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Corso di Fisica II per Ingegneria Elettronica - a.a. 2020/21

1. La carica elettrica
Nella meccanica di Newton i corpi sono caratterizzati da una proprietà intrinseca che
abbiamo chiamato massa. Essa è all’origine dei fenomeni gravitazionali. L’attrazione
gravitazionale conferisce un ordine al sistema solare descritto dalle leggi di Keplero.

L’esistenza di forze non riconducibili


all’attrazione gravitazionale è nota sin
dall’antichità. A tal proposito descriviamo alcune
evidenze sperimentali.

Sospendiamo una bacchetta di vetro mediante un


filo. Se avviciniamo (senza che vi sia contatto) una
seconda bacchetta identica alla prima non notiamo
alcun effetto. Se l’esperimento viene ripetuto dopo
aver preventivamente strofinato le due bacchette
con un panno di seta, si osserva l’instaurarsi di una
forza di natura repulsiva. Tale forza causa una
rotazione della bacchetta sospesa.

Strofiniamo adesso una bacchetta in plastica mediante un panno in camoscio.


Avvicinando la bacchetta in plastica a quella sospesa (in vetro) si osserva l’instaurarsi di
una forza attrattiva.

Gli esperimenti sopra descritti mettono in evidenza l’esistenza di una proprietà nuova
della materia. I fatti salienti che emergono dall’analisi sperimentale sono i seguenti:
- Le azioni meccaniche (forze) riscontrabili
negli esperimenti sopra descritti non si
manifestano in modo spontaneo. I corpi
necessitano di essere opportunamente preparati. Il
processo di preparazione (strofinio) può essere
visto come la somministrazione di una certa
quantità di energia al sistema.
- Le azioni meccaniche che si instaurano dopo
aver eccitato il sistema per strofinio hanno
intensità variabile con la distanza e non
necessitano del contatto fra i corpi.
- La natura attrattiva o repulsiva delle
menzionate azioni dipende dalla natura dei corpi
considerati. Corpi dello stesso materiale tendono a
respingersi, mentre si ha attrazione tra materiali
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differenti. Notiamo che la fenomenologia della repulsione emerge qui per la prima
volta. L’unica forza fin qui introdotta capace di esercitare un’azione a distanza è la
gravità. Sappiamo però che le azioni gravitazionali sono di natura attrattiva.
Quanto detto sembra coerente con l’esistenza di una nuova proprietà della materia che
chiamiamo carica elettrica. La carica elettrica deve presentarsi in due forme differenti che
chiamiamo convenzionalmente carica positiva e carica negativa. Gli esperimenti sopra
descritti si definiscono esperimenti di elettrizzazione per strofinio.
Alla luce del concetto di carica elettrica appena introdotto emerge un primo modello della
materia basato sulle seguenti affermazioni sperimentalmente motivate:
- In condizioni ordinarie, la materia è globalmente neutra, ossia dotata di carica
elettrica totale pari a zero.
- Negli esperimenti di elettrizzazione per strofinio, si ottengono corpi con carica
totale diversa da zero. Corpi con carica dello stesso segno si respingono, mentre c’è
attrazione tra corpi dotati di carica opposta.
Le precedenti affermazioni implicano che la neutralità elettrica di un corpo può essere
alterata. Dobbiamo quindi ammettere che la carica elettrica può migrare da un corpo ad
un altro con maggiore o minore facilità a seconda della natura dei corpi considerati.
Un corpo carico inoltre può tornare neutro interagendo con altri corpi (e.g. le nostre mani).
Questo è il motivo per il quale l’esperimento descritto inizialmente è condotto
sospendendo ad un filo la bacchetta in vetro. In questo modo la bacchetta risulta essere un
sistema quasi isolato (c’è sempre l’aria!).
La carica elettrica non può migrare attraverso il filo? Dipende dal materiale di cui è
costituito il filo. Esistono materiali che non lasciano migrare la carica elettrica e altri che
lo consentono. Definiamo:
- Conduttori i materiali che lasciano migrare la carica elettrica con relativa facilità
(metalli, corpo umano, acqua di rubinetto, etc.)
- Isolanti i materiali nei quali le cariche non possono muoversi liberamente (plastica,
vetro, gomma, etc)
Cosa accade se ripetiamo l’esperimento descritto inizialmente utilizzando un metallo?
Sospendiamo ad un filo una bacchetta di rame neutra ed avviciniamo ad essa una bacchetta
in plastica preventivamente elettrizzata per strofinio. Supponiamo essere negativa la
carica accumulata sulla bacchetta in plastica. Essendo neutra la bacchetta in rame (dotata
di carica totale nulla) non dovremmo osservare alcun effetto. Si osserva invece che la
bacchetta in rame è attratta da quella in plastica. D’altra parte affinché vi sia attrazione,
occorre ipotizzare che nelle immediate vicinanze della bacchetta in plastica, in una regione
localizzata sulla bacchetta in rame, vi sia un accumulo di cariche positive. Allontanando
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la bacchetta in plastica il rame non manifesta


alcun segno di elettrizzazione residua. D’altra
parte se la carica elettrica è una proprietà
intrinseca della materia dobbiamo anche
ipotizzare che essa non possa essere né creata
né distrutta. Da questa osservazione segue il
principio di conservazione della carica
elettrica:
In un sistema isolato è conservata la somma
algebrica di tutte le cariche elettriche in esso
contenute.
Essendo la bacchetta in rame un sistema
isolato, deve valere il principio sopra
enunciato. D’altra parte, il sistema è
inizialmente neutro. Questo ci fa intuire che se
esiste un accumulo di carica positiva
localizzato ad una estremità della bacchetta in rame, un’analoga quantità di carica negativa
deve trovarsi in un’altra regione della bacchetta metallica. La fenomenologia fin qui
descritta non dipende dall’estremo considerato.
Da un punto di vista microscopico possiamo immaginare quanto accade nell’esperimento
sopra descritto. Quando avviciniamo la bacchetta in plastica (carica negativamente) a
quella in rame le cariche negative del rame sono respinte e, se libere di muoversi, migrano
verso l’estremità opposta della bacchetta. La migrazione delle cariche negative, determina
una carica positiva accumulata nella regione svuotata di cariche negative. D’altra parte,
se le cariche positive fossero altrettanto libere di muoversi sarebbero attratte dalle cariche
negative della bacchetta in plastica. Questo meccanismo di migrazione di cariche
spiegherebbe il fatto sperimentale.
La spiegazione data dell’esperimento è compatibile però con varie forme di
organizzazione microscopica della carica elettrica nella materia. Certamente occorre
ipotizzare che le cariche elettriche appartenenti ad almeno un tipo (positivo o negativo)
siano libere di muoversi all’interno del materiale metallico.
Le ipotesi in campo sono varie: (1) le cariche negative sono libere, mentre quelle positive
sono fisse; (2) le cariche positive sono mobili, mentre quelle negative sono fisse; (3) sia
le cariche positive che quelle negative sono libere di muoversi.
Per incamminarci verso un tentativo di soluzione occorre stabilire la modalità di
interazione tra cariche elettriche. Occorre cioè determinare la legge che regola le
interazioni tra corpi carichi.
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2. La legge di Coulomb
Ragionando in analogia a quanto visto in meccanica, risulta conveniente occuparsi di
cariche elementari che possano essere descritte come oggetti puntiformi (cariche
puntiformi). I corpi carichi estesi saranno poi descrivibili come un insieme di cariche
puntiformi.
Chiaramente non esistono cariche
𝑞2 1 2 𝑞1 puntiformi mediante le quali sperimentare
le azioni elettrostatiche. Un sistema fisico
che si comporti in forma approssimata
2
come una carica puntiforme è una sferetta
1 carica di ridotte dimensioni. L’ultima
condizione si realizza quando il raggio
della sferetta è molto minore delle scale di
distanza tipicamente rilevanti nel
problema.
Sperimentando con questi strumenti
concettuali, nel 1785 Coulomb arrivò a formulare la legge di forza che porta il suo nome.
Siano 𝑞1 e 𝑞2 due cariche puntiformi poste nel vuoto a distanza 12 l’una dall’altra. Siano
⃗1 ed ⃗2 i rispettivi vettori posizione. La forza di cui la carica 1 risente per effetto della
carica 2 vale:
𝑞1 𝑞2
𝐹⃗12 = 𝑘 (⃗ ⃗2 ).
| ⃗1 ⃗2 |3 1
Detta 12 = | ⃗1 ⃗2 | la distanza fra le cariche ed introducendo il versore
⃗1 ⃗2
̂ =
12 ,
| ⃗1 ⃗2 |
la precedente può essere riscritta nella forma compatta:
𝑞1 𝑞2
𝐹⃗12 = 𝑘 2 ̂ ,
12
12

dalla quale evidentemente risulta 𝐹⃗12 = 𝐹⃗21 . Osserviamo che la forza di Coulomb è
diretta lungo la congiungente le due cariche, risulta repulsiva se 𝑞1 𝑞2 > 0 , nulla se 𝑞1 =
0 o 𝑞2 = 0, attrattiva quando 𝑞1 𝑞2 < 0. Inoltre la forza di Coulomb tende a zero come
l’inverso del quadrato della distanza fra le cariche. La costante dimensionale 𝑘 può essere
definita compiutamente una volta definita l’unità di misura della carica elettrica.
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Una possibile definizione operativa di carica elettrica è la seguente.


Due cariche identiche, poste nel vuoto a distanza di un metro, hanno carica di un
Coulomb (C) se sperimentano una forza repulsiva di modulo pari a ≈ 8,99 ∙ 109 𝑁.
Alla luce di questa definizione, risulta evidente che la costante di Coulomb vale:
𝑁 2
9
𝑘 = 8,99 ∙ 10 .
𝐶2
Essa può essere espressa in termini di un’altra quantità, la costante dielettrica del vuoto
𝜀0 , la cui rilevanza sarà più chiara nel seguito. In termini della costante dielettrica del
vuoto si può scrivere:
1
𝑘= ,
4𝜋𝜀0
dalla quale evidentemente segue che

−12
𝐶2
𝜀0 = 8,85 ∙ 10 .
𝑁 2
Le forze coulombiane obbediscono al principio di sovrapposizione degli effetti. Ossia in
un sistema formato da 𝑁 cariche puntiformi la forza coulombiana 𝐹⃗𝑗 risentita dalla carica
j-esima è pari alla somma della forze coulombiane dovute alle restanti cariche. In
particolare, la forza 𝐹⃗𝑗𝑘 agente sulla j-esima carica per effetto della k-esima ha la stessa
espressione che avrebbe se le restanti cariche non fossero presenti. Si ha quindi:
𝑁
1 𝑞𝑗 𝑞𝑘
𝐹⃗𝑗 = ∑ 2 𝑗𝑘 ̂ .
4𝜋𝜀0 𝑗𝑘
𝑘=1
𝑘≠𝑗

3. Cenni sulla struttura della materia


Il fatto che i corpi macroscopici siano invariabilmente neutri lascia supporre che tali siano
i loro costituenti microscopici. Questi ultimi devono essere porzioni di materia contenenti
cariche positive e negative in egual numero. Chiamiamo atomi i costituenti dei corpi in
esame.
Si pone il problema di capire come siano disposte le cariche positive e negative all’interno
dell’atomo. Affinché l’atomo sia un’entità stabile occorre che le cariche che lo
costituiscono siano confinate in una regione spazialmente limitata. L’analogia tra la forza
di Coulomb e la forza di attrazione gravitazionale suggerisce che l’atomo possa essere
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concepito come una sorta di sistema solare in miniatura. Un sistema solare nel quale, ad
esempio, un nucleo carico positivamente è contornato da cariche negative. Il sistema
sarebbe stabilizzato dall’attrazione Coulombiana fra cariche di segno opposto. Cerchiamo
di capire di più su questo sistema in un caso semplice.
Supponiamo che il sistema atomico sia costituito da un nucleo carico positivamente avente
carica 𝑞 > 0 e che una particella di carica – 𝑞 e massa vi orbiti intorno. In analogia con
quanto detto per il sistema terra-sole, la forza di Coulomb rappresenta la forza centripeta
che costringe la carica negativa a muoversi di moto circolare uniforme. Imponendo che la
forza di Coulomb coincida con la forza
centripeta, otteniamo la relazione:

𝑘 𝑞2 2

𝑞 𝑅2
= 𝜔 𝑅=2
𝑅
.

𝑞 Dalla precedente è possibile ricavare


𝑅 l’energia cinetica della particella negativa:

1 2
𝑘 𝑞2
= .
2 2𝑅

Vogliamo adesso determinare l’energia


totale del sistema. Ci occorre determinare il potenziale della forza di Coulomb, che
sappiamo esistere in analogia al caso gravitazionale. Questo implica che la forza di
Coulomb è di natura conservativa. Ricordiamo a tal riguardo che per una forza
conservativa vale la relazione:
𝐵
𝐿 = ∫ 𝐹⃗ ∙ 𝑑 ⃗ = (𝑈( 𝐵 ) 𝑈( 𝐴 )).
𝐴

Nel caso considerato abbiamo:

𝐵 𝐵 𝑟𝐵
𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2
𝐿 = ∫ 𝐹⃗ ∙ 𝑑 ⃗ = ∫ ( 2
̂) ∙ ̂ 𝑑 = [ ] = .
𝐴 𝐴 𝑟𝐴 𝐵 𝐴

Dal teorema dell’energia cinetica abbiamo inoltre:

1 2
1 2
𝐿= 𝐵 𝐴.
2 2

Si ha quindi che l’energia meccanica totale del sistema vale:


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1 2
𝑘 𝑞2
𝐸= .
2 𝑅

Inoltre, sostituendo il valore dell’energia cinetica prima determinato nella precedente


otteniamo:

1 2
𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2 𝑘 𝑞2
𝐸= = = .
2 𝑅 2𝑅 𝑅 2𝑅

L’energia totale del sistema è negativa. La particella negativa è quindi confinata a


rimanere in una regione spaziale prossima al nucleo positivo.

E’ utile a questo punto osservare che la carica elettrica è una grandezza quantizzata.
Questa affermazione implica che qualsiasi carica risulta essere multipla di una carica
elementare. La carica elementare vale:

= 1,602 ∙ 10−19 𝐶.

Ne segue che l’atomo più semplice che possiamo concepire è costituito da un nucleo
carico positivamente, con carica , contornato da una carica negativa, di intensità – ,
che gli orbita intorno.
Un atomo così semplice esiste realmente ed è l’atomo d’idrogeno. Alla particella carica
positivamente si dà il nome di protone, mentre chiamiamo elettrone la carica negativa.
Classicamente l’energia dell’atomo di idrogeno vale:

𝑘 2
𝐸= .
2𝑅

L’energia dell’atomo sopra richiamata può variare con continuità. Da un punto di vista
classico, l’atomo può quindi assorbire qualsiasi quantità di energia fornita dall’esterno.
L’atomo può ricevere energia dall’ambiente esterno se sollecitato mediante
un’appropriata sorgente luminosa. Si osserva sperimentalmente che l’atomo può assorbire
energia soltanto quando interagisce con sorgenti luminose con specifiche caratteristiche
(dipendenti dall’atomo considerato).
Questa osservazione sperimentale contrasta con la visione classica sopra richiamata. In
particolare lo studio dell’interazione tra radiazione e materia (esperimenti di
spettroscopia) mostra come gli atomi rispondano soltanto a specifiche sollecitazioni.
Questa selettività nella risposta atomica alla luce non risulta spiegabile mediante la fisica
classica ed una piena comprensione richiede una trattazione quantistica del problema.
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4. L’ipotesi di Niels Bohr


N. Bohr notò che molte delle osservazioni sperimentali (spettri atomici) potevano essere
spiegate dal punto di vista teorico imponendo un vincolo su una costante del moto.
Ripercorriamo il ragionamento di Bohr. Sappiamo che nel moto circolare uniforme è
conservato il momento angolare. Nel caso specifico si conserva la quantità |𝐿⃗⃗| = 𝑅.
Bohr propose che tale valore, continuo in fisica classica, dovesse essere sostituito con un
multiplo intero di una costante fondamentale nota come costante di Planck ridotta (ℏ).
Nel modello di Bohr la quantizzazione del momento angolare prende la forma:

|𝐿⃗⃗| = 𝑛ℏ

dove 𝑛 > 0 è un intero positivo. La costante di Planck ridotta ha un valore molto piccolo
(ℏ ≈ 1,05 ∙ 10−34 𝐽 ) e per valori di 𝑛 grandi (limite classico) il momento angolare
esibisce una variazione quasi continua. La natura discreta del momento angolare è invece
importante per valori di 𝑛 abbastanza piccoli.
La quantizzazione del momento angolare si scrive in forma esplicita nella forma seguente:

𝑅 = 𝑛ℏ.

La precedente, tuttavia, non è sufficiente a determinare completamente lo stato del sistema


atomico. Per fare questo occorre infatti determinare il raggio dell’orbita e il modulo della
velocità. Occorre quindi una seconda relazione. Questa ci è fornita dall’identificazione
della forza di Coulomb con la forza centripeta. Pertanto possiamo scrivere:

(𝑛ℏ)2
𝑛 𝑅𝑛 = 𝑛ℏ 𝑛ℏ 𝑅𝑛 =
2 2 𝑛 𝑅𝑛 = 𝑛ℏ 𝑅𝑛 = 𝑘 2.
{𝑘 𝑛 →{ 2 2 →{ 𝑛 →
= 𝑛 𝑅𝑛 = 𝑘 2 𝑘 2
𝑅𝑛2 𝑅𝑛 𝑛 𝑛ℏ =𝑘
{ 𝑛 = 𝑛ℏ

Dalla soluzione trovata è evidente che non tutte le orbite classicamente permesse sono
ammissibili. Soltanto una infinità numerabile di orbite, aventi raggio 𝑅𝑛 , risultano
consentite. Per questa ragione, l’energia del sistema presenta livelli di energia discreti:

𝑘 2 𝐸0
𝐸𝑛 = =
2𝑅𝑛 𝑛2
.
(𝑘 2 )2
𝐸0 =
2ℏ2
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Questo risultato mostra che l’atomo non può assorbire arbitrarie quantità di energia.
L’orbita di raggio minore si ottiene fissando 𝑛 = 1. In questo stato l’energia del sistema
vale 𝐸0 , che corrisponde allo stato fondamentale del sistema (lo stato di minore energia).
Lo stato fondamentale è quello al quale il sistema tende se non perturbato da cause esterne.
Il raggio dell’orbita nello stato
fondamentale, detto raggio di Bohr,
𝐸 vale:

ℏ2
𝑅1 = .
𝑘 2
0 Quando si considera il valore della
massa dell’elettrone
𝑈 13,6 𝑉
= 9,109 ∙ 10−31 𝑘𝑔,

otteniamo i valori di 𝐸0 ed 𝑅1 . Essi


valgono:
𝐸0 𝐸0 = 13,6 𝑉
,
𝑅1 = 0,529 ∙ 10−10

con 1 𝑉 = 1,602 ∙ 10−19 𝐽. Il raggio di Bohr rappresenta una misura delle dimensioni
tipiche di un atomo, mentre 𝐸0 rappresenta l’energia di ionizzazione dell’atomo di
idrogeno (in ottimo accordo con il valore sperimentale).
Il modello di Bohr è un modello semiclassico che recepisce sotto forma di vincolo
elementi caratterizzanti la teoria quantistica. Nonostante il successo del modello nel
rendere conto delle osservazioni sperimentali, restano problemi che non discuteremo e
che verranno risolti soltanto nel quadro della meccanica quantistica.

5. I costituenti dell’atomo
Oggi sappiamo che un atomo è costituito da un nucleo positivo e da una nuvola elettronica
negativa. Il nucleo è costituito da protoni (carica ) e neutroni di carica nulla. La nuvola
elettronica è costituita da tanti elettroni quanti sono i protoni del nucleo. Quest’ultima
proprietà garantisce la neutralità del sistema. In tabella mostriamo alcune proprietà dei
costituenti dell’atomo.
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𝒆, 𝒑, 𝒏 carica massa
elettrone 9,109 ∙ 10−31 𝑘𝑔
protone 1,673 ∙ 10−27 𝑘𝑔
neutrone 0 1,675 ∙ 10−27 𝑘𝑔

I protoni hanno una massa di circa 1836 volte maggiore di quella di un elettrone. Nella
materia cristallina i nuclei atomici sono localizzati in
reticoli geometricamente ordinati. I protoni, localizzati nel
nucleo, non sono liberi di spostarsi all’interno del materiale.
Gli elettroni, molto più leggeri, possono in principio
migrare all’interno del materiale. Lo spostamento degli
elettroni è agevole nei metalli (legame metallico), mentre
questo è molto più difficoltoso negli isolanti.
Da queste considerazioni è facile rendersi conto che gli
elettroni giocano un ruolo rilevante nei fenomeni di
trasferimento di carica tra corpi.

6. Newton contro Coulomb


Nel corso della nostra esposizione abbiamo considerato un modello semplificato di atomo
contenente un protone ed un elettrone. Questo modello descrive bene l’atomo di idrogeno
il cui nucleo contiene un singolo protone.
Esistono evidentemente atomi più complessi il cui nucleo è formato da più protoni. In
generale i nuclei contengono anche neutroni.
Qui sorge un ulteriore problema concettuale. Come possono coesistere cariche dello stesso
segno all’interno del nucleo?
Il nucleo dovrebbe essere infatti instabile a causa della repulsione coulombiana tra i
protoni. Il fatto che i nuclei siano stabili fa sospettare dell’esistenza una forza in grado di
bilanciare la repulsione coulombiana. Conosciamo al momento soltanto un’altra forza in
grado di fornire una interazione attrattiva. Questa è la forza di attrazione gravitazionale.
Confrontiamo quindi i moduli delle due forze.
Limitiamo la nostra attenzione al caso in cui il nucleo contenga soltanto due protoni.
Questo è il caso del nucleo di elio ( 42𝐻 ), formato da due protoni e due neutroni. Si stima
che la regione nucleare abbia un’estensione spaziale dell’ordine di 1 𝑓 (femtometro),
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ossia 10−15 . Quanto vale la repulsione coulombiana


tra due protoni a distanza 𝑑 = 10−15 ?
𝒏 Il calcolo diretto mostra quanto segue:
𝑘 2 (8,99 ∙ 109 ) ∙ (1,602 ∙ 10−19 )2
⃗⃗⃗⃗⃗
|𝐹 𝐶| = = 𝑁
𝑑2 (10−15 )2
𝒏 ≈ 230 𝑁.
Il modulo della forza repulsiva risulta enorme se si pensa
che stiamo considerando un sistema microscopico.
Valutiamo il modulo dell’attrazione gravitazionale per i due protoni. Il calcolo diretto
mostra che
𝐺 𝑝2 (6,66 ∙ 10−11 ) ∙ (1,673 ∙ 10−27 )2
⃗⃗⃗⃗⃗
|𝐹 𝐺| = = 𝑁 ≈ 18,6 ∙ 10−35 𝑁.
𝑑2 (10−15 )2
Per rendere ancora più evidente il risultato valutiamo il rapporto tra i moduli delle due
forze:
⃗⃗⃗⃗⃗
|𝐹 𝐶| 230 𝑁
= −35
≈ 1,2 ∙ 1036 .
⃗⃗⃗⃗⃗
|𝐹 𝐺|
18,6 ∙ 10 𝑁

Dalle precedenti valutazioni appare evidente che l’attrazione gravitazionale non può
stabilizzare i nuclei atomici.
La regione nucleare è stabilizzata infatti da forze nucleari a cortissimo raggio. Queste
forze, le più intense in natura, sono dominanti alle scale subatomiche e consentono la
stabilità nucleare.
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1. Strumenti di misura dell’elettrizzazione


Nel discutere i fatti sperimentali collegati alla legge di Coulomb
abbiamo dato per scontato che sia possibile disporre di corpi
elettricamente carichi con assegnate caratteristiche. Vediamo come
ciò sia effettivamente possibile.
Per rendere evidente lo stato di carica di un corpo utilizziamo un
sistema noto come elettroscopio a foglie d’oro. Un elettroscopio è
costituito da una sferetta metallica collegata ad un’asticella
conduttiva terminante con due lamine metalliche molto sottili
(foglie d’oro). L’asticella è montata su un supporto isolante che
occlude l’apertura di un’ampolla in vetro. L’ampolla contiene le
lamine metalliche. Le foglie metalliche, protette dai movimenti
dell’aria esterna, reagiscono allo stato di carica della sferetta.
Quando questa è neutra, le foglie metalliche sono a contatto in posizione verticale. Se una
carica è depositata sulla sferetta essa migra distribuendosi su tutto il sistema conduttivo e
quindi anche sulle foglie metalliche. La repulsione coulombiana causa quindi la
repulsione delle foglie metalliche ed una divaricazione delle stesse.
L’ampiezza della divaricazione è tanto maggiore quanto maggiore
è la carica accumulata. In questo modo l’elettroscopio mette in
evidenza lo stato di carica della parte conduttiva dello strumento.
Analizziamo una procedura sperimentale che consente di ottenere
un corpo elettricamente carico a partire da uno neutro utilizzando il
fenomeno dell’induzione elettrostatica. Abbiamo già incontrato il
fenomeno dell’induzione elettrostatica nel discutere alcuni fatti
sperimentali.
Quando un corpo carico è avvicinato ad un metallo, questo induce
accumuli locali di carica come mostrato in figura. Il fenomeno è
tuttavia reversibile. Infatti il
metallo torna ad uno stato
localmente neutro allontanando il corpo carico. Come
anticipato, esiste un modo per rendere permanente lo
stato di carica indotto. La procedura sperimentale è
illustrata dalla seguente sequenza di azioni.
Avviciniamo un corpo carico positivamente alla
sferetta dell’elettroscopio. Per induzione la sferetta
acquisisce una carica negativa mentre le foglie
nell’ampolla, private di elettroni, rimangono cariche
positivamente. In questa situazione le foglie si
respingono evidenziando lo stato di carica della sferetta. Mettendo a terra la sferetta, ad
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esempio toccandola, le cariche positive migrano il più lontano possibile. Interrompendo


il collegamento con la terra ed allontanando il corpo induttore si ottiene una carica netta
negativa accumulata sull'elettroscopio. Il sistema può essere scaricato toccandolo
nuovamente. La carica accumulata sull’elettroscopio può
𝑄<0 𝑄 0
inoltre essere dimezzata toccando il sistema con un
elettroscopio identico ed inizialmente scarico.
Questo fenomeno è detto elettrizzazione per contatto.
L’elettrizzazione per contatto consente di ottenere conduttori
con valore della carica identico.
Supponiamo di avere due conduttori sferici identici (stesso
materiale e caratteristiche geometriche). Sia depositata la
carica 𝑄 < 0 su uno dei due conduttori e sia l’altro conduttore 𝑄/2 𝑄/2
neutro.
Ponendo a contatto i conduttori, l’eccesso di carica si
distribuisce uniformemente. I conduttori, una volta separati,
rimarranno carichi con identica carica 𝑄/2. Il processo può
essere iterato per ottenere conduttori carichi con una frazione della carica iniziale. Con
questi strumenti concettuali è possibile costruire sistemi con eccesso di carica assegnato
utili nella verifica della legge di Coulomb.
Esercizio
L’elettroscopio evidenzia lo stato di carica di un
corpo ma non consente una stima quantitativa
della carica accumulata. Il sistema può essere
𝐿 opportunamente tarato per rispondere a questa
esigenza. Il problema seguente offre alcuni utili
𝑞 spunti di riflessione.
Due palline di eguale massa e carica,
𝑥 rispettivamente 𝑚 e 𝑞, sono sospese mediante fili
di seta di lunghezza 𝐿. Supponendo piccola la
carica, determinare la relazione che intercorre tra
𝑚 𝑚 la divaricazione 𝑥 dei fili e la carica 𝑞.
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Innanzitutto osserviamo che il sistema potrebbe essere visto come una schematizzazione
delle foglioline di un elettroscopio nell’ipotesi in cui queste siano approssimabili come
cariche puntiformi.
Il modulo della repulsione coulombiana tra le sferette vale:
𝑞2
| | 𝑘 2.
𝑥
Inoltre si ha la relazione trigonometrica
𝑥
sin .
2𝐿
Pertanto possiamo scrivere la seguente catena di uguaglianze:

| | 𝑥
tan ≈ sin .
𝑚 2𝐿

Da quest’ultima otteniamo la relazione cercata:

𝑘 𝑞2 𝑥 2𝐿 𝑘 2
→ 𝑥3 ( )𝑞
𝑚 𝑥2 2𝐿 𝑚
3 𝑞2 𝐿
→𝑥 √ .
2𝜋𝜀0 𝑚
Notiamo che la divaricazione 𝑥 è tanto maggiore quanto minore è la massa delle palline.
Essa inoltre aumenta con la carica.

2. Il campo elettrico
Supponiamo di poter disporre di uno spazio vuoto di dimensioni infinite e che ad un certo
istante di tempo sia creata una sorgente di carica 𝑄 in una regione di tale spazio. Sebbene
possiamo intuire che la presenza della carica modifica in qualche modo le proprietà dello
spazio circostante, non abbiamo strumenti per suffragare tale ipotesi. Gli effetti della
carica 𝑄 infatti possono essere sondati soltanto introducendo una seconda carica 𝑞. La
carica 𝑞 dovrebbe essere molto minore di 𝑄 affinché non sia essa stessa causa della
modifica delle proprietà dello spazio. Supponiamo per ragioni di convenzione che la
carica 𝑞, detta carica di prova, sia una carica puntiforme positiva. Posizioniamo quindi 𝑞
in ogni punto accessibile dello spazio e misuriamo la forza di Coulomb di cui essa risente
per effetto della carica 𝑄.
Con questa procedura stiamo evidenziando un importante ente matematico di rilevanza
fisica. Stiamo introducendo un campo vettoriale. Un campo vettoriale associa ad ogni
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punto dello spazio tridimensionale un vettore. Il vettore in questione è dato dalla forza di
Coulomb variabile punto per punto. Per questa ragione si tratta in particolare di un campo
di forze. Le forze coulombiane dipendono dalle caratteristiche della carica sorgente 𝑄 (che
ad esempio può essere un corpo esteso carico) e dall’intensità della carica di prova.
Possiamo definire un ente fisico, il campo elettrico, che dipende dalle sole proprietà della
sorgente del campo. Il campo elettrico è il campo vettoriale che si ottiene dal rapporto

(𝑥, 𝑦, )
𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, )
𝑞

con 𝑞 ≪ 𝑄. Notiamo esplicitamente che le caratteristiche della sorgente sono nascoste in


(𝑥, 𝑦, ). Talvolta il campo elettrico viene definito scrivendo il seguente limite formale

(𝑥, 𝑦, )
𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) lim+ .
𝑞→0 𝑞

D’altra parte, questo limite ha solo un valore matematico in quanto 𝑞 non può assumere
valori inferiori alla carica elementare a causa della già citata quantizzazione della carica
elettrica. L’unità di misura del campo elettrico nel SI è il 𝑁/𝐶.

La specifica forma che 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) assume dipende dalle caratteristiche della sorgente.
Esiste un importante caso particolare nel quale il campo elettrico assume una forma
semplice.
Questo è il caso del campo elettrico generato da una sorgente puntiforme dotata di carica
𝑄. Fissiamo un sistema di riferimento che abbia l’origine coincidente con la sorgente del
campo. Posizioniamo la carica di prova 𝑞 in un generico punto dello spazio individuato
dal vettore . La forza di Coulomb che agisce sulla carica di prova per effetto della
sorgente è data dalla legge di Coulomb:

1 𝑄𝑞
̂.
4𝜋𝜀0 | |2

Dalla precedente e dalla definizione di campo elettrico è semplice convincersi della


validità della relazione:

1 𝑄
𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) ̂.
4𝜋𝜀0 | |2
5
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Il modulo del campo elettrico si scrive nella forma:

1 |𝑄 |
|𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, )| ,
4𝜋𝜀0 | |2

dove la precedente vale per valori positivi o negativi della


carica sorgente. Per il campo elettrico, così come per la forza
di Coulomb, vale il principio di
sovrapposizione degli effetti. In
base a ciò, il campo elettrico
generato da più sorgenti è somma
vettoriale dei campi generati dalle singole sorgenti. La
validità del principio di sovrapposizione consente di calcolare
il campo generato da distribuzioni di carica discrete o
continue. Il campo vettoriale generato da una sorgente
puntiforme può essere rappresentato mediante linee di campo.
Data la convenzione sul segno della carica di prova, le linee
del campo generate da una carica positiva risultano uscenti
dalla sorgente, mentre quelle generate da una carica negativa
risultano entranti nella sorgente.

3. Il campo elettrico generato da un dipolo


elettrico
Un dipolo elettrico è un sistema discreto costituito
di due cariche di segno opposto a distanza fissa
l’una dall’altra. Sia questa distanza.
Immaginiamo che la congiungente le due cariche
𝑃 individui la direzione dell’asse di un sistema di
assi ortogonali aventi l’origine in un punto
equidistante dalle due cariche. Vogliamo
calcolare il campo generato dal dipolo in un punto
𝑃 appartenente all’asse .

Prima di procedere con il calcolo vogliamo


utilizzare il metodo delle linee di campo per
visualizzare l’andamento approssimato del campo
elettrico. Per prima cosa occorre tenere conto del
6
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principio di sovrapposizione degli effetti. In base a questo


principio il campo è la somma vettoriale dei campi generati dalle
singole cariche. Possiamo quindi avvicinare le due cariche di
𝑃 (0,0, ) segno opposto considerando le loro linee di campo così come si
presenterebbero se le cariche fossero isolate. Sommando quindi
i due campi punto per punto si ottiene il campo di dipolo
risultante.
𝑞 Dall’analisi qualitativa fin qui condotta si vede che il campo di
dipolo assume in generale una forma complicata. Una notevole
semplificazione si ottiene quando si voglia calcolare il campo
nelle condizioni inizialmente descritte. Vediamo come il calcolo
𝑞 procede in questa situazione.
Utilizzando il principio di sovrapposizione otteniamo:
𝑞 𝑞
𝐸⃗ (𝑃) ⃗⃗⃗⃗+
𝐸 ⃗⃗⃗⃗
𝐸− ̂ (𝑘 𝑘 ).
( /2)2 ( /2)2

La precedente può essere riscritta nella forma seguente:

𝑞 𝑞 1 1
𝐸⃗ (𝑃) ̂ (𝑘 𝑘 ) ̂ 𝑘𝑞 ( 2 2)
( /2)2 ( /2) 2
2 (1 2 (1
) )
2 2
2 2
̂ 𝑘𝑞 1 1 ̂ 𝑘𝑞 (1 2
) (1
2
)
( 2 2)
2 2 2 2
(1 ) (1 ) (1 ( ) )
2 2 2
( )
2
̂ 𝑘𝑞 ̂ 2𝑘 𝑞 1
2 2 2 3 2 2
(1 ( ) ) (1 ( ) )
( 2 ) ( 2 )
̂𝑞 1
3 2.
2𝜋𝜀0 2
(1 ( ) )
2

Notiamo che a grande distanza dal dipolo ( ≫ /2) il campo sull’asse può essere
approssimato dalla seguente relazione:
7
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1 ̂𝑞
𝐸⃗ (𝑃) ≈ .
2𝜋𝜀0 3

Il valore del campo elettrico a grandi distanze dal dipolo tende a zero più velocemente di
quanto faccia il campo generato da una carica puntiforme.

4. Campo elettrico di una spira carica


Fino a questo momento abbiamo fornito un esempio di calcolo del campo elettrico nel
caso di una distribuzione discreta di cariche (dipolo). Vogliamo adesso esaminare il caso
in cui il campo elettrico sia generato da una distribuzione continua di carica. Una
distribuzione di carica continua si realizza quando una certa carica totale 𝑄 è distribuita
su una regione estesa dello spazio. Tale regione può essere unidimensionale,
bidimensionale o tridimensionale. Tratteremo qui il caso semplice di una distribuzione
unidimensionale.
In particolare vogliamo calcolare il campo elettrico generato sull’asse di una spira di
raggio 𝑅 sulla quale sia uniformemente distribuita la carica 𝑄. Sia 𝜆 la densità lineare di
carica in modo tale che risulti 𝑄 2𝜋𝑅 𝜆. Il calcolo richiede la valutazione del contributo
al campo elettrico fornito da ogni elemento infinitesimo in cui è decomponibile la spira.
Il campo infinitesimo nel punto 𝑃 vale:

𝑞 ( ′) 𝜆 ( ′)
𝐸⃗ 𝑘 𝑘 .
| ′|2 | ′| 𝜌2 | ′|

La simmetria del problema suggerisce che le


𝐸 componenti del campo ortogonali all’asse siano
irrilevanti (si cancellano per simmetria e non
contribuiscono al risultato). Le sole componenti
rilevanti sono quelle parallele all’asse . La
𝑃 componente infinitesima del campo parallela
- ′ all’asse si scrive come segue:

𝜆 ′
𝐸∥ 𝐸⃗ ∙ ̂ 𝑘 ( )∙ ̂
𝜌2 | ′|
𝑞 𝜆
𝑘 2 cos
𝜆
𝑘 2 ( )
𝜌 𝜌 𝜌
′ 𝑘 3
𝜆
𝜌
𝑘
2
𝜆
2
3,
( 𝑅 )2
8
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dove abbiamo utilizzato la relazione:


cos ( ) ∙ ̂.
| ′|

Il campo totale generato lungo l’asse dalla distribuzione si calcola integrando su tutta la
lunghezza della circonferenza. Procedendo in questo modo si ottiene:
2𝜋𝑅
𝜆
𝐸∥ ∫ 𝐸∥ ∫ 𝑘 3
0 ( 2 𝑅 2 )2
2𝜋𝑅
𝜆 𝜆 (2𝜋𝑅) 𝑄
𝑘 3∫ 𝑘 3 𝑘 3.
( 2 𝑅 2 )2 0 ( 2 𝑅 2 )2 ( 2 2
𝑅 )2

Da un punto di vista vettoriale il campo nel punto 𝑃 si scrive ̂ 𝐸∥. Osserviamo che per
0 il campo è nullo, mentre nel limite ≫ 𝑅 si ha:

𝑘𝑞
𝐸∥ ≈ 2
.

Il precedente risultato mostra che il campo generato a grande distanza dalla spira risulta
indistinguibile da quello di una sorgente puntiforme avente la stessa carica di quella
distribuita sulla spira.
5. Una osservazione sulla neutralità della materia
Immaginiamo di poter descrivere un atomo, ad esempio
quello dell’idrogeno, come una carica elementare positiva
posta al centro di un anello uniformemente carico con carica
𝑃 negativa – e raggio 𝑅. Per il principio di sovrapposizione, il
campo generato in un punto 𝑃 lungo l’asse della spira è dato
dalla somma dei contributi al campo forniti dalla carica
positiva e dall’anello. Si ha quindi:

𝑘 𝑘 ( )
𝐸⃗ ̂( 2 3 ).
( 2 2
𝑅 )2
𝑅
Osserviamo che nel limite di grande distanza si ha:
9
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lim 𝐸⃗ 0.
𝑧→∞

Questo è il motivo per il quale la materia appare neutra nonostante sia costituita di cariche
positive e negative.
6. Campo generato da un disco
uniformemente carico
Vogliamo calcolare il campo generato da un disco
di raggio 𝑅 uniformemente carico in un punto di
un asse ad esso ortogonale e passante per il centro
𝑃 del disco. Il problema può essere risolto
ricorrendo al precedente risultato. Il contributo al
campo lungo l’asse dovuto ad un sottile anello
vale:
𝑞
𝐸 𝑘 3,
𝑅 ( 2 2 )2

con ≤ 𝑅. Introducendo la densità superficiale di


carica
𝑄
𝜎
𝜋𝑅 2
possiamo scrivere l’elemento di carica infinitesimo nella forma 𝑞 𝜎 𝐴
𝜎(2𝜋 ) . Utilizzando i precedenti risultati intermedi otteniamo ( ≥ 0):
𝑅 𝑅
𝜎 (2𝜋 ) 𝜎 2
𝐸 ∫ 𝐸 ∫ 3 ∫ 3.
4𝜋 𝜀0 0 ( 2 2 )2 4 𝜀0 0 ( 2 2 )2

Rimane da calcolare l’integrale in rosso. Effettuiamo il seguente cambio di variabili:


2 2
𝑦
con 𝑦 2 . Con queste posizioni l’integrale si trasforma nel modo seguente:

𝑅 𝑧 2 +𝑅 2
𝜎 (2𝜋 ) 𝜎 𝑦 𝜎
𝐸 ∫ 𝐸 ∫ 3 ∫ 3 (1 ).
4𝜋 𝜀0 0 ( 2 2 )2 4 𝜀 0 𝑧2 (𝑦 )2 2 𝜀0 √ 2 𝑅2
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Notiamo che considerando il limite di raggio infinito si ottiene il campo che genererebbe
un piano uniformemente carico. In questo limite abbiamo:
𝜎
lim 𝐸 .
𝑅→∞ 2 𝜀0
Allo stesso valore si giunge anche nel limite → 0.

7. Cariche puntiformi in un campo elettrico


Una carica puntiforme 𝑞 posta in una regione dello spazio che sia sede di un campo
elettrico 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) generato da sorgenti di carica ferme rispetto ad un assegnato
riferimento sperimenta una forza pari a
(𝑥, 𝑦, ) 𝑞 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ).
I vettori (𝑥, 𝑦, ) ed 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, ) risultano paralleli se 𝑞 > 0, antiparalleli altrimenti.

Esercizio

𝑦 𝐸 Una particella di massa 𝑚 e carica negativa – 𝑞 entra in


una regione nella quale risiede un campo elettrico
uniforme descritto dalla relazione 𝐸⃗ 𝑦̂ 𝐸 con 𝐸 >
0. La particella è dotata di velocità iniziale 𝑣 𝑥̂ 𝑣
(𝑣 > 0) ed è collocata nell’origine degli assi all’istante
𝑦∗ iniziale. Determinare la distanza 𝑦 ∗ dall’asse 𝑥 nel
momento in cui la particella ha percorso una distanza
𝑚, 𝑞 𝐿 𝑥 orizzontale pari a 𝐿.

Scriviamo il secondo principio della dinamica per la particella. Proiettando lungo gli assi
otteniamo:
𝑥̂: 𝑚 𝑥 0
𝑞𝐸 .
𝑦 𝑦̂: 𝑚 ( 𝐸 )( 𝑞)
𝑦 𝑞𝐸 →
𝑚
Osserviamo che il moto della particella lungo l’asse 𝑥 è rettilineo uniforme, mentre il moto
lungo l’asse 𝑦 è uniformemente accelerato. Di qui e dalle condizioni iniziali seguono le
relazioni cinematiche:
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𝑥( ) 𝑣
1 2.
𝑦 𝑦( )
2
Definiamo il tempo ∗ nel quale la particella ha percorso la distanza orizzontale 𝐿 𝑣 ∗.
Utilizzando le precedenti relazioni cinematiche si ottiene

∗)
1 ∗2
1 𝑞𝐸 𝐿 2
𝑦( 𝑦 ( )( ) ,
2 2 𝑚 𝑣
che rappresenta proprio la deflessione cercata.

8. Dipolo in campo elettrico: effetti meccanici.


Immaginiamo adesso di avere un dipolo elettrico rigido, con momento di dipolo elettrico
, immerso in un campo 𝐸⃗. Sia per semplicità il campo elettrico spazialmente uniforme.
Con riferimento alla figura, calcoliamo
l’effetto meccanico che il campo elettrico
produce sul dipolo elettrico. La carica
positiva sarà soggetta a una forza + nello
stesso verso del campo 𝐸⃗, mentre la carica
negativa sarà sottoposta ad una forza − opposta a +. Il dipolo elettrico è sottoposto
quindi a una coppia di forze di momento 𝑀 ⃗⃗ , tale che:
𝑀⃗⃗ ⃗⃗⃗+ × + ⃗⃗⃗− × −,
dove ⃗⃗⃗+ e ⃗⃗⃗− rappresentano i vettori posizione della carica positiva e negativa,
rispettivamente. Osservando adesso che ± ±𝑄𝐸⃗ , abbiamo 𝑀 ⃗⃗ 𝑄(⃗⃗⃗+ ⃗⃗⃗− ) × 𝐸⃗ e
quindi:
𝑀 ⃗⃗ × 𝐸⃗,
dove abbiamo riconosciuto il momento di dipolo nella forma:
𝑄(⃗⃗⃗+ ⃗⃗⃗− ).
Inoltre è nulla la risultante delle forze esterne agenti sul dipolo poiché ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑒𝑥 + −
0.
1
Esempi di calcolo del campo elettrico

Quesito 1
Una carica positiva è uniformemente distribuita secondo la
geometria indicata in figura. Sia 𝜆 la densità lineare di carica. Sia
il sistema posto nel vuoto. Dimostrare quanto segue.
3𝜆
 La carica totale distribuita sul sistema vale: 𝑄 = 𝜋𝑅
2
 La componente 𝑥 del campo elettrico nell’origine del sistema di
𝜆
riferimento vale:
4𝜋𝜀0 𝑅
 La componente 𝑦 del campo elettrico nell’origine del sistema di riferimento
𝜆
vale:
4𝜋𝜀0 𝑅

Svolgimento
3
La lunghezza del segmento circolare su cui è distribuita la carica vale 𝐿 = 𝜋𝑅. Pertanto
2
3𝜆
la carica totale vale 𝑄 = 𝜆𝐿 = 𝜋𝑅.
2

Il campo elettrico prodotto da una porzione infinitesima 𝑑𝑙 della sorgente è dato


dall’espressione seguente:
1 𝜆 𝑑𝑙
𝑑𝐸⃗ = (𝑟 − 𝑟′).
4𝜋𝜀0 |𝑟 − 𝑟′|3
Siamo interessati a determinare il campo nell’origine e pertanto basta considerare 𝑟 = 0,
mentre l’elemento di linea 𝑑𝑙 = 𝑅𝑑𝜃 è descritto dal vettore posizione:
𝑟 ′ = 𝑅(𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃).
Utilizzando queste informazioni possiamo scrivere:
𝜆 𝑅𝑑𝜃 𝜆 𝑑𝜃
𝑑𝐸⃗ = − 𝑅(𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃) = − (𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃).
4𝜋𝜀0 𝑅3 4𝜋𝜀0 𝑅
Il campo elettrico totale si ottiene integrando sulla variabile angolare su un opportuno
dominio:
𝜃2 𝜃2
𝜆
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝐸⃗ = − ∫ 𝑑𝜃 (𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃)
𝜃1 4𝜋𝜀0 𝑅 𝜃1
𝜆
= (𝑠𝑖𝑛𝜃1 − 𝑠𝑖𝑛𝜃2 , 𝑐𝑜𝑠𝜃2 − 𝑐𝑜𝑠𝜃1 ).
4𝜋𝜀0 𝑅
2
Esempi di calcolo del campo elettrico

Nel caso specifico 𝜃1 = 𝜋/2 e 𝜃2 = 2𝜋. Pertanto otteniamo:


𝜆
𝐸⃗ = (1, 1).
4𝜋𝜀0 𝑅

Quesito 2
La carica positiva 𝑄 è distribuita sul segmento di
lunghezza 𝐿 mostrato in figura. Sia 𝜆(𝑥) = 𝑏|𝑥| la
densità lineare di carica, con 𝑏 un parametro noto ed
|𝑥| la funzione valore assoluto di 𝑥. Sia il sistema
posto nel vuoto. Dimostrare quanto segue.
 La carica 𝑄 in funzione di 𝑏 vale: 𝑄 = 𝑏𝐿2 /4
 La componente 𝑦 del campo elettrico nel punto 𝑃
2
√1+ 𝐿 2 − 1
2𝑄 4ℎ
vale: 𝐸𝑦 = [ ]
𝜋𝜀0 𝐿2 2
√1+ 𝐿 2
4ℎ

Svolgimento
La carica totale distribuita sul sistema segue dall’integrale:
𝐿/2
𝑄=∫ 𝜆(𝑥) 𝑑𝑥 = 𝑏𝐿2 /4.
−𝐿/2

Dalla simmetria del problema appare evidente che la componente 𝑥 del campo elettrico in
𝑃 è nulla, mentre resta da calcolare la sola componente 𝑦. Il campo elettrico generato dalla
distribuzione di carica segue dalla relazione:
1 𝜆(𝑥′) (𝑟 − 𝑟′)
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝑥′ .
4𝜋𝜀0 |𝑟 − 𝑟′|3
Riconoscendo i vettori 𝑟 = (0, ℎ) e 𝑟′ = (𝑥′, 0) con ℎ > 0, la relazione precedente
diviene:
3
Esempi di calcolo del campo elettrico

1 𝜆(𝑥′) 𝑥′ 1 𝜆(𝑥′) ℎ
𝐸⃗ = [− ∫ 𝑑𝑥′ 2 ] 𝑥
̂ + [ ∫ 𝑑𝑥′ ] 𝑦̂
4𝜋𝜀0 (𝑥′ + ℎ2 )3/2 4𝜋𝜀0 (𝑥′2 + ℎ2 )3/2
1 𝜆(𝑥′) ℎ
=[ ∫ 𝑑𝑥′ 2 ] 𝑦̂,
4𝜋𝜀0 (𝑥′ + ℎ2 )3/2
dove abbiamo usato il fatto che la componente 𝑥 del campo è nulla in quanto la funzione
integranda è dispari su dominio di integrazione pari. Per la componente 𝑦 abbiamo:
𝐿/2
1 𝜆(𝑥′) ℎ 𝑏ℎ 𝐿/2 2 𝑥′𝑑𝑥′
𝐸𝑦 = ∫ 𝑑𝑥′ 2 = ∫ .
4𝜋𝜀0 −𝐿/2 (𝑥′ + ℎ2 )3/2 4𝜋𝜀0 0 (𝑥′2 + ℎ2 )3/2

Effettuiamo il cambio di variabili 𝑦 = 𝑥′2 + ℎ2 con 𝑑𝑦 = 2𝑥′𝑑𝑥′. Di qui segue:


2 +𝐿2 /4 ℎ2 +𝐿2 /4
𝑏ℎ ℎ 𝑏ℎ 1 𝑏 ℎ
𝐸𝑦 = ∫ 𝑦 −3/2 𝑑𝑦 = [− ] = [1 − ]
4𝜋𝜀0 ℎ2 2𝜋𝜀0 √𝑦 2𝜋𝜀0 √ℎ2 + 𝐿2 /4
ℎ2

√ 𝐿2
𝑏 + √ℎ2−ℎ 2𝑄 𝐿2 /4 1 + − 1
4ℎ2
= [ ]= .
2𝜋𝜀0 √ℎ2 + 𝐿2 /4 𝜋𝜀0 𝐿2 𝐿2
√1 + 2
[ 4ℎ ]
Notiamo che la precedente nel limite ℎ → ∞ tende al valore asintotico:
1 𝑄
𝐸𝑦 ≈ .
4𝜋𝜀0 ℎ2
Nell’ottenere il precedente risultato si è utilizzato lo sviluppo:
𝑎
√1 + 𝑎 ≈ 1 +
2
𝐿2
con 𝑎 = una quantità infinitesima limite ℎ → ∞.
4ℎ2

Quesito 3
Una carica positiva è uniformemente distribuita sul segmento lungo 𝐿 mostrato in figura.
Sia 𝜆 la densità lineare di carica. Sia il sistema posto nel vuoto. Dimostrare quanto segue.
 La componente 𝑥 del campo elettrico nel punto indicato vale: 𝐸𝑥 =
𝜆 1 1
[ − ]
4𝜋𝜀0 √(𝑎−𝐿)2 +ℎ 2 √𝑎2 +ℎ2
4
Esempi di calcolo del campo elettrico

 La componente 𝑦 del campo elettrico nel punto


𝜆 𝑎 𝑎−𝐿
indicato vale: 𝐸𝑦 = [ − ]
4𝜋𝜀0 ℎ√𝑎2 +ℎ 2 ℎ√(𝑎−𝐿)2 +ℎ2
 La componente 𝑥 del campo elettrico nel punto
indicato con 𝑎 = 𝐿/2 vale:
𝐸𝑥 = 0
 La componente 𝑦 del campo elettrico nel punto
indicato con 𝑎 = 𝐿/2 nel limite 𝐿 → ∞ vale: 𝐸𝑦 =
𝜆
2𝜋𝜀0 ℎ
 La componente 𝑥 del campo elettrico nel punto
indicato con 𝑎 = 2𝐿 e ℎ = 0 vale:
𝜆
𝐸𝑥 =
8𝜋𝜀0 𝐿

𝑑𝑡 𝑡
Suggerimento: 𝐼 = ∫ (𝑡 2 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
+𝑏 2 )3/2 𝑏2 √𝑡 2 +𝑏2

Svolgimento
I punti 3, 4 e 5 sono facilmente dimostrabili una volta dimostrati i punti 1 e 2 sui quali ci
concentriamo. Il campo elettrico può essere calcolato a partire dalla definizione:
1 𝜆 (𝑟 − 𝑟′)
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝑥′ ,
4𝜋𝜀0 |𝑟 − 𝑟′|3
dove 𝑟 = (𝑎, ℎ) e 𝑟′ = (𝑥′, 0) con 𝑎, ℎ > 0. Dalla geometria del problema possiamo
riscrivere la precedente come segue:
1 𝜆 (𝑎 − 𝑥 ′ , ℎ)
𝐸⃗ = ∫ 𝑑𝑥′ .
4𝜋𝜀0 [(𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 ]3/2
Pertanto le componenti del campo elettrico cercate possono scriversi nella forma seguente:
𝐿
𝜆 𝑎 − 𝑥′
𝐸𝑥 = ∫ 𝑑𝑥′ ,
4𝜋𝜀0 0 [(𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 ]3/2
𝜆ℎ 𝐿 𝑑𝑥′
𝐸𝑦 = ∫ .
4𝜋𝜀0 0 [(𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 ]3/2
Occupiamoci separatamente del calcolo delle due componenti del campo elettrico,
partendo dalla componente 𝑥.
5
Esempi di calcolo del campo elettrico

Introduciamo il cambio di variabile seguente 𝑦 = (𝑎 − 𝑥 ′ )2 + ℎ2 . Il differenziale della


nuova variabile vale:
𝑑𝑦 = −2(𝑎 − 𝑥 ′ )𝑑𝑥 ′ .
Si ha quindi:
(𝑎−𝐿) 2 +ℎ 2 (𝑎−𝐿)2 +ℎ2
𝜆 3 𝜆 −2
𝐸𝑥 = − ∫ 𝑦 −2 𝑑𝑦 =− [ ]
8𝜋𝜀0 𝑎2+ℎ2 8𝜋𝜀0 √𝑦
𝑎2 +ℎ2
𝜆 1 1
= [ − ].
4𝜋𝜀0 √(𝑎 − 𝐿)2 + ℎ2 √𝑎2 + ℎ2

Per calcolare la componente 𝑦 del campo elettrico introduciamo il cambio di variabile 𝑦 =


𝑎 − 𝑥 ′ . Il differenziale della nuova variabile si scrive nella forma:
𝑑𝑦 = −𝑑𝑥 ′ .
Con la posizione precedente, otteniamo:
𝑎−𝐿
𝜆ℎ 𝑎−𝐿 𝑑𝑦 𝜆ℎ 𝑦
𝐸𝑦 = − ∫ 3 =− [ ]
4𝜋𝜀0 𝑎 4𝜋𝜀0 ℎ2 √𝑦 2 + ℎ2
[𝑦 2 + ℎ2 ]2 𝑎
𝜆 𝑎−𝐿 𝑎
=− [ − ]
4𝜋𝜀0 ℎ √(𝑎 − 𝐿)2 + ℎ2 √𝑎2 + ℎ2
𝜆 𝑎 𝑎−𝐿
= [ − ].
4𝜋𝜀0 ℎ √𝑎2 + ℎ2 √(𝑎 − 𝐿)2 + ℎ2

Valutiamo il campo nel punto (𝐿/2, ℎ) ed effettuiamo il limite per 𝐿 → ∞. In questo modo
si ottiene il campo elettrico generato a distanza ℎ da un filo di lunghezza infinita avente
distribuzione di carica uniforme. Procedendo in questo modo otteniamo:
𝐸𝑥 = 0,

𝜆 𝐿 𝜆 .
𝐸𝑦 = lim =
𝐿→∞ 4𝜋𝜀0 ℎ 2 2𝜋𝜀0 ℎ
√(𝐿) + ℎ2
[ 2 ]
1
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1. Ancora sul campo elettrico generato da sorgenti continue


Il campo elettrico generato nel punto individuato dal vettore posizione 𝑟⃗ da una
distribuzione discreta di carica si scrive nella forma:
𝑁
1 𝑞𝑖 (𝑟⃗ − ⃗𝑟⃗)
𝑖
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∑ 3
,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − ⃗𝑟⃗|
𝑖
𝑖=1

in virtù del principio di sovrapposizione. Quando la carica elettrica della sorgente è


distribuita su una regione estesa la somma nella precedente espressione diviene una
integrazione e si ottiene:
1 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝑑𝑞,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
dove la carica infinitesima 𝑑𝑞 è collocata in 𝑟⃗′. La carica infinitesima, a seconda della
dimensionalità della regione su cui la carica si distribuisce, può essere espressa in termini
della densità di carica nella forma:
𝑑𝑞 = 𝜆(𝑟⃗′) 𝑑𝑙′
𝑑𝑞 = 𝜎(𝑟⃗′) 𝑑𝑆′ ,
𝑑𝑞 = 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉′
a seconda che la sorgente sia descritta da una regione unidimensionale, bidimensionale o
tridimensionale. Alla luce di queste definizioni otteniamo le relazioni:
1 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝜆(𝑟⃗′) 𝑑𝑙′
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
1 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝜎(𝑟⃗′) 𝑑𝑆′,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
1 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉′
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
scritte in termini delle funzioni 𝜆(𝑟⃗′), 𝜎(𝑟⃗′), 𝜌(𝑟⃗′) che rappresentano la densità di carica
lineare, superficiale o volumica. Il calcolo delle precedenti espressioni può essere nella
pratica difficoltoso specialmente quando esso richieda la soluzione di integrali multipli.
Importanti semplificazioni si hanno in genere considerando le simmetrie del problema ed
utilizzando opportune parametrizzazioni delle regioni estese che caratterizzano le sorgenti
di carica.
2
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2. Campo elettrico generato da un piano uniformemente carico


Vogliamo verificare mediante calcolo diretto che il campo generato nel punto di
coordinate 𝑟⃗ = (0,0, 𝑧) da un piano (il piano 𝑥𝑦) uniformemente carico è pari a:
𝑧̂ 𝜎
𝐸⃗⃗ = 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧),
2𝜀0
dove 𝜎 rappresenta la densità superficiale di carica supposta positiva e spazialmente
uniforme. Utilizziamo la definizione data in precedenza:
𝜎 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝑑𝑆 ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
specializzata al caso di densità uniforme. E’
𝑦 conveniente parametrizzare la superficie
ricorrendo alle coordinate cilindriche. In questo
modo le quantità vettoriali presenti nella funzione
integranda possono essere scritte nella forma:
𝑟𝑑𝜃 𝑟⃗ = (0,0, 𝑧)
𝑟⃗′ = (𝑟 cos 𝜃 , 𝑟 sin 𝜃 , 0)
.

Di conseguenza abbiamo:
𝑑𝑟 𝑥 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3 = (𝑟 2 + 𝑧 2 )3/2
𝑟⃗ − 𝑟⃗ ′ = (−𝑟 cos 𝜃 , −𝑟 sin 𝜃 , 𝑧).
𝑑𝑆 ′ = 𝑟 𝑑𝜃𝑑𝑟
Utilizzando le precedenti possiamo scrivere il campo elettrico nella forma:
𝜎 (−𝑟 cos 𝜃 , −𝑟 sin 𝜃 , 𝑧)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝑟 𝑑𝜃𝑑𝑟.
4𝜋𝜀0 (𝑟 2 + 𝑧 2 )3/2
E’ facile convincersi del fatto che le componenti 𝑥 e 𝑦 del campo sono nulle. Infatti
abbiamo:
∞ 2𝜋
𝜎 𝑟 2 cos 𝜃 𝜎 𝑟 2 𝑑𝑟
𝐸𝑥 = − ∫ 3 𝑑𝜃𝑑𝑟 = − 4𝜋𝜀 ∫ 3 ∫ cos 𝜃𝑑𝜃 = 0
4𝜋𝜀0 2 2 0 0 2 2
(𝑟 + 𝑧 ) 2 (𝑟 + 𝑧 )2 0
.
𝜎 𝑟 2 sin 𝜃
𝐸𝑦 = − ∫ 3 𝑑𝜃𝑑𝑟 = 0
4𝜋𝜀0 2 2
(𝑟 + 𝑧 )2
Resta da calcolare la componente 𝑧 del campo. Essa vale:
3
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𝜎 𝑧 𝜎𝑧 2𝜋 ∞
𝑟𝑑𝑟
𝐸𝑧 = ∫ 2 𝑟 𝑑𝜃𝑑𝑟 = ∫ 𝑑𝜃 ∫
4𝜋𝜀0 (𝑟 + 𝑧 2 )3/2 4𝜋𝜀0 0 2 2 3/2
0 (𝑟 + 𝑧 )

𝜎𝑧 𝑟𝑑𝑟
= ∫ .
2𝜀0 0 (𝑟 2 + 𝑧 2 )3/2
L’integrale si risolve mediante il cambio di variabili 𝑦 = 𝑟 2 + 𝑧 2 con 𝑑𝑦 = 2𝑟𝑑𝑟. Nella
nuova variabile si ha:

𝜎𝑧 ∞ −3/2 𝜎𝑧 1 𝜎 𝑧 𝜎
𝐸𝑧 = ∫ 𝑦 𝑑𝑦 = − [ ] = = 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧).
4𝜀0 𝑧 2 2𝜀0 √𝑦 2𝜀0 |𝑧| 2𝜀0
𝑧2

Dalla precedente si perviene facilmente al risultato cercato:


𝑧̂ 𝜎
𝐸⃗⃗ = 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧).
2𝜀0

3. Campo elettrico a grande distanza da una distribuzione di carica arbitraria


Sia data una distribuzione di carica descritta dalla densità di carica volumica 𝜌(𝑟⃗). Ci
chiediamo quanto valga il campo elettrico generato dalla distribuzione a grande distanza
da essa. Il campo elettrico nel caso descritto
può certamente essere calcolato a partire

𝑑𝑞 𝑟⃗ − 𝑟⃗′
dall’espressione generale:
1 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′ ,
𝑟⃗′ 𝑟⃗ 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
che è tuttavia fortemente dipendente dalle
caratteristiche della sorgente. In accordo
con i risultati dei precedenti sviluppi
formali è lecito attendersi che il campo
elettrico a grandi distanze dalla sorgente non dipenda da tutti i dettagli della distribuzione,
ma soltanto da pochi stimatori della distribuzione.
Osserviamo che a grande distanza la sorgente apparirebbe come un puntino privo di
dimensioni. Sotto tale ipotesi si avrebbe |𝑟⃗| ≫ |𝑟⃗′|. L’approssimazione di ordine zero del
campo si ottiene assumendo 𝑟⃗ − 𝑟⃗′ ≈ 𝑟⃗. Con questa posizione otteniamo:
1 𝑟⃗ 1 𝑟⃗ 𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) ≈ ∫ 3 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′ = ∫ 𝜌(𝑟
⃗′) 𝑑𝑉 ′
= ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
dove
4
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𝑄 = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′

rappresenta la carica totale della distribuzione. Concludiamo che il campo generato a


grande distanza da una arbitraria distribuzione è in prima approssimazione indistinguibile
da quello che genererebbe una carica puntiforme di carica pari alla carica totale della
distribuzione.
D’altra parte se la distribuzione fosse neutra (𝑄 = 0) saremmo obbligati ad esaminare
correzioni di ordine superiore, risultando nullo il termine di ordine zero. Una espressione
più accurata del campo a grande distanza dalla sorgente si ottiene considerando lo
sviluppo al primo ordine della quantità
(𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
𝑔⃗(𝑟⃗, 𝑟⃗′) =
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
attorno alla posizione 𝑟⃗ ′ = 0. In particolare abbiamo:
𝜕𝑔𝛼 (𝑟⃗, 𝑟⃗′) 𝜕𝑔𝛼 (𝑟⃗, 𝑟⃗′) 𝜕𝑔𝛼 (𝑟⃗, 𝑟⃗′)
𝑔𝛼 (𝑟⃗, 𝑟⃗′) ≈ 𝑔𝛼 (𝑟⃗, 0) + 𝑥′ ( ) + 𝑦′ ( ) + 𝑧′ ( )
𝜕𝑥′ 𝑟⃗ ′ =0
𝜕𝑦′ 𝑟⃗ ′=0
𝜕𝑧′ 𝑟⃗ ′=0

con 𝛼 ∈ {1,2,3} e 𝑔⃗(𝑟⃗, 𝑟⃗′) = (𝑔1 (𝑟⃗, 𝑟⃗′), 𝑔2 (𝑟⃗, 𝑟⃗′), 𝑔3 (𝑟⃗, 𝑟⃗′)). Inoltre si ha:
𝑟⃗
𝑔⃗(𝑟⃗, 0) = .
|𝑟⃗|3
Il calcolo diretto mostra che le derivate parziali possono essere scritte nella forma generale
seguente:
𝜕𝑔𝛼 (𝑟⃗, 𝑟⃗′) 𝛿𝛼𝛽 3𝑥𝛼 𝑥𝛽
( ) =− + ,
𝜕𝑥𝛽 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
⃗′ 𝑟 =0

dove abbiamo introdotto la notazione 𝑥1 = 𝑥′, 𝑥2 = 𝑦′, 𝑥3 = 𝑧′, mentre il simbolo 𝛿𝛼𝛽
indica la funzione delta di Kronecker di indici 𝛼 e 𝛽. La funzione delta vale 1 se gli indici
coincidono, altrimenti vale zero. Dalle precedenti otteniamo la relazione approssimata:
(𝑟⃗ − 𝑟⃗′) 𝑟⃗ 𝑟⃗′ 3𝑟⃗ ∙ 𝑟⃗′
≈ − + ( ) 𝑟⃗.
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5

Sostituendo la precedente nell’espressione del campo elettrico otteniamo 𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) ≈


𝐸⃗⃗𝑀 (𝑟⃗) + 𝐸⃗⃗𝐷 (𝑟⃗) con
5
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𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗𝑀 (𝑟⃗) =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
.
1 𝑝⃗ 3𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗
𝐸⃗⃗𝐷 (𝑟⃗) = {− 3 + ( 5 ) 𝑟⃗}
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Il primo termine, già ottenuto in apertura, è detto termine di monopolo, mentre il secondo
è il termine di dipolo. L’espressione in campo lontano del campo elettrico dipende dalle
due quantità:

𝑄 = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑑𝑉 ′
,

𝑝⃗ = ∫ 𝜌(𝑟⃗′) 𝑟⃗′ 𝑑𝑉

che rappresentano la carica totale e il momento di dipolo della distribuzione di carica,


rispettivamente. Notiamo che il momento di dipolo dipende in generale dal punto rispetto
al quale è calcolato (dipende dalla scelta del polo dello sviluppo in serie che nel nostro
caso è l’origine). Per distribuzioni globalmente neutre (𝑄 = 0) il momento di dipolo è
invece indipendente dalla scelta del polo.
Nel caso di distribuzioni discrete l’analisi procede in modo analogo a quanto mostrato per
distribuzioni continue di carica, mentre le quantità sopra introdotte prendono la forma:
𝑁

𝑄 = ∑ 𝑞𝑖
𝑖=1
𝑁 .
𝑝⃗ = ∑ 𝑟⃗𝑖 𝑞𝑖
𝑖=1

Nel caso in cui la distribuzione sia costituita di due cariche di segno opposto e uguale
modulo (dipolo elementare) si ha 𝑄 = 0 e 𝑝⃗ = 𝑞(𝑟⃗+ − 𝑟⃗− ). Risultato in accordo con la
nostra definizione di momento di dipolo elettrico.
L’analisi formale fin qui esposta, quando sviluppata a tutti gli ordini, prende il nome di
sviluppo in multipoli.
1
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1. Flusso di un vettore attraverso una superficie


Uno degli strumenti matematici utili nella caratterizzazione di un campo vettoriale è il
concetto matematico di flusso di un vettore attraverso una superficie orientata. Questo
concetto, come vedremo, risulterà utile nello studio delle
proprietà del campo elettrico generato da una assegnata sorgente.
Per tali fini è utile introdurre la nozione di flusso che di seguito
dettagliamo. Sia 𝑣⃗ un vettore che rappresenta un campo
vettoriale spazialmente uniforme. Sia 𝑆⃗ = 𝑛̂ 𝑆 il vettore area
costruito moltiplicando un versore 𝑛̂ normale alla superfice per
l’estensione 𝑆 della stessa. Il flusso Φ𝑆 (𝑣⃗) di 𝑣⃗ attraverso la
𝑛̂ superficie orientata è definito dalla quantità:
𝑣⃗ 𝜃 Φ𝑆 (𝑣⃗) = 𝑣⃗ ∙ 𝑆⃗.
In effetti è bene notare che la scelta del versore normale ad una
superficie non è univoca in quanto è possibile scegliere fra due
𝑆⃗ = 𝑛̂ 𝑆 orientamenti differenti. Nelle condizioni alquanto restrittive
nelle quali ci siamo posti il vettore 𝑣⃗ è spazialmente uniforme e
pertanto il suo valore è costante per ogni punto della superficie.
Esso forma un angolo 𝜃 con la normale alla superficie. Il flusso
del vettore attraverso la superficie può scriversi anche nella forma Φ𝑆 (𝑣⃗) = |𝑣⃗|𝑆 cos 𝜃.
Da queste considerazioni segue che a seconda dell’orientamento del vettore si possono
𝜋 𝜋 𝜋
avere valori del flusso positivi (𝜃 ∈ [0, [), negativi (𝜃 ∈] , 𝜋]), o nulli ( 𝜃 = ). Se 𝑣⃗
2 2 2
fosse il campo vettoriale delle velocità di un fluido che attraversa la sezione di una
condotta, la quantità Φ𝑆 (𝑣⃗) rappresenterebbe la portata di tale condotta. Quanto detto può
essere compreso a livello intuitivo mediante l’analisi dimensionale. Infatti è semplice
verificare quanto segue:

𝐿 2 𝐿3
[Φ𝑆 (𝑣⃗)] = [|𝑣⃗|𝑆 cos 𝜃] = [|𝑣⃗|][𝑆] = 𝐿 = .
𝑇 𝑇
Nel SI l’unità di misura del flusso di un campo di velocità è il 𝑚3 /𝑠, unità legata
all’attraversamento della superficie di un dato volume di fluido per unità di tempo. Questo
ci lascia intuire come il concetto matematico di flusso sia legato all’attraversamento di
una superficie orientata.
Se la superficie attraverso la quale si voglia valutare il flusso non è una superficie piana,
il versore normale non è globalmente definito. Per questa ragione la definizione di flusso
sopra data deve essere rivista per includere questo caso generale. Tale definizione può
però applicarsi localmente. Partizionando la superficie in porzioni infinitesime
2
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approssimabili con il piano tangente, è possibile individuare versori normali per ogni
punto della superficie. Inoltre, in virtù di tale procedura, è anche possibile rimuovere
l’ipotesi di campo vettoriale spazialmente uniforme.
Il concetto di flusso introdotto inizialmente deve essere applicato ad ogni porzione
infinitesima della superficie che è localmente approssimabile come piana. Il flusso
infinitesimo attraverso una di queste superfici elementari vale:

𝑛̂ 𝑑Φ = 𝑣⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗.
𝑣⃗ 𝜃 Il flusso totale attraverso l’intera superficie si
𝑛̂ ottiene integrando:
𝑣⃗ 𝑛̂
𝑑𝑆 Φ𝑆 (𝑣⃗) = ∫ 𝑑Φ = ∫ 𝑣⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗,
𝑣⃗
𝑛̂ 𝑆 𝑆

con 𝑑𝑆⃗ = 𝑛̂ 𝑑𝑆 ed 𝑛̂ un versore le cui


𝑆 componenti esplicitamente dipendono dal
punto della superficie considerato.
Nel caso in cui la superficie attraverso la quale viene calcolato il flusso sia chiusa
(frontiera bidimensionale di una regione tridimensionale) si usa la notazione:

Φ𝑆 (𝑣⃗) = ∮ 𝑣⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗,
𝑆

che indica il flusso netto del campo attraverso la superficie orientata. In quest’ultimo caso
si è soliti scegliere le normali uscenti dalla superficie.
Il concetto di flusso appena introdotto è in grado di mettere in evidenza una proprietà
notevole del campo elettrico.

2. Flusso del campo elettrico prodotto da una sorgente puntiforme attraverso


una superficie sferica
Vogliamo utilizzare il concetto di flusso per caratterizzare le proprietà del campo prodotto
da una sorgente puntiforme. A tal riguardo supponiamo di disporre di una sorgente
puntiforme con carica 𝑄. Sia la carica posta nell’origine di un sistema di riferimento
cartesiano. In questo modo il campo elettrico generato nello spazio circostante prende la
forma:
3
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1 𝑄
𝑛̂ 𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2
dove abbiamo introdotto il versore
𝑛̂
𝑟⃗
𝑅 𝑟̂ =
|𝑟⃗|
.

𝑄 Calcoliamo il flusso del campo attraverso una


superficie sferica di raggio 𝑅 centrata
nell’origine, laddove è posta anche la sorgente
del campo. Il vettore area infinitesimo dipende
dal punto considerato sulla superficie sferica ed
ha direzione puramente radiale in ogni punto. Si
ha quindi 𝑑𝑆⃗ = 𝑟̂ 𝑑𝑆. Applichiamo la definizione di flusso del campo elettrico
considerando la superficie sferica orientata sopra descritta:
1 𝑄 1 𝑄
Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∮ ( 𝑟̂ ) ∙ ⃗=∮ (
𝑑𝑆 𝑟̂ ) ∙ 𝑟̂ 𝑑𝑆
𝑆 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2
1 𝑄 𝑄
= ∫ 𝑑𝑆 = .
4𝜋𝜀0 𝑅2 𝑆 𝜀0
Nella derivazione del precedente risultato abbiamo esplicitamente notato che l’integrale
restituisce la superficie totale della sfera:

∫ 𝑑𝑆 = 4𝜋𝑅2 .
𝑆

Si è inoltre osservato che il modulo del campo elettrico non dipende dal punto considerato
sulla superficie sferica e vale
1 |𝑄|
.
4𝜋𝜀0 𝑅2
Siamo quindi giunti all’importante conclusione che, sotto le ipotesi fatte, vale la relazione:
𝑄
Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = ,
𝜀0
risultato quest’ultimo che non dipende dal raggio della superficie sferica considerata. Il
valore del flusso risulta positivo o negativo a seconda del segno della carica 𝑄.
4
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Il risultato appena trovato può essere compreso più profondamente adottando un punto di
vista differente. Questo richiede l’introduzione del concetto di angolo solido.

3. Cenni sul concetto di angolo solido


Nello studio della trigonometria piana viene
𝑅 ℓ introdotto il concetto di angolo. In particolare,
𝜃 l’angolo 𝜃 viene definito come il rapporto

𝜃= ,
𝑅
con ℓ l’arco di circonferenza mostrato in figura. Alla
luce della precedente è intuitivo osservare che
l’angolo giro vale 2𝜋 radianti visto che in questo caso ℓ = 2𝜋𝑅. La definizione di angolo
piano sopra richiamata rimane indipendente dal valore di 𝑅.
Il concetto di angolo può essere generalizzato attraverso la
nozione di angolo solido. Consideriamo a tal riguardo una
superficie sferica di raggio 𝑅 e su questa un’areola di
estensione 𝑆. Definiamo angolo solido Ω sotto il quale è
vista dall’origine tale areola la quantità indipendente dal
𝑆 raggio:
Ω
S
Ω= .
𝑅2
𝑅 Essendo 4𝜋𝑅2 l’intera superficie della sfera, l’angolo
solido totale vale 4𝜋 steradianti. Quando la superficie
considerata è infinitesima, essa sottende un angolo solido infinitesimo e vale la relazione:
dS
dΩ = .
𝑅2

4. Riesame del flusso del campo elettrico prodotto da una sorgente puntiforme
Riesaminiamo il problema della determinazione del flusso del campo elettrico generato
da una sorgente puntiforme alla luce del concetto di angolo solido. Ripercorrendo la
precedente dimostrazione abbiamo:
5
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1 𝑄 𝑄 𝑟̂ ∙ 𝑑𝑆⃗ 𝑄 𝑑𝑆
Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∮ ( 𝑟̂ ) ∙ ⃗
𝑑𝑆 = ∮ ( ) = ∮ ( )
𝑆 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2 𝑆 4𝜋𝜀0 𝑅2
𝑄 𝑄 𝑄
=∫ ( ) 𝑑Ω = ( ) ∫ 𝑑Ω = ,
Ω 4𝜋𝜀0 4𝜋𝜀0 Ω 𝜀0
dove abbiamo utilizzato

∫ 𝑑Ω = 4𝜋.
Ω

Il precedente risultato può anche essere messo in forma differenziale secondo la scrittura:
𝑄
𝑑Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = 𝑑Ω.
4𝜋𝜀0
Questa relazione mette in evidenza la natura speciale dei campi vettoriali che dipendono
dall’inverso del quadrato della distanza. Solo in
presenza di tale dipendenza è possibile ricostruire
𝜃 𝑛̂ l’angolo
𝐸solido infinitesimo all’interno
dell’integrale del flusso. Questa osservazione è
𝑑𝑆⃗ = 𝑛̂ 𝑑𝑆 carica di conseguenze che nel seguito esporremo.

5. Flusso del campo elettrico prodotto da


𝑑Ω una sorgente puntiforme attraverso una
𝑄 superficie qualsiasi
Consideriamo una sorgente puntiforme racchiusa
da una superficie arbitraria orientata Σ.
Ripercorriamo il calcolo del flusso
precedentemente discusso. Nel caso generale di
una superficie arbitraria l’elemento di area
infinitesimo vale 𝑑𝑆⃗ = 𝑛̂ 𝑑𝑆 dove 𝑛̂ è un versore normale dipendente dal punto
considerato sulla superficie. Pertanto abbiamo:
1 𝑄 1 𝑄
ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∮ ( 𝑟̂ ) ∙ 𝑑𝑆 ⃗=∮ ( 𝑟̂ ) ∙ 𝑛̂ 𝑑𝑆
Σ Σ 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2 Σ 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2
𝑄 𝑟̂ ∙ 𝑛̂ 𝑑𝑆 𝑄 cos 𝜃𝑛 𝑑𝑆 𝑄
=∮ ( ) = ∮ ( ) = ∫ ( ) 𝑑Ω
Σ 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2 Σ 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2 Ω 4𝜋𝜀0
𝑄 𝑄
=( ) ∫ 𝑑Ω = .
4𝜋𝜀0 Ω 𝜀0
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Nella derivazione abbiamo riconosciuto l’angolo solido infinitesimo:


𝑑𝑆 cos 𝜃𝑛
𝑑Ω = ,
|𝑟⃗|2
definito mediante la quantità ausiliaria 𝑟̂ ∙ 𝑛̂ = cos 𝜃𝑛 . Abbiamo quindi dimostrato che il
flusso del campo elettrico generato da una carica puntiforme inclusa in una generica
superficie orientata chiusa vale
𝑄
Φ𝑆 (𝐸⃗⃗ ) = .
𝜀0
Il valore che il flusso assume risulta indipendente anche dalla posizione che la carica
occupa all’interno della superficie.

6. Flusso del campo elettrico prodotto da più sorgenti puntiformi attraverso


una superficie qualsiasi
Consideriamo 𝑁 cariche puntiformi incluse in una superficie arbitraria. Il campo da esse
prodotto è dato dal principio di sovrapposizione dal quale segue:
𝑁

𝐸⃗⃗ = ∑ 𝐸⃗⃗𝑘 .
𝑘=1

Il flusso di tale campo vale:


𝑁 𝑁 𝑁
𝑄𝑘
ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∮ (∑ 𝐸⃗⃗𝑘 ) ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∑ ∮ 𝐸⃗⃗𝑘 ∙ 𝑑𝑆⃗ = ∑ .
Σ Σ 𝜀0
𝑘=1 𝑘=1 Σ 𝑘=1

Pertanto il flusso del campo prodotto da 𝑁 cariche interne ad una arbitraria superficie
chiusa è dato dalla somma algebrica delle cariche (prese con il loro segno) divisa per la
costante dielettrica del vuoto.

7. Flusso del campo generato da cariche esterne ad una superficie chiusa


Fino a questo momento abbiamo considerato sorgenti interne alla superficie chiusa.
Esaminiamo il caso in cui sia presente un’unica sorgente puntiforme esterna ad una
superficie chiusa. Il caso di più sorgenti esterne segue dal principio di sovrapposizione.
7
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Consideriamo pertanto un cono che definisca l’angolo


𝑛̂2 solido infinitesimo 𝑑Ω ed intersechi la superficie come
mostrato in figura. I coni che non intersecano la
𝐸2 superficie non contribuiscono al flusso e sono pertanto
irrilevanti. Il flusso infinitesimo totale è somma di due
contributi e risulta 𝑑Φ = 𝑑Φ1 + 𝑑Φ2 . Valutiamo
separatamente i due contributi. Abbiamo:
𝑑Ω
𝑑Φ1 = 𝐸⃗⃗1 ∙ 𝑑𝑆⃗1 = |𝐸⃗⃗1 | cos 𝜃1 𝑑𝑆1
𝑛̂1 𝐸1 =
1 𝑄
cos 𝜃1 𝑑𝑆1 =
𝑄 cos 𝜃1 𝑑𝑆1
2
4𝜋𝜀0 𝑟1 4𝜋𝜀0 𝑟12
𝑄 𝑄 |cos 𝜃1 |𝑑𝑆1 𝑄
=− 2 =− 𝑑Ω.
4𝜋𝜀0 𝑟1 4𝜋𝜀0
Valutiamo adesso 𝑑Φ2 . Analogamente a quanto fatto in precedenza abbiamo:
1 𝑄 𝑄 cos 𝜃2 𝑑𝑆2
𝑑Φ2 = 𝐸⃗⃗2 ∙ 𝑑𝑆⃗2 = |𝐸⃗⃗2 | cos 𝜃2 𝑑𝑆2 = 2 cos 𝜃2 𝑑𝑆2 = =
4𝜋𝜀0 𝑟2 4𝜋𝜀0 𝑟22
𝑄
= 𝑑Ω.
4𝜋𝜀0
Dalle precedenti abbiamo ottenuto che 𝑑Φ1 = −𝑑Φ2 , cosa che implica 𝑑Φ = 0. Risulta
quindi dimostrato che il flusso prodotto dal campo generato da cariche esterne alla
superficie chiusa non dà alcun contributo.

8. Il teorema di Gauss
I risultati parziali fin qui ottenuti procedendo per gradi sono aspetti particolari del più
generale teorema di Gauss. Esso afferma che
Il flusso del campo elettrico nel vuoto attraverso una superficie chiusa (detta superficie
gaussiana) è pari alla somma algebrica delle cariche interne a detta superficie divisa per
la costante dielettrica del vuoto e si scrive
𝑄𝑖𝑛𝑡
ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = ,
Σ 𝜀0
dove 𝑄𝑖𝑛𝑡 = ∑𝑘 𝑄𝑘 rappresenta la somma algebrica delle cariche interne alla superficie.
La eventuale presenza di cariche esterne alla superficie non contribuisce al flusso. Il
teorema che abbiamo provato nel caso di sorgenti puntiformi vale anche per corpi carichi
estesi.
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Il teorema consente inoltre di determinare in modo semplice il valore del campo elettrico
prodotto da una assegnata sorgente laddove il sistema presenti un’appropriata simmetria.
In quest’ultima situazione è infatti possibile scegliere una superficie gaussiana sulla quale
sia costante punto per punto il modulo del campo elettrico. Con questa condizione il
calcolo del flusso diviene immediato. Nel seguito mostreremo specifiche applicazioni di
questa idea.
9. Campo elettrico generato da una sfera uniformemente carica
Un interessante problema è quello di determinare il campo elettrico generato da una sfera
di raggio 𝑅 sulla quale sia uniformemente distribuita una carica 𝑄. Sia 𝜌 la densità di
carica per unità di volume definita dalla
relazione 𝑄 = 𝜌𝑉. Inoltre il volume
Σ della sfera vale
4
𝑟 𝑉 = 𝜋𝑅 3 .
3
𝑟 Σ
Ci troviamo di fronte ad un problema a
𝑞 𝑟
simmetria sferica e pertanto ci
aspettiamo che anche il campo elettrico
𝑅 𝑅 risenta di tale simmetria. Calcoliamo
dapprima il campo elettrico interno alla
sfera. Applichiamo quindi il teorema di
Gauss utilizzando come superficie
gaussiana una superficie sferica orientata di generico raggio 𝑟 < 𝑅 e centrata nel centro
della distribuzione di carica. La simmetria ci assicura che il modulo del campo elettrico è
costante sulla superficie gaussiana scelta. Dal teorema di Gauss abbiamo la relazione:

ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = |𝐸⃗⃗ |4𝜋𝑟 2


Σ .
𝑞(𝑟)
ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) =
𝜀0
La carica 𝑞(𝑟) interna alla superficie gaussiana vale:
4
𝑞(𝑟) = 𝜋𝑟 3 𝜌.
3
Utilizzando questi risultati otteniamo:
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4 𝜌𝑟
|𝐸⃗⃗ |4𝜋𝑟 2 = 𝜋𝑟 3 𝜌 → |𝐸⃗⃗ | = .
3𝜀0 3𝜀0
Ne segue che il campo interno (𝑟 < 𝑅) alla distribuzione di carica vale:
𝜌𝑟 𝑄𝑟
𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ = 𝑟̂ .
3𝜀0 4𝜋𝜀0 𝑅3
Consideriamo adesso un punto esterno (𝑟 > 𝑅) alla distribuzione di carica ed una
superficie gaussiana sferica passante per tale punto e centrata nel centro della
distribuzione di carica. Applicando ancora una volta il teorema di Gauss possiamo
scrivere:
𝑄 𝑄
|𝐸⃗⃗ |4𝜋𝑟 2 = → |𝐸⃗⃗ | = .
𝜀0 4𝜋𝜀0 𝑟 2
Ne segue che il campo esterno (𝑟 > 𝑅) alla distribuzione di carica vale:
𝑄
𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ .
4𝜋𝜀0 𝑟 2
Abbiamo dimostrato che il campo esterno ad una distribuzione di carica a simmetria
sferica è indistinguibile da quello che genererebbe una carica puntiforme di pari carica
posta nel centro della distribuzione.
Questa osservazione giustifica l’uso di sferette cariche nella verifica sperimentale della
legge di Coulomb (che richiederebbe a rigore cariche puntiformi).

10. Elettrostatica di un conduttore carico


Un conduttore è un sistema fisico nel quale le cariche elettriche sono libere di muoversi.
Si pone pertanto il problema di capire come si distribuisca un eccesso di carica su un
conduttore. Per rispondere a questa domanda è necessario osservare che in condizioni
𝑄 elettrostatiche la risultante delle forze agenti sulle cariche libere
deve essere nulla. Se così non fosse le cariche verrebbero
+ + + accelerate, in violazione dell’ipotesi elettrostatica. Questo implica
+ + che il campo elettrico interno ad un conduttore deve essere nullo.
+ 𝐸𝑖𝑛𝑡 = 0 + La precedente osservazione, ed il teorema di Gauss, implicano che
+ + non vi possano essere cariche libere all’interno del volume del
+ ++ conduttore. Ne concludiamo che l’eccesso di carica si distribuisce
sulla superficie del conduttore.
10
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Vogliamo adesso calcolare il campo elettrico generato da un conduttore sferico di raggio


𝑅 sul quale sia distribuita la carica totale 𝑄. La carica 𝑄 si distribuisce sulla superficie
della sfera che acquisisce una densità superficiale di carica uniforme (in virtù della
simmetria del problema) pari a
𝑄
𝜎= .
4𝜋𝑅2
Abbiamo già detto che il campo interno è nullo. Valutiamo in campo in prossimità della
superficie del conduttore ed appena fuori da esso. Consideriamo una superficie gaussiana
sferica di raggio 𝑟 = 𝑅 + 0+ . Dal teorema di Gauss si ottiene:
𝑄 𝑄 𝜎
|𝐸⃗⃗ |4𝜋𝑟 2 = → |𝐸⃗⃗ | = → ⃗⃗ | = .
|𝐸
𝜀0 4𝜋𝑟 2 𝜀0 𝜀0
Pertanto il campo in prossimità della superficie del conduttore vale:
𝜎
𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ .
𝜀0
Osserviamo che il campo elettrico appena determinato è ortogonale alla superficie del
conduttore. Il risultato è intuitivamente comprensibile in quanto eventuali componenti
tangenziali del campo metterebbero in moto le cariche.
Il campo in un generico punto esterno alla superficie può essere calcolato in modo simile
a quanto visto in precedenza (paragrafo 9). Da questa osservazione otteniamo che il
campo esterno (𝑟 > 𝑅) al conduttore vale:
𝑄
𝐸⃗⃗ = 𝑟̂ .
4𝜋𝜀0 𝑟 2
Ne segue che il campo elettrico generato da un conduttore carico si può scrivere nella
forma seguente:
0 𝑟<𝑅
𝜎
𝑟̂ 𝑟≈𝑅
𝐸⃗⃗ = 𝜀0 .
𝑄
𝑟̂ 𝑟>𝑅
{4𝜋𝜀0 𝑟 2

11. Campo elettrico in vicinanza di un conduttore carico (Teorema di Coulomb)


L’eccesso di carica, ad eccezione che nei conduttori sferici, non si distribuisce
uniformemente sulla superficie del conduttore. Nonostante ciò, risulta comunque
11
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possibile valutare il campo elettrico nei pressi della superficie utilizzando il teorema di
Gauss. Consideriamo la superficie gaussiana cilindrica mostrata in figura e applichiamo
il teorema di Gauss. Sia 𝑆 l’area di base del cilindro. Il campo elettrico è ortogonale alla
superficie del conduttore. Se non lo fosse le componenti parallele alla superficie
causerebbero un moto di cariche. Dal teorema di Gauss possiamo scrivere:

ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) = ∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗ = |𝐸⃗⃗ |𝑆


𝑛̂ Σ

ΦΣ (𝐸⃗⃗ ) =
𝜎𝑆
,

𝜀0
𝑆 Σ dove la quantità 𝜎𝑆 rappresenta la carica totale

+ + + ++ + + + + +
𝐸 racchiusa dalla superficie gaussiana. Dalle
precedenti otteniamo il risultato:
+ + +
𝑆 𝜎
𝐸⃗⃗ = 𝑛̂,
𝜀0
𝐸𝑖𝑛𝑡 = 0 dove 𝜎 rappresenta la densità locale di carica.
1
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni

Esercizio 1
Calcoliamo mediante applicazione del teorema di Gauss il campo elettrostatico generato
da un piano infinito uniformemente carico avente densità superficiale di carica 𝜎 > 0.
Osserviamo che per ragioni di simmetria il campo risulta ortogonale alla superficie.
Calcoliamo quindi il flusso del campo elettrico utilizzando una superficie gaussiana
cilindrica. Il flusso attraverso la superficie laterale del cilindro è nullo, essendo il campo
ortogonale alla normale di detta superficie. Il campo
𝑧 risulta invece parallelo alle normali delle due basi del
cilindro. Il flusso del campo attraverso le basi del
𝜎>0 cilindro, che coincide con il flusso totale attraverso
la superficie gaussiana, vale quindi:
𝑛̂
𝐸 ΦΣ (𝐸⃗ ) = 2|𝐸⃗ |𝑆.
Σ D’altra parte la carica racchiusa in Σ vale 𝑄 = 𝜎𝑆.
𝑄 = 𝜎𝑆 Utilizzando il teorema di Gauss abbiamo la
relazione:
𝑆
𝜎𝑆 𝜎
2|𝐸⃗ |𝑆 = → |𝐸⃗ | = .
𝜀0 2𝜀0
In forma vettoriale abbiamo:
𝜎
𝐸⃗ = 𝑛̂ 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧).
2𝜀0
Questo risultato è stato già ottenuto ricorrendo a laborioso calcolo esplicito. L’attento
lettore noterà un fattore due di differenza rispetto al risultato del teorema di Coulomb.
Qual è l’origine di tale fattore?

Esercizio 2
Una carica positiva è uniformemente distribuita con
→ 𝐸 densità di carica lineare 𝜆 su un filo di lunghezza
infinita. Calcolare il valore del campo elettrico.
𝑛̂ 𝑛̂ Consideriamo una superficie gaussiana cilindrica di
Σ altezza infinita come mostrato in figura. Il campo
elettrico è di natura puramente radiale per ragioni di
2
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni

simmetria e risulta parallelo alle normali esterne della superficie cilindrica. Applicando il
teorema di Gauss si ottiene:
𝑄𝑖𝑛𝑡 𝜆 𝜆
|𝐸⃗ |(2𝜋 ) = → |𝐸⃗ |(2𝜋 ) = → |𝐸⃗ | = .
𝜀0 𝜀0 2𝜋𝜀0
Dalla precedente abbiamo:
𝜆
𝐸⃗ = ̂.
2𝜋𝜀0
Quanto varrebbe il campo elettrico interno ed esterno ad un cilindro di lunghezza infinita
uniformemente carico?

Esercizio 3
Consideriamo un modello semplificato di atomo (con numero atomico 𝑍) nel quale il
nucleo è rappresentato da una carica puntiforme positiva pari a 𝑍𝑒 circondata una
distribuzione uniforme di carica negativa −𝑍𝑒 distribuita su una sfera di raggio 𝑅. Si vuole
conoscere il campo elettrico interno alla
distribuzione sferica.

𝑍𝑒 Utilizzando il teorema di Gauss è facile


rendersi conto del fatto che il campo elettrico
𝑅 esterno alla distribuzione di carica è nullo,
essendo tale la carica totale del sistema.
𝑍𝑒 Resta da calcolare il campo elettrico a
distanza dal nucleo minore di 𝑅. Il campo è
sovrapposizione del campo del nucleo e di
quello della distribuzione di carica negativa,
problemi questi che abbiamo già trattato separatamente. In particolare il campo generato
dal nucleo vale:
𝑍𝑒
𝐸⃗+ = 2
̂.
4𝜋𝜀0
Il campo generato dalla distribuzione di carica negativa vale:
𝑍𝑒
𝐸⃗− = − ̂.
4𝜋𝜀0 𝑅 3
3
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni

Il campo risultante dal principio di sovrapposizione risulta essere somma dei precedenti:
1.0 𝑍𝑒 ̂ 1
𝐸⃗ = 𝐸⃗+ 𝐸⃗− = ( − )
0.8 4𝜋𝜀0 2 𝑅3
3
𝑍𝑒 ̂
0.6 = (1 − 3 )
4𝜋𝜀0 2 𝑅
gr

0.4
𝑍𝑒 ̂
≡ 𝑔( ),
0.2 4𝜋𝜀0 2
0.0
0.0 0.2 0.4 0.6
dove ≤ 𝑅 e 𝑔( ) è una funzione che descrive
0.8 1.0
rR lo schermaggio della carica del nucleo da parte
degli elettroni. Si osserva inoltre che 𝑔(0) = 1 e 𝑔(𝑅) = 0. Queste osservazioni
sembrano giustificare il fatto che gli elettroni più interni sono maggiormente legati al
nucleo di quelli periferici.

1. Ancora sul concetto di angolo solido


Ricordiamo la definizione di angolo solido
infinitesimo 𝑑Ω. In trigonometria definiamo un angolo
infinitesimale 𝑑𝜃 = 𝑑𝑠/ come il rapporto tra la
lunghezza 𝑑𝑠 dell’arco tracciato da un raggio di
lunghezza r e il raggio stesso. Similmente, possiamo
definire l’angolo solido come segue:
𝑑𝑆
𝑑Ω = , (1)
𝑟2

Figura 1 Superficie infinitesima 𝑑𝑆 (in colore ove 𝑑𝑆 è l’elemento di superficie, disegnato in colore
rosa) costruita facendo ruotare un segmento di arancio nella fig. 1, ottenuto dalle due rotazioni
lunghezza nella direzione dell’angolo di zenit
𝜃 di 𝑑𝜃 e la proiezione di sul piano − di infinitesime mostrate nella figura stessa. Come si può
un angolo 𝑑𝜑.
evincere dalla fig. 1, allora, possiamo porre:
(𝑟 sin 𝜃 d𝜑)(𝑟 d𝜃)
𝑑Ω = = sin 𝜃 d𝜃 d𝜑. (2)
𝑟2
4
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni

Questa espressione è molto importante. Infatti, ci dà


la possibilità di calcolare la superficie e il volume di
una sfera di raggio 𝑅.
a) Superficie di un sfera di raggio 𝑅.

In questo caso bisogna scrivere, dalla (1), 𝑑𝑆 =


𝑅2 𝑑Ω e integrare come segue:
𝑆 = ∫ 𝑑𝑆 = 𝑅2 ∫ 𝑑Ω. (3)
Figura 2 Volume infinitesimo 𝑑𝑉 (in colore
rosa) costruito attraverso la nozione di angolo Bisogna quindi trovare l’angolo solido Ω sotteso da
solido.
una sfera. Aiutandoci ancora con la fig. 1, possiamo
vedere che il calcolo deve procedere come segue:
𝜋 2𝜋
𝑆 = 𝑅2 ∫0 sin 𝜃 d𝜃 ∫0 d𝜑 = 4𝜋𝑅2 . (4)

b) Volume di un sfera di raggio 𝑅.

Possiamo adesso far riferimento alla fig. 2, dove viene rappresentato un volumetto
infinitesimo 𝑑𝑉 di una sfera. Procedendo come prima, scriviamo:
𝑉 = ∫ 𝑑𝑉 = ∭( sin 𝜃 d𝜑)( d𝜃)d . (5)
E perciò:
𝑅 2 𝜋 2𝜋 4𝜋
𝑉 = ∫0 d ∫0 sin 𝜃 d𝜃 ∫0 d𝜑 = 𝑅3 . (6)
3

2. Le coordinate sferiche
Immaginiamo adesso di voler rappresentare,
in coordinate sferiche, le coordinate cartesiane
del punto , ossia ( 𝑃 , 𝑃 , 𝑧𝑃 ), così come
mostrato in fig. 3. In tali coordinate
utilizziamo le grandezze , 𝜃 e 𝜑 che
rappresentano, rispettivamente, la distanza di
da l’origine 𝑂, l’angolo di zenit e l’angolo
di azimut. Non è difficile, per mezzo di
Figura 3 Le coordinate sferiche: rappresentazione
grafica delle grandezze , 𝜃, 𝜑.
considerazioni trigonometriche elementari,
ricavare le seguenti relazioni:
5
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni

𝑃 = sin 𝜃 cos 𝜑
{ 𝑃 = sin 𝜃 sin 𝜑 . (7)
𝑧𝑃 = cos 𝜃
Come utile esercizio, si può notare che
2 2
=√ 𝑃 𝑃 𝑧𝑃2
−1 𝑧𝑃
𝜃 = cos
2 +𝑦 2 +𝑧 2 .
√𝑥𝑃 (8)
𝑃 𝑃
𝑦𝑃
{ 𝜑 = tan−1
𝑥𝑃

Come ultima osservazione possiamo notare che si ha:


𝑑𝑆 = 2 sin 𝜃 d𝜃 d𝜑
{ , (9)
𝑑𝑉 = 2 sin 𝜃 d d𝜃 d𝜑
Che rappresentano, in coordinate sferiche, rispettivamente, gli elementi infinitesimi di
superficie e di volume.

3. Le coordinate cilindriche
Immaginiamo di voler rappresentare, in coordinate cilindriche, le coordinate cartesiane
del punto , ossia ( 𝑃 , 𝑃 , 𝑧𝑃 ), così come mostrato in fig. 4. In coordinate cilindriche
utilizziamo le grandezze 𝜌, 𝜃 e 𝑧 che rappresentano, rispettivamente, la distanza di
dall’asse 𝑧, l’angolo di azimut e la quota del punto. Non è difficile, per mezzo di
considerazioni trigonometriche elementari, ricavare le seguenti relazioni:
𝑃 = 𝜌 cos 𝜃
{ 𝑃 = 𝜌 sin 𝜃 . (10)
𝑧𝑃 = 𝑧
Come utile esercizio, si può notare che

𝜌 = √ 𝑃2 𝑃
2

{ 𝜃 = tan−1 𝑦𝑃 . (11)
𝑥𝑃
𝑧 = 𝑧𝑃
Figura 4 Le coordinate cilindriche:
rappresentazione grafica delle grandezze 𝜌, 𝜃, 𝑧. Come ultima osservazione possiamo notare che,
in questo caso, si ha:
6
Teorema di Gauss: complementi e applicazioni

𝑑𝑆 = 𝜌 d𝜃 d𝑧
{ , (12)
𝑑𝑉 = 𝜌 d𝜌 d𝜃 d𝑧
che rappresentano, in coordinate cilindriche, rispettivamente, gli elementi infinitesimi di
superficie e di volume.
1
Campo elettrico generato da un guscio sferico: calcolo diretto

1. Campo elettrico generato da un guscio sferico: calcolo diretto


Per apprezzare la potenza del teorema di Gauss occorre poter valutare la mole di calcoli
che questo strumento concettuale consente di risparmiare. Un esempio paradigmatico a
riguardo è il calcolo del campo elettrico generato da un guscio sferico di raggio 𝑅 in un
generico punto dello spazio. Sia 𝜎 > 0 la densità di carica uniforme che caratterizza la
distribuzione di carica e 𝑄 la carica totale.
Per prima cosa possiamo osservare che la simmetria sferica
𝑧 del problema suggerisce che il modulo del campo elettrico
generato dalla distribuzione dipende soltanto dalla
coordinata radiale. Abbiamo quindi la libertà di scegliere il
punto nel quale valutare il campo come coincidente con
𝑟⃗ 𝜃 quello individuato dal vettore posizione 𝑟⃗ = (0,0, 𝑧) e posto
𝑟⃗′ sull’asse 𝑧 (𝑧 > 0). Infatti sarebbe sempre possibile
ricondursi a questa situazione ricorrendo ad una rotazione
degli assi cartesiani nello spazio, operazione che
evidentemente non altera la parametrizzazione della
superficie.
Nella situazione descritta, ancora ragionando sulla simmetria, l’unica componente diversa
da zero del campo elettrico è quella parallela all’asse 𝑧. Tale componente del campo si
calcola ricorrendo alla relazione:
𝜎 (𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ∙ 𝑧̂ 𝜎 𝑧 − 𝑅 cos 𝜃
𝐸𝑧 = ∫ 𝑑𝑆 = ∫ 𝑑𝑆,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3 4𝜋𝜀0 (𝑅2 + 𝑧 2 − 2𝑅𝑧 cos 𝜃)3/2
munita della definizione di elemento infinitesimo di superficie sferica
𝑑𝑆 = 𝑅2 sin 𝜃 𝑑𝜑 𝑑𝜃.
Il precedente integrale può scriversi nella forma:
𝑄
𝐸𝑧 = {𝑧 𝐹(𝑅, 𝑧) − 𝑅 𝐺(𝑅, 𝑧)},
8𝜋𝜀0
dove sono state definite le funzioni:
2
Campo elettrico generato da un guscio sferico: calcolo diretto

𝜋
sin 𝜃
𝐹(𝑅, 𝑧) = ∫ 2 2 3/2
𝑑𝜃
0 (𝑅 + 𝑧 − 2𝑅𝑧 cos 𝜃)
𝜋 .
sin 𝜃 cos 𝜃
𝐺(𝑅, 𝑧) = ∫ 2 2 3/2
𝑑𝜃
0 (𝑅 + 𝑧 − 2𝑅𝑧 cos 𝜃)

I precedenti integrali si risolvono agevolmente ricorrendo al cambio di variabili


𝑦 = 𝑅2 + 𝑧 2 − 2𝑅𝑧 cos 𝜃
.
𝑑𝑦 = 2𝑅𝑧 sin 𝜃 𝑑𝜃
Procedendo in questo modo otteniamo quanto segue:
2
𝑧<𝑅
𝑅(𝑅2 − 𝑧 2 )
𝐹(𝑅, 𝑧) =
2
− 𝑧>𝑅
{ 𝑧(𝑅2 − 𝑧 2 )
e
2𝑧
𝑧<𝑅
𝑅2 (𝑅2 − 𝑧 2 )
𝐺(𝑅, 𝑧) = .
2𝑅
− 𝑧>𝑅
{ 𝑧 2 (𝑅2 − 𝑧 2 )
Utilizzando le precedenti relazioni si ottiene:
0 𝑧<𝑅
𝐸𝑧 = { 𝑄 𝑧 > 𝑅.
4𝜋𝜀0 𝑧 2
Data la simmetria sferica sopra richiamata deduciamo che il campo può essere scritto nella
forma:
0 |𝑟⃗| < 𝑅
𝐸⃗⃗ = { 𝑄 𝑟⃗
|𝑟⃗| > 𝑅
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
con 𝑄 = 4𝜋 𝑅2 𝜎. Osserviamo esplicitamente che nelle immediate vicinanze della
superficie sferica, ma esternamente ad essa (|𝑟⃗| ≈ 𝑅 + 0+ ), si ha:
𝑄 𝑟̂ 𝜎
𝐸⃗⃗ (|𝑟⃗| = 𝑅) = = 𝑟̂ .
4𝜋𝜀0 𝑅2 𝜀0
3
Campo elettrico generato da un guscio sferico: calcolo diretto

2. Campo elettrico generato da una sfera uniformemente carica


Vogliamo calcolare il campo elettrico generato da una sfera di raggio 𝑅 uniformemente
carica. Sia la densità di carica per unità di volume tale che 𝑄 = 𝜌𝑉, dove 𝑉 è il volume
della sfera. La sfera carica può essere pensata come l’unione di infiniti gusci sferici
concentrici di spessore infinitesimo. Dal momento che conosciamo il contributo al campo
di ciascun guscio, è possibile utilizzare il principio di sovrapposizione. Procedendo in
questo modo e considerando dapprima il caso |𝑟⃗| > 𝑅 abbiamo:
𝑑𝑄 𝑟⃗
𝑑𝐸⃗⃗ =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
𝑑𝑄 = 𝜌𝑑𝑉′ .

4𝜋 ′
𝑑𝑉 = [(𝑟 + 𝑑𝑟′)3 − (𝑟′)3 ] ≈ 4𝜋(𝑟 ′ )2 𝑑𝑟′
{ 3
Dalle precedenti otteniamo:
𝑅 𝑅
𝑑𝑄 𝑟⃗ 𝑟⃗ 4𝜋(𝑟 ′ )2 𝜌𝑑𝑟′ 𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = ∫ 𝑑𝐸⃗⃗ = ∫ = ∫ =
0 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3 |𝑟⃗|3 0 4𝜋𝜀0 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
con 𝑄 la carica totale della sfera.
E’ adesso immediato verificare che il campo in superficie vale:
𝜌𝑅
𝐸⃗⃗ (|𝑟⃗| = 𝑅) = 𝑟̂ .
3𝜀0
Inoltre, si intuisce facilmente che il campo interno 𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) (|𝑟⃗| < 𝑅) dipende solo dai gusci
a distanza radiale minore di |𝑟⃗| e vale:
𝑄(|𝑟⃗|) 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
4𝜋
con 𝑄(|𝑟⃗|) = 𝜌|𝑟⃗|3 . Sostituendo otteniamo il valore del campo interno alla sfera nella
3
forma:
𝜌 𝜌𝑟
𝐸⃗⃗ (𝑟⃗) = 𝑟⃗ = 𝑟̂ .
3𝜀0 3𝜀0
Tutti i menzionati risultati possono essere ottenuti mediante l’applicazione del teorema di
Gauss con poche righe di calcoli elementari.
1
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1. Forze centrali e conservatività


Abbiamo visto come si esprime la forza elettrica 𝐹⃗ che agisce su di una carica 𝑞 posta in
una regione dello spazio in cui è presente un campo elettrico 𝐸⃗⃗ . Ossia, abbiamo posto:
𝐹⃗ = 𝑞𝐸⃗⃗ . (1)
Avendo a che fare con le forze, durante il corso di Fisica I abbiamo imparato che queste
possono ricadere in due categorie: (i) forze conservative; (ii) forze non conservative. La
forza 𝐹⃗ , così come definita nella (1), in quale categoria ricade?

Per rispondere a questa domanda supponiamo che 𝐸⃗⃗ sia un campo elettrostatico. Questo
implica che la distribuzione di cariche che genera il campo non varia nel tempo, ossia, che
il campo 𝐸⃗⃗ non dipende dal tempo.

In Meccanica abbiamo anche notato che un «campo di forza centrale» è un campo


conservativo. E qui ricordiamo brevemente che abbiamo incontrato un «campo di forza
centrale» quando abbiamo discusso la legge di gravitazione universale.
In generale, però, una forza centrale 𝐹⃗ è tale se possiamo scrivere:
𝐹⃗ = 𝐹𝑟 (𝑟)𝑟̂ . (2)
Questa scrittura significa che: (i) la forza 𝐹⃗ è diretta lungo la retta congiungente i punti O
e P; (ii) l’unica componente 𝐹𝑟 di 𝐹⃗ (lungo 𝑟̂ ) dipende soltanto dalla distanza 𝑟 misurata
a partire da O.

Vediamo adesso se la forza elettrica in (1) soddisfa a questi requisiti. Consideriamo la


forza agente sulla carica di prova 𝑞 dovuta alla presenza di una sorgente puntiforme dotata
di carica 𝑄. Scriviamo allora:
𝑘𝑞𝑄
𝐹⃗ = 𝑞𝐸⃗⃗ = 2 𝑟̂ . (3)
𝑟
Esaminando la (3) possiamo effettivamente concludere che essa soddisfa ai due requisiti.
Concludiamo, pertanto, che 𝐹⃗ è una forza conservativa.
Possiamo generalizzare questo risultato, attraverso il principio di sovrapposizione degli
effetti, a una distribuzione, continua o discreta di cariche, cosicché, trasferendo la
conservatività della forza elettrica 𝐹⃗ al campo 𝐸⃗⃗ , possiamo dire che il campo elettrostatico
è conservativo.

Nel corso di Fisica I abbiamo imparato che, per un campo di forze conservativo, si ha:
(i) Il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ lungo un percorso chiuso è pari a zero, ossia:
∮ 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗ = 0. (4a)
(ii) Il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ non dipende dal cammino, ossia, detti e A e B due
punti nello spazio, e individuati due cammini diversi, 𝐶1 e 𝐶2 , per andare da A a B, si ha:
2
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𝐵 𝐵
∫𝐴 (𝐶 ) 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗ = ∫𝐴 (𝐶 ) 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗. (4b)
1 2
In questo modo, il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ dipende solo dalle coordinate dei punti
A e B.
(iii) Il lavoro compiuto dalla forza 𝐹⃗ può essere espresso in termini dell’energia potenziale
𝑈 come segue:
𝐵
𝐿𝐴𝐵 = ∫𝐴 𝐹⃗ ∙ 𝑑𝑠⃗ = −(𝑈(𝐵) − 𝑈(𝐴)) (4c)
Nel seguito specializzeremo queste proprietà al caso del campo 𝐸⃗⃗ .

2. Energia potenziale e potenziale elettrico


Consideriamo il campo elettrico generato da una carica puntiforme 𝑄. In questo campo
sia posta una carica di prova avente carica 𝑞 > 0. La carica di prova sperimenta una forza
coulombiana pari a 𝐹⃗ = 𝑞𝐸⃗⃗ . Ci chiediamo quale sia il lavoro che le forze del campo
compiono per spostare la carica di prova tra due assegnate posizioni dello spazio.
Ricorrendo alla definizione di lavoro abbiamo:
𝑓
1 𝑄 𝑓
𝑞𝑄 𝑓 𝑑𝑟 𝑞𝑄 1 𝑟𝑓
⃗⃗ = 𝑞 ∫ (
𝐿 = ∫ 𝑞𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗⃗
𝑟̂ ) ∙ 𝑑ℓ = ∫ = [− ]
𝑖 𝑖 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|2 4𝜋𝜀0 𝑖 𝑟 2 4𝜋𝜀0 𝑟 𝑟𝑖
𝑘 𝑞𝑄 𝑘 𝑞𝑄 𝑘 𝑞𝑄 𝑘 𝑞𝑄
=− + = −( − ).
𝑟𝑓 𝑟𝑖 𝑟𝑓 𝑟𝑖
Dalla precedente deduciamo la conservatività del campo e la funzione energia potenziale
nella forma:
𝑘 𝑞𝑄
𝑈(𝑟) = .
𝑟
Per mettere in evidenza le proprietà del campo indipendentemente dalle proprietà delle
cariche che ne risentono, si introduce la funzione potenziale elettrico 𝑉(𝑟) definito dalla
relazione 𝑞 𝑉(𝑟) = 𝑈(𝑟). Dalle precedenti risulta:
𝑘𝑄
𝑉(𝑟) = .
𝑟
Notiamo esplicitamente che sia l’energia potenziale che il potenziale sono scelti in modo
da risultare nulli all’infinito. Nel SI il potenziale elettrico si misura in Volt (V) e si ha
l’equazione dimensionale:
1𝐽
1𝑉 = .
1𝐶
3
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Utilizzando il concetto di potenziale è possibile scrivere la seguente relazione:


𝑓
⃗⃗ = − (𝑈(𝑟𝑓 ) − 𝑈(𝑟𝑖 )) = −𝑞 (𝑉(𝑟𝑓 ) − 𝑉(𝑟𝑖 )),
𝐿 = ∫ 𝑞𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑ℓ
𝑖

che immediatamente implica la conservatività del campo elettrico:


𝑓
⃗⃗ = − (𝑉(𝑟𝑓 ) − 𝑉(𝑟𝑖 )).
∫ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑ℓ
𝑖

Quando la posizione iniziale e finale coincidono otteniamo il risultato notevole:

⃗⃗ = 0.
∮ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑑ℓ
𝑖≡𝑓

Questo risultato si enuncia dicendo che la circuitazione del campo elettrostatico è nulla
qualsiasi sia la curva chiusa scelta per il suo calcolo. La precedente è diretta conseguenza
della conservatività del campo elettrico.
I precedenti risultati sono stati ottenuti considerando il campo elettrico prodotto da una
singola sorgente. Qualora siano presenti 𝑁 sorgenti con cariche 𝑞1 , … , 𝑞𝑁 poste nelle
posizioni definite dai vettori 𝑟⃗1 , … , 𝑟⃗𝑁 , i precedenti risultati si generalizzano utilizzando il
principio di sovrapposizione. In questo modo concludiamo che il potenziale elettrico nel
caso di una distribuzione discreta di carica vale:
𝑁
𝑘 𝑞𝑖
𝑉(𝑟⃗) = ∑ .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗𝑖 |
𝑖=1

Se le cariche sono così piccole e numerose da poter essere descritte, rispetto ad una
appropriata scala di lunghezza, mediante una distribuzione continua di carica, il contributo
infinitesimo al potenziale si scrive nella forma:
𝑘 𝑑𝑞′
𝑑𝑉 = .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
La carica infinitesima 𝑑𝑞’ può essere scritta, a seconda dei casi, in termini della densità
lineare, superficiale o volumica di carica secondo le relazioni:
𝑑𝑞 ′ = 𝜆(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑙′
𝑑𝑞 ′ = 𝜎(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑆′ .
𝑑𝑞 ′ = 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝒱′
4
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Dalle precedenti, fissando lo zero del potenziale all’infinito (se possibile), si ottengono le
seguenti espressioni:
𝑘 𝜆(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑙′
𝑉(𝑟⃗) = ∫
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
𝑘 𝜎(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑆′
𝑉(𝑟⃗) = ∫ ,
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
𝑘 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝒱′
𝑉(𝑟⃗) = ∫
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove l’integrazione è estesa alla regione spaziale che definisce la geometria della sorgente.
Talvolta è necessario fissare lo zero del potenziale in un punto dello spazio a distanza
finita dalla sorgente. Integrando il contributo infinitesimo al potenziale abbiamo:
𝑘 𝑑𝑞′
𝑉(𝑟⃗) = ∫ + 𝐶,
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove 𝐶 è una costante di integrazione. La costante può essere fissata imponendo che il
potenziale si annulli nel punto 𝑟⃗0 cosicché si abbia 𝑉(𝑟⃗0 ) = 0. Questa condizione implica
𝑘 𝑑𝑞′ 𝑘 𝑑𝑞 ′
𝑉(𝑟⃗0 ) = ∫ + 𝐶 = 0 → 𝐶 = −∫ .
|𝑟⃗0 − 𝑟⃗′| |𝑟⃗0 − 𝑟⃗′|
Utilizzando il risultato intermedio precedente abbiamo:
𝑘 𝑑𝑞′ 𝑘 𝑑𝑞 ′
𝑉(𝑟⃗) = ∫ −∫ .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| |𝑟⃗0 − 𝑟⃗′|
La scelta al finito dello zero del potenziale risulta obbligata quando il potenziale è una
funzione che diverge all’infinito, cosa che effettivamente si verifica quando consideriamo
distribuzioni di carica aventi almeno una dimensione infinita (e.g. un filo infinito
uniformemente carico).
Il potenziale 𝑉(𝑟⃗) è una funzione scalare delle coordinate spaziali (campo scalare). Una
volta nota è possibile ricavare il campo elettrico ad essa associato. Per far questo sia
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) la funzione potenziale. Scegliamo una arbitraria direzione dello spazio, ad
esempio quella individuata dall’asse delle 𝑥, e calcoliamo l’integrale nel limite di estremi
di integrazione quasi coincidenti (∆𝑥 → 0):
𝑥+∆𝑥 𝑥+∆𝑥 𝑥+∆𝑥
∫ 𝐸⃗⃗ (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ 𝑑𝑥
⃗⃗⃗⃗′ = ∫ 𝐸⃗⃗ (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ 𝑥̂ 𝑑𝑥′ = ∫ 𝐸𝑥 (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑥′
𝑥 𝑥 𝑥
≈ 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ∆𝑥.
5
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D’altra parte dalla conservatività del campo possiamo scrivere la relazione:


𝑥+∆𝑥
∫ 𝐸⃗⃗ (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ 𝑑𝑥⃗′ = −(𝑉(𝑥 + ∆𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧)).
𝑥

Utilizzando le precedenti relazioni si ha:


𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ∆𝑥 ≈ −(𝑉(𝑥 + ∆𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧))
𝑉(𝑥 + ∆𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧)
→ 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ − ( ).
∆𝑥
La precedente relazione approssimata diviene esatta nel passaggio al limite dal quale si
ha:
𝑉(𝑥 + ∆𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝜕𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = − lim ( )=− ,
∆𝑥→0 ∆𝑥 𝜕𝑥
dove abbiamo introdotto la nozione di derivata parziale.
Quando i precedenti ragionamenti sono estesi alle altre direzioni dello spazio si ottengono
le relazioni:
𝜕𝑉
𝐸𝑥 = −
𝜕𝑥
𝜕𝑉
𝐸𝑦 = − .
𝜕𝑦
𝜕𝑉
{ 𝐸𝑧 = −
𝜕𝑧
Note le componenti del campo, la sua natura vettoriale è ricostruita dalla scrittura:

𝐸⃗⃗ = 𝑥̂ 𝐸𝑥 + 𝑦̂ 𝐸𝑦 + 𝑧̂ 𝐸𝑧 ,
o, in forma equivalente, dalla relazione:
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
𝐸⃗⃗ = 𝑥̂ (− ) + 𝑦̂ (− ) + 𝑧̂ (− ).
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
Per facilitare gli sviluppi formali successivi è comodo introdurre l’operatore differenziale
vettoriale nabla:
𝜕 𝜕 𝜕 𝜕 𝜕 𝜕
⃗⃗= 𝑥̂
∇ + 𝑦̂ + 𝑧̂ ≡ ( , , ).
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
6
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In termini di questo operatore si può scrivere quanto segue:

𝐸⃗⃗ = −∇
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧),
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) prende il nome di gradiente del potenziale e deriva dalla
dove la quantità ∇
moltiplicazione dell’operatore nabla per una funzione scalare (nell’ordine detto!). Questa
operazione, con le dovute cautele, è l’analogo della moltiplicazione di un vettore per uno
scalare. Notiamo esplicitamente che il gradiente di una funzione scalare è un vettore che
ha per componenti le derivate parziali della funzione stessa. In particolare abbiamo che
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = (
∇ , , ).
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
E’ interessante notare come il gradiente di una funzione di più variabili abbia a che fare
con il differenziale totale di detta funzione. Quest’ultimo è infatti dato dalla relazione:
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
𝑑𝑉 = 𝑑𝑥 + 𝑑𝑦 + 𝑑𝑧,
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
che generalizza il concetto di differenziale
𝑑𝑓
𝑑𝑓 = 𝑑𝑥
𝑑𝑥
di una funzione 𝑓(𝑥) dipendente della sola variabile 𝑥. Per mettere in evidenza la
relazione tra il gradiente di una funzione e il suo differenziale totale, introduciamo il
vettore spostamento infinitesimo
⃗⃗ = 𝑥̂ 𝑑𝑥 + 𝑦̂ 𝑑𝑦 + 𝑧̂ 𝑑𝑧 ≡ (𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧).
𝑑ℓ
Con questa definizione è semplice convincersi della correttezza della seguente scrittura:
⃗⃗.
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
𝑑𝑉 = ∇
Infatti, valutando il prodotto scalare, abbiamo:
𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉
∇ ⃗⃗ = (
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ , , ) ∙ (𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧) = 𝑑𝑥 + 𝑑𝑦 + 𝑑𝑧 = 𝑑𝑉.
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
Inoltre è possibile dimostrare che l’integrale di linea del gradiente di una funzione è
indipendente dal percorso che congiunge gli estremi di integrazione e si ha:
𝐵
⃗⃗ = 𝑉(𝑥𝐵 , 𝑦𝐵 , 𝑧𝐵 ) − 𝑉(𝑥𝐴 , 𝑦𝐴 , 𝑧𝐴 ).
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
∫ ∇
𝐴
7
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Questo risultato è abbastanza intuitivo poiché la quantità


𝐵 𝐵
⃗⃗ = ∫ 𝑑𝑉
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
∫ ∇
𝐴 𝐴

rappresenta la variazione della funzione 𝑉 tra la posizione iniziale e finale scritta in termini
della somma di tutte le variazioni infinitesime che intervengono lungo il percorso scelto.
Il precedente risultato presenta delle similitudini con il teorema fondamentale del calcolo
integrale (teorema di Torricelli-Barrow) per funzioni di una variabile. In quel contesto si
ha
𝐵
𝑑𝑓
∫ 𝑑𝑥 = 𝑓(𝑥𝐵 ) − 𝑓(𝑥𝐴 ),
𝐴 𝑑𝑥
o in forma equivalente:
𝐵
∫ 𝐹(𝑥) 𝑑𝑥 = 𝑓(𝑥𝐵 ) − 𝑓(𝑥𝐴 ),
𝐴

con 𝐹(𝑥) = 𝑑𝑓/𝑑𝑥.


L’indipendenza dell’integrale di linea del gradiente di una funzione porta all’importante
corollario

∮ ∇ ⃗⃗ = 0,
⃗⃗ 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) ∙ 𝑑ℓ
𝐴≡𝐵

il quale si enuncia dicendo che l’integrale di linea su una qualsiasi linea chiusa del
gradiente di una funzione è nullo. Le proprietà sotto integrazione di linea del gradiente
del potenziale evidenziano l’origine matematica della conservatività del campo elettrico.
1
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1. Calcolo del potenziale elettrico


In questa lezione calcoleremo il potenziale elettrico per distribuzioni continue di carica,
finite e infinite. Ricordiamo qui che per le distribuzioni finite di cariche il potenziale
elettrico nel punto 𝑃 è definibile attraverso la seguente relazione:



𝑉(𝑃) = ∫𝑃 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (1)

Per le distribuzioni infinite, invece, si pone

𝐵

𝑉(𝑃) = ∫𝑃 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (2)

ove 𝐵 è un punto scelto arbitrariamente, non all’infinito. Tuttavia, in quello che vedremo,
il potenziale non verrà calcolato, in molti casi, attraverso la nozione di campo elettrico,
ma attraverso il principio di sovrapposizione degli effetti, considerando il potenziale
elettrico come la somma dei contributi di elementi infinitesimi di carica 𝑑𝑞′.
z P
Pertanto, calcoleremo il potenziale di alcune distribuzioni
𝑟
dq’ − 𝑟′
𝑟 di carica notevoli. In un secondo momento cercheremo di
comprendere come, dalla conoscenza del potenziale, sia
𝑟′ possibile giungere a definire il campo elettrico.
y
O

x ’ Per quanto riguarda il metodo di calcolo del potenziale


elettrico, possiamo dire, del tutto in generale, quanto
segue. Considerando dapprima una distribuzione di carica finita qualsiasi, individuiamo
la posizione dell’elemento di carica 𝑑𝑞′ in questa distribuzione con il vettore 𝑟′, così come
in figura. Inoltre, indichiamo con il vettore 𝑟 la posizione del punto 𝑃 nel quale
desideriamo calcolare il potenziale elettrico. In questo modo potremo scrivere:

𝑑𝑞′
𝑑𝑉 = 𝑘 |𝑟 , (3)
−𝑟 ′|

Integrando sul volume 𝜏′ della distribuzione di carica, avremo quindi

𝑑𝑞′ 𝜌(𝑟 ′)𝑑𝜏′


𝑉(𝑃) = 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟 −𝑟 ′|
= 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟 −𝑟 ′|
, (4)
2
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avendo posto 𝑑𝑞 ′ = 𝜌(𝑟′)𝑑𝜏′, dove 𝜌(𝑟′) è la densità locale di carica nel punto dove è
posto l’elemento di carica 𝑑𝑞 ′ e dove 𝑑𝜏′ è il volumetto occupato dall’elemento stesso.
Per una distribuzione infinita di cariche, invece, abbiamo visto che bisogna individuare
un punto arbitrario 𝐵 per il quale 𝑉(𝐵) = 0, non essendo possibile ottenere potenziale
nullo all’infinito. Pertanto possiamo scrivere
𝑑𝑞′ 𝑑𝑞′
𝑉(𝑃) − 𝑉(𝐵) = 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟 −𝑟 ′|
− 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟𝐵 −𝑟 ′|
. (5)

Essendo, però, 𝑉(𝐵) = 0, otteniamo la seguente espressione per 𝑉(𝑃)

𝜌(𝑟 ′)𝑑𝜏′ 𝜌(𝑟 ′)𝑑𝜏′


𝑉(𝑃) = 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟 −𝑟 ′|
− 𝑘 ∫𝜏′ |𝑟𝐵 −𝑟 ′|
. (6)

2. Calcolo del potenziale elettrico per alcuni casi notevoli

Nel calcolo del potenziale in alcuni casi notevoli, fermo restando la generalità della (4),
individueremo, di volta in volta, la distanza 𝑟 dell’elementino di carica 𝑑𝑞 dal punto 𝑃 e
svolgeremo il calcolo partendo dalla seguente espressione per 𝑑𝑉:

𝑑𝑞
𝑑𝑉 = 𝑘 . (7)
𝑟

In effetti rinominiamo solo un po’ di cose per rendere la notazione più leggera.

3. Un anello sottile uniformemente carico

z
P(0, 0, z)
Consideriamo la distribuzione di carica uniforme, con
carica totale 𝑞, presente su di una circonferenza di raggio
z r
𝑅, mostrata in figura. Vogliamo calcolare il potenziale
O
elettrico nel punto 𝑃 sull’asse 𝑧. Partendo dal contributo
R y
dq del singolo elementino di carica 𝑑𝑞, scriviamo di nuovo
x la (7)

𝑑𝑞
𝑑𝑉 = 𝑘 ,
𝑟
3
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notando che la distanza 𝑟 = √𝑅2 + 𝑧 2 è costante per qualsiasi posizione, sulla


circonferenza, dell’elementino 𝑑𝑞. Cosicché, integrando su tutta la distribuzione di carica
si avrà:

𝑞 𝑞
𝑉(𝑃) = 𝑘 = 𝑘 . (8)
𝑟 √𝑅 2+𝑧 2

Lo studente attento noterà che il potenziale elettrico per 𝑧 ≫ 𝑅 è simile al potenziale


generato da una carica 𝑞 posta nell’origine 𝑂.

4. Un disco uniformemente carico

Consideriamo adesso una densità superficiale di carica costante 𝜎 su di un disco di raggio


𝑅. In questo caso possiamo considerare la carica 𝑑𝑞 = 2𝜋𝜎𝑟𝑑𝑟 contenuta in una corona
circolare di raggio 𝑟 e spessore 𝑑𝑟 così come rappresentata in figura. Sappiamo,
dall’esempio precedente, che il contributo 𝑑𝑉 al potenziale
z può essere espresso secondo la seguente espressione:
P(0, 0, z)
𝑑𝑞 2𝜋𝑘𝜎𝑟𝑑𝑟
z 𝑑𝑉(𝑃) = 𝑘 = . (9)
√𝑟 2 +𝑧 2 √𝑟 2 +𝑧 2
dq=(2rdr)
O
r y
Possiamo adesso integrare da 𝑟 = 0 a 𝑟 = 𝑅, ottenendo:
x
𝑅 2𝑟𝑑𝑟
𝑉(𝑃) = 𝜋𝑘𝜎 ∫0 . (10)
√𝑟 2 +𝑧 2

La primitiva della funzione integranda è la seguente 2√𝑟 2 + 𝑧 2 , cosicché scriviamo:

𝑉(𝑧) = 2𝜋𝑘𝜎(√𝑅2 + 𝑧 2 − |𝑧|). (11)

Sarà un utile esercizio provare che, per 𝑧 ≫ 𝑅, il disco viene visto come una carica
puntiforme posta nell’origine.

5. Un filo di lunghezza finita uniformemente carico

Consideriamo adesso la distribuzione di carica uniforme, con carica totale 𝑞, presente su


di un filo di lunghezza finita 𝐿. Desideriamo calcolare il potenziale elettrico nel punto 𝑃
sull’asse 𝑦. Partendo dal contributo del singolo elementino di carica 𝑑𝑞, scriviamo:
4
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𝑑𝑞 𝑑𝑥
𝑑𝑉 = 𝑘 = 𝑘𝜆 . (12)
𝑟 √𝑥 2 +𝑦 2
y
Possiamo adesso dimostrare che la primitiva della
P(0, y, 0) 1
funzione 𝑓(𝑥) = , ove 𝑦 è una costante, è la
r √𝑥 2 +𝑦 2
y
seguente:

dq x
𝐹(𝑥) = ln(𝑥 + √𝑥 2 + 𝑦 2 ). (13)
z

Infatti, prendendo la derivata di 𝐹 rispetto a 𝑥, otteniamo:

1 𝑥 1
𝐹 ′ (𝑥) = (1 + )= . (14)
𝑥+√𝑥 2 +𝑦 2 √𝑥 2 +𝑦 2 √𝑥 2 +𝑦 2

Pertanto, possiamo scrivere:


2
𝐿 √𝐿 +𝑦 2 +𝐿
2 4 2
𝑉(𝑦) = 𝑘𝜆 ln(𝑥 + √𝑥 2 + 𝑦 2 )|−𝐿 = 𝑘𝜆 ln ( ). (15)
𝐿2 𝐿
2 √ +𝑦 2 −
4 2

Costituisce utile esercizio il provare che il filo viene


visto come una carica puntiforme nell’origine per
𝑦 ≫ 𝐿. Proviamo a svolgere questo esercizio.
2
√𝐿 +𝑦 2 +𝐿
4 2
Sviluppiamo dapprima l’argomento ≈
𝐿2 𝐿
√ +𝑦 2 −
4 2
𝐿 𝐿 2
|𝑦|+ |𝑦|+ 𝐿 𝐿
2
𝐿 ≈ 2
𝐿 = (1 +
2|𝑦|
) ≈ 1 + |𝑦|. Adesso
|𝑦|− |𝑦|(1− )
2 2|𝑦|
𝐿 𝐿
dobbiamo sviluppare la funzione ln (1 + |𝑦|) ≈ |𝑦| e perciò:

𝐿 𝑘𝑞
𝑉(𝑦) ≈ 𝑘𝜆 |𝑦|
= |𝑦| . (16)

Questa è proprio l’espressione del potenziale elettrico generato da una carica puntiforme
posta nell’origine a distanza |𝑦| dal filo.
5
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6. Un filo di lunghezza infinita uniformemente carico

y Consideriamo adesso la distribuzione di carica


uniforme, presente su di un filo di lunghezza infinita.
P(0, y, 0) Vogliamo calcolare il potenziale elettrico nel punto
r B(0, yB, 0) 𝑃 sull’asse 𝑦. Partendo dal contributo del singolo
rB
elementino di carica 𝑑𝑞′, dobbiamo utilizzare la (5)
che, riscritta, seguendo le indicazioni in figura, si
dq’ x
leggerà come segue:
z
𝑑𝑞′ 𝑑𝑞′
𝑉(𝑃) = 𝑘 ∫𝜏′ − 𝑘 ∫𝜏′ . (17)
𝑟 𝑟𝐵

Ponendo adesso 𝑟 = √𝑥 2 + 𝑦 2 e 𝑟𝐵 = √𝑥 2 + 𝑦𝐵 2 , scriveremo la (17) come limite per


𝑙 → ∞ della seguente espressione:
+𝑙 𝑑𝑥 +𝑙 𝑑𝑥
𝑉(𝑃) = 𝑘𝜆 ∫−𝑙 − 𝑘𝜆 ∫−𝑙 . (18)
√𝑥 2 +𝑦 2 √𝑥 2 +𝑦𝐵 2

Essendo entrambe le funzioni integrande pari in 𝑥, possiamo ancora scrivere:


+𝑙 𝑑𝑥 +𝑙 𝑑𝑥
𝑉(𝑃) = 2𝑘𝜆 ∫0 − 2𝑘𝜆 ∫0 . (19)
√𝑥 2 +𝑦 2 √𝑥 2 +𝑦𝐵 2

Conoscendo le primitive si ha:


𝑙
𝑙 𝑙 (𝑥+√𝑥 2 +𝑦 2 )
𝑉(𝑃) = 2𝑘𝜆ln(𝑥 + √𝑥 2 + 𝑦 2 )| 0
− 2𝑘𝜆ln(𝑥 + √𝑥 2 + 𝑦𝐵 2 )|
0
= 2𝑘𝜆 ln | .
(𝑥+√𝑥 2 +𝑦𝐵 2 )
0
(20)
𝑦
Effettuando il limite per 𝑙 → ∞, il primo termine dà ln 1 = 0 e il secondo termine ln | |.
𝑦𝐵
Pertanto si ha:
𝑦
𝑉(𝑃) = 2𝑘𝜆 ln | 𝐵|. (21)
𝑦

Notiamo appunto che 𝑉(𝐵) = 0. Si noti anche la divergenza, per 𝑦 → ∞, dell’espressione


per 𝑉(𝑃) data dalla (21).
1
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1. Dal potenziale al campo elettrico


Cercheremo adesso di chiarire ulteriormente il legame che esiste tra potenziale e campo
elettrico. Pertanto, scriviamo ancora una volta l’espressione per la differenza di potenziale
tra i punti 𝐴 e 𝐵 come segue:

𝐵
⃗.
𝑉(𝐴) − 𝑉(𝐵) = ∫𝐴 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (1)

Immaginiamo adesso che il campo elettrico, così come nei casi notevoli studiati prima,
sia diretto lungo una sola direzione. Per fissare le idee, diciamo che 𝐸⃗ = 𝐸𝑥 𝑥̂. Allora, la
(1) si scriverà, in questo caso, come segue:

𝐵
𝑉(𝐴) − 𝑉(𝐵) = ∫𝐴 𝐸𝑥 𝑑𝑥. (2)

Non è allora difficile convincersi che, per la (2), si ha:

𝑑
𝐸𝑥 = − 𝑉(𝑥). (3)
𝑑𝑥

E perciò:

𝑑𝑉 = −𝐸𝑥 𝑑𝑥. (4)

Una variazione infinitesima di potenziale nella direzione 𝑥 è possibile solo se esiste una
componente diversa da zero del campo elettrico nella stessa direzione. Come già visto in
precedenza, nel caso generale scriviamo:

⃗ = −𝐸𝑥 𝑑𝑥 − 𝐸𝑦 𝑑𝑦 − 𝐸𝑧 𝑑𝑧
𝑑𝑉 = −𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (5)

L’espressione di sopra si chiama, come già detto, differenziale totale


r=R della funzione a più variabili 𝑉 = 𝑉(𝑥, 𝑧, 𝑦) e tiene conto di tutte le
possibili componenti del campo elettrico. Dalla precedente deduciamo
q
che se ci muoviamo in direzione ortogonale ad 𝐸⃗ avremo 𝑑𝑉 = 0,
ossia nessuna variazione del potenziale elettrico. Pertanto, le superfici
equipotenziali ottenute ponendo

𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = costante (6)


2
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sono tali che il campo 𝐸⃗ è sempre ortogonale ad esse. Nel caso di una carica puntiforme,
si ha:

𝑘𝑞
= costante → 𝑟 = costante,
𝑟
(7)

e le curve equipotenziali sono sfere concentriche con


centro nella punto in cui è presente la carica, così come
mostrato nella figura accanto. Di contro, conoscendo il
campo elettrico, possiamo ottenere le curve
equipotenziali tagliando a 90° le linee di forza del
campo. Per un dipolo elettrico, in particolare, avendo già
tracciato le linee di forza del campo elettrico, possiamo
ottenere le curve equipotenziali tagliando a 90° le linee
di forza del campo, così come mostrato nella figura in
basso. Queste curve sono ottenute dalla (6), utilizzando
il potenziale generato dal dipolo elettrico nello spazio.
Abbiamo visto inoltre che valgono le relazioni:

𝜕
𝐸𝑥 = − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) (8a)
𝜕𝑥
𝜕
𝐸𝑦 = − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) (8b)
𝜕𝑦
𝜕
𝐸𝑧 = − 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧). (8c)
𝜕𝑧

Le precedenti prendono la forma sintetica:

𝜕 𝜕 𝜕
𝐸⃗ = − ( , , ⃗ 𝑉.
) 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = −∇ (9)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧

La (9) è un modo estremamente conveniente per scrivere le (8a-c) in termini dell’operatore


⃗ . L’espressione ∇
differenziale vettoriale nabla ∇ ⃗ 𝑉 è detta gradiente di 𝑉 e la direzione di
massima crescita del potenziale è data proprio dal gradiente del potenziale. Infatti,
scriviamo

⃗ =∇
𝑑𝑉 = −𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ = |∇
⃗ 𝑉 ∙ 𝑑ℓ ⃗ 𝑉|𝑑ℓ cos 𝜃 , (10)
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dove 𝜃 è l’angolo tra la direzione del gradiente e il cammino 𝑑ℓ ⃗ . Pertanto, la massima


crescita del potenziale 𝑉 è data da un cammino nella stessa direzione del gradiente ∇⃗ 𝑉.

Tramite applicazione dell’operatore differenziale nabla al potenziale elettrico possiamo


quindi ottenere il campo elettrico. Rivediamo allora i casi trattati precedentemente.

2. Un anello sottile uniformemente carico

𝑞 𝑞
𝑉(𝑧) = 𝑘 = 𝑘 . (11)
𝑟 √𝑅 2 +𝑧 2

Lo studente attento ricorderà la forma del campo elettrico


già derivata nelle scorse lezioni.

𝑑 𝑘𝑞𝑧
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑧)𝑧̂ = (𝑅2 𝑧̂ . (12)
𝑑𝑧 +𝑧 2 )3/2

3. Un disco uniformemente carico

Partiamo dall’espressione del potenziale elettrico:

𝜎
𝑉(𝑧) =
2𝜀0
(√𝑅2 + 𝑧 2 − |𝑧|).
(13)

E perciò, scriviamo:

𝑑 𝜎 𝑧
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑧)𝑧̂ = [𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧) − ] 𝑧̂ , (14)
𝑑𝑧 2𝜀0 √𝑅 2+𝑧 2

dove 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑧) è la funzione segno di 𝑧. Notiamo allora che per 𝑧 → 0, si ha il risultato di


𝜎
una lamina sottile 𝐸⃗ = 𝑧̂ . Notiamo ancora il cambio di segno della componente 𝑧 del
2𝜀0
campo per 𝑧 < 0.
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4. Un filo di lunghezza finita uniformemente carico

Partiamo dall’espressione del potenziale elettrico:

2
√𝐿 +𝑦 2 +𝐿
4 2
𝑉(𝑦) = 𝑘𝜆 ln ( ) . (15)
𝐿2 𝐿
√ +𝑦 2 −
4 2

Possiamo allora scrivere:

𝑑 𝑑 𝐿2 𝐿 𝑑 𝐿2 𝐿
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑦)𝑦̂ = −𝑘𝜆 [ ln (√ + 𝑦 2 + ) − ln (√ + 𝑦 2 − )] 𝑦̂. (16)
𝑑𝑦 𝑑𝑦 4 2 𝑑𝑦 4 2

Con un minimo di pazienza si ottiene:

𝑘𝜆𝑦 1 1 𝑘𝜆𝐿
𝐸⃗ = − 2
[ 2
− 2
] 𝑦̂ = 2
𝑦̂. (17)
√𝐿 +𝑦 2 √𝐿 +𝑦 2 +𝐿 √𝐿 +𝑦 2 −𝐿 𝐿
𝑦√ +𝑦 2
4 4 2 4 2 4

5. Un filo di lunghezza infinita uniformemente carico

Consideriamo adesso la distribuzione di carica


uniforme, presente su di un filo di lunghezza
infinita. Vogliamo calcolare il campo elettrico nel
punto 𝑃 sull’asse 𝑦, partendo dal potenziale elettrico
seguente, già precedentemente calcolato:

𝑦
𝑉(𝑃) = 2𝑘𝜆 ln | 𝐵|.
𝑦
(18)
Scriviamo allora:
𝑑 𝑑 𝑑 2𝑘𝜆
𝐸⃗ = − 𝑉(𝑦)𝑦̂ = −2𝑘𝜆 [ ln 𝑦𝐵 − ln 𝑦] 𝑦̂ = 𝑦̂, (19)
𝑑𝑦 𝑑𝑦 𝑑𝑦 𝑦

Confermando quanto avevamo ottenuto per altra via.


1
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1. Energia elettrostatica di un insieme di cariche puntiformi

Ritorniamo alla definizione di energia potenziale


y elettrica e facciamo alcune considerazioni. Calcoliamo il
q
lavoro compiuto dalle forze del campo elettrico generato
P da una singola carica 𝑄 per spostare un carica 𝑞 da una
rP
punto 𝑃 all’infinito. Allora, confidando in quello che
sappiamo dalla meccanica e dall’elettrologia, possiamo
Q scrivere:
O x ∞
⃗ = 𝑞𝑉(𝑃).
𝑈𝐸 (𝑃) − 𝑈𝐸 (∞) = 𝐿𝑃∞ = 𝑞 ∫𝑃 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ
(1)
Possiamo allora concludere che l’energia potenziale del sistema delle due cariche è:
𝑘𝑞𝑄
𝑈𝐸 (𝑃) = 𝑞𝑉(𝑃) = . (2)
𝑟𝑃
Proviamo adesso a calcolare il lavoro 𝐿′ ∞𝑃 compiuto da un agente esterno per prendere la
carica 𝑞 e portarla dall’infinito al punto 𝑃. Tale agente applicherà una forza −𝑞𝐸⃗ e perciò:
𝑃
⃗ = 𝑞 ∫∞ 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ
𝐿′ ∞𝑃 = −𝑞 ∫∞ 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ = 𝑞𝑉(𝑃). (3)
𝑃
Ossia, abbiamo ottenuto lo stesso risultato. E perciò possiamo dire, generalizzando, che
l’energia potenziale elettrica per un sistema finito di cariche, 𝑞1 , 𝑞2 , … 𝑞𝑁 , altro non è che
il lavoro compiuto da una agente esterno per portare tutte queste carica, ad una ad una,
dall’infinito al punto in cui esse sono poste nel sistema. Per due cariche, 𝑞1 e 𝑞2 , poste
alla distanza 𝑟12 tra loro, dalla (2) avremo:
𝑞1 𝑞2
𝑈𝐸 = 𝑘 . (4)
𝑟12
Vediamo che succede alle tre cariche, 𝑞1 , 𝑞2 e 𝑞3 , in figura. Immaginiamo che 𝑞1 sia già
nella propria posizione finale. Occorre adesso posizionare la
q3 carica 𝑞2 e così abbiamo un primo termine per l’energia
r23 q2
potenziale elettrica pari proprio alla (4). A questo punto
r13 dobbiamo avvicinare 𝑞3 dall’infinito fino al punto in cui essa
r12
appare in figura. E perciò, un secondo termine che contribuirà
q1 all’energia potenziale elettrica sarà il seguente:

𝑈𝐸3 = 𝑞3 𝑉12 . (5)


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Applicando il principio di sovrapposizione, possiamo dire che il potenziale 𝑉12 sarà la


somma dei due potenziali prodotti dalla carica 𝑞1 e dalla carica 𝑞2 , singolarmente,
cosicché la (5) diventa:
𝑞1 𝑞2 𝑞1 𝑞3 𝑞2 𝑞3
𝑈𝐸3 = 𝑘𝑞3 ( + )=𝑘 +𝑘 . (6)
𝑟13 𝑟23 𝑟13 𝑟23
In definitiva, allora, sommando la (4) e la (6), si ha:
𝑞1 𝑞2 𝑞1 𝑞3 𝑞2 𝑞3
𝑈𝐸 = 𝑘 +𝑘 +𝑘 . (7)
𝑟12 𝑟13 𝑟23
Generalizzando ancora questo risultato a 𝑁 cariche, possiamo scrivere:
1 𝑞𝑖 𝑞𝑗
𝑈𝐸 = 𝑘 ∑𝑁
𝑖≠𝑗=1 . (8)
2 𝑟𝑖𝑗
1 𝑞𝑖 𝑞𝑗
Il fattore è necessario nella (8) per non contare due volte i termini nella sommatoria.
2 𝑟𝑖𝑗
Questi termini, infatti, sono uguali per scambio degli indici 𝑖 e 𝑗.

Esempio 1
Quattro cariche elettriche uguali sono poste ai quattro
q3 q2
vertici di un quadrato di lato 𝐿, così come mostrato in figura.
Si calcoli l’energia potenziale di questa distribuzione di
L cariche.
Scriviamo la (8), tenendo conto che avremo 6 termini, che
daranno i seguenti contributi:
q4 q1
𝑞1 𝑞2 𝑞2 𝑞3 𝑞3 𝑞4 𝑞4 𝑞1 𝑞1 𝑞3 𝑞2 𝑞4
𝑈𝐸 = 𝑘 ( + + + + + ).
𝐿 𝐿 𝐿 𝐿 √2𝐿 √2𝐿
(9)
Poiché adesso 𝑞1 = 𝑞2 = 𝑞3 = 𝑞4 = 𝑞, si avrà:

𝑞2 𝑞2 𝑞2
𝑈𝐸 = 4𝑘 + 2𝑘 =𝑘 (4 + √2). (10)
𝐿 √2𝐿 𝐿
3
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Esempio 2
Quattro cariche elettriche sono poste ai quattro vertici di
q3 q2
un quadrato di lato 𝐿, così come mostrato in figura. Le
cariche sono tali che 𝑞1 = 𝑞3 = −𝑞 e 𝑞2 = 𝑞4 = +𝑞 Si
L calcoli l’energia potenziale di questa distribuzione.

Partiamo dalla (9) e, tenendo conto dei segni, scriviamo:


q4 q1
𝑞2 𝑞2 𝑞2 𝑞2 𝑞2 𝑞2
𝑈𝐸 = 𝑘 (− − − − + + ).
𝐿 𝐿 𝐿 𝐿 √2𝐿 √2𝐿
(11)
In definitiva, allora:
𝑞2
𝑈𝐸 = −𝑘 (4 − √2). (12)
𝐿

2. Energia elettrostatica di una distribuzione continua di cariche

Cerchiamo adesso di comprendere come possiamo effettuare un passaggio al caso


continuo. Osserviamo innanzitutto che possiamo scrivere la (8) come segue:
1 𝑘𝑞𝑗 1
𝑈𝐸 = ∑𝑁 𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 (∑𝑗≠𝑖=1 ) = 2 ∑𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 𝑉𝑖 . (13)
2 𝑟𝑖𝑗
E perciò, se le cariche 𝑞𝑖 sono viste come elementi infinitesimi 𝑑𝑞 di una distribuzione
continua di carica, si avrà:
1 1
𝑈𝐸 = ∑𝑁 𝑞 𝑉 → 𝑈𝐸 = ∫𝜏 𝑉 𝑑𝑞. (14)
2 𝑖=1 𝑖 𝑖 2
Ponendo adesso 𝑑𝑞 = 𝜌(𝑟 ) 𝑑𝜏, si ha:
1
𝑈𝐸 = ∫𝜏 𝜌(𝑟)𝑉(𝑟) 𝑑𝜏. (15)
2

Esempio 3
Si calcoli l’energia elettrostatica di una sfera conduttrice di raggio 𝑅
Q
sulla quale è presente una carica 𝑄.
R

La superficie della sfera conduttrice ed il suo volume interno formano


una regione equipotenziale, essendo nullo il campo interno al
conduttore. Il potenziale della sfera vale:
4
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⃗ = ∫∞ 𝑘𝑄 𝑑𝑟 = 𝑘𝑄,
𝑉(𝑅) = ∫𝑅 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (16)
𝑅 2 𝑟 𝑅

che è identico a quello che genererebbe una carica puntiforme 𝑄 posta al centro della
distribuzione in un punto a distanza 𝑅.

Applichiamo adesso la (15) con 𝑉 = 𝑉(𝑅) costante, cosicché avremo:


1 1
𝑈𝐸 = 𝑉(𝑅) ∫𝜏 𝜌(𝑟) 𝑑𝜏 = 𝑄𝑉(𝑅). (17)
2 2
Sostituendo la (16) nella (17) si ha:
1 𝑘𝑄2
𝑈𝐸 = . (18)
2 𝑅
1
Potenziale di un dipolo elettrico

1. Dal potenziale di una carica puntiforme al campo elettrico


Abbiamo visto che il potenziale di una carica puntiforme può scriversi nella forma:
𝑄
V(𝑟⃗) = 𝑘 .
|𝑟⃗|
Sappiamo inoltre che 𝐸⃗⃗ = −∇⃗⃗𝑉. Per ottenere il campo elettrico a partire dal potenziale
basta conoscere il gradiente della funzione scalare 1/|𝑟⃗|. Calcoliamolo:
1 1
⃗⃗ (
∇ ⃗⃗ (
)=∇
|𝑟⃗| 1 )
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2
𝜕 1 𝜕 1 𝜕 1
=( ( ) , ( ) , ( )).
𝜕𝑥 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]1⁄2 𝜕𝑦 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]1⁄2 𝜕𝑧 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]1⁄2

Calcoliamo la componente 𝑥:
𝜕 1 𝜕 2 1 1 1
( 1 )= [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2 = − [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2−1 (2𝑥)
𝜕𝑥 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2 𝜕𝑥 2
3 −𝑥
= −𝑥[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2 = 3 .
|𝑟⃗|
Calcolando le rimanenti componenti, otteniamo:
1 𝑟⃗
⃗⃗ (
∇ ) = − 3.
|𝑟⃗| |𝑟⃗|
Si arriva quindi alla conclusione cercata:
𝑘𝑄 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = .
|𝑟⃗|3
2
Potenziale di un dipolo elettrico

2. Potenziale di un dipolo elettrico


In questa sezione deriveremo un’espressione per il potenziale V(𝑃) generato da un dipolo
elettrico, così come rappresentato in figura, in un punto 𝑃 nello spazio. Applicando il
principio di sovrapposizione degli effetti, scriviamo:
𝑃 V(𝑃) = 𝑉+ (𝑃) + 𝑉− (𝑃) (1)
Si può allora scrivere:
𝑟⃗− V(𝑃) =
𝑘𝑄

𝑘𝑄
= 𝑘𝑄
𝑟− −𝑟+
(2)
𝑟⃗+ 𝑟+ 𝑟− 𝑟+ 𝑟−
Per il teorema di Carnot, ponendo 𝑟− = 𝑟, si ha:
𝜃 𝑟+ = √𝑟 2 + 𝑎2 − 2𝑎𝑟 cos 𝜃, (3)
e perciò
−𝑄 𝑎⃗ +𝑄 𝑟−√𝑟 2 +𝑎2 −2𝑎𝑟 cos 𝜃
V(𝑃) = 𝑘𝑄 . (4)
𝑟√𝑟 2 +𝑎2 −2𝑎𝑟 cos 𝜃

A grande distanza dal dipolo, cioè quando 𝑟 ≫ 𝑎 , possiamo scrivere la (4) come segue:
1−√1−2𝑎 cos 𝜃/𝑟
V(𝑃) ≈ 𝑘𝑄 . (5)
𝑟√1−2𝑎 cos 𝜃/𝑟

Possiamo quindi sviluppare in serie di Taylor la funzione 𝑓(𝑥) = √1 − 𝑥 nel modo


seguente:
1 𝑥
𝑓(𝑥) ≈ 𝑓(0) + 𝑓 ′ (0)𝑥 + 𝑂(𝑥 2 ) = 1 − | 𝑥 + 𝑂(𝑥 2 ) = 1 − + 𝑂(𝑥 2 ) . (6)
2√1−𝑥 𝑥=0 2
La (5) allora può essere scritta come segue:
1−(1−𝑎 cos 𝜃/𝑟) 𝑎 cos 𝜃
V(𝑃) ≈ 𝑘𝑄 = 𝑘𝑄 . (7)
𝑟(1−𝑎 cos 𝜃/𝑟) 𝑟2
Moltiplicando numeratore e denominatore per 𝑟 possiamo ricostruire al numeratore il
prodotto scalare 𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗ cosicché:
𝑝⃗∙𝑟⃗
V(𝑃) ≈ 𝑘 |𝑟⃗|3. (8)
Vogliamo adesso ricavare l’espressione del campo elettrico a partire dalla (8), sapendo
che 𝐸⃗⃗ = −∇⃗⃗𝑉. Il calcolo risulta notevolmente semplificato utilizzando le seguenti
proprietà del gradiente:
⃗⃗(𝑓𝑔) = 𝑓∇
∇ ⃗⃗𝑔 + 𝑔∇
⃗⃗𝑓
.
⃗⃗(𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗) = 𝑝⃗

Dalle precedenti si ha:
3
Potenziale di un dipolo elettrico

⃗⃗(𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗)
∇ 1
𝐸⃗⃗ = −𝑘 [ + (𝑝
⃗ ∙ 𝑟 ⃗⃗ (
⃗)∇ )].
|𝑟⃗|3 |𝑟⃗|3
Per poter procedere con il calcolo occorre valutare il secondo addendo. Procedendo in
questo senso otteniamo:
1 1
⃗⃗ (
∇ ) = ⃗⃗ (

|𝑟⃗|3 3 )
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2
𝜕 1 𝜕 1 𝜕 1
=( ( ) , ( ) , ( )).
𝜕𝑥 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3⁄2 𝜕𝑦 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3⁄2 𝜕𝑧 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3⁄2

Ci basta valutare soltanto una componente. Valutiamo ad esempio la componente 𝑥:


𝜕 1 𝜕 2 2 ]−3⁄2
3 2 3
( 3 ) = [𝑥 + 𝑦 2
+ 𝑧 = − [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]− ⁄2−1 (2𝑥)
𝜕𝑥 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2 𝜕𝑥 2
3𝑥 3𝑥
=− 5 = − .
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] ⁄2 |𝑟⃗|5

Alla luce di questo risultato è facile convincersi della validità della seguente relazione:
1 3𝑟⃗
⃗⃗ (
∇ ) = − .
|𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
Sostituendo la precedente nell’espressione del campo elettrico otteniamo:
𝑝⃗ 3 (𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗) 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = 𝑘 [− + ],
|𝑟⃗|3 |𝑟⃗|5
risultato già ottenuto per altra via.
1
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1. Il teorema della divergenza e la prima equazione di Maxwell


z 𝐸⃗ = 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) Applichiamo il teorema di Gauss per il campo
elettrico ad un parallelepipedo di volume
infinitesimo e dimensione dei lati 𝑑𝑥, 𝑑𝑦, 𝑑𝑧.
Scriviamo, il flusso elementare attraverso le sei
dS2
dz
facce nel modo seguente:
x 𝑑𝑞
dS1 y 𝑑Φ(𝐸⃗ ) = ∑6𝑖=1 𝐸⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑆𝑖 = , (1)
𝜀0
x+dx
dx
x
dy dove 𝑑𝑞 = 𝜌 𝑑𝜏 = 𝜌 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 rappresenta la
carica infinitesima contenuta nel volumetto,
mentre 𝐸⃗𝑖 è il campo elettrico sulla faccia 𝑖 −esima avente superficie orientata 𝑑𝑆𝑖 . Le sei
superfici possono essere così definite:

𝑑𝑆1 = −𝑑𝑆2 = 𝑑𝑦 𝑑𝑧 𝑥̂, (2a)


𝑑𝑆3 = −𝑑𝑆4 = 𝑑𝑥 𝑑𝑧 𝑦̂, (2b)
𝑑𝑆5 = −𝑑𝑆6 = 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑧̂ . (2c)

Consideriamo adesso le superfici orientate 𝑑𝑆1 , 𝑑𝑆2 e calcoliamo il contributo al flusso


attraverso di esse:

𝐸⃗1 ∙ 𝑑𝑆1 + 𝐸⃗2 ∙ 𝑑𝑆2 = 𝐸𝑥 (𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑑𝑦 𝑑𝑧 − 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (3)

Possiamo quindi scrivere questo contributo nel modo seguente:


[𝐸𝑥 (𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧)] 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (4)

Osserviamo che la quantità tra parentesi rappresenta la variazione della componente 𝑥 del
campo elettrico nella direzione 𝑥. Essendo tale variazione infinitesima, possiamo scrivere:
𝜕
𝐸𝑥 (𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑦, 𝑧) − 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥. (5)
𝜕𝑥

Sostituendo questo risultato nella (4) e considerando la (3), otteniamo:


𝜕
𝐸⃗1 ∙ 𝑑𝑆1 + 𝐸⃗2 ∙ 𝑑𝑆2 = 𝐸𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (6)
𝜕𝑥

Procedendo in modo analogo per gli altri contributi al flusso, possiamo scrivere:
2
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𝜕
𝐸⃗3 ∙ 𝑑𝑆3 + 𝐸⃗4 ∙ 𝑑𝑆4 = 𝐸𝑦 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (7)
𝜕𝑦

𝜕
𝐸⃗5 ∙ 𝑑𝑆5 + 𝐸⃗6 ∙ 𝑑𝑆6 = 𝐸𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧. (8)
𝜕𝑧

Pertanto, dalla (1), si ha l’importante relazione:


𝜕𝐸 𝜕𝐸𝑦 𝜕𝐸 1
𝑑Φ(𝐸⃗ ) = ( 𝑥 + + 𝑧 ) 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 = 𝜌 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧, (9)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜀0

dove le componenti del campo elettrico sono calcolate nel puto di coordinate (𝑥, 𝑦, 𝑧). E’
interessante notare come il precedente risultato possa scriversi in termini dell’operatore
nabla. Osserviamo, infatti, che la quantità
𝜕𝐸𝑥 𝜕𝐸𝑦 𝜕𝐸𝑧
+ + , (10)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
detta divergenza di 𝐸⃗ , si ottiene moltiplicando scalarmente l’operatore nabla per 𝐸⃗ :

⃗ ∙ 𝐸⃗ = (𝑥̂ 𝜕 + 𝑦̂ 𝜕 + 𝑧̂ 𝜕 ) ∙ (𝐸𝑥 𝑥̂ + 𝐸𝑦 𝑦̂ + 𝐸𝑧 𝑧̂ ).
∇ (11)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧

Il prodotto scalare è dato dalla somma delle sole componenti omologhe ed in questo modo
si dimostra facilmente che

⃗ ∙ 𝐸⃗ = 𝜕𝐸𝑥 + 𝜕𝐸𝑦 + 𝜕𝐸𝑧 .


∇ (12)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧

La (9) assume quindi la forma elegante:


𝜌
𝑑Φ(𝐸⃗ ) = ∇
⃗ ∙ 𝐸⃗ 𝑑𝜏 = 𝑑𝜏, (13)
𝜀0

Considerando adesso la prima uguaglianza nella (13) ed integrando sull’intero volume,


otteniamo il teorema della divergenza:

Φ(𝐸⃗ ) = ∫𝑆 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫𝜏 ∇
⃗ ∙ 𝐸⃗ 𝑑𝜏, (14)

dove 𝜏 è un volume macroscopico e 𝑆 è la sua frontiera, ossia la superficie che racchiude


il volume 𝜏. Il risultato della procedura di integrazione della (13) è coerente con la (14).
Infatti se accostassimo più volumetti 𝑑𝜏 per comporre il volume 𝜏 otterremmo contributi
non nulli al flusso soltanto dalla frontiera, cosicché la prima eguaglianza nella (14)
rappresenta proprio il flusso del campo elettrico che compare nel teorema di Gauss.
3
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La seconda uguaglianza nella (13), conseguenza del teorema della divergenza applicato
alla legge di Gauss, ci dà la prima equazione di Maxwell:
𝜌
⃗ ∙ 𝐸⃗ =
∇ . (15)
𝜀0
Quest’ultima è una relazione locale che dà informazioni sul campo elettrico in ogni punto
dello spazio.

2. Equazioni di Poisson e di Laplace


La (15) può essere riscritta in termini del potenziale ricordando che 𝐸⃗ = −∇
⃗ 𝑉.
Sostituendo otteniamo la relazione

∇ ⃗ 𝑉 = − 𝜌.
⃗ ∙∇ (16)
𝜀0

⃗ ∙∇
Non resta che interpretare la scrittura ∇ ⃗ 𝑉, che rappresenta la divergenza del gradiente
del potenziale. Dalla definizione dell’operatore nabla ricaviamo l’espressione:
𝜕 𝜕 𝜕 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕𝑉 𝜕2𝑉 𝜕2𝑉 𝜕2𝑉
⃗ ∙∇
∇ ⃗ 𝑉 = (𝑥̂ + 𝑦̂ + 𝑧̂ ) ∙ ( 𝑥̂ + 𝑦̂ + 𝑧̂ ) = 2 + 2 + 2 .
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
La precedente si esprime in forma più compatta introducendo l’operatore di Laplace (o
⃗ ∙∇
laplaciano) nella forma ∇2 ≡ ∇ ⃗ . Con questa notazione la precedente diviene:
𝜌(𝑥,𝑦,𝑧)
∇2 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = − , (17)
𝜀0

che è detta equazione di Poisson. In assenza di sorgenti (nello spazio vuoto) l’equazione
di Poisson prende la forma:
∇2 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 0, (18)
detta equazione di Laplace. L’equazione di Poisson è una equazione differenziale lineare
alle derivate parziali di cui il potenziale 𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) è soluzione univoca una volta
specificate le condizioni al contorno. Se si richiede che il potenziale e le sue derivate siano
quantità nulle all’infinito si dimostra che la soluzione del problema di Poisson è data dalla
relazione (a noi già nota):
1 𝜌(𝑥′,𝑦′,𝑧′)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ |𝑟 −𝑟 ′|
𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ . (19)
4𝜋𝜀0

3. La funzione delta di Dirac


Se la (19) è soluzione della (17) occorre che sia verificata la relazione
4
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1 𝜌(𝑥′,𝑦′,𝑧′) 𝜌(𝑥,𝑦,𝑧)
∇2 ( ∫ |𝑟 −𝑟 ′|
𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ ) = − , (20)
4𝜋𝜀0 𝜀0

relazione che può essere riscritta nella forma:


1 1
𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) = −
4𝜋
∫ 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ )∇2 (|𝑟−𝑟′|) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ . (21)

Affinché la teoria sia consistente, occorre che la quantità


1 1
𝛿(𝑟 − 𝑟′) = − ∇2 (|𝑟 ) (22)
4𝜋 −𝑟 ′|

abbia delle peculiari proprietà. La prima della quali è che per qualsiasi funzione
sufficientemente regolare 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) deve valere la relazione:
𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ 𝛿(𝑟 − 𝑟′) 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ . (23)
Una seconda importante proprietà è la seguente:
∫ 𝛿(𝑟 − 𝑟′) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ = 1, (24)
essendo l’integrale esteso all’intero spazio. Ci sono vari modi per convincersi della
correttezza della relazione precedente. Presentiamo il più semplice. Moltiplicando ambo
i membri della (22) per 𝑄/𝜀0 è possibile scrivere la seguente relazione:
𝑄 𝑄
∇2 ( ) = − 𝜀 𝛿(𝑟 − 𝑟′), (25)
4𝜋𝜀0 |𝑟 −𝑟 ′| 0

dalla quale riconosciamo al primo membro il laplaciano del potenziale generato nel punto
𝑟 da una carica puntiforme 𝑄 posta in 𝑟′. Confrontando la (25) con la (17) si ha che la
densità di carica associata alla carica puntiforme deve valere:
𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑄 𝛿(𝑟 − 𝑟′). (26)
La (24) segue dall’osservare che 𝑄 = ∫ 𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 e dalla proprietà 𝛿(𝑟 − 𝑟′) =
𝛿(𝑟′ − 𝑟), facilmente verificabile a partire dalla (22). La quantità 𝛿(𝑟 − 𝑟 ′) è la funzione
delta di Dirac in tre dimensioni. La delta di Dirac non è una funzione vera e propria, ma è
una sorta di funzione generalizzata (ciò che i matematici chiamano distribuzione). Infatti,
dalla (26), segue la notevole proprietà

𝛿(𝑟 − 𝑟′) = {+∞ 𝑟 = 𝑟′ , (27)


0 𝑟 ≠ 𝑟′
relazione che rende evidente il fatto che non abbiamo a che fare con una funzione nel
senso proprio del termine. Il fatto che 𝛿(𝑟 − 𝑟′) = 0 per 𝑟 ≠ 𝑟′ è abbastanza stupefacente
alla luce della (22). D’altra parte il calcolo diretto, per 𝑟 ≠ 𝑟 ′, mostra quanto segue:
5
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𝜕2 1 3(𝑥 − 𝑥′)2 1
2
( )= 5

𝜕𝑥 |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|3
𝜕2 1 3(𝑦 − 𝑦′)2 1
( ) = − .
𝜕𝑦 2 |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
𝜕2 1 3(𝑧 − 𝑧′)2 1
( ) = −
𝜕𝑧 2 |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
Dalle precedenti otteniamo:

2
1 (𝑥 − 𝑥′)2 + (𝑦 − 𝑦′)2 + (𝑧 − 𝑧′)2 3
∇ ( )=3 −
|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
|𝑟 − 𝑟′|2 3
=3 − = 0,
|𝑟 − 𝑟′|5 |𝑟 − 𝑟′|3
cosa che, vista la (22), dimostra l’asserto.
1
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Conduttori, Induzione Elettrostatica, Capacità elettrica

1. Conduttori metallici

Fig. 1 Abbiamo visto, nelle lezioni precedenti, che un conduttore


è un materiale nel quale sono presenti cariche libere. Un
conduttore metallico può essere rappresentato attraverso
la seguente schematizzazione: un reticolo cristallino ai cui
nodi sono presenti ioni positivi “fissi” (sfere gialle nella
fig. 1) immerso in un gas di elettroni “liberi e
indipendenti” (sferette rosse in fig. 1). In questo corso
faremo riferimento ai soli conduttori metallici. Per quanto
concerne gli aggettivi “fissi” e “liberi e indipendenti”, diciamo solo quanto segue.

a) Ioni “fissi”

Fig. 2 Un conduttore metallico può essere pensato come un


insieme di oscillatori armonici soggetti a fluttuazioni
termiche (fig. 2). L’agitazione termica mette in
oscillazione gli ioni rispetto alla posizione di equilibrio.
Pertanto, l’energia cinetica dei singoli ioni e, quindi,
dell’intero reticolo aumenta con la temperatura. A basse
temperature le deviazioni degli ioni “fissi” rispetto alla
posizione di equilibrio sono minime. Esse aumentano con
l’aumentare della temperatura aumenta. Dovremmo così
aver chiarito la ragione delle virgolette per l’aggettivo “fisso”.

b) Elettroni “liberi e indipendenti”

Gli elettroni, rappresentati in fig. 1 come delle sferette rosse, sono effetivamente liberi?
Ossia, non risentono dell’influenza del potenziale dovuto al reticolo? In più, essi sono
davvero indipendenti? Ossia, non subiscono alcuna influenza da parte delle altre cariche
del gas elettronico? Certamente, essi non sono né liberi, né indipendenti. Infatti, non sono
liberi, in quanto sono sottosposti al potenziale elettrico dell’insieme delle cariche positive
del reticolo. Inoltre, non sono indipendenti, in quanto essi stessi interagiscono tra loro
attraverso forze elettriche e devono necessariamente obbedire al principio di esclusione di
Pauli. Tuttavia, considerare gli elettroni come “liberi e indipendenti” all’interno del
2
Corso di Fisica II per Ingegneria Elettronica - a.a. 2020/21

reticolo consente una prima comprensione delle proprietà di conduzione nei solidi
cristallini.

2. Induzione elettrostatica (un secondo sguardo)

Fig.3 Ci chiediamo adesso che cosa succede quando


avvicianiamo una carica elettrica a una sfera
conduttrice, come esempio del fenomeno di induzione
elettrostatica (a noi già noto). Se la carica è positiva,
così come ipotizzato in Fig. 3, notiamo che gli elettroni
nel conduttore (sferette rosse) migrano verso la
superficie esterna prossima alla carica positiva,
lasciando cariche positive (ioni del reticolo) non
neutralizzate sulla parte opposta della sfera (sferette gialle). Le linee di forze del campo
sono rappresentate in Fig. 3. Tale ridistribuzione di cariche all’interno del conduttore è
presente fintanto che la carica positiva è tenuta nelle vicinanze della sfera metallica.
Una situazione analoga si ha quando inseriamo una sferetta di materiale conduttore in una
regione dello spazio dove sia presente un campo elettrico uniforme 𝐸⃗𝑒𝑥𝑡 (la regione tra
due lamine affacciate infinite uniformamente cariche, ad esempio). Anche in questo caso
si avrà induzione elettrostatica e le linee di forza
del campo, per la sola presenza della sferetta
conduttrice, saranno costrette a deviare, così
come rappresentato in fig. 4. Sappiamo che, in
Ein
condizioni statiche, le linee di forza del campo
elettrico devono essere ortogonali alla superficie
esterna del conduttore. In una regione di spazio
abbastanza lontana dalla sferetta, tuttavia, le linee
di forze del campo non subiranno grosse
Eext Fig. 4
deviazioni dalla configurazione imperturbata.
Dobbiamo notare che la migrazione delle cariche
fa in modo che la somma del campo elettrico 𝐸⃗𝑒𝑥𝑡 generato dalle due lamine e quello
generato dalle ridistribuzione di carica nella sfera conduttrice, 𝐸⃗𝑖𝑛 , sia esattamente nullo
all’interno del conduttore, cosicché:

𝐸⃗𝑒𝑥𝑡 + 𝐸⃗𝑖𝑛 = 0. (1)


3
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3. Capacità di un conduttore isolato

Adesso, consideriamo un conduttore carico. Per fissare le idee,


prendiamo una sferetta metallica di raggio 𝑅 sulla cui superficie
esterna sia depositata una carica 𝑄. Abbiamo già fatto il calcolo
del potenziale di questa sfera conduttrice:

𝑘𝑄
𝑉(𝑅) = . (2)
𝑅

Notiamo allora che il rapporto seguente:


𝑄 𝑅
= = 4𝜋𝜀0 𝑅 (3)
𝑉(𝑅) 𝑘

dipende solo dalle proprietà fisiche del mezzo (in questo caso il vuoto) in cui la sferetta è
immersa e dalle caratteristiche geometriche della sferetta stessa (il suo raggio 𝑅). Come
anticipato in precedenza, questo rapporto prende il nome di capacità elettrica (in questo
caso, di un conduttore sferico isolato). Più in generale, la capacità 𝐶 di un conduttore
isolato di forma qualsiasi è il rapporto tra la carica depositata sul conduttore e il potenziale
𝑉, secondo la relazione:
𝑄
𝐶= . (4)
𝑉

L’unità di misura della capacità elettrica nel SI è il Farad.


Esercizio
Dimostrare che la capacità della Terra è pari a 0.708 𝑚𝐹.

4. Conduttori affacciati

Immaginiamo adesso che una prima sferetta sia


carica e una seconda sferetta metallica sia neutra e
che queste due sferette siano avvicinate, così come
S 1 S 2 rappresentato in figura. Sulla sferetta neutra, allora,
Q
si avrà una redistribuzione di cariche, così come
abbiamo appreso dallo studio del fenomeno
dell’induzione elettrostatica. Sulla prima sferetta vi
sarà un distribuzione di carica 𝜎1 = 𝜀0 𝐸1 , che, in
presenza del secondo conduttore, dipenderà dal
4
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punto sullla sfera. Consideriamo adesso la regione dello spazio contenuta dalle nel tubo
delimitato linee di forza del campo in rosso in figura. Questo tubo non contiene cariche e
ha come base le calotte sferiche di area ∆𝑆1 e ∆𝑆2 . Applicando la legge di Gauss a questo
tubo, si ha:
𝐸1 ∆𝑆1 − 𝐸2 ∆𝑆2 = 0, (5)
ove 𝐸1 e 𝐸2 sono i moduli dei campi elettrici sui due conduttori.
Dal teorema di Coulomb, allora, avremo:
𝜎1 ∆𝑆1 = |𝜎2 |∆𝑆2 . (6)
Immaginiamo adesso di mettere a terra il secondo
conduttore, in modo che solo cariche negative siano
presenti sulla seconda sfera, così come rappresentato
nella seconda figura. In questo caso si ha induzione
completa, ossia, tutte le linee di forza del campo
+Q -Q elettrico generato dalla prima sfera si chiudono sulla
seconda. In questo modo, applicando la legge di
Gauss in modo da scegliere una superficie gaussiana
che racchiuda tutta e solo la seconda sfera, si ha che
la carica contenuta nel volume racchiuso dalla
superficie deve essere opposta alla carica sulla prima
sferetta. Infatti, il flusso entrante nella superficie gaussiana così scelta è proprio l’opposto
del flusso uscente da un’altra superficie gaussiana che racchiuda tutta e solo la prima
sferetta.
Esempio 1
Q1 Q2
Consideriamo due conduttori sferici isolati, di raggio 𝑅1 =
2.00 𝑐𝑚 e 𝑅2 = 4.00 𝑐𝑚, rispettivamente. Entrambi i
conduttori sono carichi, con cariche 𝑄1 = 5.00 𝑛𝐶 e 𝑄2 = 15.0 𝑛𝐶. Si calcoli il potenziale
e la capacità di questi conduttori. Successivamente, i medesimi conduttori vengono
connessi con un filo di materiale conduttore lungo e sottile, in modo che risulti nulla la
differenza di potenziale. Si calcoli la nuova distribuzione di carica, 𝑞1 e 𝑞2 , su di essi e il
potenziale dei due conduttori.
Soluzione
Possiamo scrivere il potenziale e la capacità come segue:
𝑄1 𝑄1
𝑉1 = 𝑘 = 2.55 𝑘𝑉; 𝐶1 = = 1.96 𝑝𝐹. (7a)
𝑅1 𝑉1
5
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𝑄2 𝑄2
𝑉2 = 𝑘 = 3.37 𝑘𝑉; 𝐶2 = = 4.45 𝑝𝐹. (7b)
𝑅2 𝑉2

Quando colleghiamo i due conduttori, la differenza di potenziale si annulla e perciò:


𝑞1 𝑞2
𝑉′1 = 𝑉′2 → 𝑘 =𝑘 , (8)
𝑅1 𝑅2

con
𝑄1 + 𝑄2 = 𝑞1 + 𝑞2 . (9)
Risolvendo le equazioni di sopra, scriviamo
𝑞2 = 2𝑞1 , (10a)
𝑞1 + 𝑞2 = 20 𝑛𝐶. (10b)
Pertanto, si avrà: 𝑞1 = 6.67 𝑛𝐶, 𝑞2 = 2𝑞1 = 13.3 𝑛𝐶. Il potenziale sarà
𝑞1 𝑞2
𝑉′1 = 𝑉′2 = 𝑘 =𝑘 = 3.00 𝑘𝑉. (11)
𝑅1 𝑅2

Esempio 2

+Q
Un esempio di induzione totale è dato dal seguente problema.
Una sfera conduttrice di raggio 𝑅0 = 2.00 𝑐𝑚 ha una carica pari
a 𝑄 = 0.400 𝑛𝐶. Tale sfera è contenuta in un guscio sferico
conduttore di raggio interno raggio 𝑅1 = 6.00 𝑐𝑚. Si calcoli il
-Q
campo elettrico e la differenza di potenziale tra la sfera e il guscio
sferico (𝑅0 < 𝑟 < 𝑅1 ).

Soluzione
Sappiamo che, per 𝑅0 < 𝑟 < 𝑅1 , il campo elettrico è il seguente:
𝑄
𝐸(𝑟) = 𝑘 2, (12)
𝑟

cosicché la differenza di potenziale sarà:


𝑅 𝑄 𝑄
𝑉0 − 𝑉1 = ∫𝑅 1 𝐸(𝑟) 𝑑𝑟 = 𝑘 −𝑘 . (13)
0 𝑅0 𝑅1

Pertanto si ha:
𝑉0 − 𝑉1 = 180𝑉 − 60𝑉 = 120𝑉. (14)
1
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Condensatori

1. Capacità di un condensatore

Possiamo definire un condensatore come un dispositivo


elettronico formato da due conduttori affacciati in condizioni
di induzione completa. Pertanto, nell’Esempio 2 della parte
precedente della lezione, abbiamo introdotto il condensatore
sferico. Tratteremo adesso altri tipi di condensatore. Tuttavia,
+Q -Q
diamo uno sguardo generale ad essi, calcolandone la capacità.
Conoscendo il campo elettrico presente nello spazio
compreso tra i due conduttori possiamo definire la differenza
di potenziale tra essi come segue:

𝐵
⃗.
𝑉 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝐴 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ (1)

Definiamo allora la capacità 𝐶 del condensatore come il rapporto tra la carica 𝑄 e la


differenza di potenziale 𝑉, così come visto nel caso di un conduttore isolato. Alla luce
della definizione, si ha:
𝑄 𝑄
𝐶= = . (2)
𝑉 𝑉𝐴 −𝑉𝐵

2. Condensatore a facce piane e parallele


d
+Q -Q Consideriamo un condensatore di forma semplice: due
conduttori piani di area 𝑆 (armature), a distanza 𝑑 tra loro.
Sulle armature sono presenti le cariche totali +𝑄 e – 𝑄,
rispettivamente. Sia la carica uniformemente distribuita su
E
ogni conduttore con densità di carica superficiale ±𝜎. Per il
teorema di Coulomb, il campo elettrico tra le armature si
scrive in termini della densità superficiale di carica
A B dell’armatura potiva nella forma:

𝜎
𝐸⃗ = 𝑥̂ (3)
𝜀0

Pertanto, la differenza di potenziale tra le due armature può scriversi nella forma:
𝐵 𝜎 𝑄𝑑
𝑉 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝐴 𝑑𝑥 = . (4)
𝜀0 𝜀0 𝑆
2
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Dalla definizione di capacità elettrica, si ottiene:


𝑄 𝑆
𝐶= = 𝜀0 . (5)
𝑉 𝑑

3. Condensatore cilindrico
+Q
Consideriamo adesso due conduttori cilindrici coassiali di altezza
A ℎ, tra i quali vi è il vuoto, così come mostrato in sezione nella figura
B accanto. Si assuma che la distanza tra le due armature 𝑅1 − 𝑅0 sia
-Q
di gran lunga minore dell’altezza ℎ del sistema cilindrico. Sia
inoltre 𝑅0 il raggio del cilindro interno e 𝑅1 il raggio interno del cilindro cavo. Il campo
all’interno può essere approssimato a quello di un sistema infinitamente lungo. Il risultato
è simile a quello ottenuto, mediante applicazione della legge di Gauss, per un filo
uniformemente carico (si svolga l’esercizio), cosicché scriviamo:

2𝑘𝜆
𝐸⃗ = 𝑟̂ , (6)
𝑟

ove 𝜆 = 𝑄/ℎ è la densità lineare della carica presente sulla superficie esterna del
conduttore cilindrico interno. Calcolando la differenza di potenziale tra le due armature
del condensatore, scriviamo:

𝑅 2𝑘𝜆 2𝑘𝑄 𝑅
𝑉 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝑅 1 𝑑𝑟 = ln ( 1). (7)
0 𝑟 ℎ 𝑅0

Possiamo quindi calcolare la capacità del consensatore cilindrico come segue:


𝑄 2𝜋𝜀0 ℎ
𝐶= = 𝑅 . (8)
𝑉 ln( 1 )
𝑅0

La (8) si riduce alla (5) sotto l’ipotesi che le due armature del condensatore siano
𝑑 𝑅
abbastanza vicine. Infatti, supponendo ≪ 1, possiamo scrivere ln ( 1 ) = ln (1 +
𝑅0 𝑅 0
𝑑 𝑑
𝑅0
) ≈ 𝑅 . Sostituendo la precedente nella (8), si ha il risultato cercato:
0

(2𝜋𝑅0 )ℎ 𝑆
𝐶 ≈ 𝜀0 = 𝜀0 . (9)
𝑑 𝑑

4. Condensatore sferico

Abbiamo già visto come calcolare la differenza di potenziale per un condensatore sferico.
Riportiamo quanto trovato:
3
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+Q 1 1
𝑉 = 𝑉0 − 𝑉1 = 𝑘𝑄 ( − ). (10)
𝑅0 𝑅1

Calcolando la capacità del consensatore sferico, allora, si ha:


-Q 𝑄 𝑅0 𝑅1
𝐶= = 4𝜋𝜀0 . (11)
𝑉 𝑅1 −𝑅0

Esempio 1

Calcoliamo la capacità del condensatore sferico realizzato con una sfera conduttrice di
raggio 𝑅0 = 2.00 𝑐𝑚 contenuta in un guscio sferico conduttore di raggio interno 𝑅1 =
6.00 𝑐𝑚.
Soluzione
Utilizzando la (11), possiamo scrivere:
𝑅0 𝑅1 1 12×10−2
𝐶 = 4𝜋𝜀0 = 𝐹 = 3.34 𝑝𝐹.
𝑅1 −𝑅0 8.99×109 4

5. Condensatori in serie e in parallelo

Il condensatore è un dispositivo elettronico che trova varie applicazioni


C
circuitali, alcune delle quali vedremo in dettaglio. Il suo simbolo circuitale è
quello rappresentato nella figura a lato. Vediamo adesso come si può esprimere
la capacità di una connessione, in serie o in parallelo, di due o più condensatori.

a) Connessione in serie

Una connessione in serie di due condensatori, di capacità 𝐶1 e 𝐶2 , è


C1 C2 mostrata in figura. Se una carica 𝑄 è depositata sull’armatura a sinistra,
allora le due armature centrali, procedendo da sinistra verso destra, si
caricheranno per induzione con cariche – 𝑄 e +𝑄. L’armatura esterna a
destra, infine, si caricherà con una carica – 𝑄. Pertanto, la stessa carica è presente sui due
condensatori e perciò, chiamate 𝑉1 e 𝑉2 le differenze di potenziale ai capi dei due
condensatori, possiamo scrivere:
𝑄 𝑄
𝑉 = 𝑉1 + 𝑉2 = + , (12)
𝐶1 𝐶2
4
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ove 𝑉 è la differenza di potenziale ai capi dell’intera connessione in serie. Pertanto,


possiamo indicare con 𝐶𝑒𝑞 la capacità equivalente della connesisone in serie e scrivere:
𝑄 𝑄 𝑄
𝑉= = + , (13)
𝐶𝑒𝑞 𝐶1 𝐶2

In questo modo, si avrà:


1 1 1
= + . (14)
𝐶𝑒𝑞 𝐶1 𝐶2

Aggiungendo un terzo condensatore, potremo scrivere:


1 1 1 1
= + + . (15)
𝐶𝑒𝑞 𝐶1 𝐶2 𝐶3

Infine, per una connessione in serie di 𝑁 condensatori, avremo:


1 1 1 1
= + + ⋯+ . (16)
𝐶𝑒𝑞 𝐶1 𝐶2 𝐶𝑁

Notiamo che, se i condensatori sono tutti uguali, cosicché 𝐶1 = 𝐶2 = ⋯ 𝐶𝑁 = 𝐶0 , avremo


𝐶0
𝐶𝑒𝑞 = .
𝑁

b) Connessione in parallelo

Una connessione in parallelo di due condensatori, di capacità 𝐶1 e 𝐶2 , è


C1
mostrata in figura. Se una carica 𝑄 è depositata sulle due armature a
sinistra, allora essa si distribuirà su queste, cosicché sulla prima sarà
presente una carica 𝑄1 e sulla seconda una carica 𝑄2 , cosicché:
𝑄 = 𝑄1 + 𝑄2 = 𝐶1 𝑉 + 𝐶2 𝑉, (17)
C2
ove 𝑉 è la differenza di potenziale ai capi dei due condensatori. Possiamo
allora considerare la capacità equivalente 𝐶𝑒𝑞 della connessione in
parallelo e scrivere:
𝑄 = 𝐶𝑒𝑞 𝑉 = 𝐶1 𝑉 + 𝐶2 𝑉. (18)
Pertanto, avremo:
𝐶𝑒𝑞 = 𝐶1 + 𝐶2 . (19)
Aggiungendo un terzo condensatore, potremo scrivere:
𝐶𝑒𝑞 = 𝐶1 + 𝐶2 + 𝐶3 . (20)
Infine, per una connessione in parallelo di 𝑁 condensatori, avremo:
5
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𝐶𝑒𝑞 = 𝐶1 + 𝐶2 + ⋯ + 𝐶𝑁 . (21)
Notiamo che, se i condensatori sono tutti uguali, cosicché 𝐶1 = 𝐶2 = ⋯ 𝐶𝑁 = 𝐶0 , avremo
𝐶𝑒𝑞 = 𝑁𝐶0 .
1
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1. Ancora sul condensatore piano


Come anticipato in precedenza, è possibile attribuire una capacità elettrica anche a sistemi
di conduttori carichi. Il condensatore piano ne
𝑑 è un rilevante esempio. Esso è formato da due
piani (infiniti) conduttivi carichi a distanza 𝑑
− l’uno dall’altro. La carica sulle armature del

𝐸=0 𝐸 = 0 condensatore è uguale in modulo e opposta in
− segno. Il sistema che ne risulta è globalmente
̂ − neutro. Per questa ragione, utilizzando il
teorema di Gauss, concludiamo che il campo
− elettrico è diverso da zero soltanto nello spazio
− fra le due armature, laddove esso risulta
− spazialmente uniforme. Il campo risulta inoltre
𝐸 ortogonale (vedi precedenti esempi) alla

superficie delle armature. Esso risulta uscente
0 𝑥 dalla distribuzione di carica positiva ed
entrante in quella negativa.
Per calcolare il valore del campo nella regione compresa tra le armature del condensatore
utilizziamo il teorema di Gauss. Consideriamo a tal fine una superficie gaussiana che
avvolga completamente l’armatura positiva così come mostrato in figura. Sia 𝑆
l’estensione dell’armatura e 𝜎 > 0 la sua densità superficiale di carica. Risulta quindi:
𝑄 𝜎𝑆 𝜎
|𝐸⃗ |𝑆 = = → |𝐸⃗ | = .
𝜀0 𝜀0 𝜀0
Dalla precedente si ha la relazione 𝑄 = 𝜀0 |𝐸⃗ |𝑆. Inoltre il campo elettrico, in forma
vettoriale, prende la forma:
𝜎
𝐸⃗ = 𝑥̂.
𝜀0
E’ adesso possibile determinare la differenza di potenziale tra le armature. Si ha infatti:
𝐵
∫ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑥 = −(𝑉𝐵 − 𝑉𝐴 ).
𝐴

Valutiamo l’integrale al primo membro:


𝐵 𝑑 𝑑
𝜎 𝜎 𝜎𝑑
∫ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑥 = ∫ ( 𝑥̂) ∙ 𝑥̂ 𝑑𝑥 = ∫ 𝑑𝑥 = .
𝐴 0 𝜀0 0 𝜀0 𝜀0
2
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Dalle due relazioni precedenti si ottiene:


𝜎𝑑 𝑆𝜎𝑑 𝑄𝑑
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = → 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = → 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = → 𝑄 = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 )
𝜀0 𝑆𝜀0 𝑆𝜀0
Dove abbiamo introdotto la capacità elettrica del sistema nella forma:
𝜀0 𝑆
𝐶= .
𝑑
Si ha inoltre la relazione
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵
|𝐸⃗ | = .
𝑑
Per ragioni tecnologiche può essere conveniente disporre di condensatori che abbiano una
elevata capacità elettrica. Per aumentare la capacità del condensatore è possibile agire
sulla geometria del sistema. Infatti aumentando l’estensione delle armature o diminuendo
la distanza tra esse è possibile ottenere un aumento della capacità.
Un altro modo per migliorare la capacità di un condensatore piano è interporre fra le
armature un mezzo isolante (dielettrico) al posto del vuoto (o dell’aria). Come si vedrà in
maggior dettaglio nel seguito, la presenza di un isolante può essere tenuta in conto
sostituendo la costante dielettrica del vuoto 𝜀0 con quella del mezzo isolante 𝜀 = 𝜀𝑟 𝜀0 .
Quest’ultima è espressa in termini di una quantità adimensionale detta costante dielettrica
relativa 𝜀𝑟 . La costante dielettrica relativa tiene conto di fenomeni di aggiustamento di
carica nel dielettrico. Per i fini di questa trattazione è sufficiente notare che 𝜀𝑟 ≈ 80 per
l’acqua, 𝜀𝑟 ≈ 12 per l’ossido di silicio, 𝜀𝑟 ≈ 3,5 per la
− carta, 𝜀𝑟 ≈ 1,00054 per l’aria. Ne risulta che la capacità
− elettrica di un condensatore piano le cui armature siano
𝑉𝐴 − separate da un dielettrico si scrive nella forma:
− 𝜀𝑟 𝜀0 𝑆 𝜀0 𝑆
𝐶= ≥ .
− 𝑉𝐵 𝑑 𝑑

− E’ inoltre interessante notare l’andamento del potenziale


elettrico nel sistema. Si verifica agevolmente che vale la

relazione:

𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 𝜎
𝑉(𝑥) = 𝑉𝐴 − ( ) 𝑥 = 𝑉𝐴 − 𝑥.
0 𝑥 𝑑 𝜀0
Come si muoverebbe una particella nel campo uniforme del condensatore?
3
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Una particella positiva si muoverebbe verso il valore minore del potenziale in quanto la
sua energia potenziale 𝑈(𝑥) = 𝑞𝑉(𝑥) verrebbe in questo modo minimizzata. Una
particella negativa si comporterebbe in modo opposto, essendo potenziale ed energia
potenziale opposti in segno. Il comportamento di particelle cariche nel campo uniforme
del condensatore è intuitivamente comprensibile alla luce delle interazioni coulombiane
tra cariche.
2. Energia di carica di un condensatore
Per poter ottenere una distribuzione di carica sulle armature di un condensatore piano è
necessaria l’azione di un agente esterno che compia lavoro contro le forze del campo
elettrico. Queste ultime infatti lavorano per portare il sistema alla neutralità elettrica.
Vogliamo calcolare il lavoro che questo agente esterno deve compiere affinché il
condensatore si carichi.
Supponiamo che sul condensatore sia già presente la carica 𝑞 sull’armatura a carica
positiva. Per quanto detto si ha l’uguaglianza:
𝑞 = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ).
Se adesso volessimo trasportare a velocità costante una carica infinitesima negativa −𝑑𝑞
da a occorrerebbe un agente esterno (una forza) che compia un lavoro elementare 𝑑𝐿
opposto a quello che compirebbero le forze del campo elettrico per compiere la stessa
operazione. Il lavoro elementare che il campo elettrico compirebbe vale:
𝑑𝐿 = (−𝑑𝑞)(−(𝑉𝐵 − 𝑉𝐴 )).
Tale lavoro è negativo in quanto corrispondente ad una azione contraria alla naturale
tendenza del campo elettrostatico a neutralizzare il sistema (la natura vorrebbe evitare
accumuli di carica se possibile).
Il lavoro elementare che l’agente esterno dovrebbe compiere vale quindi:
𝑞
𝑑ℒ = −𝑑𝐿 = 𝑑𝑞(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑑𝑞,
𝐶
mentre il lavoro totale occorrente ad ottenere la configurazione di carica finale risulta
essere
𝑄
𝑞 𝑄2
𝑈𝐸 = ∫ 𝑑ℒ = ∫ 𝑑𝑞 = .
0 𝐶 2𝐶
Il lavoro necessario a caricare il sistema è immagazzinato come energia elettrostatica del
condensatore e si ha
4
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𝑄2 1
𝑈𝐸 = = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 )2 .
2𝐶 2
La densità di energia immagazzinata fra le armature del condensatore si può calcolare
come rapporto tra 𝑈𝐸 e il volume 𝑆𝑑 compreso fra le armature. Ne segue che:
2
𝑈𝐸 𝑄2 (𝜀0 |𝐸⃗ |𝑆) 1 2 𝜀0 𝑆 2 1 2
𝑢𝐸 = = = ⃗
= 𝜀0 |𝐸 | = 𝜀0 |𝐸⃗ | .
𝑆𝑑 2𝐶𝑆𝑑 2𝐶𝑆𝑑 2 𝜀 𝑆
𝑆𝑑 ( 0 ) 2
𝑑
Nella derivazione abbiamo esplicitamente utilizzato la relazione 𝑄 = 𝜀0 |𝐸⃗ |𝑆. Resta
provato che la densità di energia elettrostatica vale:
1 2
𝑢𝐸 = 𝜀0 |𝐸⃗ | ,
2
relazione, valida in generale, che è indipendente dalla geometria del condensatore.

Esempio 1

Si calcoli il valore del raggio dell’elettrone che si otterrebbe quando consideriamo


quest’ultimo come:
a) una sferetta uniformemente carica con carica elettrica totale – 𝑒;
b) un conduttore sulla cui superficie esterna è depositata una carica – 𝑒.

Soluzione

Questo problema può essere impostato ricorrendo alla famosa equazione di equivalenza
massa-energia di Einstein, che tutti noi abbiamo visto scritta almeno una volta nella nostra
vita: 𝐸 = 𝑚𝑐 2 . Si suppone che l’energia relativistica coincida con l’energia elettrostatica
e, ponendo 𝑈𝐸 = 𝑚𝑐 2 , caso per caso, possiamo risolvere il nostro problema nelle ipotesi
sopra richiamate.
a) una sferetta uniformemente carica con carica elettrica totale – 𝒆
In questo caso sappiamo che il modulo del campo elettrico in tutto lo spazio è dato dalla
relazione:
𝜌𝑟 𝑒
𝐸(𝑟) = = 𝑘 3 𝑟, per 0 < 𝑟 < 𝑅, (6a)
3𝜀0 𝑅

𝑒
𝐸(𝑟) = 𝑘 2, per 𝑟 > 𝑅. (6b)
𝑟
5
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L’energia elettrostatica può essere calcolata nel modo seguente:


1 ∞ 1 ∞
𝑑𝑈𝐸 = 𝑢𝐸 𝑑𝜏 → 𝑈𝐸 = ∫ 𝑢𝐸 𝑑𝜏 = 𝜀0 ∫0 𝐸 2 (4𝜋𝑟 2 𝑑𝑟) = ∫0 𝐸 2 𝑟 2 𝑑𝑟. (7)
2 2𝑘

E perciò

1 𝑅 𝑒𝑟 2 1 ∞ 𝑒 2
𝑈𝐸 = ∫ (𝑘 𝑅3) 𝑟 2 𝑑𝑟
2𝑘 0
∫ (𝑘 𝑟 2 ) 𝑟 2 𝑑𝑟.
2𝑘 𝑅
(8)

Pochi altri calcoli di analisi e si ha:


𝑅
𝑘𝑒 2 𝑟 5 𝑘𝑒 2 ∞ 1 𝑘𝑒 2 𝑘𝑒 2 3𝑘𝑒 2
𝑈𝐸 = | ∫ 𝑑𝑟 = = . (9)
2𝑅 6 5 0 2 𝑅 𝑟2 10𝑅 2𝑅 5𝑅

Ponendo adesso 𝑈𝐸 = 𝑚𝑐 2 , si ha:


3𝑘𝑒 2 3𝑘𝑒 2
= 𝑚𝑐 2 → 𝑅 = . (10)
5𝑅 5𝑚𝑐 2

Ponendo adesso 𝑒 = 1.602 × 10−19 𝐶, 𝑚 = 9.11 × 10−31 𝑘𝑔, 𝑐 = 2.998 × 108 𝑚/𝑠,
calcoliamo il raggio dell’elettrone:
3𝑘𝑒 2 3(8.99)(1.602)2 10−29
𝑅= = 𝑚 = 1.691 × 10−15 𝑚 (11)
5𝑚𝑐 2 5(9.11)(2.998)2 10−15

b) un conduttore sulla cui superficie esterna è depositata una carica – 𝒆.


Abbiamo già svolto parte di questo problema quando abbiamo calcolato l’energia
potenziale elettrica di una carica 𝑄 distribuita su un conduttore sferico, ottenendo
1 𝑘𝑄2
𝑈𝐸 = . (12)
2 𝑅

Ponendo 𝑄 = −𝑒 e 𝑈𝐸 = 𝑚𝑐 2 , si ha:
𝑘𝑒 2
𝑅= = 1.409 × 10−15 𝑚. (13)
2𝑚𝑐 2

In letteratura il raggio classico dell’elettrone viene riportato come due volte il risultato
calcolato nella (13), ossia:
𝑘𝑒 2
𝑟𝑐 = = 2.818 × 10−15 𝑚. (14)
𝑚𝑐 2
6
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Esempio 2

C1 C2 Si consideri il sistema, inizialmente scarico, di


V1=10 V VN V2=30 V
condensatori rappresentato in figura. Al tempo 𝑡 =
0𝑠 si applicano, ai due terminali laterali, le tensioni
C0 di 𝑉1 = 10 𝑉 e 𝑉2 = 30𝑉, così come specificato in
V0=0 figura, lasciando il terzo terminale collegato a terra.
Aspettando un tempo sufficiente lungo, si vuole
sapere quali sono le cariche 𝑞0 , 𝑞1 e 𝑞2 che si depositano sui condensatori di capacità 𝐶0 =
10.0 𝑝𝐹, 𝐶1 = 20.0 𝑝𝐹 e 𝐶2 = 10.0 𝑝𝐹, rispettivamente. Si calcoli, infine, l’energia
elettrostatica dell’intero sistema di condensatori.

Soluzione

Poiché il sistema è inizialmente scarico e tutte le armature interne


C1 C2
+q1 -q1 -q2 +q2 sono fisicamente scollegate dall’esterno, allora, per la scelta di
segni che indichiamo nella figura accanto, si deve avere quanto
-q0 segue:
C0
+q0
V0=0 𝑞0 𝑞1 𝑞2 = 0. (15)

Questa relazione ci permette di trovare la tensione incognita 𝑉𝑁 . Infatti, ponendo

𝑞0 = 𝐶0 (𝑉0 − 𝑉𝑁 ), (16a)

𝑞1 = 𝐶1 (𝑉1 − 𝑉𝑁 ), (16b)

𝑞2 = 𝐶2 (𝑉2 − 𝑉𝑁 ), (16c)

per la (15) si ha:


𝑉0 +2𝑉1 +𝑉2
𝑉𝑁 = = 12.5 𝑉. (17)
4

Cosicché, per le equazioni (16-ac), si avrà:

𝑞0 = −125 𝑝𝐶, 𝑞1 = −50.0 𝑝𝐶, 𝑞2 = 175 𝑝𝐶. (18)

A questo punto è semplice calcolare l'energia elettrostatica come segue:


7
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1 𝑞 2 𝑞1 2 𝑞2 2
𝑈𝐸 = ( 0
2 𝐶 𝐶1 𝐶2
) = 2.38 × 10−9 𝐽. (19)
0

Questa energia, come possiamo facilmente arguire, viene fornita dai generatori che
mantengono a tensione finita i capi del sistema.

Esempio 3
d
Tra le armature di un condensatore a facce quadrate piane e
parallele, di lato 𝐿 = 10.0 𝑐𝑚, è inserita una lamina
A’ B’
conduttrice di spessore 𝑑 = 1.00 𝑐𝑚 e di area 𝐿2 . La lamina
‘’ ‘’ è libera di muoversi in direzione 𝑥 scorrendo su un piano
liscio equidistante dalle armature del condensatore. Sia 𝐷 =
L 4.00 𝑐𝑚 la distanza tra le armature del condensatore e sia
E1 fatto il vuoto fra esse. Ai capi del condensatore viene
mantenuta, da un “generatore” esterno, una differenza di
potenziale costante pari a 𝑉0 = 10𝑉. Si calcoli:
x
E0 a) il campo elettrico 𝐸⃗0 ;
A D B b) il campo elettrico 𝐸⃗1 ;
V0 c) la capacità del sistema così rappresentato in figura;
d) l’energia potenziale elettrica in funzione di 𝑥;
e) la forza che deve essere esercitata sulla lamina per preservarne l’equilibrio.

Soluzione

a) Poiché il potenziale ai capi del condensatore è costante, si ha:

𝐵 𝑉 𝑉
𝑉0 = ∫𝐴 𝐸⃗0 ∙ 𝑑𝑠 = 𝐸0 𝐷 → 𝐸0 = 0 = 250 . (20)
𝐷 𝑚

b) Similmente, possiamo scrivere:


𝐴′ 𝐵 𝑉 𝑉
∫𝐴 𝐸⃗1
∫𝐵′ 𝐸⃗1 ∙ 𝑑𝑠 = 𝐸1 (𝐷 − 𝑑) → 𝐸1 = 𝐷−𝑑 = 500 𝑚,
0
𝑉0 = ∙ 𝑑𝑠 (21)
dove abbiamo fatto uso esplicito del fatto che il campo elettrico è nullo all’interno della
lamina.
8
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c) Il sistema può essere considerato come un insieme di due condensatori in serie di


capacità 𝐶1 connessi in parallelo con un condensatore di
C1 C1 capacità 𝐶0 , così come in figura a lato. Allora, svolgendo i
calcoli con riferimento alla geometria specificata nella figura
sopra, avremo:
C0

𝐶1 1 𝜀0 𝐿(𝐿−𝑥) 𝜀0 𝐿𝑥 𝐿𝐷−𝑥𝑑
𝐶𝑒𝑞 (𝑥) = 𝐶0 = = 𝜀0 𝐿 . (22)
2 2 (𝐷−𝑑)/2 𝐷 𝐷(𝐷−𝑑)

d) Per quanto riguarda la grandezza 𝑈𝐸 , dobbiamo notare che, essendo la differenza


di potenziale costante, ossia, indipendentemente dalla posizione 𝑥, possiamo
scrivere l’energia potenziale elettrica nella forma seguente:

1 𝜀0 𝐿𝑉0 2 (𝐿𝐷−𝑥𝑑)
𝑈𝐸 (𝑥) = 𝐶𝑒𝑞 (𝑥)𝑉0 2 = . (23)
2 2𝐷(𝐷−𝑑)

e) Per valutare l’intensità della forza equilibrante dobbiamo tenere conto della
variazione di energia dovuta al “generatore” (di cui vedremo la natura in seguito),
cosicché scriviamo:

1 1
𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑑𝑈𝐸 𝑑𝑈𝐺 = 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 − 𝑉0 𝑑𝑞 = 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 − 𝑉0 𝑑(𝑉0 𝐶𝑒𝑞 ). (24)
2 2

Nello scrivere la precedente abbiamo tenuto conto del fatto che l’energia interna
del generatore diminuisce secondo la relazione 𝑑𝑈𝐺 = −𝑉0 𝑑𝑞, dove 𝑉0 𝑑𝑞 è il
lavoro compiuto dal generatore per trasferire la carica 𝑑𝑞 da un’armatura all’altra
del condensatore.

Si ha pertanto:

1 1
𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 − 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 = − 𝑉0 2 𝑑𝐶𝑒𝑞 = −𝑑𝑈𝐸 . (25)
2 2

𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑈𝐸
Dalla meccanica, allora, 𝐹𝑥 = − = , cosicché, dalla (25) abbiamo:
𝑑𝑥 𝑑𝑥

1 𝑑𝐶𝑒𝑞 𝜀0 𝐿𝑑
𝐹𝑥 = 𝑉0 2 =− 𝑉 2
. (26)
2 𝑑𝑥 2𝐷(𝐷−𝑑) 0
9
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La lamina, pertanto, verrà attratta verso l’interno del condensatore. La forza


𝐹𝑒 necessaria a mantenere l’equilibrio, sarà uguale in modulo e opposta in verso a
𝐹𝑥 , e avrà modulo

𝜀0 𝐿𝑑 2
𝐹𝑒 = 𝑉 = 2.21 × 10−9 𝑁. (27)
2𝐷(𝐷−𝑑) 0

Se il condensatore non fosse stato collegato ad un generatore esterno, la carica 𝑄 sarebbe


risultata costante e avremmo avuto 𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑑𝑈𝐸 . Avremmo inoltre avuto:
1 𝑄2
𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑈𝐸 = .
2 𝐶𝑒𝑞 (𝑥)

Cisicché la componente 𝐹𝑥 della forza sulla lamina sarebbe stata:


𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑈𝐸 1 𝑄 2 𝑑𝐶
𝑒𝑞
𝐹𝑥 = − =− = ( ) . (28)
𝑑𝑥 𝑑𝑥 2 𝐶(𝑥) 𝑑𝑥

Esempio 4

Quanto vale la forza agente sulle armature di un condensatore piano supponendo costante
la carica depositata su ciascuna armatura?

Soluzione

Siamo nella condizione nella quale


1 𝑄2
𝑈𝑇𝑂𝑇 = 𝑈𝐸 = ,
2 𝐶(𝑥)
con
𝑆
𝐶(𝑥) = 𝜀0 ,
𝑥
mentre 𝑥 è la distanza fra le armature. La forza tra le armature vale:

𝑑𝑈𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑈𝐸 𝑑 𝑄2 𝑄2 𝜎2
𝐹𝑥 = − =− =− ( 𝑥) = − = −𝑆 .
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑑𝑥 2𝜀0 𝑆 2𝜀0 𝑆 2𝜀0

Pertanto le armature sperimentano una forza attrattiva indipendente da 𝑥. La quantità


|𝐹𝑥 | 𝜎 2
𝑝𝐸 = =
𝑆 2𝜀0
10
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viene detta pressione elettrostatica. Ricordando che il modulo del campo elettrico
presente fra le armature vale 𝐸 = 𝜎/𝜀0 è semplice rendersi conto della validità della
seguente relazione:
𝜀0 𝐸 2
𝑝𝐸 = = 𝑢𝐸 ,
2
dalla quale risulta che la pressione elettrostatica coincide con la densità di energia
elettrostatica del sistema.

3. Circuito di carica di un condensatore


Abbiamo detto in precedenza che per poter ottenere una distribuzione di carica sulle
armature di un condensatore piano è necessaria l’azione di un agente esterno che compia
lavoro contro le forze del campo elettrico.
Questo agente esterno è un dispositivo che viene detto generatore di tensione. Un
generatore di tensione (batteria) è un dispositivo che mantiene una fissata differenza di
potenziale (tensione) tra due punti detti poli del generatore. La differenza di potenziale è
mantenuta costante a spese dell’energia chimica delle reazioni che avvengono all’interno
del generatore. I poli del generatore sono delle regioni conduttive a differente potenziale.
Il polo a potenziale maggiore viene detto polo positivo, mentre quello a potenziale minore
è detto polo negativo.
Il condensatore può essere caricato
𝑉𝐴 𝑉𝐵 connettendolo ad un generatore di
tensione mediante un circuito elettrico.
Un circuito elettrico è un percorso
conduttivo chiuso attraverso il quale le
cariche elettriche possono spostarsi.
Analizziamo il circuito capacitivo
− −
mostrato in figura. Esso è costituito da un
𝑉 = 𝑉+ − 𝑉− 𝑉 = 𝑉+ − 𝑉− generatore di tensione collegabile tramite
fili conduttivi ideali alle armature del
condensatore. Supponiamo il
condensatore inizialmente scarico. In questa condizione non è presente alcun accumulo di
carica sulle armature. Nel momento in cui i fili conduttivi sono collegati alle armature del
condensatore, gli elettroni sull’armatura migrano verso il polo positivo del generatore,
mentre un analogo numero di cariche negative va a depositarsi sull’armatura
abbandonando il polo negativo. Quando il circuito è costituito di fili conduttivi ideali,
questo processo risulta essere istantaneo. Nei conduttori reali, esso dura un certo tempo e
11
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termina quando la tensione ai capi del condensatore eguaglia quella ai capi del generatore.
Al termine del processo, l’armatura connessa al polo positivo ha accumulato la carica
positiva
𝑄 = 𝐶(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ),
mentre 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 eguaglia la tensione 𝑉 ai capi del generatore. La carica −𝑄 è accumulata
sull’armatura negativa.

Esempio 5
𝐶2
𝐶5
𝑥 Nel circuito puramente capacitivo mostrato in
𝐶1 𝐶3 figura un generatore mantiene una differenza
𝑉 di potenziale ai suo capi pari a 10,0 𝑉. Tutti i
− condensatori hanno identica capacità elettrica
𝐶4 pari a 10,0 𝜇𝐹. Quanto vale la carica su 𝐶1 e
su 𝐶2 ?
Soluzione

La carica sul condensatore 𝐶1 vale semplicemente:


𝑞1 = 𝐶1 𝑉 → 100 𝜇𝐶. 𝑞2
Il calcolo della carica sul condensatore 𝐶2 richiede maggiore −𝑞2 𝑞5
𝐶1
attenzione. Le equazioni che caratterizzano le grandezze 𝑥
elettriche del circuito sono le seguenti:
𝑞3
−𝑞5
𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑥 ) 𝑉 −𝑞3
𝑞3 = 𝐶(𝑉𝑥 − 𝑉𝑦 )

. 𝑞4
𝑞4 = 𝐶(𝑉𝑦 − 𝑉𝑏 )
𝑞5 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑦 ) −𝑞4
Inoltre la neutralità delle regioni evidenziate in figura impone i
seguenti vincoli:
−𝑞2 𝑞3 = 0
.
−𝑞3 − 𝑞5 𝑞4 = 0
12
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Abbiamo 6 equazioni in 6 incognite. Utilizzando le ultime due relazioni possiamo scrivere


quanto segue:
𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑥 )
𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑥 − 𝑉𝑦 )
,
𝑞4 = 𝐶(𝑉𝑦 − 𝑉𝑏 )
{𝑞4 − 𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑦 )
che è un sistema di 4 equazioni in 4 incognite. Sommando le prime tre equazioni
otteniamo:
2𝑞2 𝑞4 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 ).
La somma delle ultime due equazioni restituisce la relazione:
2𝑞4 − 𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 ).
Le precedenti relazioni costituiscono un sistema di due equazioni e due incognite:
2𝑞 𝑞4 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 )
{ 2 .
2𝑞4 − 𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 )
Moltiplicando la prima equazione per un fattore 2 e la seconda per −1 otteniamo il sistema
equivalente:
4𝑞 2𝑞4 = 2𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 )
{ 2 .
−2𝑞4 𝑞2 = −𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 )
Sommando membro a membro le precedenti otteniamo:
𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 )
5𝑞2 = 𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 ) → 𝑞2 = .
5
Pertanto la carica 𝑞2 vale:
𝐶(𝑉𝑎 − 𝑉𝑏 ) (10,0 ∙ 10−6 )(10,0)
𝑞2 = = 𝐶 = 20,0 ∙ 10−6 𝐶 = 20,0 𝜇𝐶.
5 5
1
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Polarizzazione di materiali dielettrici

1. Il momento di dipolo elettrico di una distribuzione neutra di cariche


A differenza dei conduttori, i materiali dielettrici (o, semplicemente, dielettrici) non
presentano cariche libere al proprio interno. Pertanto, questi materiali sono chiamati anche
“isolanti”, in antitesi con il termine “conduttore”. In presenza di un campo elettrico 𝐸⃗ ,
tuttavia, gli atomi o le molecole all’interno del dielettrico sono soggetti al fenomeno della
polarizzazione.
Prima di studiare questo fenomeno, dobbiamo generalizzare la
q1 q2
…. nozione di dipolo elettrico data, in forma semplice, nelle precedenti
r1 r2
lezioni. Una distribuzione discreta di carica (formata da 𝑁 cariche,
rN
𝑞1 , 𝑞2 , .., 𝑞𝑁 nelle posizioni 𝑟1 , 𝑟2 ,… 𝑟𝑁 , rispettivamente, con 𝑞1 +
𝑞2 + ⋯ + 𝑞𝑁 = 0) possiede momento di dipolo 𝑝 diverso da zero,
se la quantità 𝑞1 𝑟1 + 𝑞2 𝑟2 + ⋯ + 𝑞𝑁 𝑟𝑁 , che corrisponde a 𝑝, è
O diversa da zero. Possiamo quindi scrivere:

𝑝 = 𝑞1 𝑟1 + 𝑞2 𝑟2 + ⋯ + 𝑞𝑁 𝑟𝑁 = ∑𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 𝑟𝑖 , (1)

con la richiesta che


𝑞1 + 𝑞2 + ⋯ + 𝑞𝑁 = ∑𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 = 0. (2)

Si può inoltre dimostrare che il momento di dipolo elettrico è indipendente dal riferimento
scelto. Infatti, se scegliessimo un riferimento diverso tale che 𝑟′𝑖 = 𝑟𝑖 − 𝑟0 , la (1) si
riscriverebbe come segue:

𝑝 ′ = ∑𝑁 𝑁 𝑁 𝑁
𝑖=1 𝑞𝑖 𝑟 ′𝑖 = ∑𝑖=1 𝑞𝑖 (𝑟𝑖 − 𝑟0 ) = ∑𝑖=1 𝑞𝑖 𝑟𝑖 − 𝑟0 ∑𝑖=1 𝑞𝑖 = 𝑝. (3)

Esempio
y
Calcolare il momento di dipolo elettrico del sistema di cariche
Q=+2q
a descritto in figura, dove due cariche negative (– 𝑞) sono poste sui
vertici inferiori di un triangolo equilatero di lato 𝑎 e la carica
-q -q x
O positiva 𝑄 = +2𝑞 è posta sul terzo vertice.

Soluzione

Scriviamo la (1) come segue:


2
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𝑎 𝑎 √3𝑎
𝑝 = −𝑞 (− 𝑥̂) − 𝑞 (+ 𝑥̂) + 2𝑞 (+ 𝑦̂). (4)
2 2 2

E perciò:

𝑝 = √3𝑎𝑞𝑦̂. (5)

2. Polarizzazione dei dielettrici


Un dielettrico è un sistema neutro (∑𝑁 𝑖=1 𝑞𝑖 = 0) nel quale non vi sono cariche libere.
L’applicazione in un campo elettrico 𝐸⃗ ad un dielettrico produce una perturbazione che
genera una redistribuzione localizzata della carica elettrica. In conseguenza di questo
fenomeno, il dielettrico si polarizza esibendo un momento di dipolo elettrico sostenuto
dalla presenza del campo elettrico. Il fenomeno della polarizzazione di un dielettrico
avviene principalmente attraverso due meccanismi detti:
a) polarizzazione per deformazione (o polarizzazione elettronica);
b) polarizzazione per orientamento.

Polarizzazione per deformazione


Un atomo neutro, in assenza di campo elettrico, possiede, in
genere, una distribuzione di elettroni simmetrica rispetto al
E=0 nucleo. Quando un campo elettrico è applicato a questo
atomo, si ha una redistribuzione della nuvola elettronica, così
come mostrato in figura, in modo che un dipolo elettrico viene
a crearsi, proprio a causa della presenza del campo elettrico.
Possiamo ipotizzare allora che, in una sostanza formata da più
atomi, come ad esempio un gas nobile, la densità volumica dei
E momenti di dipolo, chamato vettore di polarizzazione 𝑃⃗, sia
p proporzionale al campo elettrico 𝐸⃗ . Vedremo in dettaglio come
esprimere questa relazione.
3
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Polarizzazione per orientamento


+q Un dipolo elettrico si orienta lungo le linee di forza del campo elettrico
 𝐸⃗ . Abbiamo visto ciò considerando il momento meccanico 𝑀 ⃗⃗ , che la
s forza elettrica esercita su un dipolo elettrico con momento di dipolo 𝑝,
dimostrando che 𝑀 ⃗⃗ = 𝑝 × 𝐸⃗ . Il momento 𝑀⃗⃗ è nullo quando 𝑝 ed 𝐸⃗ sono
allineati.
-q
E’ inoltre possibile dimostrare che l’energia di un dipolo elettrico in
presenza di campo elettrico è minima quando 𝑝 = 𝑞∆𝑠 ed 𝐸⃗ sono allineati.
A tal riguardo, supponiamo il dipolo contenuto nel piano 𝑥𝑦 con il suo centro nell’origine
degli assi. Sia il campo elettrico uniforme ed orientato lungo l’asse 𝑦. Supponiamo di
applicare un momento esterno 𝑀 ⃗⃗ 𝑒𝑥 = 𝑀𝑒𝑥 𝑧̂ al dipolo che induca una rotazione del dipolo
attorno all’asse 𝑧 a velocità angolare costante 𝜔 ⃗ = 𝜔 𝑧̂ . Questo è possibile in quanto la
risultante dei momenti applicati al dipolo è nulla e vale la relazione:
⃗⃗ 𝑒𝑥 + 𝑀
𝑀 ⃗⃗ = 0,

dove è opportuno notare che 𝑀 ⃗⃗ è diretto lungo l’asse 𝑧. Il lavoro elementare 𝑑𝐿 compiuto
dal momento esterno 𝑀 ⃗⃗ 𝑒𝑥 per compiere una rotazione infinitesima nell’intervallo
temporale 𝑑𝑡 vale:
⃗⃗ 𝑒𝑥 ∙ 𝜔
𝑑𝐿 = 𝑀 ⃗⃗ ∙ 𝜔
⃗ 𝑑𝑡 = −𝑀 ⃗⃗ |𝜔 𝑑𝑡 = −|𝑀
⃗ 𝑑𝑡 = −|𝑀 ⃗⃗ |𝑑𝜃 = −|𝑝||𝐸⃗ | sin 𝜃 𝑑𝜃.

D’altra parte il lavoro elementare delle forze elettriche può scriversi in termini della
⃗⃗ |𝑑𝜃 = −𝑑𝑈𝑒 , dove
variazione infinitesima dell’energia potenziale elettrica nella forma |𝑀
𝑈𝑒 rappresenta l’energia potenziale delle forze elettriche indotte dal campo. Di qui segue
che:

𝑑𝑈𝑒 = |𝑝||𝐸⃗ | sin 𝜃 𝑑𝜃 = 𝑑(−|𝑝||𝐸⃗ | cos 𝜃).


Abbiamo quindi ricavato l’energia di un dipolo in campo elettrico vale:

𝑈𝑒 = −|𝑝||𝐸⃗ | cos 𝜃 = −𝑝 ∙ 𝐸⃗ , (6)

ed è minima se 𝑝 ∥ 𝐸⃗ . Quando un dielettrico è formato da molecole polari (molecole


dotate di momento di dipolo intrinseco) esso può essere pensato come una collezione di
dipoli orientati casualmente all’interno del volume del materiale. In questa condizione il
momento di dipolo elettrico totale tende ad essere compensato. Quando viene applicato
un campo elettrico, i dipoli elementari tendono ad orientarsi lungo la direzione del capo
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dando luogo ad un momento di dipolo diverso da zero. In questo modo si ottiene la


polarizzazione del dielettrico mediante il meccanismo della polarizzazione per
orientamento.

3. Vettore di polarizzazione elettrica


Consideriamo adesso un dielettrico in un condensatore, come mostrato in figura. Nel
condensatore carico è presente un campo elettrico che polarizza il dielettrico. La
polarizzazione del dielettrico produce un momento di dipolo elettrico finito in risposta
all’applicazione del campo elettrico. Da questo punto di vista il dielettrico può essere
pensato come un materiale nel quale punto per punto è possibile definire una densità
-Q volumica di momento di dipolo elettrico. Essa può
-|
esprimersi introducendo un nuovo campo vettoriale
- - - - - - -
+ + + + + + + + + + + + + +|P| detto vettore polarizzazione elettrica 𝑃⃗. Il vettore
- - - - - - - - -- - - - polarizzazione elettrica è legato al momento di
+ + + + + + + + + + + + +
- - - - - - - - -- - - - dipolo infinitesimo 𝑑𝑝 generato dal volumetto 𝑑𝜏
+ + + + + + + + + + + + + dalla relazione:
- - - - - - - - - - - - - -|P|
+ + + + + +
𝑑𝑝 = 𝑃⃗ 𝑑𝜏. (7)
+Q +|
In questa definizione 𝑑𝜏 è una regione mesoscopica
capace di contenere un numero elevato di dipoli elementari, ma abbastanza piccola da
permettere di definire il campo vettoriale 𝑃⃗ in ogni punto dello spazio. Il fatto che il
dielettrico sia sede di momenti di dipolo microscopici lascia pensare che questi
contribuiscano a creare un campo elettrico. Le sorgenti di questo campo sono le cariche
di polarizzazione. Vogliamo adesso stabilire un nesso tra il vettore di polarizzazione
elettrica 𝑃⃗ e la densità di carica di polarizzazione.

4. Proprietà del vettore di polarizzazione elettrica


Il contributo infinitesimo al potenziale elettrico 𝑑𝑉 generato nel punto 𝑟 dello spazio da
un momento di dipolo infinitesimo 𝑑𝑝 posto in 𝑟′ vale:

𝑑𝑝 ∙ (𝑟 − 𝑟′) 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) ∙ (𝑟 − 𝑟′) ′ ′ ′ (8)


𝑑𝑉 = 𝑘 =𝑘 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 ,
|𝑟 − 𝑟′|3 |𝑟 − 𝑟′|3

essendo la precedente una approssimazione valida a grande distanza dal dipolo.


5
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Ne segue che il potenziale generato nel punto 𝑟 si ottiene integrando su tutto il volume del
dielettrico ottenendo:

𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ (𝑟 − 𝑟′) ′ ′ ′ (9)


𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 .
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|3

Dalla precedente non è immediato riconoscere il nesso esistente tra le cariche di


polarizzazione ed il vettore 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′). Per riconoscere questo nesso, introduciamo le
densità volumica 𝜌𝑃 e superficiale 𝜎𝑃 di carica di polarizzazione. In termini di queste,
dalla definizione di potenziale, otteniamo:
𝑘 𝜌𝑃 (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝜏′ 𝑘 𝜎𝑃 (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 𝑑𝑆′ (10)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ +∫ .
𝜏 |𝑟 − 𝑟′| 𝑆 |𝑟 − 𝑟′|

Per seguire il nostro programma occorre scrivere la (9) nella forma della (10). A questo
proposito osserviamo che
1 𝑟 − 𝑟′ (11)
)= ⃗ ′(

|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|3
⃗ ′ rappresenta il gradiente rispetto alle variabili primate. Dalla precedente, tenendo
dove ∇
conto della (9), otteniamo la relazione:
1 (12)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ∙ ∇
⃗ ′( ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|

Adesso è utile osservare quanto segue:

𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) 1 ⃗ ′ ∙ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)



⃗ ′∙(
∇ ) = ⃗
𝑃 (𝑥 ′ ′
, 𝑦 , 𝑧′) ∙ ⃗
∇ ′ ( ) + .
|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|
Utilizzando la precedente, la (12) prende la forma:

𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ ∇ ⃗ ′∙( ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|
⃗ ′ ∙ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)
−∇
+𝑘∫ 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
𝜏 |𝑟 − 𝑟′|

Applicando il teorema della divergenza al primo integrale della precedente otteniamo:


6
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⃗ ′ ∙ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′)
−∇ 𝑃⃗(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) ∙ 𝑛̂′ (13)
′ ′ ′
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = 𝑘 ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 + 𝑘 ∫ 𝑑𝑆′
𝜏 |𝑟 − 𝑟′| 𝑆 |𝑟 − 𝑟′|

Il confronto tra la (13) e la (10) immediatamente implica:

𝑃⃗ ∙ 𝑛̂ = 𝜎𝑃 ,
⃗ ∙ 𝑃⃗ = −𝜌𝑃 .

Vedremo in seguito come utilizzare proficuamente la prima relazione. Per il momento


concentriamoci sulle conseguenze che la seconda relazione ha sulla prima equazione di
Maxwell.

5. Il vettore spostamento elettrico


In una regione dello spazio dove c’è materia (nel nostro caso un materiale dielettrico), non
possiamo non tener conto, così come abbiamo visto, delle cariche di polarizzazione. In
questo modo, la prima equazione di Maxwell si dovrà scrivere come segue:
⃗ ∙ 𝐸⃗ = (𝜌+𝜌𝑃 ).
∇ (14)
𝜀0

⃗ ∙ 𝑃⃗ = −𝜌𝑃 si ha:
Ricordando che ∇
1 𝜌
⃗ ∙ 𝐸⃗ +
∇ ⃗ ∙ 𝑃⃗ =
∇ . (15)
𝜀0 𝜀0

⃗ come segue:
Definendo adesso il vettore spostamento elettrico 𝐷
⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝑃⃗,
𝐷 (16)
possiamo riscrivere la (15) nella forma compatta seguente:
⃗ ∙𝐷
∇ ⃗ = 𝜌. (17)
La (17) dipende soltanto dalle cariche libere, mentre gli effetti di polarizzazione del
dielettrico sono contenuti nella definizione del vettore spostamento elettrico. La (17) è
perciò chiamata prima equazione di Maxwell in presenza di materia.
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6. Campo elettrico e polarizzazione elettrica: la risposta lineare


Abbiamo detto che un campo elettrico, applicato a un dielettrico, produce una
polarizzazione, che si ottiene o per deformazione della distribuzione della carica atomica
o per orientamento di molecole polari. Tuttavia, ancora non abbiamo dato una relazione
tra causa (il campo elettrico) ed effetto (la polarizzazione del dielettrico). Per campi non
troppo intensi, possiamo pensare che vi sia una dipendenza lineare tra il campo elettrico
𝐸⃗ e il vettore di polarizzazione elettrica 𝑃⃗. In questo limite, allora, definiamo tale
proporzionalità nel modo seguente:

𝑃⃗ = 𝜀0 𝜒𝑒 𝐸⃗ , (18)
dove 𝜒𝑒 , si chiama suscettività elettrica. Ritroveremo questo modo di ragionare quando
discuteremo di “campo magnetico” e “vettore induzione magnetica”. In quella sede
definiremo una relazione tra queste due grandezze introducendo la suscettività magnetica
𝜒𝑚 . La (18) consente di introdurre, attraverso la suscettività elettrica, la costante
dielettrica del mezzo. Consideriamo infatti la (16) e la (18) e scriviamo:
⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝜀0 𝜒𝑒 𝐸⃗ = 𝜀0 (1 + 𝜒𝑒 )𝐸⃗ = 𝜀𝐸⃗ ,
𝐷 (19)
dove 𝜀 = 𝜀0 (1 + 𝜒𝑒 ) è, appunto, la costante dielettrica del mezzo. Nel vuoto 𝜒𝑒 = 0, cosa
che implica 𝐷 ⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ . Utilizzando la precedente nella (17) si ritrova la prima equazione
di Maxwell in assenza di materia. Infine, definendo la costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 =
(1 + 𝜒𝑒 ), si può scrivere:
⃗ = 𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ .
𝐷 (20)
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Proprietà dei dielettrici

1. Condizioni di raccordo per il campo elettrico


Quando si passa da un dielettrico con una costante dielettrica 𝜀1 ad un altro con una
costante dielettrica 𝜀2 , il campo elettrico varia; ossia, il campo
E2 elettrico presente nella prima regione si raccorda in modo ben
S2 E1
1 preciso con quello presente nella seconda. Vediamo adesso in
2  1
che modo.
S1 Consideriamo dapprima la componente normale del campo
E1
elettrico e ricordiamo l’equazione di Maxwell in presenza di
materia nella forma ∇⃗ ∙𝐷 ⃗ = 𝜌. Essa, in forma integrale, si scrive
come Φ(𝐷 ⃗ ) = 𝑞, dove 𝑞 rappresenta la carica libera interna al
volume racchiuso dalla superficie gaussiana. Considerando la
superficie gaussiana cilindrica in figura, al cui interno non vi
sono cariche libere, possiamo scrivere Φ(𝐷 ⃗ ) = 0. Restringendo la superficie laterale del
⃗ ) dati dalle superfici
cilindro in figura, possiamo considerare i soli contibuti al flusso Φ(𝐷
di base di estensione 𝑆, cosicché otteniamo:

⃗ 1 ∙ 𝑆1 + 𝐷
𝐷 ⃗ 2 ∙ 𝑆2 = 0. (1)

Dalla precedente abbiamo:


−𝐷1𝑛 𝑆 + 𝐷2𝑛 𝑆 = 0 → 𝜀1 𝐸1𝑛 = 𝜀2 𝐸2𝑛 . (2)

dove 𝐷𝑘𝑛 e 𝐸𝑘𝑛 (𝑘 = 1,2) sono le componenti del vettore


spostamento elettrico e del campo elettrico, rispettivamente,
E2 1 normali all’interfaccia.
2 l2 Considerando adesso le componenti 𝐸𝑘𝑡 (𝑘 = 1,2) tangenziali
E1
all’interfaccia, prendiamo in esame il percorso chiuso in
l1
prossimità della linea di separazione delle due regioni, così come
mostrato in figura. Essendo il campo elettrico conservativo,
l’integrale di linea lungo il percorso chiuso mostrato deve essere
nullo, cosicché:

𝐸⃗1 ∙ 𝑙1 + 𝐸⃗2 ∙ 𝑙2 = 0. (3)


2
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Essendo adesso 𝑙1 = −𝑙2 = −𝑙𝑡̂, ove 𝑡̂ è il versore nella direzione tangente all’interfaccia.
Sostituendo nella (3) si ha:
𝐸1𝑡 = 𝐸2𝑡 . (4)

Quindi, la componente del campo elettrico tangente all’interfaccia si conserva, quando si


passa da una regione con una costante dielettrica 𝜀1 a uno con una costante dielettrica 𝜀2 .
Le condizioni di raccordo del campo elettrico all’interfaccia tra mezzi dielettrici valgono:

𝜀1 𝐸1𝑛 = 𝜀2 𝐸2𝑛 ;
𝐸1𝑡 = 𝐸2𝑡 .

2. Un condensatore a facce piane e parallele con dielettrico

-Q Adesso vorremmo considerare l’effetto dell’inserzione di


- - - - - - - un mezzo isolante di costante dielettrica 𝜀 all’interno di un
condensatore a facce piane e parallele distanziate di 𝑑 e di
area 𝑆, così come rappresentato in figura. Pertanto, se sul
+ + + + + +

+Q
condensatore è presente una carica 𝑄, vogliamo calcolare:
a) il campo elettrico all’interno del condensatore;
b) la differenza di potenziale ai capi delle armature;
c) la capacità del condensatore;
d) la densità di carica di polarizzazione in prossimità delle armature.
e) La denistà di energia all’interno del dielettrico.

-Q a) Per rispondere alla prima domanda, applichiamo il


- - - - - - - ⃗,
teorema di Gauss, per il vettore spostamento elettrico 𝐷
S D considerando la regione che racchiude l’armatura inferiore,
+ + + + + +
scrivendo:
+Q D=0
⃗ ∙ 𝑆 = 𝑄 → 𝐷𝑆 = 𝑄 → 𝐷 = 𝜎.
𝐷 (5)
𝐷
Siccome adesso 𝐸 = , si ha:
𝜀
𝜎
𝐸= . (6)
𝜀0 𝜀𝑟
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Si osservi che l’intensità di questa grandezza fisica è più piccola rispetto al campo 𝐸0 =
𝜎
nel vuoto.
𝜀0

b) La differenza di potenziale 𝑉, essendo 𝐸⃗ uniforme, sarà:

𝜎𝑑 𝑄𝑑
𝑉 = 𝐸𝑑 = = . (7)
𝜀 𝜀𝑆

c) La capacità del condensatore sarà:

𝑄 𝑆
𝐶= = 𝜀0 𝜀𝑟 . (8)
𝑉 𝑑

𝑆
Possiamo esprimere questa capacità in termini della omologa quantità 𝐶0 = 𝜀0 ottenuta
𝑑
quando è fatto il vuoto tra le armature del condensatore. Così, si ha:

𝐶 = 𝜀𝑟 𝐶0 . (9)

Alcune costanti dielettriche relative

Materiale 𝜺𝒓
Vetro 4÷7
Acqua (l) 80
Porcellana 6÷8

d) Per quanto riguarda la carica di polarizzazione, abbiamo notato che 𝜎𝑃 = 𝑃⃗ ∙ 𝑛̂.


Pertanto, nella parte superiore si ha 𝜎𝑃 = +𝑃 e nella parte inferiore si ha 𝜎𝑃 =
−𝑃.
𝜎
Essendo 𝑃 = 𝐷 − 𝜀0 𝐸 = 𝜀0 (𝜀𝑟 − 1) , avremo:
𝜀0 𝜀𝑟

𝜀𝑟 −1
|𝜎𝑃 | = 𝜎. (10)
𝜀𝑟
4
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e) Per calcolare la densità di energia, calcoliamo dapprima l’energia elettrica


1 𝑑
attraverso la formula 𝑈𝐸 = 𝑄2 = 𝑄2 . Dividendo adesso per il volume
2𝐶 2𝜀0 𝜀𝑟 𝑆
𝑆𝑑 si ha:
𝑈𝐸 1 𝑄 2 1 𝜎 1
𝑢𝐸 = = (𝑆 ) = 2 𝜀 𝜎 = 𝐸𝐷. (11)
𝑆𝑑 2𝜀0 𝜀𝑟 0 𝜀𝑟 2

Generalizzando tale espressione, scriviamo


1
𝑢𝐸 = 𝐸⃗ ∙ 𝐷
⃗. (12)
2

3. Una sfera conduttrice carica in acqua

Vediamo adesso come si comporta una sfera


conduttrice carica immersa in un dielettrico. Per
fissare le idee, pensiamo a una sferetta di raggio 𝑅
con carica 𝑄 positiva mantenuta sospesa in acqua da
Q
un filo di cotone sottile, così come mostrata in figura.
Vogliamo calcolare il campo elettrico in acqua e la
densità superficiale di carica nei pressi della sfera

conduttrice 𝜎𝑃 .

Svolgimento

⃗ ci dà:
Possiamo ricordare che l’applicazione della legge di Gauss per 𝐷

⃗ ) = 𝑄.
Φ(𝐷 (13)

Pertanto, scegliendo una superficie gaussiana concentrica con la sferetta di raggio 𝑟 > 𝑅
si ha, per la simmetria sferica del problema:
𝑄
(4𝜋𝑟 2 )𝐷 = 𝑄 → 𝐷 = . (14)
4𝜋𝑟 2

Quindi, si ha:
𝐷 𝑄
𝐸= = . (15)
𝜀𝐴 4𝜋𝜀𝐴 𝑟 2
5
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Sappiamo che nell’acqua gli strati adiacenti di cariche di


polarizzazione fanno in modo che 𝜌𝑃 = 0, ma nei pressi della
P
n
sferetta si ha:
𝑄
𝑃 = 𝜀0 (𝜀𝑟𝐴 − 1)𝐸 = (𝜀𝑟𝐴 − 1) . (16)
4𝜋𝜀𝑟𝐴 𝑅 2

In questo modo, considerando la figura sopra in cui si fa vedere


che 𝑃⃗ è antiparallelo a 𝑛̂, si ha:
𝜀𝑟𝐴 −1
𝜎𝑃 = − 𝜎, (17)
𝜀𝑟𝐴

𝑄
ove 𝜎 = è la densità di carica sul conduttore.
4𝜋𝑅 2

4. Condensatori “strani”

Consideriamo il condensatore in figura, con armature a


-Q distanza 𝑑 e di sezione 𝑆. Tale condensatore è per metà
- - - - - - - riempito di un dielettrico di costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 ,
così come mostrato in figura. Si trovi:
a) Il campo elettrico in tutto il condensatore;
+ + + + + + b) La densità di carica di polarizzazione 𝜎𝑃 ;
+Q c) La capacità del condensatore;
d) Il lavoro compiuto per inserire il dielettrico all’interno,
quando la carica 𝑄 è mantenuta costante.

a) Per rispondere alla prima domanda, dobbiamo notare che la componente del
campo elettrico normale all’interfaccia non si conserva. Si conserva, invece la
componente normale di 𝐷 ⃗ = 𝜎𝑦̂ = 𝑄 𝑦̂. Pertanto, si ha:
𝑆


𝐷 𝜎 𝑑
𝐸⃗1 = = 𝑦̂, per 0≤𝑦< (18a)
𝜀0 𝜀𝑟 𝜀0 𝜀𝑟 2

𝐷 𝜎 𝑑
𝐸⃗2 = = 𝑦̂, per <𝑦≤𝑑 (18b)
𝜀0 𝜀0 2

𝜀𝑟 −1
b) |𝜎𝑃 | = 𝑃 = 𝜀0 (𝜀𝑟 − 1)𝐸1 = 𝜎.
𝜀𝑟
c) Il condensatore può essere visto come una connessione in serie di due
𝑑
condensatori, di capacità 𝐶1 e 𝐶2 , il primo con armature a distanza tra loro,
2
contenente un dielettrico con costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 , il secondo in
6
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𝑑
presenza di vuoto, con armature alla stessa distanza . Pertanto, possiamo
2
scrivere:
1 1 1 𝑑 𝑑 𝑑 1
= + = + = ( + 1). (19)
𝐶 𝐶 𝐶𝑒𝑞 2𝜀 𝜀 𝑆 12𝜀 𝑆 2𝜀 𝑆 𝜀
2 0 𝑟 0 0 𝑟

In questo modo, si avrà:


2𝜀0 𝑆 𝜀𝑟
𝐶𝑒𝑞 = . (20)
𝑑 𝜀𝑟 +1

d) Energia elettrica prima di inserire il dielettrico:


1 𝑄2 1 𝑄2 𝑑
𝑈𝐸0 = = . (21)
2 𝐶0 2 𝜀0 𝑆

Energia elettrica dopo l’inserimento del dielettrico


1 𝑄2 1 𝑄2 𝑑 𝜀𝑟 +1
𝑈𝐸1 = = . (22)
2 𝐶𝑒𝑞 4 𝜀0 𝑆 𝜀𝑟

La variazione di energia interna è il lavoro compiuto da un agente esterno; cosicché:


1 𝑄2 𝑑 𝜀𝑟 +1 1 𝑄2 𝑑 1 𝑄2 𝑑 𝜀𝑟 +1 1 𝑄2 𝑑
𝐿 = 𝑈𝐸1 − 𝑈𝐸0 = − = ( 2𝜀 − 1) = 4 𝜀 (1 − 𝜀𝑟 ) < 0. (23)
4 𝜀0 𝑆 𝜀𝑟 2 𝜀0 𝑆 2 𝜀0 𝑆 𝑟 0 𝜀𝑟 𝑆

Un lavoro negativo implica che l’agente esterno deve trattenere il dielettrico. Esso è infatti
attratto all’interno del condensatore. La forza attrattiva è conseguenza del fatto che
l’energia elettrostatica del sistema a condensatore vuoto è maggiore di quella che si ha
quando il dielettrico è interposto fra le armature.
1
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IL ROTORE DI UN CAMPO VETTORIALE E IL TEOREMA DI


STOKES

1. Il rotore di un campo vettoriale

Lo sviluppo dell’elettrostatica ci ha portato ad introdurre la prima equazione di Maxwell.


Essa è formulata in termini della divergenza del campo elettrico (∇ ⃗ ∙ 𝐸⃗ ), che formalmente
rappresenta il prodotto scalare tra l’operatore nabla ed il campo elettrico. Ci chiediamo se
sia possibile introdurre nella teoria (e quale significato fisico abbia) il prodotto vettoriale
tra l’operatore nabla ed il campo elettrico in modo da scrivere:

⃗ × 𝐸⃗ ,

quantità che viene detta rotore del campo 𝐸⃗ . Ricordiamo che il prodotto vettoriale tra i
⃗ = (𝐵𝑥 𝑥̂ + 𝐵𝑦 𝑦̂ + 𝐵𝑧 𝑧̂ ), può essere calcolato come
vettori 𝐴 = (𝐴𝑥 𝑥̂ + 𝐴𝑦 𝑦̂ + 𝐴𝑧 𝑧̂ ) e 𝐵
segue:

𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝐴 𝐴𝑧 𝐴 𝐴𝑧 𝐴𝑥 𝐴𝑦
⃗ = 𝑑𝑒𝑡 (𝐴𝑥
𝐴×𝐵 𝐴𝑦 𝐴𝑧 ) = | 𝑦 | 𝑥̂ − | 𝑥 | 𝑦̂ + | | 𝑧̂ . (1)
𝐵𝑦 𝐵𝑧 𝐵𝑥 𝐵𝑧 𝐵𝑥 𝐵𝑦
𝐵𝑥 𝐵𝑦 𝐵𝑧
Dopo il calcolo dei determinanti nella (1), avremo:

⃗ = (𝐴𝑦 𝐵𝑧 − 𝐴𝑧 𝐵𝑦 )𝑥̂ − (𝐴𝑥 𝐵𝑧 − 𝐴𝑧 𝐵𝑥 )𝑦̂ + (𝐴𝑥 𝐵𝑦 − 𝐴𝑦 𝐵𝑥 )𝑧̂ .


𝐴×𝐵 (2)
Quanto detto per vettori ordinari vale anche per il vettore formale nabla. Infatti,
utilizzando la (1), otteniamo:

𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗ × 𝐸⃗ = 𝑑𝑒𝑡 ( 𝜕𝑥
∇ 𝜕𝑦 𝜕𝑧 ) =
𝐸𝑥 𝐸𝑦 𝐸𝑧

= (∂𝑦 𝐸𝑧 − ∂𝑧 𝐸𝑦 )𝑥̂ − (∂𝑥 𝐸𝑧 − ∂𝑧 𝐸𝑥 )𝑦̂ + (∂𝑥 𝐸𝑦 − ∂𝑦 𝐸𝑥 )𝑧̂ ,


(3)
𝜕 𝜕 𝜕
dove abbiamo introdotto la notazione abbreviata ∂𝑥 = , ∂𝑦 = , ∂𝑧 = .
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
2
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2. Il teorema di Stokes

Siamo adesso pronti ad introdurre il teorema di Stokes. Esso afferma che la circuitazione
di un campo vettoriale lungo il percorso 𝐶 è pari al flusso del suo rotore attraverso una
qualsiasi superficie 𝑆 avente per bordo 𝐶. In termini matematici, possiamo scrivere:

⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆. (4)
𝑆

Vogliamo dare un argomento di plausibilità, piuttosto che una prova rigorosa, che possa
convincerci della validità della (4). Consideriamo allora il
z
percorso infinitesimo decritto in figura, sul piano 𝑥 − 𝑦.
Calcoliamo la circuitazione, tenendo conto del fatto che il
campo elettrico si mantiene costante sui vari rami del percorso
𝐶 e scriviamo: Ey (0, y, 0)

Ex (x, 0, 0) O y
Ex (x, dy, 0)
⃗ → 𝐸𝑥 (𝑥, 0,0)𝑑𝑥 + 𝐸𝑦 (𝑑𝑥, 𝑦, 0)𝑑𝑦 −
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ x Ey (dx, y, 0)
𝐸𝑥 (𝑥, 𝑑𝑦, 0)𝑑𝑥 − 𝐸𝑦 (0, 𝑦, 0)𝑑𝑦. (5)
Raggrupando i termini, si ha:

⃗ → [𝐸𝑦 (𝑑𝑥, 𝑦, 0) − 𝐸𝑦 (0, 𝑦, 0)]𝑑𝑦 − [𝐸𝑥 (𝑥, 𝑑𝑦, 0) − 𝐸𝑥 (𝑥, 0,0)]𝑑𝑥. (6)
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ

z L’incremento infinitesimo di 𝐸𝑦 nella direzione 𝑥 può essere


𝜕𝐸𝑦
scritto come 𝑑𝑥. Similmente, l’incremento infinitesimo di
𝜕𝑥
𝜕𝐸𝑥
y
𝐸𝑥 nella direzione 𝑦 può essere scritto come 𝑑𝑦.
O 𝜕𝑦
Sostituendo nella (6) si ha allora:
x

𝜕𝐸𝑦 𝜕𝐸𝑥 𝜕𝐸𝑦 𝜕𝐸𝑥


⃗ →
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ 𝑑𝑥𝑑𝑦 − 𝑑𝑥𝑑𝑦 = ( − ) 𝑑𝑥𝑑𝑦 =
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝜕𝑦
⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑆𝑧 ,
(∇ (7)
𝑧

dove abbiamo considerato il vettore area 𝑑𝑆 = 𝑑𝑥𝑑𝑦 𝑧̂ . Quanto detto per superfici
infinitesime si generalizza al caso di superfici di estensione finita osservando che queste
sono ricopribili mediante sovrapposizione di superfici infinitesime, così come mostrato in
3
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figura. Quando sommiamo tutti i contributi, otteniamo ancora un integrale di linea lungo
il contorno 𝐶 della superficie 𝑆 e perciò potremmo scrivere la (7) (con il segno di
uguaglianza adesso!) come segue:

⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑆𝑧 . (8)
𝑆 𝑧

Con ragionamenti analoghi e considerando superfici orientate lungo 𝑥 e 𝑦, otteniamo:


⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑆𝑥 , (9)
𝑆 𝑥

⃗ = ∫ (∇
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑ℓ ⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑆𝑦 . (10)
𝑆 𝑦

Per una arbitraria superficie nello spazio, giungiamo finalmente alla (4), considerando le
proiezioni del contorno 𝐶 di tale superficie sui piani 𝑥 − 𝑦, 𝑦 − 𝑧 e 𝑥 − 𝑧.

E’ importante precisare che il flusso


̂2
̂1 ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) è calcolato attraverso una
qualsiasi superficie Σ che ha per
Σ2
Σ1 bordo la linea su cui è calcolata la
Γ
circuitazione. In questo modo, date le
superfici orientate Σ1 e Σ2 aventi per
̂1 bordo la stessa curva Γ, si ha
Γ 𝑑
ΦΣ1 (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = ΦΣ2 (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ).
Σ1 Σ2
Questa proprietà deriva dal fatto che
Σ2
𝛻⃗ × 𝐸⃗ ha flusso nullo attraverso
Γ
− ̂2 Γ qualsiasi superficie chiusa. Sia Σ ∗ una
− ̂2 superficie chiusa arbitraria. Dal
teorema della divergenza abbiamo:

ΦΣ∗ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = ∫ ∇
⃗ ∙ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧,
𝑉

dove 𝑉 rappresenta il volume racchiuso dalla superficie Σ ∗ . D’altra parte abbiamo:

𝛻⃗ ∙ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = 𝜕𝑥 (∂𝑦 𝐸𝑧 − ∂𝑧 𝐸𝑦 ) − ∂𝑦 (∂𝑥 𝐸𝑧 − ∂𝑧 𝐸𝑥 ) + ∂𝑧 (∂𝑥 𝐸𝑦 − ∂𝑦 𝐸𝑥 ) = 0,

cosa che implica ΦΣ∗ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = 0.


4
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Una superficie chiusa può essere ottenuta invertendo il segno delle normali della
superficie Σ2 e considerando la superficie chiusa risultante dall’unione Σ1 Σ2 , dove
abbiamo indicato con Σ2 la superficie che si ottiene invertendo le normali di Σ2 . In questo
modo si ha:

0 = ΦΣ 1 ⃗ × 𝐸⃗ ) = ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) + Φ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) − ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ )


Σ2 (𝛻 1 Σ2 1 2

→ ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = ΦΣ (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ),
1 2

dove abbiamo usato la proprietà ΦΣ2 (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ) = −ΦΣ2 (𝛻⃗ × 𝐸⃗ ). Il risultato ottenuto deriva
dal fatto che il rotore di un campo vettoriale definisce un nuovo campo vettoriale a
divergenza nulla. Un campo a divergenza nulla è detto solenoidale.

3. Dal teorema di Stokes alla terza equazione di Maxwell

Abbiamo visto che il campo elettrostatico è conservativo cosa che implica, tramite il
teorema di Stokes, la validità della seguente relazione

⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆 = 0.
∫𝑆 (∇ (11)
Essendo arbitraria la superficie attraverso la quale calcoliamo il flusso, la (11) implica la
relazione:
⃗ × 𝐸⃗ = 0,
∇ (12)
che è la terza (vedremo in seguito la seconda) equazione di Maxwell nel caso
elettrostatico. Si dice irrotazionale un campo a rotore nullo. Dimostriamo che un campo
conservativo (a circuitazione nulla) è a rotore nullo. Ci basta osservare che 𝐸⃗ = −∇
⃗ 𝑉, così
come avviente per ogni campo conservativo. Dalla precedente abbiamo:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗ ×∇
∇ ⃗ 𝑉 = 𝑑𝑒𝑡 ( 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 )
𝜕𝑥 𝑉 𝜕𝑦 𝑉 𝜕𝑧 𝑉
= 𝑥̂(𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝑉 − 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝑉) − 𝑦̂(𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝑉 − 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝑉) + 𝑧̂ (𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝑉 − 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝑉) = 0,

dove abbiamo fatto uso ecsplicito del teorema di Schwarz sullo scambio di derivate
parziali miste.
1
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LE EQUAZIONI DELL’ELETTROSTATICA E UN PRIMO


SGUARDO ALL’ELETTRODINAMICA

1. Equazione di Maxwell dell’elettrostatica

In precedenza abbiamo scritto il teorema di Stokes nella forma seguente:


∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝑆 (∇
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆. (1)

Vogliamo adesso scrivere le equazione di Maxwell per l’elettrostatica, sia nello spazio
vuoto, sia in presenza di dielettrici.
Il campo elettrostatico è conservativo, cosicché la sua circutazione lungo un arbitrario
percorso chiuso è pari a zero. In condizioni elettrostatiche, scriveremo la (1) come segue:

⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆 = 0,
∫𝑆 (∇ (2)

dalla quale otteniamo la relazione locale

⃗ × 𝐸⃗ = 0.
∇ (3)

La (3) è la terza equazione di Maxwell per il campo elettrostatico. In questo modo, nel
vuoto avremo le seguenti equazioni di Maxwell:

⃗ ∙ 𝐸⃗ = 𝜌/𝜀0 ,
∇ (4a)

⃗ × 𝐸⃗ = 0.
∇ (4b)

Le precedenti, in un mezzo omogeneo con constante dielettrica 𝜀, assumono la forma:

⃗ ∙𝐷
∇ ⃗ = 𝜌, (5a)

⃗ × 𝐸⃗ = 0,
∇ (5b)

⃗ è il vettore spostamento elettrico definito come segue:


dove 𝐷

⃗ = 𝜀𝐸⃗ = 𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ .
𝐷 (6)
2
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In mezzi non omogenei, bisogna prima determinare il vettore 𝐷 ⃗ e poi, attraverso le


relazioni di raccordo, calcolare il campo elettrico 𝐸⃗ . Tali relazioni si scrivono nella forma:

𝜀1 𝐸1𝑛 = 𝜀2 𝐸2𝑛 , (7a)

𝐸1𝑡 = 𝐸2𝑡 , (7b)

dove l’indice 𝑛 definisce la direzione normale all’interfacia, mentre 𝑡 quella tangenziale.

2. Un primo sguardo all’elettrodinamica

Se rilassiamo l’ipotesi di staticità del campo elettrico 𝐸⃗ , ossia, se immaginiamo che le


distribuzioni di cariche non siano più statiche, allora ci aspettiamo che non varrà più
l’equazione di Maxwell riportata nella (3) che dovremo, in seguito, provvedere a
modificare. La prima equazione di Maxwell non subirà alcuna variazione, giacché non
fonda la propria validità sulla conservatività del campo elettrico. Tuttavia, dovremo
trovare un modo per contare le cariche che fluiscono attraverso una superficie, se
vogliamo cercare di stabilire quante cariche, a un certo istante di tempo 𝑡, sono presenti
in una data regione dello spazio. Dobbiamo cioè definire il concetto di corrente elettrica.
Per fare questo consideriamo un conduttore cilindrico di sezione 𝑆. La corrente elettrica 𝑖
è definita come la quantità di carica elettrica ∆𝑞 che fluisce attraverso la sezione 𝑆 in un
certo intervallo di tempo ∆𝑡, divisa l’intervallo di tempo stesso. In formule, quindi:

∆𝑞
𝑖= . (8)
∆𝑡

Nel limite in cui ∆𝑡 → 0, possiamo porre


𝑑𝑞
𝑖= . (9)
𝑑𝑡

La corrente elettrica si misura in Ampere (A). Notiamo che non abbiamo detto nulla su
come la corrente elettrica fluisce attraverso la sezione 𝑆. La grandezza fisica che tiene
conto di ciò è la densità di corrente elettrica 𝐽 il cui flusso, attraverso 𝑆, determina proprio
la corrente 𝑖, cosicché:

∫𝑆 𝐽 ∙ 𝑑𝑆 = 𝑖. (10)
3
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Questa relazione mostrerà la sua utilità quando


z
dS
J
discuteremo il principio di conservazione della carica.
Intanto, però vediamo il significato fisico della (10).
Consideriamo allora la figura a lato e notiamo che, se la
y
densità di corrente varia da punto a punto in una data
O
sezione 𝑆 del conduttore, l’integrale nella (10) somma
x tutti i contributi infinitesimi 𝑑𝑖 = 𝐽 ∙ 𝑑𝑆 dati proprio da 𝐽
alla corrente 𝑖. Per semplificare le nostre considerazioni,
scegliamo un elemento di superficie 𝑑𝑆 nella stessa direzione di 𝐽. Il parallelismo tra 𝐽 e
𝑑𝑆 si ottiene, per esempio, nei conduttori filiformi. Sempre per rendere le cose semplici,
immaginiamo che la densità di corrente sia uniforne su tutta la sezione 𝑆, cosicché:

∆𝑞 ∆𝜏 𝑆∆𝑥
𝑖 =𝐽𝑆= = 𝑛𝑞 = 𝑛𝑞 . (11)
∆𝑡 ∆𝑡 ∆𝑡

dove 𝑛 è la densità dei portatori di carica, 𝑞 è la carica di ogni singolo


S
∆𝑥
 portatore, ∆𝜏 = 𝑆∆𝑥. Ponendo 𝑣 = e riconoscendo che la velocità 𝑣
v ∆𝑡

x dei portatori determina la direzione del vettore 𝐽, scriviamo finalmente:


𝐽 = 𝑛𝑞𝑣. (12)

Pertanto, conoscendo le proprietà meccaniche ed elettriche dei singoli portatori di carica,


possiamo determinare la densità di corrente 𝐽.
Questa espressione ci permette di stabilire che la densità di corrente
v+
 prodotta da portatori di carica positiva 𝑞 che si muovono in una data

v+ direzione è equivalente alla densità di corrente prodotta da portatori
v_
J di carica opposta che si muovono nella stessa direzione e in verso

v_ opposto. Infatti, considerando la figura a lato, possiamo scrivere:

𝐽− = 𝑛(−𝑞)𝑣− = 𝑛(−𝑞)(−𝑣+ ) = 𝑛𝑞𝑣+ = 𝐽+ , (13)

verificando quanto detto sopra.


4
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3. Uno sguardo microscopico: la legge di Ohm in forma locale

E Daremo uno sguardo più dettagliato a quello che succede al gas


elettronico in presenza di un campo elettrico. Esso è in grado
di accelerare ogni singolo portatore di carica attraverso la forza
elettrica 𝐹 , e quindi:
vi

𝐹 = 𝑞𝑒 𝐸⃗ = −𝑒𝐸⃗ . (14)

J Abbiamo descritto un metallo come un reticolo cristallino


formato da ioni positivi, che per i nostri fini possiamo
considerare fissi. Con l’applicazione di un campo elettrico 𝐸⃗ al conduttore, i singoli
portatori di carica (gli elettroni) si muoveranno, in media, in verso opposto ad 𝐸⃗ .
Attraverso la (14) possiamo ricavare l’accelerazione 𝑎 di ogni singolo portatore di carica
dovuta al campo elettrico:
𝐹 𝑒
𝑎= =− 𝐸⃗ , (15)
𝑚𝑒 𝑚𝑒

dove 𝑚𝑒 è la massa elettronica. D’altra parte una particella soggetta a un’accelerazione


costante acquisterà velocità molto grandi in modulo e tanto più elevate quanto più tempo
lasciamo il sistema evolvere in presenza del campo elettrico. Ciò non succede nel caso dei
metalli. Queste particelle si muovono sì con velocità molto alte in modulo (tipiche velocità
elettroniche nei metalli sono di circa 107 m/s), ma in tutte le direzioni, in modo casuale.
Pertanto, in assenza di campo elettrico si avrà:
〈𝑣〉 = 0, (16)

dove 〈𝑣〉 è la velocità media degli elettroni. In presenza di un campo elettrico 𝐸⃗ , invece

〈𝑣〉 ≠ 0. (17)

Per la (12), allora, si ha:

𝐽 = −𝑛𝑒〈𝑣〉. (18)

La densità volumica 𝑛 di elettroni nei metalli è dell’ordine di 1022 ÷ 1023 particelle/cm3.


La grandezza 〈𝑣〉 è chiamata velocità di deriva ed è una media di tutte le velocità
elettroniche; la velocità di deriva risulta essere (come vedremo) molti ordini di grandezza
minore delle velocità elettroniche. Ma perché questo divario tra le velocità elettroniche e
5
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la velocità di deriva? Cosa impedisce agli elettroni di muoversi a velocità alte in presenza
di un campo elettrico?
Dobbiamo osservare che gli elettroni si muovono in un reticolo cristallino e subiscono
“urti” con gli ioni fissi. Non entriamo nel merito della natura di questi urti, ma se
assumiamo che gli elettroni emergono da questi con una velocità media nulla, in modo
che 〈𝑣0𝑖 〉 = 0, potremmo porre:

〈𝑣〉 = 𝑎𝜏 + 〈𝑣0𝑖 〉 = 𝑎𝜏, (19)

ove 𝜏 è il tempo medio (tempo di rilassamento) che intercorre tra un urto e l’altro. Per la
(18) e la (19), si ha allora:
𝑛𝑒 2 𝜏
𝐽 = 𝐸⃗ = 𝜎𝐸⃗ , (20)
𝑚𝑒

𝑛𝑒 2 𝜏
ove 𝜎 = è la conduttività del metallo. La relazione (20) è la legge di Ohm in forma
𝑚𝑒
locale, che tradurremo ben presto nella legge di Ohm così come la conosciamo dai nostri
studi precedenti. La condutività 𝜎 è il reciproco della resistività 𝜌 dei metalli, cosicché:

1
𝜌 = . (21)
𝜎

Esempio
1
In un filo di rame (𝑛 = 8.47 × 1022 ) di sezione 𝑆 = 1.5 𝑚𝑚2 fluisce una corrente
𝑐𝑚3
𝑖 = 1.00 𝐴. Si calcoli la velocità di deriva 𝑣𝑑 dei portatori di carica.

Soluzione
Dalla (18) scriviamo
𝑖
𝐽 = = 𝑛𝑒𝑣𝑑 ,
𝑆

cosicché:

𝑖 1𝐶/𝑠 1 𝑐𝑚
𝑣𝑑 = = 1 = (8.47)(1.602 )(1.5) 10−1 .
𝑛𝑒𝑆 (8.47×1022 3 )(1.602 ×10−19 𝐶)(1.5×10−2 𝑐𝑚2 ) 𝑠
𝑐𝑚

𝑐𝑚
E perciò 𝑣𝑑 = 4.93 × 10−3 . La velocità di deriva è di gran lunga minore delle velocità
𝑠
tipiche degli elettroni all’interno del metallo.
1
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LEGGE DI OHM - GENERATORI DI FORZA ELETTROMOTRICE

1. La legge di Ohm

l
Consideriamo un conduttore di lunghezza 𝑙 e sezione 𝑆, non

necessariamente costante, così come mostrato in figura. Se un
S campo elettrico è presente all’interno del conduttore, calcolando
 
la differenza di potenziale (d.d.p.) i capi 𝐴 e 𝐵, avremo:
E
𝐵 𝐵 𝐵𝜌
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = ∫𝐴 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝐴 𝜌𝐽 ∙ 𝑑𝑠 = 𝑖 ∫𝐴 𝑑𝑙 = 𝑖𝑅, (1)
𝑆
dove la resistenza 𝑅 è data dalla seguente espressione:

𝐵𝜌
𝑅 = ∫𝐴 𝑑𝑙. (2)
𝑆
La (1) esprime la legge di Ohm, che riassumiamo dicendo che la d.d.p. 𝑉 ai capi di un
conduttore ohmico è direttamente proporzionale alla corrente elettrica, secondo la
relazione lineare seguente:
𝑉 = 𝑅𝑖, (3)
dove la costante 𝑅 è la resistenza del conduttore. Per conduttori omogenei e a sezione
costante, la (2) si scrive come segue:

𝜌𝑙
𝑅= . (4)
𝑆
La resistenza si misura in Ohm (Ω).

Esempio
Si calcoli la resistenza di un filo di rame (𝜌 = 1.72 × 10−8 Ωm) di sezione 𝑆 = 1.00 𝑚𝑚2
lungo 𝑙 = 100 𝑚.

Soluzione
Qui non dobbiamo fare altro che sostituire i valori numerici nella formula. Tuttavia, il
calcolo dà l’opportunità di conoscere alcune caratteristiche di un materiale molto usato
per la trasmssione di segnali elettrici.

𝜌𝑙 (1.72×10−8 Ωm)(100m)
𝑅= = = 1.72 Ω.
𝑆 1.00×10−6 m2
2
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R
La resistenza, come elemento circuitale, si indica con il simbolo
in figura.

2. Circuiti elettrici e generatori di forza elettromotrice

Abbiamo già osservato che la presenza di un campo elettrico all’interno di un materiale


conduttore porta a condizioni “elettrodinamiche”, ossia, fa in modo che esista una corrente
elettrica all’interno del conduttore stesso. Per convenzione, possiamo pensare che siano
le cariche positive i portatori di carica all’interno del conduttore (da quanto visto prima
non commettiamo alcun errore logico, in quanto è sempre possibile pensare a portatori di
carica negativi - gli elettroni - che si muovono in verso opposto). Tuttavia, per non fare
confusione, atteniamoci alle convenzioni e non rincorriamo troppo gli aspetti microscopici
alla base dei fenomeni elettrodinamici.
Prendiamo un circuito elettrico in cui circoli una corrente, come in
f
R figura. Tale corrente deve essere necessariamente “generata” da una
forza elettrica non conservativa, ossia, da una forza non
i
“elettrostatica”. Vediamo il perché. Supponiamo che un campo
elettrico 𝐸⃗ sia presente nel circuito elettrico in figura, così che una
corrente 𝑖 circoli nel circuito stesso. Effettuando la circuitazione di 𝐸⃗ lungo tutto il circuito
in figura, avremo
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 = 𝑅𝑖, (5)

dove 𝑅 è la resistenza totale del circuito. Questo risultato deriva da una generalizzazione
della (1) al caso dei circuiti. La grandezza al membro sinistro si chiama “forza
elettromotrice” (f.e.m.) e vedremo adesso come essa può essere espressa in termini del
“campo elettromotore” 𝐸⃗ ∗ . Notiamo che questo campo elettromotore non ha una origine
elettrostatica, proprio perché contribuisce alla (5) con un termine nonnullo nel membro
destro.
3
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Ee Consideriamo allora che il campo elettrico sia in parte


generato da una accumulo di cariche ai capi del generatore
+ A Ee di f.e.m. e in parte sia dovuto a una f.e.m. che mantenga
f
inalterata questa distribuzione di cariche e che, quindi,
- R
B E* Ee compensi il passaggio di corrente nel circuito, portando
cariche positive dal punto 𝐵 in figura (polo negativo) al
i
punto 𝐴 (polo positivo). Osserviamo allora che lo schema
Ee in figura implica che il campo elettrostatico 𝐸⃗𝑒 deve avere
origine dall’accumulo di cariche nei punti 𝐴 e 𝐵 e perciò
deve essere descritto come uscente da 𝐴 e entrante in 𝐵. Il campo eletromotore 𝐸⃗ ∗ , invece,
deve solo riportare le cariche positive in eccesso in 𝐵 fino al punto 𝐴, per mantenere la
distribuzione di cariche inalterata.

Possiamo pertanto descrivere il campo elettrico 𝐸⃗ nella (5) così come segue:

𝐸⃗ 𝑓𝑢𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑎𝑙 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜𝑟𝑒


𝐸⃗ = { 𝑒 , (6)
𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑖𝑙 𝑔𝑒𝑛𝑒𝑟𝑎𝑡𝑜𝑟𝑒

Adesso andiamo ad effettuare, con questa informazione, l’integrale nella (5), ottenendo
𝐴 𝐵
∫𝐶 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 + ∫𝐴 (𝑜𝑢𝑡) 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑠 =
𝐴 𝐵 𝐴
∫𝐵 (𝑖𝑛)(𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ ) ∙ 𝑑𝑠 + ∫𝐴 (𝑜𝑢𝑡) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = ∫𝐶 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 + ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗ ∗ ∙ 𝑑𝑠 = 𝑅𝑖, (7)
Poiché ∫𝐶 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = 0, si ha:
𝐴
ℰ = ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗ ∗ ∙ 𝑑𝑠 = 𝑅𝑖, (8)
dove ℰ è la forza elettromotrice, espressa in termini del campo elettromotore 𝐸⃗ ∗ grazie
proprio alla (8). Il campo 𝐸⃗ ∗ , essendo nullo all’esterno, è un campo non-conservativo.
Possiamo adesso definire il campo elettromotore attraverso la forza elettrica 𝑑𝐹 ∗ che deve
essere applicata per spostare una carica 𝑑𝑞 dal punto 𝐵 al punto 𝐴 del generatore,
cosicché:
𝑑𝐹 ∗ = 𝐸⃗ ∗ 𝑑𝑞. (9)
In questo modo, si ha:
𝑑𝐹∗
𝐸⃗ ∗ = . (10)
𝑑𝑞
4
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Notiamo infine che, per avere moto di cariche all’interno del generatore, deve essere:
𝐴
∫ (𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ ) ∙ 𝑑𝑠 > 0.
𝐵 (𝑖𝑛)

3. Resistenza interna di un generatore di forza elettromotrice

La corrente che circola nel circuito, attraversa anche il generatore, che presenta una sua
“resistenza interna”, che definiremo implicitamente, attraverso la legge di Ohm, come
segue:

𝐴
∫𝐵 (𝑖𝑛)(𝐸⃗𝑒 + 𝐸⃗ ∗ ) ∙ 𝑑𝑠 = 𝑟𝑖. (11)

Abbiamo già fatto vedere che il primo membro della (11) è positivo. Adesso, spezzando
l’integrale in due parte e riconoscendo in una parte di esso la forza eletttromotrice ℰ,
possiamo scrivere:

𝐴
∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 + ℰ = 𝑟𝑖, (12)
e perciò:

𝐴 𝐵
ℰ = 𝑟𝑖 − ∫𝐵 (𝑖𝑛) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = 𝑟𝑖 + ∫𝐴 (𝑜𝑢𝑡) 𝐸⃗𝑒 ∙ 𝑑𝑠 = 𝑟𝑖 + 𝑅𝑖 . (13)
Pertanto, possiamo scrivere che

ℰ − 𝑟𝑖 = 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = 𝑅𝑖. (14)

Si trova quindi che la differenza di potenziale 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ai capi di un generatore di forza


elettromotrice è minore della forza elettromotrice ℰ. Le due quantità coincidono, tuttavia,
a circuito aperto, ossia, quando non circola corrente nel generatore.

4. Legge di Ohm generalizzata

Consideriamo un generatore di f.e.m. ideale (𝑟 = 0) in


i - + i R serie con una resistenza e scriviamo, per questo sistema:
A C B 𝑉𝐴 − 𝑉𝐶 = −ℰ, (15)
Ɛ 𝑉𝐶 − 𝑉𝐵 = 𝑖𝑅. (16)
Pertanto, si ha:
5
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𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 + ℰ = 𝑖𝑅. (17)

Questa espressione è la legge di Ohm generalizzata.


i r - + i R
Se il generatore di f.e.m. avesse una resistenza interna
A B
Ɛ 𝑟 si avrebbe:

𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 + ℰ = 𝑖(𝑅 + 𝑟). (18)


1
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LEGGI DI KIRCHHOFF

1. Legge di Kirchhoff per le correnti di ramo

Consideriamo una regione dello spazio di volume


J2 S2 S4 J4 𝜏 dove non ci siano accumuli o perdite di cariche,
cosicché possiamo scrivere:

S1 J3
J1 S3 𝑑𝑞𝑡𝑜𝑡
= 0. (1)
𝑑𝑡

Per tener conto dei segni della corrente espressa nella (1), se 𝐽⃗𝑘 e 𝑆⃗𝑘 sono, rispettivamente,
la densità di corrente e la superficie orientata del ramo 𝑘 −esimo, quest’ultima uscente
dal volume 𝜏, il cui modulo è pari alla sezione del filo, allora possiamo scrivere:

𝑑𝑞𝑡𝑜𝑡
= − ∑4𝑘=1 𝐽⃗𝑘 ∙ 𝑆⃗𝑘 = ± ∑4𝑘=1 𝑖𝑘 , (2)
𝑑𝑡

dove convenzionalmente associamo il segno più alle correnti entranti e il segno meno alle
corrente uscenti. Riferendoci alla figura, possiamo allora scrivere:

𝑖1 + 𝑖2 − 𝑖3 − 𝑖4 = 0 → 𝑖1 + 𝑖2 = 𝑖3 + 𝑖4 . (3)

E perciò possiamo concludere che la somma delle correnti entranti è uguale alla somma
delle correnti uscenti. Questo è proprio il caso di un nodo in un circuito, in cui convergono
più rami, cosicché:

In un nodo la somma delle correnti entranti è uguale alla somma delle correnti uscenti.

2. Equazione di continuità

Consideriamo adesso una regione di volume 𝜏 in cui possono esistere accumuli o perdite
di carica e scriviamo:

𝑑𝑞𝑇𝑂𝑇 𝑑𝑞
= − ∑𝑘 𝐽⃗𝑘 ∙ 𝑆⃗𝑘 → 𝑇𝑂𝑇 = − ∫𝑆 𝐽⃗ ∙ 𝑑𝑆⃗. (4)
𝑑𝑡 𝑑𝑡
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Possiamo allora applicare il teorema della divergenza per l’integrale sulla superficie
𝑑𝑞𝑇𝑂𝑇 𝜕𝜌
esterna 𝑆 nella (4) e scrivere = ∫𝜏 𝑑𝜏, cosicché la (4) si riscriverà come segue:
𝑑𝑡 𝜕𝑡

𝜕𝜌
∫𝜏 ⃗⃗ ∙ 𝐽⃗ 𝑑𝜏.
𝑑𝜏 = − ∫𝜏 ∇ (5)
𝜕𝑡

L’equazione di continuità si scriverà quindi nel modo seguente:

𝜕𝜌
⃗⃗ ∙ 𝐽⃗ = 0.
+∇ (6)
𝜕𝑡

3. Legge di Kirchhoff per le tensioni

Consideriamo adesso la maglia in figura e scriviamo


Ɛ1
- + i1 R1 la legge di Ohm generalizzata per ciascun ramo come
A B segue:
+ +
Ɛ4 Ɛ2
- - 𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 + ℰ1 = 𝑖1 𝑅1 ; (7a)
i4 i2

R4 Ɛ3 R2
𝑉𝐵 − 𝑉𝐶 − ℰ2 = 𝑖2 𝑅2 ; (7b)
- + i3 R3
D C 𝑉𝐶 − 𝑉𝐷 − ℰ3 = 𝑖3 𝑅3 . (7c)

𝑉𝐷 − 𝑉𝐴 + ℰ4 = 𝑖4 𝑅4 . (7d)

Sommando membro a membro otteniamo:

ℰ1 − ℰ2 − ℰ3 + ℰ4 = 𝑖1 𝑅1 + 𝑖2 𝑅2 + 𝑖3 𝑅3 + 𝑖4 𝑅4 , (8)

cosicché otteniamo la legge di Kirchhoff per le tensioni. Notiamo che abbiamo scelto un
senso di percorrenza della maglia ABCDA in figura.
3
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4. Resistori in serie e in parallelo

R1
Dimostriamo brevemente che, per una connessione in serie di due
R2
i
resistori, si ha che la resistenza equivalente è la somma delle due
resistenze, cosicché:
𝑅𝑒𝑞 = 𝑅1 + 𝑅2 . (9)

La stessa corrente circola nella connessione e quindi:

𝑉 = 𝑉1 + 𝑉2 → 𝑖𝑅𝑒𝑞 = 𝑖𝑅1 + 𝑖𝑅2 , (10)

da cui la (9).
Dimostriamo altrettanto brevemente che, per una connessione in
i1 i2
parallelo di due resistori, si ha che il reciproco della resistenza
R1 R2 V equivalente è la somma dei reciproci delle due resistenze, cosicché:

1 1 1
= + . (11)
𝑅𝑒𝑞 𝑅1 𝑅2

La stessa tensione è presente ai capi della connessione e quindi:

𝑉 𝑉 𝑉
𝑖 = 𝑖1 + 𝑖2 → = + , (12)
𝑅𝑒𝑞 𝑅1 𝑅2

da cui la (11).

5. Potenza sviluppata da un generatore

Se consideriamo il lavoro compiuto per spostare una carica 𝑑𝑞 ai capi di un generatore


ideale, possiamo scrivere

𝑑𝐿 𝑑𝑞
𝑑𝐿 = 𝑑𝑞(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) → 𝑃 = = (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑖(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ). (13)
𝑑𝑡 𝑑𝑡

Ai capi di un generatore ideale si ha (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = ℰ, cosicché si avrà:

𝑃 = 𝑖ℰ. (14)
4
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La stessa potenza viene sviluppata da un generatore non ideale. In questo caso, tuttavia,
parte di questa potenza viene dissipata al proprio interno per le ragioni che vedremo nel
paragrafo successivo.

6. Potenza dissipata in un resistore (effetto Joule)

Consideriamo adesso il lavoro compiuto per spostare una carica 𝑑𝑞 ai capi di un resistore
e scriviamo ancora

𝑑𝐿 𝑑𝑞
𝑑𝐿 = 𝑑𝑞(𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) → 𝑃 = = (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑖 (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ). (15)
𝑑𝑡 𝑑𝑡

Ai capi di un resistore si ha (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ) = 𝑅𝑖, cosicché si avrà:

𝑃 = 𝑖 2 𝑅. (16)

Esempio

Il circuito resistivo in figura è alimentato da un generatore di


r
i1 i2 forza elettromotrice ai cui capi si misura, a circuito aperto,
+ una tensione pari a 12.0 𝑉𝑜𝑙𝑡. Quando nel generatore circola
Ɛ R1 R2
- una corrente di 0.200 𝐴, invece, la tensione misurata è di
i 10.0 𝑉𝑜𝑙𝑡. Sapendo che 𝑅1 = 150 Ω e 𝑅2 = 75.0 Ω, si
calcoli:
a) la resistenza interna 𝑟 del generatore;
b) la corrente erogata dal generatore e la potenza da esso sviluppata;
c) la corrente nei due rami (partitore di corrente);
d) la potenza dissipata in ciascun resistore.

Soluzione
a) Possiamo scrivere che:
ℰ − 𝑟𝑖 = (𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 ).

In questo modo, per 𝑖 = 0, scriviamo:


ℰ = 12 𝑉.
5
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Per 𝑖 = 0.200 𝐴, invece:


12 − 0.2 𝑟 = 10.
Pertanto: 𝑟 = 10.0 Ω .

b) Osserviamo che la resistenza totale 𝑅𝑡𝑜𝑡 del circuito sarà


𝑅1 𝑅2
𝑅𝑡𝑜𝑡 = 𝑟 + = 10.0 Ω + 50.0 Ω = 60.0 Ω .
𝑅1 +𝑅2

Pertanto, si ha 𝑖 = = 0.200 𝐴. E quindi 𝑃 = 𝑖ℰ = 2.40 𝑊.
𝑅𝑡𝑜𝑡

c) Adesso è un utile esercizio far vedere che, in un partitore di corrente come quello
in figura, si ha:
𝑅2
𝑖1 = 𝑖;
𝑅1 +𝑅2
𝑅1
𝑖2 = 𝑖.
𝑅1 +𝑅2

In questo modo, effettuando i calcoli avremo:


1 2
𝑖1 = 𝑖 = 0.0667𝐴; 𝑖2 = 𝑖 = 0.133 𝐴.
3 3

d) 𝑃𝑟 = 𝑖 2 𝑟 = 0.400 𝑊; 𝑃1 = 𝑖1 2 𝑅1 = 0.667 𝑊; 𝑃2 = 𝑖2 2 𝑅2 = 1.33 𝑊. Cosicché


𝑃𝑟 + 𝑃1 + 𝑃2 = 2.40 𝑊.
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CARICA E SCARICA DI UN CONDENSATORE

1. Carica del condensatore

I R Nel circuito mostrato in figura un interruttore 𝐼 può


+
essere spostato sia nella posizione orizzontale, formando
Ɛ
C un circuito che comprende un generatore di f.e.m. ideale,
-
un resistore di resistenza 𝑅 e un condensatore di capacità
𝐶, sia nella posizione verticale, escludendo, questa volta,
il generatore, ai cui capi vi è una tensione ℰ. Supponendo che il condensatore sia
inizialmente scarico, ossia, che la carica presente su di esso al tempo zero sia 𝑞(0) = 0,
vorremmo sapere in che modo varia la carica 𝑞(𝑡) sulle armature del condensatore, come
varia la corrente nel circuito e quale sia la carica finale presente sul condensatore, dopo
aver lasciato, per un tempo sufficientemente lungo, l’interruttore nella posizione
orizzontale.

Disponiamo di tutti gli strumenti (elettrodinamici) per


R
risolvere il problema. Infatti riducendo il circuito a quello
+ +q(t) che vediamo nella figura al lato, possiamo applicare la
Ɛ C
- - q(t) legge di Kirchhoff per l’unica maglia e scrivere:
i
ℰ − 𝑖𝑅 − 𝑉𝐶 = 0, (1)

avendo percorso il circuito nel senso indicato dalla corrente 𝑖. Sappiamo adesso che il
𝑞(𝑡)
potenziale ai capi del condensatore è 𝑉𝐶 = ; notando che la carica si sta accumulando
𝐶
sul condensatore e che, quindi, la funzione 𝑞(𝑡) è crescente, possiamo esprimere la
𝑑𝑞
corrente come segue: 𝑖 = . La (1) allora diventa:
𝑑𝑡

𝑑𝑞 1 ℰ
+ 𝑞(𝑡) = . (2)
𝑑𝑡 𝑅𝐶 𝑅

Sappiamo adesso risolvere questa equazione “differenziale”? Di certo, arrivati a questo


punto non ci faremo fermare da difficoltà di tipo matematico. Possiamo solo notare che
l’equazione differenziale in questione è “lineare” e “non omogenea”. Lineare perché sia
2
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𝑑𝑞
la funzione 𝑞(𝑡), sia la sua derivata appaiono al grado 1. Non omogenea, perché
𝑑𝑡
presenta un termine nonnullo (forzamento) al secondo membro. Avremmo parlato di
equazione differenziale omogenea, infatti, così come vedremo durante la scarica del
condensatore, se il membro destro fosse stato nullo. Nelle equazioni differenziali lineari
la soluzione si trova sommando la soluzione dell’omogena associata a una soluzione
particolare, che tiene conto della natura del forzamento. Ma vedremo adesso in pratica che
cosa vogliamo dire. Per quanto riguarda la soluzione 𝑞𝐻 (𝑡), essa deve soddisfare
all’equazione differenziale seguente:
𝑑𝑞𝐻 1
+ 𝑞𝐻 (𝑡) = 0. (3)
𝑑𝑡 𝑅𝐶

Possiamo risolvere questa equazione differenziale? Io posso esibire una soluzione e


possiamo verificare che essa è effettivamente tale:

𝑡
𝑞𝐻 (𝑡) = 𝐴𝑒 −𝑅𝐶 , (4)

ove 𝐴 è una costante da determinare in modo corretto dopo che l’intera soluzione sarà
stata trovata. Alla verifica risulta che questa espressione è effettivamente soluzione
del’equazione differenziale (3). Benissimo, adesso dobbiamo trovare una soluzione
particolare che tenga conto della natura del forzamento, che è costante. Quindi, proviamo
con una funzione costante:

𝑞𝑝 (𝑡) = 𝐵. (5)

Sostituendo nella (2) si avrà:

1 ℰ
𝐵= , (6)
𝑅𝐶 𝑅

E così sappiamo che 𝐵 = ℰ𝐶e scriviamo la soluzione generale 𝑞(𝑡) come segue:

𝑡
𝑞(𝑡) = 𝑞𝐻 (𝑡) + 𝑞𝑝 (𝑡) = 𝐴𝑒 −𝑅𝐶 + ℰ𝐶. (7)

Adesso, e solo adesso, possiamo calcolare la costante 𝐴 attraverso la condizione iniziale:


𝑞(0) = 0. Dalla (7), allora, ponendo 𝑡 = 0, avremo:

𝑞(0) = 𝐴 + ℰ𝐶 = 0 → 𝐴 = −ℰ𝐶. (8)


3
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Finalmente possiamo esibire la soluzione generale come segue:

𝑡
𝑞(𝑡) = ℰ𝐶 (1 − 𝑒 −𝜏 ), (9)

dove 𝜏 è la costante di tempo del circuito RC.


L’andamento della soluzione è mostrato a
sinistra. Dalla (9) possiamo ricavare la corrente
𝑖, derivando 𝑞(𝑡) rispetto al tempo:

𝑡

𝑖(𝑡) = 𝑒 −𝜏 . (10)
𝑅

Notiamo dalla figura che a 𝑡 = 𝜏 il 63.2% della carica totale ℰ𝐶 è presente sulle armature.

2. Scarica del condensatore

I R Supponiamo adesso che l’interuttore sia stato un tempo


+
i sufficientemente lungo in posizione orizzontale, in modo
Ɛ
C che sia stato possibile depositare la carica 𝑄 = ℰ𝐶 sulle
-
armature del dispositivo. A questo punto, partendo di
nuovo dal tempo 𝑡 = 0, portiamo l’interruttore in
posizione verticale e consideriamo il circuito in figura. In questo caso la carica 𝑞(𝑡) fluisce
dall’armatura carica positivamente e, passando attraverso il resistore, va a neutralizzare le
cariche negative sull’armatura opposta: il condensatore si scarica. Pertanto, la funzione
𝑞(𝑡) è decrescente e la corrente 𝑖(𝑡) sarà data dall’espressione seguente:

𝑑𝑞(𝑡)
𝑖(𝑡) = − . (11)
𝑑𝑡

Anche in questo caso vorremmo sapere in che modo varia la carica 𝑞(𝑡) sulle armature
del condensatore e come varia la corrente nel circuito.
Procedendo come fatto per la carica del condensatore, applichiamo la legge di Kirchhoff
per l’unica maglia del circuito in figura e scriviamo:
4
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−𝑖𝑅 + 𝑉𝐶 = 0, (12)

avendo percorso il circuito nel senso indicato dalla corrente 𝑖, cosicché i segni dei due
addendi sono quelli indicati nella (12).

𝑞(𝑡)
Ponendo adesso 𝑉𝐶 = e tenendo conto della (11), possiamo scrivere la (12) come
𝐶
segue:
𝑑𝑞 1
+ 𝑞(𝑡) = 0. (13)
𝑑𝑡 𝑅𝐶

Sappiamo adesso risolvere questa “equazione differenziale omogenea”, in quanto lo


abbiamo già fatto prima. Cosicché, avremo:

𝑡
𝑞(𝑡) = 𝐴𝑒 −𝜏 . (14)

Ponendo adesso 𝑞(0) = 𝑄 = ℰ𝐶,


notiamo che 𝐴 = 𝑄 e perciò:

𝑡
𝑞(𝑡) = 𝑄𝑒 −𝜏 . (15)

Per determinare la corrente 𝑖(𝑡), tenendo conto della (11), scriviamo:

𝑡
𝑄
𝑖(𝑡) = 𝑒 −𝜏 . (16)
𝜏

Notiamo dalla figura che a 𝑡 = 𝜏 solo il 36.8% della carica totale 𝑄 è presente sulle
𝑄
armature, ossia, 𝑞(𝜏) = 𝑄𝑒 −1 = 0.368𝑄. Infine, si noti anche che 𝑖(𝜏) = 0.368 .
𝜏

Esempio

I R Nel circuito mostrato l’interruttore 𝐼 è spostato nella


+
posizione orizzontale, per un tempo pari a 𝑡𝐿 = 2𝜏 =
C 2𝑅𝐶.
Ɛ
-
a) Supponendo che il condensatore sia inizialmente
scarico, ossia, che la carica presente su di esso al tempo
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zero sia 𝑞(0) = 0, si trovi la carica 𝑞(𝑡) sulle armature del condensatore e la
corrente 𝑖(𝑡) che circola nel circuito per 0 < 𝑡 < 𝑡𝐿 .
b) Al tempo 𝑡 = 𝑡𝐿 , infine, l’interruttore è spostato nella posizione verticale, in modo
che il circuito si scarica per un intervallo di tempo ∆𝑡 = 𝑡𝐿 . Si trovi, anche in questo
caso, la carica 𝑞(𝑡) sulle armature del condensatore e la corrente 𝑖(𝑡) che circola
nel circuito per 𝑡𝐿 < 𝑡 < 2𝑡𝐿 .
c) Al tempo 𝑡 = 2𝑡𝐿 l’interrutore viene posizionato in modo da interrompere il fluire
della corrente. Si dica quanto vale la carica residua sulle armature del condensatore
a 𝑡 = 2𝑡𝐿 .

Soluzione

a) Avendo già affrontato e risolto questo problema, possiamo considerare le soluzioni


e fare soltanto alcune considerazioni circa i valori. Per 0 < 𝑡 < 𝑡𝐿 , si ha:
𝑡
𝑞(𝑡) = ℰ𝐶 (1 − 𝑒 −𝜏 );
𝑡
ℰ −
𝑖(𝑡) = 𝑒 . 𝜏
𝑅

Per quanto riguarda questo punto non c’è null’altro da aggiungere se non il calcolo
della carica a 𝑡 = 𝑡𝐿 :
𝑞(𝑡𝐿 ) = ℰ𝐶(1 − 𝑒 −2 ).

b) Partendo dalla carica 𝑞(𝑡𝐿 ) = ℰ𝐶(1 − 𝑒 −2 ) e ponendo 𝑡 ′ = 𝑡 − 𝑡𝐿 , possiamo


scrivere:
𝑡′ 𝑡−𝑡𝐿

𝑞(𝑡 ′)
= 𝑞(𝑡𝐿 )𝑒 𝜏 → 𝑞(𝑡) = 𝑞(𝑡𝐿 )𝑒 − 𝜏 ;
𝑡′ 𝑡−𝑡𝐿
𝑞(𝑡𝐿 ) 𝑞(𝑡𝐿 )
𝑖(𝑡 ′ ) = 𝑒 − 𝜏 → 𝑖(𝑡) = 𝑒− 𝜏 .
𝜏 𝜏

c) Per determinare la carica residua, infine, scriviamo:


𝑡𝐿
𝑞(2𝑡𝐿 ) = 𝑞(𝑡𝐿 )𝑒 − 𝜏 = ℰ𝐶(1 − 𝑒 −2 )𝑒 −2 = 0.135 ℰ𝐶.
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1. Cenni di analisi circuitale


Fino a questo punto abbiamo analizzato circuiti a una maglia. Per questa speciale classe
di circuiti l’applicazione delle leggi di Kirchhoff è immediata e consente di determinare
tutte le grandezze circuitali di interesse (correnti e tensioni). Talvolta, come abbiamo visto
nel caso di resistori in parallelo, siamo riusciti a ricondurre un circuito a due maglie ad
uno equivalente contenente un’unica maglia. Questo è stato possibile ricorrendo al
concetto di resistenza equivalente. Tuttavia questa procedura non è sempre utilizzabile.
Scopo dei successivi paragrafi è mostrare un esempio molto semplice in cui è necessario
far ricorso ad un metodo più generale di soluzione.
2. Metodo delle correnti di maglia
Nell’analisi circuitale è talvolta conveniente utilizzare il metodo delle correnti di maglia.
Esso può essere implementato effettuando i seguenti passi:
a) Dato un circuito di complessità arbitraria si individuano un certo numero di percorsi
chiusi (maglie) realizzati con i rami della rete avendo cura di rispettare le seguenti
prescrizioni. (i) Ogni ramo della rete deve essere presente in almeno una delle
maglie scelte. (ii) Le equazioni per le maglie scelte devono dar luogo ad equazioni
indipendenti. A tal riguardo, si dimostra che il numero di maglie indipendenti di
una rete è dato dalla relazione: 𝑀𝑎𝑔𝑙𝑖𝑒 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖 = 𝑅𝑎𝑚𝑖 − 𝑁𝑜𝑑𝑖 + 1.
Nella pratica, maglie indipendenti differiscono per almeno un ramo.
b) Si assegna un verso positivo di natura convenzionale ad ogni maglia e vi si associa
una corrente di maglia (fittizia).
c) Si applicano alle maglie le leggi di Kirchhoff.
d) Si ricavano le correnti di maglia risolvendo il sistema di equazioni lineari associato
alle grandezze circuitali. Valori negativi di una o più correnti di maglia segnalano
che le correnti scorrono in verso opposto a quello arbitrariamente fissato all’inizio
come positivo.
Dizionario
Maglia: percorso chiuso formato mediante rami della rete allo studio.
Ramo: porzione circuitale compresa tra due nodi.
Nodo: punto di intersezione di più rami.
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3. Concetti in pratica
𝑅1 𝑅2
Vogliamo applicare il metodo sopra descritto all’analisi
del circuito a due maglie proposto in figura. La presenza
di due generatori ci impedisce di ricondurre questa
𝑖1 𝑖2 situazione a quella di un circuito equivalente ad una
+ −
𝑓 𝑓 maglia. Determiniamo il
− + numero di maglie indipendenti
esaminando le proprietà
topologiche della rete. Da
questa analisi è facile
convincersi del fatto che la rete presenta 3 rami e 2 nodi. Ne
segue il numero di maglie indipendenti vale:
𝑀𝑎𝑔𝑙𝑖𝑒 𝐼𝑛𝑑𝑖𝑝. = 𝑅𝑎𝑚𝑖 − 𝑁𝑜𝑑𝑖 + 1 = 3 − 2 + 1 = 2.
A questo punto abbiamo varie opzioni per la scelta delle maglie
indipendenti. Esaminiamone due.
Scelta 1
Supponiamo di voler conoscere la corrente che scorre nel ramo comune alle due maglie
considerate (vedi figura precedente). Scegliamo le maglie indicate in figura. Applichiamo
le leggi di Kirchhoff:
maglia 1: 𝑓 − 𝑖1 𝑅1 = 0
maglia 2: 𝑓 − 𝑖2 𝑅2 = 0
Dalle precedenti otteniamo il valore delle correnti di maglia:
𝑓 𝑓
𝑖1 = , 𝑖2 = .
𝑅1 𝑅2
La corrente che scorre nel ramo comune alle due maglie vale:
1 1 𝑅2 −𝑅1
𝑖 = 𝑖1 − 𝑖2 = 𝑓 ( − )=𝑓 ,
𝑅1 𝑅2 𝑅1 𝑅2
cosa che implica 𝑖 = 0 se 𝑅1 = 𝑅2 .
Scelta 2
Ripetiamo l’analisi con la scelta delle maglie indicata in figura. Applichiamo le leggi di
Kirchhoff:
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maglia 1: 𝑓 − 𝑖1 𝑅1 − 𝑖2 𝑅1 = 0
𝑅1 𝑅2
maglia 2: 𝑓 − 𝑖2 𝑅1 − 𝑖1 𝑅1 − 𝑖2 𝑅2 + 𝑓 = 0
Dalle precedenti otteniamo:
𝑖1 𝑖2 𝑓 − (𝑖1 + 𝑖2 )𝑅1 = 0
+ −
𝑓 𝑓 2𝑓 − (𝑖1 + 𝑖2 )𝑅1 − 𝑖2 𝑅2 = 0.
− + A questo punto si verifica facilmente quanto
segue:
𝑓 𝑅2 −𝑅1
𝑖2 = , 𝑖1 = 𝑓 .
𝑅2 𝑅1 𝑅2
Notiamo che la corrente 𝑖 prima determinata è adesso data proprio da 𝑖1 . Inoltre la corrente
che scorre attraverso il resistore 𝑅2 è proprio 𝑖2 . D’altra parte la corrente che scorre nel
resistore 𝑅1 non è 𝑖1 , ma è la somma delle correnti di maglia 𝑖1 + 𝑖2 . Si ha quindi 𝑖1 +
𝑖2 = 𝑓/𝑅1 . Queste considerazioni mostrano l’equivalenza dei due metodi.

4. Collegamento degli strumenti di misura (cenni)


La misura delle grandezze elettriche in un circuito è fatta attraverso strumenti che
concettualmente introducono una perturbazione nel sistema. Una corretta operazione di
misura consiste nel minimizzare la perturbazione
𝑖 che il misuratore induce sul circuito da
+ 𝑅 caratterizzare.
2
𝑓 La misura di corrente viene fatta attraverso
− 𝑑 l’Amperometro. L’amperometro misura il flusso di
carica attraverso una data sezione del circuito.
𝑅1 Questo strumento deve essere attraversato dalla
𝑎 corrente da misurare e per questo motivo esso deve
essere caratterizzato da una resistenza interna
trascurabile rispetto a tutte quelle presenti nel
sistema. Lo strumento viene collegato in serie.
Il Voltmetro è un misuratore di tensione. Questa
misura richiede di perturbare il circuito in due punti. Lo strumento va quindi collegato in
parallelo. Affinché la misura non perturbi il sistema da testare occorre che la resistenza
interna dello strumento sia molto maggiore di tutte le resistenze presenti nel circuito.
4
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Esercizio 1 (concetto di messa a terra)


Mettere a terra un circuito significa collegarlo al suolo mediante un percorso conduttivo.
Il potenziale del punto del circuito collegato a terra è per definizione nullo (si ricordi che
il potenziale coulombiano si annulla all’infinito). Analizziamo il circuito mostrato in
figura nel quale abbiamo introdotto il simbolo di messa a terra. Siano ℰ = 12 , 𝑅 =
4,0 Ω e = 2,0 Ω; si vuole determinare il potenziale 𝑏 nel punto .

Applicando la legge di Kirchhoff per le tensioni abbiamo:

𝑎 +ℰ−𝑖 = 𝑏 → 𝑏 − 𝑎 =ℰ−𝑖 .
D’altra parte abbiamo:
𝑖 𝑏 − 𝑎 = ℰ − 𝑖 = 𝑖𝑅.
Dalla precedente si ottiene la corrente di
maglia:
𝑅 ℰ
+ 𝑖=
𝑅+
.
ℰ Inoltre si ha:

𝑎 ℰ ℰ𝑅
𝑏 − 𝑎 =ℰ−𝑖 =ℰ− = .
𝑅+ 𝑅+
Se il punto 𝑎 è messo a terra, allora 𝑎 =0e
di qui segue:
ℰ𝑅 12 ∙ 4,0
𝑏 = → 𝑏 = = 8,0
𝑅+ 6,0
Notiamo inoltre che la potenza dissipata internamente al generatore vale:
𝑃𝑖 = 𝑖 2 .
Infatti la potenza netta fornita dal generatore ai portatori di carica vale:
𝑃 = 𝑖( 𝑏 − 𝑎) = 𝑖(ℰ − 𝑖 ) = 𝑖ℰ − 𝑖 2 ≡ 𝑃𝑓𝑒𝑚 − 𝑃𝑖 ,
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dove 𝑃𝑓𝑒𝑚 = 𝑖ℰ rappresenta la potenza che erogherebbe un generatore ideale di forza


elettromotrice.
Esercizio 2
Consideriamo il circuito in figura caratterizzato dalle seguenti grandezze elettriche: ℰ1 =
2,0 , ℰ2 = 3,0 , = 3,0 Ω. Quanto vale 𝑅 se nel circuito scorre una corrente pari a 𝑖 =
1,0 𝑚 ? Quanto vale la potenza dissipata in 𝑅?

Applichiamo la legge di Kirchhoff per le tensioni a partire dal punto 𝑥 seguendo il verso
della corrente di maglia. Ne risulta la seguente relazione:

𝑖 ℰ2 − 𝑖 − 𝑖 − ℰ1 − 𝑖𝑅 = 0
ℰ2 − ℰ1
→𝑅= −2
𝑖
3,0 − 2,0
→𝑅= Ω − 6,0 Ω = 1,0 ∙ 103 Ω − 6,0 Ω
+ ℰ1 + ℰ2 1,0 ∙ 10−3
= 9,9 ∙ 102 Ω.
− − La potenza dissipata in 𝑅 vale:

𝑥 𝑃 = 𝑖 2 𝑅 → 𝑃 = (1,0 ∙ 10−3 )2 ∙ 9,9 ∙ 102 W


= 9,9 ∙ 10−4 W.
𝑅
La potenza dissipata nel resistore si trasforma in calore
e questo fenomeno è noto come effetto Joule. Ad esempio, le lampadine a incandescenza
generano calore per effetto Joule.

Esercizio 3
Dato il circuito in figura determinare la corrente passante attraverso 𝑅2 e 𝑅3 . Le grandezze
circuitali sono le seguenti: ℰ1 = 10,0 , ℰ2 = 5,00 , 𝑅1 = 𝑅2 = 𝑅3 = 𝑅 = 4,00 Ω.
6
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Scriviamo le leggi di kirchhoff per le due


𝑅1 𝑅2 maglie:
ℰ1 − 𝑖1 𝑅 − (𝑖1 + 𝑖2 )𝑅 = 0
𝑖1 𝑖2 ℰ2 − 𝑖2 𝑅 − (𝑖1 + 𝑖2 )𝑅 = 0
.

+ 𝑅3 + Sommando membro a membro si ottiene:


ℰ1 ℰ2
− ℰ1 + ℰ2 − 3𝑅(𝑖1 + 𝑖2 ) = 0,

dalla quale segue:
ℰ1 + ℰ2
𝑖1 + 𝑖2 = .
3𝑅
Quella appena ottenuta è la corrente passante attraverso 𝑅3 . Numericamente abbiamo:
15,0
𝑖1 + 𝑖2 = = 1,25 .
12,0
La corrente che attraversa 𝑅2 è 𝑖2 . Dalle precedenti otteniamo:
ℰ2 5,00 15,0
𝑖2 = − (𝑖1 + 𝑖2 ) → 𝑖2 = − = 0,00 .
𝑅 4,00 12,0
1
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LEZIONE 14
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

14.1 Fenomenologia del magnetismo


Esistono materiali noti sin dall’antichità che
godono della proprietà abbastanza stupefacente di
attrarre piccoli oggetti di ferro. Questi materiali,
come ad esempio la magnetite, hanno proprietà
magnetiche. Come le forze di natura elettrostatica
studiate in precedenza, le forze di natura
magnetica esercitano azioni a distanza e sono
descrivibili mediante il concetto fisico-
matematico di campo di forze, il campo
magnetico. Il magnetismo dei minerali sopra
menzionati è la manifestazione macroscopica
delle proprietà quantistiche della materia. I
fenomeni magnetici sono molto diversi da quelli
fin qui studiati. Infatti, mentre la materia si presenta ordinariamente in forma
elettricamente neutra, la magnetizzazione permanente è una caratteristica
peculiare di alcuni materiali (ferromagneti).
Prima di esaminare le proprietà dei materiali ferromagnetici (quelli che
costituiscono le calamite) diamo alcuni cenni sulle proprietà magnetiche della
materia.
I materiali si divino a seconda del loro comportamento magnetico in almeno
tre classi.
1) Materiali ferromagnetici
Sono materiali in cui il magnetismo è una proprietà spontaneamente posseduta.
A temperatura ambiente sono ferromagnetici Fe, Co, Ni e loro leghe.
2) Materiali diamagnetici
2
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Sono materiali che non presentano magnetizzazione spontanea. Se immersi in


campo magnetico sviluppano un campo magnetico abbastanza debole che
tende ad opporsi al campo magnetico in cui sono immersi.
3) Materiali paramagnetici
Sono materiali che non presentano magnetizzazione spontanea. Se immersi in
campo magnetico sviluppano un campo magnetico che tende ad allinearsi al
campo magnetico in cui sono immersi. La magnetizzazione acquisita permane
per un certo tempo anche dopo che il campo forzante è stato rimosso.

La fenomenologia del magnetismo così come accennata


sembra abbastanza misteriosa e molto differente dal
fenomeno a noi noto dell’elettrizzazione. In particolare la
magnetizzazione non può essere indotta con facilità
(strofinio).
Per compiere qualche progresso possiamo analizzare il
comportamento dei magneti permanenti, i materiali
ferromagnetici. Tali materiali, come accennato, presentano
proprietà magnetiche permanenti di natura spontanea a
temperatura ambiente.
Analizziamo quindi le proprietà di una barretta magnetica.
Una barretta magnetica è la sorgente di un campo di forze
nello spazio circostante. La natura di questo campo può essere sondata
utilizzando un sistema fisico capace di reagire alle sollecitazioni del campo
senza perturbarlo eccessivamente. Questa sonda può essere una barretta
magnetica di dimensioni molto minori di quella che è la sorgente del campo da
investigare (in analogia al concetto di carica di prova). Spostando la sonda in
tutto lo spazio circostante il magnete è possibile tracciare le linee del campo.
La sonda può essere pensata come l’ago magnetico di una bussola, capace di
allinearsi al campo magnetico terrestre. Altro metodo per visualizzare le linee
del campo è disporre limatura di ferro nello spazio circostante la sorgente.
Conducendo questi esperimenti si arriva alle seguenti conclusioni.
3
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- Una barretta magnetica esibisce proprietà


fisiche distinte ai due estremi. Tali estremi
vengono denominati poli. A ciascun polo si
assegna il nome convenzionale di Nord e Sud.
- Poli opposti di due distinte barrette
magnetiche tendono ad attrarsi, mentre poli
uguali tendono a respingersi.
- Nell’interazione tra l’ago di una bussola e il
campo magnetico di una barretta si osserva che l’ago tende ad allinearsi
al vettore campo magnetico nel punto considerato. In particolare l’ago
della bussola rivolge il suo polo S verso il polo N della sorgente del
campo. In questo modo la bussola indica direzione e verso del campo
magnetico da sondare.
- Il campo magnetico prodotto da una barretta ferromagnetica ha linee di
campo chiuse uscenti dal polo nord ed entranti nel polo sud. Il campo ha
caratteristiche simili al campo generato da un dipolo elettrico.
Alla luce delle precedenti osservazioni ci viene l’idea che i magneti
permanenti siano costituiti di due tipi di cariche magnetiche opposte,
chiamiamole cariche N e cariche S, opportunamente disposte nel materiale
in egual numero. Alla luce di tale intuizione potremmo pensare di poter
ottenere un magnete avente cariche di un solo tipo (solamente di tipo N o di
tipo S).
Tagliando in due parti un magnete otteniamo due magneti che ancora
presentano due poli opposti. Procedendo ripetutamente osserviamo che non
è possibile separare le cariche N ed S. Tale fenomenologia lascia intendere
che un magnete macroscopico sia formato mesoscopicamente da un gran
numero di magnetini elementari ciascuno dotato di un polo N e di un polo
S. Questo spiegherebbe come mai non si riesce ad ottenere un magnete
avente un solo polo magnetico.
4
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Arriviamo all’importante conclusione che il dipolo magnetico costituisce


l’ente magnetico elementare. Quanto affermato sembra indicare che non
esistono monopoli magnetici (l’analogo delle
cariche elettriche positive o negative).
Un magnete macroscopico sarebbe idealmente
costituito da dipoli magnetici elementari dispersi
nel volume del materiale, tuttavia non è chiaro a
questo livello quale sia l’origine di tali strutture
elementari.

Alla luce di queste osservazioni sulla


fenomenologia del magnetismo possiamo estrarre alcune caratteristiche
ulteriori delle sostanze paramagnetiche e diamagnetiche immerse in un campo
magnetico esterno (ad esempio generato da uno dei poli di una barretta
magnetica).
Si è detto che un materiale diamagnetico (ad esempio la
materia vivente è diamagnetica) immerso in campo
magnetico esterno acquisisce una piccola
magnetizzazione avente verso opposto al campo
inducente. Ricordando la natura repulsiva dell’interazione
magnetica di poli uguali, è facile convincersi del fatto che
un diamagnete in campo magnetico sperimenta una forza
magnetica repulsiva.
Utilizzando lo stesso argomento per i paramagneti si
osserva che essi sono invece attratti dal campo
inducente, avendo essi la tendenza a sviluppare un campo
magnetico parallelo a quello esterno.
14.2 Sorgenti del campo magnetico e proprietà del
vettore ⃗𝑩
⃗.
5
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Abbiamo detto che il campo di forze che si instaura nei dintorni di un magnete
permanente può essere descritto mediante l’introduzione di un campo
vettoriale che chiameremo campo magnetico 𝐵 ⃗ . Le sorgenti di questo campo
sono i dipoli magnetici elementari che riempiono il volume del materiale
magnetico considerato. La natura di tali dipoli non è al momento specificabile
ulteriormente. Abbiamo inoltre evidenziato l’analogia tra il campo generato da
un dipolo elettrico e quello generato da un dipolo magnetico.
Volendo spingere queste analogie sino alle estreme conseguenze, data
l’impossibilità di isolare monopoli magnetici, dovremmo avere che ΦΣ (𝐵 ⃗)=
0, dove il flusso è calcolato attraverso una superficie gaussiana Σ che include
completamente il magnete.
Dovremmo quindi aspettarci che una costruzione teorica dei fenomeni
magnetici porti ad evidenziarne la proprietà
fondamentale ∇ ⃗ ∙𝐵⃗ = 0, che discende dal teorema
della divergenza e dall’impossibilità di isolare cariche
magnetiche singole (monopolo magnetico). La
differenza rispetto al caso del campo elettrico emerge
chiaramente dal confronto con la prima equazione di
Maxwell:
𝜌
⃗ ∙ 𝐸⃗ =

𝜀
⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ = 0,
dal quale risulta evidente che le sorgenti dei campi occupano il membro destro
delle equazioni. Nel caso magnetico tali sorgenti sono dei dipoli magnetici
aventi densità di carica magnetica nulla. Le due equazioni acquisiscono una
particolare simmetria in assenza di sorgenti del campo elettrico. La seconda
delle precedenti, qui introdotta, si candida ad essere la seconda equazione di
Maxwell.
1
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LEZIONE 14b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

14b.1 Interazione tra correnti elettriche stazionarie e campi magnetici


La fenomenologia del magnetismo è rimasta sostanzialmente misteriosa fino a
quando non si è osservato che:
(i) la corrente stazionaria che attraversa un filo rettilineo genera perturbazioni
su un ago magnetico (Oersted, 1820);
(ii) un filo percorso da corrente immerso in un campo magnetico uniforme è
soggetto ad azioni di natura meccanica;
(iii) due fili percorsi da corrente sperimentano forze di natura attrattiva o
repulsiva a seconda dei versi di scorrimento delle correnti.
Queste evidenze sperimentali suggeriscono l’idea che una corrente stazionaria
possa essere la sorgente di un campo magnetico. Secondo questa
interpretazione, l’esperimento (i) indica che l’ago magnetico reagisce al campo
di induzione magnetica generato dal filo percorso da corrente.
Analoga interpretazione può essere fornita per (ii) e (iii). Ma se questa è la
situazione, quali sono le caratteristiche del campo magnetico prodotto
nell’esperimento (i)?
Per rispondere a questa domanda occorre dapprima analizzare le evidenze
sperimentali che ricaviamo dagli esperimenti (ii) e (iii). Procediamo quindi in
questo ordine.

14b.2 Filo percorso da corrente in campo magnetico spazialmente


uniforme: la forza di Lorentz
Il primo problema da affrontare nello studio che ci proponiamo di condurre è
quello di ottenere dei campi magnetici che siano spazialmente uniformi. Il
campo magnetico generato da una barretta magnetica è infatti fortemente
2
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disomogeneo e non si presta allo studio di nostro


interesse. Come creare un campo magnetico
uniforme? Un campo con tali caratteristiche si
instaura tra le espansioni polari di un magnete a
forma di C, che può essere visto come l’analogo
magnetico di un condensatore.
Sperimentalmente si trova che un filo rettilineo di
lunghezza 𝑙, percorso da una corrente stazionaria 𝑖 e immerso in un campo
magnetico uniforme 𝐵⃗ , sperimenta una forza data dalla relazione:
⃗,
𝐹 = 𝑖𝑙 × 𝐵 (1)
dove 𝑙 = 𝑙𝑙̂ è il vettore di modulo pari alla lunghezza del filo e avente direzione
e verso collineare al filo 𝑙̂. Se il filo non è rettilineo il versore sopra menzionato
assume un carattere locale e la forza agente sul sistema ha la forma:
𝐹 = ∫ 𝑖 ⃗⃗⃗ ⃗ = ∫ 𝑑𝜏 𝐽 × 𝐵
𝑑𝑙 × 𝐵 ⃗, (2)
dove nello scrivere la forma locale della (2) abbiamo esplicitamente utilizzato
⃗⃗⃗ = 𝐽𝑑𝑠𝑑𝑙 = 𝐽𝑑𝜏. Osserviamo che mediante la (1) è possibile
la relazione 𝑖 𝑑𝑙
quantificare l’intensità del campo magnetico inducente.
Da un punto di vista microscopico una corrente elettrica è costituita dal moto
ordinato di portatori elettricamente carichi che si muovono sotto l’azione di un
campo elettrico con una certa velocità di deriva 𝑣𝑑 .
Alla luce dell’ultima relazione della (2), il contributo infinitesimo alla forza
agente sul conduttore dovuto ai portatore contenuti nel volume infinitesimo
𝑑𝜏 = 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 vale:
⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗ = 𝑑𝜏 𝑛𝑞𝑣𝑑 × 𝐵
𝑑𝐹 = 𝑑𝜏 𝐽 × 𝐵 ⃗ = 𝑑𝑁 𝑞𝑣𝑑 × 𝐵
⃗, (3)
dove 𝑑𝑁 rappresenta la quantità infinitesima di particelle contenute nel volume
𝑑𝜏. Dalla (3) segue che la forza agente per unità di portatore (e quindi sul
singolo portatore) vale:
⃗.
𝐹 = 𝑞𝑣𝑑 × 𝐵 (4)
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La (4) fornisce la forza a cui è sottoposta una particella quando il moto avviene
in presenza di un campo magnetico. Tale forza è detta forza di Lorentz. La (4)
è una forza dalla forma molto particolare in quanto dipende in modo esplicito
dalla velocità della particella nel sistema di riferimento considerato e non
agisce su particelle ferme (qui c’è un punto delicato in quanto il concetto di
moto è relativo al sistema di riferimento!). Inoltre, essendo la forza ortogonale
alla velocità e quindi allo spostamento, la forza di Lorentz non compie lavoro.
Dal teorema dell’energia cinetica possiamo quindi dedurre che un campo
magnetico non può alterare l’energia cinetica di una particella carica. Questo
implica che il modulo del vettore velocità di una particella in moto in un campo
magnetico è costante. Nel caso in cui sia simultaneamente presente un campo
elettrico 𝐸⃗ , la particella risentirà di una forza di natura elettromagnetica della
forma:
𝐹 = 𝑞(𝐸⃗ + 𝑣 × 𝐵
⃗ ). (5)
In questa condizione l’energia cinetica non è più una grandezza conservata in
quanto il campo elettrico compie lavoro non nullo sulla particella.
La (4) può essere utilizzata per dare una definizione operativa dell’unità di
misura del campo magnetico. Un campo magnetico di 1 Tesla è quello che
induce una forza di 1 Newton su una carica di 1 Coulomb che si muove alla
velocità di 1 m/s secondo l’equazione dimensionale:
1𝑁 𝑁
1𝑇 = =1 . (6)
1 𝐶×1 𝑚×1 𝑠−1 𝐴𝑚

A complemento di quanto detto fin qui possiamo osservare che le azioni


meccaniche che un campo magnetico esercita su un circuito indeformabile
percorso da corrente stazionaria sono completamente definite dalla risultante
delle forze e dei momenti rispetto a un polo secondo le relazioni:
𝐹 = 𝑖 ∮ ⃗⃗⃗ ⃗,
𝑑𝑙 × 𝐵 (7a)

𝑀 ⃗⃗⃗ × 𝐵
⃗⃗ = 𝑖 ∮ 𝑟 × (𝑑𝑙 ⃗ ), (7b)
4
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dove 𝑟 rappresenta il vettore posizione dell’elemento infinitesimo ⃗⃗⃗


𝑑𝑙 rispetto
al polo scelto per il calcolo del momento risultante.
14b.3 Moto di una particella carica in campo magnetico
Supponiamo di voler studiare il moto di una
particella di carica 𝑞 e massa 𝑚 immersa in un
campo magnetico che è ortogonale al piano in cui
giace la velocità iniziale. Sia il moto unicamente
determinato dalla forza di Lorentz (il campo
elettrico è assente). Dal secondo principio della
dinamica è possibile scrivere:

𝑑𝑣
𝑚 ⃗.
= 𝑞𝑣 × 𝐵 (8)
𝑑𝑡

Notiamo che la (8) può essere messa nella forma seguente:



𝑑𝑣
⃗ × 𝑣,
= 𝜔 (9a)
𝑑𝑡

𝑞𝐵
𝜔
⃗ =− . (9b)
𝑚

Essendo |𝑣| una costante del moto, la (9a) rappresenta proprio la formula di
Poisson per la derivata temporale di un vettore di modulo costante pari a 𝑣0 . Il
vettore velocità angolare è dato da (9b). Da quanto detto appare chiaro che la
particella in esame compirà un moto circolare uniforme. In un moto circolare
uniforme vale la relazione 𝑣 = 𝜔 ⃗ × 𝑟, dove 𝑟 è il vettore posizione della
particella con origine nel centro della circonferenza su cui avviene il moto. Il
raggio della traiettoria circolare, |𝑟| = 𝑅, può essere semplicemente calcolato
osservando che |𝑣| = |𝜔 ⃗ × 𝑟| = |𝜔 ⃗ |𝑅 = 𝑣0 . Di qui segue:
𝑚𝑣
𝑅 = |𝑞||𝐵⃗0 . (10)
|

La (10) mostra come il raggio dell’orbita dipenda dal rapporto massa-carica,


cosa che è alla base di molte applicazioni.
5
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Esempio

Una particella di massa 𝑚 e carica 𝑄 < 0 si muove con velocità iniziale 𝑣0 = (0, 𝑣, 0)
nel campo magnetico 𝐵 ⃗ = 𝐵 𝑧̂ . Siano 𝑣 > 0 e 𝐵 > 0. Determinare:
 La componente 𝑥 della velocità ad un generico tempo 𝑡 > 0
 Il modulo della velocità ad un generico tempo 𝑡 > 0
 Il modulo della forza agente sulla carica ad un generico tempo 𝑡 > 0
𝜋𝑚
 La componente 𝑦 dell’accelerazione all’istante di tempo 𝑡 ∗ =
2|𝑄|𝐵

Svolgimento
La particella è soggetta alla sola forza di Lorentz e la risultante equazione della dinamica
prende la forma:
𝑑
𝑚 𝑣 = 𝑄𝑣 × 𝐵 ⃗.
𝑑𝑡
Quest’ultima può essere riscritta nella forma
𝑑
𝑣=𝜔 ⃗ × 𝑣,
𝑑𝑡
con la definizione
|𝑄|𝐵
𝜔⃗ = 𝑧̂ ≡ 𝜔𝑧̂ .
𝑚
Le precedenti mettono in chiara evidenza che il moto seguito dalla carica è circolare ed
uniforme con velocità angolare data dalla precedente. Si osserva inoltre, dalla struttura
delle equazioni, che la componente della velocità parallela al campo è conservata, ossia
non varia nel tempo. Essendo nulla tale componente all’istante iniziale, tale rimarrà ad
ogni istante di tempo successivo. Da questo concludiamo che il moto avviene nel piano
𝑥𝑦 ortogonale al campo magnetico.
L’analisi per componenti consente di scrivere le seguenti relazioni:
𝑑
𝑣 = −𝜔𝑣𝑦
𝑑𝑡 𝑥 .
𝑑
𝑣 = 𝜔𝑣𝑥
𝑑𝑡 𝑦
Derivando rispetto al tempo una delle precedenti e utilizzando l’altra otteniamo le seguenti
equazioni differenziali per le componenti della velocità:
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𝑑2
2
𝑣𝑥 + 𝜔2 𝑣𝑥 = 0
𝑑𝑡 .
𝑑2
2
𝑣𝑦 + 𝜔2 𝑣𝑦 = 0
𝑑𝑡
Esse mostrano che, come atteso, le componenti della velocità seguono un moto armonico.
Esaminiamo l’equazione per la componente 𝑥 della velocità. Essa ammette soluzione del
tipo 𝑣𝑥 (𝑡) = 𝐴𝑒 𝑖𝜔𝑡 + 𝐵𝑒 −𝑖𝜔𝑡 , con 𝐴 e 𝐵 costanti di integrazione da determinare dalle
condizioni al contorno del problema. Osservando che 𝑣𝑥 (𝑡 = 0) = 0, possiamo scrivere,
ridefinendo opportunamente la costante, 𝑣𝑥 (𝑡) = 𝐴 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡). D’altra parte sappiano che
vale la relazione:
𝑑
𝑣 = −𝜔𝑣𝑦
𝑑𝑡 𝑥
dalla quale segue:
𝑑
𝑣 = 𝐴𝜔 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡) = −𝜔𝑣𝑦 .
𝑑𝑡 𝑥
La precedente implica che
𝑣𝑦 = −𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡).
D’altra parte 𝑣𝑦 (𝑡 = 0) = 𝑣 e da questo segue (punto 1):
𝑣𝑥 = −𝑣 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡)
𝑣𝑦 = 𝑣 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡)
.
|𝑄|𝐵
𝜔=
𝑚
Il modulo della velocità ad un generico istante (punto 2) vale √𝑣𝑥 2 + 𝑣𝑦 2 = 𝑣 e risulta
costante nel tempo. E’ semplice rendersi conto del fatto che le componenti della forza di
Lorentz agente sulla carica valgono:
𝐹𝑥 = 𝑄𝑣𝑦 𝐵 = 𝑄𝐵𝑣 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡)
.
𝐹𝑦 = −𝑄𝑣𝑥 𝐵 = 𝑄𝐵𝑣 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡)
Dalle precedenti segue che il modulo della forza agente sulla carica ad ogni istante vale
(punto 3) |𝐹 | = |𝑄|𝑣𝐵. Inoltre le componenti dell’accelerazione si scrivono nella forma:
𝑄𝑣𝑦 𝐵 𝑄𝐵𝑣
𝑎𝑥 = = 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡)
𝑚 𝑚 .
𝑄𝑣𝑥 𝐵 𝑄𝐵𝑣
𝑎𝑦 = − = 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡)
𝑚 𝑚
Dalle precedenti, osservando che 𝑡 ∗ = 𝑇/4 con 𝑇 il periodo del moto circolare uniforme,
otteniamo (punto 4):
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𝑄𝐵𝑣 𝑄𝐵𝑣 𝑇 𝑄𝐵𝑣 2𝜋 𝑇 𝑄𝐵𝑣 |𝑄|𝐵𝑣


𝑎𝑦 (𝑡 ∗ ) = 𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡 ∗ ) = 𝑠𝑖𝑛 (𝜔 ) = 𝑠𝑖𝑛 ( ∙ ) = =− .
𝑚 𝑚 4 𝑚 𝑇 4 𝑚 𝑚
1
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LEZIONE 14c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

14c.1 Interazione tra fili percorsi da corrente stazionaria

Si osserva sperimentalmente che due fili rettilinei


di lunghezza 𝐿, posti a distanza 𝑑 e percorsi da
correnti stazionarie 𝑖1 e 𝑖2 , sperimentano una forza
avente modulo pari a:
𝜇0 𝐿 |𝑖1 𝑖2 |
𝐹= , (1)
2𝜋 𝑑
𝑁
dove 𝜇0 = 4𝜋 ∙ 10−7 rappresenta una costante
𝐴2
che viene detta permeabilità magnetica del vuoto.
La forza è di natura attrattiva se le correnti hanno
verso di scorrimento concorde (come in figura),
mentre è di natura repulsiva nel caso di versi discordi. Le forze agenti su
ciascun filo soddisfano il terzo principio della dinamica. Come interpretare
questo risultato?
Dall’esperimento di Oersted sappiamo che una corrente è in grado di
perturbare l’ago di una bussola. Questo implica che la corrente genera nello
spazio una perturbazione di tipo magnetico (un campo magnetico). Alla luce
di questa osservazione potremmo pensare che il primo filo genera un campo
magnetico 𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 che esercita una azione sul secondo filo. Potremmo quindi
scrivere che la forza risentita dal secondo filo per effetto del campo prodotto
dal primo vale:
⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗⃗⃗1 .
𝐹2 = 𝑖2 𝐿𝑧̂ × 𝐵 (2a)
Analogamente la forza risentita dal primo filo per effetto del secondo deve
essere data dall’espressione seguente:
2
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⃗⃗⃗
𝐹1 = 𝑖1 𝐿𝑧̂ × ⃗⃗⃗⃗
𝐵2 . (2b)
Inoltre dal terzo principio della dinamica sappiamo che deve anche valere la
condizione 𝐹⃗⃗⃗1 + ⃗⃗⃗⃗
𝐹2 = 0. L’analisi vettoriale mette in evidenza quanto segue:
⃗⃗⃗⃗1 ∝ −𝑥̂
𝑧̂ × 𝐵
𝑧̂ × ⃗⃗⃗⃗
𝐵2 ∝ 𝑥̂,
e quindi 𝐵⃗⃗⃗⃗1 ∝ 𝑦̂ mentre ⃗⃗⃗⃗
𝐵2 ∝ −𝑦̂. Nota direzione e verso dei campi resta da
determinare il modulo. Scriviamo i campi nella forma 𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 = 𝐵1 𝑦̂ e 𝐵
⃗⃗⃗⃗2 = −𝐵2 𝑦̂
e sostituiamo nelle relazioni (2a-b). Così facendo otteniamo:
⃗⃗⃗⃗
𝐹2 = 𝑖2 𝐿𝐵1 𝑧̂ × 𝑦̂ = −𝑖2 𝐿𝐵1 𝑥̂ (3a)
⃗⃗⃗
𝐹1 = −𝑖1 𝐿𝐵2 𝑧̂ × 𝑦̂ = 𝑖1 𝐿𝐵2 𝑥̂. (3b)
⃗⃗⃗1 | = |𝐹
L’ultima osservazione riguarda i moduli delle forze, ossia |𝐹 ⃗⃗⃗⃗2 | = 𝐹. La
precedente ci consente di scrivere:
𝜇0 𝑖1
𝐵1 = (4a)
2𝜋𝑑
𝜇0 𝑖2
𝐵2 = . (4b)
2𝜋𝑑

Concentriamoci adesso sul campo prodotto da uno qualsiasi dei due fili
spostando l’altro in una regione distante dello spazio e disinteressandocene. In
questa condizione il campo è ancora presente sebbene non vi sia più un sistema
fisico in grado di risentirne. Data la simmetria cilindrica del problema, ci
aspettiamo che il modulo del campo dipenda solo dalla distanza dal filo,
essendo irrilevante la dipendenza angolare in un qualsiasi piano ortogonale al
filo. Inoltre, non ci aspettiamo alcuna dipendenza dalla coordinata 𝑧. Alla luce
dei fatti sperimentali sopra esposti, facendo opportuno uso della simmetria del
problema, concludiamo che il campo magnetico prodotto da un filo percorso
da corrente 𝑖, collineare all’asse 𝑧 e immerso nel vuoto, assume la forma:
⃗ = 𝜇0 𝑖
𝐵
𝑧̂ ×𝑟
. (5)
2𝜋 𝑥 2 +𝑦 2
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Adesso osserviamo che 𝑟 = 𝑟⃗⃗∥ + ⃗⃗⃗ 𝑟⊥ e che 𝑧̂ × 𝑟 =


𝑟⊥ . Per le precedenti, la (5) può essere riscritta
𝑧̂ × ⃗⃗⃗
nella forma seguente:
⃗⃗⃗⃗⊥
⃗ = 𝜇0 𝑖
𝐵
𝑧̂ × 𝑟
, (6)
2𝜋 |𝑟⃗⃗⃗⃗⊥ |2

𝑟⊥ |2 = 𝑥 2 + 𝑦 2 rappresenta il quadrato della


dove |⃗⃗⃗
distanza dal filo di un generico punto dello spazio.
Scriviamo il campo vettoriale definito nella (6) in
forma esplicita. Dalla (6) otteniamo:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝜇0 𝑖 𝜇 𝑖 −𝑦 𝑥
⃗ =
𝐵 |0 0 1| = 0 ( 2 2 , 2 2 , 0). (7)
2𝜋 (𝑥 2 +𝑦 2 ) 2𝜋 𝑥 +𝑦 𝑥 +𝑦
𝑥 𝑦 0
Osserviamo che la (7) vale in tutti i punti dello spazio non appartenenti al filo
e quindi occorre tenere conto del vincolo 𝑥 2 + 𝑦 2 ≠ 0. E’ semplice verificare
che
𝜇0 𝑖
⃗|=
|𝐵 ,
2𝜋 √𝑥 2 + 𝑦2
espressione quest’ultima consistente con le relazioni (4a-b). Abbiamo adesso
a disposizione il prototipo di un campo magnetico generato da una corrente e
siamo pronti ad analizzarne le proprietà.
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LEZIONE 15
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

15.1 Proprietà del campo magnetico generato da un filo rettilineo percorso


da corrente stazionaria e immerso nel vuoto

Nella precedente lezione abbiamo esaminato tre


esperimenti riguardanti l’interazione tra magnetismo
e correnti stazionarie nel vuoto. Questa analisi getta
una luce nuova sui fenomeni magnetici ed in
particolare stabilisce che la sorgente del campo di
induzione magnetica è una corrente stazionaria, ossia
un flusso di particelle cariche in movimento.
Abbiamo dimostrato che il campo generato da un filo
rettilineo infinito percorso da corrente assume la forma:
⃗ = 𝜇0 𝑖 (
𝐵
−𝑦
2,
𝑥
, 0). (1)
2𝜋 𝑥 2 +𝑦 𝑥 2 +𝑦2

Da considerazioni matematiche sappiamo che un campo vettoriale è


completamente specificato, per fissate condizioni al contorno, una volta nota
la sua divergenza e il suo rotore in tutti i punti appartenenti a una assegnata
regione spaziale. Per il campo elettrico sappiamo che valgono le seguenti
relazioni:
𝜌
⃗∇ ∙ 𝐸⃗ = (2a)
𝜀

⃗∇ × 𝐸⃗ = 0, (2b)
dove la (2a) è la prima equazione di Maxwell, derivante dal teorema di Gauss,
mentre la seconda mette in luce la proprietà di conservatività del campo. Un
campo vettoriale è conservativo se la circuitazione è nulla su qualsiasi linea
chiusa dello spazio, ossia ∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 0. La precedente può essere messa nella
forma locale (2b) grazie al teorema di Stokes. E’ utile qui ricordare che (2b)
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richiede la derivabilità del campo, condizione non richiesta nella forma


integrale. Inoltre la validità della (2b) nel caso del campo elettrico è assicurata
dall’esistenza della funzione potenziale elettrico. Infatti, visto che 𝐸⃗ = −∇ ⃗ 𝑉,
si ha immediatamente che ∇ ⃗ × 𝐸⃗ = −∇ ⃗ ×∇ ⃗ 𝑉 = 0, essendo identicamente
nullo il rotore del gradiente di una qualsiasi funzione delle coordinate.
L’analisi del campo magnetico prodotto da una barretta ferromagnetica e gli
esperimenti di segmentazione dei magneti ci avevano convinto che l’ente
magnetico elementare è il dipolo magnetico e che quindi non esistono
monopoli magnetici isolati. Queste considerazioni ci hanno condotto alla
⃗ ∙𝐵
conclusione che deve essere ∇ ⃗ = 0.
Vogliamo verificare che la condizione di divergenza nulla, dedotta per via
intuitiva per il campo magnetico generato da un magnete naturale, valga anche
per il campo generato da un filo percorso da corrente stazionaria. Essendo noto
tale campo attraverso la (1), non resta che procedere al calcolo della
divergenza. Il calcolo diretto mostra quanto segue:
𝜇0 𝑖 −2𝑥 −2𝑦
⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ = 𝜕𝑥 𝐵𝑥 + 𝜕𝑦 𝐵𝑦 = {−𝑦 [ 2 ] + 𝑥 [ ] } = 0,
2𝜋 (𝑥 + 𝑦 2 )2 (𝑥 2 + 𝑦 2 )2
dove occorre ricordare che il risultato di sopra vale fin tanto che consideriamo
punti appartenenti al dominio di definizione del campo vettoriale, ossia tutto
lo spazio esterno alla sorgente del campo (𝑥 2 + 𝑦 2 ≠ 0). Abbiamo quindi
dimostrato con soddisfazione che il campo generato da un filo è a divergenza
nulla così come era atteso da argomenti intuitivi sul campo generato da un
magnete permanente.
Calcoliamo quindi il rotore. Il calcolo diretto mostra che:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝜇 𝑖 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
∇ ⃗ = 0 |
⃗ ×𝐵 |
2𝜋 −𝑦 𝑥
0
𝑥 2 + 𝑦2 𝑥 2 + 𝑦2
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝑥 𝑦
= {𝜕𝑥 ( 2 ) + 𝜕 𝑦 ( )}.
2𝜋 𝑥 + 𝑦2 𝑥 2 + 𝑦2
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Concentriamoci adesso sul termine in parentesi graffa:


𝑥 𝑦
{𝜕𝑥 ( ) + 𝜕𝑦 ( )}
𝑥2 + 𝑦2 𝑥2 + 𝑦2
𝑥 2 + 𝑦 2 − 𝑥 (2𝑥 ) 𝑥 2 + 𝑦 2 − 𝑦(2𝑦)
= {[ ]+[ ]}
(𝑥 2 + 𝑦 2 )2 (𝑥 2 + 𝑦 2 )2
𝑦2 − 𝑥 2 𝑥 2 − 𝑦2
= {[ 2 ]+[ 2 ]} = 0.
(𝑥 + 𝑦 2 )2 (𝑥 + 𝑦 2 )2

Arriviamo alla conclusione che ⃗∇ × 𝐵⃗ = 0 per ogni punto dello spazio tale che
𝑥 2 + 𝑦 2 ≠ 0. Saremmo tentati di azzardare la conclusione che il campo 𝐵 ⃗
abbia natura conservativa. Mostreremo che questa
conclusione non è corretta per via della singolarità
(divergenza) del campo in corrispondenza della
sorgente. Il calcolo della circuitazione non richiede la
derivabilità ed è quindi uno strumento adeguato per
appurare la natura conservativa o non conservativa del
campo magnetico.
Procediamo al calcolo della circuitazione del campo che possiamo scrivere in
forma esplicita come segue:
𝜇0 𝑖 −𝑦 𝑑𝑥
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∮ 𝐵
∮𝐵 ⃗ ∙ (𝑥̂𝑑𝑥 + 𝑦̂𝑑𝑦) = ∮ 𝐵𝑥 𝑑𝑥 + 𝐵𝑦 𝑑𝑦 = ∮
2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2
𝑥 𝑑𝑦
+ ,
𝑥2 + 𝑦2
dove occorre ancora specificare la linea chiusa su cui calcolare la circuitazione.
Per sfruttare la simmetria cilindrica del problema e semplificare i calcoli,
scegliamo un circuito chiuso circolare centrato in un arbitrario punto del filo
ed appartenente ad un piano ad esso ortogonale. Sia 𝑅 il raggio del circuito di
integrazione. Occupiamoci dell’integrale di linea che segue:
−𝑦 𝑑𝑥 𝑥 𝑑𝑦
∮ + .
𝑥 2 + 𝑦2 𝑥 2 + 𝑦2
4
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Parametrizziamo la linea di circuitazione come segue:


𝑥 = 𝑅 cos 𝜑
{
𝑦 = 𝑅 sin 𝜑
dove 𝜑 ∈ [0, 2𝜋]. Cambiando variabili nell’integrale di linea, tenendo conto
della trasformazione dei differenziali seguente:
𝑑𝑥 = −𝑅 sin 𝜑 𝑑𝜑
{ ,
𝑑𝑦 = 𝑅 cos 𝜑 𝑑𝜑
otteniamo quanto segue:
−𝑦 𝑑𝑥 𝑥 𝑑𝑦
∮ +
𝑥 2 + 𝑦2 𝑥 2 + 𝑦2
2𝜋 (
−𝑅 sin 𝜑)(−𝑅 sin 𝜑 𝑑𝜑) (𝑅 cos 𝜑)(𝑅 cos 𝜑 𝑑𝜑)
=∫ 2
+
0 𝑅 𝑅2
2𝜋
= ∫ 𝑑𝜑 (sin2 𝜑 + cos2 𝜑) = 2𝜋.
0

Arriviamo all’importante conclusione che

⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 𝑖,
∮𝐵

che chiaramente denuncia la non conservatività del campo magnetico. E’


interessante notare che se avessimo compiuto più giri attorno alla sorgente del
campo estendendo quindi l’integrale sino a 2𝜋 𝑁, con 𝑁 un numero intero di
giri, avremmo ottenuto la relazione:
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 𝑁 𝑖.
∮𝐵
La precedente non dipende in alcun modo dal raggio scelto per definire la linea
di circuitazione. Si può poi dimostrare che questa relazione non dipende
neanche dalla particolare forma (circolare) scelta per la curva chiusa. Inoltre il
risultato non dipende neppure dalla posizione della sorgente all’interno del
percorso di integrazione.
5
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Cosa accadrebbe se scegliessimo una linea di circuitazione che non include la


sorgente del campo?
Per rispondere a questa domanda scegliamo ancora una
volta un percorso di integrazione che rispetti, almeno
parzialmente, la simmetria del problema al solo fine di
semplificare i calcoli. In particolare sia dato il percorso
in figura. La circuitazione si può calcolare
parametrizzando separatamente i 4 tratti che
compongono la linea di circuitazione secondo la
relazione:
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(… ) + ∫(… ) + ∫(… ) + ∫(… ) .
∮𝐵 1 2 3 4

Si dimostra facilmente (senza calcoli) che gli integrali sul percorso 1 e 3 non
contribuiscono all’integrale in quanto i percorsi di integrazione risultano
ortogonali al campo vettoriale. E’ poi semplice dimostrare che ∫(… )2 =
− ∫(… )4 = 𝜋/2.

Arriviamo alla conclusione che ∮ 𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 0 se il percorso di integrazione non


include la sorgente del campo. Questa conclusione non dipende dalla scelta
particolare del percorso di integrazione ed ha validità generale.
Quanto fin qui detto circa la circuitazione del campo di induzione magnetica è
un caso particolare del più generale teorema di Ampère che di seguito
enunciamo.
Teorema di Ampère (caso stazionario)
⃗ lungo una linea chiusa ed orientata è pari alla corrente
La circuitazione di 𝐵
complessiva con cui la linea si concatena moltiplicata per 𝜇0 . Qualora la linea
amperiana abbia concatenazioni multiple con le correnti, occorre tenere conto
del grado di concatenazione mediante la formula:
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 ∑𝑘 𝑖𝑘 𝑁𝑘 ,
∮𝐵
6
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dove 𝑁𝑘 rappresenta il grado di concatenazione con la k-esima corrente. Le


correnti vanno prese con segno positivo o negativo a seconda che esse vedano
circolare intorno a sé la linea di circuitazione in senso orario o antiorario
(regola della mano destra).
Nell’esempio in figura, 𝑁1 = 0, 𝑁2 = 1, 𝑁3 = 2. La
corrente 𝑖2 va presa con segno positivo, mentre 𝑖3 con
segno negativo. Ne risulta la relazione
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 (−2𝑖3 + 𝑖2 ),
∮𝐵
con 𝑖2 , 𝑖3 > 0.
1
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LEZIONE 15b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

15b.1 Ancora sul campo magnetico generato da un filo rettilineo percorso


da corrente stazionaria

Nelle precedenti lezioni abbiamo osservato che il


𝑧̂ campo generato da un filo rettilineo infinito
percorso da corrente assume la forma:

𝑟
𝐵 ⃗ = 𝜇0 𝑖 (
𝐵
−𝑦
,
𝑥
, 0). (1)
2𝜋 𝑥 2 +𝑦 2 𝑥 2 +𝑦 2

Abbiamo più volte invocato la simmetria cilindrica


𝑟 𝑟 del problema. Tale simmetria diventa evidente in
coordinate cilindriche. Scriviamo quindi la (1) in
queste coordinate. Ricordiamo che le coordinate
cilindriche sono definite dalla trasformazione seguente:
𝑥 = 𝑟 𝑐𝑜𝑠𝜃
{ 𝑦 = 𝑟 𝑠𝑖𝑛𝜃 .
𝑧=𝑧
Esaminando le varie componenti della (1), tenendo conto delle precedenti,
abbiamo:
𝜇0 𝑖
⃗ =
(− sin 𝜃 , cos 𝜃 , 0),
𝐵
2𝜋 𝑟
dove resta da comprendere chi è il versore (− sin 𝜃 , cos 𝜃 , 0). Notiamo che il
versore della direzione radiale è dato da 𝑟̂ = (cos 𝜃 , sin 𝜃 , 0). E’ facile
verificare che (− sin 𝜃 , cos 𝜃 , 0) ∙ 𝑟̂ = 0. Ne segue che (− sin 𝜃 , cos 𝜃 , 0) =
𝜃̂ è il versore della direzione tangenziale. Otteniamo quindi:
𝜇0 𝑖
⃗ =
𝐵 𝜃̂ ,
2𝜋 𝑟
2
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relazione che mette in luce le proprietà di simmetria del campo. Riesaminiamo


in queste coordinate la circuitazione su una circonferenza di raggio 𝑅 centrata
in un punto del filo e appartenente al piano ortogonale al filo passante per
questo punto. Si ha:
𝜇0 𝑖 𝜇0 𝑖
⃗ ∙ 𝑙 = ∮(
∮𝐵 𝜃̂ ) ∙ (𝑟̂ 𝑟 + 𝜃̂ 𝑟 𝜃 + 𝑧̂ 𝑧) = ∮ ( 𝜃̂ ) ∙ (𝜃̂ 𝑟 𝜃)
2𝜋 𝑟 2𝜋 𝑟
𝜇0 𝑖
= ∮ 𝜃 = 𝜇0 𝑖.
2𝜋
Il risultato della circuitazione sarebbe invariato se considerassimo una linea di
integrazione arbitraria (non circolare).
Fin qui abbiamo riconosciuto che una corrente stazionaria produce un campo
di induzione magnetica. Abbiamo dedotto la forma di questo campo per il caso
particolare di un filo rettilineo infinito percorso da corrente. Questo risultato
deriva dall’analisi dei fatti sperimentali. Abbiamo poi analizzato le proprietà
matematiche del campo (rotore e divergenza) e siamo giunti alla conclusione
che tale campo deve rispettare le condizioni
Φ(𝐵⃗)=0
{ .

∮ 𝐵 ∙ 𝑙 = 𝜇0 𝑖
Assumiamo che queste proprietà, essendo molto generali, non dipendano dallo
specifico caso considerato (filo rettilineo), ma siano proprietà costitutive di
ogni campo di induzione magnetica a prescindere dalla particolare sorgente.
Chiaramente questa è una indebita generalizzazione da un caso particolare alla
situazione generale (logicamente sarebbe corretto il processo inverso). Ci
aspettiamo quindi che a partire da queste relazioni sia possibile ottenere il
campo di induzione magnetica generato da una arbitraria sorgente (l’analogo
della forza di Coulomb per l’elettrostatica). Notiamo infatti che la legge di
forza che lega il campo di induzione magnetica alle caratteristiche della sua
sorgente resta al momento sconosciuta. Prima di procedere con il nostro
programma vediamo come rubare qualche altro segreto alla natura con quanto
abbiamo a disposizione.
3
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15b.2 Campo magnetico generato da un filo cilindrico percorso da


corrente stazionaria
Supponiamo di voler determinare il campo di
𝑟 𝑅 induzione magnetica prodotto da un filo cilindrico
percorso da una corrente 𝑖. Sia uniforme la densità
𝑟 >𝑅
di corrente 𝐽 diretta come mostrato in figura. Il
𝐽 modulo della densità di corrente, nelle ipotesi
𝑖
fatte, vale |𝐽| = con 𝑆 = 𝜋 𝑅 2 la superficie
𝑆
trasversa del conduttore. Notiamo anzitutto che
non disponiamo di una formula generale, almeno
fino a questo momento, che ci consenta di determinare il campo magnetico
assegnata la geometria della sorgente. Dobbiamo quindi cercare di capire se il
problema possa essere risolto con gli strumenti concettuali che già possediamo.
Il problema può essere risolto mediante il teorema di Ampère. Osserviamo
dapprima che il problema allo studio possiede simmetria cilindrica. Ci
aspettiamo quindi che il campo di induzione magnetica sia della forma 𝐵 ⃗ =
𝐵(𝑟)𝜃̂ . Nota direzione e verso del campo occorre determinarne il modulo
𝐵(𝑟) che per ragioni di simmetria ci aspettiamo possa dipendere soltanto dalla
coordinata radiale, ma non dalle altre coordinate. L’altra osservazione è che il
nostro conduttore può essere immaginato come un
insieme di conduttori di sezione trasversa tendente
a zero arrangiati a formare un cilindro percorso da
corrente. Ad ognuno di questi conduttori elementari
𝑟 >𝑅 si applica il teorema di Ampère nella forma vista
fino a questo momento. Occupiamoci prima del
campo a distanza 𝑟 > 𝑅 dall’asse di simmetria del
cilindro (esterno del conduttore). Consideriamo
quindi una linea amperiana circolare di raggio 𝑟 che si concateni con l’intero
cilindro. Dal teorema di Ampère abbiamo:
⃗ ∙ 𝑙 = ∮(𝐵(𝑟)𝜃̂ ) ∙ (𝜃̂ 𝑟 𝜃) = 𝐵(𝑟)𝑟 ∫ 𝜃 = 𝐵 (𝑟)2𝜋𝑟,
𝜇0 𝑖 = ∮ 𝐵
cosa che immediatamente ci consente di scrivere:
4
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𝜇0 𝑖 𝜃̂

{𝐵 = 2𝜋𝑟 .
𝑟≥𝑅
Troviamo che il campo esterno è indistinguibile dal campo che genererebbe un
conduttore di sezione trasversa nulla collineare all’asse di simmetria del
cilindro. Cosa si può dire sul campo interno al conduttore cioè per 𝑟 < 𝑅?
Consideriamo una linea amperiana di raggio 𝑟 < 𝑅. Con questa linea si
concatena soltanto una frazione della corrente totale. Precisamente la corrente
concatenata è pari alla densità di corrente moltiplicata per l’area del cerchio
che ha come perimetro la linea di circuitazione:
𝑖 22
𝑟2
𝑖𝑐 = |𝐽|𝜋𝑟 = (𝜋𝑟 ) = 𝑖 2 .
𝜋𝑅 2 𝑅
D’altra parte dalla circuitazione sappiamo che
⃗ ∙ 𝑙 = 𝐵(𝑟)2𝜋𝑟.
𝜇0 𝑖𝑐 = ∮ 𝐵
Da quanto detto otteniamo:
𝜇0 𝑖𝑐 𝜇0 𝑟2 𝜇0 𝑖 𝑟
𝐵 (𝑟 ) = = (𝑖 2 ) = ,
2𝜋𝑟 2𝜋𝑟 𝑅 2𝜋𝑅 2

con 𝐵⃗ = 𝐵(𝑟)𝜃̂ e 𝑟 < 𝑅. Notiamo che l’espressione calcolata per il campo


interno e quella per il campo esterno si raccordano sulla superficie del cilindro
senza subire discontinuità. Il modulo del campo di induzione magnetica è nullo
sull’asse di simmetria del cilindro ed aumenta linearmente all’aumentare della
distanza radiale. Quando quest’ultima eccede il raggio del conduttore il
modulo del campo tende a decadere come l’inverso della distanza radiale
misurata a partire dall’asse del cilindro.
La determinazione del campo di induzione magnetica a una distanza fissa da
un elettrodotto ad alta tensione è un problema rilevante per la protezione delle
persone dai danni provocati da intensi campi magnetici. La legge fissa le
distanze minime da tenere dagli elettrodotti affinché le persone non siano
esposte a valori di campo troppo elevati.
1
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LEZIONE 15c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

15c.1 Campo generato da un conduttore piano percorso da corrente

Nelle precedenti lezioni abbiamo osservato che il campo generato da un filo


rettilineo infinito percorso da corrente assume la forma:
⃗ = 𝜇0 𝑖 (
𝐵
−𝑦
,
𝑥
, 0). (1)
2𝜋 𝑥 2 +𝑦2 𝑥 2 +𝑦2

Ancora non sappiamo calcolare il campo nota la geometria della sorgente per
una situazione generale. E’ tuttavia lecito aspettarsi la validità del principio di
sovrapposizione anche per il campo di induzione magnetica. Sotto tale ipotesi
siamo in grado di calcolare il campo generato da un insieme di fili percorsi da
corrente ortogonali al piano 𝑥 − 𝑦 e passanti per i punti (𝑥𝑘 , 𝑦𝑘 ) di detto piano.
E’ facile convincersi che il campo che ne risulta prende la forma:
𝜇 𝑖 −(𝑦−𝑦 ) (𝑥−𝑥𝑘 )
⃗ = ∑𝑘 ⃗⃗⃗⃗
𝐵 𝐵𝑘 = 0 ∑𝑘 ((𝑥−𝑥 )2 𝑘 , , 0).
2𝜋 𝑘 +(𝑦−𝑦𝑘 )2 (𝑥−𝑥 𝑘)
2 +(𝑦−𝑦
𝑘)
2

𝑦 Un esempio istruttivo è il calcolo


del campo generato da un insieme di
𝐵 fili disposti a formare un piano che
… Supponiamo

occupa l’intero piano 𝑥 − 𝑧.
che sia lecito
Uscente dal foglio 𝑖 𝑥
𝐵 considerare il sistema nel limite del
Entrante nel foglio
continuo. Il contributo infinitesimo
al campo generato da uno di questi fili può scriversi nella forma:
(𝑥−𝑥′)
⃗ = 𝜇0 𝑖 𝑛 𝑑𝑥′ (
𝑑𝐵
−𝑦
2 , (𝑥−𝑥′)2 , 0), (2)
(𝑥−𝑥′)2
2𝜋 +𝑦 +𝑦2

dove 𝑑𝑖 = 𝑖 𝑛 𝑑𝑥′ rappresenta la corrente infinitesima dovuta al filo di


dimensione 𝑑𝑥′ e passante per (𝑥′, 𝑦′). La quantità 𝑛, considerata costante,
2
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rappresenta la densità lineare di fili lungo l’asse 𝑥. Notiamo inoltre la validità


della seguente proprietà:
∫ 𝑑𝑖 = ∫ 𝑖 𝑛 𝑑𝑥′ ≈ 𝑖𝑁𝑡𝑜𝑡 ,
dove 𝑖𝑁𝑡𝑜𝑡 rappresenta la corrente totale trasportata dagli 𝑁𝑡𝑜𝑡 fili (qui stiamo
supponendo che 𝑁𝑡𝑜𝑡 sia una quantità tendente ad infinito). La simmetria del
problema implica che il campo generato non può avere componenti lungo la
direzione 𝑦. Dalla precedente osservazione segue immediatamente che
⃗ = −𝑦𝑥̂ (𝜇0 𝑖 𝑛 ) ∫∞
𝐵
𝑑𝑥′
, (3)
−∞ (𝑥−𝑥′)2
2𝜋 +𝑦2

dove occorre risolvere l’integrale. L’integrale da risolvere è del tipo:


𝑑𝑥
∫ = 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑔(𝑥 ) + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
𝑥2 + 1
ed inoltre si ha
𝜋
lim 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑔(𝑥 ) = ± .
𝑥→±∞ 2
Effettuiamo il cambio di variabili di integrazione seguente:
𝑥 − 𝑥′
𝑋=
𝑦
𝑑𝑥′
𝑑𝑋 = −
{ 𝑦
Dal quale otteniamo:


𝑑𝑥′ 1 𝑦𝑑𝑋 1 𝑑𝑋
∫ 2 2
= − ∫ = − ∫ .
−∞ (𝑥 − 𝑥′) + 𝑦 𝑦2 𝑋2 + 1 𝑦 𝑋2 + 1
Occupiamoci adesso di determinare gli estremi di integrazione. Distinguiamo
due casi: (i) 𝑦 > 0; (ii) 𝑦 < 0.
Se 𝑦 > 0, otteniamo:
3
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1 𝑑𝑋 1 −∞ 𝑑𝑋 1 ∞ 𝑑𝑋 1 +∞
𝜋
− ∫ 2 →− ∫ = ∫ = [ 𝑎𝑟𝑐𝑡𝑔 (𝑥 )] −∞ = .
𝑦 𝑋 +1 𝑦 +∞ 𝑋 2 + 1 𝑦 −∞ 𝑋 2 + 1 𝑦 𝑦
𝜋
Se 𝑦 < 0, è semplice stabilire che il risultato è dato da − . In generale si può
𝑦
sinteticamente scrivere, contemplando simultaneamente entrambi i casi, che
l’integrale di interesse vale:

𝑑𝑥′ 𝜋
∫ 2 + 𝑦2
= ,
−∞ (𝑥 − 𝑥′) |𝑦 |
che risulta indipendente da 𝑥 per ragioni di simmetria. Sostituendo il risultato
precedente nella (3) si ottiene quanto cercato:
𝜇0 𝑖 𝑛 𝜋 𝜇0 𝑖 𝑛
⃗ = −𝑦𝑥̂ (
𝐵 ) = −𝑠𝑖𝑔𝑛(𝑦) ( ) 𝑥̂.
2𝜋 |𝑦| 2
Si sarebbe potuto ottenere questo risultato utilizzando il teorema di Ampère?
𝑦 Utilizziamo la linea di circuitazione in
𝐵 figura. Essa è costituita da un percorso
3
rettangolare orientato di base ℎ ed
… … 2
altezza arbitraria. Osserviamo che i
4 𝑥 tratti 2 e 4 non contribuiscono alla
1
circuitazione essendo i percorsi
𝐵 ortogonali al campo. Da ciò segue:
⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(… ) + ∫(… ) = 2|𝐵
∮𝐵 ⃗ |ℎ = 𝜇0 𝑖 𝑛 ℎ,
1 3

dove la quantità 𝑖 𝑛 ℎ rappresenta la corrente totale che si concatena con la


linea amperiana. Dalle precedenti segue con molto meno sforzo di prima:
𝜇0 𝑖 𝑛
⃗|=
|𝐵 .
2
Notiamo che le dimensioni infinite fanno in modo che il campo prodotto non
dipenda dalla distanza dal piano in cui scorre la corrente.
1
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LEZIONE 15d
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

15d.1 La quarta equazione di Maxwell nel vuoto (caso stazionario)


La fenomenologia del magnetismo ci ha fornito varie prove della validità
generale delle relazioni:
Φ(𝐵 ⃗)=0
,

∮ 𝐵 ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 𝑖
che abbiamo eretto a proprietà costitutive del campo di induzione magnetica
nel vuoto. Sappiamo che la prima delle precedenti può essere scritta in forma
locale grazie al teorema della divergenza nella forma ∇ ⃗ ∙𝐵⃗ = 0, che si enuncia
a parole dicendo che il campo di induzione magnetica è solenoidale (ossia ha
linee di forza chiuse). Un campo a rotore nullo, come il campo elettrostatico,
si dice invece irrotazionale. Il fatto che il campo elettrostatico sia irrotazionale
deriva dalla sua conservatività, proprietà che si esprime in forma integrale
tramite il concetto di circuitazione:

∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(∇
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆 = 0 → ∇
⃗ × 𝐸⃗ = 0.

Vogliamo seguire un analogo ragionamento sulla


𝑑𝑆 circuitazione del campo di induzione magnetica.
Scegliamo quindi una curva 𝛾 sulla quale calcolare la
Σ circuitazione e sia Σ una arbitraria superficie (orientata
secondo la regola della mano destra) avente per bordo la
linea di circuitazione. Si può allora scrivere quanto
𝛾 segue:

⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫(∇
∮𝐵 ⃗ ×𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑆
𝑖 𝑖 𝑖
{ .
𝑖 = ∫ 𝐽 ∙ 𝑑𝑆
2
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Mettendo insieme le precedenti utilizzando il teorema di Ampère otteniamo


quella che va sotto il nome di quarta equazione di Maxwell nel vuoto per il
⃗ ∙ 𝐽 = 0):
caso stazionario (∇
⃗ ×𝐵
∇ ⃗ = 𝜇0 𝐽 ,

dove 𝐽 rappresenta la densità di corrente di tutte le linee di corrente concatenate


con 𝛾. Adesso vogliamo mettere in evidenza che è arbitraria la superficie Σ di
bordo 𝛾 attraverso la quale calcoliamo il flusso del campo.

Φ +Φ =0 B C

𝑆
𝑆 𝑆 𝑆

𝛾 𝛾
𝛾
𝑆
Φ = Φ Φ =Φ → Φ =Φ
A

Prima notiamo che è nullo il flusso attraverso una superficie chiusa. Se la linea
di circuitazione partiziona tale superficie in due superfici 𝑆 e 𝑆 allora è
immediato scrivere Φ = Φ + Φ = 0 (figura A). Questa proprietà può essere
usata per stabilire che il flusso del campo attraverso qualsiasi superficie di
bordo 𝛾 è invariante (figure B e C).
A questo punto è interessante presentare le equazioni fondamentali della
magnetostatica e dell’elettrostatica nel vuoto:
𝜌
𝐼𝐼: ⃗∇ ∙ 𝐵
⃗ =0 𝐼: ⃗∇ ∙ 𝐸⃗ =
𝜀0 .
⃗ ×𝐵
𝐼𝑉: ∇ ⃗ = 𝜇0 𝐽 𝐼𝐼𝐼: ∇⃗ × 𝐸⃗ = 0
3
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Vorremmo sapere se fosse possibile ottenere il campo di induzione magnetica


a partire dalla sua sorgente utilizzando le equazioni II e IV. Vorremmo
ragionare in modo analogo a quanto si fa in elettrostatica. In particolare, in
quell’ambito si osserva che la III implica l’esistenza di un potenziale elettrico
tale che 𝐸⃗ = ⃗∇𝑉. Questo garantisce l’irrotazionalità del campo elettrostatico
in quanto risulta identicamente nulla la quantità ∇ ⃗ ×∇⃗ 𝑉 = 0. Utilizzando la
funzione potenziale nella I si ottiene:
𝜌
⃗∇ ∙ ⃗∇𝑉 = .
𝜀0
La quantità al primo membro è l’operatore di Laplace applicato al potenziale:
⃗ ∙ ⃗∇𝑉 = (𝜕𝑥 , 𝜕𝑦 , 𝜕𝑧 ) ∙ (𝜕𝑥 𝑉, 𝜕𝑦 𝑉, 𝜕𝑧 𝑉) = 𝜕𝑥 𝑉 + 𝜕𝑦 𝑉 + 𝜕𝑧 𝑉 ≡ ∇ 𝑉.

Dalle precedenti segue l’equazione di Poisson:
𝜌
∇ 𝑉=
𝜀0
che specifica come il potenziale nasce dalle sorgenti del campo. In assenza di
sorgenti, l’equazione di Poisson si riduce all’equazione di Laplace ∇ 𝑉 = 0.
Sappiamo dall’elettrostatica che la soluzione dell’equazione di Poisson è data
dalla seguente espressione:
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝑉(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ ,
4𝜋𝜀0 |𝑟 𝑟′|
che specifica le proprietà del potenziale elettrostatico in funzione delle
proprietà della sorgente.
Esiste una analoga quantità per il campo di induzione magnetica?
1
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LEZIONE 16
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

16.1 Il potenziale vettore


Nelle precedenti lezioni ci siamo convinti del fatto che la magnetostatica nel
vuoto può essere descritta dalle seguenti equazioni per il campo di induzione
magnetica:
⃗∇ ∙ 𝐵⃗ =0
.
⃗∇ × 𝐵 ⃗ = 𝜇0 𝐽
Vogliamo introdurre una quantità che si comporti come una sorta di potenziale
per il campo 𝐵⃗ . Esaminiamo alcune possibilità, anche fantasiose, che qui
elenchiamo:
⃗ = −∇
(𝐼)
𝐵 ⃗𝐴
(𝐼𝐼) 𝐵⃗ = ⃗∇ ∙ 𝐴
(𝐼𝐼𝐼) 𝐵⃗ = ⃗∇ × 𝐴

La (𝐼) chiaramente non descrive le proprietà del campo. Infatti non
rispetterebbe, in generale, la quarta equazione di Maxwell. La (𝐼𝐼) è
formalmente scorretta in quanto si eguaglia uno scalare a un vettore.
Esaminiamo l’ultima opzione (𝐼𝐼𝐼) prima di essere costretti ad esaminare
⃗ = ⃗∇ × 𝐴, ossia se esistesse
alternative più complicate. Se potessimo scrivere 𝐵
un vettore 𝐴 il cui rotore coincidesse con il campo 𝐵⃗ , dovrebbe essere valida
⃗ ∙𝐵
la proprietà ∇ ⃗ = ⃗∇ ∙ (∇
⃗ × 𝐴) = 0. Valutiamo ∇⃗ ∙ (∇⃗ × 𝐴) per un generico
vettore. Calcoliamo dapprima il rotore:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗ × 𝐴 = | 𝜕𝑥
∇ 𝜕𝑦 𝜕𝑧 |
𝐴𝑥 𝐴𝑦 𝐴𝑧
= 𝑥̂(𝜕𝑦 𝐴𝑧 − 𝜕𝑧 𝐴𝑦 ) − 𝑦̂(𝜕𝑥 𝐴𝑧 − 𝜕𝑧 𝐴𝑥 ) + 𝑧̂ (𝜕𝑥 𝐴𝑦 − 𝜕𝑦 𝐴𝑥 ).
2
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Siamo pronti a calcolare la divergenza del rotore:


⃗∇ ∙ (∇
⃗ × 𝐴) = (𝜕𝑥 , 𝜕𝑦 , 𝜕𝑧 ) ∙ (𝜕𝑦 𝐴𝑧 − 𝜕𝑧 𝐴𝑦 , −𝜕𝑥 𝐴𝑧 + 𝜕𝑧 𝐴𝑥 , 𝜕𝑥 𝐴𝑦 − 𝜕𝑦 𝐴𝑥 ) =
= 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝐴𝑧 − 𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝐴𝑦 −𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝐴𝑧 + 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝐴𝑥 + 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝐴𝑦 − 𝜕𝑧 𝜕𝑦 𝐴𝑥 = 0.
Abbiamo appena dimostrato che la divergenza del rotore di un arbitrario
vettore è una quantità identicamente nulla. Pertanto la nostra ipotesi (𝐼𝐼𝐼) è
compatibile con la seconda equazione di Maxwell e merita ulteriore
considerazione. Supponiamo a questo punto di aver identificato un vettore 𝐴
⃗ = ⃗∇ × 𝐴. Ci chiediamo se esso sia unico. E’ facile convincersi
che soddisfa 𝐵
che qualsiasi vettore ⃗⃗⃗
𝐴′ che differisca da 𝐴 per il gradiente di una qualsiasi
funzione scalare, ∇⃗ 𝑔, ha proprietà vettoriali equivalenti a quelle cercate.
Infatti:
⃗ × ⃗⃗⃗
∇ 𝐴′ = ⃗∇ × (𝐴 + ∇
⃗ 𝑔) = ∇
⃗ ×𝐴+∇
⃗ × ⃗∇𝑔 = ⃗∇ × 𝐴.

Dalle precedenti è evidente che il vettore cercato non è unico. D’altra parte
questa proprietà, che sembra spiacevole, può tornarci utile nella costruzione
della teoria. Una volta sistemata la seconda equazione di Maxwell esaminiamo
le conseguenze della nostra scelta (𝐼𝐼𝐼) sulla quarta equazione di Maxwell ⃗∇ ×
⃗ = 𝜇0 𝐽. Questa equazione si presenterà nella forma:
𝐵
⃗∇ × ⃗∇ × 𝐴 = 𝜇0 𝐽,

dove occorre trovare una forma semplificata per il termine ∇ ⃗ ×∇


⃗ × 𝐴. Ci
possiamo convincere di quale sia il risultato esaminando la componente 𝑥 di
⃗∇ × ⃗∇ × 𝐴. Dall’analisi si ha:
⃗ × ⃗∇ × 𝐴) = 𝜕𝑦 (∇
(∇ ⃗ × 𝐴) − 𝜕𝑧 (∇
⃗ × 𝐴) =
𝑥 𝑧 𝑦
= 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝐴𝑦 − 𝜕𝑦 𝜕𝑦 𝐴𝑥 + 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝐴𝑧 − 𝜕𝑧 𝜕𝑧 𝐴𝑥 =
= 𝜕𝑦 𝜕𝑥 𝐴𝑦 + 𝜕𝑧 𝜕𝑥 𝐴𝑧 − 𝜕𝑦 𝜕𝑦 𝐴𝑥 − 𝜕𝑧 𝜕𝑧 𝐴𝑥 =
= 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝐴𝑦 + 𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝐴𝑧 − 𝜕𝑦2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑧2 𝐴𝑥 =
= 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝐴𝑦 + 𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝐴𝑧 − 𝜕𝑦2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑧2 𝐴𝑥 + 𝜕𝑥2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑥2 𝐴𝑥 =
= 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝐴𝑦 + 𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝐴𝑧 + 𝜕𝑥2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑥2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑦2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑧2 𝐴𝑥 =
3
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= 𝜕𝑥 𝜕𝑥 𝐴𝑥 + 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝐴𝑦 + 𝜕𝑥 𝜕𝑧 𝐴𝑧 − 𝜕𝑥2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑦2 𝐴𝑥 − 𝜕𝑧2 𝐴𝑥 =


= [∇⃗ (∇
⃗ ∙ 𝐴)] − [∇2 𝐴]
𝑥 𝑥

Analizzando le altre componenti, ci si convince della validità della seguente


⃗ × ⃗∇ × 𝐴 = ∇
relazione: ∇ ⃗ (∇
⃗ ∙ 𝐴) − ∇2 𝐴. Da queste considerazioni segue:

⃗∇(∇
⃗ ∙ 𝐴 ) − ∇ 2 𝐴 = 𝜇0 𝐽 ,

che ammette la scrittura equivalente:


∇2 𝐴 = −𝜇0 𝐽 + ⃗∇(∇
⃗ ∙ 𝐴).

In componenti otteniamo:
⃗ (∇
∇2 𝐴𝑥 = −𝜇0 𝐽𝑥 + [∇ ⃗ ∙ 𝐴)]
𝑥
⃗ (∇
∇2 𝐴𝑦 = −𝜇0 𝐽𝑦 + [∇ ⃗ ∙ 𝐴)] .
𝑦
⃗ (∇
∇2 𝐴𝑧 = −𝜇0 𝐽𝑧 + [∇ ⃗ ∙ 𝐴)]
𝑧

Osserviamo che se potessimo eliminare l’ultimo addendo al secondo membro


delle precedenti avremmo ottenuto tre equazioni della stessa forma
dell’equazione di Poisson per il potenziale del campo elettrostatico, di cui
sapremmo trovare la soluzione. Infatti ricordiamo che nel caso elettrostatico
abbiamo:
𝜌
∇2 𝑉 = −
𝜀0
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝑉 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ .
4𝜋𝜀0 |𝑟 − 𝑟′|
Ci viene adesso in soccorso il fatto che il vettore 𝐴 non è unico, ma può essere
definito a meno del gradiente di una funzione scalare. Costruiamo quindi 𝐴 ⃗⃗⃗′ =
𝐴 + ⃗∇𝑔, dove 𝑔 è una funzione da determinare, e imponiamo che sia ⃗∇ ∙ ⃗⃗⃗𝐴′ =
0. La funzione incognita è determinata dalla richiesta:
0=∇ ⃗⃗⃗′ = ∇
⃗ ∙𝐴 ⃗ ∙ (𝐴 + ∇
⃗ 𝑔) = ∇
⃗ ∙ 𝐴 + ∇2 𝑔 → ⃗∇ ∙ 𝐴 = −∇2 𝑔.
4
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La procedura matematica che implementa la richiesta ⃗∇ ∙ 𝐴 ⃗⃗⃗′ = 0 tramite


l’identificazione di una opportuna funzione scalare viene detta scelta di gauge
(riscalamento). Stabilito che una tale scelta è possibile, rimaniamo con le
seguenti equazioni da risolvere:
∇2 𝐴𝑥 = −𝜇0 𝐽𝑥
∇2 𝐴𝑦 = −𝜇0 𝐽𝑦 ,
∇2 𝐴𝑧 = −𝜇0 𝐽𝑧
⃗ ∙ 𝐴 = 0. Per analogia con il caso elettrostatico
dove adesso vale la relazione ∇
il vettore 𝐴 così introdotto viene detto potenziale vettore del campo di
induzione magnetica. Per confronto, è immediato verificare che la soluzione
del problema prende la forma:
𝜇0 𝐽𝑥 (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝐴𝑥 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
𝜇0 𝐽𝑦 (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝐴𝑦 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
𝜇0 𝐽𝑧 (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝐴𝑧 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
oppure in forma vettoriale:
𝜇0 𝐽(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ ,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
con 𝐵⃗ = ⃗∇ × 𝐴. Abbiamo ottenuto una relazione che a partire dalla conoscenza
della geometria della sorgente ci consente di calcolare il potenziale vettore e,
tramite quest’ultimo, il campo generato. Ancora però non abbiamo finito. Ci
⃗ in funzione delle proprietà della
occorre ancora un po’ di lavoro per ottenere 𝐵
sorgente.
1
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LEZIONE 16b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

16b.1 Legge fondamentale della magnetostatica (legge di Biot e Savart o


Prima legge elementare di Laplace)
Dopo aver ottenuto il potenziale vettore in funzione delle proprietà della
sorgente:
𝜇0 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ ,
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
ci proponiamo di ottenere 𝐵 ⃗⃗ avendo in mente che 𝐵 ⃗⃗ = ⃗∇⃗ × 𝐴⃗. Mettendo
insieme tutti gli ingredienti otteniamo un primo risultato parziale:
𝜇0 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
⃗⃗ = ⃗∇⃗ × 𝐴⃗ = ∇
𝐵 ⃗⃗ × ( ∫ )=
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
,
𝜇0 ⃗(
𝐽 𝑥′, 𝑦′, 𝑧′ )
= ∫ ⃗∇⃗ × ( ) 𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove è importante notare che il rotore agisce sulle variabili senza apici. La
funzione integranda, che vogliamo semplificare, può essere pensata come il
rotore del prodotto di un vettore 𝑏⃗⃗ = 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′), indipendente dalle variabili
1
di derivazione, moltiplicato una funzione scalare, 𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) = , |𝑟⃗−𝑟⃗′|
dipendente dalle variabili di derivazione. Dobbiamo quindi semplificare una
quantità della forma ⃗∇⃗ × (𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑏⃗⃗). Procediamo in questo senso.
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗∇⃗ × (𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑏⃗⃗) = | 𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 |
𝑓𝑏𝑥 𝑓𝑏𝑦 𝑓𝑏𝑧
= 𝑥̂(𝜕𝑦 𝑓𝑏𝑧 − 𝜕𝑧 𝑓𝑏𝑦 ) − 𝑦̂(𝜕𝑥 𝑓𝑏𝑧 − 𝜕𝑧 𝑓𝑏𝑥 ) + 𝑧̂ (𝜕𝑥 𝑓𝑏𝑦 − 𝜕𝑦 𝑓𝑏𝑥 )
= 𝑥̂(𝑏𝑧 𝜕𝑦 𝑓 − 𝑏𝑦 𝜕𝑧 𝑓) − 𝑦̂(𝑏𝑧 𝜕𝑥 𝑓 − 𝑏𝑥 𝜕𝑧 𝑓) + 𝑧̂ (𝑏𝑦 𝜕𝑥 𝑓 − 𝑏𝑥 𝜕𝑦 𝑓)
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A questo punto è facile verificare che la precedente non è altro che −𝑏⃗⃗ × ∇
⃗⃗𝑓.
Proviamolo esplicitamente:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
−𝑏⃗⃗ × ⃗∇⃗𝑓 = − | 𝑏𝑥 𝑏𝑦 𝑏𝑧 |
𝜕𝑥 𝑓 𝜕𝑦 𝑓 𝜕𝑧 𝑓
= −[𝑥̂(𝑏𝑦 𝜕𝑧 𝑓 − 𝑏𝑧 𝜕𝑦 𝑓) − 𝑦̂(𝑏𝑥 𝜕𝑧 𝑓 − 𝑏𝑧 𝜕𝑥 𝑓)
+ 𝑧̂ (𝑏𝑥 𝜕𝑦 𝑓 − 𝑏𝑦 𝜕𝑥 𝑓)]

Abbiamo quindi dimostrato che se 𝑏⃗⃗ non dipende dalle variabili di derivazione
⃗⃗ × (𝑓(𝑥, 𝑦, 𝑧) 𝑏⃗⃗) = −𝑏⃗⃗ × ⃗∇⃗𝑓. Applichiamo questa relazione al caso di
si ha ∇
interesse:
𝜇0 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)
⃗⃗ =
𝐵 ⃗⃗
∫∇× ( ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
𝜇0 1
= ∫ 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × [−∇ ⃗⃗ ( )] 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
Adesso notiamo che (vedi Appendice)
1 𝑟⃗ − 𝑟⃗′
⃗⃗ (
−∇ )= ,
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
e di qui giungiamo finalmente al risultato cercato:
𝜇0 𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × (𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′ ′ ′
⃗⃗(𝑟⃗) =
𝐵 ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 .
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
La precedente consente di calcolare il campo di induzione magnetica una volta
specificata la geometria della sorgente. Nel caso di conduttori filiformi
percorsi da una corrente 𝑖, per i quali è possibile trascurare la dimensione
trasversa, la precedente relazione può riscriversi nella forma:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
⃗⃗(𝑟⃗) =
𝐵 ∫ ,
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
3
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o in forma differenziale:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟⃗ − 𝑟⃗′)
⃗⃗(𝑟⃗) =
𝑑𝐵 ,
4𝜋 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3

nella quale ⃗⃗⃗⃗⃗⃗


𝑑𝑙′ rappresenta l’elemento di linea infinitesimo del conduttore
assunto parallelo alla densità di corrente. Nel derivare la precedente a partire
dalla relazione più generale abbiamo utilizzato la relazione
⃗⃗⃗⃗⃗⃗ = 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝐽⃗(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ = 𝐽𝑆𝑑𝑙′ 𝑑𝑙′, con 𝑆 la sezione trasversa del
conduttore. Quella appena derivata è la legge di Biot e Savart o prima legge
elementare di Laplace.
Per completezza osserviamo che il potenziale vettore associato ad un circuito
vale:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∮ ,
4𝜋 𝑙′ |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove l’integrale è esteso a tutta la linea chiusa definita dal circuito percorso da
corrente.
16b.2 Appendice
Diamo un semplice argomento per il quale vale la relazione:
1 𝑟⃗ − 𝑟⃗′
⃗⃗ (
−∇ )= .
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
Chiaramente la verifica della validità della precedente può essere fatta
mediante calcolo diretto. D’altra parte questa relazione contiene quantità già
viste in elettrostatica. Sappiamo infatti che:
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥′𝑑𝑦′𝑑𝑧′
𝑉 (𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ .
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
Inoltre 𝐸⃗⃗ = −∇
⃗⃗𝑉 e quindi:
4
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1 1
𝐸⃗⃗ = ⃗⃗
∫ −∇ ( ) 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)(𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′ ′ ′
∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
dove l’ultima relazione ci è nota già dall’elettrostatica. Dal confronto di queste
relazione segue quanto volevamo dimostrare.
Notiamo che dalla precedente otteniamo come limite anche il campo elettrico
generato da una carica puntiforme. Immaginiamo che una carica puntiforme
possa essere pensata come una sferetta centrata nell’origine e di raggio
tendente a zero. Il vettore 𝑟⃗′, che esplora ogni punto interno a questa sferetta,
non differirà mai troppo dal vettore nullo. In questo modo possiamo scrivere:
1 𝜌(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)(𝑟⃗ − 𝑟⃗′) ′ ′ ′
𝐸⃗⃗ = ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|3
1 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ )⃗⃗⃗𝑟 ′ ′ ′
≈ ∫ 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
1 ⃗⃗⃗𝑟 ′ ′ ′) ′ ′ ′
𝑄 ⃗⃗⃗𝑟
= ∫ 𝜌 (𝑥 , 𝑦 , 𝑧 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 = ,
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3 4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|3
dove 𝑄 = ∫ 𝜌(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧 ′ ) 𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑦 ′ 𝑑𝑧 ′ .
1
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LEZIONE 16c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

16c.1 Applicazioni elementari della legge di Biot e Savart


Abbiamo dimostrato che il campo di induzione magnetica generato da una
sorgente filiforme percorsa da corrente 𝑖
− ′ 𝑑𝐵 si scrive nella forma:
- 𝑑𝑙
+ 𝜇 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗𝐵(𝑟) = 0 ∫ ,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟 ′|3

o in forma differenziale:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗ ( )
𝑑𝐵 𝑟 = ,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3

nella quale ⃗⃗⃗⃗⃗


𝑑𝑙′ rappresenta l’elemento circuitale infinitesimo. La precedente
relazione è fondamentale in magnetostatica e va sotto il nome di legge di Biot
e Savart. Vogliamo applicare la precedente a qualche caso elementare.

16c.2 Filo rettilineo


Applichiamo la legge di Biot-Savart al caso di un filo rettilineo, il primo caso
da noi trattato. Con riferimento alla figura,
𝑧̂ riconosciamo i seguenti vettori:

𝑑𝑙′ 𝑟 = (𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝑟-𝑟′ ⃗⃗𝑟′ = (0,0, 𝑧′)
𝑑𝐵
𝑟′ 𝑟 − 𝑟⃗⃗⃗′ = (𝑥, 𝑦, 𝑧 − 𝑧′)
𝑟 L’elemento di linea vale ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ = 𝑧̂ 𝑑𝑧′.
Calcoliamo 𝑧̂ × (𝑟 − 𝑟′):
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𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝑧̂ × (𝑟 − 𝑟′) = |0 0 1 | = (−𝑦, 𝑥, 0).
𝑥 𝑦 𝑧 − 𝑧′
Da queste relazioni otteniamo:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′) 𝜇0 𝑖 (−𝑦, 𝑥, 0) 𝑑𝑧′
⃗ (𝑟 ) =
𝑑𝐵 = ,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3 4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
da cui integrando sull’intero filo si ha:
𝜇0 𝑖 +∞ (−𝑦, 𝑥, 0) 𝑑𝑧′
⃗ (𝑟 ) =
𝐵 ∫
4𝜋 −∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
𝜇0 𝑖 (−𝑦, 𝑥, 0) +∞ 𝑑𝑧′
= ∫ 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
.
4𝜋 −∞ [ 𝑥
Occupiamoci dell’integrale. Si dimostra che :
+∞
𝑑𝑧′ 2
∫ = ,
−∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 𝑥 2 + 𝑦 2
da cui segue:
𝜇0 𝑖 (−𝑦, 𝑥, 0) 𝜇0 𝑖 𝑧̂ × 𝑟 𝜇0 𝑖 −𝑦 𝑥
⃗ (𝑟) =
𝐵 = = ( , , 0).
2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2 2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2 2𝜋 𝑥 2 + 𝑦 2 𝑥 2 + 𝑦 2

16c.3 Campo sull’asse di una spira circolare


La simmetria del problema assicura che il campo di induzione magnetica è
parallelo all’asse 𝑧. Utilizziamo la formula di Biot-Savart con la notazione:
𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗
𝑑𝑙 × 𝑏⃗
⃗ (𝑟 ) =
𝑑𝐵 ,
4𝜋 |𝑏⃗|3

con 𝑏⃗ = 𝑧 − 𝑟. Definiamo le seguenti quantità utili nel calcolo:


3
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𝑧̂ 𝑧 = (0,0, 𝑧)
𝑑𝐵 𝑟 = 𝑅 (𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃, 0)
𝑦 ⃗⃗⃗
𝑑𝑙 = 𝑅 𝑑𝜃 𝜃̂ .
𝑏
𝑧 𝜃̂ = (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0 )
𝑑𝑙
𝜃 𝑟 |𝑏⃗| = √𝑅 2 + 𝑧 2
𝑥 ⃗⃗⃗ × 𝑏⃗) . Il
Calcoliamo quindi la quantità (𝑑𝑙 𝑧
calcolo diretto mostra che:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗⃗ × 𝑏⃗) = |−𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃 𝑑𝜃 𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑑𝜃 0| ∙ 𝑧̂
(𝑑𝑙 𝑧
−𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 −𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃 𝑧
= 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝜃 𝑑𝜃 + 𝑅 2 𝑐𝑜𝑠 2 𝜃 𝑑𝜃 = 𝑅 2 𝑑𝜃.
2 2

Dalle precedenti relazioni segue:

𝐵𝑧 = ∫ 𝑑𝐵𝑧
𝜇0 𝑖 2𝜋 𝑅 2 𝑑𝜃 𝜇0 𝑖 2𝜋𝑅 2
= ∫ =
4𝜋 0 (𝑅 2 + 𝑧 2 )3/2 4𝜋 (𝑅 2 + 𝑧 2 )3/2
𝜇0 𝑖 𝑅2
= .
2 (𝑅 2 + 𝑧 2 )3/2
Ne concludiamo che il campo lungo l’asse della spira vale:

𝜇 𝑖 𝑅2
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( 0
𝐵
2 3 ).
(𝑅 2 + 𝑧 2 )2
Il precedente risultato può essere espresso in termini del momento magnetico
della spira definito come 𝑚⃗⃗ = 𝑖𝑆𝑧̂ con 𝑆 = 𝜋𝑅 2 . Procedendo in questo modo
otteniamo:
𝜇0 𝑚
⃗⃗
⃗ (𝑧) =
𝐵 .
2𝜋 3
(𝑅 2 + 2
𝑧 )2
4
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Possiamo notare che il valore del campo al centro della spira vale:
𝑚 𝜇0 𝑚
⃗⃗
⃗ (𝑧 = 0) =
𝐵 ,
2𝜋 𝑅 3
mentre a grande distanza da essa otteniamo:
N
𝜇0 𝑚⃗⃗
⃗ (𝑧 ≫ 𝑅 ) ≈
𝐵 .
S 2𝜋 |𝑧|3
In punti arbitrari dello spazio il campo è
simile al campo generato da un dipolo
elettrico o al campo generato da una piccola barretta magnetica. Questa
osservazione fornisce qualche spunto di riflessione riguardo l’origine del
magnetismo nella materia.
1
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LEZIONE 16d
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

16d.1 Calcolo di un integrale ricorrente in magnetostatica


Nello sviluppo della precedente lezione abbiamo utilizzato il seguente
risultato:
+∞
𝑑𝑧′ 2
∫ = ,
−∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 𝑥 2 + 𝑦 2
senza però darne dimostrazione. L’integrale nella precedente equazione è della
forma più generale:
𝑑𝑥 𝑑𝑥
𝐼=∫ = ∫ 3.
[𝑎2 + 𝑥 2 ]3/2 2 2
(√𝑎 + 𝑥 )
Vogliamo quindi occuparci di determinare la primitiva del precedente integrale
indefinito che spesso ricorre nei calcoli di magnetostatica. Quando la funzione
integranda coinvolge termini del tipo √𝑎2 + 𝑥 2 può essere utile effettuare una
trasformazione di variabili che coinvolga funzioni iperboliche. Le funzioni
iperboliche di cui è utile in questa sede ricordare la definizione sono le
seguenti:
4
𝑒 𝑡 − 𝑒 −𝑡
𝑠𝑖𝑛ℎ(𝑡) =
2
2 𝑒 + 𝑒 −𝑡
𝑡
𝑐𝑜𝑠ℎ(𝑡) = .
sinh x 2
𝑠𝑖𝑛ℎ(𝑡)
0 𝑡𝑎𝑛ℎ(𝑡) =
cosh x
𝑐𝑜𝑠ℎ (𝑡)
tanh x
2 Queste funzioni hanno una qualche
parentela con le funzioni
trigonometriche elementari ed
4
2 1 0 1 2
2
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infatti si può dimostrare che per esse vale l’analogo della relazione
trigonometrica fondamentale:

1 + 𝑠𝑖𝑛ℎ2 (𝑡) = 𝑐𝑜𝑠ℎ2 (𝑡).


Le analogie con le funzioni trigonometriche non si esauriscono con la
precedente osservazione. Valgono infatti le seguenti regole di derivazione
(attenzione ai segni):
𝑑
𝑠𝑖𝑛ℎ(𝑡) = 𝑐𝑜𝑠ℎ(𝑡)
𝑑𝑡
𝑑
𝑐𝑜𝑠ℎ(𝑡) = 𝑠𝑖𝑛ℎ (𝑡) .
𝑑𝑡
𝑑 1
𝑡𝑎𝑛ℎ(𝑡) =
𝑑𝑡 𝑐𝑜𝑠ℎ2 (𝑡)
Le analogie con le funzioni trigonometriche si spiegano facilmente osservando
che queste ultime ammettono una scrittura in termini di combinazioni lineari
di esponenziali di argomento complesso aventi una struttura simile a quella
sopra riportata per il caso iperbolico. Questa affermazione è evidente alla luce
dell’importante relazione 𝑒 𝑖𝑥 = 𝑐𝑜𝑠(𝑥 ) + 𝑖 𝑠𝑖𝑛(𝑥 ).
Con questo in mente, effettuiamo il seguente cambio di variabile di
integrazione:
𝑥 = 𝑎 𝑠𝑖𝑛ℎ(𝑡)
{ .
𝑑𝑥 = 𝑎 𝑐𝑜𝑠ℎ (𝑡) 𝑑𝑡
Con questa posizione l’integrale si trasforma come mostrato di seguito:
𝑑𝑥 𝑎 𝑐𝑜𝑠ℎ(𝑡) 𝑑𝑡 𝑎 𝑐𝑜𝑠ℎ (𝑡) 𝑑𝑡
∫ 3 →∫ = ∫ =
(√𝑎2 + 𝑥 2 ) (𝑎2 + 𝑎2 𝑠𝑖𝑛ℎ2 (𝑡) )3/2 𝑎3 (1 + 𝑠𝑖𝑛ℎ2 (𝑡) )3/2
𝑐𝑜𝑠ℎ (𝑡) 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑡𝑎𝑛ℎ(𝑡)
=∫ 2 = ∫ = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
𝑎 (𝑐𝑜𝑠ℎ2 (𝑡) )3/2 𝑎2 𝑐𝑜𝑠ℎ2 (𝑡) 𝑎2
3
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Nello scrivere l’ultimo risultato abbiamo osservato che la funzione integranda


è la derivata della funzione tangente iperbolica. Adesso occorre ritornare alla
variabile di integrazione originaria:
𝑥
𝑡𝑎𝑛ℎ(𝑡) 1 𝑠𝑖𝑛ℎ(𝑡) 1 𝑠𝑖𝑛ℎ (𝑡) 1 𝑎
= = = =
𝑎2 𝑎2 𝑐𝑜𝑠ℎ (𝑡) 𝑎2 √1 + 𝑠𝑖𝑛ℎ2 (𝑡) 𝑎2 2
√1 + ( 𝑥 )
𝑎
𝑥
𝑎2 √𝑎2 + 𝑥 2
Abbiamo così dimostrato che:
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑥
𝐼=∫ = ∫ 3 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒
[𝑎2 + 𝑥 2 ]3/2 2 2
(√𝑎 + 𝑥 ) 𝑎 2 √𝑎 2 + 𝑥 2

Come prima applicazione di questo risultato generale dimostriamo quanto


avevamo dato per scontato nella precedente lezione. Dimostriamo quindi che
vale la relazione:
+∞
𝑑𝑧′ 2
∫ =
−∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 𝑥 2 + 𝑦 2

Riconosciamo preliminarmente che nel caso specifico 𝑎2 = 𝑥 2 + 𝑦 2 . Serve


poi un cambio di variabile per riportarsi all’integrale noto. Procedendo in
questo senso poniamo:
𝜉 = 𝑧′ − 𝑧
.
𝑑𝜉 = 𝑑𝑧 ′
Con queste sostituzioni l’integrale diventa:
4
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+∞ +∞
𝑑𝑧′ 𝑑𝜉
∫ → ∫ =
−∞ [𝑥 2 + 𝑦 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 −∞ [ 𝑎 2 + 𝜉 2 ]3/2
+∞
1 𝜉 1 𝜉 𝜉 2 2
= 2[ ] = [ lim − lim ] = = .
𝑎 √𝑎2 + 𝜉 2 𝑎2 𝜉→∞ √𝑎2 + 𝜉 2 𝜉→−∞ √𝑎2 + 𝜉 2 𝑎2 𝑥 2 + 𝑦 2
−∞

Si noti che nella derivazione abbiamo utilizzato:


𝜉
lim = ±1.
𝜉→±∞ √𝑎 2 + 𝜉2
𝜉 𝜉
Infatti per |𝜉 | → ∞ si osserva che ~ |𝜉| = 𝑠𝑖𝑔𝑛(𝜉 ), il che prova
√𝑎2 +𝜉 2

l’asserto. Avremo modo nello sviluppo futuro del corso di vedere altre
applicazioni di questo risultato.
1
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LEZIONE 17
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

17.0 Applicazioni della legge di Biot-Savart


In questa lezione vedremo applicazioni della legge fondamentale della
magnetostatica

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗ (𝑟) =
𝑑𝐵
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3

e, tra queste, alcuni esempi nei quali compare l’integrale da noi calcolato in
precedenza:

𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑥
𝐼=∫ = ∫ 3 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒.
[𝑎2 + 𝑥 2 ]3/2 2 2
(√𝑎 + 𝑥 ) 𝑎 2 √𝑎 2 + 𝑥 2

17.1 Campo dovuto a un segmento finito percorso da corrente


Consideriamo un filo finito percorso
𝑦 𝑃 𝑥, ℎ, 0 da corrente 𝑖 collineare all’asse 𝑥 ed
ℎ avente estremi nell’origine degli assi e
− ′ nel punto di coordinate (𝐿, 0,0). Sia
𝑧 l’asse 𝑧 del sistema di riferimento
′ 𝑑𝑙 ′ 𝑥 considerato uscente dal piano del
foglio. Vogliamo determinare il
campo di induzione magnetica dovuta alla sorgente in questione in un punto 𝑃
del piano 𝑥𝑦 che dista ℎ dal segmento. L’analisi della quantità ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
mostra subito, mediante applicazione della regola della mano destra, che il
2
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campo deve essere parallelo all’asse 𝑧. L’analisi delle quantità vettoriali in


gioco ci consente di definire le seguenti grandezze rilevanti nel calcolo:
𝑟 = (𝑥, ℎ, 0)
𝑟′ = (𝑥′, 0,0)
.
𝑟 − 𝑟 ′ = (𝑥 − 𝑥′, ℎ, 0)
𝑑𝑙′ = 𝑥̂ 𝑑𝑥 ′
Osserviamo adesso che
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′) = | 𝑑𝑥′ 0 0| = 𝑧̂ ℎ 𝑑𝑥 ′ .
𝑥 − 𝑥′ ℎ 0
Da queste considerazioni, osservando che |𝑟 − 𝑟′| = √(𝑥 − 𝑥′)2 + ℎ2 ,
otteniamo:
𝐿 𝐿
𝜇0 𝑖 ℎ 𝑑𝑥′
⃗ = ∫ 𝑑𝐵
𝐵 ⃗ (𝑟) = 𝑧̂ ( )∫
4𝜋 3
0 0 (√(𝑥 − 𝑥′)2 + ℎ2 )
𝐿
𝜇0 𝑖 ℎ 𝑑𝑥′
= 𝑧̂ ( )∫ 2 2 3/2
.
4𝜋 0 ((𝑥 − 𝑥′) + ℎ )

L’integrale evidenziato è una nostra conoscenza. Trattiamolo come abbiamo


imparato a fare. Effettuiamo il seguente cambio di variabile:
𝜉 = 𝑥′ − 𝑥
.
𝑑𝜉 = 𝑑𝑥′
Da questa posizione segue:
𝐿 𝐿−𝑥 𝐿−𝑥
𝑑𝑥′ 𝑑𝜉 𝜉
∫ 2 2 3/2
→ ∫ 2 2 3/2
= [ ] =
0 ((𝑥 − 𝑥′) + ℎ ) −𝑥 (𝜉 + ℎ ) ℎ2 √ℎ2 + 𝜉 2 −𝑥
𝐿−𝑥 𝑥
= +
ℎ2 √(𝐿 − 𝑥 )2 + ℎ2 ℎ2 √𝑥 2 + ℎ2
Dalla precedente otteniamo il risultato finale:
3
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𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿−𝑥 𝑥
⃗ (𝑥 ) =
𝐵 [ + ].
4𝜋 ℎ √(𝐿 − 𝑥 )2 + ℎ2 √𝑥 2 + ℎ2

Esaminiamo le proprietà del campo in tre configurazioni notevoli che si


ottengono ponendo: (a) 𝑥 = 0; (b) 𝑥 = 𝐿; (c) 𝑥 = 𝐿/2.
(a) Caso 𝑥 = 0
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿
⃗ (𝑥 = 0) =
𝐵 [ ].
4𝜋 ℎ √𝐿2 + ℎ2

(b) Caso 𝑥 = 𝐿
𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿
⃗ (𝑥 = 𝐿) =
𝐵 [ ].
4𝜋 ℎ √𝐿2 + ℎ2

(c) Caso 𝑥 = 𝐿/2

𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿
⃗ (𝑥 = 𝐿/2) =
𝐵 .
4𝜋 𝐿2
√ + ℎ2 ]
[ℎ 4
Cosa impariamo in generale dai casi precedentemente studiati?
Per rispondere a questa domanda
𝑃 𝑥, ℎ, 0 introduciamo gli angoli 𝜙1 e 𝜙2 (vedi
figura) definiti dalle relazioni:
𝜙2 ℎ 𝜙1 𝐿−𝑥
𝑐𝑜𝑠𝜙1 =
√(𝐿 − 𝑥 )2 + ℎ2
𝑥 𝐿−𝑥 𝑥
𝑐𝑜𝑠 𝜙2 = .
√𝑥 2 + ℎ2
In termini di queste grandezze il campo vale:
4
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𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝑐𝑜𝑠𝜙1 + 𝑐𝑜𝑠 𝜙2
⃗ (𝑥 ) =
𝐵 [ ].
2𝜋 ℎ 2
Notiamo che il termine
𝜇0 𝑖 𝑧̂
2𝜋 ℎ
è il campo che genererebbe un filo infinito nel punto considerato, mentre il
termine correttivo
𝑐𝑜𝑠𝜙1 + 𝑐𝑜𝑠 𝜙2
[ ]
2
tiene conto degli effetti di taglia finita (effetti di bordo). Infatti, avvicinandosi
molto al segmento, la variabile ℎ → 0 e così pure gli angoli 𝜙1/2 , mentre il
coseno di detti angoli tende ad 1. In questa condizione il campo diventa molto
prossimo a quello generato da un filo infinito.
Notiamo poi che nel limite in cui 𝐿 tende ad infinito recuperiamo il campo
generato da un filo infinito. L’affermazione è di semplice dimostrazione in
quanto la quantità
𝑐𝑜𝑠𝜙1 + 𝑐𝑜𝑠 𝜙2
[ ]
2
tende a 1.
Un altro modo per recuperare questo risultato è partire dal caso (c) e lasciare
che la lunghezza del filo tenda ad infinito:

𝜇0 𝑖 𝑧̂ 𝐿 𝜇0 𝑖 𝑧̂
⃗ (𝑥 = 𝐿/2) =
lim 𝐵 lim = .
𝐿→∞ 4𝜋ℎ 𝐿→∞ 2 2𝜋ℎ
√𝐿 + ℎ 2
[ 4 ]
1
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LEZIONE 17b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

17b.0 Applicazioni della legge di Biot-Savart


In questa lezione vedremo applicazioni della legge fondamentale della
magnetostatica

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗ (𝑟) =
𝑑𝐵
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3

e, tra queste, alcuni esempi nei quali compare l’integrale da noi calcolato in
precedenza:

𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝑥
𝐼=∫ = ∫ 3 = + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒.
[𝑎2 + 𝑥 2 ]3/2 2 2
(√𝑎 + 𝑥 ) 𝑎 2 √𝑎 2 + 𝑥 2

17b.1 Campo sull’asse di un solenoide


Un solenoide è un conduttore costituito da un’elica cilindrica di passo costante.
Ogni avvolgimento può essere considerato con buona approssimazione (filo
sottile) come una spira di raggio 𝑅 percorsa dalla medesima corrente 𝑖,
cosicché il sistema può essere pensato come una successione di spire coassiali
avente un fissato numero di spire 𝑛 per unità di lunghezza. Sia 𝐿 la lunghezza
del solenoide. Si vuole determinare, assumendo che il sistema sia immerso nel
vuoto, il campo di induzione magnetica sull’asse del solenoide.
Vogliamo sfruttare il principio di sovrapposizione avendo noi già ricavato il
campo sull’asse di una spira nella forma seguente:
2
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𝜇 𝑖 𝑅2
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( 0
𝐵
2 3 ),
(𝑅 2 + 𝑧 2 )2
dove la precedente è stata ricavata nell’ipotesi che la spira sia collocata nel
piano 𝑥𝑦. Dalla precedente si ricava che il campo infinitesimo generato da una
spira realizzata da un conduttore di sezione trasversa infinitesima collocata nel
generico piano ortogonale all’asse 𝑧 di equazione 𝑧 = 𝑧’ vale:
𝜇0 𝑖 𝑛 𝑑𝑧′ 𝑅2
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ (
𝑑𝐵 )
2 [𝑅 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
Il campo totale si ottiene integrando su tutta la lunghezza del sistema:
𝐿 𝐿
2 𝜇0 𝑖 𝑅 2 𝑛 2 𝑑𝑧′
⃗ (𝑧) = ∫ 𝑑𝐵
𝐵 ⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( )∫ .
𝐿 2 𝐿 [𝑅 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2
− 2 − 2

Trattiamo l’integrale.
𝜉 = 𝑧′ − 𝑧
.
𝑑𝜉 = 𝑑𝑧′
Da questa posizione segue:
𝐿 𝐿 𝐿
−𝑧 −𝑧
2 𝑑𝑧′ 𝑑𝜉 2 𝜉 2
∫ → ∫ = [ ] =
𝐿 [𝑅 2 + (𝑧 − 𝑧′)2 ]3/2 𝐿 ( 𝜉 2 + 𝑅 2 )3/2 2 2 2
−2 −2−𝑧 𝑅 √𝑅 + 𝜉 𝐿
− −𝑧 2
𝐿 𝐿
−𝑧 +𝑧
= 2 + 2 .
2 2
𝐿 𝐿
𝑅 2 √𝑅 2 + ( − 𝑧) 𝑅 2 √𝑅 2 + ( + 𝑧)
2 2
Dalla precedente otteniamo:
𝐿 𝐿
𝜇 𝑖𝑛 −𝑧 +𝑧
⃗ (𝑧) = 𝑧̂ ( 0
𝐵 ) 2 + 2 .
2 2 2
√𝑅 2 + (𝐿 − 𝑧) √𝑅 2 + (𝐿 + 𝑧)
[ 2 2 ]
3
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Il campo al centro del solenoide, ossia per 𝑧 = 0, vale:

𝜇0 𝑖 𝑛 𝐿
⃗ (𝑧 = 0) = 𝑧̂ (
𝐵 ) ,
2 2
√𝑅 2 + ( 𝐿 )
[ 2 ]
valore che nel limite 𝐿 ≫ 𝑅 diviene:
⃗ (𝑧 = 0) ≈ 𝜇0 𝑖 𝑛 𝑧̂ .
𝐵
Studiamo adesso la relazione funzionale trovata nel caso generale. Scriviamola
in variabili adimensionali:
𝐿 𝐿
𝜇 𝑖𝑛 −𝑧 +𝑧
⃗ (𝜉 ) = 𝑧̂ ( 0
𝐵 ) 2 + 2 ≡ 𝑧̂ 𝐵0 𝑓(𝜉, 𝜂 ).
2 2 2
√𝑅 2 + (𝐿 − 𝑧) √𝑅 2 + (𝐿 + 𝑧)
[ 2 2 ]
La funzione 𝑓(𝜉, 𝜂 ) che vogliamo studiare assume la forma:
1 1
1 −𝜉 +𝜉
𝑓 (𝜉, 𝜂 ) = 2 + 2 ,
2 2 2
√𝜂 2 + (1 − 𝜉) √𝜂 2 + (1 + 𝜉)
( 2 2 )
con 𝜂 = 𝑅/𝐿 e 𝜉 = 𝑧/𝐿 e 𝐵0 = 𝜇0 𝑖 𝑛. E’ evidente (vedi figura) che solenoidi
Out[15]=
1.0
con rapporto
raggio/lunghezza piccolo
0.8
presentano un campo
0.6 interno lungo l’asse
f , 0.1
pressoché indipendente
B B0

0.4 f , 0.2
f , 0.5
da 𝑧 e pari a 𝐵0 = 𝜇0 𝑖 𝑛.
0.2 E’ inoltre possibile
0.0
dimostrare che il campo
1.0 0.5 0.0 0.5 1.0 esterno a un solenoide di
4
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lunghezza infinita è nullo. Sulla base di queste considerazioni potremmo


applicare il teorema di Ampère per determinare il campo assiale in un
solenoide di lunghezza infinita.
Scegliamo un percorso amperiano
… …
come quello mostrato in figura.
𝐵 4 L’integrale sui percorsi parziali 1 e 3 è
𝑧 nullo in quanto il campo è nullo o
3 … 1 …
ortogonale alla linea di integrazione.
Sul percorso 2 il campo è nullo, mentre
Uscente dal foglio 2 l’unico contributo viene dal percorso
Entrante nel foglio
4. Di qui segue:
𝐵0 𝐿 = 𝜇0 𝑖 𝑛 𝐿 → 𝐵0 = 𝜇0 𝑖 𝑛.
1
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LEZIONE 17c
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO
17c.1 Campo di un nastro percorso da corrente
Supponiamo di avere un conduttore percorso da
densità di corrente uniforme 𝐽⃗. Supponiamo che il
𝑥′
conduttore abbia una dimensione infinita, larghezza
𝑥 𝑃 𝐿 e spessore 𝑊 (non mostrato in figura). La corrente
totale che circola nel conduttore vale quindi 𝑖 = 𝐽𝑊𝐿,
essendo 𝑊𝐿 la sezione trasversa del conduttore. Si
𝑑𝑥′ vuole calcolare il campo generato nel punto 𝑃. Il
campo è entrante nel foglio e risulta ad esso
𝐿 ortogonale. Non resta che valutarne il modulo.
Utilizziamo il principio di sovrapposizione. Sappiamo che il modulo del
campo generato a distanza 𝑅 da un filo percorso da corrente 𝑖 vale:
𝜇0 𝑖
𝐵= .
2𝜋 𝑅
Utilizziamo questo risultato. Possiamo partizionare il sistema in nastri
conduttori di larghezza infinitesima. Ogni nastro di spessore 𝑑𝑥’ genera un
contributo infinitesimo al campo della forma:
𝜇0
𝑑𝐵 = 𝑑𝑖,
2𝜋 (𝑥 − 𝑥′)
𝑖
dove 𝑑𝑖 = 𝐽𝑊 𝑑𝑥′ = 𝑑𝑥′. Di qui, sommando su tutti i contributi, si ha:
𝐿
𝐿
𝜇0 𝑖 𝐿 𝑑𝑥′ 𝜇0 𝑖 𝐿 𝑑𝑥 ′
𝐵 = ∫ 𝑑𝐵 = ∫ =− ∫ ′ − 𝑥)
.
0 2𝜋 𝐿 0 (𝑥 − 𝑥′) 2𝜋 𝐿 0 (𝑥
Occupiamoci adesso dell’integrale. Effettuiamo la sostituzione seguente:
𝑟 = 𝑥′ − 𝑥
.
𝑑𝑟 = 𝑑𝑥′
Con questa posizione otteniamo:
2
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𝐿 𝐿−𝑥
𝑑𝑥 ′ 𝑑𝑟 𝐿−𝑥 𝑥−𝐿
∫ ′ − 𝑥)
→ ∫ = 𝑙𝑛 ( ) = 𝑙𝑛 ( ).
0 ( 𝑥 −𝑥 𝑟 −𝑥 𝑥

Raccordando tutti i risultati parziali fin qui derivati possiamo scrivere:

𝜇0 𝑖 𝑥−𝐿 𝜇0 𝑖 𝑥 𝜇0 𝑖 1
𝐵=− 𝑙𝑛 ( )= 𝑙𝑛 ( )= 𝑙𝑛 ( ).
2𝜋 𝐿 𝑥 2𝜋 𝐿 𝑥−𝐿 2𝜋 𝐿 𝐿
1−
𝑥
Osserviamo esplicitamente che vale la relazione 𝑥 = + 𝐿 mediante la quale
è possibile riscrivere l’argomento del logaritmo. Operando in questo modo
otteniamo:
𝜇0 𝑖 𝐿
𝐵= 𝑙𝑛 (1 + ).
2𝜋 𝐿
𝐿
Quando ≫ 𝐿, ossia a grande distanza dal filo, la quantità tende a divenire

molto minore di 1. Questo consente di sviluppare in serie il logaritmo al primo
ordine non nullo:
𝐿 𝐿
𝑙𝑛 (1 + ) ≈ .

Con questa approssimazione il valore del campo tende a


𝜇0 𝑖
𝐵≈ ,
2𝜋
cioè al valore del campo che produrrebbe un filo unidimensionale di lunghezza
infinita a distanza . L’esempio mostra come alcuni dettagli relativi alla
geometria della sorgente contino poco all’aumentare della distanza.
1
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LEZIONE 17d
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

17d.0 Azioni meccaniche su un conduttore percorso da corrente e


immerso in un campo magnetico
Nel corso delle precedenti lezioni abbiamo accennato al fatto che le azioni
𝐵 meccaniche che un campo magnetico esercita su
un circuito indeformabile percorso da corrente
𝑧 stazionaria sono completamente definite dalla
𝑦 risultante delle forze e dei momenti rispetto a un
𝑑𝑙⃗ polo secondo le relazioni:
𝑟⃗
𝐹⃗ = 𝑖 ∮ 𝑑𝑙⃗ × 𝐵⃗⃗ (1a)
𝑥
⃗⃗⃗ = 𝑖 ∮ 𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑀 ⃗⃗ ) (1b)

dove 𝑟⃗ rappresenta il vettore posizione dell’elemento infinitesimo 𝑑𝑙⃗ rispetto


al polo scelto per il calcolo del momento risultante.

17d.1 Azioni meccaniche subite da una spira circolare in campo magnetico


uniforme
Vogliamo adesso fare un esempio di particolare interesse per lo sviluppo
teorico futuro. Si vuole infatti calcolare la (1a) e la (1b) nel caso di una spira
circolare di raggio 𝑅 percorsa da corrente 𝑖 ed immersa in un generico campo
magnetico di componenti 𝐵 ⃗⃗ = (𝐵𝑥 , 𝐵𝑦 , 𝐵𝑧 ). Per fissare le idee e senza perdita
di generalità assumiamo che la spira sia contenuta nel piano 𝑥𝑦 di un
riferimento cartesiano avente origine coincidente con il centro della spira,
mentre l’asse 𝑧 è ortogonale al piano del foglio.
Calcoliamo dapprima la (1a).
Consideriamo i seguenti vettori rilevanti nel calcolo:
2
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𝑟⃗ = 𝑅(𝑐𝑜𝑠 , 𝑠𝑖𝑛 , 0)
.
𝑑𝑙⃗ = 𝑅 𝑑 ̂ = 𝑅 𝑑 (−𝑠𝑖𝑛 , 𝑐𝑜𝑠 , 0)
Ci occorre calcolare 𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗. Procediamo esplicitamente:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗ = |−𝑅𝑠𝑖𝑛 𝑑 𝑅𝑐𝑜𝑠 𝑑 0 |,
𝐵𝑥 𝐵𝑦 𝐵𝑧
da cui segue:
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = 𝐵𝑧 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑
𝑥
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = 𝐵𝑧 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑
𝑦
.
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = −𝐵𝑦 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 − 𝐵𝑥 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑
𝑧

Utilizziamo adesso le precedenti relazioni.


2𝜋
𝐹𝑥 = 𝑖 ∮ (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = 𝑖 ∫ 𝐵𝑧 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑 = 0
𝑥
0
2𝜋
𝐹𝑦 = 𝑖 ∮ (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = 𝑖 ∫ 𝐵𝑧 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 = 0
𝑦
.
0
2𝜋
𝐹𝑧 = 𝑖 ∮ (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗) = −𝑖 ∫ (𝐵𝑦 𝑅 𝑠𝑖𝑛 + 𝐵𝑥 𝑅 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑 = 0
𝑧
0

Concludiamo che in un campo uniforme 𝐹⃗ = 0.


Procediamo adesso con il calcolo della (1b). Ci occorre determinare la
quantità:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗) = | 𝑅 𝑐𝑜𝑠
𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵 𝑅 𝑠𝑖𝑛 0 |.
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵⃗⃗)
𝑥
(𝑑𝑙⃗ × 𝐵⃗⃗)
𝑦
⃗ ⃗⃗
(𝑑𝑙 × 𝐵)𝑧

Dalla precedente si ottiene:


3
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[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑥
⃗⃗)
𝑧
⃗⃗)] = −𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵 𝑦
⃗⃗)
𝑧 .
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑧
⃗⃗) − 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑦
⃗⃗)
𝑥

Trattiamo per chiarezza in modo separato le tre componenti.


⃗⃗)] = 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵 𝑥
⃗⃗ ) =
𝑧

= 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (−𝐵𝑦 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 − 𝐵𝑥 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑 ) =


= −𝑅 2 (𝐵𝑦 𝑠𝑖𝑛2 + 𝐵𝑥 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑

⃗⃗)] = −𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵


[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵 𝑦
⃗⃗)
𝑧
= −𝑅 𝑐𝑜𝑠 (−𝐵𝑦 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 − 𝐵𝑥 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑 ) =
= 𝑅 2 (𝐵𝑦 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 + 𝐵𝑥 𝑐𝑜𝑠 2 ) 𝑑

[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑧
⃗⃗ ) − 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
𝑦
⃗⃗)
𝑥
= 𝑅 𝑐𝑜𝑠 (𝐵𝑧 𝑅 𝑠𝑖𝑛 𝑑 ) − 𝑅 𝑠𝑖𝑛 (𝐵𝑧 𝑅 𝑐𝑜𝑠 𝑑 )
= 𝑅 2 (𝐵𝑧 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 − 𝐵𝑧 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑 = 0
Da queste espressioni si ottiene:
2𝜋
𝑀𝑥 = 𝑖 ∮[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = −𝑖𝑅 ∫ (𝐵𝑦 𝑠𝑖𝑛2 + 𝐵𝑥 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑 .
𝑥
2
0

Utilizziamo adesso le seguenti relazioni:


4
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2𝜋
∫ 𝑠𝑖𝑛2 𝑑 = 𝜋
0
2𝜋
∫ 𝑐𝑜𝑠 2 𝑑 = 𝜋
0
2𝜋
∫ 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 𝑑 = 0
0
2𝜋
∫ 𝑐𝑜𝑠 𝑑 = 0
0
2𝜋
∫ 𝑠𝑖𝑛 𝑑 = 0
0

Utilizzando le precedenti abbiamo:


2𝜋
𝑀𝑥 = 𝑖 ∮[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = −𝑖𝑅 2 ∫ (𝐵𝑦 𝑠𝑖𝑛2 + 𝐵𝑥 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 ) 𝑑
𝑥
0
2
= −𝑖𝜋𝑅 𝐵𝑦 .
Analizziamo la componente 𝑦.
2𝜋
𝑀𝑦 = 𝑖 ∮[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 𝑖𝑅 ∫ (𝐵𝑦 𝑠𝑖𝑛 𝑐𝑜𝑠 + 𝐵𝑥 𝑐𝑜𝑠 2 ) 𝑑 =
𝑦
2
0
= 𝑖𝜋𝑅 2 𝐵𝑥
Infine la componente 𝑧 vale:

𝑀𝑧 = 𝑖 ∮[𝑟⃗ × (𝑑𝑙⃗ × 𝐵
⃗⃗)] = 0.
𝑧

Abbiamo quindi ottenuto quanto segue:


𝑀𝑥 = −𝑖𝜋𝑅 2 𝐵𝑦
𝑀𝑦 = 𝑖𝜋𝑅 2 𝐵𝑥 .
𝑀𝑧 = 0
Avevamo introdotto a valle del calcolo del campo generato da una spira
circolare il vettore momento magnetico di una spira, che in questo caso si
5
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scrive nella forma 𝑚 ⃗⃗⃗ = 𝑧̂ 𝑖 𝑆 = 𝑧̂ 𝑖 𝜋𝑅 2 . Data la struttura delle precedenti


equazioni ci chiediamo se il risultato ottenuto non possa esprimersi in termini
di 𝑚⃗⃗⃗. Il fatto che 𝑀𝑧 = 0 ci fa sospettare che valga la seguente relazione 𝑀 ⃗⃗⃗ =
𝑚
⃗⃗⃗ × 𝐵 ⃗⃗. Verifichiamolo.
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗ = | 0
⃗⃗⃗ × 𝐵
𝑚 0 𝑖 𝜋𝑅 2 | = 𝑥̂(−𝑖 𝜋𝑅 2 𝐵𝑦 ) − 𝑦̂(−𝑖 𝜋𝑅 2 𝐵𝑥 ) + 𝑧̂ (0)
𝐵𝑥 𝐵𝑦 𝐵𝑧
Abbiamo quindi dimostrato che una spira in campo magnetico uniforme è
soggetta alle seguenti azioni meccaniche:

𝐵 𝐹⃗ = 0
𝐵 ⃗⃗⃗ = 𝑚
𝑀 ⃗⃗,
⃗⃗⃗ × 𝐵
dove 𝑚 ⃗⃗⃗ rappresenta il momento
𝑚 magnetico della spira. Appare
evidente che quando 𝑚 ⃗⃗⃗ è parallelo a
⃗⃗ allora si ha 𝑀
𝐵 ⃗⃗⃗ = 0. Questo implica
che una spira tende ad orientarsi in
campo magnetico in modo da rendere
la normale alla spira parallela al
campo esterno. Si può facilmente intuire che questa configurazione minimizza
l’energia magnetica del sistema.
Adesso facciamo notare che il momento meccanico a cui è sottoposto un dipolo
elettrico in campo elettrico uniforme 𝐸⃗⃗ vale:
⃗⃗⃗ = 𝑝⃗ × 𝐸⃗⃗
𝑀
e tale sistema possiede un’energia configurazionale pari a
𝑈𝐸 = −𝑝⃗ ∙ 𝐸⃗⃗ .
Il campo elettrico, come visto nelle lezioni precedenti, tende ad orientare i
dipoli elettrici lungo la propria direzione. Questa configurazione minimizza
l’energia configurazionale.
6
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Lo stesso fenomeno accade per i dipoli magnetici (la spira equivale a un dipolo
magnetico) ed è quindi facile intuire che l’energia magnetica vale:
𝑈𝑀 = −𝑚 ⃗⃗.
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵
La simmetria delle precedenti relazioni è facilmente apprezzabile:
𝑈𝑀 = −𝑚 ⃗⃗
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵 𝑈𝐸 = −𝑝⃗ ∙ 𝐸⃗⃗
.
⃗⃗⃗ = 𝑚
𝑀 ⃗⃗⃗ × 𝐵 ⃗⃗ 𝑀⃗⃗⃗ = 𝑝⃗ × 𝐸⃗⃗
Discutiamo in qualche dettaglio le proprietà matematiche dell’energia
magnetica 𝑈𝑀 = −𝑚 ⃗⃗. Se l’angolo tra 𝑚
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵 ⃗⃗ è zero allora l’energia è
⃗⃗⃗ e 𝐵
negativa, se vale 180 gradi l’energia magnetica è positiva. Ne segue che
l’energia è minimizzata quando i due vettori sono allineati.
Dimostriamolo minimizzando l’energia magnetica con il vincolo 𝑚𝑥2 + 𝑚𝑦2 +
𝑚𝑧2 − |𝑚
⃗⃗⃗|2 . La funzione da minimizzare si riscrive nella forma vincolata
⃗⃗ + 𝜇(𝑚𝑥2 + 𝑚𝑦2 + 𝑚𝑧2 − |𝑚
⃗⃗⃗ ∙ 𝐵
ℒ = −𝑚 ⃗⃗⃗|2 ),
⃗⃗⃗|2 = (𝑖𝑆)2 . Imponiamo la condizione estremale:
dove |𝑚
𝜕ℒ
= −𝐵𝑥 + 2𝜇 𝑚𝑥 = 0
𝜕𝑚𝑥
𝜕ℒ
= −𝐵𝑦 + 2𝜇 𝑚𝑦 = 0
𝜕𝑚𝑦
.
𝜕ℒ
= −𝐵𝑧 + 2𝜇 𝑚𝑧 = 0
𝜕𝑚𝑧
𝜕ℒ
= 𝑚𝑥2 + 𝑚𝑦2 + 𝑚𝑧2 − |𝑚
⃗⃗⃗|2 = 0
𝜕𝜇
Da queste relazioni si ottiene:
7
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𝐵𝑥
𝑚𝑥 =
2𝜇
𝐵𝑦
𝑚𝑦 = .
2𝜇
𝐵𝑧
𝑚𝑧 =
2𝜇
Utilizzando il vincolo sul modulo del momento magnetico della spira
otteniamo:
⃗⃗
𝐵
𝑚
⃗⃗⃗ = ± |𝑚
⃗⃗⃗|.
⃗⃗|
|𝐵
Essendo noi interessanti a un minimo dell’energia scegliamo il segno positivo
nella precedente. Da questo segue:
⃗⃗
𝐵
𝑚
⃗⃗⃗ = |𝑚
⃗⃗⃗|,
⃗⃗
|𝐵|
⃗⃗
𝐵
dove ⃗⃗|
rappresenta il versore del campo magnetico esterno. Abbiamo quindi
|𝐵
dimostrato che un dipolo magnetico si orienta parallelamente al campo esterno,
configurazione questa che minimizza l’energia magnetica.
1
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LEZIONE 18
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

18.1 Campo magnetico generato da una piccola spira piana di area S


percorsa da corrente stazionaria i (caso generale).
Abbiamo visto nel corso delle precedenti lezioni che il potenziale vettore
associato a un campo di induzione magnetica generato da un circuito percorso
da corrente stazionaria ammette la seguente scrittura:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∮ ,
4𝜋 𝑙′ |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|
dove l’integrale è esteso a tutta la linea chiusa definita dal circuito percorso da
corrente. La relazione tra il potenziale vettore ed il campo di induzione
𝑥, 𝑦, 𝑧 magnetica è data da 𝐵⃗⃗ = ⃗∇⃗ × 𝐴⃗. Vogliamo
trattare l’esempio particolarmente rilevante
del calcolo del campo generato da una
𝑟⃗ 𝑟⃗ − 𝑟⃗′ piccola spira piana percorsa da corrente
𝑧 stazionaria i. Sia 𝑚 ⃗⃗⃗ = 𝑖𝑆𝑧̂ = 𝑖 (𝜋𝑅 2 )𝑧̂ il
𝑦 momento magnetico della spira. Questo
𝑟⃗′ 𝑑𝑙⃗’ implica che, senza perdita di generalità, la
𝜃 spira sia contenuta nel piano xy di un
riferimento avente per origine il centro della
𝑥 spira. Con riferimento alla figura,
introduciamo i seguenti vettori importanti
nel calcolo:
𝑟⃗ = (𝑥, 𝑦, 𝑧)
𝑟⃗ ′ = 𝑅 (𝑐𝑜𝑠𝜃, 𝑠𝑖𝑛𝜃, 0) .
𝑑𝑙⃗′ = 𝑅 𝑑𝜃 𝜃̂ = 𝑅 𝑑𝜃 (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0)
2
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Inoltre è immediato calcolare la quantità |𝑟⃗ − 𝑟⃗′|, infatti mediante calcolo


diretto si ottiene:
|𝑟⃗ − 𝑟⃗′| = √(𝑥 − 𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 )2 + (𝑦 − 𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃 )2 + 𝑧 2 .
Dalle precedenti è semplice rendersi conto che il potenziale vettore assume la
forma seguente:
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ ,
4𝜋 0 √(𝑥 − 𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 )2 + (𝑦 − 𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃 )2 + 𝑧 2

dalla quale è immediatamente evidente che la componente 𝑧 del potenziale


vettore è nulla. Ancora non abbiamo usato l’ipotesi che la spira sia piccola. Ci
aspettiamo che questa generica caratterizzazione implichi una sorta di limite
𝑅 → 0. Come si vede però effettuare questo limite in modo crudo nella
precedente porta ad un risultato identicamente nullo. Serve una
approssimazione che ci fornisca la prima correzione diversa da zero alla
quantità di nostro interesse. Occorre quindi effettuare uno sviluppo in serie di
Taylor del denominatore della funzione integranda. In generale, lo sviluppo di
Taylor per una funzione di tre variabili arrestato al primo ordine si scrive come
segue:
𝜕𝑓 𝜕𝑓 𝜕𝑓
𝑓(𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) ≈ 𝑓(0) + 𝑥′ ( ) + 𝑦′ ( ) + 𝑧′ ( ) ,
𝜕𝑥′ 0 𝜕𝑦′ 0 𝜕𝑧′ 0
dove le derivate parziali sono calcolate in 𝑥 ′ = 𝑦 ′ = 𝑧 ′ = 0. Nel nostro caso
la funzione da espandere è data da:
1
𝑓 (𝑥 ′ , 𝑦 ′ , 𝑧′) = ,
√(𝑥 − 𝑥′)2 + (𝑦 − 𝑦′)2 + 𝑧 2
dove abbiamo introdotto la notazione 𝑥 ′ = 𝑅 𝑐𝑜𝑠𝜃 e 𝑦 ′ = 𝑅 𝑠𝑖𝑛𝜃. Ci
rendiamo conto, dopo calcolo diretto, che vale la relazione:
3
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𝜕 ′ 2 ′ 2 2
𝜕𝑓 𝜕𝑥 ′ (√(𝑥 − 𝑥 ) + (𝑦 − 𝑦 ) + 𝑧 )
=− 2
𝜕𝑥′ (√(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2 )
−2(𝑥 − 𝑥 ′ )
2√(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2
=− 2
(√(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2 )
(𝑥 − 𝑥 ′ )
= .
[(𝑥 − 𝑥 ′ )2 + (𝑦 − 𝑦 ′ )2 + 𝑧 2 ]3/2
Dalla precedente e per analogia segue:
𝜕𝑓 𝑥
( ) = 2
𝜕𝑥′ 0 [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3/2
𝜕𝑓 𝑦 .
( ) = 2
𝜕𝑦′ 0 [𝑥 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]3/2
Ne concludiamo che una approssimazione del denominatore della funzione
integranda prende la forma:
1
√(𝑥 − 𝑥′)2 + (𝑦 − 𝑦′)2 + 𝑧 2
1 𝑥 𝑥′ 𝑦 𝑦′
≈ + 3+ 3.
2 2
√𝑥 + 𝑦 + 𝑧 2
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ] 2
Pertanto il potenziale vettore diviene somma di tre termini:
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ ∫ +
4𝜋 0 2
√𝑥 + 𝑦 + 𝑧 2 2

𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 𝑥 𝑥 ′ (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
∫ 3 +
4𝜋 0 2 2 2
[𝑥 + 𝑦 + 𝑧 ]2
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 𝑦 𝑦 ′ (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
∫ 3 .
4𝜋 0
[ 𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2
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Il termine evidenziato in rosso è nullo in quanto proporzionale all’integrale su


un periodo della funzione seno o coseno. Trattiamo i termini non nulli.
Consideriamo dapprima il termine evidenziato in azzurro.
𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 𝑥 𝑥 ′ (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
∫ 3
4𝜋 0 2 2 2
[𝑥 + 𝑦 + 𝑧 ]2
2𝜋
𝜇0 𝑖 𝑅 𝑥 ′(
= )
3 ∫ 𝑥 −𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0 𝑑𝜃 =
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 0
2𝜋
𝜇0 𝑖 𝑅 2 𝑥
= 3∫ 𝑐𝑜𝑠𝜃 (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃 =
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 0
𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑥
= 3𝑦̂.
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦2 + 2
𝑧 ]2
Nella derivazione abbiamo utilizzato gli integrali noti:
2𝜋
∫ 𝑐𝑜𝑠 2 𝜃 𝑑𝜃 = 𝜋
0
2𝜋 .
∫ 𝑠𝑖𝑛𝜃 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑑𝜃 = 0
0

Adesso ci occupiamo dell’ultimo termine.


𝜇0 𝑖 𝑅 2𝜋 𝑦 𝑦 ′ (−𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0) 𝑑𝜃
∫ 3 =
4𝜋 0
[𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2
2𝜋
𝜇0 𝑖 𝑅 2 𝑦
( )
3 ∫ 𝑠𝑖𝑛𝜃 −𝑠𝑖𝑛𝜃, 𝑐𝑜𝑠𝜃, 0 𝑑𝜃 =
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 0
𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑦
=− 3𝑥̂
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2
Arriviamo quindi alla conclusione che:
5
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𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑦 𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑥
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ − 3𝑥̂ + 3 𝑦.
̂
4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2 4𝜋 [𝑥 2 + 𝑦 2 + 𝑧 2 ]2
La precedente può essere scritta in forma più compatta osservando che
3
2 2 2 ]2
[𝑥 + 𝑦 + 𝑧 = |𝑟⃗|3 . Da questo otteniamo:
𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑦 𝜇0 𝑖 𝜋 𝑅 2 𝑥
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) ≈ − 𝑥̂ + 𝑦̂ =
4𝜋 |𝑟⃗|3 4𝜋 |𝑟⃗|3
𝜇0
= (−𝑚 𝑦, 𝑚 𝑥, 0)
4𝜋 |𝑟⃗|3
con 𝑚 = |𝑚 ⃗⃗⃗| = 𝑖 𝜋 𝑅 2 . Notiamo che la precedente può essere espressa
mediante un prodotto vettoriale. Osserviamo infatti che (−𝑚 𝑦, 𝑚 𝑥, 0) si
scrive nella forma:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗⃗ × 𝑟⃗ = |0
𝑚 0 𝑚| = 𝑥̂ (−𝑚 𝑦) − 𝑦̂(−𝑚 𝑥 ) + 𝑧̂ (0) = (−𝑚 𝑦, 𝑚 𝑥, 0).
𝑥 𝑦 𝑧
Arriviamo alla conclusione che il potenziale vettore di un piccola spira piana
percorsa da corrente stazionaria 𝑖 vale:
𝜇0 𝑚
⃗⃗⃗ × 𝑟⃗
𝐴⃗(𝑥, 𝑦, 𝑧) = .
4𝜋 |𝑟⃗|3
Calcoliamo il campo generato mediante rotore della precedente espressione:
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
𝜇
⃗⃗ = ⃗∇⃗ × 𝐴⃗ = 0 | 𝜕𝑥
𝐵
𝜕𝑦 𝜕𝑧
|.
4𝜋 𝑚𝑦 𝑚𝑥
− 3 0
|𝑟⃗| |𝑟⃗|3
Esprimiamo il risultato in componenti. In particolare per la componente 𝑥
otteniamo quanto segue:
𝜇0 𝑚𝑥 𝜇0 𝑚 3𝑥𝑧
𝐵𝑥 = − [𝜕𝑧 ( 3 )] = .
4𝜋 |𝑟⃗| 4𝜋 |𝑟⃗|5
Nel derivare la precedente abbiamo utilizzato la relazione:
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1 2 2 2 )−3/2
3 2 2
3
2 )−2−1 ( )
(
𝜕𝑧 ( 3 ) = 𝜕𝑧 𝑥 + 𝑦 + 𝑧 (
=− 𝑥 +𝑦 +𝑧 2𝑧
|𝑟⃗| 2
2 2
5
2 )−2
3𝑧
(
= −3𝑧 𝑥 + 𝑦 + 𝑧 = − 5.
|𝑟⃗|
Calcoliamo la componente 𝑦.
𝜇0 𝑚𝑦 𝜇0 𝑚 3𝑦𝑧
𝐵𝑦 = − [𝜕𝑧 ( 3 )] =
4𝜋 |𝑟⃗| 4𝜋 |𝑟⃗|5
Calcoliamo la componente 𝑧.
𝜇0 𝑚 𝑥 𝑦
𝐵𝑧 = [𝜕𝑥 ( 3 ) + 𝜕𝑦 ( 3 )].
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Per semplificare la precedente utilizziamo le seguenti relazioni:
𝑥 1 1 1 −3𝑥 1 3𝑥 2
𝜕𝑥 ( 3 ) = 3 + 𝑥𝜕𝑥 ( 3 ) = 3 + 𝑥 ( 5 ) = 3 − 5
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|
𝑦 1 3𝑦 2
𝜕𝑦 ( 3 ) = 3 − 5
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Sommando le precedenti si ottiene:
𝑥 𝑦 2 𝑥 2 + 𝑦2 2 |𝑟⃗|2 − 𝑧 2
𝜕𝑥 ( 3 ) + 𝜕𝑦 ( 3 ) = 3 − 3 ( ) = 3 − 3( )=
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|5 |𝑟⃗| |𝑟⃗|5
2 |𝑟⃗|2 3 𝑧2 1 3 𝑧2
= 3 − 3 ( 5) + 5 = − 3 + 5 .
|𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Pertanto si ha che la componente z del campo vale:

𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐵𝑧 = [− 3 + 5 ].
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|

Riassumendo elenchiamo le componenti del campo ottenute:


7
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𝜇0 𝑚 3𝑥𝑧
𝐵𝑥 =
4𝜋 |𝑟⃗|5
𝜇0 𝑚 3𝑦𝑧
𝐵𝑦 =
4𝜋 |𝑟⃗|5
𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐵𝑧 = [− 3 + 5 ].
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Verifichiamo che il risultato generale qui ottenuto sia consistente con quello
ottenuto nelle precedenti lezioni. Vogliamo quindi determinare il valore del
campo in un generico punto dell’asse 𝑧.
Dalle precedenti, con la sostituzione 𝑥 = 𝑦 = 0, otteniamo immediatamente:
𝐵𝑥 = 0
𝐵𝑦 = 0
𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2 𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐵𝑧 = [− 3 + 5 ] = [− 3 + 5 ]
4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗| |𝑟⃗|→|𝑧| 4𝜋 |𝑧| |𝑧|
𝜇0 𝑚 1 3 𝜇0 𝑚
= [− 3 + 3 ] = ,
4𝜋 |𝑧| |𝑧| 2𝜋 |𝑧|3
che coincide con il risultato da noi trovato a grande distanza dalla spira.
Vogliamo confrontare l’espressione del campo di induzione magnetica con il
campo elettrico generato da un dipolo con momento di dipolo 𝑝⃗ = 𝑝 𝑧̂
(chiaramente parliamo di enti fisici differenti). E’ possibile dimostrare che il
campo elettrico generato da un dipolo (a grande distanza) vale:
1 𝑝⃗ 3 𝑝⃗ ∙ 𝑟⃗
𝐸⃗⃗ = (− 3 + 𝑟⃗).
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|5
Specializzando la precedente al caso di interesse abbiamo:
1 𝑝 𝑧̂ 3 𝑝 𝑧
𝐸⃗⃗ = (− 3 + 𝑟⃗),
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|5
che scritta in componenti ci restituisce:
8
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𝑝 3𝑥𝑧
𝐸𝑥 =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5
𝑝 3𝑦𝑧
𝐸𝑦 = .
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5
𝑝 1 3 𝑧2
𝐸𝑧 = (− 3 + 5 )
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
Come si vede le linee di forza dei due campi sono identiche. Riportiamo per
opportuno confronto le componenti dei due campi affiancate.

𝑝 3𝑥𝑧 𝜇0 𝑚 3𝑥𝑧
𝐸𝑥 = 𝐵𝑥 =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5 4𝜋 |𝑟⃗|5
𝑝 3𝑦𝑧 𝜇0 𝑚 3𝑦𝑧
𝐸𝑦 = 𝐵𝑦 =
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗|5 4𝜋 |𝑟⃗|5
𝑝 1 3 𝑧2 𝜇0 𝑚 1 3 𝑧2
𝐸𝑧 = (− 3 + 5 ) 𝐵𝑧 = (− 3 + 5 )
4𝜋𝜀0 |𝑟⃗| |𝑟⃗| 4𝜋 |𝑟⃗| |𝑟⃗|
1
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LEZIONE 18b
FENOMENI MAGNETICI STAZIONARI NEL VUOTO

18b.1 L’effetto Hall


Nelle precedenti lezioni abbiamo visto che una particella carica in moto in un
campo magnetico esterno sperimenta delle azioni meccaniche (forza di
Lorentz). Tali azioni sono alla base delle sollecitazioni di cui risentono i
conduttori percorsi da corrente immersi in un campo magnetico.
I conduttori percorsi da corrente in campo magnetico sono soggetti ad un
ulteriore effetto noto come effetto Hall. Ci proponiamo di descrivere questo
fenomeno anche in vista della sua rilevanza per le applicazioni.
Per completezza, premettiamo una breve derivazione della legge di Ohm in
forma locale basata sul modello semiclassico di Drude. Il modello descrive la
conduzione a livello microscopico assumendo che la dinamica dei portatori di
carica sia governata dall’equazione di Newton.
Nell’ambito di tale modello si assume che la dinamica media della quantità di
moto di un portatore di carica sia retta dall’equazione:
𝑑𝑝⃗ 𝑝⃗
+ = 𝑞𝐸⃗⃗ ,
𝑑𝑡 𝜏
dove 𝑝⃗ = 𝑚𝑣⃗ rappresenta la quantità di moto media, 𝑞𝐸⃗⃗ la forza che il campo
elettrico uniforme esercita sul portatore di carica 𝑞, mentre 𝜏 rappresenta il
tempo tipico che descrive l’interazione dei portatori con altri gradi di libertà.
In assenza di campo elettrico, l’equazione precedente diviene:
𝑑𝑝⃗ 𝑝⃗
+ = 0,
𝑑𝑡 𝜏
che ammette la soluzione 𝑝⃗ = 𝑝 ⃗⃗⃗⃗⃗0 𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏). Appare evidente che in assenza
di campo elettrico la velocità media dei portatori tende a zero. Ne segue che i
gradi di libertà, il cui effetto è descritto dal tempo di rilassamento 𝜏, descrivono
2
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forze di natura dissipativa. Tali forze sono in realtà interazioni assimilabili a


processi di urto.
In presenza di campo elettrico, si raggiunge un equilibrio dinamico tra
dissipazione e forzamento. In questa condizione viene raggiunta una velocità
𝑑𝑝⃗
limite che si ottiene mediante la condizione di accelerazione nulla = 0:
𝑑𝑡

𝑞𝐸⃗⃗ 𝜏
𝑝
⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗
𝑑 = 𝑞𝐸 𝜏 → ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑣𝑑 = ,
𝑚
dove ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑣𝑑 rappresenta la velocità di deriva dei portatori. La densità di corrente è
data dalla relazione usuale 𝐽⃗ = 𝑛𝑞𝑣 𝑑 con 𝑛 la densità volumica di portatori.
⃗⃗⃗⃗⃗,
Dalla precedente segue immediatamente la legge di Ohm in forma locale:
𝑛𝑞 2 𝜏
𝐽⃗ = 𝑛𝑞𝑣
⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑 = 𝐸⃗⃗ ,
𝑚
dalla quale, per confronto con 𝐽⃗ = 𝜎𝐸⃗⃗ , si determina immediatamente la
conduttività del sistema:
𝑛𝑞 2 𝜏
𝜎= .
𝑚
La precedente è poi legata alla resistività dalla relazione 𝜌 = 1/𝜎. Nell’ambito
di questa descrizione semplificata la conduttività è una costante e il vettore
densità di corrente risulta parallelo al campo elettrico che origina il moto di
cariche.
Cosa cambia nella descrizione sin qui fatta quando sia presente, oltre al campo
elettrico, anche un campo magnetico 𝐵⃗⃗ ?
In questa condizione la quantità di moto media dei portatori è retta
dall’equazione:
𝑑𝑝⃗ 𝑝⃗ 𝑝⃗
+ = 𝑞(𝐸⃗⃗ + 𝑣⃗ × 𝐵
⃗⃗ ) = 𝑞 (𝐸⃗⃗ + × 𝐵
⃗⃗).
𝑑𝑡 𝜏 𝑚
In condizioni stazionarie otteniamo:
3
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⃗⃗⃗⃗⃗
𝑝𝑑
𝑝𝑑 = 𝑞𝜏 (𝐸⃗⃗ +
⃗⃗⃗⃗⃗ ⃗⃗),
×𝐵
𝑚
equazione che questa volta non può risolversi a vista rispetto a ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑝𝑑 per via del
termine aggiuntivo al secondo membro dovuto alla forza di Lorentz.
Riscriviamo preliminarmente la precedente in funzione della densità di
corrente utilizzando la relazione:
𝐽⃗𝑚
𝑝𝑑 =
⃗⃗⃗⃗⃗ ,
𝑛𝑞
che ci consente di scrivere:
𝐽⃗𝑚 1 1
= 𝑞𝜏 (𝐸⃗⃗ + 𝐽⃗ × 𝐵
⃗⃗) → 𝐽⃗ = 𝜎 (𝐸⃗⃗ + 𝐽⃗ × 𝐵
⃗⃗).
𝑛𝑞 𝑛𝑞 𝑛𝑞
Dalla precedente si ottiene:
1 1
𝐸⃗⃗ = 𝜌𝐽⃗ − 𝐽⃗ × 𝐵
⃗⃗ = 𝜌𝐽⃗ + ⃗⃗ × 𝐽⃗.
𝐵
𝑛𝑞 𝑛𝑞
Analizziamo il termine segnato in rosso.
𝑥̂ 𝑦̂ 𝑧̂
⃗⃗ × 𝐽⃗ = |𝐵𝑥
𝐵 𝐵𝑦 𝐵𝑧 |
𝐽𝑥 𝐽𝑦 𝐽𝑧
= 𝑥̂(𝐵𝑦 𝐽𝑧 − 𝐵𝑧 𝐽𝑦 ) − 𝑦̂(𝐵𝑥 𝐽𝑧 − 𝐵𝑧 𝐽𝑥 ) + 𝑧̂ (𝐵𝑥 𝐽𝑦 − 𝐵𝑦 𝐽𝑥 ).
L’analisi della precedente relazione mostra che il prodotto vettoriale può essere
riscritto in termini del prodotto matriciale di un’opportuna matrice (costruita
con le componenti del campo magnetico) ed il vettore densità di corrente:
0 −𝐵𝑧 𝐵𝑦 𝐽𝑥
⃗⃗ × 𝐽⃗ = ( 𝐵𝑧
𝐵 0 −𝐵𝑥 ) (𝐽𝑦 ).
−𝐵𝑦 𝐵𝑥 0 𝐽𝑧
Utilizzando la precedente scriviamo la relazione:
4
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0 −𝐵𝑧 𝐵𝑦 𝐽𝑥
1
𝐸⃗⃗ = {𝜌𝕀3×3 + ( 𝐵𝑧 0 −𝐵𝑥 )} (𝐽𝑦 ) =
𝑛𝑞 −𝐵 𝐵𝑥 0
𝑦 𝐽𝑧
𝐵𝑧 𝐵𝑦
𝜌 −
𝑛𝑞 𝑛𝑞
𝐽𝑥
𝐵𝑧 −𝐵𝑥
= 𝜌 (𝐽𝑦 ),
𝑛𝑞 𝑛𝑞
𝐽𝑧
−𝐵𝑦 𝐵𝑥
𝜌
( 𝑛𝑞 𝑛𝑞 )
che restituisce la legge di Ohm locale in presenza di un campo magnetico.
Nella precedente abbiamo indicato con il simbolo 𝕀3×3 la matrice identità. La
matrice segnata in rosso è il tensore resistività la cui struttura evidenzia la
presenza di termini fuori diagonale originati dal campo magnetico. Valutiamo
le conseguenze osservabili di questi termini.
Per fare questo consideriamo un conduttore di
sezione trasversa quadrata con lato 𝑑 e
𝑧 𝑦 lunghezza infinita. Supponiamo che per effetto
𝑑 ⃗
𝑥 di un campo elettrico 𝐸𝑥 imposto dall’esterno
scorra una densità di corrente uniforme 𝐽𝑥 ,
mentre 𝐽𝑧 = 𝐽𝑦 = 0, vista la geometria del conduttore. Sia 𝑖 = 𝐽𝑥 𝑑2 la corrente
che scorre nel conduttore.
Dalla legge di Ohm locale appena scritta, specializzata al caso di interesse,
seguono le relazioni:
𝐸𝑥 = 𝜌𝐽𝑥
𝐵𝑧
𝐸𝑦 = 𝐽
𝑛𝑞 𝑥 .
−𝐵𝑦
𝐸𝑧 = 𝐽
𝑛𝑞 𝑥
Osserviamo che il campo magnetico genera componenti trasverse del campo
elettrico (cioè, 𝐸𝑦 ed 𝐸𝑧 ). Queste componenti sono originate dalla forza di
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Lorentz che causa accumuli di carica sulle pareti del conduttore. Tali accumuli
sono le sorgenti di un campo elettrico che all’equilibrio compensa la forza di
Lorentz. In questa condizione non fluisce corrente nelle direzioni 𝑧 ed 𝑦.
La presenza di campi elettrici trasversi genera differenze di potenziale
misurabili, che possiamo valutare mediante le seguenti relazioni:
𝑏 𝑏
𝐵𝑧 𝐵𝑧
∆𝑉𝑦 = − ∫ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑦̂ 𝑑𝑦 = − ∫ 𝐸𝑦 𝑑𝑦 = −𝐸𝑦 𝑑 = − 𝐽𝑥 𝑑 = − 𝑖
𝑎 𝑎 𝑛𝑞 𝑛 𝑞 𝑑
𝑏 𝑏
,
𝐵𝑦
∆𝑉𝑧 = − ∫ 𝐸⃗⃗ ∙ 𝑧̂𝑑𝑧 = − ∫ 𝐸𝑧 𝑑𝑧 = −𝐸𝑧 𝑑 = 𝑖
𝑎 𝑎 𝑛𝑞𝑑
dove abbiamo utilizzato le relazioni 𝐽𝑥 𝑑2 = 𝑖, 𝑎 = −𝑑/2 e 𝑏 = 𝑑/2. Le
precedenti possono essere riscritte in termini della costante di Hall 𝑅𝐻 :
𝑖 𝐵𝑧
∆𝑉𝑦 = −𝑅𝐻
𝑑 ,
𝑖 𝐵𝑦
∆𝑉𝑧 = 𝑅𝐻
𝑑
con 𝑅𝐻 = 1/(𝑛𝑞). La costante di Hall (notiamo che non ha dimensioni fisiche
di una resistenza elettrica!) ha lo stesso segno dei portatori di carica. Nei
conduttori ohmici il segno della costante di Hall è negativo, circostanza questa
che identifica gli elettroni come responsabili del trasporto di carica. In
materiali complessi (ad esempio con più bande rilevanti) o nei semiconduttori
il segno di 𝑅𝐻 può essere positivo (conduzione di lacune). La misura della
costante di Hall permette inoltre di misurare la densità di elettroni liberi nei
conduttori. Nei metalli tipicamente si ottiene un valore di circa 1÷2 elettroni
liberi per atomo. Le relazioni dell’effetto Hall, che abbiamo scritto sopra,
rendono possibile la misura del campo magnetico. Infatti, ricavando le
componenti del campo dalle precedenti, possiamo scrivere:
∆𝑉𝑦 𝑑
𝐵𝑧 = −
𝑖 𝑅𝐻
∆𝑉𝑧 𝑑
𝐵𝑦 =
𝑖 𝑅𝐻
6
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cosa che consente di determinare il valore del campo con semplici misure di
corrente e di tensione. Su questo principio si basa il funzionamento di una
sonda di campo magnetico ad effetto Hall.
1
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LEZIONE 18c
IL MAGNETISMO NELLA MATERIA

18c.1 Spunti per una teoria del magnetismo nella materia


L’interpretazione teorica del magnetismo nella
materia si basa sul già menzionato teorema di
equivalenza di Ampère (1820) (TEA) secondo
N
il quale, a grande distanza, una spira percorsa
da corrente si comporta come un dipolo
S
magnetico. D’altra parte un magnete
permanente si può immaginare come l’insieme
di una grande quantità di dipoli elementari
distribuiti nel volume del materiale. Questa affermazione
fonda la sua validità nell’esperienza della segmentazione
dei magneti laddove ogni porzione di materia si comporta
come un dipolo magnetico. A causa del TEA possiamo
pensare un magnete permanente come una regione dello
spazio dove hanno sede microcorrenti responsabili delle
proprietà magnetiche della materia. Un nodo
concettualmente importante dello sviluppo teorico è dato
dalla sostanziale inconoscibilità della distribuzione
spaziale e delle altre caratteristiche rilevanti di queste
microcorrenti. Risulta quindi una necessità teorica quella di evitare che le
microcorrenti compaiano esplicitamente nelle equazioni
dell’elettromagnetismo.
Questa procedura non è concettualmente nuova ed è stata già adoperata con
successo quando abbiamo discusso l’elettrostatica in presenza di dielettrici. In
quella sede abbiamo modificato la prima equazione di Maxwell introducendo
le cariche di polarizzazione nel modo seguente:
2
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𝜌 + 𝜌𝑃
⃗∇ ∙ 𝐸⃗ =
𝜀0 .
⃗∇ × 𝐸⃗ = 0
Dagli sviluppi formali della teoria abbiamo legato le cariche di polarizzazione
al vettore polarizzazione elettrica 𝑃⃗ che rappresenta una densità di momento di
dipolo per unità di volume. In accordo con questi sviluppi abbiamo scritto
l’importante relazione 𝜌𝑃 = −∇ ⃗ ∙ 𝑃⃗. Da quest’ultima otteniamo:

𝜌−∇⃗ ∙ 𝑃⃗
⃗ ∙ 𝐸⃗ =
∇ ⃗ ∙𝐷
→∇ ⃗ = 𝜌,
𝜀0
dove abbiamo introdotto il vettore di spostamento elettrico 𝐷 ⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝑃⃗ . In
dielettrici omogenei ed isotropi, di cui ci siamo occupati, il rapporto che esiste
tra 𝑃⃗ ed 𝐸⃗ è di semplice proporzionalità. Questa relazione può essere espressa
mediante l’introduzione di una funzione di risposta detta suscettività elettrica
𝜒, dalla quale si deduce la relazione di proporzionalità cercata 𝑃⃗ = 𝜒𝜀0 𝐸⃗. Con
queste posizioni si è poi ottenuto:
⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝑃⃗ = 𝜀0 𝐸⃗ + 𝜒𝜀0 𝐸⃗ = 𝜀0 (1 + 𝜒)𝐸⃗ = 𝜀0 𝜀𝑟 𝐸⃗ = 𝜀𝐸⃗ .
𝐷
La precedente è scritta in termini della costante dielettrica del mezzo 𝜀 e della
costante dielettrica relativa 𝜀𝑟 = (1 + 𝜒).
Osserviamo facilmente che, almeno nel caso di dielettrico ideale, ci siamo
liberati dal dover conoscere la distribuzione delle cariche di polarizzazione
(che è una informazione microscopica tipicamente non disponibile). Questa
informazione viene sintetizzata dalla costante dielettrica del mezzo, che è un
parametro macroscopicamente accessibile.
Con le dovute differenze, vogliamo seguire un analogo programma anche nel
caso magnetico. Prima di procedere in tale direzione è opportuno chiedersi
quale possa essere l’origine microscopica delle microcorrenti di Ampère.
Questo è il tema del successivo paragrafo.
3
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18c.2 L’atomo di Bohr e le microcorrenti atomiche


All’inizio del corso abbiamo dato qualche dettaglio riguardante il modello
atomico di Bohr. Si è detto che l’atomo può essere immaginato come un
sistema solare in miniatura dove un nucleo carico positivamente attrae elettroni
negativi orbitanti attorno ad esso. Questo quadro classico non è però
rispondente alla realtà sperimentale. Per sanare alcune discrepanze
(esperimenti di spettroscopia) si introduce l’ipotesi di Bohr: “Il momento
angolare di un elettrone orbitante intorno al nucleo può assumere soltanto
valori quantizzati, ossia |𝐿⃗| = 𝑛ℏ”. Abbiamo dimostrato a suo tempo che
questa ipotesi porta alla quantizzazione dei livelli energetici dell’atomo. In
particolare, per l’atomo di idrogeno si ha:
𝐸0
𝐸𝑛 = −
𝑛2
dove 𝑛 ∈ {1, 2, 3, … }, mentre 𝐸0 = 13.6 𝑒𝑉. L’ipotesi di Bohr implica anche
l’esistenza di stati particolarmente stabili caratterizzati dall’avere velocità e
raggi orbitali assegnati:
4𝜋𝜀0 (𝑛ℏ)2
𝑟𝑛 = 2
𝑒𝑒
.
𝑒2
𝑣𝑛 =
4𝜋𝜀0 𝑛ℏ
Nello stato fondamentale (𝑛 = 1), quello di minore energia, è possibile
definire il raggio di Bohr:
4𝜋𝜀0 ℏ2
𝑟1 = 2
≈ 0.5 × 10−10 .
𝑒𝑒

Consideriamo quindi un elettrone nello stato fondamentale. L’elettrone passa


in ogni punto dell’orbita una volta ogni periodo orbitale 𝑇. Essendo l’elettrone
elettricamente carico esso genera una corrente atomica pari a
𝑒
𝐼𝑎 = ,
𝑇
4
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dove abbiamo introdotto la notazione 𝑒 = −|𝑒|. Ci chiediamo quanto valga


questa corrente nello stato fondamentale. Per avere questa informazione
occorre calcolare il periodo orbitale. Osserviamo che per il moto circolare
uniforme qui considerato vale la relazione (𝜔𝑟1 )𝑟1 = ℏ. Di qui segue:
2
2𝜋 𝑒 𝑟1
𝑒 (𝜔𝑟1 )𝑟1 =ℏ→𝑇= ≅ 1.5 × 10−16 𝑠.

Pertanto la corrente atomica vale:
𝑒 𝑒ℏ
𝐼𝑎 = = ≈ 1.05 𝐴.
𝑇 2𝜋 𝑒 𝑟12
Abbiamo trovato le nostre microcorrenti. Valutiamo il momento magnetico
della spira atomica:
|𝑒|ℏ
| ⃗⃗ | = |𝐼𝑎 |𝑆 = |𝐼𝑎 |𝜋𝑟12 = ≡ 𝜇𝐵 ≅ 9.27 × 10−24 𝐴 2
.
2 𝑒
Alla precedente quantità, espressa in termini di grandezze fondamentali, si dà
il nome di magnetone di Bohr (𝜇𝐵 ). Dalla precedente è semplice intuire che
esiste una relazione di proporzionalità tra il momento magnetico della spira
atomica ed il momento angolare orbitale. Si ha infatti:
𝑒 𝜇𝐵
⃗⃗ = 𝐿⃗ = − 𝐿⃗.
2 𝑒 ℏ
Dalla precedente si osserva che ⃗⃗ ed 𝐿⃗ risultano antiparalleli. In atomi con più
di un elettrone il momento magnetico risulta dalla composizione (secondo
regole dettate dalla meccanica quantistica) dei momenti magnetici dei singoli
elettroni. E’ da osservare che gli elettroni, ma anche i nucleoni, posseggono un
momento angolare intrinseco detto spin (𝑆). Questo grado di libertà
contribuisce al momento magnetico atomico al pari dei gradi di libertà orbitali.
Ad esempio, per un elettrone, il momento magnetico di spin è dell’ordine di
𝜇𝐵 in quanto
𝜇𝐵
⃗⃗⃗⃗⃗𝑠 = −𝑔𝑠 𝑆

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con 𝑔𝑠 ≈ 2 e |𝑆| = ℏ/2. Solitamente il contributo nucleare al magnetismo è


trascurabile (il momento magnetico è inversamente proporzionale alla massa
della particella considerata).
Si osserva sperimentalmente che molti atomi dotati di distribuzione spaziale
simmetrica presentano momento magnetico nullo. Anche quando il momento
magnetico risulta diverso da zero, ed in assenza di un campo esterno,
l’orientamento casuale dei momenti magnetici atomici produce un effetto
risultante nullo. Questa fenomenologia ammette l’eccezione notevole data dai
materiali ferromagnetici i quali presentano domini preformati nei quali non si
ha cancellazione dei momenti magnetici. Questo si traduce in effetti magnetici
osservabili anche in assenza di campi esterni (magneti permanenti).
Alla luce della discussione affrontata fino a questo punto è facile convincersi
del fatto che, se pure con notevoli differenze, l’applicazione di un campo
magnetico esterno produce nei materiali effetti di polarizzazione magnetica.
Dal punto di vista microscopico, tali fenomeni, possono essere visti come un
fenomeno di allineamento dei momenti magnetici atomici con la direzione (il
verso dipende dalla natura ferro-, dia- o para- del materiale) del campo
inducente.
Questo fenomeno è per certi versi analogo al fenomeno di polarizzazione dei
materiali dielettrici ad opera di un campo elettrico esterno.

18c.3 Verso una formulazione teorica del magnetismo nella materia


Ci siamo appena convinti del fatto che il concetto di microcorrente atomica è
un utile strumento di comprensione dei fenomeni magnetici in presenza di
materia. La materia è sede di microcorrenti che localmente generano momenti
magnetici. La composizione dei momenti magnetici atomici porta solitamente
ad un valore nullo del momento magnetico risultante. Un campo esterno ha un
effetto polarizzante dei momenti magnetici atomici. Il quadro sembra coerente,
ma come modificare le equazioni di Maxwell per tenere conto delle
microcorrenti?
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Dalla trattazione dell’elettrostatica in presenza di dielettrici abbiamo imparato


che le equazioni di Maxwell vanno modificate a partire dalle sorgenti dei
campi. E’ facile intuire che occorre considerare la coppia di equazioni:
⃗∇ ∙ 𝐵
⃗ =0
,
⃗ ×𝐵
∇ ⃗ = 𝜇0 (𝐽 + 𝐽𝑚 )

dove abbiamo introdotto le densità di corrente dovuta alle microcorrenti


atomiche 𝐽𝑚 . Le precedenti equazioni, nella forma attuale, non ci consentono
di progredire ulteriormente in quanto nulla è dato sapere, almeno a questo
livello, sulla distribuzione delle correnti atomiche. Occorre quindi un modo
per superare questa difficoltà concettuale.

18c.4 Quarta equazione di Maxwell in presenza di materia


Nel corso delle precedenti lezioni abbiamo derivato il potenziale vettore
associato al campo di induzione magnetica prodotto a grande distanza da una
spira percorsa da corrente stazionaria nella forma:
𝜇0 ⃗⃗ × 𝑟
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ,
4𝜋 |𝑟|3
dove si è assunto che la spira abbia centro nell’origine del riferimento
cartesiano. Supponiamo adesso di avere un volume racchiuso da una superficie
chiusa all’interno del quale vi siano disperse (con continuità) spire atomiche.
Se consideriamo un volume infinitesimo 𝑑𝜏 = 𝑑𝑥 𝑑𝑦 𝑑𝑧 possiamo considerare
la densità volumica dei momenti magnetici prodotti da tali spire introducendo
il vettore di polarizzazione magnetica o intensità di magnetizzazione
𝑀⃗⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧)
⃗⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧)𝑑𝜏.
𝑑 ⃗⃗ = 𝑀
Alla luce della precedente il potenziale vettore dovuto alle microcorrenti
contenuto in un assegnato volume vale:
7
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𝜇0 𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × (𝑟 − 𝑟′)


𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ 𝑑𝜏′,
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
dove l’integrale si estende a tutto il volume del materiale sede di microcorrenti.
Nello scrivere la precedente abbiamo fatto la sostituzione 𝑟 → 𝑟 − 𝑟′ per tenere
conto della posizione dei momenti magnetici elementari. Ricordiamo adesso
che

⃗⃗⃗ 1 1 𝑟 − 𝑟′
∇′ ( ⃗ (
) = −∇ )= ,
|𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′| |𝑟 − 𝑟′|3
e pertanto possiamo scrivere:
𝜇0 (𝑟 − 𝑟′)
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ⃗⃗ (
∫ 𝑀 𝑥′, 𝑦′, 𝑧′ ×) 𝑑𝜏 ′
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′| 3
𝜇0 1
= ∫𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × ⃗⃗⃗
∇′ ( ) 𝑑𝜏 ′ .
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
Vogliamo adesso riscrivere la funzione integranda utilizzando la seguente
relazione:
⃗∇ × (𝑓𝑣 ) = 𝑓∇
⃗ ×𝑣+∇
⃗ 𝑓 × 𝑣,
che ammette una riscritture nella forma:
⃗ 𝑓 = 𝑓∇
𝑣×∇ ⃗ ×𝑣−∇
⃗ × (𝑓𝑣).
1
⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) ed 𝑓 =
Usando il precedente risultato con 𝑣 = 𝑀 otteniamo:
|𝑟 −𝑟 ′|

𝜇0 1
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × ⃗⃗⃗
∇′ ( ) 𝑑𝜏 ′
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
𝜇0 ⃗⃗⃗∇′ × 𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) 𝜇0 ⃗⃗⃗ ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)
𝑀
= ∫ 𝑑𝜏 ′ − ∫ ∇′ × ( ) 𝑑𝜏 ′ .
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′| 4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
Utilizziamo la seconda identità di Green:

⃗ × 𝑣 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆 = − ∫ 𝑣 × 𝑛̂ 𝑑𝑆.
∫∇
𝑆 𝑆
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Utilizzando la precedente otteniamo:

𝜇0 ⃗⃗⃗ ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′)


∇′ × 𝑀 ′
𝜇0 𝑀 ⃗⃗ (𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) × 𝑛̂′
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ 𝑑𝜏 + ∫ 𝑑𝑆 ′ .
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′| 4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
Ricordiamo adesso la forma generale del potenziale vettore scritto in termini
del vettore densità di corrente:
𝜇0 𝐽(𝑥′, 𝑦′, 𝑧′) ′
𝐴(𝑥, 𝑦, 𝑧) = ∫ 𝑑𝜏 .
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|
Il confronto tra le ultime due relazioni evidenzia immediatamente che esistono
correnti di volume 𝐽𝑚𝑣 e correnti di superficie 𝐽𝑚𝑠 che contribuiscono al
potenziale vettore. Tali contributi assumono la forma seguente:
𝐽𝑚𝑣 = ⃗∇ × 𝑀 ⃗⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧)
.
𝐽𝑚𝑠 = 𝑀⃗⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧) × 𝑛̂
Siamo adesso pronti a modificare le equazioni di Maxwell introducendo in esse
il vettore intensità di magnetizzazione. Dal momento che sulla superficie di
separazione tra materiali i campi subiscono discontinuità, consideriamo la
regione di spazio interna al materiale laddove 𝐽𝑚𝑠 = 0. Sotto tale ipotesi
otteniamo:
⃗∇ × 𝐵
⃗ = 𝜇0 (𝐽 + 𝐽𝑚 ) = 𝜇0 (𝐽 + 𝐽𝑚𝑣 ) = 𝜇0 (𝐽 + ∇
⃗ ×𝑀
⃗⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧)).

Dalla precedente si ha:


⃗ − 𝜇0 𝑀
𝐵 ⃗⃗
⃗ ×(
∇ ) = 𝐽.
𝜇0
Abbiamo quindi ottenuto le equazioni del magnetismo in presenza di materia:
⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ =0
⃗ ×𝐻
∇ ⃗ =𝐽
⃗ definito come:
nelle quali abbiamo introdotto il vettore campo magnetico 𝐻
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⃗ − 𝜇0 𝑀
𝐵 ⃗⃗
⃗ =
𝐻 .
𝜇0
Osserviamo adesso esplicitamente che il vettore campo magnetico 𝐻 ⃗ non
dipende dalle correnti atomiche ma solo dalle correnti macroscopiche note.
Questo implica che la configurazione assunta da 𝐻 ⃗ dipende dai materiali
presenti solo mediante le condizioni al contorno che questi impongono alle
superfici di raccordo.
E’ inoltre semplice verificare che nel vuoto, laddove 𝑀⃗⃗ = 0, si ha la relazione
⃗ = 𝜇0 𝐻
𝐵 ⃗ . Nel caso generale, 𝑀⃗⃗ ≠ 0, una soluzione univoca delle equazioni
del magnetismo richiede la conoscenza della relazione che intercorre tra 𝐻 ⃗ e
⃗ , o equivalentemente tra 𝑀
𝐵 ⃗⃗ e 𝐵
⃗.
Come si vedrà nel seguito, questa relazione può essere fornita in molti casi di
utilità pratica per via fenomenologica.
1
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LEZIONE 18d
IL MAGNETISMO NELLA MATERIA

18d.1 Dimostrazione dell’identità di Green


Nello sviluppo della teoria del magnetismo in presenza di materia abbiamo
utilizzato, senza dimostrarla, la seconda identità di Green:
⃗ × 𝑣 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆 = − ∫ 𝑣 × 𝑛̂ 𝑑𝑆.
∫∇ (1)
𝑆 𝑆

Vogliamo dimostrare la precedente. Introduciamo un campo vettoriale


⃗⃗ . Sotto
ausiliario spazialmente uniforme e completamente arbitrario. Sia esso 𝑤
tale ipotesi possiamo scrivere la seguente identità:
⃗∇ ∙ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣) = −𝑤 ⃗ × 𝑣 ).
⃗⃗ ∙ (∇
Integriamo ambo i membri della precedente sul volume racchiuso dalla
superficie chiusa 𝑆:

∫ ⃗∇ ∙ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣) 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑤 ⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = −𝑤
⃗⃗ ∙ (∇ ⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏,
⃗⃗ ∙ ∫(∇ (2)
notando che in rosso abbiamo ottenuto l’espressione che compare al primo
membro della (1). Occupiamoci del primo membro della (2) utilizzando il
teorema della divergenza:

∫ ⃗∇ ∙ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = ∫ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣 ) ∙ 𝑑𝑆 = ∫ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣) ∙ 𝑛̂ 𝑑𝑆
𝑆 𝑆

= ∫ (𝑣 × 𝑛̂) ∙ 𝑤
⃗⃗ 𝑑𝑆 = 𝑤
⃗⃗ ∙ ∫ 𝑣 × 𝑛̂ 𝑑𝑆 = 𝑤
⃗⃗ ∙ ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆
𝑆 𝑆 𝑆

Eguagliando le quantità trovate si ha la relazione:

−𝑤 ⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = 𝑤
⃗⃗ ∙ ∫(∇ ⃗⃗ ∙ ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆.
𝑆

La precedente deve valere per ogni 𝑤


⃗⃗ e quindi otteniamo:
2
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⃗ × 𝑣 ) 𝑑𝜏 = − ∫ 𝑣 × 𝑑𝑆
∫(∇
𝑆

che è quanto si voleva dimostrare. Resta da provare la validità di una relazione


utilizzata senza dimostrazione:

∫ (𝑤
⃗⃗ × 𝑣 ) ∙ 𝑛̂ 𝑑𝑆 = ∫ (𝑣 × 𝑛̂) ∙ 𝑤
⃗⃗ 𝑑𝑆.
𝑆 𝑆

Questa relazione riguarda le funzioni integrande di cui adesso ci occupiamo.


E’ semplice dimostrare che
𝑛𝑥 𝑛𝑦 𝑛𝑧 𝑤𝑥 𝑤𝑦 𝑤𝑧
(𝑤⃗⃗ × 𝑣) ∙ 𝑛̂ = |𝑤𝑥 𝑤𝑦 𝑤𝑧 | = | 𝑣𝑥 𝑣𝑦 𝑣𝑧 | = (𝑣 × 𝑛̂) ∙ 𝑤 ⃗⃗ .
𝑣𝑥 𝑣𝑦 𝑣𝑧 𝑛𝑥 𝑛𝑦 𝑛𝑧
Notiamo che il secondo determinante è ottenuto dal primo per uno scambio
pari di righe. Scambio prima la seconda e la prima riga e poi la terza e la
seconda. Ad ogni scambio il determinante cambia segno. Essendo pari il
numero di scambi, il determinante resta invariato. Questo chiude la
dimostrazione.
1
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LEZIONE 18e
IL MAGNETISMO NELLA MATERIA

18e.1 Quarta equazione di Maxwell in presenza di materia (parte II)


Nelle precedenti lezioni abbiamo ottenuto le equazioni del magnetismo in
presenza di materia:
⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ =0
⃗ ×𝐻
∇ ⃗ =𝐽
⃗ definito come:
nelle quali abbiamo introdotto il vettore campo magnetico 𝐻
⃗ − 𝜇0 𝑀
𝐵 ⃗⃗
⃗ =
𝐻 .
𝜇0
Nel vuoto, laddove 𝑀 ⃗⃗ = 0, si ha la relazione 𝐵
⃗ = 𝜇0 𝐻 ⃗ . Nel caso generale,
⃗⃗ ≠ 0, una soluzione univoca delle equazioni del magnetismo richiede la
𝑀
⃗ e𝐵
conoscenza della relazione che intercorre tra 𝐻 ⃗ , o equivalentemente tra 𝑀⃗⃗
e 𝐵⃗ . Questa relazione si può scrivere su base fenomenologica per mezzi
materiali che siano omogenei e isotropi nella forma:
⃗ =𝜇𝐻
𝐵 ⃗ = 𝜇𝑟 𝜇0 𝐻
⃗,
dove 𝜇 e 𝜇𝑟 rappresentano la permeabilità e la permeabilità relativa del mezzo
considerato. Per i materiali paramagnetici e diamagnetici la permeabilità del
mezzo può essere considerata una costante, mentre per i materiali
ferromagnetici essa dipende da 𝐵 ⃗ . Questa proprietà rende non-lineari e non
univoche (isteresi) le proprietà magnetiche dei ferromagneti.
Non abbiamo tempo di indagare il comportamento magnetico dei ferromagneti
e ci soffermiamo invece sui materiali paramagnetici e diamagnetici.
Dalle seguenti relazioni
2
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⃗ − 𝜇0 𝑀
𝐵 ⃗⃗
⃗ =
𝐻
𝜇0
⃗ =𝜇𝐻
𝐵 ⃗ = 𝜇𝑟 𝜇0 𝐻⃗
È facile verificare che vale la relazione:
⃗⃗ = (𝜇𝑟 − 1) 𝐵
𝜇𝑀 ⃗ = 𝜒𝑚 𝐵
⃗,
che consente di introdurre la funzione suscettività magnetica 𝜒𝑚 = (𝜇𝑟 − 1).
Osserviamo che la magnetizzazione 𝜇 𝑀 ⃗⃗ indotta da un campo di induzione
magnetica 𝐵 ⃗ è diretta nella stessa direzione del campo inducente. Risulta poi
parallela o antiparallela a seconda del segno di 𝜒𝑚 . Nei materiali diamagnatici
𝜒𝑚 < 0, mentre nei paramagneti 𝜒𝑚 > 0. La suscettività magnetica è un
numero puro nei materiali omogenei ed isotropi, mentre in generale può esibire
caratteristiche tensoriali. Nei materiali diamagnetici e paramagnetici il valore
tipico di 𝜒𝑚 è di solito molto piccolo e dell’ordine di 𝜒𝑚 ≈ 10−6 . La stima
data è puramente indicativa in quanto la suscettività varia da materiale a
materiale e dalle condizioni sperimentali (temperatura).


18e.2 Il teorema di Ampère per 𝐻
⃗ ×𝐻
E’ immediato verificare che la relazione integrale associata a ∇ ⃗ = 𝐽 è data
dalla seguente espressione:

⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∑ 𝑁𝑘 𝑖𝑘 ,
∮𝐻
𝑘

che rappresenta il teorema di Ampère per il campo magnetico 𝐻⃗ . Il significato


del secondo membro è invariato rispetto al già visto teorema per 𝐵 ⃗ e quindi
non ne discutiamo ulteriormente. Dalla precedente è evidente che 𝐻 ⃗ ha
dimensioni fisiche di una corrente diviso una lunghezza (𝐴 𝑚−1 ).
3
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2 Vogliamo adesso dare un esempio di


applicazione del precedente teorema: il
… … 1
calcolo del campo di induzione magnetica
di un solenoide riempito di un materiale di
3
𝐵 4 permeabilità magnetica nota e pari a 𝜇. Dal
𝜇 teorema di Ampère applicato al circuito in
… … figura possiamo scrivere:
Uscente dal foglio 𝐻𝐿 = 𝑖 𝑛 𝐿 → 𝐻 = 𝑖 𝑛,
Entrante nel foglio
dove 𝑛 rappresenta il numero di spire per
unità di lunghezza ed 𝐿 è la dimensione del percorso 4. Ricordando la relazione
𝐻 = 𝐵/𝜇, otteniamo:
𝐵 = 𝜇 𝑖 𝑛 = 𝜇𝑟 𝜇0 𝑖 𝑛.
Ne segue che il campo di induzione magnetica all’interno è 𝜇𝑟 volte il campo
che si avrebbe nel vuoto. D’altra parte sappiamo che 𝜒𝑚 = (𝜇𝑟 − 1) e quindi
possiamo scrivere:
𝐵 = 𝜇 𝑖 𝑛 = (1 + 𝜒𝑚 ) 𝜇0 𝑖 𝑛.
Facile rendersi conto che se il materiale è di natura paramagnetica o
diamagnetica il valore del campo di induzione magnetica interno al solenoide
non è sostanzialmente differente dal campo che si avrebbe nel vuoto.
E’ interessante notare per completezza che nei materiali ferromagnetici la
permeabilità magnetica relativa è tipicamente molto alta (dell’ordine di 103 ed
oltre). Ne segue che per ottenere un solenoide con un campo interno molto alto
è utile inserire al suo interno un materiale ferromagnetico.

18e.3 Raccordo dei campi all’interfaccia tra due mezzi materiali


Consideriamo le equazioni della magnetostatica in presenza di materia ed in
assenza di correnti macroscopiche (𝐽 = 0):
4
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⃗∇ ∙ 𝐵
⃗ =0
.
⃗∇ × 𝐻 ⃗ =0
Consideriamo l’interfaccia fra due mezzi materiali aventi proprietà magnetiche
differenti. Le condizioni di raccordo
1 𝑛 seguono dalla considerazione che il flusso
del campo di induzione magnetica 𝐵 ⃗
attraverso qualsiasi superficie chiusa è
2 𝑛 nullo e che la circuitazione del campo
magnetico 𝐻 ⃗ è zero (se non concatena
correnti macroscopiche). Da queste
considerazioni seguono le equazioni di raccordo:
𝐵𝑛1 = 𝐵𝑛2
.
𝐻𝑡1 = 𝐻𝑡2
Queste relazioni inducono fenomeni di rifrazione delle linee di forza dei campi
magnetici all’interfaccia. Tali fenomeni sono governati dalle permeabilità
magnetiche dei mezzi materiali considerati.
1
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LEZIONE 20
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20.1 Riepilogo e spunti di riflessione per il caso non stazionario


Vogliamo adesso trattare il caso in cui i campi elettrici e magnetici non
presentano caratteristiche di stazionarietà. In questa condizione i campi
dipendono, oltre che dalle coordinate spaziali, anche dal tempo. Per semplicità
svilupperemo i nostri ragionamenti riferendoci alle equazioni di Maxwell in
assenza di materia (nel vuoto). Fino a questo momento disponiamo della
seguente sintesi dei fenomeni elettromagnetici:
𝜌
(𝐼) ∇ ⃗ ∙ 𝐸⃗ = (𝐼𝐼 ) ⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ =0
𝜀0 .
(𝐼𝐼𝐼 ) ∇⃗ × 𝐸⃗ = 0 (𝐼𝑉 ) ⃗∇ × 𝐵 ⃗ = 𝜇0 𝐽
L’analisi delle precedenti mostra come, almeno in apparenza, le equazioni per
i campi 𝐸⃗ e 𝐵 ⃗ siano disaccoppiate. Questa situazione è alquanto
insoddisfacente. Infatti si è detto più volte che la sorgente del campo di
induzione magnetica è rappresentata da cariche in movimento, mentre il campo
elettrostatico è generato da accumuli fissi di carica. I concetti di moto e quiete
non sono tuttavia invarianti al variare del sistema di riferimento. Per questa
ragione è possibile scegliere un riferimento in cui le cariche mobili risultano
in quiete. In questo nuovo riferimento non sono presenti sorgenti del campo di
induzione magnetica (che risulta quindi assente), mentre esistono accumuli di
carica in quiete che danno origine a un campo elettrico.
Da questo semplice argomento intuiamo che deve esistere una forma di
accoppiamento tra le equazioni e che i campi introdotti fin qui devono essere
parte di un oggetto fisico più complicato: il campo elettromagnetico. Scopo di
queste note è delinearne le proprietà.
L’inadeguatezza delle equazioni sin qui derivate nel descrivere una situazione
non stazionaria emerge da varie considerazioni. Prima di esporle, osserviamo
2
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che è un fatto sperimentalmente verificato che le equazioni (𝐼) e (𝐼𝐼)


mantengono la loro validità anche nel caso non stazionario:
𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
⃗ ∙ 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) =
∇ ⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 0.
𝜀0
Non è questa la sorte della quarta equazione di Maxwell. Infatti è facile notare
che nel caso non stazionario la quarta equazione di Maxwell non può essere
trattata come le precedenti. Cerchiamo di convincercene. Applicando la
divergenza ad ambo i membri dell’equazione otteniamo:
⃗ ∙ (∇
∇ ⃗ ×𝐵
⃗ ) = 𝜇0 ∇
⃗ ∙ 𝐽.

Il primo membro della precedente è identicamente nullo (divergenza del


rotore), mentre il secondo membro è nullo solo in condizioni stazionarie.
Infatti dall’equazione di continuità segue:
𝜕𝜌
⃗ ∙𝐽 =−
∇ .
𝜕𝑡
Da quanto mostrato ci aspettiamo che in condizioni non stazionarie la quarta
equazione di Maxwell debba essere modificata.

20.2 Quarta equazione di Maxwell in condizioni non stazionarie


Ci chiediamo come generalizzare la quarta equazione di Maxwell nel caso non
stazionario. Si è visto nel precedente paragrafo che non basta scrivere la
relazione
⃗ ×𝐵
∇ ⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 𝜇0 𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡).
Infatti, affinché la teoria funzioni, occorre che la sorgente al secondo membro
sia una quantità a divergenza nulla. La densità di corrente presenta questa
caratteristica soltanto in condizioni stazionarie.
Quanto sopra esposto pregiudica anche la validità del teorema di Ampère in
condizioni non stazionarie. Per convincersi di questa drammatica affermazione
basta considerare il caso semplice della scarica di un condensatore, che è una
3
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situazione non stazionaria. Consideriamo il


Σ1 circuito 𝑅𝐶 già visto nelle precedenti lezioni.
Sia la corrente che percorre il circuito
𝑖 𝑡 alimentata a spese della carica accumulata sulle
armature del condensatore. Sia presente il vuoto
𝛾 tra le armature del condensatore. Consideriamo
il circuito amperiano 𝛾 mostrato in figura e
Σ2
calcoliamo la circuitazione del campo 𝐵 ⃗
𝐶
generato dalla corrente non stazionaria. In
𝑅 generale, la circuitazione del campo di
induzione magnetica vale:

⃗ ∙ 𝑑𝑙 = 𝜇0 𝑖
∮ 𝐵
𝛾

dove al secondo membro compare la corrente concatenata con la curva 𝛾.


D’altra parte possiamo anche scrivere, considerando la superficie Σ1 , quanto
segue:

⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫ (∇
∮ 𝐵 ⃗ ×𝐵
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆 = 𝜇0 ∫ 𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) ∙ 𝑑𝑆 = 𝜇0 𝑖.
𝛾
Σ1 Σ1

Ricordiamo che una corrente si dice concatenata ad un data linea amperiana se


l’associata densità di corrente attraversa una arbitraria superficie avente per
bordo quella linea. Abbiamo quindi la discrezionalità di poter considerare
equivalentemente le superfici Σ1 o Σ2 nel calcolo. Abbiamo già esaminato le
conseguenze della scelta di Σ1 . Cosa succede se ripetiamo il calcolo per Σ2 ?
Osservando che Σ2 non intercetta alcuna corrente, ci si rende immediatamente
conto che vale la seguente relazione:

⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫ (∇
∮ 𝐵 ⃗ ×𝐵
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆 = 𝜇0 ∫ 𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) ∙ 𝑑𝑆 = 0.
𝛾
Σ2 Σ2
4
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Da quanto detto discenderebbe

⃗ ×𝐵
∫ (∇ ⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆 ≠ ∫ (∇
⃗ ×𝐵 ⃗⃗
⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) ∙ 𝑑𝑆,
Σ1 Σ2

relazione, quest’ultima, che segnala una evidente contraddizione che richiede


di essere sanata.
Indicazioni su come sanare queste difficoltà della teoria ci vengono dalla
seguente analisi. Partiamo dall’equazione di continuità:
𝜕𝜌
⃗ ∙𝐽+
∇ = 0,
𝜕𝑡
che deve valere in ogni circostanza essendo la carica una quantità conservata.
Utilizziamo la prima equazione di Maxwell 𝜀0 ∇ ⃗ ∙ 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 𝜌(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
nella precedente:
𝜕
⃗∇ ∙ 𝐽 + ⃗ ∙ 𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)) = 0.
(𝜀 ∇
𝜕𝑡 0
Invertendo l’ordine di derivazione (teorema di Schwartz) otteniamo:
𝜕𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) 𝜕𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
⃗ ∙𝐽+∇
∇ ⃗ ∙ (𝜀0 ⃗
) = 0 → ∇ ∙ (𝐽 + 𝜀0 ) = 0.
𝜕𝑡 𝜕𝑡
La precedente mostra che il vettore
𝜕𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
𝐽 + 𝜀0
𝜕𝑡
è una quantità a divergenza nulla e si riduce a 𝐽 nel caso stazionario. Questo
vettore è quindi un buon candidato a prendere il posto di 𝐽 nella quarta
equazione di Maxwell. Questa ipotesi, avanzata per la prima volta da Maxwell
stesso, è supportata dalle evidenze sperimentali. La quantità
𝜕𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
𝜀0
𝜕𝑡
5
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viene detta densità di corrente di spostamento. Il suo flusso attraverso una


superficie è invece detta corrente di spostamento. Da quanto esposto
otteniamo la quarta equazione di Maxwell nel caso non stazionario nella forma
seguente (Ampère-Maxwell):
𝜕𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
⃗ ×𝐵
∇ ⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 𝜇0 (𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) + 𝜀0 )
𝜕𝑡
𝜕𝐸⃗ (𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡)
= 𝜇0 𝐽(𝑥, 𝑦, 𝑧, 𝑡) + 𝜇0 𝜀0 .
𝜕𝑡
Torniamo adesso all’esempio della scarica di un condensatore. Mostriamo che
la corrente di spostamento tra le armature di un condensatore piano eguaglia la
corrente circolante nel resistore. Sappiamo dalla soluzione del problema, vista
a suo tempo, che la carica sulle armature del condensatore e la corrente
circolante valgono:
𝑄 (𝑡) = 𝑄0 𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏)
𝑄0
𝑖(𝑡) = 𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏).
𝜏
Il modulo del campo elettrico tra le armature del condensatore si scrive nella
forma:
𝜎 𝑄 (𝑡) 𝑄0 𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏)
𝐸= = = .
𝜀0 𝑆𝜀0 𝑆𝜀0
Dalla precedente otteniamo:
𝜕𝐸 𝜀0 𝑄0 𝜕𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏) 𝑄0
|𝜀0 |=| |= 𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏).
𝜕𝑡 𝑆𝜀0 𝜕𝑡 𝑆𝜏
Il flusso della densità di corrente di spostamento vale semplicemente
𝜕𝐸 𝑄0
𝑖𝑠 = 𝑆 |𝜀0 |= 𝑒𝑥𝑝(−𝑡/𝜏) = 𝑖
𝜕𝑡 𝜏
che è proprio coincidente con la corrente di conduzione ed è quanto volevamo
dimostrare.
6
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Osserviamo che la quarta equazione di Maxwell mostra un accoppiamento fra


i campi 𝐸⃗ e 𝐵
⃗ che emerge in condizioni non stazionarie. Nel seguito metteremo
in evidenza altri esempi notevoli di tale accoppiamento.
1
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LEZIONE 20b
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20b.1 Riepilogo e nuovi spunti di riflessione.


Abbiamo fin qui indagato la validità generale delle equazioni di Maxwell (𝐼),
(𝐼𝐼), (𝐼𝑉), rilevando che quest’ultima deve essere corretta nel caso non
stazionario. Il quadro emerso porta alle seguenti equazioni:
𝜌
(𝐼) ∇ ⃗ ∙ 𝐸⃗ = (𝐼𝐼 ) ⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ =0
𝜀0
𝜕𝐸⃗ ,
(𝐼𝐼𝐼 ) ∇⃗ × 𝐸⃗ = 0 (𝐼𝑉) ⃗∇ × 𝐵 ⃗ = 𝜇0 ( 𝐽 + 𝜀0 )
𝜕𝑡
dove abbiamo introdotto le correnti di spostamento per curare alcune patologie
della teoria. Evidenze sperimentali portano a ritenere che anche la (𝐼𝐼𝐼) vada
rivista nel caso non stazionario.
Elenchiamo a tal riguardo alcuni fatti sperimentali rilevanti. Consideriamo un
circuito privo di generatore e munito di galvanometro, strumento in grado di
misurare l’eventuale passaggio di corrente nel circuito. Se il circuito sopra
descritto, che chiamiamo circuito misuratore, non viene perturbato il
galvanometro non misurerà alcun passaggio di corrente. Una corrente è invece
rilevata nelle seguenti circostanze.
a) Quando il circuito misuratore si trova nelle vicinanze di un secondo
circuito nel quale scorre una corrente variabile nel tempo.
b) Quando il circuito misuratore si trova nelle vicinanze di un secondo
circuito in moto relativo rispetto ad esso.
c) Quando viene avvicinato o allontanato un magnete permanente al
circuito misuratore.
d) Quando il circuito misuratore viene deformato in presenza di un campo
di induzione magnetica.
2
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In tutte queste circostanze si genera nel circuito misuratore (dotato di


galvanometro) una corrente. L’assenza di un generatore di forza elettromotrice
che spieghi l’origine della corrente misurata porta a concludere che in tutte le
menzionate situazioni viene generata una forza elettromotrice indotta.
Quest’ultima deve essere generata dalle azioni che vengono effettuate nelle
immediate vicinanze del circuito misuratore. Se questa è la situazione non
potrà che essere:

∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 ≠ 0,

cosa che immediatamente invalida la (𝐼𝐼𝐼). Infatti, alla luce di queste


considerazioni ispirate da evidenze sperimentali, non si può far altro che
concludere che in condizioni non stazionarie:
⃗∇ × 𝐸⃗ ≠ 0.
Questo implica che il campo elettrico perde la sua natura conservativa in
condizioni non stazionarie. Nonostante abbiamo riconosciuto gli effetti di una
forza elettromotrice indotta, non abbiamo tuttavia precisato quale sia l’origine
di quest’ultima. Cerchiamo di chiarire questo aspetto mediante nel successivo
paragrafo.

20b.2 Una situazione istruttiva


Supponiamo di voler descrivere i fenomeni elettromagnetici che hanno luogo
in una barretta conduttiva che trasla con
𝑦 𝐵
velocità 𝑣 = 𝑣 𝑥̂ in un campo di induzione
magnetica 𝐵⃗ = 𝐵 𝑧̂ perpendicolare al piano
𝑣 𝑥𝑦 (in cui avviene in moto della barretta) e da
esso uscente. Sia 𝑣 costante nel tempo.

𝑧 𝐵 Gli elettroni di conduzione nella barretta,


essendo ad essa solidali, subiscono una forza
𝑥 di Lorentz pari a
3
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𝐹𝐿 = −𝑒𝑣 × 𝐵
dove 𝑒 > 0, mentre abbiamo assunto che la velocità media degli elettroni
coincida con 𝑣. Tale forza risulta parallela alla barretta conduttrice e diretta da
− 𝐵 verso , ossia 𝐹𝐿 = 𝑒𝑣𝐵 𝑦̂. Sotto l’azione della forza di Lorentz
gli elettroni liberi migrano da 𝐵 verso , determinando un accumulo
di cariche negative in ed un eccesso di cariche positive in 𝐵. Gli
accumuli di carica sugli estremi del conduttore sono sorgente di un
𝐸 campo elettrico diretto lungo la barretta uscente dalle cariche
positive ed entrante nelle negative. La forza dovuta a tale campo ed
𝐵 + agente sugli elettroni vale 𝐹𝐶 = −𝑒𝐸 𝑦̂ (con 𝐸 > 0). Essa contrasta
la forza di Lorentz. Infatti mentre la forza di Lorentz favorisce l’accumulo di
carica agli estremi della barretta, proprio tali accumuli generano un campo
elettrico di intensità crescente che tende ad annullare l’effetto della forza di
Lorentz. In condizioni stazionarie le due forze si equilibrano e gli elettroni non
risentono di alcuna forza netta. In questa situazione |𝐹𝐿 | = |𝐹𝐶 |, da cui segue:
𝑒𝐸 = 𝑒𝑣𝐵 → 𝐸 = 𝑣𝐵.
In queste condizioni, si genera una differenza di potenziale agli estremi della
barretta. Essa può essere valutata ricorrendo alla definizione:
𝐴 𝐴
𝑉𝐴 − 𝑉𝐵 = − ∫ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ∫ (𝑣𝐵 𝑦̂) ∙ 𝑦̂ 𝑑𝑦 = −𝑣𝐵𝐿,
𝐵 𝐵

dove abbiamo indicato con 𝐿 la lunghezza della barretta. Qui notiamo


esplicitamente che la precedente è scritta in condizioni elettrostatiche (cariche
ferme nel sistema solidale con la barretta).
Supponiamo adesso che la barretta sia il lato mobile del circuito resistivo
mostrato in figura. Per effetto della differenza di potenziale tra e 𝐵 nel
circuito scorrerà la corrente 𝑖 indotta dalla forza elettromotrice generata dalla
forza di Lorentz. Da questa considerazione ricaviamo che la forza
elettromotrice indotta 𝑓 vale:
𝑓 = −𝐵𝑣𝐿.
4
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Detta ℓ(𝑡) la lunghezza del ramo


𝐵 contenente il resistore, possiamo scrivere:
ℓ(𝑡) = ℓ0 + 𝑣𝑡.
𝑦 −
Notiamo poi che l’area definita dalla
𝑖 𝑣 maglia del circuito vale:
𝒜 (𝑡) = 𝐿(ℓ0 + 𝑣𝑡).
+
𝑧 ℓ 𝑡 𝐵 A questo punto è anche evidente che:
𝑑
𝑥 𝑑𝑡
𝒜 (𝑡) = 𝑣𝐿.

Alla luce di queste valutazioni potremmo anche scrivere:


𝑑 𝑑
𝑓 = −𝐵𝑣𝐿 = −𝐵 𝒜 (𝑡) = − (𝐵𝒜 (𝑡)).
𝑑𝑡 𝑑𝑡
Essendo 𝑓 = ∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 , Si è quindi ottenuto:
𝑑
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − (𝐵𝒜 (𝑡)).
𝑑𝑡
La fenomenologia sopra richiamata suggerisce che la forza elettromotrice
indotta possa essere legata alla variazione temporale del flusso del campo di
induzione magnetica. Questa idea ci fa interpretare la quantità 𝐵𝒜 (𝑡) come il
flusso del campo attraverso una arbitraria superficie (non chiusa) che abbia
come bordo il circuito di area variabile. Da queste considerazioni saremmo
tentati di scrivere, con un volo pindarico, la seguente relazione:
𝑑
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − (Φ (𝐵 ⃗ )),
𝑑𝑡 Σ(𝑡)
dove abbiamo introdotto il flusso attraverso una superficie variabile nel tempo:

⃗)=∫
ΦΣ(𝑡) (𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = 𝐵
𝐵 ⃗ ∙ 𝑧̂ ∫ ⃗ ∙ 𝑧̂𝒜 (𝑡).
𝑑𝑆 = 𝐵
Σ(𝑡) Σ(𝑡)
5
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Quella proposta è una prima analisi della legge di Lenz-Neumann-Faraday del


fenomeno dell’induzione elettromagnetica. Preciseremo con maggior rigore
alcuni concetti. Resta però l’impianto ed una prima impressione del fenomeno.
Mostreremo nel seguito che il flusso del campo di induzione magnetica può
variare nel tempo per differenti ragioni (variazione temporale del campo,
deformazione del circuito in campo uniforme, moto arbitrario del circuito in
campo uniforme). Nonostante ciò la struttura dell’equazione integrale
𝑑
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ⃗ )),
(Φ (𝐵
𝑑𝑡 Σ
sarà preservata. Essa si candida pertanto a divenire la forma integrale della
(𝐼𝐼𝐼) equazione di Maxwell in condizioni non stazionarie.
1
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LEZIONE 20c
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20c.1 Il fenomeno dell’induzione elettromagnetica


Nel corso della precedente lezione abbiamo avuto un primo approccio alla
fenomenologia dell’induzione elettromagnetica. Abbiamo in particolare
richiamato i seguenti aspetti sperimentali.
Una corrente scorre nel galvanometro di un circuito misuratore quando
a) questo si trova nelle vicinanze di un secondo circuito nel quale scorre una
corrente variabile nel tempo.
b) questo si trova nelle vicinanze di un secondo circuito in moto relativo
rispetto ad esso.
c) A quest’ultimo viene avvicinato o allontanato un magnete permanente.
d) questo viene deformato in presenza di un campo di induzione magnetica.
La fenomenologia sopra richiamata suggerisce l’esistenza di una forza
elettromotrice indotta generata dalla variazione temporale del flusso del
campo di induzione magnetica.
Questa idea ci ha portato a scrivere, generalizzando quanto trovato
nell’esempio discusso in precedenza, la seguente la relazione:
𝑑
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ⃗ (𝑡))),
(ΦΣ(𝑡) (𝐵
𝑑𝑡
dove, in generale, si ha:

⃗ (𝑡)) = ∫
ΦΣ(𝑡) (𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆.
𝐵
Σ(𝑡)

Notiamo esplicitamente che il flusso sopra richiamato può variare sia per una
variazione temporale del campo di induzione magnetica che per una variazione
della superficie attraverso la quale è calcolato il flusso.
2
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Supponiamo dapprima che il flusso stia variando a causa di una variazione nel
tempo del campo di induzione magnetica, considerando inalterata la superficie
Σ. E’ questa, ad esempio, la situazione di un circuito, rigido e di forma
arbitraria, in quiete e sottoposto all’azione di un campo di induzione magnetica
variabile nel tempo. In questa situazione possiamo scrivere quanto segue:
𝑑 𝑑 ⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ⃗ ( ) ⃗ ( )
(Φ (𝐵 𝑡 )) = − ∫ 𝐵 𝑡 ∙ 𝑑𝑆 = − ∫ ∙ 𝑑𝑆.
𝑑𝑡 Σ 𝑑𝑡 Σ Σ 𝜕𝑡
Guardando la prima e l’ultima relazione della precedente catena di uguaglianze
abbiamo la relazione:
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − ∫ ∙ 𝑑𝑆.
Σ 𝜕𝑡
D’altra parte

∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = ∫ (∇
⃗ × 𝐸⃗ ) ∙ 𝑑𝑆,
Σ

da cui otteniamo:
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
⃗ × 𝐸⃗ = −
∇ .
𝜕𝑡
Alla stessa relazione si perviene anche analizzando un circuito non rigido in
moto qualunque. Prima di esaminare questo caso generale, occorre introdurre
i concetti di flusso tagliato e flusso concatenato. Questi ci consentono di
reinterpretare l’esperimento presentato nella precedente lezione.

20c.2 Configurazione del circuito che varia in un campo di induzione


magnetica costante nel tempo.
Questa situazione corrisponde esattamente al caso analizzato in precedenza. Si
è visto che la forza elettromotrice indotta è generata dalla forza di Lorentz. La
correttezza di questa conclusione può essere dimostrata in generale.
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A tale fine consideriamo un circuito


𝑑𝑠 = 𝑣𝑑𝑡 di forma arbitraria immerso in un
campo di induzione magnetica
𝑑𝑙 𝑑𝑆 = 𝑑𝑙 × 𝑣 𝑑𝑡
costante nel tempo. Supponiamo che
𝑓 ogni elemento 𝑑𝑙 del circuito si
𝑖
sposti con velocità 𝑣. Consideriamo
il moto del circuito tra l’istante
Σ𝑖 Σ𝑓
iniziale 𝑡𝑖 ed un istante finale 𝑡𝑓 =
𝑑Σ 𝑡𝑖 + 𝑑𝑡, con 𝑑𝑡 un intervallo di
tempo infinitesimo. Osserviamo che
il generico elemento 𝑑𝑙 del circuito si sposta della quantità 𝑑𝑠 = 𝑣 𝑑𝑡. Siano
Φ𝑖 e Φ𝑓 i flussi concatenati con le superfici Σ𝑖 e Σ𝑓 , rispettivamente. Siamo
interessati a valutare la variazione di flusso Φ𝑓 − Φ𝑖 che viene a determinarsi
in 𝑑𝑡. Il calcolo esplicito è in generale complicato e quindi ricorriamo ad uno
stratagemma che sfrutta le proprietà del campo di induzione magnetica.
Sappiamo infatti che il flusso di tale campo attraverso una arbitraria superficie
chiusa è nullo. Essendo il campo indipendente dal tempo, possiamo applicare
questa proprietà alla superficie definita dall’area laterale del cilindroide in
figura. Il calcolo del flusso porta a scrivere la seguente relazione:
−Φ𝑖 + Φ𝑓 + Φ𝑑Σ = 0,
dove abbiamo tenuto conto dell’orientamento delle normali ed abbiamo
introdotto Φ𝑑Σ che rappresenta il flusso uscente dalla superficie laterale. Dalla
precedente possiamo immediatamente scrivere la variazione di flusso nella
forma:
𝑑Φ ≡ Φ𝑓 − Φ𝑖 = −Φ𝑑Σ ,
dove Φ𝑑Σ è definito il flusso tagliato. Questo implica che, se il campo di
induzione magnetica è indipendente dal tempo, la variazione di flusso
concatenato con il circuito è uguale in modulo al flusso tagliato dal circuito nel
suo moto. Questa osservazione ci consente di scrivere la variazione di flusso
concatenato in termini del flusso tagliato, cosa che semplifica di molto il
calcolo.
4
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Infatti abbiamo:

⃗ ∙ 𝑑𝑆
𝑑Φ = −Φ𝑑Σ = − ∫ 𝐵
𝑑Σ

⃗ ∙ (𝑑𝑙 × 𝑣 )𝑑𝑡 = −𝑑𝑡 ∮ (𝑣 × 𝐵


= −∮ 𝐵 ⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 ,
𝑙 𝑙

⃗ ∙ (𝑑𝑙 × 𝑣) =
dove abbiamo usato la proprietà già dimostrata in precedenza 𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑙. Dalle precedenti otteniamo quindi:
(𝑣 × 𝐵

𝑑Φ
− ⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 ,
= ∮ (𝑣 × 𝐵
𝑑𝑡 𝑙

dalla quale risulta con evidenza che il campo elettromotore indotto vale:
⃗⃗⃗𝑖 = 𝑣 × 𝐵
𝐸 ⃗,
cosa che conferma le nostre osservazioni preliminari sui fenomeni di induzione
elettromagnetica. Queste osservazioni confermano la struttura matematica
della legge di Neumann-Faraday
𝑑Φ
− =∮ 𝐸⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 .
𝑑𝑡 𝑙

Nel caso generale questa struttura resta preservata. Tuttavia bisogna osservare
che nel fenomeno dell’induzione elettromagnetica il moto dei portatori di
carica è dovuto sia al campo elettrico che al campo di induzione magnetica in
cui il circuito è immerso. Di qui segue che il campo elettromotore non è altro
che la forza per unità di carica
𝐹
⃗⃗⃗𝑖 =
𝐸 = 𝐸⃗ + 𝑣 × 𝐵
⃗,
𝑞
dove 𝑣 rappresenta la velocità con la quale i portatori si muovono.
Quest’ultima può essere scomposta in una velocità di trascinamento e una
velocità di deriva (parallela al circuito in ogni punto di esso). Ai fini del calcolo
del campo elettromotore il contributo dovuto alla velocità di deriva è
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irrilevante e quindi 𝑣 può essere identificata con la velocità di trascinamento


con la quale il circuito si muove nello spazio.

20c.3 Induzione elettromagnetica in un circuito non rigido in moto.


Consideriamo adesso il caso più generale di un circuito non rigido in moto.
Non facciamo alcuna assunzione sulla natura del moto e sviluppiamo in
generale il nostro ragionamento.
In questa situazione abbiamo:
1
⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 = −
∮ 𝐸 {∫ ⃗ (𝑡 + 𝑑𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵
𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆}
𝑙 𝑑𝑡 Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡)
𝑑
⃗ (𝑡)),
≡ − ΦΣ(𝑡) (𝐵
𝑑𝑡
dove la precedente non necessita di ulteriori commenti. Osserviamo che
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
⃗ (𝑡 + 𝑑𝑡) ≈ 𝐵
𝐵 ⃗ (𝑡) + 𝑑𝑡,
𝜕𝑡
da cui si ottiene:

∫ ⃗ (𝑡 + 𝑑𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫
𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆
𝐵
Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡)
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
=∫ ⃗ (𝑡) +
(𝐵 𝑑𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 =
Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡 Σ(𝑡)

⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
=∫ ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫
𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 + 𝑑𝑡 ∫
𝐵 ∙ 𝑑𝑆.
Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡) Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡
Dalle precedenti segue:
1 ⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 = −
∮ 𝐸 {∫ ⃗ ⃗
𝐵(𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵(𝑡) ∙ 𝑑𝑆} − ∫ ∙ 𝑑𝑆
𝑙 𝑑𝑡 Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡) Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡
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Adesso notiamo che i primi due termini al secondo membro rappresentano una
variazione di flusso a campo invariato. Dall’analisi mostrata nel precedente
paragrafo sappiamo:
1
− {∫ 𝐵⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆 − ∫ 𝐵 ⃗ (𝑡) ∙ 𝑑𝑆} = ∮ (𝑣 × 𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 .
𝑑𝑡 Σ(𝑡+𝑑𝑡) Σ(𝑡) 𝑙

Inoltre nel limite in cui 𝑑𝑡 → 0, abbiamo:


⃗ (𝑡)
𝜕𝐵 ⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
∫ ∙ 𝑑𝑆 → ∫ ∙ 𝑑𝑆.
Σ(𝑡+𝑑𝑡) 𝜕𝑡 Σ(𝑡) 𝜕𝑡

Da quanto asserito, combinando i risultati parziali fin qui discussi, arriviamo a


scrivere:
⃗ (𝑡)
𝜕𝐵
⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 = ∮ (𝑣 × 𝐵
∮ 𝐸 ⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 − ∫ ∙ 𝑑𝑆.
𝑙 𝑙 Σ(𝑡) 𝜕𝑡
Adesso osserviamo che:

⃗⃗⃗𝑖 ∙ 𝑑𝑙 − ∮ (𝑣 × 𝐵
∮ 𝐸 ⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 = ∮ (𝐸
⃗⃗⃗𝑖 − 𝑣 × 𝐵
⃗ ) ∙ 𝑑𝑙 = ∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 .
𝑙 𝑙 𝑙 𝑙

Nello scrivere la precedente abbiamo ricordato che uno sperimentatore solidale


con il sistema di riferimento del laboratorio osserverà che la forza 𝐹 =
𝑞(𝐸⃗ + 𝑣 × 𝐵⃗ ) agisce sulla carica 𝑞 in moto con velocità 𝑣. D’altra parte
abbiamo anche detto che vale la definizione 𝐹 = 𝑞𝐸 ⃗⃗⃗𝑖 . Dalle precedenti si
ottiene 𝐸⃗ = 𝐸
⃗⃗⃗𝑖 − 𝑣 × 𝐵
⃗.
Arriviamo alla conclusione che anche nel caso di un circuito in movimento si
ottiene:
𝑑
∮ 𝐸⃗ ∙ 𝑑𝑙 = − Φ ⃗ (𝑡)) ,
(𝐵
𝑙 𝑑𝑡 Σ(𝑡)
che in forma locale assume la forma già derivata in precedenza:
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𝜕𝐵
⃗∇ × 𝐸⃗ = − .
𝜕𝑡
Siamo adesso convinti che la precedente è valida in generale e descrive
completamente la fenomenologia dell’induzione elettromagnetica richiamata
all’inizio di questa lezione. Ne concludiamo che essa è la forma differenziale
della terza equazione di Maxwell nel caso non stazionario.
1
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LEZIONE 20d
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20d.1 Riepilogo
Siamo giunti alla formulazione definitiva delle equazioni
dell’elettromagnetismo.
𝜌
(𝐼) ⃗∇ ∙ 𝐸⃗ = (𝐼𝐼 ) ⃗ ∙𝐵
∇ ⃗ =0
𝜀0

𝜕𝐵 𝜕𝐸⃗
(𝐼𝐼𝐼 ) ⃗∇ × 𝐸⃗ = − (𝐼𝑉) ⃗∇ × 𝐵
⃗ = 𝜇0 ( 𝐽 + 𝜀0 )
𝜕𝑡 𝜕𝑡
Esse sono valide in generale in tutti i regimi dinamici (stazionario e non). Di
qui in avanti ci dedicheremo ad esaminare alcune conseguenze di queste
equazioni. Inoltre, svilupperemo esempi che ne chiariscono ulteriormente il
significato e la portata.

20d.2 Il fenomeno dell’autoinduzione


Supponiamo di avere un circuito elettrico in condizioni quasi-stazionarie. Il
circuito percorso da corrente è esso stesso sorgente di un campo di induzione
magnetica. Questo campo, genera un flusso concatenato con il circuito stesso.
Se la corrente varia nel tempo, sotto l’ipotesi che non vari spazialmente lungo
il circuito, anche il campo generato varia. Per conseguenza varierà anche il
flusso concatenato con il circuito. Per la legge di Faraday-Neumann verrà
generata nel circuito una forza elettromotrice autoindotta. In virtù della
relazione fondamentale della magnetostatica è facile convincersi che il campo
generato è proporzionale alla corrente circolante. Questa considerazione vale
anche per il flusso concatenato con il circuito.
Da queste considerazioni possiamo scrivere che il flusso concatenato con il
circuito vale:
2
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⃗ ) = 𝐿𝑖,
Φ(𝐵
dove il coefficiente di proporzionalità 𝐿 prende il nome di coefficiente di
autoinduzione o induttanza. L’induttanza di un circuito dipende unicamente
dalla geometria dello stesso, assumendo che la permeabilità magnetica dei
mezzi in gioco sia costante (cioè indipendente dalla corrente o dal campo).
L’unità di misura dell’induttanza nel SI è
𝑊𝑒𝑏𝑒𝑟 𝑇𝑒𝑠𝑙𝑎 ∙ 𝑚2 𝑉𝑜𝑙𝑡 ∙ 𝑠
= = = 𝑂ℎ𝑚 ∙ 𝑠 = 𝐻𝑒𝑛𝑟𝑦
𝐴𝑚𝑝è𝑟𝑒 𝐴𝑚𝑝è𝑟𝑒 𝐴𝑚𝑝è𝑟𝑒

20d.3 L’induttanza di un solenoide


Il modulo del campo di induzione magnetica sull’asse di un solenoide (lungo
ℓ) è uniforme e vale (approssimazione di solenoide infinito):
𝐵 = 𝜇0 𝑛 𝑖,
dove 𝑛 indica il numero di spire per unità di lunghezza. Facile convincersi che
il flusso concatenato con il circuito vale:
𝑆 𝑁2
⃗ ) = 𝐵𝑆𝑁 = (𝜇0 𝑛 𝑖 )𝑆𝑁 = (𝜇0 𝑛 𝑆𝑁) 𝑖 = (𝜇0
Φ(𝐵 ) 𝑖,

da cui riconosciamo il coefficiente di autoinduzione:
𝑆 𝑁2
𝐿 = 𝜇0 ,

dove 𝑁 indica il numero di spire ed 𝑆 l’area di una singola spira. Se all’interno
del solenoide vi fosse un materiale diverso dal vuoto il coefficiente di
autoinduzione diverrebbe:
𝑆 𝑁2
𝐿 = 𝜇 𝑟 𝜇0 .

3
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20d.4 L’induttanza di una linea bifilare


Sia dato il circuito in figura. Sia 𝐷 ≫ 𝑎 e ℎ ≫ 𝐷.
Il campo che genera il flusso concatenato alla

2𝑎 𝑑𝑥 maglia rettangolare è sovrapposizione dei campi


concordi generati dai due tratti rettilinei percorsi
ℎ dalla corrente 𝑖 in versi opposti.
𝑥 Ne segue che il campo è sovrapposizione di due
termini calcolabili mediante la relazione di Biot-
𝐷−𝑥 Savart. Pertanto otteniamo:
𝑖 𝜇0 𝑖 𝜇0
𝐷 𝐵(𝑥 ) = + ,
2𝜋 𝑥 2𝜋 (𝐷 − 𝑥 )
e di qui possiamo calcolare il flusso mediante la
relazione:
𝐷−𝑎
𝜇0 𝜇0
⃗ ) = 𝑖∫
Φ(𝐵 ( + ) ℎ 𝑑𝑥.
𝑎 2𝜋 𝑥 2𝜋 (𝐷 − 𝑥 )
Dalla precedente riconosciamo il coefficiente di autoinduzione:
𝐷−𝑎
𝜇0 𝜇0
𝐿=∫ + ( ) ℎ 𝑑𝑥
𝑎 2𝜋 𝑥 2𝜋 (𝐷 − 𝑥 )
ℎ 𝜇0 ℎ 𝜇0
= [𝑙𝑛(𝑥 )]𝐷−𝑎
𝑎 − [𝑙𝑛(𝐷 − 𝑥 )]𝐷−𝑎
𝑎 =
2𝜋 2𝜋
ℎ 𝜇0 𝐷−𝑎 𝑎 ℎ 𝜇0 𝐷−𝑎 ℎ 𝜇0 𝐷
= {𝑙𝑛 ( ) − 𝑙𝑛 ( )} = 𝑙𝑛 ( )≈ 𝑙𝑛 ( ).
2𝜋 𝑎 𝐷−𝑎 𝜋 𝑎 𝜋 𝑎
Notiamo il motivo per il quale è stato necessario specificare la sezione del
conduttore!
In alcuni dispositivi elettronici si osservano trecce di fili conduttori…
1
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LEZIONE 20e
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20e.1 L’induttanza di un cavo coassiale


Un cavo coassiale è costituito da un sottile filo conduttore di diametro
2𝑎 immerso in una matrice dielettrica cilindrica. Il cilindro dielettrico è a sua
volta ricoperto di una guaina conduttiva esterna pensabile come la superficie
laterale del cilindro di raggio 𝑏. Il collegamento circuitale del cavo è mostrato
in figura. In particolare un
generatore è collegato al
cavo interno e alla guaina
esterna e questi ultimi sono
ℎ a loro volta chiusi su un
𝑎 carico resistivo. D’ora in
𝑏 avanti, per ragioni di
2𝑎 semplicità, immaginiamo
che il dielettrico sia il vuoto.
𝑏
La simmetria cilindrica del
problema implica che il
campo magnetico sia tutto
interno alla guaina
conduttiva. In questa regione spaziale l’unico contributo al campo di induzione
magnetica è prodotto dal filo centrale. Dal teorema di Ampère applicato a
quest’ultimo sappiamo che il modulo del campo a distanza 𝑟 dal centro del filo
vale:
𝜇0 𝑖
𝐵= .
2𝜋 𝑟
Sia il rettangolo in figura di dimensioni 𝑏 ed ℎ la superficie attraverso la quale
calcoleremo il flusso di tale campo. Dividendo in striscioline di area
infinitesima pari a ℎ 𝑑𝑟 l’area di detto rettangolo, possiamo scrivere:
2
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𝑏
𝜇0 𝑖 𝜇0 ℎ 𝑏
⃗)=∫ 𝐵
Φ(𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫ ℎ 𝑑𝑟 = 𝑖 𝑙𝑛 ( ),
𝑆 𝑎 2𝜋 𝑟 2𝜋 𝑎
dove abbiamo esplicitamente utilizzato l’ortogonalità delle linee del campo
alla superficie attraverso la quale stiamo calcolando il flusso. Dalla precedente
è facile riconoscere il coefficiente di autoinduzione:
𝜇0 ℎ 𝑏
𝐿= 𝑙𝑛 ( ).
2𝜋 𝑎
Notiamo che il coefficiente di autoinduzione dipende dal rapporto dei raggi dei
conduttori in gioco ed è lineare nella lunghezza del cavo coassiale.

20e.2 Considerazioni generali sul concetto di induttanza


Sappiamo dalla prima legge elementare di Laplace (relazione fondamentale
della magnetostatica) che il campo di induzione magnetica generato da un
circuito percorso da corrente stazionaria vale:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
𝐵 ⃗ (𝑟 ) = ∮
𝐵
4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3
.
𝑆 𝑙

Il flusso di questo campo concatenato con


il circuito stesso si può scrivere ricorrendo
𝑆 alla definizione come segue:

𝜇0 𝑖 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
⃗)=∫ 𝐵
Φ(𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫ (∮ ) ∙ 𝑑𝑆,
𝑆 𝑆 𝑙 4𝜋 |𝑟 − 𝑟′|3

dalla quale riconosciamo immediatamente il coefficiente di autoinduzione:

𝜇0 ⃗⃗⃗⃗⃗
𝑑𝑙′ × (𝑟 − 𝑟′)
𝐿= ∫ (∮ 3
) ∙ 𝑑𝑆.
4𝜋 𝑆 𝜕𝑆 |𝑟 − 𝑟 ′|
3
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20e.3 Fenomeni di mutua induzione


Prima di discutere il fenomeno della mutua induzione vogliamo notare
esplicitamente che il flusso di un campo di induzione magnetica attraverso una
data superficie può essere scritto in termini del potenziale vettore di detto
campo. Infatti possiamo osservare quanto segue:

⃗)=∫ 𝐵
Φ(𝐵 ⃗ ∙ 𝑑𝑆 = ∫ ∇
⃗ × 𝐴 ∙ 𝑑𝑆 = ∮ 𝐴 ∙ 𝑑𝑙 .
𝑆 𝑆 𝜕𝑆

Dalle precedenti segue che Φ(𝐵 ⃗ ) può essere calcolato come la circuitazione
del potenziale vettore sul bordo della superficie orientata attraverso la quale
valutiamo il flusso. E’ poi utile ricordare che sotto opportune condizioni:

𝜇0 𝑖 ⃗
𝑑𝑙′
𝐴(𝑟 ) = ∮ .
4𝜋 𝑙 |𝑟 − 𝑟′|
Consideriamo adesso la situazione mostrata in figura. Un circuito di bordo 𝑐1
è attraversato dalla corrente 𝑖1 .
L’effetto di tale corrente è la
generazione del campo 𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 . Le linee
𝐵1 di forza di detto campo si
𝑖1 𝑐2 concatenano con il circuito 𝑐2
𝑐1 inducendo un flusso Φ2 (𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 ) . Tale
Φ2 𝐵1 𝑖1 flusso è proporzionale alla corrente
𝑖1 . Il coefficiente di proporzionalità 𝑀21 è detto coefficiente di mutua
induzione e vale la relazione:
⃗⃗⃗⃗1 ) = 𝑀21 𝑖1 .
Φ2 (𝐵
Se il flusso è variabile nel tempo viene generata una forza elettromotrice
indotta nel circuito 𝑐2 data dalla relazione:
⃗⃗⃗⃗1 )
𝑑Φ2 (𝐵 𝑑𝑖1
𝑓21 = − = −𝑀21 .
𝑑𝑡 𝑑𝑡
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La situazione considerata è perfettamente simmetrica. Se 𝑐2 è percorso da


corrente 𝑖2 questa induce un flusso nel circuito 𝑐1 . Il flusso indotto è questa
volta proporzionale ad 𝑖2 . In particolare abbiamo:
⃗⃗⃗⃗2 ) = 𝑀12 𝑖2 .
Φ1 (𝐵
Si osserva che vale la relazione di simmetria
𝑀12 = 𝑀21 = 𝑀,
cosa che spiega bene il nome di mutua induzione. Questa proprietà di
simmetria del coefficiente di mutua induzione è di facile dimostrazione e ha
validità generale. Nel seguito ci occuperemo di fornire questa dimostrazione.
Prima di procedere in questo senso, approfondiamo lo studio della situazione
precedentemente esposta.
Valutiamo il flusso totale agente sul circuito 𝑐1 . Esso sarà dato dal flusso
autoindotto e da quello generato per mutua induzione. Pertanto possiamo
scrivere:
⃗⃗⃗⃗1 ) + Φ1 (𝐵
Φ1 = Φ1 (𝐵 ⃗⃗⃗⃗2 ) = 𝑀11 𝑖1 + 𝑀12 𝑖2 .

Una analoga espressione vale per il flusso totale agente sul circuito 𝑐2 . Questo
si scrive nella forma:
⃗⃗⃗⃗2 ) + Φ2 (𝐵
Φ2 = Φ2 (𝐵 ⃗⃗⃗⃗1 ) = 𝑀22 𝑖2 + 𝑀21 𝑖1 .

Facile rendersi conto che i coefficienti 𝑀11 e 𝑀22 sono i coefficienti di


autoinduzione. Le precedenti possono scriversi in forma matriciale, cosa che
mette in luce la struttura della matrice di induzione:
Φ1 𝑀 𝑀12 𝑖1
( ) = ( 11 ) ( ).
Φ2 𝑀21 𝑀22 𝑖2
La forma non diagonale della matrice implica che i due sistemi sono
accoppiati. Essendo il campo di induzione magnetica presente in tutto lo
spazio, tale accoppiamento non richiede un collegamento fisico tra i due
sistemi che pertanto possono risentire a distanza delle mutue interazioni.
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Inoltre la forza elettromotrice indotta su un dato circuito deve essere scritta


nella forma generale:
𝑑Φ𝑖 𝑑𝑖𝑘
𝑓𝑖 = − = − ∑ 𝑀𝑖𝑘 ,
𝑑𝑡 𝑑𝑡
𝑘

con 𝑖 ∈ {1, 2}. Il discorso fin qui fatto si estende ad un numero arbitrario di
circuiti.
Vogliamo adesso dimostrare la simmetria dei coefficienti di mutua induzione
per scambio di indici. Questo ci consente anche di derivare una espressione per
il calcolo di tali coefficienti.
⃗⃗⃗⃗1 ). Dalla definizione abbiamo:
Calcoliamo Φ2 (𝐵

⃗⃗⃗⃗1 ) = ∫ 𝐵
Φ2 (𝐵 ⃗⃗⃗2 = ∫ (∇
⃗⃗⃗⃗1 ∙ 𝑑𝑆 ⃗ × ⃗⃗⃗⃗
𝐴1 ) ∙ 𝑑𝑆 ⃗⃗⃗⃗1 ∙ 𝑑𝑙⃗⃗⃗2 =
⃗⃗⃗2 = ∮ 𝐴
𝑆2 𝑆2 𝑙2

𝜇0 𝑖1 𝑑𝑙1 𝜇0 𝑖1 𝑑𝑙1 ∙ 𝑑𝑙⃗⃗⃗2


=∮ [ ∮ ⃗⃗⃗
] ∙ 𝑑𝑙2 = ∮ ∮ ≡ 𝑀21 𝑖1 .
𝑙2 4𝜋 𝑙1 |⃗⃗⃗
𝑟 2 − ⃗⃗⃗
𝑟 1 | 4𝜋 𝑙2 𝑙1 |⃗⃗⃗
𝑟 2 − ⃗⃗⃗
𝑟 1 |

Pertanto il coefficiente di mutua induzione può scriversi nella forma:


𝜇0 𝑑𝑙1 ∙ 𝑑𝑙⃗⃗⃗2
𝑀21 = ∮ ∮ .
4𝜋 𝑙2 𝑙1 |⃗⃗⃗ 𝑟1 |
𝑟2 − ⃗⃗⃗
Dalla precedente è semplice avvedersi della proprietà di simmetria del
coefficiente di mutua induzione. Questa deriva infatti dalle relazioni 𝑑𝑙1 ∙
𝑑𝑙⃗⃗⃗2 = 𝑑𝑙2 ∙ 𝑑𝑙⃗⃗1 e |⃗⃗⃗ 𝑟1 | = |⃗⃗⃗
𝑟2 − ⃗⃗⃗ 𝑟2 |, che fissano la simmetria della funzione
𝑟1 − ⃗⃗⃗
integranda.
20e.4 Coefficiente di mutua induzione di due solenoidi coassiali.
Sullo stesso tubo di materiale isolante sono realizzati due avvolgimenti, fra essi
isolati, aventi 𝑁1 ed 𝑁2 spire, rispettivamente. Il tubo è lungo ℓ, lunghezza
questa molto maggiore del raggio del tubo. Sotto tale ipotesi il campo interno
è abbastanza uniforme e diretto lungo l’asse del cilindro. Supponiamo che il
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circuito costituito di 𝑁1 spire sia percorso da


𝑖1 corrente 𝑖1 . Il modulo del campo generato in questa
situazione internamente al solenoide ha direzione
𝑖2 assiale e modulo pari a:
𝜇 𝑖1 𝑁1
𝐵1 = ,
ℓ ℓ
mentre il flusso attraverso il secondo circuito vale:
𝜇 𝑖1 𝑁1
⃗ 1) =
Φ2 (𝐵 𝑁2 𝑆.

Da questa relazione otteniamo:
⃗ 1 ) 𝜇 𝑁1 𝑁2 𝑆
Φ2 (𝐵
𝑀= = .
𝑖1 ℓ
Ricordando poi che i coefficienti di autoinduzione dei singoli avvolgimenti
valgono:
𝜇 𝑁12 𝑆
𝐿1 =

𝜇 𝑁22 𝑆
𝐿2 = ,

otteniamo la relazione 𝑀 = √𝐿1 𝐿2 , ossia il coefficiente di mutua induzione è
media geometrica dei coefficienti di autoinduzione.
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LEZIONE 20f
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20f.1 L’induttanza come elemento circuitale


Nella precedente lezione si è visto che quando è possibile scrivere la relazione
⃗ ) = 𝐿𝑖,
Φ(𝐵
cosa che accade in condizioni quasi stazionarie in
presenza di materiali omogenei ed isotropi la cui
permeabilità magnetica possa essere pensata come
costante, la legge di Faraday-Neumann si scrive
+ nella forma:
𝑓
- 𝑓𝑎 = −𝐿
𝑑𝑖
,
𝑑𝑡
dove 𝑓𝑎 rappresenta la forza elettromotrice
autoindotta. Consideriamo il circuito resistivo in
figura. Supponiamo che il circuito sia sede di una
corrente variabile nel tempo, che è condizione per
+ osservare fenomeni di autoinduzione. Questo può
𝑓 accadere o perché il generatore di forza
-
elettromotrice produce un forzamento dipendente
dal tempo o perché il circuito si trova in una
situazione transiente (per esempio dopo la chiusura di un interruttore).
In questa situazione l’equazione di Kirchhoff per la singola maglia si scrive
nella forma:
𝑓 + 𝑓𝑎 − 𝑖𝑅 = 0.
Per geometrie semplici il termine di autoinduzione (conduttore filiforme) resta
trascurabile rispetto al termine resistivo, a meno che la corrente non subisca
variazioni apprezzabili su scale temporali del nanosecondo.
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In condizioni in cui il termine induttivo del circuito risulta rilevante, si usa


indicare questa circostanza includendo un componente autoinduttivo il cui
simbolo circuitale è mostrato in figura.
20f.2 Il circuito RL: analisi della risposta transitoria
Vogliamo studiare la risposta transiente del circuito 𝑅𝐿 mostrato nel pannello
della precedente figura con la condizione che all’istante di tempo iniziale
non circoli corrente (un attimo prima che l’interruttore venga chiuso).
Abbiamo già osservato che deve valere:
𝑓 + 𝑓𝑎 − 𝑖𝑅 = 0,
cosa che implica la seguente equazione differenziale:
𝑑𝑖
𝐿 + 𝑖𝑅 = 𝑓,
𝑑𝑡
da risolvere con la condizione iniziale 𝑖 𝑡 = 0 = 0. La precedente può essere
riscritta nella forma:
𝐿 𝑑𝑖 𝑓
+𝑖 = .
𝑅 𝑑𝑡 𝑅
Notiamo immediatamente che la quantità 𝐿/𝑅 ha le dimensioni di un tempo,
mentre in condizioni stazionare la corrente che attraversa il circuito sarà data
dalla quantità 𝑖𝑚 = 𝑓/𝑅. Con queste posizioni possiamo riscrivere la
precedente nella forma:
𝑑𝑖
𝜏 + 𝑖 = 𝑖𝑚 .
𝑑𝑡
La precedente è risolta dalla soluzione di prova 𝑖 𝑡 = 𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 −𝑡/𝜏 , dove la
costante 𝐴 va determinata imponendo la condizione iniziale.
Si può verificare che la soluzione di prova risolve effettivamente l’equazione
differenziale mediante sostituzione. Infatti si ha:
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𝑑 −𝑡/𝜏 −𝑡/𝜏
𝑡
−𝜏
𝑡
−𝜏
𝜏 (𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 ) + (𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 ) = 𝑖𝑚 → −𝐴𝑒 + (𝑖𝑚 + 𝐴𝑒 ) = 𝑖𝑚
𝑑𝑡
→ 0 = 0.
Imponendo il rispetto della condizione iniziale otteniamo:
𝑖 𝑡 = 𝑖𝑚 (1 − 𝑒 −𝑡/𝜏 ).
Osserviamo che, dopo la chiusura dell’interruttore, la corrente inizia ad
aumentare fino a raggiungere il valore massimo 𝑖𝑚 . La differenza di potenziale
ai capi dell’induttanza vale:
𝑑𝑖 𝑑 −
𝑡 𝑑 −
𝑡 𝑑 𝑓 −𝑡
𝑓𝑎 = −𝐿 = −𝐿 [𝑖𝑚 (1 − 𝑒 )] = 𝐿 [𝑖𝑚 𝑒 ] = 𝐿 [ 𝑒 𝜏 ]
𝜏 𝜏
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑅
𝑑 𝑡 𝑡
= 𝜏𝑓 𝑒 −𝜏 = −𝑓𝑒 −𝜏 ,
𝑑𝑡
da cui segue che la tensione ai capi dell’induttore tende a zero dopo il
transiente.

20f.3 Induttori in serie e in parallelo


Analizziamo dapprima il caso semplice di un collegamento in serie di due
induttori caratterizzati da coefficiente di autoinduzione 𝐿1 e 𝐿2 . Il circuito
presenta un’unica maglia soggetta alla seguente relazione (Kirchhoff):
1 2
𝑓 + 𝑓𝑎 + 𝑓𝑎 − 𝑖𝑅 = 0.
La precedente può immediatamente scriversi come:
𝑓 + 𝑓𝑎 − 𝑖𝑅 = 0,
1 2
dove si è posto 𝑓𝑎 = 𝑓𝑎 + 𝑓𝑎 . Con questa posizione è facile capire che vale
la relazione:
𝑑𝑖
𝑓𝑎 = − 𝐿1 + 𝐿2
𝑑𝑡
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da cui segue che l’induttanza equivalente vale


𝐿 = 𝐿1 + 𝐿2 . Questo implica che la serie di due
𝐿1 induttori può essere sostituita con un unico
induttore avente come coefficiente di
𝑓 + 𝐿2 autoinduzione la somma dei coefficienti di
- autoinduzione dei singoli elementi.

𝑖2
Analizziamo il collegamento in parallelo mostrato
𝐿1 𝐿2 nel pannello della figura. Definiamo le
𝑓 + correnti di maglia mostrate in figura e scriviamo
- 𝑖1 le leggi di Kirchhoff. Queste implicano le
seguenti relazioni circuitali:
2
𝑓 − 𝑖𝑅 + 𝑓𝑎 =0
1
,
𝑓 − 𝑖𝑅 + 𝑓𝑎 =0
dove 𝑖 = 𝑖1 + 𝑖2 mentre
𝑘 𝑑𝑖𝑘
𝑓𝑎 = −𝐿𝑘 .
𝑑𝑡
Facendo il rapporto delle precedenti relazioni otteniamo:
2 𝑑𝑖2 𝑑𝑖2
𝑓𝑎 𝐿2
= 𝑑𝑡 = 1 → 𝑑𝑡 = 𝐿1 ≡ 𝑟.
𝑓𝑎
1 𝑑𝑖 𝑑𝑖1 𝐿2
𝐿1 1
𝑑𝑡 𝑑𝑡
Inoltre la relazione che vorremmo scrivere per l’induttore equivalente è del
tipo:
𝑑𝑖
𝑓 − 𝑖𝑅 − 𝐿 = 0.
𝑑𝑡
Una equazione di questo genere si ottiene facendo la semisomma delle
equazioni circuitali dalle quali segue:
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𝐿1 𝑑𝑖1 𝐿2 𝑑𝑖2
𝑓 − 𝑖𝑅 − − = 0.
2 𝑑𝑡 2 𝑑𝑡
Questa relazione coincide con la precedente soltanto se è rispettata la
condizione:
𝐿1 𝑑𝑖1 𝐿2 𝑑𝑖2 𝑑𝑖
+ =𝐿 .
2 𝑑𝑡 2 𝑑𝑡 𝑑𝑡
Da questa relazione segue:
𝑑𝑖2 𝑑𝑖2
𝑑𝑖1 𝑑𝑖2 𝑑𝑖1 𝑑𝑖2
𝐿1 + 𝐿2 = 2𝐿 ( + ) → 𝐿1 + 𝐿2 𝑑𝑡 = 2𝐿 (1 + 𝑑𝑡 )
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑖1 𝑑𝑖1
𝑑𝑡 𝑑𝑡
𝐿1 𝐿1 𝐿1
→ 𝐿1 + 𝐿2 ( ) = 2𝐿 (1 + ) → 2𝐿1 = 2𝐿 (1 + ) →
𝐿2 𝐿2 𝐿2
𝐿2 + 𝐿1 𝐿1 𝐿2
→ 𝐿1 = 𝐿 ( )→𝐿= .
𝐿2 𝐿2 + 𝐿1
Notiamo esplicitamente che l’induttore equivalente deve avere coefficiente di
autoinduzione pari a:
1 1 1
= + .
𝐿 𝐿1 𝐿2
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LEZIONE 20g
CAMPI VARIABILI NEL TEMPO

20g.1 Il circuito LC
Consideriamo il circuito 𝐿𝐶 mostrato in figura. Sia il condensatore
inizialmente carico e l’interruttore aperto. Nel momento in
𝐶 cui l’interruttore viene chiuso una corrente inizia a scorrere
+ nel circuito.
Dalla legge di Kirchhoff per le maglie segue la relazione:
𝑞 𝑑𝑖
𝑉𝑐 + 𝑓𝑎 = 0 → − 𝐿 = 0.
𝐶 𝑑𝑡
Osservando che:
𝑑𝑞
𝑖=− ,
𝑑𝑡
otteniamo la seguente equazione differenziale:
𝑑2 𝑞 1 𝑑2 𝑞
2
+ 𝑞 = 0 → 2 + 𝜔2 𝑞 = 0.
𝑑𝑡 𝐿𝐶 𝑑𝑡
La precedente va risolta con le condizioni iniziali 𝑞(𝑡 = 0) = 𝑄 e 𝑖 (𝑡 = 0) =
0. La soluzione della precedente può scriversi nella forma:
𝑞 (𝑡) = 𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡 + 𝜑).
Le costanti vanno determinate imponendo le condizioni al contorno seguenti:
𝑞 (𝑡 = 0) = 𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜑) = 𝑄
𝑑𝑞 .
( )
𝑖 𝑡=0 =− | =0
𝑑𝑡 𝑡=0
Da queste otteniamo:
𝐴 𝑐𝑜𝑠(𝜑) = 𝑄
𝐴𝜔 𝑠𝑖𝑛(𝜑) = 0.
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La soluzione delle precedenti porta a scrivere:


𝑞 (𝑡) = 𝑄 𝑐𝑜𝑠(𝜔𝑡).
Otteniamo una soluzione oscillante priva di smorzamento. Questo ci fa pensare
che l’energia totale del sistema sia una quantità conservata. L’energia deve
essere data dall’energia accumulata dal condensatore più un contributo
incognito dovuto all’induttore. Vogliamo determinare tale contributo.
Sappiamo che l’energia accumulata dal condensatore vale:
𝑞2
𝑈𝐶 = .
2𝐶
Scriviamo l’energia totale del sistema nella forma:
𝑈 = 𝑈𝐶 + 𝑈𝐿 .
Inoltre dalla conservazione dell’energia totale deve essere:
𝑑𝑈 𝑑 𝑑 𝑞 𝑑𝑞 𝑑𝑖 𝑑𝑞 𝑑𝑖 𝑑 1
= 0 → 𝑈𝐿 = − 𝑈𝐶 = − = −𝐿 = 𝐿𝑖 = ( 𝐿𝑖 2 ).
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝐶 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡 2
Otteniamo quindi che l’energia associata all’induttore vale:
1 2
𝑈𝐿 = 𝐿𝑖 ,
2
e che quindi nel circuito 𝐿𝐶 la quantità:
𝑞2 1 2
𝑈= + 𝐿𝑖
2𝐶 2
è conservata.
20g.2 Densità di energia accumulata in un solenoide
Si è detto che vale la seguente relazione:
1 2 Φ2
𝑈𝐿 = 𝐿𝑖 = .
2 2𝐿
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Vogliamo applicare questo risultato e determinare la densità di energia per


unità di volume accumulata in un solenoide. Sappiamo che valgono le seguenti
relazioni:
Φ = 𝑁𝑆𝐵
𝜇 𝑁 2 𝑆.
𝐿=

Quindi la quantità cercata vale:

𝑈𝐿 (𝑁𝑆𝐵 )2 𝐵2
𝑢𝐿 = = = .
𝑆ℓ 𝜇 𝑁2𝑆 2𝜇
2𝑆ℓ ( )

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