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Analisi della Prefazione de i Malavoglia

Secondo la pratica ben consolidata di corredare i propri testi inventivi con gli
adeguati strumenti teorici che ne spieghino motivazioni e finalità, anche I
Malavoglia, pubblicati dall’editore milanese Treves nel febbraio del 1881 (ma
il romanzo viene terminato il 2 luglio dell’anno precedente), non sfuggono a
questa “regola” verghiana.

La nota Prefazione al romanzo del 1881, prima di calare il lettore nel tempo
senza storia dei Malavoglia, si sofferma su alcuni punti fondamentali per
comprendere al meglio l’operazione verista, in cui si uniscono due dei principali
interessi di ricerca di Verga, attivi sin dagli anni di composizione delle
novelle: l'interesse per la "questione meridionale" e la presenza di un
concreto mercato di pubblico cui rivolgersi. L’autore chiarisce che quello che
presenta è “lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono
nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel
benessere”, cui s’associa quella “vaga bramosìa dell’ignoto” che ben conosce il
personaggio di ‘Ntoni nel romanzo. L'indagine sociologica si fonde così con
l'invenzione romanzesca: la vicenda dei Malavoglia illustra come l'affermazione
del benessere moderno non sia esente da una serie di tragedie silenziose
che colpiscono i più deboli, soprattutto quand'essi s'arrischiano fuori dal loro
mondo chiuso e ristretto 1 (come prova a fare la famiglia con l'affare dei
lupini, o 'Ntoni con il suo esilio volontario in cerca di fortune e ricchezze). La
famiglia siciliana di cui stiamo per conoscere le drammatiche sorti è allora un
perfetto exemplum di come operi la “fiumana del progresso”, sin dagli
scalini più bassi della scala sociale; al tempo stesso, l’evocazione dei
Malavoglia permette al romanziere di annunciare al proprio pubblico quali
saranno le altre sue fatiche letterarie:

Soddisfatti questi [e cioè i “bisogni materiali” dei pescatori siciliani], la ricerca


diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro don
Gesualdo, incorniciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di
provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno
più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa di Leyra,
e ambizione dell’Onorevole Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il quale
riunisce tutte coteste bramosìe [...] e ne è consunto.

Se in questa ascesa “il congegno della passione va complicandosi”, quello di


Verga è davvero uno sguardo progettuale ad ampio raggio prospettico, che
illustri come l'"avidità di ricchezze" sia un forte propellente per ogni ordine e
ceto sociale; l’idea di questo ciclo romanzesco, ispirato dai Rougon-
Macquart (1871-1893) di Émile Zola e simbolicamente dedicato ai "vinti" dalla
macchina sociale, mette infatti in luce tutta la finezza letteraria e sociologica di
Giovanni Verga. Si noti infatti che, rispetto alla posizione tardo-romantica delle
opere giovanili (si pensi alla Prefazione di Eva), Verga non nega l'effetto
mirabile delle grandi rivoluzioni economiche e sociali che stanno
cambiando il mondo di fine Ottocento (egli afferma: "Il cammino fatale,
incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiugere la
conquista del progresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da
lontano"); piuttosto, egli sottolinea come il risultato complessivo di questa
"fiumana" (termine che evoca di per sé l'impetuosità e l'inarrestabilità del
mutamento storico) possa nascondere le vicende individuali di chi è stato
sopravanzato e sconfitto. Verga vuole insomma denunciare le contraddizioni
(e talora la mistificazione) sottese alla società a lui contemporanea:

Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari


che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l'attività
dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto
lavorìo universale, è legittimato dal solo fatto della sua opportunità a
raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove
vada questa immensa corrente dell'attività umana, non si domanda al certo
come ci va.

La posizione dell’osservatore non coinvolto nella “fiumana” ha anche dei


precisi risvolti conoscitivi, in quanto se il progresso e la ricerca del bene
materiale ha i suoi risvolti negativi e talora tragici, “l’osservatore [...] ha il
diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano
sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia
disperate”. A questo proposito si affianca la ricerca stilistica dello scrittore
verista, che deve trovare per ogni romanzo le scelte letterarie migliori per la
sua indagine. Al salire della scala sociale infatti, “i tipi si disegnano certamente
meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri
l’educazione, ed anche tutto quello che ci può essere di artificiale nella civiltà”;
e la missione artistica dello scrittore verista è qui delineata con la massima
precisione:

Perché la riproduzione artistica di codesti quadri sia esatta, bisogna seguire


scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la
verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del
soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento generale.

La questione della forma, come I Malavoglia dimostrano in maniera


esemplare, è allora inscindibile dal tema trattato, e dell’atteggiamento
“impersonale” assunto dal narratore, che rifiuta l’onniscienza delle
narrazioni più tradizionali. Il “ciclo dei vinti” ha allora qui la sua formulazione
teorica e letteraria: la “lotta per l’esistenza”, ad ogni livello socio-economico,
sarà il vero obiettivo della creazione romanzesca. Eppure, a chi contempla e
racconta tale “spettacolo” non è concesso il giudizio ma solo l’arduo compito di
descrivere uomini e cose nella maniera più “vera” ed autentica
possibile:

Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se


riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza
passione, e rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la
rappresentazione della realtà come è stata, o come avrebbe dovuto essere.

Una nota a margine, ma non secondaria: se è indiscutibile la limpida coerenza


delle affermazioni verghiane qui riportate, parte del merito va anche
all’editore Emilio Treves. Fu infatti lui a scegliere, per la pubblicazione
definitiva, questa versione della Prefazione rispetto ad un’altra, più suggestiva
e letteraria, preparata per l’occasione dallo scrittore catanese.

Note
1
Si tratta cioè dell'"ideale dell'ostrica", come lo spiegava il narratore-
protagonista di Fantasticheria ad una bella dama milanese che aveva
trascorso un breve soggiorno ad Aci Trezza.

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