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L’Emigrazione

L'emigrazione italiana è un fenomeno emigratorio su larga scala finalizzato all'espatrio che interessa la popolazione
italiana, che ha riguardato dapprima l'Italia settentrionale e poi, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno d'Italia,
conoscendo peraltro anche consistenti movimenti interni, compresi cioè all'interno dei confini geografici del Paese.
Sono stati tre i periodi durante i quali l'Italia ha conosciuto un cospicuo fenomeno emigratorio destinato all'espatrio.
Il primo periodo, conosciuto come Grande Emigrazione, ha avuto inizio nel 1861 dopo l'Unità d'Italia ed è terminato
negli anni venti del XX secolo con l'ascesa del fascismo. Il secondo periodo di forte emigrazione all'estero,
conosciuto come Migrazione Europea, è avvenuto tra la fine della seconda guerra mondiale (1945) e gli anni
settanta del XX secolo. Tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il Paese, senza farvi più ritorno, circa 18.725.000
italiani. I loro discendenti, che sono chiamati "oriundi italiani", possono essere in possesso, oltre che della
cittadinanza del Paese di nascita, anche della cittadinanza italiana dopo averne fatto richiesta, ma sono pochi i
richiedenti che risiedono fuori Italia. Gli oriundi italiani ammontano nel mondo a un numero compreso tra i 60 e gli
80 milioni
Una terza ondata emigratoria destinata all'espatrio, che è cominciata all'inizio del XXI secolo e che è conosciuta
come Nuova Emigrazione, è causata dalle difficoltà che hanno avuto origine nella grande recessione, crisi
economica mondiale che è iniziata nel 2007. Questo terzo fenomeno emigratorio, che ha una consistenza numerica
inferiore rispetto ai due precedenti, interessa principalmente i giovani, spesso laureati, tant'è che viene definito come
una "fuga di cervelli". Secondo l'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), il numero di cittadini italiani che
risiedono fuori dall'Italia è passato dai 3.106.251 del 2006 ai 4.973.942 del 2017, con un incremento pari al 60,1%

.Tra il 1861 e il 1985 gli italiani che hanno lasciato il proprio Paese sono stati circa 29 milioni: di questi, 10.275.000
sono successivamente tornati in Italia (35%), mentre 18.725.000 si sono definitivamente stabiliti all'estero (65%)
senza farvi più ritorno. Nell'arco di poco più di un secolo è emigrato un numero consistente di italiani, soprattutto
considerando la popolazione residente nella Penisola al momento della proclamazione del Regno d'Italia (1861) che
era, considerando i confini attuali (cioè anche con Lazio e Triveneto), pari a circa 26 milioni di italiani (la
popolazione italiana raggiunse poi, nel 1981, i 56 milioni di abitanti). Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni
italiane. Tra il 1876 e il 1900 l'emigrazione italiana interessò prevalentemente l'Italia settentrionale, con tre regioni
che fornirono da sole più del 47% dell'intero contingente migratorio: il Veneto (17,9%), il Friuli-Venezia
Giulia (16,1%) ed il Piemonte (13,5%). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò all'Italia meridionale,
con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da
tutta Italia,

La causa principale dell'emigrazione italiana fu la povertà, dovuta alla mancanza di terra da lavorare, specialmente
nell'Italia meridionale. Altre motivazioni furono problemi politici interni, tra cui l'avversione dello Stato italiano
verso gli anarchici, tant'è che molti di essi decisero di emigrare e l'insicurezza causata dalla criminalità organizzata.
Altre difficoltà sorgevano dai contratti agricoli in uso nel XIX secolo, specialmente nel nord est e nel sud, che non
erano convenienti per gli agricoltori, molti dei quali furono spinti a lasciare l'Italia in cerca di condizioni migliori.

Altra decisiva causa che si aggiunse a quelle sopracitate fu la sovrappopolazione, soprattutto nell'Italia meridionale,
che ebbe origine dal miglioramento delle condizioni socio-economiche del Paese, avvenuto nei primi decenni dopo
l'unificazione nazionale (1861). Le famiglie dell'Italia meridionale iniziarono infatti ad avere accesso (per la prima
volta) agli ospedali, a migliori condizioni igieniche e a un più costante approvvigionamento di cibo.
Raffaello Gambogi, Gli emigranti, 1894

Ciò portò a una crescita demografica, che spinse le nuove generazioni, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX
secolo, ad emigrare all'estero, soprattutto nelle Americhe. Contemporaneamente il capitale industriale si diffuse,
dalla sua precedente ed esclusiva concentrazione nelle città dell'Europa settentrionale e nel Regno Unito, anche nelle
Americhe, e nelle piantagioni e nelle miniere nelle colonie europee in Africa e in Asia. Questa diffusione di capitali
creò milioni di posti di lavoro non qualificati in tutto il mondo: ciò invogliò milioni di italiani a lasciare il proprio
Paese in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori
Si può suddividere l'emigrazione italiana in tre fasi temporali: la cosiddetta grande emigrazione, che avvenne tra la
fine del XIX secolo e gli anni trenta del XX secolo (dove fu preponderante l'emigrazione verso le Americhe),
l'emigrazione europea, che ha avuto inizio negli anni cinquanta e che è terminata negli anni settanta del XX secolo,
e la nuova emigrazione, che è iniziata all'inizio del XXI secolo a causa della grave crisi economica del 2007-2008.
Nel 2011, a livello mondiale, erano 4.636.647 gli italiani residenti all'estero, a cui va sommato un numero compreso
tra i 60 e gli 80 milioni di discendenti degli emigrati, chiamati "oriundi italiani", che hanno lasciato il loro Paese tra
il XIX e il XX secolo senza farvi più ritorno. Questi oriundi possono essere in possesso, oltre che della cittadinanza
del Paese di nascita, anche della cittadinanza italiana.

Il quadro complessivo del fenomeno è il seguente.

Numero di emigrati italiani per decennio e per nazione di destinazione

 Stati Uniti
Anni  Francia  Germania  Argentina  Australia Altri Paesi
 Svizzera  Brasile
 Canada

1861-1870 288.000 44.000 38.000 - - - - 91.000

1871-1880 347.000 105.000 132.000 26.000 86.000 37.000 460 265.000

1881-1890 374.000 86.000 71.000 251.000 391.000 215.000 1.590 302.000

1891-1900 259.000 230.000 189.000 520.000 367.000 580.000 3.440 390.000

1901-1910 572.000 591.000 655.000 2.394.000 734.000 303.000 7.540 388.000

1911-1920 664.000 285.000 433.000 1.650.000 315.000 125.000 7.480 429.000

1921-1930 1.010.000 11.490 157.000 450.000 535.000 76.000 33.000 298.000

1931-1940 741.000 7.900 258.000 170.000 190.000 15.000 6.950 362.000

1946-1950 175.000 2.155 330.000 158.000 278.000 45.915 87.265 219.000

1951-1960 491.000 1.140.000 1.420.000 297.000 24.800 22.200 163.000 381.000

1961-1970 898.000 541.000 593.000 208.000 9.800 5.570 61.280 316.000

1971-1980 492.000 310.000 243.000 61.500 8.310 6.380 18.980 178.000

1981-1985 20.000 105.000 85.000 16.000 4.000 2.200 6.000 63.000

Partiti 6.322.000 3.458.000 4.604.000 6.201.000 2.941.000 1.432.000 396.000 3.682.000

Tornati 2.972.000 1.045.000 2.058.000 721.000 750.000 162.000 92.000 2.475.000

Rimasti 3.350.000 2.413.000 2.546.000 5.480.000 2.191.000 1.270.000 304.000 1.207.000

Totale partiti: 29.000.000 · Totale tornati: 10.275.000 · Totale rimasti: 18.725.000


Storia
Le premesse: le comunità storiche di emigrati italiana

La Torre di Galata a Istanbul, in Turchia, costruita nel 1348 dalla Repubblica di Genova e tuttora simbolo
degli italo-levantini

Una delle comunità storiche di emigrati italiani sono gli italo-levantini, che da secoli sono radicati nella
moderna Turchia, specialmente a Istanbul (l'antica Costantinopoli) e a Smirne. Gli italo-levantini, che sono insediati
nel Mediterraneo orientale dai tempi delle crociate e delle repubbliche marinare italiane, sono una piccola comunità
di discendenti dei coloni genovesi e veneziani (e in minor parte pisani e fiorentini) che si sono trasferiti
nei fondachi orientali delle repubbliche marinare, principalmente per il commercio e per il controllo del traffico
marittimo tra la penisola italiana e l'Asia. Le loro principali caratteristiche sono quelle di avere mantenuto la fede
cattolica in un Paese prevalentemente musulmano, di continuare a parlare l'italiano tra loro (pur esprimendosi anche
in turco, greco e francese nei rapporti sociali) e di non essersi fusi (con matrimoni misti) con le locali popolazioni
turche. Nei decenni intorno alla prima e alla seconda guerra mondiale vennero definiti "levantini", ovvero "italiani
del levante"[16]. Al 2017 sono presenti, in Turchia, circa 4.000 italo-levantini.
Gli italo-libanesi sono una comunità insediata in Libano che è composta da alcune migliaia di persone. Durante
il Medioevo le repubbliche marinare crearono piccole colonie commerciali nel moderno Libano, le più importante
delle quali furono le colonie genovesi di Beirut, Tripoli ,Biblo: qui si stanziarono molti coloni genovesi, che a volte
si fusero con le popolazioni locali. In tempi più recenti gli italiani sono emigrati in Libano in piccoli gruppi,
specialmente alla fine dell'Ottocento e negli anni intorno alla prima e alla seconda guerra mondiale. La maggior
parte di loro ha scelto di stabilirsi a Beirut, per via del suo stile di vita europeo. Al 2017 la comunità di italo-libanesi
è composta di circa 4.300 persone.
Gli italiani di Odessa sono menzionati per la prima volta su documenti del Duecento, quando sul territorio della
futura Odessa, città dell'Ucraina meridionale sul mar Nero, fu collocato l'ancoraggio delle navi commerciali
genovesi, che venne chiamato "Ginestra", forse dal nome della pianta di ginestra, molto diffusa nelle steppe del mar
Nero. L'affluenza degli italiani nel sud dell'Ucraina crebbe particolarmente con la fondazione di Odessa, che
avvenne nel 1794. Tutto ciò fu facilitato dal fatto che alla guida dell'appena fondata capitale del bacino del mar Nero
ci fosse un napoletano di origine spagnola, Giuseppe De Ribas, in carica fino al 1797. Nel 1797 si contavano a
Odessa circa 800 italiani, pari al 10% della popolazione totale: si trattava per lo più di commercianti e di marinai
napoletani, genovesi e livornesi, a cui poi si aggiunsero artisti, tecnici, artigiani, farmacisti e insegnanti.
La rivoluzione del 1917 fece partire molti di loro verso l'Italia, o per altre città dell'Europa. In epoca sovietica di
italiani di Odessa.
Gli italiani di Crimea sono una minoranza etnica residente nella penisola omonima, il cui nucleo più consistente si
trova nella città di Kerč'. Il primo flusso migratorio italiano giunse a Kerč' all'inizio dell'Ottocento. Nel 1820 in città
abitavano circa 30 famiglie italiane provenienti da varie regioni. Il porto di Kerč' era regolarmente frequentato da
navi italiane ed era stato aperto anche un consolato del Regno di Sardegna. Fra il 1820 e la fine del secolo giunsero
in Crimea, nel territorio di Kerč', emigranti italiani provenienti soprattutto dalle località pugliesi
di Trani, Bisceglie e Molfetta, allettati dalla promessa di buoni guadagni, dalla fertilità delle terre e dalla pescosità
dei mari. Gli italiani si diffusero anche a Feodosia (l'antica colonia
genovese di Caffa), Simferopoli, Odessa, Mariupol e in alcuni altri porti russi e ucraini del Mar Nero, soprattutto
a Novorossijsk e Batumi. Secondo il Comitato statale ucraino per le nazionalità, nel 1897 gli Italiani sarebbero stati
l'1,8% della popolazione della provincia di Kerč, percentuale passata al 2% nel 1921; alcune fonti parlano
specificatamente di tremila o cinquemila persone[19]. Con l'avvento dell'Unione Sovietica, alcune famiglie fuggirono
in Italia via Costantinopoli, mentre gli altri furono perseguitati con l'accusa di simpatizzare per il fascismo. A metà
degli anni venti del Novecento gli emigrati italiani antifascisti rifugiati in Unione Sovietica furono inviati a Kerč per
"rieducare" la minoranza italiana. A seguito di ciò, nel censimento del 1933, la percentuale degli italiani risultava
scesa all'1,3% della popolazione della provincia di Kerč. Infine, tra il 1935 e il 1938, le purghe staliniane fecero
sparire nel nulla molti italiani di Crimea, arrestati con l'accusa formale di spionaggio a favore del fascismo e di
praticare attività controrivoluzionarie. Nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, a causa dell'avanzamento
della Wehrmacht in Ucraina e in Crimea, la minoranza italiana presente sul territorio sovietico finì deportata con
l'accusa di collaborazionismo, seguendo il destino dei tedeschi del Volga, già deportata nell'agosto 1941 durante
l'Operazione Barbarossa. La popolazione degli italiani di Crimea ammonta nel 2017 a circa cinquecento persone,
anche se un censimento ufficiale non è mai stato effettuato. La maggior parte di loro risiede a Kerč, dove nel 2008 è
stata costituita l'associazione "C.E.R.K.I.O." (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea - Italiani di Origine)..

chiesa cattolica di Santa Maria Assunta a Kerč', riferimento per gli italiani di Crimea

I Genovesi di Gibilterra sono una comunità etnica radicata da secoli a Gibilterra: è costituita dai discendenti
di genovesi e – più generale – dei liguri che si sono stabiliti in questa città durante l'esistenza della Repubblica di
Genova. Questo gruppo etnico è totalmente integrato nella società di Gibilterra, e nessuno parla più
l'originaria lingua ligure. Ancora oggi si trovano con evidenza molte tracce di una comunità genovese che si insediò
a Gibilterra nel XVI secolo e che ancora ai primi del Settecento componeva quasi la metà della popolazione di
Gibilterra. Nella seconda metà dell'Ottocento si radicarono a Gibilterra anche alcuni siciliani, ma la maggior parte
della comunità italiana di Gibilterra rimase ligure. La lingua genovese era l'idioma più parlato a Gibilterra nel primo
secolo dell'occupazione britannica, ma in seguito a un'epidemia, nel 1804, che spopolò Gibilterra, perse il suo
primato per via del ripopolamento da altre aree (specialmente spagnole e portoghesi): alla fine dell'Ottocento la
comunità genovese di Gibilterra iniziò a non usare più la propria lingua, preferendo il Llanito (un misto locale di
spagnolo e inglese, che contiene circa 700 parole prese dalla lingua ligure). Il genovese scomparve da Gibilterra alla
fine dell'Ottocento La lingua ligure era parlata ancora da alcuni anziani fino agli anni settanta del Novecento a La
Caleta, un villaggio vicino a Catalan Bay nella parte nord-orientale del promontorio di Gibilterra. Al 2017 la
popolazione civile di Gibilterra con cognomi genovesi (o italiani) si aggira intorno al 20% del totale.
Tipica architettura "veneziana La "grande migrazione"[modifica | modifica wikitesto]

«Que coisa entendeis por uma nação, senhor ministro? É «Cosa intende per nazione, signor Ministro? Una massa
a massa dos infelizes? Plantamos e ceifamos o trigo, di infelici? Piantiamo grano, ma non mangiamo pane
mas nunca provamos do pão branco. Cultivamos a bianco. Coltiviamo la vite, ma non beviamo il vino.
videira, mas não bebemos o vinho. Criamos os animais, Alleviamo animali, ma non mangiamo carne. Ciò
mas não comemos a carne... Apesar disso, vós nos nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la
aconselhais a não abandonar a nossa pátria. Mas é uma nostra Patria. Ma è una Patria la terra dove non si riesce
pátria a terra em que não se consegue viver do próprio a vivere del proprio lavoro?»
trabalho?»
(Risposta di un emigrante italiano ad un ministro italiano, sec. XIX riportata da Costantino Ianni - Homens sem paz,
Civilização Brasileira, 1972, ed esposta nel Memoriale dell'immigrato di San Paolo)

Stima del numero di emigranti nei periodi 1876-1900 e 1901-1915, divisi per regione di provenienza

Con l'Unità d'Italia scomparvero, dalle campagne italiane, soprattutto quelle del sud della penisola,
quei contratti agricoli che avevano le proprie origini nel Medioevo feudale e che prevedevano che la terra fosse una
proprietà inalienabile degli aristocratici, degli ordini religiosi oppure del re. Tuttavia la scomparsa di questo sistema
feudale, e la conseguente ridistribuzione della terra, non portò i benefici sperati ai piccoli agricoltori dell'Italia
meridionale.
" nel centro storico di Corfù

Molti rimasero comunque senza terra, dato che gli appezzamenti diventavano sempre più piccoli, e quindi sempre
meno produttivi, poiché la terra veniva costantemente suddivisa tra gli eredi, frazionandosi sempre di più con il
passare delle generazioni, con la conseguenza di non essere più in grado di soddisfare i bisogni delle famiglie che la
lavoravano. Come già accennato, l'emigrazione dall'Italia meridionale venne preceduta da quella dalla parte
settentrionale e centrale della penisola italiana

. Tra il 1861 e la prima guerra mondiale, durante la grande migrazione, lasciarono l'Italia 9 milioni di abitanti, che si
diressero principalmente in America del Sud e in America del Nord (in particolare Argentina, Stati Uniti
d'America e Brasile, Paesi con grandi estensioni di terre non sfruttate e quindi con necessità di manodopera) e
in Europa, in particolare in Francia. Nel 1876 che venne effettuata la prima statistica sull'emigrazione a cura
della direzione generale di statistica.

Nave carica di emigranti italiani giunta in Brasile (1907)

A partire dalla fine del XIX secolo vi fu anche una consistente emigrazione verso l'Africa, che riguardò
principalmente l'Egitto, la Tunisia ed il Marocco, ma che nel secolo XX interessò pure l'Unione Sudafricana e
le colonie italiane della Libia e dell'Eritrea[30]. Negli Stati Uniti si caratterizzò prevalentemente come un'emigrazione
di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Brasile, Argentina ed Uruguay fu sia
stabile che temporanea (la cosiddetta emigración golondrina]). A dare avvio alla possibilità di emigrazione verso le
Americhe fu il progresso in campo navale della seconda metà dell'Ottocento, grazie al quale si iniziò a costruire navi
a scafo metallico, sempre più capienti, che ridusse sia il costo (prima improponibile per un emigrante di povere
condizioni) sia la pericolosità del viaggio. L'emigrazione verso il Brasile fu favorita a partire dal 1888, quando
fu abolita la schiavitù, evento che agevolò l'accoglienza di manodopera d'immigrazione.
Due terzi dei migranti che lasciarono l'Italia tra il 1870 e il 1914 erano uomini senza una specializzazione lavorativa
precisa. Prima del 1896, la metà dei migranti era costituita da contadini Con l'incremento del numero di emigranti
italiani all'estero, aumentarono anche le loro rimesse, che incoraggiarono un'ulteriore emigrazione, anche a fronte di
fattori che avrebbero dovuto far diminuire la necessità lasciare il Paese, come ad esempio l'aumento dei salari in
Italia. I primi emigranti che lasciarono l'Italia rimandavano in patria parte del denaro guadagnato, che veniva poi
utilizzato dai parenti e dagli amici per i biglietti necessari per emigrare. Questo fece nascere un flusso migratorio
costante perché il miglioramento delle condizioni in Italia richiese decenni prima di avere i suoi effetti, ovvero
convincere chi era nel dubbio a non lasciare il Paese. Il flusso di emigranti italiani fu anche causato da eventi
drammatici, come lo scoppio della prima guerra mondiale, che sconvolse il Paese, soprattutto la sua economia.
Come risposta, i Paesi che accoglievano i migranti italiani misero in atto delle iniziative, anche legislative, atte a
frenare il fenomeno. Esempi di tali restrizioni furono, negli Stati Uniti, l'Emergency Quota Act del 1921 e
l'Immigration Act del 1924. Anche l'Italia fascista mise in atto iniziative, negli anni venti e trenta, per frenare
l'emigrazione. Molti piccoli paesi (in particolare quelli a tradizione contadina) subirono infatti un forte fenomeno di
spopolamento. Esemplificativo è il caso del comune di Padula, piccolo centro nel salernitano, che tra il 1881 e il
1901 ha visto, nell'arco di 20 anni, il dimezzamento della sua popolazione.
L'emigrazione non ha influenzato nello stesso modo tutte le regioni italiane. Nella seconda fase dell'emigrazione
(quella dal 1900 alla prima guerra mondiale), poco meno della metà degli emigranti proveniva dal sud, e la maggior
parte di essi veniva dalle zone rurali, da dove venivano allontanati dall'inefficiente gestione della terra,
dall'insicurezza dovuta al crimine organizzato e dalle malattie (soprattutto pellagra e colera). La mezzadria, forma di
contratto agricolo che prevedeva la compartecipazione delle famiglie di contadini alle rendite grazie all'ottenimento
di una quota ragionevole dei profitti, era più diffusa nell'Italia centrale: questo è uno dei motivi per cui tale area
della penisola italiana fu quella che meno conobbe il fenomeno emigratorio.
Al sud invece mancavano gli imprenditori, con i proprietari terrieri che erano spesso assenti dalle loro aziende
agricole poiché vivevano stabilmente in città lasciando la gestione dei loro fondi a soprastanti, che non erano
stimolati dai proprietari a far rendere al massimo le tenute agricole. Sebbene la superficie di terra posseduta fosse,
per gli aristocratici, la misura tangibile della loro ricchezza, l'agricoltura era vista, da un punto di vista sociale, con
disprezzo. I possidenti terrieri generalmente non investivano in attrezzature agricole e – più generale – nel
miglioramento delle tecniche produttive, ma in obbligazioni statali a basso rischio..

Linciaggio contro italiani a New Orleans, negli Stati Uniti, avvenuto nel 1891 in seguito all'assassinio dell'agente di
polizia David Hennessy
L'emigrazione dalle città era rara, con l'unica eccezione rappresentata da Napoli. Con l'Unità d'Italia molte città, ad
esclusione di Roma, passarono dall'essere la capitale del proprio regno a rappresentare una delle tante città
italiane capoluogo di provincia. La conseguente perdita di posti di lavoro nell'ambito burocratico portò all'aumento
della disoccupazione. La situazione cambiò in parte agli inizi del 1880: le epidemie di colera iniziarono a colpire
anche le città, causando l'emigrazione di molti italiani.
Nei primi anni dopo l'Unità d'Italia l'emigrazione non era controllata dallo Stato. Gli emigranti erano spesso nelle
mani di agenti di emigrazione il cui obiettivo era fare profitto per sé stessi senza curarsi più di tanto degli interessi
degli emigranti. Questi agenti venivano chiamati "padroni". I loro abusi portarono in Italia alla prima legge
sull'emigrazione, approvata nel 1888, il cui obiettivo era quello di mettere sotto controllo statale gli organismi di
emigrazione
Il 31 gennaio 1901 fu creato il commissariato dell'emigrazione, che concedeva le licenze alle imbarcazioni,
applicava costi fissi per i biglietti, manteneva l'ordine nei porti di imbarco, ispezionava gli emigranti in partenza,
individuava ostelli e strutture di accoglienza e stipulava accordi con i Paesi di destinazione del flusso migratorio per
aiutare coloro che arrivano. Il commissariato aveva quindi la funzione di prendersi cura degli emigranti prima della
partenza e dopo il loro arrivo, di rapportarsi con le leggi che discriminavano i lavoratori stranieri (come la Alien
Contract Labor Law negli Stati Uniti) e di sospendere, per un certo periodo, l'emigrazione in Brasile, dove molti
emigranti erano diventati dei veri e propri schiavi nelle grandi piantagioni di caffè (come già accennato, era recente
l'abolizione della schiavitù in questo Paese sudamericano)[34]. In questo contesto venne emanato il decreto Prinetti,
che impediva la "schiavizzazione", nella sostanza, dell'emigrato italiano
Il commissariato aveva anche il compito di gestire le rimesse inviate dagli emigrati dagli Stati Uniti in Italia, che si
erano trasformate in un flusso costante di denaro che ammontava, secondo alcuni studi, a circa il 5% del prodotto
nazionale lordo italiano[36]. Nel 1903 il commissariato decretò anche quali sarebbero stati i porti di imbarco destinati
agli emigranti: Palermo, Napoli e Genova. In precedenza anche il porto di Venezia fu utilizzato per tale scopo: il
commissariato decise poi di depennarlo dalla lista.
La "migrazione europea"
L'emigrazione italiana della seconda metà del XX secolo ebbe invece come destinazione soprattutto le nazioni
europee in crescita economica. A partire dagli anni quaranta il flusso emigratorio italiano si diresse principalmente
in Svizzera e in Belgio, mentre dal decennio successivo, tra le mete predilette, si aggiunsero la Francia e
la Germania. Questi Paesi erano considerati da molti, al momento della partenza, come una meta temporanea –
spesso solo per alcuni mesi – nella quale lavorare e guadagnare per costruire poi un futuro migliore in Italia. Questo
fenomeno si verificò soprattutto a partire dagli anni settanta del Novecento, periodo che fu contraddistinto dal
ritorno in patria di molti emigrati italiani.
Lo Stato italiano firmò nel 1955 un patto di emigrazione con la Germania con il quale si garantiva il reciproco
impegno in materia di movimenti migratori e che portò quasi tre milioni di italiani a varcare la frontiera in cerca di
lavoro. Al 2017 sono presenti in Germania circa 700.000 oriundi italiani, mentre in Svizzera questo numero
raggiunge circa i 500.000 cittadini. Sono prevalentemente di origine siciliana, calabrese, abruzzese e pugliese, ma
anche veneta ed emiliana, molti dei quali hanno doppio passaporto e quindi la possibilità di voto in entrambe le
nazioni. In Belgio e Svizzera le comunità italiane restano le più numerose rappresentanze straniere, e nonostante
molti facciano rientro in Italia dopo il pensionamento, spesso i figli e i nipoti rimangono nelle nazioni di nascita,
dove hanno ormai messo radici.
Un importante fenomeno di aggregazione che si riscontra in Europa, come anche negli altri Paesi e continenti che
sono stati meta dei flussi migratori di italiani, è quello dell'associazionismo di emigrazione. Il Ministero degli
Esteri calcola che siano presenti all'estero oltre diecimila associazioni costituite dagli emigrati italiani nel corso di
oltre un secolo. Associazioni di mutuo soccorso, culturali, di assistenza e di servizio che hanno costituito un
fondamentale punto di riferimento per le collettività emigrate nel difficile percorso di integrazione nei Paesi di
arrivo. Le maggiori reti associative di varia ispirazione ideale sono oggi riunite nella CNE (Consulta Nazionale
dell'Emigrazione). Una delle maggiori reti associative presenti al mondo, assieme a quelle del mondo cattolico, è
quello della Federazione italiana dei lavoratori emigrati e famiglie

La "nuova emigrazione" del XXI secolo

Riccardo Giacconi, fisico italiano naturalizzato statunitense, vincitore del premio Nobel per la fisica nel 2002. È


emigrato negli Stati Uniti nel 1956

Tra la fine del XX secolo e l'inizio del successivo si è molto attenuato il flusso di emigrati italiani nel mondo.
Tuttavia, in seguito agli effetti della grave crisi economica che ha avuto inizio nel 2007, dalla fine degli anni
duemiladieci è ripartito un flusso continuo di espatrii, numericamente inferiore ai due precedenti, che interessa
principalmente i giovani, spesso laureati, tant'è che viene definito come una "fuga di cervelli".
In particolare tale flusso è principalmente diretto verso la Germania, dove sono giunti, solo nel 2012, oltre 35.000
italiani, ma anche verso altri Paesi come il Regno Unito, la Francia, la Svizzera, il Canada, l'Australia, gli Stati Uniti
d'America e i Paesi sudamericani. Si tratta di un flusso annuo che, stando ai dati dell'anagrafe degli italiani residenti
all'estero (AIRE) del 2012, si aggira intorno alle 78.000 persone con un aumento di circa 20.000 rispetto al 2011,
anche se si stima che il numero effettivo delle persone che sono emigrate sia notevolmente superiore (tra il doppio e
le tre volte), in quanto molti connazionali cancellano la loro residenza in Italia con molto ritardo rispetto alla loro
partenza effettiva.
Il fenomeno della cosiddetta "nuova emigrazione" causata dalla grave crisi economica riguarda peraltro tutti i Paesi
del sud Europa come Spagna, Portogallo e Grecia (oltre all'Irlanda e alla Francia) che registrano analoghe, se non
maggiori, tendenze emigratorie. È opinione diffusa che i luoghi dove non si registrino mutamenti strutturali nelle
politiche economico-sociali siano quelli più soggetti all'aumento di questo flusso emigratorio. Per quanto riguarda
l'Italia è anche significativo il fatto che tali flussi non riguardino più soltanto le regioni del meridione italiano, ma
anche quelle del nord, come Lombardia ed Emilia-Romagna.
Si tratta di nuovo tipo di emigrazione, molto diversa da quella storica. Non è quindi riconducibile, per tipologia, ai
flussi migratori dei secoli scorsi. Secondo le statistiche disponibili, la comunità dei cittadini italiani residenti
all'estero ammonta a 4.600.000 persone (dati del 2015). È quindi ridotta di molto, da un punto di vista percentuale,
dai 9.200.000 dei primi anni venti (quando era circa un quinto dell'intera popolazione italiana).
"Rapporto Italiani nel Mondo 2011" realizzato della Fondazione Migrantes, che fa capo alla CEI, ha precisato che:

«Gli italiani residenti all'estero al 31 dicembre 2010 risultavano 4.115.235 (il 47,8% sono donne). La comunità
italiana emigrata continua ad aumentare sia per nuove partenze, che proseguono, sia per crescita interna
(allargamento delle famiglie o persone che acquistano la cittadinanza per discendenza). L'emigrazione italiana si
concentra in prevalenza tra l'Europa (55,8%) e l'America (38,8%). Seguono l'Oceania (3,2%), l'Africa (1,3%) e l'Asia
con lo 0,8%. Il Paese con più italiani è la Argentina (648.333) seguito da Germania (631.243) e Svizzera
(520.713).Inoltre, il 54,8% degli emigrati italiani è di origine meridionale (oltre 1.400.000 del Sud e quasi 800.000
delle Isole); il 30,1% proviene dalle regioni settentrionali (quasi 600.000 dal Nord-Est e 580.000 dal Nord-Ovest); il
15% (588.717) è, infine, originario delle regioni centrali. Gli emigrati del Centro-Sud sono la stragrande
maggioranza in Europa (62,1%) e in Oceania (65%). In Asia e in Africa, invece, la metà degli italiani proviene dal
Nord. La regione che ha più emigrati è la Sicilia (646.993), seguita da Campania (411.512), Lazio (346.067),
Calabria (343.010), Puglia (309.964) e Lombardia (291.476). Quanto alle province con più italiani all'estero, il record
spetta a Roma (263.210), seguita da Agrigento (138.517), Cosenza (138.152), Salerno (108.588) e Napoli (104.495).
(Rapporto della CEI sulla "Nuova emigrazione")
Nel 2008 circa 60.000 italiani hanno cambiato cittadinanza; essi provengono per lo più dal Nord Italia (74%) e
hanno prediletto, come patria di adozione, la Germania (il 12% del totale degli emigrati)

Cittadini italiani residenti all'estero


Per il calcolo del numero dei cittadini italiani residenti all'estero ci si affida al numero degli iscritti all'anagrafe degli
italiani residenti all'estero (AIRE). L'evoluzione negli anni del numero degli iscritti all'AIRE (in migliaia) è la
seguente
Nello specifico i cittadini italiani iscritti all'AIRE, e quindi residenti all'estero, sono:

L'emigrazione italiana per continente[modifica | modifica wikitesto]


In Africa[modifica | modifica wikitesto]

Chiesa della Beata Vergine del Rosario di Asmara, costruita dagli italo-eritrei nel 1923

Ai tempi del colonialismo italiano la presenza di emigrati italiani in Africa era consistente, per poi andare via via
scemando dopo la sconfitta dell'Italia nella seconda guerra mondiale, che portò alla perdita di tutti i territori
coloniali. Nel Corno d'Africa, in particolare, l'insediamento di italiani fu cospicuo. Nell'Eritrea italiana la presenza
di italo-eritrei passò dai 4.000 dello scoppio della prima guerra mondiale (1915) ai 100.000 dell'inizio della seconda
guerra mondiale (1940) (con 49.000 italiani che vivevano nella capitale, ad Asmara, costituendone il 10% della
popolazione). Al 2017 in Eritrea sono rimaste poche centinaia di italiani. Analogamente ci fu una tangibile presenza
di italiani anche in Etiopia, che fu colonia italiana per sei anni (1936-1941). In questo periodo gli italo-
etiopici raggiunsero la cifra di 300.000, di cui 38.000 vivevano nella capitale, Addis Abeba. Al 2017 ne sono rimasti
poche decine.
Nel 1940, nella Libia italiana, la presenza di coloni italiani ammontava a 150.000 unità, che rappresentavano il 18%
della popolazione totale. Gli italo-libici risiedevano principalmente nelle città, come a Tripoli (di cui costituivano il
37% della popolazione totale) e a Bengasi (31%). Il loro numero iniziò a diminuire dopo il 1946, a seconda guerra
mondiale terminata, dopo che la Libia diventò colonia britannica. La maggior parte degli italiani fu espulsa
successivamente, nel 1970, dopo l'instaurazione del regime di Muʿammar Gheddafi[59]. Diverse centinaia di italo-
libici tornarono nel Paese africano nel XXI secolo, dopo la prima guerra civile libica, che destituì Gheddafi.
Presenza di emigrati italiani in Libia

Ann Popolazione
Italiani Percentuale Fonti
o totale

1936 112.600 13,26% 848.600 Enciclopedia Geografica Mondiale K-Z, De Agostini, 1996

1939 108.419 12,37% 876.563 Guida Breve d'Italia Vol.III, C.T.I., 1939 (Censimento Ufficiale)

1962 35.000 2,1% 1.681.739 Enciclopedia Motta, Vol.VIII, Motta Editore, 1969

1982 1.500 0,05% 2.856.000 Atlante Geografico Universale, Fabbri Editori, 1988

L'Aménagement Linguistique dans le Monde Archiviato il 26 aprile 2009 in Internet


2004 22.530 0,4% 5.631.585
Archive.

Nella Somalia italiana la presenza di coloni italiani raggiunse, nel 1940, le 50.000 unità, che costituivano il 5% della
popolazione totale[60][61]. Gli italo-somali risiedevano principalmente nelle più importanti città della parte centrale e
meridionale del territorio della colonia italiana (10.000 nella sola Mogadiscio, capitale della Somalia). Altre
importanti aree di insediamento includevano Giohar, che fu fondata dal duca Luigi Amedeo di Savoia-Aosta. Al
2017 sono presenti in Somalia, complice la guerra civile somala, solo quattro italo-somali.
Cospicua fu la presenza di emigrati italiani anche in territori che non sono mai stati colonie italiane, come l'Egitto:
nel 1940 gli italo-egiziani raggiunsero la cifra di 55.000, costituendo la seconda comunità di immigrati in questo
Paese africano. Al 2017 gli italo-egiziani ammontano ad alcune migliaia. Degni di nota, sempre in Africa, sono
anche gli italo-marocchini e gli italo-algerini, anch'essi presenti in territori che non sono mai stati colonie italiane.
Una presenza limitata di italiani si è registrata nelle colonie portoghesi africane durante gli eventi legati alla seconda
guerra mondiale. Il Portogallo facilitò questa immigrazione per aumentare l'insediamento di europei nelle proprie
colonie, nelle quali i portoghesi erano un'esigua minoranza. Con il tempo la presenza italiana nelle colonie
portoghesi è scomparsa, gradualmente assimilata dalla comunità portoghese.
Sebbene gli italiani non siano emigrati in Sudafrica in gran numero, quelli che sono giunti in questo Paese hanno
lasciato una traccia tangibile. Prima della seconda guerra mondiale ne giunsero pochi. I primi consistenti arrivi si
registrarono durante la seconda guerra mondiale, quando giunsero nel 1941 a Durban come prigionieri di
guerra catturati dai britannici nell' Dato che nelle carceri militari ebbero un buon trattamento, terminata la guerra,
molti di loro decisero di restare in Sudafrica, fondando così la comunità degli italo-sudafricani. Su un totale di
100.000 prigionieri, rimasero in Sudafrica qualche migliaio di italiani: al 2017 sono 85.000 gli italo-sudafricani.
Alcuni di essi hanno avuto modo di influenzare l'architettura di numerosi edifici dell'area del Natal e del Transvaal,
visto che molti di loro sono diventati apprezzati architetti.
Nel 1926, in Tunisia, erano presenti 90.000 italiani a fronte di 70.000 francesi: ciò era inusuale, visto che la Tunisia
era protettorato francese l'immigrazione italiana era infatti dovuta alla vicinanza del Paese africano alle coste
italiane) Al 2017 gli italo-tunisini si sono ridotti a poche migliaia.

L'emigrazione interna

Italiani che abbandonano Pola via nave durante l'esodo giuliano dalmata


Monumento a Giuseppe Garibaldi nella piazza omonima a Nizza

La prima emigrazione interna, cioè compresa all'interno dei confini geografici dell'Italia, avvenne tra la seconda
metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento. Fu quella che interessò il trasferimento di migranti stagionali dai
territori "irredenti", ovvero non ancora annessi alla madre patria (Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia), verso il
vicino Regno d'Italia. Gli uomini in genere lavoravano come "segantini" (cioè impiegati nella sega a mano dei
tronchi), "moléti" (arrotini) e salumai; le donne emigravano invece per lavorare nelle città come badanti o come
personale di servizio nelle famiglie abbienti. Tale emigrazione era usualmente stagionale (soprattutto per gli uomini)
e caratterizzava il periodo invernale durante il quale i contadini non potevano lavorare la terra. Questo contesto
migratorio di fine Ottocento fu studiato dal sacerdote trentino e giudicariese don Lorenzo Guetti padre della
cooperazione trentina, che in un suo articolo scriveva: "Se non ci fosse l'Italia, noi giudicariesi, dovremmo crepare
dalla fame"
Un'altra emigrazione interna, che interessò i medesimi territori, ma in un contesto storico completamente diverso, fu
l'esodo giuliano dalmata, noto anche come "esodo istriano", che consistette nella diaspora forzata della maggioranza
dei cittadini di etnia e di lingua italiana che si verificò a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (1945), e
negli anni successivi, dai territori del Regno d'Italia prima occupati dall'Esercito Popolare di Liberazione della
Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia. Il fenomeno, susseguente
agli eccidi noti come massacri delle foibe, coinvolse in generale tutti coloro che diffidavano del nuovo governo
jugoslavo e fu particolarmente rilevante in Istria e nel Quarnaro, dove si svuotarono dai propri abitanti interi villaggi
e cittadine. Nell'esilio furono coinvolti tutti i territori ceduti dall'Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi e anche
la Dalmazia, dove vivevano i dalmati italiani.

Filmografia sull'emigrazione italiana[modifica | modifica wikitesto]

Una scena del film Passaporto rosso


Una scena del film Sacco e Vanzetti

Una scena del film Il cammino della speranza

Una scena del film Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata

Una scena del film Pane e cioccolata

Un'altra emigrazione interna, che interessò i medesimi territori, ma in un contesto storico completamente diverso, fu
l'esodo giuliano dalmata, noto anche come "esodo istriano", che consistette nella diaspora forzata della maggioranza
dei cittadini di etnia e di lingua italiana che si verificò a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (1945), e
negli anni successivi, dai territori del Regno d'Italia prima occupati dall'Esercito Popolare di Liberazione della
Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia. Il fenomeno, susseguente
agli eccidi noti come massacri delle foibe, coinvolse in generale tutti coloro che diffidavano del nuovo governo
jugoslavo e fu particolarmente rilevante in Istria e nel Quarnaro, dove si svuotarono dai propri abitanti interi villaggi
e cittadine. Nell'esilio furono coinvolti tutti i territori ceduti dall'Italia alla Jugoslavia con il trattato di Parigi e anche
la Dalmazia, dove vivevano i dalmati italiani.
Si stima che l'esodo giuliano-dalmata abbia interessato un numero compreso tra i 250.000 e i 350.000 italiani. I
massacri delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata sono ricordati dal Giorno del ricordo, solennità civile
nazionale italiana celebrata il 10 febbraio di ogni anno. In questo contesto avvenne anche l'esodo dei cantierini
monfalconesi, ovvero dei circa 2.500 lavoratori del Friuli-Venezia Giulia che a cavallo tra il 1946 e il 1948
emigrarono in Jugoslavia per offrire le proprie competenze professionali presso i cantieri navali di Fiume e di Pola,
da poco ceduti dall'Italia alla Juogoslavia in seguito al trattato di Parigi. Molti profughi giuliani e dalmati si
stabilirono oltre il nuovo confine, nel territorio rimasto italiano, soprattutto a Trieste e nel Nord-Est. Altri
emigrarono in Europa e decine di migliaia nel resto del mondo. In America gli esuli si stabilirono prevalentemente
in Stati Uniti, Canada, Argentina, Venezuela e Brasile; in Australia si concentrarono maggiormente nelle città più
grandi, Sydney e Melbourne. Ovunque siano andati, gli esuli hanno organizzato associazioni che si sono dedicate
alla conservazione della propria identità culturale, pubblicando numerosi testi sui fatti luttuosi del periodo bellico e
post-bellico
Ci fu anche un'emigrazione storica di italofoni dalla Francia all'Italia. La Corsica passò dalla Repubblica di
Genova alla Francia nel 1770, mentre la Savoia e l'area intorno a Nizza passarono dal Regno di Sardegna alla
Francia nel 1860: in entrambi i casi si ebbe un fenomeno di francesizzazione, con conseguente emigrazione di
italofoni verso l'Italia e la quasi totale scomparsa della lingua italiana da queste zone. Per quanto riguarda Nizza, il
fenomeno emigratorio verso l'Italia è conosciuto come "esodo nizzardo".

"Treno del sole", convoglio che attraversava l'Italia da Palermo a Torino e che era destinato agli emigranti
meridionali che si dirigevano al nord

L'emigrazione interna ai confini nazionali italiani continuò, seppur numericamente limitata ma questa volta estesa a
tutta Italia, durante l'epoca fascista, ovvero dagli anni venti agli anni quaranta del Novecento, questa volta.Il regime
guidato da Benito Mussolini era però contrario a questi movimenti migratori, tant'è che mise in atto dei
provvedimenti legislativi che ostacolarono, ma non fermarono, questi spostamenti. Un esempio fu una legge del
1939 che consentiva il trasferimento in un altro comune italiano solo nel caso in cui il migrante fosse stato in
possesso di un contratto di lavoro di un'azienda che aveva sede nella municipalità di destinazione. All'epoca i flussi
migratori interni interessavano anche i trasferimenti dalle campagne alle città, movimenti che sono definiti, più
propriamente, "mobilità" interna: per "emigrazione" si intendono infatti i flussi da una regione italiana all'altra.

Scorcio delle Acciaierie Falck di Sesto San Giovanni (MI), in Lombardia

Con la caduta del fascismo (1943) e la fine della seconda guerra mondiale (1945) iniziò un imponente flusso
migratorio interno che interessò il trasferimento di emigranti da una regione italiana all'altra. Questa emigrazione
interna venne sostenuta e fatta costantemente crescere dalla crescita economica che l'Italia conobbe tra gli anni
cinquanta e gli anni sessanta del XX secolo (il cosiddetto "boom economico"). Dato che questa crescita
dell'economia riguardava perlopiù l'Italia nord-occidentale, che fu coinvolta dalla nascita di molte attività industriali,
i fenomeni migratori interessarono i contadini del Triveneto e dell'Italia meridionale, che iniziarono a trasferirsi in
grandi numeri nelle zone più industrializzate del Paese. Anche altre aree dell'Italia settentrionale furono interessate
da fenomeni di emigrazione: un esempio sono le zone rurali di Mantova e Cremona. Le mete di questi emigranti
lombardi furono principalmente Milano, Torino, Varese, Como, Lecco e la Brianza[112]. La popolazione rurale delle
aree sopraccennate iniziò a emigrare nei grandi centri industriali del nord-ovest, soprattutto nel cosiddetto "triangolo
industriale, ovvero nell'area corrispondente al poligono a tre lati con vertici nelle città di Torino, Milano e Genova.
Anche alcune città dell'Italia centrale e meridionale (come Roma, che fu oggetto di immigrazione per via delle
assunzioni lavorative in campo amministrativo e nel settore terziario) conobbero un cospicuo flusso immigratorio. A
questi movimenti migratori si affiancarono altri flussi di intensità minore, come i trasferimenti dalle campagne alle
città minori e gli spostamenti dalle zone montagnose alle pianure.

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