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ERVING GOFFMAN

« Posso solo suggerire che chi vuole combattere la falsa coscienza e destare la gente ai suoi veri interessi ha
molto da fare, perché il sonno è molto profondo. Ed io non intendo fornire una ninna-nanna, ma semplicemente
entrare furtivamente e osservare il modo in cui la gente russa. » (Erving Goffman)

Nato a Manville, in Canada, l’11 giugno 1922, Erving Goffman conseguì la laurea
di primo livello nel 1945 presso l'università di Toronto. La laurea specialistica e il
dottorato gli furono rilasciati rispettivamente nel 1949 e nel 1953 dall'università di
Chicago, dove studiò Sociologia e Antropologia sociale. Mentre lavorava al suo
dottorato, trascorse un anno in una fra le più piccole isole di Shetland,
raccogliendo materiale per la sua dissertazione e per il suo libro La vita quotidiana
come rappresentazione, 1959, disponibile in almeno dieci differenti traduzioni e
pressoché in continua ristampa. Nel 1958, Goffman divenne membro della facoltà
di studi dell'università californiana di Berkeley e fu promosso a professore
ordinario nel 1962. Nel 1968 entrò a far parte della facoltà di studi dell'università
Benjamin Franklin della Pennsylvania, dove divenne professore di Antropologia e
Sociologia. Nel 1977 gli fu assegnata la borsa di studio post-universitaria della Guggenheim. Poco prima della
sua morte (sopraggiunta a Philadelphia, nel 1982), negli anni 1981-1982, fu presidente della American
Sociological Association. E’ uno dei più noti esponenti dell “interazionismo simbolico”, correente sociologica
che indaga la vita quotidiana degli individui, le loro relazioni, le microstrutture in cui si sviluppa la
comunicazione fra gruppi e soggetti

“La vita quotidiana come rappresentazione”,


Nell’opera del 1956 “The presentation of self in everyday life” (tradotta in italiano con il titolo “La vita
quotidiana come rappresentazione”), Goffman paragona la vita sociale, con le sue quotidiane interazioni tra le
persone ad un palcoscenico teatrale, in cui gli individui sono destinati a recitare delle “parti”, a interpretare
ruoli diversi. Come in un teatro, tuttavia, dietro la ribalta c’è il retroscena, cioè gli spazi privati in cui le persone
non “recitano”, e dove spesso mettono in atto comportamenti in contraddizione con il loro ruolo pubblico.
La recitazione non coinvolge solo i singoli individui, ma anche gruppi e categorie
sociali; Goffman cita nel testo l’esempio dei camerieri in un hotel delle isole
Shetland, che di fronte al proprio pubblico (i clienti dell’albergo) danno
un’immagine il più possibile credibile e piacevole di se stessi (si mostrano cortesi,
deferenti, rispettosi) mentre nello spazio privato, quando il pubblico non li vede,
hanno una condotta molto più libera ed informale. In un certo senso, tutta la vita
sociale è una rappresentazione che i gruppi sociali mettono in scena di fronte ad
altri gruppi interpretando alternativamente il ruolo di gruppo di performance (che
agisce, interpreta la parte) e gruppo di audience (che assiste all’”esibizione”): in
questa dinamica, condizione necessaria è che il gruppo di audience non acceda alle
situazioni di retroscena, in cui è spesso contraddetto il comportamento pubblico.
L’interazione sociale può avvenire tra persone che si conoscono o tra estranei che si trovano casualmente
insieme in un luogo pubblico. Nei due casi, i modi di comportarsi sono differenti: ma in tutti e due i casi si ha
un’interazione. Pensiamo a due persone che si trovino casualmente nello stesso scompartimento del treno senza
conoscersi: a tutta prima, pare che si ignorino, ma in realtà essi si scambiano senza sosta messaggi e orientano
reciprocamente il loro agire (cercano di non disturbare, di non essere invadenti, non allarmare gli altri con gesti
strambi, ecc).
Come dicevamo, per Goffman nulla è abbandonato al caso: esistono regole di etichetta e rituali coi quali si
sperimenta l’accesso agli altri e si misurano le possibilità e i limiti di un reciproco coinvolgimento. Anche la
più anonima e fugace delle relazioni, un incontro in strada con un estraneo, è già un’interazione assai
complessa, densa di messaggi; è un tipo di rituale che Goffman chiama “disattenzione civile”. Le due persone
si avvicinano, si guardano, stabiliscono a cenni che lato della strada ciascuno dei due seguirà e, quando si
incontrano, abbassano lo sguardo – “una specie di abbassamento delle luci” –, col che affermano
implicitamente di non aver nulla da temere dall’altro.

Per Goffman non esiste alcuna "verità vera", ma solo interpretazioni che sono vere per ciascun individuo.

Asylums: le istituzioni totali


Negli anni '70, dopo aver assunto il ruolo di osservatore scientifico all'istituto nazionale di salute mentale a
Bethesda MD, ed aver preso parte ad un Comitato per lo studio sulla detenzione, avviò le ricerche che lo
portarono alla stesura della sua opera “Asylums”: saggi sulla condizione sociale dei malati di mente e altri
pazienti (1961). Si tratta di un'acuta analisi sull'importanza della struttura sociale nel produrre comportamenti
conformati, specialmente all'interno di ambienti che Goffman etichettò come “total institutions” (istituzioni
totali), quali gli asili di igiene mentale, le prigioni e i consorzi militari.

Erving Goffman studia, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, il processo d’istituzionalizzazione
del malato mentale, paragonando l’ospedale psichiatrico ad altre tipologie di “istituzioni totali”, come gli
ospizi, le prigioni, i campi di concentramento, le caserme e le comunità religiose.

Tra il 1955 e il 1956 Goffman, di formazione filosofica-sociologica, entrando a lavorare per un anno
all'ospedale Saint Elisabeths di Washington, un'istituzione federale di circa settemila internati, inizia a studiare
direttamente e ad apprendere informazioni sul mondo sociale degli internati e sul loro modo di vivere
soggettivamente la propria condizione. In Asylums. La condizione sociale del malato di mente e di altri
internati, pubblicato nel 1961 vi si legge:

[…] Iniziai con il ruolo di assistente al corso di ginnastica, precisando, quando mi veniva richiesto, di essere
uno studioso della vita di comunità; passavo il giorno con i pazienti, evitando di intrattenere rapporti socievoli
con lo staff e di disporre di chiavi. Non dormivo nei reparti e la direzione dell'ospedale conosceva lo scopo
della mia presenza. Era allora, ed è tuttora, mia opinione che qualsiasi gruppo di persone - detenuti, primitivi,
piloti o pazienti - sviluppino una vita personale che diventa ricca di significato, razionale e normale quando ci
si avvicini ad essa, e che un buon modo di apprendere qualcosa su questi mondi potesse essere partecipare al
ciclo di vita quotidiana cui gli internati sono soggetti .

L'obiettivo di Goffman è di trattare in generale il problema delle cosiddette “istituzioni totali”, ovvero di quei
luoghi di residenza e di lavoro di gruppi di persone, che, esclusi dalla società per un periodo di tempo piuttosto
prolungato, vivono costretti in un regime chiuso e formalmente amministrato, evidenziando in questo modo le
responsabilità di tutte quelle organizzazioni sociali deputate a gestire le aree della “devianza”. In particolare,
poi, il sociologo intende affrontare la situazione degli ospedali psichiatrici, proprio mettendo in luce la
condizione degli internati e il loro rapporto con lo staff tecnico e medico.

Ed è proprio attraverso un'attenta analisi dell'organizzazione psichiatrica e delle sue analogie con le altre
istituzioni totali che Goffman distrugge l'immagine dell'internato mentale, come prodotto di una malattia, che
distrugge e disumanizza, mostrando come i medesimi meccanismi di sopravvivenza siano presenti in altre
tipologie di istituzioni. A proposito delle istituzioni totali Goffman scrive:

Le organizzazioni sociali - o istituzioni nel senso comune del termine - sono luoghi, locali, o insiemi di locali,
edifici, costruzioni, dove si svolge con regolarità una certa attività. […] Ogni istituzione si impadronisce di
parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono, offrendo in cambio un particolare tipo di
mondo: il che significa che tende a circuire i suoi componenti in una sorta di azione inglobante. Nella nostra
società occidentale ci sono tipi diversi di istituzioni, alcune delle quali agiscono con un potere inglobante […]
più penetrante di altre. Questo carattere inglobante o totale è simbolizzato nell'impedimento allo scambio
sociale e all'uscita verso il mondo esterno, spesso concretamente fondato nelle stesse strutture fisiche
dell'istituzione: porte chiuse, alte mura, filo spinato, rocce, corsi d'acqua, foreste o brughiere. Questo tipo
d'istituzioni io lo chiamo istituzioni totali .

Egli descrive cinque tipologie generali di istituzioni totali:

1. le istituzioni nate a tutela di incapaci non pericolosi (istituti per ciechi, sordomuti, disabili, anziani, orfani,
indigenti);
2. le istituzioni ideate e costruite per recludere chi rappresenta un pericolo non intenzionale per la società
(ospedali psichiatrici, sanatori);
3. le istituzioni finalizzate a recludere chi rappresenta un pericolo intenzionale per la società (carceri, campi di
prigionieri di guerra);
4. le istituzioni create per lo svolgimento di un'attività funzionale continua (navi, collegi, piantagioni, grandi
fattorie);
5. le istituzioni che richiedono il distacco volontario dal mondo (conventi, monasteri).

Il primo aspetto delle istituzioni totali evidenziato da Goffman è


l'impossibilità di mantenere uno scambio sociale e una relazione di
comunicazione tra l'interno (chi vive nell'istituzione) e l'esterno. Un
altro elemento interessante riguarda il fatto che all'interno di
un'istituzione totale vi è il completo abbattimento di quelle barriere che
fanno sì che un individuo della società cosiddetta “moderna” dorma e
lavori in luoghi diversi, con compagni diversi e sotto autorità diverse.
Nell’istituzione totale tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso
luogo e sotto la stessa unica autorità; ogni fase delle attività giornaliere
si svolge a stretto contatto di un enorme gruppo di persone, trattate tutte
allo stesso modo e tutte obbligate a fare le medesime cose; le diverse
fasi delle attività giornaliere sono rigorosamente schedate secondo un
ritmo prestabilito che le porta l'una dall'altra, dato che il complesso di
attività è imposto dall'alto da un sistema di regole formali esplicite e da un corpo di addetti alla loro esecuzione.
Per ultimo, le varie attività forzate sono organizzate secondo un unico piano razionale, appositamente designato
al fine di adempiere allo scopo ufficiale dell'istituzione.

Queste caratteristiche che vengono elencate come specifiche delle istituzioni totali, singolarmente possono
essere riscontrate anche in luoghi che non hanno nulla a che vedere con tal genere di organizzazioni. Infatti, ciò
che caratterizza le istituzioni totali è il fatto che in esse primeggia una sorta di manipolazione dei bisogni di
ciascun individuo, per mezzo dell'organizzazione burocratica di masse di persone. Tipico delle istituzioni totali
specifica Goffman, è la presenza di un gran gruppo di persone controllate, gli internati, e un piccolo gruppo che
controlla, lo staff. In conseguenza di ciò, entrambe le parti vengono ad assumere un ruolo e un'immagine ben
delineati:

Gli internati vivono generalmente nell'istituzione con limitati contatti con il mondo da cui sono separati,
mentre lo staff presta un servizio giornaliero di otto ore ed è socialmente integrato nel mondo esterno. Ogni
gruppo tende a farsi un'immagine dell'altro secondo stereotipi limitati e ostili: lo staff spesso giudica gli
internati malevoli, diffidenti e non degni di fiducia; mentre gli internati ritengono spesso che il personale si
conceda dall'alto, che sia di mano lesta e spregevole. Lo staff tende a sentirsi superiore e a pensare di aver
sempre ragione; mentre gli internati, almeno in parte, tendono a ritenersi inferiori, deboli, degni di biasimo e
colpevoli. La mobilità sociale fra le due classi è molto limitata: la distanza sociale è generalmente notevole e
spesso formalmente prescritta .

In quest'ottica i due mondi sociali e culturali, quello dello staff e quello degli internati, pur procedendo su strade
parallele, ricoprono in maniera evidente una posizione antagonista, venendosi a “incontrare” e “scontrare” solo
su questioni ufficiali e a diffidare gli uni degli altri.

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