Sei sulla pagina 1di 46

emigrazione/immigrazione

un motore dello sviluppo


economico
in Italia

Edizione fuori commercio realizzata per:


migrazioni
un motore dello sviluppo
economico
in Italia

di
Alessandro Volpi
in collaborazione con Michele Finelli

© Copyright 2011 by Edifir – Edizioni Firenze


Via Fiume, 8 – 50123 Firenze
Tel. (055) 289639 – Fax (055) 289478
www.edifir.it
edizioni-firenze@edifir.it

Responsabile editoriale
Elena Mariotti

Progetto grafico e copertina


Carlo Billet

Referenze fotografiche
L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare

Stampa
Pacini Editore Industrie Grafiche - Ospedaletto (Pisa)

Ringraziementi
Massimo Ghirelli, Marzio Marzot - Archivio Immigrazione
Paolo Bissoci - Museo Emigrazione Gente di Toscana

Il capitolo sesto e la ricerca iconografica sono stati realizzati in collaborazione con Michele
Finelli che ha curato anche la stesura delle didascalie

ISBN 978-88-7970-476-2

In copertina
??????????????????

Sommario

Presentazione 9

Capitolo primo
Un fenomeno di lunga durata 11

Capitolo secondo
L’esplosione 33

Capitolo terzo
Dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale 65

Capitolo quarto
La ripresa dei flussi migratori 91

Capitolo quinto
La fine dell'emigrazione? 127

Capitolo sesto
Destinazione Italia: i flussi migratori verso la Penisola 137

Conclusioni 175

Bibliografia 177
Presentazione

La massiccia emigrazione di lavoratori italiani dalla metà dell’Ottocento e l’attuale,


altrettanto vasto fenomeno di immigrazione nella nostra Penisola a partire dagli anni
Settanta del Novecento, costituiscono i temi oggetto di questo volume: ultimo di una
collana che ha avuto come scopo quello di illustrare i grandi scenari dello sviluppo
economico in Italia e il contributo fondamentale fornito dalle Camere di Commer-
cio, come istituzioni di cerniera tra la realtà politico-amministrativa e gli interessi
economici e produttivi che tale sviluppo hanno accompagnato e sostenuto.
Una disamina sulle motivazioni e le spinte economiche, sociali e culturali che hanno
generato la gigantesca ondata migratoria italiana evidenzia il concorso di più fattori,
quali l’apertura di nuovi mercati del lavoro, le pulsioni a sottrarsi a costrizioni poli-
tiche, la disperata fuga da condizioni di diffusa ed estrema miseria. O i tentativi di
cogliere le opportunità che le dinamiche economiche mondiali offrivano: si pensi
alla domanda di forza lavoro che caratterizzava le prime fasi dell’industrializzazione
europea, o alla opportunità di popolare le sconfinate terre del “Nuovo Mondo”.
La storia economica dell’Italia non si può descrivere correttamente se non si tiene
conto di cosa hanno significato i grandi flussi di emigrazione che il nostro Paese
ha conosciuto. Basti pensare a due soli dati: la fuoriuscita di milioni di lavoratori
dal mercato italiano, che ha in parte ovviato alla drammatica eccedenza dell’of-
ferta rispetto alla richiesta di lavoro, e le rimesse degli emigranti, che hanno con-
sentito di attenuare e in qualche anno anche colmare il vincolo del debito estero,
generato dal cronico e forte deficit della bilancia commerciale.
Una doverosa riflessione non può infine mancare sul pesante prezzo pagato dagli emi-
granti in termini di vite umane, sia per gli elevati tassi di mortalità durante i viaggi
transoceanici, svoltisi spesso in condizioni quasi bestiali, sia per le centinaia di morti
sul lavoro, soprattutto in miniera, sia infine sui vari episodi di xenofobia, e qui basti
ricordare un esempio per tutti, quello dell’eccidio di “Aigues Mortes” in Francia.

Oggi, un Paese di emigranti si sta trasformando in un Paese di immigrati, che


ormai contribuiscono al nostro conto economico, oltre che demografico.
Eravamo un Paese agricolo. Oggi siamo la seconda nazione manifatturiera d’Euro-
pa, quanto meno se facciamo riferimento alle esportazioni. Ma dobbiamo conside-
rare che, se stiamo rimanendo in questa posizione di tutto rispetto, è anche grazie al
contributo degli immigrati, che ora stanno percorrendo lo stesso duro lastricato sul
quale, fino al secolo scorso, hanno camminato tanti dei nostri connazionali.

Il Presidente InfoCamere
Alessandro Barberis

Capitolo primo

Un fenomeno di lunga durata


1. Le origini sura netta nella storia dell’emigrazione italiana riconoscendo le ragioni di questa
significativa crescita demografica del fenomeno migratorio nelle modifiche avve-
Non è certamente agevole definire una data precisa in relazione all’origine dei nute nella dislocazione dei principali assi economici in Europa e nella nascita di
fenomeni migratori che hanno interessato la penisola italiana. Si tratta infatti di nuovi centri di produzione e di commercio dopo l’avvio del declino economico
uno sforzo ostico per l’assenza di statistiche attendibili almeno fino alla seconda italiano. Una seconda ondata migratoria ancora più legata a ragioni di ordine eco-
parte dell’Ottocento e per l’estrema complessità dei fenomeni stessi. Di recente la nomico si ebbe invece nell’ultimo decennio del Settecento allorché esplosero evi-
storiografia, richiamando le interpretazioni di Fernand Braudel, ha insistito molto
su una dimensione di lunga durata dei processi migratori, legata alla posizione ge-
ografica dell’Italia che è stata un ponte per gli scambi Nord-Sud e al contempo un
importante crocevia migratorio sia in entrata che in uscita. In questo senso sareb-
be un errore circoscrivere l’emigrazione italiana ad una vicenda durata poco più
di un secolo 1. In effetti già nel Medioevo era possibile trovare colonie di mercanti
italiani a Londra, a Costantinopoli, a Parigi ed Anversa e nelle altre principali
piazze mercantili europee dove esistevano strade e quartieri abitati da italiani:
Lombard Street e Rue de Lombards ne costituiscono un chiaro esempio. Poco
più tardi avrebbero fatto la loro comparsa pittori, scultori, musicisti, architetti,
ma anche marmisti, mosaicisti, carbonai e saltimbanchi. A partire dal 1474, un ar-
chitetto italiano, Ridolfo Fioravanti, aveva avviato i lavori per la realizzazione del
monumento del Cremlino. Né va dimenticata la “diaspora” di monaci e sacerdoti
italiani in Mongolia, in Cina, in Africa e nelle Americhe 2. Vere e proprie comuni-
tà di italiani, i cosiddetti “italo-levantini”, erano presenti poi nelle isole dell’Egeo,
in Siria, in Egitto e in Palestina, così come i maestri comacini – nome generico
con cui venivano indicati gli artigiani lombardi – si insediarono a Praga ed in
altre città dell’impero asburgico. In quasi tutte le colonie spagnole dell’America
latina, inoltre, si è registrata una presenza italiana fin dal XVI secolo, per effetto
dell’alleanza fra la Spagna e alcuni degli stati italiani che rientravano nell’area di
influenza spagnola ma soprattutto in virtù dell’alleanza con la Repubblica di Ge-
nova. Dai porti di Cadice e di Siviglia, i mercanti genovesi si imbarcavano infatti
verso le colonie d’America, potendo usufruire di una sorta di deroga rispetto al
divieto normalmente praticato dalla Corona spagnola nei confronti di chi avesse
voluto “emigrare” nelle colonie spagnole.
Sono solo alcune testimonianze di una prima ondata “migratoria” di cui è molto Le prime professioni dei migranti. In queste
difficile stabilire le motivazioni di ordine generale in grado di definire un de- litografie, realizzate dal Levilly e conservate
nominatore comune. Secondo alcune analisi nel determinare simili spostamenti nella “Collection de costume des diverses
Provinces du Gran duchè de Toscane”
sarebbero state completamente irrilevanti le cause di natura economica, dal mo- (1826), sono raffigurate le professioni
mento che le tendenze migratorie verificatesi nel XVI secolo, in una fase di espan- legate al mondo agricolo dell’Appennino
sione economica, non furono molto diverse da quelle emerse durante il XVII Toscano di inizio Ottocento: il pastore, il
contadino, la balia e la donna che vende
secolo quando l’economia italiana mostrava palesi segni recessivi. Più importante al mercato i prodotti della campagna
sarebbe stato invece il clima sempre più oppressivo in ambito religioso, esploso (Museo dell'Emigrazione della Gente di
con forza a partire dagli anni della Controriforma. Altre letture storiografiche Toscana – Castel di Lusuolo, Mulazzo (MS)
– Comunità Montana Lunigiana – www.
individuano soltanto nel corso della parte iniziale del Settecento una prima ce- museogenteditoscana.it, d'ora in poi MEGT)

13 14

denti difficoltà in varie zone delle campagne italiane e nelle aree montuose con stati gli artigiani che cercavano luoghi nei quali continuare a valorizzare le loro
conseguenti fenomeni di pauperismo rurale. Iniziavano così consistenti e conti- competenze professionali messe a dura prova in Europa dalla concorrenza delle
nuative migrazioni dai paesi degli Appennini in direzione della Francia e persino prime produzioni industriali. Il principale settore nel quale si avvertì un simile
degli Stati Uniti, dal Trentino verso l’Europa dell’Est e la Russia, dalla Lombar- fenomeno fu quello della lavorazione tessile a domicilio, colpita duramente dalla
dia in direzione dell’impero asburgico. Per questi migranti assumeva un peso manifattura industriale. Di fronte al rischio di proletarizzazione come alternativa
particolarmente rilevante la proprietà della terra che veniva utilizzata come stru-
mento per ottenere il denaro contante necessario per comprare le merci con cui
avviare un’attività di commercio ambulante o per intraprendere altre iniziative
sempre legate ai piccoli traffici.
Sul finire del XVIII secolo prendeva corpo, parimenti, un’emigrazione politica
italiana a seguito della repressione della Repubblica napoletana del 1799, con un
successivo ingrossamento dopo la conclusione dei moti del 1820-21 che spinsero
numerosi esuli soprattutto verso la Francia e la Svizzera. Nel 1851, quando i cen-
simenti francesi cominciarono a registrare anche gli stranieri, gli italiani risulta-
vano 63.000 su un totale di 380.000 residenti esteri 3. Qualche anno più tardi gli
italiani a Marsiglia erano diventati 18.000 su un totale di 275.000 abitanti; è evi-
dente che una presenza così corposa non era riconducibile soltanto a motivazioni
di ordine politico, ma aveva cause anche di natura economica, legate all’avvio
del processo di industrializzazione di diversi centri urbani della Francia per ali-
mentare il quale non erano sufficienti le disponibilità di manodopera nazionale.
Alcuni storici hanno insistito, in quest’ottica, sulla mobilità in direzione della
Francia, suscitata già durante gli anni della dominazione napoleonica dall’avvio
di grandi opere di infrastrutturazione mentre i duri effetti della crisi economica
del 1817-1818 sarebbero stati lo stimolo per destinazioni verso terre più remote,
Un passaporto di inizio Ottocento da cui tuttavia molte aree francesi non vennero escluse 4. Una parte degli esuli
rilasciato dalle autorità napoleoniche a un politici si diresse verso il Belgio e l’Inghilterra, per quanto in misura decisamente
cittadino lunigianese racchiude la storia
minore rispetto ai flussi verso Francia e Svizzera, dove a lungo si rifugiò circa il
dell’emigrazione di quel periodo: i migranti Giuseppe Mazzini rappresenta uno dei
potevano recarsi in Corsica e Francia 35% del totale dei fuoriusciti italiani; un simile dato è comprensibile alla luce del simboli dell’esulato politico italiano.
per lavorare come contadini o venditori fatto che nei primissimi decenni dell’Ottocento Belgio e Inghilterra non erano in Arrivato a Londra nel gennaio del 1837,
ambulanti. La Lunigiana e la Lucchesia sono passeggiando nelle strade della capitale ebbe
grado di intercettare flussi mossi da cause economiche. Ancora molto contenuta
sempre state zone di grande emigrazione modo di conoscere le durissime condizioni
(MEGT) era l’emigrazione politica Oltreoceano con una percentuale inferiore al 10% del di vita dei fanciulli italiani, oggetto di quella
totale. Nei primi decenni dell’Ottocento, infatti, sia pur senza troppo successo, che lui definì una “tratta dei bianchi”. I
si aprirono per gli emigranti italiani, spinti di nuovo in particolare dalla mise- bambini, costretti a chiedere l’elemosina
utilizzando una scimmietta od un organetto,
ria più che dalla politica, alcune rotte sudamericane, in paesi come l’Argentina, vivevano in condizioni di schiavitù, in balia
l’Uruguay ed il Brasile in cui era venuto meno il controllo coloniale spagnolo e dei loro sfruttatori. Per loro il patriota
portoghese. In tali aree si faceva sentire molto la debole crescita demografica che genovese aprì la Scuola Italiana di Londra,
che dal 1848 garantì istruzione e assistenza
sollecitava i nuovi governi a favorire l’immigrazione dall’estero. Buenos Aires e legale a circa un migliaio di ragazzi. In
Montevideo divennero così terre di attrazione dove confluirono numerosi italiani, queste due celebri litografie di Girolamo
a partire dai sudditi del Regno di Sardegna coinvolti nel fallimentare moto del Induno sono rappresentati il momento
dell'incontro di Mazzini con i piccoli italiani
1821 e rapidi nell'acquisire un peso importante nel settore delle costruzioni navali all’interno di un tugurio ed una lezione
e nel commercio atlantico 5. Tra gli emigranti in America Latina molti sarebbero "domestica"

15 16
alla povertà, si ingrossarono le fila dell’emigrazione a partire dal Comasco e dal originaria della Liguria da cui nel periodo 1854-1863 uscirono quasi 50.000 per-
Biellese e dalle zone della Carnia, con destinazioni sudamericane ed anche euro- sone, per più della metà contadini; di esse, 31.000 si diressero verso l’America del
pee. Nel Vecchio Continente ad attrarre la manodopera erano invece, accanto ai Sud e 14/15.000 restarono in Europa. Già nel 1853, del resto, solo dalla regione
nuclei industriali, le attività di costruzione delle nuove linee ferroviarie, sviluppa- del Rio della Plata le rimesse degli emigrati liguri erano superiori al milione di
tesi fra gli anni Quaranta e il decennio successivo, a cui si affiancavano i molte- lire piemontesi 8. Nel 1866, sul giornale «Il giro del mondo» veniva pubblicato
plici mestieri dell’edilizia legati alle profonde trasformazioni di vari centri urbani un breve articolo dedicato all’“Emigrazione italiana all’estero” in cui si forniva-
europei. Un arrivo consistente di manodopera italiana si registrò anche in Russia no alcune cifre e soprattutto un giudizio sul fenomeno in corso, sottolineando
in seguito alla costruzione della linea ferroviaria che, attraversando le montagne la provenienza degli espatriati italiani: «Il maggior contingente dell’emigrazione
del Caucaso, doveva collegare Poti e Batum, proseguendo per Tiflis e Bacu, sul all’estero danno i liguri e i comaschi, con questa principalissima differenza dagli
Caspio. Sono stati capomastri, scalpellini ed operai, per la gran parte lombardi, altri emigranti, che mentre l’irlandese e il tedesco abbandonano i loro paesi nativi
veneti e piemontesi, che, tra il 1867 e la fine del secolo, hanno realizzato tratti senza desiderio di ritorno e fermi nel pensiero di fissarsi, insieme colle famiglie,
importanti della linea ferroviaria. Molti di loro si sono trasferiti successivamen- altrove; dei nostri nazionali non emigrano che i meglio atti al lavoro col proposito
te nella Manciuria per costruire ponti e gallerie lungo la linea ferroviaria della deliberato di ritornare in patria, tosto appena abbiano accumulato un sufficiente
Transiberiana. Una presenza altrettanto significativa, soprattutto di provenienza capitale» 9. In questi anni, durante i quali la navigazione a vapore aveva abbattuto
ligure, si era realizzata nel porto di Odessa, dove gli italiani avevano preso parte la durata delle traversate oceaniche da 44 a 14 giorni, e di conseguenza anche i
alla costruzione del porto stesso e avevano costituito l’ossatura portante della costi, restava molto contenuta l’emigrazione verso gli Stati Uniti:
locale comunità mercantile.
Un organetto utilizzato dai suonatori Già da questa fase, databile nei decenni centrali dell’Ottocento, tendeva del re- Incidenza delle emigrazioni verso gli Stati Uniti rispetto al totale delle emigrazioni
ambulanti, simile a quelli che riempivano
le strade di Londra e di altre città europee. sto ad emergere un tratto caratterizzante dello sviluppo economico italiano che
Emigranti verso gli Stati Uniti
In Gran Bretagna, ad esempio, era vietato fu connotato da un bassissimo utilizzo della forza lavoro disponibile, destinata Anno in valore assoluto in percentuale sul totale dell'emigrazione
l’accattonaggio e l’organetto od un topolino così a costituire un’ingente massa di reclutamento per il mercato internazionale 1860 1.019 emigrati 0,66% del totale
bianco rappresentavano l’escamotage per
del lavoro. Prendevano corpo intanto anche le migrazioni interne che trovarono 1861 811 0,88
evitare l’arresto (MEGT)
1862 566 0,62
una prima registrazione nel 1861, allorché emerse che circa 1/6 della popolazione
1863 547 0,31
italiana risultava presente come dimora in un Comune differente da quello di 1864 600 0,31
nascita: una percentuale che salì rapidamente già nel 1871 al 20,5% 6. 1865 924 0,37

Con l’unità nazionale maturarono alcune ulteriori condizioni destinate ad ingros-


2. Il nuovo Regno sare in maniera veloce i flussi migratori italiani. In primo luogo divenne ancora
più evidente la crescita demografica che, iniziata negli anni d’avvio dell’Ottocen-
Proprio nel 1861, data di nascita del Regno d’Italia, fu possibile tracciare un pri- to, si intensificò nel corso del secolo. Tra il 1801 ed il 1901 la popolazione passò
mo quadro numerico da cui risultava che erano circa 500.000 gli italiani che vi- da 17.860.000 unità a 32.475.000 con un incremento dell’82%. Tale crescita ha
vevano all’estero e ben 1,5 milioni coloro che avevano lasciato la penisola nei 150 determinato un significativo eccesso di manodopera che ha investito i principali
anni precedenti a tale data 7. Si trattava in larga parte di uomini provenienti dalle sistemi agricoli del Paese; quello della cascina, ben presente nelle pianure setten-
campagne che, emigrando, avevano di fatto consegnato alle loro donne l’onere trionali, quello del latifondo, diffuso nel Meridione e nelle Maremme, e quello
della gestione delle terre e del lavoro dei campi. Un simile fenomeno aveva coin- mezzadrile, tipico delle campagne dell’Italia centrale. In queste zone l’incremen-
volto alcune aree in maniera molto particolare, come nel caso del Friuli, da dove to della popolazione ha rotto un equilibrio fragile, consolidatosi nel tempo e ba-
fin dal periodo 1827-1836, nonostante le restrizioni adottate dalle autorità asbur- sato su una fin troppo precaria relazione tra risorse e forza lavoro. Inoltre, il nuo-
giche nel concedere il passaporto, emigrarono 17.000 persone, a cui si aggiunse vo Regno procedeva da un lato alla trasformazione della natura giuridica di
un gran numero di clandestini. Dal Regno di Sardegna, nel corso degli anni Cin- molti beni comunali e demaniali, privando le comunità rurali della possibilità del
quanta, emigrarono invece ogni anno circa 75.000 persone quasi tutte indirizzate loro utilizzo gratuito, e dall’altro all’introduzione di un maggiore carico fiscale, a
verso l’Europa. Una porzione molto importante di tale emigrazione era quella cominciare dall’imposta fondiaria e dalla tassa di registro. A tali fattori si aggiun-

17 18

sero la leva obbligatoria che, pur riducendo in parte l’eccesso di manodopera, La copertina di un giornale australiano che
ritrae un italiano di successo, il musicista e
impoverì in maniera sensibile le famiglie contadine e il già ricordato declino del-
direttore d’orchestra Paolo Giorza (Italian
la manifattura domestica, causata dalle prime forme di concorrenza da parte dei Historical Society – Coasit, Melbourne).
nuovi nuclei industriali inizialmente favoriti dal sistema doganale d’impianto li- Nato a Milano l’11 novembre del 1832,
viaggiò e lavorò in tutto il mondo, prima
berista adottato dal Regno d’Italia. Non irrilevanti furono anche gli effetti provo-
di giungere in Australia nel 1871. Oltre
cati dalla mancanza di una rete creditizia in grado di sostenere il già pesante in- che per la produzione di 40 composizioni,
debitamento di affittuari, coloni e piccoli proprietari, troppo frequentemente Giorza è noto per essere l’autore della
“Bella Gigogin”, scritta nel 1858 e diventata
assoggettati agli oneri dell’usura. Infine, ma non si tratta certo di una causa di
la canzone simbolo della II Guerra
natura secondaria, influiva la debolezza del mercato interno da cui discendeva d’Indipendenza; morto a Seattle nel 1914,
una strutturale instabilità dei consumi, condizionati da prezzi molto oscillanti e è ricordato come uno dei musicisti più
significativi dell’Australia del XIX secolo
assai differenti per lo stesso bene a pochi chilometri di distanza. Alla luce di ciò
era di fatto inevitabile quindi che già nel decennio 1861-1870 l’emigrazione italia-
na, in particolare dalle campagne, assumesse una maggiore consistenza rispetto
al recente passato. Gli espatriati furono 992.720 in direzione dell’Europa e 217.680
verso i Paesi extra-europei: una quantità che suscitò subito la preoccupazione di
una parte della classe dirigente del nuovo Regno. Più di altri furono gli agrari a
fare pressioni perché un simile fenomeno venisse contrastato. Così fin dal genna-
io 1868 il ministro degli interni Raffaele Cadorna inviava una circolare ai prefetti
con la quale li invitava a non far partire «per le Americhe e per l’Algeria» i lavo-
ratori italiani che non fornissero prove certe di avere nei territori di destinazione
un’occupazione «ben assicurata e mezzi sufficienti di sussistenza». Posizioni ana-
loghe vennero espresse alla Camera da Ercole Lualdi, deputato eletto nel collegio
di Busto Arsizio, che aveva indicato a più riprese i pericoli dell’emigrazione nei
termini del depauperamento della «ricchezza nazionale» e aveva collegato l’oppo-
sizione nei confronti della libertà di emigrazione alla difesa del sistema produtti-
vo tessile prevalente nel Settentrione 10. In Lombardia, in particolare, numerosi
prefetti emisero direttive alle autorità locali in coerenza con le disposizioni di
Cadorna, richiamando peraltro l’articolo 10 della legge 13 novembre 1857, pro-
mulgata in Lombardia con decreto del governatore del 28 giugno 1859, che impo-
neva limiti ben definiti all’espatrio. La successiva crescita del fenomeno migrato-
rio, in Italia, si ebbe in seguito alla crisi agraria esplosa all’inizio degli anni
Settanta e dovuta al massiccio arrivo in Europa di cereali americani con una con-
seguente, forte diminuzione del loro prezzo che colpì nelle regioni settentrionali
i piccoli proprietari e gli affittuari e nel Meridione il grande latifondo assenteista,
portando con sé effetti molto pesanti anche nei confronti delle coltivazioni spe- unitario sia il diffondersi di malattie che colpivano le coltivazioni, dalla fillossera,
cializzate degli agrumi e dell’orticoltura. Alle dinamiche della crisi si aggiungeva- alla pebrina alla mosca olearia. Dal periodo 1876-1877 si facevano sentire, in pa-
no fattori di ordine strutturale che continuavano a perdurare come il pessimo rallelo, le ricadute del profondo malessere che aggravò le condizioni dell’indu-
regime della proprietà fondiaria, in alcune zone troppo frazionato dopo l’aboli- stria tessile e, dal 1878, gli strascichi della guerra doganale con la Francia. In
zione di vari istituti medievali a partire dal maggiorascato, e in altre caratterizza- questo senso, la mancanza di una compiuta fisionomia dell’economia italiana,
to in maniera eccessiva dalla concentrazione in poche mani. In entrambi gli am- incapace di reggere alle trasformazioni dei mercati internazionali, e l’ancora limi-
biti pesavano poi sia il già ricordato carico fiscale introdotto dal nuovo Stato tata possibilità di soddisfare flussi migratori interni furono certamente decisive

19 20
nell’alimentare le ondate di espatri. Così nel 1871, gli italiani che lasciarono il bito delle strutture latifondiste e da un mercato della terra dai contorni usurari.
Paese furono 122.479, saliti a 151.781 nel 1873. Proprio nel luglio di quell’anno, In tale fase, le aree del Sud più colpite dall’emigrazione furono, oltre a quelle
peraltro, il Governo emanava la circolare Lanza, con cui esortava i prefetti a por- campane, ed in particolare la zona di Salerno, quelle del Potentino, del Cosentino
re un argine nei confronti dell’emigrazione, in particolare di quella clandestina, e la zona di Campobasso che registrò negli anni Settanta il maggior numero di
vietando al contempo l’espatrio ai giovani che non avevano svolto il servizio mili- partenze. Nelle diverse monografie locali che componevano l’"Inchiesta agraria"
tare e a coloro che erano sprovvisti di mezzi. Nell’aprile del 1876, un’ulteriore di Stefano Jacini sono molto frequenti i richiami all’emigrazione, di cui si sottoli-
circolare, a firma del ministro Nicotera, disponeva che la polizia proteggesse le neava con sempre maggiore insistenza la trasformazione da stagionale a tempora-
popolazioni delle aree di campagna dai raggiri degli agenti dell’emigrazione. Lo nea a permanente, o quantomeno di lunga durata. In tali monografie si insisteva
stesso Nicotera nel 1877 propose un disegno di legge che prevedeva l’obbligo anche sulle pessime condizioni alimentari delle popolazioni contadine e il dif-
della licenza per gli agenti dell’emigrazione e l’anno seguente Marco Minghetti e fondersi di malattie “sociali” come la pellagra indicandole tra le cause principali
Luigi Luzzatti avanzarono l’ipotesi di dar vita ad un Ufficio sull’emigrazione dell’emigrazione stessa 12. In tutti questi casi, le rotte di destinazione privilegiate
presso il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Tali misure non ebbe- furono quelle transoceaniche, in primis alla volta di Brasile e Argentina 13. Nel
ro però un impatto significativo, tanto è vero che durante l’arco temporale 1871- 1869, anno del primo censimento dell’Argentina, gli italiani costituivano il 5% del
1880 il numero complessivo degli espatri raggiunse 1.175.960 unità a fronte di totale della popolazione, una percentuale che salì al 12,5% nel 1895. Si trattava di
818.320 rimpatri. Tra gli espatri, 905.490 si diressero in Europa e 270.470 verso i un valore molto importante, pari alla percentuale totale degli emigrati delle altre
Paesi extra-europei; le aree dalle quali si registrarono le maggiori partenze furo- nazionalità presenti in quegli anni negli Stati Uniti; una consistenza testimoniata
no, in questa fase, il Veneto, il Friuli, il Piemonte, la Lombardia e la Campania, dall’ampia diffusione del giornale “La Patria Italiana”, diretto da Basilio Citta-
nella sostanza quindi si trattava di un’emigrazione in larga prevalenza settentrio- dini e venduto anche in Uruguay e in Paraguay 14. Si trattava di un’emigrazione
nale. Più correttamente, tuttavia, rispetto all’indicazione della regione di prove- in larghissima parte maschile; secondo il già ricordato censimento, realizzato in
nienza è opportuno fare riferimento a vere e proprie macro-aree che possono es- Argentina nel 1869, esisteva una donna ogni due uomini a Buenos Aires, una
sere descritte sulla base delle competenze professionali degli emigranti. Una ogni tre a Rosario. Dal 1880 in avanti, con l’arrivo massiccio dei piemontesi e dei
prima macro-area fu costituita dalla fascia geografica che dal Biellese, attraverso lombardi, il numero delle donne aumentò. La crescita del Paese e la diffusione
la Valsesia e il Verbano, si spingeva fino al Ticinese e al Comasco: da questa zona,
caratterizzata dai mestieri dell’edilizia, si ebbe una consistente emigrazione a par-
tire dalla metà degli anni Settanta. Altre macro-aree sono quelle comprese fra il Partenza di emigranti dal porto di Genova,
destinazione Sudamerica (Archivio Storico
Bergamasco e la Valtellina e fra Mantova, Rovigo e il Veronese, dove erano assai Autorità Portuale di Genova). Dopo l’Unità
diffuse le lavorazioni tessili 11. La crisi agraria in molte zone del Nord accentuò il la maggior spinta migratoria proveniva
problema dei bassi salari dei contadini e del ridotto numero di giornate lavorati- dal Nord: nel 1876, ad esempio, l’87%
dei nostri connazionali che espatriavano
ve, due aspetti spesso collegati ad una diffusa decontrattualizzazione della forza erano settentrionali. Ciò spiega la rapida
lavoro che tendeva a trasformare in maniera progressiva condizioni di povertà crescita del porto di Genova, e la nascita di
congiunturale in miseria endemica, destinata a stimolare ulteriormente forme di numerose compagnie di navigazione

emigrazione spontanea. Un flusso non irrilevante coinvolse i Balcani occidentali


dove nella seconda metà dell’Ottocento si registrarono molti spostamenti stagio-
nali, e talvolta definitivi, destinati a far sì che fornaciai e muratori dal Triveneto
detenessero un vero“monopolio” lavorativo in Croazia. La città di Fiume fu una
delle mete maggiormente battute, insieme a Lubiana: dopo il terremoto avvenuto
nel 1895 i muratori friulani svolsero un ruolo essenziale nella ricostruzione della
città. Manodopera friulana e veneta si era stabilita anche a Zagabria, in particola-
re dopo il terremoto del 1880.
Nel Mezzogiorno il fenomeno dei bassi salari agricoli era ancora più marcato ed
era condizionato da una pletora di rapporti contrattuali che esistevano nell’am-

21 22

soprattutto nei Paesi del Rio della Plata numerosi socialisti e anarchici, destinati a
diventare in quelle terre l’anima della rivolta sociale. Persino in Costa Rica, dove
la manodopera immigrata era stata attratta dalla costruzione della ferrovia fra San
Josè e Puerto Limon, il primo sciopero fu promosso dalle maestranze italiane. In
Argentina, un ruolo decisivo nella formazione del locale movimento socialista e
anarchico fu svolto dalla presenza di Ennio Malatesta e Pietro Gori.
A sostenere la bontà dell’emigrazione verso il Brasile furono nel corso degli anni
Settanta le autorità religiose e numerosi giornali cattolici che indicarono nelle fo-
reste brasiliane una destinazione lontana dalla corruzione europea, caratterizzata
dall’estrema fertilità delle terre e da una natura lussureggiante 16. Gli emigranti ita-
liani infatti giungevano da zone dove la Chiesa costituiva il principale elemento di
aggregazione; le condizioni di solitudine in cui vennero a trovarsi nel Nuovo Mondo
rafforzò peraltro questa religiosità, che ebbe un tangibile compimento nelle nume-
rose cappelle rurali, nelle pratiche pie, nelle orazioni in comune, nella venerazione
dei santi, secondo processi aggregativi capaci di assolvere a vere e proprie funzioni
di socializzazione in termini comunitari. La cronica carenza di clero fece sì che
questa religiosità popolare si traducesse nello sviluppo di laicato cattolico destinato
a svolgere un ruolo di primo piano nella successiva vicenda politica del Brasile.
Le condizioni di vita di questi emigranti furono inizialmente buone, in Argentina
almeno fino alla crisi agricola che investì il Paese a fine secolo e in Brasile alla crisi
del caffé, i cui effetti spinsero molti lavoratori italiani nelle mani, assai spregiudi-
cate, dei fazenderos stravolgendo il consueto percorso seguito dagli immigrati. Una
volta giunti in Brasile, i “coloni” italiani venivano indirizzati infatti a San Paolo,
nel Minas Gerais, nell’Espirito Santo, nel Rio Grande. Qui il Governo brasiliano
aveva definito un’area molto estesa, del tutto incolta, da riservare appunto ai nuovi
immigrati; anche in forza di un alto tasso di prolificità – almeno una dozzina di figli
Velieri attraccati al porto di Genova
(Raccolte Mussali Fratelli Alinari, Firenze). della ferrovia fin dagli anni Settanta avevano reso meno importanti le vie flu- per famiglia –, il gruppo italiano diede vita alla cosiddetta serra gaúcha, la struttura
L’immagine richiama il racconto di viali, ridimensionando il peso fino ad allora decisivo in termini quantitativi del originaria di un altro Brasile, con caratteri ben distinti da quello allora esistente
Edmondo De Amicis "Dagli Appennini
commercio genovese, mentre l’immigrazione aveva iniziato a dirigersi verso la e legato alla tradizione portoghese, un'area in buone condizioni appunto fino alla
alle Ande", cui sono stati dedicati ben tre
film (nel 1916, 1943 e 1960, quest’ultimo pampa, riducendo la sua connotazione eminentemente urbana. Nel 1867, Paolo crisi del caffè. Tra i tanti episodi della avventurosa emigrazione italiana in Brasile
diretto da Folco Quilici), una miniserie Mantegazza, noto scienziato e deputato del Regno, aveva pubblicato il volume può essere ricordato quello dei contadini di Novi e di Concordia in provincia di
televisiva nel 1990 ed un cartone animato di
"Rio della Plata e Tenerife. Viaggi e studi", in cui aveva patrocinato l’emigrazione Modena, che nel 1876 raggiunsero in modo decisamente rocambolesco tale terra,
produzione giapponese, realizzato nel 1976
in quell’area: «In quel paese – affermava Mantegazza – vi è un grande avvenire chiamati da una nobildonna loro compaesana amica dell’Imperatore Dom Pedro
per tutti quelli che fra noi nacquero nei bassi fondi della povertà o che nel mezzo II. Questa colonia si insediò poi nella fiorente Valle del Paraiba e le sue esperienze
della vita furono schiantati da una bufera economica o morale. Il cambiar clima furono narrate dal maestro elementare Enrico Secchi, che li aveva accompagnati nel
guarisce molti mali, così come l’emigrazione purga e guarisce molte nazioni» 15. In viaggio e che divenne in seguito un imprenditore di successo a San Paolo. L’arrivo
questo periodo nonostante le politiche di incentivazione, erano le catene migrato- degli italiani nella zona dello Espirito Santo fu legata invece alla cosiddetta “Spe-
rie tradizionali a generare la maggiore incidenza dell’afflusso italiano nel contesto dizione Tabacchi”, autorizzata e finanziata dalle stesse autorità imperiali brasiliane
argentino, come dimostravano i numerosi esempi di ricongiungimento familiare per incentivare la coltivazione del tabacco e avviata fin dal 1874, allorché giunsero a
tipici della tornata migratoria nella fase 1850-1875. Alle catene familiari si uni- Vitoria 386 famiglie di coloni trentini e veneti che diedero vita alla “Colonia Nova
rono poi le motivazioni dettate dalla persecuzione politica in Italia che spinsero Trento”, cui seguirono presto quelle di Santa Teresa e Santa Leopoldina.

23 24
A frenare l’esplosione dell’emigrazione meridionale, nei decenni successivi all’uni- Gaspare Finali, era stata cancellata la già ricordata circolare Lanza e cominciavano a
ficazione italiana, furono invece l’eccessiva povertà e le pessime condizioni della trovare spazio le tesi degli industriali, favorevoli ad una maggiore circolazione di ma-
viabilità destinate a rendere improbo anche il più semplice degli spostamenti. I dati nodopera, in netto contrasto con le posizioni dei grandi agrari, desiderosi di conser-
del resto erano eloquenti; nel 1876, quasi l’87% dell’emigrazione italiana proveniva vare un’ampia disponibilità di forza lavoro a basso costo. Anche alcuni di loro tuttavia
dalle regioni settentrionali e solo per il 6,6% da quelle del Sud. Dal Friuli, nel 1877, avrebbero almeno parzialmente cambiato opinione dopo il grande sciopero de La
gli emigranti regolari furono circa 16.000 e gli espatri dal Piemonte furono addirit- Boje esploso nel 1884 nel Polesine e nel Mantovano, allorché cominciarono a pensare
tura 24.000 17. Nell’Italia centrale, nel corso degli anni Settanta l’emigrazione pro- che l’espatrio dei coloni avrebbe potuto ridurre le tensioni sociali. Tra gli industriali,
venne quasi per intero dalle zone appenniniche che da tempo ingrossavano le fila particolarmente decisa era la posizione degli armatori genovesi che avevano indivi-
degli spostamenti stagionali. Per gli emigranti provenienti dal Nord e dal Centro duato nel trasporto degli emigranti una forma di compensazione al fallimento delle
Italia una delle mete privilegiate restava la Francia dove, sempre nel 1876, la colonia rotte sovvenzionate, volute già da Cavour, e alla crisi del commercio dei cereali nel
italiana era composta da 163.000 persone che divennero 240.000 già nel 1881, so- Mar Nero. Più in generale era possibile distinguere in quegli anni fra “emigrazionisti”
prattutto in seguito all’ulteriore decollo industriale transalpino e ad una politica di e “antiemigrazionisti”; i primi si identificavano con parti significative della borghesia
accoglienza nei riguardi degli stranieri, motivata anche dal calo della popolazione commerciale e imprenditoriale del Nord, insieme ad alcuni esponenti politici della
dovuta alla sconfitta di Sedan  18. L’insieme di simili spostamenti ebbero, come è Sinistra. Gli avversari dell’emigrazione, inizialmente più numerosi, comprendevano
noto, importanti riflessi diretti sull’economia italiana. In merito a ciò sono molte con motivazioni molto diverse tra loro i grandi proprietari terrieri e i primi fautori del
le valutazioni secondo cui proprio l’emigrazione ha consentito di accelerare i tempi protezionismo doganale, a cui si affiancavano alcuni esponenti del mondo liberale e
della transizione economica del Paese facendo sì che il mercato internazionale del dei circoli socialisti e cattolici. In ambito cattolico, dove le motivazioni all’ostilità nei
lavoro, sicuramente più dinamico di quello italiano, assorbisse la manodopera na- confronti dell’emigrazione erano in prevalenza di natura etico-religiosa, fin dagli anni
zionale e creasse le condizioni per un corposo afflusso di rimesse, superiori al deficit Settanta era stata costituita la società San Raffaele per iniziativa del vescovo di Piacen-
della bilancia commerciale, tema questo sul quale torneremo più avanti 19. za, monsignor Scalabrini, che intendeva sostenere gli emigranti italiani e soprattutto
evitarne la “scristianizzazione”. Qualche anno più tardi, fu monsignor Bonomelli a
dare vita, con finalità analoghe, all’Opera per gli emigrati che concentrava le sue at-
3. Il primo balzo in avanti tenzioni in particolare sugli italiani trasferitisi nei principali Paesi europei 20. Negli
ambienti radicali e socialisti, invece, avrebbe svolto una funzione importante la società
Nel periodo 1881-1890 si verificò il primo vero decollo dell’emigrazione italiana con Umanitaria di Milano, creata nel 1892 in base al lascito dell’imprenditore Moisè Loria
un numero di espatri pari a 1.879.200 unità, di cui 929.200 in direzione dell’Europa. e a cui, ancora dopo la nascita della CGdL, venne di fatto riservata dal Partito socia-
In tale fase all’approfondirsi degli effetti della crisi agraria si aggiunsero varie difficoltà lista la competenza primaria sui temi dell’emigrazione.
che investirono le grandi città del Nord e che si protrassero fino al 1896. Una partenza Nel 1888 interveniva la prima legge organica in materia di emigrazione preparata
così massiccia ebbe subito importanti conseguenze, a cominciare dal crescente peso da Rocco De Zerbi e varata da Francesco Crispi che, cercando un compromesso
del lavoro femminile e minorile destinato a sostituire la forza lavoro maschile emigrata. tra le due posizioni, conteneva soprattutto norme di polizia con l’introduzione di
Ciò contribuì a causare un peggioramento dei livelli di mortalità infantile e al contem- numerosi limiti all’espatrio ma, al contempo, con una puntuale ammissione della
po a stimolare un almeno parziale miglioramento del livello di istruzione dei bambini libertà di emigrazione 21. I punti cruciali della legge crispina erano costituiti infat-
italiani, dettato dalle sollecitazioni degli emigrati indirizzate alle loro mogli nel senso ti dal riconoscimento di una parziale libertà di movimento dei lavoratori e dall'in-
appunto di scolarizzare i figli. Una volta giunti a contatto con popolazioni più alfabe- troduzione di controlli, in realtà molto blandi, nei confronti di agenti e agenzie di
tizzate, infatti, gli emigrati presero coscienza dell’importanza dell’istruzione e si ado- emigrazione; tali controlli trascuravano in particolare qualsiasi intervento a favore
perarono per trasmettere questo messaggio alle loro famiglie che contrastava con la degli emigrati dopo il loro arrivo a destinazione. L’articolo 2 del testo stabiliva
necessità di utilizzare manodopera infantile. L’esplosione dei flussi migratori produsse l’obbligo del possesso della patente ministeriale di agente per coloro che si occu-
anche un altro effetto sociale rallentando il processo di forte aumento della nuzialità e pavano del reclutamento degli immigrati sia nel caso di singoli individui che di
di riduzione del nubilato in atto negli anni precedenti. Oltre alle motivazioni di natura associazioni. I requisiti per ottenerla erano però molto generali e il più significati-
economica, a spingere gli italiani verso l’espatrio diedero un contributo non irrilevan- vo era costituito dal deposito di una cauzione in titoli di Stato per un ammontare
te le modifiche legislative intervenute dopo il 1876. In quell’anno, per iniziativa di massimo di 5000 lire. Era ammessa anche l’esistenza di subagenti nominati dal

25 26

Il frontespizio della Legge n. 5866 del via i controlli solo alle autorità di pubblica sicurezza. Come accennato il limite
30 dicembre 1888, primo provvedimento
principale della normativa crispina era costituito dalla pressoché nulla attenzione
organico in materia. La legge è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del riservata agli emigranti una volta sbarcati e dalla ancora molto debole tutela delle
Regno del 31 dicembre 1888, n. 306. condizioni igieniche che venivano considerate rispettate quando all’emigrante era
(Archivio Centrale dello Stato, Roma)
garantito a bordo delle navi lo spazio di un metro cubo. Peraltro la legge subor-
dinava l’espatrio delle donne sposate al consenso del marito, violando in maniera
evidente la libertà di iniziativa individuale più volte citata, che risultava decisa-
mente compressa, nel caso degli uomini, dall’esigenza, per poter emigrare, di aver
assolto ai doveri del servizio militare. Una lettura attenta delle proposte di Crispi
e di De Zerbi venne condotta da monsignor Giovanni Battista Scalabrini, vesco-
vo di Piacenza, che le ritenne ancora troppo favorevoli agli interessi dei grandi
agrari, preoccupati di perdere manodopera a basso costo. Secondo l’alto prelato
sarebbe stato necessario invece un esodo disciplinato attraverso la riduzione dei
costi delle partenze e il blocco degli espatri in direzione di luoghi pericolosi o
dove erano pressoché nulle le possibilità di trovare un’occupazione.
Il problema della tutela degli emigranti durante la navigazione era divenuto molto
stringente perché furono questi gli anni della forte crescita delle partenze in dire-
zione dell’America. Nel 1871 gli italiani in America erano 216.030 contro 187.502
in Europa, dieci anni più tardi i numeri erano sensibilmente cambiati e gli italiani
in America erano saliti a 579.335 contro 380.352 in Europa; il 56,12% del totale
rispetto al 36,84. Come già accennato, nel periodo 1877-1890 tese ad essere preva-
lente la destinazione verso l’Argentina, mentre nella fase successiva, fino al 1898,
la rotta più battuta era quella in direzione del Brasile. Da quella data presero il so-
pravvento le partenze verso gli Stati Uniti. Nel caso dell’Europa, invece, prosegui-
va l’emigrazione in terra francese che riuniva i mestieri più disparati, dal settore
industriale, a quello minerario, alle modelle, agli ambulanti alle donne di servizio,
fino ai bambini impiegati in vari lavori di fatica. Parigi e Marsiglia erano le due
destinazioni privilegiate e nella città portuale già nel 1871 erano presenti 42.000
italiani che costituivano una vera e propria colonia, a cui si sarebbero aggiunti
nel tempo molti “naturalizzati” per effetto della legge del 1889 che obbligava gli
operai dei cantieri e delle officine dello Stato ad assumere nazionalità francese.

Didascalia?

Anno Popolazione totale di Marsiglia Italiani


prefetto che avrebbero risposto in solido con gli agenti dei loro obblighi. A ga- 1861 250.000 circa 20.000 circa
ranzia dell’emigrante veniva stabilito che non fosse possibile pagare il viaggio con 1866 300.000 25.000
giornate di lavoro «obbligate» e che ai «contratti di emigrazione», caratterizzati 1871 300.000 42.000
1876 300.000 54.000
da una natura strettamente privatistica, si applicassero gli articoli del Codice di
1881 360.000 60.000
Commercio. Lo stesso testo contemplava la nascita delle Commissioni arbitrali 1886 360.000 68.000
per la risoluzione delle vertenze fra emigranti e vettori nel tentativo di difendere 1891 406.000 70.000
i primi dalle vessazioni delle grandi compagnie di navigazione, affidando tutta- Fonte?

27 28
Intorno alla fine del XIX secolo l’arte In diversi momenti dunque i lavoratori italiani rappresentavano a Marsiglia circa il
cominciò a guardare all’emigrazione. Nel
50% della manodopera impiegata nel settore della lavorazione delle merci 22. In ter-
1894 il pittore livornese Raffaello Gambogi
realizzò l’opera "Gli emigranti" (Museo mini di provenienza geografica, fin dagli anni del Secondo Impero la componente
Civico Giovanni Fattori, Livorno), sotto prevalente dell’emigrazione in terra francese era costituita dai piemontesi, pari al
l’influenza dei suoi due maestri, Giovanni
30% del totale, seguiti dai toscani con una percentuale di poco superiore al 20%,
Fattori e Angiolo Tommasi; quest’ultimo nel
1895 dedicò un’opera allo stesso soggetto, una distribuzione che rimase sostanzialmente immodificata fino alla conclusione del
ritraendo il difficile momento della partenza secolo. Oltre alle grandi città, l’emigrazione italiana si dirigeva verso 3 zone princi-
(Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma)
pali: il dipartimento delle Alpi Marittime che accoglieva il 20% della popolazione
italiana, il Var dove arrivava un altro 10% e la Bouches-du-Rhone che ospitava un
ulteriore 12%. A queste percentuali si aggiungeva una porzione di poco superiore al
7% che si era stabilita in Corsica. In un simile panorama nell’agosto del 1893 si con-
sumò il tragico episodio del massacro di Aigues Mortes, cittadina francese alle boc-
che del Rodano, dove si scatenò una vera e propria ondata xenofoba nei confronti
dei lavoratori italiani accusati di accettare paghe più basse dei loro colleghi francesi,
impiegati nelle saline. La Compagnie che disponeva del monopolio dell’estrazione
aveva infatti reclutato 600 lavoratori italiani e soltanto 150 francesi perché gli emi-
grati si mostravano disposti ad accettare salari inferiori quasi di 2/3 rispetto a quelli
a cui lavoravano i francesi. Le tensioni scoppiarono il 17 agosto con un assalto di
francesi ai capanni dove erano alloggiati i lavoratori italiani; la stima dei morti fra gli
emigranti oscilla fra i 50 e i 100. Le reazioni in Italia furono durissime con scioperi
spontanei e agitazioni di piazza a cui non fecero seguito in realtà proteste ufficiali
da parte del governo Giolitti altrettanto decise 23. A trovarsi in particolare difficoltà

In navigazione in prossimità dello Stretto


di Gibilterra, nel 1898. La tutela delle
condizioni di vita degli emigranti durante
la traversata furono l’oggetto della Legge
Luzzati del 1901. Il provvedimento, tra
le altre cose, istituiva il Commissariato
generale dell’emigrazione, che aveva il
compito di proteggere i viaggiatori di terza
classe dalle truffe, ed impedire che fossero
imbarcati minori di 15 anni (MEGT – dal
volume Per terre assai lontane, a cura
di Caternia Repetti, Comunità Montana
della Lunigiana, Museo Etnografico della
Lunigiana, 1998, d'ora in poi MEGT – Per
terre assai lontane)

29 30

fu soprattutto il neonato partito socialista che dovette subire attacchi per la sua 14
Furono numerose le testate degli emigrati italiani con titoli che evo- Uniti e il Canada. Restano i soliti, invece, i mestieri praticati, legati
cavano in modo chiaro la loro origine: «La Voce d’Italia», «l’Ita- al mondo dell’edilizia, muratori, terrazzieri e mosaicisti in primis
vocazione internazionalista e che trovò un efficace difensore in Antonio Labriola
lia Nuova», «il Giornale degli Italiani», «L’Italiano», «La Stella (B.M. Pagani, L’emigrazione friulana dalla metà del secolo XIX al
interprete della linea secondo cui i fatti di Aigues Mortes erano riconducibili non a d’Italia». Altrettanto frequenti erano le località che derivavano la 1940, Udine, Arti grafiche friulane, 1968, E. Franzina, Merica! Me-
questioni di «patriottismo carnevalesco» ma alle contraddizioni interne del sistema loro denominazione dalla presenza degli italiani, da Nova Trento, rica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti e
a Nova Milano, Nova Venezia, a Napoli (2 negli Stati Uniti), Roma friulani in America Latina, Verona, Cierre edizioni, 1994).
capitalistico. Era giusta dunque a suo giudizio la scelta del partito di non scendere (5 negli Stati Uniti), Palermo e Venezia (4 negli Stati Uniti)
18
Corti, L’emigrazione italiana in Francia ... cit.
in piazza contro gli operai francesi. Tale vicenda fu però tutt’altro che occasionale e 15
P. Mantegazza, Rio de la Plata e Tenerife. Viaggi e studi, Milano,
19
Sori, Mercati e rimesse, in Storia d’Italia, Annali, 24, Migrazioni ... cit.,
Brigola, 1867, p. 11. «Povero quel paese – aggiungeva – che non 2009, pp. 254-255.
si legava ad un profondo malessere che circolava nel mondo operaio francese, ostile
abbia una terra lontana e quasi sua dove possano trapiantarsi i vio- 20
Nel 1916, don Luigi Sturzo avrebbe dato vita al Consorzio Emi-
nei confronti dell’emigrazione italiana. Tensioni analoghe, sia pur di minore entità, lenti e gli impazienti, dove possano errare le comete della società grazione e Lavoro che aveva come obiettivi l’assistenza materiale e
si registrarono a Berna nello stesso anno e a Zurigo nel 1896 dove furono devastati civile; dove possano guarirvi gli ammalati nel sangue o nel cervello. spirituale agli emigrati e lo stimolo alle istituzioni perché affrontas-
Quando l’emigrazione non è fuga, né vendetta sociale, è divellente sero con attenzione i temi dell’emigrazione (G. Rosoli, Movimento
caffè e ristoranti gestiti da italiani. L’immagine degli italiani come una massa di che mantien vigoroso ed agile l’organismo delle nazioni». cattolico ed emigrazione, in Dizionario storico del movimento cattoli-
emigranti “straccioni” pronti ad accettare paghe da fame per la drammaticità delle 16
P. Brunello, Pionieri: gli italiani in Brasile e il mito della frontiera, co in Italia, 1860-1980, I fatti e le idee, Casale Monferrato, Edizioni
Roma, Donzelli, 1994, p. 58. Marietti, 1981, voll. 1/2, pp. 137-142).
condizioni da cui partivano tendeva a divenire un clichè ricorrente. 17
Il numero degli emigranti friuliani oscillò nel periodo compreso tra
21
M.R. Ostuni, Leggi e politiche di governo, in Storia dell’emigrazione ita-
la metà del XIX secolo e gli anni Ottanta intorno alle 16-20.000 liana, a cura di P. Bevilacqua-A. De Clementi-E. Franzina, Roma,
Note unità, per salire fino alle 37.000 del 1891 e alle 56.000 del 1899. Donzelli, 2002, vol. I, pp. 310-311; P. Borruso, Note sull’emigrazione
Ciò significava il passaggio da una percentuale della popolazione clandestina (1876-1976), in Emigrazione e storia d’Italia, Luogo di
1
P. Corti-M. Sanfilippo, Introduzione, Storia d’Italia, Annali, 24, 10
E. Sori, La politica emigratoria italiana 1860-1973, in «Popolazio- residente nella provincia di Udine dal 7,3% al 10,3% del 1899. pubblicazione?, Pellegrini editore, 2003, pp. 251-252.
Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, pp. XIX-XXI, G. Pizzorusso, ne e Storia», IV (2003), pp. 139-172; G. Tintori, Cittadinanza e Nel 1903, secondo l’indagine condotta da Giovanni Cosattini, gli 22
R. Paris, Gli italiani fuori d’Italia, in Storia d’Italia, Torino, Einau-
Mobilità e flussi migratori prima dell’età moderna: una lunga intro- politiche di emigrazione nell’Italia liberale e fascista. Un approfon- emigrati che lasciavano il Friuli erano, annualmente, circa 80.000, di, 1975, vol. IV, pp. 529-530.
duzione, in «Archivio storico dell’emigrazione italiana», III (2007), dimento storico, in Familismo legale, a cura di G. Zincone, Roma, pari al 13% della popolazione residente; una percentuale che tene- 23
E. Barnabà, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues Mortes, In-
pp. 205-222. Laterza, 2006, pp. 52-106, L. Einaudi, Le politiche dell’immigra- va conto anche della cospicua emigrazione informale. Questi flussi finito, 2009 e G. Sanna, Gli immigrati italiani in Francia alla fine
2
R. Romano, Il lungo cammino dell’emigrazione italiana, in «Altrei- zione in Italia dall’Unità ad oggi, Roma, Laterza, 2007. si dirigevano in gran parte verso varie zone dell’Impero asburgico dell’Ottocento e il massacro di Aigues Mortes, in «Studi storici»,
talie», 7 (gennaio-giugno 1992). 11
P. Audenino-M. Tirabassi, Migrazioni italiane, Milano, Bruno fino alla Prima Guerra Mondiale, quando conobbero un brusco XLVII (2006), pp. 185-218. Per questa freddezza Giolitti fu dura-
3
P. Corti, L’emigrazione italiana in Francia. Un fenomeno di lunga Mondadori, 2008, p. 34. arresto; nel 1915 furono meno di 2000 gli espatri che ripresero mente attaccato e le polemiche nei suoi confronti si unirono alle
durata, in «Altreitalie», 26 (gennaio-giugno 2003). 12
In questi anni iniziavano a fiorire i primi canti degli emigranti e i dal 1920, indirizzandosi però verso la Francia, la Svizzera, gli Stati tensioni legate allo scandalo della Banca Romana.
4
M. Sanfilippo, La storiografia sui fenomeni migratori a lungo raggio primi versi popolari dedicati all’argomento. Spesso i toni erano par-
nell’Italia dell’età contemporanea, in «Bollettino di Demografia ticolarmente crudi come risulta dalle poche righe scritte nel 1881
Storica», 13 (1990), pp. 55-66. dal dirigente socialista Ferdinando Fontana: «Noi siamo pecore,
5
E. Franzina, Gli italiani al nuovo mondo, Milano, Mondadori, figli di pecore. Di generazione in generazione i lupi si scaldano con
1995, pp. 105-106. la nostra lana e si cibano con la nostra carne. Un giorno vennero a
6
A. Golini, Immagini statistiche dell’Italia unita, in Storia d’Italia, dirci che in un paese molto vasto, ma molto lontano, noi avremmo
Torino, Einaudi, 1976, vol. XX, p. 724. potuto campare meno peggio. Oh pecore, pecore – ci gridarono – ba-
7
Esistono anche stime più prudenti in merito al numero di “regni- date che c’è il mare da attraversare. E noi lo attraverseremo. E se fate
coli”, di italiani residenti all’estero al momento dell’Unificazione; naufragio e vi annegate? Meglio morire d’un colpo che agonizzare
secondo Franzina, infatti, sarebbero stati circa 200.000. «Oltre tutta la vita. Oh povere pecore, ma voi non sapete che in quel paese
200.000, per la precisione, distribuiti ancora inegualmente fra va- molto vasto e molto lontano ci sono delle malattie tremende.Nessuna
rie parti del mondo che presto sarebbero divenute meta dei nostri malattia potrebbe essere più tremenda di quella che noi soffriamo
emigranti popolari particolarmente del nord. Quasi 80.000 erano, a di padre in figlio: la fame».
quella data, i nostri connazionali presenti in Francia e circa 30.000 13
Nella seconda metà dell’Ottocento, i piroscafi europei diretti in
fra Svizzera e Germania, mentre nelle “lontane Americhe”, come Brasile avevano come destinazione principale i porti di Rio de Ja-
si usava dire allora, se ne contavano 100.000, metà dei quali solo neiro e Santos. Fino alla metà degli anni Settanta, il viaggio in
negli Stati Uniti. Frammisti in mezzo a loro, sia lì che nell’America nave verso le Americhe avveniva con imbarcazioni a vela e poteva
ispano-portoghese, si trovavano senz’altro i protagonisti dell’esilio durare fino a 60 giorni. Con l’avvento della navigazione a vapo-
risorgimentale che tanti ne aveva portati all’estero più e meno lon- re, intorno agli anni Novanta, tale arco di tempo venne ridotto a
tano a cominciare, s’intende, da Garibaldi (ma lo stesso si potrebbe 20/30 giorni. Tra le compagnie figuravano La Veloce, Navigazione
dire per Foscolo, per Mazzini o per molti altri patrioti liberali in Generale Italiana, Ligure Brasiliana, Lavarello, Navigazione Italo –
Francia e in Inghilterra, quasi sempre futuri leader o notabili del- Brasiliana, Lloyd Italiano Royal Mail. Pur con le dovute differenze
le comunità etniche sortevi fra Otto e Novecento)» (E. Franzina, legate al periodo e alla stazza, queste navi potevano trasportare
L’emigrazione italiana. Un fenomeno dimenticato dell’emigrazione più di 1000 passeggeri per traversata, circa un terzo della loro rea-
nazionale, in «Storia e Futuro», 25 [2011]). le capacità, (1/3 o tre volte la loro reale capacità?) con il risultato
8
Franzina, Gli italiani al nuovo mondo ... cit., p. 133. che nella maggior parte dei casi i migranti viaggiavano stipati in
9
L’emigrazione italiana all’estero, in «Il giro del mondo», V (1866), terza classe (A. Trento, Là dov'è la raccolta del caffè. L'emigrazio-
p. 133. ne italiana in Brasile: 1875-1940, Padova, Antenore, 1984, p. 64).

31 32
Capitolo secondo

L’esplosione

1. Verso il boom grandi circoscrizioni: Nord-Ovest; Nord-Est; Centro; Sud e Isole. Nel periodo preso in esame,
l’articolazione dei dati microeconomici obbediva solitamente ad una logica meramente
amministrativa. Prima che si affermasse l’attuale articolazione territoriale, era abbastanza diffusa
Il decennio 1891-1900 conobbe un’ulteriore crescita nel numero degli espatri che furono la tripartizione adottata nella presente tabella
Sezione femminile di una scuola italiana
nell’insieme 2.834.730, di cui 1.288.000 in direzione dell’Europa e 1.546.730 verso i Pa- a New York, nel 1892 (Archivio CSER,
esi extraeuropei. Di particolare interesse risultano le provenienze regionali che registra- Centro Studi Emigrazione Roma).
Simili numeri resero necessaria una nuova definizione normativa del fenomeno mi-
L’organizzazione delle comunità italiane
no negli anni giolittiani una decisa “meridionalizzazione” dell’emigrazione, e più nello gratorio che si concretizzò nel 1897. Con il decreto 20 maggio, n. 178, infatti furono
all’estero divenne fondamentale per tutelare
specifico ancora l’esplosione degli espatri dalla Sicilia 1, come emerge dalla tabella: i connazionali dopo il difficile momento stabiliti la distinzione fra viaggi di breve e di lunga navigazione, con destinazione ri-
dell’arrivo e per promuovere un’immagine
spettivamente all’interno e al di fuori del Mediterraneo, e un regime di visite ispet-
Provenienza regionale degli emigranti italiani nei periodi 1876-1900 e 1901-1915. Valori dell’emigrato italiano lontana dagli
assoluti e percentuali stereotipi razzisti che si stavano diffondendo. tive ai piroscafi che vi erano addetti. Quelli impiegati per i viaggi di lunga navigazio-
Anche per questo scopo nacque nel 1889, ne erano sottoposti in primo luogo a un’ispezione speciale e, in occasione di ciascun
(1901-1945)- su iniziativa di Giosue Carducci ed altri
1876-1900 1876-1900 1901-1915 1901-1915 viaggio, ad altre due visite, preliminare o preparatoria e definitiva o di partenza, per
(1876-1900)
intellettuali la Società Dante Alighieri.
Variazione Come recita il primo articolo dello Statuto le quali si costituiva una specifica commissione, presieduta da un ufficiale del porto.
Regione (*) valori assoluti % valori assoluti %
percentuale il sodalizio aveva il compito di «tutelare e Sulle navi che trasportavano più di 300 emigranti era previsto anche l’imbarco di un
Piemonte 709.076 13,49 831.088 9,48 17,21 diffondere la lingua e la cultura italiana nel
Lombardia 519.100 9,87 823.695 9,39 58,68
commissario governativo, incaricato di verificare il buon andamento del viaggio e il
mondo, ravvivando i legami spirituali dei
Veneto 940.711 17,89 882.082 10,06 -6,23 connazionali all’estero con la madre patria rispetto delle disposizioni di legge da parte del capitano e del personale di bordo.
Friuli Venezia Giulia 847.072 16,11 560.720 6,39 -33,80 e alimentando tra gli stranieri l’amore e il Nel 1901 intervenne poi la cosiddetta legge Luzzatti, finalizzata per la prima volta
Liguria 117.941 2,24 105.215 1,20 -10,79 culto per la civiltà italiana»
ad introdurre un piano organico di assistenza e di tutela dell’emigrazione. Tale leg-
Emilia 220.745 4,20 469.430 5,35 112,66
Toscana 290.111 5,52 473.045 5,39 63,06
Umbria 8.866 0,17 155.674 1,78 1655,85
Marche 70.050 1,33 320.107 3,65 356,97
Lazio 15.830 0,30 189.225 2,16 1095,36
Abruzzo 109.038 2,07 486.518 5,55 346,19
Molise 136.355 2,6 171.680 1,96 25,91
Campania 520.791 9,90 955.188 10,89 83,41
Puglia 50.282 0,96 332.615 3,79 561,50
Basilicata 191.433 3,64 194.260 2,22 1,48
Calabria 275.926 5,25 603.105 6,88 118,57
Sicilia 226.449 4,31 1.126.513 12,85 397,47
Sardegna 8.135 0,15 89.624 1,02 1001,71
Totale Italia 5.257.911 8.769.784 66,79
* nota: prima del 1915, la provincia di Aosta era inserita nel Piemonte; inoltre non esisteva la
Regione Trentino-Alto Adige

Questo processo emerge con maggiore evidenza dalla seguente tabella di sintesi:

Distribuzione degli emigranti italiani fra le tre grandi circoscrizioni territoriali nei periodi 1876-
1900 e 1901-1915. Valori assoluti e percentuali

Periodo Italia settentrionale Italia centrale Italia meridionale Totale Italia


Valori assoluti
1876-1900 3.354.645 384.862 1.518.409 5.257.916
1901-1915 3.672.230 1.138.051 3.959.503 8.769.784
Valori percentuali
1876-1900 63,80 7,32 28,88 100,00
1901-1915 41,87 12,98 45,15 100,00

Nota: dall'inizio degli anni Sessanta si è soliti articolare i dati socio-economici nelle quattro

35 36
ge interveniva in un quadro politico complesso dove anche una parte dei socialisti
individuava negli espatri temporanei un elemento utile nei confronti degli squilibri
economici nazionali mentre un’altra si orientava in maniera netta verso posizioni
antiemigrazioniste. Alla luce di ciò era avvertita da molti l’esigenza di misure che
non si fermassero alla liberalizzazione delle partenze in nome del pieno rispetto del-
la libertà individuale ma fornissero garanzie reali di assistenza per gli emigrati una
volta sbarcati nei paesi di destinazione. Nello specifico l’articolo 3 definiva come
chiaramente illegale l’azione di chi avesse favorito l’espatrio di bambini con meno di
15 anni, destinati a «industrie pericolose per la salute» o a «professioni girovaghe».
Era vietato anche l’abbandono in Paesi stranieri di ragazzi minori di 17 anni ed in
Due manifesti pubblicitari di inizio
entrambi i casi era stabilita una pena reclusiva nel caso di violazioni della norma. secolo. Con l’introduzione del vapore ed
L’articolo 6 procedeva alla definizione di “emigrante” qualificando come tale «il il progressivo abbandono dei velieri, si era
cittadino che si rechi in paese posto di là del canale di Suez, escluse le colonie e i assistito al boom delle compagnie, sorte
soprattutto a Genova e Napoli. Il porto
protettorati italiani, o in paese posto di là dello stretto di Gibilterra, escluse le coste partenopeo, con l’esplosione dell’emigrazione
In questo disegno a colori di fine Ottocento
la sezione trasversale del Vapore Duilio. d’Europa, viaggiando in terza classe o in classe che il commissariato dell’emigrazio- meridionale di inizio secolo, avrebbe presto
Nonostante l’immagine sia accattivante, ne dichiari equivalente alla terza attuale». Si trattava di un primo tentativo organico superato lo scalo ligure (MEGT)
le condizioni di vita a bordo presentavano
enormi differenze fra le prime due classi e la
di fissare una fattispecie a cui applicare regole particolari la cui declinazione era
terza (MEGT) affidata in primis ad un Commissariato generale dell’emigrazione, creato dalla legge
medesima, che dipendeva dal Ministero degli Esteri e riuniva funzioni fino ad allora
disperse fra vari ministeri 2. Tra le mansioni del Commissariato figurava il controllo
delle Compagnie di navigazione per evitare che ingannassero gli emigranti e, al con-
militare, e una serie di obblighi in capo alle amministrazioni periferiche, im-
trario, garantissero loro condizioni di vita accettabili durante la traversata. La legge
ponendo ai Comuni di creare un Comitato per “scortare” gli emigranti ai porti
stabiliva infatti che alle grandi agenzie di viaggio, in genere genovesi o napoletane,
di imbarco; questa rete sarebbe stata finanziata da un Fondo Emigrazione che
si sostituissero proprio le Compagnie di navigazione e gli armatori allo scopo di
tratteneva 8 lire su ogni singolo biglietto e riscuoteva le multe inflitte alle Com-
rendere possibili migliori controlli, evitando truffe e forme di sfruttamento di varia
pagnie di navigazione. Al contempo veniva avviata un’azione volta a modificare
natura. Queste misure non riuscirono tuttavia a cancellare il ruolo dei mediatori che
erano nel 1901 ben 10.000, rispetto ai 5000 del 1892, e che dopo il varo della legge l’atteggiamento dei consoli italiani in terra straniera, da sempre ostili nei confron-
finirono per essere assunti dalle stesse Compagnie di navigazione. Alcune di tali ti dell’emigrazione italiana. Il testo di legge prevedeva anche la pubblicazione del
realtà fecero proprio per effetto della legge del 1901 un salto di qualità, inserendosi “Bollettino dell’Emigrazione” che avrebbe dovuto fornire indicazioni precise sul
nel sistema dei grandi cartelli internazionali che gestivano rotte specifiche in modo mercato del lavoro internazionale; certamente uno dei limiti maggiori della nuova
monopolistico, con la conseguente prerogativa di definire i prezzi delle traversate architettura regolamentare dei fenomeni migratori era costituito però dalla estre-
stesse; una misura questa che indeboliva molto il controllo sui prezzi dei noli affi- ma esiguità delle risorse messe a disposizione dei nuovi organismi e delle nuove
dato al Commissariato. In tal senso si realizzava una sorta di compromesso tra le iniziative che si trovarono da subito ad essere drasticamente ridimensionati nelle
posizioni di Luzzatti, duro nei riguardi di agenti e subagenti, e l’onorevole Pantano loro capacità di intervento 4. Nella direzione dell’indebolimento dell’efficacia del-
che in Parlamento aveva animato una decisa opposizione alla legge in difesa di tali la legge si muovevano soprattutto gli agrari, contrari alla libertà di emigrazione
categorie 3. Peraltro rimase quasi interamente disatteso il divieto per i vettori di «ec- perché faceva aumentare il costo della manodopera disponibile, e i liberisti, ostili
citare pubblicamente ad emigrare» con circolari, manifesti o altre forme di pubbli- a forme di regolazione statale che, tuttavia, con le loro pressioni finivano per
cità che, secondo la legge, non avrebbero potuto essere in alcun modo ingannevoli. favorire le grandi Compagnie monopoliste; queste ultime ancora nel 1903 erano
La norma voluta da Luigi Luzzatti, che la definiva animata da «uno spirito di in grado di coprire soltanto poco più del 40% del mercato delle traversate ocea-
pace sociale e di solidarietà», introduceva inoltre controlli durante la traversata niche in partenza dall’Italia 5. Nella sostanza, la legge non riusciva a modificare
affidati ad ispettori regi e a medici in servizio nel corpo dei medici della Marina in profondità il quadro esistente, nel quale continuava ad essere decisivo anche il

37 38

ruolo di sostegno alla migrazione svolto dalle associazioni cattoliche e laiche. Già te” 209.8315? migranti mentre nello stesso anno da Genova le partenze furono
nel 1905, Francesco Saverio Nitti criticava apertamente il testo in Parlamento, sot- 136.166 e da Palermo 62.745. La crescita degli imbarchi dal porto di Genova si
tolineando come la normativa in questione avesse prodotto quale unico risultato era sviluppata in particolare tra il 1867 e il 1876, con oltre 20.000 partenze all’an-
un aggravio del costo dei noli, destinato a peggiorare ulteriormente le condizioni no, quattro volte superiori ai sei anni precedenti. Gli imbarchi erano divenuti
dei migranti, e critiche analoghe provennero anche dagli ambienti socialisti, dove poi oltre 45.000 all’anno tra il 1881 e il 1885, e raddoppiarono, toccando quasi le
restava decisivo il ruolo dell’Umanitaria e tendeva a prevalere, in tema di emigra- 100.000 partenze (99.287 di media) nel quinquennio successivo e arrivando dal
zione, la posizione dei riformisti, solleciti a caldeggiare l’iscrizione dei lavoratori 1891 al 1895 a 106.158 all’anno, con una successiva diminuzione tra il 1896 e il
italiani ai sindacati dei Paesi di destinazione. Peraltro i tentativi di costruire una 1901 a 95.792 di media annua. Come accennato, anche la percentuale di traffico
struttura statale finalizzata a regolare i processi migratori entravano in contrasto per il porto di Genova calò dal 61 al 54% all’inizio del secolo nuovo a fronte di
con la linea fino ad allora seguita dalla CGdL di fungere da organo di controllo una forte crescita delle partenze da Napoli, più vicina alle regioni del Sud da cui
selettivo dei medesimi flussi e la creazione, in seno alla legge Luzzatti, di un Con- provenivano ormai le masse più numerose di emigranti; nel 1918 Raffaele Viviani
siglio dell’emigrazione con la partecipazione di rappresentanze operaie tendeva a avrebbe descritto in maniera efficace la situazione napoletana nell’atto unico Sca-
conferire all’azione sindacale compiti decisamente sussidiari rispetto allo Stato. lo Marittimo. Qui, tuttavia, la forte crescita degli imbarchi non si tradusse in un
La modifica normativa non contribuiva a risolvere soprattutto le principali que- reale stimolo per l’economia locale sia per la mancanza di collegamenti ferroviari
stioni logistiche connesse ai fenomeni migratori, che prendevano forma in ma- con il resto del Meridione sia per l’estrema debolezza delle iniziative industriali
niera impetuosa entro strutture assai lacunose. Nei porti d’imbarco – a Napoli, locali. Erano poche le società per azioni che si occupavano di commercio estero
a Genova, a Palermo, definiti dalla legge del 1901 i soli autorizzati in tal senso e delle 32 compagnie di navigazione presenti nello scalo napoletano nel 1903 la
– erano pochissime le locande destinate ad accogliere legalmente i migranti e pro- maggior parte era straniera; ancora nel 1910 dei 32 piroscafi che partivano da Na-
liferavano le locande abusive. A Napoli, nel 1907, tali locande riuscirono di fatto poli alla volta degli Stati Uniti soltanto quattro battevano bandiera italiana 6.
ad ottenere la chiusura di una “Casa dell’emigrante” che avrebbe potuto disporre Le novità introdotte dalla legge del 1901 non riuscirono a modificare in profon-
di 900 posti letto e che aveva già ottenuto i permessi necessari. In questo senso, dità le condizioni di vita degli emigranti durante le lunghe traversate in nave che
gran parte dell’economia che gravitava attorno al mondo dell’emigrazione conti- continuavano ad essere molto dure, come testimoniano i dati sulla mortalità nel
nuava a conservare caratteri di natura informale. Mancavano anche le strutture periodo 1903-1935. Per i viaggi di andata in Nord America i picchi di mortalità si
adeguate per l’imbarco dei passeggeri; solo a Genova, dove nel 1905 esistevano ebbero nel 1917, 1918 e 1922 con tassi dello 0,7, 1,2 e 0,6 per mille, mentre per le
33 locande per migranti, fu costruito un molo apposito, il Ponte Federico Gu- destinazioni verso il Sudamerica gli anni peggiori furono il 1920, 1921 e 1922 con
glielmo, con la successiva realizzazione di una stazione marittima che assolveva ai
servizi di sala d’aspetto per i passeggeri. I lavori si erano svolti tra il 1877 e il 1890,
con la costruzione, oltre al nuovo ponte Federico Guglielmo, di una dogana, di
un deposito bagagli, di uffici di pubblica sicurezza, con spaccio e latrine posti in
un grande edificio, al quale si affiancava un altro fabbricato per le visite sanitarie.
Tra i due corpi esisteva una tettoia in lamiera, chiusa lateralmente da vetrate, che
aveva una capienza quotidiana di 2000 persone in attesa d’imbarco. Il ponte Fe-
derico Guglielmo, poi Ponte dei Mille, fu ampliato nei primi anni del Novecento
per consentire l’attracco contemporaneo di quattro grandi bastimenti. Nel 1912
fu approvato il progetto della nuova stazione marittima, ma la guerra e le difficol-
tà economiche impedirono fino al 1924 l’inizio dei lavori che porteranno nel 1930 Dopo una lunga e difficile navigazione,
giungeva il momento dello sbarco: emigranti
all’inaugurazione della stazione marittima concepita anche per «evitare ogni pro- italiani in uno degli alloggi predisposti dal
miscuità tra i passeggeri di prima e seconda classe e quelli di terza». Nonostante Governo uruguaiano a Montevideo (a destra);
ciò il numero degli imbarchi nel porto ligure, da cui era passato nel periodo 1867- l’Hotel Des Immigrantes, a Buenos Aires, in
una foto del 1912: la struttura era destinata alla
1901 circa il 60% dell’emigrazione italiana, tese a diminuire rispetto alle partenze prima accoglienza dei nuovi arrivati (in alto)
che avvenivano dallo scalo di Napoli, da dove nel 1913 salparono “ufficialmen- (MEGT – Per terre assai lontane)

39 40
Tra il 1900 ed il 1906 la “Domenica del tina a bordo del piroscafo Nord America insieme a 1600 emigranti italiani e nel
Corriere” dedicò una serie di copertine di
1898 diede alle stampe il romanzo Sull’Oceano, che, avendo ben presenti anche
Beltrame alle tragiche vicende delle traversate.
In questa, del 19 agosto 1906 (Biblioteca altre tragedie marittime, raccontava i ventidue giorni di quel viaggio utilizzando
Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II, l’immagine classica dell’inferno dantesco per descrivere la condizione di estrema
Roma), è ritratto il naufragio del vapore Sirio,
sofferenza dei passeggeri di terza classe. Ancora più aspri erano stati i toni usati
uno dei simboli della navigazione italiana.
Varato nel 1883, raggiungeva la velocità di dal gesuita Francesco Saverio Rondina che tra il 1891 e il 1892 aveva pubblicato
15 nodi ed aveva 48 posti di prima classe, 80 a puntate su “La Civiltà cattolica” il romanzo L’ emigrante italiano, destinato ai
posti di seconda e ben 1290 di terza. Compì
parroci, in cui aveva raffigurato le sofferenze e gli stenti patiti dagli espatriati
il viaggio inaugurale da Genova al Plata nel
1883. La nave si incagliò in una delle secche italiani come espressione concreta del fallimento dello Stato liberale. Nei termini
più note del Mediterraneo, quella di Capo del paradigma del fallimento del processo risorgimentale il tema dell’emigrazio-
Palos, quando era in prossimità di raggiungere
ne fu utilizzato anche da Achille Salzano nel romanzo Verso l’ignoto. Il romanzo
Gibilterra. Le condizioni meteorologiche
erano ottimali ed il sospetto, mai chiarito, è dell’emigrante, edito nel 1903, e in maniera persino più dura da Enrico Corradini
che la nave si stesse avvicinando alla costa per ne La patria lontana, dove l’emigrazione veniva considerata una vera e propria
raccogliere dei clandestini. La maggior parte
umiliazione della patria. Nel 1907, Vincenzo Morello scriveva i quattro atti de La
dei passeggeri di terza classe morì annegata
e, nonostante le stime ufficiali parlino di 293 flotta degli emigranti, e due anni prima si era cimentato con il tema dell’emigra-
morti, le vittime superarono le 500 unità. zione Pirandello, autore dell’atto unico L’ altro figlio. Molteplici erano parimenti
Le operazioni di soccorso furono condotte in
modo dilettantesco, per quanto la nave fosse
i testi poetici che riassumevano gli stati d’animo degli espatriati, da quelli scritti
rimasta incagliata per sedici giorni. Pensando secondo schemi molto tradizionali come Gli emigranti dello stesso De Amicis,
al Sirio, Edmondo De Amicis concepì il a poesie meno legate a cliché già definiti, di cui Buenos Aires di Dino Campana
romanzo "Sull’oceano", mentre Francesco De
Gregori nel 2001 inserì in un album di ballate
ha costituito uno splendido esempio. Le amarezze e la durezza delle traversate
popolari la canzone "Il fischio del vapore", erano oggetto anche di numerose canzoni da “Addio a Napoli” del 1868, a “Santa
dedicata a questa tragica vicenda Lucia lontana”, fino a “Trenta giorni di nave a vapore”, a “Ma se ghe penso” e a
“Lacrime Napuletane”.
Simili condizioni, molto dure, non erano compensate neppure da una significativa
riduzione dei prezzi delle traversate; nel 1905 un “passaggio in terza classe” nel
servizio postale “direttissimo” del Lloyd Italiano da Genova a Buenos Aires
costava 185 lire. Molto frequenti erano anche i naufragi che in particolare
furono ripetuti, nel corso degli anni Novanta, da quello del bastimento inglese
Utopia, naufragato a Gibilterra nel 1891 con quasi 600 morti italiani a quello del
tassi dello 0,7 e dello 0,6 per mille (tre anni e due tassi?). Nel caso dei viaggi di Bourgogne, avvenuto nel 1898 con 549 morti in gran parte italiani. I primi anni del
ritorno, la mortalità era ancora più alta con punte, per le provenienze dal Nord Novecento, al contempo, rappresentarono la fase in cui si ebbe un vero e proprio
America del 2,1, 2,9 e 3,1, per mille nel periodo 1916-18, e dell’1,8 per mille per salto di qualità nella flotta “nazionale” destinata al trasporto degli emigranti: nel
quelle dall’America meridionale nell’arco di tempo 1919-1921. Nel periodo 1903- 1903 fu varato il transatlantico Città di Genova, nel 1904 fu la volta del Mendoza e
1913, il Commissariato per l’emigrazione registrò 2027 casi di malaria e 3052 casi del Caserta-Venezuela, nel 1905 del Florida e del Bologna, nel 1906 del Louisiana,
di morbillo tra gli emigranti diretti in America segnalando parimenti una note- dell’Indiana, del Lazio-Palermo, del Principe di Udine e del Virginia.
vole differenza tra i tassi di morbosità registrati nelle correnti dirette al Nord ri-
spetto a quelle dirette verso il Sud America – rispettivamente 9,6 e 19,9 – dovuta,
oltre alla maggiore durata della traversata, al fatto che nell’America meridionale si 2. Ricadute economiche e rimesse
dirigevano anche emigranti che probabilmente sarebbero stati respinti dagli Stati
Uniti per le loro condizioni di salute 7. Un’efficace rappresentazione di tali asprez- Nonostante i molteplici ritardi e l’arretratezza del settore navale, il trasporto di
ze fu fornita da Edmondo De Amicis che nel 1894 viaggiò da Genova in Argen- emigranti rappresentò un’importante risorsa per la marina mercantile italiana

41 42

tivano all’economia italiana notevoli vantaggi oltre alla già ricordata capacità di
sanare in diversi momenti il deficit commerciale. Tra il 1894 e il 1908, la quota
della produzione agricola italiana sul Prodotto Interno Lordo passò dal 42,4 al
37,6% mentre quella dell’industria manifatturiera dal 17,5 al 37,6%; in tale pro-
cesso si determinò una forte crescita delle importazioni di beni di investimento
connessa con il declino della manifattura tessile e con lo sviluppo della mecca-
nica. Una simile massa di importazioni, dettata anche dal più generale ritardo
del sistema produttivo italiano, fu in larga misura “coperta” proprio grazie alle
rimesse e all’“esportazione” di manodopera che contribuiva a tenere i salari reali
molto bassi, come testimonia una crescita dei consumi pro-capite, tra il 1894 e il
1908, soltanto dell’ 1,6% all’anno. I dati risultano assai eloquenti nel certificare il
complesso dei benefici. Nel periodo 1886-1890 la bilancia commerciale registrò
un disavanzo, a prezzi correnti, di 368 milioni di lire e la bilancia dei pagamenti
di 255 milioni. Dal 1891 fino al 1914 la bilancia dei pagamenti conobbe invece un
avanzo stabile sia pure in presenza di un disavanzo della bilancia commerciale.
Inoltre, anche per effetto delle rimesse fu possibile, nei medesimi anni, la sostan-
ziale stabilizzazione dalla lira. Tra gli ulteriori benefici figurava infatti la possibi-
lità di “rinazionalizzare” il debito pubblico italiano collocato presso compratori
esteri, di accrescere le riserve auree e di praticare una politica monetaria in grado
di limitare la volatilità dei cambi. In particolare grazie agli acquisti operati dagli
emigranti si ridusse sensibilmente il costo dell’indebitamento statale, tanto che il
rendimento annuo del Consolidato passò dal massimo storico del 9,90% nel 1867,
Una carta geografica che riproduce le rotte e consentì ai porti italiani di inserirsi nel mercato internazionale dei trasporti con uno spread del 67% rispetto al coevo Consolidato inglese, al 3,6% del 1913
in partenza da Genova tra il 1906 ed il
marittimi. Le difficoltà dipendevano dalle lentezze con cui era avvenuto il pas- con uno spread crollato al 6,1% 9. La sola sede di Campobasso della Banca d’Ita-
1935 (Bollettini del C.A.I., Archivio Storico lia realizzò acquisti di rendita per conto terzi per somme comprese tra 700.000
Autorità Portuale di Genova) saggio dalla vela al vapore, dalle insufficienze strutturali dei porti, degli arsenali
e 1 milione di lire l’anno tra il 1905 e il 1907, raccogliendo 10 milioni di cartelle
e dei bacini di carenaggio, e dalle debolezze finanziarie dei gruppi armatoriali.
presentate al cambio decennale nel 1905 e oltre 27,5 milioni per la conversione
Nel 1861, il rapporto vela-vapore era di 1:13 e la portata media del naviglio era
dell’agosto di due anni più tardi.
di 36 tonnellate; nello stesso periodo, in Inghilterra il rapporto era sceso a 1:4,
Le rimesse in denaro produssero poi un aumento delle disponibilità nelle zone
con una portata media di 213 tonnellate. Nel 1914, la flotta italiana destinata
d’origine che favorì senza dubbio la mercantilizzazione delle agricolture locali,
alle rotte dell’emigrazione contava oltre quaranta grandi piroscafi, per un ton-
modificando così le abitudini alimentari e la natura dei consumi stessi. Non è
nellaggio complessivo di 250.000 tonnellate, per quanto coprisse ancora meno
certo casuale che in questa fase il Prodotto interno lordo pro-capite degli italiani
del 50% del traffico complessivo. Godeva però di una condizione di monopolio crebbe, dopo anni di stagnazione, dalle 2367 lire del 1901 alle 2813 del 1911 10.
di fatto che la rendeva una voce di entrata nella sostanza protetta, in grado di Come accennato, per rendere più facile la trasmissione delle rimesse, nel febbraio
resistere alle oscillazioni delle congiunture e, per molti versi, quasi “anticiclica” del 1901 fu varata una legge specificatamente rivolta alla «tutela del risparmio e
rispetto agli andamenti della bilancia commerciale. In questo senso i proventi delle rimesse degli emigrati italiani all’estero» con cui veniva individuata nella
del trasporto di emigrati colmarono le minori entrate del trasporto merci che loro “bancarizzazione” attraverso il Banco di Napoli la via protetta per il trasfe-
risentiva degli scarsi flussi, dei troppi viaggi a vuoto e comunque del trasferi- rimento del denaro fino ad allora riportato in patria mediante canali assai incerti
mento di merci “povere” e peso-perdenti 8. di natura “informale”. Dal 1902 al 1913, l’istituto meridionale ricevette circa 290
Continuava a crescere soprattutto il peso delle rimesse degli emigranti – la cui milioni di lire l’anno dalle rimesse, una cifra assai superiore al gettito complessi-
trasmissione era stata affidata in sede normativa al Banco di Napoli – che garan- vo, in quegli anni, delle imposte dirette riscosse dallo Stato. La legge autorizzava

43 44
Una cartolina di immigrati italiani in Scozia,
risalente al 1915 (Archivio Paolo Cresci per
la storia dell’emigrazione italiana)

La carta intestata della ditta dei Fratelli di familiari degli emigranti o dei “banchieri informali” presenti nelle varie co-
Luchini, nell’Ohio, 1916 (Archivio Paolo
munità espatriate.
Cresci per la storia dell’emigrazione
italiana). I soldi dei nostri connazionali A risultare particolarmente proficui furono, intorno al 1910, dopo una fase molto
il Banco di Napoli ad impiegare fino a due milioni di lire delle proprie riserve ob- furono determinanti in età giolittiana per più dura, gli impieghi negli Stati Uniti dove un anno di lavoro fruttava 1000-1500
la riduzione del debito pubblico italiano,
bligatorie per avviare questo servizio, prevedendo anche la realizzazione di una lire al netto dei costi del cambio valutario che era qui meno volatile che altrove
che il Governo raggiunse attraverso la
rete di succursali internazionali. Gli utili che il Banco di Napoli avrebbe ottenuto diminuzione dei tassi d’interesse sui titoli di e si abbinava a pratiche di trasferimento assai meno costose. In termini assoluti,
dal servizio sarebbero stati destinati per metà a ricostituire la massa di rispetto Stato: la legge sulla conversione della rendita
il valore delle rimesse passò da poco meno di 600 milioni di lire annue nel corso
e per metà al Fondo per l’emigrazione creato con la legge n. 23 del 31 gennaio degli anni Ottanta a 1554 milioni nel 1895 indirizzati, oltre che alla sottoscrizione
1901. Una volta ricostituita la massa di rispetto, gli utili sarebbero stati divisi tra di titoli del debito pubblico, all’acquisto di cartelle fondiarie e ai depositi presso
il Banco di Napoli e il Fondo per l’emigrazione. In realtà, gli effetti della legge Casse postali e Casse di risparmio che crebbero nel Meridione del 75% nei primi
furono almeno inizialmente limitati perché gli emigranti giudicavano troppo alti anni del Novecento contro il 15% delle regioni settentrionali. Fra il 1901 e il 1913,
i costi di trasmissione richiesti dal Banco di Napoli che riuscì ad attrarre a lungo l’insieme delle rimesse fu in grado di coprire da solo oltre la metà delle entrate de-
meno del 10% delle rimesse complessive, destinate a tornare in patria nelle mani rivanti dalle partite invisibili con un gettito attivo di 12.291 milioni a fronte di un

45 46

deficit commerciale di 1023 milioni di lire. Con tali risorse fu possibile sostenere, Due boscaioli italiani nel Nevada,
nel 1914. Come aveva osservato Luigi
in particolare dopo la crisi del 1907, la crescente richiesta delle materie prime
Einaudi all’inizio del secolo, gli italiani si
necessarie all’emergente industria italiana. In tale ottica i benefici delle rimesse segnalavano per la lavorazione del legno
finirono in larga misura al Nord, sia per la maggiore disponibilità di capitali sia (MEGT – Per terre assai lontane)
per l’accresciuta domanda di beni italiani provenienti dalle zone di emigrazione.
Se dunque il sistema bancario meridionale funzionò da catalizzatore delle rimes-
se, una parte importante di queste finì però per essere trasferita nelle regioni set-
tentrionali, dove peraltro i Comuni riuscirono a beneficiare maggiormente della
liquidità garantita dalla Cassa Depositi e Prestiti dove erano depositati i conti
correnti postali dei migranti 11. Questo eccezionale afflusso di denaro si legava in
gran parte alla natura “proletaria” dell’emigrazione italiana – descritta con toni
dolorosi da Pascoli nel 1904 nel lungo poemetto Italy con una partecipazione
limitata di interi nuclei familiari e di conseguenza spesso non definitiva, orientata
a trasferire risorse in patria a piccolissime realtà agricole non autosufficienti sul
piano finanziario per le quali tale liquidità proveniente dall’esterno era decisiva
soprattutto quella che passava per i canali informali e familiari. In Veneto e in
alcune aree meridionali le rimesse risultarono importanti nel favorire un almeno
parziale accesso dei nuclei contadini alla proprietà della terra come dimostrano i Aires su 662.000 abitanti quasi 182.000 erano italiani. Tra la fine dell’Ottocento
dati da cui emerge che i conduttori di terreni propri nel corso del primo decennio e i primi anni del secolo successivo prese corpo nella zona del Rio della Plata il
del Novecento passarono dal 18 al 32%. Spesso tali conduttori erano donne che cocoliche, una mescolanza di italiano e spagnolo che derivava il proprio nome da
la lontananza dei mariti trasformava in soggetti economici: nel 1901 su 10.679.000 un attore, tal Cocolicchio, che aveva costruito la sua recitazione su una ironica
lavoratori agricoli, le donne costituivano il 38,4%, nel 1911 su 10.336.000 rap- combinazione di parole italiane e spagnole creando un nuovo dialetto capace di
presentavano il 39,3%. L’ammontare delle rimesse non venne intaccato neppure riscuotere un grande seguito nella popolazione locale. Più in generale la presenza
dalla lievitazione dei noli passivi, che avvenne in alcuni momenti specifici e fu italiana ha determinato quella che è stata definita la resaca linguistica, la profonda
compensata dal largo utilizzo di biglietti prepagati e da varie forme di anticipi influenza dell’idioma italiano nei confronti dello spagnolo parlato in Argentina 12.
forniti da amici e parenti già espatriati. In tal senso proprio l’arretratezza del tes- Già Luigi Einaudi nel 1900 notava che gli italiani “spiccavano” nella lavorazione
suto economico nazionale e la solidità della rete di relazioni sociali tipiche delle del legno e «per quanto riguarda quella del ferro, non solo emergono, ma pra-
aree rurali del Meridione costituirono elementi fondamentali nel determinare ticamente la inventano». In realtà Einaudi non si era limitato ad una generica
la notevole consistenza delle rimesse che, come accennato, servirono in maniera considerazione ma aveva steso uno scritto molto articolato, Un principe mercante,
decisiva proprio all’ancora troppo debole processo di industrializzazione. in cui aveva tessuto le lodi dell’imprenditore Enrico Dell’Acqua, il quale, per tro-
vare un mercato ai suoi manufatti cotonati, si era trasferito in Argentina e in altri
paesi del Sud America convinto che la diffusa presenza di italiani avrebbe favo-
3. Geografie rito il commercio dei manufatti provenienti dalla penisola. In tale ottica, Einaudi
legava intimamente e in maniera organica emigrazione e sviluppo delle espor-
Nel periodo 1901-1910 gli espatri raggiunsero il punto massimo per un ammon- tazioni, dando un contributo importante alla definizione in termini positivi dei
tare complessivo di 6.026.690 unità, di cui 2.512.101 in direzione dell’Europa e fenomeni migratori; una valutazione che nel caso argentino era suffragata dalle
3.514.680 nei paesi extraeuropei, da dove tornarono in patria però 1.766.270 ita- buone condizioni con cui venivano accolti gli immigrati. Nel 1911 fu inaugurato
liani. Come già Particolarmente rilevanti risultavano gli espatri in Argentina pari, l’“Hotel de los Inmigrantes”, un complesso di quattro piani adiacente al molo di
nel periodo 1891-1900, a 367.220 unità e a 734.600 nel decennio seguente. Tali sbarco che comprendeva l’hotel propriamente detto, uffici di lavoro, ospedale,
dati contribuivano a far sì che il 35% degli imprenditori in Argentina fossero di cucina, panetteria e una mensa che ospitava fino a 1.000 persone a turno. Una
nazionalità italiana e rappresentassero il gruppo più numeroso; nella sola Buenos volta sbarcati, i nuovi arrivati alloggiavano gratuitamente per cinque giorni presso

47 48
l’hotel, un arco di tempo che poteva estendersi in caso di necessità. Soprattutto Agricoltori italiani si stabilirono inoltre a Santa Fe e nelle zone adiacenti della
gli stranieri in possesso dei documenti di viaggio e in buona salute erano ammessi provincia di Córdoba, dove la popolazione italiana passò da 4.600 unità nel 1869
senza di fatto procedere a vere e proprie selezioni tanto da rendere molto ridotto a 240.000 nel 1914. Questa presenza tanto cospicua determinò aspre repliche da
il numero delle permanenze illegali 13. parte della cultura argentina a partire dalle prese di posizione del medico Ra-
Nella città di Buenos Aires, nel 1895, erano di italiani 25 delle 29 fabbriche di let- mos Meija e di Rodriguez Larreta che stimolarono l’adozione di leggi di natura
ti, quasi tutte quelle di orologi per campanili, l’unica fonderia di campane, 2 delle repressiva approvate dal 1902 al 1910 e mosse anche dal timore di una rapida
3 fabbriche di tubi di piombo, e l’unica di ferro, le 3 più importanti fabbriche di diffusione di idee anarchiche e socialiste, alimentate dagli emigrati italiani 14. Tali
cucina a legna, una di quelle di ferro galvanizzato, una delle due di biciclette e le misure furono in parte smantellate proprio nel 1910 dopo l’elezione alla presiden-
uniche due che preparavano apparecchi per l’illuminazione a gas e a elettricità. za della repubblica di Roque Saenz Peña che avviò una politica di assimilazione
Nello stesso periodo si era modificata la provenienza geografica degli emigrati con destinata a trasformare gli italiani in nuovi argentini. Nel censimento del 1914, gli
un sensibile aumento della componente meridionale passata dal 45% del totale immigrati italiani continuavano a rappresentare la nazionalità più numerosa, con
nel 1895 al 54% nel 1910. Le rotte in direzione dell’Argentina, dove un elemento 930.000 unità, pari al 12% della popolazione, e con una evidente “meridionaliz-
di forte attrazione era costituito anche dalla notevole facilità ad acquistare a prezzi zazione” testimoniata dal fatto che il 40% degli arrivi proveniva dalla Campania,
stracciati l’ambita carne di manzo, continuavano ad essere gestite da pochissime dalla Basilicata, dalla Calabria e dalla Sicilia. In questa fase gli italiani arrivati in
società genovesi che reclutavano gli immigrati nelle regioni del Nord, li trasporta- Argentina si trovarono coinvolti in un triplice processo. In primo luogo vissero il
vano a destinazione, presentavano al Governo argentino progetti di colonizzazione grande slancio dell’economia argentina che stava acquisendo una struttura pro-
delle terre locali e riportavano in Italia grosse partite di cereali. Durante le prime duttiva efficiente. In relazione a tale sviluppo furono inseriti nella nuova stratifi-
ondate migratorie la componente femminile era molto bassa, con un rapporto di 1 cazione sociale del Paese, secondo modalità molto diverse da quelle allora in atto
donna ogni 3 uomini, e gli insediamenti avvenivano principalmente nei conventil- negli Stati Uniti o in Francia. Al tempo stesso non restarono esclusi neppure dalla
los sparsi per tutto il Paese; nel Chaco prese corpo una serie di imprese di lavora- costruzione della macchina statuale argentina e dunque furono partecipi di una
zione del cotone, mentre a Mendoza e a San Juan erano diffuse le aziende agrico- stagione assai intensa, certo più vitale di quanto non avvenne altrove 15.
le, a Tucuman la raffinazione dello zucchero e nel Rio Negro varie oasi frutticole. Gli espatri in direzione del Brasile nell’arco dei medesimi due decenni subirono
invece una parziale riduzione scendendo da 590.220 a 303.360 16. Qui l’emigra-
Due guide per gli emigrati italiani in zione italiana trovò lavoro soprattutto nell’edilizia tanto che nello Stato di San
Sudamerica e Transvaal. La prima, di Paolo, alla fine dell’Ottocento, circa 2/3 dei muratori e la maggioranza assolu-
Bernardino Frescura, è stata pubblicata nel
ta dei capomastri erano di provenienza italiana. A tali gruppi si aggiunsero, so-
1902 dall’Istituto Geografico De Agostini
(Biblioteca della Società Geografica Italiana, prattutto dopo l’abolizione della schiavitù nel 1888, i braccianti impiegati nelle
Roma). La seconda, di Vincenzo Ruggieri, piantagioni di caffé e poi nuclei di borghesi benestanti che ebbero un peso deci-
risale al 1903 (Biblioteca Storica Nazionale e
dell’Agricoltura, Roma). Il Brasile e l’Africa,
sivo nella “rivoluzione industriale e commerciale” dello Stato paulista. Restavano
in particolare quella del Sud, cominciavano tuttavia ampie sacche di povertà. Nel giugno del 1874, il «Jornal do Commercio»
ad essere aree di rilevante emigrazione di Rio de Janeiro scriveva: «Il colono non ha altra scelta che essere il servo del
proprietario e l’immigrante europeo si distingue dagli schiavi solo per il colore
della pelle» 17. Più in generale, tra il 1876 e il 1896, si assisté ad un’immigrazione
che si concentrò negli Stati di Santa Caterina, Paranà e Rio Grande do Sul ed
ebbe aspetti sociali assai diversi. A partire dal 1885 e sino agli inizi del nuovo
secolo, molti italiani trovarono occupazione, come accennato, nello Stato di San
Paolo e negli Stati di Espirito Santo e Minas Gerais, dove assumevano consisten-
za maggiore gli impieghi nel settore industriale e commerciale. L’afflusso di ita-
liani verso lo Stato di San Paolo, in particolare, fu favorito dal fatto che l’autorità
governativa pagava il viaggio agli immigrati; una pratica questa che si protrasse
fino al 1905 quando fu bloccata per la decisione del Governo italiano di vietare

49 50

temporaneamente l’emigrazione in Brasile a causa delle condizioni troppo dure Londra, 1915. Un bar gestito da emigrati
lunigianesi. Gli italiani in Inghilterra,
di lavoro imposte dai locali fazenderos. La stragrande maggioranza degli insedia-
circa 25 mila, erano specializzati nella
menti in Brasile era gestita da grandi agenzie, dopo la legge del 1901 legate alle ristorazione. Proprio agli italiani si riconosce
società di navigazione che erano in grado di mobilitare migliaia di lavoratori ita- il merito di aver introdotto il tradizionale
fish and chips ed il gelato. Ancora oggi in
liani stabilendo di fatto dove dislocarli nel Paese; spesso le agenzie facevano leva,
Gran Bretagna e Irlanda sono numerose le
nella loro opera di convincimento, sulla possibilità di un rapido raggiungimento attività di questo tipo gestite da italiani
della proprietà della terra e dei diritti civili, di un alloggio gratuito per alcuni (MEGT – Per terre assai lontane)
giorni in “hotel” per immigrati e del rimpatrio gratuito di vedove e invalidi. Le
regioni da cui provenne il maggior numero di immigrati furono il Veneto, con
circa 365 unità pari ad una percentuale di poco superiore al 29% del totale per
il periodo 1876-1920, seguito da Campania (13%), Calabria (9%) e Lombardia
(8,5%). Nell’ambito di tali flussi migratori, organizzati non di rado in colonie
di matrice comunitaria, tendeva a crescere, sia pure lentamente, la componente
femminile che passò da circa il 22% del periodo 1882-1890 al 33% nel 1913-1920,
una percentuale leggermente superiore a quella della componente femminile
nell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti 18.
Oltre che in Brasile e in Argentina, gli italiani si indirizzavano verso l’Uruguay, dove
si insediò una folta colonia valdese, in Perù e in Cile, che nel 1907 accoglieva più di
120.000 italiani. La presenza italiana in Perù, che sembrava destinata ad una signi-
ficativa crescita dopo che dai 3142 emigrati dalla penisola censiti a Lima nel 1857
si era giunti ad oltre 10.000 unità nel 1876, risultò invece molto più contenuta negli
anni seguenti, scendendo nei primi anni del Novecento a 6000 unità, composte in
larga prevalenza da liguri e piemontesi. Ciò dipese dai ritardi evidenti del mercato
interno e dalle dinamiche demografiche del Paese che non conobbero mai un vero
e proprio calo brusco delle nascite. Inoltre, in Perù come in Messico, non esiste-
vano quelle grandi estensioni di terre presenti in altri Paesi latino americani verso
cui si indirizzava la manodopera immigrata. Non deve essere trascurata neppure la
lontananza delle rotte del Pacifico, soprattutto prima della costruzione del canale
di Panama, avvenuta solo nel 1906. L’emigrazione italiana aveva in Uruguay radi-
ci settecentesche e si era rafforzata nei primi decenni dell’Ottocento. Nel periodo
immediatamente successivo all’Unità d’Italia, poi, sui bastimenti di cabotaggio che
arrivavano nel porto di Montevideo si stimava che fossero presenti almeno 6000
membri di equipaggio in gran parte italiani; nel medesimo arco temporale le rimes-
se degli immigrati italiani dalla regione del Mar della Plata assommavano annual-
mente a circa 4 milioni di lire. Il picco massimo degli arrivi dall’Italia si realizzò
nel periodo 1876-1895, per ridursi in modo progressivo da quella data a causa della tipografia Salesiana nel 1908. Tale letteratura specifica, di taglio chiaramente
maggior attrazione esercitata da Argentina e Brasile. divulgativo, coinvolse anche autori ben più noti come l’economista liberista
Sono questi gli anni in cui, proprio per la forte crescita dell’emigrazione tran- Jacopo Virgilio, il geografo e viaggiatore Bernardino Frescura che preparò
satlantica, iniziò a fiorire una produzione di piccoli testi dedicati agli emi- ben nove guide per emigranti e lo studioso Vincenzo Grossi. Nel 1905 fu
granti, tra i quali compariva il volumetto di Giuseppe Curti, La chiave della stampato a Genova un Annuario dell’emigrante italiano per cura di un libraio
fortuna ossia Manuale pratico dell’emigrante italiano in America, stampato dalla editore con filiali in Argentina dove oltre alla sponsorizzazione dell’Olio Sas-

51 52
so figurava un lungo elenco di imprenditore italiani che avevano fatto fortuna terra (…); o dalle campagne venete e lombarde, ove abita in casolari intessuti di fango
in terra argentina. e vimini; o dalle pendici alpine; (…) l’operaio, dico, che arriva da questi luoghi, ha dei
L’emigrazione in direzione dell’Europa continuava a svolgersi lungo le rotte tradi- bisogni limitatissimi da soddisfare; egli non sente nessuna necessità di elevarsi un po’.
zionali da cui restavano esclusi in larga misura ancora molti Paesi. Limitate erano (…) Domandate un po’ a questi operai perché vivono così male ed essi vi risponderanno
invariabilmente che a casa loro vivevano assai peggio» 21.
le presenze italiane nel Regno del Belgio che fino alla Prima Guerra Mondiale
risultarono inferiori alle 5000 unità, provenienti in gran parte dalla Lombardia
Circa 200.000 erano anche gli immigrati italiani in Svizzera alla vigilia della Pri-
e dal Piemonte. Si trattava soprattutto di esuli politici, attratti dal Paese che rap-
ma Guerra Mondiale, ma qui costituivano oltre il 36% di tutta la popolazione
presentava la culla del cattolicesimo liberale europeo, ai quali si affiancava una
straniera ed erano stati attratti in terra elvetica dai grandi cantieri per trafori
colonia di artigiani e manovali destinata a rimanere di dimensioni contenute fino
alpini e da un fiorente settore edilizio 22.
all’avvio delle grandi miniere. In realtà le premesse per la successiva esplosione
Un’immagine dall’Africa, che ritrae il Un flusso migratorio legato allo sviluppo dell’edilizia interessò anche varie zone del
dei flussi dall’Italia verso il Belgio si legarono a motivi molto specifici verificatisi mercato dei cammelli presso il porto di
Nord Africa dove tali occupazioni si affiancarono alle tradizionali attività di pesca e
fra il 1914 e il 1918 allorché i tedeschi trasferirono qui un buon numero di prigio- Aden, in Yemen. Nel 1911 era iniziata la
guerra di Libia, contro l’Impero Turco, che di lavorazione della terra; 30.000 erano gli italiani in Algeria, circa 10.000 in Marocco
nieri italiani, che avrebbero costituito in seguito un nucleo stabile ed un polo di
portò nell’ottobre del 1912 alla conquista mentre più consistente era la comunità in Tunisia che registrava la presenza, nel 1911,
attrazione rispetto alla madrepatria 19. Neppure in Inghilterra la comunità italiana della colonia. Oltre a costituire per l’Italia
di poco meno di 130.000 italiani tra pescatori, braccianti, mercanti e operai, prove-
era molto folta e nel 1914 assommava a 25.000 unità, in prevalenza occupate nel il primo successo dopo lo shock di Adua,
del 1896, la Libia doveva rappresentare uno nienti in larga parte da Sicilia e Calabria, a cui si aggiunsero medici, farmacisti e altri
settore della ristorazione e per circa la metà residenti a Londra. Una prima colo-
sbocco per l’emigrazione meridionale professionisti. Questa presenza era stata avviata già nel 1852 quando la Compagnia
nia italiana aveva preso corpo a Holborn, quartiere londinese, già negli anni qua- (MEGT – Per terre assai lontane)
ranta e nel 1861, alla data del primo censimento nazionale, gli italiani erano saliti
a 4608, di cui 705 erano donne. Il numero era cresciuto a 6500 nel 1881 per rag-
giungere le 20.000 unità nel 1901 quando, appunto, alle occupazioni artigianali e
ai mestieri di strada si erano sostituite le professioni nel catering and food dealing,
che divennero tanto diffuse da costituire un vero e proprio cliché ricorrente nella
rappresentazione degli italiani in terra inglese. Era cresciuta, parallelamente, la
componente femminile che se nel 1861 costituiva il 15% della colonia italiana, nel
1911 aveva raggiunto il 30% 20. Fino alla Prima Guerra Mondiale anche l’emigra-
zione in Germania risultò contenuta, con un totale di 200.000 lavoratori stanziali
a cui si aggiungevano dai 60.000 ai 100.000 stagionali; gli immigrati provenivano
soprattutto dal Veneto, che tra il 1876 e il 1900 vide partire in direzione del-
la Germania circa 300.000 lavoratori. Era in gran parte una manodopera poco
qualificata che accettava salari molto bassi e tendeva ad indirizzarsi in Alsazia e
Lorena, in Baviera, nel Baden e nel Württemberg. Come in Gran Bretagna, verso
la fine dell’Ottocento crebbe la componente femminile che nel 1905 raggiunse le
22.000 unità, in prevalenza impegnate nei cotonifici, nei setifici e nelle cartiere.
Una testimonianza della durezza delle condizioni di vita degli italiani in Germa-
nia venne fornita dall’ispettore regio Giacomo Pertile nel novembre del 1914 che
usava termini assai aspri:

«La verità si è che nella maggior parte dei nostri operai non è per nulla sviluppato il sen-
timento della pulizia e della decenza, che le loro condizioni di vita all’estero rispecchiano
fedelmente le loro condizioni di vita in patria. L’operaio che viene dalla Basilicata o dal
Napoletano, dove abita in piccole, poverissime case simili ad alveari, talvolta scavate sotto

53 54

Rubattino aveva attivato la linea di piroscafi Genova-Cagliari-Tunisi. Negli anni suc- Immigrati italiani appena sbarcati ad Ellis
Island in attesa dei controlli. Per i passeggeri
cessivi, il flusso si ingrossò e dipese soprattutto dall’arrivo di migliaia di “clandestini”
di prima e seconda classe non era prevista
che si diressero verso il Nord della Tunisia; nel 1881 gli italiani erano diventati 11.000. la quarantena, mentre per quelli di terza si
Tali nuclei, che conservavano in larga misura carattere stagionale, contribuirono al apriva un momento durissimo
(MEGT – Per terre assai lontane)
primo decollo industriale del Paese, non solo nell’area di Tunisi dove erano sorti quar-
tieri italiani, ma anche in aree come Sfax, Madhia e Monastir. Fin dal 1878, inoltre, era
iniziato l’afflusso dei lavoratori italiani per la costruzione della ferrovia che avrebbe
dovuto collegare Tunisi con il confine algerino. Dopo l’arrivo dei francesi, nel 1881,
la presenza italiana aveva incontrato una crescente ostilità causata proprio dalla con-
sistenza numerica che si tradusse in una politica di forzata nazionalizzazione francese,
ma nonostante ciò la colonia rimase molto numerosa 23. Nonostante una nuova conven-
zione firmata nel 1896 tra Italia e Francia che riduceva ulteriormente i privilegi di cui
avevano goduto in passato gli emigrati italiani, il loro numero crebbe in maniera sen-
sibile nel periodo tra quella data e il 1905. In Algeria nella prima parte dell’Ottocento
la presenza italiana era stata molto contenuta e nel 1833 il primo censimento francese
aveva registrato circa 1100 italiani concentrati ad Algeri e a Bona. Nel 1855 una nuova
rilevazione metteva in luce una significativa crescita con 9000 italiani, in gran parte
maschile, con percentuali fino al 70%, che proveniva per circa 4/5 dalle regioni me-
siciliani, che salirono rapidamente a 44.000 nel 1886; anche qui come in Tunisia le
ridionali, ed in particolare dalla Calabria, dalla Campania, dall’Abruzzo, dal Molise
autorità francesi introdussero una normativa di nazionalizzazione forzata che prese
corpo a partire dal 1889 e che riscosse nella comunità italiana un successo decisamente e dalla Sicilia, denotando quindi una forte connotazione regionalizzata, per molti
maggiore rispetto a quello ottenuto in Tunisia, tanto che nel 1906 oltre 12.000 italiani aspetti più marcata rispetto ad altre destinazioni. Nel periodo 1881-1890 gli espatri
erano registrati come francesi naturalizzati. In Egitto, invece, esisteva una delle comu- in tale direzione furono 244.870 e salirono a 514.330 nel periodo compreso fra il
nità italiane più antiche, insediatasi già all’inizio dell’Ottocento – secondo una prima 1891 e il 1900, per divenire 2.329.450 nel decennio successivo quando costituiro-
rilevazione del 1833 ad Alessandria erano presenti 500 toscani, 150 napoletani e 70 no il 38,6% dell’intera emigrazione italiana. Una vera e propria massa di persone,
sardi – divenuta più estesa in seguito all’avvio dei lavori per la costruzione del Canale spesso reclutate da miriadi di broker inviati in territorio italiano, che superò enormi
di Suez e destinata a raggiungere nel decennio iniziale del Novecento le 50.000 unità. difficoltà dettate dalla politica tutt’altro che accogliente posta in essere dalle autorità
I napoletani, in gran parte negozianti, avevano dato vita ad una rete associativa molto statunitensi e che fecero largo uso dei biglietti prepagati come forma privilegiata
efficace che li legava alle altre comunità europee. Più in generale, è bene sottolineare di finanziamento. In quella fase, in particolare tra il 1882 e il 1885, la legislazione
però che l’emigrazione italiana in Africa negli anni del boom migratorio, tra il 1876 e americana, che aveva favorito e sostenuto con leggi appropriate l’immigrazione, co-
il 1915, costituì una percentuale molto bassa del totale, pari all’1,5%, 237.966 persone, minciava a selezionarla attraverso norme e leggi restrittive, la più importante delle
una cifra che in termini assoluti si ridusse nel periodo compreso tra il 1916 e il 1942 per quali, datata 1885, è la cosiddetta legge del Contract Labor, che vietava l’ingresso
quanto crescesse in termini percentuali arrivando, al 3% del totale. negli Stati Uniti a chi non avesse un contratto di lavoro. Assai ruvide erano le pro-
cedure che attendevano gli emigrati una volta sbarcati a New York. Dal 1892 aveva
cominciato ad operare Ellis Island, che si trovava a Castle Clinton in Battery Park,
4. Le rotte verso gli Stati Uniti sulla punta meridionale dell’isola di Manhattan; una struttura che passava al setac-
cio ogni anno centinaia di migliaia di immigrati, trasferiti dalle navi con dei tender e
Negli Stati Uniti, come accennato, l’immigrazione “di massa” cominciò solo a metà trattenuti per giorni in attesa di essere visitati dall’Immigration Service. Dopo il 1905
degli anni Ottanta; ancora nel 1880 infatti gli italiani lì residenti erano meno di nell’isola veniva svolta anche la Line Inspection che costituiva una sorta di ulteriore
45.000. «La nostra emigrazione è relativamente recente – aveva scritto Luigi Villari visita medica a cui faceva seguito un’ispezione legale per verificare che gli emigranti
– nel 1820 solo 30 italiani sbarcarono negli Stati Uniti. Nel 1870 ne giunsero 3000, non fossero sprovvisti di denaro – la somma minima richiesta era di 25 dollari – e
nel 1900 superarono i 100.000» 24. Si trattava di un’emigrazione in larga prevalenza non intendessero recarsi in zone dove non ci fosse stata richiesta di manodopera.

55 56
In realtà il numero di respingimenti da Ellis Island fu molto basso, mantenendosi come braccianti agricoli. Giacinto Menotti Serrati, che aveva soggiornato negli Stati
intorno al 2% annuo, e gli italiani non furono particolarmente penalizzati. Esisteva Uniti, descriveva la crudezza della situazione degli emigranti italiani in un articolo
una evidente differenza nella natura della visita riservata ai viaggiatori di prima e comparso su «l’Avanti» il 3 luglio 1903, in cui rilevava l’esiguità delle paghe, intorno
seconda classe, di fatto sottoposti ad una mera formalità, e quella per i viaggiatori al dollaro e mezzo per quasi 12 ore di lavoro, e le costanti minacce a cui i lavoratori
di terza, assai più dura, tanto da indurre molti emigranti a pagare il maggior costo erano sottoposti: «Quindi tutti i “bosses” sono armati ed hanno alle loro dipen-
della seconda per evitare quest’ultima visita. Ogni immigrante in arrivo portava denze delle guardie armate, stipendiate perché impediscano la fuga dei lavoratori.
con sé un documento con le informazioni riguardanti la nave con cui era arrivato Si raccontano a tale proposito dei fatti che sono dei veri delitti». Lo stesso Serrati
a New York. I medici esaminavano brevemente ciascun immigrante e marcavano criticava aspramente anche i “rappresentanti” consolari italiani negli Stati Uniti che
sulla schiena con del gesso coloro per i quali occorreva un ulteriore esame per ac- «dormivano alla grossa» e non intervenivano a difesa dei loro connazionali perché
certarne le condizioni di salute ricoverandoli nell’ospedale dell’isola o in quelli di «sono in troppo intime relazioni coi cosiddetti prominenti coloniali che esercitano
Manhattan e di Brooklyn. Al di là dei motivi di salute, la principale limitazione i nobili mestieri del banchiere, del boss, dell’arruolatore di Krumiri, del giornalista
all’ingresso era costituita, come accennato, dalla possibilità o meno di trovare la- coloniale». In alcuni casi, il clima di ostilità con cui erano accolti gli immigrati si
voro. La già ricordata legge sul lavoro straniero del 1885, appoggiata dai sindacati, traduceva in vere e proprie forme di violenza e in linciaggi, avvenuti in vari stati,
escludeva infatti gli immigrati che erano giunti dall’estero senza un contratto di la- tra i quali spiccò per efferatezza quello consumatosi a New Orleans nel 1891 che
voro. Questa misura avrebbe dovuto proteggere i salari americani dalla concorren- vide l’assassinio di 11 italiani  25. In questo caso ebbe un ruolo importante anche
za di manodopera a basso costo proveniente dall’estero, ma rimase per molti versi la dura polemica nei confronti della natura “mafiosa” degli italiani responsabili di
disattesa. Una volta accolte negli Stati Uniti, le maestranze italiane finivano però aver ucciso il capo della locale polizia nell’ambito della faida familiare tra le famiglie
spesso preda di un duro sfruttamento, posto in essere dagli agenti dell’emigrazione, Provenzano e Matranga.
da usurai e da bande malavitose, solerti nel farsi pagare un vero e proprio pizzo che Le destinazioni privilegiate furono rappresentate dalla costa Nord-Orientale e da
riduceva sensibilmente i salari ricevuti. Non di rado, infatti il pizzo veniva riscosso, alcune città facilmente raggiungibili, come Chicago, dove risultava particolarmen-
già alla fine degli anni Ottanta, dai “boss” della malavita per garantire un’occu- te “apprezzata” la loro appartenenza al gruppo dei “bianchi”  26, la stessa New
pazione ai nuovi arrivati che trovarono lavoro soprattutto come scaricatori, come Orleans, porto fondamentale per gli agrumi siciliani, e Saint Louis, oltre alle “me-
fruttivendoli, in particolare di agrumi, come minatori, operai nelle reti ferroviarie e tropoli”, a partire da New York, Boston e Philadelphia. A New York, che divenne
la più grande città italiana, si insediarono 500.000 emigrati, seguita da Philadel-
phia con 90.000 e Chicago con 60.000. Nella costa Ovest, invece, fu la California
Non solo lavori di fatica per gli emigrati ad essere oggetto di consistenti insediamenti agricoli provenienti da diverse zone
italiani negli Stati Uniti. Sul mercato
dell’Italia e in particolare dal Piemonte, dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Ligu-
si stava affacciando una generazione di
imprenditori italiani; i Da Prato, originari ria. Qui sorsero qualche migliaio di aziende agricole gestite da italiani e ben 5 ban-
della Lucchesia, avevano investito nella che italiane fra cui la Bank of America and Italy. Le più importanti colonie italiane
produzione e lavorazione di statue e
del West sono state la Italian Swiss Colony di Asti, California, la Italian Vinayard
ornamenti funerari in gesso, facendo tesoro
delle conoscenze ereditate dalla loro terra Co. di Cucamonga, California, le Colonie di Napa Valley, Sonoma, Santa Clara
(MEGT – Per terre assai lontane) Valley, Mendoncino, San Joaquin Valley, Monterrey 27. Le difficili condizioni di
lavoro dettero origine anche ad alcune tragedie in cui furono coinvolti numerosi
lavoratori italiani come nel caso delle esplosioni che provocarono nel 1907 decine
di morti nella miniera di Monongah e in quella di Darr. A Monongah, cittadina
carbonifera del West Virginia, le vittime furono in un primo tempo stimate in
circa 350, ma già dopo pochi giorni dall’evento tragico alcuni giornali indicaro-
no in 425 i morti e tale cifra fu acquisita come quella “ufficiale”, confermata dai
rapporti del Monongah Mines Relief Committee, la commissione che provvide al
risarcimento dei parenti dei minatori scomparsi. Le 171 vittime “ufficiali” italiane
erano soprattutto provenienti dal Molise, dalla Calabria e dall’Abruzzo. Il numero

57 58

Una copertina dell’«Illustrazione Italiana»


che ricostruisce la strage di New Orleans,
avvenuta il 14 marzo 1891. Undici
immigrati siciliani furono linciati da una
folla inferocita entrata nel carcere cittadino
dopo che il processo non era riuscito ad
individuare i responsabili dell’uccisione del
capo della polizia, Davide Hennessey. New
Orleans era una città multirazziale, ed il suo
porto, il principale del Sud degli Stati Uniti,
era interessato da attività malavitose gestite
anche da siciliani. Hennessey finì senza
dubbio vittima di un regolamento di conti,
anche per la sua posizione poco chiara, ma la
crudele uccisione degli italiani si spiega col
razzismo imperante nei loro confronti: nello
slang erano definiti sprezzantemente ‘dagos’,
i ‘latini’, mentre gli irlandesi chiamavano
gli italiani ‘guinies whops’, ‘miserabili e
spilorci’. Uno scenario che richiama il libro
di Asbury Herbert, "Gangs of New York",
da cui Martin Scorsese ha tratto un film che
descrive il lato duro dell’emigrazione

Una bella cartolina che ritrae l’Avenida partiti socialisti esistenti negli Stati Uniti. Solo l’Industrial Workers of the World
Dabàn y Bancos a Puerto Rico, nel 1928
adottò nei confronti dei lavoratori emigrati un atteggiamento di chiara apertura
(Album di cartoline di Anna Giusti)
e l’identità di molti scomparsi sono rimasti ignoti a causa della presenza di minato- soprattutto nelle zone minerarie. Esemplare in questo senso lo sciopero tessile
ri che all’ingresso in miniera non venivano registrati negli elenchi della Fairmont di Lawrence, nel Massachussets, del 1912, che, attorno a una lunga e vittoriosa
Coal Company. Il cosiddetto buddy system permetteva infatti ai minatori di avva- disputa sindacale capace di interessare 25.000 lavoratori, diede vita a forme di
lersi, senza essere obbligati a darne comunicazione al datore di lavoro, dell’aiuto di mobilitazione e solidarietà per gli italiani. La solidarietà giunse a toccare, ad esem-
parenti, anche bambini, e amici con i quali poi dividevano la paga. La retribuzione pio, la Camera del Lavoro di Sestri Ponente, controllata dagli anarco-sindacalisti,
non era legata alle ore effettivamente lavorate ma alla quantità di carbone portato che, dalle colonne del loro foglio locale, “Lotta operaia”, lanciarono sottoscrizioni
in superficie e ciò spingeva a orari massacranti. Ricostruzioni più recenti indicano e minacce di agitazioni a favore dei lanaioli in lotta a migliaia di chilometri di
che nell’incidente di Monongah perirono ben 956 lavoratori, di cui più di 500 era- distanza. Nel 1903, inoltre, una legge approvata dal Congresso introduceva, per
no italiani. A Darr, in Pennsylvania, dove i morti risultarono 239, le nazionalità più la prima volta, la possibilità di negare l’ingresso negli Stati Uniti sulla base delle
colpite furono quella italiana e quella ungherese, mentre un’altra strage si ebbe nel convinzioni politiche dell’emigrato 28. Assai diffuso era anche il reclutamento dei
1913 a Dawson, nel New Mexico, con la morte di 146 minatori italiani. I lavoratori lavoratori italiani da parte delle società ferroviarie che garantivano, rispetto ad
immigrati non dovettero però fare i conti solo con le pesanti condizioni di lavoro, altri impieghi, retribuzioni più alte: un manovale italiano immigrato guadagnava
ma si scontrarono anche con le resistenze da parte dei sindacati ad accoglierli nelle da 1 dollaro a 1,20 dollari al giorno. A fine Ottocento, un dollaro tendeva ad equi-
loro fila, in particolare l’American Federation of Labour si mostrò a lungo restia valere a 5 lire e 25 centesimi e un operaio italiano, lavorando in patria, al massimo
ad accettarli in qualità di membri e notevoli diffidenze furono espresse dai due riusciva a guadagnare 2 lire al giorno.

59 60
A rendere non semplice l’inserimento degli emigrati italiani contribuiva anche il quegli anni, minacciava i piccoli commercianti di Brooklyn vi era Annunziato
vero e proprio culto che mostravano nei confronti della tradizione, interpretata Cappiello, un emigrato di origine calabrese. Agli inizi del secolo organizzazioni
in termini quasi etnici e volti a conservare una forte appartenenza identitaria, simili cominciarono a muovere i primi passi anche in Canada e nel 1908 la polizia
dal cibo, agli stili di vita, ai comportamenti sociali. In questo senso non esisteva entrava in possesso della prima lettera firmata da questa sinistra organizzazione.
neppure una definizione unitaria di emigrante italiano ma tendevano a resistere, Attività di tipo mafioso venivano condotte soprattutto nelle grandi città con una
ed anzi ad approfondirsi, le provenienze di matrice regionale. Le “Little Italy”, consistente popolazione italiana come New York, Chicago, Kansas City e San
i quartieri italiani presenti in molte città degli Stati Uniti, che rispondevano ad Francisco. Mentre in questi anni a New York i reati della Mano Nera erano gene-
una logica di autosegregazione, si articolavano così spesso in comunità distinte ralmente compiuti da singoli mafiosi o da piccoli gruppi, il racket estorsivo veniva
per aree e dialetti diversi tra loro. A New York, Little Italy si sviluppò con forza condotto su larga scala da gruppi più grandi, in grado di porre le basi di veri e
a partire dagli anni Ottanta e dal decennio successivo il 52% degli italiani resi- propri imperi economici.
denti in città si trovava lì; un dato destinato a divenire estremamente significativo
a partire dal 1900, quando il censimento cittadino registrava la presenza a New
York di oltre 225.000 italiani 29. Questo forte sistema di relazioni con la terra di
origine aveva un peso non trascurabile nel favorire il radicarsi della “Mano Nera”,
della malavita mafiosa e camorristica che si sviluppò in maniera più intensa a
partire dagli inizi del Novecento dopo le prime esperienze della cosca corleonese
di Giuseppe Morello. A pubblicare nel 1903 per la prima volta la notizia di una
Una cartolina raffigurante Manhattan
inviata a Lucca alla maestra da un ex alunno lettera estorsiva ricevuta da un negoziante e firmata con le impronte di una “mano
emigrato (MEGT – Per terre assai lontane) nera” fu il “New York Herald”, secondo cui a capo dell’organizzazione che, in Note
1
F. Brancato, L’emigrazione siciliana negli ultimi cento anni, Co- mai voluto servirsene, non ostante le insistenze di chi, per ragioni
senza, Pellegrini editore, 1995. Cfr. anche AA.VV., Modelli di di nazionalità, non ha potuto farne uso. Anche questa del libro dè
emigrazione regionale dall’Italia centro-settentrionale, in «Archivio reclami è, dunque, una disposizione incompleta; a me che pare sa-
storico dell’emigrazione italiana», II (2006), e AA.VV., Modelli di rebbe più utile che lo stesso dottore fosse incaricato di interrogare
emigrazione regionale dall’Italia centro-meridionale, in «Archivio personalmente gli emigranti assicurandoli che nello stesso tempo le
storico dell’emigrazione italiana», IV (2007), pp.?. loro proteste scritte non solo avrebbero corso efficace di conside-
2
G. Di Bello-V. Nuti, Soli per il mondo, Milano, Unicopli, 2001, razione presso le autorità dello stato, ma non potrebbero mai e poi
pp. 57-59, D. Sacco, La febbre d’America. Il socialismo italiano e mai autorizzare e tanto meno giustificare contro di essi alcuna rap-
l’emigrazione (1898-1915), Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2001, presaglia per parte del comandante o di chiunque sia. Cosi, come
pp. 21-23. stanno le cose, il Governo non arriverà mai a conoscere la verità.
3
P. Villani, Trasformazioni delle società rurali nei paesi dell’Europa Tutti a bordo – ad eccezione del dottore militare che ignora anche
occidentale e mediterranea, Napoli, Guida, 1986, p. 346. lui cose più gravi – hanno l’interesse di nasconderla; perché tutti,
4
«La nuova legge che ha creato tanti posti e soddisfatto tante piccole nascondendola, guadagnano fama e quattrini» (Calla, Per la nostra
“ambizioncelle”, mancherebbe al suo scopo altamente civile se non emigrazione. Gli effetti della nuova legge, in «Il Giornale d’Italia», 1
riuscisse a proteggere efficacemente alla gente nostra, almeno du- dicembre 1901).
rante il percorso dai porti nostri a quelli di destinazione e di sbarco. 5
R. Romano, Storia dell’economia italiana, Torino, Einaudi, 1991, p.
Ancora: una tutela energica la quale assicuri agli emigranti un buon 334.
trattamento durante il periodo dell’imbarco rafforzerebbe in loro 6
A. Molinari, Porti, trasporti, compagnie, in Storia dell’emigrazione
o creerebbe addirittura quella fiducia nel prestigio del patrio go- italiana, a cura di P. Bevilacqua-A. De Clementi-E. Franzina,
verno, la quale, ora come ora, viene meno nell’animo di tutti. Né si Roma, Donzelli, 2002, pp. 248-251.
dica che a proteggerli e a difenderli dall’arbitrio di questa brutale 7
S.M. Cicciò, “E il viaggio non finiva mai”. Note sull’emigrazione
gente di mare bastino il dottore militare italiano e il famoso libro italiana transoceanica, in «Storia e Futuro», 22 (marzo 2010).
dei reclami numerato e bollato ad ogni pagina. Il primo, che nel 8
Ibidem.
caso speciale, fu cara, gentile e umanissima persona, fece perfino 9
Sori, Mercati e rimesse, in Storia d’Italia ... cit., Annali, 24, p. 258.
l’impossibile per assicurare agli emigranti il miglior trattamento; ma Nell’ambito di una produzione storiografica estesa cfr. L. De Rosa,
solo, in mezzo a gente straniera avida e abilissima, è soggetto anche Emigranti, capitali e banche (1896-1906), Napoli, Edizioni Banco
egli a lasciarsi continuamente ingannare. Del libro dei reclami non è di Napoli, 1980 e L. Mittone, Le rimesse degli emigranti fino al
neppure il caso di parlarne; né gli emigranti, ritrosi per natura e giu- 1914, in «Affari sociali internazionali», 4 (1984), pp. 123-160.
stamente sospettosi di rappresaglie e difficoltà nello sbarco, hanno 10
Anche la sottonutrizione si ridusse nello stesso periodo, passando

61 62

da una percentuale del 28% nel 1881 ad una del 19,6 nel 1901. 21
Citato in G.A. Stella, Quando fummo braccia, Milano, Rizzoli, 2010.
11
Z. Ciuffoletti-M. Degli Innocenti, L’emigrazione nella storia 22
M. Cerutti, Un secolo di emigrazione italiana in Svizzera (1870-
d’Italia 1868-1975, Firenze, Vallecchi, 1978, vol. I, pp. 456-458. 1970) attraverso le fonti dell’Archivio Federale Svizzero, 1994. Nel
12
V. Blengino, Oltre l’Oceano. Un progetto di identità: gli immigrati 1861, la colonia italiana in Svizzera contava circa 14.000 presen-
italiani in Argentina (1837-1930), Roma, Edizioni Associate, 1987. ze. Il flusso di partenze italiane si ingrossò nell’ultimo decennio
13
Cfr. F. Bertagna, La stampa italiana in Argentina, Roma, Donzelli, del XIX secolo, allorché gli immigrati italiani divennero quasi
2009. 190.000. In tale emigrazione figuravano anche numerosi esuli
14
E. Scarzanella, Italiani d’Argentina. Storie di contadini, industria- politici costretti a lasciare il Paese dopo i moti del 1898; ciò de-
li, missionari italiani in Argentina 1850-1912, Padova, Marsilio, terminò una significativa presenza di anarchici, tra cui spiccava il
1983; Identità degli italiani in Argentina. Reti sociali, Famiglia, nome di Pietro Gori, di repubblicani, come Eugenio Chiesa, e di
lavoro, a cura di G. Rosoli, Roma, Studium, 1993; F. Devoto, socialisti. Era molto forte anche l’impegno del movimento cattoli-
Storia degli italiani in Argentina, Roma, Donzelli, 2007. co organizzato attorno all’opera dei Salesiani.
15
F.J. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, in «Altreitalie», 25 23
Interessanti considerazioni sulla presenza italiana in Tunisia sono
(luglio-dicembre 2003). contenute nel volume M. Brondino, La stampa italiana in Tunisia.
16
La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile, a cura Storia e società 1838-1956, Milano, Jaca Book, 1998.
di R. Costa-L.A. De Boni, Torino, Fondazione Agnelli, 1991; A. 24
L. Villari, L’emigrazione italiana e gli Stati Uniti, Salem, N.H.,
Trento, Do outro lado do Atlântico: um século de imigração italia- Ayer Publishing, 1975, p. 212. Molto interessanti sulla presenza
na no Brasil, Studio Nobel, 1989. Quest’ultimo volume contiene italiana negli Stati Uniti sono le considerazioni espresse da S. Lu-
una bibliografia molto estesa sul tema dell’emigrazione italiana in coni, Little Italies e New deal. La coalizione rooseveltiana e il voto
Brasile, che ricostruisce anche buona parte della pubblicistica di italoamericano a Filadelfia e Pittsburgh, Milano, Franco Angeli,
fine Ottocento ed inizio Novecento pubblicata in Italia. Alcune 2002.
annate registrarono un afflusso di immigrati italiani in Brasile par- 25
P. Salvetti, Corda e sapone: storia di linciaggi degli italiani negli
ticolarmente alto; nel 1888 furono 104.000, nel 1891 arrivarono Stati Uniti, Roma, Donzelli, 2003, p. 133. I principali linciaggi in
a 132.000 e sul finire degli anni Novanta, nel 1896 e nel 1897, le quegli anni si consumarono a Eureka in Nevada, nel 1879, con 5
partenze risultarono 96.500 e 79.000. morti, a Vicksburg, Mississippi, nel 1886, con un morto, a Loui-
17
R. Romano, Il lungo cammino dell’emigrazione italiana, in «Altrei- sville nel Kentucky con un morto, a Walsenburg in Colorado, nel
talie», 7 (gennaio-giugno 1992). 1895, dove furono cinque i linciati italiani.
18
M. Tirabassi, Donne Women Mulheres. Per una storia comparata 26
T.A. Guglielmo, White on Arrival. Italians, Race, Color and Power
delle italiane in Brasile, in Dal Piemonte allo Espirito Santo. Aspet- in Chicago 1890-1914, New York, Oxford University Press, 2003.
ti dell’emigrazione italiana in Brasile tra Ottocento e Novecento, a 27
A.F. Rolle, Gli italiani che nell’Ottocento fecero fortuna nel West,
cura di M. Reginato, Torino, Altreitalie, 1996, pp. 53-64. Milano, Bur, 2003.
19
A. Morelli, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di 28
J. Green, La “Red Scare”: la spinta alla deportazione degli stranieri
migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra, 2004. sovversivi negli Stati Uniti (1917-1920), in «àcoma», 11, pp. 28-
20
L. Sponza, Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, in «Altrei- 38.
talie», (gennaio-giugno 2005). 29
E. Aleandri, Little Italy, Charleston, Arcadia publishing, 2002, p. 8.

63
Capitolo terzo

Dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale

1. Un brusco arresto «Agli effetti del presente capo, sono emigranti i cittadini che, trovandosi nelle condizioni di cui
all’art. 10 o viaggiando in terza classe o in classe che il Commissariato generale dell’emigrazione
I flussi migratori italiani conobbero una forte decelerazione per effetto dello scop- dichiari equivalente alla terza attuale, si rechino in paese posto al di là del Canale di Suez, esclu-
pio del primo conflitto mondiale che registrò il rimpatrio di centinaia di migliaia se le colonie e i protettorati italiani, o in paese posto al di là dello Stretto di Gibilterra, escluse
di lavoratori nel giro di poche settimane, a cui seguì la chiusura delle frontiere le coste d’Europa. Il regolamento determinerà in quali casi, inoltre, la qualità di emigrante si
presuma, salvo prova contraria, per coloro che viaggino in classe superiore alla terza».
di gran parte dei Paesi europei. Il Governo italiano inviò ai coscritti all’estero
tra 700.000 e 1,2 milioni di cartoline alle quali risposero circa 304.000 reclute,
Veniva ribadito con forza l’obbligo, fino ad allora non sempre rispettato, del
in larga misura provenienti dagli Stati Uniti, oltre 100.000, e dall’America latina,
possesso del passaporto il cui rilascio era da quel momento sottoposto a regole
circa 50.000. La rapidità dei rimpatri provocò immediate difficoltà economiche e
ben precise, previste nell’articolo 15:
grandi tensioni di carattere sociale, in particolare nel settembre 1914, quando si Un manifesto raffigurante Vittorio
raggiunse il picco massimo dei ritorni. Le città maggiormente interessate dai rim- Emanuele III (Collezione Privata, Roma)
patri furono Udine, dove tornarono 71.054 emigranti, Torino dove i ritorni furono realizzato dal Governo statunitense, che
invitava gli italiani d’America a razionare
44.365, Belluno che registrò 32.801 rientri, Novara dove furono 26.527, Milano il cibo da inviare ai loro connazionali
e Bergamo che sfiorarono i 19.000 rimpatri; da simili dati appare chiaro che il oltreoceano.
maggior numero di arruolati tra gli emigranti si ebbe al Nord mentre il fenomeno
fu meno evidente nel Meridione 1. Proprio per questo, durante il conflitto, da più
parti, e soprattutto fra gli agrari settentrionali, fu espressa la necessità di bloccare
ulteriori espatri visto il marcato spopolamento delle campagne determinato dal
richiamo alle armi di un paio di generazioni di giovani 2.
Di fronte a simili preoccupazioni vennero adottate dal Governo italiano alcune
misure “restrittive”, in particolare la legge del 24 gennaio 1915 n. 173 che, oltre
a definire meglio il tema delle controversie tra emigranti e vettori, sottopone-
va all’autorizzazione del Commissariato generale dell’emigrazione l’espatrio di
manodopera richiesta da ditte straniere. Nella stessa direzione si rivolgeva il de-
creto 18 febbraio 1915 n. 147 che subordinava il rilascio dei passaporti al nulla
osta del medesimo Commissariato. Queste misure vennero ribadite nel corso
del 1919 e riassunte in un testo unico, con il Regio Decreto del 13 novembre di
quell’anno, n. 2205. Tale testo combinava elementi paternalistici con una poli-
tica di rigorosa disciplina dei fenomeni migratori e con una serie di tentativi di
valorizzazione della figura dell’emigrante, a cominciare dall’apertura di scuole
specificatamente rivolte ai migranti stessi e dalla firma di trattati bilaterali a
difesa dei lavoratori all’estero. Si procedeva nuovamente a definire chi potesse
essere considerato emigrante: l’articolo 10 chiariva che tale fattispecie valeva per
ogni cittadino che espatriasse esclusivamente a scopo di lavoro manuale o per
esercitare il "piccolo traffico"; che andasse a raggiungere prossimi congiunti già
emigrati a scopo di lavoro; o che ritornasse in Paese estero, ove già preceden-
temente fosse stato emigrato, avendo soddisfatto gli obblighi di ordine militare
ex art. 9. In base a tale definizione non potevano essere considerati emigranti
i prestatori di lavoro non manuale. Tuttavia, l’articolo 17 articolava meglio il
quadro allargando la nozione di emigrante qualora si fosse stati in presenza di
un emigrante in paesi transoceanici:

67 68
«I cittadini, che a norma delle leggi e dei regolamenti sulla emigrazione sono considerati internazionale con l’attribuzione delle competenze in materia all’Ufficio Interna-
o si presumono emigranti, per uscire dal regno devono essere muniti di passaporto per zionale del Lavoro, creato in seno alla Società delle Nazioni che organizzò due
l’estero. Tale passaporto è rilasciato dalle autorità competenti a norma delle disposizioni conferenze internazionali nel 1921 e nel 1924. Non bisogna tuttavia trascurare il
vigenti, secondo le istruzioni impartite dal commissariato generale dell’emigrazione. Il fatto che il Governo italiano, sia pur con minore convinzione rispetto al passato,
rilascio e la rinnovazione dei passaporti per l’estero per le persone indicate nel comma continuò a coltivare una politica migratoria dove comparivano anche la volontà
precedente e per le loro famiglie, qualunque sia il numero delle persone inscritte nel di utilizzare la manodopera italiana come “merce di scambio” per concludere
passaporto, sono soggetti alla tassa di lire due, che è devoluta integralmente al Fondo per trattati bilaterali favorevoli e il tentativo di promuovere l’esportazione delle merci
l’emigrazione. Durante il periodo di validità del passaporto potrà sul passaporto medesi-
italiane nelle zone dove l’emigrazione nazionale era più forte.
mo venire modificata da una delle autorità competenti la indicazione della destinazione,
previo pagamento di lire una che è devoluta al Fondo per l’emigrazione» 3.

Si trattava di un provvedimento che, a giudizio di numerosi storici, ha posto fine al Un biglietto di terza classe della Navigazione
grande esodo di massa anche perché si inseriva in un mutamento in atto nella legi- Generale Italiana risalente al 1920
(Collezione Ostuni, Roma)
slazione di vari Stati. Dopo la guerra si registrava infatti la chiusura dei principali
mercati internazionali, come avvenne nel caso degli Stati Uniti, con la firma nel 1917
del Literacy Act, e del Canada dove nel 1919 fu varata una severa normativa restri-
zionista. Fin dal 1907 si era insediata negli Stati Uniti d’America la commissione
Dillingham, dal nome del suo presidente, che aveva avuto il compito di studiare gli
effetti della “nuova” emigrazione e che, nel 1911, aveva pubblicato, in 41 volumi, i ri-
sultati del suo lavoro destinati a costituire la premessa per una legislazione più severa.
In base a tali atti era previsto che gli immigrati di età superiore ai 16 anni dovessero
essere capaci di leggere un brano in una lingua a loro scelta e, al tempo stesso, si pro-
cedeva a raddoppiare la tassa sull’emigrazione. Nel 1921, riprendendo in parte tali
linee ispiratrici, fu varato negli Stati Uniti l’ Emergency Quota Act, che stabiliva una
soglia del 3% all’anno per le presenze di ogni nazionalità, utilizzando come base di
riferimento il censimento del 1910 4. In questo clima, nel 1927 furono condannati alla
sedia elettrica, al termine di un vero e proprio calvario giudiziario, i due anarchici
italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, accusati dell’assassinio di un contabile e
della guardia di un calzaturificio. Erano stati arrestati nel 1920 e avevano subito ben
tre processi il cui esito era stato di fatto già segnato ed era dipeso dalla volontà di
dare un esempio nei confronti degli italiani e soprattutto degli anarchici 5.
In Canada invece tese a prevalere con forza un’impostazione normativa che favo-
riva l’immigrazione da altri paesi del Commonwealth. I dati numerici certificano
bene questa riduzione dei flussi migratori, a partire da quelli verso gli Stati Uniti,
dove dopo i 283.738 arrivi del 1914, pari al 23,29% del totale degli espatri italia-
ni, si scese con estrema rapidità a 49.688, pari al 15,21, nel 1915, a 33.665, pari
all’11,27, nel 1916, fino ai 1.883, in pratica poco più dell’1 per cento del totale, nel
1919. L’unico anno in cui si registrò una significativa, e brusca ripresa, dell’im-
migrazione italiana negli Stati Uniti fu il 1921 allorché si ebbero quasi 227.000
arrivi, pari al 27,6% del totale. Proprio il 1921 fu l’anno nel quale si procedette,
per la prima volta in modo coerente, ad una disciplina dei flussi migratori in sede

69 70

2. Nelle Americhe e in Europa Nel caso della Francia, dove dal 1911 gli italiani risultavano il primo gruppo stra-
niero, avendo superato i belgi, dopo la Prima Guerra Mondiale si assistette ad una
Inizialmente le restrizioni adottate nei paesi dell’America del Nord indussero una modificazione sensibile nella dislocazione delle presenze che crebbero a meridione
parte consistente dei migranti italiani a indirizzarsi verso l’America latina, ma nelle aree della Provenza e della Costa Azzurra, raggiungendo il 21% del totale, e
anche qui, all’incirca nel medesimo torno di tempo, furono introdotte alcune mi- a settentrione nelle aree del Nord-Pas-de-Calais, dell’Aquitania, del Gers e della
sure che rendevano più complessi gli arrivi. In particolare in Argentina, nel corso Lot-et-Garonne. In queste ultime regioni ad attrarre la forza lavoro italiana furo-
del 1916, furono approvati due decreti che fissavano quale requisito necessario no soprattutto le miniere e le attività industriali sorte nel settore della siderurgia e
per gli immigrati dall’Italia il possesso di un passaporto con foto ed escludevano Boscaioli italiani in Francia nel 1915. In della chimica, come del resto era avvenuto nell’area della Lorena: alla vigilia della
quel periodo il Paese registrava uno dei
tutti coloro che avessero avuto precedenti penali o non fossero stati sani di men- Grande Guerra, 80.000 lavoratori italiani abitavano ormai in Meurthe-et-Moselle e
maggiori sbocchi dell’emigrazione italiana,
te. Simili limitazioni si accompagnarono però ad una ulteriore accelerazione nel e con lo scoppio della Prima Guerra nella Moselle occupata dai tedeschi. Gli italiani erano presenti nelle aree minerarie
processo di integrazione italiana in tali terre, favorita dalla cancellazione della tri- Mondiale, prima dell’ingresso in guerra della regione, nel bacino di Longwy e in quello di Briey in Meurthe-et-Moselle e
dell’Italia, molti italiani chiesero anche di
stemente nota legge della “residenza” che aveva consentito dal 1902 al 1916 la de- nelle vallate dell’Orne e della Fensch in Moselle. La maggiore concentrazione si
arruolarsi, invano, nell’esercito francese.
portazione degli stranieri “indesiderati”, coinvolti in agitazioni di ordine politico Così alcune migliaia di italiani finirono ebbe nei centri, piccoli e grandi, dei bacini minerari, in particolare Auboué, Joeuf,
e sociale. In quegli anni cresceva velocemente il numero delle imprese italiane so- nella Legione Straniera, mentre altri, sotto Villerupt, che conobbero, già prima del conflitto, una presenza assolutamente stra-
la guida di Peppino Garibaldi, furono
prattutto nel settore della siderurgia leggera, in quello alimentare, in quello della ordinaria di immigrati provenienti dalla penisola. Le città principali giocarono un
affiancati all’esercito francese come "Legione
fabbricazione dei fiammiferi, della lavorazione del gesso, e dell’edilizia. Restava Garibaldina”, combattendo a fianco dei ruolo secondario, a parte il caso di Metz che fu un'importante sede di transito per la
aperto invece il tema dei diritti politici di cui gli immigrati erano ancora del tutto francesi nelle Argonne nel dicembre 1914 manodopera ed un luogo di impiego per gli operai del settore delle costruzioni. La
(MEGT - Per terre assai lontane)
privi dopo il varo nel 1912 della legge elettorale Saenz Peña. I governi radicali di
Yrigoyen e Alvear, pur sensibili alla questione, non seppero affrontarla.
In Brasile, la presenza italiana nel medesimo periodo tese a trasferirsi dal settore
agricolo delle fazendas, dove gli immigrati continuavano a faticare nel tentativo
di divenire proprietari, in quello industriale e in quello commerciale; in termini
numerici, anche in tale fase gli immigrati provenienti dal Veneto restavano il
gruppo più folto, con una quantità di presenze più o meno doppia rispetto alle
provenienze campane, che erano seguite da quelle calabresi e da quelle lombarde.
Questa chiara natura professionale dell’emigrazione italiana fece sì che nella sua
stragrande maggioranza si indirizzasse verso lo Stato di San Paolo: così se nel pe-
riodo 1890-1899 gli immigrati italiani nello Stato di San Paolo erano stati 430.000
su un totale di 690.000 immigrati italiani in Brasile, nel periodo tra il 1910 e il
1919 divennero 106.000 su 138.000 e nel periodo 1920-1929 furono 75.000 su
106.000. Proprio l’emigrazione in direzione del Brasile conobbe una delle mag-
giori tragedie di quegli anni quando il 25 ottobre 1927 il transatlantico Mafalda
di Savoia, già nave ammiraglia della Marina mercantile italiana, si inabissò con il
suo “carico” di oltre 1500 emigranti e i morti furono 314.
In generale, nell’arco di tempo compreso fra il 1911 e il 1920, gli espatriati dall’Ita-
lia furono 3.828.107 di cui 1.696.450 verso l’Europa e ben 2.131.162 verso i Paesi
extraeuropei. Nell’ambito del Vecchio Continente i flussi maggiori continuavano
a dirigersi alla volta della Francia, che tra il 1916 e il 1925 accolse quasi 1 milione
di italiani, verso la Svizzera che nel medesimo periodo ne ricevette circa 127.000,
mentre arrivi di minore entità coinvolsero la Germania, poco più di 11.000 unità, il
Benelux, circa 67.000, e la Gran Bretagna dove approdarono quasi 21.000 italiani.

71 72
guerra ebbe qui un effetto devastante: alla fine del 1914 solo una piccola minoranza 3. Gli anni Venti
di italiani – il 5% in Moselle e il 10% in Meurthe-et-Moselle – risultava ancora re-
sidente in terre ormai trasformate in campo di battaglia. Dopo la guerra proprio in Il rallentamento dell’emigrazione produsse effetti negativi sull’economia, soprat-
queste aree fu particolarmente osteggiato il ritorno di lavoratori dalla Germania ed tutto in relazione alla bilancia commerciale, destinata a subire un significativo
una simile ostilità favorì certamente il veloce ingrossarsi dell’emigrazione dall’Ita- deterioramento, e alla disoccupazione che crebbe rapidamente. Solo la parziale
ripresa degli espatri, riavviatasi nel 1921 e nel 1924, quando il totale degli emigrati
lia 6. Si trattava di una manodopera maschile, che forniva un contributo importante
italiani sfiorò le 365.000 unità, fece sì che queste ricadute negative si attenuassero
all’economia francese perché non disponeva di prestazioni assistenziali da parte
almeno parzialmente. In tale fase crebbe l’emigrazione femminile che per tutti gli
dello Stato transalpino, almeno fino alla metà degli anni Venti, quando prese consi-
anni Venti oscillò fra il 27 e il 30% del totale, dopo aver raggiunto la punta del
stenza maggiore l’arrivo di donne italiane e si misero in moto i primi meccanismi di
59% nel 1915 allorché la chiamata alle armi dei maschi emigrati aveva determi-
integrazione anche sul piano normativo.
nato una simile impennata. Questa tendenza si sarebbe accentuata negli anni suc-
Parigi continuava ad esercitare una forte attrattiva con una percentuale vicina al
Un opuscolo degli anni Venti che cessivi; nel periodo compreso fra il 1931 e il 1935 le donne contribuirono ai flussi
18% del totale. A Sud, invece, le attività prevalenti restavano quelle agricole, nelle reclamizzava le province ovest del migratori per il 63% e arrivarono a superare il 77% tra il 1936 e il 1940 9.
quali però, a differenza di quanto avvenuto in passato, iniziava con evidenza il pro- Canada, realizzato dal Dipartimento della
Colonizzazione e dello Sviluppo Canadese La politica migratoria nei primi anni del governo Mussolini non si tradusse in una
cesso di acquisizione della proprietà della terra da parte dei lavoratori italiani; in re- (Collezione Ostuni, Roma) (a sinistra), e vera e propria cesura rispetto alla fase precedente. L’obiettivo dichiarato, e almeno
lazione alla provenienza regionale tendeva a crescere il numero dei migranti dal Ve- un manifesto che sintetizzava le rotte per il in parte perseguito, fu quello di «consolidare il lavoro italiano all’estero» nell’ot-
Nord e Sud America della “Transatlantica
neto che superarono, in termini di presenze in terra francese, persino i piemontesi, Italiana”, risalente al 1924 (Collezione tica del rafforzamento della Nazione e come strumento di politica estera. Inoltre
storicamente la comunità più diffusa. Tale dato, in larga misura condizionato dalla privata, Roma) (a destra) in questa fase iniziale del suo governo, Mussolini si mostrò a più riprese convinto
chiusura dei grandi sbocchi transoceanici, a lungo battuti dall’emigrazione veneta,
deve però tener conto dei circa 30.000 lavoratori stagionali, normalmente originari
delle regioni di confine, che ogni anno si recavano in terra francese 7. Ad agevolare i
flussi intervennero due elementi importanti; in primo luogo la Francia aveva subito
durante la Prima Guerra Mondiale oltre due milioni di morti, che avevano deter-
minato un significativo deficit di manodopera per compensare il quale – è questo il
secondo elemento – Italia e Francia inaugurarono la stagione degli accordi bilaterali
che avrebbero dovuto facilitare l’ingresso delle maestranze italiane.
Il rapido affermarsi della emigrazione verso la Svizzera, dove gli italiani compo-
nevano più di un quarto del totale degli immigrati, dipese in questi anni inve-
ce dalle fortunate condizioni economiche rese possibili in primis dal mancato
coinvolgimento nel conflitto mondiale. Non irrilevanti, in tal senso, furono an-
che i lavori di costruzione della sede, a Ginevra, della neoistituita Società delle
Nazioni, ma soprattutto ebbero un ruolo importante il fatto che i salari fossero
più alti rispetto ad altre zone europee e l’esistenza di una prima legislazione so-
ciale a tutela degli immigrati 8. Un clima di almeno parziale tolleranza politica
fu alla base, parimenti, di una continua emigrazione di natura politica. Verso le
principali città elvetiche si diressero in particolare immigrati friulani e lombardi;
dalla sola provincia di Udine, nel 1920, partirono per la Svizzera 1100 lavoratori.
L’emigrazione italiana in Svizzera, proprio perché molto legata all’attività edilizia,
presentò peraltro, più che altrove, il carattere della “diaspora”, dal momento che
le varie comunità tendevano a seguire lo spostamento dei cantieri.

73 74

che gli espatri rappresentassero una valvola di sfogo per contenere la pressione de- di migrazioni. Una anticipazione del mutamento di comportamento governativo ita-
mografica 10. «Bene o male che sia – affermava il nuovo presidente del Consiglio liano si ebbe, in campo normativo, già nel 1925, con la prima raccolta organica del
– l’emigrazione è una necessità fisiologica del popolo italiano. Siamo quaranta mi- diritto italiano sull’emigrazione. Il 17 aprile, infatti, fu convertito nella legge n. 473
lioni serrati in questa nostra angusta e adorabile penisola che non può nutrire tutti il Testo Unico sull’Emigrazione e la Tutela Giuridica degli Emigranti.
quanti. E allora si comprende come il problema della espansione italiana nel mondo L’articolo 9 del T.U., pur ribadendo che l’emigrazione era libera nei limiti stabiliti
sia un problema di vita e di morte per la razza italiana. Dico espansione: espansio- dal diritto vigente, disponeva che il Ministero degli Affari Esteri, d’intesa con il
ne in ogni senso, morale, politico, economico, demografico». In questa prospettiva Ministro dell’Interno, potesse sospendere l’espatrio «per motivi di ordine pub-
Mussolini propose nel 1924 una conferenza internazionale sull’emigrazione, che si blico», o quando potessero «correre pericolo la vita, la libertà, gli averi degli emi-
tenne a Roma nel maggio di quell’anno con la partecipazione di 59 Stati 11. I principi granti, o quando lo richiedesse la tutela degli emigranti» 12. Una seconda espres-
affermati in tale sede furono costituiti dall’assistenza morale e materiale dell’emi- sione di questa nuova linea si ebbe in seguito al D.L. 26 aprile 1927 n. 628 che
grante che si sarebbe dovuta realizzare attraverso l’intervento di organismi specifici. aboliva il Commissariato per l’emigrazione, trasformato in una Direzione genera-
In realtà gli esiti dell’iniziativa non andarono oltre la mera propaganda di cui seppe le del Ministero degli Affari Esteri. In realtà, tale disposizione riassumeva i prin-
beneficiare soprattutto il regime fascista sul piano interno mentre le richieste sol- cipi cardine della politica migratoria del fascismo sintetizzabili nella proibizione
levate a più riprese nei riguardi dell’amministrazione statunitense di rivedere le già dell’emigrazione stabile e nell’ammissibilità della sola emigrazione temporanea in
ricordate restrizioni all’ingresso di immigrati caddero nel vuoto. quanto vantaggiosa per l’economia nazionale. Secondo questa politica, avrebbe
Il Commissario all’emigrazione Giuseppe De Michelis aveva infatti inutilmente dovuto essere stimolata invece l’espansione economica, commerciale e culturale
sottolineato che a fronte di 42.000 emigranti, che avevano ricevuto il visto di in- dell’Italia all’estero favorendo l’emigrazione qualificata di professionisti, tecnici
gresso negli Stati Uniti, rimanevano oltre 200.000 domande inevase e neppure di e studenti. Accanto a ciò si riteneva indispensabile il “recupero spirituale” delle
fronte alle rassicurazioni del Governo italiano di rilasciare permessi di partenza comunità italiane fuori della patria. L’impianto normativo appena confezionato
unicamente ad elementi reputati idonei la linea degli Usa si ammorbidì, gli Stati fu ulteriormente precisato in 3 circolari che, il 20 giugno sempre del 1927, Musso-
Uniti anzi pretesero che dalla Conferenza di Roma uscisse forte la dichiarazione lini indirizzava agli ispettori nei porti per il controllo di “assicurato imbarco“, ai
secondo cui i temi dell’immigrazione appartenevano alla sola politica interna. Prefetti per il rilascio dei passaporti, infine alle autorità diplomatiche.
Rispetto alle strategie seguite dai governi liberali, tuttavia, l’esecutivo Mussolini Tutta la legislazione successiva, dalla legge n. 1783 del 6 gennaio 1928 al Regio Decre-
introdusse alcune novità non irrilevanti. Tra queste figurava, sul piano istituzio- to n. 358 dell’11 febbraio 1929, dal Regio Decreto n. 1278 del 24 luglio 1930 a quello n.
Una cartolina indirizzata a Benito
nale, la creazione prima dell’Istituto Nazionale per la colonizzazione e le imprese Mussolini dallo stand dell’Italcable nel
di lavoro all’estero, già avviato nel 1920, e poi dell’Istituto di credito per il lavoro 1928, in occasione della Fiera di Milano
degli italiani all’estero, fortemente voluto da Mussolini nell’intento di coinvol- (Collezione Ostuni, Roma). L’Italcable era
nata nel 1921 su iniziativa di Giovanni
gervi i capitali di banche e compagnie di navigazione. Oltre a ciò fu intensificata Carosio e grazie al sostegno finanziario degli
l’azione delle «cattedre ambulanti di emigrazione» che avrebbero dovuto prepa- emigrati italiani in Argentina. Nel 1921,
rare in termini professionali i futuri lavoratori italiani all’estero. in collaborazione col Governo italiano, fu
realizzato il primo collegamento sottomarino
Su un piano più generale, come accennato, le questioni migratorie divenivano parte tra Italia ed Argentina, presto seguito da
integrante della politica estera, alle cui priorità fu subordinata la tutela del migran- altri. Durante la Seconda Guerra Mondiale
te, o meglio ancora del “lavoratore italiano all’estero”, termine utilizzato secondo i cavi a nord dell’equatore furono tagliati
e le comunicazioni con il resto del mondo
una puntigliosa operazione comunicativa al posto di emigrante. In tale prospetti- avvennero via radio. Il duro Trattato di Pace
va, assumevano un peso maggiore le destinazioni “coloniali”, un indirizzo reso più firmato da De Gasperi a Parigi nel febbraio
marcato dalle ricordate chiusure di alcune fondamentali destinazioni estere come del 1947 permise all’Italia di ricostituire la
rete di cavi sottomarina e l’Italcable riprese
gli Stati Uniti, impegnati nella severa politica delle quote. A più riprese il Commis- la sua attività al servizio del Paese e degli
sariato dell’emigrazione diramò circolari per scoraggiare le inutili partenze verso gli italiani nel mondo. Negli anni Settanta,
USA che ricorrevano a strade alternative, come quelle attraverso Cuba e il Messico, quando il saldo migratorio italiano per la
prima volta diventò negativo, l’Italcable
alimentate da una vera e propria “speculazione”. Da simili premesse prese corpo il realizzò ad Acilia la prima "città delle
progressivo allontanamento dalle condotte precedenti della politica fascista in tema telecomunicazioni intercontinentali"

75 76
1157 del 12 luglio 1940, era riconducibile allo sforzo di impedire gli espatri per motivi
di lavoro e di incentivare, al contrario, il trasferimento nei possedimenti coloniali ita-
liani per sviluppare la produzione interna in previsione di una maggiore occupazione
richiesta per fini bellici. L’insieme di queste misure determinò un evidente peggiora-
mento nel saldo delle rimesse degli emigranti che conobbero un brusco calo. Già nel
periodo compreso tra il 1914 e il 1927 sulle rimesse avevano pesato vari fattori; dall’ini-
ziale riduzione dei flussi ai ricongiungimenti familiari che avevano cancellato buona
parte delle destinazioni in terra italiana delle rimesse stesse, fino alla contrazione dei
salari registratasi in molti Paesi nel dopoguerra e alla nascita di forme di attrazione
del risparmio degli emigrati, soprattutto negli Stati Uniti. Nel tentativo di contenere
i danni di tale fenomeno fu introdotta, in seguito, la legge n. 764 del 15 maggio 1939,
contenente «provvedimenti per il trasferimento nel Regno delle somme in divisa libe-
ra da parte degli emigrati e dei rimpatriati». In base ad essa, l’Istituto Nazionale per
i Cambi con l’Estero, nato non a caso fin dal 1923 proprio per rastrellare il risparmio
italiano all’estero, era autorizzato a concedere un premio sulle dette somme in divisa, La “ fascistizzazione” degli emigranti
perseguita da Mussolini portò nel 1937 alla
consistente in uno speciale cambio di favore (la cosiddetta “Lira emigranti”) con un pubblicazione di un volume realizzato dagli
beneficio di circa il 25% rispetto al cambio ufficiale. Il provvedimento aveva lo scopo italiani di New York in collaborazione con
di valorizzare il risparmio italiano all’estero e di combattere i sistemi di rimesse in i Fasci Italiani all’estero (Biblioteca del
Ministero degli Affari Esteri, Roma). In
violazione delle norme valutarie vigenti che erano particolarmente diffusi «per l’opera questi due disegni di Lydia Seccia è descritto
di adescamento del mercato nero dei singoli Paesi», costituiti dalle illecite compensa- l’atto di fede nei confronti del fascismo. Il
zioni, dall’utilizzo irregolare di disponibilità dell’estero, dall’invio di biglietti di banca legame con gli italiani d’America, del resto,
fu coltivato dal fascismo a partire dagli anni
italiani «effettuato a vario titolo in favore delle proprie famiglie da nostri connazionali Venti, anche ai fini della rinegoziazione del
all’estero», per utilizzare le espressioni delle circolari ministeriali. debito di guerra con gli Stati Uniti da parte
Se la politica fascista, in coerenza con l’idea di evitare la dispersione di forza lavoro, del Ministro Volpi tra il 1925 ed il 1928. Un
momento di grande orgoglio per la comunità
riuscì a contenere almeno in parte i flussi migratori, certo ostacolati anche dalle più italiana fu senza dubbio rappresentato dalla
volte ricordate restrizioni imposte dai principali Paesi di destinazione, meno effica- Crociera Aerea del Decennale della Regia
ce si rivelò nel costruire un consenso politico nei confronti del regime fra gli italiani Aeronautica, organizzata da Italo Balbo nel
1933 e che ebbe come destinazione Chicago,
all’estero. Un simile impegno fu reso difficile in primo luogo dalla presenza in molte dove si svolgeva l’Esposizione universale per
aree di emigrati di seconda generazione, persino di terza, che avevano affievolito i il centenario della città, e quindi New York,
sorella Clara sottolineò sia il sentimento patriottico diffuso nella colonia italiana sia
rapporti con la madrepatria. Anche per questo l’atteggiamento prevalente fu spes- dove i trasvolatori italiani furono accolti
trionfalmente e sfilarono per la Columbus la resistenza rispetto alla penetrazione delle idee fasciste, resistenza peraltro molto
so quello dell’afascismo, di sostanziale indifferenza nei confronti delle posizioni Avenue criticata dallo stesso Gadda e che trovava spazio nelle pagine del giornale “la Patria
politiche di Mussolini; questa indifferenza era contrastata da crescenti nuclei di
degli italiani”, chiuso nel 1930 14. Nel caso degli Stati Uniti, dove agli emigrati era
antifascisti soprattutto dopo la fuga dall’Italia di numerosi militanti politici, spinti
riconosciuto il diritto di voto, la scelta da parte del Governo italiano fu quella di
non di rado anche dalla ricerca di un’occupazione. In alcune realtà, come avvenne
accettare lo scioglimento dei fasci per agevolare un’integrazione che sarebbe stata
in Francia, il fascismo provò ad intensificare l’azione di propaganda creando fasci
locali, promuovendo corsi d’italiano e forme di sostegno ai lavoratori espatriati, un utile strumento di consolidamento dei rapporti politici ed economici tra i due
senza conseguire grandi successi. In Argentina, il tentativo di “fascistizzare” l’emi- Paesi 15. A New York, dove vivevano quasi 400.000 italiani, nell’ottobre del 1927 fu
grazione, che assunse tinte molto forti, fu combattuto in particolare dalle correnti di inaugurata la Casa della Cultura italiana, alla presenza del senatore Guglielmo Mar-
ispirazione risorgimentale 13. Tra gli italiani che vissero in Argentina durante gli anni coni in rappresentanza del Governo italiano; si trattava di un momento importante
del fascismo figurava Carlo Emilio Gadda che passò quattordici mesi in Argentina, nel processo di costruzione di buone relazioni italo-americane che sempre nel 1927
dal dicembre del 1922 al febbraio del 1924 e a più riprese nelle lettere inviate alla avevano visto l’interessamento del sistema bancario statunitense al consolidamento

77 78

del pericolante quadro creditizio italiano. Fu la Banca Morgan a concedere il presti- Nota di infocamere: 75 e i 600 ettari, finalizzate alla coltivazione del cotone e del banano. Ma il vero salto
vista la distanza temporale dei lettori, non si ritiene
to cospicuo di 50 milioni di dollari ai tre istituti italiani di emissione per stabilizzare di qualità si ebbe dopo la proclamazione dell’impero d’Etiopia, nel 1936, allorché
opportuno cirtare in nota a cosa si riferisce Quota
le turbolenze generate dalla politica deflazionistica di Quota Novanta mentre altri Novanta? il regime fascista concepì l’idea delle colonie di popolamento, in cui si abbinassero
istituti affrontarono il tema della rinegoziazione del debito di guerra italiano 16. la colonizzazione “demografica”, realizzata con l’emigrazione di masse contadine,
Un passaporto per l’espatrio risalente al I primi anni Venti segnarono anche l’avvio di una significativa emigrazione italiana e forme di sfruttamento economico. In questo senso, nell’ottica fascista la colonia,
1925 (Archivio Paolo Cresci per la storia in Belgio; nel 1910 gli italiani lì residenti erano circa 4500 mentre nel 1924 erano tramite l’emigrazione, avrebbe dovuto riprodurre gli equilibri socio-economici del
dell’emigrazione italiana). L’emigrazione già divenuti 23.000, soprattutto per effetto di migrazioni organizzate dall’Opera Paese; per portare a compimento un simile progetto occorreva una selezione della
ha ispirato numerosi film, tra i quali
Passaporto Rosso, diretto da Guido Bonomelli che aveva sedi a Milano e a Bruxelles. Inoltre erano molto attivi alcuni forza lavoro da destinare alle colonie stesse. Iniziarono così ad affluire nell’Africa
Brignone nel 1935. Il titolo ricorda il uffici provinciali del lavoro, tra cui quello di Udine. Spesso erano le società carbo- orientale, già nell’estate del 1935, contingenti di lavoratori impegnati in opere di
documento che veniva rilasciato agli nifere e siderurgiche ad inviare in Italia loro emissari per reclutare lavoratori. Tra carattere infrastrutturale 17. Il loro reclutamento era affidato al Commissariato per le
emigranti. Il film descrive le vicende di
una famiglia italiana nata in America dal il 1922 e il 1930 si ebbero così circa 40.000 arrivi, il 72% dei quali si stabilì nelle migrazioni e la colonizzazione che si appoggiava alle prefetture e alle federazioni del
matrimonio tra una connazionale che perde province dell’Hainaut e di Liegi. Negli stessi anni, gli italiani che ritornarono dal fascio, attraverso le quali inviò in Africa circa 200.000 operai. Il periodo di massima
tragicamente il padre appena arrivata con Belgio furono da 10.000 a 15.000; nel 1934 il Governo belga e il Governo italiano affluenza si ebbe nel biennio 1936-37, in concomitanza con la costruzione di una
lui negli Stati Uniti ed un medico, emigrato
politico. Dalla loro unione nasce un figlio firmarono un accordo che prevedeva l’occupazione nelle miniere belghe di 4700 rete stradale destinata a collegare i principali centri dell’impero.
che si sente esclusivamente americano. lavoratori italiani in cambio di un milione di tonnellate di carbone all’anno.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Migrazione dei lavoratori verso l’Africa Orientale Italiana
il padre si arruola come volontario,
Periodo Immigrati Rimpatriati Deceduti
facendo capire al figlio quale sia la sua vera
nazionalità. Il ragazzo muore in battaglia, 4. Emigrazione in Africa e esuli politici Ottobre-dicembre 1935 61.807 11.288 247
rinunciando ad una vita " facile" negli Stati 1936 102.548 45.647 71
Uniti, ed il film si conclude con la sua 1937 27.694 84.426 709
piccola figlia, nata postuma, che ritira in Nella seconda parte degli anni Venti, sulla base dei principi prima ricordati, ispirati 1938 7.333 51.338 649
divisa la medaglia al valore guadagnata dal dalla volontà di non depauperare l’Italia di forza lavoro, il governo Mussolini avviò Gennaio-giugno 1939 2.098 15.302 2.368
padre. Proprio nel 1935 Mussolini diede il anche una intensa “colonizzazione” nei possedimenti africani che avrebbero dovuto Totale 201.480 208.001 2.368
via alla Guerra d’Etiopia: in questa cornice
il film assumeva fortemente un valore attrarre crescenti flussi migratori nazionali. A partire dal 1924 fu intrapresa la politica (Fonte: Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione, in C. Ispsen, Demografia totalitaria.
Il problema della popolazione nell’Italia fascista, Bologna, 1977, p. 178)
propagandistico degli insediamenti nell’area di Genale, nella Somalia meridionale, dove fu costruito
un complesso di piccole e medie aziende agrarie, con una superficie compresa fra i
Il regime fascista aveva concepito un modello originale di colonialismo assai diverso
da quelli delle altre potenze; l’Africa Orientale Italiana non doveva essere considerata
come una colonia di semplice sfruttamento, ma la base di un nuovo sistema socia-
le che realizzasse sia la colonizzazione demografica, conseguita con l’emigrazione di
masse di contadini, sia altre forme di sviluppo economico. «La colonizzazione fascista
andava intesa, – ha scritto Podestà – nello spazio e nel tempo, "come insediamento
e potenziamento di popolo", ovvero come la trasposizione nelle colonie di tutti gli
elementi produttivi della madrepatria, come contadini, operai, artigiani, impiegati,
commercianti e piccoli imprenditori, aborrendo con ciò la tradizionale colonizzazione
di matrice capitalistica volta quasi esclusivamente a beneficio di un ristretto nucleo
di privilegiati. Non si poteva concepire la creazione dell’impero, secondo l’accezione
intesa dal duce, senza il popolamento di una massa compatta, in grado di rinnovar-
si e moltiplicarsi, sopravanzando nel tempo in alcune aree addirittura la popolazio-
ne autoctona, e pronta, in determinate circostanze, a mobilitarsi per la guerra. La
popolazione nazionale avrebbe contribuito a fare dell’impero un’unità reale con la
madrepatria, una nuova Italia oltremare nell’accezione romana di insediamento della
civiltà». In tale prospettiva, emigrazione e colonizzazione si combinavano in una più

79 80
generale visione ideologica che non lasciava spazio ad altre forme di flussi migratori. Un imprenditore edile italiano, originario
della Lunigiana, in Libia alla fine degli anni
Il modello seguito ricordava per molti versi quello della bonifica integrale. Lo Stato
Trenta (MEGT - Per terre assai lontane)
acquisiva dei terreni, di fatto demanializzati, che venivano trasferiti alle organizzazio-
ni disposte ad impegnarsi nella colonizzazione. Si trattava di enti parastatali (Opera
Nazionale Combattenti e alcuni enti regionali sottomessi al controllo del partito fa-
scista tra cui l’Ente Romagna, l’Ente Puglia e l’Ente De Rege) che avrebbero curato
la bonifica e l’appoderamento delle terre e la selezione dei contadini, inquadrati in un
primo tempo nelle legioni della milizia. Le famiglie coloniche ricevevano un salario
e delle anticipazioni sotto forma di scorte e capitali e, solo in un secondo tempo, nel
caso in cui si fossero mostrate in grado di gestirlo, sarebbero divenute proprietarie del
podere. Gli operai destinati all’Africa orientale erano reclutati in particolare fra i brac-
cianti agricoli e provenivano da regioni la cui economia era prevalentemente agricola
come il Veneto, l’Emilia Romagna, la Sicilia, la Calabria e la Puglia. Le prime dieci
province di provenienza erano rispettivamente Udine (10.843), Napoli (9411), Bolo-
gna (7193), Modena (5844), Treviso (5257), Rovigo (5010), Roma (4662), Bari (4459),
Belluno (4390) e Brescia (4184). Questi lavoratori ricevevano paghe più alte rispetto ai
salari italiani e ciò favoriva, insieme alle limitate possibilità di spesa in loco, una note- La fabbrica di armi ed esplosivi della
vole consistenza delle rimesse trasferite in patria pari, tra il 1935 e il 1938, a oltre 5,2 Montecatini in Etiopia, nel 1940 (MEGT -
Per terre assai lontane)
miliardi di lire correnti, una cifra pari a oltre l’1% del PIL nel 1936 e 1938 e a circa il
2% nel 1937 18. Nella medesima logica seguita per favorire il legame tra colonizzazione
ed emigrazione, il governo Mussolini nel 1926 aveva creato il “Comitato permanente
per le migrazioni interne”, presso il Ministero dei Lavori pubblici, il cui compito era
quello di svolgere indagini e rilevazioni preliminari per favorire una emigrazione dal
Nord, ed in particolare dal Veneto, verso le aree del Mezzogiorno e delle isole.
Come è noto, gli anni del regime videro anche un gran numero di esuli che abban-
donarono il Paese per prevalenti ragioni politiche. Secondo stime attendibili, si trat-
terebbe di circa 60.000 persone, partite soprattutto negli anni Venti, dopo le leggi
“fascistissime”, che si diressero in larga prevalenza in Francia, in Belgio e in Svizzera. I
dati delle autorità di polizia italiane registrarono ben 28.000 schedature di “fuoriusci-
ti”, secondo l’espressione evidentemente spregiativa concepita dal regime, in Francia,
definiti come “comunisti, socialisti, repubblicani e anarchici”. A Parigi, nel 1927, per
iniziativa di Alceste De Ambris e Luigi Campolonghi, era nata la Concentrazione
antifascista organizzata dai fuoriusciti italiani che fu il motore principale dell’opposi- un’adesione al Fronte Unico, un tema che rimase aperto a lungo, mentre il “Soccorso
zione al regime all’estero. Di tale organizzazione fecero parte prima i repubblicani e i Anarchico” alle vittime politiche ed alle loro famiglie dava vita ad un’azione di grande
socialisti e poi dal 1931 la formazione di “Giustizia e Libertà”, fino allo scioglimento rilievo. La questione, divenuta annosa, del fronte unico contro il fascismo e, più in
avvenuto nel 1934. Fra i fuoriusciti, furono molto numerosi in particolare gli anarchici generale, delle alleanze nel periodo di “transizione”, fu definita almeno in parte a
i cui esponenti più conosciuti erano Luigi Fabbri, Ugo Fedeli, Armando Borghi, Al- Parigi, nel 1935, in un “Convegno d’intesa degli anarchici italiani emigrati in Francia,
berto Meschi, Camillo Berneri. Le testate anarchiche stampate in Francia in lingua Belgio e Svizzera” a cui prese parte lo stato maggiore dell’anarchismo italiano. Le
italiana negli anni del fascismo furono poco meno di una sessantina, a dimostrazione notizie provenienti dalla Spagna nel corso del 1936 indussero molti fra gli anarchici
di un’azione decisamente capillare. Nel 1934 il movimento in esilio in Francia si divise italiani residenti in Francia ad accorrere a Barcellona e ad aggregarsi nelle colonne
fra i cosiddetti anarchici indipendenti, organizzati in Federazione, e quelli favorevo- della CNT-FAI (Confederatión Nacional del Trabajo-Federación Anarquista Ibérica).
li invece ad un avvicinamento nei confronti della Concentrazione antifascista o ad Con la parola d’ordine «oggi in Spagna, domani in Italia» si formò di lì a poco, con

81 82

il concorso di giellisti e repubblicani, la Colonna italiana, sezione Ascaso della CNT- vano preso vita le “colonie libere italiane” con l’obiettivo di fornire un sostegno
FAI, sulla base di accordi sottoscritti da Camillo Berneri, Mario Angeloni e Carlo ai rifugiati politici. Questa attività, che aveva dovuto fare i conti con espulsioni
Rosselli, ciascuno per la sua parte politica 19. Nella seconda metà degli anni Trenta, importanti come quella di Palmiro Togliatti, divenne molto più difficoltosa dopo
quando l’attività antifascista in terra transalpina divenne legale, gli iscritti all’Unio- il 1933, allorché il Governo svizzero introdusse una legislazione più rigida che
ne popolare italiana, la denominazione assunta dal fronte antifascista, furono circa distingueva tra profughi politici e altri rifugiati “civili”, con l’intento di ridurre
50.000 e il giornale “la Voce degli italiani” arrivò ad una tiratura di 27.000 copie. Gli in maniera significativa i flussi in ingresso e soprattutto di non alterare in alcun
italiani rappresentavano una delle comunità straniere più nutrite e gestivano molti modo la propria neutralità, mettendo a rischio le relazioni con il Governo italiano.
luoghi pubblici di socializzazione, dai caffé alle trattorie, che diventarono punti fon- Nel 1938, poi, in seguito al fallimento della Conferenza di Evian, le autorità elve-
damentali di coesione delle diverse correnti di opposizione al fascismo. Alcuni di Una foto dei partecipanti al Congresso della tiche ridussero ulteriormente gli spazi, stabilendo il principio del respingimento
questi luoghi ebbero un ruolo importante e molto studiato come la libreria tolosana di Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo svoltosi dei rifugiati privi di visti; nonostante ciò, le città svizzere accolsero una parte non
a Chambery nel 1939. Il sodalizio, nato
Silvio Trentin, in rue Languedoc 20. Il regime adottò nei confronti di simili iniziative nel 1923 su iniziativa dei due lunigianesi trascurabile dei circa 6000 ebrei italiani che lasciarono il Paese dopo le leggi raz-
un trattamento molto duro, colpendo in particolare con rappresaglie di vario tipo le Alceste De Ambris e Luigi Campolonghi, ziali 21. Nel caso dell’esilio in Belgio, le motivazioni di fondo tendevano ad unire
famiglie degli esuli rimaste in Italia e sancendo, già con la legge del 25 novembre 1926, era guidato da Ernesta Cassola, moglie insieme ragioni politiche e di lavoro, dettate queste ultime dal crescente bisogno
di quest’ultimo. La Lega Italiana era la
la confisca dei beni dei “fuorusciti”. Una parte degli esuli, inoltre, era stata colpita principale organizzazione non comunista in
di braccia nelle miniere dove scarseggiava la manodopera locale impegnata nel
aspramente dalle condanne inflitte dal Tribunale speciale istituito nel gennaio 1927 Francia ed aveva un ruolo attivo anche nella conflitto. I “fuoriusciti” italiani, in tale contesto, rimanevano in ogni caso sotto
che fece largo uso dello strumento del “confino”. Tra il 1939 ed il 1940, dalla Francia protezione dei fuoriusciti (MEGT - Per terre stretta sorveglianza politica e poliziesca sia da parte dello stato belga sia di quel-
assai lontane)
rimpatriarono circa 85.000 italiani mentre furono 24.000 quelli che fecero richiesta di lo italiano, conoscendo quindi una situazione assai dolorosa 22. Durante gli anni
essere naturalizzati in terra francese. I rimpatri dipesero in larga parte dalla volontà
di evitare ritorsioni ad opera delle autorità transalpine dopo lo scoppio del conflitto
piuttosto che dall’intenzione di combattere nelle file dell’esercito italiano.
In Svizzera, invece, fin dal 1925, approfittando di una politica migratoria che per
quanto già più restrittiva rispetto al passato continuava ad essere “liberale”, ave-

Una commemorazione di Giacomo Matteotti


svoltasi in Brasile nel 1928 (Collezione
Ostuni). Il regime temeva l’emigrazione
politica, e l’omicidio dei fratelli Rosselli nel
1936 ne è la più atroce testimonianza

83 84
del fascismo, nella geografia dei luoghi di partenza degli emigrati, che non subì È evidente, nell’ambito della più volte ricordata contrazione degli espatri, la
radicali trasformazioni, si aggiunsero alcune sedi, già presenti, ma ora destinate forte crescita delle destinazioni verso la Germania dopo l’avvicinamento di-
a diventare più importanti in termini di numeri; così avvenne per Parma da cui plomatico tra i due Paesi. Tale fenomeno si manifestò in particolare nel primo
partirono nel solo 1931 quasi 3000 persone. anno di guerra, quando aveva preso corpo un vero e proprio “arruolamento” di
Il Parmense aveva già conosciuto una prima ondata migratoria significativa tra la lavoratori italiani nel sistema produttivo tedesco, mentre divenne altrettanto pa-
fine dell’Ottocento e gli anni giolittiani, registrata con cura dalla locale Camera lese la riduzione dei flussi verso gli Stati Uniti, a partire dagli anni Trenta, verso
di Commercio che nel 1910 aveva descritto il fenomeno in questi termini: «La il Brasile e soprattutto in direzione dell’Argentina. La mobilitazione verso la
generalità si indirizzò all'estero e di preferenza verso la Svizzera, la Germania, Germania coinvolse operai, minatori e lavoratori edili; i primi vennero occupati
l'Austria e la Francia; meno di un quarto cercò lavoro in altre provincie d'Italia». nelle officine Volkswagen e nelle acciaierie Herman Goering Werke. I minatori,
Furono molte le Camere di Commercio che nel corso del primo decennio del No- invece, costituirono una quota parte significativa dell’accordo firmato tra Roma
vecento prepararono puntuali statistiche dei flussi migratori e sicuramente una e Berlino nel giugno del 1940 che prevedeva il trasferimento in terra tedesca di
delle più attente in tal senso fu quella di Napoli che pubblicava un "Bollettino 20.000 italiani, di cui 6.000 sarebbero stati minatori. In cambio la Germania
statistico", in cui era riportato, tra gli altri dati, l'elenco dei piroscafi su cui veni- avrebbe garantito all’Italia rifornimenti di molteplice natura. Nell’insieme nel
vano imbarcati gli emigranti. periodo 1940-1942 gli italiani a diverso titolo impiegati nel sistema produttivo
tedesco raggiunsero la significativa cifra di circa 270.000 unità, pari al 12,7%
del totale delle presenze di lavoratori esteri in Germania 23.
5. Confronti Varie trasformazioni sono intervenute anche nella composizione professionale
degli stessi espatriati, con una forte incidenza dei lavoratori non agricoli:
Di particolare interesse risulta il quadro generale delle destinazioni geografiche delle mi-
Espatriati per condizione professionale – Dati per singolo anno 1921-1940 (valori assoluti e in percentuale)
grazioni italiane nel periodo fascista messo in relazione a quanto era avvenuto nei decen-
ni precedenti; un quadro da cui emergono elementi di continuità e di cambiamento. Espatriati in età lavorativa
In condizione professionale In condizione non professionale
Anni
Espatriati per Paese di destinazione – Dati per singolo anno 1921-1940 (valori assoluti) Agricoli Non agricoli Totale Totale

Anni Francia Germania Svizzera Canada Stati Uniti Brasile Argentina Australia N. % N. % N. % N. % N.
1921 44.782 1.811 8.753 3.816 67.495 8.587 33.277 1.468 1921 54.042 32 72.299 42,7 126.341 74,7 42.744 25,3 169.085
1922 99.464 2.097 7.464 3.846 41.637 9.275 63.582 4.226 1922 75.360 30,1 136.885 54,7 212.245 84,8 38.085 15,2 250.330
1923 167.982 576 8.772 7.783 51.740 13.574 105.235 963 1923 99.958 28,8 194.852 56,1 294.810 84,9 52.252 15,1 347.062
1924 201.715 1.063 12.618 3.459 35.374 9.723 67.403 4.498 1924 80.993 25,4 182.977 57,3 263.970 82,7 55.041 17,3 319.011
1925 145.529 1.688 13.626 1.751 29.723 7.367 52.986 5.182 1925 62.472 25,6 132.378 54,1 194.850 79,7 49.695 20,3 244.545
1926 111.252 557 14.074 3.087 34.524 11.180 64.245 4.783 1926 62.362 27,3 121.285 53,1 183.647 80,4 44.720 19,6 228.367
1927 59.784 899 18.106 5.034 37.925 9.197 68.781 6.900 1927 55.424 28,4 101.447 52,2 156.871 80,6 37.652 19,4 194.523
1928 40.048 566 13.395 802 40.882 2.984 26.628 2.346 1928 19.989 17 65.147 55,3 85.136 72,3 32.678 27,7 117.814
1929 53.186 837 24.191 1.186 44.076 2.634 24.521 1.435 1929 17.415 12,1 86.809 60,1 104.224 72,2 40.118 27,8 144.342
1930 99.346 1.400 36.057 1.035 35.785 2.037 29.083 1.715 1930 23.267 11,6 139.333 69,2 162.600 80,8 38.755 19,2 201.355
1931 74.115 791 25.852 680 16.351 1.518 19.034 695
1932 33.516 367 11.689 339 11.527 1.258 9.304 887 1931 14.965 10,4 92.697 64,8 107.662 75,2 35.428 24,8 143.090
1933 35.745 752 10.668 364 11.455 1.543 6.643 1.226 1932 7.586 10,9 42.528 61,1 50.114 72 19.493 28 69.607
1934 20.725 639 8.690 343 13.492 1.431 7.419 1.324 1933 7.955 11,6 39.188 56,9 47.143 68,5 21.701 31,5 68.844
1935 11.666 589 7.539 351 13.395 1.705 8.423 1.664 1934 6.516 11,9 31.206 56,8 37.722 68,7 17.157 31,3 54.879
1936 9.614 467 3.890 330 10.207 1.320 5.781 1.174 1935 4.327 9,5 25.530 55,8 29.857 65,3 15.891 34,7 45.748
1937 14.717 663 5.417 343 15.640 1.349 8.943 2.358 1936 3.000 9,2 15.898 48,9 18.898 58,1 13.652 41,9 32.550
1938 10.551 9.555 5.925 401 12.197 1.122 9.886 2.705 1937 4.933 10,2 24.100 49,8 29.033 60 19.368 40 48.401
1939 2.015 1.972 4.421 244 7.533 1.024 4.700 1.800 1938 4.295 8,1 32.112 60,8 36.407 68,9 16.405 31,1 52.812
1940 1.119 42.308 1.768 74 2.839 226 620 415 1939 2.033 8,1 15.011 59,5 17.044 67,6 8.178 32,4 25.222
1940 7.944 20,3 18.665 47,8 26.609 68,1 12.443 31,9 39.052
(http://www.altreitalie.it/static/fade.htm)

85 86

Note
Una sostanziale continuità presenta al contrario la percentuale di presenza femmi- 1
Durante la fase bellica si ridusse molto in termini assoluti anche 4
Nel caso italiano, tale quota significava poco più di 40.000 ingressi
il flusso migratorio femminile che aveva iniziato ad ingrossarsi a negli Stati Uniti; tale misura fu contestata da Benito Mussolini che
nile tra i migranti italiani, fatto salvo il significativo aumento registratosi nel periodo
partire dai primi anni del Novecento: chiedeva alle autorità statunitensi l’ingresso di almeno 100.000
1933-1939. italiani l’anno (S. Luconi, La “diplomazia parallela”: il regime fasci-
Quinquennio Volumi del flusso migratorio femminile
sta e la mobilitazione politica degli italo-americani, Milano, Franco
1871-1875 60.000
Espatriati per sesso – Dati per singolo anno 1921-1940 (valori assoluti e in percentuale) Angeli, 2000).
1876-1880 80.000 5
L. Tibaldo, Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e
Anno Totale Maschi % Femmine % 1881-1885 117.000 Bartolomeo Vanzetti, Torino, Claudiana, 2008.
1921 201.291 128.826 64,00 72.465 36,00 1886-1890 239.000 6
P. Pinna, Operai italiani in una regione di frontiera. Storia delle
1922 281.270 202.514 72,00 78.756 28,00 1891-1895 294.000 migrazioni italiane in Lorena (1890-1939), in «Storicamente», 5
1896-1900 312.000 (2009), http://www.storicamente.org/07_dossier/emigrazione-
1923 389.957 284.669 73,00 105.288 27,00
1901-1905 473.000 italiana-in-francia.htm
1924 364.614 263.531 72,28 101.083 27,72 7
P. Corti, L’emigrazione italiana in Francia. Un fenomeno di lunga
1925 280.081 197.653 70,57 82.428 29,43 1906-1910 598.000
durata, in «Altreitalie», 26 (gennaio-giugno 2003); E. Sori, Alcune
1926 262.396 184.722 70,40 77.674 29,60 1911-1915 976.000 determinanti dell’emigrazione italiana in Francia tra Ottocento e
1927 218.934 155.284 70,93 63.650 29,07 1916-1920 233.000 Novecento, in «Studi Emigrazione», XXVI, 93 (1989), pp. 2-21
1928 140.856 90.462 64,22 50.394 35,78 e R. Schon, Histoire de l’immigration en France, Paris, Colin,
P. Salvetti, Il movimento emigratorio italiano durante la Prima
2
1996.
1929 174.802 110.508 63,22 64.294 36,78 Guerra Mondiale, in «Studi emigrazione», 87 (1987).
1930 236.438 169.002 71,48 67.436 28,52
8
E. Halter, Gli italiani in Svizzera. Un secolo di emigrazione, Bellin-
Particolarmente restrittiva risultava la normativa sulle patenti di vet-
3
zona, Edizioni Casagrande, 2004.
            tore regolata dall’articolo 18: «Nessuno può arruolare o accaparrare 9
P. Corti, Donne che vanno, donne che restano. Emigrazione e com-
1931 165.860 110.134 66,40 55.726 33,60 emigranti, promettere o vendere biglietti d’imbarco, se non ha otte- portamenti femminili, in Società rurale e ruoli femminili in Italia tra
1932 83.348 50.793 60,94 32.555 39,06 nuto dal commissariato la patente di vettore di emigranti, più una ottocento e novecento, in «Annali dell’Istituto Cervi», 12 (1990),
1933 83.064 48.126 57,94 34.938 42,06 speciale licenza dello stesso commissariato, subordinata ad oppor- pp. 213-236.
Un manifesto della Sitmar, Società Italiana 1934 68.461 39.928 58,32 28.533 41,68 tune garanzie, quando trattasi di emigranti con viaggio gratuito o 10
E. Gentile, La politica estera del partito fascista. Ideologia e orga-
di Servizi Marittimi, nata nel 1913 e sussidiato, o in qualsiasi modo favoriti o arruolati. Possono ottenere nizzazione dei Fasci italiani all’estero (1920-1930), in «Storia Con-
1935 57.408 31.709 55,23 25.699 44,77
specializzata nei collegamenti con l’Oriente la patente, quando dispongano di piroscafi nelle condizioni stabilite temporanea», XXVI, 6 (1995).
1936 41.710 21.274 51,00 20.436 49,00
e l’Africa (Archivio Storico dell’Autorità dal regolamento, le compagnie nazionali di navigazione, gli armatori 11
P.V. Cannistraro-G. Rosoli, Emigrazione chiesa e fascismo. Lo
1937 59.945 33.098 55,21 26.847 44,79 ed i noleggiatori nazionali, sia individualmente sia in consorzio. La
Portuale di Genova) scioglimento dell’Opera Bonomelli 1922-1928, Roma, Edizioni
1938 61.548 37.841 61,48 23.707 38,52 patente può altresì essere concessa alle compagnie forestiere di navi- Studium, 1979.
1939 29.489 16.772 56,88 12.717 43,12 gazione, riconosciute nel Regno secondo gli artt. 230 e seguenti del 12
M. Strazza, Emigrazione e fascismo in Basilicata. Gli emigrati luca-
1940 51.817 28.848 55,67 22.969 44,33 codice di commercio, ed agli armatori e noleggiatori stranieri, quan- ni negli Stati Uniti e l’appoggio al fascismo, Melfi, Tarsia Editore,
Fonte? do dispongano di piroscafi nelle condizioni stabilite dal regolamento. 2004.
Alle compagnie, agli armatori e noleggiatori stranieri la patente può 13
F. Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argenti-
essere conferita soltanto quando essi nominino come loro mandatario na, Roma, Donzelli, 2006.
Quello degli anni Trenta è un dato in parte nuovo rispetto alle percentuali del un cittadino italiano, domiciliato nel regno, ovvero una ditta italiana 14
P. Sergi, Fascismo e antifascismo nella stampa italiana in Argenti-
legalmente costituita, e si sottomettano, per tutto ciò che si riferisce na: così fu spenta la “Patria degli italiani”, in «Altreitalie», (luglio-
passato e legato indubbiamente alla riduzione complessiva dei flussi. Nel periodo alle operazioni d’emigrazione e agli atti che ne conseguono, a tutte le dicembre 2007).
1876-1885 partirono in media ogni anno circa 112.000 uomini e 20.000 donne; leggi e regolamenti del regno ed alle condizioni che potranno essere 15
E. Gentile, La politica estera del partito fascista. Ideologia e orga-
negli anni seguenti si assistette ad un riequilibrio molto parziale e nell’arco tem- stabilite dal commissariato generale dell’emigrazione nella patente di nizzazione dei Fasci italiani all’estero (1920-1930), in «Storia Con-
vettore. La patente è valida per un anno, soggetta, di volta in volta, temporanea», XXVI, cit.; P. Cannistraro, Blackshirts in Little
porale compreso fra il 1896 e il 1900 l’emigrazione femminile arrivò a costituire a una tassa di concessione di lire 120.000 per ogni piroscafo iscritto, Italy. Italian Americans and Fascism 1921-1929, West Lafayette,
un quarto del totale. Solo durante la Prima Guerra Mondiale il numero delle e vincolata ad una cauzione, non inferiore a lire 60.000 di rendita Bordighera Press, 1999.
in titoli dello Stato, che verrà fissata dal Ministero degli affari esteri, 16
G.G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo. Alle origini dell’egemo-
donne che lasciò il Paese risultò superiore rispetto a quello degli uomini. Negli secondo l’importanza delle operazioni. La richiesta della patente im- nia americana in Italia, Milano, Editrice Feltrinelli, 1980.
anni Venti poi la percentuale degli uomini espatriati tornò prevalente per riequi- plica accettazione di tutti gli obblighi derivanti al vettore dalle dispo- 17
G.L. Podestà, Il mito dell’impero. Economia, politica e lavoro nelle
sizioni vigenti in materia di emigrazione. Il Ministro degli affari esteri,
librarsi appunto in maniera più netta nel decennio seguente 24. colonie italiane dell’Africa Orientale, Torino, G. Giappichelli, 2004.
udito il consiglio superiore dell’emigrazione, può, con suo decreto 18
Ivi, p. 341.
motivato, negare, limitare o ritirare la patente. La cauzione sta a ga- 19
G. Sacchetti, Gli anarchici contro il fascismo, in «Acrataz», (di-
ranzia in primo luogo dell’adempimento di tutte le obbligazioni del cembre 2003); G. Manfredonia, Les Anarchistes italiens en Fran-
vettore e del suo rappresentante verso l’emigrante o chi per esso; e, in ce dans la lutte antifasciste, in «Collection de l’ècole Française de
secondo luogo, del pagamento delle pene pecuniarie, in cui il vettore Rome», 94 (1986).
o il suo rappresentante possano incorrere in forza della presente leg- 20
Su questo tema esiste una vasta bibliografia, cfr. tra gli altri Gli
ge. La cauzione dovrà essere reintegrata ogniqualvolta abbia subìto italiani in Francia, 1938-1948, con il patrocinio del Ministero de-
diminuzione, sotto pena di decadenza dalla patente; e sarà restituita, gli Affari Esteri, Torino, 1991; L’immigration italienne en France
salvo il caso di giudizio pendente, sei mesi dopo che il vettore avrà dans les années 20, Actes du colloque franco-italien (Paris 15-16
cessato d’esser tale». octobre 1987), Paris, Cedei, 1988; L’Italia in esilio: l’emigrazione

87 88
italiana in Francia tra le due guerre, Archivio Centrale dello Stato, Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoria-
Roma, Cedei, Paris, Centro Studi Piero Gobetti, Torino, Istituto le Umbra, 2004.
Italiano di Cultura, Paris, Edizione bilingue, Roma, Presidenza 23
B. Mantelli, L’emigrazione di manodopera italiana nel Terzo Reich,
del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e in Partenze. Storia dell'emigrazione italiana ... cit., pp. 343-345.
l’Editoria, 1993; Archivio Centrale dello Stato, L’Italia in esilio: 24
Paola Corti ha fornito dati almeno parzialmente diversi da questi:
l’emigrazione italiana in Francia tra le due guerre, Roma, Presiden- «La componente femminile rappresenterà il 21-22% nell’insieme
za del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e del flusso migratorio ancora tra il 1901 e il 1915 e giungerà fino
l’editoria, 1984, P. Milza, Le fascisme italien et la presse française, al 59% soltanto all’inizio del primo conflitto mondiale, quando la
1920-1940, Paris, Editions complexe, 1987; Les italiens en France guerra impose il ricongiungimento forzato dei nuclei domestici
de 1914 à 1940, a cura di P. Milza, Roma, Collection de l’Ecole
separati dai confini e quando la chiamata alle armi degli uomi-
Française de Rome, 1986, pp. 787; S. Tombaccini, Storia dei fuo-
ni fece registrare quell’eccezionale reclutamento di manodopera
riusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988, pp. 380. Molto
femminile anche nei percorsi migratori: un fenomeno ben do-
bello è anche il testo di P. Gabrielli, Con il freddo nel cuore: uo-
mini e donne nell’emigrazione antifascista, Roma, Donzelli, 2004 cumentato dalla presenza di donne italiane nei lavori minerari
che contiene un’ampia bibliografia su una questione storiografica di alcuni bacini francesi. L’alto tasso di mascolinità della nostra
fondamentale spesso trattata in chiave spiccatamente politica. emigrazione venne definitivamente ridimensionato negli anni tra
21
Spiriti liberi in Svizzera. La presenza di fuoriusciti italiani nella Con- le due guerre: tra il 1931 e il 1935 le donne contribuirono con
federazione negli anni del fascismo e del nazismo (1922-1945), a il 63% al totale degli espatri e le partenze femminili toccarono
cura di R. Castagnola-F. Panzera-M. Spiga, Firenze, Franco Ce- addirittura il 77,5% tra il 1936 e il 1940» (I movimenti frontalieri
sati Editore, 2006. al femminile. Percorsi tradizionali ed emigrazione di mestiere dalle
22
A. Morelli, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in valli cuneesi alla Francia meridionale, in http://www.cg06.fr/cms/
Belgio (1922-1940), Roma, Bonacci, 1987 e Ead., Gli italiani del cg06/upload/decouvrir-les-am/fr/files/rr132-1995-04.pdf)

89

Capitolo quarto

La ripresa dei flussi migratori


1. Profughi e nuovi emigrati Anche il rientro in patria dei militari e degli ex prigionieri di guerra contribuiva
ad accrescere la già forte disoccupazione e stimolava nuove emigrazioni. I militari
Subito dopo la fine del conflitto, si assistette ad un duplice fenomeno costituito italiani che erano stati internati nei lager tedeschi e polacchi erano stati circa
dall’avvio di un’emigrazione in terra italiana di profughi provenienti dall’estero e 710.000, di questi 100.000 avevano fatto ritorno prima della fine della guerra per
dalla ripresa dei flussi migratori dall’Italia. Per quel che concerne il primo aspetto aderire alla Repubblica sociale di Salò, mentre i partecipanti alla spedizione in
si registrò una sequenza di passaggi di notevoli dimensioni. Tornarono in patria Russia erano stati 230.000, dei quali fece ritorno in Italia meno della metà. Nel
infatti gli italiani espulsi dalle colonie perdute in Africa orientale e settentrionale complesso, si stima che i reduci rientrati in Italia fra il 1945 e il 1947 siano stati cir-
e i soldati prigionieri in Europa, in Africa, in Asia, in Nord America e in Austra- ca 1 milione e 300.000, accolti in un Paese che non era disposto a riconoscere loro
lia. Poi giunsero gli abitanti di lingua italiana dei territori ceduti alla Iugoslavia particolari diritti di prelazione nel difficilissimo mercato del lavoro, anche perché
e, vista la posizione al centro del Mediterraneo e dato che i porti funzionavano proprio la guerra, combattuta all’interno del Paese, aveva cancellato di fatto la
ancora, arrivarono profughi dalla Germania e dall’Austria, dalle ex colonie te- distinzione fra civili e militari 4. Ad ingrossare i flussi in uscita dall’Italia furono
desche e dall’Est europeo e dai Balcani; i giornali, sia pur esagerando, scrissero invece, nello stesso periodo, le fughe di numerosi soggetti compromessi con il
nel 1947 di un milione di profughi in giro per l’Italia 1. Molto consistente risultò regime fascista, che cercarono rifugio all’estero, in particolare in America Latina.
l’arrivo di profughi provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia; le stime relative a Fino allo svolgimento delle elezioni dell’aprile del 1948, ci furono infatti persone
tale flusso oscillano fra le 200.000 e le 350.000 unità. La destinazione preferita di che per l’appoggio diretto dato al fascismo e, ancora di più, alla fase della Repub-
queste migrazioni fu la città di Trieste dove le condizioni della popolazione tesero Un manifesto che pubblicizza i servizi di blica di Salò, o per la loro fede politica, subirono o temettero di cadere vittima di
a peggiorare rapidamente stimolando ondate migratorie con partenze significative navigazione nell’immediato dopoguerra vendette private e comunque di non riuscire a trovare una nuova occupazione.
in termini numerici in direzione dell’Australia. (CSER, Roma). Dopo la fine del conflitto
Dopo l’amnistia voluta da Palmiro Togliatti per facilitare la riconciliazione nel Pae-
il settore tornò a crescere grazie alla ripresa
Già nel 1951 fu costruita dai Cantieri San Marco nella città friulana la motonave Au- dell’emigrazione se e promulgata all’indomani del referendum che sancì la vittoria della Repubblica,
stralia (gemella della nave Oceania e della Neptunia), dotata di una stazza di 13.140 uscirono dalle carceri italiane circa 10.000 dei 12.000 fascisti che vi erano detenuti,
tonnellate, lunga 161,1 metri e larga 21 2. Con una velocità di 18 nodi marittimi era non esclusi i maggiori responsabili a livello politico e militare della guerra, e nu-
in grado di ospitare 672 passeggeri e in 22 giorni trasportava i migranti italiani nei merosi autori di crimini efferati. Per effetto di tale provvedimento si moltiplicaro-
porti australiani. Più in generale, in realtà, il secondo dopoguerra vide una for- no le partenze perché, in maniera quasi paradossale, chi veniva scarcerato temeva
te crescita dell’emigrazione italiana in Australia che raggiunse nel 1961 le 228.000 di incorrere in vendette private e dunque sceglieva la via dell’espatrio che poteva
unità. Questo incremento si legò al cambiamento nella politica migratoria adottata avvenire per via legale, confondendosi con l’emigrazione dettata da ragioni legate
dall’Australia che nel 1947, per volontà del ministro Calwell, rimosse gli ostacoli agli soltanto alla ricerca del lavoro. Nell’emigrazione dei fascisti italiani ebbe un certo
ingressi di emigrati non anglosassoni e che condusse nel 1954 alla firma di un accor- peso il Movimento italiano femminile (Mif), fondato alla fine del 1946 a Roma dalla
do con il Governo italiano con cui era prevista l’emigrazione “assistita” di 44.000 principessa Maria Pignatelli di Cerchiara che intendeva soccorrere i fascisti ancora
italiani. I flussi furono gestiti prima dall’IRO, International Refugee Organization, in carcere fornendo loro avvocati che ne seguissero le cause nei tribunali. Tale mo-
un organismo internazionale che riservò particolare attenzione all’accoglienza dei vimento si diffuse quasi subito all’estero, in particolare in Spagna, in Brasile e in Ar-
rifugiati in Australia, e poi, dal 1951, dal Comitato provvisorio intergovernativo per gentina, dove sia la principessa che il marito, Valerio Pignatelli, avevano rapporti di
il movimento dei migranti dall’Europa, destinato a divenire già dall’anno seguen- amicizia con influenti esponenti delle locali collettività italiane, tra cui i membri del-
te il Comitato Intergovernativo per le Migrazioni Europee (CIME), composto da la famiglia di imprenditori italo-brasiliani Matarazzo. L’emigrazione fascista in terra
13 membri fondatori tra cui figuravano l’Italia e l’Australia. Lo scopo della nuova argentina trovò un ulteriore alimento nella simpatie espresse dal Movimento sociale
organizzazione era quello di favorire il trasferimento di emigranti dai Paesi euro- italiano nei confronti del regime peronista, che si aggiunsero, nel determinare una
pei sovrappopolati verso Paesi, in genere d’oltreoceano, che avrebbero consentito chiara preferenza verso questa destinazione, alla felice situazione economica della
ingressi ben regolamentati ed un’accoglienza decorosa. A tal fine, il CIME si dotava Repubblica del Plata all’indomani della fine del conflitto e al varo di una politica
di uffici in varie città europee – Trieste era una di queste – dove veniva compiuta la immigratoria che mirava ad attirare manodopera qualificata e imprese con operai al
selezione degli emigrati da destinare alle diverse aree. Si trattava di selezioni molto seguito, ponendo gli italiani al primo posto tra i gruppi nazionali preferiti. In una
rigorose che in genere si traducevano nell’accoglimento di circa il 50% delle richie- simile ottica, peraltro, era stato concluso un accordo di emigrazione tra i due Paesi
ste di espatrio 3. firmato nel febbraio del 1947. Nel 1949, Ettore Rossi, presidente dell’associazione

93 94

Italia Libera, fondò un settimanale, “Il Corriere degli italiani”, che fu trasformato nel primo quindicennio del Novecento il saldo migratorio italiano aveva superato
nel 1954 in un quotidiano letto anche fuori dall’Argentina e che fino alla morte le 400.000 unità annue, quello del primo decennio postbellico a stento toccava le
prematura del direttore nel 1960 affrontò sulle sue pagine questioni come il costo 130.000 unità e ciò a fronte di ben il 49 per cento della popolazione maschile adulta
degli affitti e delle case, le rimesse e i ricongiungimenti famigliari, adoperandosi per che – come rilevavano sin dal 1946 i sondaggi d’opinione della Doxa – desiderava
superare le “criticità” politiche emerse con l’immediato dopoguerra 5. ardentemente emigrare 8. Più in generale, i numeri complessivi dell’emigrazione ita-
liana dell’immediato dopoguerra mettono in risalto però una ripresa del fenomeno
comunque molto decisa. Se nel periodo 1931-1940 il totale degli espatri era stato
2. Un nuovo boom. Trattati ed emigrazione clandestina di 705.650 unità a fronte di 589.857 rimpatri, nel quindicennio seguente alla fine
del conflitto gli espatriati furono 1.127.720 contro 380.008 rimpatri; di tali espatri
Negli anni dell’immediato dopoguerra a determinare una rapida ripresa dell’emi- 638.492 erano stati indirizzati verso l’Europa e 489.228 in direzione extraeuropea.
grazione italiana contribuirono numerosi altri fattori, alcuni dei quali di fondamen- Nel 1946 si ebbero i trattati con Francia e Belgio, nel 1947 con Cecoslovacchia,
tale rilievo, a cominciare dalle profonde difficoltà economiche che avevano colpito il Svezia e Gran Bretagna, l’anno successivo con Svizzera, Olanda e Lussemburgo
Paese in seguito alle pesanti distruzioni belliche. In tale ambito, le dimensioni che il e nel 1955 con la Germania. Più in generale, tra il 1946 e il 1955, l’Italia firmò,
Una cartolina dell’Associazione Nazionale fenomeno assunse furono tanto estese da renderlo un elemento importante non solo utilizzando la Direzione generale dell’emigrazione che faceva capo al Ministero
delle Famiglie Emigranti (Archivio di Stato per l’economia italiana ma più generalmente per quella europea, in relazione soprat- degli Esteri, accordi bilaterali con ben 14 nazioni. Lo scopo dichiarato di tali
di Mantova). Il sodalizio è nato nel 1947 su
tutto al duplice tema delle politiche di contrasto alla disoccupazione e alla carenza accordi era quello di garantire uno sbocco “guidato” all’emigrazione, incanalan-
iniziativa dell’aquilana Maria Federici per
offrire sostegno agli emigrati e favorirne di manodopera 6. Spesso infatti la manodopera emigrata disponeva di una buona dovi l’eccesso di manodopera, selezionato già in Italia, e di ottenere in cambio
l’integrazione, nonché per rafforzare il preparazione professionale che consentiva alle imprese dei Paesi di destinazione di le materie prime necessarie alla ripresa della produzione industriale. Come già
ruolo delle comunità italiane. Oggi il
sostenere spese ridotte in termini di inserimento. Si inaugurò così la stagione delle accennato, una parte non trascurabile dei migranti italiani di quegli anni non
sodalizio è presente in Argentina, Brasile,
Venezuela, Stati Uniti, Canada, Australia, “porte aperte” ad opera di alcuni Paesi del Vecchio Continente che fu però, almeno utilizzò questi canali ufficiali, preferendo battere le rotte dei legami parentali con
Belgio, Olanda, Lussemburgo, Inghilterra, parzialmente, limitata da una serie di vincoli di natura burocratica che rendevano famiglie già emigrate in altri Paesi non coinvolti dai trattati od anche in quelli
Francia, Svizzera e Grecia. Le sue attività
difficile attraversare tali porte 7. Inoltre in molti Paesi la ripresa post bellica puntò con cui esistevano i trattati ma garantivano quote ufficiali troppo ristrette. In
spaziano dalla lotta per il riconoscimento
dell’assistenza sanitaria e dei diritti in maniera particolare ad una forte crescita della produttività che si abbinò ad un assenza di strade legali o di fronte a soluzioni eccessivamente limitate, come nel
pensionistici all’assistenza degli emigrati che processo di intensificata meccanizzazione delle fasi produttive con inevitabili con- caso del primo trattato migratorio sottoscritto con la Francia nel febbraio del
rientrano in Italia
seguenze negative in termini occupazionali. Per superare alcune di queste difficoltà 1946 per soli 20.000 minatori, già dalla fine del 1945 l’emigrazione clandestina
vennero conclusi dai Governi italiani numerosi trattati bilaterali, nella cui traduzio- e quella irregolare assunsero proporzioni ingenti. «Il caso più diffuso – scrive
ne in atto esercitò un peso importante il Ministero del Lavoro e della Previdenza Rinauro – era quello dei reclutamenti di coloni per il Sud America da parte di
Sociale. Lo sforzo posto in essere non sortì tuttavia gli effetti sperati per la scarsa ca- truffatori italiani e dei Paesi di destinazione organizzati in cooperative agricole
pacità negoziale italiana e per il persistere delle più consuete forme dell’emigrazione fasulle. Queste fingevano di possedere terreni oltreoceano da destinare al lavoro
assistita che richiamavano il modello degli accordi italo-tedeschi del 1938. Soprat- dei reclutati. Le questure, per insufficienza di controlli sull’affidabilità e legalità
tutto negli accordi venne a mancare una reale attenzione alle condizioni effettive dei reclutatori, rilasciavano i passaporti ai reclutati che, una volta giunti a desti-
dei lavoratori italiani all’estero che furono, nella stragrande maggioranza dei casi, nazione, si trovavano senza lavoro e senza mezzi per rimpatriare e soprattutto
molto dure. In realtà, un simile quadro negativo discendeva dalla volontà dei Paesi in stato di irregolarità poiché, nonostante il passaporto regolare, a quei tempi si
ospitanti sia di aprire le proprie frontiere a quote ristrette di lavoratori esteri sia di poteva emigrare o nei contingenti reclutati dagli Stati mediante trattato bilaterale
selezionarli, offrendo loro, alla luce della grande massa potenziale di emigranti ita- o individualmente su chiamata da parte di parenti e imprese sulla base di regolare
liani, salari molto bassi. I trattati bilaterali furono così la soluzione preferita rispetto contratto di lavoro. Il profitto dei truffatori consisteva nelle somme elevate che
ad una liberalizzazione dei flussi di manodopera che caldeggiava l’Italia. Alla luce chiedevano agli aspiranti all’espatrio per il loro reclutamento e per l’acquisto dei
dei limitati contingenti immigratori concessi da ciascuna nazione, i Governi italiani biglietti navali in realtà mai procurati. Frequente era anche il caso di reclutamenti
cercarono di massimizzare l’esodo firmando trattati bilaterali con il maggior nume- da parte di imprese estere o italiane operanti all’estero che si sottraevano ai pre-
ro di Paesi possibile, ma l’emigrazione complessiva rimase comunque fortemente scritti controlli da parte della diplomazia italiana e del Ministero del Lavoro circa
inferiore rispetto all’offerta di braccia. I dati in questo senso sono molto chiari; se la regolarità e qualità dei contratti di lavoro. Non di rado le imprese miravano

95 96
così non solo a violare le condizioni lavorative minime stabilite dalle pubbliche Commissioni straniere, alcune permanenti, in genere inglesi, francesi, belghe e
autorità, ma anche a selezionare i lavoratori specializzati in modo più accurato di tedesche, insieme a quella del Cime, e alcune mobili, come nel caso di Olanda,
quanto, si temeva, avvenisse mediante le procedure ufficiali. Si trattava, dunque, Svezia, Brasile, Australia e Colombia. Il centro di emigrazione milanese aveva un
anche in questi casi, di emigrazione irregolare più che clandestina» 9. afflusso giornaliero di oltre 2000 unità, in particolare in autunno e in primavera,
Il principale ostacolo alla liberalizzazione dei flussi, sul versante interno, era costi- e in tali momenti i corridoi dello stabile si trasformavano in camerate dove veni-
tuito dalla permanenza in vita della legge 24 luglio 1930 n. 1278 dove era sancito vano collocati fino a 600 posti letto 10.
che il reclutamento e anche la semplice propaganda per l’emigrazione fossero di Gli espatri clandestini erano particolarmente diffusi in direzione della Francia:
esclusiva competenza delle autorità statali. Esistevano poi difficoltà determinate
dai Paesi di destinazione che assunsero atteggiamenti diversi anche in relazione «Ogni giorno ne giungevano – scrive ancora Rinauro – al confine occidentale a centinaia,
alla emigrazione clandestina. In Belgio, i clandestini italiani furono soprattutto i specialmente settentrionali, attraverso il Piccolo San Bernardo, il Frejus, il Colle della Roue
rimpatriati per la guerra che provavano a tornare nel Paese; nei loro confronti gli e gli altri valichi occidentali delle Alpi, e via mare da Ventimiglia grazie ai passaggi di prez-
Stati italiano e belga trovarono un’intesa che ne regolarizzò il rientro. Molti erano zolati barcaioli. Tra il gennaio e il maggio del 1946 l’Ambasciata d’Italia a Parigi stimava che
anche gli aspiranti emigranti che erano stati scartati dalle commissioni mediche e ne fossero giunti almeno diecimiladodici; dall’autunno divennero una vera piena. A Bourg
professionali italo-belghe nel Centro nazionale di emigrazione da dove, a Torino e St. Maurice, in Savoia, ne giungevano circa 300 al giorno e in settembre toccarono le 526
successivamente a Milano, gli emigranti si rivolgevano alle destinazioni continen- unità; alla fine dell’anno erano arrivati almeno trentamila clandestini italiani» 11.
tali. Numerose erano le imprese belghe che reclutavano direttamente i lavoratori
italiani eludendo i controlli delle autorità dei rispettivi Paesi al fine di avere una Un fenomeno di simili proporzioni era possibile soltanto con la connivenza delle
manodopera a condizioni favorevoli. Nel caso del Belgio, uno dei meccanismi più stesse autorità francesi che, in coerenza con la linea di De Gaulle finalizzata ad
ricorrenti destinati a porre gli italiani in stato di clandestinità era il tentativo degli un rapido popolamento “eugenetico”, si spinsero persino a sollecitare l’ingresso di
immigrati di sottrarsi al pericoloso e durissimo lavoro nelle miniere di carbone. lavoratori clandestini per favorire la ricostruzione. Si voleva infatti evitare l’indesi-
Essendo privi di alcuna esperienza della miniera e mandati immediatamente al derato ricorso ai cittadini d’Algeria che, dal 1947, in seguito all’integrazione della
lavoro nei pozzi senza alcun addestramento, molti italiani rifiutavano di scender- ex colonia al territorio metropolitano, erano posti nelle condizioni di entrare in
vi, ma essendo stati ingaggiati esclusivamente per la miniera, la violazione del
Francia quasi liberamente. Ciò provocò la reazione della diplomazia italiana, sol-
contratto li poneva in stato di clandestinità. In diversi finivano così per cercare
lecita nel denunciare alle autorità francesi l’azione dei consoli transalpini di “pro-
riparo in Svizzera dove esistevano vere e proprie agenzie specializzate che forni-
mozione” dell’immigrazione clandestina. Per fornire un dato generale è possibile
vano falsi contratti di lavoro. Peraltro, in tali condizioni continuavano ad essere
ricordare che oltre il 40% dei lavoratori italiani impiegati in Francia tra il 1946 e la
molto difficili i ricongiungimenti familiari dal momento che, ad eccezione della
fine degli anni Cinquanta era composto da irregolari e clandestini, ma ancora più
Un permesso di lavoro di tipo A rilasciato Francia e dei Paesi d’oltreoceano che perseguivano anche scopi di ripopolamen-
dalle Autorità belghe nel 1951. Il titolo era elevate erano le percentuali di soggiorno e di lavoro illegale di altri gruppi nazio-
to, i Paesi d’immigrazione preferivano un impiego congiunturale e decisamente
ambito perché permetteva di lavorare per nali: circa il 51% degli spagnoli che emigrarono in Europa occidentale tra il 1961 e
un periodo illimitato e senza limiti orari
flessibile degli stranieri che ne ostacolava l’integrazione nella compagine naziona-
il 1969 era formato di illegali e dal 30 al 60 per cento dell’immigrazione spagnola
(MEGT - Per terre assai lontane) le. In questo senso, come già accennato, anche le procedure ufficiali tendevano a
nella Repubblica federale tedesca durante gli anni Sessanta vi risiedeva e lavorava
creare molteplici ostacoli. Le ditte straniere erano tenute a presentare la domanda
generale o nominativa di lavoratori alle proprie autorità nazionali e alle autorità senza permesso, mentre dei 900.000 portoghesi emigrati in Francia tra il 1957 e
diplomatiche italiane del rispettivo Paese; queste ultime verificavano l’affidabilità il 1974 ben 550.000, ossia il 61%, erano clandestini. Una toccante descrizione di
delle imprese e trasmettevano le pratiche agli Uffici provinciali del Lavoro che questo fenomeno fu tracciata da Pietro Germi nel 1950 nella pellicola “Il cammino
erano responsabili del nulla osta alla concessione del passaporto da parte delle della speranza”, in cui si raccontava la vicenda di un minatore che, perso il lavoro
questure. La selezione proseguiva poi con ulteriori visite mediche e con l’anali- nelle zolfatare siciliane, si era diretto verso la Francia per cercare un’occupazione
si dei curricula, che precedevano un altro passaggio presso i porti d’imbarco e, seguendo le rotte dell’informalità. Anche in direzione del Lussemburgo l’emigra-
per gli espatri continentali, presso il Centro nazionale di emigrazione a Torino zione clandestina era assai consistente tanto che nel settembre del 1952 “il Popolo”
e a Milano. Fin dal 1946 infatti, oltre che nelle due città ricordate, erano attivi i sconsigliava i lavoratori italiani ad indirizzarsi verso tale destinazione perché già fin
centri di emigrazione di Genova, Napoli e Messina. In ogni centro erano presenti troppo battuta dai loro connazionali.

97 98

parziali come nel caso della trasformazione della Direzione generale degli italiani
all’estero, che dal 1926 aveva preso il posto del Commissariato generale dell’emigra-
zione, nella Direzione generale per l’emigrazione, creata all’interno del Ministero
degli Esteri che affiancava in termini di competenze il Ministero del Lavoro. Proprio
quest’ultimo dicastero tese ad assumere poi, in tale fase, la vera regia degli interventi
in materia di emigrazione, utilizzando come ricordato gli Uffici del Lavoro locali e
coordinandosi con la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Lo strumento più ado-
perato per impartire direttive era costituito dalle circolari ministeriali che dovevano
servire a dare massima diffusione alle possibili offerte di lavoro all’estero e a fornire
le indicazioni necessarie per organizzare le partenze. Continuavano le mansioni del
Ministero del Tesoro per quel che concerne il trasferimento delle rimesse per la ge-
stione delle quali era stato riorganizzato l’Istituto Nazionale di Credito per il Lavoro
italiano all’estero, nato nel dicembre 1923 con l’obiettivo originario di fornire finan-
ziamenti ai lavoratori emigrati e, come ricordato, per recuperare il risparmio degli
italiani all’estero. Nel dopoguerra questo istituto ottenne dal Governo la possibilità
di aumentare il proprio capitale sociale e di procurarsi ulteriori risorse attraverso
l’emissione di un prestito obbligazionario garantito dallo Stato, che aveva lo scopo
di sostenere progetti di colonizzazione soprattutto in America latina ed in partico-
lare in Argentina. Lo stesso Istituto preparò vari programmi di finanziamento per
le spese di viaggio degli emigranti, che le avrebbero rimborsate in periodi lunghi a
tassi agevolati. Era evidente l’intento di favorire l’emigrazione rurale per ridurre la
disoccupazione, secondo un modello caldeggiato dalla Democrazia Cristiana e con-
trastato apertamente dalla Confederazione generale del lavoro perché ritenuto fin
Un fotogramma tratto dal film "Il cammino 3. Continuità e trasformazioni troppo illusorio. Le critiche maggiori si legavano proprio alla possibilità di gestire le
della speranza" di Pietro Germi, del 1950.
In anni di pieno neorealismo, il film descrive rimesse che, a giudizio delle forze di sinistra, venivano di fatto tesaurizzate dall’Isti-
le vicende di un gruppo di minatori siciliani Occorre sottolineare che la ripresa dei fenomeni migratori nell’immediato dopo- tuto senza reali benefici per gli emigranti italiani 12. Si trattava peraltro di cifre molto
che abbandonarono l’isola a causa della guerra presentava vari elementi di continuità con gli anni del conflitto mondiale, al- importanti secondo le stime dell’Ufficio Italiano Cambi che quantificava le rimesse
chiusura delle zolfatare, intraprendendo lorché si registrò lo spostamento di milioni di profughi che avrebbe condizionato in
un tragico cammino verso la Francia dove in 32 milioni di dollari nel 1947, salite a 90 milioni nel 1949, a 102 nel 1959 e a 288
entrarono come clandestini. Scritto da maniera durevole la struttura demografica dell’Europa. Elementi di continuità cul- nel 1960, a cui dovevano essere aggiunti i trasferimenti entrati in Italia attraverso i
Germi assieme a Tullio Pianelli e ad un turale di natura generale erano evidenti anche sul piano dell’immaginario collettivo canali informali, nonostante le politiche di ricongiungimento adottate da vari paesi
giovane Federico Fellini, il film vinse l’Orso dei migranti che conservavano le stesse abitudini dei loro predecessori, dal cibo alle
d’Argento a Berlino puntassero proprio alla riduzione delle rimesse. Un’inchiesta condotta a metà degli
pratiche religiose, nella prospettiva di mantenere in vita un senso di comunità dila-
anni Settanta in 15 comuni delle province di Enna e di Caltanissetta registrava che
tata nel tempo da cui tendevano a restare almeno parzialmente escluse le più accen-
quasi il 71% dei bilanci familiari continuava ad accogliere rimesse e che la metà di
tuate connotazioni ideologiche. Ma la continuità era evidente parimenti con alcune
esse era destinata ai consumi e l’altra metà al risparmio 13.
linee politiche seguite nel periodo fascista. In primo luogo permaneva infatti l’idea
All’interno di queste strutture istituzionali avrebbe dovuto essere applicato il
di incentivare l’emigrazione come strumento per la risoluzione dei grandi problemi
dettato dell’articolo 35 della Costituzione che riconosceva la “libertà di emigra-
economici del Paese; una simile prospettiva fu oggetto di varie elaborazioni teori-
zione” fatti salvi gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale. Tale li-
che da parte di intellettuali antifascisti e di ex alti funzionari pubblici dello Stato
bertà era per molti versi collegata con quanto l’articolo 16 prevedeva in materia di
liberale passati al fascismo. In secondo luogo, il compito di organizzare la “nuova”
libertà di espatrio che aveva conosciuto fino a quel momento nella storia italiana
emigrazione fu affidato a strutture e ad uffici in molti casi già esistenti. Le modifiche
regimi spesso assai restrittivi e la cui dimensione tendeva ad essere rigorosamente
dell’assetto degli organi preposti ad affrontare il tema dell’emigrazione furono assai
individuale rispetto alla natura collettiva della libertà di emigrazione. Per la costi-

99 100
tuzione repubblicana la libertà di espatrio, intimamente connessa alla libertà di difficilissimi i rapporti con i sindacati dei paesi di destinazione dell’emigrazione,
rimpatrio, doveva risultare assai ampia e implicare anche, come libertà negativa, spesso molto intransigenti nell’opporsi all’arrivo dei migranti a difesa del lavoro
la libertà di non espatriare, per cui veniva vietato l’esilio. Il nesso della liber- “nazionale”. Anche nei casi in cui il sindacato accettava di reclutare i migran-
tà di espatrio con quella di emigrazione avrebbe dovuto condurre così ad una ti tendeva comunque ad imporre loro comportamenti e pratiche rigorosamente
sostanziale liberalizzazione dell’uscita dal Paese accompagnata alla tutela dello legate al proprio modello. Ciò sarebbe avvenuto soprattutto in Germania dove
Stato nei confronti del lavoro italiano all’estero, ad esempio con il riconoscimento le commissioni interne tendevano a non rappresentare gli interessi dei lavoratori
degli istituti previdenziali. Simili temi erano stati discussi già durante la guerra, immigrati  16. Questi ultimi peraltro ebbero spesso atteggiamenti di sostanziale
quando in molti ambienti dell’antifascismo era emersa l’idea di sottolineare la avversione nei confronti degli scioperi. Lo sforzo di creare una rete internazio-
natura “eccezionale” e temporanea del trasferimento all’estero della manodopera nale fra i vari sindacati nazionali fu coltivato in modo particolare dalla CISL che
italiana; una posizione sostenuta a più riprese anche dalle autorità ecclesiastiche, sostenne con forza la necessità per l’Italia di aderire al Comitato Intergovernativo
in particolare da Pio XII, che considerava l’emigrazione come strumento, tempo- per le Migrazioni Europee e che cercò di far valere presso l’Organizzazione inter-
raneo appunto, di riequilibrio del mercato del lavoro e del rapporto tra uomini nazionale del lavoro il principio secondo cui il sindacato avrebbe potuto essere un
e risorse e dunque un mezzo che poteva essere ispirato a principi di giustizia soggetto di intermediazione internazionale di manodopera. In realtà, Consiglio
sociale. Secondo quanto il pontefice scriveva nella Exsul Familia, l’emigrazione d’Europa e Oece (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica)
avrebbe dovuto consistere nella «distribuzione degli uomini sulla superficie della produssero numerose dichiarazioni in tema di sicurezza dei lavoratori immigrati
terra, acconcia a colonie di agricoltori», insistendo sulla finalità “rurale” degli ma senza grandi effetti concreti almeno fino al termine degli anni Cinquanta 17.
spostamenti di popolazione e sulla loro capacità di contrastare la povertà. La L’unica strada perseguita con un qualche successo fu quella del riconoscimento
libera dislocazione della forza lavoro era intimamente connessa alla universali- dei periodi assicurativi compiuti all’estero. Negli Stati Uniti, fin dagli anni Trenta
tà cattolica, alla luce della quale erano auspicabili partenze e ritorni sulla base erano nate leghe sindacali composte da italiani che continuarono a vivere anche
delle condizioni economiche del momento 14. In quest’ottica Pio XII affermava dopo la fine della guerra e faticavano ad integrarsi con il sistema sindacale statu-
con convinzione l’importanza di una regolamentazione internazionale dell’emi- nitense, rappresentando una sorta di legame con la madrepatria piuttosto che un
grazione finalizzata a tali scopi secondo una linea che sarebbe stata ripresa e ap- organismo di rappresentanza. Tali leghe, peraltro, non avevano alcun rapporto
profondita da Paolo VI nella Costituzione apostolica Pastoralis migratorum cura, con gli sforzi di creare reti sindacali internazionali.
promulgata nell’agosto del 1969 e destinata a rappresentare il testo di riferimento Il sindacato maggiormente critico nei confronti della linea del Governo italia-
per le Conferenze episcopali dei Paesi di destinazione dell’emigrazione. no fu la CGIL, soprattutto dopo la fine dell’unità sindacale, che espresse a più
Certamente un elemento di sostanziale novità fu costituito dalla maggiore, per riprese giudizi severi sulla politica di “incentivazione” dell’emigrazione seguita
quanto ancora molto difficile, sindacalizzazione dei lavoratori emigrati; una que- dagli esecutivi di Alcide De Gasperi, per il quale gli espatri temporanei, regolati
stione che vide i sindacati italiani adottare posizioni oscillanti tra l’esigenza di tu- e frutto di negoziazioni istituzionali, erano un male necessario per consentire la
telare i lavoratori espatriati e la volontà di rallentare i fenomeni migratori. Il dato ripresa dell’economia nazionale. Per lo statista trentino, in particolare, era op-
ricorrente fu costituito dal chiaro sostegno alla politica degli accordi bilaterali fra portuno incentivare lo scambio fra quote di emigrazione italiana e trasferimento
gli Stati volti a facilitare l’emigrazione collettiva e a scoraggiare quella individuale di materie prime a basso costo, una linea condivisa dal Ministro degli Esteri
così da garantire al sindacato la possibilità di intervenire nella definizione dei Carlo Sforza che ricordava spesso il grave problema occupazionale italiano e
contenuti degli accordi stessi; una linea molto difficile da praticare in alcune delle riteneva l’emigrazione uno degli elementi cardine del processo di integrazione
aree di maggiore destinazione dei lavoratori italiani come l’Argentina, dove la europea. Del resto sia De Gasperi che Sforza erano ben consapevoli dei benefici
quota riservata all’emigrazione “collettiva” risultava estremamente bassa. Questa garantiti dall’emigrazione in termini di rimesse, ancora una volta decisive per gli
capacità di sedere ai tavoli di discussione istituzionale in realtà fu indebolita già equilibri economici e finanziari del Paese: come già accennato i dati dell’Ufficio
con la fine dell’unità sindacale che rafforzò invece il peso degli enti di assistenza Italiano Cambi stimavano in 90 milioni di dollari le rimesse inviate in patria da-
e poi degli osservatori sociali all’estero. In tal senso, il ruolo del sindacato tese gli emigrati nel solo 1949. Nel periodo 1945-1960 l’ammontare delle rimesse fu,
ad essere maggiormente conflittuale rispetto alla fase dell’Italia giolittiana, del nell’insieme, di 2 miliardi e 40 milioni di dollari, un trasferimento importante a
primo boom migratorio, allorché le relazioni fra sindacato e autorità statale tesero cui si affiancò tuttavia l’effetto di una crescente sperequazione nella distribuzio-
ad integrarsi, sia pur con una forte prevalenza statuale 15. Soprattutto risultarono ne della popolazione italiana. Lo squilibrio fu creato dal permanere di una con-

101 102

dizione per cui in alcune zone, al Sud ma anche nelle campagne del Veneto, gli furono più di seicento e nello stesso arco di tempo 303 convogli partirono dall’Italia
uomini in età da matrimonio partivano per l’estero o raggiungevano le città del trasportando 140.105 lavoratori, 17.403 donne e 28.961 bambini, con alcune interru-
Nord Italia, mentre le donne rimanevano nelle terre d’origine. Dal 1955 al 1975 zioni volute dal Governo italiano e dettate proprio dalla reazione emotiva suscitata
si ebbero più di 2 milioni di iscrizioni anagrafiche di lavoratori meridionali nelle dalle troppo numerose sciagure minerarie 20.
regioni del Nord, per un saldo passivo per il Sud di 1,3 milioni di unità. Duran-
te tale periodo si stima che siano emigrati nelle regioni settentrionali 250.000
lavoratori l’anno. Questo portò ad un calo delle nascite e ad un conseguente 4. Numeri e destinazioni
invecchiamento della popolazione. A causa dell’emigrazione degli uomini in età
da lavoro poi, come era accaduto in passato, alcuni settori dell’economia agri- I numeri e le destinazioni della ripresa dell’emigrazione italiana confermano gli
cola italiana rimasero a corto di lavoranti e si sopperì a simili carenze con l’as- elementi di continuità e manifestano alcuni segnali di cambiamento. La continui-
sunzione di manodopera femminile, decisamente più sfruttata e mal pagata di tà riguardava in particolare l’America Latina e più nello specifico ancora l’emigra-
quella maschile come nel caso delle mondine nelle risaie del Nord Italia. Molto zione in terra argentina molto consistente negli anni dell’immediato dopoguer-
critico verso questa situazione fu il Partito Comunista che utilizzò lo slogan «i ra  21, mentre nel continente europeo restavano assai importanti i flussi verso la
lavoratori devono lavorare in casa nostra», osteggiando i processi di liberaliz- Francia e la Svizzera. Gli elementi di novità provenivano dal prepotente ingresso
zazione degli espatri. Si trattava di un’ostilità che si inseriva nella più generale della Germania, dopo l’accordo del 1955, tra i Paesi di maggiore destinazione dei
critica espressa in quella fase dall’Organizzazione Europea per la Cooperazione flussi italiani, e dalla significativa comparsa del Canada tra le mete predilette.
Economica per la quale occorreva combinare libertà di circolazione di capitali e
Volumi delle emigrazioni italiane, dal 1946 al 1970 in base ai principali Paesi di destinazione
di manodopera. Per l’Italia ciò avrebbe dovuto comportare ingenti spostamenti
Anni Francia Germania Svizzera Canada Stati Uniti Brasile Argentina Australia
di lavoratori visto che si valutava una criticità del mercato del lavoro dove erano
1946 28.135 …. 48.808 – 5.442 603 749 4
L’ingresso in miniera a Liegi e gli presenti circa 4 milioni di lavoratori in esubero fra disoccupati e sottoccupati. 1947 53.245 …. 105.112 58 23.471 4.137 27.379 50
alloggiamenti per i minatori. Nel Secondo
dopoguerra il Belgio era diventata una delle È evidente che simili prospettive incontravano le dure critiche dalle forze della 1948 40.231 …. 102.241 2.406 16.677 4.697 69.602 2.047
mete principali dell’emigrazione italiana Sinistra italiana, convinta che sulle posizioni degasperiane pesasse in maniera 1949 52.345 …. 29.726 5.991 11.480 6.949 98.262 10.939
(MEGT - Per terre assai lontane) 1950 18.083 74 27.144 7.135 8.998 8.980 78.531 13.516
determinante la volontà di ridurre il livello di tensione sociale nel Paese per
                 
evitare spostamenti elettorali sfavorevoli alla Democrazia Cristiana 18. 1951 35.099 431 66.040 21.467 10.225 9.183 55.630 17.453
Nell’ottica dei governi centristi, nel corso di due soli anni, fra il 1946 e il 1947, 1952 53.810 270 61.593 18.742 7.525 17.026 33.366 26.802
partirono per le miniere della Francia e del Belgio quasi 85.000 italiani per la mag- 1953 36.687 242 57.236 22.610 9.996 14.328 21.350 12.865
1954 28.305 361 65.671 23.440 26.231 12.949 33.866 16.960
gior parte provenienti dal Veneto e della Campania. Nel caso del Belgio l’accordo 1955 40.713 1.200 71.735 19.282 34.975 8.523 18.276 27.689
firmato dal Governo italiano fin dal 1946, e ripreso nel 1948 con maggiori garanzie 1956 87.552 10.907 75.632 28.008 36.386 6.002 10.652 25.631
di tutela, aveva previsto l’impegno da parte del Governo belga di cedere 24 quintali 1957 114.974 7.653 78.882 24.536 16.805 6.157 14.928 17.003
1958 72.469 10.511 57.453 28.502 25.302 4.528 9.523 12.375
di carbon fossile all’anno per ogni italiano che si recava ad estrarlo nelle miniere
1959 64.259 28.394 82.532 23.734 10.806 3.874 7.549 14.149
di quel paese. L’obiettivo perseguito dal Governo belga e in particolare dal primo 1960 58.624 100.544 128.257 19.011 15.208 2.976 4.405 19.606
ministro Van Acker era quello di sostituire la sempre più carente manodopera na-                  
zionale con emigrati disposti a lavorare con retribuzioni molto contenute che avreb- 1961 49.188 114.012 142.114 13.461 16.293 2.223 2.483 16.351
1962 34.911 117.427 143.054 12.528 15.348 1.205 1.817 14.406
bero reso “competitive” anche le miniere della Vallonia, dotate di attrezzature e
1963 20.264 81.261 122.018 12.912 13.580 528 945 11.535
impianti estremamente datati, e avrebbero abbassato i prezzi del carbone. In questo 1964 15.782 75.210 111.863 17.600 8.866 233 621 10.888
senso l’accordo del 1946 fu concepito in modo da favorire gli imprenditori belgi 1965 20.050 90.853 103.159 24.213 11.087 295 436 10.320
che di fatto potevano scegliere la manodopera italiana, sia in relazione alle doti 1966 18.370 78.343 104.899 28.541 31.238 384 592 12.523
1967 15.517 47.178 89.407 26.102 17.896 554 794 13.667
fisiche sia in base alle simpatie politiche, con una evidente discriminazione per i la-
1968 13.100 51.152 81.206 16.745 21.693 419 723 14.505
voratori agricoli coinvolti in precedenza nell’occupazione delle terre. Soprattutto, il 1969 10.741 47.563 69.655 9.441 15.470 749 1.389 8.740
contratto tipo non prevedeva alcuna formazione professionale destinata ai lavori in 1970 8.764 42.849 53.658 7.249 15.490 573 1.179 6.362
miniera 19. In soli dieci anni, dal 1946 al 1956, gli italiani morti nelle miniere belghe Fonte: http://www.altreitalie.it/

103 104
In un’ottica numerica risulta molto interessante anche un dato di sintesi generale su- 1962 315.795 210.575 105.220 49.816 18.513 31.303
gli espatriati netti, da cui emerge una forte crescita proprio all’inizio degli anni cin- 1963 235.134 206.685 28.449 42.477 14.465 28.012
1964 216.498 174.210 42.288 41.984 15.958 26.026
quanta a testimonianza della piena ripresa dei flussi migratori di maggiore durata:
1965 232.421 187.939 44.482 50.222 8.437 41.785
1966 219.353 200.919 18.434 77.141 5.567 71.574
Flusso degli espatri netti fra il 1921 e il 1980, distinti fra provenienza da Paesi europei e da Paesi extraeuropei 1967 166.697 162.337 4.360 62.567 6.991 55.576
1968 158.462 142.448 16.014 57.251 7.579 49.672
Europa Paesi Extraeuropei 1969 139.140 130.642 8.498 43.059 22.656 20.403
Anni Netto degli espatri Netto degli espatri
Espatriati Rimpatriati Espatriati Rimpatriati 1970 115.114 112.933 2.181 36.740 29.570 7.170
1921 79.902 29.160 50.742 121.389 94.839 26.550              
1922 150.555 54.287 96.268 130.715 56.499 74.216 1971 133.132 105.927 27.205 34.589 22.645 11.944
1923 199.674 78.633 121.041 190.283 41.105 149.178 1972 111.908 113.657 -1.749 29.944 24.589 5.355
1924 232.403 105.991 126.412 132.211 66.820 65.391 1973 98.970 101.771 -2.801 24.832 23.397 1.435
1925 171.630 120.677 50.953 108.451 68.394 40.057 1974 87.060 96.359 -9.299 24.960 20.349 4.611
1926 134.484 104.234 30.250 127.912 73.383 54.529 1975 72.025 101.948 -29.923 20.641 20.826 -185
1927 81.801 65.274 16.527 137.133 75.154 61.979 1976 73.031 96.150 -23.119 24.216 19.847 4.369
1928 62.471 47.665 14.806 78.385 51.087 27.298 1977 65.147 81.042 -15.895 22.508 20.943 1.565
1929 94.342 69.199 25.143 80.460 46.719 33.741 1978 61.961 68.086 -6.125 23.589 21.811 1.778
1930 155.157 77.262 77.895 81.281 51.761 29.520 1979 67.648 67.537 111 21.302 24.156 -2.854
              1980 64.517 66.601 -2.084 20.360 23.862 -3.502
1931 112.322 57.666 54.656 53.538 50.064 3.474 Fonte?
1932 51.666 33.152 18.514 31.682 40.023 -8.341
1933 54.626 33.626 21.000 28.438 32.210 -3.772
1934 36.659 21.795 14.864 31.802 28.032 3.770 Di analogo rilievo sono i dati relativi ai rimpatri che tendono ad assumere consi-
1935 26.250 21.736 4.514 31.158 17.734 13.424
stenza maggiore invece dopo l’inizio degli anni Sessanta:
1936 18.098 14.292 3.806 23.612 18.468 5.144
1937 25.718 15.791 9.927 34.227 19.950 14.277
1938 30.570 20.232 10.338 30.978 16.660 14.318
Volume dei rimpatri in base ai principali Paesi di provenienza. Dal 1921-30 al 1981-90
1939 11.345 29.132 -17.787 18.144 58.147 -40.003
1940 46.968 54.420 -7.452 4.849 6.727 -1.878 Anni Francia Germania* Svizzera Canada Stati Uniti Brasile Argentina Australia
              1861-70 …. …. …. …. …. …. …. ….
1941 8.734 45.090 -36.356 75 976 -901 1871-80 …. …. …. …. …. …. …. ….
1942 8.216 19.884 -11.668 30 651 -621 1881-90 …. …. …. …. …. …. …. ….
1946 103.077 3.958 99.119 7.209 600 6.609 1891-900 …. …. …. …. …. …. …. ….
1947 192.226 55.420 136.806 61.918 10.109 51.809 1901-10 …. …. …. …. 1.181.460 188.580 328.300 ….
1948 193.303 101.691 91.612 115.212 17.570 97.642 1911-20 …. …. …. 20.520 815.710 67.760 293.910 ….
1949 94.959 97.680 -2.721 159.510 20.946 138.564 1921-30 563.248 6.154 104.420 6.754 369.463 37.221 172.821 9.610
1950 54.927 38.377 16.550 145.379 33.657 111.722 1931-40 222.802 9.360 56.034 1.914 97.380 9.076 62.253 6.148
              1946-50 27.583 …. 224.660 329 15.637 6.443 30.726 762
1951 149.206 53.441 95.765 143.851 38.463 105.388 1951-60 306.639 69.161 555.481 11.674 33.871 24.653 64.847 19.508
1952 144.098 72.151 71.947 133.437 24.749 108.688 1961-70 168.216 575.646 864.180 11.524 12.483 9.408 17.809 13.245
1953 112.069 71.463 40.606 112.602 31.575 81.027 1971-80 69.037 335.564 405.132 31.967 54.377 8.080 14.125 26.126
1954 108.557 76.183 32.374 142.368 31.017 111.351 1981-90 39.122 214.665 155.913 14.523 34.476 9.201 30.188 6.294
1955 149.026 86.344 62.682 147.800 32.239 115.561
Fonte?
1956 207.631 120.150 87.481 137.171 35.143 102.028
1957 236.010 127.977 108.033 105.723 35.300 70.423
1958 157.800 98.006 59.794 97.659 41.032 56.627
Una considerazione a parte merita il dato relativo al numero degli espatriati di-
1959 192.843 132.275 60.568 75.647 23.846 51.801
1960 309.876 166.414 143.462 74.032 25.821 48.211 stinti per sesso da cui emerge una sensibile crescita, in termini percentuali, delle
              partenze femminili negli anni dell’immediato dopoguerra e nel corso degli anni
1961 329.597 182.496 147.101 57.526 27.700 29.826 Cinquanta quando si avvicinarono in vari momenti al 40% del totale:

105 106

Emigrazioni italiane, dal decennio 1871-80 al decennio 1971-80, distine per genere

Anni Totale Maschi % Femmine %


1871-80 1.176.460 1.035.990 88,06 140.470 11,94
1881-90 1.879.200 1.523.900 81,09 355.300 18,91
1891-900 2.834.730 2.229.150 78,64 605.580 21,36
1901-10 6.026.690 4.945.480 82,06 1.081.210 17,94
1911-20 3.828.070 2.915.830 76,17 912.240 23,83
1921-30 2.550.639 1.787.171 70,07 763.468 29,93
1931-40 702.650 418.523 59,56 284.127 40,44
1946-50 1.127.720 712.512 63,18 415.208 36,82
1951-60 2.937.406 2.066.202 70,34 871.204 29,66
1961-70 2.646.994 1.982.895 74,91 664.099 25,09
1971-80 1.082.340 712.455 65,83 369.885 34,17
Fonte?

Ritornando ad esaminare le destinazioni privilegiate, è utile ribadire la specifi-


cità di alcuni casi, a partire dal Canada, dove gli emigrati italiani passarono da
una percentuale inferiore all’1% del totale della popolazione di quel Paese, pari
a 98.173 unità nel 1939, al 2,5% del 1961, cioè 450.351 unità, al 3,4% del 1971,
con 730.830 unità 22. Questo flusso era stato favorito dall’adozione fin dal 1947 di
un programma che privilegiava l’immigrazione europea utilizzando lo strumento
della selezione nominativa, assistita e sovvenzionata. Molto importante nell’au-
mentare il numero degli arrivi fu la politica di parrainage, introdotta con l’Immi-
gration Act del 1952, in virtù della quale gli immigrati potevano essere ammessi
a condizione che i loro parenti accettassero di garantire la loro autonomia finan-
ziaria. L’obiettivo perseguito era in primo luogo quello di accelerare i ricongiun-
gimenti familiari. Questo perché ad usufruire delle politiche d’incoraggiamento
furono, inizialmente, soprattutto uomini provenienti dalle regioni meridionali,
Campania, Calabria, Abruzzo e Molise, con contratti annuali da bracciante, ma- In viaggio per l’Argentina negli anni gratoria da seguire che vedeva contrapposta la linea “industrialista”, favorevole all’im-
novale e minatore, che scelsero come destinazioni privilegiate la città di Montreal Cinquanta. La cerimonia in costume in corso
portazione di tecnici e operai specializzati, a quella dei fautori dell’“utopia agraria”,
di svolgimento è il "battesimo del mare",
e l’Ontario, dove già esistevano nuclei di emigrazione italiana con i quali tuttavia destinato agli emigrati che per la prima volta a reclutare coloni agricoli. Esisteva poi la distinzione fra due componenti che
i rapporti dei nuovi arrivati non furono sempre facili 23. volta attraversavano la linea dell’Equatore intendevano adottare quale criterio discriminante quello etnico-religioso; una era più
Come già accennato, anche l’Argentina continuava ad accogliere un gran numero di (MEGT - Per terre assai lontane)
interessata a selezionare i latini, cioè italiani e spagnoli, l’altra i nordici, soprattutto
emigrati italiani per effetto di uno dei primi accordi bilaterali, siglato nel 1947 tra il danesi e tedeschi. Comune ad entrambe era la predilezione per gli immigrati cattolici
ministro italiano Carlo Sforza e il plenipotenziario argentino Adolfo Scilingo, a cui e l’avversione verso musulmani ed ebrei. Le opinioni convergevano pienamente inol-
fece seguito un ulteriore accordo nel 1952 destinato ad incoraggiare l’immigrazione tre sulla necessità di evitare gli arrivi degli stranieri “pericolosi” individuati non nei
rurale nelle zone di nuova colonizzazione. A partire dal 1953, poi, cominciò a prende- criminali di guerra nazisti e fascisti, bensì nei comunisti o presunti tali 24.
re maggiore consistenza la politica dei ricongiungimenti familiari che portò in terra Un caso di grande interesse era costituito, a partire dall’immediato dopoguerra,
argentina un significativo numero di donne. Simili condizioni, unite ad una grande dall’emigrazione in Venezuela che rappresentava una forte attrazione dopo il decollo
disorganizzazione nella gestione dei flussi destinata a facilitare gli ingressi, contribu- dell’industria mineraria e petrolifera; nel 1951, il Paese sudamericano concluse un
irono a far sì che l’Argentina fosse tra il 1946 e il 1951 la destinazione preferita da accordo con il Comitato intergovernativo per l’emigrazione europea, che permise
circa la metà dei 623.000 italiani che avevano scelto le rotte transoceaniche. In seno l’arrivo di quasi 180.000 italiani entro il 1957, a cui se ne aggiunsero altri 50.000 da
al governo peronista si sviluppò un vero e proprio dibattito in merito alla politica mi- quella data al 1960, anche se successivamente alla caduta di Marcos Perez Jimenez,

107 108
avvenuta nel gennaio del 1958, i flussi avevano già cominciato a rallentare. Oltre che ne tedesca aveva toccato il 2,7% e il Ministero del Lavoro tedesco aveva stimato in
nel comparto petrolifero, gli emigrati italiani, provenienti soprattutto dalle regioni 800.000 unità il fabbisogno aggiuntivo di manodopera per il 1956.
meridionali e secondi di numero solo agli spagnoli, ebbero un ruolo importante nel La firma dell’accordo avvenne a Roma, il 20 dicembre, da parte del ministro del
settore dell’edilizia, tanto che nel corso degli anni Cinquanta il 75% degli edifici di lavoro Anton Storch, del ministro degli esteri Clemens von Brentano e, da parte ita-
Caracas fu realizzato da italiani. Significativi risultarono poi gli interventi della Fiat liana, del ministro degli esteri Gaetano Martino. Il nodo centrale, che aveva in pre-
e della Innocenti nella realizzazione del grande centro siderurgico di Puerto Ordaz cedenza rallentato l’iter di approvazione, relativo al sussidio di disoccupazione per i
nonché il contributo delle ditte italiane nella costruzione della metropolitana di Ca- lavoratori stagionali e al pagamento degli assegni familiari, fu risolto con l’impegno
racas e nel ponte di Urdaneta, disegnato dall’ingegner Riccardo Morandi. L’ingresso da parte della Repubblica federale tedesca a pagare gli assegni familiari anche alle
degli italiani in Venezuela, che non si limitò alla capitale ma coinvolse numerosi centri famiglie che rimanevano in Italia. Il preambolo dell’accordo intendeva mostrare il
minori, da Maracaibo, a Ciudad Guayana, in realtà non fu affatto semplice e dovette comune interesse di entrambe le nazioni a migliorare le condizioni di vita dei lavo-
sottostare a meccanismi di dura selezione, testimoniati dal gran numero di rimpatri ratori: «l’italiano, che in base all’accordo bilaterale, viene in Germania, sa che lui
e ben espressi in termini letterari da Vicente Gerbasi, figlio di immigrati del Cilento, non è un lavoratore dai diritti inferiori. Per lui valgono le stesse condizioni di lavoro
nella nota poesia Mi padre, el inmigrante, scritta nel 1945 25. e gli stessi diritti dei lavoratori tedeschi». Già nel primo capitolo dell’accordo però
Anche l’emigrazione verso il Brasile riprese consistenza nell’immediato dopoguerra, erano messi in chiaro i rapporti di forza tra le due nazioni; l’iniziativa di avviare le
favorito dall’accordo ratificato a Rio nel settembre del 1949 in merito ai beni seque- trattative con il Governo italiano per reclutare lavoratori era solo di prerogativa del
strati ai cittadini italiani durante il conflitto. Nel periodo compreso tra il 1952 e il 1954 Governo tedesco, qualora avesse constatato una penuria di manodopera. In piena
espatriarono in Brasile quasi 45.000 italiani, a fronte di meno di 10.000 rimpatri da coerenza con simile impostazione, spettava, quindi, solo al Governo tedesco stabili-
quel Paese. Negli anni seguenti il flusso si indebolì fino a raggiungere un saldo negati- La copertina di un manuale di tedesco re e comunicare le professioni e il fabbisogno numerico di manodopera al Governo
dedicato agli emigranti
vo a partire dal 1962. La presenza italiana si concentrò quasi interamente a San Paolo, italiano. Responsabili del reclutamento e del collocamento della manodopera erano
dove risiedevano i tre quarti degli emigrati, il restante quarto risiedeva nel Rio Grande da parte tedesca la Bundesanstalt für Arbeitsvermittlung und Arbeitslosenwersiche-
do Sul, nel Minas Gerais e nel Paranà. Del resto questa nuova emigrazione mostrò rung (Ente federale per il lavoro e l’assicurazione contro la disoccupazione) e da
rapidamente la propria incapacità di rilanciare l’opera di colonizzazione agricola e gli parte italiana il Ministero del lavoro e della Previdenza Sociale. La Bundesanstalt
unici settori in cui sembrò raggiungere risultati di un certo rilievo furono quelli legati für Arbeitsvermittlung und Arbeitslosenversicherung nominava una commissione
alle attività industriali. (Deutsche Kommission in Italien) che operava in Italia grazie alla collaborazione del
Ministero del Lavoro attraverso i suoi uffici provinciali. La Commissione tedesca
raccoglieva le richieste dei datori di lavoro tedeschi e le trasmetteva al Ministero del
5. Germania e Svizzera Lavoro italiano che organizzava le preselezioni professionali e sanitarie dei lavorato-
ri italiani nelle diverse province. La stessa Commissione tedesca procedeva poi alla
Durante gli anni cinquanta, conobbe una vera e propria esplosione l’emigrazione selezione finale a cui i candidati dovevano presentarsi forniti del certificato di buona
italiana in Germania e in Svizzera. Come accennato, nel caso della Germania fu condotta rilasciato dai sindaci dei rispettivi comuni di provenienza. L’esame doveva
decisivo l’accordo del 20 dicembre 1955, che sanciva un vero e proprio reclutamento dimostrare il grado d’istruzione generale posseduto dal candidato, la sua formazio-
di manodopera a basso costo. Le trattative che condussero alla firma dell’accordo ne professionale e le occupazioni svolte in precedenza all’estero. A questa prova si
bilaterale italo-tedesco ebbero origine nell’ottobre del 1953, in seguito alla richiesta accompagnava l’esame medico finalizzato a verificare lo stato di salute generale e
del Governo italiano di trovare uno sbocco occupazionale per i lavoratori stagionali l’idoneità fisica del candidato in relazione al mestiere da svolgere nella Germania
italiani che subivano gli effetti negativi della diminuzione costante delle esportazioni federale. Nell’accordo erano indicate alcune malattie che rendevano non idoneo il
italiane in direzione della Germania. Il tema del saldo negativo dei pagamenti e quel- candidato, costituite dalla tubercolosi polmonare, dalle malattie infettive o parassi-
lo del reclutamento della manodopera italiana furono al centro delle discussioni fra i tarie contagiose, dai disturbi dell’apparato digestivo «suscettibili di aggravamento
due Paesi per tutto il 1954. Nel luglio di quell’anno, l’Italia, per superare le resistenze per effetto del cambiamento del regime alimentare». Erano anche da escludere i
tedesche, minacciò una serie di misure doganali ritorsive in assenza di una politica da lavoratori con «diminuzioni considerevoli della funzione degli organi della vista
parte della Germania favorevole all’ingresso di lavoratori italiani. Queste pressioni e dell’udito, carie e paradentosi necessitanti cure mediche o dentatura con insuffi-
furono accolte solo durante l’anno seguente, dopo che nel settembre la disoccupazio- ciente capacità di masticazione».

109 110

Il primo contingente di 1.389 lavoratori italiani arrivò nella Repubblica federale Per descrivere la natura temporanea dell’emigrazione italiana in Germania è stata
tedesca nell’aprile 1956, avviando un flusso che si ingrossò rapidamente negli utilizzata l’espressione di pendolarismo migratorio che rifletteva le contraddizioni
anni successivi  26. Particolarmente attivo, nell’opera di smistamento, era il già di un’emigrazione originata da alti tassi di disoccupazione e bassi livelli di scola-
citato centro di emigrazione di Milano, dove tra il 1946 e il 1955 passarono ogni rizzazione; una definizione giustificata dalla stessa politica tedesca che ha sempre
anno circa 60.000 persone. Nel 1956, dopo la firma dell’accordo italo-tedesco, qualificato la propria immigrazione come “rotatoria”, destinata cioè ad un sog-
il flusso si ingrossò sensibilmente arrivando a superare le 106.000 unità, prove- giorno “temporaneo e prolungato”, ma mai definitivo per quanto in alcuni mo-
nienti soprattutto dal Veneto, dalla Puglia, dalla Campania e dall’Abruzzo, con menti assai importante nel migliorare il livello di produttività del Paese, senza che
destinazioni quasi tutte europee. Da quella data infatti emigrarono in Germa- ciò si traducesse in una vera integrazione 27. Del resto, come accennato, quasi il 90
nia circa 4 milioni di italiani, con una media annua di 80-90.000 partenze, con per cento dei 4 milioni di italiani partiti hanno fatto ritorno in Italia. Anche dopo
punte massime nei primi anni Sessanta e poi all’inizio del decennio seguente. In il 1967, proprio per la spiccata natura temporanea, il flusso migratorio continuò
quella fase l’emigrazione italiana costituiva da sola circa 1/3 dell’intera emigra- a crescere nonostante l’avvio di una fase recessiva che indusse ad una maggiore
zione in Germania ed i 4/5 di quella dai paesi CEE. Era composta in prevalenza concentrazione territoriale delle destinazioni, limitate al Nordrhein-Westfhalen e
da lavoratori maschi non qualificati, – per quanto le donne lavoratici salirono al Baden, dove tra il 1966 e il 1967 giunsero circa 800.000 lavoratori stranieri, con
da poco più di 48.000 nel 1963 a quasi 70.000 nel 1966 28 – una parte signifi- una riduzione delle presenze italiane di circa un terzo, più forte quindi di quella
cativa dei quali faceva ritorno in patria dopo breve tempo; la comunità italiana di altre comunità.
residente in Germania passò da circa 400.000 presenze negli anni Sessanta a L’accordo con la Germania, l’ultimo della già ricordata serie di accordi bilaterali,
650.000 nel 1972. Un elemento propulsivo fu rappresentato anche dalla costru- era ascrivibile alla politica migratoria dei governi democristiani, annunciata in
zione del muro di Berlino, nel 1961, che incrementò il bisogno di manodopera sede OECE fin dal 1948 allorché fu prevista un’emigrazione netta per il qua-
estera. Dal punto di vista delle provenienze regionali, la Sicilia col 19,3% del driennio successivo di 823.000 unità, di cui 364.000 in direzione dell’Europa e
totale degli italiani fu la regione più rappresentativa, seguita dalla Calabria col 468.000 verso altri continenti; un flusso che avrebbe significato rimesse per 205
13,5%, dalla Campania col 13,3%, dalla Puglia col 12,6%, dalla Sardegna col milioni di dollari, pari al 10% del valore complessivo delle importazioni 29. Tale
10,5%; si registrava così una netta prevalenza della presenza meridionale e insu- visione si legava in maniera stretta alle prospettive contenute nel Piano Vanoni,
lare che arrivava al 75,6%. Il Nord d’Italia contribuì all’emigrazione in tali zone volto a ridurre il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud del Paese. Non
con l’11,4% e il centro con il 13%. è un caso pertanto che la componente meridionale ebbe un rilievo decisivo nelle
nuove ondate migratorie. Il Mezzogiorno perse tra il 1951 e il 1971 circa 4 milioni
di abitanti, dei quali 1,8 espatriarono; le ragioni erano da rintracciarsi in primis
Operai italiani impegnati nella costruzione
di una ferrovia a Villingen, in Germania, nel fallimento della riforma agraria e della politica di industrializzazione del Sud,
negli anni Cinquanta (MEGT - Per terre operata con vasti sussidi pubblici nonché nei forti squilibri nella distribuzione
assai lontane)
del reddito nazionale. Questi aspetti furono oggetto di ampi, per quanto spesso
infruttuosi dibattiti scientifici e politici, dove si fronteggiavano i sostenitori delle
tesi chiaramente formulate da Vera Lutz secondo cui il Meridione avrebbe dovu-
to costituire una riserva naturale di forza lavoro per aree industrializzate, verso le
quali i lavoratori del Sud si sarebbero indirizzati fino ad una risoluzione “natura-
le” della questione meridionale, e quelli sensibili alle letture di Ezio Vanoni e Ugo
La Malfa, convinti che l’emigrazione provocasse un pericoloso depauperamento
delle regioni meridionali destinato a causare nel lungo periodo effetti negativi sui
redditi dell’intero Paese.
Accanto alla Germania, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, fu la
Svizzera ad attrarre una gran quantità di lavoratori italiani non specializzati. Qui
vigeva dal 1948 la legge sul soggiorno e sul domicilio degli stranieri che fissava il
“principio di libera decisione delle autorità”, per effetto del quale la permanenza

111 112
Operaie italiane, originarie del pistoiese, al Simili afflussi scatenarono una dura reazione in molte zone della Svizzera e la
lavoro in Svizzera nel 1948 in un impianto
presentazione di proposte legislative di iniziativa popolare volte a bloccare le
della Brown Boveri. In quella fase l’azienda
era impegnata soprattutto nella produzione ondate migratorie. Ad alimentare l’ostilità nei confronti degli stranieri aveva
di motori per tram (MEGT - Per terre assai cominciato nel 1961 a Winterthur un piccolo partito, molto aggressivo, deno-
lontane)
minato: Azione nazionale contro l’inforestierimento del popolo e della patria
(Nationale Aktion gegen die Überfremdung von Volk und Heima). A tale forma-
zione aveva fatto seguito due anni più tardi a Zurigo il Movimento indipendente
svizzero per il rafforzamento dei diritti del popolo e della democrazia diretta,
meglio conosciuto come partito anti-italiano perché si autodefiniva anche Par-
tei gegen die Überfremdung durch Südländer (Partito contro l’inforestierimento
da parte di meridionali). Da allora i movimenti xenofobi si erano ampiamente
diffusi in Svizzera e preoccupavano seriamente il Consiglio federale, che non
poteva ignorarli, soprattutto dopo che una Commissione di studio, insediata nel
1961, aveva messo in evidenza nel suo rapporto finale del 1964 la pericolosità
di una ulteriore espansione incontrollata dell’economia svizzera basata su un
costante aumento di lavoratori stranieri. Anche i sindacati condividevano que-
sta analisi. L’aumento degli italiani suscitava particolari preoccupazioni perché
degli emigrati in territorio elvetico era di fatto sottoposta ad una vera e propria di- ormai tendeva ad alimentarsi più che con nuovi arrivi dall’Italia per effetto
screzionalità delle autorità locali che rilasciavano permessi in genere della durata soprattutto dell’incremento naturale. Se al censimento del 1960 risultavano nati
di 9 mesi. Per effetto di tale legge nel 1948 e nel 1949 arrivarono in Svizzera oltre in Svizzera 50.397 italiani, nel 1970 ne risulteranno ben 134.000. Solo nel 1965 i
neonati italiani erano 17.855 (ca. 64% degli stranieri) e raggiungeranno la cifra
200.000 lavoratori italiani, per 4/5 provenienti da Veneto, Friuli e Lombardia;
record di 19.101 (ancora il 64% di tutti gli stranieri) nel 1969. Nel 1965 i Repub-
una provenienza che si modificò dalla metà degli anni Cinquanta quando oltre il
blicani presentarono a Zurigo un’iniziativa contro l’Überfremdung, l’invasione
60% dei lavoratori italiani cominciò ad arrivare dalle regioni meridionali. Duran-
straniera, raccogliendo quasi 60.000 firme valide, ed un tentativo analogo fu
te gli anni Sessanta questo flusso continuò ad ingrossarsi giungendo a costituire
i 2/3 della manodopera straniera in terra elvetica, che trovò occupazione soprat-
tutto nel settore tessile, in quello alberghiero, in quello dell’edilizia e nel compar- In questa foto del 1956 figurano alcuni
operai italiani, tra i quali alcuni lunigianesi,
to della metalmeccanica. Più specificamente, la normativa svizzera contemplava
sono impegnati nella costruzione del traforo
quattro tipologie di immigrati. Il primo gruppo era costituito dagli stagionali, a del Gran San Bernardo; il contributo
cui non era consentito cambiare lavoro, né farsi raggiungere dai familiari, e che delle maestranze italiane alla costruzione
della rete di infrastrutture europee dopo
potevano diventare annuali dopo cinque anni di stagionalità. Questo secondo la Seconda Guerra Mondiale è stato
gruppo aveva permessi annuali appunto, poteva cambiare lavoro e Cantone e farsi determinante (MEGT - Per terre assai
lontane)
raggiungere dalle famiglie: di condizioni migliori godevano i domiciliati, che po-
tevano aprire attività in proprio, e i frontalieri. Un nuovo accordo tra Italia e Sviz-
zera, firmato nel giugno 1964, stabilì la sostanziale parità giuridica fra i lavoratori
italiani e quelli elvetici, rendendo più semplici al tempo stesso i ricongiungimenti
familiari e le naturalizzazioni; miglioravano nel frattempo le condizioni abitative
con il superamento delle sistemazioni nelle baracche a lungo prevalenti. La con-
seguenza di tale normativa fu un nuovo slancio dell’immigrazione proveniente
dall’Italia che raggiunse il punto massimo nel 1975 con ben 573.000 presenze
italiane, in gran parte stagionali 30.

113 114

riproposto nel 1969 con oltre 70.000 firme, ma in entrambi i casi la volontà di totale dell’immigrazione italiana; il sistema dei passaggi marittimi “assistiti” finì
limitare la presenza straniera al 10% della popolazione non ebbe successo. infatti per accelerare il processo di ricongiungimento di molti nuclei familiari.
L’emigrazione italiana in Svizzera, in questi anni, conobbe anche alcune tragedie: Il tratto più significativo di questa emigrazione fu costituito dal fatto che essa
nel 1965, a Mattmark, nella Valle del Saas, Cantone Vallese, il 30 agosto si verificò tese a rimanere costante nell’arco di tempo ricordato non risentendo dell’an-
una catastrofe naturale in cui morirono 83 persone. Le baracche degli operai del- damento più altalenante conosciuto dagli altri fluissi migratori transoceanici.
la diga furono sepolte sotto mezzo milione di metri cubi di ghiaccio, detriti e ma- Così agli inizi degli anni Settanta, gli italiani in Australia erano circa 180.000 a
cerie. Tra le vittime vi furono 57 italiani. Per fronteggiare le difficili condizioni di cui si aggiungevano 320.000 oriundi. La prima ondata migratoria fu costituita
vita, la comunità degli italiani in Svizzera creò un’articolata rete associativa, la più in prevalenza da contadini e manovali con una alfabetizzazione molto limitata
grande d’Europa, che riunì oltre mille sodalizi, e nel 1970 prese corpo il Comitato mentre nei decenni successivi la qualifica professionale e il livello di istruzione
Nazionale d’Intesa, il cui scopo era quello di svolgere funzioni di coordinamento degli immigrati italiani tesero a migliorare. Nel medesimo arco di tempo diven-
tra le varie iniziative italiane. ne evidente la concentrazione dei nuovi arrivi nei capoluoghi di ciascuno Stato
della Federazione tanto che nel 1976 il 69% si trovava in due soli Stati, Victo-
ria e Nuovo Galles del Sud, con circa 100.000 residenti a Melbourne e 70.000
6. Due destinazioni anglosassoni: il caso dell’Australia e quello a Sidney  31. La presenza italiana, che conservò nella stragrande maggioranza
dell’Inghilterra dei casi caratteri definitivi, condizionò non poco la società australiana che, dal
canto suo, adottò una linea di integrazione multiculturale, sulla base di nuovi
Una certa consistenza assunse, a partire dall’immediato dopoguerra, anche parametri sociali, geografici e politici 32.
La locandina del celebre film di Luigi Zampa
l’emigrazione italiana verso l’Australia dove si indirizzarono fra il 1946 e il 1955 L’emigrazione italiana in terra inglese, che fu, come già accennato, molto limitata
“Bello, onesto, emigrato Australia”, uscito
quasi 13.000 partenze in media all’anno, che salirono a poco più di 15.000 nel nel 1971 ed interpretato da Alberto Sordi anche nella fase del boom migratorio dalla Penisola, continuò a mantenere tale
periodo compreso tra il 1966 e il 1975, con punte di 25-27.000 unità nel periodo e Claudia Cardinale. La bella recensione carattere nel dopoguerra. A renderla assai difficile contribuì certo la condizione
di Giovanni Grazzini sul “Corriere della
1952-1957. In realtà, una presenza italiana in terra australiana era già iniziata nel degli italiani durante il conflitto. I circa 18.000 italiani che si trovavano in In-
Sera” del 23 dicembre 1971 ben riassume il
corso della Seconda Guerra Mondiale, allorché vi furono internati nei campi di significato del film: «Il film di Zampa non ghilterra furono considerati enemy aliens e oggetto di aggressioni e violenze. Il
prigionia circa 18.000 militari ed utilizzati nei lavori agricoli presso molte fatto- è soltanto divertente. Girato quasi tutto in Governo adottò misure molto dure, che portarono all’arresto e all’internamento
Australia, fra autentici emigrati italiani,
rie, ma fu dal 1945 che prese corpo questo nuovo flusso. In quell’anno infatti gli di circa 4.000 italiani; tali provvedimenti colpirono maschi di età compresa fra i
evoca un mondo che la nostalgia per la
italiani in Australia erano ancora meno di 30.000. Si trattava di un’emigrazione patria lontana, l’irrealtà dei paesaggi, la 16 e i 60 anni che fossero in Gran Bretagna da meno di vent’anni. Un altro prov-
in origine in larga misura proveniente dal Veneto, destinata a non rimpatriare – singolarità dei costumi, tingono di assurdo e vedimento molto duro consistette nella deportazione in Canada dei prigionieri
dove tutto è possibile: anche la comica storia
i rimpatri furono circa il 28% del totale – tanto da fare degli italiani il secondo italiani ritenuti più pericolosi, ma la misura fu quasi subito sospesa, dopo l’af-
di Carmela ed Amedeo, dietro la quale si
gruppo straniero presente in Australia. Questa emigrazione venne attirata per disegnano dolore e solitudine. La maschera fondamento dell’Arandora Star, avvenuta il 2 luglio 1940, che provocò la morte
realizzare il popolamento del Paese dopo il sostanziale fallimento degli sforzi afflitta ed esilarante di Alberto Sordi,
di 446 italiani. Ne seguì un’inchiesta sollecitata da parlamentari assai critici nei
che fonde con molta ironia gli elementi
posti in essere dal Governo australiano per far entrare nel Paese ogni anno fino confronti della deportazione e dell’internamento indiscriminato. Tuttavia, fu
tradizionali del suo personaggio e strizza
a 200.000 immigrati bianchi, reclutandoli fra i cittadini britannici. A partire l’occhio alla cara memoria di Stan Laurel, solo dopo la resa dell’Italia, nel settembre del 1943, che molti prigionieri italiani
dal 1950, il Ministro per l'Immigrazione Harold Holt decise di puntare proprio ha un’espressività eccezionale. E azzeccata è
lasciarono i campi di internamento nell’Isola di Man 33. Nei due anni successivi
la scelta di Claudia Cardinale, sempre a suo
sugli italiani per supplire a tale carenza. Il “Messaggero di Roma” del 2 ottobre agio nei ruoli che comportano toni bruschi e furono trasferiti in Inghilterra anche un gran numero di prigionieri di guerra
1950 riportò un’intervista concessa al giornalista Gino De Sanctis dallo stes- torvi, dove la bellezza si sposa alla fierezza» da altre parti d’Europa e ciò accrebbe sensibilmente la presenza di ex militari
so Holt, con cui intendeva promuovere apertamente l’emigrazione verso una italiani che venne drasticamente ridimensionata tra il 1945 e il 1946, tanto da
terra che «non aveva pregiudizi razziali». Tuttavia già nel 1951, dopo la firma ridursi a 1500 unità.
di un accordo tra i due paesi, il Dipartimento dell’immigrazione australiano
introdusse una rigorosa selezione che tese ad escludere lavoratori provenienti «In realtà numerosi ex prigionieri, estraniati da tanti anni di lontananza e di fronte al
dal Sud Italia, utilizzando in modo particolare il sistema delle “chiamate”. Tale problema della disoccupazione nei loro paesi e città – ha scritto Lucio Sponza – riusciro-
politica ebbe successo solo in parte, e peraltro venne rapidamente corretta, dal no a ritornare in Gran Bretagna come immigrati muniti di permessi di lavoro individuali,
momento che gli emigrati provenienti dal Meridione si attestarono al 50% del richiesti per loro conto – nella maggior parte dei casi – da italiani da molto tempo residen-

115 116
ti in questo Paese, che li avevano conosciuti e desideravano assumerli come dipendenti e Il ristorante “Capuceto”, gestito da italiani,
collaboratori nelle loro aziende familiari (principalmente caffè, ristoranti e negozi di ali- famoso nella Londra degli anni Cinquanta.
Anche nel Secondo dopoguerra la
mentari). D’altro canto, un numero consistente di immigrati giunse sulla base di accordi
ristorazione si confermò come la principale
intergovernativi, che interessavano le autorità e gli imprenditori inglesi per far fronte alla attività degli italiani in Gran Bretagna
scarsità di manodopera in molti settori mentre si avviava una robusta ripresa economica, (MEGT - Per terre assai lontane)
e premevano sulle autorità italiane per alleviare i problemi della disoccupazione e delle
tensioni sociali di quel periodo. Furono così reclutati lavoratori da avviare in settori in-

Una pagina de l’«Europeo» del 10 giugno


1951 dedicata alla richiesta di manodopera
italiana in Australia (Biblioteca Nazionale
Centrale Vittorio Emanuele II, Roma)

dustriali come il metallurgico e il siderurgico, e lavoratrici per industrie tessili, ceramiche


e per servizi ausiliari presso ospedali e altre istituzioni pubbliche. Inizialmente i sinda-
cati britannici opposero delle difficoltà ma poi accettarono gli accordi, purché fossero
introdotte delle clausole restrittive sulla libertà di movimento da settore a settore. Per la
prima volta nella lunga storia dell’immigrazione italiana in Gran Bretagna vi fu dunque
un’immissione di manodopera nel mercato di lavoro ufficiale» 34.

L’emigrazione postbellica presentava altri elementi di novità rispetto al passa-


to costituiti dall’origine prevalentemente meridionale delle provenienze e dalla
marcata presenza femminile, in gran parte autonoma. Le regioni maggiormente
coinvolte furono la Campania, la Calabria e la Sicilia mentre in relazione alla pre-
senza femminile, un dato importante emerge dal censimento del 1951, allorché
per la prima volta le donne risultarono più numerose degli uomini con 21.000
presenze su un totale di 34.000 italiani. Questi consistenti arrivi accentuarono
l’opera di attento controllo dell’emigrazione italiana stimolato anche dalle trade
unions. Nel 1951, proprio per l’ostruzionismo sindacale, 2500 lavoratori italiani,
già sbarcati in Inghilterra e destinati alle miniere, dovettero rinunciare alla loro
occupazione accettando di cercarsi altri lavori o di dirigersi presso le miniere

117 118

Un momento di svago presso il Circolo e poco meno di 1,2 milioni si rivolsero ai Paesi extraeuropei, da dove tornarono
Mazzini-Garibaldi di Londra, negli anni
circa 320.000 italiani. Queste cifre si riprodussero sostanzialmente nel decennio
Sessanta. Il sodalizio, tutt'oggi attivo, nacque
a Londra nel 1860 sulle ceneri dell’“Unione successivo, allorché gli espatri furono quasi 2,7 milioni e i rimpatri 1,9; in tale fase
degli Operai Italiani” fondata da Mazzini il numero degli espatri in Europa fu molto vicino ai 2,2 milioni di unità, mentre
nel 1840 allo scopo di organizzare gli
le partenze verso altre zone si contrassero sensibilmente. Dunque, sintetizzan-
artigiani italiani presenti nella capitale
inglese (MEGT - Per terre assai lontane) do alcuni degli elementi già espressi nelle pagine precedenti, si può affermare
che questa “nuova” emigrazione fu in larga prevalenza diretta verso il Vecchio
Continente e presentò carattere temporaneo, essendo favorita anche dai nume-
rosi accordi bilaterali e poi dalla firma dei Trattati di Roma, con i conseguenti
regolamenti comunitari; il primo fu approvato nel 1961 e sanciva la piena libertà
di circolazione per i lavoratori permanenti mentre nel 1964 un altro regolamento
estendeva il diritto di circolazione ai lavoratori stagionali e ai frontalieri. Questa
emigrazione rientrava quindi a pieno titolo nella definizione geografica e giuri-
dica di un mercato del lavoro europeo, ma un simile processo avvenne, in molte
circostanze, senza garantire un rapido miglioramento delle condizioni di vita dei
lavoratori.
La dimostrazione più drammaticamente evidente di tale situazione fu costituita
dal perpetuarsi di numerose tragedie che coinvolsero lavoratori emigrati. Il caso
belghe. Nonostante simili episodi, tuttavia, non si registrò nel corso del tempo più tristemente noto fu quello del disastro di Marcinelle, avvenuto nell’agosto del
una vera e propria ostilità nei confronti della comunità italiana, che non riuscì 1956. Come già ricordato, l’Italia e il Belgio avevano firmato il 23 giugno 1946 la
comunque ad integrarsi pienamente nella società inglese. Questa condizione di Convenzione Van Hacker-De Gasperi che prevedeva l’acquisto di carbone a prezzi
isolamento dalla società britannica si legava alla costante adesione degli emigrati favorevoli in cambio dell’impegno italiano di inviare 50.000 uomini da utilizzare
italiani alle tradizionali forme di “lealtà” intorno alla famiglia, al campanilismo
e alla religione cattolica. In tale ambito presero corpo la Federazione delle Asso-
ciazioni Scuola e Famiglia, con compiti di coordinamento di organismi sparsi nel Belgio, 1951. Il funerale di minatori italiani
territorio, ed un gran numero di associazioni regionalistiche e localistiche, delle deceduti in un incidente in un bacino
carbonifero dell’Hainaut (MEGT - Per terre
quali la prima è stata l’associazione della Val D’Arda, fondata nel 1968. Anche la
assai lontane)
religione cattolica ha avuto un peso decisivo nella cultura di quasi tutta la comu-
nità immigrata; negli anni Cinquanta e Sessanta sono state stabilite missioni do-
vunque si estendesse la presenza italiana: a Birmingham, Bradford e Manchester
nel 1952, a Bedford nel 1954 fino a Woking, a sud-ovest di Londra, nel 1971. Tre
nuove chiese sono state fondate dai Padri Scalabriniani a Peterborough, nel 1962,
a Bedford nel 1965 e Brixton nel 1969 35.

7. Numeri e tragedie

Nell’insieme tra il 1951 ed il 1960 gli espatriati furono quasi 3 milioni, il numero
in assoluto più grande rispetto ai decenni precedenti, a fronte però di oltre 1,3
milioni di rimpatri; di tali espatri circa 1,8 milioni erano diretti verso Paesi euro-
pei, da cui rientrarono nello stesso periodo poco più di 1 milione di emigranti,

119 120
nelle miniere belghe; per effetto di tale accordo tra il 1946 e il 1957 giunsero in fu resa obbligatoria nelle miniere belghe l’utilizzazione della maschera antigas.
Belgio 140.000 lavoratori italiani, 17.000 donne e 29.000 bambini. Nel 1948 fu Accanto all’inchiesta giudiziaria presero corpo altre due indagini che non pro-
firmato un ulteriore protocollo tra i due paesi che almeno in termini formali annul- dussero risultati significativi. Il 25 agosto, il ministro dell’economia Jean Rey creò
lava le differenze tra i lavoratori italiani e quelli belgi in tema di diritti di lavoro e una commissione d’inchiesta, alla quale parteciparono due ingegneri italiani,
in materia assicurativa. Nonostante ciò le condizioni di lavoro delle miniere, a cui
peraltro gli italiani erano spesso del tutto impreparati, restavano pessime determi- La copertina di una rivista dedicata alla
nando molteplici incidenti. Tra il 1946 e il 1963 morirono un totale di 867 italiani strage di Marcinelle, la pagina più nera
degli incidenti minerari in Belgio (Archivio
in seguito ad incidenti in miniera con una media di circa 50 decessi l’anno.
Museo Regionale dell’Emigrazione Piero
Conti)
didascalia
Nota di infocamere
La tabella non supporta i dati illustrati nel Morti in miniera dal 1946 al 1972
testo e non è comprensibile, si riferisce solo Anno Località N° di decessi
agli italiani? Maggio 1946 Dampremy 16
Maggio 1950 Mariemont-Bascoup 39
Marzo 1951 Châtelet 3
Giugno 1952 Monceau-Fontaine 10
Gennaio 1953 Wasmes 20
Settembre 1953 Baudour 12
Ottobre 1953 Ougrèe-Marihaye 26
Maggio 1954 Quarengnon 7
Febbraio 1956 Quarengnon 7
Agosto 1956 Marcinelle 256
Maggio 1962 Lambusart 6
Novembre 1972 Monceau-Fontaine 6
Fonte?

Alcuni di tali incidenti furono provocati dall’imperizia dei minatori, costretti a


svolgere simili mansioni senza alcuna preparazione professionale, ma assai spesso
la causa principale era rappresentata dalla pronunciata fatiscenza della maggio-
ranza delle miniere belghe. Da tempo infatti non erano stati fatti investimenti
sull’ammodernamento delle strutture nell’ottica di una brutale massimizzazione
dei profitti che penalizzava la sicurezza dei lavoratori 36.
A Marcinelle si materializzarono in maniera drammatica tutte queste carenze; qui
nel pozzo n. 1 della locale miniera di carbone, in funzione dal 1930, l’8 agosto
1956, si verificò un’esplosione che provocò la morte di 262 minatori, di cui 136
erano italiani. Venti provenivano da un solo paese, Manoppello, nelle Marche,
ma erano molte le vittime provenienti dal Triveneto e dalla Calabria. Il disastro
suscitò un’enorme ondata di commozione in Italia e pose fine di fatto allo scambio
tra forza lavoro e forniture di carbone che aveva caratterizzato gli anni precedenti.
Nonostante ciò, il processo che seguì si concluse con l’assoluzione dei dirigenti
della società mineraria e la responsabilità principale fu attribuita all’addetto alla
manovra del carrello, un italiano anch’egli morto nel disastro. Dopo tale tragedia

121 122

Note
Francesco Caltagirone e Mario Gallina, del Corpo delle Miniere Italiane e, paral- 1
Cfr. S. Rinauro, La disoccupazione di guerra, in «Storia in Lombar- si occupavano, a vario titolo, di emigrazione. Era una tendenza pre-
dia», XVIII, 2-3 (1998), pp. 549-595, e Id., Prigionieri di guerra sente sia nei Paesi di destinazione come nel caso dell’Oni in Francia
lelamente, la Confederazione dei produttori di carbone avviò un’inchiesta ammi-
ed emigrazione di massa nella politica economica della ricostruzione sia nei Paesi di partenza come nel caso di realtà che si affacciano
nistrativa interna. In entrambi i casi non si riuscì a fare chiara luce sull’avvenuto. 1944-1948. Il caso dei prigionieri italiani della Francia, in «Studi e sul Mediterraneo, quali Tunisia, Algeria e Turchia, dove presero
Come già accennato, qualche anno più tardi, nell’agosto del 1965, un’altra tra- ricerche di storia contemporanea», 51 (1999), pp. 239-268. vita enti pubblici che avevano il compito di seguire i flussi in uscita
2
L’emigrazione italiana verso l’Australia aveva avuto dimensioni dai rispettivi territori. In Tunisia, in particolare, le condizioni degli
gedia si ebbe a Mattmark, in Svizzera, nella valle del Saas, nel Cantone Vallese, contenute fino a quel momento; nel 1891 gli italiani emigrati in italiani erano peggiorate dopo la fine della guerra e gli accordi italo-
dove il distacco di una parete del ghiacciaio di Allalin travolse le baracche dei Australia erano meno di 4000, divenendo 8000 nel 1921 e rag- francesi del settembre del 1947 e del settembre dell’anno successi-
giungendo le 26.600 unità nel 1933, una crescita quest’ultima vo; nel 1950 per fornire un ausilio alle famiglie italiane in Tunisia
cantieri allestiti per la costruzione di una diga, uccidendo 83 lavoratori, 57 dei
sicuramente riconducibile alle restrizioni imposte dalle autorità nacque la “Società Italiana di Assistenza” (N. Pasotti, Italiani e
quali erano italiani. La gran parte di loro proveniva dalla Calabria, in particolare statunitensi ai flussi migratori in direzione del loro Paese. Nel Italia in Tunisia dalle origini al 1970, Firenze, Finzi, 1970). Nello
da San Giovanni in Fiore, e dal bellunese. Sulle pagine del «Corriere della Sera», 1940, in Australia vivevano circa 35.000 tra italiani e oriundi, e stesso periodo inoltre assunsero notevole rilievo alcune istituzioni
una parte di essi subì l’internamento durante la guerra. internazionali, basti pensare alla nascita nel 1952 del Cime (Comi-
Dino Buzzati individuava nella vicenda di Mattmark il paradigma dell’“amara 3
F. Fait, L’emigrazione in Australia dal Friuli Venezia Giulia, http:// tato intergovernativo per le migrazioni europee), divenuto nel 1989
favola” dell’emigrazione italiana, mentre le autorità elvetiche, anche in seguito ammer-fvg.org/-Data/Contenuti. Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, dell’Acnur
a questi eventi, iniziarono a limitare almeno in parte la politica che le aveva in-
4
C. Sommaruga, L’internamento: memoria, rimozione e azioni dei nel 1949 (Alto commissariato delle Nazioni Unite per rifugiati),
reduci e degli “altri”, in Dopo il lager. La memoria della prigionia e ma anche al ruolo fondamentale delle organizzazioni comunitarie,
dotte fino ad allora a rilasciare oltre 200.000 permessi l’anno. La gravità e la dell’internamento nei reduci e negli “altri”, a cura di C. Sommaru- come la Ceca e il Mec, che prevedevano rispettivamente nel 1951
frequenza degli incidenti sul lavoro accelerarono la creazione di sezioni sindacali ga, Napoli, Guaisco, 1995, p. 89. e nel 1957 nei loro trattati fondativi il principio della libera circola-
5
F. Bertagna, L’emigrazione fascista e neofascista italiana in America zione della manodopera.
italiane all’interno dei sindacati dei vari Paesi di destinazione e di specifici pa- Latina (1945-1985), in «Archivio Storico dell’emigrazione italia- 21
A questo proposito cfr. Capuzzi, La frontiera immaginata ... cit.
tronati sindacali italiani fino a farne uno dei temi di impegno nelle affiliazioni na», 4, (2008). 22
Una prima presenza italiana in Canada può essere fatta risali-
internazionali, come nel caso della CES (Confederazione Europea dei Sindacati).
6
M. Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Euro- re alla fine dell’Ottocento e aveva preso maggiore consistenza a
pa 1945-1957, Roma, Donzelli, 2008. partire dall’inizio del secolo successivo; nel 1901, gli italiani in
Particolarmente numerose furono tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni 7
S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, Bologna, Il Canada erano poco meno di 11.000 e nel 1921 erano diventati
del decennio seguente le associazioni a carattere regionale volte a difendere gli Mulino, 1994. circa 67.000. Alle difficili condizioni di tali lavoratori, il «Corriere
8
S. Rinauro, Percorsi dell’emigrazione italiana negli anni della Rico- della sera» dedicò proprio nel 1901 un’inchiesta, affidata a Eu-
interessi dei lavoratori emigrati e, tra queste, molto organizzate furono quelle
struzione: morire a Dien Bien Phu da emigrante clandestino, in «Al- genio Balzan, inviato a Montreal dalla testata milanese (E. Bal-
del Veneto, a partire dall’Ente vicentini nel mondo, nato nel 1966 dalla trasfor- treitalie», (2005). Più in generale, dello stesso autore, Il cammino zan, L’emigrazione in Canada nell’inchiesta del “Corriere”, Milano,

mazione dell’Ufficio Emigrazione costituito nel 1953 presso la locale Camera di della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo fondazione Corriere della sera, 2009). Sulle origini della presenza
dopoguerra, Torino, Einaudi, 2009. italiana in Canada si veda anche J.E. Zucchi, Italians in Toronto.
Commercio, che aveva tra i propri soci i Comuni, la Provincia e la stessa Camera 9
Ibidem. Development of a national identity 1875-1935, Montreal, McGill-
di Commercio, a cui seguì nello stesso anno l’Associazione emigrati bellunesi e 10
G. Prontera, L’emigrazione italiana verso la Repubblica federale Queens University Press, 1988.
tedesca. L’accordo bilaterale del 1955, la ricezione sulla stampa, il 23
A. Crudo, Identità fluttuanti: Italiani di Montreal e politiche del
poi l’Associazione trevisani nel mondo, costituitasi con l’ausilio della diocesi. Un
ruolo dei Centri di emigrazione di Milano e Verona, in «Storica- pluralismo culturale in Quebec e in Canada, Cosenza, Luigi Pelle-
discreto aumento dei flussi migratori si registrò anche in uscita dal Piemonte, con mente», 4 (2008). grini Editore, 2005, pp. 93-100.
una media annua di 2500 unità fra il 1951 e il 1970, ma con alcune annate che
11
Rinauro, Percorsi dell’emigrazione italiana ... cit. 24
F. Bertagna-M. Sanfilippo, Per una prospettiva comparata dell’emi-
12
L. Capuzzi, La frontiera immaginata. Profilo politico e sociale grazione nazifascista dopo la Seconda Guerra Mondiale, in «Studi
videro uscite molto più numerose fino a 5678 unità proprio nel 1970. Negli anni dell’immigrazione italiana in Argentina nel secondo dopoguerra, Emigrazione/emigration Studies», XLI, 155 (2004), pp. 548-549.
successivi, le uscite restarono comunque significative, con una punta importante Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 146-149. È significativo rilevare che il già ricordato Scilingo, protetto di
13
Sori, Mercati e rimesse, in Storia d’Italia, Annali, 24 ... cit., p. 268. Eva Peron, fu rimosso dopo che nel primo contingente di italiani
nel 1979 pari a 4370 unità. 14
F. Brancato, L’emigrazione siciliana negli ultimi cento anni, Cosen- arrivato in Argentina risultarono presenti 20 comunisti.
za, Pellegrini editore, 1995, pp. 88-89. 25
Storia dell’emigrazione italiana, a cura di P. Bevilacqua-A. De Cle-
15
A. Pepe-I. Del Biondo, Le politiche sindacali dell’emigrazione, in menti-E. Franzina, Roma, Donzelli, 2002, Arrivi, pp. 108-109.
Partenze. Storia dell'emigrazione ... cit., pp. 289-292. 26
Prontera, L’emigrazione italiana verso la Repubblica federale tede-
16
M. Iaquinta, Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo, sca ... cit.
Cosenza, Pellegrini, 2002, p. 226. 27
Occorre rilevare come proprio la natura “pendolare” dell’emigra-
17
Il dilemma dell’integrazione. L’inserimento dell’economia italiana zione italiana in Germania rende molto difficile una sua precisa
nel sistema occidentale (1945-1957), a cura di A. Cova, Milano, quantificazione ed, in effetti, come è stato rilevato le statistiche
Franco Angeli, pp. 150-151. in merito non sono sempre molto attendibili soprattutto dopo
18
F. Romero, L’emigrazione operaia in Europa (1948-1973), in Parten- l’avvio nel 1967 dei processi di liberalizzazione nella circolazione
ze, cit., pp. 401-403. della manodopera tra i Paesi membri per effetto del regolamento
19
F. Cumuli, Dai campi al sottosuolo. Reclutamento e strategie di adat- CEE n. 1612 (E. Pugliese-D. Sabatino, La Campania. Emigrazio-
tamento al lavoro dei minatori italiani in Belgio, in «Storicamen- ne. Immigrazione, Napoli, Guida, 2006, p. 37).
te», 5 (2009).
28
Iaquinta, Mezzogiorno, emigrazione, sottosviluppo ... cit., p. 150.
20
Tra gli elementi di novità nel panorama del dopoguerra si inserì an-
29
F. Romero, Emigrazione e integrazione europea 1945-1973, Roma,
che la moltiplicazione degli organismi nazionali e internazionali che Edizioni Lavoro, 1991, p. 52.

123 124
30
Un caso particolarmente interessante fu quello della Monteforno italiani nella Gran Bretagna del secondo dopoguerra, in «Studi emi-
acciaierie e laminatoi SpA, nata a Giornico, Canton Ticino, nel grazione», 150 (2003), pp. 329-349.
dicembre 1946, che arrivò a toccare negli anni Settanta la cifra «Quando arrivano i primi treni di lavoratori italiani, il clima culturale
36

di oltre 1000 lavoratori e che realizzò numerosi record produttivi non è certo buono. Vengono principalmente assimilati al regime fa-
tra cui la capacità di scendere sotto l’ora per ottenere una colata scista, al nemico vinto. D’altro canto, le loro condizioni di vita sono
di acciaio. In tale fabbrica prese corpo anche un ciclo di lotte disastrose. Ammucchiati nei vecchi campi di prigionia tedeschi la
che negli anni Settanta, quando aveva più di 1000 dipendenti, loro “immagine” non è certo rosea. Una promiscuità indiscutibile e le
portò la Monteforno alla ribalta della cronaca ticinese e svizzera, condizioni igieniche deplorevoli dei ghetti minerari belgi diventano
costringendo di fatto i sindacati a ripensare la propria struttura un tema ricorrente di critica xenofoba contro gli italiani. Questi nu-
e mettendo in discussione la cosiddetta pace del lavoro, che fin merosi gruppi maschili, sporchi, rumorosi e a volte violenti vengono
dal 1937 aveva impedito lo svolgersi di vere e proprie agitazioni visti come una “minaccia” per l’ordine e la moralità. Nell’immagina-
da parte del movimento operaio svizzero (M. Pelli, Parole di mi- rio pubblico, l’italiano diventa la figura più negativa della scala socia-
granti. Storie di vita e di lavoro nell’acciaieria svizzera Monteforno, le di pari passo con quella del “minatore”. Inoltre l’operaio italiano
«Storicamente», 4 [2008]). accetta, per mancanza di forza contrattuale, un lavoro mal remunera-
31
G. Rando, Emigrazione e letteratura: il caso italoaustraliano, Co- to, pericoloso ed insalubre. Nei quartieri dei minatori, vengono rapi-
senza, Pellegrini, 2004, pp. 20-21. La presenza italiana in Austra- damente definiti come “rovina lavoro” perché accettano condizioni
lia fu, come accennato, molto recente; ancora nel censimento del lavorative estreme mostrando un eccessivo zelo. I lavoratori belgi li
1901, gli italiani erano circa 7000 su un totale di quasi 4 milio- tratteranno spesso di crumiri. Non ultimo, il lavoratore italiano non è
ni di abitanti e fino alla Seconda Guerra Mondiale circa il 40% preparato al lavoro in miniera e spesso diventa oggetto/soggetto d’in-
dell’emigrazione italiana si era stanziata nelle zone agricole. cidenti. Paradossalmente, sarà spesso tacciato di essere un lavativo,
32
A. Paginoni-D. O’ Connor, Se la Processione Va Bene...Religiosità un commediante, pronto perfino a farsi male pur di non lavorare e
Popolare Italiana nel Sud Australia, Roma, CSER, 1999. di usufruire dei servizi della mutua. Nonostante i difficili pregiudizi
33
L. Sponza, Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, in «Altrei- della superficie, la dura realtà del lavoro di fondo permette invece
talie», (gennaio-giugno 2005). una certa solidarietà tra i lavoratori» (A. Caprarelli, L’emigrazione
34
Ibidem. italiana in Belgio nel secondo dopoguerra vista attraverso la televisione,
35
Ibidem, cfr. anche M. Colucci, Chiamati, partiti e respinti: minatori in «Archivio Emigrazione Italiana», novembre 2008).

125

Capitolo quinto

La fine dell'emigrazione?
I flussi migratori italiani, che per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta furono ac- speciali per allievi con difficoltà di apprendimento. In Svizzera a metà degli anni
compagnati da ingenti movimenti interni di popolazione, iniziarono a rallentare Settanta si giunse alla riduzione della popolazione italiana di circa 160.000 unità;
in maniera vistosa nel corso degli anni Settanta, allorché la crisi economica investì solo nel 1979 ci fu una parziale ripresa degli espatri dall’Italia che in quell’anno ri-
molte della aree di destinazione, a cominciare da quelle europee, dove gli shock portarono la comunità italiana a 442.000 unità, per oltre il 60% provenienti dalle
petroliferi avevano causato difficoltà pesanti all’intero settore manifatturiero. regioni meridionali. Dai primi anni Ottanta, tuttavia, i rientri in Italia sono diven-
Come è stato più volte messo in luce, infatti, la componente immigrata della forza tati sempre più numerosi. Infatti, se queste misure, dettate dalla rapida esplosione
lavoro ha teso ad essere quella su cui hanno inciso in misura maggiore le variazio- della disoccupazione nei Paesi di destinazione con percentuali a due cifre, non
ni di ordine congiunturale. Al tempo stesso, il progressivo definirsi di un modello riuscirono a bloccare del tutto il flusso di immigrati, ma seppero solo limitarlo
di welfare che si impegnava nel garantire sussidi e pensioni contribuì a rallentare – sia perché non venivano eliminati o ridotti gli ingressi di determinate catego-
gli esodi e ad accentuare il fenomeno dei rientri in Italia. Pertanto, a partire dal rie, sia perché una certa quota di potenziali immigrati regolari, perduta questa
1973 il saldo migratorio italiano diventò attivo: il flusso di immigrati aveva supe- opportunità, continuava ad entrare comunque come clandestini, mescolandosi ai
rato quello di emigrati, definendo una linea destinata a protrarsi nell’immediato nuovi flussi di lavoratori provenienti dal Sud del mondo – era evidente ormai che
futuro. In realtà una parziale modifica delle destinazioni degli emigrati italiani il fiume in piena degli espatri andava esaurendosi.
si era già avviata nel corso degli anni Sessanta, allorché aveva iniziato a ridursi il Anche le emigrazioni italiane verso l’America Latina rallentarono vistosamente
flusso di espatri verso la Francia e il Belgio. Nel 1973 il saldo tra arrivi e partenze nel corso degli anni Settanta ed in alcuni casi si giunse ad una pressoché totale
era quasi nullo; a fronte di 4-5.000 emigrati in terra francese, altrettanti facevano estinzione della comunità italiana, come avvenne in Brasile, dove il censimento
ritorno in patria. In seguito ad una simile riduzione di flussi, nel 1982 gli italiani del 1980 registrò circa 110.000 italiani, a fronte di una popolazione di “oriundi”
Il manifesto del film Pane e Cioccolata (1974) in Francia erano ormai meno del 9% degli stranieri residenti nel Paese. che assommava a quasi 8 milioni di unità. In Argentina, dove fin dal 1964 il
interpretato da Nino Manfredi e Johnny
Dorelli e diretto da Franco Brusati. Si tratta Anche in Belgio i flussi si ridussero sensibilmente portando la comunità italiana, numero dei rimpatri ha superato quello degli immigrati, la comunità italiana ha
del primo film dedicato alla Svizzera, uno negli anni Settanta, a poco meno di 300.000 unità, per il 40% provenienti dalla conservato una notevole dimensione e nel censimento del 1991 sono stati regi-
dei Paesi in cui gli emigrati italiani hanno
incontrato maggiori difficoltà di inserimento, Sicilia. Agli effetti della recessione si affiancarono poi misure restrittive come nel strati 328.000 italiani, pari al 20% circa degli immigrati legali nel Paese, a cui si
a causa di un marcato razzismo nei loro caso del Anwerbenstop (blocco dei reclutamenti di mano d’opera all’estero), adot- dovevano aggiungere oltre 600.000 argentini con la doppia cittadinanza. Queste
confronti. Il 17 agosto del 1898, dopo che si
erano verificati episodi di violenza contro gli
tato dalla Germania nel 1973, che anticipava provvedimenti analoghi introdotti presenze furono almeno in parte favorite dal trattato di “Relazione Associativa
italiani, il giornale «La Suisse» di Ginevra da altri paesi e di fatto stabilizzava gli ingressi, avviando al contempo la politica Privilegiata”, firmato da Italia e Argentina nel 1987 per stimolare l’insediamento
scriveva: «Il quartiere di Spalen, a Bale, è dei ricongiungimenti. La collettività italiana in Germania passò così da 428.000 di piccole e medie aziende nel paese andino.
diventato negli ultimi anni una vera colonia
di operai italiani. La sera soprattutto, presenze nel 1968 a 641.000 nel 1972 per scendere a 600.000 nel 1975 e intrapren- A metà degli anni Settanta, nell’ambito di una più complessiva attività di in-
queste strade hanno un vero profumo di dere una sensibile diminuzione negli anni seguenti, motivata anche dalla volontà dagine e di valutazione del fenomeno migratorio, si tenne la prima Conferen-
terrore transalpino. Gli abitanti si intasano,
cucinano e mangiano pressoché in comune delle autorità tedesche di favorire l’ingresso di manodopera a basso costo, quale za nazionale dell’emigrazione, certo tardiva ma che seppe tuttavia centrare la
in una saletta rivoltante. Ma quello che è quella turca. Nel 1983 il governo federale decise una vera e propria politica di age- propria attenzione sulla questione del declino dei flussi e dell’ingrossarsi dei
più grave è che alcuni gruppi di italiani si
assembrano in certi posti dove intralciano la volazione dei rimpatri con sussidi di natura economica. Da quella data gli ingressi rientri, dando vita al Comitato interministeriale per l’emigrazione. In tale occa-
circolazione e occasionalmente danno vita italiani in Germania sono risultati in media intorno alle 20.000 unità annue, con sione, dove fu discusso per la prima volta in maniera organica il tema del voto
a risse che spesso finiscono a coltellate». Nel
film di Brusati, Nino Manfredi interpreta alcuni, isolati picchi come quello del 1995, quando le partenze per la Germania agli emigrati, dopo una prima proposta del 1955, trovarono un posto di rilievo
un emigrato italiano che dopo essere stato furono oltre 50.000. A rendere progressivamente meno attraente l’emigrazione in i Comitati di Assistenza Consolare, costituiti fin dal 1967, per garantire una
licenziato da un ristorante ed aver perso il
permesso di soggiorno, affida i suoi risparmi
terra tedesca contribuì anche il permanere di condizioni sociali difficili per i lavo- rappresentanza degli italiani all’estero e che proprio nella conferenza di Roma
ad un faccendiere italiano, per poi finire a ratori italiani; ancora nel 1980 l’80% apparteneva alla classe operaia e alla metà ricevettero la formalizzazione destinata a trasformarli, dieci anni più tardi, nei
vivere con altri italiani in un pollaio. Deciso del decennio successivo fra questi si registrava il 15% di disoccupazione contro Comitati dell’emigrazione italiana. Parallelamente, la nascita delle Regioni se-
a tutti i costi ad integrarsi, per assomigliare
ad uno svizzero arriva a tingersi i capelli di la media nazionale del  10%. Con il nuovo millennio, la disoccupazione tra gli gnò l’avvio di Consulte e di Comitati che avevano l’obiettivo di seguire i propri
biondo, fino a quando, dopo avere esultato emigrati italiani in Germania è ulteriormente cresciuta, raggiungendo il 17%, a cittadini all’estero ed in parte di facilitarne il rientro nella prospettiva di un
per un goal della nazionale italiana viene
scoperto e accompagnato al treno. Ma l’arrivo fronte di una sempre maggiore destinazione dei giovani verso lavori sottopagati e recupero di forza lavoro e di spezzoni significativi della allora definita “altra
inaspettato del permesso di soggiorno lo informali nel mondo della ristorazione. Continuava ad essere difficile l’integrazio- Italia”, l’Italia residente all’estero, giudicata ancora profondamente legata alla
spinge a tornare indietro, deciso ad inserirsi in
un Paese del quale non accetta l’ostilità ne linguistica, particolarmente complessa nei figli in età scolare, confinati in classi cultura e al modus vivendi della madrepatria. Nel 1975 fu firmata dall’Orga-

129 130

Una foto della Prima Convenzione dei “Figli I ritorni degli emigrati dall'Europa del Nord dopo il 1960 furono superiori
d’Italia”, svoltasi in California nel 1925
all’80%, una percentuale che salì al 90% per quelli partiti dopo il 1970. I numeri
(dalla mostra From Italy to California)
in tal senso sono molto chiari: tra il 1971 ed il 1980 il totale degli espatriati fu
pari a 1.082.340 unità e quello dei rimpatriati 1.121.503; degli espatriati 835.339
si diressero in Europa e 246.941 nei Paesi extraeuropei. I rimpatri dall’Europa
furono 899.078 mentre quelli dai Paesi extraeuropei furono 222.425. Il decen-
nio successivo, 1981-1990, ha registrato un rallentamento ancora più deciso degli
espatri, crollati a 687.302 unità, a fronte di rimpatri per 695.711 unità: di questi
espatri la stragrande maggioranza si è indirizzata in Europa, per 528.945 unità, a
fronte di 488.081 rimpatri nello stesso periodo. Nel 1995 il Ministero degli Esteri
stimava in 58,5 milioni gli oriundi italiani, di cui quasi 39 milioni in America
Latina, 16,1 in America del Nord e circa 500.000 in Oceania. Negli Stati Uniti,
secondo i dati del censimento del 1980, gli italoamericani erano poco meno di 13
milioni, cioè il sesto gruppo etnico pari al 5,4% della popolazione complessiva.
Nel periodo 1965-1987 gli immigrati italiani furono 297.291, pari al 5,6% del to-
tale dell’immigrazione italiana nel periodo 1920-1987. Si tratta di una presenza
nizzazione Internazionale del Lavoro anche la Convenzione n. 143 che mirava
a forte vocazione urbana, dato che solo il 10% era residente nelle aree rurali e
a definire la promozione delle pari opportunità e dei trattamenti dei lavoratori
concentrata in particolare nel Nord Est (57% del totale). È interessante rilevare il
migranti e che sarebbe valsa per gli emigrati italiani e per gli immigrati in Ita-
forte calo degli arrivi di italiani nel corso degli ultimi decenni; nel 1966 gli arrivi
lia. Una seconda conferenza nazionale si tenne nel 1988 ed ebbe come tema
provenienti dall’Italia erano pari all’8% del totale mentre nel 1978 raggiungevano
centrale quello del rapporto fra il Paese di partenza e le comunità all’estero,
a mala pena l’1%. In Uruguay, nel 1976 i discendenti di italiani erano 1,3 milioni,
concludendosi con la qualificazione di tale rapporto nei termini della “questio-
pari al 40% della popolazione complessiva. Più in generale, gli oriundi italiani ad
ne nazionale”. Nel medesimo anno veniva istituita l’Aire, l’Anagrafe dei residen-
inizi anni novanta componevano il 13% della popolazione brasiliana (25 milioni),
ti italiani all’estero e l’anno successivo prese corpo il Consiglio generale degli
il 50% di quella argentina (20 milioni) e il 3% di quella del Venezuela (900.000).
italiani all’estero. Nel 1989, poi, veniva stabilito per legge il primo censimento
Gli italiani all’estero che invece hanno conservato la cittadinanza italiana erano,
degli italiani residenti all’estero, realizzato nel 1991 – in parallelo con il censi-
alla fine degli anni Novanta, secondo stime attendibili, circa 4,5 milioni, con un
mento generale della popolazione italiana – che ha visto la restituzione di circa
flusso in uscita che annualmente ha continuato ad interessare circa 40.000 perso-
1,5 milioni di schede individuali a fronte di 2 milioni di cittadini italiani iscritti
ne, per il 30% provenienti dalle regioni meridionali, per il 24% dalle isole, per
ai consolati, pari molto probabilmente alla metà della popolazione italiana resi-
il 16% dalle regioni del Centro e per il 30% dal Nord. A quella data, il Paese
dente all’estero. Accanto agli sforzi di conoscere e normare una vicenda ormai
Nota di Incocamere con il maggior numero di italiani residenti era costituito dalla Germania, con
molto lunga, durante il decennio in questione si moltiplicarono i film italiani 835,339+246,941 = 1.082,280 e non poco meno di 700.000 unità, seguito dalla Svizzera con 582.000, dall’Argentina
dedicati all’emigrazione che avevano il senso della conclusione della vicenda o 1.082,340 correggere?
con 580.000 e dalla Francia con 378.000. Questi quattro Paesi dunque ospitava-
quantomeno di una sua lettura a posteriori: tra questi figuravano “Bello, onesto
no più della metà degli italiani all’estero; una presenza di notevoli dimensioni si
emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata” di Luigi Zampa, uscito nel
registrava anche in Brasile con 307.000 unità, in Belgio con 287.000 e negli Stati
1971, “Permette? Rocco Papaleo” di Ettore Scola dello stesso anno, “L’emigran-
Materiale preparatorio della prima Uniti con 215.000. Simili presenze hanno certamente contribuito a mantenere
te” di Pasquale Festa Campanile del 1973, “Pane e cioccolata” di Franco Brusati
Conferenza nazionale dell’emigrazione viva la capacità delle imprese italiane di risultare tra le prime a livello europeo
(Biblioteca del Consiglio Nazionale del 1974 e “Brutti, sporchi e cattivi”, sempre di Scola, uscito nelle sale nel 1976.
in termini di fatturato, con valori che si sono aggirati nel corso degli anni del
dell’Economia e del Lavoro), tenutasi nel Raccontare l’emigrazione risultava più semplice nel momento in cui andavano
1975. Un evento importante, ma forse un po’ nuovo millennio intorno ai 450-500 miliardi di euro. Gli uffici commerciali che
rapidamente ingrossandosi i flussi dei rientri e la memoria, amara e dolorosa,
in ritardo sui tempi, considerato che proprio operano presso le reti consolari sono oltre 150, a cui si affiancano un centinaio
negli anni Settanta si era registrato il primo iniziava a prevalere sulla quotidianità del fenomeno, sempre meno connotato in
di uffici dell’Istituto per il Commercio Estero e 68 Camere di Commercio italia-
saldo migratorio positivo e l’emigrazione termini di abbandono definitivo della terra d’origine.
verso l’estero era in forte calo ne all'estero. Ricadute evidenti di simili legami sono tangibili, ugualmente, sul

131 132
ge, dopo le pionieristiche ipotesi di inizio Novecento, concepite fin dal primo
Congresso degli italiani all’estero del 1908, era stata avanzata nel 1955 dal se-
natore del Movimento sociale italiano, Lando Ferretti, ma non era riuscita ad
approdare in aula fino al 1993, quando la questione venne di fatto nuovamente
sollevata dall’onorevole Mirko Tremaglia, incontrando numerose resistenze fra
le forze della sinistra. Dal 1993 al 1999 si sono succedute altre proposte fino a
giungere al varo, nel dicembre 2001, di una legge che riconosceva il diritto di
voto agli italiani residenti all’estero 2. La legge sul voto degli italiani all’estero
(L. 459/2001) ha permesso di votare per corrispondenza in occasione di elezioni
politiche e  di referendum popolari in tutti i Paesi che abbiano concluso con
Dei francobolli dedicati dalle Poste al versante delle partecipazioni estere ad imprese italiane; tra il 2007 ed il 2010, il l’Italia intese sui controlli della regolarità del voto. Le modalità attuative sono
Lavoro Italiano nel mondo (Museo Storico numero delle imprese italiane a partecipazione estera è salito di un centinaio, state disciplinate poi dal successivo Decreto del Presidente della Repubblica n.
Poste e Telecomunicazioni, Roma)
raggiungendo le 7608 unità, l’80% delle quali è caratterizzata da partecipazioni 104/2003. Secondo molti osservatori tale norma ha assunto il carattere del rico-
provenienti da paesi dell’Unione Europea e dagli Stati Uniti. I dati delle residenze noscimento e della “ricompensa” alle comunità residenti all’estero, che hanno
estere, secondo quanto emerge dai rapporti Caritas Migrantes, non sono cambiati intrattenuto tradizionalmente rapporti difficili e conflittuali con le istituzioni
in maniera significativa negli anni successivi – per quanto un calo non trascurabile italiane, sia quelle poste fuori dai confini nazionali, consolati ed ambasciate in
si è avuto tra il 2004 e il 2006 – ed ancora nel 2010 gli italiani residenti all’estero particolare, sia quelle interne, dalle amministrazioni locali agli enti previden-
erano circa 4 milioni, per metà donne, con un flusso di uscita di circa 50.000 unità ziali. Alla sua approvazione si è giunti attraverso una pressione molto forte da
all'anno e un numero di rientri più o meno analogo. Lo stesso rapporto mostrava, La Prima Conferenza dei giovani italiani parte di gruppi politici ed economici che di fatto non hanno favorito una reale
al tempo stesso, che nel 2010 gli italiani all’estero erano aumentati di 113.000 uni- nel mondo si è svolta a Roma nel dicembre discussione generale sull’argomento, confinando i termini della questione ad un
del 2008 (Consiglio Generale degli Italiani ambito molto tecnico legato alle modalità di espletamento delle operazioni di
tà – dunque in salita rispetto agli anni passati e agli 80.000 del 2009 – e avevano all’Estero, Roma)
un’incidenza del 6,7% sulla popolazione residente in Italia; il 37% di tali “nuovi” voto. Approvata la legge 459, il 15 giugno 2003, allorché si è svolto il referendum
italiani era nato all’estero 1. Era evidente anche un significativo cambiamento nel sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ha preso parte alle votazioni il 21,8%
profilo professionale dei “nuovi” emigrati italiani. Tra il 2001 e il 2006, infatti, vi degli aventi diritto nella circoscrizione estero per il primo quesito (reintegro dei
è stato un incremento superiore al 50% dei laureati iscritti all’Aire e negli anni lavoratori) e il 21,7% per quanto riguarda il secondo quesito (servitù coattiva). Il
immediatamente precedenti oltre 3.000 laureati hanno scelto, ogni anno, di adot- dato dell’affluenza al voto dei residenti all’estero non si discostò molto dal dato
tare la residenza all’estero. In termini economici, la perdita generata da un simile dei residenti in Italia, che restò al 25,8%: il referendum infatti non raggiunse il
trasferimento risulta non trascurabile; il costo della formazione di ciascun laure- quorum e non fu valido. Simile sorte toccò ai referendum sulla procreazione as-
ato, dalle scuole elementari all’università, risultata pari a 130.000 dollari, dunque sistita del giugno 2005, mentre nel 2006 in occasione delle elezioni politiche ha
la perdita complessiva nel 2008 è stata pari a quasi 1 miliardo di euro. Secondo votato il 39,0% degli aventi diritto e in occasione del referendum confermativo
l’indagine “Giovani Talenti”, sono presenti all’estero 410.000 laureati italiani e sulla riforma costituzionale il 27,5%.
per 1 laureato straniero che entra in Italia sono 3 quelli che escono. Un’altra ri- Alla luce di fenomeni di simili dimensioni e delle vicende storiche riassunte in
cerca, preparata dal Cnr, stima in 25.000 i professionisti italiani che occupano forma molto sintetica in questo volume, resta aperto l’interrogativo sollevato
posizioni di rilievo negli Stati Uniti. Negli ultimi anni si è registrata parimenti da una grande storica come Donna Gabaccia se l’emigrazione italiana sia stata
una progressiva riduzione del numero di residenti all’estero con un’età superiore nel corso del tempo una vera e propria diaspora, il cui peso dovrebbe fornire
ai 65 anni, che nel 2008 costituivano il 18% del totale degli emigrati: ogni anno una chiave di lettura assolutamente centrale, ed originale, per la ricostruzione
all’estero vengono pagate 410.000 pensioni, per un totale di 1.184 milioni di euro, della storia nazionale. Naturalmente, notava in maniera molto chiara la stes-
una spesa che si è stabilizzata da circa un decennio. sa Gabaccia, il problema da risolvere, prima di adoperare tale definizione, è
Per tali comunità un tema di grande rilievo è stato costituito a lungo dall’ac- quello di cosa si intenda per diaspora. «Nel mondo – ha scritto Gabaccia – le
quisizione del diritto di voto che, come ricordato, era stata discussa sia pur conseguenze demografiche dell’emigrazione italiana sono state impressionanti.
in termini molto generali nei decenni precedenti. Una prima proposta di leg- Agli inizi del ventesimo secolo metà della popolazione di Sao Paolo e più della

133 134

metà di Buenos Aires era composta da italiani e dai loro figli; New York e To-
ronto hanno entrambe nel corso della storia asserito di avere una popolazione
italiana maggiore di quella di Roma» 3. Questi elementi rendono la questione
storica dell’emigrazione italiana del tutto eccezionale e difficile da interpretare
con chiavi di lettura che non siano appositamente concepite sulla base dei suoi
caratteri distintivi.

Note
1
Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2010, Roma, 3
D. Gabaccia, Per una storia italiana dell’emigrazione, in «AltreIta-
Centro studi e ricerche Idos, 2010. lie», 16, luglio-dicembre 1997.
2
M. Colucci, Il voto degli italiani all’estero, in Storia dell’emigrazio-
ne italiana ... cit, vol. II, pp. 597-609.

135
Capitolo sesto

Destinazione Italia:
i flussi migratori verso la penisola

1. Un fenomeno lungo quarant’anni: 1970-2010 ha contribuito all’aumento degli stranieri nella penisola, che non è stato frutto
di «un unico flusso indifferenziato di migranti ma il prodotto di una pluralità
Nel corso degli anni Settanta, come accennato, l’Italia ha iniziato ad essere una di sistemi migratori […] differenziati e in larga misura non comunicanti»  8. In
delle mete dell’immigrazione internazionale con significativi riflessi sulla compo- tal senso il 1990 ha costituito un anno spartiacque, che ha diviso in due blocchi
sizione demografica del paese. Tali effetti sono emersi con forza negli ultimi anni; la cornice temporale degli ultimi quarant’anni. Nel 1990 i permessi di soggior-
tra il 2002 ed il 2006 «nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni solo l’apporto fornito no ammontavano a 649.000, cifra raddoppiata dieci anni dopo, raggiungendo il
dagli immigrati garanti[va] la crescita della popolazione totale, data la persistente numero di 1.341.000 nel 2000; nel 2004 sono saliti a circa 2.300.000 9. Gli anni
discesa di quella italiana»  1, mentre nel 2008, per la prima volta, la popolazio- seguenti hanno conosciuto poi un incremento molto vistoso: al 1 gennaio 2010
ne italiana ha superato i 60.000.000 di abitanti: ciò è stato dovuto, ha spiegato secondo l’ISTAT gli stranieri residenti in Italia erano 4.279.000 10 e la rilevazione
l’ISTAT, «quasi esclusivamente […] all’incremento del 7,3 per mille (434.000 uni- del 1 gennaio 2011 ha attestato la residenza di 4.563.000 immigrati, registrando
tà solo nel 2008) della popolazione immigrata» 2. La rapida crescita del fenomeno un ulteriore incremento rispetto all’anno precedente 11. La dimensione quantita-
è stata facilitata, oltre che dal più generale approfondirsi del divario economico tiva del fenomeno è notevole e la sua visibilità è stata accentuata dal fatto che, a
fra varie zone del pianeta, da alcune peculiarità del sistema economico italiano: fronte di una programmazione di scarso impatto, le regolarizzazioni tramite sana-
l’importanza della piccola e media impresa, dove ha trovato impiego una consi- toria hanno rappresentato l’elemento cardine nella gestione dei processi migrato-
stente parte degli immigrati, la frammentazione territoriale della struttura pro- ri: non è casuale che il numero dei permessi di soggiorno erogati abbia registrato
duttiva ed il peso del settore informale nell’economia. forti picchi negli anni delle regolarizzazioni (1986, 1990, 1995, 1998 e 2002) 12. È
Gli atti della Prima Conferenza Nazionale Fino agli anni Settanta l’Italia è stata interessata in larga prevalenza da migra- opportuno ricordare, infine, che i dati dell’ISTAT non contemplano i cosiddetti
dell’Immigrazione, svoltasi a Roma nel
zioni di ritorno: si stima che tra il 1940 ed il 1960 siano rientrati tra i 550.000 e “invisibili”, ovvero gli immigrati regolari che non hanno ancora stabilito la loro
1990 (Biblioteca del CNEL, Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro). gli 850.000 connazionali, provenienti in gran parte dalle ex colonie africane e residenza in Italia, o non intendono farlo, e gli immigrati irregolari, sprovvisti
Sono intervenuti 2000 delegati in dall’Istria 3. In quegli anni la presenza di stranieri, europei ed occidentali, decisa- di un titolo di soggiorno legale; all’inizio del 2009 l’ISMU (Istituto Studi per la
rappresentanza di 250 associazioni: quello
mente contenuta, non aveva reso necessari sistemi di rilevazione di tali presenze. Multietnicità) stimava la loro presenza nell’ordine di 900.000 unità 13.
del 1990 è stato l’unico consesso dedicato a
questo tema, nonostante a partire dagli anni Solo dal 1970 iniziarono a prendere corpo le Statistiche sui cittadini stranieri sog-
’90 l’Italia sia diventata un Paese di grande giornanti in Italia; dalla prima rilevazione emergeva la presenza di 144.400 unità 4.
immigrazione
Di questi residenti, il 61,3% erano europei, il 25,7% americani, in larga parte pro- 2. Gli interventi legislativi: ritardi e gestione delle emergenze
veniente dagli Stati Uniti; le provenienze da Africa, Asia e Oceania si attestavano
rispettivamente al 3,3%, al 7,8% ed all’1,9% 5. Nel 1980 il numero dei soggior- Di fronte ad una crescita così rapida, il Paese si è trovato spiazzato. Il principale in-
nanti stranieri era praticamente raddoppiato, attestandosi a 298.749 unità, dato dicatore della difficoltà italiana nel fronteggiare il fenomeno migratorio è stato rap-
confermato dalla prima rilevazione ISTAT degli stranieri in Italia, che nel 1981 presentato dal ritardo del legislatore: la legge 40/1998, passata alle cronache come
registrava la presenza di 321.000 unità  6. Il mutamento del quadro migratorio, la Turco-Napolitano  14, ha rappresentato il primo intervento organico in materia.
oltre che dal numero delle presenze, emergeva anche dalla modificazione interve- Fino al 1986 la condizione degli immigrati era regolata da circolari ministeriali e dal
nuta nella consistenza dei flussi dalle diverse aree di provenienza geografica. Gli Testo Unico di Pubblica Sicurezza del 1926, che aveva introdotto la “supervisione
immigrati europei ed americani erano scesi rispettivamente al 53,2% ed al 21%, sistematica” 15 degli stranieri presenti sul territorio, concepita per tutelare il regime
mentre gli arrivi dai Paesi africani e dall’Asia erano saliti al 10% ed al 14% 7. Per da “infiltrazioni pericolose”. In segno di forte discontinuità con il Ventennio, l’arti-
gli extracomunitari si stavano definendo tre aree di destinazione, connesse alla colo 10 della Costituzione aveva stabilito che la condizione degli stranieri in Italia
loro professione: le grandi città del Centro-Nord accoglievano soprattutto le colf sarebbe stata regolata per legge, assieme all’asilo politico. Ma i problemi legati alla
provenienti dalle Filippine e da Capo Verde, Paesi legati al mondo missionario ricostruzione, e lo scarso numero di immigrati, fecero passare in secondo piano la
italiano; la Sicilia rappresentava già lo sbocco naturale per gli immigrati tunisini, disciplina della materia: gli uffici provinciali del Ministero del Lavoro avrebbero
impiegati soprattutto sui pescherecci mentre le città della provincia settentrionale gestito, caso per caso, le regolarizzazioni dei cittadini stranieri.
e dell’Emilia Romagna erano la meta degli operai egiziani. Come ricordato, il primo intervento normativo di rilievo ha preso corpo nel 1986:
Nel complesso, però, la penisola rimase al di sotto della media dei Paesi europei la legge 943  16, recependo la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale
per le presenze extracomunitarie fino al 1990: la caduta dei regimi comunisti del Lavoro del 24 giugno 1975, disegnava la disciplina del quadro lavorativo de-

139 140
gli extracomunitari. Con tale provvedimento l’Italia doveva garantire a «tutti i ganizzazioni criminali. In tal senso gli strumenti predisposti dalla Legge Martelli
lavoratori extracomunitari legalmente residenti nel suo territorio e alle loro fa- furono fondamentali per la gestione del rimpatrio di migliaia di albanesi giunti
miglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori nei drammatici sbarchi del febbraio e dell’agosto 1991.
italiani» 17. Il provvedimento, che istituiva anche la “Consulta per i problemi dei L’intervento successivo giunse nel 1995 con un Decreto Legge predisposto dal
lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie”, dedicava particolare attenzione Governo Dini  22. Esso conteneva misure repressive nei confronti delle attività
ai principi generali ed introduceva all’articolo 4 il ricongiungimento di familiari dirette a favorire l’ingresso clandestino di extracomunitari e l’impiego illecito
e figli minori, limitato alla durata del contratto di lavoro 18. Tuttavia la legge era di manodopera straniera, attraverso controlli più rigidi alle frontiere e l’ina-
assai carente sul piano della programmazione: non erano previste quote di mano- sprimento dei meccanismi di espulsione. Maggiore attenzione veniva prestata ai
dopera definite in relazione alle reali esigenze occupazionali, ma l’eventuale in- flussi, in particolare a quelli relativi al lavoro stagionale, per il quale sarebbe
gresso del lavoratore extracomunitario era valutato caso per caso e garantito solo stato rilasciato al lavoratore extracomunitario un permesso di soggiorno tempo-
dal possesso del visto rilasciato dopo l’autorizzazione al lavoro concessa dal com- raneo. Tuttavia la nuova regolarizzazione di 248.000 lavoratori  23 e la mancata
petente ufficio provinciale, a cui i datori di lavoro avrebbero dovuto dimostrare conversione in legge del Decreto, la cui reiterazione impedì l’attuazione delle
l’esigenza di manodopera. Una procedura macchinosa, poco funzionale, dettata sue componenti più repressive, diffusero la sensazione che il governo non fosse
dal fatto che l’Italia aveva sostenuto la Convenzione del 1975 più per tutelare i in grado di rispondere da un lato all’evidente richiesta di manodopera da parte
suoi lavoratori all’estero che nell’ottica dell’accoglienza di manodopera straniera. del mercato del lavoro e dall’altro ai pericoli dell’immigrazione clandestina. La
Non era contemplata una disciplina specifica per l’espulsione, che veniva gene- legge Turco-Napolitano ha rappresentato il primo tentativo di uscita dalla fase
ricamente rimandata ai principi di Pubblica Sicurezza e soprattutto si anticipava “emergenziale” e aveva come obiettivo quello di «ristrutturare sistematicamente
La «Gazzetta Ufficiale» n. 59 del 12 marzo
1998, che contiene il testo della legge Turco- un elemento che avrebbe condizionato a lungo l’immigrazione in Italia: non si la legislazione migratoria italiana» 24. Nello spirito del provvedimento la regola-
Napolitano (Biblioteca Nazionale Centrale interveniva sui visti turistici, che hanno rappresentato lo strumento utilizzando il mentazione dell’immigrazione doveva avvenire per effetto del concorso di tre
Vittorio Emanuele II, Roma) quale gli immigrati sono entrati legalmente nel territorio, per diventare irregolari La locandina del film di Gianni Amelio, fattori: un flusso di ingressi definito, il sostegno all’integrazione degli immigrati
Lamerica, del 1994, ispirato ai drammatici
dopo i tre mesi di durata del visto. Il fatto che già nel 1986 si facesse ricorso alla legali, da realizzarsi attraverso la concessione di un titolo di lungo periodo, la car-
sbarchi di albanesi che nel 1991 avevano
regolarizzazione di 105.000 stranieri 19, oltre a mettere in luce una falla nel sistema attirato l’attenzione di un’opinione pubblica ta di soggiorno, ed il forte contrasto nei confronti dell’immigrazione clandestina
dei controlli, dimostrava che l’immigrazione era in costante crescita. fino a quel momento poco interessata e del suo sfruttamento criminale. La gestione dei flussi sarebbe stata demandata
all’immigrazione. La storia di un uomo
Nel 1989 il Ministero del Lavoro rivolgeva agli uffici periferici l’invito a riaprire ad un documento programmatico triennale che il Presidente del Consiglio avreb-
d’affari italiano e di un suo connazionale
le pratiche delle regolarizzazioni individuali per gli extracomunitari: questa scel- che cercano di rientrare in Italia si mescola be dovuto sottoporre all’approvazione del Consiglio dei Ministri e al Parlamento,
ta confermava il crescente fabbisogno di manodopera straniera, ma sottintende- nel film con l’esodo di massa degli albanesi, integrato da decreti che annualmente e stagionalmente avrebbero fissato le quote
nel cui immaginario collettivo il nostro
va l’incapacità del Governo di affrontare in maniera più complessiva la materia. dei lavoratori extracomunitari ammessi sul territorio nazionale. La legge istituiva
Paese, conosciuto attraverso la televisione,
La legge 39 del 28 febbraio 1990, la cosiddetta Legge Martelli 20, più che sugli rappresentava la nuova frontiera inoltre la figura dello “sponsor”: un cittadino, un’impresa od un ente avrebbero
aspetti occupazionali si concentrava sulla disciplina dello status di rifugiato, sulla potuto garantire il mantenimento di un immigrato privo di contratto fino alla
regolamentazione dell’ingresso e per la prima volta sugli aspetti repressivi, mo- formalizzazione dell’impiego. Lo “sponsor” avrebbe dovuto facilitare l’incontro
strando di privilegiare la tutela dell’ordine pubblico. Sebbene il provvedimento tra domanda ed offerta di lavoro, perché difficilmente una piccola impresa od
ipotizzasse un’effettiva programmazione dei flussi, da stabilirsi attraverso decreti una famiglia avrebbero assunto un operaio od una badante senza un minimo di
interministeriali a cadenza annuale, il ritardo nella loro approvazione ed il nume- conoscenza diretta. La Turco-Napolitano ha introdotto anche i Centri di Per-
ro bassissimo dei lavoratori previsti resero nei fatti vano questo strumento: non manenza Temporanea, in cui dovevano essere ospitati gli immigrati in attesa di
è casuale che il provvedimento fu accompagnato dalla sanatoria di circa 220.000 espulsione, mentre era previsto l’allontanamento immediato di quelli colti in fla-
stranieri 21. Il carattere repressivo della legge era piuttosto marcato: era previsto granza di ingresso clandestino. Tuttavia le difficoltà nell’ottenimento della carta
un doppio filtro di controllo, alla frontiera e presso le questure. Al tempo stesso di soggiorno, il basso livello dei flussi rispetto al fabbisogno di manodopera ed
si introduceva il visto d’ingresso per i Paesi a forte immigrazione e si discipli- i timori politici del centrosinistra nell’attuare la parte più repressiva della legge
navano i meccanismi di espulsione, intesa non più come risposta repressiva al hanno complicato il suo funzionamento complessivo. L’approvazione della legge,
comportamento di un singolo, ma come strumento di contrasto all’immigrazione fu accompagnata, era ormai una consuetudine, anche dalla regolarizzazione di
clandestina, pressoché sconosciuta fino a quel momento ed alimentata dalle or- 250.000 immigrati 25.

141 142

Circa tre anni dopo, le politiche migratorie italiane sono state ridisegnate dalla col permesso di soggiorno in scadenza, o in attesa di rinnovo, diventa irregolare,
legge n. 189 del 30 luglio 2002 26, nota come Bossi-Fini, che ha modificato radi- e dunque clandestino. Non è casuale, dunque, che l’approvazione della legge sia
calmente l’asse della Turco-Napolitano. Il provvedimento era nato per rispondere stata accompagnata dalla regolarizzazione di 300.000 badanti, che teoricamente,
all’ulteriore crescita dell’immigrazione e legava la permanenza e l’ingresso sul secondo la nuova legge, avrebbero dovuto essere espulse 30.
territorio nazionale dello straniero allo svolgimento di un’attività lavorativa sicura
e lecita, di carattere temporaneo o di durata maggiore. In questa ottica, secondo
il legislatore, l’immigrato non avrebbe commesso attività criminali. Tale ispira- 3. Diverse provenienze, classi di età e genere
zione di fondo sintetizzava il carattere generale del provvedimento, che prevedeva
l’inasprimento delle norme relative all’ingresso ed all’espulsione: fu introdotto Il sensibile incremento dei flussi migratori in direzione dell’Italia, che negli ultimi
l’obbligo per il cittadino straniero di lasciare le impronte digitali al momento dieci anni sono cresciuti mediamente di 350.000 unità all’anno 31, si lega, oltre ai
della richiesta e del rinnovo del permesso di soggiorno, fu previsto il respingi- fattori già accennati, alla prossimità geografica dell’Italia rispetto alle due grandi
mento in acque extraterritoriali, furono estesi i motivi che rendevano lo straniero aree di immigrazione, Europa Orientale ed Africa. Ciò è testimoniato dal fatto che
passibile di espulsione, e tra le altre misure, veniva raddoppiato il tempo che dopo l’ingresso nella penisola, gli spostamenti degli immigrati sono dettati dalla
l’immigrato doveva trascorrere in attesa dell’identificazione nei Centri di Perma- presenza di opportunità di lavoro e sono organizzati in larga parte dalle reti paren-
nenza Temporanea. La severità della legge creò non poche preoccupazioni anche tali ed amicali, vero e proprio network informale per la ricerca di un impiego. Come
nelle associazioni imprenditoriali, che ne colsero i limiti principali nella scarsa ha scritto Corrado Bonifazi, «la crescita – assoluta e relativa – dell’immigrazione dal
attenzione rivolta ai flussi, insufficienti rispetto al fabbisogno di lavoro e destinati Terzo mondo e dall’Europa orientale [ha rappresentato] un segno tangibile della
a privilegiare i lavoratori stagionali, nella riduzione della durata dei permessi di realtà migratoria dell’Italia, diventata ormai da anni uno dei più importanti paesi
soggiorno, nell’allungamento del tempo necessario per ottenerne il rinnovo ed d’immigrazione d’Europa» 32. Il 1991 è stato in tal senso un ulteriore anno spartiac-
infine nella discrezionalità lasciata al Presidente del Consiglio di emanare o meno que perché allora il numero di permessi di soggiorno rilasciati agli immigrati dei
i decreti-flussi. Ancora una volta, però, non era contemplato alcun intervento sui Paesi in via di sviluppo, pari a 390.300, ha superato e quasi raddoppiato quello dei
visti turistici, che avrebbero continuato ad incidere ampiamente sull’irregolarità Paesi sviluppati, fermatisi a 198.400. Tra gli extracomunitari, gli immigrati dell’Eu-
degli stranieri: secondo un rapporto del Ministero degli Interni, datato 2005, ropa Orientale superavano i nordafricani, con 152.500 titoli di soggiorno contro
il 60% del totale dei clandestini era costituito da overstayers, ovvero da quegli 131.300. Si trattava di un trend destinato a consolidarsi negli anni successivi e che
stranieri che entrati regolarmente si trattengono dopo la scadenza del visto 27. Per rompeva la tradizionale supremazia africana. Nel 2000 gli immigrati dell’Europa
arrivare all’approvazione del provvedimento, e superare le obiezioni provenienti orientale mantenevano il primato con 394.200 permessi, seguiti dai nordafricani
dal mondo cattolico, si ricorse inoltre alla più grande regolarizzazione mai realiz- con 254.900. Fino al 2002 i marocchini hanno costituito la comunità più numerosa,
zata in Italia, che portò all’emersione di circa 700.000 stranieri 28. con 172.834 residenti, seguiti dagli albanesi con 168.963 unità. Nel 2003 albanesi e
A complicare il quadro legislativo è intervenuta l’introduzione del reato di im- romeni (questi ultimi 95.834 un anno prima), grazie alla regolarizzazione del 2002,
migrazione clandestina, avvenuta con la Legge 94/2009, il cosiddetto “pacchetto hanno raggiunto i marocchini attestandosi intorno alle 240.000 unità. 33 Il sorpasso
sicurezza”  29. Esso ha previsto l’«aggravante di clandestinità», con un aumento definitivo è avvenuto nel 2004, quando gli albanesi erano il gruppo più numeroso,
consistente della pena (fino a un terzo), per i reati commessi dagli immigrati irre- con 459.000 unità, seguiti dai rumeni con 431.000, dai marocchini con 408.000,
golari, nonché l’ammenda da 5000 a 10.000 euro per lo straniero che entra o sog- dagli ucraini con 180.000 e dai cinesi con 169.000 unità 34. Il primato albanese ha
giorna illegalmente nel territorio dello Stato e viene trovato sprovvisto di docu- tuttavia avuto breve durata perché dal 2006 i romeni si sono affermati come la na-
menti. Qualora l’immigrato non possieda il denaro per pagare la multa, il giudice zionalità più numerosa e tuttora mantengono questo primato 35.
di pace può disporne l’espulsione. Nel giugno del 2010 la Corte Costituzionale Nel 2010 risiedevano in Italia cittadini di oltre 150 Paesi. Sebbene la tabella delle
ha dichiarato illegittima l’aggravante di clandestinità, poiché violava l’articolo 3 nazionalità presenti sul territorio sia in continua evoluzione e di difficile aggiorna-
della Costituzione, che stabilisce l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge mento, alcuni elementi sembrano ormai consolidati. Solo 12 nazionalità superano
«senza distinzione di condizioni personali e sociali». Al di là delle valutazioni di le 100.000 unità e le prime 5 raggruppano 2.500.000 stranieri, circa la metà del
natura giuridica, non c’è dubbio che il provvedimento abbia avuto delle riper- totale: un milione sono i romeni, 500.000 gli albanesi ed i marocchini, 200.000
cussioni negative sul mondo del lavoro, poiché suo malgrado anche il lavoratore i cinesi e gli ucraini 36. Nel complesso la metà dei residenti nel nostro territorio,

143 144
2.086.000 immigrati, proviene dai Paesi dell’Est europeo, ripartiti equamente tra Una fila fuori dagli uffici postali in occasione
di una delle tante regolarizzazioni degli
i Paesi di nuova adesione alla UE e quelli extra-UE 37. Questa prevalenza di im-
ultimi quindici anni
migrati provenienti dall’Europa dell’Est si legava negli anni Novanta in larga mi-
sura alle profonde trasformazioni politiche che coinvolgevano quell’area, ma nel
corso dell’ultimo decennio ha riflettuto soprattutto specifiche peculiarità della
domanda di lavoro italiana. La presenza dei cinesi tra le prime cinque naziona-
lità indica che l’Asia orientale è diventata il terzo maggiore polo di provenienza
dell’immigrazione in Italia: la comunità filippina, una delle prime ad essersi ra-
dicata nel nostro Paese, con i 123.584 residenti al 1 gennaio 2010, rappresenta la
sesta collettività ed è consistente anche la comunità indiana, composta da 105.863
membri 38.
In termini demografici, un primo elemento è rappresentato dalla «distribuzione
della popolazione straniera […] verso le classi di età più giovani»  39. Secondo
l’ISTAT nel 2006 era residente un cittadino straniero minorenne su cinque, men-
tre tra gli italiani nella stessa fascia di età il rapporto era di uno a sei: si trattava
del 22,7% a fronte del 17,1% degli italiani. Nello stesso anno la metà della po-
polazione straniera, maschile e femminile, aveva un’età compresa tra i 18 ed i 39
anni; nella medesima classe di età l’incidenza media negli italiani era pari al 30%
(il 30,5% quella maschile, il 28% quella femminile). Nelle classi di età dai 40 ai Un ulteriore fattore del radicamento dei processi migratori in Italia è stata la loro
64 anni il rapporto si invertiva; solo nel gruppo tra i 40 ed i 44 anni la compo- progressiva femminilizzazione, un elemento dovuto ai ricongiungimenti familiari,
nente estera prevaleva di due punti percentuali, con un 10,2% a fronte dell’8,2% ma anche alla regolarizzazione ed all’ingresso di numerose lavoratrici femminili,
italiano 40. Questi dati sono stati confermati dall’ISTAT anche per il 2009, anno impiegate soprattutto nei servizi domestici e di assistenza domiciliare. Secondo le
in cui la popolazione italiana ha raggiunto i 60.387.000 abitanti 41. L’età media dei stime della Caritas, la sostanziale parità tra presenza maschile e femminile era sta-
cittadini stranieri era di 31 anni contro i 44 degli italiani mentre restava invariato ta raggiunta nel 2006, con il 51,1% degli uomini ed il 49,9% delle donne 48. Sono
il dato relativo ai residenti minorenni, simile al rapporto 22%-17% del 2006. soprattutto i Paesi dell’Est europeo, ad eccezione dell’Albania, a determinare il
Molti di questi minorenni – come ad esempio i 572.720 nati nel 2009 – rappre- maggior afflusso di immigrazione femminile. Nel 2006, le donne russe, ucraine e
sentano la “seconda generazione” di stranieri, figli di genitori immigrati 42. Per provenienti dai Paesi baltici superavano l’80% delle presenze di quelle nazionalità,
quanto riguarda gli “over 65”, essi costituivano il 20% della popolazione italiana, ma erano maggioranza anche tra rumeni e moldavi 49. I gruppi caratterizzati da una
e solo il 2% di quella straniera 43.
forte presenza maschile sono soprattutto i marocchini e gli albanesi; di conseguenza
I dati relativi all’occupazione lavorativa mettono in luce tassi più favorevoli per gli
in quelle comunità sono gli uomini a detenere maggiori livelli di occupazione. Il
immigrati, dettati da molteplici fattori a cominciare dalla minore frequentazione
tasso di occupazione femminile marocchina – 26,4% nel 2006 50 – è tuttora uno dei
delle attività scolastiche e dall’accettazione di retribuzioni più basse 44. Nel 2006,
più bassi, ed è legato al tradizionalismo del modello familiare marocchino, dove la
ad esempio, nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni era occupato il 36,4% degli
donna è preposta al ruolo di madre ed alla gestione della casa. Non è un caso così
immigrati stranieri contro il 24,8% degli italiani 45. Nella fascia compresa tra i 25
che nel 2004, la comunità marocchina fosse saldamente in testa per i ricongiun-
ed i 34 anni gli occupati stranieri erano il 69%, contro il 70,2% degli italiani: un
divario minimo ed indice della comune difficoltà di trovare un impiego nell’età gimenti familiari 51. Una conseguenza evidente della femminilizzazione dell’immi-
più delicata. Ma dai 35 ai 64 anni la forbice si allargava di nuovo verso la maggior grazione e della sua incidenza sulla struttura demografica italiana è data anche dal
occupazione straniera, elemento dal quale nel 2006 scaturiva il dato complessivo maggior tasso di fecondità delle donne straniere, che nel 2010 hanno partorito 2,13
che vedeva occupato il 67,3% degli immigrati contro il 57,9% degli italiani 46. Il figli contro l’1,40 delle donne italiane 52. In linea generale è possibile rilevare che la
dato è stato confermato anche nel 2008, quando il tasso di occupazione degli progressiva femminilizzazione ha reso superiore il tasso di occupazione delle donne
stranieri era equivalente al 65,9% 47. straniere rispetto a quelle italiane, un tema questo di grande rilievo.

145 146

4. Il panorama delle destinazioni italiane in Lombardia, con il 10% nella sola provincia di Milano, dove si trovava una po-
polazione straniera pari a quella che risiedeva nel Lazio, l’11,8%. In Veneto risie-
La distribuzione degli immigrati sul territorio italiano è legata alle opportunità deva l’11,3% ed in Emilia-Romagna il 10,9% 57. Da ciò deriva anche una diversa
di lavoro e dunque presenta caratteri assai disomogenei. Tuttavia, la mappa geo- incidenza della presenza immigrata sulla popolazione regionale. Se nel 2010 gli
grafica delle presenze è rimasta sostanzialmente invariata in termini percentuali stranieri hanno inciso per il 7,5% 58 sul totale della popolazione italiana (nel 2003
nell’ultimo decennio: nel 2002 il 58,7% degli stranieri era concentrato nel Nord erano il 4,5%) 59, nel Nord-Est e nel Nord-Ovest si sono toccate punte rispettiva-
del Paese (il 32,8% nel Nord-Ovest); al Centro era stanziato il 28,3% degli immi- mente del 9,8% e del 9,3%, al Centro del 9% ed al Sud del 3% 60. Le regioni che
grati, al Sud il l’8,9% e nelle isole il restante 4,1% 53. Al 1 gennaio del 2010 risie- hanno una maggior incidenza di stranieri sono l’Emilia-Romagna, con il 10,5%
devano nel Nord-Ovest il 35% degli stranieri, nel Nord-Est il 26,6%, al Centro il sul totale dei residenti, seguita dall’Umbria, 10,4%, dalla Lombardia, con il 10%
25,3% e nel Mezzogiorno il 13,1% 54. e dal Veneto, 9,8% 61.
Un’analisi più specifica dei flussi consente di mettere in risalto che la distribu- Accanto allo spostamento verso Nord, l’altra linea di mobilità seguita dagli im-
Un gommone in navigazione nel
zione territoriale degli immigrati, dopo l’arrivo, ha seguito e segue due linee di Mediterraneo, che purtroppo ben migrati è stata quella che ha portato al loro insediamento in comuni di medie e
mobilità: una lungo la direttrice Sud-Nord, l’altra dalle grandi aree metropolitane rappresenta la faccia più drammatica piccole dimensioni; tale fattore ha senza dubbio bilanciato la loro presenza nelle
e dai comuni capoluogo alle città di provincia. Ovviamente questi movimenti dell’immigrazione grandi aree metropolitane e nei comuni capoluogo. Del resto è proprio sui dati
non vanno interpretati come modelli rigidi poiché ad esempio, in occasione della locali che si misura maggiormente l’incidenza dell’immigrazione sul territorio,
crisi del 2009, molti impiegati del manifatturiero bresciano si sono spostati a Sud e conseguentemente anche sull’economia. Nel 1992, la maggior concentrazione
come stagionali 55. Per quanto riguarda la presenza nelle diverse regioni italiane, di immigrati si registrava nelle province di Roma e Milano, dove gli stranieri
la Lombardia, che ospita il maggior numero di immigrati, può essere considerata incidevano rispettivamente per il 2,7% e per l’1,9% 62. Il quadro ha cominciato a
un caso a sé stante. Nel 2006 c’erano 851.000 immigrati, un quarto del totale degli cambiare a partire dal 2000, quando alle spalle di Roma e Milano hanno iniziato
stranieri in Italia. Seguivano il Lazio, con 500.000 presenze, pari al 13,6% della a figurare province come Prato, Vicenza e Reggio-Emilia. La conferma di questo
popolazione immigrata, il Veneto con 398.000, il 10,8%, e l’Emilia-Romagna con spostamento si è avuta nel 2001, quando circa la metà degli immigrati residenti in
388.000 presenze, pari al 10,5% 56. Questo quadro è rimasto invariato nel corso Italia, all’epoca circa 1.500.000, erano stanziati in comuni con una popolazione
degli ultimi anni: nel 2009 il 23,2% degli stranieri residenti in Italia era stanziato inferiore ai 30.000 abitanti 63. Il primato della cosiddetta “Terza Italia” è emerso
nel 2005, quando le province di Prato e Brescia, rispettivamente con il 12,6% ed
Un operaio al lavoro in un’azienda il 10,6% hanno superato quella di Roma, al 9,5%, per il tasso di incidenza della
meccanica. Le assunzioni in questo settore popolazione straniera; dopo Roma si segnalavano le province di Pordenone, 9,4%,
si concentrano soprattutto nel Centro-Nord
Reggio Emilia, 9,3% e Treviso 8,9% 64. Oggi la preminenza di queste realtà appa-
((© Archivio dell’Immigrazione/Marzio
Marzot) re saldamente acquisita: nel 2009 livelli elevati di incidenza straniera si registrava-
no a Brescia, 12,9%, Prato, 12,7%, Piacenza, Reggio Emilia, Mantova e Modena,
12%, mentre Roma saliva come detto sopra l’11%. In meridione si segnalavano
solamente i dati di Teramo, con il 7,4%, e l’Aquila, con il 6,5%, ben distanti co-
munque da quelli del Nord e del Centro 65.
La distribuzione delle comunità sul territorio appare in realtà abbastanza diso-
mogenea. Quelle più numerose, rumeni, albanesi e marocchini, si trovano in tutte
le aree della penisola, anche se con diversi gradi di concentrazione. Esse rappre-
sentano, sia pur se in ordine differente, le prime tre comunità in 12 regioni su 20:
tra queste spiccano il Lazio, dove i rumeni sono il 36%, la Puglia, dove il 26,1%
della popolazione straniera è costituito da albanesi e l’Emilia-Romagna, dove i
67.000 marocchini residenti sono la prima comunità con il 14,6% delle presenze.
Altre nazionalità invece rivestono un peso importante solo in alcune regioni: gli
ecuadoriani, tredicesimi a livello nazionale con 85.940 presenze, sono la prima

147 148
comunità in Liguria, con il 17,9% ed oltre 20.000 unità presenti sul territorio. Gli manifatturiera, dalle costruzioni, dal terziario a basso valore aggiunto (servizi alle
ucraini, con oltre 33.000 residenti, sono invece la prima comunità in Campania, famiglie e lavoro domestico) e dall’agricoltura, soprattutto quella stagionale. La
dove costituiscono il 22,6% della popolazione straniera 66. Altre collettività pre- scelta di un lavoro con basse qualifiche è condizionata anche dalla necessità di
sentano una distribuzione a “macchia di leopardo” e tendono a concentrarsi in- mantenere la propria permanenza regolare in Italia ed evitare rimpatri forzati.
torno ad aree specifiche: è il caso dei cinesi, presenti nelle grandi città del Nord e Secondo l’Istat nel 2008 erano circa tre stranieri su quattro a svolgere un lavoro
del Centro e nel loro hinterland (Milano, Firenze, Parma, Reggio-Emilia e Prato) operaio e dequalificato 73. In un simile quadro è quasi inevitabile che i lavoratori
od i filippini, concentrati a Roma, Milano e Bologna 67. Ci sono infine comunità
a bassa mobilità interna, e per le quali conta maggiormente la prossimità geogra-
Un operaio al lavoro su impianti elettrici. Si
fica: è il caso di quelle provenienti dalla ex-Jugoslavia, concentrate soprattutto tratta di lavori specializzati, che gli italiani
nella regione adriatica 68. tendono a non svolgere più, e che avvengono
spesso nei turni più disagiati (© Archivio
dell’Immigrazione/Marzio Marzot)

5. Immigrazione e mercato del lavoro

Dai dati esposti è emersa con chiarezza la centralità del lavoro nei processi mi-
gratori in direzione della penisola italiana, elemento che comporta la «più estesa
partecipazione al mercato del lavoro degli stranieri in confronto agli italiani» 69.
Si tratta di una presenza assai difficile da fotografare per diverse ragioni a par-
tire dalla frammentarietà dei processi migratori, che in Italia deve fare i conti
con un mercato tradizionalmente articolato su una pluralità di centri e di natura
decisamente molecolare che, a partire dagli anni Novanta, ha assistito anche alle
moltiplicazione delle forme contrattuali, con una crescente diffusione di relazioni
atipiche. Nonostante ciò, il fatto che nel 2006 il lavoro costituisse saldamente la
voce principale per la concessione dei permessi di soggiorno, con il 56,4% dei
casi 70, è indicativo della centralità di tale motivazione per il sistema produttivo
italiano; peraltro la voce era, in quell’anno, già in crescita rispetto al 2002, quan-
do si era attestata al 55,2% 71.
Il “successo” del reclutamento dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro ita-
liano dipende da alcuni fattori posti in evidenza da più ricerche ed in particolare
da un’indagine compiuta dall’ISTAT e da Unioncamere nel 2008, dalla quale
sono emersi alcuni elementi che ormai rappresentano delle costanti: un tasso di
attività degli immigrati di 11 punti più elevato rispetto agli italiani (73,3 contro
62,3%), che si spiega anche con l’età media più bassa dei lavoratori stranieri, una
maggiore motivazione professionale rispetto agli italiani, non solo perché lasciare
il Paese di origine costituisce una scelta di vita molto spesso ben definita, ma an-
che perché tale scelta si lega alla necessità di sostenere i familiari rimasti in patria
ed infine la disponibilità a svolgere un'ampia gamma di mansioni, che spinge ad
accettare lavori meno qualificati ed in settori poco appetibili per gli italiani 72. Da
questo punto di vista l’Italia rientra perfettamente nel quadro delle economie svi-
luppate, che presentano una domanda di lavoro dequalificato che solo gli immi-
grati possono soddisfare: la maggior richiesta di manodopera viene dall’industria

149 150

Un operaio al lavoro in un cantiere edile, il 28% tra i 500 e gli 800 euro ed il 3% meno di 500 euro, mentre solo il 13%
uno dei settori in cui la manodopera
raggiunge una retribuzione tra i 1200 e i 1500 euro 77. Il divario tra Nord e Sud
immigrata è maggiormente richiesta e le
condizioni di lavoro sono spesso difficili vale anche per i lavoratori stranieri: chi lavora al Nord nel 2008 ha dichiarato
(Foto di Roberto Giussani) mediamente 15.000 euro, contro gli 8.262 di chi lavora al Sud 78, dato che spiega
perché più del 40% degli immigrati risiede in Lombardia, Emilia Romagna e
Veneto. La ricerca conferma inoltre la mobilità orizzontale degli stranieri, per cui
chi ha cambiato lavoro ne ha trovato un altro simile per condizioni di stipendio
e di mansione, o addirittura peggiore: solo un quinto degli intervistati ha goduto
di una progressione 79.
Sulla base di questi elementi è anche possibile disegnare un percorso professio-
nale tipico dell’immigrato che giunge in Italia. È stato osservato che nessuna del-
le leggi sull’immigrazione è intervenuta sui visti turistici e sulla loro limitazione:
nella maggior parte dei casi dunque gli stranieri entrano legalmente nel nostro
Paese e nei 90 giorni di permanenza consentiti dal visto cominciano a lavorare al
nero, le donne in prevalenza presso le famiglie, gli uomini nei cantieri, in piccole
aziende o in attività agricole. Alla scadenza del visto, all’irregolarità del lavoro si
sovrappone quella della presenza in Italia. A questa condizione, che ha rappre-
sentato spesso il fenomeno maggiormente diffuso, si è tentato di ovviare attra-
verso le sanatorie. A ulteriore conferma del ruolo svolto dalle regolarizzazioni,
stranieri siano esposti a maggiori rischi di infortuni sul lavoro e siano afflitti
è sufficiente ricordare che se tra il 1991 ed il 2000 gli stranieri con permesso di
da uno scarso livello di gratificazione, dovuto a basse remunerazioni, a contratti
soggiorno per motivi di lavoro provenienti da Paesi a forte pressione migratoria
spesso a tempo determinato e agli atteggiamenti di diffidenza, se non razzismo,
sono cresciuti del 110% (da 360.000 a 760.000), i lavoratori extracomunitari re-
che devono affrontare sul luogo di lavoro. Peraltro la dequalificazione professio-
golarmente occupati sono cresciuti del 260% (da 115.000 a 417.000) 80. Una foto-
nale degli stranieri non riflette il loro livello di istruzione, nel complesso non mol-
grafia del lavoro straniero emerge anche dal dato della regolarizzazione del 2002,
to diverso da quello degli italiani (nel 2006 nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni
quella che ha coinvolto il maggior numero di soggetti, quando, su 703.000 richie-
il 36,2% degli immigrati aveva un diploma di scuola secondaria superiore contro
ste, 361.035 hanno riguardato i lavoratori occupati presso le aziende e 341.121 il
il 38,8% degli italiani ed il 10,8% un titolo universitario contro l’11,4% degli ita-
lavoro domestico  81. Quest’ultima distinzione rispecchia anche la distribuzione
liani) 74. Questa insoddisfazione è spesso chiaramente palesata: solo il 23,6% degli geografica del lavoro, con il Centro-Nord che attrae maggiormente gli immigra-
stranieri, secondo un’indagine ISTAT del 2009, riteneva di svolgere un lavoro che ti destinati all’industria ed il Sud che rappresenta la terra di destinazione delle
premiasse il proprio percorso d’istruzione 75. Tale dato è stato confermato da una collaboratrici domestiche, percepite spesso in alcune di tali aree nei termini del
ricerca svolta per conto del Ministero delle Politiche Sociali nel 2010 dall’ISMU fattore di prestigio sociale. Per effetto dell’emersione dalla condizione di irrego-
(Iniziative e Studi sulla Multietnicità), il Censis e l’IPRS (Istituto Psicoanali- larità il lavoratore straniero può spostarsi sul territorio nazionale più liberamente,
tico per le Ricerche Sociali) su un campione di 16.000 lavoratori stranieri, che per trovare un altro impiego, o può cambiare la forma contrattuale del lavoro
occupano mansioni che gli italiani non vogliono più svolgere e per le quali esiste precedente, come spesso fanno le collaboratrici domestiche, che da coresidenti
una grande richiesta: si tratta soprattutto di attività alberghiere (uno su sei degli passano a lavorare ad ore.
intervistati), assistenza domiciliare (uno su dieci su tutto il campione, ma uno su L’importanza degli immigrati nella tenuta del tessuto economico italiano è emer-
cinque per le donne), nell’industria (uno su nove) ed infine nel settore dell’edilizia sa bene dal 2002, anno dalla crescita modestissima (+0,4% del PIL), durante il
(uno su sei nel campione) 76. Nella gran parte dei casi, gli immigrati lavorano in quale l’occupazione era aumentata di 212.000 unità, con una incidenza maggiore
orari disagiati, la sera, la notte o la domenica stessa. Come accennato, uno degli di quella straniera; quell’anno il tasso di disoccupazione degli immigrati era pari
aspetti più critici è rappresentato dal basso livello complessivo delle retribuzioni: al 5,2%, ben al di sotto del 9% complessivo 82. Ma è stato il biennio 2008-2010,
il 50% degli immigrati dichiara di guadagnare tra gli 800 e i 1200 euro al mese, quello della grande recessione, a dimostrare la capacità di assorbimento di ma-

151 152
nodopera straniera da parte del nostro sistema produttivo. L’Italia è stata colpita l’equilibrio del sistema pensionistico italiano; secondo le stime della Caritas infat-
dalla crisi soprattutto tra fine 2008 ed inizio 2009, quando si è registrato un -18% ti, nel 2025, i pensionati stranieri saranno circa 625.000, l’8% dei residenti totali,
nell’indice della produzione industriale ed un crollo del Prodotto Interno Lordo ed avranno un’incidenza di un dodicesimo sulla popolazione straniera, a fronte di
del 5% rispetto all’anno precedente. Nel complesso la crisi ha bruciato in Italia, un rapporto di uno a tre per gli italiani 88.
tra metà 2008 ed il 2010, 750.000 posti di lavoro: dai 23.500.000 del 2008 si è La realtà per il lavoratore immigrato presenta dunque molte ombre. L’aumento
scesi ai 22.750.000 del primo trimestre 2010, dato equivalente a quello del primo dell’occupazione straniera durante la crisi, secondo la Caritas, è stato accompa-
trimestre 2006 83. gnato anche da quello del numero dei disoccupati – nel 2009 ogni dieci disoc-
Eppure, in questo periodo, gli occupati stranieri sono aumentati. Nel 2008 il nu- cupati tre erano stranieri, con il tasso di disoccupazione che è passato dall’8,5%
mero di lavoratori immigrati è cresciuto di ben 200.000 unità ed i lavoratori nati all’11,5% – e degli inattivi, che hanno raggiunto le 113.000 unità 89. È cresciuto
Due immigrati ad una manifestazione all’estero costituivano il 15,5% del totale. Se a tale cifra si sottrae il numero degli parallelamente il già forte ricorso ai contratti a termine dettato dalla ulteriore,
sindacale. (Viterbo, Progetto
italiani rientrati in patria, emerge che i lavoratori stranieri erano un decimo degli rapida, frammentazione del mercato del lavoro. I contratti a tempo determinato
ImmigrazioneOggi ONLUS. Opera
partecipante alla prima edizione del occupati e il loro contributo alla formazione della ricchezza del Paese era pari ad sottoscritti dagli immigrati sono, peraltro, di durata più breve rispetto a quelli de-
concorso “Identità e culture di un’Italia un decimo del totale 84. Nel quarto trimestre del 2009 i lavoratori stranieri sono gli italiani; nel 2008 secondo l’Istat il 25% degli stranieri dichiarava contratti
multietnica”, 2009 Foto di Stefano Specchia).
Nel corso dell’ultimo decennio l’iscrizione
arrivati a quasi 2.000.000 di unità, 90.000 in più rispetto all’anno precedente e della durata di tre mesi, a fronte del 17,9% degli italiani, ed il 60% dichiarava di
di lavoratori immigrati al sindacato è ben 700.000 in più rispetto al primo trimestre del 2006  85. In realtà, l’apporto avere contratti annuali contro il 50% dei nostri connazionali 90. Un elemento che
aumentata in modo esponenziale, dal offerto da questi 2.000.000 di lavoratori alla crescita del PIL è stato superiore alla rafforza questa condizione è costituito dal drastico calo dei saldi occupazionali,
momento che essi rappresentano una
categoria debole ed altamente soggetta ad
loro consistenza numerica, con una modifica quindi decisamente rapida dei dati ovvero la differenza tra lavoratori licenziati e assunti nel corso di un anno: dai
infortuni. Secondo il rapporto INAIL del degli anni precedenti: nel 2009 i lavoratori stranieri hanno versato alle casse del 98.033 del 2007 si è passati ai 14.096 del 2009 91.
2008 il 16,4% degli infortuni sul lavoro era fisco un imponibile di 33 miliardi di euro ed il rapporto tra le spese sociali so- Molto diffusa tra i lavoratori immigrati è poi la natura informale delle procedu-
occorso a lavoratori stranieri, dei quali ben
180 erano morti. Il 1° marzo del 2010 si è
stenute per gli immigrati ed i contributi da loro versati è andato a beneficio delle re di ricerca di un’occupazione, dovuta non solo alle strutture dei flussi migra-
svolto in tutta Italia il primo sciopero degli casse statali per almeno un miliardo di euro. Nel 2009 infatti sono stati impegnati tori ed alle più volte ricordata frammentazione del mercato del lavoro italiano
immigrati, al fine di sensibilizzare l’opinione per gli stranieri circa dieci miliardi di euro, tra cui spiccano i 2,8 miliardi per la ma anche alla scarsa attenzione per le politiche degli ingressi, che spesso non
pubblica sul ruolo fondamentale svolto dai
lavoratori stranieri per la tenuta del sistema sanità ed i 2,8 per la scuola, mentre le entrate garantite dai loro versamenti hanno hanno tenuto conto delle indicazioni provenienti dal mondo imprenditoriale e
economico italiano raggiunto gli 11 miliardi di euro. Una simile somma risultava composta dai 2,2 dalle famiglie. Ad esclusione delle quote ridotte del 2002, anno della grande re-
miliardi di imposte pagate, da un miliardo di IVA, da 100 milioni di euro per il golarizzazione, che aveva previsto l’arrivo di 60.000 stagionali, 10.000 lavoratori
rinnovo dei permessi di soggiorno e per le pratiche di cittadinanza e da 7,5 mi- dipendenti e 3.000 autonomi 92, a partire dal 2004 ha cominciato a manifestarsi
liardi di contributi previdenziali. Questi ultimi si sono rivelati fondamentali per il divario tra la programmazione dei flussi e la richiesta di manodopera. A fronte
sostenere le casse dell’INPS, dal momento che solo il 2,2% degli stranieri è ultra- dei 70.000 lavoratori stagionali e 29.500 non stagionali indicati dal Governo, la
sessantacinquenne e che, a fronte di un italiano su quattro, solo un immigrato su proiezione di Unioncamere stimava il fabbisogno in almeno 200.000 unità, ri-
trenta è pensionato 86. È proprio in relazione al fattore anagrafico che si misurano chieste come sempre da famiglie e da piccole e medie imprese 93. L’insufficienza
i vantaggi per il nostro sistema pensionistico. Un lavoratore immigrato versa me- dei flussi è esplosa nel 2006, quando a fronte di una quota di 170.000 immigrati
diamente 4000 euro di contributi previdenziali all’anno e la sua età media è di 31 prevista dal Governo, certo maggiore di quelle precedenti, ma inferiore ad una
anni a fronte di una media degli italiani di 44 anni 87. Ciò allontana il momento domanda che era almeno tre volte maggiore, il Governo ha dovuto predispor-
della riscossione della pensione, anche perché per gli immigrati, soprattutto in re un secondo decreto flussi per 350.000 unità, con corpose richieste arrivate
periodi di crisi, è ipotizzabile un ritorno in patria prima del previsto. Nonostante da settori chiave come quello dell’assistenza alle famiglie (49%) e dell’edilizia
un articolo della Turco-Napolitano, non modificato dalla Bossi-Fini, permetta ai (18%) 94. La distribuzione geografica delle domande del 2006, concentratesi in
lavoratori stranieri di capitalizzare i loro contributi in deroga al requisito con- particolare nelle province di Roma, Milano, Torino, Brescia, Verona, Padova,
tributivo minimo di cinque anni previsto per gli italiani, lo straniero che abbia Venezia, Napoli e Treviso, ha confermato la polarizzazione dei flussi di mano-
lavorato due anni o trentacinque anni, dovrà comunque aspettare per incassar- dopera in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio 95. Come è ormai sempre
ne i benefici l’età dei 65 anni. Si tratta dunque di tempi estremamente dilatati, più evidente, il limite maggiore di questa visione politica è costituito dal fatto
per effetto dei quali i contributi versati dagli immigrati garantiscono attualmente che molti dei lavoratori che rispondono ai flussi non arrivano dall’estero, ma

153 154

Nota di infocamere:
questi dati (evidenziati in grassetto sottolineato) hanno un senso (ma andrebbe
chiarito) se nel 2002 ci si riferisce allo stock degli occupati e se nel 2004 ci si
riferisce alle variazioni dello stock
aspettano la chiamata già in Italia. anche la composizione del lavoro dipendente immigrato. Nel 2002 le assunzioni
In un quadro di tale tipo è chiaro che pochi lavoratori siano propensi ad utilizzare per settore erano ripartite secondo le seguenti percentuali: Agricoltura 13,8%;
le agenzie interinali o i canali istituzionali, come i Centri per l’Impiego, soprattut- Industria 26,4%; Servizi 39,2% ed un 20,6% restava privo di una indicazione
to per l’iniziale condizione di irregolarità che sovente si lega anche ad una scarsa specifica di settore. Nel 2004 al calo degli occupati nel settore dell’Agricoltu-
conoscenza della lingua. Un’inchiesta realizzata dall’ISTAT nel 2008 ha conclu- ra, pari al 7,4%, ed al lieve aumento di quelli dell’Industria, saliti al 21,7%,
so che «l’intermediazione informale è il canale più utilizzato dagli stranieri per si accompagnava la forte crescita dei Servizi, dove gli occupati raggiungevano
trovare il lavoro: infatti, più del 70% dell’occupazione straniera, sia uomini che il 27,2%, a cui si sommava il 43,7% di occupati in attività non specificate che
donne, ricorre alle segnalazioni di parenti, amici e conoscenti». A titolo di esem- nella gran parte dei casi avevano a che fare con una generica area del terzia-
pio è sufficiente ricordare che il 76% dei rumeni, l’81,6% dei cinesi e l’81,9% dei rio di bassa qualità. In tale area rientrava il lavoro domestico, parte integrante
filippini avevano trovato lavoro attraverso parenti ed amici 96; un dato questo che Una messa multiculturale a Prato (Viterbo, del ramo dei Servizi, che faceva balzare il settore ad otto assunzioni su dieci.
Progetto ImmigrazioneOggi ONLUS. Opera
si incrocia con l’inchiesta dell’ISMU già citata, secondo cui praticamente nessu- La preminenza del settore dei Servizi si è mantenuta nel corso degli anni: nel
partecipante alla prima edizione del concorso
no straniero, sia pur con la cittadinanza italiana, si avvicina ai concorsi pubblici, “Identità e culture di un’Italia multietnica”, 2008 ha raggiunto il 53,2%, seguito dall’Industria al 35,2% e dall’Agricoltura
ma preferisce utilizzare semmai gli annunci sui giornali od il contatto diretto col 2009 Foto di David Sbordone). Quello della al 7,3% 100. Un dato confermatosi anche nel 2009, con una lieve crescita al 56%,
Una operaia dominicana in un
religione è un tema controverso, anche
laboratorio artigianale del Nord-Est. La datore di lavoro 97. mentre la percentuale degli occupati nell’Industria si è stabilizzata al 23% –
perché secondo l’Agenzia europea per i
femminilizzazione dell’immigrazione, Del resto la rete “etnica”, oltre a garantire una maggiore immediatezza di risultati, percentuale alla quale deve essere aggiunta quella dell’edilizia, pari al 17% – e
diritti fondamentali l’Italia è uno degli Stati
associata soprattutto al lavoro domestico, è
funziona come elemento di richiamo per altri connazionali, attivandosi per trova- più intolleranti verso i musulmani. In realtà quella dell’Agricoltura è scesa al 4% 101.
passata anche dalla piccola e media impresa
secondo il Dossier Statistico Immigrazione
(Viterbo, Progetto ImmigrazioneOggi re un lavoro prima del loro arrivo. In questo senso è evidente che le scelte migra- Nel 2000 gli occupati immigrati dipendenti da aziende industriali erano 225.000;
del 2009 la metà degli immigrati risultava
ONLUS. Opera partecipante alla prima torie non sono più il risultato di una decisione individuale, ma passano attraverso nel 2006 erano triplicati, attestandosi alle 772.000 unità 102. Nel 2007 il settore
essere cristiana, un terzo musulmano,
edizione del concorso “Identità e culture di
canali diversi. Accanto a quello dei ricongiungimenti, figura infatti quello ricon- mentre le religioni orientali riguardavano un che impiegava il maggior numero di immigrati era quello dell’edilizia, con circa
un’Italia multietnica”, 2009 Foto di Ilenia
decimo della popolazione immigrata. Caritas
Piccioni) ducibile al transnazionalismo, al processo che spinge intere famiglie a pianificare 300.000 unità, seguito dalla metallurgia, con un occupato straniero ogni tre, dalla
e Migrantes, nei loro Dossier, insistono
l’emigrazione dei propri membri per garantire il mantenimento della famiglia in sul valore multiculturale della religione, chimica e dalla gomma, con un occupato su sette, e dal tessile con un occupato su
patria o assicurarsi una fonte di reddito aggiuntiva per sostenere le spese sociali e che ha portato all’esperienza positiva della dieci 103. Nel 2009 un’impresa su due ha utilizzato lavoratori stranieri, che costi-
celebrazione del rito liturgico ortodosso nelle
assicurative. Negli anni Novanta, ad esempio, gli abitanti del villaggio senegalese chiese cattoliche
tuivano il 4,3% degli occupati totali. In linea con quanto ricordato sopra, la mag-
di N’Galik stanziati in Lombardia hanno utilizzato le rimesse per dotarlo di infra- giore incidenza della presenza di lavoratori immigrati si registra nelle imprese
strutture. Il legame forte con la madrepatria è spesso testimoniato proprio dalla sotto i 15 dipendenti, dove gli stranieri rappresentano il 10% della manodopera;
regolarità dei flussi delle rimesse, aumentati nell’ultimo decennio parallelamente si scende al 6,6% nelle medie imprese e solo al 2% in quelle grandi 104.
alla crescita dell’immigrazione: dai due miliardi di euro del 2004 98 si è passati Nel 2009 l’alimentare e la gommaplastica hanno fatto registrare una consistente
ai 4,3 del 2006, ai 6,4 del 2008 ed ai 6,8 del 2009. Tale aspetto è particolarmente presenza di immigrati, con una incidenza rispettivamente del 6 e dell’8%, anche
interessante perché mette in luce come l’Italia si sia mossa in controtendenza se il settore che ha conosciuto un ulteriore boom è stato quello delle costru-
rispetto al resto dell’Europa, dove negli anni della crisi le rimesse sono calate dai zioni, dove gli stranieri hanno inciso per l’11,5% 105. Quello edile rappresenta
32,6 miliardi del 2008 ai 30,3 del 2009. certamente uno dei settori chiave per il lavoro degli immigrati: nel 2009 ha
Nonostante la presenza dei già ricordati canali informali di ricerca dell’occupa- confermato la maggior presenza di lavoratori stranieri, con 313.000 unità, con
zione, nel 2008 l’84,9% della popolazione straniera occupata, 1.746.000 unità, una crescita di manodopera del 9% a fronte di un calo complessivo del settore
era impegnata in rapporti di lavoro mentre nel caso dei naturalizzati i lavoratori del 3% 106. La distribuzione per aree geografiche è coerente con i dati generali
dipendenti erano 150.000 99. La netta differenza che si nota tra i tassi di occupa- sull’occupazione: il 59% al Nord, il 30% al Centro ed il 10% al Sud 107. Biso-
zione degli stranieri e quello dei naturalizzati (65,2% contro il 52,2%) è dovuta gna tuttavia considerare che quello delle costruzioni è uno dei settori con una
al fatto che le donne, acquisita la cittadinanza per matrimonio, tendenzialmente maggiore quota di lavoro irregolare, dal momento che si stima che i lavoratori
escono dal mercato del lavoro. L’attività dei naturalizzati è concentrata soprat- al nero costituiscano il 20% del totale; anche il lavoro degli stranieri impegnati
tutto sul terziario, nei settori di sanità e istruzione (71,9% rispetto al 59,0% nelle costruzioni è dequalificato, perché nel 2008 il 62% degli immigrati hanno
degli stranieri), e più in generale in professioni qualificate, come quelle di infer- lavorato come operai comuni, contro il 35% degli italiani  108. Disaggregando
miera specializzata e di formatrice. Nel corso degli ultimi anni si è modificata il quadro nazionale emerge che le regioni in cui si registrano i maggiori valori

155 156
dell'occupazione nell’industria e nel manifatturiero sono la Lombardia, il Ve- male con il 47,4%, seguite dalle etiopi con una percentuale del 26,1%. Nel baby
neto e l’Emilia Romagna: settore; più in generale l’incidenza degli stranieri in sitting le etiopi occupavano il primo posto con una percentuale del 16,7% e
provincia di Modena era dell’8% 109. [La frase non torna controllare] nel ruolo di tuttofare erano saldamente in testa le capoverdiane con il 68% 116.
Come ricordato, un posto centrale nell’occupazione immigrata riveste il caso Dunque a quella data le donne provenienti dall’Est Europa erano ancora in una
delle collaboratrici domestiche, protagoniste peraltro dell’ultima regolarizza- posizione marginale, nonostante si profilassero i segnali di un crescente, mag-
zione del 2009 110. Tale centralità è legata a vari aspetti, il principale dei quali è gior peso: nel 2002, anche per effetto della regolarizzazione, si è iniziata a re-
costituito dalla stretta complementarità tra i bisogni della popolazione italiana gistrare un’inversione di tendenza nei rapporti tra le nazionalità. Già nel 2004,
e l’offerta di lavoro immigrata. In Italia, rispetto al Centro e Nord Europa, le donne dell’Est Europeo, in particolare ucraine, romene e polacche avevano
«il modello di assistenza alle famiglie ha avuto un’origine e un’evoluzione di raggiunto un’incidenza del 54,2% sul totale, mentre erano scese drasticamente
carattere prevalentemente privato, imperniata cioè sui rapporti stipulati dalle le asiatiche, al 16,4%, e con loro si era ridotta la percentuale delle lavoratrici
stesse famiglie»  111. Sulla necessità di collaboratrici domestiche hanno influito provenienti dall’America, pari al 14,9% e dall’Africa, intorno al 9,9% 117. Com-
certamente due elementi: il primo, come accennato in precedenza, è costituito plessivamente quell’anno le immigrate impegnate in quel settore erano 500.000,
dal fatto che l’Italia ha uno dei «più negativi anelli demografici del mondo» 112 a fronte delle 100.000 italiane 118. Attualmente sono le ucraine, con una percen-
Un pastore romeno custodisce un gregge
e soffre l’invecchiamento della popolazione, il secondo si lega al mutamento in una malga del Trentino. L’agricoltura tuale del 21,0% a guidare la classifica delle collaboratrici domestiche, seguite
della cosiddetta linea di impegno femminile italiana, passata dalla sequenza rappresenta uno dei settori a maggior dalle romene al 16,4%, le filippine al 7%, le ecuadoriane al 6,4%, le marocchine
richiesta di manodopera straniera, ed al
“casalinga-madre-moglie” a quella “lavoratrice-madre-moglie”. Del resto, come al 5,7% e le peruviane al 5% 119. La distribuzione geografica di tale professione
di là delle attività di raccolta, richiede
è stato sottolineato da una ricerca del 2003 del CNEL/Fondazione Andolfi, «in- un’alta specializzazione (Viterbo, Progetto risulta diffusa su tutto il territorio nazionale, con una grande concentrazione
serendosi nel settore nonostante un alto livello di scolarizzazione, le immigrate, ImmigrazioneOggi ONLUS. Opera intorno a poli urbani come Roma e Milano. Il percorso professionale delle ba-
partecipante alla prima edizione del concorso
a costo di sacrifici personali e familiari e della stessa vocazione alla maternità, danti non si discosta da quello degli altri immigrati: l’ingresso si verifica con un
“Identità e culture di un’Italia multietnica”,
hanno consentito l’emancipazione lavorativa e professionale delle donne italia- 2009 Foto di Giancarlo Rado) visto turistico o di studio, che viene lasciato scadere, accompagnato dall’inizio
ne»  113. La centralità delle collaboratrici domestiche è chiaramente esplicitata dell’esperienza lavorativa. Nella condizione iniziale c’è un interesse forte alla
dall’articolo 33 della Legge Bossi-Fini, che tra le misure assunte per l’emer- coresidenza, anche perché la condizione di irregolarità spinge la collaboratrice
sione del lavoro irregolare prevedeva quelle per chi avesse «assunto alle pro- domestica a rimanere in casa, sovente in condizioni di totale ricattabilità, come
prie dipendenze personale di origine extracomunitaria, adibendolo ad attività riporta una delle tante testimonianze raccolta da Alina Harja e Guido Melis in
di assistenza a componenti della famiglia». Non a caso proprio in seguito alla un recente volume dedicato ai romeni 120.
regolarizzazione del 2002 la collaborazione familiare era diventata la categoria Un settore ad alta incidenza di manodopera immigrata continua ad essere rap-
a più alto inserimento di immigrati. In realtà, il salto quantitativo era avvenu- presentato dall’agricoltura, soprattutto in relazione ai lavori stagionali. Nel 2002,
to già tra la regolarizzazione del 1996 ed il 1999, anno in cui le colf straniere a fronte della diminuzione complessiva degli occupati nel settore (-2,4%), era
avevano raggiunto il 50% del totale. Fin dal 2001 il Ministero del Lavoro inclu- aumentata la richiesta di lavoratori stranieri, che incidevano per il 13,8% sulle
se poi diverse categorie nella voce «collaboratore domestico e assimilati: balia, assunzioni 121; nel 2006 l’incidenza aveva raggiunto il 20,8% 122. Le attività nel
bambinaia, collaboratore familiare, domestico, domestico familiare, donna di settore agricolo sono riconducibili sostanzialmente a tre tipologie: le operazioni
servizio, fantesca, guardarobiere domestico, lavoratrice domestica, maestro di di raccolta, che sono diffuse nel Centro-Sud, nel Friuli e in Trentino, le colture
casa, servitore» 114. Nel 2003 le mansioni principali svolte dalle lavoratrici im- specializzate, floricoltura e serra, presenti in Liguria e in Sicilia ed infine la zoo-
migrate rispondevano a queste voci: il 35,7% era impiegata nella collaborazione tecnia, diffusa nelle zone alpine e nella pianura padana. Il dato delle assunzioni
domestica, il 26,1% nella cura delle persone (anziani), il 9,0% nel baby sitting ed per area geografica riflette la distribuzione del lavoro nella penisola: nel 2002 il
il 29,2% nel ruolo di “tuttofare”, che assieme alla figura della “donna di pulizia” 10% era stato registrato nel Nord Ovest, il 54% nel Nord Est, il 14% al Centro
era stata fatta rientrare dal Ministero del Lavoro nella categoria «altri addetti ed il 22% al Sud 123. Per il settore agricolo le quote sono fondamentali, proprio
non qualificati ai servizi di pulizie nelle abitazioni» 115. per effetto della natura stagionale del lavoro. Le richieste provenienti dalle as-
In quell’anno le nazionalità con il maggior numero di presenze nell’ambito della sociazioni di categoria si attestano intorno alle 40.000 unità l’anno. La maggior
collaborazione domestica erano quella filippina con il 43,6%, seguita da quella parte di richieste di assunzioni regolari, come si evince dal dato del 2007, giunge
eritrea con il 38,8% mentre nella cura agli anziani le più numerose erano so- dal Nord: in quell’anno il 60% proveniva dal solo Trentino-Alto Adige, il 14%

157 158

dal Veneto, e il 4% dalle regioni meridionali 124. La scarsa richiesta del Sud è maggioranza ditte individuali: al Nord-Ovest si trovava il 26,7%, al Nord Est il
dovuta al fatto che mentre al Nord si assiste ad un reclutamento regolare, nel 23,3%, al Centro il 24,1% e al Sud il 17,5%, con la concentrazione di un quarto
Meridione tendono a prevalere forme di sfruttamento e caporalato che hanno delle attività a Roma e Milano. Un terzo di tali imprese erano artigiane, un dato
trovato una recente espressione sintomatica negli scontri avvenuti a Rosarno. che conferma anche la giovane età degli immigrati, poiché il 68,9% dei titolari si
Nel 2007 in Puglia, a fronte dei 1.700 regolari entrati grazie alle quote assegnate concentrava nella fascia tra i 30 ed i 49 anni. I settori interessati erano soprattutto
alla regione, si calcola che abbiano partecipato alla raccolta dei pomodori ben i servizi, 55%, con il commercio che ricopriva una percentuale del 36,2%, l’indu-
18.000 irregolari 125. stria vicina al 31%, con il settore delle costruzioni al 16,7% ed infine l’agricoltura
Per quanto riguarda le nazionalità, al Nord si registra una netta prevalenza di im- al 5,3%. Marocco, Cina e Senegal erano ai primi tre posti per attività, con un
migrati provenienti dall’Est, in particolare dalla ex Jugoslavia, mentre al Sud sono quadro di specializzazioni legato alle nazionalità anch’esso in via di definizione:
marocchini, tunisini e senegalesi a costituire la maggioranza dei lavoratori immigra- i nordafricani erano impegnati soprattutto nella ristorazione, i cinesi in attività
ti. Il quadro delle provenienze è comunque molto ampio e si è allargato anche grazie commerciali e i bengalesi e pakistani in attività ambulanti  130. Il dato del 2003
ad attività specializzate: uno degli esempi più significativi è quello dei malgari Sikh, mostrava la vivace crescita del settore, poiché gli imprenditori stranieri erano saliti
fondamentali per l’allevamento dei bovini e la produzione del latte. Nel 2007 erano a 71.843, un quarto in più rispetto all’anno precedente con un’incidenza del 2%
un migliaio nelle province di Brescia, Mantova e Cremona, da dove proviene il 30% sul totale delle imprese italiane. Spiccava la realtà di Prato, dove la forte presenza
della produzione nazionale 126, ma attualmente sono molto attivi anche in Campa- di una comunità cinese costituiva il 13% delle ditte. I settori di maggiore attività
nia, nell’allevamento della bufala e nella produzione di mozzarella. Certamente i erano rappresentati dal commerciale/riparazioni e dall’edilizia, rispettivamente
sikh, per il loro grado di qualificazione, sono riusciti ad abbattere la tradizionale con percentuali del 42% e del 28% 131. Due anni dopo i titolari d’azienda stranieri
incertezza che accompagna il lavoro agricolo, legata alla stagionalità ed alle basse erano 130.969, concentrati nei settori dell’edilizia e del commercio; essi incideva-
retribuzioni. Per la maggior parte degli immigrati esso rappresenta la prima forma no del 7% sul totale dei permessi di soggiorno, toccando punte elevate in alcune
di contatto con il mondo del lavoro italiano, oppure una fonte alternativa di reddito regioni, come in Toscana (9,8%)  132. Al 31 maggio 2010, secondo le stime della
cui ricorrere nei momenti di crisi economica o da alternare ad altre attività tradizio- Caritas, erano registrate 213.267 imprese con titolare straniero, in grado di occu-
nalmente stagionali, come l’ambulantato estivo o l’edilizia. pare circa mezzo milione di persone, includendo i 69.439 soci delle cooperative
di produzione e di consumo, gli amministratori ed i lavoratori dipendenti 133. Esse
incidevano per il 3,5% sulle imprese, ma il doppio su quelle artigiane (7,2%) 134.
6. Imprenditori e integrati

L’esterno di un ristorante cinese.


La crescita del lavoro autonomo è iniziata dal 2000, in seguito alla deroga La ristorazione ha rappresentato
sull’apertura di attività commerciali prevista dalla Legge Turco-Napolitano; non tradizionalmente uno dei settori forti
è casuale dunque che l’85% delle imprese sia stato creato dopo il 2000 127. Il lavoro dell’imprenditoria straniera in Italia (©
Archivio dell’Immigrazione/Marzio Marzot)
indipendente va anche «considerato un indicatore di integrazione poiché richiede
la messa in campo di risorse economiche, professionali e culturali» 128, anche se
l’articolazione delle posizioni autonome degli stranieri si distingue da quella degli
italiani, con la prevalenza di lavoro manuale rispetto a quello imprenditoriale e
con la pressoché totale assenza di società di capitali, anche perché per l’apertura
di società per azioni non è ancora decaduta la norma di reciprocità. La crescita di
questa realtà è evidente osservando i dati dell’ultimo decennio. Come emerge dai
dati del Registro delle Imprese, nel 2002 i titolari e i soci di attività nati all’estero
erano 198.215, cifra che però includeva anche gli italiani rientrati in patria; al
netto di questo elemento gli stranieri titolari di imprese risultavano essere 56.421,
i soci 22.584 129. Anche il lavoro autonomo rifletteva già i trend nazionali osservati
in precedenza, con una distribuzione geografica disomogenea delle imprese, in

159 160
Rispetto allo stesso periodo del 2009, le imprese erano cresciute di 25.801 unità, Più distanziati risultavano i 261 rumeni, il 5,8% e i 249 cinesi, 5,5%  140. Era
segnando la dinamicità del settore anche durante la crisi: ogni 30 imprenditori confermata parimenti la maggior incidenza degli imprenditori stranieri rispetto
operanti in Italia, uno era immigrato 135. Il quadro complessivo ha confermato la a quelli italiani nel settore del commercio (40,5%) e delle costruzioni (26,4%), a
prevalenza di imprese artigiane e commerciali e non si è discostato sensibilmente fronte del 24,3% e del 15,2% fatti registrare dai nostri connazionali; i senegalesi
dai valori del 2008, che vedevano il settore delle costruzioni in testa con il 39%, ed i marocchini hanno il primato nel commercio, mentre albanesi e romeni sono
seguito dal commercio con il 38%, l’attività manifatturiera al 10%, i servizi al 6%, leader nel settore delle costruzioni.
i trasporti al 5% e agricoltura con alberghi e ristoranti al 2% (secondo la rilevazio- Sono comunque pochissimi gli stranieri che arrivano direttamente dall’estero per
ne Unioncamere-Infocamere Movimprese del 2008). Nel settore dell’edilizia erano aprire un’impresa (uno su sedici): nella maggior parte dei casi si assiste al passag-
i romeni e gli albanesi a risultare particolarmente presenti, mentre nel commercio gio dalla condizione di dipendenti a quella di autonomi per valorizzare le proprie
si segnalavano i marocchini: tali comunità, le prime tre in Italia, distribuivano la qualità. Non sempre però il lavoro autonomo rappresenta una scelta consapevole:
loro attività su tutto il territorio nazionale. Per il resto l’imprenditoria straniera talora è l’azienda stessa che spinge il lavoratore ad aprire una partita IVA per sca-
tendeva a seguire la geografia dei distretti industriali: gli imprenditori tessili cine- ricare i costi del lavoro dipendente. Resta comunque difficile stimare il numero
si erano stanziati soprattutto a Carpi e a Prato, quelli della concia nel vicentino. preciso degli autonomi “forzati” 140.
Esistevano anche alcuni settori di nicchia, come ad esempio la ristorazione, dove La strada dell’integrazione non passa solo dal lavoro, ma anche dalle politiche
erano particolarmente attivi gli egiziani, radicati in una realtà come Milano, dove abitative e scolastiche e dalla rete di servizi, tra cui l’assistenza sanitaria, che de-
un pizzaiolo su quattro era un loro connazionale 136. vono essere garantiti agli immigrati. È già stato notato che la spesa sociale desti-
Una recente ricerca condotta sull’imprenditoria straniera in Provincia di Pisa nata agli stranieri è minore rispetto a quanto loro versino nelle casse dello Stato;
dal 1990 al 2009 137 ha confermato i trend nazionali sopra richiamati. Dal 2000 spesso a ciò si è accompagnata una politica di integrazione a livello nazionale
al 2009 l’imprenditoria straniera è cresciuta del 191%, a fronte del 5,6% regi- assai frammentaria. La normativa italiana ha disciplinato gli ingressi riservan-
strato da quella italiana  138, così come sempre a partire dal 2000, per effetto do attenzione alle politiche occupazionali e alla repressione dell’immigrazione
della legge Turco-Napolitano, si è modificato il quadro delle nazionalità degli clandestina, ma ha lasciato agli enti locali e alle associazioni l’effettiva gestione
imprenditori, con la crescita esponenziale di quelli extracomunitari. Il dato del del processo di inserimento degli stranieri. Ciò ha creato un quadro di confusio-
2009 è stato significativo, mettendo in luce la prevalenza dei senegalesi con 779 ne, perché non disegnando una uniforme «sfera di titolarità di alcuni diritti ci-
unità, pari al 17,3%, seguiti da 611 albanesi, il 13,6%, 608 marocchini, il 13,5%. vili, sociali e politici» 141, ha preso forma un modello di integrazione subordinata
e non attiva. La legge Martelli ha coinvolto le regioni nella programmazione dei
flussi, ma la scarsa attenzione rivolta alle quote di ingresso, specialmente nei
Un commesso in un negozio di stoffe. Il
tessile è stato uno dei settori in cui gli primi anni Novanta, ha ridotto tale disposizione ad una enunciazione formale.
stranieri, prima come manodopera, poi a Come fin troppo generiche sono apparse le leggi regionali sull’immigrazione
livello imprenditoriale, hanno sostituito adottate in quel periodo, riconducibili a due tipologie: «da una parte le leggi
gli italiani. Il distretto di Prato è l’esempio
emblematico di questo passaggio (© regionali che definiscono gli immigrati come soggetti deboli e sostanzialmente
Archivio dell’Immigrazione/Marzio Marzot) passivi di strumenti di politiche sociali e assistenziali, dall’altra discipline nor-
mative che definiscono gli immigrati come soggetti attivi e portatori di pieni
diritti di cittadinanza» 142. La legge Turco-Napolitano ha certamente definito le
materie di intervento, attribuendo «alle autonomie locali un ruolo importante
nella complessa architettura istituzionale predisposta e nella ripartizione delle
risorse destinate alle specifiche politiche di integrazione», quali «l’educazione
interculturale […] e soprattutto l’esercizio dei diritti fondamentali e l’accesso
al lavoro, ai servizi scolastici e all’abitazione» 143. Tale impianto è stato mante-
nuto anche dalla legge Bossi-Fini, ma nel corso dell’ultimo decennio, per scelte
politiche ed anche alla luce della recente crisi, si sono drasticamente ridotte le
disponibilità da destinare agli interventi in materia di immigrazione, al punto

161 162

che nel 2009 il Fondo nazionale per l’inclusione sociale è rimasto sprovvisto di liare italiano è contraddistinto dalla corsa alla casa di proprietà e da una scarsa
copertura. Nello stesso anno, inoltre, solo il 68% della popolazione immigrata mobilità successiva, sia per l’alto prezzo delle transazioni, sia per la tendenza ad
risultava iscritto al Servizio Sanitario Nazionale, aspetto che spiega i maggiori insediarsi vicino ai familiari, al cui sostegno è difficile rinunciare. Rispetto agli
ricoveri d’urgenza e un maggior accesso al Pronto Soccorso 144. italiani, il comportamento degli immigrati manifesta una tendenza alla dispersio-
I limiti di questa situazione emergono in relazione alle politiche abitative, che ne, dovuta al fatto che l’acquisto di abitazioni avviene prevalentemente nei comu-
ricoprono un ruolo significativo nelle politiche di integrazione. Gli immigrati che ni medio-piccoli, dove i prezzi sono più accessibili; tale elemento è positivo perché
arrivano nel nostro Paese devono confrontarsi con «una società strutturalmente evita la nascita di agglomerati ad alta densità di stranieri e favorisce la fusione
basata su legami familiari forti, e dove gran parte delle famiglie investono molto abitativa. L’acquisto verso cui si orientano gli immigrati, anche per la disponi-
Una lezione di italiano per immigrati.
Dopo il lavoro, la lingua rappresenta lo – sia in termini materiali che simbolici – sulla casa dove abitano» 145. In un simile bilità economica ristretta, è quello di una casa dalle dimensioni medio-piccole,
strumento principale per l’inserimento degli contesto il quadro non è affatto semplice: da un’inchiesta del 2000 risultava che il circa 55 metri quadrati. È questa la ragione per cui il mercato immobiliare degli
stranieri. I corsi sono organizzati soprattutto Un bambino col permesso di soggiorno
nostro Paese era quello con il maggior numero di immigrati homeless 146, elemento stranieri, per quanto in crescita, non muove ancora cifre particolarmente elevate.
da Regioni, Province e Comuni, nonché appena ritirato: le “seconde generazioni”
dalle associazioni di volontariato; nel 2008, dovuto alla carenza di una diffusa edilizia popolare in Italia, fondamentale inve- aspirano legittimamente ad una piena Dal 2004 al 2006 le compravendite che hanno avuto come acquirente un im-
secondo uno studio dell’ISTAT, vi avevano ce nelle politiche di integrazione di Paesi come Francia e Gran Bretagna: nel 2007 inclusione nel nostro Paese (Viterbo, migrato sono aumentate del 19%, così come è cresciuto del 50% il valore degli
partecipato circa 100.000 stranieri: tra le Progetto ImmigrazioneOggi ONLUS. Opera
gli alloggi pubblici rappresentavano il 3% del totale di quelli della penisola 147. immobili acquistati, passato dai 10,2 miliardi ai 15,3 miliardi di euro del 2006 154;
nazionalità più attive nel seguire i corsi i partecipante alla prima edizione del concorso
polacchi, i filippini, i moldavi ed i peruviani La prima difficoltà per gli stranieri è rappresentata dall’accesso alle case popo- “Identità e culture di un’Italia multietnica”, quell’anno risultavano essere 131.000 gli stranieri proprietari di abitazione, an-
(Viterbo, Progetto ImmigrazioneOggi lari. In assenza di una normativa nazionale che disciplini il diritto alla casa per 2009 Foto di Bushra Madkhane) che se si trattava soprattutto di cinesi, che compravano grazie alla significativa
ONLUS. Opera partecipante alla prima
gli immigrati le soluzioni sono «demandate […] alle scelte di politica abitativa e disponibilità di contante 155. Nel 2007 il valore delle case acquistate era salito al
edizione del concorso “Identità e culture di
un’Italia multietnica”, 2009 Foto di Massimo urbana operate dalle singole autonomie comunali e regionali» 148. Alla progres- 17,5%, rappresentando più dell’1% del reddito nazionale italiano  156; proprio il
Dondini) siva carenza di fondi e alla scarsa disponibilità di alloggi, si sovrappone la deli- 2007 ha rappresentato l’anno del boom degli acquisti effettuati da stranieri, con
catezza politica del tema, fonte di tensioni tra immigrati e italiani, e che risente 135.000 transazioni per un valore di 17 miliardi di euro. Le comunità più attive
del diverso orientamento politico delle amministrazioni. A Milano nel 1992 la sono state quella russa, ucraina ed indiana, ed il 40% delle vendite era avvenuto
quota di unità abitative loro destinate era del 20%, ma nel 2000 era scesa al 9%, nel Nord-Est. La crescita era confermata dalle stime della Caritas, secondo cui
a fronte dell’aumento della popolazione di stranieri 149, mentre nel 2004 proprio nel 2008, circa un decimo della popolazione immigrata (400.000 persone) era
il Comune aveva assegnato cinque punti in più agli italiani rispetto agli immi- proprietaria 157. Tale processo ha subito però un brusco rallentamento con le crisi
grati nelle stesse condizioni sociali e di reddito per l’accesso alle graduatorie. degli ultimi anni: per gli stranieri l’acquisto della casa è strettamente legato alla
L’amministrazione era stata condannata ai sensi delle norme sulla discrimina- possibilità di ottenere un mutuo, a differenza degli italiani, che sovente possono
zione previste dal Testo Unico sull’immigrazione, ma tali episodi testimoniano ricorrere ad un “consistente aiuto” da parte delle famiglie. Se tra il 2004 ed il 2006
la delicatezza della materia in mancanza di leggi definite. Così la scelta abitativa la percentuale di copertura di acquisto garantita dai mutui era passata dal 70%
degli immigrati ricade in larga parte sugli affitti, in cui vive ancora il 75% della all’87% 158, con la crisi le banche hanno cominciato a rifiutare i mutui trentennali
popolazione straniera 150; un’inchiesta del 2005 a Terni aveva riscontrato che la proprio partendo dagli extracomunitari.
stessa percentuale di immigrati viveva in condizioni di sovraffollamento 151, ele- Eppure il problema della casa è legato anche all’inserimento nella nostra società
mento dovuto anche alla natura allargata delle loro famiglie e alla necessità di delle seconde generazioni, ovvero dei figli di immigrati arrivati in Italia entro
dividere le spese. Fare ricorso all’affitto non è affatto semplice: nel 2003 secondo il quinto anno di età o nati nel nostro Paese. Tra il 2001 ed il 2007 gli stranieri
la Caritas il 57% degli affittuari di 5 città del Nord Italia e di 7 del Centro erano residenti in Italia con meno di 18 anni sono passati da 284.000 a 761.000, con
contrari a stipulare contratti con gli immigrati 152. Il record negativo spettava a una crescita media di 79.000 unità all’anno 159, mentre nel 2009 un ottavo dei re-
Bologna, col 95%, seguita da Milano e Perugia, al 70%, e Firenze al 62% 153. Gli sidenti stranieri, 572.720 tra bambini e ragazzi, apparteneva alla seconda gene-
stranieri finiscono così per collocarsi nel sottomercato dell’alloggio, pagando razione 160. L’altro elemento che funge da termometro per l’integrazione è senza
prezzi più alti, ed insediandosi spesso in abitazioni in stato precario, nei quar- dubbio la scuola. Nell’anno scolastico 2006-07 gli iscritti non italiani negli isti-
tieri più disagiati delle città. Inoltre per firmare un contratto d’affitto viene loro tuti statali e non statali erano più di mezzo milione, con un’incidenza del 5,6%
richiesta una firma di garanzia da parte di un cittadino italiano. sul totale degli allievi; dieci anni prima gli allievi erano meno di 60.000 e rap-
Resta ovviamente la possibilità di acquistare un’abitazione. Il mercato immobi- presentavano lo 0,6% degli studenti 161. Tale crescita è stata significativa in tutti i

163 164
livelli di istruzione, con un aumento di sette volte sia nella scuola dell’infanzia, peraltro un segnale di una volontà di integrazione perché esso viene applicato a
passata dai 13.000 iscritti del 1997 ai 95.000 del 2007, sia nella scuola primaria, chi ha già di fatto superato il primo gradino della scala sociale, disponendo di un
cresciuta in dieci anni da 27.000 a 190.000 unità; peraltro proprio nella scuola reddito regolare e della conoscenza, almeno parziale, dei servizi sociali offerti
primaria si registrava la maggior incidenza di studenti stranieri, con il 6,8% de- delle amministrazioni pubbliche italiane. È, in estrema sintesi, un indicatore di
gli alunni. Una crescita sensibile è stata avvertita anche nella scuola secondaria una non sempre del tutto esplicita volontà di integrazione.
di primo grado, dove i 115.000 studenti iscritti rappresentavano il 6,5% della
popolazione scolastica; all’incirca intorno alle 100.000 unità era invece la loro
presenza nella scuola secondaria superiore 162. Ciò era dovuto sia alla presenza Un quadro delle imprese: i dati delle Camere di Commercio
nei livelli di istruzione più bassa di ragazzi che avrebbero dovuto frequentare
le scuole superiori, sia all’abbandono scolastico. Non è casuale che il dato del I dati forniti dai registri di InfoCamere consentono di mettere bene in luce la
2009, pur confermando un’ulteriore crescita con 673.952 figli di immigrati stra- già ricordata crescita che hanno conosciuto negli ultimi anni le ditte individuali
nieri iscritti a scuola, pari ad un’incidenza del 7,5% sulla popolazione, abbia il cui titolare è un lavoratore immigrato; si tratta di un fenomeno di proporzioni
registrato un ritardo scolastico tre volte più elevato rispetto agli italiani 163. rilevanti, in grado di generare larga parte di quell’11% del Pil italiano provenien-
Ciò testimonia che le politiche scolastiche, assieme a quelle abitative, devono es- te nel 2010 dalle comunità immigrate che versano al fisco 40 miliardi di euro e
sere poste al centro dell’integrazione delle seconde generazioni di immigrati, le pagano 7,5 miliardi di contributi, a fronte di rimesse indirizzate da tali comunità
cui aspettative stanno maturando in un clima diverso rispetto a quello vissuto dai verso l’estero pari complessivamente a 6,3 miliardi di euro.
genitori: «difficilmente […] accetteranno di restare confinati in ruoli lavorativi
poco prestigiosi e mal pagati, sia perché vengono spinti a questo dai genitori […] Ditte individuali - Valori assoluti
Anni
sia perché vivendo l’infanzia e l’adolescenza gomito a gomito con i coetanei italia- Italiane Straniere Non classificate TOTALE
ni debbono confrontarsi ogni giorno con i loro modelli di vita» 164. 2000 3.309.867 110.250 17.541 3.437.658
2001 3.295.031 131.863 15.620 3.442.514
Un’ultima istantanea di questo quadro può essere tratta dalle dichiarazioni Isee
2002 3.279.921 152.665 14538 3.447.124
(Indicatore della Situazione Economica Equivalente-INPS) presentate nel 2010 2003 3.265.809 174.691 13.562 3.454.062
da famiglie in cui almeno un dichiarante è nato all’estero, facendo riferimento 2004 3.261.706 207.161 13.152 3.482.019
alle 10 nazionalità più presenti in Italia: 2005 3.248.777 235.677 12.221 3.496.675
2006 3.216.680 262.336 8.229 3.487.245
2007 3.160.850 289.044 7.811 3.457.705
Dichiarazioni ISEE presentate da famiglie in cui almeno un dichiarante è nato all'estero, distribuite fra le dieci nazionalità maggiormente
presenti in Italia. Anno 2010 2008 3.108.153 310.688 7.273 3.426.114
2009 3.044.301 324.750 7.044 3.376.095
Valore Reddito totale Famiglie con casa di Patrimonio Composizione famiglia Composizione famiglia 2010 3.019.656 344.701 6.909 3.371.266
Isee (euro) proprietà % mobiliare (euro) (numero persone) (adulti lavoratori)
(dati InfoCamere-Registro delle Imprese)
Perù 6560 16366 30,4 2436 3,3 1,1
Filippine 5833 15928 15,9 1051 3,4 1,4
Tunisia 5755 14084 18,0 2009 3,6 0,7 Circa un decimo del totale delle imprese individuali italiane appartengono quindi
Albania 5674 16127 19,4 2721 3,9 1,0 ad immigrati che ormai costituiscono una parte integrante, e decisiva, del tessuto
Moldavia 5494 14471 14,0 2435 3,1 1,1
Egitto 5423 13955 30,9 2969 4,1 0,8 produttivo nazionale e della platea dei contribuenti; una parte destinata a radi-
Ecuador 5414 14713 29,1 1034 3,4 1,1 carsi ulteriormente e certo non più riconducibile a meri eventi di natura congiun-
Ucraina 5412 12028 11,8 1877 2,5 0,9 turale, ma espressione di una più naturale allocazione delle capacità produttive di
Romania 5361 13456 14,o 1640 3,2 0,9
Marocco 4747 13520 19,5 902 4,0 0,9
estese aree geografiche interessate negli ultimi due decenni dai processi di globa-
Media Italia 12120 20555 49,9 9177 2,7 0,7 lizzazione. Le diverse letture dedicate a questi fenomeni hanno insistito a lungo
(Elaborazione Dati Caf Acli) sul carattere quasi obbligato della natura individuale delle ditte straniere, nate
Il dato relativo alle case di proprietà costituisce forse uno degli indicatori migliori per la difficoltà di trovare altre collocazioni lavorative da parte degli immigrati;
della volontà di restare in Italia da parte di alcune comunità che risulta decisa- in realtà un simile elemento, pur perdurante, tende ad essere sostituito da una
mente più forte rispetto ad altre. Anche lo stesso utilizzo dell’indicatore Isee è maggiore vocazione d’impresa, sorretta, come ricordato, da sistemi relazionali

165 166

etnici e da reti economiche che hanno trovato nelle strutture camerali italiane vigo, Prato, Pesaro e Urbino, Chieti, Caltanisetta, Bologna, Mantova, Verbano Cusio
una sede di progressiva accoglienza 165. In tal senso, come è stato più volte notato Ossola, Macerata, Forlì-Cesena, Arezzo, Savona, Catania, Vicenza, Vercelli, Piacenza,
dalla letteratura sull’argomento, non è facile distinguere fra imprenditore e self- Ancona, Ascoli Piceno, Cremona, Benevento, Grosseto, Pistoia e Bari. Tra le prime
employed, due figure che nel caso dei lavoratori immigrati hanno teso spesso a venti province in cui l’incidenza delle imprese straniere è maggiore, figurano le princi-
sovrapporsi e rispetto alle quali i dati degli ultimi anni consentono di fare una pali città del Paese, da Roma (al secondo posto, con un apporto delle imprese stranie-
maggiore chiarezza per quanto i caratteri della ditta individuale continuino a ren- re pari al 12,4% del totale), Firenze al terzo (10%), Torino all’ottavo (8,3%), Genova
dere complessa la distinzione in molte regioni italiane: soprattutto a Nord sono al tredicesimo (7,7%), Milano al quindicesimo (7,7%). Prima per apporto Prato, in
sempre più numerosi gli imprenditori veri e propri rispetto ai self-employed. An- cui le imprese straniere rappresentano ormai oltre un quinto del totale. Qui, nel cor-
che il richiamo alla qualificazione “etnica” risulta in molti casi non più adeguata so del 2009, il numero di imprese attive a esclusiva conduzione straniera iscritte alla
a rappresentare realtà ormai a tutti gli effetti imprenditoriali. Camera di Commercio è aumentato del 10,7%, una variazione percentuale comun-
que ridimensionata rispetto al 2008 (13,1%) e assai minore rispetto ai livelli riscon-
MANCA L’ANNO trati verso la metà del decennio, che si attestavano stabilmente sopra il 20%. Alcune
Ditte individuali - Distribuzione % riserve sono state espresse su simili numeri perché le imprese individuali straniere
Italiane Straniere Non classificate TOTALE tenderebbero ad avere una vita molto breve, in genere dai 6 ai 10 mesi, un tempo che
96,28% 3,21% 0,51% 100,00% le impedirebbe un reale radicamento ed una proficua azione economica, ma si tratta
95,72% 3,83% 0,45% 100,00%
di critiche spesso non suffragate da una reale analisi statistica. Un caso interessante
95,15% 4,43% 0,42% 100,00%
94,55% 5,06% 0,39% 100,00% è anche quello di Terni, dove si è assistito ad una significativa crescita delle presenze
93,67% 5,95% 0,38% 100,00% straniere: al 31 dicembre 2010 erano 1.173 le persone extracomunitarie con cariche in
92,91% 6,74% 0,35% 100,00% impresa (ossia titolare, socio o amministratore), 1.130 nel 2009, poco più di mille nel
92,24% 7,52% 0,24% 100,00%
91,41% 8,36% 0,23% 100,00%
2008 (1.033). Ancora sei anni fa infatti erano 943 gli imprenditori extracomunitari,
90,72% 9,07% 0,21% 100,00% ma al 31 dicembre 2005 il dato comprendeva anche la Romania (128), mentre tra
90,17% 9,62% 0,21% 100,00% 1.173 extracomunitari titolari d’impresa sopra ricordati non erano compresi i romeni.
89,57% 10,22% 0,20% 100,00%
Nelle province siciliane, invece, la percentuale d’imprenditori stranieri nel 2010 era
superiore ai 4 punti. Soltanto a Catania e Trapani è risultata di poco inferiore, mentre
In questo senso è evidente che in dieci anni il sistema produttivo italiano sarebbe il picco si è raggiunto ad Agrigento con il 5,9% sul totale. Fra il 2009 e il 2010 in ben
stato più povero senza il contributo delle imprese aperte da cittadini stranieri: quattro province – Palermo, Messina, Ragusa, Siracusa – si sono registrati incrementi
sarebbero state quasi 285 mila le imprese straniere, ovvero quasi 2 imprese su 3 superiori al 5%, con il boom del +7,1% del palermitano.
(62%), sul totale delle nuove aziende attive tra il 2000 e il 2010 (pari a 455.000).
Sul piano della distribuzione geografica il decennio 2000-2010 ha conosciuto una no- Anche in termini di attività prevalenti, i dati di InfoCamere risultano assai chiari:
tevole crescita delle ditte nate nel Nord, passate dalle circa 52.000 del 2000 alle circa
180.000 del 2010. In aumento sul piano quantitativo anche il numero delle ditte al Titolari di ditte individuali
SETTORE % stranieri
Centro e al Sud: erano 24 mila circa al Centro e 34 mila a Sud nel 2000 e sono diven-
Italiani Stranieri TOTALE sul totale
tate rispettivamente 86.000 e 79.000. Secondo il Registro delle Imprese, dunque, fatto Agricoltura e pesca 761.025 12.058 773.083 1,56
pari a 100 il 2000, al Nord Ovest nel 2010 il numero indice è salito a 373, nel Nord Costruzioni 447.648 108.292 555.940 19,48
Manifattura e altre attività industriali 234.551 30.856 265.407 11,63
Est a 297, nel Centro a 351 e 243 al Sud. Scendendo ancora più nel dettaglio, sareb-
Commercio e altri servizi per il consumatore
bero risultate con un dato negativo ben otto regioni : il Piemonte che ha registrato finale 1.171.916 154.666 1.326.582 11,66
ad esempio una crescita del 6,4% in dieci anni, scenderebbe a -0,1% senza imprese Servizi alle imprese o ai consumatori
intermedi 351.462 33.060 384.522 8,60
straniere. Una considerazione analoga è possibile per la Liguria (da +7% a -0,6%) e Servizi sociali o collettivi 30.166 2.344 32.510 7,21
l’Emilia Romagna (da +5,5% a -1,4%). Dati positivi grazie all’imprenditoria immigra-
ta riguardano anche la Basilicata, la Puglia, la Sicilia, le Marche e il Veneto. A queste È evidente che i settori delle costruzioni e del commercio contengono il maggior nu-
si aggiungono 26 province (rispetto alle 21 del 2008): Ravenna, Imperia, Treviso, Ro- mero di aziende e in particolare in quello delle costruzioni, particolarmente diffuso

167 168
a Nord, la percentuale delle ditte straniere sul totale sfiora il 20%. Non decollano È significativo rilevare, a questo proposito, che per la prima volta a Milano il
invece le attività agricole dove sono estremamente diffusi il lavoro nero e il sommerso, nome più diffuso tra i nuovi imprenditori sia appartenuto nel 2010 a una donna:
un dato questo che spiega anche il ritardo delle regioni meridionali in relazione alla con 257 imprese, Maria ha rappresentato infatti il nome di titolare che è apparso
presenza registrata di ditte straniere. Sono pochissimi parimenti i professionisti stra- con maggiore frequenza tra le ditte individuali, seguito però al secondo posto
nieri che operano in Italia a testimonianza del fatto che solo il mondo dell’impresa da Mohamed (con 235) che ha preceduto Giuseppe (fermo a 234 imprese). Più
riesce realmente ad inserire gli stranieri nel panorama produttivo partendo, come già complessivamente, nel 2008 le imprenditrici straniere iscritte nei registri delle Ca-
ricordato, proprio dalla microimpresa. In questo senso si tratta di un importante feno- mere di commercio erano circa 43 mila, con una larga prevalenza, circa la metà,
meno sociale di integrazione e di costruzione del reddito. La registrazione del resto è di occupate nel settore del commercio; questo dato è particolarmente evidente in
stata resa più facile e le procedure rese più facilmente acquisibili anche per combattere Lombardia, mentre in Toscana le imprenditrici immigrate sono presenti soprat-
i traffici legati alla contraffazione che hanno assunto proporzioni importanti: solo in tutto nel manifatturiero e in Sicilia nel settore agricolo. Nel 2010 tali dati hanno
provincia di Firenze, per citare un dato, dall’inizio del 2008 al settembre 2009 sono segnato un forte balzo in avanti, toccando quota 52.000. Le aziende in questione
stati sequestrati 7 milioni e 782.000 prodotti contraffatti e recuperati 2 milioni di con- rappresentavano il 6,0% delle ditte individuali totali a conduzione femminile e il
tributi non versati e 21 milioni di diritti doganali evasi. 20% delle imprese individuali con titolare di nazionalità extracomunitaria. Per
Sul versante delle comunità nazionali, nell’arco di tempo 2005-2010 si è assistito quanto riguarda la dislocazione geografica, la regione italiana dove si concentrava
alla forte crescita della presenza di ditte di rumeni, con un incremento di oltre il maggior numero di imprese individuali gestite da cittadine extracomunitarie
il 170%, seguite, in termini percentuali, da quelle del Bangladesh che pura rap- continuava ad essere la Lombardia, seguita da Toscana e Lazio. Il primo posto,
presentano ancora in termini assoluti un gruppo limitato. Si conferma il primato nella graduatoria in questione, era occupato dalle cinesi che erano titolari di circa
del Marocco, con una crescita costante delle presenze cinesi. In generale le prime 18.000 imprese, con un età media molto bassa: il 90% ha meno di 50 anni e una
dieci comunità assommano oltre 234.000 ditte su un totale di 344.000, in cui sono su cinque ne ha meno di trenta.
presenti ben altre 183 nazionalità. Ci sono poi alcune comunità che si sono “spe- In questo contesto nazionale, il caso della Toscana appare in generale molto signi-
cializzate” in attività particolari; così gli egiziani rivestono ovunque un posto di ficativo perché fotografa forse meglio di altri i cambiamenti intervenuti nel corso
primo piano nel settore della ristorazione e in particolare nel campo delle pizze- del tempo e registrati dalle Camere di Commercio. Qui il numero delle imprese
rie. Nel quarto quadrimestre del 2009 e nel primo del 2010, a Milano risultavano individuali è passato dalle circa 7.600 del 1999 a oltre 32 mila nel 2008, in media
operanti ben 119 pizzaioli egiziani, mentre i campani erano 31. in ogni comune toscano vi sarebbero state 111 aziende gestite da stranieri con
una trasformazione anche sul versante delle provenienze. Mentre infatti nel 1999
2005 2010 più di un terzo delle aziende straniere era gestito da cittadini delle economie più
Incremento % sviluppate, dieci anni più tardi il quadro è completamente mutato. Nel 1999 l’im-
Posizione Nazione   Nazione   sul 2005
1° MAROCCO 35.312 MAROCCO 50.765 43,76 prenditoria prevalente riguardava soprattutto il settore turistico (fattorie, agri-
2° CINA 22.865 ROMANIA 39.253 170,62 turismi, agenzie immobiliari) o il terziario. Alla fine del 2008 il contributo dalle
3° ALBANIA 16.778 CINA 37.609 64,48 economie avanzate ha conosciuto un brusco rallentamento a fronte di una forte
4° SVIZZERA 15.755 ALBANIA 28.607 70,50
crescita di quello offerto dai cittadini provenienti dall’ex secondo e terzo mondo.
5° ROMANIA 14.505 SVIZZERA 16.597 5,34
6° SENEGAL 12.811 SENEGAL 14.091 9,99 I Paesi con la crescita maggiore, 18 volte rispetto al 1999 e 11.306 aziende in to-
7° GERMANIA 12.126 GERMANIA 13.864 14,33 tale, sono stati quelli europei ex socialisti, a partire dagli albanesi e dai romeni,
8° TUNISIA 8.552 TUNISIA 11.414 33,47 che hanno quasi superato quelli Est-asiatici che comunque hanno triplicato il loro
9° FRANCIA 7.847 BANGLADESH 11.349 124,07
10° EGITTO 7.421 EGITTO 11.061 49,05
contributo (quasi 8.000 aziende). Quelli nordafricani, in particolare i marocchini
TOTALE TOTALE e i tunisini, sono cresciuti in termini numerici di 7 volte toccando quota 4.673 e
  PARZIALE 153.972 PARZIALE 234.610 52,37 superando di quasi mille unità le economie avanzate. Di 7 volte è cresciuto anche
ALTRE 183 ALTRE 183
  NAZIONI 81.701 NAZIONI 110.090 34,75 il numero delle imprese di altri paesi africani, soprattutto senegalesi, passando da
TOTALE TOTALE 387 a 2.745. In pratica quasi l’83% (in termini assoluti circa 27.000) delle imprese
GENERALE 235.673 GENERALE 344.700 46,26
avevano un titolare proveniente da queste aree geografiche. Al primo posto re-
stavano i cinesi, 7.029 imprese, seguiti dagli albanesi (5.114), dai romeni (4.259) e

169 170

dai marocchini (3.489). Queste quattro nazionalità coprono il 73% del totale. In 40
Ivi, p. 25. 83
A questo proposito cfr. Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., pp.
41
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 34. 65-66.
relazione ai settori di attività, circa l’85% delle imprese operava nelle costruzioni, 42
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio 84
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2009 ... cit., p. 3.
nel commercio e nella manifattura. Quelle attive in un unico comparto erano pre- 2010, p. 3. 85
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 66.
valentemente di nazionalità senegalese (commercio), albanese e romena (entram-
43
Ivi, p. 35. 86
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi
44
Gli stranieri nel mercato del lavoro ... cit., p. 47. del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 2.
be edilizia). La doppia specializzazione tendeva a prevalere nelle imprese cinesi 45
Ivi, p. 48. 87
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 127.
(manifattura e commercio) e in quelle marocchine (commercio e costruzioni). La 46
Ibidem. 88
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi
47
ISTAT, L’integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 6.
plurispecializzazione era una caratteristica soprattutto di pakistane, argentine, italiani, 14 dicembre 2009, p. 1. 89
Ibidem.
brasiliane, macedoni e egiziane 166. 48
Società Geografica Italiana ... cit., p. 32. 90
Gli stranieri nel mercato del lavoro ... cit., p. 81.
49
Ivi, p. 34. 91
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi
50
Ibidem. del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 6.
51
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 92
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 11.
del Dossier Statistico Immigrazione 2005, p. 1. 93
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2005, p. 7.
52
Cfr. ISTAT, Indicatori demografici anno 2010 ... cit., p. 4. 94
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2007, p. 2.
53
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 95
Ibidem.
del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 1. 96
ISTAT, L’integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati
54
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio italiani ... cit., p. 3. Nel 2008 solo il 4% degli stranieri, ed il 6%
2010 ... cit., p. 6. dei naturalizzati, si era rivolto ai Centri per l’Impiego o ad agenzie
55
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 29. di lavoro interinale. A guidare la classifica erano i moldavi con
Note 56
Società Geografica Italiana ... cit., p. 28. l’8,3%, seguiti dai peruviani con il 4,5%. Questi canali sono utili
57
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio soprattutto per trovare lavoro nei settori infermieristici, tra il per-
2010, cit., p. 6. sonale di pulizia per alberghi e ristoranti o addetti alle vendite in
1
Gli stranieri nel mercato del lavoro. I dati della rilevazione sulle for- zioni, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, recante norme ur- 58
Id., Indicatori demografici anno 2010 ... cit., p. 1. esercizi commerciali.
ze di lavoro in un’ottica individuale e familiare, a cura di M. Albi- genti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini 59
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 97
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 62.
sinni, ISTAT, Roma, 2006, p. 13. extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari
del Dossier Statistico Immigrazione 2004, p. 3. 98
Le rimesse: una banca dati per gli immigrati e per i loro paesi, Sche-
2
A. Harja-G. Melis, Romeni. La minoranza decisiva per l’Italia di ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato. Disposizioni in ma- 60
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio da a cura del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes,
domani, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010, p. 9. teria di asilo.
2010 ... cit., p. 7. 2004, p. 1.
3
A. Colombo-G. Sciortino, Gli immigrati in Italia. Assimilati o 21
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 49. 61
Ibidem. 99
Ivi, p. 2.
esclusi: gli immigrati, gli italiani, le politiche, Bologna, Il Mulino, 22
Decreto Legge 18 novembre 1995 n. 489, Disposizioni urgenti in 62
Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia ... cit., pp. 148-149. 100
Id, Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2008, p. 4.
2004, p. 24. materia di politica dell’immigrazione e per la regolamentazione 63
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 101
ISTAT, Rilevazione sulle forze di lavoro, I trimestre 2009.
4
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi dell’ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei
del Dossier Statistico Immigrazione 2004, p. 3. 102
Società Geografica Italiana ... cit., p. 62.
del Dossier Statistico Immigrazione 2005, p. 9. paesi non appartenenti all’Unione Europea. 64
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2006 ... cit., p. 2. 103
Ivi, p. 63.
5
Ibidem. 23
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 49. 65
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio 104
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 63.
6
Ibidem. 24
Colombo-Sciortino, Gli immigrati in Italia ... cit., p. 63.
2010 ... cit., p. 7. 105
Ibidem.
7
Ibidem. 25
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 49. 66
Ivi, p. 9. 106
I lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni. Presentazione del
8
Colombo-Sciortino, Gli immigrati in Italia ... cit., p. 23 26
Legge 30 luglio 2002 n. 189, Modifica alla normativa in materia di 67
Ibidem. V rapporto IRES-FILLEA, a cura di E. Galossi-M. Mora, p. 1.
9
F. Daveri, Stranieri in casa nostra. Immigrati e italiani tra lavoro e immigrazione e di asilo, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 68
Società Geografica Italiana ... cit., p. 31. 107
ISTAT, Rilevazione sulle forze di lavoro, I trimestre 2009.
legalità, Milano, Università Bocconi Editore, 2010, p. 51. 199 del 26 agosto 2002. 69
Gli stranieri nel mercato del lavoro ... cit., p. 45. 108
Elaborazioni IRES su dati CNCE 2008.
10
ISTAT, Indicatori demografici anno 2010, Comunicato stampa del 27
Cfr. Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 27. 70
Società Geografica Italiana ... cit., p. 131. 109
Società Geografica Italiana ... cit., p. 67.
12 ottobre 2010. 28
Ivi, p. 49. 71
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 110
La regolarizzazione del 2009 ha tuttavia dimostrato anche l’impor-
11
ISTAT, Indicatori demografici anno 2010, Comunicato stampa del 29
Legge 15 luglio 2009 n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pub-
del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 6. tanza degli immigrati nella tenuta della nostra economia, dal mo-
24 gennaio 2011. blica, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 170 del 24 luglio 72
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2009 ... cit., p. 3. mento che l’operazione ha fruttato 154 milioni di euro in contri-
12
Colombo-Sciortino, Gli immigrati in Italia ... cit., p. 19. 2009. 73
Gli stranieri nel mercato del lavoro ... cit., p. 14. buti arretrati e nel periodo 2010-2012 frutterà complessivamente
13
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 27. 30
Cfr. Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 28. 74
Ivi, p. 31. alle casse dell’INPS 1,3 miliardi di euro supplementari.
14
Legge 6 marzo 1998 n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme 31
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 39. 75
ISTAT, L’integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati 111
INPS, Immigrazione e collaborazione domestica: i dati del cambia-
sulla condizione dello straniero, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficia- 32
C. Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, Bologna,
italiani, cit., p. 8. mento, INPS Monitoraggio Flussi Migratori in collaborazione
le», n. 59 del 12 marzo 1998. 2007, p. 128. 76
A questo proposito cfr. Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., pp. con «Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes», dicem-
15
Colombo-Sciortino, Gli immigrati in Italia ... cit., p. 50. 33
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi
62-63. bre 2004, p. 3.
16
Legge 30 dicembre 1986 n. 943, Norme in materia di collocamento del Dossier Statistico Immigrazione 2004, p. 2. 77
Cfr. ibidem. 112
Ibidem.
dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni 34
Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia ... cit., p. 129. 78
Ivi, p. 65. 113
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesii
clandestine, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 8 del 12 gen- 35
Società Geografica Italiana ... cit, p. 25. 79
Cfr. ivi, p. 63. del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 12.
naio 1986. 36
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 35. 80
Colombo-Sciortino, Gli immigrati in Italia ... cit., p. 78. 114
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesii
17
Ibidem. 37
ISTAT, La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio 81
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 7.
18
Ibidem. 2010, p. 1.
del Dossier Statistico immigrazione, 2003, p. 4. 115
Ibidem.
19
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 49. 38
Ivi, p. 2. 82
Ivi, p. 11. 116
Ibidem.
20
Legge 28 febbraio 1990 n. 39, Conversione in legge, con modifica- 39
Gli stranieri nel mercato del lavoro ... cit., p. 24.

171 172
117
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 145
G. Dalla Zuanna-P. Farina-S. Strozza, Nuovi Italiani. I giovani
del Dossier Statistico Immigrazione 2005, p. 8. immigrati cambieranno il nostro Paese?, Bologna, Il Mulino, 2009,
118
Ibidem. p. 103.
119
Harja-Melis, Romeni ... cit., p. 67. 146
Società Geografica Italiana ... cit., p. 93.
120
Cfr. ivi, pp. 67-70. 147
Ivi, p. 94.
121
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 148
Ibidem.
del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 13. 149
Ibidem.
122
Id, Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2007, p. 13. 150
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 115.
123
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 13. 151
Società Geografica Italiana ... cit., p. 93.
124
Società Geografica Italiana ... cit., p. 70. 152
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi
125
Ivi, p. 72. del Dossier Statistico Immigrazione 2004, p. 4.
126
Ivi, pp. 70-1. 153
Ibidem.
127
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 154
Dalla Zuanna-Farina-Strozza, Nuovi Italiani ... cit., p. 109.
del Dossier Statistico Immigrazione 2008, p. 4. 155
Società Geografica Italiana, cit., p. 93.
128
Gli stranieri nel mercato del lavoro ... cit., p. 83. 156
Dalla Zuanna-Farina-Strozza, Nuovi Italiani ... cit., p. 109.
129
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 157
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Anticipa-
del Dossier Statistico Immigrazione 2003, p. 14.
zioni del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 5.
130
Ivi, p. 15. 158
Dalla Zuanna-Farina-Strozza, Nuovi Italiani ... cit., p. 109.
131
Id, Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2004, p. 5. 159
Ivi, p. 20.
132
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2006, p. 4. 160
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Anticipa-
133
Id., Sintesi del Dossier Statistico Immigrazione 2010, pp. 5-6.
134
Ivi, p. 6. zioni del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 5.
135
Ivi, p. 3.
161
Dalla Zuanna-Farina-Strozza, Nuovi Italiani ... cit., p. 21.
136
Daveri, Stranieri in casa nostra ... cit., p. 68.
162
Ivi, p. 24.
137
F. Grassi, L’imprenditoria straniera nella provincia di Pisa. 1990-
163
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi
2009, Pisa, Felici Editore, 2010. del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 5.
138
Ivi, p. 11.
164
Ivi, p. 30.
139
Ivi, p. 12.
165
M. Ambrosini, Utili invasori, Milano, Franco Angeli, 1999, Im-
140
I lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni. Presentazione del migrati imprenditori. Il contributo degli extracomunitari allo svi-
V rapporto IRES-FILLEA ... cit., p. 2. luppo della piccola impresa in Lombardia, a cura di A. Chiesi, E.
141
Società Geografica Italiana ... cit., p. 112. Zucchetti, Milano, Egea, 2003, M. Ambrosini, Immigrati e lavoro
142
Ivi, p. 111. indipendente, in Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati
143
Ivi, p. 112. in Italia, a cura di G. Zincone, Il Mulino, Bologna, 2001.
144
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi 166
Atlante dell’imprenditoria straniera in Toscana, a cura di M. Azzari,
del Dossier Statistico Immigrazione 2010, p. 4. Pisa, Pacini , 2010.

173

Conclusioni

I fenomeni migratori hanno costituito dunque un elemento fondante della storia


italiana, molto più di numerosi altri aspetti sociali, culturali ed economici; hanno
radici che affondano in un passato profondamente remoto ed hanno conosciuto
declinazioni e geografie molteplici in cui la clandestinità, la sofferenza, la pover-
tà così come la capacità di produrre una straordinaria ricchezza e di fornire al
Paese una spinta altrimenti difficilmente possibile hanno rappresentato i tratti
ricorrenti attraverso i secoli. Per l’Italia le migrazioni sono state un segno forte
nell’ambito di un’identità debole, fornendo la prova di un segno di appartenenza
ad un’idea di patria che ha rivitalizzato la comunità nazionale. I legami intensi
coltivati a distanza sono stati il collante interno di vaste componenti della popo-
lazione italiana e hanno offerto una efficace rappresentazione internazionale. La
collocazione negli scenari mondiali è stata condizionata in maniera decisiva, più
di quanto avvenuto in molte altre realtà, dalla vocazione migratoria. Un Paese
con questa storia non può vivere ora l’arrivo dei migranti sul proprio territorio
come un mero evento congiunturale, come un pericolo da disinnescare con mi-
sure di ordine pubblico perché dimostrerebbe di non aver imparato nulla da una
delle parti migliori della propria tradizione. L’Italia dovrebbe essere in grado di
mettere a frutto le risorse culturali e civili che la lunga emigrazione le ha fornito;
non ha senso rinunciare alla forza di tali risorse per operare un semplicistico ap-
piattimento sul presente, animato dalle paure di un ignoto che non in verità per
il nostro Paese ignoto non è.

175
Bibliografia E. Aleandri, Little Italy, Charleston, Arcadia publishing, 2002 F. Daveri, Stranieri in casa nostra. Immigrati e italiani tra lavoro e legalità, Milano, Università Boc-
Archivio Centrale dello Stato, L’Italia in esilio: l’emigrazione italiana in Francia tra le due guerre, coni Editore, 2010
Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, 1984 L. De Rosa, Emigranti, capitali e banche (1896-1906), Napoli, Edizioni del Banco di Napoli, 1980
Atlante dell’immigrazione in Italia, a cura di Società Geografica Italiana, Roma, Carocci, 2008 G. Dalla Zanna-P. Farina-S. Strozza, Nuovi Italiani. I giovani immigrati cambieranno il nostro
P. Audenino-M. Tirabassi, Migrazioni italiane, Milano, Bruno Mondadori, 2008 Paese?, Bologna, Il Mulino, 2009
E. Balzan, L’emigrazione in Canada nell’inchiesta del “Corriere”, Milano, Fondazione Corriere del- F.J. Devoto, Italiani in Argentina: ieri e oggi, in «Altreitalie», 25 (2003)
la Sera, 2009 G. Di Bello-V. Nuti, Soli per il mondo, Milano, Unicopli, 2001
E. Barnabà, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues Mortes, Roma, Infinito, 2009 Do outro lado do Atlântico: um século de imigração italiana no Brasil, a cura di A. Trento, Sao
F. Bertagna-M. Sanfilippo, Per una prospettiva comparata dell’emigrazione nazifascista dopo la Se- Paulo, Studio Nobel, 1989
conda Guerra mondiale, in «Studi Emigrazione/emigration Studies», XLI, 155 (2004) L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi, Roma, Laterza, 2007
F. Bertagna, La patria di riserva. L’emigrazione fascista in Argentina, Roma, Donzelli, 2006 F. Fait, L’emigrazione in Australia dal Friuli Venezia Giulia, http://ammer-fvg.org/-Data/Contenuti
F. Bertagna, L’emigrazione fascista e neofascista italiana in America Latina (1945-1985), in «Archi- E. Franzina, Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti e friu-
vio Storico dell’emigrazione italiana», 4, gennaio 2008 lani in America Latina, Verona, Cierre edizioni, 1994
V. Blengino, Oltre l’Oceano. Un progetto di identità: gli immigrati italiani in Argentina (1837-1930), D. Gabaccia, Per una storia italiana dell’emigrazione, in «AltreItalie», 16 (1997)
Roma, Edizione Associate, 1987 P. Gabrielli, Con il freddo nel cuore: uomini e donne nell’emigrazione antifascista, Roma, Donzelli,
C. Bonifazi, L’immigrazione straniera in Italia, Bologna, Il Mulino, 2007 2004
P. Borruso, Note sull’emigrazione clandestina (1876-1976), in Emigrazione e storia d’Italia, a cura di E. Gentile, La politica estera del partito fascista. Ideologia e organizzazione dei Fasci italiani all’este-
M. Sanfilippo, Cosenza, Pellegrini editore, 2003 ro (1920-1930), in «Storia Contemporanea», XXVI, 6 (1995)
F. Brancato, L’emigrazione siciliana negli ultimi cento anni, Cosenza, Pellegrini editore, 1995 Gli italiani al nuovo mondo, E. Franzina, Milano, Mondadori, 1995
M. Brondino, La stampa italiana in Tunisia. Storia e società 1838-1956, Milano, Jaca Book, 1998 Gli italiani in Francia, 1938-1948, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, Torino, 1991
P. Brunello, Pionieri: gli italiani in Brasile e il mito della frontiera, Roma, Donzelli, 1994 Gli stranieri nel mercato del lavoro. I dati della rilevazione sulle forze di lavoro in un’ottica individua-
Calla (Pseudonimo), Per la nostra emigrazione. Gli effetti della nuova legge, in «Il Giornale d’Ita- le e familiare, a cura di M. A lbisinni Roma, ISTAT, 2006
lia», 1 dicembre 1901. A. Golini, Immagini statistiche dell’Italia unita, in Storia d’Italia, vol. 20, Torino, Einaudi, 1976
P.V. Cannistraro-G. Rosoli, Emigrazione chiesa e fascismo. Lo scioglimento dell’Opera Bonomelli F. Grassi, L’imprenditoria straniera nella provincia di Pisa. 1990-2009, Pisa, Felici Editore, 2010
1922-1928, Roma, Edizioni Studium, 1979 J. Green, La “Red Scare”: la spinta alla deportazione degli stranieri sovversivi negli Stati Uniti (1917-
A. Caprarelli, L’emigrazione italiana in Belgio nel secondo dopoguerra vista attraverso la televisione, 1920), in «àcoma», 11 (1997), pp. 28-38
in «Archivio Storico Emigrazione Italiana», novembre 2008 T.A. Guglielmo, White on Arrival. Italians, Race, Color and Power in Chicago 1890-1914, New
L. Capuzzi, La frontiera immaginata. Profilo politico e sociale dell’immigrazione italiana in Argenti- York, Oxford University Press, 2003
na nel secondo dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 2006 E. Halter, Gli italiani in Svizzera. Un secolo di emigrazione, Bellinzona, Edizioni Casagrande,
Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Caritas di Roma, Sintesi dei Dossier Statistici Immigrazione 2004
2002-2010 A. Harja-G. Melis, Romeni. La minoranza decisiva per l’Italia di domani, Soveria Mannelli, Rub-
M. Cerutti, Un secolo di emigrazione italiana in Svizzera (1870-1970) attraverso le fonti dell’Archivio bettino, 2010
Federale Svizzero, in «Studi e Fonti», 20 (1994), pp. 11-141 M. Iaquinta, Mezzogiorno, emigrazione di massa e sottosviluppo, Cosenza, Pellegrini, 2002
S.M. Cicciò, “E il viaggio non finiva mai”. Note sull’emigrazione italiana transoceanica, in «Storia e Identità degli italiani in Argentina. Reti sociali, Famiglia, lavoro, a cura di G. Rosoli, Roma, Stu-
Futuro», 22 (2010) dium, 1993
Z. Ciuffoletti-M. Degli Innocenti, L’emigrazione nella storia d’Italia 1868-1975, voll. II, Firenze, Il dilemma dell’integrazione. L’inserimento dell’economia italiana nel sistema occidentale (1945-
Vallecchi, 1978 1957), a cura di A. Cova, Milano, Franco Angeli, 2008
S. Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa, Bologna, Il Mulino, 1994 I lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni. Presentazione del V rapporto IRES-FILLEA, a cura
A. Colombo-G. Sciortino, Gli immigrati in Italia. Assimilati o esclusi: gli immigrat, gli italiani, le di E. Glossi-M. Mora
politiche, Bologna, Il Mulino, 2004 Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, a cura di
M. Colucci, Chiamati, partiti e respinti: minatori italiani nella Gran Bretagna del secondo dopoguer- S. R inauro, Torino, Einaudi, 2009
ra, in «Studi emigrazione», 150 (2003), pp. 329-349 INPS, Immigrazione e collaborazione domestica: i dati del cambiamento, INPS Monitoraggio Flussi
M. Colucci, Il voto degli italiani all’estero, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di P. Bevilac- Migratori in collaborazione con “Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes”, Dicembre
qua-A. De Clementi-E. Franzina, Roma, Donzelli, 2009 2004
Corda e sapone: storia di linciaggi degli italiani negli Stati Uniti, a cura di P. Salvetti, Roma, Don- ISTAT, Rilevazione sulle forze di lavoro, I trimestre 2009
zelli, 2003 L’integrazione nel lavoro degli stranieri e dei naturalizzati italiani, 14 dicembre 2009
P. Corti, Donne che vanno, donne che restano. Emigrazione e comportamenti femminili, in Società rurale e Indicatori demografici anno 2010, Comunicato stampa del 12 ottobre 2010
ruoli femminili in Italia tra ottocento e novecento, in «Annali dell’Istituto Cervi», 12 (1990), pp. 213-236 La popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio 2010.
P. Corti-M. Sanfilippo, Introduzione, Storia d’Italia, Annali, 24, Migrazioni, Torino, Einaudi, Indicatori demografici anno 2010, Comunicato stampa del 24 gennaio 2011
2009, pp. XIX-XXI La politica emigratoria italiana 1860-1973, in «Popolazione e Storia», IV (2003), pp. 139-172
F. Cumuli, Dai campi al sottosuolo. Reclutamento e strategie di adattamento al lavoro dei minatori La presenza italiana nella storia e nella cultura del Brasile, a cura di R. Costa-L.A. De Boni, Torino,
italiani in Belgio, in «Storicamente», 5 (2009) Fondazione Agnelli, 1991
A. Crudo, Identità fluttuanti: Italiani di Montreal e politiche del pluralismo culturale in Quebec e in Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa 1945-1957, Roma, Donzelli, 2008
Canada, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 2005 L’emigrazione italiana all’estero, in «Il giro del mondo», V (1866)

177 178

L’emigrazione italiana. Un fenomeno dimenticato dell’emigrazione nazionale, in «Storia e Futuro», G.L. Podestà, Il mito dell’impero. Economia, politica e lavoro nelle colonie italiane dell’Africa
25 (2011) Orientale, Torino, 2004
L’emigrazione italiana in Francia. Un fenomeno di lunga durata, in «Altreitalie», 26 (2003) Prigionieri di guerra ed emigrazione di massa nella politica economica della ricostruzione 944-1948. Il caso dei
Les italiens en France de 1914 à 1940, a cura di P. Milza, Roma, Collection de l’Ecole Française prigionieri italiani della Francia, in «Studi e ricerche di storia contemporanea», 51 (1999), pp. 239-268
de Rome, 1986 G. Prontera, L’emigrazione italiana verso la Repubblica federale tedesca. L’accordo bilaterale del
L’immigration italienne en France dans les années 20, Actes du colloque franco-italien (Paris 15-16 1955, la ricezione sulla stampa, il ruolo dei Centri di emigrazione di Milano e Verona, in «Storica-
octobre 1987), Paris, Cedei, 1988 mente», 4 (2008)
L’Italia in esilio: l’emigrazione italiana in Francia tra le due guerre, Archivio Centrale dello Stato, E. Pugliese-D. Sabatino, La Campania. Emigrazione. Immigrazione, Napoli, Guida, 2006
Roma, Cedei, Paris, Centro Studi Piero Gobetti, Torino, Istituto Italiano di Cultura, Paris, Edi- G. R ando, Emigrazione e letteratura: il caso italoaustraliano, Cosenza, Pellegrini, 2004
zione bilingue, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l’Informazione e S. R inauro, La disoccupazione di guerra, in «Storia in Lombardia», XVIII, 2-3 (1998), pp. 549-595
l’Editoria, 1993 A.F. Rolle, Gli italiani che nell’Ottocento fecero fortuna nel West, Milano, Bur, 2003
Little Italies e New deal. La coalizione rooseveltiana e il voto italoamericano a Filadelfia e Pittsburgh, R. Romano, Il lungo cammino dell’emigrazione italiana, in «Altreitalie», 7 (1992)
a cura di S. Luconi, , Milano, Franco Angeli, 2002 F. Romero, Emigrazione e integrazione europea 1945-1973, Roma, Edizioni Lavoro, 1991
S. Luconi, La “diplomazia parallela”: il regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-america- G. Rosoli, Movimento cattolico ed emigrazione, in Dizionario del movimento cattolico, I fatti e le
ni, Milano, Franco Angeli, 2000 idee, Casale Monferrato, Edizioni Mariotti, 1981, vol. 1/2, pp. 137-142
G. Manfredonia, Les Anarchistes italiens en France dans la lutte antifasciste, in «Collection de G. Sacchetti, Gli anarchici contro il fascismo, in «Acrataz», dicembre 2003
l’Ecole francaise de Rome», 94 (1986) D. Sacco, La febbre d’America. Il socialismo italiano e l’emigrazione (1898-1915), Manduria-Bari-
P. Mantegazza, Rio de la Plata e Tenerife. Viaggi e studi, Milano, Brigola, 1867 Roma, Lacaita, 2001
B. M antelli, L’emigrazione di manodopera italiana nel Terzo Reich, in Partenze. Storia dell'emigra- P. Salvetti, Il movimento emigratorio italiano durante la prima guerra mondiale, in «Studi emigra-
zione italiana, Roma, Donzelli, 2007, pp. 343-351 zione», 87 (1987)
G.G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo. Alle origini dell’egemonia americana in Italia, Milano, M. Sanfilippo, La storiografia sui fenomeni migratori a lungo raggio nell’Italia dell’età contempora-
Editrice Feltrinelli, 1980 nea, in «Bollettino di Demografia Storica», 13 (1990), pp. 55-66
P. Milza, Le fascisme italien et la presse française, 1920-1940, Paris, Editions complexe, 1987 G. Sanna, Gli immigrati italiani in Francia alla fine dell’Ottocento e il massacro di Aigues Mortes, in
L. Mittone, Le rimesse degli emigranti fino al 1914, in «Affari sociali internazionali», 4 (1984), pp. «Studi storici», XLVII (2006), pp. 185-218
123-160 E. Scarzanella, Italiani d’Argentina. Storie di contadini, industriali, missionari italiani in Argentina
Modelli di emigrazione regionale dall’Italia centro-settentrionale, in «Archivio storico dell’emigra- 1850-1912, Padova, Marsilio, 1983
zione italiana» II (2006) Storia dell’economia italiana, a cura di R. Romano, Torino, Einaudi, 1991
Modelli di emigrazione regionale dall’Italia centro-meridionale, in «Archivio storico dell’emigrazio- P. Sergi, Fascismo e antifascismo nella stampa italiana in Argentina: così fu spenta la “Patria degli
ne italiana», IIII (2007) italiani”, in «Altreitalie», luglio-dicembre 2007
A. Molinari, Porti, trasporti, compagnie, in Storia dell’Emigrazione italiana, a cura di P. Bevilac- R. Schon, Histoire de l’immigration en France, Paris, Colin, 1996
qua-A. De Clementi-E. Franzina, Roma, Donzelli, 2009 C. Sommaruga, L’internamento: memoria, rimozione e azioni dei reduci e degli “altri”, in Dopo il
A. Morelli, Fascismo e antifascismo nell’emigrazione italiana in Belgio (1922-1940,) Roma, Bonacci, 1987 lager. La memoria della prigionia e dell’internamento nei reduci e negli “altri”, a cura di C. Somma-
A. Morelli, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale ruga, Napoli, Guaisco, 1995
Umbra, 2004 E. Sori, Alcune determinanti dell’emigrazione italiana in Francia tra Ottocento e Novecento, in «Stu-
M.R. Ostuni, Leggi e politiche di governo, in Storia dell’emigrazione italiana, a cura di P. Bevilac- di Emigrazione», XXVI, 93 (1989), pp. 2-21
qua-A. De Clementi-E. Franzina, Roma, Donzelli, 2009 Spiriti liberi in Svizzera. La presenza di fuoriusciti italiani nella Confederazione negli anni del fa-
B.M. Pagani, L’emigrazione friulana dalla metà del secolo XIX al 1940, Udine, Arti grafiche friu- scismo e del nazismo (1922-1945), a cura di R.Castagnola-F. Panzera-M. Spiga, Firenze, Franco
lane, 1968 Cesati Editore, 2006
A. Paginoni-D. O’ Connor, Se la Processione Va Bene...Religiosità Popolare Italiana nel Sud Austra- L. Sponza, Gli italiani in Gran Bretagna: profilo storico, in «Altreitalie», gennaio-giugno 2005
lia, Roma, CSER, 1999 La stampa italiana in Argentina, a cura di F. Bertagna, Roma, Donzelli, 2009
R. Paris, Gli italiani fuori d’Italia. L'emigrazione, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1975, vol. IV, G.A. Stella, Quando fummo braccia, Milano, Rizzoli, 2010
pp. 525-600 Storia dell’emigrazione italiana, a cura di P. Bevilacqua-A. De Clementi-E. Franzina, Roma, Don-
N. Pasotti, Italiani e Italia In Tunisia dalle origini al 1970, Firenze, Finzi, 1970 zelli, 2009
M. Pelli, Parole di migranti. Storie di vita e di lavoro nell’acciaieria svizzera Monteforno, in «Stori- Storia degli italiani in Argentina, a cura di F.J. Devoto, Roma, Donzelli, 2007
camente», 4 (2008), http://www.storicamente.org/07_dossier/migrazioni-pelli_print.htm Storia d’Italia, Annali, vol. 24, Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009
A. Pepe-I. Del Biondo, Le politiche sindacali dell’emigrazione, in Partenze. Storia dell'emigrazione italiana M. Strazza, Emigrazione e fascismo in Basilicata. Gli emigrati lucani negli Stati Uniti e l’appoggio al
... cit. fascismo, Melfi, Tarsia Editore, 2004
Percorsi dell’emigrazione italiana negli anni della Ricostruzione: morire a Dien Bien Phu da emigran- L. Tibaldo, Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Torino,
te clandestino, in «Altreitalie», (2005) Claudiana, 2008
P. Pinna, Operai italiani in una regione di frontiera. Storia delle migrazioni italiane in Lorena (1890- G. Tintori, Cittadinanza e politiche di emigrazione nell’Italia liberale e fascista. Un approfondimento
1939), in «Storicamente», 5 (2009), http://www.storicamente.org/07_dossier/emigrazione-italiana- storico, in Familismo legale, a cura di G. Zincone, Rona, Laterza, 2006, pp. 52-106
in-francia.htm M. Tirabassi, Donne Women Mulheres. Per una storia comparata delle italiane in Brasile, in Dal
G. Pizzorusso, Mobilità e flussi migratori prima dell’età moderna: una lunga introduzione, in «Ar- Piemonte allo Espirito Santo. Aspetti dell’emigrazione italiana in Brasile tra Ottocento e Novecento,
chivio storico dell’emigrazione italiana», III (2007), pp. 205-222 a cura di M. R eginato, Torino, Altreitalie, 1996, pp. 53-64

179 180
S. Tombaccini, Storia dei fuoriusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988
A. Trento, Là dov’è la raccolta del caffè. L’emigrazione italiana in Brasile: 1875-1940, Padova, An-
tenore, 1984
P. Villani, Trasformazioni delle società rurali nei paesi dell’Europa occidentale e mediterranea, Na-
poli, Guida, 1986
L. Villari, L’emigrazione italiana e gli Stati Uniti, Salem N.H., Ayer Publishing, 1975
J.E. Zucchi, Italians in Toronto. Development of a national identity 1875-1935, Montreal, McGill-
Queens University Press, 1988

LEGGI E DECRETI

Legge 30 dicembre 1986 n. 943, Norme in materia di collocamento dei lavoratori extracomunitari
immigrati e contro le immigrazioni clandestine, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 8 del 12
gennaio 1986
Legge 28 febbraio 1990 n. 39, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre
1989, n. 416, recante norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini
extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territo-
rio dello Stato. Disposizioni in materia di asilo, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 49 del 28
febbraio 1990
Decreto Legge 18 novembre 1995 n. 489, Disposizioni urgenti in materia di politica dell’immigra-
zione e per la regolamentazione dell’ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei
paesi non appartenenti all’Unione Europea, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 270 del 18
novembre 1995
Legge 6 marzo 1998 n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 59 del 12 marzo 1998
Legge 30 luglio 2002 n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, pubbli-
cata sulla «Gazzetta Ufficiale», n. 199 del 26 agosto 2002
Legge 15 luglio 2009 n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, pubblicata sulla «Gazzetta
Ufficiale», n. 170 del 24 luglio 2009

Finito di stampare in Italia nel mese di ottobre 2011


da Pacini Editore Industrie Grafiche - Ospedaletto (Pisa)
181 per conto di Edifir-Edizioni Firenze

Potrebbero piacerti anche