettoriale associa ad ogni
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punto dello spazio tridimensionale un vettore. Il vettore in questione è dato dalla forza di
Coulomb variabile punto per punto. Per questa ragione si tratta in particolare di un campo
di forze. Le forze coulombiane dipendono dalle caratteristiche della carica sorgente 𝑄 (che
ad esempio può essere un corpo esteso carico) e dall’intensità della carica di prova.
Possiamo definire un ente fisico, il campo elettrico, che dipende dalle sole proprietà della
sorgente del campo. Il campo elettrico è il campo vettoriale che si ottiene dal rapporto
(𝑥, 𝑦, )
𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, )
𝑞
(𝑥, 𝑦, )
𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) lim+ .
𝑞→0 𝑞
D’altra parte, questo limite ha solo un valore matematico in quanto 𝑞 non può assumere
valori inferiori alla carica elementare a causa della già citata quantizzazione della carica
elettrica. L’unità di misura del campo elettrico nel SI è il 𝑁/𝐶.
La specifica forma che 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) assume dipende dalle caratteristiche della sorgente.
Esiste un importante caso particolare nel quale il campo elettrico assume una forma
semplice.
Questo è il caso del campo elettrico generato da una sorgente puntiforme dotata di carica
𝑄. Fissiamo un sistema di riferimento che abbia l’origine coincidente con la sorgente del
campo. Posizioniamo la carica di prova 𝑞 in un generico punto dello spazio individuato
dal vettore . La forza di Coulomb che agisce sulla carica di prova per effetto della
sorgente è data dalla legge di Coulomb:
1 𝑄𝑞
̂.
4𝜋𝜀0 | |2
1 𝑄
𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) ̂.
4𝜋𝜀0 | |2
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1 |𝑄 |
|𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, )| ,
4𝜋𝜀0 | |2
𝑞 𝑞 1 1
𝐸⃗ (𝑃) ̂ (𝑘 𝑘 ) ̂ 𝑘𝑞 ( 2 2)
( /2)2 ( /2) 2
2 (1 2 (1
) )
2 2
2 2
̂ 𝑘𝑞 1 1 ̂ 𝑘𝑞 (1 2
) (1
2
)
( 2 2)
2 2 2 2
(1 ) (1 ) (1 ( ) )
2 2 2
( )
2
̂ 𝑘𝑞 ̂ 2𝑘 𝑞 1
2 2 2 3 2 2
(1 ( ) ) (1 ( ) )
( 2 ) ( 2 )
̂𝑞 1
3 2.
2𝜋𝜀0 2
(1 ( ) )
2
Notiamo che a grande distanza dal dipolo ( ≫ /2) il campo sull’asse può essere
approssimato dalla seguente relazione:
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1 ̂𝑞
𝐸⃗ (𝑃) ≈ .
2𝜋𝜀0 3
Il valore del campo elettrico a grandi distanze dal dipolo tende a zero più velocemente di
quanto faccia il campo generato da una carica puntiforme.
𝑞 ( ′) 𝜆 ( ′)
𝐸⃗ 𝑘 𝑘 .
| ′|2 | ′| 𝜌2 | ′|
𝜆 ′
𝐸∥ 𝐸⃗ ∙ ̂ 𝑘 ( )∙ ̂
𝜌2 | ′|
𝑞 𝜆
𝑘 2 cos
𝜆
𝑘 2 ( )
𝜌 𝜌 𝜌
′ 𝑘 3
𝜆
𝜌
𝑘
2
𝜆
2
3,
( 𝑅 )2
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′
cos ( ) ∙ ̂.
| ′|
Il campo totale generato lungo l’asse dalla distribuzione si calcola integrando su tutta la
lunghezza della circonferenza. Procedendo in questo modo si ottiene:
2𝜋𝑅
𝜆
𝐸∥ ∫ 𝐸∥ ∫ 𝑘 3
0 ( 2 𝑅 2 )2
2𝜋𝑅
𝜆 𝜆 (2𝜋𝑅) 𝑄
𝑘 3∫ 𝑘 3 𝑘 3.
( 2 𝑅 2 )2 0 ( 2 𝑅 2 )2 ( 2 2
𝑅 )2
Da un punto di vista vettoriale il campo nel punto 𝑃 si scrive ̂ 𝐸∥. Osserviamo che per
0 il campo è nullo, mentre nel limite ≫ 𝑅 si ha:
𝑘𝑞
𝐸∥ ≈ 2
.
Il precedente risultato mostra che il campo generato a grande distanza dalla spira risulta
indistinguibile da quello di una sorgente puntiforme avente la stessa carica di quella
distribuita sulla spira.
5. Una osservazione sulla neutralità della materia
Immaginiamo di poter descrivere un atomo, ad esempio
quello dell’idrogeno, come una carica elementare positiva
posta al centro di un anello uniformemente carico con carica
𝑃 negativa – e raggio 𝑅. Per il principio di sovrapposizione, il
campo generato in un punto 𝑃 lungo l’asse della spira è dato
dalla somma dei contributi al campo forniti dalla carica
positiva e dall’anello. Si ha quindi:
𝑘 𝑘 ( )
𝐸⃗ ̂( 2 3 ).
( 2 2
𝑅 )2
𝑅
Osserviamo che nel limite di grande distanza si ha:
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lim 𝐸⃗ 0.
𝑧→∞
Questo è il motivo per il quale la materia appare neutra nonostante sia costituita di cariche
positive e negative.
6. Campo generato da un disco
uniformemente carico
Vogliamo calcolare il campo generato da un disco
di raggio 𝑅 uniformemente carico in un punto di
un asse ad esso ortogonale e passante per il centro
𝑃 del disco. Il problema può essere risolto
ricorrendo al precedente risultato. Il contributo al
campo lungo l’asse dovuto ad un sottile anello
vale:
𝑞
𝐸 𝑘 3,
𝑅 ( 2 2 )2
𝑅 𝑧 2 +𝑅 2
𝜎 (2𝜋 ) 𝜎 𝑦 𝜎
𝐸 ∫ 𝐸 ∫ 3 ∫ 3 (1 ).
4𝜋 𝜀0 0 ( 2 2 )2 4 𝜀 0 𝑧2 (𝑦 )2 2 𝜀0 √ 2 𝑅2
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Notiamo che considerando il limite di raggio infinito si ottiene il campo che genererebbe
un piano uniformemente carico. In questo limite abbiamo:
𝜎
lim 𝐸 .
𝑅→∞ 2 𝜀0
Allo stesso valore si giunge anche nel limite → 0.
Esercizio
Scriviamo il secondo principio della dinamica per la particella. Proiettando lungo gli assi
otteniamo:
𝑥̂: 𝑚 𝑥 0
𝑞𝐸 .
𝑦 𝑦̂: 𝑚 ( 𝐸 )( 𝑞)
𝑦 𝑞𝐸 →
𝑚
Osserviamo che il moto della particella lungo l’asse 𝑥 è rettilineo uniforme, mentre il moto
lungo l’asse 𝑦 è uniformemente accelerato. Di qui e dalle condizioni iniziali seguono le
relazioni cinematiche:
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𝑥( ) 𝑣
1 2.
𝑦 𝑦( )
2
Definiamo il tempo ∗ nel quale la particella ha percorso la distanza orizzontale 𝐿 𝑣 ∗.
Utilizzando le precedenti relazioni cinematiche si ottiene
∗)
1 ∗2
1 𝑞𝐸 𝐿 2
𝑦( 𝑦 ( )( ) ,
2 2 𝑚 𝑣
che rappresenta proprio la deflessione cercata.
Quesito 1
Una carica positiva è uniformemente distribuita secondo la
geometria indicata in figura. Sia 𝜆 la densità lineare di carica. Sia
il sistema posto nel vuoto. Dimostrare quanto segue.
3𝜆
La carica totale distribuita sul sistema vale: 𝑄 = 𝜋𝑅
2
La componente 𝑥 del campo elettrico nell’origine del sistema di
𝜆
riferimento vale:
4𝜋𝜀0 𝑅
La componente 𝑦 del campo elettrico nell’origine del sistema di riferimento
𝜆
vale:
4𝜋𝜀0 𝑅
Svolgimento
3
La lunghezza del segmento circolare su cui è distribuita la carica vale 𝐿 = 𝜋𝑅. Pertanto
2
3𝜆
la carica totale vale 𝑄 = 𝜆𝐿 = 𝜋𝑅.
2
Quesito 2
La carica positiva 𝑄 è distribuita sul segmento di
lunghezza 𝐿 mostrato in figura. Sia 𝜆(𝑥) = 𝑏|𝑥| la
densità lineare di carica, con 𝑏 un parametro noto ed
|𝑥| la funzione valore assoluto di 𝑥. Sia il sistema
posto nel vuoto. Dimostrare quanto segue.
La carica 𝑄 in funzione di 𝑏 vale: 𝑄 = 𝑏𝐿2 /4
La componente 𝑦 del campo elettrico nel punto 𝑃
2
√1+ 𝐿 2 − 1
2𝑄 4ℎ
vale: 𝐸𝑦 = [ ]
𝜋𝜀0 𝐿2 2
√1+ 𝐿 2
4ℎ
Svolgimento
La carica totale distribuita sul sistema segue dall’integrale:
𝐿/2
𝑄=∫ 𝜆(𝑥) 𝑑𝑥 = 𝑏𝐿2 /4.
−𝐿/2
Dalla simmetria del problema appare evidente che la componente 𝑥 del campo elettrico in
𝑃 è nulla, mentre resta da calcolare la sola componente 𝑦. Il campo elettrico generato dalla
distribuzione di carica segue dalla relazione:
1 𝜆(𝑥′) (𝑟 − 𝑟′)
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝑥′ .
4𝜋𝜀0 |𝑟 − 𝑟′|3
Riconoscendo i vettori 𝑟 = (0, ℎ) e 𝑟′ = (𝑥′, 0) con ℎ > 0, la relazione precedente
diviene:
3
Esempi di calcolo del campo elettrico
1 𝜆(𝑥′) 𝑥′ 1 𝜆(𝑥′) ℎ
𝐸⃗ = [− ∫ 𝑑𝑥′ 2 ] 𝑥
̂ + [ ∫ 𝑑𝑥′ ] 𝑦̂
4𝜋𝜀0 (𝑥′ + ℎ2 )3/2 4𝜋𝜀0 (𝑥′2 + ℎ2 )3/2
1 𝜆(𝑥′) ℎ
=[ ∫ 𝑑𝑥′ 2 ] 𝑦̂,
4𝜋𝜀0 (𝑥′ + ℎ2 )3/2
dove abbiamo usato il fatto che la componente 𝑥 del campo è nulla in quanto la funzione
integranda è dispari su dominio di integrazione pari. Per la componente 𝑦 abbiamo:
𝐿/2
1 𝜆(𝑥′) ℎ 𝑏ℎ 𝐿/2 2 𝑥′𝑑𝑥′
𝐸𝑦 = ∫ 𝑑𝑥′ 2 = ∫ .
4𝜋𝜀0 −𝐿/2 (𝑥′ + ℎ2 )3/2 4𝜋𝜀0 0 (𝑥′2 + ℎ2 )3/2
√ 𝐿2
𝑏 + √ℎ2−ℎ 2𝑄 𝐿2 /4 1 + − 1
4ℎ2
= [ ]= .
2𝜋𝜀0 √ℎ2 + 𝐿2 /4 𝜋𝜀0 𝐿2 𝐿2
√1 + 2
[ 4ℎ ]
Notiamo che la precedente nel limite ℎ → ∞ tende al valore asintotico:
1 𝑄
𝐸𝑦 ≈ .
4𝜋𝜀0 ℎ2
Nell’ottenere il precedente risultato si è utilizzato lo sviluppo:
𝑎
√1 + 𝑎 ≈ 1 +
2
𝐿2
con 𝑎 = una quantità infinitesima limite ℎ → ∞.
4ℎ2
Quesito 3
Una carica positiva è uniformemente distribuita sul segmento lungo 𝐿 mostrato in figura.
Sia 𝜆 la densità lineare di carica. Sia il sistema posto nel vuoto. Dimostrare quanto segue.
La componente 𝑥 del campo elettrico nel punto indicato vale: 𝐸𝑥 =
𝜆 1 1
[ − ]
4𝜋𝜀0 √(𝑎−𝐿)2 +ℎ 2 √𝑎2 +ℎ2
4
Esempi di calcolo del campo elettrico
𝑑𝑡 𝑡
Suggerimento: 𝐼 = ∫ (𝑡 2 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
+𝑏 2 )3/2 𝑏2 √𝑡 2 +𝑏2
Svolgimento
I punti 3, 4 e 5 sono facilmente dimostrabili una volta dimostrati i punti 1 e 2 sui quali ci
concentriamo. Il campo elettrico può essere calcolato a partire dalla definizione:
1 𝜆 (𝑟 − 𝑟′)
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝑥′ ,
4𝜋𝜀0 |𝑟 − 𝑟′|3
dove 𝑟 = (𝑎, ℎ) e 𝑟′ = (𝑥′, 0) con 𝑎, ℎ > 0. Dalla geometria del problema possiamo
riscrivere la precedente come segue:
1 𝜆 (𝑎 − 𝑥 ′ , ℎ)
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝑥′ .
4𝜋𝜀0 [(𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 ]3/2
Pertanto le componenti del campo elettrico cercate possono scriversi nella forma seguente:
𝐿
𝜆 𝑎 − 𝑥′
𝐸𝑥 = ∫ 𝑑𝑥′ ,
4𝜋𝜀0 0 [(𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 ]3/2
𝜆ℎ 𝐿 𝑑𝑥′
𝐸𝑦 = ∫ .
4𝜋𝜀0 0 [(𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 ]3/2
Occupiamoci separatamente del calcolo delle due componenti del campo elettrico,
partendo dalla componente 𝑥.
5
Esempi di calcolo del campo elettrico
Valutiamo il campo nel punto (𝐿/2, ℎ) ed effettuiamo il limite per 𝐿 → ∞. In questo modo
si ottiene il campo elettrico generato a distanza ℎ da un filo di lunghezza infinita avente
distribuzione di carica uniforme. Procedendo in questo modo otteniamo:
𝐸𝑥 = 0,
𝜆 𝐿 𝜆 .
𝐸𝑦 = lim =
𝐿→∞ 4𝜋𝜀0 ℎ 2 2𝜋𝜀0 ℎ
√(𝐿) + ℎ2
[ 2 ]
1
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Di conseguenza abbiamo:
𝑑𝑟 𝑥 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3 = (𝑟 2 + 𝑧 2 )3/2
𝑟⃗ − 𝑟⃗ ′ = (−𝑟 cos 𝜃 , −𝑟 sin 𝜃 , 𝑧).
𝑑𝑆 ′ = 𝑟 𝑑𝜃𝑑𝑟
Utilizzando le precedenti possiamo scrivere il campo elettrico nella forma:
𝜎 (−𝑟 cos 𝜃 , −𝑟 sin 𝜃 , 𝑧)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝑟 𝑑𝜃𝑑𝑟.
4𝜋𝜀0 (𝑟 2 + 𝑧 2 )3/2
E’ facile convincersi del fatto che le componenti 𝑥 e 𝑦 del campo sono nulle. Infatti
abbiamo:
∞ 2𝜋
𝜎 𝑟 2 cos 𝜃 𝜎 𝑟 2 𝑑𝑟
𝐸𝑥 = − ∫ 3 𝑑𝜃𝑑𝑟 = − 4𝜋𝜀 ∫ 3 ∫ cos 𝜃𝑑𝜃 = 0
4𝜋𝜀0 2 2 0 0 2 2
(𝑟 + 𝑧 ) 2 (𝑟 + 𝑧 )2 0
.
𝜎 𝑟 2 sin 𝜃
𝐸𝑦 = − ∫ 3 𝑑𝜃𝑑𝑟 = 0
4𝜋𝜀0 2 2
(𝑟 + 𝑧 )2
Resta da calcolare la componente 𝑧 del campo. Essa vale:
3
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𝜎 𝑧 𝜎𝑧 2𝜋 ∞
𝑟𝑑𝑟
𝐸𝑧 = ∫ 2 𝑟 𝑑𝜃𝑑𝑟 = ∫ 𝑑𝜃 ∫
4𝜋𝜀0 (𝑟 + 𝑧 2 )3/2 4𝜋𝜀0 0 2 2 3/2
0 (𝑟 + 𝑧 )
∞
𝜎𝑧 𝑟𝑑𝑟
= ∫ .
2𝜀0 0 (𝑟 2 + 𝑧 2 )3/2
L’integrale si risolve mediante il cambio di variabili 𝑦 = 𝑟 2 + 𝑧 2 con 𝑑𝑦 = 2𝑟𝑑𝑟. Nella
nuova variabile si ha:
∞
𝜎𝑧 ∞ −3/2 𝜎𝑧 1 𝜎 𝑧 𝜎
𝐸𝑧 = ∫ 𝑦 𝑑𝑦 = − [ ] = = 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧).
4𝜀0 𝑧 2 2𝜀0 √𝑦 2𝜀0 |𝑧| 2𝜀0
𝑧2
𝑑𝑞 𝑟⃗ − 𝑟⃗′
dall’espressione generale:
1 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′ ,
𝑟⃗′ 𝑟⃗ 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
che è tuttavia fortemente dipendente dalle
caratteristiche della sorgente. In accordo
con i risultati dei precedenti sviluppi
formali è lecito attendersi che il campo
elettrico a grandi distanze dalla sorgente non dipenda da tutti i dettagli della distribuzione,
ma soltanto da pochi stimatori della distribuzione.
Osserviamo che a grande distanza la sorgente apparirebbe come un puntino privo di
dimensioni. Sotto tale ipotesi si avrebbe |𝑟⃗| ≫ |𝑟⃗′|. L’approssimazione di ordine zero del
campo si ottiene assumendo 𝑟⃗ − 𝑟⃗′ ≈ 𝑟⃗. Con questa posizione otteniamo:
1 𝑟⃗ 1 𝑟⃗ 𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) ≈ ∫ 3 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′ = ∫ 𝜌(𝑟
⃗′) 𝑑𝑉 ′
= ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
dove
4
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𝑄 = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′
con 𝛼 ∈ {1,2,3} e 𝑔⃗(𝑟⃗, 𝑟⃗′) = (𝑔1 (𝑟⃗, 𝑟⃗′), 𝑔2 (𝑟⃗, 𝑟⃗′), 𝑔3 (𝑟⃗, 𝑟⃗′)). Inoltre si ha:
𝑟⃗
𝑔⃗(𝑟⃗, 0) = .
|𝑟⃗|3
Il calcolo diretto mostra che le derivate parziali possono essere scritte nella forma generale
seguente:
𝜕𝑔𝛼 (𝑟⃗, 𝑟⃗′) 𝛿𝛼𝛽 3𝑥𝛼 𝑥𝛽
( ) =− + ,
𝜕𝑥𝛽 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
⃗′ 𝑟 =0
dove abbiamo introdotto la notazione 𝑥1 = 𝑥′, 𝑥2 = 𝑦′, 𝑥3 = 𝑧′, mentre il simbolo 𝛿𝛼𝛽
indica la funzione delta di Kronecker di indici 𝛼 e 𝛽. La funzione delta vale 1 se gli indici
coincidono, altrimenti vale zero. Dalle precedenti otteniamo la relazione approssimata:
(𝑟⃗ − 𝑟⃗′) 𝑟⃗ 𝑟⃗′ 3𝑟⃗ ∙ 𝑟⃗′
≈ − + ( ) 𝑟⃗.
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗𝑀 (𝑟⃗) =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
.
1 𝑝⃗ 3𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗
𝐸⃗⃗𝐷 (𝑟⃗) = {− 3 + ( 5 ) 𝑟⃗}
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Il primo termine, già ottenuto in apertura, è detto termine di monopolo, mentre il secondo
è il termine di dipolo. L’espressione in campo lontano del campo elettrico dipende dalle
due quantità:
𝑄 = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′
,
′
𝑝⃗ = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑟⃗′ 𝑑𝑉
𝑄 = ∑ 𝑞𝑖
𝑖=1
𝑁 .
𝑝⃗ = ∑ 𝑟⃗𝑖 𝑞𝑖
𝑖=1
Nel caso in cui la distribuzione sia costituita di due cariche di segno opposto e uguale
modulo (dipolo elementare) si ha 𝑄 = 0 e 𝑝⃗ = 𝑞(𝑟⃗+ − 𝑟⃗− ). Risultato in accordo con la
nostra definizione di momento di dipolo elettrico.
L’analisi formale fin qui esposta, quando sviluppata a tutti gli ordini, prende il nome di
sviluppo in multipoli.
1
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𝐿 2 𝐿3
[Φ𝑆 (𝑣⃗)] = [|𝑣⃗|𝑆 cos 𝜃] = [|𝑣⃗|][𝑆] = 𝐿 = .
𝑇 𝑇
Nel SI l’unità di misura del flusso di un campo di velocità è il 𝑚3 /𝑠, unità legata
all’attraversamento della superficie di un dato volume di fluido per unità di tempo. Questo
ci lascia intuire come il concetto matematico di flusso sia legato all’attraversamento di
una superficie orientata.
Se la superficie attraverso la quale si voglia valutare il flusso non è una superficie piana,
il versore normale non è globalmente definito. Per questa ragione la definizione di flusso
sopra data deve essere rivista per includere questo caso generale. Tale definizione può
però applicarsi localmente. Partizionando la superficie in porzioni infinitesime
2
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approssimabili con il piano tangente, è possibile individuare versori normali per ogni
punto della superficie. Inoltre, in virtù di tale procedura, è anche possibile rimuovere
l’ipotesi di campo vettoriale spazialmente uniforme.
Il concetto di flusso introdotto inizialmente deve essere applicato ad ogni porzione
infinitesima della superficie che è localmente approssimabile come piana. Il flusso
infinitesimo attraverso una di queste superfici elementari vale:
𝑛̂ 𝑑Φ = 𝑣⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗.
𝑣⃗ 𝜃 Il flusso totale attraverso l’intera superficie si
𝑛̂ ottiene integrando:
𝑣⃗ 𝑛̂
𝑑𝑆 Φ𝑆 (𝑣⃗) = ∫ 𝑑Φ = ∫ 𝑣⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗,
𝑣⃗
𝑛̂ 𝑆 𝑆
Φ𝑆 (𝑣⃗) = ∮ 𝑣⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗,
𝑆
che indica il flusso netto del campo attraverso la superficie orientata. In quest’ultimo caso
si è soliti scegliere le normali uscenti dalla superficie.
Il concetto di flusso appena introdotto è in grado di mettere in evidenza una proprietà
notevole del campo elettrico.
1 𝑄
𝑛̂ 𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2
dove abbiamo introdotto il versore
𝑛̂
𝑟⃗
𝑅 𝑟̂ =
|𝑟⃗|
.
∫ 𝑑𝑆 = 4𝜋𝑅2 .
𝑆
Si è inoltre osservato che il modulo del campo elettrico non dipende dal punto considerato
sulla superficie sferica e vale
1 |𝑄|
.
4𝜋𝜀0 𝑅2
Siamo quindi giunti all’importante conclusione che, sotto le ipotesi fatte, vale la relazione:
𝑄
Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = ,
𝜀0
risultato quest’ultimo che non dipende dal raggio della superficie sferica considerata. Il
valore del flusso risulta positivo o negativo a seconda del segno della carica 𝑄.
4
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Il risultato appena trovato può essere compreso più profondamente adottando un punto di
vista differente. Questo richiede l’introduzione del concetto di angolo solido.
4. Riesame del flusso del campo elettrico prodotto da una sorgente puntiforme
Riesaminiamo il problema della determinazione del flusso del campo elettrico generato
da una sorgente puntiforme alla luce del concetto di angolo solido. Ripercorrendo la
precedente dimostrazione abbiamo:
5
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1 𝑄 𝑄 𝑟̂ ∙ 𝑑𝑆⃗ 𝑄 𝑑𝑆
Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∮ ( 𝑟̂ ) ∙ ⃗
𝑑𝑆 = ∮ ( ) = ∮ ( )
𝑆 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2
𝑄 𝑄 𝑄
=∫ ( ) 𝑑Ω = ( ) ∫ 𝑑Ω = ,
Ω 4𝜋𝜀0 4𝜋𝜀0 Ω 𝜀0
dove abbiamo utilizzato
∫ 𝑑Ω = 4𝜋.
Ω
Il precedente risultato può anche essere messo in forma differenziale secondo la scrittura:
𝑄
𝑑Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = 𝑑Ω.
4𝜋𝜀0
Questa relazione mette in evidenza la natura speciale dei campi vettoriali che dipendono
dall’inverso del quadrato della distanza. Solo in
presenza di tale dipendenza è possibile ricostruire
𝜃 𝑛̂ l’angolo
𝐸solido infinitesimo all’interno
dell’integrale del flusso. Questa osservazione è
𝑑𝑆⃗ = 𝑛̂ 𝑑𝑆 carica di conseguenze che nel seguito esporremo.
𝐸⃗⃗ = ∑ 𝐸⃗⃗𝑘 .
𝑘=1
Pertanto il flusso del campo prodotto da 𝑁 cariche interne ad una arbitraria superficie
chiusa è dato dalla somma algebrica delle cariche (prese con il loro segno) divisa per la
costante dielettrica del vuoto.
8. Il teorema di Gauss
I risultati parziali fin qui ottenuti procedendo per gradi sono aspetti particolari del più
generale teorema di Gauss. Esso afferma che
Il flusso del campo elettrico nel vuoto attraverso una superficie chiusa (detta superficie
gaussiana) è pari alla somma algebrica delle cariche interne a detta superficie divisa per
la costante dielettrica del vuoto e si scrive
𝑄𝑖𝑛𝑡
ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ,
Σ 𝜀0
dove 𝑄𝑖𝑛𝑡 = ∑𝑘 𝑄𝑘 rappresenta la somma algebrica delle cariche interne alla superficie.
La eventuale presenza di cariche esterne alla superficie non contribuisce al flusso. Il
teorema che abbiamo provato nel caso di sorgenti puntiformi vale anche per corpi carichi
estesi.
8
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Il teorema consente inoltre di determinare in modo semplice il valore del campo elettrico
prodotto da una assegnata sorgente laddove il sistema presenti un’appropriata simmetria.
In quest’ultima situazione è infatti possibile scegliere una superficie gaussiana sulla quale
sia costante punto per punto il modulo del campo elettrico. Con questa condizione il
calcolo del flusso diviene immediato. Nel seguito mostreremo specifiche applicazioni di
questa idea.
9. Campo elettrico generato da una sfera uniformemente carica
Un interessante problema è quello di determinare il campo elettrico generato da una sfera
di raggio 𝑅 sulla quale sia uniformemente distribuita una carica 𝑄. Sia 𝜌 la densità di
carica per unità di volume definita dalla
relazione 𝑄 = 𝜌𝑉. Inoltre il volume
Σ della sfera vale
4
𝑟 𝑉 = 𝜋𝑅 3 .
3
𝑟 Σ
Ci troviamo di fronte ad un problema a
𝑞 𝑟
simmetria sferica e pertanto ci
aspettiamo che anche il campo elettrico
𝑅 𝑅 risenta di tale simmetria. Calcoliamo
dapprima il campo elettrico interno alla
sfera. Applichiamo quindi il teorema di
Gauss utilizzando come superficie
gaussiana una superficie sferica orientata di generico raggio 𝑟 < 𝑅 e centrata nel centro
della distribuzione di carica. La simmetria ci assicura che il modulo del campo elettrico è
costante sulla superficie gaussiana scelta. Dal teorema di Gauss abbiamo la relazione:
4 𝜌𝑟
|𝐸⃗⃗ |4𝜋𝑟 2 = 𝜋𝑟 3 𝜌 → |𝐸⃗⃗ | = .
3𝜀0 3𝜀0
Ne segue che il campo interno (𝑟 < 𝑅) alla distribuzione di carica vale:
𝜌𝑟 𝑄𝑟
𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ = 𝑟̂ .
3𝜀0 4𝜋𝜀0 𝑅3
Consideriamo adesso un punto esterno (𝑟 > 𝑅) alla distribuzione di carica ed una
superficie gaussiana sferica passante per tale punto e centrata nel centro della
distribuzione di carica. Applicando ancora una volta il teorema di Gauss possiamo
scrivere:
𝑄 𝑄
|𝐸⃗⃗ |4𝜋𝑟 2 = → |𝐸⃗⃗ | = .
𝜀0 4𝜋𝜀0 𝑟 2
Ne segue che il campo esterno (𝑟 > 𝑅) alla distribuzione di carica vale:
𝑄
𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ .
4𝜋𝜀0 𝑟 2
Abbiamo dimostrato che il campo esterno ad una distribuzione di carica a simmetria
sferica è indistinguibile da quello che genererebbe una carica puntiforme di pari carica
posta nel centro della distribuzione.
Questa osservazione giustifica l’uso di sferette cariche nella verifica sperimentale della
legge di Coulomb (che richiederebbe a rigore cariche puntiformi).
possibile valutare il campo elettrico nei pressi della superficie utilizzando il teorema di
Gauss. Consideriamo la superficie gaussiana cilindrica mostrata in figura e applichiamo
il teorema di Gauss. Sia 𝑆 l’area di base del cilindro. Il campo elettrico è ortogonale alla
superficie del conduttore. Se non lo fosse le componenti parallele alla superficie
causerebbero un moto di cariche. Dal teorema di Gauss possiamo scrivere:
ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) =
𝜎𝑆
,
𝜀0
𝑆 Σ dove la quantità 𝜎𝑆 rappresenta la carica totale
+ + + ++ + + + + +
𝐸 racchiusa dalla superficie gaussiana. Dalle
precedenti otteniamo il risultato:
+ + +
𝑆 𝜎
𝐸⃗⃗ = 𝑛̂,
𝜀0
𝐸𝑖𝑛𝑡 = 0 dove 𝜎 rappresenta la densità locale di carica.
1
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni
Esercizio 1
Calcoliamo mediante applicazione del teorema di Gauss il campo elettrostatico generato
da un piano infinito uniformemente carico avente densità superficiale di carica 𝜎 > 0.
Osserviamo che per ragioni di simmetria il campo risulta ortogonale alla superficie.
Calcoliamo quindi il flusso del campo elettrico utilizzando una superficie gaussiana
cilindrica. Il flusso attraverso la superficie laterale del cilindro è nullo, essendo il campo
ortogonale alla normale di detta superficie. Il campo
𝑧 risulta invece parallelo alle normali delle due basi del
cilindro. Il flusso del campo attraverso le basi del
𝜎>0 cilindro, che coincide con il flusso totale attraverso
la superficie gaussiana, vale quindi:
𝑛̂
𝐸 ΦΣ (𝐸⃗ ) = 2|𝐸⃗ |𝑆.
Σ D’altra parte la carica racchiusa in Σ vale 𝑄 = 𝜎𝑆.
𝑄 = 𝜎𝑆 Utilizzando il teorema di Gauss abbiamo la
relazione:
𝑆
𝜎𝑆 𝜎
2|𝐸⃗ |𝑆 = → |𝐸⃗ | = .
𝜀0 2𝜀0
In forma vettoriale abbiamo:
𝜎
𝐸⃗ = 𝑛̂ 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧).
2𝜀0
Questo risultato è stato già ottenuto ricorrendo a laborioso calcolo esplicito. L’attento
lettore noterà un fattore due di differenza rispetto al risultato del teorema di Coulomb.
Qual è l’origine di tale fattore?
Esercizio 2
Una carica positiva è uniformemente distribuita con
→ 𝐸 densità di carica lineare 𝜆 su un filo di lunghezza
infinita. Calcolare il valore del campo elettrico.
𝑛̂ 𝑛̂ Consideriamo una superficie gaussiana cilindrica di
Σ altezza infinita come mostrato in figura. Il campo
elettrico è di natura puramente radiale per ragioni di
2
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni
simmetria e risulta parallelo alle normali esterne della superficie cilindrica. Applicando il
teorema di Gauss si ottiene:
𝑄𝑖𝑛𝑡 𝜆 𝜆
|𝐸⃗ |(2𝜋 ) = → |𝐸⃗ |(2𝜋 ) = → |𝐸⃗ | = .
𝜀0 𝜀0 2𝜋𝜀0
Dalla precedente abbiamo:
𝜆
𝐸⃗ = ̂.
2𝜋𝜀0
Quanto varrebbe il campo elettrico interno ed esterno ad un cilindro di lunghezza infinita
uniformemente carico?
Esercizio 3
Consideriamo un modello semplificato di atomo (con numero atomico 𝑍) nel quale il
nucleo è rappresentato da una carica puntiforme positiva pari a 𝑍𝑒 circondata una
distribuzione uniforme di carica negativa −𝑍𝑒 distribuita su una sfera di raggio 𝑅. Si vuole
conoscere il campo elettrico interno alla
distribuzione sferica.
Il campo risultante dal principio di sovrapposizione risulta essere somma dei precedenti:
1.0 𝑍𝑒 ̂ 1
𝐸⃗ = 𝐸⃗+ 𝐸⃗− = ( − )
0.8 4𝜋𝜀0 2 𝑅3
3
𝑍𝑒 ̂
0.6 = (1 − 3 )
4𝜋𝜀0 2 𝑅
gr
0.4
𝑍𝑒 ̂
≡ 𝑔( ),
0.2 4𝜋𝜀0 2
0.0
0.0 0.2 0.4 0.6
dove ≤ 𝑅 e 𝑔( ) è una funzione che descrive
0.8 1.0
rR lo schermaggio della carica del nucleo da parte
degli elettroni. Si osserva inoltre che 𝑔(0) = 1 e 𝑔(𝑅) = 0. Queste osservazioni
sembrano giustificare il fatto che gli elettroni più interni sono maggiormente legati al
nucleo di quelli periferici.
Figura 1 Superficie infinitesima 𝑑𝑆 (in colore ove 𝑑𝑆 è l’elemento di superficie, disegnato in colore
rosa) costruita facendo ruotare un segmento di arancio nella fig. 1, ottenuto dalle due rotazioni
lunghezza nella direzione dell’angolo di zenit
𝜃 di 𝑑𝜃 e la proiezione di sul piano − di infinitesime mostrate nella figura stessa. Come si può
un angolo 𝑑𝜑.
evincere dalla fig. 1, allora, possiamo porre:
(𝑟 sin 𝜃 d𝜑)(𝑟 d𝜃)
𝑑Ω = = sin 𝜃 d𝜃 d𝜑. (2)
𝑟2
4
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni
Possiamo adesso far riferimento alla fig. 2, dove viene rappresentato un volumetto
infinitesimo 𝑑𝑉 di una sfera. Procedendo come prima, scriviamo:
𝑉 = ∫ 𝑑𝑉 = ∭( sin 𝜃 d𝜑)( d𝜃)d . (5)
E perciò:
𝑅 2 𝜋 2𝜋 4𝜋
𝑉 = ∫0 d ∫0 sin 𝜃 d𝜃 ∫0 d𝜑 = 𝑅3 . (6)
3
2. Le coordinate sferiche
Immaginiamo adesso di voler rappresentare,
in coordinate sferiche, le coordinate cartesiane
del punto , ossia ( 𝑃 , 𝑃 , 𝑧𝑃 ), così come
mostrato in fig. 3. In tali coordinate
utilizziamo le grandezze , 𝜃 e 𝜑 che
rappresentano, rispettivamente, la distanza di
da l’origine 𝑂, l’angolo di zenit e l’angolo
di azimut. Non è difficile, per mezzo di
Figura 3 Le coordinate sferiche: rappresentazione
grafica delle grandezze , 𝜃, 𝜑.
considerazioni trigonometriche elementari,
ricavare le seguenti relazioni:
5
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni
𝑃 = sin 𝜃 cos 𝜑
{ 𝑃 = sin 𝜃 sin 𝜑 . (7)
𝑧𝑃 = cos 𝜃
Come utile esercizio, si può notare che
2 2
=√ 𝑃 𝑃 𝑧𝑃2
−1 𝑧𝑃
𝜃 = cos
2 +𝑦 2 +𝑧 2 .
√𝑥𝑃 (8)
𝑃 𝑃
𝑦𝑃
{ 𝜑 = tan−1
𝑥𝑃
3. Le coordinate cilindriche
Immaginiamo di voler rappresentare, in coordinate cilindriche, le coordinate cartesiane
del punto , ossia ( 𝑃 , 𝑃 , 𝑧𝑃 ), così come mostrato in fig. 4. In coordinate cilindriche
utilizziamo le grandezze 𝜌, 𝜃 e 𝑧 che rappresentano, rispettivamente, la distanza di
dall’asse 𝑧, l’angolo di azimut e la quota del punto. Non è difficile, per mezzo di
considerazioni trigonometriche elementari, ricavare le seguenti relazioni:
𝑃 = 𝜌 cos 𝜃
{ 𝑃 = 𝜌 sin 𝜃 . (10)
𝑧𝑃 = 𝑧
Come utile esercizio, si può notare che
𝜌 = √ 𝑃2 𝑃
2
{ 𝜃 = tan−1 𝑦𝑃 . (11)
𝑥𝑃
𝑧 = 𝑧𝑃
Figura 4 Le coordinate cilindriche:
rappresentazione grafica delle grandezze 𝜌, 𝜃, 𝑧. Come ultima osservazione possiamo notare che,
in questo caso, si ha:
6
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni
𝑑𝑆 = 𝜌 d𝜃 d𝑧
{ , (12)
𝑑𝑉 = 𝜌 d𝜌 d𝜃 d𝑧
che rappresentano, in coordinate cilindriche, rispettivamente, gli elementi infinitesimi di
superficie e di volume.
1
Campo elettrico generato da un guscio sferico: calcolo diretto
𝜋
sin 𝜃
𝐹(𝑅, 𝑧) = ∫ 2 2 3/2
𝑑𝜃
0 (𝑅 + 𝑧 − 2𝑅𝑧 cos 𝜃)
𝜋 .
sin 𝜃 cos 𝜃
𝐺(𝑅, 𝑧) = ∫ 2 2 3/2
𝑑𝜃
0 (𝑅 + 𝑧 − 2𝑅𝑧 cos 𝜃)
Per rispondere a questa domanda supponiamo che 𝐸⃗⃗ sia un campo elettrostatico. Questo
implica che la distribuzione di cariche che genera il campo non varia nel tempo, ossia, che
il campo 𝐸⃗⃗ non dipende dal tempo.
Nel corso di Fisica I abbiamo imparato che, per un campo di forze conservativo, si ha:
(i) Il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ lungo un percorso chiuso è pari a zero, ossia:
∮ 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗ = 0. (4a)
(ii) Il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ non dipende dal cammino, ossia, detti e A e B due
punti nello spazio, e individuati due cammini diversi, 𝐶1 e 𝐶2 , per andare da A a B, si ha:
2
Corso di Fisica II per Ingegneria Elettronica - a.a. 2020/21
𝐵 𝐵
∫𝐴 (𝐶 ) 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗ = ∫𝐴 (𝐶 ) 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗. (4b)
1 2
In questo modo, il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ dipende solo dalle coordinate dei punti
A e B.
(iii) Il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ può essere espresso in termini dell’energia potenziale
𝑈 come segue:
𝐵
𝐿𝐴𝐵 = ∫𝐴 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗ = −(𝑈(𝐵) − 𝑈(𝐴)) (4c)
Nel seguito specializzeremo queste proprietà al caso del campo 𝐸⃗⃗ .
⃗⃗ = 0.
∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑ℓ
𝑖≡𝑓
Questo risultato si enuncia dicendo che la circuitazione del campo elettrostatico è nulla
qualsiasi sia la curva chiusa scelta per il suo calcolo. La precedente è diretta conseguenza
della conservatività del campo elettrico.
I precedenti risultati sono stati ottenuti considerando il campo elettrico prodotto da una
singola sorgente. Qualora siano presenti 𝑁 sorgenti con cariche 𝑞1 , … , 𝑞𝑁 poste nelle
posizioni definite dai vettori 𝑟⃗1 , … , 𝑟⃗𝑁 , i precedenti risultati si generalizzano utilizzando il
principio di sovrapposizione. In questo modo concludiamo che il potenziale elettrico nel
caso di una distribuzione discreta di carica vale:
𝑁
𝑘 𝑞𝑖
𝑉(𝑟⃗) = ∑ .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗𝑖 |
𝑖=1
Se le cariche sono così piccole e numerose da poter essere descritte, rispetto ad una
appropriata scala di lunghezza, mediante una distribuzione continua di carica, il contributo
infinitesimo al potenziale si scrive nella forma:
𝑘 𝑑𝑞′
𝑑𝑉 = .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
La carica infinitesima 𝑑𝑞’ può essere scritta, a seconda dei casi, in termini della densità
lineare, superficiale o volumica di carica secondo le relazioni:
𝑑𝑞 ′ = 𝜆(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑙′
𝑑𝑞 ′ = 𝜎(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑆′ .
𝑑𝑞 ′ = 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝒱′
4
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Dalle precedenti, fissando lo zero del potenziale all’infinito (se possibile), si ottengono le
seguenti espressioni:
𝑘 𝜆(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑙′
𝑉(𝑟⃗) = ∫
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
𝑘 𝜎(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑆′
𝑉(𝑟⃗) = ∫ ,
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
𝑘 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝒱′
𝑉(𝑟⃗) = ∫
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove l’integrazione è estesa alla regione spaziale che definisce la geometria della sorgente.
Talvolta è necessario fissare lo zero del potenziale in un punto dello spazio a distanza
finita dalla sorgente. Integrando il contributo infinitesimo al potenziale abbiamo:
𝑘 𝑑𝑞′
𝑉(𝑟⃗) = ∫ + 𝐶,
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove 𝐶 è una costante di integrazione. La costante può essere fissata imponendo che il
potenziale si annulli nel punto 𝑟⃗0 cosicché si abbia 𝑉(𝑟⃗0 ) = 0. Questa condizione implica
𝑘 𝑑𝑞′ 𝑘 𝑑𝑞 ′
𝑉(𝑟⃗0 ) = ∫ + 𝐶 = 0 → 𝐶 = −∫ .
|𝑟⃗0 − 𝑟⃗′| |𝑟⃗0 − 𝑟⃗′|
Utilizzando il risultato intermedio precedente abbiamo:
𝑘 𝑑𝑞′ 𝑘 𝑑𝑞 ′
𝑉(𝑟⃗) = ∫ −∫ .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| |𝑟⃗0 − 𝑟⃗′|
La scelta al finito dello zero del potenziale risulta obbligata quando il potenziale è una
funzione che diverge all’infinito, cosa che effettivamente si verifica quando consideriamo
distribuzioni di carica aventi almeno una dimensione infinita (e.g. un filo infinito
uniformemente carico).
Il potenziale 𝑉(𝑟⃗) è una funzione scalare delle coordinate spaziali (campo scalare). Una
volta nota è possibile ricavare il campo elettrico ad essa associato. Per far questo sia
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) la funzione potenziale. Scegliamo una arbitraria direzione dello spazio, ad
esempio quella individuata dall’asse delle 𝑥, e calcoliamo l’integrale nel limite di estremi
di integrazione quasi coincidenti (∆𝑥 → 0):
𝑥+∆𝑥 𝑥+∆𝑥 𝑥+∆𝑥
∫ 𝐸⃗⃗ (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ 𝑑𝑥
⃗⃗⃗⃗′ = ∫ 𝐸⃗⃗ (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ 𝑥̂ 𝑑𝑥′ = ∫ 𝐸𝑥 (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑥′
𝑥 𝑥 𝑥
≈ 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ∆𝑥.
5
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𝐸⃗⃗ = 𝑥̂ 𝐸𝑥 + 𝑦̂ 𝐸𝑦 + 𝑧̂ 𝐸𝑧 ,
o, in forma equivalente, dalla relazione:
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
𝐸⃗⃗ = 𝑥̂ (− ) + 𝑦̂ (− ) + 𝑧̂ (− ).
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
Per facilitare gli sviluppi formali successivi è comodo introdurre l’operatore differenziale
vettoriale nabla:
𝜕 𝜕 𝜕 𝜕 𝜕 𝜕
⃗⃗= 𝑥̂
∇ + 𝑦̂ + 𝑧̂ ≡ ( , , ).
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
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𝐸⃗⃗ = −∇
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧),
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) prende il nome di gradiente del potenziale e deriva dalla
dove la quantità ∇
moltiplicazione dell’operatore nabla per una funzione scalare (nell’ordine detto!). Questa
operazione, con le dovute cautele, è l’analogo della moltiplicazione di un vettore per uno
scalare. Notiamo esplicitamente che il gradiente di una funzione scalare è un vettore che
ha per componenti le derivate parziali della funzione stessa. In particolare abbiamo che
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = (
∇ , , ).
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
E’ interessante notare come il gradiente di una funzione di più variabili abbia a che fare
con il differenziale totale di detta funzione. Quest’ultimo è infatti dato dalla relazione:
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
𝑑𝑉 = 𝑑𝑥 + 𝑑𝑦 + 𝑑𝑧,
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
che generalizza il concetto di differenziale
𝑑𝑓
𝑑𝑓 = 𝑑𝑥
𝑑𝑥
di una funzione 𝑓(𝑥) dipendente della sola variabile 𝑥. Per mettere in evidenza la
relazione tra il gradiente di una funzione e il suo differenziale totale, introduciamo il
vettore spostamento infinitesimo
⃗⃗ = 𝑥̂ 𝑑𝑥 + 𝑦̂ 𝑑𝑦 + 𝑧̂ 𝑑𝑧 ≡ (𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧).
𝑑ℓ
Con questa definizione è semplice convincersi della correttezza della seguente scrittura:
⃗⃗.
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
𝑑𝑉 = ∇
Infatti, valutando il prodotto scalare, abbiamo:
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
∇ ⃗⃗ = (
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ , , ) ∙ (𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧) = 𝑑𝑥 + 𝑑𝑦 + 𝑑𝑧 = 𝑑𝑉.
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
Inoltre è possibile dimostrare che l’integrale di linea del gradiente di una funzione è
indipendente dal percorso che congiunge gli estremi di integrazione e si ha:
𝐵
⃗⃗ = 𝑉(𝑥𝐵 , 𝑦𝐵 , 𝑧𝐵 ) − 𝑉(𝑥𝐴 , 𝑦𝐴 , 𝑧𝐴 ).
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
∫ ∇
𝐴
7
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rappresenta la variazione della funzione 𝑉 tra la posizione iniziale e finale scritta in termini
della somma di tutte le variazioni infinitesime che intervengono lungo il percorso scelto.
Il precedente risultato presenta delle similitudini con il teorema fondamentale del calcolo
integrale (teorema di Torricelli-Barrow) per funzioni di una variabile. In quel contesto si
ha
𝐵
𝑑𝑓
∫ 𝑑𝑥 = 𝑓(𝑥𝐵 ) − 𝑓(𝑥𝐴 ),
𝐴 𝑑𝑥
o in forma equivalente:
𝐵
∫ 𝐹(𝑥) 𝑑𝑥 = 𝑓(𝑥𝐵 ) − 𝑓(𝑥𝐴 ),
𝐴
∮ ∇ ⃗⃗ = 0,
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
𝐴≡𝐵
il quale si enuncia dicendo che l’integrale di linea su una qualsiasi linea chiusa del
gradiente di una funzione è nullo. Le proprietà sotto integrazione di linea del gradiente
del potenziale evidenziano l’origine matematica della conservatività del campo elettrico.
1
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∞
⃗
𝑉(𝑃) = ∫𝑃 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (1)
𝐵
⃗
𝑉(𝑃) = ∫𝑃 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (2)
ove 𝐵 è un punto scelto arbitrariamente, non all’infinito. Tuttavia, in quello che vedremo,
il potenziale non verrà calcolato, in molti casi, attraverso la nozione di campo elettrico,
ma attraverso il principio di sovrapposizione degli effetti, considerando il potenziale
elettrico come la somma dei contributi di elementi infinitesimi di carica 𝑑𝑞′.
z P
Pertanto, calcoleremo il potenziale di alcune distribuzioni
𝑟
dq’ − 𝑟′
𝑟 di carica notevoli. In un secondo momento cercheremo di
comprendere come, dalla conoscenza del potenziale, sia
𝑟′ possibile giungere a definire il campo elettrico.
y
O
𝑑𝑞′
𝑑𝑉 = 𝑘 |𝑟 , (3)
−𝑟 ′|
avendo posto 𝑑𝑞 ′ = 𝜌(𝑟′)𝑑𝜏′, dove 𝜌(𝑟′) è la densità locale di carica nel punto dove è
posto l’elemento di carica 𝑑𝑞 ′ e dove 𝑑𝜏′ è il volumetto occupato dall’elemento stesso.
Per una distribuzione infinita di cariche, invece, abbiamo visto che bisogna individuare
un punto arbitrario 𝐵 per il quale 𝑉(𝐵) = 0, non essendo possibile ottenere potenziale
nullo all’infinito. Pertanto possiamo scrivere
𝑑𝑞′ 𝑑𝑞′
𝑉(𝑃) − 𝑉(𝐵) = 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟 −𝑟 ′|
− 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟𝐵 −𝑟 ′|
. (5)
Nel calcolo del potenziale in alcuni casi notevoli, fermo restando la generalità della (4),
individueremo, di volta in volta, la distanza 𝑟 dell’elementino di carica 𝑑𝑞 dal punto 𝑃 e
svolgeremo il calcolo partendo dalla seguente espressione per 𝑑𝑉:
𝑑𝑞
𝑑𝑉 = 𝑘 . (7)
𝑟
In effetti rinominiamo solo un po’ di cose per rendere la notazione più leggera.
z
P(0, 0, z)
Consideriamo la distribuzione di carica uniforme, con
carica totale 𝑞, presente su di una circonferenza di raggio
z r
𝑅, mostrata in figura. Vogliamo calcolare il potenziale
O
elettrico nel punto 𝑃 sull’asse 𝑧. Partendo dal contributo
R y
dq del singolo elementino di carica 𝑑𝑞, scriviamo di nuovo
x la (7)
𝑑𝑞
𝑑𝑉 = 𝑘 ,
𝑟
3
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𝑞 𝑞
𝑉(𝑃) = 𝑘 = 𝑘 . (8)
𝑟 √𝑅 2+𝑧 2
Sarà un utile esercizio provare che, per 𝑧 ≫ 𝑅, il disco viene visto come una carica
puntiforme posta nell’origine.
𝑑𝑞 𝑑𝑥
𝑑𝑉 = 𝑘 = 𝑘𝜆 . (12)
𝑟 √𝑥 2 +𝑦 2
y
Possiamo adesso dimostrare che la primitiva della
P(0, y, 0) 1
funzione 𝑓(𝑥) = , ove 𝑦 è una costante, è la
r √𝑥 2 +𝑦 2
y
seguente:
dq x
𝐹(𝑥) = ln(𝑥 + √𝑥 2 + 𝑦 2 ). (13)
z
1 𝑥 1
𝐹 ′ (𝑥) = (1 + )= . (14)
𝑥+√𝑥 2 +𝑦 2 √𝑥 2 +𝑦 2 √𝑥 2 +𝑦 2
𝐿 𝑘𝑞
𝑉(𝑦) ≈ 𝑘𝜆 |𝑦|
= |𝑦| . (16)
Questa è proprio l’espressione del potenziale elettrico generato da una carica puntiforme
posta nell’origine a distanza |𝑦| dal filo.
5
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𝐵
⃗.
𝑉(𝐴) − 𝑉(𝐵) = ∫𝐴 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (1)
Immaginiamo adesso che il campo elettrico, così come nei casi notevoli studiati prima,
sia diretto lungo una sola direzione. Per fissare le idee, diciamo che 𝐸⃗ = 𝐸𝑥 𝑥̂. Allora, la
(1) si scriverà, in questo caso, come segue:
𝐵
𝑉(𝐴) − 𝑉(𝐵) = ∫𝐴 𝐸𝑥 𝑑𝑥. (2)
𝑑
𝐸𝑥 = − 𝑉(𝑥). (3)
𝑑𝑥
E perciò:
Una variazione infinitesima di potenziale nella direzione 𝑥 è possibile solo se esiste una
componente diversa da zero del campo elettrico nella stessa direzione. Come già visto in
precedenza, nel caso generale scriviamo:
⃗ = −𝐸𝑥 𝑑𝑥 − 𝐸𝑦 𝑑𝑦 − 𝐸𝑧 𝑑𝑧
𝑑𝑉 = −𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (5)
sono tali che il campo 𝐸⃗ è sempre ortogonale ad esse. Nel caso di una carica puntiforme,
si ha:
𝑘𝑞
= costante → 𝑟 = costante,
𝑟
(7)
𝜕
𝐸𝑥 = − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) (8a)
𝜕𝑥
𝜕
𝐸𝑦 = − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) (8b)
𝜕𝑦
𝜕
𝐸𝑧 = − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧). (8c)
𝜕𝑧
𝜕 𝜕 𝜕
𝐸⃗ = − ( , , ⃗ 𝑉.
) 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = −∇ (9)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
⃗ =∇
𝑑𝑉 = −𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ = |∇
⃗ 𝑉 ∙ 𝑑ℓ ⃗ 𝑉|𝑑ℓ cos 𝜃 , (10)
3
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𝑞 𝑞
𝑉(𝑧) = 𝑘 = 𝑘 . (11)
𝑟 √𝑅 2 +𝑧 2
𝑑 𝑘𝑞𝑧
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑧)𝑧̂ = (𝑅2 𝑧̂ . (12)
𝑑𝑧 +𝑧 2 )3/2
𝜎
𝑉(𝑧) =
2𝜀0
(√𝑅2 + 𝑧 2 − |𝑧|).
(13)
E perciò, scriviamo:
𝑑 𝜎 𝑧
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑧)𝑧̂ = [𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧) − ] 𝑧̂ , (14)
𝑑𝑧 2𝜀0 √𝑅 2+𝑧 2
2
√𝐿 +𝑦 2 +𝐿
4 2
𝑉(𝑦) = 𝑘𝜆 ln ( ) . (15)
𝐿2 𝐿
√ +𝑦 2 −
4 2
𝑑 𝑑 𝐿2 𝐿 𝑑 𝐿2 𝐿
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑦)𝑦̂ = −𝑘𝜆 [ ln (√ + 𝑦 2 + ) − ln (√ + 𝑦 2 − )] 𝑦̂. (16)
𝑑𝑦 𝑑𝑦 4 2 𝑑𝑦 4 2
𝑘𝜆𝑦 1 1 𝑘𝜆𝐿
𝐸⃗ = − 2
[ 2
− 2
] 𝑦̂ = 2
𝑦̂. (17)
√𝐿 +𝑦 2 √𝐿 +𝑦 2 +𝐿 √𝐿 +𝑦 2 −𝐿 𝐿
𝑦√ +𝑦 2
4 4 2 4 2 4
𝑦
𝑉(𝑃) = 2𝑘𝜆 ln | 𝐵|.
𝑦
(18)
Scriviamo allora:
𝑑 𝑑 𝑑 2𝑘𝜆
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑦)𝑦̂ = −2𝑘𝜆 [ ln 𝑦𝐵 − ln 𝑦] 𝑦̂ = 𝑦̂, (19)
𝑑𝑦 𝑑𝑦 𝑑𝑦 𝑦
Esempio 1
Quattro cariche elettriche uguali sono poste ai quattro
q3 q2
vertici di un quadrato di lato 𝐿, così come mostrato in figura.
Si calcoli l’energia potenziale di questa distribuzione di
L cariche.
Scriviamo la (8), tenendo conto che avremo 6 termini, che
daranno i seguenti contributi:
q4 q1
𝑞1 𝑞2 𝑞2 𝑞3 𝑞3 𝑞4 𝑞4 𝑞1 𝑞1 𝑞3 𝑞2 𝑞4
𝑈𝐸 = 𝑘 ( + + + + + ).
𝐿 𝐿 𝐿 𝐿 √2𝐿 √2𝐿
(9)
Poiché adesso 𝑞1 = 𝑞2 = 𝑞3 = 𝑞4 = 𝑞, si avrà:
𝑞2 𝑞2 𝑞2
𝑈𝐸 = 4𝑘 + 2𝑘 =𝑘 (4 + √2). (10)
𝐿 √2𝐿 𝐿
3
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Esempio 2
Quattro cariche elettriche sono poste ai quattro vertici di
q3 q2
un quadrato di lato 𝐿, così come mostrato in figura. Le
cariche sono tali che 𝑞1 = 𝑞3 = −𝑞 e 𝑞2 = 𝑞4 = +𝑞 Si
L calcoli l’energia potenziale di questa distribuzione.
Esempio 3
Si calcoli l’energia elettrostatica di una sfera conduttrice di raggio 𝑅
Q
sulla quale è presente una carica 𝑄.
R
∞
⃗ = ∫∞ 𝑘𝑄 𝑑𝑟 = 𝑘𝑄,
𝑉(𝑅) = ∫𝑅 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (16)
𝑅 2 𝑟 𝑅
che è identico a quello che genererebbe una carica puntiforme 𝑄 posta al centro della
distribuzione in un punto a distanza 𝑅.
Calcoliamo la componente 𝑥:
𝜕 1 𝜕 2 1 1 1
( 1 )= [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2 = − [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2−1 (2𝑥)
𝜕𝑥 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2 𝜕𝑥 2
3 −𝑥
= −𝑥[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2 = 3 .
|𝑟⃗|
Calcolando le rimanenti componenti, otteniamo:
1 𝑟⃗
⃗⃗ (
∇ ) = − 3.
|𝑟⃗| |𝑟⃗|
Si arriva quindi alla conclusione cercata:
𝑘𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = .
|𝑟⃗|3
2
Potenziale di un dipolo elettrico
A grande distanza dal dipolo, cioè quando 𝑟 ≫ 𝑎 , possiamo scrivere la (4) come segue:
1−√1−2𝑎 cos 𝜃/𝑟
V(𝑃) ≈ 𝑘𝑄 . (5)
𝑟√1−2𝑎 cos 𝜃/𝑟
⃗⃗(𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗)
∇ 1
𝐸⃗⃗ = −𝑘 [ + (𝑝
⃗ ∙ 𝑟 ⃗⃗ (
⃗)∇ )].
|𝑟⃗|3 |𝑟⃗|3
Per poter procedere con il calcolo occorre valutare il secondo addendo. Procedendo in
questo senso otteniamo:
1 1
⃗⃗ (
∇ ) = ⃗⃗ (
∇
|𝑟⃗|3 3 )
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2
𝜕 1 𝜕 1 𝜕 1
=( ( ) , ( ) , ( )).
𝜕𝑥 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3⁄2 𝜕𝑦 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3⁄2 𝜕𝑧 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3⁄2
Alla luce di questo risultato è facile convincersi della validità della seguente relazione:
1 3𝑟⃗
⃗⃗ (
∇ ) = − .
|𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
Sostituendo la precedente nell’espressione del campo elettrico otteniamo:
𝑝⃗ 3 (𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗) 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = 𝑘 [− + ],
|𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
risultato già ottenuto per altra via.
1
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Osserviamo che la quantità tra parentesi rappresenta la variazione della componente 𝑥 del
campo elettrico nella direzione 𝑥. Essendo tale variazione infinitesima, possiamo scrivere:
𝜕
𝐸𝑥 (𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥. (5)
𝜕𝑥
Procedendo in modo analogo per gli altri contributi al flusso, possiamo scrivere:
2
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𝜕
𝐸⃗3 ∙ 𝑑𝑆3 + 𝐸⃗4 ∙ 𝑑𝑆4 = 𝐸𝑦 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (7)
𝜕𝑦
𝜕
𝐸⃗5 ∙ 𝑑𝑆5 + 𝐸⃗6 ∙ 𝑑𝑆6 = 𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (8)
𝜕𝑧
dove le componenti del campo elettrico sono calcolate nel puto di coordinate (𝑥, 𝑦, 𝑧). E’
interessante notare come il precedente risultato possa scriversi in termini dell’operatore
nabla. Osserviamo, infatti, che la quantità
𝜕𝐸𝑥 𝜕𝐸𝑦 𝜕𝐸𝑧
+ + , (10)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
detta divergenza di 𝐸⃗ , si ottiene moltiplicando scalarmente l’operatore nabla per 𝐸⃗ :
⃗ ∙ 𝐸⃗ = (𝑥̂ 𝜕 + 𝑦̂ 𝜕 + 𝑧̂ 𝜕 ) ∙ (𝐸𝑥 𝑥̂ + 𝐸𝑦 𝑦̂ + 𝐸𝑧 𝑧̂ ).
∇ (11)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
Il prodotto scalare è dato dalla somma delle sole componenti omologhe ed in questo modo
si dimostra facilmente che
Φ(𝐸⃗ ) = ∫𝑆 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫𝜏 ∇
⃗ ∙ 𝐸⃗ 𝑑𝜏, (14)
La seconda uguaglianza nella (13), conseguenza del teorema della divergenza applicato
alla legge di Gauss, ci dà la prima equazione di Maxwell:
𝜌
⃗ ∙ 𝐸⃗ =
∇ . (15)
𝜀0
Quest’ultima è una relazione locale che dà informazioni sul campo elettrico in ogni punto
dello spazio.
∇ ⃗ 𝑉 = − 𝜌.
⃗ ∙∇ (16)
𝜀0
⃗ ∙∇
Non resta che interpretare la scrittura ∇ ⃗ 𝑉, che rappresenta la divergenza del gradiente
del potenziale. Dalla definizione dell’operatore nabla ricaviamo l’espressione:
𝜕 𝜕 𝜕 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕2𝑉 𝜕2𝑉 𝜕2𝑉
⃗ ∙∇
∇ ⃗ 𝑉 = (𝑥̂ + 𝑦̂ + 𝑧̂ ) ∙ ( 𝑥̂ + 𝑦̂ + 𝑧̂ ) = 2 + 2 + 2 .
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
La precedente si esprime in forma più compatta introducendo l’operatore di Laplace (o
⃗ ∙∇
laplaciano) nella forma ∇2 ≡ ∇ ⃗ . Con questa notazione la precedente diviene:
𝜌(𝑥,𝑦,𝑧)
∇2 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = − , (17)
𝜀0
che è detta equazione di Poisson. In assenza di sorgenti (nello spazio vuoto) l’equazione
di Poisson prende la forma:
∇2 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 0, (18)
detta equazione di Laplace. L’equazione di Poisson è una equazione differenziale lineare
alle derivate parziali di cui il potenziale 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) è soluzione univoca una volta
specificate le condizioni al contorno. Se si richiede che il potenziale e le sue derivate siano
quantità nulle all’infinito si dimostra che la soluzione del problema di Poisson è data dalla
relazione (a noi già nota):
1 𝜌(𝑥′,𝑦′,𝑧′)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ |𝑟 −𝑟 ′|
𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ . (19)
4𝜋𝜀0
1 𝜌(𝑥′,𝑦′,𝑧′) 𝜌(𝑥,𝑦,𝑧)
∇2 ( ∫ |𝑟 −𝑟 ′|
𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ ) = − , (20)
4𝜋𝜀0 𝜀0
abbia delle peculiari proprietà. La prima della quali è che per qualsiasi funzione
sufficientemente regolare 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) deve valere la relazione:
𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ 𝛿(𝑟 − 𝑟′) 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ . (23)
Una seconda importante proprietà è la seguente:
∫ 𝛿(𝑟 − 𝑟′) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ = 1, (24)
essendo l’integrale esteso all’intero spazio. Ci sono vari modi per convincersi della
correttezza della relazione precedente. Presentiamo il più semplice. Moltiplicando ambo
i membri della (22) per 𝑄/𝜀0 è possibile scrivere la seguente relazione:
𝑄 𝑄
∇2 ( ) = − 𝜀 𝛿(𝑟 − 𝑟′), (25)
4𝜋𝜀0 |𝑟 −𝑟 ′| 0
dalla quale riconosciamo al primo membro il laplaciano del potenziale generato nel punto
𝑟 da una carica puntiforme 𝑄 posta in 𝑟′. Confrontando la (25) con la (17) si ha che la
densità di carica associata alla carica puntiforme deve valere:
𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑄 𝛿(𝑟 − 𝑟′). (26)
La (24) segue dall’osservare che 𝑄 = ∫ 𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 e dalla proprietà 𝛿(𝑟 − 𝑟′) =
𝛿(𝑟′ − 𝑟), facilmente verificabile a partire dalla (22). La quantità 𝛿(𝑟 − 𝑟 ′) è la funzione
delta di Dirac in tre dimensioni. La delta di Dirac non è una funzione vera e propria, ma è
una sorta di funzione generalizzata (ciò che i matematici chiamano distribuzione). Infatti,
dalla (26), segue la notevole proprietà
𝜕2 1 3(𝑥 − 𝑥′)2 1
2
( )= 5
−
𝜕𝑥 |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|3
𝜕2 1 3(𝑦 − 𝑦′)2 1
( ) = − .
𝜕𝑦 2 |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
𝜕2 1 3(𝑧 − 𝑧′)2 1
( ) = −
𝜕𝑧 2 |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
Dalle precedenti otteniamo:
2
1 (𝑥 − 𝑥′)2 + (𝑦 − 𝑦′)2 + (𝑧 − 𝑧′)2 3
∇ ( )=3 −
|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
|𝑟 − 𝑟′|2 3
=3 − = 0,
|𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
cosa che, vista la (22), dimostra l’asserto.
1
Corso di Fisica II per Ingegneria Elettronica - a.a. 2020/21
1. Conduttori metallici
a) Ioni “fissi”
Gli elettroni, rappresentati in fig. 1 come delle sferette rosse, sono effetivamente liberi?
Ossia, non risentono dell’influenza del potenziale dovuto al reticolo? In più, essi sono
davvero indipendenti? Ossia, non subiscono alcuna influenza da parte delle altre cariche
del gas elettronico? Certamente, essi non sono né liberi, né indipendenti. Infatti, non sono
liberi, in quanto sono sottosposti al potenziale elettrico dell’insieme delle cariche positive
del reticolo. Inoltre, non sono indipendenti, in quanto essi stessi interagiscono tra loro
attraverso forze elettriche e devono necessariamente obbedire al principio di esclusione di
Pauli. Tuttavia, considerare gli elettroni come “liberi e indipendenti” all’interno del
2
Corso di Fisica II per Ingegneria Elettronica - a.a. 2020/21
reticolo consente una prima comprensione delle proprietà di conduzione nei solidi
cristallini.
𝑘𝑄
𝑉(𝑅) = . (2)
𝑅
dipende solo dalle proprietà fisiche del mezzo (in questo caso il vuoto) in cui la sferetta è
immersa e dalle caratteristiche geometriche della sferetta stessa (il suo raggio 𝑅). Come
anticipato in precedenza, questo rapporto prende il nome di capacità elettrica (in questo
caso, di un conduttore sferico isolato). Più in generale, la capacità 𝐶 di un conduttore
isolato di forma qualsiasi è il rapporto tra la carica depositata sul conduttore e il potenziale
𝑉, secondo la relazione:
𝑄
𝐶= . (4)
𝑉
4. Conduttori affacciati
punto sullla sfera. Consideriamo adesso la regione dello spazio contenuta dalle nel tubo
delimitato linee di forza del campo in rosso in figura. Questo tubo non contiene cariche e
ha come base le calotte sferiche di area ∆𝑆1 e ∆𝑆2 . Applicando la legge di Gauss a questo
tubo, si ha:
𝐸1 ∆𝑆1 − 𝐸2 ∆𝑆2 = 0, (5)
ove 𝐸1 e 𝐸2 sono i moduli dei campi elettrici sui due conduttori.
Dal teorema di Coulomb, allora, avremo:
𝜎1 ∆𝑆1 = |𝜎2 |∆𝑆2 . (6)
Immaginiamo adesso di mettere a terra il secondo
conduttore, in modo che solo cariche negative siano
presenti sulla seconda sfera, così come rappresentato
nella seconda figura. In questo caso si ha induzione
completa, ossia, tutte le linee di forza del campo
+Q -Q elettrico generato dalla prima sfera si chiudono sulla
seconda. In questo modo, applicando la legge di
Gauss in modo da scegliere una superficie gaussiana
che racchiuda tutta e solo la seconda sfera, si ha che
la carica contenuta nel volume racchiuso dalla
superficie deve essere opposta alla carica sulla prima
sferetta. Infatti, il flusso entrante nella superficie gaussiana così scelta è proprio l’opposto
del flusso uscente da un’altra superficie gaussiana che racchiuda tutta e solo la prima
sferetta.
Esempio 1
Q1 Q2
Consideriamo due conduttori sferici isolati, di raggio 𝑅1 =
2.00 𝑐𝑚 e 𝑅2 = 4.00 𝑐𝑚, rispettivamente. Entrambi i
conduttori sono carichi, con cariche 𝑄1 = 5.00 𝑛𝐶 e 𝑄2 = 15.0 𝑛𝐶. Si calcoli il potenziale
e la capacità di questi conduttori. Successivamente, i medesimi conduttori vengono
connessi con un filo di materiale conduttore lungo e sottile, in modo che risulti nulla la
differenza di potenziale. Si calcoli la nuova distribuzione di carica, 𝑞1 e 𝑞2 , su di essi e il
potenziale dei due conduttori.
Soluzione
Possiamo scrivere il potenziale e la capacità come segue:
𝑄1 𝑄1
𝑉1 = 𝑘 = 2.55 𝑘𝑉; 𝐶1 = = 1.96 𝑝𝐹. (7a)
𝑅1 𝑉1
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𝑄2 𝑄2
𝑉2 = 𝑘 = 3.37 𝑘𝑉; 𝐶2 = = 4.45 𝑝𝐹. (7b)
𝑅2 𝑉2
con
𝑄1 + 𝑄2 = 𝑞1 + 𝑞2 . (9)
Risolvendo le equazioni di sopra, scriviamo
𝑞2 = 2𝑞1 , (10a)
𝑞1 + 𝑞2 = 20 𝑛𝐶. (10b)
Pertanto, si avrà: 𝑞1 = 6.67 𝑛𝐶, 𝑞2 = 2𝑞1 = 13.3 𝑛𝐶. Il potenziale sarà
𝑞1 𝑞2
𝑉′1 = 𝑉′2 = 𝑘 =𝑘 = 3.00 𝑘𝑉. (11)
𝑅1 𝑅2
Esempio 2
+Q
Un esempio di induzione totale è dato dal seguente problema.
Una sfera conduttrice di raggio 𝑅0 = 2.00 𝑐𝑚 ha una carica pari
a 𝑄 = 0.400 𝑛𝐶. Tale sfera è contenuta in un guscio sferico
conduttore di raggio interno raggio 𝑅1 = 6.00 𝑐𝑚. Si calcoli il
-Q
campo elettrico e la differenza di potenziale tra la sfera e il guscio
sferico (𝑅0 < 𝑟 < 𝑅1 ).
Soluzione
Sappiamo che, per 𝑅0 < 𝑟 < 𝑅1 , il campo elettrico è il seguente:
𝑄
𝐸(𝑟) = 𝑘 2, (12)
𝑟
Pertanto si ha:
𝑉0 − 𝑉1 = 180𝑉 − 60𝑉 = 120𝑉. (14)
1
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Condensatori
1. Capacità di un condensatore
𝐵
⃗.
𝑉 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝐴 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (1)
𝜎
𝐸⃗ = 𝑥̂ (3)
𝜀0
Pertanto, la differenza di potenziale tra le due armature può scriversi nella forma:
𝐵 𝜎 𝑄𝑑
𝑉 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝐴 𝑑𝑥 = . (4)
𝜀0 𝜀0 𝑆
2
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3. Condensatore cilindrico
+Q
Consideriamo adesso due conduttori cilindrici coassiali di altezza
A ℎ, tra i quali vi è il vuoto, così come mostrato in sezione nella figura
B accanto. Si assuma che la distanza tra le due armature 𝑅1 − 𝑅0 sia
-Q
di gran lunga minore dell’altezza ℎ del sistema cilindrico. Sia
inoltre 𝑅0 il raggio del cilindro interno e 𝑅1 il raggio interno del cilindro cavo. Il campo
all’interno può essere approssimato a quello di un sistema infinitamente lungo. Il risultato
è simile a quello ottenuto, mediante applicazione della legge di Gauss, per un filo
uniformemente carico (si svolga l’esercizio), cosicché scriviamo:
2𝑘𝜆
𝐸⃗ = 𝑟̂ , (6)
𝑟
ove 𝜆 = 𝑄/ℎ è la densità lineare della carica presente sulla superficie esterna del
conduttore cilindrico interno. Calcolando la differenza di potenziale tra le due armature
del condensatore, scriviamo:
𝑅 2𝑘𝜆 2𝑘𝑄 𝑅
𝑉 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝑅 1 𝑑𝑟 = ln ( 1). (7)
0 𝑟 ℎ 𝑅0
La (8) si riduce alla (5) sotto l’ipotesi che le due armature del condensatore siano
𝑑 𝑅
abbastanza vicine. Infatti, supponendo ≪ 1, possiamo scrivere ln ( 1 ) = ln (1 +
𝑅0 𝑅 0
𝑑 𝑑
𝑅0
) ≈ 𝑅 . Sostituendo la precedente nella (8), si ha il risultato cercato:
0
(2𝜋𝑅0 )ℎ 𝑆
𝐶 ≈ 𝜀0 = 𝜀0 . (9)
𝑑 𝑑
4. Condensatore sferico
Abbiamo già visto come calcolare la differenza di potenziale per un condensatore sferico.
Riportiamo quanto trovato:
3
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+Q 1 1
𝑉 = 𝑉0 − 𝑉1 = 𝑘𝑄 ( − ). (10)
𝑅0 𝑅1
Esempio 1
Calcoliamo la capacità del condensatore sferico realizzato con una sfera conduttrice di
raggio 𝑅0 = 2.00 𝑐𝑚 contenuta in un guscio sferico conduttore di raggio interno 𝑅1 =
6.00 𝑐𝑚.
Soluzione
Utilizzando la (11), possiamo scrivere:
𝑅0 𝑅1 1 12×10−2
𝐶 = 4𝜋𝜀0 = 𝐹 = 3.34 𝑝𝐹.
𝑅1 −𝑅0 8.99×109 4
a) Connessione in serie
b) Connessione in parallelo
𝐶𝑒𝑞 = 𝐶1 + 𝐶2 + ⋯ + 𝐶𝑁 . (21)
Notiamo che, se i condensatori sono tutti uguali, cosicché 𝐶1 = 𝐶2 = ⋯ 𝐶𝑁 = 𝐶0 , avremo
𝐶𝑒𝑞 = 𝑁𝐶0 .
1
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Una particella positiva si muoverebbe verso il valore minore del potenziale in quanto la
sua energia potenziale 𝑈(𝑥) = 𝑞𝑉(𝑥) verrebbe in questo modo minimizzata. Una
particella negativa si comporterebbe in modo opposto, essendo potenziale ed energia
potenziale opposti in segno. Il comportamento di particelle cariche nel campo uniforme
del condensatore è intuitivamente comprensibile alla luce delle interazioni coulombiane
tra cariche.
2. Energia di carica di un condensatore
Per poter ottenere una distribuzione di carica sulle armature di un condensatore piano è
necessaria l’azione di un agente esterno che compia lavoro contro le forze del campo
elettrico. Queste ultime infatti lavorano per portare il sistema alla neutralità elettrica.
Vogliamo calcolare il lavoro che questo agente esterno deve compiere affinché il
condensatore si carichi.
Supponiamo che sul condensatore sia già presente la carica 𝑞 sull’armatura a carica
positiva. Per quanto detto si ha l’uguaglianza:
𝑞 = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ).
Se adesso volessimo trasportare a velocità costante una carica infinitesima negativa −𝑑𝑞
da a occorrerebbe un agente esterno (una forza) che compia un lavoro elementare 𝑑𝐿
opposto a quello che compirebbero le forze del campo elettrico per compiere la stessa
operazione. Il lavoro elementare che il campo elettrico compirebbe vale:
𝑑𝐿 = (−𝑑𝑞)(−(𝑉𝐵 − 𝑉𝐴 )).
Tale lavoro è negativo in quanto corrispondente ad una azione contraria alla naturale
tendenza del campo elettrostatico a neutralizzare il sistema (la natura vorrebbe evitare
accumuli di carica se possibile).
Il lavoro elementare che l’agente esterno dovrebbe compiere vale quindi:
𝑞
𝑑ℒ = −𝑑𝐿 = 𝑑𝑞(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑑𝑞,
𝐶
mentre il lavoro totale occorrente ad ottenere la configurazione di carica finale risulta
essere
𝑄
𝑞 𝑄2
𝑈𝐸 = ∫ 𝑑ℒ = ∫ 𝑑𝑞 = .
0 𝐶 2𝐶
Il lavoro necessario a caricare il sistema è immagazzinato come energia elettrostatica del
condensatore e si ha
4
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𝑄2 1
𝑈𝐸 = = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 )2 .
2𝐶 2
La densità di energia immagazzinata fra le armature del condensatore si può calcolare
come rapporto tra 𝑈𝐸 e il volume 𝑆𝑑 compreso fra le armature. Ne segue che:
2
𝑈𝐸 𝑄2 (𝜀0 |𝐸⃗ |𝑆) 1 2 𝜀0 𝑆 2 1 2
𝑢𝐸 = = = ⃗
= 𝜀0 |𝐸 | = 𝜀0 |𝐸⃗ | .
𝑆𝑑 2𝐶𝑆𝑑 2𝐶𝑆𝑑 2 𝜀 𝑆
𝑆𝑑 ( 0 ) 2
𝑑
Nella derivazione abbiamo esplicitamente utilizzato la relazione 𝑄 = 𝜀0 |𝐸⃗ |𝑆. Resta
provato che la densità di energia elettrostatica vale:
1 2
𝑢𝐸 = 𝜀0 |𝐸⃗ | ,
2
relazione, valida in generale, che è indipendente dalla geometria del condensatore.
Esempio 1
Soluzione
Questo problema può essere impostato ricorrendo alla famosa equazione di equivalenza
massa-energia di Einstein, che tutti noi abbiamo visto scritta almeno una volta nella nostra
vita: 𝐸 = 𝑚𝑐 2 . Si suppone che l’energia relativistica coincida con l’energia elettrostatica
e, ponendo 𝑈𝐸 = 𝑚𝑐 2 , caso per caso, possiamo risolvere il nostro problema nelle ipotesi
sopra richiamate.
a) una sferetta uniformemente carica con carica elettrica totale – 𝒆
In questo caso sappiamo che il modulo del campo elettrico in tutto lo spazio è dato dalla
relazione:
𝜌𝑟 𝑒
𝐸(𝑟) = = 𝑘 3 𝑟, per 0 < 𝑟 < 𝑅, (6a)
3𝜀0 𝑅
𝑒
𝐸(𝑟) = 𝑘 2, per 𝑟 > 𝑅. (6b)
𝑟
5
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E perciò
1 𝑅 𝑒𝑟 2 1 ∞ 𝑒 2
𝑈𝐸 = ∫ (𝑘 𝑅3) 𝑟 2 𝑑𝑟
2𝑘 0
∫ (𝑘 𝑟 2 ) 𝑟 2 𝑑𝑟.
2𝑘 𝑅
(8)
Ponendo adesso 𝑒 = 1.602 × 10−19 𝐶, 𝑚 = 9.11 × 10−31 𝑘𝑔, 𝑐 = 2.998 × 108 𝑚/𝑠,
calcoliamo il raggio dell’elettrone:
3𝑘𝑒 2 3(8.99)(1.602)2 10−29
𝑅= = 𝑚 = 1.691 × 10−15 𝑚 (11)
5𝑚𝑐 2 5(9.11)(2.998)2 10−15
Ponendo 𝑄 = −𝑒 e 𝑈𝐸 = 𝑚𝑐 2 , si ha:
𝑘𝑒 2
𝑅= = 1.409 × 10−15 𝑚. (13)
2𝑚𝑐 2
In letteratura il raggio classico dell’elettrone viene riportato come due volte il risultato
calcolato nella (13), ossia:
𝑘𝑒 2
𝑟𝑐 = = 2.818 × 10−15 𝑚. (14)
𝑚𝑐 2
6
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Esempio 2
Soluzione
𝑞0 = 𝐶0 (𝑉0 − 𝑉𝑁 ), (16a)
𝑞1 = 𝐶1 (𝑉1 − 𝑉𝑁 ), (16b)
𝑞2 = 𝐶2 (𝑉2 − 𝑉𝑁 ), (16c)
1 𝑞 2 𝑞1 2 𝑞2 2
𝑈𝐸 = ( 0
2 𝐶 𝐶1 𝐶2
) = 2.38 × 10−9 𝐽. (19)
0
Questa energia, come possiamo facilmente arguire, viene fornita dai generatori che
mantengono a tensione finita i capi del sistema.
Esempio 3
d
Tra le armature di un condensatore a facce quadrate piane e
parallele, di lato 𝐿 = 10.0 𝑐𝑚, è inserita una lamina
A’ B’
conduttrice di spessore 𝑑 = 1.00 𝑐𝑚 e di area 𝐿2 . La lamina
‘’ ‘’ è libera di muoversi in direzione 𝑥 scorrendo su un piano
liscio equidistante dalle armature del condensatore. Sia 𝐷 =
L 4.00 𝑐𝑚 la distanza tra le armature del condensatore e sia
E1 fatto il vuoto fra esse. Ai capi del condensatore viene
mantenuta, da un “generatore” esterno, una differenza di
potenziale costante pari a 𝑉0 = 10𝑉. Si calcoli:
x
E0 a) il campo elettrico 𝐸⃗0 ;
A D B b) il campo elettrico 𝐸⃗1 ;
V0 c) la capacità del sistema così rappresentato in figura;
d) l’energia potenziale elettrica in funzione di 𝑥;
e) la forza che deve essere esercitata sulla lamina per preservarne l’equilibrio.
Soluzione
𝐵 𝑉 𝑉
𝑉0 = ∫𝐴 𝐸⃗0 ∙ 𝑑𝑠 = 𝐸0 𝐷 → 𝐸0 = 0 = 250 . (20)
𝐷 𝑚
𝐶1 1 𝜀0 𝐿(𝐿−𝑥) 𝜀0 𝐿𝑥 𝐿𝐷−𝑥𝑑
𝐶𝑒𝑞 (𝑥) = 𝐶0 = = 𝜀0 𝐿 . (22)
2 2 (𝐷−𝑑)/2 𝐷 𝐷(𝐷−𝑑)
1 𝜀0 𝐿𝑉0 2 (𝐿𝐷−𝑥𝑑)
𝑈𝐸 (𝑥) = 𝐶𝑒𝑞 (𝑥)𝑉0 2 = . (23)
2 2𝐷(𝐷−𝑑)
e) Per valutare l’intensità della forza equilibrante dobbiamo tenere conto della
variazione di energia dovuta al “generatore” (di cui vedremo la natura in seguito),
cosicché scriviamo:
1 1
𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑑𝑈𝐸 𝑑𝑈𝐺 = 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 − 𝑉0 𝑑𝑞 = 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 − 𝑉0 𝑑(𝑉0 𝐶𝑒𝑞 ). (24)
2 2
Nello scrivere la precedente abbiamo tenuto conto del fatto che l’energia interna
del generatore diminuisce secondo la relazione 𝑑𝑈𝐺 = −𝑉0 𝑑𝑞, dove 𝑉0 𝑑𝑞 è il
lavoro compiuto dal generatore per trasferire la carica 𝑑𝑞 da un’armatura all’altra
del condensatore.
Si ha pertanto:
1 1
𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 − 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 = − 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 = −𝑑𝑈𝐸 . (25)
2 2
𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑈𝐸
Dalla meccanica, allora, 𝐹𝑥 = − = , cosicché, dalla (25) abbiamo:
𝑑𝑥 𝑑𝑥
1 𝑑𝐶𝑒𝑞 𝜀0 𝐿𝑑
𝐹𝑥 = 𝑉0 2 =− 𝑉 2
. (26)
2 𝑑𝑥 2𝐷(𝐷−𝑑) 0
9
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𝜀0 𝐿𝑑 2
𝐹𝑒 = 𝑉 = 2.21 × 10−9 𝑁. (27)
2𝐷(𝐷−𝑑) 0
Esempio 4
Quanto vale la forza agente sulle armature di un condensatore piano supponendo costante
la carica depositata su ciascuna armatura?
Soluzione
𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑈𝐸 𝑑 𝑄2 𝑄2 𝜎2
𝐹𝑥 = − =− =− ( 𝑥) = − = −𝑆 .
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑑𝑥 2𝜀0 𝑆 2𝜀0 𝑆 2𝜀0
viene detta pressione elettrostatica. Ricordando che il modulo del campo elettrico
presente fra le armature vale 𝐸 = 𝜎/𝜀0 è semplice rendersi conto della validità della
seguente relazione:
𝜀0 𝐸 2
𝑝𝐸 = = 𝑢𝐸 ,
2
dalla quale risulta che la pressione elettrostatica coincide con la densità di energia
elettrostatica del sistema.
termina quando la tensione ai capi del condensatore eguaglia quella ai capi del generatore.
Al termine del processo, l’armatura connessa al polo positivo ha accumulato la carica
positiva
𝑄 = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ),
mentre 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 eguaglia la tensione 𝑉 ai capi del generatore. La carica −𝑄 è accumulata
sull’armatura negativa.
Esempio 5
𝐶2
𝐶5
𝑥 Nel circuito puramente capacitivo mostrato in
𝐶1 𝐶3 figura un generatore mantiene una differenza
𝑉 di potenziale ai suo capi pari a 10,0 𝑉. Tutti i
− condensatori hanno identica capacità elettrica
𝐶4 pari a 10,0 𝜇𝐹. Quanto vale la carica su 𝐶1 e
su 𝐶2 ?
Soluzione
𝑝 = 𝑞1 𝑟1 + 𝑞2 𝑟2 + ⋯ + 𝑞𝑁 𝑟𝑁 = ∑𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 𝑟𝑖 , (1)
Si può inoltre dimostrare che il momento di dipolo elettrico è indipendente dal riferimento
scelto. Infatti, se scegliessimo un riferimento diverso tale che 𝑟′𝑖 = 𝑟𝑖 − 𝑟0 , la (1) si
riscriverebbe come segue:
𝑝 ′ = ∑𝑁 𝑁 𝑁 𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 𝑟 ′𝑖 = ∑𝑖=1 𝑞𝑖 (𝑟𝑖 − 𝑟0 ) = ∑𝑖=1 𝑞𝑖 𝑟𝑖 − 𝑟0 ∑𝑖=1 𝑞𝑖 = 𝑝. (3)
Esempio
y
Calcolare il momento di dipolo elettrico del sistema di cariche
Q=+2q
a descritto in figura, dove due cariche negative (– 𝑞) sono poste sui
vertici inferiori di un triangolo equilatero di lato 𝑎 e la carica
-q -q x
O positiva 𝑄 = +2𝑞 è posta sul terzo vertice.
Soluzione
𝑎 𝑎 √3𝑎
𝑝 = −𝑞 (− 𝑥̂) − 𝑞 (+ 𝑥̂) + 2𝑞 (+ 𝑦̂). (4)
2 2 2
E perciò:
𝑝 = √3𝑎𝑞𝑦̂. (5)
dove è opportuno notare che 𝑀 ⃗⃗ è diretto lungo l’asse 𝑧. Il lavoro elementare 𝑑𝐿 compiuto
dal momento esterno 𝑀 ⃗⃗ 𝑒𝑥 per compiere una rotazione infinitesima nell’intervallo
temporale 𝑑𝑡 vale:
⃗⃗ 𝑒𝑥 ∙ 𝜔
𝑑𝐿 = 𝑀 ⃗⃗ ∙ 𝜔
⃗ 𝑑𝑡 = −𝑀 ⃗⃗ |𝜔 𝑑𝑡 = −|𝑀
⃗ 𝑑𝑡 = −|𝑀 ⃗⃗ |𝑑𝜃 = −|𝑝||𝐸⃗ | sin 𝜃 𝑑𝜃.
D’altra parte il lavoro elementare delle forze elettriche può scriversi in termini della
⃗⃗ |𝑑𝜃 = −𝑑𝑈𝑒 , dove
variazione infinitesima dell’energia potenziale elettrica nella forma |𝑀
𝑈𝑒 rappresenta l’energia potenziale delle forze elettriche indotte dal campo. Di qui segue
che:
Ne segue che il potenziale generato nel punto 𝑟 si ottiene integrando su tutto il volume del
dielettrico ottenendo:
Per seguire il nostro programma occorre scrivere la (9) nella forma della (10). A questo
proposito osserviamo che
1 𝑟 − 𝑟′ (11)
)= ⃗ ′(
∇
|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|3
⃗ ′ rappresenta il gradiente rispetto alle variabili primate. Dalla precedente, tenendo
dove ∇
conto della (9), otteniamo la relazione:
1 (12)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ ∇
⃗ ′( ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|
𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ ∇ ⃗ ′∙( ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|
⃗ ′ ∙ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)
−∇
+𝑘∫ 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|
⃗ ′ ∙ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)
−∇ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) ∙ 𝑛̂′ (13)
′ ′ ′
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 + 𝑘 ∫ 𝑑𝑆′
𝜏 |𝑟 − 𝑟′| 𝑆 |𝑟 − 𝑟′|
𝑃⃗ ∙ 𝑛̂ = 𝜎𝑃 ,
⃗ ∙ 𝑃⃗ = −𝜌𝑃 .
∇
⃗ ∙ 𝑃⃗ = −𝜌𝑃 si ha:
Ricordando che ∇
1 𝜌
⃗ ∙ 𝐸⃗ +
∇ ⃗ ∙ 𝑃⃗ =
∇ . (15)
𝜀0 𝜀0
⃗ come segue:
Definendo adesso il vettore spostamento elettrico 𝐷
⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝑃⃗,
𝐷 (16)
possiamo riscrivere la (15) nella forma compatta seguente:
⃗ ∙𝐷
∇ ⃗ = 𝜌. (17)
La (17) dipende soltanto dalle cariche libere, mentre gli effetti di polarizzazione del
dielettrico sono contenuti nella definizione del vettore spostamento elettrico. La (17) è
perciò chiamata prima equazione di Maxwell in presenza di materia.
7
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𝑃⃗ = 𝜀0 𝜒𝑒 𝐸⃗ , (18)
dove 𝜒𝑒 , si chiama suscettività elettrica. Ritroveremo questo modo di ragionare quando
discuteremo di “campo magnetico” e “vettore induzione magnetica”. In quella sede
definiremo una relazione tra queste due grandezze introducendo la suscettività magnetica
𝜒𝑚 . La (18) consente di introdurre, attraverso la suscettività elettrica, la costante
dielettrica del mezzo. Consideriamo infatti la (16) e la (18) e scriviamo:
⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝜀0 𝜒𝑒 𝐸⃗ = 𝜀0 (1 + 𝜒𝑒 )𝐸⃗ = 𝜀𝐸⃗ ,
𝐷 (19)
dove 𝜀 = 𝜀0 (1 + 𝜒𝑒 ) è, appunto, la costante dielettrica del mezzo. Nel vuoto 𝜒𝑒 = 0, cosa
che implica 𝐷 ⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ . Utilizzando la precedente nella (17) si ritrova la prima equazione
di Maxwell in assenza di materia. Infine, definendo la costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 =
(1 + 𝜒𝑒 ), si può scrivere:
⃗ = 𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ .
𝐷 (20)
1
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⃗ 1 ∙ 𝑆1 + 𝐷
𝐷 ⃗ 2 ∙ 𝑆2 = 0. (1)
Essendo adesso 𝑙1 = −𝑙2 = −𝑙𝑡̂, ove 𝑡̂ è il versore nella direzione tangente all’interfaccia.
Sostituendo nella (3) si ha:
𝐸1𝑡 = 𝐸2𝑡 . (4)
𝜀1 𝐸1𝑛 = 𝜀2 𝐸2𝑛 ;
𝐸1𝑡 = 𝐸2𝑡 .
+Q
condensatore è presente una carica 𝑄, vogliamo calcolare:
a) il campo elettrico all’interno del condensatore;
b) la differenza di potenziale ai capi delle armature;
c) la capacità del condensatore;
d) la densità di carica di polarizzazione in prossimità delle armature.
e) La denistà di energia all’interno del dielettrico.
Si osservi che l’intensità di questa grandezza fisica è più piccola rispetto al campo 𝐸0 =
𝜎
nel vuoto.
𝜀0
𝜎𝑑 𝑄𝑑
𝑉 = 𝐸𝑑 = = . (7)
𝜀 𝜀𝑆
𝑄 𝑆
𝐶= = 𝜀0 𝜀𝑟 . (8)
𝑉 𝑑
𝑆
Possiamo esprimere questa capacità in termini della omologa quantità 𝐶0 = 𝜀0 ottenuta
𝑑
quando è fatto il vuoto tra le armature del condensatore. Così, si ha:
𝐶 = 𝜀𝑟 𝐶0 . (9)
Materiale 𝜺𝒓
Vetro 4÷7
Acqua (l) 80
Porcellana 6÷8
𝜀𝑟 −1
|𝜎𝑃 | = 𝜎. (10)
𝜀𝑟
4
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Svolgimento
⃗ ci dà:
Possiamo ricordare che l’applicazione della legge di Gauss per 𝐷
⃗ ) = 𝑄.
Φ(𝐷 (13)
Pertanto, scegliendo una superficie gaussiana concentrica con la sferetta di raggio 𝑟 > 𝑅
si ha, per la simmetria sferica del problema:
𝑄
(4𝜋𝑟 2 )𝐷 = 𝑄 → 𝐷 = . (14)
4𝜋𝑟 2
Quindi, si ha:
𝐷 𝑄
𝐸= = . (15)
𝜀𝐴 4𝜋𝜀𝐴 𝑟 2
5
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𝑄
ove 𝜎 = è la densità di carica sul conduttore.
4𝜋𝑅 2
4. Condensatori “strani”
a) Per rispondere alla prima domanda, dobbiamo notare che la componente del
campo elettrico normale all’interfaccia non si conserva. Si conserva, invece la
componente normale di 𝐷 ⃗ = 𝜎𝑦̂ = 𝑄 𝑦̂. Pertanto, si ha:
𝑆
⃗
𝐷 𝜎 𝑑
𝐸⃗1 = = 𝑦̂, per 0≤𝑦< (18a)
𝜀0 𝜀𝑟 𝜀0 𝜀𝑟 2
⃗
𝐷 𝜎 𝑑
𝐸⃗2 = = 𝑦̂, per <𝑦≤𝑑 (18b)
𝜀0 𝜀0 2
𝜀𝑟 −1
b) |𝜎𝑃 | = 𝑃 = 𝜀0 (𝜀𝑟 − 1)𝐸1 = 𝜎.
𝜀𝑟
c) Il condensatore può essere visto come una connessione in serie di due
𝑑
condensatori, di capacità 𝐶1 e 𝐶2 , il primo con armature a distanza tra loro,
2
contenente un dielettrico con costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 , il secondo in
6
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𝑑
presenza di vuoto, con armature alla stessa distanza . Pertanto, possiamo
2
scrivere:
1 1 1 𝑑 𝑑 𝑑 1
= + = + = ( + 1). (19)
𝐶 𝐶 𝐶𝑒𝑞 2𝜀 𝜀 𝑆 12𝜀 𝑆 2𝜀 𝑆 𝜀
2 0 𝑟 0 0 𝑟
Un lavoro negativo implica che l’agente esterno deve trattenere il dielettrico. Esso è infatti
attratto all’interno del condensatore. La forza attrattiva è conseguenza del fatto che
l’energia elettrostatica del sistema a condensatore vuoto è maggiore di quella che si ha
quando il dielettrico è interposto fra le armature.
1
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⃗ × 𝐸⃗ ,
∇
quantità che viene detta rotore del campo 𝐸⃗ . Ricordiamo che il prodotto vettoriale tra i
⃗ = (𝐵𝑥 𝑥̂ + 𝐵𝑦 𝑦̂ + 𝐵𝑧 𝑧̂ ), può essere calcolato come
vettori 𝐴 = (𝐴𝑥 𝑥̂ + 𝐴𝑦 𝑦̂ + 𝐴𝑧 𝑧̂ ) e 𝐵
segue:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝐴 𝐴𝑧 𝐴 𝐴𝑧 𝐴𝑥 𝐴𝑦
⃗ = 𝑑𝑒𝑡 (𝐴𝑥
𝐴×𝐵 𝐴𝑦 𝐴𝑧 ) = | 𝑦 | 𝑥̂ − | 𝑥 | 𝑦̂ + | | 𝑧̂ . (1)
𝐵𝑦 𝐵𝑧 𝐵𝑥 𝐵𝑧 𝐵𝑥 𝐵𝑦
𝐵𝑥 𝐵𝑦 𝐵𝑧
Dopo il calcolo dei determinanti nella (1), avremo:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗ × 𝐸⃗ = 𝑑𝑒𝑡 ( 𝜕𝑥
∇ 𝜕𝑦 𝜕𝑧 ) =
𝐸𝑥 𝐸𝑦 𝐸𝑧
2. Il teorema di Stokes
Siamo adesso pronti ad introdurre il teorema di Stokes. Esso afferma che la circuitazione
di un campo vettoriale lungo il percorso 𝐶 è pari al flusso del suo rotore attraverso una
qualsiasi superficie 𝑆 avente per bordo 𝐶. In termini matematici, possiamo scrivere:
⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆. (4)
𝑆
Vogliamo dare un argomento di plausibilità, piuttosto che una prova rigorosa, che possa
convincerci della validità della (4). Consideriamo allora il
z
percorso infinitesimo decritto in figura, sul piano 𝑥 − 𝑦.
Calcoliamo la circuitazione, tenendo conto del fatto che il
campo elettrico si mantiene costante sui vari rami del percorso
𝐶 e scriviamo: Ey (0, y, 0)
Ex (x, 0, 0) O y
Ex (x, dy, 0)
⃗ → 𝐸𝑥 (𝑥, 0,0)𝑑𝑥 + 𝐸𝑦 (𝑑𝑥, 𝑦, 0)𝑑𝑦 −
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ x Ey (dx, y, 0)
𝐸𝑥 (𝑥, 𝑑𝑦, 0)𝑑𝑥 − 𝐸𝑦 (0, 𝑦, 0)𝑑𝑦. (5)
Raggrupando i termini, si ha:
⃗ → [𝐸𝑦 (𝑑𝑥, 𝑦, 0) − 𝐸𝑦 (0, 𝑦, 0)]𝑑𝑦 − [𝐸𝑥 (𝑥, 𝑑𝑦, 0) − 𝐸𝑥 (𝑥, 0,0)]𝑑𝑥. (6)
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ
dove abbiamo considerato il vettore area 𝑑𝑆 = 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑧̂ . Quanto detto per superfici
infinitesime si generalizza al caso di superfici di estensione finita osservando che queste
sono ricopribili mediante sovrapposizione di superfici infinitesime, così come mostrato in
3
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figura. Quando sommiamo tutti i contributi, otteniamo ancora un integrale di linea lungo
il contorno 𝐶 della superficie 𝑆 e perciò potremmo scrivere la (7) (con il segno di
uguaglianza adesso!) come segue:
⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑆𝑧 . (8)
𝑆 𝑧
⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑆𝑦 . (10)
𝑆 𝑦
Per una arbitraria superficie nello spazio, giungiamo finalmente alla (4), considerando le
proiezioni del contorno 𝐶 di tale superficie sui piani 𝑥 − 𝑦, 𝑦 − 𝑧 e 𝑥 − 𝑧.
ΦΣ∗ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = ∫ ∇
⃗ ∙ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧,
𝑉
Una superficie chiusa può essere ottenuta invertendo il segno delle normali della
superficie Σ2 e considerando la superficie chiusa risultante dall’unione Σ1 Σ2 , dove
abbiamo indicato con Σ2 la superficie che si ottiene invertendo le normali di Σ2 . In questo
modo si ha:
→ ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ),
1 2
dove abbiamo usato la proprietà ΦΣ2 (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = −ΦΣ2 (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ). Il risultato ottenuto deriva
dal fatto che il rotore di un campo vettoriale definisce un nuovo campo vettoriale a
divergenza nulla. Un campo a divergenza nulla è detto solenoidale.
Abbiamo visto che il campo elettrostatico è conservativo cosa che implica, tramite il
teorema di Stokes, la validità della seguente relazione
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆 = 0.
∫𝑆 (∇ (11)
Essendo arbitraria la superficie attraverso la quale calcoliamo il flusso, la (11) implica la
relazione:
⃗ × 𝐸⃗ = 0,
∇ (12)
che è la terza (vedremo in seguito la seconda) equazione di Maxwell nel caso
elettrostatico. Si dice irrotazionale un campo a rotore nullo. Dimostriamo che un campo
conservativo (a circuitazione nulla) è a rotore nullo. Ci basta osservare che 𝐸⃗ = −∇
⃗ 𝑉, così
come avviente per ogni campo conservativo. Dalla precedente abbiamo:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗ ×∇
∇ ⃗ 𝑉 = 𝑑𝑒𝑡 ( 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 )
𝜕𝑥 𝑉 𝜕𝑦 𝑉 𝜕𝑧 𝑉
= 𝑥̂(𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝑉 − 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝑉) − 𝑦̂(𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝑉 − 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝑉) + 𝑧̂ (𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝑉 − 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝑉) = 0,
dove abbiamo fatto uso ecsplicito del teorema di Schwarz sullo scambio di derivate
parziali miste.
1
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Vogliamo adesso scrivere le equazione di Maxwell per l’elettrostatica, sia nello spazio
vuoto, sia in presenza di dielettrici.
Il campo elettrostatico è conservativo, cosicché la sua circutazione lungo un arbitrario
percorso chiuso è pari a zero. In condizioni elettrostatiche, scriveremo la (1) come segue:
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆 = 0,
∫𝑆 (∇ (2)
⃗ × 𝐸⃗ = 0.
∇ (3)
La (3) è la terza equazione di Maxwell per il campo elettrostatico. In questo modo, nel
vuoto avremo le seguenti equazioni di Maxwell:
⃗ ∙ 𝐸⃗ = 𝜌/𝜀0 ,
∇ (4a)
⃗ × 𝐸⃗ = 0.
∇ (4b)
⃗ ∙𝐷
∇ ⃗ = 𝜌, (5a)
⃗ × 𝐸⃗ = 0,
∇ (5b)
⃗ = 𝜀𝐸⃗ = 𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ .
𝐷 (6)
2
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∆𝑞
𝑖= . (8)
∆𝑡
La corrente elettrica si misura in Ampere (A). Notiamo che non abbiamo detto nulla su
come la corrente elettrica fluisce attraverso la sezione 𝑆. La grandezza fisica che tiene
conto di ciò è la densità di corrente elettrica 𝐽 il cui flusso, attraverso 𝑆, determina proprio
la corrente 𝑖, cosicché:
∫𝑆 𝐽 ∙ 𝑑𝑆 = 𝑖. (10)
3
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∆𝑞 ∆𝜏 𝑆∆𝑥
𝑖 =𝐽𝑆= = 𝑛𝑞 = 𝑛𝑞 . (11)
∆𝑡 ∆𝑡 ∆𝑡
𝐹 = 𝑞𝑒 𝐸⃗ = −𝑒𝐸⃗ . (14)
dove 〈𝑣〉 è la velocità media degli elettroni. In presenza di un campo elettrico 𝐸⃗ , invece
〈𝑣〉 ≠ 0. (17)
𝐽 = −𝑛𝑒〈𝑣〉. (18)
la velocità di deriva? Cosa impedisce agli elettroni di muoversi a velocità alte in presenza
di un campo elettrico?
Dobbiamo osservare che gli elettroni si muovono in un reticolo cristallino e subiscono
“urti” con gli ioni fissi. Non entriamo nel merito della natura di questi urti, ma se
assumiamo che gli elettroni emergono da questi con una velocità media nulla, in modo
che 〈𝑣0𝑖 〉 = 0, potremmo porre:
ove 𝜏 è il tempo medio (tempo di rilassamento) che intercorre tra un urto e l’altro. Per la
(18) e la (19), si ha allora:
𝑛𝑒 2 𝜏
𝐽 = 𝐸⃗ = 𝜎𝐸⃗ , (20)
𝑚𝑒
𝑛𝑒 2 𝜏
ove 𝜎 = è la conduttività del metallo. La relazione (20) è la legge di Ohm in forma
𝑚𝑒
locale, che tradurremo ben presto nella legge di Ohm così come la conosciamo dai nostri
studi precedenti. La condutività 𝜎 è il reciproco della resistività 𝜌 dei metalli, cosicché:
1
𝜌 = . (21)
𝜎
Esempio
1
In un filo di rame (𝑛 = 8.47 × 1022 ) di sezione 𝑆 = 1.5 𝑚𝑚2 fluisce una corrente
𝑐𝑚3
𝑖 = 1.00 𝐴. Si calcoli la velocità di deriva 𝑣𝑑 dei portatori di carica.
Soluzione
Dalla (18) scriviamo
𝑖
𝐽 = = 𝑛𝑒𝑣𝑑 ,
𝑆
cosicché:
𝑖 1𝐶/𝑠 1 𝑐𝑚
𝑣𝑑 = = 1 = (8.47)(1.602 )(1.5) 10−1 .
𝑛𝑒𝑆 (8.47×1022 3 )(1.602 ×10−19 𝐶)(1.5×10−2 𝑐𝑚2 ) 𝑠
𝑐𝑚
𝑐𝑚
E perciò 𝑣𝑑 = 4.93 × 10−3 . La velocità di deriva è di gran lunga minore delle velocità
𝑠
tipiche degli elettroni all’interno del metallo.
1
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1. La legge di Ohm
l
Consideriamo un conduttore di lunghezza 𝑙 e sezione 𝑆, non
necessariamente costante, così come mostrato in figura. Se un
S campo elettrico è presente all’interno del conduttore, calcolando
la differenza di potenziale (d.d.p.) i capi 𝐴 e 𝐵, avremo:
E
𝐵 𝐵 𝐵𝜌
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝐴 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝐴 𝜌𝐽 ∙ 𝑑𝑠 = 𝑖 ∫𝐴 𝑑𝑙 = 𝑖𝑅, (1)
𝑆
dove la resistenza 𝑅 è data dalla seguente espressione:
𝐵𝜌
𝑅 = ∫𝐴 𝑑𝑙. (2)
𝑆
La (1) esprime la legge di Ohm, che riassumiamo dicendo che la d.d.p. 𝑉 ai capi di un
conduttore ohmico è direttamente proporzionale alla corrente elettrica, secondo la
relazione lineare seguente:
𝑉 = 𝑅𝑖, (3)
dove la costante 𝑅 è la resistenza del conduttore. Per conduttori omogenei e a sezione
costante, la (2) si scrive come segue:
𝜌𝑙
𝑅= . (4)
𝑆
La resistenza si misura in Ohm (Ω).
Esempio
Si calcoli la resistenza di un filo di rame (𝜌 = 1.72 × 10−8 Ωm) di sezione 𝑆 = 1.00 𝑚𝑚2
lungo 𝑙 = 100 𝑚.
Soluzione
Qui non dobbiamo fare altro che sostituire i valori numerici nella formula. Tuttavia, il
calcolo dà l’opportunità di conoscere alcune caratteristiche di un materiale molto usato
per la trasmssione di segnali elettrici.
𝜌𝑙 (1.72×10−8 Ωm)(100m)
𝑅= = = 1.72 Ω.
𝑆 1.00×10−6 m2
2
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R
La resistenza, come elemento circuitale, si indica con il simbolo
in figura.
dove 𝑅 è la resistenza totale del circuito. Questo risultato deriva da una generalizzazione
della (1) al caso dei circuiti. La grandezza al membro sinistro si chiama “forza
elettromotrice” (f.e.m.) e vedremo adesso come essa può essere espressa in termini del
“campo elettromotore” 𝐸⃗ ∗ . Notiamo che questo campo elettromotore non ha una origine
elettrostatica, proprio perché contribuisce alla (5) con un termine nonnullo nel membro
destro.
3
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Possiamo pertanto descrivere il campo elettrico 𝐸⃗ nella (5) così come segue:
Adesso andiamo ad effettuare, con questa informazione, l’integrale nella (5), ottenendo
𝐴 𝐵
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 + ∫𝐴 (𝑜𝑢𝑡) 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 =
𝐴 𝐵 𝐴
∫𝐵 (𝑖𝑛)(𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ ) ∙ 𝑑𝑠 + ∫𝐴 (𝑜𝑢𝑡) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝐶 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 + ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗ ∗ ∙ 𝑑𝑠 = 𝑅𝑖, (7)
Poiché ∫𝐶 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = 0, si ha:
𝐴
ℰ = ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗ ∗ ∙ 𝑑𝑠 = 𝑅𝑖, (8)
dove ℰ è la forza elettromotrice, espressa in termini del campo elettromotore 𝐸⃗ ∗ grazie
proprio alla (8). Il campo 𝐸⃗ ∗ , essendo nullo all’esterno, è un campo non-conservativo.
Possiamo adesso definire il campo elettromotore attraverso la forza elettrica 𝑑𝐹 ∗ che deve
essere applicata per spostare una carica 𝑑𝑞 dal punto 𝐵 al punto 𝐴 del generatore,
cosicché:
𝑑𝐹 ∗ = 𝐸⃗ ∗ 𝑑𝑞. (9)
In questo modo, si ha:
𝑑𝐹∗
𝐸⃗ ∗ = . (10)
𝑑𝑞
4
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Notiamo infine che, per avere moto di cariche all’interno del generatore, deve essere:
𝐴
∫ (𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ ) ∙ 𝑑𝑠 > 0.
𝐵 (𝑖𝑛)
La corrente che circola nel circuito, attraversa anche il generatore, che presenta una sua
“resistenza interna”, che definiremo implicitamente, attraverso la legge di Ohm, come
segue:
𝐴
∫𝐵 (𝑖𝑛)(𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ ) ∙ 𝑑𝑠 = 𝑟𝑖. (11)
Abbiamo già fatto vedere che il primo membro della (11) è positivo. Adesso, spezzando
l’integrale in due parte e riconoscendo in una parte di esso la forza eletttromotrice ℰ,
possiamo scrivere:
𝐴
∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 + ℰ = 𝑟𝑖, (12)
e perciò:
𝐴 𝐵
ℰ = 𝑟𝑖 − ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = 𝑟𝑖 + ∫𝐴 (𝑜𝑢𝑡) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = 𝑟𝑖 + 𝑅𝑖 . (13)
Pertanto, possiamo scrivere che
ℰ − 𝑟𝑖 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = 𝑅𝑖. (14)
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 + ℰ = 𝑖𝑅. (17)
LEGGI DI KIRCHHOFF
Per tener conto dei segni della corrente espressa nella (1), se 𝐽⃗𝑘 e 𝑆⃗𝑘 sono, rispettivamente,
la densità di corrente e la superficie orientata del ramo 𝑘 −esimo, quest’ultima uscente
dal volume 𝜏, il cui modulo è pari alla sezione del filo, allora possiamo scrivere:
𝑑𝑞𝑡𝑜𝑡
= − ∑4𝑘=1 𝐽⃗𝑘 ∙ 𝑆⃗𝑘 = ± ∑4𝑘=1 𝑖𝑘 , (2)
𝑑𝑡
dove convenzionalmente associamo il segno più alle correnti entranti e il segno meno alle
corrente uscenti. Riferendoci alla figura, possiamo allora scrivere:
𝑖1 + 𝑖2 − 𝑖3 − 𝑖4 = 0 → 𝑖1 + 𝑖2 = 𝑖3 + 𝑖4 . (3)
E perciò possiamo concludere che la somma delle correnti entranti è uguale alla somma
delle correnti uscenti. Questo è proprio il caso di un nodo in un circuito, in cui convergono
più rami, cosicché:
In un nodo la somma delle correnti entranti è uguale alla somma delle correnti uscenti.
2. Equazione di continuità
Consideriamo adesso una regione di volume 𝜏 in cui possono esistere accumuli o perdite
di carica e scriviamo:
𝑑𝑞𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑞
= − ∑𝑘 𝐽⃗𝑘 ∙ 𝑆⃗𝑘 → 𝑇𝑂𝑇 = − ∫𝑆 𝐽⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗. (4)
𝑑𝑡 𝑑𝑡
2
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Possiamo allora applicare il teorema della divergenza per l’integrale sulla superficie
𝑑𝑞𝑇𝑂𝑇 𝜕𝜌
esterna 𝑆 nella (4) e scrivere = ∫𝜏 𝑑𝜏, cosicché la (4) si riscriverà come segue:
𝑑𝑡 𝜕𝑡
𝜕𝜌
∫𝜏 ⃗⃗ ∙ 𝐽⃗ 𝑑𝜏.
𝑑𝜏 = − ∫𝜏 ∇ (5)
𝜕𝑡
𝜕𝜌
⃗⃗ ∙ 𝐽⃗ = 0.
+∇ (6)
𝜕𝑡
R4 Ɛ3 R2
𝑉𝐵 − 𝑉𝐶 − ℰ2 = 𝑖2 𝑅2 ; (7b)
- + i3 R3
D C 𝑉𝐶 − 𝑉𝐷 − ℰ3 = 𝑖3 𝑅3 . (7c)
𝑉𝐷 − 𝑉𝐴 + ℰ4 = 𝑖4 𝑅4 . (7d)
ℰ1 − ℰ2 − ℰ3 + ℰ4 = 𝑖1 𝑅1 + 𝑖2 𝑅2 + 𝑖3 𝑅3 + 𝑖4 𝑅4 , (8)
cosicché otteniamo la legge di Kirchhoff per le tensioni. Notiamo che abbiamo scelto un
senso di percorrenza della maglia ABCDA in figura.
3
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R1
Dimostriamo brevemente che, per una connessione in serie di due
R2
i
resistori, si ha che la resistenza equivalente è la somma delle due
resistenze, cosicché:
𝑅𝑒𝑞 = 𝑅1 + 𝑅2 . (9)
da cui la (9).
Dimostriamo altrettanto brevemente che, per una connessione in
i1 i2
parallelo di due resistori, si ha che il reciproco della resistenza
R1 R2 V equivalente è la somma dei reciproci delle due resistenze, cosicché:
1 1 1
= + . (11)
𝑅𝑒𝑞 𝑅1 𝑅2
𝑉 𝑉 𝑉
𝑖 = 𝑖1 + 𝑖2 → = + , (12)
𝑅𝑒𝑞 𝑅1 𝑅2
da cui la (11).
𝑑𝐿 𝑑𝑞
𝑑𝐿 = 𝑑𝑞(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) → 𝑃 = = (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑖(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ). (13)
𝑑𝑡 𝑑𝑡
𝑃 = 𝑖ℰ. (14)
4
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La stessa potenza viene sviluppata da un generatore non ideale. In questo caso, tuttavia,
parte di questa potenza viene dissipata al proprio interno per le ragioni che vedremo nel
paragrafo successivo.
Consideriamo adesso il lavoro compiuto per spostare una carica 𝑑𝑞 ai capi di un resistore
e scriviamo ancora
𝑑𝐿 𝑑𝑞
𝑑𝐿 = 𝑑𝑞(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) → 𝑃 = = (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑖 (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ). (15)
𝑑𝑡 𝑑𝑡
𝑃 = 𝑖 2 𝑅. (16)
Esempio
Soluzione
a) Possiamo scrivere che:
ℰ − 𝑟𝑖 = (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ).
c) Adesso è un utile esercizio far vedere che, in un partitore di corrente come quello
in figura, si ha:
𝑅2
𝑖1 = 𝑖;
𝑅1 +𝑅2
𝑅1
𝑖2 = 𝑖.
𝑅1 +𝑅2
avendo percorso il circuito nel senso indicato dalla corrente 𝑖. Sappiamo adesso che il
𝑞(𝑡)
potenziale ai capi del condensatore è 𝑉𝐶 = ; notando che la carica si sta accumulando
𝐶
sul condensatore e che, quindi, la funzione 𝑞(𝑡) è crescente, possiamo esprimere la
𝑑𝑞
corrente come segue: 𝑖 = . La (1) allora diventa:
𝑑𝑡
𝑑𝑞 1 ℰ
+ 𝑞(𝑡) = . (2)
𝑑𝑡 𝑅𝐶 𝑅
𝑑𝑞
la funzione 𝑞(𝑡), sia la sua derivata appaiono al grado 1. Non omogenea, perché
𝑑𝑡
presenta un termine nonnullo (forzamento) al secondo membro. Avremmo parlato di
equazione differenziale omogenea, infatti, così come vedremo durante la scarica del
condensatore, se il membro destro fosse stato nullo. Nelle equazioni differenziali lineari
la soluzione si trova sommando la soluzione dell’omogena associata a una soluzione
particolare, che tiene conto della natura del forzamento. Ma vedremo adesso in pratica che
cosa vogliamo dire. Per quanto riguarda la soluzione 𝑞𝐻 (𝑡), essa deve soddisfare
all’equazione differenziale seguente:
𝑑𝑞𝐻 1
+ 𝑞𝐻 (𝑡) = 0. (3)
𝑑𝑡 𝑅𝐶
𝑡
𝑞𝐻 (𝑡) = 𝐴𝑒 −𝑅𝐶 , (4)
ove 𝐴 è una costante da determinare in modo corretto dopo che l’intera soluzione sarà
stata trovata. Alla verifica risulta che questa espressione è effettivamente soluzione
del’equazione differenziale (3). Benissimo, adesso dobbiamo trovare una soluzione
particolare che tenga conto della natura del forzamento, che è costante. Quindi, proviamo
con una funzione costante:
𝑞𝑝 (𝑡) = 𝐵. (5)
1 ℰ
𝐵= , (6)
𝑅𝐶 𝑅
E così sappiamo che 𝐵 = ℰ𝐶e scriviamo la soluzione generale 𝑞(𝑡) come segue:
𝑡
𝑞(𝑡) = 𝑞𝐻 (𝑡) + 𝑞𝑝 (𝑡) = 𝐴𝑒 −𝑅𝐶 + ℰ𝐶. (7)
𝑡
𝑞(𝑡) = ℰ𝐶 (1 − 𝑒 −𝜏 ), (9)
𝑡
ℰ
𝑖(𝑡) = 𝑒 −𝜏 . (10)
𝑅
Notiamo dalla figura che a 𝑡 = 𝜏 il 63.2% della carica totale ℰ𝐶 è presente sulle armature.
𝑑𝑞(𝑡)
𝑖(𝑡) = − . (11)
𝑑𝑡
Anche in questo caso vorremmo sapere in che modo varia la carica 𝑞(𝑡) sulle armature
del condensatore e come varia la corrente nel circuito.
Procedendo come fatto per la carica del condensatore, applichiamo la legge di Kirchhoff
per l’unica maglia del circuito in figura e scriviamo:
4
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−𝑖𝑅 + 𝑉𝐶 = 0, (12)
avendo percorso il circuito nel senso indicato dalla corrente 𝑖, cosicché i segni dei due
addendi sono quelli indicati nella (12).
𝑞(𝑡)
Ponendo adesso 𝑉𝐶 = e tenendo conto della (11), possiamo scrivere la (12) come
𝐶
segue:
𝑑𝑞 1
+ 𝑞(𝑡) = 0. (13)
𝑑𝑡 𝑅𝐶
𝑡
𝑞(𝑡) = 𝐴𝑒 −𝜏 . (14)
𝑡
𝑞(𝑡) = 𝑄𝑒 −𝜏 . (15)
𝑡
𝑄
𝑖(𝑡) = 𝑒 −𝜏 . (16)
𝜏
Notiamo dalla figura che a 𝑡 = 𝜏 solo il 36.8% della carica totale 𝑄 è presente sulle
𝑄
armature, ossia, 𝑞(𝜏) = 𝑄𝑒 −1 = 0.368𝑄. Infine, si noti anche che 𝑖(𝜏) = 0.368 .
𝜏
Esempio
zero sia 𝑞(0) = 0, si trovi la carica 𝑞(𝑡) sulle armature del condensatore e la
corrente 𝑖(𝑡) che circola nel circuito per 0 < 𝑡 < 𝑡𝐿 .
b) Al tempo 𝑡 = 𝑡𝐿 , infine, l’interruttore è spostato nella posizione verticale, in modo
che il circuito si scarica per un intervallo di tempo ∆𝑡 = 𝑡𝐿 . Si trovi, anche in questo
caso, la carica 𝑞(𝑡) sulle armature del condensatore e la corrente 𝑖(𝑡) che circola
nel circuito per 𝑡𝐿 < 𝑡 < 2𝑡𝐿 .
c) Al tempo 𝑡 = 2𝑡𝐿 l’interrutore viene posizionato in modo da interrompere il fluire
della corrente. Si dica quanto vale la carica residua sulle armature del condensatore
a 𝑡 = 2𝑡𝐿 .
Soluzione
Per quanto riguarda questo punto non c’è null’altro da aggiungere se non il calcolo
della carica a 𝑡 = 𝑡𝐿 :
𝑞(𝑡𝐿 ) = ℰ𝐶(1 − 𝑒 −2 ).
3. Concetti in pratica
𝑅1 𝑅2
Vogliamo applicare il metodo sopra descritto all’analisi
del circuito a due maglie proposto in figura. La presenza
di due generatori ci impedisce di ricondurre questa
𝑖1 𝑖2 situazione a quella di un circuito equivalente ad una
+ −
𝑓 𝑓 maglia. Determiniamo il
− + numero di maglie indipendenti
esaminando le proprietà
topologiche della rete. Da
questa analisi è facile
convincersi del fatto che la rete presenta 3 rami e 2 nodi. Ne
segue il numero di maglie indipendenti vale:
𝑀𝑎𝑔𝑙𝑖𝑒 𝐼𝑛𝑑𝑖𝑝. = 𝑅𝑎𝑚𝑖 − 𝑁𝑜𝑑𝑖 + 1 = 3 − 2 + 1 = 2.
A questo punto abbiamo varie opzioni per la scelta delle maglie
indipendenti. Esaminiamone due.
Scelta 1
Supponiamo di voler conoscere la corrente che scorre nel ramo comune alle due maglie
considerate (vedi figura precedente). Scegliamo le maglie indicate in figura. Applichiamo
le leggi di Kirchhoff:
maglia 1: 𝑓 − 𝑖1 𝑅1 = 0
maglia 2: 𝑓 − 𝑖2 𝑅2 = 0
Dalle precedenti otteniamo il valore delle correnti di maglia:
𝑓 𝑓
𝑖1 = , 𝑖2 = .
𝑅1 𝑅2
La corrente che scorre nel ramo comune alle due maglie vale:
1 1 𝑅2 −𝑅1
𝑖 = 𝑖1 − 𝑖2 = 𝑓 ( − )=𝑓 ,
𝑅1 𝑅2 𝑅1 𝑅2
cosa che implica 𝑖 = 0 se 𝑅1 = 𝑅2 .
Scelta 2
Ripetiamo l’analisi con la scelta delle maglie indicata in figura. Applichiamo le leggi di
Kirchhoff:
3
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maglia 1: 𝑓 − 𝑖1 𝑅1 − 𝑖2 𝑅1 = 0
𝑅1 𝑅2
maglia 2: 𝑓 − 𝑖2 𝑅1 − 𝑖1 𝑅1 − 𝑖2 𝑅2 + 𝑓 = 0
Dalle precedenti otteniamo:
𝑖1 𝑖2 𝑓 − (𝑖1 + 𝑖2 )𝑅1 = 0
+ −
𝑓 𝑓 2𝑓 − (𝑖1 + 𝑖2 )𝑅1 − 𝑖2 𝑅2 = 0.
− + A questo punto si verifica facilmente quanto
segue:
𝑓 𝑅2 −𝑅1
𝑖2 = , 𝑖1 = 𝑓 .
𝑅2 𝑅1 𝑅2
Notiamo che la corrente 𝑖 prima determinata è adesso data proprio da 𝑖1 . Inoltre la corrente
che scorre attraverso il resistore 𝑅2 è proprio 𝑖2 . D’altra parte la corrente che scorre nel
resistore 𝑅1 non è 𝑖1 , ma è la somma delle correnti di maglia 𝑖1 + 𝑖2 . Si ha quindi 𝑖1 +
𝑖2 = 𝑓/𝑅1 . Queste considerazioni mostrano l’equivalenza dei due metodi.
𝑎 +ℰ−𝑖 = 𝑏 → 𝑏 − 𝑎 =ℰ−𝑖 .
D’altra parte abbiamo:
𝑖 𝑏 − 𝑎 = ℰ − 𝑖 = 𝑖𝑅.
Dalla precedente si ottiene la corrente di
maglia:
𝑅 ℰ
+ 𝑖=
𝑅+
.
ℰ Inoltre si ha:
−
𝑎 ℰ ℰ𝑅
𝑏 − 𝑎 =ℰ−𝑖 =ℰ− = .
𝑅+ 𝑅+
Se il punto 𝑎 è messo a terra, allora 𝑎 =0e
di qui segue:
ℰ𝑅 12 ∙ 4,0
𝑏 = → 𝑏 = = 8,0
𝑅+ 6,0
Notiamo inoltre che la potenza dissipata internamente al generatore vale:
𝑃𝑖 = 𝑖 2 .
Infatti la potenza netta fornita dal generatore ai portatori di carica vale:
𝑃 = 𝑖( 𝑏 − 𝑎) = 𝑖(ℰ − 𝑖 ) = 𝑖ℰ − 𝑖 2 ≡ 𝑃𝑓𝑒𝑚 − 𝑃𝑖 ,
5
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Applichiamo la legge di Kirchhoff per le tensioni a partire dal punto 𝑥 seguendo il verso
della corrente di maglia. Ne risulta la seguente relazione:
𝑖 ℰ2 − 𝑖 − 𝑖 − ℰ1 − 𝑖𝑅 = 0
ℰ2 − ℰ1
→𝑅= −2
𝑖
3,0 − 2,0
→𝑅= Ω − 6,0 Ω = 1,0 ∙ 103 Ω − 6,0 Ω
+ ℰ1 + ℰ2 1,0 ∙ 10−3
= 9,9 ∙ 102 Ω.
− − La potenza dissipata in 𝑅 vale:
Esercizio 3
Dato il circuito in figura determinare la corrente passante attraverso 𝑅2 e 𝑅3 . Le grandezze
circuitali sono le seguenti: ℰ1 = 10,0 , ℰ2 = 5,00 , 𝑅1 = 𝑅2 = 𝑅3 = 𝑅 = 4,00 Ω.
6
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LEZIONE 14
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
Abbiamo detto che il campo di forze che si instaura nei dintorni di un magnete
permanente può essere descritto mediante l’introduzione di un campo
vettoriale che chiameremo campo magnetico 𝐵 ⃗ . Le sorgenti di questo campo
sono i dipoli magnetici elementari che riempiono il volume del materiale
magnetico considerato. La natura di tali dipoli non è al momento specificabile
ulteriormente. Abbiamo inoltre evidenziato l’analogia tra il campo generato da
un dipolo elettrico e quello generato da un dipolo magnetico.
Volendo spingere queste analogie sino alle estreme conseguenze, data
l’impossibilità di isolare monopoli magnetici, dovremmo avere che ΦΣ (𝐵 ⃗)=
0, dove il flusso è calcolato attraverso una superficie gaussiana Σ che include
completamente il magnete.
Dovremmo quindi aspettarci che una costruzione teorica dei fenomeni
magnetici porti ad evidenziarne la proprietà
fondamentale ∇ ⃗ ∙𝐵⃗ = 0, che discende dal teorema
della divergenza e dall’impossibilità di isolare cariche
magnetiche singole (monopolo magnetico). La
differenza rispetto al caso del campo elettrico emerge
chiaramente dal confronto con la prima equazione di
Maxwell:
𝜌
⃗ ∙ 𝐸⃗ =
∇
𝜀
⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ = 0,
dal quale risulta evidente che le sorgenti dei campi occupano il membro destro
delle equazioni. Nel caso magnetico tali sorgenti sono dei dipoli magnetici
aventi densità di carica magnetica nulla. Le due equazioni acquisiscono una
particolare simmetria in assenza di sorgenti del campo elettrico. La seconda
delle precedenti, qui introdotta, si candida ad essere la seconda equazione di
Maxwell.
1
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LEZIONE 14b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
La (4) fornisce la forza a cui è sottoposta una particella quando il moto avviene
in presenza di un campo magnetico. Tale forza è detta forza di Lorentz. La (4)
è una forza dalla forma molto particolare in quanto dipende in modo esplicito
dalla velocità della particella nel sistema di riferimento considerato e non
agisce su particelle ferme (qui c’è un punto delicato in quanto il concetto di
moto è relativo al sistema di riferimento!). Inoltre, essendo la forza ortogonale
alla velocità e quindi allo spostamento, la forza di Lorentz non compie lavoro.
Dal teorema dell’energia cinetica possiamo quindi dedurre che un campo
magnetico non può alterare l’energia cinetica di una particella carica. Questo
implica che il modulo del vettore velocità di una particella in moto in un campo
magnetico è costante. Nel caso in cui sia simultaneamente presente un campo
elettrico 𝐸⃗ , la particella risentirà di una forza di natura elettromagnetica della
forma:
𝐹 = 𝑞(𝐸⃗ + 𝑣 × 𝐵
⃗ ). (5)
In questa condizione l’energia cinetica non è più una grandezza conservata in
quanto il campo elettrico compie lavoro non nullo sulla particella.
La (4) può essere utilizzata per dare una definizione operativa dell’unità di
misura del campo magnetico. Un campo magnetico di 1 Tesla è quello che
induce una forza di 1 Newton su una carica di 1 Coulomb che si muove alla
velocità di 1 m/s secondo l’equazione dimensionale:
1𝑁 𝑁
1𝑇 = =1 . (6)
1 𝐶×1 𝑚×1 𝑠−1 𝐴𝑚
𝑀 ⃗⃗⃗ × 𝐵
⃗⃗ = 𝑖 ∮ 𝑟 × (𝑑𝑙 ⃗ ), (7b)
4
Corso di Fisica II per Ingegneria Elettronica - a.a. 2020/21
Essendo |𝑣| una costante del moto, la (9a) rappresenta proprio la formula di
Poisson per la derivata temporale di un vettore di modulo costante pari a 𝑣0 . Il
vettore velocità angolare è dato da (9b). Da quanto detto appare chiaro che la
particella in esame compirà un moto circolare uniforme. In un moto circolare
uniforme vale la relazione 𝑣 = 𝜔 ⃗ × 𝑟, dove 𝑟 è il vettore posizione della
particella con origine nel centro della circonferenza su cui avviene il moto. Il
raggio della traiettoria circolare, |𝑟| = 𝑅, può essere semplicemente calcolato
osservando che |𝑣| = |𝜔 ⃗ × 𝑟| = |𝜔 ⃗ |𝑅 = 𝑣0 . Di qui segue:
𝑚𝑣
𝑅 = |𝑞||𝐵⃗0 . (10)
|
Esempio
Una particella di massa 𝑚 e carica 𝑄 < 0 si muove con velocità iniziale 𝑣0 = (0, 𝑣, 0)
nel campo magnetico 𝐵 ⃗ = 𝐵 𝑧̂ . Siano 𝑣 > 0 e 𝐵 > 0. Determinare:
La componente 𝑥 della velocità ad un generico tempo 𝑡 > 0
Il modulo della velocità ad un generico tempo 𝑡 > 0
Il modulo della forza agente sulla carica ad un generico tempo 𝑡 > 0
𝜋𝑚
La componente 𝑦 dell’accelerazione all’istante di tempo 𝑡 ∗ =
2|𝑄|𝐵
Svolgimento
La particella è soggetta alla sola forza di Lorentz e la risultante equazione della dinamica
prende la forma:
𝑑
𝑚 𝑣 = 𝑄𝑣 × 𝐵 ⃗.
𝑑𝑡
Quest’ultima può essere riscritta nella forma
𝑑
𝑣=𝜔 ⃗ × 𝑣,
𝑑𝑡
con la definizione
|𝑄|𝐵
𝜔⃗ = 𝑧̂ ≡ 𝜔𝑧̂ .
𝑚
Le precedenti mettono in chiara evidenza che il moto seguito dalla carica è circolare ed
uniforme con velocità angolare data dalla precedente. Si osserva inoltre, dalla struttura
delle equazioni, che la componente della velocità parallela al campo è conservata, ossia
non varia nel tempo. Essendo nulla tale componente all’istante iniziale, tale rimarrà ad
ogni istante di tempo successivo. Da questo concludiamo che il moto avviene nel piano
𝑥𝑦 ortogonale al campo magnetico.
L’analisi per componenti consente di scrivere le seguenti relazioni:
𝑑
𝑣 = −𝜔𝑣𝑦
𝑑𝑡 𝑥 .
𝑑
𝑣 = 𝜔𝑣𝑥
𝑑𝑡 𝑦
Derivando rispetto al tempo una delle precedenti e utilizzando l’altra otteniamo le seguenti
equazioni differenziali per le componenti della velocità:
6
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𝑑2
2
𝑣𝑥 + 𝜔2 𝑣𝑥 = 0
𝑑𝑡 .
𝑑2
2
𝑣𝑦 + 𝜔2 𝑣𝑦 = 0
𝑑𝑡
Esse mostrano che, come atteso, le componenti della velocità seguono un moto armonico.
Esaminiamo l’equazione per la componente 𝑥 della velocità. Essa ammette soluzione del
tipo 𝑣𝑥 (𝑡) = 𝐴𝑒 𝑖𝜔𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑖𝜔𝑡 , con 𝐴 e 𝐵 costanti di integrazione da determinare dalle
condizioni al contorno del problema. Osservando che 𝑣𝑥 (𝑡 = 0) = 0, possiamo scrivere,
ridefinendo opportunamente la costante, 𝑣𝑥 (𝑡) = 𝐴 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡). D’altra parte sappiano che
vale la relazione:
𝑑
𝑣 = −𝜔𝑣𝑦
𝑑𝑡 𝑥
dalla quale segue:
𝑑
𝑣 = 𝐴𝜔 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡) = −𝜔𝑣𝑦 .
𝑑𝑡 𝑥
La precedente implica che
𝑣𝑦 = −𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡).
D’altra parte 𝑣𝑦 (𝑡 = 0) = 𝑣 e da questo segue (punto 1):
𝑣𝑥 = −𝑣 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡)
𝑣𝑦 = 𝑣 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡)
.
|𝑄|𝐵
𝜔=
𝑚
Il modulo della velocità ad un generico istante (punto 2) vale √𝑣𝑥 2 + 𝑣𝑦 2 = 𝑣 e risulta
costante nel tempo. E’ semplice rendersi conto del fatto che le componenti della forza di
Lorentz agente sulla carica valgono:
𝐹𝑥 = 𝑄𝑣𝑦 𝐵 = 𝑄𝐵𝑣 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡)
.
𝐹𝑦 = −𝑄𝑣𝑥 𝐵 = 𝑄𝐵𝑣 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡)
Dalle precedenti segue che il modulo della forza agente sulla carica ad ogni istante vale
(punto 3) |𝐹 | = |𝑄|𝑣𝐵. Inoltre le componenti dell’accelerazione si scrivono nella forma:
𝑄𝑣𝑦 𝐵 𝑄𝐵𝑣
𝑎𝑥 = = 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡)
𝑚 𝑚 .
𝑄𝑣𝑥 𝐵 𝑄𝐵𝑣
𝑎𝑦 = − = 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡)
𝑚 𝑚
Dalle precedenti, osservando che 𝑡 ∗ = 𝑇/4 con 𝑇 il periodo del moto circolare uniforme,
otteniamo (punto 4):
7
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LEZIONE 14c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
⃗⃗⃗
𝐹1 = 𝑖1 𝐿𝑧̂ × ⃗⃗⃗⃗
𝐵2 . (2b)
Inoltre dal terzo principio della dinamica sappiamo che deve anche valere la
condizione 𝐹⃗⃗⃗1 + ⃗⃗⃗⃗
𝐹2 = 0. L’analisi vettoriale mette in evidenza quanto segue:
⃗⃗⃗⃗1 ∝ −𝑥̂
𝑧̂ × 𝐵
𝑧̂ × ⃗⃗⃗⃗
𝐵2 ∝ 𝑥̂,
e quindi 𝐵⃗⃗⃗⃗1 ∝ 𝑦̂ mentre ⃗⃗⃗⃗
𝐵2 ∝ −𝑦̂. Nota direzione e verso dei campi resta da
determinare il modulo. Scriviamo i campi nella forma 𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 = 𝐵1 𝑦̂ e 𝐵
⃗⃗⃗⃗2 = −𝐵2 𝑦̂
e sostituiamo nelle relazioni (2a-b). Così facendo otteniamo:
⃗⃗⃗⃗
𝐹2 = 𝑖2 𝐿𝐵1 𝑧̂ × 𝑦̂ = −𝑖2 𝐿𝐵1 𝑥̂ (3a)
⃗⃗⃗
𝐹1 = −𝑖1 𝐿𝐵2 𝑧̂ × 𝑦̂ = 𝑖1 𝐿𝐵2 𝑥̂. (3b)
⃗⃗⃗1 | = |𝐹
L’ultima osservazione riguarda i moduli delle forze, ossia |𝐹 ⃗⃗⃗⃗2 | = 𝐹. La
precedente ci consente di scrivere:
𝜇0 𝑖1
𝐵1 = (4a)
2𝜋𝑑
𝜇0 𝑖2
𝐵2 = . (4b)
2𝜋𝑑
Concentriamoci adesso sul campo prodotto da uno qualsiasi dei due fili
spostando l’altro in una regione distante dello spazio e disinteressandocene. In
questa condizione il campo è ancora presente sebbene non vi sia più un sistema
fisico in grado di risentirne. Data la simmetria cilindrica del problema, ci
aspettiamo che il modulo del campo dipenda solo dalla distanza dal filo,
essendo irrilevante la dipendenza angolare in un qualsiasi piano ortogonale al
filo. Inoltre, non ci aspettiamo alcuna dipendenza dalla coordinata 𝑧. Alla luce
dei fatti sperimentali sopra esposti, facendo opportuno uso della simmetria del
problema, concludiamo che il campo magnetico prodotto da un filo percorso
da corrente 𝑖, collineare all’asse 𝑧 e immerso nel vuoto, assume la forma:
⃗ = 𝜇0 𝑖
𝐵
𝑧̂ ×𝑟
. (5)
2𝜋 𝑥 2 +𝑦 2
3
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LEZIONE 15
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
⃗∇ × 𝐸⃗ = 0, (2b)
dove la (2a) è la prima equazione di Maxwell, derivante dal teorema di Gauss,
mentre la seconda mette in luce la proprietà di conservatività del campo. Un
campo vettoriale è conservativo se la circuitazione è nulla su qualsiasi linea
chiusa dello spazio, ossia ∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 0. La precedente può essere messa nella
forma locale (2b) grazie al teorema di Stokes. E’ utile qui ricordare che (2b)
2
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Arriviamo alla conclusione che ⃗∇ × 𝐵⃗ = 0 per ogni punto dello spazio tale che
𝑥 2 + 𝑦 2 ≠ 0. Saremmo tentati di azzardare la conclusione che il campo 𝐵 ⃗
abbia natura conservativa. Mostreremo che questa
conclusione non è corretta per via della singolarità
(divergenza) del campo in corrispondenza della
sorgente. Il calcolo della circuitazione non richiede la
derivabilità ed è quindi uno strumento adeguato per
appurare la natura conservativa o non conservativa del
campo magnetico.
Procediamo al calcolo della circuitazione del campo che possiamo scrivere in
forma esplicita come segue:
𝜇0 𝑖 −𝑦 𝑑𝑥
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∮ 𝐵
∮𝐵 ⃗ ∙ (𝑥̂𝑑𝑥 + 𝑦̂𝑑𝑦) = ∮ 𝐵𝑥 𝑑𝑥 + 𝐵𝑦 𝑑𝑦 = ∮
2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2
𝑥 𝑑𝑦
+ ,
𝑥2 + 𝑦2
dove occorre ancora specificare la linea chiusa su cui calcolare la circuitazione.
Per sfruttare la simmetria cilindrica del problema e semplificare i calcoli,
scegliamo un circuito chiuso circolare centrato in un arbitrario punto del filo
ed appartenente ad un piano ad esso ortogonale. Sia 𝑅 il raggio del circuito di
integrazione. Occupiamoci dell’integrale di linea che segue:
−𝑦 𝑑𝑥 𝑥 𝑑𝑦
∮ + .
𝑥 2 + 𝑦2 𝑥 2 + 𝑦2
4
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⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 𝑖,
∮𝐵
Si dimostra facilmente (senza calcoli) che gli integrali sul percorso 1 e 3 non
contribuiscono all’integrale in quanto i percorsi di integrazione risultano
ortogonali al campo vettoriale. E’ poi semplice dimostrare che ∫(… )2 =
− ∫(… )4 = 𝜋/2.
LEZIONE 15b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
𝑟
𝐵 ⃗ = 𝜇0 𝑖 (
𝐵
−𝑦
,
𝑥
, 0). (1)
2𝜋 𝑥 2 +𝑦 2 𝑥 2 +𝑦 2
𝜇0 𝑖 𝜃̂
⃗
{𝐵 = 2𝜋𝑟 .
𝑟≥𝑅
Troviamo che il campo esterno è indistinguibile dal campo che genererebbe un
conduttore di sezione trasversa nulla collineare all’asse di simmetria del
cilindro. Cosa si può dire sul campo interno al conduttore cioè per 𝑟 < 𝑅?
Consideriamo una linea amperiana di raggio 𝑟 < 𝑅. Con questa linea si
concatena soltanto una frazione della corrente totale. Precisamente la corrente
concatenata è pari alla densità di corrente moltiplicata per l’area del cerchio
che ha come perimetro la linea di circuitazione:
𝑖 22
𝑟2
𝑖𝑐 = |𝐽|𝜋𝑟 = (𝜋𝑟 ) = 𝑖 2 .
𝜋𝑅 2 𝑅
D’altra parte dalla circuitazione sappiamo che
⃗ ∙ 𝑙 = 𝐵(𝑟)2𝜋𝑟.
𝜇0 𝑖𝑐 = ∮ 𝐵
Da quanto detto otteniamo:
𝜇0 𝑖𝑐 𝜇0 𝑟2 𝜇0 𝑖 𝑟
𝐵 (𝑟 ) = = (𝑖 2 ) = ,
2𝜋𝑟 2𝜋𝑟 𝑅 2𝜋𝑅 2
LEZIONE 15c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
Ancora non sappiamo calcolare il campo nota la geometria della sorgente per
una situazione generale. E’ tuttavia lecito aspettarsi la validità del principio di
sovrapposizione anche per il campo di induzione magnetica. Sotto tale ipotesi
siamo in grado di calcolare il campo generato da un insieme di fili percorsi da
corrente ortogonali al piano 𝑥 − 𝑦 e passanti per i punti (𝑥𝑘 , 𝑦𝑘 ) di detto piano.
E’ facile convincersi che il campo che ne risulta prende la forma:
𝜇 𝑖 −(𝑦−𝑦 ) (𝑥−𝑥𝑘 )
⃗ = ∑𝑘 ⃗⃗⃗⃗
𝐵 𝐵𝑘 = 0 ∑𝑘 ((𝑥−𝑥 )2 𝑘 , , 0).
2𝜋 𝑘 +(𝑦−𝑦𝑘 )2 (𝑥−𝑥 𝑘)
2 +(𝑦−𝑦
𝑘)
2
∞
𝑑𝑥′ 1 𝑦𝑑𝑋 1 𝑑𝑋
∫ 2 2
= − ∫ = − ∫ .
−∞ (𝑥 − 𝑥′) + 𝑦 𝑦2 𝑋2 + 1 𝑦 𝑋2 + 1
Occupiamoci adesso di determinare gli estremi di integrazione. Distinguiamo
due casi: (i) 𝑦 > 0; (ii) 𝑦 < 0.
Se 𝑦 > 0, otteniamo:
3
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1 𝑑𝑋 1 −∞ 𝑑𝑋 1 ∞ 𝑑𝑋 1 +∞
𝜋
− ∫ 2 →− ∫ = ∫ = [ 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑔 (𝑥 )] −∞ = .
𝑦 𝑋 +1 𝑦 +∞ 𝑋 2 + 1 𝑦 −∞ 𝑋 2 + 1 𝑦 𝑦
𝜋
Se 𝑦 < 0, è semplice stabilire che il risultato è dato da − . In generale si può
𝑦
sinteticamente scrivere, contemplando simultaneamente entrambi i casi, che
l’integrale di interesse vale:
∞
𝑑𝑥′ 𝜋
∫ 2 + 𝑦2
= ,
−∞ (𝑥 − 𝑥′) |𝑦 |
che risulta indipendente da 𝑥 per ragioni di simmetria. Sostituendo il risultato
precedente nella (3) si ottiene quanto cercato:
𝜇0 𝑖 𝑛 𝜋 𝜇0 𝑖 𝑛
⃗ = −𝑦𝑥̂ (
𝐵 ) = −𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑦) ( ) 𝑥̂.
2𝜋 |𝑦| 2
Si sarebbe potuto ottenere questo risultato utilizzando il teorema di Ampère?
𝑦 Utilizziamo la linea di circuitazione in
𝐵 figura. Essa è costituita da un percorso
3
rettangolare orientato di base ℎ ed
… … 2
altezza arbitraria. Osserviamo che i
4 𝑥 tratti 2 e 4 non contribuiscono alla
1
circuitazione essendo i percorsi
𝐵 ortogonali al campo. Da ciò segue:
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(… ) + ∫(… ) = 2|𝐵
∮𝐵 ⃗ |ℎ = 𝜇0 𝑖 𝑛 ℎ,
1 3
LEZIONE 15d
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(∇
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆 = 0 → ∇
⃗ × 𝐸⃗ = 0.
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(∇
∮𝐵 ⃗ ×𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑆
𝑖 𝑖 𝑖
{ .
𝑖 = ∫ 𝐽 ∙ 𝑑𝑆
2
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Φ +Φ =0 B C
𝑆
𝑆 𝑆 𝑆
𝛾 𝛾
𝛾
𝑆
Φ = Φ Φ =Φ → Φ =Φ
A
Prima notiamo che è nullo il flusso attraverso una superficie chiusa. Se la linea
di circuitazione partiziona tale superficie in due superfici 𝑆 e 𝑆 allora è
immediato scrivere Φ = Φ + Φ = 0 (figura A). Questa proprietà può essere
usata per stabilire che il flusso del campo attraverso qualsiasi superficie di
bordo 𝛾 è invariante (figure B e C).
A questo punto è interessante presentare le equazioni fondamentali della
magnetostatica e dell’elettrostatica nel vuoto:
𝜌
𝐼𝐼: ⃗∇ ∙ 𝐵
⃗ =0 𝐼: ⃗∇ ∙ 𝐸⃗ =
𝜀0 .
⃗ ×𝐵
𝐼𝑉: ∇ ⃗ = 𝜇0 𝐽 𝐼𝐼𝐼: ∇⃗ × 𝐸⃗ = 0
3
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LEZIONE 16
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
Dalle precedenti è evidente che il vettore cercato non è unico. D’altra parte
questa proprietà, che sembra spiacevole, può tornarci utile nella costruzione
della teoria. Una volta sistemata la seconda equazione di Maxwell esaminiamo
le conseguenze della nostra scelta (𝐼𝐼𝐼) sulla quarta equazione di Maxwell ⃗∇ ×
⃗ = 𝜇0 𝐽. Questa equazione si presenterà nella forma:
𝐵
⃗∇ × ⃗∇ × 𝐴 = 𝜇0 𝐽,
⃗∇(∇
⃗ ∙ 𝐴 ) − ∇ 2 𝐴 = 𝜇0 𝐽 ,
In componenti otteniamo:
⃗ (∇
∇2 𝐴𝑥 = −𝜇0 𝐽𝑥 + [∇ ⃗ ∙ 𝐴)]
𝑥
⃗ (∇
∇2 𝐴𝑦 = −𝜇0 𝐽𝑦 + [∇ ⃗ ∙ 𝐴)] .
𝑦
⃗ (∇
∇2 𝐴𝑧 = −𝜇0 𝐽𝑧 + [∇ ⃗ ∙ 𝐴)]
𝑧
LEZIONE 16b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
A questo punto è facile verificare che la precedente non è altro che −𝑏⃗⃗ × ∇
⃗⃗𝑓.
Proviamolo esplicitamente:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
−𝑏⃗⃗ × ⃗∇⃗𝑓 = − | 𝑏𝑥 𝑏𝑦 𝑏𝑧 |
𝜕𝑥 𝑓 𝜕𝑦 𝑓 𝜕𝑧 𝑓
= −[𝑥̂(𝑏𝑦 𝜕𝑧 𝑓 − 𝑏𝑧 𝜕𝑦 𝑓) − 𝑦̂(𝑏𝑥 𝜕𝑧 𝑓 − 𝑏𝑧 𝜕𝑥 𝑓)
+ 𝑧̂ (𝑏𝑥 𝜕𝑦 𝑓 − 𝑏𝑦 𝜕𝑥 𝑓)]
Abbiamo quindi dimostrato che se 𝑏⃗⃗ non dipende dalle variabili di derivazione
⃗⃗ × (𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑏⃗⃗) = −𝑏⃗⃗ × ⃗∇⃗𝑓. Applichiamo questa relazione al caso di
si ha ∇
interesse:
𝜇0 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)
⃗⃗ =
𝐵 ⃗⃗
∫∇× ( ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
𝜇0 1
= ∫ 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × [−∇ ⃗⃗ ( )] 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
Adesso notiamo che (vedi Appendice)
1 𝑟⃗ − 𝑟⃗′
⃗⃗ (
−∇ )= ,
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
e di qui giungiamo finalmente al risultato cercato:
𝜇0 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × (𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′ ′ ′
⃗⃗(𝑟⃗) =
𝐵 ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 .
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
La precedente consente di calcolare il campo di induzione magnetica una volta
specificata la geometria della sorgente. Nel caso di conduttori filiformi
percorsi da una corrente 𝑖, per i quali è possibile trascurare la dimensione
trasversa, la precedente relazione può riscriversi nella forma:
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
⃗⃗(𝑟⃗) =
𝐵 ∫ ,
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
3
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o in forma differenziale:
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
⃗⃗(𝑟⃗) =
𝑑𝐵 ,
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∮ ,
4𝜋 𝑙′ |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove l’integrale è esteso a tutta la linea chiusa definita dal circuito percorso da
corrente.
16b.2 Appendice
Diamo un semplice argomento per il quale vale la relazione:
1 𝑟⃗ − 𝑟⃗′
⃗⃗ (
−∇ )= .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
Chiaramente la verifica della validità della precedente può essere fatta
mediante calcolo diretto. D’altra parte questa relazione contiene quantità già
viste in elettrostatica. Sappiamo infatti che:
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝑉 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ .
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
Inoltre 𝐸⃗⃗ = −∇
⃗⃗𝑉 e quindi:
4
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1 1
𝐸⃗⃗ = ⃗⃗
∫ −∇ ( ) 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)(𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′ ′ ′
∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
dove l’ultima relazione ci è nota già dall’elettrostatica. Dal confronto di queste
relazione segue quanto volevamo dimostrare.
Notiamo che dalla precedente otteniamo come limite anche il campo elettrico
generato da una carica puntiforme. Immaginiamo che una carica puntiforme
possa essere pensata come una sferetta centrata nell’origine e di raggio
tendente a zero. Il vettore 𝑟⃗′, che esplora ogni punto interno a questa sferetta,
non differirà mai troppo dal vettore nullo. In questo modo possiamo scrivere:
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)(𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′ ′ ′
𝐸⃗⃗ = ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
1 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ )⃗⃗⃗𝑟 ′ ′ ′
≈ ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
1 ⃗⃗⃗𝑟 ′ ′ ′) ′ ′ ′
𝑄 ⃗⃗⃗𝑟
= ∫ 𝜌 (𝑥 , 𝑦 , 𝑧 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 = ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
dove 𝑄 = ∫ 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
1
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LEZIONE 16c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
o in forma differenziale:
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗ ( )
𝑑𝐵 𝑟 = ,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
𝑑𝑙′ 𝑟 = (𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝑟-𝑟′ ⃗⃗𝑟′ = (0,0, 𝑧′)
𝑑𝐵
𝑟′ 𝑟 − 𝑟⃗⃗⃗′ = (𝑥, 𝑦, 𝑧 − 𝑧′)
𝑟 L’elemento di linea vale ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ = 𝑧̂ 𝑑𝑧′.
Calcoliamo 𝑧̂ × (𝑟 − 𝑟′):
2
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𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝑧̂ × (𝑟 − 𝑟′) = |0 0 1 | = (−𝑦, 𝑥, 0).
𝑥 𝑦 𝑧 − 𝑧′
Da queste relazioni otteniamo:
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′) 𝜇0 𝑖 (−𝑦, 𝑥, 0) 𝑑𝑧′
⃗ (𝑟 ) =
𝑑𝐵 = ,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3 4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
da cui integrando sull’intero filo si ha:
𝜇0 𝑖 +∞ (−𝑦, 𝑥, 0) 𝑑𝑧′
⃗ (𝑟 ) =
𝐵 ∫
4𝜋 −∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
𝜇0 𝑖 (−𝑦, 𝑥, 0) +∞ 𝑑𝑧′
= ∫ 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
.
4𝜋 −∞ [ 𝑥
Occupiamoci dell’integrale. Si dimostra che :
+∞
𝑑𝑧′ 2
∫ = ,
−∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 𝑥 2 + 𝑦 2
da cui segue:
𝜇0 𝑖 (−𝑦, 𝑥, 0) 𝜇0 𝑖 𝑧̂ × 𝑟 𝜇0 𝑖 −𝑦 𝑥
⃗ (𝑟) =
𝐵 = = ( , , 0).
2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2 2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2 2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2 𝑥 2 + 𝑦 2
𝑧̂ 𝑧 = (0,0, 𝑧)
𝑑𝐵 𝑟 = 𝑅 (𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃, 0)
𝑦 ⃗⃗⃗
𝑑𝑙 = 𝑅 𝑑𝜃 𝜃̂ .
𝑏
𝑧 𝜃̂ = (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0 )
𝑑𝑙
𝜃 𝑟 |𝑏⃗| = √𝑅 2 + 𝑧 2
𝑥 ⃗⃗⃗ × 𝑏⃗) . Il
Calcoliamo quindi la quantità (𝑑𝑙 𝑧
calcolo diretto mostra che:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗⃗ × 𝑏⃗) = |−𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃 𝑑𝜃 𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑑𝜃 0| ∙ 𝑧̂
(𝑑𝑙 𝑧
−𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 −𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃 𝑧
= 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝜃 𝑑𝜃 + 𝑅 2 𝑐𝑜𝑠 2 𝜃 𝑑𝜃 = 𝑅 2 𝑑𝜃.
2 2
𝐵𝑧 = ∫ 𝑑𝐵𝑧
𝜇0 𝑖 2𝜋 𝑅 2 𝑑𝜃 𝜇0 𝑖 2𝜋𝑅 2
= ∫ =
4𝜋 0 (𝑅 2 + 𝑧 2 )3/2 4𝜋 (𝑅 2 + 𝑧 2 )3/2
𝜇0 𝑖 𝑅2
= .
2 (𝑅 2 + 𝑧 2 )3/2
Ne concludiamo che il campo lungo l’asse della spira vale:
𝜇 𝑖 𝑅2
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( 0
𝐵
2 3 ).
(𝑅 2 + 𝑧 2 )2
Il precedente risultato può essere espresso in termini del momento magnetico
della spira definito come 𝑚⃗⃗ = 𝑖𝑆𝑧̂ con 𝑆 = 𝜋𝑅 2 . Procedendo in questo modo
otteniamo:
𝜇0 𝑚
⃗⃗
⃗ (𝑧) =
𝐵 .
2𝜋 3
(𝑅 2 + 2
𝑧 )2
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Possiamo notare che il valore del campo al centro della spira vale:
𝑚 𝜇0 𝑚
⃗⃗
⃗ (𝑧 = 0) =
𝐵 ,
2𝜋 𝑅 3
mentre a grande distanza da essa otteniamo:
N
𝜇0 𝑚⃗⃗
⃗ (𝑧 ≫ 𝑅 ) ≈
𝐵 .
S 2𝜋 |𝑧|3
In punti arbitrari dello spazio il campo è
simile al campo generato da un dipolo
elettrico o al campo generato da una piccola barretta magnetica. Questa
osservazione fornisce qualche spunto di riflessione riguardo l’origine del
magnetismo nella materia.
1
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LEZIONE 16d
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
infatti si può dimostrare che per esse vale l’analogo della relazione
trigonometrica fondamentale:
+∞ +∞
𝑑𝑧′ 𝑑𝜉
∫ → ∫ =
−∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 −∞ [ 𝑎 2 + 𝜉 2 ]3/2
+∞
1 𝜉 1 𝜉 𝜉 2 2
= 2[ ] = [ lim − lim ] = = .
𝑎 √𝑎2 + 𝜉 2 𝑎2 𝜉→∞ √𝑎2 + 𝜉 2 𝜉→−∞ √𝑎2 + 𝜉 2 𝑎2 𝑥 2 + 𝑦 2
−∞
l’asserto. Avremo modo nello sviluppo futuro del corso di vedere altre
applicazioni di questo risultato.
1
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LEZIONE 17
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗ (𝑟) =
𝑑𝐵
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
e, tra queste, alcuni esempi nei quali compare l’integrale da noi calcolato in
precedenza:
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑥
𝐼=∫ = ∫ 3 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒.
[𝑎2 + 𝑥 2 ]3/2 2 2
(√𝑎 + 𝑥 ) 𝑎 2 √𝑎 2 + 𝑥 2
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿−𝑥 𝑥
⃗ (𝑥 ) =
𝐵 [ + ].
4𝜋 ℎ √(𝐿 − 𝑥 )2 + ℎ2 √𝑥 2 + ℎ2
(b) Caso 𝑥 = 𝐿
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿
⃗ (𝑥 = 𝐿) =
𝐵 [ ].
4𝜋 ℎ √𝐿2 + ℎ2
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿
⃗ (𝑥 = 𝐿/2) =
𝐵 .
4𝜋 𝐿2
√ + ℎ2 ]
[ℎ 4
Cosa impariamo in generale dai casi precedentemente studiati?
Per rispondere a questa domanda
𝑃 𝑥, ℎ, 0 introduciamo gli angoli 𝜙1 e 𝜙2 (vedi
figura) definiti dalle relazioni:
𝜙2 ℎ 𝜙1 𝐿−𝑥
𝑐𝑜𝑠𝜙1 =
√(𝐿 − 𝑥 )2 + ℎ2
𝑥 𝐿−𝑥 𝑥
𝑐𝑜𝑠 𝜙2 = .
√𝑥 2 + ℎ2
In termini di queste grandezze il campo vale:
4
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𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝑐𝑜𝑠𝜙1 + 𝑐𝑜𝑠 𝜙2
⃗ (𝑥 ) =
𝐵 [ ].
2𝜋 ℎ 2
Notiamo che il termine
𝜇0 𝑖 𝑧̂
2𝜋 ℎ
è il campo che genererebbe un filo infinito nel punto considerato, mentre il
termine correttivo
𝑐𝑜𝑠𝜙1 + 𝑐𝑜𝑠 𝜙2
[ ]
2
tiene conto degli effetti di taglia finita (effetti di bordo). Infatti, avvicinandosi
molto al segmento, la variabile ℎ → 0 e così pure gli angoli 𝜙1/2 , mentre il
coseno di detti angoli tende ad 1. In questa condizione il campo diventa molto
prossimo a quello generato da un filo infinito.
Notiamo poi che nel limite in cui 𝐿 tende ad infinito recuperiamo il campo
generato da un filo infinito. L’affermazione è di semplice dimostrazione in
quanto la quantità
𝑐𝑜𝑠𝜙1 + 𝑐𝑜𝑠 𝜙2
[ ]
2
tende a 1.
Un altro modo per recuperare questo risultato è partire dal caso (c) e lasciare
che la lunghezza del filo tenda ad infinito:
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿 𝜇0 𝑖 𝑧̂
⃗ (𝑥 = 𝐿/2) =
lim 𝐵 lim = .
𝐿→∞ 4𝜋ℎ 𝐿→∞ 2 2𝜋ℎ
√𝐿 + ℎ 2
[ 4 ]
1
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LEZIONE 17b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗ (𝑟) =
𝑑𝐵
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
e, tra queste, alcuni esempi nei quali compare l’integrale da noi calcolato in
precedenza:
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑥
𝐼=∫ = ∫ 3 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒.
[𝑎2 + 𝑥 2 ]3/2 2 2
(√𝑎 + 𝑥 ) 𝑎 2 √𝑎 2 + 𝑥 2
𝜇 𝑖 𝑅2
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( 0
𝐵
2 3 ),
(𝑅 2 + 𝑧 2 )2
dove la precedente è stata ricavata nell’ipotesi che la spira sia collocata nel
piano 𝑥𝑦. Dalla precedente si ricava che il campo infinitesimo generato da una
spira realizzata da un conduttore di sezione trasversa infinitesima collocata nel
generico piano ortogonale all’asse 𝑧 di equazione 𝑧 = 𝑧’ vale:
𝜇0 𝑖 𝑛 𝑑𝑧′ 𝑅2
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ (
𝑑𝐵 )
2 [𝑅 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
Il campo totale si ottiene integrando su tutta la lunghezza del sistema:
𝐿 𝐿
2 𝜇0 𝑖 𝑅 2 𝑛 2 𝑑𝑧′
⃗ (𝑧) = ∫ 𝑑𝐵
𝐵 ⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( )∫ .
𝐿 2 𝐿 [𝑅 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
− 2 − 2
Trattiamo l’integrale.
𝜉 = 𝑧′ − 𝑧
.
𝑑𝜉 = 𝑑𝑧′
Da questa posizione segue:
𝐿 𝐿 𝐿
−𝑧 −𝑧
2 𝑑𝑧′ 𝑑𝜉 2 𝜉 2
∫ → ∫ = [ ] =
𝐿 [𝑅 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 𝐿 ( 𝜉 2 + 𝑅 2 )3/2 2 2 2
−2 −2−𝑧 𝑅 √𝑅 + 𝜉 𝐿
− −𝑧 2
𝐿 𝐿
−𝑧 +𝑧
= 2 + 2 .
2 2
𝐿 𝐿
𝑅 2 √𝑅 2 + ( − 𝑧) 𝑅 2 √𝑅 2 + ( + 𝑧)
2 2
Dalla precedente otteniamo:
𝐿 𝐿
𝜇 𝑖𝑛 −𝑧 +𝑧
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( 0
𝐵 ) 2 + 2 .
2 2 2
√𝑅 2 + (𝐿 − 𝑧) √𝑅 2 + (𝐿 + 𝑧)
[ 2 2 ]
3
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𝜇0 𝑖 𝑛 𝐿
⃗ (𝑧 = 0) = 𝑧̂ (
𝐵 ) ,
2 2
√𝑅 2 + ( 𝐿 )
[ 2 ]
valore che nel limite 𝐿 ≫ 𝑅 diviene:
⃗ (𝑧 = 0) ≈ 𝜇0 𝑖 𝑛 𝑧̂ .
𝐵
Studiamo adesso la relazione funzionale trovata nel caso generale. Scriviamola
in variabili adimensionali:
𝐿 𝐿
𝜇 𝑖𝑛 −𝑧 +𝑧
⃗ (𝜉 ) = 𝑧̂ ( 0
𝐵 ) 2 + 2 ≡ 𝑧̂ 𝐵0 𝑓(𝜉, 𝜂 ).
2 2 2
√𝑅 2 + (𝐿 − 𝑧) √𝑅 2 + (𝐿 + 𝑧)
[ 2 2 ]
La funzione 𝑓(𝜉, 𝜂 ) che vogliamo studiare assume la forma:
1 1
1 −𝜉 +𝜉
𝑓 (𝜉, 𝜂 ) = 2 + 2 ,
2 2 2
√𝜂 2 + (1 − 𝜉) √𝜂 2 + (1 + 𝜉)
( 2 2 )
con 𝜂 = 𝑅/𝐿 e 𝜉 = 𝑧/𝐿 e 𝐵0 = 𝜇0 𝑖 𝑛. E’ evidente (vedi figura) che solenoidi
Out[15]=
1.0
con rapporto
raggio/lunghezza piccolo
0.8
presentano un campo
0.6 interno lungo l’asse
f , 0.1
pressoché indipendente
B B0
0.4 f , 0.2
f , 0.5
da 𝑧 e pari a 𝐵0 = 𝜇0 𝑖 𝑛.
0.2 E’ inoltre possibile
0.0
dimostrare che il campo
1.0 0.5 0.0 0.5 1.0 esterno a un solenoide di
4
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LEZIONE 17c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
17c.1 Campo di un nastro percorso da corrente
Supponiamo di avere un conduttore percorso da
densità di corrente uniforme 𝐽⃗. Supponiamo che il
𝑥′
conduttore abbia una dimensione infinita, larghezza
𝑥 𝑃 𝐿 e spessore 𝑊 (non mostrato in figura). La corrente
totale che circola nel conduttore vale quindi 𝑖 = 𝐽𝑊𝐿,
essendo 𝑊𝐿 la sezione trasversa del conduttore. Si
𝑑𝑥′ vuole calcolare il campo generato nel punto 𝑃. Il
campo è entrante nel foglio e risulta ad esso
𝐿 ortogonale. Non resta che valutarne il modulo.
Utilizziamo il principio di sovrapposizione. Sappiamo che il modulo del
campo generato a distanza 𝑅 da un filo percorso da corrente 𝑖 vale:
𝜇0 𝑖
𝐵= .
2𝜋 𝑅
Utilizziamo questo risultato. Possiamo partizionare il sistema in nastri
conduttori di larghezza infinitesima. Ogni nastro di spessore 𝑑𝑥’ genera un
contributo infinitesimo al campo della forma:
𝜇0
𝑑𝐵 = 𝑑𝑖,
2𝜋 (𝑥 − 𝑥′)
𝑖
dove 𝑑𝑖 = 𝐽𝑊 𝑑𝑥′ = 𝑑𝑥′. Di qui, sommando su tutti i contributi, si ha:
𝐿
𝐿
𝜇0 𝑖 𝐿 𝑑𝑥′ 𝜇0 𝑖 𝐿 𝑑𝑥 ′
𝐵 = ∫ 𝑑𝐵 = ∫ =− ∫ ′ − 𝑥)
.
0 2𝜋 𝐿 0 (𝑥 − 𝑥′) 2𝜋 𝐿 0 (𝑥
Occupiamoci adesso dell’integrale. Effettuiamo la sostituzione seguente:
𝑟 = 𝑥′ − 𝑥
.
𝑑𝑟 = 𝑑𝑥′
Con questa posizione otteniamo:
2
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𝐿 𝐿−𝑥
𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑟 𝐿−𝑥 𝑥−𝐿
∫ ′ − 𝑥)
→ ∫ = 𝑙𝑛 ( ) = 𝑙𝑛 ( ).
0 ( 𝑥 −𝑥 𝑟 −𝑥 𝑥
𝜇0 𝑖 𝑥−𝐿 𝜇0 𝑖 𝑥 𝜇0 𝑖 1
𝐵=− 𝑙𝑛 ( )= 𝑙𝑛 ( )= 𝑙𝑛 ( ).
2𝜋 𝐿 𝑥 2𝜋 𝐿 𝑥−𝐿 2𝜋 𝐿 𝐿
1−
𝑥
Osserviamo esplicitamente che vale la relazione 𝑥 = + 𝐿 mediante la quale
è possibile riscrivere l’argomento del logaritmo. Operando in questo modo
otteniamo:
𝜇0 𝑖 𝐿
𝐵= 𝑙𝑛 (1 + ).
2𝜋 𝐿
𝐿
Quando ≫ 𝐿, ossia a grande distanza dal filo, la quantità tende a divenire
ℎ
molto minore di 1. Questo consente di sviluppare in serie il logaritmo al primo
ordine non nullo:
𝐿 𝐿
𝑙𝑛 (1 + ) ≈ .
LEZIONE 17d
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
𝑟⃗ = 𝑅(𝑐𝑜𝑠 , 𝑠𝑖𝑛 , 0)
.
𝑑𝑙⃗ = 𝑅 𝑑 ̂ = 𝑅 𝑑 (−𝑠𝑖𝑛 , 𝑐𝑜𝑠 , 0)
Ci occorre calcolare 𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗. Procediamo esplicitamente:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗ = |−𝑅𝑠𝑖𝑛 𝑑 𝑅𝑐𝑜𝑠 𝑑 0 |,
𝐵𝑥 𝐵𝑦 𝐵𝑧
da cui segue:
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = 𝐵𝑧 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑
𝑥
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = 𝐵𝑧 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑
𝑦
.
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = −𝐵𝑦 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 − 𝐵𝑥 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑
𝑧
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑥
⃗⃗)
𝑧
⃗⃗)] = −𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵 𝑦
⃗⃗)
𝑧 .
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑧
⃗⃗) − 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑦
⃗⃗)
𝑥
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑧
⃗⃗ ) − 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑦
⃗⃗)
𝑥
= 𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝐵𝑧 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 ) − 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝐵𝑧 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑 )
= 𝑅 2 (𝐵𝑧 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 − 𝐵𝑧 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑 = 0
Da queste espressioni si ottiene:
2𝜋
𝑀𝑥 = 𝑖 ∮[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = −𝑖𝑅 ∫ (𝐵𝑦 𝑠𝑖𝑛2 + 𝐵𝑥 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑 .
𝑥
2
0
2𝜋
∫ 𝑠𝑖𝑛2 𝑑 = 𝜋
0
2𝜋
∫ 𝑐𝑜𝑠 2 𝑑 = 𝜋
0
2𝜋
∫ 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 𝑑 = 0
0
2𝜋
∫ 𝑐𝑜𝑠 𝑑 = 0
0
2𝜋
∫ 𝑠𝑖𝑛 𝑑 = 0
0
𝑀𝑧 = 𝑖 ∮[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 0.
𝑧
𝐵 𝐹⃗ = 0
𝐵 ⃗⃗⃗ = 𝑚
𝑀 ⃗⃗,
⃗⃗⃗ × 𝐵
dove 𝑚 ⃗⃗⃗ rappresenta il momento
𝑚 magnetico della spira. Appare
evidente che quando 𝑚 ⃗⃗⃗ è parallelo a
⃗⃗ allora si ha 𝑀
𝐵 ⃗⃗⃗ = 0. Questo implica
che una spira tende ad orientarsi in
campo magnetico in modo da rendere
la normale alla spira parallela al
campo esterno. Si può facilmente intuire che questa configurazione minimizza
l’energia magnetica del sistema.
Adesso facciamo notare che il momento meccanico a cui è sottoposto un dipolo
elettrico in campo elettrico uniforme 𝐸⃗⃗ vale:
⃗⃗⃗ = 𝑝⃗ × 𝐸⃗⃗
𝑀
e tale sistema possiede un’energia configurazionale pari a
𝑈𝐸 = −𝑝⃗ ∙ 𝐸⃗⃗ .
Il campo elettrico, come visto nelle lezioni precedenti, tende ad orientare i
dipoli elettrici lungo la propria direzione. Questa configurazione minimizza
l’energia configurazionale.
6
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Lo stesso fenomeno accade per i dipoli magnetici (la spira equivale a un dipolo
magnetico) ed è quindi facile intuire che l’energia magnetica vale:
𝑈𝑀 = −𝑚 ⃗⃗.
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵
La simmetria delle precedenti relazioni è facilmente apprezzabile:
𝑈𝑀 = −𝑚 ⃗⃗
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵 𝑈𝐸 = −𝑝⃗ ∙ 𝐸⃗⃗
.
⃗⃗⃗ = 𝑚
𝑀 ⃗⃗⃗ × 𝐵 ⃗⃗ 𝑀⃗⃗⃗ = 𝑝⃗ × 𝐸⃗⃗
Discutiamo in qualche dettaglio le proprietà matematiche dell’energia
magnetica 𝑈𝑀 = −𝑚 ⃗⃗. Se l’angolo tra 𝑚
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵 ⃗⃗ è zero allora l’energia è
⃗⃗⃗ e 𝐵
negativa, se vale 180 gradi l’energia magnetica è positiva. Ne segue che
l’energia è minimizzata quando i due vettori sono allineati.
Dimostriamolo minimizzando l’energia magnetica con il vincolo 𝑚𝑥2 + 𝑚𝑦2 +
𝑚𝑧2 − |𝑚
⃗⃗⃗|2 . La funzione da minimizzare si riscrive nella forma vincolata
⃗⃗ + 𝜇(𝑚𝑥2 + 𝑚𝑦2 + 𝑚𝑧2 − |𝑚
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵
ℒ = −𝑚 ⃗⃗⃗|2 ),
⃗⃗⃗|2 = (𝑖𝑆)2 . Imponiamo la condizione estremale:
dove |𝑚
𝜕ℒ
= −𝐵𝑥 + 2𝜇 𝑚𝑥 = 0
𝜕𝑚𝑥
𝜕ℒ
= −𝐵𝑦 + 2𝜇 𝑚𝑦 = 0
𝜕𝑚𝑦
.
𝜕ℒ
= −𝐵𝑧 + 2𝜇 𝑚𝑧 = 0
𝜕𝑚𝑧
𝜕ℒ
= 𝑚𝑥2 + 𝑚𝑦2 + 𝑚𝑧2 − |𝑚
⃗⃗⃗|2 = 0
𝜕𝜇
Da queste relazioni si ottiene:
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𝐵𝑥
𝑚𝑥 =
2𝜇
𝐵𝑦
𝑚𝑦 = .
2𝜇
𝐵𝑧
𝑚𝑧 =
2𝜇
Utilizzando il vincolo sul modulo del momento magnetico della spira
otteniamo:
⃗⃗
𝐵
𝑚
⃗⃗⃗ = ± |𝑚
⃗⃗⃗|.
⃗⃗|
|𝐵
Essendo noi interessanti a un minimo dell’energia scegliamo il segno positivo
nella precedente. Da questo segue:
⃗⃗
𝐵
𝑚
⃗⃗⃗ = |𝑚
⃗⃗⃗|,
⃗⃗
|𝐵|
⃗⃗
𝐵
dove ⃗⃗|
rappresenta il versore del campo magnetico esterno. Abbiamo quindi
|𝐵
dimostrato che un dipolo magnetico si orienta parallelamente al campo esterno,
configurazione questa che minimizza l’energia magnetica.
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LEZIONE 18
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∮ ,
4𝜋 𝑙′ |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove l’integrale è esteso a tutta la linea chiusa definita dal circuito percorso da
corrente. La relazione tra il potenziale vettore ed il campo di induzione
𝑥, 𝑦, 𝑧 magnetica è data da 𝐵⃗⃗ = ⃗∇⃗ × 𝐴⃗. Vogliamo
trattare l’esempio particolarmente rilevante
del calcolo del campo generato da una
𝑟⃗ 𝑟⃗ − 𝑟⃗′ piccola spira piana percorsa da corrente
𝑧 stazionaria i. Sia 𝑚 ⃗⃗⃗ = 𝑖𝑆𝑧̂ = 𝑖 (𝜋𝑅 2 )𝑧̂ il
𝑦 momento magnetico della spira. Questo
𝑟⃗′ 𝑑𝑙⃗’ implica che, senza perdita di generalità, la
𝜃 spira sia contenuta nel piano xy di un
riferimento avente per origine il centro della
𝑥 spira. Con riferimento alla figura,
introduciamo i seguenti vettori importanti
nel calcolo:
𝑟⃗ = (𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝑟⃗ ′ = 𝑅 (𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃, 0) .
𝑑𝑙⃗′ = 𝑅 𝑑𝜃 𝜃̂ = 𝑅 𝑑𝜃 (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0)
2
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𝜕 ′ 2 ′ 2 2
𝜕𝑓 𝜕𝑥 ′ (√(𝑥 − 𝑥 ) + (𝑦 − 𝑦 ) + 𝑧 )
=− 2
𝜕𝑥′ (√(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2 )
−2(𝑥 − 𝑥 ′ )
2√(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2
=− 2
(√(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2 )
(𝑥 − 𝑥 ′ )
= .
[(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2 ]3/2
Dalla precedente e per analogia segue:
𝜕𝑓 𝑥
( ) = 2
𝜕𝑥′ 0 [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3/2
𝜕𝑓 𝑦 .
( ) = 2
𝜕𝑦′ 0 [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3/2
Ne concludiamo che una approssimazione del denominatore della funzione
integranda prende la forma:
1
√(𝑥 − 𝑥′)2 + (𝑦 − 𝑦′)2 + 𝑧 2
1 𝑥 𝑥′ 𝑦 𝑦′
≈ + 3+ 3.
2 2
√𝑥 + 𝑦 + 𝑧 2
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] 2
Pertanto il potenziale vettore diviene somma di tre termini:
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ ∫ +
4𝜋 0 2
√𝑥 + 𝑦 + 𝑧 2 2
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 𝑥 𝑥 ′ (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
∫ 3 +
4𝜋 0 2 2 2
[𝑥 + 𝑦 + 𝑧 ]2
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 𝑦 𝑦 ′ (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
∫ 3 .
4𝜋 0
[ 𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2
4
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𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑦 𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑥
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ − 3𝑥̂ + 3 𝑦.
̂
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2
La precedente può essere scritta in forma più compatta osservando che
3
2 2 2 ]2
[𝑥 + 𝑦 + 𝑧 = |𝑟⃗|3 . Da questo otteniamo:
𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑦 𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑥
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ − 𝑥̂ + 𝑦̂ =
4𝜋 |𝑟⃗|3 4𝜋 |𝑟⃗|3
𝜇0
= (−𝑚 𝑦, 𝑚 𝑥, 0)
4𝜋 |𝑟⃗|3
con 𝑚 = |𝑚 ⃗⃗⃗| = 𝑖 𝜋 𝑅 2 . Notiamo che la precedente può essere espressa
mediante un prodotto vettoriale. Osserviamo infatti che (−𝑚 𝑦, 𝑚 𝑥, 0) si
scrive nella forma:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗⃗ × 𝑟⃗ = |0
𝑚 0 𝑚| = 𝑥̂ (−𝑚 𝑦) − 𝑦̂(−𝑚 𝑥 ) + 𝑧̂ (0) = (−𝑚 𝑦, 𝑚 𝑥, 0).
𝑥 𝑦 𝑧
Arriviamo alla conclusione che il potenziale vettore di un piccola spira piana
percorsa da corrente stazionaria 𝑖 vale:
𝜇0 𝑚
⃗⃗⃗ × 𝑟⃗
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = .
4𝜋 |𝑟⃗|3
Calcoliamo il campo generato mediante rotore della precedente espressione:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝜇
⃗⃗ = ⃗∇⃗ × 𝐴⃗ = 0 | 𝜕𝑥
𝐵
𝜕𝑦 𝜕𝑧
|.
4𝜋 𝑚𝑦 𝑚𝑥
− 3 0
|𝑟⃗| |𝑟⃗|3
Esprimiamo il risultato in componenti. In particolare per la componente 𝑥
otteniamo quanto segue:
𝜇0 𝑚𝑥 𝜇0 𝑚 3𝑥𝑧
𝐵𝑥 = − [𝜕𝑧 ( 3 )] = .
4𝜋 |𝑟⃗| 4𝜋 |𝑟⃗|5
Nel derivare la precedente abbiamo utilizzato la relazione:
6
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1 2 2 2 )−3/2
3 2 2
3
2 )−2−1 ( )
(
𝜕𝑧 ( 3 ) = 𝜕𝑧 𝑥 + 𝑦 + 𝑧 (
=− 𝑥 +𝑦 +𝑧 2𝑧
|𝑟⃗| 2
2 2
5
2 )−2
3𝑧
(
= −3𝑧 𝑥 + 𝑦 + 𝑧 = − 5.
|𝑟⃗|
Calcoliamo la componente 𝑦.
𝜇0 𝑚𝑦 𝜇0 𝑚 3𝑦𝑧
𝐵𝑦 = − [𝜕𝑧 ( 3 )] =
4𝜋 |𝑟⃗| 4𝜋 |𝑟⃗|5
Calcoliamo la componente 𝑧.
𝜇0 𝑚 𝑥 𝑦
𝐵𝑧 = [𝜕𝑥 ( 3 ) + 𝜕𝑦 ( 3 )].
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Per semplificare la precedente utilizziamo le seguenti relazioni:
𝑥 1 1 1 −3𝑥 1 3𝑥 2
𝜕𝑥 ( 3 ) = 3 + 𝑥𝜕𝑥 ( 3 ) = 3 + 𝑥 ( 5 ) = 3 − 5
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|
𝑦 1 3𝑦 2
𝜕𝑦 ( 3 ) = 3 − 5
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Sommando le precedenti si ottiene:
𝑥 𝑦 2 𝑥 2 + 𝑦2 2 |𝑟⃗|2 − 𝑧 2
𝜕𝑥 ( 3 ) + 𝜕𝑦 ( 3 ) = 3 − 3 ( ) = 3 − 3( )=
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|5 |𝑟⃗| |𝑟⃗|5
2 |𝑟⃗|2 3 𝑧2 1 3 𝑧2
= 3 − 3 ( 5) + 5 = − 3 + 5 .
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Pertanto si ha che la componente z del campo vale:
𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐵𝑧 = [− 3 + 5 ].
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
𝜇0 𝑚 3𝑥𝑧
𝐵𝑥 =
4𝜋 |𝑟⃗|5
𝜇0 𝑚 3𝑦𝑧
𝐵𝑦 =
4𝜋 |𝑟⃗|5
𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐵𝑧 = [− 3 + 5 ].
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Verifichiamo che il risultato generale qui ottenuto sia consistente con quello
ottenuto nelle precedenti lezioni. Vogliamo quindi determinare il valore del
campo in un generico punto dell’asse 𝑧.
Dalle precedenti, con la sostituzione 𝑥 = 𝑦 = 0, otteniamo immediatamente:
𝐵𝑥 = 0
𝐵𝑦 = 0
𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2 𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐵𝑧 = [− 3 + 5 ] = [− 3 + 5 ]
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|→|𝑧| 4𝜋 |𝑧| |𝑧|
𝜇0 𝑚 1 3 𝜇0 𝑚
= [− 3 + 3 ] = ,
4𝜋 |𝑧| |𝑧| 2𝜋 |𝑧|3
che coincide con il risultato da noi trovato a grande distanza dalla spira.
Vogliamo confrontare l’espressione del campo di induzione magnetica con il
campo elettrico generato da un dipolo con momento di dipolo 𝑝⃗ = 𝑝 𝑧̂
(chiaramente parliamo di enti fisici differenti). E’ possibile dimostrare che il
campo elettrico generato da un dipolo (a grande distanza) vale:
1 𝑝⃗ 3 𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = (− 3 + 𝑟⃗).
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|5
Specializzando la precedente al caso di interesse abbiamo:
1 𝑝 𝑧̂ 3 𝑝 𝑧
𝐸⃗⃗ = (− 3 + 𝑟⃗),
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|5
che scritta in componenti ci restituisce:
8
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𝑝 3𝑥𝑧
𝐸𝑥 =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5
𝑝 3𝑦𝑧
𝐸𝑦 = .
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5
𝑝 1 3 𝑧2
𝐸𝑧 = (− 3 + 5 )
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Come si vede le linee di forza dei due campi sono identiche. Riportiamo per
opportuno confronto le componenti dei due campi affiancate.
𝑝 3𝑥𝑧 𝜇0 𝑚 3𝑥𝑧
𝐸𝑥 = 𝐵𝑥 =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5 4𝜋 |𝑟⃗|5
𝑝 3𝑦𝑧 𝜇0 𝑚 3𝑦𝑧
𝐸𝑦 = 𝐵𝑦 =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5 4𝜋 |𝑟⃗|5
𝑝 1 3 𝑧2 𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐸𝑧 = (− 3 + 5 ) 𝐵𝑧 = (− 3 + 5 )
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗| 4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
1
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LEZIONE 18b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
𝑞𝐸⃗⃗ 𝜏
𝑝
⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗
𝑑 = 𝑞𝐸 𝜏 → ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑣𝑑 = ,
𝑚
dove ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑣𝑑 rappresenta la velocità di deriva dei portatori. La densità di corrente è
data dalla relazione usuale 𝐽⃗ = 𝑛𝑞𝑣 𝑑 con 𝑛 la densità volumica di portatori.
⃗⃗⃗⃗⃗,
Dalla precedente segue immediatamente la legge di Ohm in forma locale:
𝑛𝑞 2 𝜏
𝐽⃗ = 𝑛𝑞𝑣
⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑 = 𝐸⃗⃗ ,
𝑚
dalla quale, per confronto con 𝐽⃗ = 𝜎𝐸⃗⃗ , si determina immediatamente la
conduttività del sistema:
𝑛𝑞 2 𝜏
𝜎= .
𝑚
La precedente è poi legata alla resistività dalla relazione 𝜌 = 1/𝜎. Nell’ambito
di questa descrizione semplificata la conduttività è una costante e il vettore
densità di corrente risulta parallelo al campo elettrico che origina il moto di
cariche.
Cosa cambia nella descrizione sin qui fatta quando sia presente, oltre al campo
elettrico, anche un campo magnetico 𝐵⃗⃗ ?
In questa condizione la quantità di moto media dei portatori è retta
dall’equazione:
𝑑𝑝⃗ 𝑝⃗ 𝑝⃗
+ = 𝑞(𝐸⃗⃗ + 𝑣⃗ × 𝐵
⃗⃗ ) = 𝑞 (𝐸⃗⃗ + × 𝐵
⃗⃗).
𝑑𝑡 𝜏 𝑚
In condizioni stazionarie otteniamo:
3
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⃗⃗⃗⃗⃗
𝑝𝑑
𝑝𝑑 = 𝑞𝜏 (𝐸⃗⃗ +
⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗),
×𝐵
𝑚
equazione che questa volta non può risolversi a vista rispetto a ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑝𝑑 per via del
termine aggiuntivo al secondo membro dovuto alla forza di Lorentz.
Riscriviamo preliminarmente la precedente in funzione della densità di
corrente utilizzando la relazione:
𝐽⃗𝑚
𝑝𝑑 =
⃗⃗⃗⃗⃗ ,
𝑛𝑞
che ci consente di scrivere:
𝐽⃗𝑚 1 1
= 𝑞𝜏 (𝐸⃗⃗ + 𝐽⃗ × 𝐵
⃗⃗) → 𝐽⃗ = 𝜎 (𝐸⃗⃗ + 𝐽⃗ × 𝐵
⃗⃗).
𝑛𝑞 𝑛𝑞 𝑛𝑞
Dalla precedente si ottiene:
1 1
𝐸⃗⃗ = 𝜌𝐽⃗ − 𝐽⃗ × 𝐵
⃗⃗ = 𝜌𝐽⃗ + ⃗⃗ × 𝐽⃗.
𝐵
𝑛𝑞 𝑛𝑞
Analizziamo il termine segnato in rosso.
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗ × 𝐽⃗ = |𝐵𝑥
𝐵 𝐵𝑦 𝐵𝑧 |
𝐽𝑥 𝐽𝑦 𝐽𝑧
= 𝑥̂(𝐵𝑦 𝐽𝑧 − 𝐵𝑧 𝐽𝑦 ) − 𝑦̂(𝐵𝑥 𝐽𝑧 − 𝐵𝑧 𝐽𝑥 ) + 𝑧̂ (𝐵𝑥 𝐽𝑦 − 𝐵𝑦 𝐽𝑥 ).
L’analisi della precedente relazione mostra che il prodotto vettoriale può essere
riscritto in termini del prodotto matriciale di un’opportuna matrice (costruita
con le componenti del campo magnetico) ed il vettore densità di corrente:
0 −𝐵𝑧 𝐵𝑦 𝐽𝑥
⃗⃗ × 𝐽⃗ = ( 𝐵𝑧
𝐵 0 −𝐵𝑥 ) (𝐽𝑦 ).
−𝐵𝑦 𝐵𝑥 0 𝐽𝑧
Utilizzando la precedente scriviamo la relazione:
4
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0 −𝐵𝑧 𝐵𝑦 𝐽𝑥
1
𝐸⃗⃗ = {𝜌𝕀3×3 + ( 𝐵𝑧 0 −𝐵𝑥 )} (𝐽𝑦 ) =
𝑛𝑞 −𝐵 𝐵𝑥 0
𝑦 𝐽𝑧
𝐵𝑧 𝐵𝑦
𝜌 −
𝑛𝑞 𝑛𝑞
𝐽𝑥
𝐵𝑧 −𝐵𝑥
= 𝜌 (𝐽𝑦 ),
𝑛𝑞 𝑛𝑞
𝐽𝑧
−𝐵𝑦 𝐵𝑥
𝜌
( 𝑛𝑞 𝑛𝑞 )
che restituisce la legge di Ohm locale in presenza di un campo magnetico.
Nella precedente abbiamo indicato con il simbolo 𝕀3×3 la matrice identità. La
matrice segnata in rosso è il tensore resistività la cui struttura evidenzia la
presenza di termini fuori diagonale originati dal campo magnetico. Valutiamo
le conseguenze osservabili di questi termini.
Per fare questo consideriamo un conduttore di
sezione trasversa quadrata con lato 𝑑 e
𝑧 𝑦 lunghezza infinita. Supponiamo che per effetto
𝑑 ⃗
𝑥 di un campo elettrico 𝐸𝑥 imposto dall’esterno
scorra una densità di corrente uniforme 𝐽𝑥 ,
mentre 𝐽𝑧 = 𝐽𝑦 = 0, vista la geometria del conduttore. Sia 𝑖 = 𝐽𝑥 𝑑2 la corrente
che scorre nel conduttore.
Dalla legge di Ohm locale appena scritta, specializzata al caso di interesse,
seguono le relazioni:
𝐸𝑥 = 𝜌𝐽𝑥
𝐵𝑧
𝐸𝑦 = 𝐽
𝑛𝑞 𝑥 .
−𝐵𝑦
𝐸𝑧 = 𝐽
𝑛𝑞 𝑥
Osserviamo che il campo magnetico genera componenti trasverse del campo
elettrico (cioè, 𝐸𝑦 ed 𝐸𝑧 ). Queste componenti sono originate dalla forza di
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Lorentz che causa accumuli di carica sulle pareti del conduttore. Tali accumuli
sono le sorgenti di un campo elettrico che all’equilibrio compensa la forza di
Lorentz. In questa condizione non fluisce corrente nelle direzioni 𝑧 ed 𝑦.
La presenza di campi elettrici trasversi genera differenze di potenziale
misurabili, che possiamo valutare mediante le seguenti relazioni:
𝑏 𝑏
𝐵𝑧 𝐵𝑧
∆𝑉𝑦 = − ∫ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑦̂ 𝑑𝑦 = − ∫ 𝐸𝑦 𝑑𝑦 = −𝐸𝑦 𝑑 = − 𝐽𝑥 𝑑 = − 𝑖
𝑎 𝑎 𝑛𝑞 𝑛 𝑞 𝑑
𝑏 𝑏
,
𝐵𝑦
∆𝑉𝑧 = − ∫ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑧̂𝑑𝑧 = − ∫ 𝐸𝑧 𝑑𝑧 = −𝐸𝑧 𝑑 = 𝑖
𝑎 𝑎 𝑛𝑞𝑑
dove abbiamo utilizzato le relazioni 𝐽𝑥 𝑑2 = 𝑖, 𝑎 = −𝑑/2 e 𝑏 = 𝑑/2. Le
precedenti possono essere riscritte in termini della costante di Hall 𝑅𝐻 :
𝑖 𝐵𝑧
∆𝑉𝑦 = −𝑅𝐻
𝑑 ,
𝑖 𝐵𝑦
∆𝑉𝑧 = 𝑅𝐻
𝑑
con 𝑅𝐻 = 1/(𝑛𝑞). La costante di Hall (notiamo che non ha dimensioni fisiche
di una resistenza elettrica!) ha lo stesso segno dei portatori di carica. Nei
conduttori ohmici il segno della costante di Hall è negativo, circostanza questa
che identifica gli elettroni come responsabili del trasporto di carica. In
materiali complessi (ad esempio con più bande rilevanti) o nei semiconduttori
il segno di 𝑅𝐻 può essere positivo (conduzione di lacune). La misura della
costante di Hall permette inoltre di misurare la densità di elettroni liberi nei
conduttori. Nei metalli tipicamente si ottiene un valore di circa 1÷2 elettroni
liberi per atomo. Le relazioni dell’effetto Hall, che abbiamo scritto sopra,
rendono possibile la misura del campo magnetico. Infatti, ricavando le
componenti del campo dalle precedenti, possiamo scrivere:
∆𝑉𝑦 𝑑
𝐵𝑧 = −
𝑖 𝑅𝐻
∆𝑉𝑧 𝑑
𝐵𝑦 =
𝑖 𝑅𝐻
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cosa che consente di determinare il valore del campo con semplici misure di
corrente e di tensione. Su questo principio si basa il funzionamento di una
sonda di campo magnetico ad effetto Hall.
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LEZIONE 18c
IL MAGNETISMO NELLA MATERIA
𝜌 + 𝜌𝑃
⃗∇ ∙ 𝐸⃗ =
𝜀0 .
⃗∇ × 𝐸⃗ = 0
Dagli sviluppi formali della teoria abbiamo legato le cariche di polarizzazione
al vettore polarizzazione elettrica 𝑃⃗ che rappresenta una densità di momento di
dipolo per unità di volume. In accordo con questi sviluppi abbiamo scritto
l’importante relazione 𝜌𝑃 = −∇ ⃗ ∙ 𝑃⃗. Da quest’ultima otteniamo:
𝜌−∇⃗ ∙ 𝑃⃗
⃗ ∙ 𝐸⃗ =
∇ ⃗ ∙𝐷
→∇ ⃗ = 𝜌,
𝜀0
dove abbiamo introdotto il vettore di spostamento elettrico 𝐷 ⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝑃⃗ . In
dielettrici omogenei ed isotropi, di cui ci siamo occupati, il rapporto che esiste
tra 𝑃⃗ ed 𝐸⃗ è di semplice proporzionalità. Questa relazione può essere espressa
mediante l’introduzione di una funzione di risposta detta suscettività elettrica
𝜒, dalla quale si deduce la relazione di proporzionalità cercata 𝑃⃗ = 𝜒𝜀0 𝐸⃗. Con
queste posizioni si è poi ottenuto:
⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝑃⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝜒𝜀0 𝐸⃗ = 𝜀0 (1 + 𝜒)𝐸⃗ = 𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ = 𝜀𝐸⃗ .
𝐷
La precedente è scritta in termini della costante dielettrica del mezzo 𝜀 e della
costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 = (1 + 𝜒).
Osserviamo facilmente che, almeno nel caso di dielettrico ideale, ci siamo
liberati dal dover conoscere la distribuzione delle cariche di polarizzazione
(che è una informazione microscopica tipicamente non disponibile). Questa
informazione viene sintetizzata dalla costante dielettrica del mezzo, che è un
parametro macroscopicamente accessibile.
Con le dovute differenze, vogliamo seguire un analogo programma anche nel
caso magnetico. Prima di procedere in tale direzione è opportuno chiedersi
quale possa essere l’origine microscopica delle microcorrenti di Ampère.
Questo è il tema del successivo paragrafo.
3
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⃗⃗⃗ 1 1 𝑟 − 𝑟′
∇′ ( ⃗ (
) = −∇ )= ,
|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|3
e pertanto possiamo scrivere:
𝜇0 (𝑟 − 𝑟′)
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ⃗⃗ (
∫ 𝑀 𝑥′, 𝑦′, 𝑧′ ×) 𝑑𝜏 ′
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′| 3
𝜇0 1
= ∫𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × ⃗⃗⃗
∇′ ( ) 𝑑𝜏 ′ .
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
Vogliamo adesso riscrivere la funzione integranda utilizzando la seguente
relazione:
⃗∇ × (𝑓𝑣 ) = 𝑓∇
⃗ ×𝑣+∇
⃗ 𝑓 × 𝑣,
che ammette una riscritture nella forma:
⃗ 𝑓 = 𝑓∇
𝑣×∇ ⃗ ×𝑣−∇
⃗ × (𝑓𝑣).
1
⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) ed 𝑓 =
Usando il precedente risultato con 𝑣 = 𝑀 otteniamo:
|𝑟 −𝑟 ′|
𝜇0 1
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × ⃗⃗⃗
∇′ ( ) 𝑑𝜏 ′
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
𝜇0 ⃗⃗⃗∇′ × 𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) 𝜇0 ⃗⃗⃗ ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)
𝑀
= ∫ 𝑑𝜏 ′ − ∫ ∇′ × ( ) 𝑑𝜏 ′ .
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′| 4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
Utilizziamo la seconda identità di Green:
⃗ × 𝑣 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆 = − ∫ 𝑣 × 𝑛̂ 𝑑𝑆.
∫∇
𝑆 𝑆
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⃗ − 𝜇0 𝑀
𝐵 ⃗⃗
⃗ =
𝐻 .
𝜇0
Osserviamo adesso esplicitamente che il vettore campo magnetico 𝐻 ⃗ non
dipende dalle correnti atomiche ma solo dalle correnti macroscopiche note.
Questo implica che la configurazione assunta da 𝐻 ⃗ dipende dai materiali
presenti solo mediante le condizioni al contorno che questi impongono alle
superfici di raccordo.
E’ inoltre semplice verificare che nel vuoto, laddove 𝑀⃗⃗ = 0, si ha la relazione
⃗ = 𝜇0 𝐻
𝐵 ⃗ . Nel caso generale, 𝑀⃗⃗ ≠ 0, una soluzione univoca delle equazioni
del magnetismo richiede la conoscenza della relazione che intercorre tra 𝐻 ⃗ e
⃗ , o equivalentemente tra 𝑀
𝐵 ⃗⃗ e 𝐵
⃗.
Come si vedrà nel seguito, questa relazione può essere fornita in molti casi di
utilità pratica per via fenomenologica.
1
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LEZIONE 18d
IL MAGNETISMO NELLA MATERIA
∫ ⃗∇ ∙ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣) 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑤 ⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = −𝑤
⃗⃗ ∙ (∇ ⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏,
⃗⃗ ∙ ∫(∇ (2)
notando che in rosso abbiamo ottenuto l’espressione che compare al primo
membro della (1). Occupiamoci del primo membro della (2) utilizzando il
teorema della divergenza:
∫ ⃗∇ ∙ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = ∫ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣 ) ∙ 𝑑𝑆 = ∫ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣) ∙ 𝑛̂ 𝑑𝑆
𝑆 𝑆
= ∫ (𝑣 × 𝑛̂) ∙ 𝑤
⃗⃗ 𝑑𝑆 = 𝑤
⃗⃗ ∙ ∫ 𝑣 × 𝑛̂ 𝑑𝑆 = 𝑤
⃗⃗ ∙ ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆
𝑆 𝑆 𝑆
−𝑤 ⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = 𝑤
⃗⃗ ∙ ∫(∇ ⃗⃗ ∙ ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆.
𝑆
⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆
∫(∇
𝑆
∫ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣 ) ∙ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = ∫ (𝑣 × 𝑛̂) ∙ 𝑤
⃗⃗ 𝑑𝑆.
𝑆 𝑆
LEZIONE 18e
IL MAGNETISMO NELLA MATERIA
⃗ − 𝜇0 𝑀
𝐵 ⃗⃗
⃗ =
𝐻
𝜇0
⃗ =𝜇𝐻
𝐵 ⃗ = 𝜇𝑟 𝜇0 𝐻⃗
È facile verificare che vale la relazione:
⃗⃗ = (𝜇𝑟 − 1) 𝐵
𝜇𝑀 ⃗ = 𝜒𝑚 𝐵
⃗,
che consente di introdurre la funzione suscettività magnetica 𝜒𝑚 = (𝜇𝑟 − 1).
Osserviamo che la magnetizzazione 𝜇 𝑀 ⃗⃗ indotta da un campo di induzione
magnetica 𝐵 ⃗ è diretta nella stessa direzione del campo inducente. Risulta poi
parallela o antiparallela a seconda del segno di 𝜒𝑚 . Nei materiali diamagnatici
𝜒𝑚 < 0, mentre nei paramagneti 𝜒𝑚 > 0. La suscettività magnetica è un
numero puro nei materiali omogenei ed isotropi, mentre in generale può esibire
caratteristiche tensoriali. Nei materiali diamagnetici e paramagnetici il valore
tipico di 𝜒𝑚 è di solito molto piccolo e dell’ordine di 𝜒𝑚 ≈ 10−6 . La stima
data è puramente indicativa in quanto la suscettività varia da materiale a
materiale e dalle condizioni sperimentali (temperatura).
⃗
18e.2 Il teorema di Ampère per 𝐻
⃗ ×𝐻
E’ immediato verificare che la relazione integrale associata a ∇ ⃗ = 𝐽 è data
dalla seguente espressione:
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∑ 𝑁𝑘 𝑖𝑘 ,
∮𝐻
𝑘
⃗∇ ∙ 𝐵
⃗ =0
.
⃗∇ × 𝐻 ⃗ =0
Consideriamo l’interfaccia fra due mezzi materiali aventi proprietà magnetiche
differenti. Le condizioni di raccordo
1 𝑛 seguono dalla considerazione che il flusso
del campo di induzione magnetica 𝐵 ⃗
attraverso qualsiasi superficie chiusa è
2 𝑛 nullo e che la circuitazione del campo
magnetico 𝐻 ⃗ è zero (se non concatena
correnti macroscopiche). Da queste
considerazioni seguono le equazioni di raccordo:
𝐵𝑛1 = 𝐵𝑛2
.
𝐻𝑡1 = 𝐻𝑡2
Queste relazioni inducono fenomeni di rifrazione delle linee di forza dei campi
magnetici all’interfaccia. Tali fenomeni sono governati dalle permeabilità
magnetiche dei mezzi materiali considerati.
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LEZIONE 20
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 𝑖
∮ 𝐵
𝛾
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫ (∇
∮ 𝐵 ⃗ ×𝐵
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆 = 𝜇0 ∫ 𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) ∙ 𝑑𝑆 = 𝜇0 𝑖.
𝛾
Σ1 Σ1
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫ (∇
∮ 𝐵 ⃗ ×𝐵
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆 = 𝜇0 ∫ 𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) ∙ 𝑑𝑆 = 0.
𝛾
Σ2 Σ2
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⃗ ×𝐵
∫ (∇ ⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆 ≠ ∫ (∇
⃗ ×𝐵 ⃗⃗
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆,
Σ1 Σ2
LEZIONE 20b
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 ≠ 0,
⃗
𝐹𝐿 = −𝑒𝑣 × 𝐵
dove 𝑒 > 0, mentre abbiamo assunto che la velocità media degli elettroni
coincida con 𝑣. Tale forza risulta parallela alla barretta conduttrice e diretta da
− 𝐵 verso , ossia 𝐹𝐿 = 𝑒𝑣𝐵 𝑦̂. Sotto l’azione della forza di Lorentz
gli elettroni liberi migrano da 𝐵 verso , determinando un accumulo
di cariche negative in ed un eccesso di cariche positive in 𝐵. Gli
accumuli di carica sugli estremi del conduttore sono sorgente di un
𝐸 campo elettrico diretto lungo la barretta uscente dalle cariche
positive ed entrante nelle negative. La forza dovuta a tale campo ed
𝐵 + agente sugli elettroni vale 𝐹𝐶 = −𝑒𝐸 𝑦̂ (con 𝐸 > 0). Essa contrasta
la forza di Lorentz. Infatti mentre la forza di Lorentz favorisce l’accumulo di
carica agli estremi della barretta, proprio tali accumuli generano un campo
elettrico di intensità crescente che tende ad annullare l’effetto della forza di
Lorentz. In condizioni stazionarie le due forze si equilibrano e gli elettroni non
risentono di alcuna forza netta. In questa situazione |𝐹𝐿 | = |𝐹𝐶 |, da cui segue:
𝑒𝐸 = 𝑒𝑣𝐵 → 𝐸 = 𝑣𝐵.
In queste condizioni, si genera una differenza di potenziale agli estremi della
barretta. Essa può essere valutata ricorrendo alla definizione:
𝐴 𝐴
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = − ∫ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ∫ (𝑣𝐵 𝑦̂) ∙ 𝑦̂ 𝑑𝑦 = −𝑣𝐵𝐿,
𝐵 𝐵
⃗)=∫
ΦΣ(𝑡) (𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = 𝐵
𝐵 ⃗ ∙ 𝑧̂ ∫ ⃗ ∙ 𝑧̂𝒜 (𝑡).
𝑑𝑆 = 𝐵
Σ(𝑡) Σ(𝑡)
5
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LEZIONE 20c
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
⃗ (𝑡)) = ∫
ΦΣ(𝑡) (𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆.
𝐵
Σ(𝑡)
Notiamo esplicitamente che il flusso sopra richiamato può variare sia per una
variazione temporale del campo di induzione magnetica che per una variazione
della superficie attraverso la quale è calcolato il flusso.
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Supponiamo dapprima che il flusso stia variando a causa di una variazione nel
tempo del campo di induzione magnetica, considerando inalterata la superficie
Σ. E’ questa, ad esempio, la situazione di un circuito, rigido e di forma
arbitraria, in quiete e sottoposto all’azione di un campo di induzione magnetica
variabile nel tempo. In questa situazione possiamo scrivere quanto segue:
𝑑 𝑑 ⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ⃗ ( ) ⃗ ( )
(Φ (𝐵 𝑡 )) = − ∫ 𝐵 𝑡 ∙ 𝑑𝑆 = − ∫ ∙ 𝑑𝑆.
𝑑𝑡 Σ 𝑑𝑡 Σ Σ 𝜕𝑡
Guardando la prima e l’ultima relazione della precedente catena di uguaglianze
abbiamo la relazione:
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ∫ ∙ 𝑑𝑆.
Σ 𝜕𝑡
D’altra parte
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫ (∇
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆,
Σ
da cui otteniamo:
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
⃗ × 𝐸⃗ = −
∇ .
𝜕𝑡
Alla stessa relazione si perviene anche analizzando un circuito non rigido in
moto qualunque. Prima di esaminare questo caso generale, occorre introdurre
i concetti di flusso tagliato e flusso concatenato. Questi ci consentono di
reinterpretare l’esperimento presentato nella precedente lezione.
Infatti abbiamo:
⃗ ∙ 𝑑𝑆
𝑑Φ = −Φ𝑑Σ = − ∫ 𝐵
𝑑Σ
⃗ ∙ (𝑑𝑙 × 𝑣) =
dove abbiamo usato la proprietà già dimostrata in precedenza 𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑙. Dalle precedenti otteniamo quindi:
(𝑣 × 𝐵
𝑑Φ
− ⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 ,
= ∮ (𝑣 × 𝐵
𝑑𝑡 𝑙
dalla quale risulta con evidenza che il campo elettromotore indotto vale:
⃗⃗⃗𝑖 = 𝑣 × 𝐵
𝐸 ⃗,
cosa che conferma le nostre osservazioni preliminari sui fenomeni di induzione
elettromagnetica. Queste osservazioni confermano la struttura matematica
della legge di Neumann-Faraday
𝑑Φ
− =∮ 𝐸⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 .
𝑑𝑡 𝑙
Nel caso generale questa struttura resta preservata. Tuttavia bisogna osservare
che nel fenomeno dell’induzione elettromagnetica il moto dei portatori di
carica è dovuto sia al campo elettrico che al campo di induzione magnetica in
cui il circuito è immerso. Di qui segue che il campo elettromotore non è altro
che la forza per unità di carica
𝐹
⃗⃗⃗𝑖 =
𝐸 = 𝐸⃗ + 𝑣 × 𝐵
⃗,
𝑞
dove 𝑣 rappresenta la velocità con la quale i portatori si muovono.
Quest’ultima può essere scomposta in una velocità di trascinamento e una
velocità di deriva (parallela al circuito in ogni punto di esso). Ai fini del calcolo
del campo elettromotore il contributo dovuto alla velocità di deriva è
5
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∫ ⃗ (𝑡 + 𝑑𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫
𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆
𝐵
Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡)
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
=∫ ⃗ (𝑡) +
(𝐵 𝑑𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 =
Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡 Σ(𝑡)
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
=∫ ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫
𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 + 𝑑𝑡 ∫
𝐵 ∙ 𝑑𝑆.
Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡) Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡
Dalle precedenti segue:
1 ⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 = −
∮ 𝐸 {∫ ⃗ ⃗
𝐵(𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵(𝑡) ∙ 𝑑𝑆} − ∫ ∙ 𝑑𝑆
𝑙 𝑑𝑡 Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡) Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡
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Adesso notiamo che i primi due termini al secondo membro rappresentano una
variazione di flusso a campo invariato. Dall’analisi mostrata nel precedente
paragrafo sappiamo:
1
− {∫ 𝐵⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆} = ∮ (𝑣 × 𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 .
𝑑𝑡 Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡) 𝑙
⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 − ∮ (𝑣 × 𝐵
∮ 𝐸 ⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 = ∮ (𝐸
⃗⃗⃗𝑖 − 𝑣 × 𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 = ∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 .
𝑙 𝑙 𝑙 𝑙
⃗
𝜕𝐵
⃗∇ × 𝐸⃗ = − .
𝜕𝑡
Siamo adesso convinti che la precedente è valida in generale e descrive
completamente la fenomenologia dell’induzione elettromagnetica richiamata
all’inizio di questa lezione. Ne concludiamo che essa è la forma differenziale
della terza equazione di Maxwell nel caso non stazionario.
1
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LEZIONE 20d
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
20d.1 Riepilogo
Siamo giunti alla formulazione definitiva delle equazioni
dell’elettromagnetismo.
𝜌
(𝐼) ⃗∇ ∙ 𝐸⃗ = (𝐼𝐼 ) ⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ =0
𝜀0
⃗
𝜕𝐵 𝜕𝐸⃗
(𝐼𝐼𝐼 ) ⃗∇ × 𝐸⃗ = − (𝐼𝑉) ⃗∇ × 𝐵
⃗ = 𝜇0 ( 𝐽 + 𝜀0 )
𝜕𝑡 𝜕𝑡
Esse sono valide in generale in tutti i regimi dinamici (stazionario e non). Di
qui in avanti ci dedicheremo ad esaminare alcune conseguenze di queste
equazioni. Inoltre, svilupperemo esempi che ne chiariscono ulteriormente il
significato e la portata.
⃗ ) = 𝐿𝑖,
Φ(𝐵
dove il coefficiente di proporzionalità 𝐿 prende il nome di coefficiente di
autoinduzione o induttanza. L’induttanza di un circuito dipende unicamente
dalla geometria dello stesso, assumendo che la permeabilità magnetica dei
mezzi in gioco sia costante (cioè indipendente dalla corrente o dal campo).
L’unità di misura dell’induttanza nel SI è
𝑊𝑒𝑏𝑒𝑟 𝑇𝑒𝑠𝑙𝑎 ∙ 𝑚2 𝑉𝑜𝑙𝑡 ∙ 𝑠
= = = 𝑂ℎ𝑚 ∙ 𝑠 = 𝐻𝑒𝑛𝑟𝑦
𝐴𝑚𝑝è𝑟𝑒 𝐴𝑚𝑝è𝑟𝑒 𝐴𝑚𝑝è𝑟𝑒
LEZIONE 20e
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
𝑏
𝜇0 𝑖 𝜇0 ℎ 𝑏
⃗)=∫ 𝐵
Φ(𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫ ℎ 𝑑𝑟 = 𝑖 𝑙𝑛 ( ),
𝑆 𝑎 2𝜋 𝑟 2𝜋 𝑎
dove abbiamo esplicitamente utilizzato l’ortogonalità delle linee del campo
alla superficie attraverso la quale stiamo calcolando il flusso. Dalla precedente
è facile riconoscere il coefficiente di autoinduzione:
𝜇0 ℎ 𝑏
𝐿= 𝑙𝑛 ( ).
2𝜋 𝑎
Notiamo che il coefficiente di autoinduzione dipende dal rapporto dei raggi dei
conduttori in gioco ed è lineare nella lunghezza del cavo coassiale.
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
𝐵 ⃗ (𝑟 ) = ∮
𝐵
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
.
𝑆 𝑙
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗)=∫ 𝐵
Φ(𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫ (∮ ) ∙ 𝑑𝑆,
𝑆 𝑆 𝑙 4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
𝜇0 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
𝐿= ∫ (∮ 3
) ∙ 𝑑𝑆.
4𝜋 𝑆 𝜕𝑆 |𝑟 − 𝑟 ′|
3
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⃗)=∫ 𝐵
Φ(𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫ ∇
⃗ × 𝐴 ∙ 𝑑𝑆 = ∮ 𝐴 ∙ 𝑑𝑙 .
𝑆 𝑆 𝜕𝑆
Dalle precedenti segue che Φ(𝐵 ⃗ ) può essere calcolato come la circuitazione
del potenziale vettore sul bordo della superficie orientata attraverso la quale
valutiamo il flusso. E’ poi utile ricordare che sotto opportune condizioni:
𝜇0 𝑖 ⃗
𝑑𝑙′
𝐴(𝑟 ) = ∮ .
4𝜋 𝑙 |𝑟 − 𝑟′|
Consideriamo adesso la situazione mostrata in figura. Un circuito di bordo 𝑐1
è attraversato dalla corrente 𝑖1 .
L’effetto di tale corrente è la
generazione del campo 𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 . Le linee
𝐵1 di forza di detto campo si
𝑖1 𝑐2 concatenano con il circuito 𝑐2
𝑐1 inducendo un flusso Φ2 (𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 ) . Tale
Φ2 𝐵1 𝑖1 flusso è proporzionale alla corrente
𝑖1 . Il coefficiente di proporzionalità 𝑀21 è detto coefficiente di mutua
induzione e vale la relazione:
⃗⃗⃗⃗1 ) = 𝑀21 𝑖1 .
Φ2 (𝐵
Se il flusso è variabile nel tempo viene generata una forza elettromotrice
indotta nel circuito 𝑐2 data dalla relazione:
⃗⃗⃗⃗1 )
𝑑Φ2 (𝐵 𝑑𝑖1
𝑓21 = − = −𝑀21 .
𝑑𝑡 𝑑𝑡
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Una analoga espressione vale per il flusso totale agente sul circuito 𝑐2 . Questo
si scrive nella forma:
⃗⃗⃗⃗2 ) + Φ2 (𝐵
Φ2 = Φ2 (𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 ) = 𝑀22 𝑖2 + 𝑀21 𝑖1 .
con 𝑖 ∈ {1, 2}. Il discorso fin qui fatto si estende ad un numero arbitrario di
circuiti.
Vogliamo adesso dimostrare la simmetria dei coefficienti di mutua induzione
per scambio di indici. Questo ci consente anche di derivare una espressione per
il calcolo di tali coefficienti.
⃗⃗⃗⃗1 ). Dalla definizione abbiamo:
Calcoliamo Φ2 (𝐵
⃗⃗⃗⃗1 ) = ∫ 𝐵
Φ2 (𝐵 ⃗⃗⃗2 = ∫ (∇
⃗⃗⃗⃗1 ∙ 𝑑𝑆 ⃗ × ⃗⃗⃗⃗
𝐴1 ) ∙ 𝑑𝑆 ⃗⃗⃗⃗1 ∙ 𝑑𝑙⃗⃗⃗2 =
⃗⃗⃗2 = ∮ 𝐴
𝑆2 𝑆2 𝑙2
LEZIONE 20f
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
𝑑 −𝑡/𝜏 −𝑡/𝜏
𝑡
−𝜏
𝑡
−𝜏
𝜏 (𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 ) + (𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 ) = 𝑖𝑚 → −𝐴𝑒 + (𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 ) = 𝑖𝑚
𝑑𝑡
→ 0 = 0.
Imponendo il rispetto della condizione iniziale otteniamo:
𝑖 𝑡 = 𝑖𝑚 (1 − 𝑒 −𝑡/𝜏 ).
Osserviamo che, dopo la chiusura dell’interruttore, la corrente inizia ad
aumentare fino a raggiungere il valore massimo 𝑖𝑚 . La differenza di potenziale
ai capi dell’induttanza vale:
𝑑𝑖 𝑑 −
𝑡 𝑑 −
𝑡 𝑑 𝑓 −𝑡
𝑓𝑎 = −𝐿 = −𝐿 [𝑖𝑚 (1 − 𝑒 )] = 𝐿 [𝑖𝑚 𝑒 ] = 𝐿 [ 𝑒 𝜏 ]
𝜏 𝜏
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑅
𝑑 𝑡 𝑡
= 𝜏𝑓 𝑒 −𝜏 = −𝑓𝑒 −𝜏 ,
𝑑𝑡
da cui segue che la tensione ai capi dell’induttore tende a zero dopo il
transiente.
𝑖2
Analizziamo il collegamento in parallelo mostrato
𝐿1 𝐿2 nel pannello della figura. Definiamo le
𝑓 + correnti di maglia mostrate in figura e scriviamo
- 𝑖1 le leggi di Kirchhoff. Queste implicano le
seguenti relazioni circuitali:
2
𝑓 − 𝑖𝑅 + 𝑓𝑎 =0
1
,
𝑓 − 𝑖𝑅 + 𝑓𝑎 =0
dove 𝑖 = 𝑖1 + 𝑖2 mentre
𝑘 𝑑𝑖𝑘
𝑓𝑎 = −𝐿𝑘 .
𝑑𝑡
Facendo il rapporto delle precedenti relazioni otteniamo:
2 𝑑𝑖2 𝑑𝑖2
𝑓𝑎 𝐿2
= 𝑑𝑡 = 1 → 𝑑𝑡 = 𝐿1 ≡ 𝑟.
𝑓𝑎
1 𝑑𝑖 𝑑𝑖1 𝐿2
𝐿1 1
𝑑𝑡 𝑑𝑡
Inoltre la relazione che vorremmo scrivere per l’induttore equivalente è del
tipo:
𝑑𝑖
𝑓 − 𝑖𝑅 − 𝐿 = 0.
𝑑𝑡
Una equazione di questo genere si ottiene facendo la semisomma delle
equazioni circuitali dalle quali segue:
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𝐿1 𝑑𝑖1 𝐿2 𝑑𝑖2
𝑓 − 𝑖𝑅 − − = 0.
2 𝑑𝑡 2 𝑑𝑡
Questa relazione coincide con la precedente soltanto se è rispettata la
condizione:
𝐿1 𝑑𝑖1 𝐿2 𝑑𝑖2 𝑑𝑖
+ =𝐿 .
2 𝑑𝑡 2 𝑑𝑡 𝑑𝑡
Da questa relazione segue:
𝑑𝑖2 𝑑𝑖2
𝑑𝑖1 𝑑𝑖2 𝑑𝑖1 𝑑𝑖2
𝐿1 + 𝐿2 = 2𝐿 ( + ) → 𝐿1 + 𝐿2 𝑑𝑡 = 2𝐿 (1 + 𝑑𝑡 )
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑖1 𝑑𝑖1
𝑑𝑡 𝑑𝑡
𝐿1 𝐿1 𝐿1
→ 𝐿1 + 𝐿2 ( ) = 2𝐿 (1 + ) → 2𝐿1 = 2𝐿 (1 + ) →
𝐿2 𝐿2 𝐿2
𝐿2 + 𝐿1 𝐿1 𝐿2
→ 𝐿1 = 𝐿 ( )→𝐿= .
𝐿2 𝐿2 + 𝐿1
Notiamo esplicitamente che l’induttore equivalente deve avere coefficiente di
autoinduzione pari a:
1 1 1
= + .
𝐿 𝐿1 𝐿2
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LEZIONE 20g
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO
20g.1 Il circuito LC
Consideriamo il circuito 𝐿𝐶 mostrato in figura. Sia il condensatore
inizialmente carico e l’interruttore aperto. Nel momento in
𝐶 cui l’interruttore viene chiuso una corrente inizia a scorrere
+ nel circuito.
Dalla legge di Kirchhoff per le maglie segue la relazione:
𝑞 𝑑𝑖
𝑉𝑐 + 𝑓𝑎 = 0 → − 𝐿 = 0.
𝐶 𝑑𝑡
Osservando che:
𝑑𝑞
𝑖=− ,
𝑑𝑡
otteniamo la seguente equazione differenziale:
𝑑2 𝑞 1 𝑑2 𝑞
2
+ 𝑞 = 0 → 2 + 𝜔2 𝑞 = 0.
𝑑𝑡 𝐿𝐶 𝑑𝑡
La precedente va risolta con le condizioni iniziali 𝑞(𝑡 = 0) = 𝑄 e 𝑖 (𝑡 = 0) =
0. La soluzione della precedente può scriversi nella forma:
𝑞 (𝑡) = 𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡 + 𝜑).
Le costanti vanno determinate imponendo le condizioni al contorno seguenti:
𝑞 (𝑡 = 0) = 𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜑) = 𝑄
𝑑𝑞 .
( )
𝑖 𝑡=0 =− | =0
𝑑𝑡 𝑡=0
Da queste otteniamo:
𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜑) = 𝑄
𝐴𝜔 𝑠𝑖𝑛(𝜑) = 0.
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𝑈𝐿 (𝑁𝑆𝐵 )2 𝐵2
𝑢𝐿 = = = .
𝑆ℓ 𝜇 𝑁2𝑆 2𝜇
2𝑆ℓ ( )
ℓ