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I Malavoglia

di Giovanni Verga

Letteratura italiana Einaudi


Edizione di riferimento:
Einaudi, Torino 1995 e 1997
Testo critico e commento a cura di Ferruccio Cecco

Letteratura italiana Einaudi ii


Sommario

Prefazione 1

Capitolo I 6
Capitolo II 27
Capitolo III 54
Capitolo IV 65
Capitolo V 83
Capitolo VI 98
Capitolo VII 123
Capitolo VIII 154
Capitolo IX 178
Capitolo X 214
Capitolo XI 267
Capitolo XII 294
Capitolo XIII 317
Capitolo XIV 355
Capitolo XV 383

Letteratura italiana Einaudi iii


PREFAZIONE

1 Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del


come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più
umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e
quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vis-
suta sino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell’i-
gnoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star
meglio.
2 Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del
progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più
modeste e materiali. Il meccanismo delle passioni che la

1. Questo racconto...: una seconda redazione della prefazione,


rifiutata dall’autore, datata 22 gennaio 1881, è integralmente riprodot-
ta nell’Appendice I di questo volume. – studio sincero e spassionato: ter-
mini-chiave che qualificano l’opera d’arte come un’indagine assimilabi-
le, almeno nelle premesse, al procedimento scientifico, con la program-
matica esclusione di ogni partecipazione e coinvolgimento da parte
dello scrittore. – irrequietudini: cfr. Fantasticheria, in Vita dei campi, p.
136: «Parmi che le irrequietudini del pensiero vagabondo s’addormen-
terebbero [...]». – vaga bramosìa dell’ignoto... star meglio: cfr. ibid.:
«allorquando uno di quei piccoli [...] volle staccarsi dal gruppo per
vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio [...]». Vedi anche Mastro-
don Gesualdo, III, 2, p. 326: «Le cadeva addosso [...] un desiderio vago
di cose ignote».
2. fiumana del progresso: fiumana propriamente «l’impeto del
fiume crescente; ma dicesi anche per ‘allagamento di molte acque’: voce
d’uso non comune» (Rigutini-Fanfani). Quel tanto di violenza e di
forza incontrollata che il termine porta con sé attenua la componente
positiva del secondo elemento del sintagma. L’immagine dà avvio a una
metafora continuata che percorre tutto il testo della prefazione (c. 6:
«immensa corrente»; c. 7: «travolto anch’esso dalla fiumana», «si lascia-
no sorpassare dall’onda»; c. 8: «la corrente ha deposti sulla riva, dopo
averli travolti e annegati»), sottolineando con insistenza il risvolto di
brutalità, di violenza sui singoli, che l’entusiastico perseguimento delle
mete del progresso comporta. – di cui l’uomo è travagliato: aggiunto in
bozze.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Prefazione

determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e


potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lascia-
re al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno
semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui
l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad ele-
varsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei
Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali.
3 Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si
incarnerà in un tipo borghese, Mastro don Gesualdo, incor-
niciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di
provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più
vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà
vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione
nell’Onorevole Scipioni, per arrivare all’Uomo di lusso, il
quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità,

3. Mastro don Gesualdo: una prima versione era apparsa nel 1888
a puntate (dal 1° luglio al 16 dicembre) sulla rivista «La Nuova
Antologia»; successivamente il romanzo fu pubblicato in volume per i
tipi di Treves nel 1889. – incorniciato nel quadro... i colori… il disegno:
in serie coi precedenti «quadro», «tinte» e «disegno». Vedi lettera a
Treves del 19 luglio 1880: «[...] Lo stile, il colore, il disegno, tutte le
proporzioni del quadro devono modificarsi gradatamente in questa
scala ascendente, e avere ad ogni fermata un carattere proprio. Questa
è l’idea che mi tormenta e che vorrei riuscire ad incarnare [...]». –
Duchessa de Leyra: ancora indicato nel ms col titolo di Duchessa delle
Gargantas. Avrebbe dovuto essere il terzo romanzo del Ciclo dei Vinti,
ma non rimangono che schemi preparatori, una stesura del primo capi-
tolo e un breve frammento del secondo, pubblicati nella rivista «La
Lettura», a. XXII, 1° giugno 1922 e successivamente da F. De Roberto
in Casa Verga, a cura di C. Musumarra, Le Monnier, Firenze 1964. Vedi
anche G. Verga, Tutti i romanzi, a cura di E. Ghidetti, Sansoni, Firenze
1983. – Onorevole Scipioni: sarebbe stato il figlio illegittimo della
Duchessa de Leyra, ma il romanzo non fu mai realizzato. – Uomo di
lusso: come l’Onorevole Scipioni anche questo romanzo non fu realiz-
zato; rimane il seguente appunto inserito fra le carte preparatorie rela-
tive ai Malavoglia: «Per l’Uomo di lusso – Precocità originaria d’isolano
– Istinti voluttuosi – Fiacchezza dell’organismo – Leggerezza della
mente – Esaurimento – Voluttà d’indole e perciò d’immaginazione –
Eretismo intellettuale» (vedi Appendice III).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Prefazione

tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le


4 sente nel sangue, e ne è consunto. A misura che la sfera del-
l’azione umana si allarga, il congegno della passione va com-
plicandosi; i tipi si disegnano cdrtamente meno originali, ma
più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri
l’educazione, ed anche tutto quello che ci puÚ essere di arti-
ficiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individua-
lizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi senti-
menti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all’i-
dea, in un’epoca che impone come regola di buon gusto un
eguale formalismo per mascherare un’uniformità di senti-
menti e d’idee. Perché la produzione artistica di cotesti qua-
dri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di
questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché
la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del
soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell’argomento
generale.
5 Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile
che segue l’umanità per raggiungere la conquista del pro-
gresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell’insieme, da
lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguandosi
le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti

4. congegno delle passioni: riprende il precedente «meccanismo


delle passioni», con allusione ai rapporti deterministici fra cause ed
effetti; vedi L’amante di Gramigna, in Vita dei campi, p. 202: «Noi rifac-
ciamo il processo artistico [...] con metodo diverso, più minuzioso e più
intimo; sacrifichiamo volentieri l’effetto della catastrofe, del risultato
psicologico, intravvisto con intuizione quasi divina dai grandi artisti del
passato, allo sviluppo logico, necessario di esso, ridotto meno imprevi-
sto, meno drammatico, ma non meno fatale [...]». – ad individualizzar-
si: nel ms segue: «a perfezionarsi». – esatta: per giungere cioè a uno
«studio sincero e spassionato». – la forma... argomento generale: in un
rapporto di inscindibile interdipendenza fra il piano delle scelte tema-
tiche e quello corrispettivo delle scelte formali, così come parti che
compongono il «soggetto» sono strutturalmente vincolate all’«argo-
mento generale». L’ambiente da rappresentare impone gli strumenti
linguistico-formali necessari per l’indagine.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Prefazione

i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiu-


tano l’immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito
sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre
quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo pro-
ducono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare
l’attività dell’individuo cooperante inconscio a beneficio di
6 tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricer-
ca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legit-
timato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo
scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove
vada quest’immensa corrente dell’attività umana, non si
7 domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto
anch’esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di
interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si
lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti
che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il
piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d’oggi, affretta-
ti anch’essi, avidi anch’essi d’arrivare, e che saranno sorpas-
sati domani.
8 I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra,
l’Onorevole Scipioni, l’Uomo di lusso sono altrettanti vinti
che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e
annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avreb-
bero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno,
dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta
per l’esistenza, pel benessere, per l’ambizione - dall’umile
pescatore al nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi -

7. osservatore: nel ms «artista». – ha il diritto di: corregge nel ma


«deve”.
8. vinti: I Vinti fu il titolo, in sostituzione del precedente La
Marea, del ciclo progettato da Verga che doveva includere i romanzi
indicati, quasi a comporre un affresco sociale di vaste proporzioni sul
modello del ciclo dei Rougon-Macquart di Zola. – il pregiudizio... fuori
dalla legge: con riferimento all’Onorevole Scipioni, nato dagli amori ille-
gittimi di Isabella, la figlia di mastro-don Gesualdo, divenuta duchessa
de Leyra.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Prefazione

all’uomo dall’ingegno e dalle volontà robuste, il quale si


sente la forza di dominare gli altri uomini, di prendersi da sé
quella parte di considerazione pubblica che il pregiudizio
sociale gli nega per la sua nascita illegale; di fare la legge, lui
nato fuori della legge - all’artista che crede di seguire il suo
9 ideale seguendo un’altra forma dell’ambizione. Chi osserva
questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto
se riesce a trarsi un’istante fuori del campo della lotta per
studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi
colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà
com’è stata, o come avrebbe dovuto essere.

9. Chi osserva… giudicarlo: è lezione raggiunta in bozze; nel ms:


«Davanti a questo spettacolo l’uomo non ha il diritto di giudicare» ?
«Davanti allo spettacolo di questa lotta fatale (? di quegli sforzi) l’uo-
mo non ha il diritto di giudicare» (versione della prefazione rifiutata).
Davanti allo «spettacolo» (cfr. anche Fantasticheria, p. 130: «sorrideva-
te [...] a quello strano spettacolo») l’artista deve sospendere il giudizio,
avendo il «coraggio divino di eclissarsi e sparire nella sua opera», che
dovrà sembrare «essersi fatta da sè» (vedi L’amante di Gramigna, p.
203). – studiarla senza passione: vedi in apertura: «studio sincero e spas-
sionato». Nel ms la versione appare curiosamente ribaltata: «osservarla
con passione», un’ambiguità che lascia trasparire quanto sia problema-
tico, nella concretezza dell’opera, il discrimine fra impersonalità e
immedesimazione, due aspetti che in questa pagina programmatica
sembrerebbero inconciliabili. Vedi in particolare A. Asor Rosa, Il punto
di vista dell’ottica verghiana, in Letteratura e critica – Studi in onore di
N. Sapegno, vol. II, Bulzoni, Roma 1975, p. 73.

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I

1 Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi


della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad
Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare,
proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo,
come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si
chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poi-
ché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad

1. numerosi… strada vecchia: l’immediato specificarsi in senso loca-


le («strada vecchia») accentua il registro ‘basso’ della similitudine, che
manifesta fin dall’avvio del romanzo la perfetta sintonia fra narratore e
mondo rappresentato. – Trezza: Aci Trezza; al tempo in cui si svolge l’a-
zione del romanzo, un piccolo borgo di pescatori (così come Ognina e
Aci Castello citati poco oltre) a pochi chilometri da Catania. – gente di
mare: esplicitamente indicato in Fantasticheria (p. 130) il sotteso valore
idiomatico: «Quel mucchio di casipole è abitato da pescatori, ‘gente di
mare’, dicono essi, come altri direbbe ‘gente di toga’». Cfr. anche X, 31.
– come dev’essere: nell’autografo (che d’ora innanzi sigleremo A) sosti-
tuisce «per chi non fosse iniziato alla logica dei nomignoli locali», rive-
lando il superamento in atto del ruolo del narratore nella sua funzione
di mediatore di consuetudini locali presso un pubblico borghese. La
lezione definitiva, chiudendo seccamente il periodo, si limita a ribadire
come ovvia la funzione antifrastica del nomignolo (in siciliano ’ngiuria),
in consonanza con un diffuso costume popolare. Analogo impiego, ma
esplicitamente giustificato, in Manzoni, I promessi sposi, XX, p. 339:
«Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l’uscio, era dipinto da
tutt’e due le parti un sole raggiante; ma la voce pubblica, che talvolta
ripete i nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifà a modo suo, non
chiamava quella taverna che col nome della Malanotte». – libro: in A
compare il più specifico «registro». – delle barche… al sole: si allude alla
condizione di possidenti. La struttura binaria dell’espressione, accen-
tuata dalla coppia di settenari, ne rivela il valore di modulo proverbia-
le. Cfr. anche X, 32: «roba in mare [...] terra al sole»; Mastro-don
Gesualdo, III, 1, p. 297: «aveva delle pietre al sole».

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia,


di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche
2 sull’acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rima-
nevano che i Malavoglia di padron ’Ntoni, quelli della casa
del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto,
sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla
paranza di padron Fortunato Cipolla.

2. Adesso a Trezza non rimanevano: sottolinea lo stacco cronologico


rispetto all’avvio ‘favoloso’ del romanzo, ma la discordanza fra l’avver-
bio e il tempo verbale è la spia stilistica dei diversi «piani temporali»
che si determinano in una narrazione affidata in prevalenza al filtro di
un ‘coro’ di parlanti interni all’azione. Vedi G. Devoto, I ‘piani del rac-
conto’ in due capitoli dei «Malavoglia», in Itinerario stilistico, Le
Monnier, Firenze 1975, p. 204. – padron ’Ntoni: il capofamiglia; ’Ntoni
è forma popolare per Antonio. – quelli... lavatoio: ripresa, con variazio-
ne chiastica, della precedente indicazione «delle barche sull’acqua, e
delle tegole al sole»; l’aggiunta della specificazione «ch’era ammarrata
(‘ormeggiata’) sul greto, sotto il lavatoio» si trasformerà in modulo fre-
quentemente impiegato (cfr. I, 20; III, 1). Quasi a prefigurare l’identi-
co destino che attende sia la Provvidenza (nome che progressivamente
assumerà valore antifrastico) sia la casa del nespolo, fin dall’inizio si
pone una stretta relazione fra casa e barca, con rimandi metaforici con-
tinui: «quella barca della casa del nespolo» (I, 19), «menare innanzi
quella barca rotta» (IX, 37), «era una casa che faceva acqua da tutte le
parti» (IV, 26; IX, 33). Il modulo viene ulteriormente arricchito dalla
similitudine «come una scarpa rotta» (IX, 33) riferita alla casa del
nespolo, in serie con espressioni come «scarpa vecchia» (VI, 33), «scar-
paccia vecchia» (VII, 6), «ciabatta» (X, 78), impiegate per la
Provvidenza dopo il naufragio. – zio: appellativo comune in Sicilia che
non indica necessariamente un reale rapporto di parentela. «Zu’ è il
titolo de’ villici, come il Don è de’ nobili e de’ ricchi [...] serve ad indi-
care l’anzianità del villico a cui vien dato» (Salomone-Marino). – paran-
za: imbarcazione per la pesca costiera. – Cipolla: il corsivo segna il valo-
re di nomignolo. Negli appunti preparatori (cfr. Appendice IV) il per-
sonaggio viene così presentato: «il saputo del villaggio, vanitoso di farsi
credere ricco, dice spropositi per parlar pulito». L’origine del sopran-
nome è forse da vedere in quest’ultimo aspetto, secondo anche l’atte-
stazione del Rigutini-Fanfani, che registra sotto «Cipolla» il seguente
modo proverbiale: «Dove vai? le son cipolle, sogliamo dire quando
qualcuno domandato d’una cosa risponde al detto fuor di proposito.
Ed anche di chi, parlando, invece di stare al proposito del suo discor-
so, ne divaga e non viene ad alcuna conclusione». Vedi anche
Tommaseo-Bellini: «Cipollata ‘sciocca stravaganza’».

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

3 Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri


Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa
del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e
padron ’Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire,
mostrando il pugno chiuso – un pugno che sembrava fatto
di legno di noce – Per menare il remo bisogna che le cinque
dita s’aiutino l’un l’altro.
Diceva pure, – Gli uomini son fatti come le dita della
mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito picco-
lo deve far da dito piccolo.
4 E la famigliuola di padron ’Ntoni era realmente diposta
come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che

3. burrasche: con duplice valenza: metafora per ‘avversità’, ma anche


prefigurazione delle reali burrasche che si abbatteranno sulla
Provvidenza; cfr. anche VII, 31: «adesso poi che era venuta la burrasca».
Vedi anche Manzoni, I promessi sposi, I, p. 20: «era riuscito a passare i
sessant’anni senza gran burrasche»; ibid., VIII, p. 123: «era lontano da
prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo!»; ibid., XXXVIII, p.
658: «don Abbondio parlò anche della sua burrasca». – pugno chiuso:
con l’evidenza del gesto si richiama la coesione del nucleo familiare.
L’implicita allusività si spiega con l’immagine, presente nei due prover-
bi successivi, delle «dita della mano» (cfr. anche XIII, 3), che nel pro-
cesso di contestualizzazione del proverbio verrà ripresa come elemento
organizzatore nella presentazione della famiglia. – Gli uomini... piccolo:
correzione in A su: «Il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito pic-
colo deve far da dito piccolo, tutti gli altri come canne dell’organo».
Manca un’esplicita attestazione nel Pitrè; il Rigutini-Fanfani registra
però sotto «organo»: «Essere come le canne degli organi, dicesi di fan-
ciulli, di età e quindi di statura, poco differente tra loro; che anche dice-
si Essere come le dita della mano»). L’espunzione di un ambito metafo-
rico di scarsa motivazione interna («canne dell’organo») e l’aggiunta ini-
ziale rafforzano, nella lezione definitiva, la coesione fra gesto («pugno
chiuso»), allusione metaforica e ripresa narrativa, arricchita successiva-
mente dall’inclusione nel ricco campo metaforico casa-barca: «Perciò si
doveva aiutarsi colle mani e coi piedi per mandare avanti quella barca
della casa del nespolo» (1, 19). Cfr, la ripresa in X, 90 e anche Pane nero,
in Novelle rusticane, p. 299 e p. 309.
4. comandava le feste e le quarant’ore: era il capo indiscusso della
famiglia. È il siciliano «cumannari li festi» (Mortillaro) (cfr. anche
Mastro-don Gesualdo, III, 1, p. 299), rafforzato nel suo valore idiomati-
co dall’aggiunta «e le quarant’ore» (pratica devota che consiste nell’a-

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

comandava le feste e le quarant’ore; poi suo figlio Bastiano,


Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San
Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della

dorazione del SS. Sacramento, esposto appunto per un tale periodo di


tempo), pure attestata, anche se con diversa accezione, dal Mortillaro:
«Essirici festa e quarant’uri, non parlando di chiesa vale ‘un gran sol-
lazzo, un lauto desinare’». – Bastianazzo: il corsivo conferisce valore di
soprannome (con suffisso tipicamente siciliano – azzu), immediatamen-
te motivato («grande e grosso»; cfr. Cos’è il Re, in Novelle rusticane, p.
242: «era un bel pezzo d’uomo, grande e grosso»). Negli appunti pre-
paratori è definito «un colosso». – quanto il San Cristoforo... città: in
serie con la similitudine iniziale (cfr. I, 1) per l’impiego di un termine di
paragone che si specifica in senso locale; «città» (per antonomasia
Catania). – filava… comandata: ‘obbediva prontamente agli ordini’. In
uno degli abbozzi del romanzo la pertinenza dell’immagine al linguag-
gio di una comunità di pescatori era resa ancor più evidente dall’ag-
giunta: «da buon figliuolo e da buon marinaro». – tolta in moglie: ‘spo-
sata’; cfr. XV, 57. Cfr. inoltre La Lupa, in Vita dei campi, p. 197: «nes-
suno l’avrebbe tolta in moglie»; Il Reverendo, in Novelle Rusticane, p.
229: «s’era tolta in casa una nipote» e Vagabondaggio, in Primavera e
altri racconti, p. 465. – La Longa, una piccina: il contrasto ironico accen-
tua il valore antifrastico del nomignolo. – un bighellone di vent’anni: un
fannullone, già marchiato dalla sua funzione trasgressiva rispetto a
quella «legge del lavoro” di cui padron ’Ntoni è il garante. Negli
appunti preparatori viene definito: «vano, leggero, pigro, debole, ghiot-
to, in fondo buon cuore...» – «che aveva… grande»: il rapporto opposi-
tivo, in seguito più volte ribadito, che lega ’Ntoni e Luca è proposto
con le parole stesse del nonno. Negli appunti Luca è definito «il ritrat-
to del padre» e nel romanzo «tutto suo padre Bastianazzo» (cfr. V, 25).
– «Sant’Agata»: martire catanese del III o IV secolo, patrona delle tes-
sitrici, considerata popolarmente modello di laboriosità e riservatezza.
– e si suol dire... gennaio»: la donna laboriosa, la gallina allevata in pol-
laio e la triglia pescata nel mese di gennaio sono le migliori. Il prover-
bio (cfr. Pitrè, II, p. 82) sostituisce in A: «da buona figliuola», che
rispondeva a «da buona massaia», riferito alla Longa, sottolineando in
modo più evidente l’intenzione di instaurare, parallelamente al gruppo
dei personaggi maschili, dei rapporti di similarità fra quelli femminili.
Sottilmente alluso il rapporto oppositivo di Lia rispetto a Mena dalla
ripresa del medesimo ambito metaforico del proverbio («nè carne nè
pesce»). – un moccioso... colui!: con marcata mimesi del parlato, rileva-
ta dalla presenza del deittico («colui!»). Per Alessi ricorrerà la medesi-
ma formula («Ma Alessi era un ragazzo che somigliava tutto a suo padre
Bastianazzo», VI, 9), impiegata anche per Luca (cfr. I, 4: «aveva più
giudizio del grande»).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

città; e così grande e grosso com’era filava diritto alla mano-


vra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre
non gli avresse detto «sòffiati il naso» tanto che s’era tolta in
moglie la Longa quando gli avevano detto «pìgliatela». Poi
veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le
acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in
ordine di anzianità: ’Ntoni, il maggiore, un bighellone di
vent’anni, che si buscava tutt’ora qualche scappellotto dal
nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l’equilibrio,
quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che
aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena
(Filomena) soprannominata «Sant’Agata» perché stava sem-
pre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pol-
laio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto
suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce.
– Alla domenica, quando entravano in chiesa, l’uno dietro
l’altro, pareva una processione.
5 Padron ’Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che
aveva sentito dagli antichi, «perché il motto degli antichi
mai mentì»: – «Senza pilota barca non cammina» – «Per far

5. motti... antichi: il corsivo segna la trasposizione dal dialetto, come


rivela il proverbio successivo: «Lu muttu di l’anticu mai mentìu» (Pitrè,
I, p. 1). «Muttu» si riferisce a «ogni spezie di detto breve, arguto e pia-
cevole, o pungente, o proverbiale» (Mortillaro). L’aggiunta «e prover-
bi» sostituisce in A: «o assiomi» (vedi G. B. Bronzini, Proverbi, discor-
so e gesto proverbiale nei Malavoglia, in I Malavoglia. Atti del Congresso
internazionale di studi, Biblioteca della Fondazione Verga, Catania
1982, pp. 655-57). – «Senza pilota... cammina»: parziale ripresa di
«Senza pilota nun camina varca, senza vicinu ’un si cummina furtu»
(Pitrè, II, p. 284). La prima redazione in A era «Una casa senza capo è
peggio di una barca senza timone» («La casa senza omu è comu la varca
senza timuni» Pitrè, II, p. 196), che riproponeva più esplicitamente lo
stretto legame metaforico casa-barca. – «Fa... camperai»: «Fa l’arti chi
sai, si tu nun arricchisci, campirai» (Pitrè, II, p. 422). – «Contentati... bir-
bante»: rielaborazione di due proverbi: «L’omu nun è cuntentu mai» e
«Lu galantomu ca ’mpuvirisci, addiventa birbanti» (Pitrè, Il, p. 263). –
sentenze: secondo la definizione del Pitrè, nell’Introduzione ai Proverbi
siciliani, la raccolta consultata dal Verga, «detto memorabile che rac-

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

da papa bisogna saper far da sagrestano» – oppure – «Fa’ il


mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» –
«Contentati di quel che t’ha fatto tuo padre; se non altro
non sarai un birbante» ed altre sentenze giudiziose.
6 Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron
’Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza l’a-
vrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il
segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse predicato che
era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteg-
gono i Borboni, e che cospirava pel ritorno di

chiude un gran senso oppure una grande moralità»; si distingue da


«proverbio» che è «un motto popolare, breve conciso, che vale quando
come una sentenza e quando come una massima, acconcia o creduta
tale per la condotta pratica della vita».
6. testa quadra: «Testa giusta, o quatra, uomo avveduto, che appren-
de con giustezza, ed opera con discernimento» (Mortillaro). – se don
Silvestro...: «don», dall’antico donno (‘signore’), è appellativo di
dignità, impiegato per ecclesiastici e persone di riguardo. Il tradiziona-
le ritratto che accompagna l’entrata in scena di un nuovo personaggio
si riduce qui alla sola indicazione della sua mansione. Le insinuazioni di
don Silvestro, riportate in indiretto libero, ma mitigate dal giudizio iro-
nico della comunità («il quale la sapeva lunga»), reinterpretano con
ottica deformante proprio quella funzione di capofamiglia che aveva
individuato il ruolo di padron ’Ntoni. – codino marcio: «si usa oggi a
significare ‘Chi si mostra avverso ad ogni idea di progresso’» (Rigutini-
Fanfani); dalla particolare acconciatura del capo che al tempo della
Rivoluzione francese fu il contrassegno dei sostenitori dell’antico regi-
me. – Franceschello: denominazione popolare di Francesco II di
Borbone (1839-94), ultimo re delle Due Sicilie; perse il regno nel 1860
in seguito alla spedizione di Garibaldi. –non lo conosceva… affari suoi:
chiaro il legame con le accuse di don Silvestro, una sorta quindi di
«risposta virtuale che padron ’Ntoni avrebbe potuto pronunciare» (G.
Baldi, Società antagonistica e valori nei Malavoglia, in L’artificio della
regressione. Tecnica narrativa e ideologia nel Verga verista, Liguori,
Napoli 1980, p. 78). Cfr. L’amante di Gramigna, p. 206: «non lo cono-
sceva neanche di vista quel cristiano». – soleva dire... conto»: cfr. «Cu’
ha càrricu di casa, nun pò dormiri quannu voli» (Pitrè, II, p. 130); «Cui
cumanna, havi a dari cchiù cuntu» (Pitrè, I, p. 82). La lezione, con la
stretta connessione sintattica dei due proverbi, sostituisce in A una pri-
mitiva versione: «Un capo di casa, soleva dire Padron ’Ntoni, deve esse-
re come il bue che porta il peso del campanaccio al collo, e va avanti
per insegnare la strada agli altri».

Letteratura italiana Einaudi 11


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio,


come spadroneggiava in casa propria.
Padron ’Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista
Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi
ha carico di casa non può dormire quando vuole» perché
«chi comanda ha da dar conto».
7 Nel dicembre 1863, ’Ntoni, il maggiore dei nipoti, era
stato chiamato per la leva di mare. Padron ’Ntoni allora era
corso dai pezzi grossi del paese, che son quelli che possono
aiutarci. Ma don Giammaria, il vicario, gli avea risposto che

7. Nel dicembre del 1863: unica data espressamente indicata nel


romanzo. Rispetto agli appunti preparatori (cfr. Appendice II), dove
vengono posti nel medesimo anno, il 1865, la partenza di ’Ntoni per «la
leva di mare», il «negozio» dei lupini e il viaggio della Provvidenza, la
soluzione finale distanzia maggiormente nel tempo gli eventi (la par-
tenza della Provvidenza rimane infatti fissata, anche in assenza di un’e-
splicita indicazione, nel 1865), quasi a dare maggior credibilità e un più
marcato rilievo narrativo alla sofferta decisione da parte dei Malavoglia
di «farsi negozianti». – leva di mare: il servizio militare (reso obbligato-
rio dopo l’Unità d’Italia) in marina. – pezzi grossi: cfr. anche X, 94; inol-
tre Il Reverendo, p. 237: «I pezzi grossi non vanno toccati»; Mastro-don
Gesualdo, I, III, p. 52: «fece il suo ingresso fra i pezzi grossi del paese»;
ibid., II, I: «dare il gambetto a tutti quei pezzi grossi che non era rie-
scito ad ingraziarsi...» Si veda Manzoni, I promessi sposi, XXIV, p. 408:
«sua signoria illustrissima […] è un pezzo molto più grosso di lui». –
che son... aiutarci: con immediato trapasso all’indiretto libero. Vedi
inoltre Manzoni, I promessi sposi, IX, p. 548: «gente grande, venuta di
Spagna, dove son quelli che comandano»; «i suoi d’adesso, laggiù a
Milano, contan molto, e son di quelli che hanno sempre ragione». – il
vicario: il sacerdote che fa le veci del parroco; rappresenta l’autorità
religiosa del villaggio. –rivoluzione... campanile: è il giudizio filoborbo-
nico sui moti popolari che accompagnarono l’arrivo di Garibaldi in
Sicilia nel 1860. Cfr. Libertà, in Novelle rusticane, p. 338: «Sciorinarono
dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stor-
mo, e cominciarono a gridare in piazza: “Viva la libertà”». Vedi inoltre
Il Reverendo, p. 235: «aveva dovuto inghiottir della bile assai, fin dal
1860, quando avevano fatto la rivoluzione»; ibid., p. 237: «ma dopo che
era trionfata l’eresia, colla rivoluzione....» – speziale: ‘farmacista’. – si
metteva... barbona: diventerà il modulo costante di individuazione del
personaggio (cfr. II, 9; III, 6; X, 96; XII, 30, 41, 43). Con il vicario
forma una coppia inscindibile (cfr. II, 8).

Letteratura italiana Einaudi 12


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

gli stava bene, e questo era il frutto di quella rivoluzione di


satanasso che avevano fatto collo sciorinare il fazzoletto tri-
colore dal campanile. Invece don Franco lo speziale si met-
teva a ridere fra i peli della barbona, e gli giurava fregando-
si le mani che se arrivavano a mettere assieme un po’ di
repubblica, tutti quelli della leva e delle tasse li avrebbero
presi a calci nel sedere, ché soldati non ce ne sarebbero stati
più, e invece tutti sarebbero andati alla guerra, se bisogna-
8 va. Allora padron ’Ntoni lo pregava e lo strapregava per l’a-
mor di Dio di fargliela presto la repubblica, prima che suo
nipote ’Ntoni andasse soldato, come se don Franco ce l’a-
vesse in tasca; tanto che lo speziale finì coll’andare in colle-
ra. Allora don Silvestro il segretario si smascellava dalle risa
a quei discorsi, e finalmente disse lui che con un certo gruz-
zoletto fatto scivolare in tasca a tale e tal altra persona che
sapeva lui, avrebbero saputo trovare a suo nipote un difetto
da riformarlo. Per disgrazia il ragazzo era fatto con coscien-
za, come se ne fabbricano ancora ad Aci Trezza, e il dottore
della leva, quando si vide dinanzi quel pezzo di giovanotto,
gli disse che aveva il difetto di esser piantato come un pila-
stro su quei piedacci che sembravano pale di ficodindia; ma
i piedi fatti a pala di ficodindia ci stanno meglio degli stiva-
lini stretti sul ponte di una corazzata, in certe giornataccie;
e perciò si presero ’Ntoni senza dire «permettete». La
9 Longa, mentre i coscritti erano condotti in quartiere, trot-

8. riformarlo: ‘dispensarlo dal servizio militare’. – come... ficodindia:


questa lezione, che impiega moduli espressivi adeguati all’esperienza
quotidiana dei personaggi sia per la scelta lessicale (il generico «pila-
stro», l’accrescitivo deformante «piedacci»), sia per l’ambito della simi-
litudine («le pale di ficodindia”, cioè i rami larghi e appiattiti del fico
d’India), sostituisce solo nelle bozze di stampa la lezione del mano-
scritto «sui larghi piedi come il David di Michelangiolo». Cfr.
Fantasticheria, p. 134: «vi sembrava un David di rame, ritto colla sua
fiocina in pugno» (ma in una riedizione della novella, nel Numero spe-
ciale di Natale e Capodanno della «Illustrazione italiana» 1893, ricom-
pare: «come il David di Michelangelo»).
9. quartiere: ‘caserma’. – abitino della Madonna: «è una specie di sca-

Letteratura italiana Einaudi 13


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

tando trafelata accanto al passo lungo del figliuolo, gli anda-


va raccomandando di tenersi sempre sul petto l’abitino della
Madonna, e di mandare le notizie ogni volta che tornava
qualche conoscente dalla città, che poi gli avrebbero man-
dato i soldi per la carta.
Il nonno, da uomo, non diceva nulla; ma si sentiva un
gruppo nella gola anch’esso, ed evitava di guardare in faccia
la nuora, quasi ce l’avesse con lei. Così se ne tornarono ad
Aci Trezza zitti zitti e a capo chino. Bastianazzo, che si era
sbrigato in fretta dal disarmare la Provvidenza, per andare
ad aspettarli in capo alla via, come li vide comparire a quel
modo, mogi mogi e colle scarpe in mano, non ebbe animo
di aprir bocca, e se ne tornò a casa con loro. La Longa corse
subito a cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a
quattr’occhi colle vecchie stoviglie, e padron ’Ntoni disse al
figliuolo:
– Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può
più.
10 Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Castello
per veder passare il convoglio dei coscritti che andavano a

polare o di talismano religioso, formato da due pezzetti di panno lano


con la immagine o il nome della Madonna attaccato a due nastri, che le
devote portano da un lato sul petto, e dall’altro sulle spalle» (Verga).
Cfr. La Lupa, p. 199; Cos’è il Re, p. 243 e Pane nero, in Novelle rustica-
ne, p. 325 e p. 328; Camerati, in Per le vie, p. 428. – che: esempio di che
polivalente; traduce, con scoperta mimesi del parlato, il siciliano ca.
Verga ne fa esplicito cenno in una lettera al traduttore francese E. Rod:
«[...] farete bene a sopprimere o a sostituire [...] quegli incidenti legati
dal che, caratteristici in siciliano, ma che nell’italiano formarono la mia
disperazione quando intrapresi questo tentativo arrischiato di lasciare
più che potevo l’impronta del colore locale anche nello stile del mio
libro». – gruppo: di diffusa attestazione per ‘groppo, nodo’; ma cfr.
anche il siciliano «gruppu di chiantu» (‘voglia di piangere’) (Mortillaro).
– disarmare: ‘levare le attrezzature dopo l’ormeggio’.
10. i buoi... alla fiera: cfr. III, I: «pareva ci fossero riuniti i buoi della
fiera di Sant’Alfio». Curiosamente l’immagine, così in sintonia col
mondo rusticano, ricorre anche in una lettera alla famiglia del febbraio

Letteratura italiana Einaudi 14


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

Messina, e aspettarono più di un’ora, pigiati dalla folla die-


tro lo stecconato. Finalmente giunse il treno, e si videro tutti
quei ragazzi che annaspavano, col capo fuori dagli sportelli,
come fanno i buoi quando sono condotti alla fiera. I canti,
le risate e il baccano erano tali che sembrava la festa di
Trecastagni, e nella ressa e nel frastuono ci si dimenticava
perfino quello stringimento di cuore che si aveva prima.
11 – Addio ’Ntoni! – Addio mamma! – Addio! ricordati!
ricordati! – Lì presso, sull’argine della via, c’era la Sara di
comare Tudda, a mietere l’erba pel vitello; ma comare
Venera la Zuppidda andava soffiando che c’era venuta per
salutare ’Ntoni di padron ’Ntoni, col quale si parlavano dal
muro dell’orto, li aveva visti lei, con quegli occhi che dove-
vano mangiarseli i vermi. Certo è che ’Ntoni salutò la Sara

1874: «Sono conosciuto dappertutto come un bue da fiera...» (G.


Verga, Lettere sparse, p. 60). – Trecastagni: paese a nord di Catania, stile
pendici dell’Etna; il 10 maggio si celebra la festa in onore del patrono
sant’Alfio.
11. comare Tudda: cummari, o cumpari, si impiega propriamente per
il testimone di battesimo o di cresima, ma si usa anche per «denomina-
zione affettuosa che di nota familiarità e intrinsichezza» o per persone
di «bassa condizione» (Mortillaro). Tudda è diminutivo di Agata. –
Venera la Zuppidda: ‘la zoppetta’; il nomignolo, coniato in origine per il
nonno del marito (cfr. IX, 65), viene esteso al di là di ogni giustifica-
zione oggettiva a tutti i componenti della famiglia (Zuppiddi). Curiosa
l’assonanza col sintagma «Vènnari Zuppiddu» impiegato popolarmente
in Sicilia per indicare l’ultimo venerdì di carnevale (cfr. Pitrè, III, p.
37). –soffiando: ‘insinuando maliziosamente’; «dicesi familiarmente
anche per far la spia» (Rigutini-Fanfani) – si parlavano: nell’accezione
popolare di ‘amoreggiavano’. – li aveva visti lei: con analogo andamen-
to sintattico, cfr. X, 49: «andava ogni sera a parlare colla Barbara, li
aveva visti lo zio Santoro»; X, 56: «la Santuzza ci aveva massaro Filippo
per aiutarla a dire le orazioni, l’aveva visto Piedipapera»; X, 81: «La
Vespa ciba per le mani Brasi Cipolla [...] li ho visti con quest’occhi». –
che dovevano… vermi: lo scongiuro per conferire credibilità alle sue
insinuazioni. – le voltava le spalle: come manifestazione di risentimento
per l’affronto subito. Frequente il ricorso al linguaggio gestuale, come
componente tipica dell’espressività popolare; per l’esempio specifico si
veda G. Alfieri, Lettera e figura nella scrittura de «I Malavoglia»,
Accademia della Crusca, Firenze 1983, pp. 39-40.

Letteratura italiana Einaudi 15


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

colla mano, ed ella rimase colla falce in pugno a guardare


finché il treno non si mosse. Alla Longa, l’era parso rubato
a lei quel saluto; e molto tempo dopo, ogni volta che incon-
trava la Sara di comare Tudda, nella piazza o al lavatoio, le
voltava le spalle.
12 Poi il treno era partito fischiando e strepitando in modo
da mangiarsi i canti e gli addii. E dopo che i curiosi si furo-
no dileguati, non rimasero che alcune donnicciuole e qual-
che povero diavolo, che si tenevano ancora stretti ai pali
dello stecconato, senza saper perché. Quindi a poco a poco
si sbrancarono anch’essi, e padron ’Ntoni, indovinando che
la nuora dovesse avere la bocca amara, le pagò due centesi-
mi di acqua col limone.
Comare Venera la Zuppidda, per confortare comare la
Longa, le andava dicendo: – Ora mettetevi il cuore in pace,
che per cinque anni bisogna fare come se vostro figlio fosse
morto, e non pensarci più.
13 Ma pure ci pensavano sempre, nella casa del nespolo, o
per certa scodella che le veniva tutti i giorni sotto mano alla

12. si sbrancarono: il mutamento di registro (in evidenza anche per


l’opposizione con «si furono dileguati» riferito ai «curiosi») si rivela
nell’implicita metafora animalesca, che riprende la precedente «come
buoi quando sono condotti alla fiera» (I, 10). – dovesse avere… limone:
il gioco sul duplice valore, metaforico e proprio, della locuzione «avere
la bocca amara» (cfr. anche II, 16) determina la sfumatura umoristica
del rimedio messo in atto da padron ’Ntoni. Il registro ‘comico’ stem-
pera così il potenziale patetismo della situazione. Cfr. inoltre X, 52: «si
faceva la bocca amara dalla collera».
13. deschetto: ‘tavolino’; cfr. III, 35; IX, 43; X, 74 (corretto su
«desco»). Vedi anche Nedda, in Novelle, p. 17: «deschetto zoppo», inol-
tre p. 18 e p. 20; Mastro-don Gesualdo, I, IV, p. 109: «appoggiò i gomi-
ti sul deschetto». Manzoni corregge «Ad un deschetto stavano seduti»
dell’edizione del 1827, con “seduti a un canto della tavola» (I promessi
sposi, VII, p. 117). – ganza: nodo formato da un doppio anello di corda
che tiene senza serrare. – serrare una scotta: ‘fissare i cavi della parte
inferiore della vela che servono per distenderla al vento’. – alare una
parommella: ‘tirare a forza di braccia il cavo (paròma) che serve per
ormeggiare la barca’. – ci avrebbe voluto: dialettalismo per ‘ci sarebbe
voluto’; cfr, anche IV, 11. –anzimando: così in Treves ’81; la forma, con

Letteratura italiana Einaudi 16


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

Longa nell’apparecchiare il deschetto, o a proposito di certa


ganza che ’Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funi-
cella della vela, e quando si trattava di serrare una scotta tesa
come una corda di violino, o di alare una parommella che ci
sarebbe voluto l’argano. Il nonno ansimando cogli ohi!
ooohi! intercalava – Qui ci vorrebbe ’Ntoni – oppure – Vi
pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, men-
tre ribatteva il pettine sul telaio – uno! due! tre! – pensava
a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il
figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordi-
mento, e le picchiava ancora il petto, – uno! due! tre!
14 Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per confor-
tarsi, e per confortare gli altri: – Del resto, volete che vel
dica? Un po’ di soldato gli farà bene a quel ragazzo; ché il
suo paio di braccia gli piaceva meglio di portarsele a spasso
la domenica, anziché servirsene a buscarsi il pane.
Oppure: – Quando avrà provato il pane salato che si man-
gia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa sua.

sonorizzazione tipica dei dialetti centro-meridionali, è attestata nel


manoscritto; compare anche in uno dei primi abbozzi (M 3, p. 79):
«non era un piacere sentirlo anzimare» e in M 9, p. 22. In A si legge ad
es. «Ascenzione», corretto solo nelle bozze in «Ascensione» (IX, 2).
Vedi anche G. P. Marchi, Concordanze verghiane, Fiorini, Verona 1970,
p. 84. – ribatteva... sul telaio: «è il battere e ribattere contro il tessuto
nel telaio quell’arnese formato di stecchine metalliche, o di canna, fra
ciascuna delle quali passa uno dei fili dell’ordito, affine di serrare i fili
che formano la stoffa» (Verga). – a quel bum bum: la soluzione onoma-
topeica sostituisce solo nelle bozze la lezione di A: «ai colpi di stan-
tuffo». Vedi anche IX, 24.
14. buscarsi: qui nell’accezione di ‘guadagnarsi’, ‘procacciarsi’; la
forma, che richiama, pur essendo di circolazione ampia, il siciliano
«vuscari», «abbuscari», è di impiego frequente nel romanzo (cfr. ad es.
I, 4, 19; II, 15; VI, 12; X, 32; XIV, 33; XV, 30) e in genere nella produ-
zione ‘rusticana’ (è presente ad es. già in Nedda, p. 13); secondo il
Petrocchi «sente un po’ del volgare l’azione e il verbo». Cfr. anche nelle
Storie del castello di Trezza, in Primavera e altri racconti, p. 89: «soglio-
no gironzare la notte, in busca di requiem». –Quando... sua: cfr. «Lu
pani d’autru è salatu» (Pitrè, II, p. 384).

Letteratura italiana Einaudi 17


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

15 Finalmente arrivò da Napoli la prima lettera di ’Ntoni,


che mise in rivoluzione tutto il vicinato. Diceva che le
donne, in quelle parti là, scopavano le strade colle gonnelle
di seta, e che sul molo c’era il teatro di Pulcinella, e si ven-
devano delle pizze, a due centesimi, di quelle che mangiano
i signori, e senza soldi non ci si poteva stare, e non era come
a Trezza, dove se non si andava all’osteria della Santuzza non
si sapeva come spendere un baiocco. – Mandiamogli dei
soldi per comperarsi le pizze, al goloso! brontolava padron
’Ntoni; già lui non ci ha colpa, è fatto così; è fatto come i
merluzzi, che abboccherebbero un chiodo arrugginito. Se
non l’avessi tenuto a battesimo su queste braccia, direi che
don Giammaria gli ha messo in bocca dello zucchero invece
di sale.
16 La Mangiacarrubbe, quando al lavatoio c’era anche Sara di
comare Tudda, tornava a dire:
– Sicuro! le donne vestite di seta aspettavano apposta
’Ntoni di padron ’Ntoni per rubarselo; che non ne avevano
visti mai dei cetriuoli laggiù!
Le altre si tenevano i fianchi dal ridere, e d’allora in poi le
ragazze inacidite lo chiamarono «cetriuolo».

15. mise in rivoluzione: cfr. XI, 1: «il paese era in rivoluzione per
loro». – scopavano... seta: allude alle gonne lunghe e con strascico delle
donne di città, viste con gli occhi ingenui di ’Ntoni. – Santuzza: il corsi-
vo ne segna il valore di nomignolo; cfr. c. 17. – baiocco: moneta di basso
valore in uso negli Stati pontifici, poi estesa a significare denaro in gene-
re. – come... arrugginito: tanto sono voraci. La similitudine, in sintonia
col linguaggio di una comunità di pescatori, dilata l’appellativo di «golo-
so», ma contemporaneamente ribadisce l’ingenuità di ’Ntoni.
16. Mangiacarrubbe: la povertà dell’alimento, usato come mangime
per gli animali, determina l’allusione ‘ingiuriosa’ del nomignolo. –
cetriuoli: «per ischerno ad uomo dappoco e senza senno» (Rigutini-
Fanfani); con analoga accezione figurata, il siciliano «citrolu»
(Mortillaro); la ripresa successiva tra virgolette ne segna l’impiego d’ora
innanzi come nomignolo (cfr. VI, 3; VIII, 11 e 13; IX, 62). Alla luce
delle vicende che vedranno coinvolto ’Ntoni, va segnalata una curiosa
attestazione nel Pitrè, III, p. 181: «Cui nesci fora di la sò casedda, si chia-
ma citrolu».

Letteratura italiana Einaudi 18


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

17 ’Ntoni aveva mandato anche il suo ritratto, l’avevano visto


tutte le ragazze del lavatoio, come la Sara di comare Tudda
lo faceva passare di mano in mano, sotto il grembiule, e la
Mangiacarrubbe schiattava dalla gelosia. Pareva San
Michele Arcangelo in carne ed ossa, con quei piedi posati
sul tappeto, e quella cortina sul capo, come quella della
Madonna dell’Ognina, così bello, lisciato e ripulito che non
l’avrebbe riconosciuto più la mamma che l’aveva fatto; e la
povera Longa non si saziava di guardare il tappeto e la cor-
tina e quella colonna contro cui il suo ragazzo stava ritto
impalato, grattando colla mano la spalliera di una bella pol-
trona; e ringraziava Dio e i santi che avevano messo il suo

17. Pareva San Michele Arcangelo...: il tradizionale ritratto, con il


posticcio apparato da studio fotografico scambiato per arredo lussuoso
(«galanterie»), viene letto dalla Longa nei termini dell’iconografia sacra
a lei più familiare; al pari di un’immagine sacra verrà quindi posto sui
canterano, immancabile arredo della casa contadina, sotto la campana
di vetro (cfr. X, 75). Vedi Salomone-Marino, p. 26: «Di faccia al telajo
un canterano, con sopra qualche boccia di vetro, qualche ninnolo, e
una più o meno grande scaffarrata, specie di scarabattola che accoglie
l’immagine in cera del Bambino Gesù, parata di fiori e di nastri». – tutte
quelle galanterie: cfr. il siciliano «galantaria» nel senso di «mercanziuo-
le di lusso e di lavoro gentile» (Mortillaro). Lezione raggiunta solo nelle
bozze; in A: «tutta quella grazia di Dio» ? «tutte quelle ricchezze» ?
«tutto quel ben di Dio». Cfr. Mastro-don Gesualdo, IV, I, p. 398: «le
galanterie disposte in bell’ordine sui mobili». – che... avemarie: l’impli-
cito valore consecutivo del «che» rivela la malignità dell’allusione. –
suor Mariangela la Santuzza: non è suora, nè tanto meno santa (il nomi-
gnolo è quindi ancora una volta antifrastico); appartiene alla
Confraternita delle Figlie di Maria. Nella lista di proverbi che compare
fra le carte preparatorie Verga registra: «Bagascia vecchia e putiari (‘bot-
tegai’) divoti passaci arrassu (‘lontano’)» (Pitrè, II, p. 412). –
Cinghialenta: il nomignolo trae probabilmente origine dal «modulo
dialettale allintari a currìa ‘sciogliersi la cinta’ [...] confermato conte-
stualmente dall’abitudine del carrettiere di picchiare la moglie con la
cavezza» (G. Alfieri, Lettera e figura cit., p. 48); cfr. XV, 30. Nel
Mortillaro però è pure attestato: «Allintaricci li cinghi», per metafora
vale ‘cedere dal suo impegno’», che giustificherebbe un’origine del
nomignolo in sintonia con la raffigurazione del personaggio presente
negli appunti preparatori: «...sempre ubbriaco, dormente bocconi sul
suo carro».

Letteratura italiana Einaudi 19


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

figliuolo in mezzo a tutte quelle galanterie. Ella teneva il


ritratto sul canterano, sotto la campana del Buon Pastore –
che gli diceva le avemarie – andava dicendo la Zuppidda, e
si credeva di averci un tesoro sul canterano, mentre suor
Mariangela la Santuzza ce ne aveva un altro, tal quale chi
voleva vederlo, che glielo aveva regalato compare Mariano
Cinghialenta, e lo teneva inchiodato sul banco dell’osteria,
dietro i bicchieri.
18 Ma dopo un po’ di tempo ’Ntoni aveva pescato un came-
rata che sapeva di lettere, e si sfogava a lagnarsi della vitac-
cia di bordo, della disciplina, dei superiori, del riso lungo e
delle scarpe strette. – Una lettera che non valeva i venti cen-
tesimi della posta! borbottava padron ’Ntoni. La Longa se
la prendeva con quegli sgorbj, che sembravano ami di
pesceluna, e non potevano dir nulla di buono. Bastianazzo
dimenava il capo e faceva segno di no, che così non andava
bene, e se fosse stato in lui ci avrebbe messo sempre delle
cose allegre, da far ridere il cuore agli altri, lì sulla carta, – e
vi appuntava un dito grosso come un regolo da forcola – se
non altro per compassione della Longa, la quale, poveretta,
non si dava pace, e sembrava una gatta che avesse perso i
gattini. Padron ’Ntoni andava di nascosto a farsi leggere la
lettera dallo speziale, e poi da don Giammaria, che era del
partito contrario, affine di sentire le due campane, e quan-

18. aveva pescato... lettere: sapeva di lettere (ma anche – di lettera)


‘sapeva leggere e scrivere’ (in siciliano: «sapiri di littra») (cfr. II, 8; XV,
31; inoltre Galantuomini, in Novelle rusticane, p. 337). Nell’abbozzo M
4, p. 12: «camerata letterato». Si noti nel contesto specifico la pregnan-
za della metafora pescare per trovare e poco oltre di «ami di pesceluna»
per i caratteri quasi indecifrabili della scrittura. – sgorbi: correggiamo
(anche sulla base di M 4, p. 12) l’isolato «sgorbj» di Treves ’81 (ma pre-
sente anche in A); sistematica la sostituzione del grafema ‘j’ (con –i/ –ii)
nel passaggio dal ms alla stampa. – fare ridere il cuore: in A: «far allar-
gare il cuore». – regolo da forcola: la forcola è uno scalmo di legno o di
ferro su cui poggia il remo e il regolo il piolo che, infilato in uno dei fori
del piede della forcola, permette di manovrare.

Letteratura italiana Einaudi 20


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

do si persuadeva che era scritto proprio così, ripeteva con


Bastianazzo, e con la moglie di lui:
– Non ve lo dico io che quel ragazzo avrebbe dovuto
nascer ricco, come il figlio di padron Cipolla, per stare a
grattarsi la pancia senza far nulla!
19 Intanto l’annata era scarsa e il pesce bisognava darlo per
l’anima dei morti, ora che i cristiani avevano imparato a
mangiare carne anche il venerdì come tanti turchi. Per giun-
ta le braccia rimaste a casa non bastavano più al governo
della barca, e alle volte bisognava prendere a giornata
Menico della Locca, o qualchedun altro. Il re faceva così, che
i ragazzi se li pigliava per la leva quando erano atti a buscar-
si il pane; ma sinché erano di peso alla famiglia, avevano a
tirarli su per soldati; e bisognava pensare ancora che la
Mena entrava nei diciassett’anni, e cominciava a far voltare

19. darlo... morti: ‘venderlo per pochi soldi’, quasi fosse un’elemosi-
na per i defunti. –turchi: ‘infedeli, miscredenti’; cfr. Libertà, p. 341:
«senza ave-maria, come in paese di turchi»; Mastro-don Gesualdo, I, VI,
p. 155: «Siamo in mezzo ai turchi?» Vedi G. Alfieri, Lettera e figura cit.,
p. 141. – della Locca: figlio della Locca (dal siciliano «loccu» ‘sciocco’,
‘idiota’). Negli appunti viene definito «carne da lavoro, lo schiavo dello
zio Crocifisso». –buscarsi il pane: cfr. I, 14. – tirarli su per soldati: in A
«per soldati» è corretto su «pel re»; cfr. Cos’è il Re, p. 246: «il Re [...]
con una parola poteva [...] pigliarsi i figliuoli per soldati, come gli pia-
ceva». – diciassett’anni: è correzione nelle bozze, in A infatti compare
«diciott’anni», ricalcato su un precedente «diciannove anni».
L’indicazione è relativa all’anno della partenza della Provvidenza, cioè il
1865, come risulta dagli appunti relativi allo svolgimento dell’azione
(cfr. Appendice II); negli appunti sui caratteri dei personaggi
(Appendice IV) si indica del resto il 1848 come data di nascita di Mena.
L’intervento correttorio si è reso però necessario soprattutto per la pale-
se incongruenza con un’ulteriore indicazione, implicata anche questa in
variante (cfr. IX, 52), nella quale si precisa che Mena ha diciott’anni,
quando è avvenuta la battaglia di Lissa (1866). – «L’uomo... soffia»:
«L’omu è lu focu, e la donna è la stuppa; lu diavulu veni e ciùscia» (Pitrè,
I, p. 114). – quella... nespolo: cfr. I, 2. La transizione alla sequenza suc-
cessiva avviene tramite la ripresa del medesimo sintagma, secondo un
tipico procedimento tecnico-stilistico frequentemente impiegato nel
romanzo anche nel passaggio da un capitolo all’altro.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

i giovanotti quando andava a messa. «L’uomo è il fuoco, e la


donna è la stoppa: viene il diavolo e soffia.» Perciò si dove-
va aiutarsi colle mani e coi piedi per mandare avanti quella
barca della casa del nespolo.
20 Padron ’Ntoni adunque, per menare avanti la barca,
aveva combinato con lo zio Crocifisso Campana di legno un
negozio di certi lupini da comprare a credenza per venderli
a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva detto che c’era
un bastimento di Trieste a pigliar carico. Veramente i lupini
erano un po’ avariati; ma non ce n’erano altri a Trezza, e
quel furbaccio di Campana di legno sapeva pure che la
Provvidenza se la mangiavano inutilmente il sole e l’acqua,
dov’era ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla; perciò si
ostinava a fare il minchione. – Eh? non vi conviene? lascia-

20. Campana di legno: citando il proverbio «Campana di lignu,


Pasqua ’mpressu» (‘vicina’) (III, p. 21), il Pitrè spiega che «la campana
di legno si sonava [...] la seconda metà del giovedì santo, il venerdì e la
mattina del sabato santo». Per l’origine del nomignolo, del resto espli-
citamente motivata nel romanzo (cfr. IV, 1), vale l’attestazione del
Mortillaro: «Campana di lignu, nel famigliare significa simulata sor-
dità». Ma cfr. anche I, 20: «e dimenava il capo che pareva una campa-
na senza batacchio davvero». – negozio: ‘affare’ (in siciliano «nigoziu»).
Negli appunti sullo svolgimento dell’azione si precisa la data dell’even-
to: «Martedì 17 sett(embre) Stimate di S. Francesco» (cfr. I, 7, 25; IV,
20). – lupini: semi commestibili di una pianta erbacea della famiglia
delle leguminose. «Pianta maladetta da Dio» la definisce il Pitrè, che
riporta la leggenda popolare, da cui prende origine la credenza secon-
do la quale la Sacra Famiglia, durante la fuga in Egitto, non avrebbe
potuto trovare riposo in un campo di lupini per il rumore prodotto dai
baccelli maturi (vedi Alberi e piante negli usi e nelle credenze popolari
siciliane, estratto da Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, ed.
anastatica, Forni, Bologna 1977, p. 176). – a credenza: ‘a credito’.
–Riposto: paese sulla costa orientale della Sicilia, a circa venti chilome-
tri a nord di Trezza. – se la mangiava: singolare per il plurale (cfr. anche
VII, 48; X, 28; XIII, 36; XV, 27), quasi «il sole e l’acqua» costituissero
una sola entità. In A: «le [riferito alle due barche, l’Immacolata e la
Provvidenza, della primitiva versione] mangiavano il sole e l’acqua».
Nell’abbozzo M 3 (p. 81), il corsivo segna il valore idiomatico del verbo
nella specifica accezione: «il sale marino se l’era mangiato” [riferito a
padron ’Ntoni]. – ammarrata sotto il lavatoio: cfr. I, 2.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

teli! Ma un centesimo di meno non posso, in coscienza! che


l’anima ho da darla a Dio! – e dimenava il capo che pareva
21 una campana senza batacchio davvero. Questo discorso
avveniva sulla porta della chiesa dell’Ognina, la prima
domenica di settembre, che era stata la festa della Madonna,
con gran concorso di tutti i paesi vicini; e c’era anche com-
pare Agostino Piedipapera, il quale colle sue barzellette riu-
scì a farli mettere d’accordo sulle due onze e dieci a salma,
da pagarsi «col violino» a tanto il mese. Allo zio Crocifisso
gli finiva sempre così, che gli facevano chinare il capo per
forza, come Peppinino, perché aveva il maledetto vizio di
non saper dir di no. – Già! voi non sapete dir di no, quan-
do vi conviene, sghignazzava Piedipapera. Voi siete come
le... e disse come.
22 Allorché la Longa seppe del negozio dei lupini, dopo
cena, mentre si chiacchierava coi gomiti sulla tovaglia, rima-

21. festa della Madonna: dell’Ognina (cfr. I, 1); si celebra l’8 settem-
bre. Cfr. anche IX, 1 e V, 9; inoltre Storie del castello di Trezza, p. 90: «a
guisa dei razzi che si sparano per la festa della Madonna dell’Ognina».
– Piedipapera: l’origine del soprannome si chiarirà all’inizio del capito-
lo II: «vociava... accorrendo colla gamba storta». Negli appunti lo si
definisce: «sensale, intrigante, arruffapopolo, maldicente, con aria da
burlone, sciancato...» – due onze... salma: l’onza era «una moneta anti-
ca siciliana del valore di fr. 12,75 [...]. E dieci, intendesi dieci tarì. Il tarì
era una moneta antica siciliana, la 30a parte di un’onza, del valore di 42
cent. e mezzo circa» (Verga). La salma era un’antica misura di capacità
per cereali, corrispondente a circa 270 litri; veniva impiegata anche
come unità di superficie, pari a mq 17. – pagarsi «col violino»: espres-
sione in uso presso «il basso popolo siciliano» col significato di «paga-
re una certa somma di denaro a piccole rate» (Verga). – Peppinino: vale
‘sciocco, che non sa reagire alle offese’ (cfr. «gli facevano chinare il capo
per forza”). Maschera comica siciliana del teatro dei pupi (cfr. II, 25);
in origine Peppi-e-Ninu, da cui deriverebbe il nome (vedi G. Alfieri,
Innesti fraseologici nei Malavoglia, in «Bollettino del Centro di Studi
filologici e linguistici siciliani», XIV (1980), pp. 22-25). – e disse come:
sostituisce in A: «e trovò un paragone sconcio».
22. Ma le donne... piccino: l’uso del presente conferisce all’espressio-
ne il valore di massima fatta propria dal narratore. «Cori nicu o cori pic-
ciriddu, vale o troppo timido e irrisoluto o parco e ritenuto nel dare»
(Mortillaro).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

se a bocca aperta; come se quella grossa somma di qua-


rant’onze se la sentisse sullo stomaco. Ma le donne hanno il
cuore piccino, e padron ’Ntoni dovette spiegarle che se il
negozio andava bene c’era del pane per l’inverno, e gli orec-
chini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare e venire
in una settimana da Riposto, con Menico della Locca.
23 Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla. Così
fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della
Provvidenza, che era la più vecchia delle barche del villag-
gio, ma aveva il nome di buon augurio. Maruzza se ne sen-
tiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non
era affar suo, e si affaccendava zitta zitta a mettere in ordine
la barca e ogni cosa pel viaggio, il pane fresco, l’orciolino
coll’olio, le cipolle, il cappotto foderato di pelle, sotto la
pedagna e nella scaffetta.
24 Gli uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno,
con quell’usuraio dello zio Crocifisso, il quale aveva vendu-
to la gatta nel sacco, e i lupini erano avariati. Campana di
legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio!
«Quel ch’è di patto non è d’inganno»; che l’anima lui non
doveva darla ai porci! e Piedipapera schiamazzava e
bestemmiava come un ossesso per metterli d’accordo, giu-
rando e spergiurando che un caso simile non gli era capita-
to da che era vivo; e cacciava le mani nel mucchio dei lupi-

23. cuore nero: cfr, VII, 13. – pedagna... scaffetta: la pedagna è «quel-
l’asse o pezzo di tavola, fissata nel fondo della barca, alla quale il mari-
naio appoggia i piedi nel remare” e la scaffetta è «quella cassetta o ripo-
stiglio che è nelle barche dei pescatori sotto il sedile o banco» (Verga).
24. aveva venduto la gatta nel sacco: aveva cioè venduto i lupini senza
informare padron ’Ntoni che erano avariati. L’espressione, attestata nel
Rigutini-Fanfani e nel Petrocchi, compare anche nel modulo prover-
biale siciliano «accattari la gatta ’ntra lu saccu» (Mortillaro), cioè ‘com-
prare qualche cosa senza controllarne la qualità’. – «Quel... inganno»:
cfr. Pitrè, I, p. 313: «Chiddu ch’è di pattu, ’un è di ’ngannu ». – anima…
ai porci!: riprende «l’anima ho da darla a Dio!» (I, 20), con variante che
evidenzia il crescendo di concitazione dello zio Crocifisso.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

ni e li mostrava a Dio e alla Madonna, chiamandoli a testi-


moni. Infine, rosso, scalmanato, fuori di sé, fece una propo-
sta disperata, e la piantò in faccia allo zio Crocifisso rim-
minchionito, e ai Malavoglia coi sacchi in mano: – Là! paga-
teli a Natale, invece di pagarli a tanto al mese, e ci avrete un
risparmio di un tarì a salma! La finite ora, santo diavolone!
– E cominciò a insaccare – In nome di Dio, e uno!
25 La Provvidenza partì il sabato verso sera, e doveva esser
suonata l’avemaria, sebbene la campana non si fosse udita,

25. La Provvidenza partì...: evento chiave nell’intreccio del romanzo


e a darne rilievo compaiono le uniche note di paesaggio del capitolo,
tutte volte a creare un’impressione di spensieratezza e di buon augurio
per il viaggio. Unica presenza dissonante, il minaccioso presagio della
«montagna tutta nera di nubi», accentuato anche dall’infittirsi di timbri
oscuri (scura, paura, tutta, nubi), che padron ’Ntoni però, affidandosi
alla saggezza degli antichi, si affretta a leggere come segno favorevole.
Il tono lirico-descrittivo è sapientemente bilanciato dall’introduzione di
componenti di segno contrario (ad es. la concessiva e la causale che
seguono l’indicazione temporale dell’attacco) che ne frenano l’espan-
sione, stemperando il potenziale evocativo dell’avvio. Nello schema
sullo svolgimento dell’azione (cfr. Appendice II) la data della partenza
viene scrupolosamente indicata, in sostituzione di una generica ipotesi
iniziale («agosto»): «Sabato 21 sett(embr)e vigilia della solennità dei
dolori di M(aria) V(ergine)», dove la minuzia del dettaglio cronologico
(da notare curiosamente che la collocazione della partenza di sabato
rimane fissa fin dagli abbozzi, al di là dei mutamenti di mese) coesiste
con la prevalente volontà di ricercare più segrete risonanze allusive, che
si paleseranno solo nel capitolo IV, 20: «è morto in un giorno segnala-
to». – come... passere: cfr. Primavera, in Primavera ed altri racconti, p.
35: «... quando le sue compagne irrompevano in Galleria come uno
stormo di passere». Vedi, pur nella diversità del riferimento, Manzoni,
I promessi sposi, X, p. 173: «[i pensieri] si levaron subito, come uno
stormo di passere all’apparir del nibbio»; ibid., XVII, p. 326: «mi fer-
merò [...] sur una pianta, come le passere». – stella della sera: correzio-
ne in bozze; in A: «stella di ponente» ➝ «stella dell’avemaria».
–antenna: asta di legno trasversale all’albero della nave. – fariglioni: più
comunemente ‘faraglioni’; «sono scogli altissimi e isolati nel mare di
Acitrezza» (Verga). – «Scirocco... paura»: cfr. «Sciloccu chiaru e
Tramuntana scura, mettiti a mari senza paura» (Pitrè, III, p. 66). – verso
la montagna: nell’autografo è correzione su un precedente «l’Etna»: dal
dettaglio geografico alla dimensione mitica.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo

perché mastro Cirino il sagrestano era andato a portare un


paio di stivaletti nuovi a don Silvestro il segretario; in quel-
l’ora le ragazze facevano come uno stormo di passere intor-
no alla fontana, e la stella della sera era già bella e lucente,
che pareva una lanterna appesa all’antenna della
Provvidenza. Maruzza colla bambina in collo se ne stava
sulla riva, senza dir nulla, intanto che suo marito sbrogliava
la vela, e la Provvidenza si dondolava sulle onde rotte dai
fariglioni come un’anitroccola. – «Scirocco chiaro e tramon-
tana scura, mettiti in mare senza paura,» diceva padron
’Ntoni dalla riva, guardando verso la montagna tutta nera di
nubi.
26 Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con
Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare si mangiò. –
Dice che i denari potete mandarli a sua madre, la Locca,
perché suo fratello è senza lavoro; aggiunse Bastianazzo, e
questa fu l’ultima sua parola che si udì.

26. aggiunse… udì: sapiente chiusura del capitolo, che il rallenta-


mento sintattico mette in rilievo nel suo valore di clausola. La dram-
matica allusività dell’aggettivo («ultima») e la perentorietà del passato
remoto finale («che si udì» nell’autografo è aggiunta interlineare) si
pongono come chiave di lettura di una serie di indizi che fanno presa-
gire un’imminente catastrofe, dal dettaglio solo apparentemente
descrittivo della «montagna tutta nera di nubi» (cfr. Pane nero, p. 325:
«sera smorta, carica di nuvoloni di malaugurio»), alla pregnanza, rile-
vata anche dall’allitterazione, di «che il mare si mangiò» (che sostitui-
sce in A il più neutro «che non si potè udire»). In questo contesto le
parole di Menico, riportate da Bastianazzo, suonano «come parole di
un testamento» (Nardi).

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II

1 Per tutto il paese non si parlava d’altro che del negozio


dei lupini, e come la Longa se ne tornava a casa colla Lia in
collo, le comari si affacciavano sull’Uscio per vederla passa-
re.
– Un affar d’oro! – vociava Piedipapera, arrancando colla
gamba storta dietro a padron ’Ntoni, il quale era andato a
sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a padron Fortunato
Cipolla, e al fratello di Menico della Locca che stavano a
prendere il fresco. – Lo zio Crocifisso strillava come se gli

1. Per tutto il paese...: l’avvio propone il tema-chiave del capitolo con


evidente variazione tematica e ritmica rispetto alla fine del capitolo pre-
cedente. Cfr. Mastro-don Gesualdo, III, 1, p. 304: «Nel paese non si par-
lava d’altro». – come: ‘mentre’. – accorrendo colla gamba storta: l’e-
spressione, che giustifica il soprannome (cfr. I, 21), sostituisce solo nelle
bozze, quasi con funzione esplicativa, la lezione di A: «arrancando».
Vedi Rigutini-Fanfani: «Arrancare: Il camminare in fretta, proprio degli
zoppi o sciancati», ma attestato anche nel Mortillaro, che aggiunge:
«quasi si tirino e si strascinino dietro l’anche». Si trasformerà, con lievi
variazioni, in formula legata al personaggio (cfr. II, 29; VI, 33; VII, 44,
45; XII, 8). – penne mastre: ‘penne principali delle ali’. Cfr. «Levare ad
uno le penne maestre dicesi proverbialmente per ‘Toglierli la principal
parte dell’avere’» (Rigutini-Fanfani). Ma anche nel Mortillaro è attesta-
to: «Scippari na pinna di ficatu (‘fegato’), modo proverbiale vale ‘torre
altrui la miglior parte dell’avere’. Cavare le penne maestre». – si sarebbe
buttato... fariglione: cfr. anche IV, 32. Inoltre Manzoni, I promessi sposi,
III, p. 54: «si sarebbe, come si dice, buttata nel fuoco per quell’unica
figlia»; ibid., VI, p. 99: «Oggi mi butterei nel fuoco per te». – era il
mestolo della pentola: era cioè possibile concludere tramite Piedipapera
affari vantaggiosi. Cfr. «Essiri cucchiara di tutti pignati, dicesi di chi ha
cognizione di molte cose, ed è abile nel maneggio degli affari»
(Mortillaro). «Mestolo» sostituisce nelle bozze la lezione di A: «cuc-
chiajo». Cfr. Manzoni, I promessi sposi, IX, p. 156: «avevano, come si
suol dire, il mestolo in mano».

Letteratura italiana Einaudi 27


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

strappassero le penne mastre, ma non bisogna badarci, per-


ché delle penne ne ha molte, il vecchio. – Eh! s’è lavorato!
potete dirlo anche voi, padron ’Ntoni! – ma per padron
’Ntoni ei si sarebbe buttato dall’alto del fariglione, com’è
vero iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli
era il mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bolli-
vano più di duecento onze all’anno! Campana di legno non
sapeva soffiarsi il naso senza di lui.
2 Il figlio della Locca, udendo parlare delle ricchezze dello
zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero perché era
fratello della Locca, si sentiva gonfiare in petto una gran
tenerezza pel parentado.
– Noi siamo parenti, ripeteva. Quando vado a giornata da
lui mi dà mezza paga, e senza vino, perché siamo parenti.
Piedipapera sghignazzava.
– Lo fa per tuo bene, per non farti ubbriacare, e lasciarti
più ricco quando creperà.
3 Compare Piedipapera si divertiva a sparlare di questo e di
quello, come capitava, ma così di cuore, e senza malizia, che

2. gli era zio davvero: cfr. I, 2.


3. pigliarsela in criminale: ‘adirarsi’ (Trama). Nel Mortillaro:
«Pigghiarisi li cosi ncriminali, vale ‘per ogni nonnulla incollerire, e adi-
rarsi’». Nell’abbozzo M 4: «pigliarsela a male». – dirsi… rosario: si allu-
de maliziosamente alla tresca con Massaro Filippo. L’ambito della
metafora è ironicamente in relazione col nomignolo del personaggio
(Santuzza). Cfr. II, 34; X, 56: «per aiutarla a dire le orazioni». – chiusa:
è il terreno recintato adibito al pascolo o alla coltivazione. Vedi Nedda,
p. 25 (il termine è segnato dal corsivo); La Lupa, p. 197. – la Vespa: il
personaggio è individuato sempre col solo nomignolo, che trae origine
dalla prontezza e mordacità della sua lingua (cfr. III, 11; V, 5: «sfoderò
la lingua come un pungiglione»; VIII, 7), e forse anche dalla sua ‘intra-
prendenza’ (nel Petrocchi si registra l’uso figurato riferito a «giovane
lesta, pronta»). Negli appunti preparatori, come attributo specifico,
«tenta di farsi sposare dallo zio». – pulirti la bocca: ‘rinunciare’; cfr.
anche VIII, 12. Vedi Rigutini-Fanfani: «Nettarsi la bocca, vale figurata-
mente e in ischerno ‘Abbandonare il pensiero d’una cosa per impossi-
bilità di conseguirla’». Una variante dell’espressione in Amore senza
benda, in Per le vie, p. 392: «se affibbia un figliolo al vecchio, dell’ere-
dità vi leccherete i baffi».

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

non c’era verso di pigliarsela in criminale. – Massaro Filippo


è passato due volte dinanzi all’osteria, diceva pure, aspetta
che la Santuzza gli faccia segno di andarla a raggiungere
nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario.
Oppure al figlio della Locca:
– Tuo zio Crocifisso cerca di rubarle la chiusa, a tua cugi-
na la Vespa; vuol pagargliela la metà di quel che vale, col
darle ad intendere che la sposerà. Ma se la Vespa riesce a
farsi rubare qualche cos’altro, potrai pulirti la bocca della
speranza dell’eredità, e ci perdi i soldi e il vino che non ti ha
dato.
4 Allora si misero a quistionare, perché padron ’Ntoni
sosteneva che lo zio Crocifisso alla fin fine era cristiano, e
non aveva dato ai cani il suo giudizio, per andare a sposare
la figliuola di suo fratello.
– Come c’entra il cristiano e il turco? ribatteva
Piedipapera. E’ un pazzo, volete dire. Lui è ricco come un
maiale, mentre la Vespa non possiede altro che quella chiu-
sa grande quanto un fazzoletto da naso.
– Lo dite a me che ci ho a limite la vigna, padron Cipolla
gonfiandosi come un tacchino.
– Li chiamate vigna quei quattro fichidindia? rispose
Piedipapera.

4. quistionare: ‘discutere animatamente’; forma più popolare di ‘que-


stionare’ (Petrocchi). – era cristiano… giudizio: era un buon uomo e
non era uscito di senno (cfr. Mortillaro: «Cristianu, per antonomasia
vale ‘Savio’, ‘Prudente’»). Ripreso successivamente in opposizione a
«turco (cfr. I, 19). Per la complessa valenza semantica di ‘cristiano’,
vedi G. Alfieri, Lettera e figura cit., pp. 141-44. – ricco come un maiale:
vedi Mastro-don Gesualdo, IV, IV, p. 432: «Avete fatto che siete ricco
come un maiale!» – insaccato: ‘coperto di nubi’. –«Quando il sole...
ponente»: padron ’Ntoni corregge a proprio vantaggio, augurandosi un
vento propizio per la Provvidenza (cfr. «Quannu lu suli si curca ’nsacca-
tu s’aspettanu li venti di Punenti», Pitrè, III, p. 55), le precedenti paro-
le di padron Cipolla, che traducono, pur non essendo evidenziate dalle
virgolette, il proverbio: «Quannu lu suli si ’nsacca, ventu o acqua»
(Pitrè, III, p. 55).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

– In mezzo ai fichidindia ci sono le viti, e se San Francesco


ci manderà una buona pioggia, lo vedrete poi che mosto
darà. Il sole oggi si coricò insaccato – acqua o vento.
– «Quando il sole si corica insaccato si aspetta il vento di
ponente», aggiunse padron ’Ntoni.
5 Piedipapera non poteva soffrire quello sputasentenze di
padron Cipolla, il guale perché era ricco si credeva di sape-
re tutto lui, e di dar a bere le corbellerie a chi non aveva
denari.
– Chi la vuol cotta e chi la vuol cruda, conchiuse. Padron
Cipolla aspetta l’acqua per la sua vigna, e voi il ponente in
poppa alla Provvidenza. Lo sapete il proverbio «Mare cre-
spo, vento fresco». Stasera le stelle sono lucenti, e a mezza-
notte camiierà il vento; sentite la buffata?
6 Sulla strada si udivano passare lentamente dei carri.
– Notte e giorno c’è sempre gente che va attorno per il
mondo, osservò poi compare Cipolla.

5. sputasentenze: cfr. VII, 43: «sebbene sputi sentenze peggio di un


filosofo». – Chi la vuol... cruda: inserito senza virgolettatura, ma tradu-
zione di «Cui la voli cotta, cui la voli cruda» (Pitrè, I, p. 15). In A è
aggiunta interlineare che sostituisce una precedente lezione: «Ciascuno
aspetta quello che desidera». Il proverbio compare anche in una lette-
ra a Treves (18 settembre 1873). – «Mare...fresco»: cfr. «Mari crispu,
ventu friscu» (Pitrè, III, p. 40). Cfr. anche X, 8. – buffata: indicato dal
Fanfani come termine marinaresco: «soffio di vento non continuato,
che sorge a un tratto, cessa e ritorna». Cfr. anche Camerati, p. 426: «lo
sentiva alle buffate di vento».
6. Sulla strada… carri: la misura ritmica che caratterizza l’enunciato
(Sulla strada si udivano passare | lentamente dei carri), segna l’apparire
nel romanzo di uno dei leit-motiv di complessa e articolata valenza sim-
bolica (cfr. II, 37; VIII, 24; X, 34, 38, 90; XI, 38, 39); qui, come rivela-
no le parole di padron Cipolla, con la particolare connotazione di evo-
care la vastità quasi favolosa dello spazio che circonda il microcosmo di
Trezza (cfr. P. De Meijer, Costanti del mondo verghiano, Salvatore
Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 1969, p. 107). Vedi anche Jeli il
pastore, in Vita dei campi, p. 151: «Per la strada passavano continua-
mente dei carri» e Il bastione di Monforte (un testo dalla marcata com-
ponente evocativa) in Per le vie, p. 361: «E passa il rumore di un carro».
– Capo dei Mulini: promontorio a nord di Trezza.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

E adesso che non si vedeva più né mare né campagna,


sembrava che non ci fosse al mondo altro che Trezza, e
ognuno pensava dove potevano andare quei carri a quell’o-
ra.
– Prima di mezzanotte la Provvidenza avrà girato il Capo
dei Mulini, disse padron ’Ntoni, e il vento fresco non le darà
più noia.
7 Padron ’Ntoni non pensava ad altro che alla Provvidenza,
e quando non parlava delle cose sue non diceva nulla, e alla
conversazione ci stava come un manico di scopa.
– Voi dovreste andare a mettervi con quelli della spezie-
ria, che discorrono del re e del papa; gli diceva perciò
Piedipapera. Colà ci fareste bella figura anche voi! Li senti-
te come gridano?
– Questo è don Giammaria, disse il figlio della Locca, che
litiga collo speziale.
8 Lo speziale teneva conversazione sull’uscio della bottega,

7. come un manico di scopa: la similitudine, anche se in sintonia con


gli spunti ‘comici’ presenti nel capitolo, sottolinea un motivo che, per
la nota grave che introduce, costituisce una sorta di controcanto inter-
no: l’estraneità di padron ’Ntoni al chiacchierio generale.
8. Lo speziale teneva conversazione...: avvio di sequenza con ripresa
di elementi precedenti («li sentite come gridano? | Questo è don
Giammaria [...] che litiga collo speziale»), ma in questo caso l’origina-
lità consiste nel presupporre un contatto uditivo fra i vari gruppi di per-
sonaggi, così da ridurre la ‘gestione diretta’ della transizione da parte
del narratore, garantendo al contempo la verisimiglianza del raccordo.
Vedi R. Luperini, Sulla costruzione dei «Malavoglia». Nuove ipotesi di
lavoro, in Verga. L’ideologia, le strutture narrative, il «caso» critico, a
cura di R. Luperini, Milella, Lecce 1982, pp. 92 sgg. e A. Asor Rosa, Il
capitolo secondo, in I Malavoglia di G. Verga 1881-1981 – Letture criti-
che, a cura di C. Musumarra, Palombo, Palermo 1982, pp. 37 sgg. –
sapeva di lettera: cfr. I, 18. – leggeva la gazzetta...altri: in A: «Era abbo-
nato alla Gazzetta di Catania e aveva le idee del suo giornale». Cfr.
anche XIII, 13. – a rischio… moglie: il motivo della sottomissione alla
moglie completa il ritratto di Don Franco con una nota di sapore mac-
chiettistico, per altro già rilevabile nella fissità dei gesti che caratteriz-
zano il personaggio (cfr. II, 28; III, 6; VII, 23, 36; X, 57, 58, 96, 98; XII,
40). – andare a letto a mo’ dei bruti: cfr. Manzoni, i promessi sposi, XVII,

Letteratura italiana Einaudi 31


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

al fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di let-


tere leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci
aveva anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la
teneva là, a portata di mano, sotto il mortaio di cristallo,
perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria, il
vicario, per passare il tempo, e ci pigliavano delle malattie
dalla bile; ma non avrebbero potuto stare un giorno senza
vedersi. Il sabato poi, quando arrivava il giornale, don
Franco spingevasi sino ad accendere mezz’ora, ed anche
un’ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie,
onde spiattellare le sue idee, e non andare a letto a mo’ dei
bruti, come compare Cipolla, o compare Malavoglia.
L’estate poi non c’era neppur bisogno della candela, giacché
si poteva star sull’uscio, sotto il lampione, quando mastro
Cirino l’accendeva, e qualche volta veniva don Michele, il
brigadiere delle guardie doganali; e anche don Silvestto, il
segretario comunale, tornando dalla vigna si fermava un
momento.
9 Allora don Franco diceva, fregandosi le mani, che pareva
un piccolo Parlamento, e andava a piantarsi dietro il banco,
pettinandosi colle dita la barbona, con certo sorriso furbo

p. 295: «Disse poi le sue solite divozioni; e per di più chiese perdono a
Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anzi per dir le sue paro-
le, d’essere andato a dormire come un cane […]».
9. pettinandosi... barbona: cfr. I, 7. – colezione: la forma si alterna con
«colazione» (cfr. VI, 11). – ci si mangiava… parole latine: sostituisce in
A: «si arrabbiava e lo fulminava d’invettive vernacole e latine». – rad-
drizzare le gambe ai cani: ‘fare qualcosa d’impossibile’. Vedi anche
Manzoni, I promessi sposi, I, p. 20: «Questo chiamava un comprarsi
gl’impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani». – senza
scarpe ai piedi: cfr. Guerra di santi, in Vita dei campi, p. 213: «ognuno se
li rammentava senza scarpe ai piedi». – sembrava una gallina: si trasfor-
merà in epiteto fisso per don Silvestro (cfr. II, 27; IV, 25; X, 98). Il pas-
saggio di sequenza avviene probabilmente sulla scorta del diffuso pro-
verbio «Gallina che schiamazza ha fatto l’uovo» (Rigutini-Fanfani), che
suggerisce la successiva trama metaforica: fa l’uovo… fa le uova d’oro
(‘sfrutta a suo vantaggio la carica che riveste’)… preferisce le uova delle
sue galline.

Letteratura italiana Einaudi 32


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

che pareva si volesse mangiare qualcuno a colazione, e alle


volte si lasciava scappare sottovoce delle mezze parole
dinanzi alla gente, rizzandosi sulle gambette, e si vedeva che
la sapeva più lunga degli altri, tanto che don Giammaria non
poteva patirlo e ci si mangiava il fegato, e gli sputava in fac-
cia parole latine. Don Silvestro, lui, si divertiva a vedere
come si guastavano il sangue per raddrizzare le gambe ai
cani, senza guadagnarci un centesimo; egli almeno non era
arrabbiato come loro, e per questo, diceviano in paese, pos-
sedeva le più belle chiuse di Trezza, – dove era venuto senza
scarpe ai piedi – aggiungeva Piedipapera. Ei li aizzava l’un
contro l’altro, e rideva a crepapancia con degli Ah! ah! ah!
che sembrava una gallina.
10 – Ecco don Silvestro che fa l’uovo, osservò il figlio della
Locca.
– Don Silvestro fa le uova d’oro, laggiù al Municipio,
rispose Piedipapera.
– Uhm! – sputò fuori padron Fortunato – pezzenterie!
comare Zuppidda non gli ha voluto dare la figliuola.
– Vuol dire che mastro Turi Zuppiddu preferisce le uova
delle sue galline; rispose padron ’Ntoni.
E padron Cipolla disse di sì col capo.
– «’Ntroi ’Ntroi, ciascuno coi pari suoi», aggiunse padron
Malavoglia.
Piedipapera allora ribatté che se don Silvestro si fosse
contentato di stare coi suoi pari a quest’ora ci avrebbe la
zappa in mano, invece della penna.

10. «’Ntroi... suo»i: cfr. «’Ntrò ’ntrò cu li pari tò’» (Pitrè, II, p. 70). I
suoni iniziali, privi di senso, sono impiegati solo per ragioni di rima, cfr.
infatti IX, 57: «’Ntrua ’ntrua! ciascuno a casa sua»). La primitiva ver-
sione del proverbio compare, non virgolettata, nel testo base di A: «Pari
con pari e statti con i tuoi». Nell’abbozzo M 5, p. 25 («Pari con pari e
starti coi tuoi») e M 6, p. 29: «Pari con pari e giuoca coi tuoi» (cfr. Pitrè,
I, p. 241: «Pari cu pari, e joca cu li toi»).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

11 – Che ce la dareste voi vostra nipote Mena? disse alfine


padron Cipolla, volgendosi a padron ’Ntoni.
– «Ognuno all’arte sua, e il lupo alle pecore». Padron
Cipolla continuava a dir di sì col capo, tanto più che fra lui
e padron ’Ntoni c’era stata qualche parola di maritar la
Mena con suo figlio Brasi, e se il negozio dei lupini andava
bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l’af-
fare si sarebbe conchiuso presto.
– «La ragazza com’è educata, e la stoppa com’è filata»,
disse infine padron Malavoglia, e padron Cipolla confermò
che tutti lo sapevano in paese che la Longa aveva saputo
educarla la figliuola, e ognuno che passava per la stradic-
ciuola a quell’ora, udendo il colpettare del telaio di
Sant’Agata diceva che l’olio della candela non lo perdeva,
comare Maruzza.
12 La Longa, com’era tornata a casa, aveva acceso il lume, e

11. «Ognuno... pecore»: variante italiana fornita dal Pitrè (II, p. 438)
per il proverbio siciliano: «Ognunu campa cu l’arti sua». A chiarire il
senso preciso del proverbio, la lezione precedente in A: «Mia nipote
Mena deve sposare uno che fa il mestiere di suo padre». – Brasi: Biagio.
– «La ragazza...filata»: la stoppa può acquistare valore dal modo con cui
è filata, così una ragazza può essere giudicata dal modo con cui è edu-
cata; cfr. Pitrè, II, p. 91: «La figghia com’è addivata (‘allevata’) (o La pic-
ciotta com’è ’nsignata), la stuppa com’è filata». Cfr. anche VIII, 26. – col-
pettare: indica i colpi del pettine sul telaio (cfr. I, 13; XV, 47); forma non
comune (nel Battaglia è attestata proprio da quest’unico esempio),
rispetto a «colpeggiare». Cfr. anche VII, 10: «[...] nell’acqua verde che
le colpettava attorno ai fianchi». – l’olio… perdeva: cfr. Nedda, p. 6: «la
vecchia castalda filava, tanto perchè la lucerna appesa alla cappa del
focolare non ardesse per nulla».
12. cannelli: pezzi di canna, tagliati tra nodo e nodo, attorno ai quali
si avvolgeva il filo del ripieno (il filo cioè col quale si riempie l’ordito
della tela); cfr. «Fare i cannelli» (Rigutini-Fanfani). – stare alla fine-
stra...: il sintagma, così denso di valenze simboliche nel linguaggio rusti-
cano, genera il proverbio seguente (cfr. «A fimmina ’n finestra ’un fari
festa, Pitrè, II, p. 61) e organizza sia la battuta della cugina Anna (cfr.
l’attestazione del Nicotra: «cui avi facci granni, o tosta, si marita») sia il
nuovo ambito metaforico che si determina («un marito se lo pescano»...
«si era lasciato irretire dentro le gonnelle»), per confluire circolarmen-

Letteratura italiana Einaudi 34


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

s’era messa coll’arcolaio sul ballatoio, a riempire certi can-


nelli che le servivano per l’ordito della settimana.
– Comare Mena non si vede, ma si sente, e sta al telaio
notte e giorno, come Sant’Agata, dicevano le vicine.
– Le ragazze devono avvezzarsi a quel modo, rispondeva
Maruzza, invece di stare alla finestra «A donna alla finestra
non far festa».
– Certune però collo stare alla finestra un marito se lo
pescano, fra tanti che passano; osservò la cugina Anna dal-
l’uscio dirimpetto.
La cugina Anna aveva ragione da vendere; perché quel
bietolone di suo figlio Rocco si era lasciato irretire dentro le
gonnelle della Mangiacarrubbe, una di quelle che stanno
alla finestra colla faccia tosta.
13 Comare Grazia Piedipapera, sentendo che nella strada

te in una sequenza dalla marcata sottolineatura fonica («stanno alla


finestra colla faccia tosta»); cfr. «fari faccia tosta ‘essere ardito e presun-
tuoso’» (Nicotra), ma anche Manzoni, I promessi sposi, II, p. 35. – bie-
tolone: «suol dirsi per dispregio ad uomo sciocco e dappoco» (Rigutini-
Fanfani).
13. c’era conversazione…: costituisce il tema del brano seguente,
meglio definito in chiusura «chiacchierio», che presenta negli autogra-
fi varie e tormentatissime redazioni. Verga fornisce qui una prova della
qualità mimetica della sua scrittura, riproponendo un esempio di lin-
guaggio parlato caratterizzato oltre che dalle manifestazioni espressive
esterne (morfologiche, sintattiche, lessicali), anche dalla particolare
struttura logica che lo produce. I motivi che ne determinano la trama
interna si generano l’uno dall’altro seguendo associazioni apparente-
mente divaganti (topi ➝ gatti ➝ ladri ➝ vicenda della Nunziata),
per riconnettersi alla fine circolarmente col tema che ne aveva fornito
lo spunto iniziale («Rocco si era lasciato irretire dentro le gonnelle della
Mangiacarrubbe [...] Poi alla cugina Anna le era toccato di tirar su quel
fannullone per vederselo rubare dalla Mangiacarrubbe»). – il giudizio
dei cristiani: cfr. Cos’è il Re, p. 244: «le mule che non avevano giudizio».
– bestie scomunicate: corregge in A un precedente: «bestie indiavolate»;
cfr. Manzoni, I promessi sposi, XXXIII, p. 568: «due facce scomunica-
te». – pedata di compare Tino: un atto che nella superstizione popolare
si carica di misteriose valenze; Salomone-Marino infatti (in Costumi e
usanze, pp. 287 sgg.), nel citare il caso di un’agonia che si prolunga in

Letteratura italiana Einaudi 35


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

c’era conversazione, si affacciò anch’essa sull’uscio, col


grembiule gonfio delle fave che stava sgusciando, e se la
pigliava coi topi che le avevano bucherellato il sacco come
un colabrodo, e pareva che l’avessero fatto apposta, come se
ci avessero il giudizio dei cristiani; così il discorso si fece
generale, perché alla Maruzza gliene avevano fatto tanto del
danno, quelle bestie scomunicate! La cugina Anna ne aveva
la casa piena, da che gli era morto il gatto, una bestia che
valeva tant’oro, ed era morto di una pedata di compare
Tino. – I gatti grigi sono i migliori, per acchiappare i topi, e
andrebbero a scovarli in una cruna di ago.
14 – Ai gatti non conveniva aprire l’uscio di notte, perché
una vecchia di Aci Sant’Antonio l’avevano ammazzata così,
che i ladri le avevano rubato il gatto tre giorni avanti, e poi
glielo avevano riportato mezzo morto di fame a miagolare
dietro l’uscio; e la povera donna non sentendosi il cuore di

modo inspiegabile, riporta come curiosa spiegazione addotta dal


mondo contadino l’uccisione di una gatta da parte dell’agonizzante.
Non casuale appare quindi nel nostro passo la scelta del personaggio di
Piedipapera come responsabile, visto che è sciancato (cfr. I, 21) e che la
sua zoppìa assumerà particolari connotazioni ‘diaboliche’ (cfr. ad es. II,
29; VII, 50: «piede del diavolo»; XIV, 17: «zoppo come il diavolo»), per
la stretta relazione che si instaura nella superstizione popolare fra
deformità e malvagità (cfr. XIII, 46). – gatti grigi: a proposito di un pro-
verbio in cui compare «gattu griciu», il Pitrè (Il, p. 379) spiega: «Il gatto
grigio è tra i più feroci, chè il colore grigio per sè stesso è il colore del-
l’animale feroce primitivo».
14. Aci Sant’Antonio: paese sulle falde dell’Etna, nelle vicinanze di
Acireale. – si vedevano... mai viste: cfr. Manzoni, I promessi sposi, XVI,
p. 288: «andavano in giro facce, che in Milano non s’eran mai vedute».
– arruffavano: forma non comune in questa accezione (‘scompigliavano,
mettevano sottosopra’ la biancheria, per poi rubare i pezzi migliori),
che compare nelle bozze come correzione della lezione di A: «scompa-
riva» ? «rubavano». Non manca il sospetto che si tratti di un refuso per
il più comune «arraffavano» (cfr. VIII, 22: «voleva arraffarsi la sua chiu-
sa»; «ve l’arraffa»), che d’altra parte potrebbe però essere, come cre-
diamo che sia, una lectio facilior introdotta dal proto. – nidiata di
figliuoli: cfr. Manzoni, I promessi sposi, XXXIV, p. 589: «una povera
donna, con una nidiata di bambini intorno».

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

lasciar la bestiola sulla strada a quell’ora, aveva aperto l’u-


scio, e così s’era ficcati i ladri in casa. Al giorno d’oggi i
mariuoli ne inventano di ogni specie per fare i loro tiri; e a
Trezza si vedevano delle facce che non si erano mai viste
sugli scogli, col pretesto d’andare a pescare, e arraffavano la
biancheria messa ad asciugare, se capitava. Alla povera
Nunziata le avevano rubato in quel modo un lenzuolo
nuovo. Povera ragazza! rubare a lei che lavorava per dare
pane a tutti quei fratellini che suo padre le aveva lasciato
sulle spalle, quando l’aveva piantata per andare a cercar for-
tuna ad Alessandria d’Egitto! – Nunziata era come la cugi-
na Anna, quando l’era morto il marito, e le aveva lasciato
quella nidiata di figliuoli, che Rocco, il più grandicello, non
le arrivava alle ginocchia. Poi alla cugina Anna le era tocca-
to di tirar su quel fannullone per vederselo rubare dalla
Mangiacarrubbe.
15 In mezzo a quel chicchierio saltò su la Zuppidda, la
moglie di mastro Turi il calafato, la quale stava in fondo alla
straduccia, e compariva sempre all’improvviso, per dire la
sua come il diavolo nella litania, ché nessuno s’accorgeva di
dove fosse sbucata.
– Del resto, venne a brontolare, vostro figlio Rocco non vi
ha aiutata neppure lui, ché se si è buscato un soldo è anda-
to subito a berlo all’osteria.
16 La Zuppidda sapeva tutto quello che succedeva in paese

15. calafato: l’artigiano che tura con stoppa le commessure fra le


tavole del fasciame della barca, spalmandole poi di catrame e pece per
renderle impermeabili. – come il diavolo nella litania: cioè improvvisa-
mente e inaspettatamente. La similitudine offre lo spunto per il succes-
sivo sviluppo metaforico («diceva la verità come il santo evange-
lio»...«lingua d’inferno»). – buscato: cfr. I, 14.
16. far la spia: cfr. IX, 62. Cfr. anche Manzoni, I promessi sposi, VI,
p. 89: «venire a farmi la spia in casa». – fuso: l’arnese di legno su cui si
avvolge il filato. Insieme alla conocchia diventerà un particolare inscin-
dibile dal personaggio (cfr. V, 18; VII, 5, 38; X, 55; XII, 17; XIII, 15).
– frullasse: ‘producesse rumore sbattendo sui sassi’. – «Bocca... fiele»:
cfr. «Vucca amara, feli jetta» (Pitrè, II, p. 390). – dargli il figlio di

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

e per questo raccontavano che andava tutto il giorno in giro


a piedi scalzi, a far la spia, col pretesto del suo fuso, che lo
teneva sempre in aria perché non frullasse sui sassi.
Ella diceva sempre la verità come il santo evangelio, que-
sto era il suo vizio, e perciò la gente che non amava sentir-
sela cantare, l’accusava di essere una lingua d’inferno, di
quelle che lasciano la bava. – «Bocca amara sputa fiele»; ed
ella ci aveva la bocca amara davvero per quella sua Barbara
che non aveva potuto maritare, tanto era superba e sgarba-
ta, e con tutto ciò voleva dargli il figlio di Vittorio
Emanuele.
17 – Bel pezzo, la Mangiacarrubbe, seguitava, una sfacciata
che si è fatto passare tutto il paese sotto la finestra «A donna
alla finestra non far festa», e Vanni Pizzuto le portava in
regalo i fichidindia rubati a massaro Filippo l’ortolano, e se
li mangiavano insieme nella vigna, sotto il mandorlo, li aveva
visti lei.
– E Peppi Naso, il beccaio, dopo che gli spuntò la gelosia
di compare Mariano Cinghialenta, il carrettiere, andava a
buttarle dietro l’uscio tutte le corna delle bestie che macel-
lava, sicché dicevano che andava a pettinarsi sotto la finestra
della Mangiacarrubbe.

Vittorio Emanuele: darle per marito il figlio del re; cfr. IV, 16; VII, 53;
X, 84 (nella variante: «la figlia di V. E.»); XV, 16. Cfr. anche Cavalleria
rusticana, in Vita dei campi, p. 193: « – Vorrei essere il figlio di Vittorio
Emanuele per sposarti! – ».
17. Bel pezzo: qui ‘bel tipo’, in senso ironico; ma anche (cfr. VI, 10)
come traduzione di «toccu di fimmina»: «Un bel pezzo di ragazza così».
– una sfacciata... festa»: si precisa la connotazione di ‘civettare’, ‘farsi
corteggiare da tutti’, per ‘stare alla finestra’ (cfr. II, 12) Vedi anche nella
riduzione teatrale della novella La Lupa (atto I, scena 1): «s’affacciava
alla finestra per tirarlo in peccato mortale». – beccaio: ‘macellaio’. –
spuntò la gelosia: pregnante la scelta del verbo che anticipa la sorte di
Peppe Naso, sulla base del proverbio: «Cu’ è gilusu è beccu» (Pitrè, II,
p. 100). – andava a pettinarsi: allusione maligna alle corna che gli erano
spuntate sul capo (cfr. nota prec.). Becco e cornuto sono continuamente
richiamati senza essere citati esplicitamente (cfr. «beccaio»... «corna
delle bestie»).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

18 Quel cuor contento della cugina Anna invece la prendeva


allegra. – Don Giammaria dice che fate peccato nortale a
sparlar del prossimo!
– Don Giammaria dovrebbe piuttosto far la predica a sua
sorella donna Rosolina, rispose la Zuppidda, e non lasciarle
far la ragazzetta con don Silvestro, quando passa, e con don
Michele il brigadiere, che ci ha la rabbia del narito, con tutti
quegli anni e quella carne che ci ha addosso, la poveraccia!
– Alla volontà di Dio! concluse la cugina Anna, Quando
è morto mio marito, Rocco non era più alto di questa conoc-
chia e le sue sorelline erano tutte minori di lui. Forse che mi
son perduta d’animo per questo? Ai guai ci si fa il callo, e
poi ci aiutano a lavorare. Le mie figliuole faranno come ho
fatto io, e finché ci saranno le pietre al lavatoio avranno di
che vivere. Guardate la Nunziata, ora ella ha più giudizio di
una vecchietta, e si aiuta a tirar su quei piccini che pare li
abbia fatti lei.
19 – E dove è la Nunziata che non si vede ancora? domandò

18. cuor contento: il sintagma è formula proverbiale; cfr. «Cori cun-


tenti e li vèrtuli’ n coddu, ‘Cuor contento e sacco al collo’» (Fanfani);
«Cori cuntenti e ’na fedda di pani» (Pitrè, I, p. 75). Negli appunti pre-
paratori, gli attributi della cugina Anna sono: «coraggiosa e allegra».
Vedi anche XI, 9: «Voi accomodate ogni cosa... e hanno ragione di chia-
marvi Cuor contento», qui nel senso vicino all’attestazione del Rigutini-
Fanfani: «Corcontento dicesi a persona amante di ogni comodo e nemi-
ca d’ogni cura». Cfr. La coda del diavolo, in Primavera e altri racconti, p.
51; Vagabondaggio, p. 468. – rabbia del marito: altrove (X, 93) «smania
di maritarsi»; «desiderio eccessivo, strano. [...] Rabbia di marito»
(Petrocchi). Vedi anche IX, 37; inoltre Pane nero, p. 310: «si lasciò
scappare una parolaccia «Arrabbiata!» | – Arrabbiata tu! che m’hai
rubato il fratello!»; Cos’è il Re, p. 240: «doveva avere addosso la rabbia
di vedere il Re». – conocchia: in senso proprio ‘quantità di lana, che
deve essere filata’; per estensione ‘rocca per filare’ (la canna cioè su cui
si pone la lana). – ha più giudizio di una vecchietta: richiama per con-
trasto «lasciarle far la ragazzetta» (correzione in A su: «farla civettare»),
riferita a Donna Rosolina.
19. sciara: vocabolo siciliano di derivazione araba; è «la crosta for-
mata sul suolo dai torrenti di lava dell’Etna, i quali, raffreddatisi, for-
mano uno strato di roccia nerastra e dura come gli scogli, e dopo cen-

Letteratura italiana Einaudi 39


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

la Longa a un mucchio di monelli cenciosi, messi a piagnu-


colare sulla soglia della casuccia lì di faccia, i quali al sentir
parlare della sorella alzarono gli strilli in coro.
– L’ho vista che andava sulla sciara a fare due fasci di gine-
stre, e c’era pure vostro figlio Alessi che l’accompagnava,
rispose la cugina Anna.
I bambini stettero a sentire, e poi si rimisero a pigolare
tutti in una volta, e il più grandicello, appollaiato su di un
gran sasso rispose dopo un pezzetto:
– Non lo so dov’è.
20 Le vicine avevano fatto come le lumache quando piove, e
lungo la straduccia non si udiva che un continuo chiacchie-
rio da un uscio all’altro. Persino la finestra di compare Alfio
Mosca, quello del carro dell’asino, era aperta, e ne usciva un
gran fumo di ginestre. La Mena aveva lasciato il telaio e s’era
affacciata al ballatoio anch’essa.
– Oh! sant’Agata! esclamarono le vicine; e tutte le faceva-
no festa.
– Che non ci pensate a maritar la Vostra Mena? chiedeva
sottovoce la Zuppidda a comare Maruzza. Oramai deve
compire diciotto anni a Pasqua, lo so perché è nata l’anno
del terremoto, come mia figlia Barbara. Chi vuol pigliarsi
mia figlia Barbara, prima deve piacere a me.

tinaia d’anni possono anche fertilizzarsi nuovamente» (Verga). –Alessi:


in Treves ’81: «Alessio», ma in A: «Alessi», come usualmente. – pigola-
re... appollaiato: accomunati dal medesimo ambito metaforico (in A
«pigolare» è soprascritto a «piagnuccolare»), anticipano la similitudine
riferita alla Nunziata: «pareva una chioccia coi suoi pulcini» (cfr. X, 35:
«ti terrai sotto le ali tua sorella, come fa la chioccia coi suoi pulcini»).
20. come... piove: si erano cioè ritirate in casa; cfr., per contrasto, XI,
34: «cominciarono [...] ad uscire nella strada, come le lumache dopo il
temporale». – quello del carro dell’asino: epiteto fisso per Alfio Mosca;
lo compongono termini-chiave del mondo ‘rusticano’ di Verga (cfr. ad
es. II, 6; V, 15). – facevano festa: individuata con l’appellativo che ne
sancisce le doti di laboriosità e riservatezza («sant’Agata»), a Mena si
può ‘far festa’ al suo affacciarsi (cfr. invece II, 12: «A donna alla fine-
stra non far festa»). – l’anno del terremoto: il 1848.

Letteratura italiana Einaudi 40


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

21 In questo momento si udì un fruscìo di frasche per la via,


e arrivarono Alessi e la Nunziata, che non si vedevano i sotto
fasci di ginestre, tanto erano piccini.
– Oh! la Nunziata! esclamarono le vicine. Che non avevi
paura a quest’ora nella sciara?
– C’ero anch’io, rispose Alessi
– Ho fatto tardi con comare Anna al lavatoio, e poi non ci
avevo legna per il focolare.
La ragazzina accese il lume, e si mise lesta lesta ad appa-
recchiare ogni cosa per la cena, mentre i suoi fratellini le
andavano dietro per la stanzuccia, che pareva una chioccia
coi suoi pulcini. Alessi s’era scaricato del suo fascio, e stava
a guardare dall’uscio, serio serio, e colle mani nelle tasche.
– O Nunziata! le gridò Mena dal ballatoio; quando avrai
messo la pentola a bollire, vieni un po’ qua.
22 Nunziata lasciò Alessi a custodire il focolare, e corse ad
appollaiarsi sul ballatoio, accanto alla sant’Agata, per goder-
si il suo riposo anche lei, colle mani in mano.
– Compar Alfio Mosca sta facendo cuocere le fave;
osservò la Nunziata dopo un po’.
– Egli è come te, poveraccio! che non avete nessuno in
casa che vi faccia trovare la minestra, alla sera, quando tor-
nate stanchi.
– Sì, è vero, e sa pure cucire e si fa il bucato da sé, e si rat-

21. C’era... Alessi: nel tono sicuro e orgoglioso della battuta c’è già
tutto il carattere del personaggio (cfr. I, 4: «un moccioso tutto suo
nonno colui!»). Si noti l’oscillazione nella prima persona dell’imperfet-
to fra la desinenza etimologica in -a e la forma, sempre più diffusa dopo
la seconda edizione dei Promessi sposi, in -o (poco oltre: «avevo»).
Giova forse ricordare che «la desinenza -o per la prima persona è sco-
nosciuta ai dialetti meridionali, dove la -a vale per la prima come per la
terza persona» (Rohlfs, § 552). – pareva... pulcini: cfr. IV, 36; X, 11; XII,
20. In due casi la similitudine è riferita anche a Mena: X, 35; XI, 37.
22. camicie: in Treves ’81 «camice», ma «camicie», indicato dal
Petrocchi come «meno comune», in A e nelle altre cinque occorrenze.
– pianta della mano: in siciliano «chianta di la manu» (Mortillaro).

Letteratura italiana Einaudi 41


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

toppa le camicie – la Nunziata sapeva ogni cosa che faceva


il vicino Alfio, e conosceva la sua casa come la pianta della
mano; – Adesso, diceva, va a prender la legna; ora sta gover-
nando il suo asino – e si vedeva il lume nel Cortile, o sotto
la tettoia. Sant’Agata rideva, e la Nunziata diceva che per
essere preciso come una donna a compare Alfio gli manca-
va soltanto la gonnella.
– Così, conchiudeva Mena, quando si mariterà, sua
moglie andrà attorno col carro dell’asino, e lui resterà in
casa ad allevare i figliuoli.
23 Le mamme, in crocchio nella strada, discorrevano
anch’esse di Alfio Mosca, che fino la Vespa giurava di non
averlo voluto per marito, diceva la Zuppidda, perché la
Vespa aveva la sua brava chiusa, e se voleva maritarsi non
prendeva uno il quale non possedeva altro che un carro da
asino: «carro, cataletto» dice il proverbio. Ella ha gettato gli
occhi su di suo zio Campana di legno, la furbaccia!
24 Le ragazze fra di loro prendevano le parti di Mosca, con-
tro quella brutta Vespaccia; e la Nunziata poi si sentiva il
cuore gonfio dal disprezzo che gettavano su di compare
Alfio, pel solo motivo che era povero, e non aveva nessuno
al mondo, e tutto a un tratto disse a Mena: – Se fossi gran-
de io me lo piglietei, se me lo dessero.
La Mena stava per dire anche lei qualche cosa; ma cambiò
subito discorso.
– Che ci vai tu alla città, per la festa dei Morti?
– No, non ci vado perché non posso lasciar la casa sola.
– Noi ci andremo, se il negozio dei lupini va bene; l’ha
detto il nonno.

23. «carro cataletto»: la traduzione elimina la rima presente nel pro-


verbio originale siciliano: «carrettu, catalettu» (cfr. Pitrè, I, 135); in A si
mantiene, come nella fonte, la virgola di separazione.
24. Le ragazze... noci: in A l’intero comma è aggiunto nell’interlinea;
vengono così accostati, ad intarsio, momenti dialogici di registro diver-
so, quando non opposto. – contro quella brutta Vespaccia: sostituisce in
A, con intensificazione del registro parlato: «perchè la Vespa era brut-
ta e cattiva».

Letteratura italiana Einaudi 42


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

Poi ci pensò su, e soggiunse:


– Compar Alfio ci suole andare anche lui, a vendere le sue
noci.
E tacquero entrambe, pensando alla festa dei Morti, dove
compar Alfio andava a vendere le sue noci.
25 – Lo zio Crocifisso, con quell’aria di Peppinino se la
mette in tasca la Vespa! ripigliava la cugina Anna.
– Questo vorrebbe lei! rispose di botto la Zuppidda, la
Vespa non vorrebbe altio, che se la mettesse in tasca! Ella gli
è sempre per casa, come il gatto, col pretesto di portargli i
buoni bocconi, e il vecchio non dice di no, tanto più che
non gli costa nulla. Ella lo ingrassa come un maiale, quando
gli si vuol fare la festa. Ve lo dico io, la Vespa vuole entrar-
gli in tasca!
Ognuna diceva la sua dello zio Crocifisso, il quale pia-
gnucolava sempre, e si lamentava come Cristo in mezzo ai
ladroni, e intanto aveva denari a palate, ché la Zuppidda, un
giorno che il vecchio era malato, aveva vista una cassa gran-
de così sotto il letto.
26 La Longa si sentiva sullo stomaco il debito delle qua-

25. Peppinino: cfr. I, 21, ma anche XII, 6. – se la mette in tasca: ‘la


può dominare, giocare facilmente’; più precisa, rispetto al Rigutini-
Fanfani e al Petrocchi, l’attestazione del Mortillaro: «Aviri o mettirisi
’ntra la sacchetta ad unu, modo proverbiale che vale ‘potere aggirarlo a
sua voglia, e disporre a tutta prova del suo arbitrio in favore proprio odi
altri’»; cfr. anche VII, 42: «se li teneva tutti in tasca». – entrargli in tasca:
gioca allusivamente con le espressioni precedenti, assumendo nel con-
testo il valore di ‘farsi sposare’; il Fanfani spiega invece la locuzione
«entrare in tasca a uno» con «non potergli nuocere» e il Rigutini-
Fanfani per «entrarti in tasca una persona» dà «esserti cagione di noia,
di fastidio o anche di dispiacere». – come Cristo... ladroni: con allusio-
ne ironica al nome del personaggio. In serie con altre similitudini o
espressioni di analogo ambito metaforico: cfr. II, 29; III, 1; IV, 8; VI, 43;
VII, 39, 51; VIII, 22; IX, 31; X, 38; XIII, 30, 77; XIV, 30, 31, 58.
26. si sentiva sullo stomaco: cfr. Cos’è il Re, p. 240: «tutti quei razzi,
quella folla, quella luminaria e quello scampanio se li sentiva sullo sto-
maco»; Mastro-don Gesualdo, I, V, p. 550: «con tutti quei dispiaceri che
gli empivano lo stomaco».

Letteratura italiana Einaudi 43


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

rant’onze dei lupini, e cambiò discorso, perché le orecchie


ci sentono anche al buio, e lo zio Crocifisso si udiva discor–
rere con don Giammaria, mentre passavano per la piaz– za,
lì vicino, tanto che la Zuppidda interruppe i vituperi, che
stava dicendo di lui per salutarlo.
27 Don Silvestro rideva come una gallina, e quel modo di
ridere faceva montare la mosca al naso allo speziale, il quale
per altro di pazienza non ne aveva mai avuta, e la lasciava
agli asini e a quelli che non volevano fare la rivoluzione
un’altra volta.
– Già, voi non ne avete mai avuta, perché non sapreste
dove metterla! gli gridava don Giammaria; e don Franco,
ch’era piccino, ci si arrabbiava e accompagnava il prete con
parolacce che si sentivano da un capo all’altro della piazza,
allo scuro. Campana di legno, duro come un sasso, si strin-
geva nelle spalle, e badava a ripetere che a lui non gliene
importava, e attendeva ai fatti suoi. – Come se non fossero
fatti vostri quelli della Confraternita della Buona Morte, che
nessuno paga più un soldo! gli diceva don Giammaria. – La
gente, quando si tratta di cavare i denari di tasca, diventa
una manica di protestanti, peggio dello speziale, e vi lascia
tenete la cassa della Confraternita per farvi ballare i sorci,
che è una vera porcheria!
28 Don Franco dalla sua bottega sghignazzava alle loro spal-

27. rideva come una gallina: cfr. II, 9. – piccino: di statura (negli
appunti preparatori: «piccino, barbuto e zazzeruto»), ma anche di
mente, ‘meschino’. – Confraternità della Buona Morte: associazione reli-
giosa che aveva come fine l’assistenza ai moribondi e la cura delle ese-
quie. Manteniamo, anche nell’occorrenza successiva, la forma tronca
(attestata nel Battaglia) di Treves ’81, rispetto alla più comune forma
sdrucciola (cfr. anche lettera a E. Rod, in Lettere al suo traduttore cit.,
p. 43: «Confraternità della Buona Morte = Confrérie...»). – protestanti:
‘miscredenti’ (con analoga accezione: turchi, ebrei, giacobini). – per
farvi ballare i sorci: cfr. Mastro-don Gesualdo, I, III, p. 74: «I topi ci
hanno fatto dentro il nido».
28. era della setta: un ‘sovversivo’. Analogamente in Manzoni, I pro-
messi sposi, XVI, p. 287: «C’era una lega»; ibid., XIV, p. 258: «ho inte-

Letteratura italiana Einaudi 44


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

le a voce alta, cercando d’imitare la risata di don Silvestro


che faceva andare in bestia la gente, Ma lo speziale era della
setta, si sapeva; e don Giammaria gli gridava dalla piazza:
– I denari li trovereste, se si trattasse di scuole e di lam-
pioni!
Lo speziale stette zitto, perché si era affacciata sua moglie
alla finestra; e lo zio Crocifisso, quando fu abbastanza lon-
tano da non temere che l’udisse don Silvestro il segretario,
il quale si beccava anche quel po’ di stipendio di maestro
elementare:
– A me non me ne importa – ripeteva. – Ma ai miei tempi
non c’erano tanti lampioni, né tante scuole; non si faceva
bere l’asino per forza, e si stava meglio.
– A scuola non ci siete stato voi; eppure i vostri affari ve li
sapete fare.
– E il mio catechismo lo so, aggiunse lo zio Crocifisso per
non testare in debito.
Nel calore della disputa don Giammaria aveva perso il
battuto sul quale avrebbe attraversato la piazza anche ad
occhi chiusi, e stava per rompersi il collo, e lasciar scappare,
Dio perdoni, una parola grossa.
– Almeno l’accendessero, i loro lumi!
– Al giorno d’oggi bisogna badare ai fatti propri, con-
chiuse lo zio Crocifisso.

so: sei della lega anche tu». – perchè... finestra: per la sottomissione
dello speziale alla moglie cfr. II, 8. – beccava: implicito il riferimento
all’epiteto di don Silvestro, che ride sempre «come una gallina». – face-
va… forza: qui, ironicamente, col valore di ‘non elargire qualcosa a chi
non sarebbe in grado di utilizzarla’; cfr. «Nun si po’ fari viviri lu sceccu
(‘asino’) pri forza» (Pitrè, I, p. 21). Il proverbio è attestato anche nel
Fanfani, ma col senso di ‘non dare a chi non ha bisogno’ e nel
Mortillaro ‘essere impossibile far cambiare risoluzione ad uomo capar-
bio’. – battuto: «traccia, linea, che le persone use a camminar sempre su
di un dato punto nell’attraversare una piazza, sogliono segnarvi col
continuo passaggio, massime in una piazza poco frequentata, e nella
quale cresca l’erba e abbondino i sassi, com’è solito nei piccoli villaggi»
(Verga).

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

29 Don Giammaria andava tirandolo per la manica del giub-


bone per dire corna di questo e di quell’altro, in mezzo alla
piazza, all’oscuro; del lumaio che rubava l’olio, di don
Silvestro che chiudeva un occhio, e del sindaco «Giufà»,
che si lasciava menare per il naso. Mastro Cirino, ora che era
impiegato del comune, faceva il sagrestano come Giuda, che
suonava l’angelus quando non aveva nulla da fare, e il vino
per la messa lo comperava di quello che aveva bevuto sulla
croce Gesù Crocifisso, ch’era un vero sacrilegio. Campana
di legno diceva sempre di sì col capo per abitudine, sebbe-
ne non si vedessero in faccia, e don Giammaria, come li pas-
sava a rassegna ad uno ad uno diceva: – Costui è un ladro –
quello è un birbante – quell’altro è un giacobino. – Lo sen-
tite Piedipapera che sta discorrendo con padron Malavoglia
e padron Cipolla? Un altro della setta, colui! un arruffapo-
polo, con quella gamba storta! – E quando lo vedeva arran-
care per la piazza faceva il giro lungo, e lo seguiva con gli
occhi sospettosi, per scovare cosa stesse macchinando con
30 quell’andatura. – Quello là ha il piede del diavolo! borbot-

29. giubbone: «giubba di panno grossolano e piuttosto larga, usata


da’ contadini e dalla povera gente» (Rigutini-Fanfani). – dire corna:
‘sparlare’; sostituisce in A: «dire il fatto suo». – lumaio: ‘lampionaio’. –
«Giufà»: «è un personaggio immaginario e leggendario in Sicilia, e suol
dirsi di persona sciocca» (Verga). – faceva il sagrestano come Giuda: evi-
dente lo scarto tonale rispetto alla primitiva lezione di A: «trascurava i
suoi doveri di sagrestano». Cfr. III, 1 e anche Nedda, p. 5: «per baciar-
vi alla maniera di Giuda». – aveva bevuto... Crocifisso: cfr. II, 25. – gia-
cobino: ‘sovversivo’; cfr. II, 27. – arruffapopolo: nel Fanfani è attestato:
«arruffone», nel senso di ‘mestatore’. Cfr. anche Mastro-don Gesualdo,
II, 11, p. 213: «Degli arruffapopolo stuzzicavano anche i villani [...]». –
arrancare: cfr. II, 1. – scavare: meno comune per ‘scovare’, ‘scoprire’
(cfr. anche XIV, 53: «era andato a scavarle fuori»); nel Rigutini-Fanfani:
«Scavare una cosa, dicesi anche per ‘venirla accortamente a sapere’». In
A: «scovare».
30. ha il piede del diavolo: la deformità, nella tradizione popolare,
ispira diffidenza, perché intesa come segno di malvagità; cfr. XIII, 49:
«Guardati di Piedipapera: Sai il detto dell’antico che gli disse Gesù
Cristo a San Giovanni: degli uomini segnati guàrdatene»». Nell’elenco

Letteratura italiana Einaudi 46


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

tava. – Lo zio Crocifisso si stringeva nelle spalle, e tornava a


ripetere che egli era un galantuomo, e non voleva entrarci. –
Padron Cipolla, un altro sciocco, un pallone di vento colui!
che si lasciava abbindolare da Piedipapera... ed anche
padron ’Ntoni, ci sarebbe cascato anche lui!... Bisogna
aspettarsi tutto, al giorno d’oggi!
– Chi è galantuomo bada ai fatti suoi, ripeteva lo zio
Crocifisso.
Invece compare Tino, seduto come un presidente, sugli
scalini della chiesa, sputava sentenze: – Sentite a me; prima
della rivoluzione era tutt’altra cosa. Adesso i pesci sono
maliziati ve lo dico io!
– No; le acciughe sentono il grecale ventiquattr’ore prima
di arrivare, rispondeva padron ’Ntoni; è sempre stato così;
l’acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno.
Ora di là del Capo dei Mulini, li scopano dal mare tutti in
una volta, colle reti fitte.
– Ve lo dico io cos’è! ripigliò compate Fortunato. Sono
quei maledetti vapori che vanno e vengono, e battono l’ac-
qua colle loro ruote. Cosa volete, i pesci si spaventano e non
si fanno più vedere. Ecco cos’è.
31 Il figlio della Locca stava ad ascoltate a bocca aperta e si

di proverbi, presente nelle carte preparatorie, compare anche: «Diu ti


guardi d’omu chi mina lu pedi (‘zoppo’ quindi), e di la fimmina chi neu
(‘neo’) ’n faccia teni» (Pitrè, I, p. 166). – pallone di vento: ‘sciocco e pre-
suntuoso’. – Chi è galantuomo bada ai fatti suoi: la sentenza, con la
quale lo zio Crocifisso giustifica il suo non prendere parte al discorso,
scatta quasi automaticamente, innescata dal precedente «al giorno
d’oggi», che richiama: «Al giorno d’oggi bisogna badare ai fatti propri»
(c. 28). A caratterizzare qui il personaggio, sono la fissità degli inter-
venti e la meccanicità dei gesti (cfr. c. 29: «diceva sempre di sì col capo
per abitudine»). – Tino: Agostino (Piedipapera). – Sentite a me: cfr.
XII, 6. – maliziati: ‘maliziosi’; con questo senso è registrato dal
Petrocchi fra i termini fuori d’uso. – grecale: vento di nord-est. – ha più
giudizio del tonno: cfr. II, 13.
31. Bestia… zitto: ricorda Manzoni, I promessi sposi, VII, p. 119:
««Vuoi stare zitto, bestia?» gli disse Tonio, accompagnando il titolo con

Letteratura italiana Einaudi 47


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

grattava il capo. – Bravo! disse poi. Così pesci non se ne tro-


verebbero più nemmeno a Siracusa né a Messina, dove
vanno i vapori. Invece li portano di là a quintali colla ferro-
via.
– Insomma sbrigatevela voi! esclamò allora padron
Cipolla indispettito, io me ne lavo le mani, e non me ne
importa un fico, giacché ci ho le mie chiuse e le mie vigne
che mi danno il pane.
E Piedipapera assestò uno scapaccione al figlio della
Locca, per insegnargli l’educazione. – Bestia! quando parla-
no i più vecchi di te sta zitto.
Il ragazzaccio allora se ne andò strillando e dandosi dei
pugni nella testa, che tutti lo pigliavano per minchione per-
ché era figlio della Locca. E padron ’Ntoni col naso in aria,
osservò: – Se il maestrale non si mette prima della mezza-
notte, la Provvidenza avrà tempo di girare il Capo.
32 Dall’alto del campanile caddero lenti lenti dei rintocchi
sonori. – Un’ora di notte! osservò padron Cipolla.
Padron ’Ntoni si fece la croce e rispose:
– Pace ai vivi e riposo ai morti.
– Don Giammaria ha i vermicelli fritti per la cena stasera;
osservò Piedipapera fiutando verso le finestre della parroc-
chia.

una gomitata», ma con ironico rovesciamento dei ruoli: in Manzoni il


savio rimbrotta lo sciocco per una sua gaffe, in Verga uno che si crede
furbo «assesta uno scapaccione» a uno che sciocco non è, per un’os-
servazione sensata. – maestrale: vento di nord-ovest.
32. lenti lenti: in una precedente lezione di A: «gravemente». –
Un’ora di notte: «si diceva in Sicilia un’ora dopo l’avemaria, dopo il tra-
monto del sole» (Verga). – Pace... morti: cfr. «Un’ura di notti, paci a li
vivi e requie a li morti» (Pitrè, II, p. 287). L’estraneità di padron ’Ntoni
al chiacchiericcio generale è motivo ricorrente, e si fa qui nota tragica
nella sua velata allusività, in contrasto coi frequenti spunti comici del
capitolo. – parocchia: così in Treves ’81; correzione in bozze da: «casa
parocchiale» di A. Cfr. però l’altra occorrenza in I, 2: «libro della par-
rocchia».

Letteratura italiana Einaudi 48


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

33 Don Giammaria, passando lì vicino per andare a casa,


salutò anche Piedipapera, perché ai tempi che corrono biso-
gna tenersi amici quelle buone lane; e compare Tino, che
aveva tuttora l’acquolina in bocca, gli gridò dietro:
– Eh! vermicelli fritti stasera, don Giammaria!
– Lo sentite! anche quello che mangio! borbottava don
Giammaria fra i denti; fanno anche la spia ai servi di Dio per
contar loro i bocconi! Tutto in odio alla chiesa! – e incon-
trandosi naso a naso con don Michele, il brigadiere delle
guardie doganali, il quale andava attorno colla pistola sullo
stomaco, e i calzoni dentro gli stivali, in cerca di contrab-
bandieri: – A questi altri non glielo fanno il conto di quel
che mangiano.
– Questi qui mi piacciono! rispondeva Campana di legno:
questi qui che stanno a guardia della roba dei galantuomini
mi piacciono!
– Se gli dessero l’imbeccata sarebbe della setta anche lui!
diceva fra sé don Giammaria, picchiando all’uscio di casa.
Tutti una manica di ladri! e continuò a borbottare, col pic-
chiatoio in mano, seguendo con occhio sospettoso i passi
del brigadiere che si dileguavano nel buio verso l’osteria, e
rimuginando perché andasse a guardarli dalla parte dell’o-
steria gl’interessi dei galantuomini, colui!
34 Però compare Tino lo sapeva perché don Michele andas-

33. buone lane: ‘tipi poco raccomandabili’; «dicesi ironicamente a


persona trista e maliziosa» (Rigutini-Fanfani). – vermicelli: in siciliano
«virmiceddi», «dicesi certe fila di pasta fatta a somiglianza di piccoli
vermi, Vermicelli» (Mortillaro). – colla… stivali: d’ora in poi, formula
fissa per individuare il personaggio (cfr. III, 4; VII, 23; VIII, 10, 15, 16;
X, 55; XIV, 8, 23). Cfr. L’amante di Gramigna, p. 210: «[carabinieri] coi
calzoni rimboccati, il revolver sullo stomaco». Modulo variato in Cos’è
il Re, p. 246: «e la sciabola appesa alla pancia». – dessero l’imbeccata:
«se lo corrompessero, se gli lasciassero metter mano anche a lui nel
furto, o nello sperpero» (Verga).
34. Quelli… re: ‘i dipendenti dello stato’ (cfr. X, 55; XI, 34).
Evidenziata nel suo valore idiomatico dalle virgolette, l’espressione (ma
col valore di ‘carcerato’) compare anche in Fantasticheria, p. 134:

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

se a guardare gl’interessi dei galantuomini dalla parte del-


l’osteria, ché ci aveva perso delle notti a stare in agguato die-
tro l’olmo lì vicino per scoprirlo; e soleva dire:
– Ci va per confabulare di nascosto con lo zio Santoro, il
padre della Santuzza. Quelli che mangiano il pane del re
devono tutti far gli sbirri, e sapere i fatti di ognuno a Trezza
e dappertutto, e lo zio Santoro, così cieco com’è, che sem-
bra un pipistrello al sole, sulla porta dell’osteria, sa tutto
quello che succede in paese, e potrebbe chiamarci per nome
ad uno ad uno soltanto a sentirci camminare. Ei non ci sente
solo quando massaro Filippo va a recitare il rosario colla
Santuzza, ed è un tesoro per fare la guardia, meglio di come
se gli avessero messo un fazzoletto sugli occhi.
35 Maruzza udendo suonare un’ora di notte era rientrata in
casa lesta lesta, per stendere la tovaglia sul deschetto; le
comari a poco a poco si erano diradate, e come il paese stes-
so andava addormentandosi, si udiva il mare che russava lì
vicino, in fondo alla straduccia, e ogni tanto sbuffava, come
uno che si volti e rivolti pel letto. Soltanto laggiù all’osteria,
dove si vedeva il lumicino rosso, continuava il baccano, e si
udiva il vociare di Rocco Spatu il quale faceva festa tutti i
giorni.
36 – Compare Rocco ha il cuore contento, disse dopo un

«Meglio per loro che son morti, e non ‘mangiano il pane del re’». Vedi
Pitrè, I, p. 84: «Lu pani di lu re è picca (‘scarso’), ma duci (‘dolce’, per-
ché sicuro)». –recitare il rosario: cfr. II, 2; X, 56; XIV, II.
35. come... addormentandosi: corregge nelle bozze la lezione di A:
«come quel gran ronzìo del paesucolo andava addormentandosi (segue
cassato a poco a poco)»; vedi Manzoni, I promessi sposi, VII, p. 120:
«C’era infatti quel brulichìo, quel ronzìo che si sente in un villaggio,
sulla sera». – che russava... letto: la similitudine sviluppa la componen-
te metaforica implicita in «russava» e «sbuffava», potenziando l’imma-
gine antropomorfica. Vedi G. Bàrberi Squarotti, Il paesaggio e i ritratti
ne «I Malavoglia», in I Malavoglia – Atti cit., p. 40 (successivamente in
Giovanni Verga. Le finzioni dietro il verismo, Flaccovio, Palermo 1982).
– lumicino rosso: la lanterna posta come insegna dell’osteria (cfr. II, 37;
XV, 33). Cfr. anche Vagabondaggio, p. 469.
36. ammiccano: ‘brillano’ (il medesimo verbo, quasi ad indicare la

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

pezzetto dalla sua finestra Alfio Mosca, che pareva non ci


fosse più nessuno.
– Oh siete ancora là, compare Alfio! rispose Mena, la
quale era rimasta sul ballatoio ad aspettare il nonno.
– Sì, sono qua, comare Mena; sto qua a mangiarmi la
minestra, perché quando vi vedo tutti a tavola, col lume, mi
pare di non esser tanto solo, che va via anche l’appetito.
– Non ce l’avete il cuore contento voi?
– Eh! ci vogliono tante cose per avere il cuore contento!
Mena non rispose nulla, e dopo un altro po’ di silenzio
compare Alfio soggiunse:
– Domani vado alla città per un carico di sale.
– Che ci andate poi per i Morti? domandò Mena.
– Dio lo sa, quest’anno quelle quattro noci son tutte fra-
dicie.
– Compare Alfio ci va per cercarsi la moglie alla città,
rispose la Nunziata dall’uscio dirimpetto.
– Che è vero? domandò Mena.
– Eh, comare Mena, se non dovessi far altro, al mio paese
ce n’è delle ragazze come dico io, senza andare a cercarle
lontano.
– Guardate quante stelle che ammiccano lassù! rispose
Mena dopo un pezzetto. Ei dicono che sono le anime del
Purgatorio che se ne vanno in Paradiso.

continuità di visione, viene poco oltre ripreso dal narratore: «Le stelle
ammiccavano più forte»). In una precedente stesura presente negli
abbozzi (M 4, p. 27): «Le stelle in alto ammiccavano chete chete come
fanno le lucciole dopo le prime pioggie di Novembre» e nel medesimo
abbozzo, ma alla p. 46: «Le stelle ammiccavano più forte quasi s’ac-
cendessero ( ➝ come se si aprissero e chiudessero)». Con identica
accezione metaforica (non attestata nel Rigutini-Fanfani e nel
Petrocchi) anche in X, 10: «i lumi delle case ammiccavano ad uno ad
uno». Inoltre in Jeli il pastore, p. 152 «– La vedi la puddara, che sta ad
ammiccarci lassù»; Mastro-don Gesualdo, I, 1, p. 6: «ammiccava soltan-
to un lume di carbonai». In senso proprio, cfr. ad es. III, 6: «ammic-
cando alle ragazze»; VII, 36; VIII, 12: «ammiccando gli occhi». –
Buona... Mena: la chiusa è in sintonia col clima di reticente pudore che
domina la sequenza; cfr. analogamente VIII, 6.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

– Sentite, le disse Alfio dopo che ebbe guardate le stelle


anche lui; voi che siete Sant’Agata, se vi sognate un terno
buono, ditelo a me, che ci giuocherò la camicia, e allora
potrò pensarci a prender moglie...
– Buona sera! rispose Mena.
37 Le stelle ammiccavano più forte, quasi s’accendessero, e i
Tre Re scintillavano sui fariglioni colle braccia in croce,
come Sant’Andrea. Il mare russava in fondo alla stradic-
ciuola, adagio adagio, e a lunghi intervalli si udiva il rumore
di qualche carro che passava nel buio, sobbalzando sui sassi,
e andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno
potesse camminare e camminare sempre, giorno e notte,
non arriverebbe mai, e c’era pure della gente che andava pel
mondo a quell’ora, e non sapeva nulla di compar Alfio, né
della Provvidenza che era in mare, né della festa dei Morti;
– così pensava Mena sul ballatoio aspettando il nonno.
38 Il nonno s’affacciò ancora due o tre volte sul ballatoio,

37. i tre re... Sant’Andrea: stelle centrali della costellazione di


Orione, la cui disposizione ricorda la croce di Sant’Andrea. La lezione
«i tre re» (cfr. anche XIII, 5) sostituisce in A: «il tre bastoni» (cfr. VI,
8). Cfr. Jeli il pastore, p. 151: «i tre re non erano ancora tramontati, e
luccicavano sul monte Arturo colle braccia in croce», cui fa seguito,
quasi richiamato da un sottile legame interno, un’analoga notazione
sonora («Per la strada passavano continuamente dei carri»). – rumore
di qualche carro: cfr. II, 6. – andava pel mondo: cfr. Vagabondaggio, p.
478 e p. 486. – così... nonno: la posticipazione della didascalia, che
ricorda: «Di tal genere, se non tali appunto erano i pensieri di Lucia»
(Manzoni, I promessi sposi, VIII, p. 144), determina margini di ambi-
guità nello stabilire il punto d’attacco del discorso indiretto libero nella
parte che precede (ma sicuramente almeno a partire da «il quale è tanto
grande...»). Il narratore, in questo caso in qualità di narratore onni-
sciente, fa luce sull’interiorità del personaggio, senza però sostituirvisi
completamente. La raffigurazione, che si apre tra l’altro con la ripresa
di «ammiccare», poco prima impiegato da Mena, è intessuta di tessere
descrittive già apparse nel corso del capitolo. Vedi L. Spitzer,
L’originalità della narrazione nei Malavoglia, in «Belfagor», II (1956),
pp. 37-53 (ora in Studi italiani, a cura di C. Scarpati, Vita e Pensiero,
Milano 1976).
38. le stelle… dovere: è l’ultimo elemento di una serie iniziata alla

Letteratura italiana Einaudi 52


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo

prima di chiudere l’uscio, a guardare le stelle che luccicava-


no più del dovere, e poi borbottò: – «Mare amaro!»
Rocco Spatu si sgolava sulla porta dell’osteria davanti al
lumicino. – «Chi ha il cuor contento sempre canta» con-
chiuse padron ’Ntoni.

fine del cap. I, 25 con «la stella della sera era già bella e lucente». I rilie-
vi si intensificano in climax nel cap. II («Stasera le stelle sono lucenti»
c. 5; «Guardate quante stelle che ammiccano lassù» c. 36; «Le stelle
ammiccavano più forte» c. 37) e costituiscono gli indizi di una situa-
zione abnorme che prelude al dramma imminente. – «Mare amaro!»: il
proverbio fornisce la chiave di lettura di indizi che sempre più scoper-
tamente sembrano preludere a una situazione di morte, senza però che
la parola, nella sua evidenza, venga mai introdotta; quasi a esorcizzarla
infatti padron ’Ntoni tralascia di citare la seconda parte del proverbio,
ripreso nella sua forma più completa («Il mare è amaro e il marinaro
muore in mare») solo quando gli eventi ne avranno rivelato drammati-
camente la veridicità (cfr. V, 15; VI, 14). Accentuando il gioco allittera-
tivo e paronomastico, Verga fonde due proverbi citati distintamente dal
Pitrè: «Lu mari è amaru» (II, p. 428) e «Lu marinaru mori a mari» (II,
p. 429).

Letteratura italiana Einaudi 53


III

1 Dopo la mezzanotte il vento s’era messo a fare il diavolo,


come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuote-
re le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni
che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio, e il
giorno era apparso nero peggio dell’anima di Giuda.
Insomma una brutta domenica di settembre, di quel set-

1. Dopo la mezzanotte...: l’avvio della raffigurazione (fino a


«Insomma una brutta domenica di settembre») appare in A come
aggiunta, senz’altro intervenuta dopo la decisione dell’autore di mante-
nere i primi due capitoli, che aveva invece in una precedente fase pen-
sato di sacrificare (ne informa Treves inviandogli il manoscritto), ritor-
nando al progetto iniziale secondo cui l’attuale capitolo III risultava
essere l’inizio del romanzo, con un attacco che suonava: «Era stata una
brutta giornata di novembre, di quel novembre traditore [...]». – il
vento… fare il diavolo: l’espressione è attestata anche in siciliano: «Fari
com’un diavulu [...] vale ‘imperversare’» (Mortillaro). Vedi inoltre X,
12: «il vento soffiava a ondate che pareva avesse la parola». – tutti i gatti
del paese: correzione nelle bozze della lezione di A: «dieci gatti». Cfr.
Manzoni, I promessi sposi, XII, p. 218 «andavano su pei tetti come i
gatti». –pareva… buoi: sviluppo, con immagine tipicamente ‘rusticana’
(cfr. I, 10), del precedente «muggire». Vedi anche Cos’è il Re, p. 243:
«come se ci fosse stata la fiera del bestiame nel piano di San Giacomo».
– fiera di Sant’Alfio: quella di Trecastagni, di cui Sant’Alfio è il patrono.
– peggio dell’anima di Giuda: «peggio dell’» è correzione nelle bozze di
«come l’» di A. L’immagine (cfr. anche II, 29) trae origine dal poten-
ziale metaforico del precedente «nero», e produce a sua volta, in una
compatta trama analogico-metaforica, il successivo «traditore» (cfr.
Fantasticheria, p. 133: «mare bello e traditore»). – colpo di mare: «urto
dei flutti agitati» (Rigutini-Fanfani); in siciliano: «corpu di mari»
(Mortillaro). – fichidindia: così Verga al suo traduttore francese E. Rod:
«se non si vuole lasciare in italiano, credo che il vocabolo francese
sarebbe figue de Barberie. Preferirei però lasciare il caratteristico fico-
dindia».

Letteratura italiana Einaudi 54


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

tembre traditore che vi lascia andare un colpo di mare fra


capo e collo, come una schioppettata tra i fichidindia. Le
barche del villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene
ammarate alle grosse pietre sotto il lavatoio; perciò i monel-
li si divertivano a vociare e fischiare quando si vedeva pas-
sare in lontananza qualche vela sbrindellata, in mezzo al
vento e alla nebbia, che pareva ci avesse il diavolo in poppa;
le donne invece si facevano la croce, quasi vedessero cogli
occhi la povera gente che vi era dentro.
2 Maruzza la Longa non diceva nulla, com’era giusto, ma
non poteva star ferma un momento, e andava sempre di qua
e di là, per la casa e pel cortile, che pareva una gallina quan-
do sta per far l’uovo. Gli uomini erano all’osteria, e nella
bottega di Pizzuto, o sotto la tettoia del beccaio, a veder pio-
vere, col naso in aria. Sulla riva c’era soltanto padron ’Ntoni,
per quel carico di lupini che ci aveva in mare, colla
Provvidenza e suo figlio Bastianazzo per giunta, e il figlio
della Locca, il quale non aveva nulla da perdere lui, e in
mare non ci aveva altro che suo fratello Menico, nella barca
3 dei lupini. Padron Fortunato Cipolla, mentre gli facevano la
barba, nella bottega di Pizzuto, diceva che non avrebbe dato
due baiocchi di Bastianazzo e di Menico della Locca, colla
Provvidenza e il carico dei lupini.
– Adesso tutti vogliono fare i negozianti, per arricchire!
diceva stringendosi nelle spalle; e poi quando hanno perso
la mula vanno cercando la cavezza.

2. per quel carico… per giunta: con sovvertimento dei valori, secon-
do la logica deformata del villaggio. La primitiva lezione di A era: «il
quale, poveraccio, ci aveva in mare suo figlio Bastianazzo colla
Provvidenza e un gran carico di lupini».
3. quando hanno perso... cavezza: con allusione a chi cerca rimedi
inutili quando il danno è fatto. Con diversa sfumatura nel Mortillaro:
«modo proverbiale usato a dinotare la sciocchezza di chi avendo per-
duto il molto, si affanna per ricuperare qualche cosa minima». Cfr.
anche Pitrè, II, p. 155: «Persi li muli, nun circari li crapisti (o - cerca li
tistali) (cioè le ‘cavezze’)».

Letteratura italiana Einaudi 55


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

4 Nella bettola di suor Mariangela la Santuzza c’era folla:


quell’ubriacone di Rocco Spatu, il quale vociava e sputava
per dieci; compare Tito Piedipapera, mastro Turi
Zuppiddu, compare Mangiacarrubbe, don Michele il briga-
diere delle guardie doganali, coi calzoni dentro gli stivali, e
la pistola appesa al ventre, quasi dovesse andare a caccia di
contrabbandieri con quel tempaccio, e compare Mariano
Cinghialenta. Quell’elefante di mastro Turi Zuppiddu anda-
va distribuendo per ischerzo agli amici dei pugni che avreb-
bero accoppato un bue, come se ci avesse ancora in mano la
malabestia di calafato, e allora compare Cinghialenta si met-
teva a gridare e bestemmiare, per far vedere che era un
uomo di fegato e carrettiere.
5 Lo zio Santoro, raggomitolato sotto quel po’ di tettoia,
davanti all’uscio, aspettava colla mano stesa che passasse
qualcheduno per chiedere la carità. – Tra tutte e due, padre
e figlia, disse compare Turi Zuppiddu, devono buscarne dei
bei soldi, con una giornata come questa, e tanta gente che
viene all’osteria.
– Bastianazzo Malavoglia sta peggio di lui, a quest’ora,
rispose Piedipapera, e mastro Cirino ha un bel suonare la
messa; ma i Malavoglia non ci vanno oggi in chiesa; sono in
collera con Domeneddio, per quel carico di lupini che ci
hanno in mare.

4. vociava e sputava: riprende «si udiva il vociare di Rocco Spatu»


(II, 35); «Rocco Spatu si sgolava sulla porta dell’osteria» (II, 37). – coi
calzoni... ventre: cfr. II, 33. – pugni… bue: cfr. Guerra di santi, p. 212:
«si scambiarono dei pugni che avrebbero accoppato un bue». – mala-
bestia: il martello del calafato usato per inserire le stoppe incatramate
nelle commessure della barca. – uomo di fegato e carrettiere: «uomo di
fegato» vale «coraggioso» (Fanfani), «manesco e audace» (Petrocchi);
la posticipazione di «carrettiere» rivela l’implicita connotazione di
orgogliosa consapevolezza del proprio ruolo sociale da parte di
Cinghialenta (vedi la battuta di Alfio Mosca, V, 16: «Quando ci avrò
messi da parte un po’ di soldi comprerò un mulo, e potrò tirarmi su a
fare il carrettiere davvero, come compare Cinghialenta»).
5. zio Santoro: il padre della Santuzza.

Letteratura italiana Einaudi 56


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

6 Il vento faceva volare le gonnelle e le foglie secche, sicché


Vanni Pizzuto col rasoio in aria, teneva pel naso quelli a cui
faceva la barba, per voltarsi a guardare che passava, e si met-
teva il pugno sul fianco, coi capelli arricciati e lustri come la
seta; e lo speziale se ne stava sull’uscio della sua bottega,
sotto quel cappellaccio che sembrava avesse il paracqua in
testa, fingendo di aver discorsi grossi con don Silvestro il
segretario, perché sua moglie non lo mandasse in chiesa per
forza; e rideva del sotterfugio, fra i peli della barbona,
ammiccando alle ragazze che sgambettavano nelle pozzan-
ghere.
7 – Oggi, andava dicendo Piedipapera, padron ’Ntoni vuol
fare il protestante come don Franco lo speziale.
– Se fai di voltarti per guardare quello sfacciato di don
Silvestro, ti dò un ceffone qui dove siamo; borbottava la
Zuppidda colla figliuola, mentre attraversavano la piazza. –
Quello lì non mi piace.
8 La Santuzza, all’ultimo tocco di campana, aveva affidata
l’osteria a suo padre, e se n’era andata in chiesa, tirandosi
dietro gli avventori. Lo zio Santoro, poveretto, era cieco, e
non faceva peccato se non andava a messa; così non perde-
vano tempo all’osteria, e dall’uscio potevano tener d’occhio
il banco, sebbene non ci vedesse, ché gli avventori li cono-
sceva tutti ad uno ad uno soltanto al sentirli camminare,
quando venivano a bere un bicchiere.
9 – Le calze della Santuzza, osservava Piedipapera, mentre

6. paracqua: ‘ombrello’ (attestato anche nel Mortillaro). Cfr. Jeli il


pastore, p. 166. –fingendo aver: così Treves ’81, ma in A: «fingendo di
aver». Cfr. Primavera, p. 36: «fingeva non intendere» e p. 38: «credeva
aver messo». – perchè... per forza: cfr. II, 8. – rideva... barbona: cfr. I, 7.
7. protestante: cfr. II, 27.
9. come una gattina: correzione in A su: «così svelta e modesta, che
pareva una gatta» ➝ «con passo di gattina». – acqua o vento: l’espres-
sione compare ad es. in: «Santi di cappa, o ventu o acqua» (Pitrè, III,
65). – Ci sono i diavoli per aria!: è un modo di dire che trova precisa
giustificazione in Salomone-Marino, p. 174: «Il primo giorno del mag-

Letteratura italiana Einaudi 57


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

ella camminava sulla punta delle scarpette, come una gatti-


na – le calze della Santuzza, acqua o vento, non le ha viste
altri che massaro Filippo l’ortolano; questa è la verità.
– Ci sono i diavoli per aria! diceva la Santuzza facendosi
la croce coll’acqua santa. – Una giornata da far peccati!
10 La Zuppidda, lì vicino, abburattava avemarie, seduta
sulle calcagna, e saettava occhiatacce di qua e di là, che
pareva ce l’avesse con tutto il paese, e a quelli che volevano
sentirla ripeteva: – Comare la Longa non ci viene in chiesa,
eppure ci ha il marito in mare con questo tempaccio! Poi
non bisogna stare a cercare perché il Signore ci castiga! –
Persino la madre di Menico stava in chiesa, sebbene non
sapesse far altro che veder volare le mosche!
11 – Bisogna pregare anche pei peccatori; rispondeva la
Santuzza; le anime buone ci sono per questo.

gio [...] i diavoli sbucano a frotte dagli abissi ove dimorano e […] in
dispetto de’ due santi [Filippo e Jacopo] scatenano lo scirocco ed il tur-
bine, addensano nuvoloni, eccitano e sconvolgono tutti gli elementi.
Non appena [i villici] si accorgono che il giorno piglia una cattiva
piega, si danno l’allarme con le parole: «Li Diavuli pri l’aria cci su’!” e
corrono a premunirsi [...]» (cfr. G. Alfieri, Innesti cit., p. 32).
10. abburattava: ‘snocciolava, recitava meccanicamente, con indiffe-
renza’ (in una precedente versione di A, ma riferito alla Locca: «prega-
va». ➝ «balbettava avemarie»). Nel Fanfani: «Ciarlare di continuo
senza ripigliar fiato». In senso proprio ‘separare la farina dalla crusca
col buratto’, quindi metaforicamente ‘vagliare, scegliere’ (cfr. Manzoni,
I promessi sposi, XXX, p. 520: «abburattavan tutte le relazioni»). – Poi
non bisogna... ci castiga: in A: «Il Signore fa bene a castigarci!» ➝ «Il
Signore sa quel che fa quando ci castiga’». Nel Pitrè (III, p. 344): «Lu
Signuri nni castiga pri li nostri piccati».
11. col naso dentro la mantellina: nel codice gestuale ‘rusticano’
equivale a un ammiccamento malizioso; cfr. VIII, 11 e, a conferma,
XIII, 67. Cfr. inoltre Cavalleria rusticana, p. 190: «Le ragazze se lo ruba-
vano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantelli-
na». – «Chi fa l’oste... tutti»: cfr. «Cu’ havi putia (‘bottega’), havi a fari
facci a tutti» (Pitrè, I, p. 314). – Figlie di Maria: «sono le associate a una
nuova Confrérie di donne inventata dai clericali» (Verga); potevano
accedervi solo le donne nubili (cfr. la successiva battuta della Zuppidda
e XIII, 25). Vedi inoltre Pane nero, p. 322. – con tanto di pungiglione:
cfr. II, 3. – scarpe verniciate: cfr. Jeli il pastore, p. 150: «il fattore aspet-
tava i puledri sin dall’alba, andando su e giù cogli stivali inverniciati».

Letteratura italiana Einaudi 58


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

– Sì, come se ne sta pregando la Mangiacarrubbe, col naso


dentro la mantellina, e Dio sa che peccatacci fa fare ai gio-
vanotti!
La Santuzza scuoteva il capo, e diceva che mentre si è in
chiesa non bisogna sparlare del prossimo. – «Chi fa l’oste
deve far buon viso a tutti», rispose la Zuppidda, e poi all’o-
recchio della Vespa: – La Santuzza non vorrebbe si dicesse
che vende l’acqua per vino; ma farebbe meglio a non tenere
in peccato mortale Filippo l’ortolano, che ha moglie e
figliuoli.
– Per me, rispose la Vespa, gliel’ho detto a don
Giammaria che non voglio più starci fra le Figlie di Maria,
se ci lasciano la Santuzza per superiora. Allora vuol dire che
l’avete trovato il marito? rispose la Zuppidda.
– Io non l’ho trovato il marito, saltò su la Vespa con tanto
di pungiglione. Io non sono come quelle che si tirano dietro
gli uomini anche in chiesa, colle scarpe verniciate, e quelli
altri colla pancia grossa.
12 Quello della pancia grossa era Brasi, il figlio di padron
Cipolla, il quale era il cucco delle mamme e delle ragazze,
perché possedeva vigne e oliveti.
– Va a vedere se la paranza è bene ammarrata; gli disse suo
padre facendosi la croce.
13 Ciascuno non poteva a meno di pensare che quell’acqua e
quel vento erano tutt’oro per i Cipolla; così vanno le cose di
questo mondo, che i Cipolla, adesso che avevano la paranza
bene ammarrata, si fregavano le mani vedendo la burrasca;

12. il cucco: ‘il prediletto’, ‘il cocco’.


13. poteva a meno: così in Treves ’81; in A: «poteva fare a meno». –
così vanno… mondo: massima generale, fatta propria dal narratore, a
segnare una contrapposizione, evidenziata poco oltre dalla pregnanza
dei gesti: si fregavano le mani / si strappavano i capelli; cfr. anche IX, 54;
inoltre Jeli il pastore, p. 156: «Le cose del mondo vanno così» e Mastro-
don Gesualdo, IV, V, p. 465: “Così va il mondo». – «Chi fa... ingegno»:
cfr. «Cui fa cridenza senz’aviri pignu, perdi la robba, l’amicu e lu gnegnu»
(Pitrè, II, 45). Corregge in A: «Chi ha roba in mare non ha nulla».

Letteratura italiana Einaudi 59


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

mentre i Malavoglia diventavano bianchi e si strappavano i


capelli, per quel carico di lupini che avevano preso a cre-
denza dallo zio Crocifisso campana di legno.
– Volete che ve la dica? saltò su la Vespa; la vera disgrazia
è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini a credenza.
«Chi fa credenza senza pegno, perde l’amico, la roba e l’in-
gegno».
14 Lo zio Crocifisso se ne stava ginocchioni a piè dell’altare
dell’Addolorata, con tanto di rosario in mano, e intonava le
strofette con una voce di naso che avrebbe toccato il cuore
a satanasso in persona. Fra un’avemaria e l’altra si parlava
del negozio dei lupini, e della Provvidenza che era in mare,
e della Longa che rimaneva con cinque figliuoli. – Al giorno
d’oggi, disse padron Cipolla, stringendosi nelle spalle, nes-
suno è contento del suo stato e vuol pigliare il cielo a pugni.
– Il fatto è, conchiuse compare Zuppiddu, che sarà una
brutta giornata pei Malavoglia.
– Per me, aggiunse Piedipapera, non vorrei trovarmi nella
camicia di compare Bastianazzo.
15 La sera scese triste e fredda; di tanto in tanto soffiava un
buffo di tramontana, e faceva piovere una spruzzatina d’ac-
qua fina e cheta: una di quelle sere in cui, quando si ha la

14. se ne stava ginocchioni: «Verga ce lo presenta nel posto in cui può


marchiare più crudelmente la sua menzogna, cioè in chiesa, ai piedi
dell’Addolorata, in una sorta di quadro capovolto (l’Addolorata, nell’i-
conografia cristiana sta ai piedi del crocifisso) così come è rovesciata la
sua religiosità (è lui il Crocifisso e sarà lui a infiggere i chiodi dello
strozzinaggio a quei poveri cristi dei Malavoglia» (G. Savoca, in I
Malavoglia – Letture cit., p. 57). – intuonava: cfr. Nedda, p. 11: «La
castalda intuonò il rosario». – Al giorno... pugni: secondo una visione
che esclude ogni possibilità di mutamento. Si fondono due proverbi
riportati separatamente dal Pitrè: «Nuddu è cuntenti di la sò sorti» (I, p.
305) e «Nun si pò pigghiari lu celu a pugna» (III, p. 91). Nelle bozze:
«del suo stato» ➝ «di quel che è». In A il proverbio («nessuno è con-
tento… pigliare il cielo a pugni»), che in una primitiva versione, dislo-
cata all’inizio della battuta di padron Cipolla, suonava: «Non fare cose
nuove e fuori d’uso», sostituisce: «tutti vogliono fare i negozianti».
15. buffo: cfr. II, 5: «buffata».

Letteratura italiana Einaudi 60


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

barca al sicuro, colla pancia all’asciutto sulla sabbia, si gode


a vedersi fumare la pentola dinanzi, col marmocchio fra le
gambe, e sentire le ciabatte della donna per la casa, dietro le
spalle. I fannulloni preferivano godersi all’osteria quella
domenica che prometteva di durare anche il lunedì, e fin gli
stipiti erano allegri della fiamma del focolare, tanto che lo
zio Santoro, messo lì fuori colla mano stesa e il mento sui
ginocchi, s’era tirato un po’ in qua, per scaldarsi la schiena
anche lui.
16 – E’ sta meglio di compare Bastianazzo, a quest’ora! ripe-
teva Rocco Spatu, accendendo la pipa sull’uscio.
E senza pensarci altro mise mano al taschino, e si lasciò
andare a fare due centesimi di limosina.
– Tu ci perdi la tua limosina a ringraziare Dio che sei al
sicuro, gli disse Piedipapera; per te non c’è pericolo che
abbi a fare la fine di compare Bastianazzo.
17 Tutti si misero a ridere della barzelletta, e poi stettero a
guardare dall’uscio il mare nero come la sciara, senza dir
altro.
– Padron ’Ntoni è andato tutto il giorno di qua e di là,
come avesse il male della tarantola, e lo speziale gli doman-
dava se faceva la cura del ferro, o andasse a spasso con quel
tempaccio, e gli diceva pure: – Bella Provvidenza, eh!

16. E’ sta... quest’ora: variazione di un motivo ricorrente (cfr. III, 5:


«Bastianazzo Malavoglia sta peggio di lui, a quest’ora»).
17. il male della tarantola: il tarantolismo, che sarebbe provocato
secondo la credenza popolare dal morso della tarantola; simile al ballo
di San Vito, per lo stato di agitazione con cui si manifesta. Cfr. Cos’è il
Re, p. 242: «dovevano averci la tarantola nelle ossa». – cura del ferro: il
tecnicismo si giustifica in bocca allo speziale. Il ferro viene usato in
medicina per le proprietà antianemiche e corroboranti (da qui il riferi-
mento ironico all’irrequietezza di padron ’Ntoni). Vedi in Mastro-don
Gesualdo, III, 11, p. 329: «E le suggeriva anche dei rimedi per la salute
delicata, lo sciroppo marziale, delle teste di chiodi in una bottiglia d’ac-
qua» («marziale» nel linguaggio farmacologico sta a indicare un farma-
co a base di ferro). – Bella Provvidenza, eh!: spetta al «miscredente ed
ebreo» don Franco rivelare il valore antifrastico del nome della barca.

Letteratura italiana Einaudi 61


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

padron ’Ntoni! Ma lo speziale è protestante ed ebreo, ognu-


no lo sapeva.
18 Il figlio della Locca, che era lì fuori colle mani in tasca
perché non ci aveva un soldo, disse anche lui:
– Lo zio Crocifisso è andato a cercare padron ’Ntoni con
Piedipapera, per fargli confessare davanti a testimoni che i
lupini glieli aveva dati a credenza.
– Vuol dire che anche lui li vede in pericolo colla
Provvidenza.
– Colla Provvidenza c’è andato anche mio fratello Menico,
insieme a compare Bastianazzo.
– Bravo! questo dicevamo, che se non torna tuo fratello
Menico tu resti il barone della casa.
– C’è andato perché lo zio Crocifisso voleva pagargli la
mezza giornata anche a lui, quando lo mandava colla paran-
za, e i Malavoglia invece gliela pagavano intiera; rispose il
figlio della Locca senza capir nulla; e come gli altri sghi-
gnazzavano rimase a bocca aperta.
19 Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figliuoletti era
andata ad aspettare sulla sciara, d’onde si scopriva un bel
pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si
grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei
poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell’ora, parevano le
anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva
male allo stomaco, alla povera donna le sembrava quasi un
malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le
cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagri-
me anche essa.

18. barone: qui ‘capofamiglia’; cfr. «Lu primu figghiu è baruni»


(Pitrè, II, p. 219). –pagargli: Treves ’81 ha «pagarli» (refuso che com-
pare anche in A).
19. urlare: il preannuncio dell’imminente tempesta è affidato alla
diversa modulazione della ‘voce’ del mare, che dapprima «russa... ada-
gio adagio» (II, 37), poi «muggisce intorno ai fariglioni» (III, 1), quin-
di «urla». – parevano le anime del purgatorio: cfr. XIV, 58.

Letteratura italiana Einaudi 62


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

20 Le comari, mentre tornavano dall’osteria, coll’orciolino


dell’olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare
qualche parola con la Longa senza aver l’aria di nulla, e
qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla,
per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla
sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che
umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a
domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un
tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa
21 sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta,
sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia
sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volesse-
ro rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassione-
vole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si
lasciava condurre, e badava a ripetere: – Oh! Vergine
Maria! Oh! Vergine Maria! – I figliuoli la seguivano aggrap-
pandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero
22 qualcosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all’osteria,
tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al
gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già
una cosa curiosa.
– Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio Santoro,
quel povero Bastianazzo mi faceva sempre la carità, quando
padron ’Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca.

20. – barattare qualche parola: «far quattro chiacchiere amichevol-


mente» (Petrocchi); cfr. Manzoni, I promessi sposi, VII, c. 120: «si sen-
tiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della
raccolta». – e vedere… brontolone: anche in questa diversa percezione
della voce del mare, non più oscuramente minacciosa, ma affabilmente
amichevole, si può leggere l’opposizione che a vari livelli si è instaurata
fra i Malavoglia e il villaggio. Ambito metaforico privilegiato è la visio-
ne antropomorfica degli elementi naturali; per il caso specifico, cfr.
anche ad es. X, 21: «quando il mare parla a quel modo non si ha corag-
gio di aprir bocca»; X, 24: «quando il mare e il vento gridano insie-
me...»
22. per vederla… curiosa: sostituisce la primitiva lezione di A: «guar-
dandola con curiosità come fosse stata una forestiera».

Letteratura italiana Einaudi 63


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo

La poveretta, che non sapeva di essere vedova, balbetta-


va: – Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!
23 Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vici-
ne che l’aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro.
Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina
Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir
nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno stri-
do disperato e corse a rintanarsi in casa.
– Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica!
Più di quarant’onze di lupini!

23. colle mani sul ventre: «con allusività ancestrale il gesto veicola
l’annuncio della morte» G. Alfieri, ‘Ethnos’ rusticano ed etichetta mon-
dana. La gestualità nel narrato verghiano, in «Annali della Fondazione
Verga», n. 4, Catania 1987 (ma 1990), pp. 43 sgg. Cfr. anche in varian-
ti attenuate: «vogliono dargli il cattivo Natale a quei poveretti, mormo-
rava comare Grazia colle mani sulla pancia» (VI, 26); «Le vicine veni-
vano colle mani sotto il grembiule a domandare se comare Maruzza ci
avesse il suo Luca laggiù...» (IX, 28). –si cacciò le unghie nei capelli:
espressione per eccellenza, nel codice gestuale, della disperazione (qui
con l’intensificazione di «unghie», che sostituisce in A: «mani»). Cfr. ad
es. X, 35; XI, 30; XIII, 27 (anche se con valenza diversa perché riferita
a zio Crocifisso); XIV, 33. Vedi anche La Lupa, p. 198: «La Lupa si cac-
ciò le mani nei capelli [...]»; ibid., p. 200: «[...] e dopo si cacciava le
mani nei capelli»; la sequenza finale di Galantuomini, p. 337; inoltre la
didascalia che chiude la versione teatrale di Cavalleria rusticana, scena
IX: «Tutti corrono verso il fondo vociando; la gnà Nunzia colle mani nei
capelli, fuori di sè». Analogamente nel finale di In portineria, scena X:
«(accorrendo colle mani nei capelli) Malia!... Figlia! ... Figlia mia! ...»
Vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi, XXIV, p. 415: «Dopo essersi
cacciate le mani ne’ capelli, dopo aver gridato più volte: “ah Signore!
ah Madonna!”...»

Letteratura italiana Einaudi 64


IV

1 Il peggio era che i lupini li avevano presi a credenza, e lo


zio Crocifisso non si contentava di «buone parole e mele
fradicie», per questo lo chiamavano Campana di legno, per-
ché non ci sentiva da quell’orecchio, quando lo volevano
pagare con delle chiacchiere, e diceva che «alla credenza ci
2 si pensa». Egli era un buon diavolaccio, e viveva imprestan-
do agli amici, non faceva altro mestiere, che per questo stava

1. Il peggio... credenza: ripresa della fine del capitolo precedente


secondo la tecnica della concatenazione, volta in questo caso a sottoli-
neare, con l’ottica deformante del villaggio, la preminenza del fattore
economico. – «buone parole e mele fradicie»: promesse senza fatti; cfr.
«Boni paroli e puma fràdici» (Pitrè, I, p. 142). – non ci sentiva di quel-
l’orecchio: ‘era irremovibile, non voleva ascoltare ragioni’; cfr. La Lupa,
atto I, scena III: «Parla a te, Nanni! Non vuoi sentirci di quell’orec-
chio?» In A: «non ci sentiva da». Vedi anche Manzoni, I promessi sposi
XXXVIII, p. 659: «Don Abbondio era sordo da quell’orecchio». – e’
diceva: forma letteraria con impiego del pronome atono; in A compare
una copulativa: «e diceva». – «alla credenza ci si pensa»: il debito è
sacrosanto; cfr. «A la cridenza, si cci penza» (Pitrè, II, p. 42).
2. Egli era un buon diavolaccio...: un avvio apparentemente canonico
per un ritratto affatto tradizionale, che si costruisce con l’intarsio di tes-
sere che rivelano la compresenza di una pluralità di punti di vista con-
trapposti, in un continuo gioco di accuse da parte degli abitanti del vil-
laggio e di autodifese dell’usuraio (vedi G. Baldi, L’artificio cit., pp. 78
sgg.). – che non... baiocco: cfr. III, 3 e La roba, in Novelle rusticane, p.
280: «un omicciattolo che non gli avreste dato un baiocco», ma nel
romanzo l’espressione è rimotivata con maggior pregnanza per l’allu-
sione all’apparente povertà di un ricco usuraio. – tarì: cfr. I, 21 (nota).
– «chi fa... ingegno»: cfr. III, 13. – d’argento e con le colonne: ‘senza alte-
razioni nella qualità del metallo e nel conio’ (nelle colonne cioè che il
tarì recava incise). – carlino: moneta che nel Regno delle Due Sicilie
valeva mezzo tarì. – «coll’interesse non c’è amicizia»: cfr. «Cu lu ’ntres-
su nun cc’è amicizia» (Pitrè, I, p. 318).

Letteratura italiana Einaudi 65


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossa-


to al muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero che
non gli avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne
volevano, e se qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì
glieli prestava subito, col pegno, perché «chi fa credenza
senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno» a patto di
averli restituiti la domenica, d’argento e colle colonne, che
ci era un carlino dippiù, come era giusto, perché «coll’inte-
3 resse non c’è amicizia». Comprava anche la pesca tutta in
una volta, con ribasso, quando il povero diavolo che l’aveva
fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano pesar-
gliela colle sue bilancie, le quali erano false come Giuda,
dicevano quelli che non erano mai contenti, ed hanno un
braccio lungo e l’altro corto, come San Francesco; e antici-
pava anche la spesa per la ciurma, se volevano, e prendeva
soltanto il denaro anticipato, e un rotolo di pane a testa, e
mezzo quartuccio di vino, e non voleva altro, ché era cri-
stiano e di quel che faceva in questo mondo avrebbe dovu-
4 to dar conto a Dio. Insomma era la provvidenza per quelli

3. ed hanno... corto: potrebbe alludere alle bilance truccate dello zio


Crocifisso, riportando in questo caso in indiretto libero il punto di vista
dei pescatori. Ma potrebbe anche riferirsi, secondo il giudizio dello zio
Crocifisso, a coloro che «non sono mai contenti», che hanno cioè un
braccio lungo per ricevere e uno corto per restituire (una primitiva
lezione di A avvalorerebbe questa seconda ipotesi: «Ma per certuni il
pigliare è dolce, e il rendere amaro»). Cfr. inoltre l’attestazione del
Mortillaro: «Aviri un vrazzu lungu e nautru curtu [...] dicesi di chi è
‘pronto al ricevere e ritroso al dare’». – San Francesco: San Francesco di
Paola, patrono dei marinai; nella tradizione popolare si diceva avesse
un braccio più lungo per le numerose benedizioni che impartiva. – roto-
lo: unità di misura che equivale a circa 850 grammi.
4. se volevano prestati: la costruzione, nella quale il participio passa-
to sostituisce una dipendente retta da congiunzione (‘se volevano che
fossero prestati’), è ricorrente nei dialetti dell’Italia meridionale, cfr.
Rohlfs, § 738, dove si cita ad esempio «il siciliano vogghiu ’mparata la
via ‘voglio che mi sia insegnata la via’». – la barca del diavolo: richiama,
ma con opposta valenza connotativa, il «buon diavolaccio» iniziale.

Letteratura italiana Einaudi 66


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

che erano in angustie, e aveva anche inventato cento modi


di rendere servigio al prossimo, e senza essere uomo di mare
aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne
avevano, e li prestava, contentandosi di prendere un terzo
della pesca, più la parte della barca, che contava come un
uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se volevano pre-
stati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto
il guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo –
e quando gli dicevano perché non ci andasse lui a rischiare
la pelle come tutti gli altri, che si pappava il meglio della
pesca senza pericolo, rispondeva: – Bravo! e se in mare mi
capita una disgrazia, Dio liberi, che ci lascio le ossa, chi me
5 li fa gli affari miei? – Egli badava agli affari suoi, ed avrebbe
prestato anche la camicia; ma poi voleva esser pagato, senza
tanti cristi; ed era inutile stargli a contare ragioni, perché era
sordo, e per di più era scarso di cervello, e non sapeva dir
altro che «Quel ch’è di patto non è d’inganno», oppure «Al
giorno che promise si conosce il buon pagatore».
6 Ora i suoi nemici gli ridevano sotto il naso, a motivo di
quei lupini che se l’era mangiati il diavolo; e gli toccava
anche recitare il deprofundis per l’anima di Bastianazzo,
quando si facevano le esequie, insieme con gli altri confra-
telli della Buona Morte, colla testa nel sacco.

5. senza tanti cristi: ‘senza tante storie’; l’espressione va letta in rap-


porto col nome del personaggio ed è in contrasto col linguaggio dello
zio Crocifisso, spesso intessuto di metafore di tipo sacrale. – «Quel...
d’inganno»: cfr. «Chiddu ch’è di patta, un è di ’ngannu» (Pitrè, I, p. 313).
– «Al giorno... pagatore»: cfr. «A lu tempu chi prumisi, si conusci lu bon
pagaturi» (Pitrè, II, p. 42).
6. confratelli della Buona Morte: cfr. II, 27. Vedi inoltre Manzoni, I
promessi sposi, XVI, p. 287: «accompagnati da’ cappuccini, e da’ con-
fratelli della buona morte». – colla testa nel sacco: col cappuccio in testa
(cfr. II, 9). In siciliano «saccu» è «la veste lunga [...] che portano i con-
frati delle compagnie e congregazioni, allorquando vanno in processio-
ne» (Mortillaro), ma qui si allude più precisamente alla «buffa», cioè al
cappuccio delle cappe che copriva il viso.

Letteratura italiana Einaudi 67


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

7 I vetri della chiesetta scintillavano, e il mare era liscio e


lucente, talché non pareva più quello che gli aveva rubato il
marito alla Longa; perciò i confratelli avevano fretta di spic-
ciarsi, e di andarsene ognuno pei propri affari, ora che il
tempo s’era rimesso al buono.
8 Stavolta i Malavoglia erano là, seduti sulle calcagna
davanti al cataletto, e lavavano il pavimento dal gran pian-
gere, come se il morto fosse davvero fra quelle quattro tavo-
le, coi suoi lupini al collo, che lo zio Crocifisso gli aveva dati
a credenza perché aveva sempre conosciuto padron ’Ntoni
per galantuomo; ma se volevano truffargli la sua roba, col
pretesto che Bastianazzo s’era annegato, la truffavano a
Cristo, com’è vero Dio! ché quello era un credito sacrosan-
to come l’ostia consacrata, e quelle cinquecento lire ei l’ap-
pendeva ai piedi di Gesù crocifisso; ma, santo diavolone!
padron ’Ntoni sarebbe andato in galera! La legge c’era
anche a Trezza!
9 Intanto don Giammaria buttava in fretta quattro colpi di

8. cataletto: ‘feretro’; di registro in apparenza alto, ma in realtà con


risonanze siciliane (cfr. il proverbio citato in II, 23). – ma se volevano
truffargli...: l’impiego dell’indiretto libero mette e nudo la vera natura
dell’usuraio, che persino nel dolore dei Malavoglia vede un tentativo di
sottrarsi ai loro obblighi di debitori. Si accentua qui quella commistio-
ne blasfema di sacro e profano altre volte rilevata («truffavano a
Cristo», «credito sacrosanto», «ostia consacrata», «l’appendeva ai piedi
di Gesù crocifisso») (cfr. anche II, 25, ma soprattutto VI, 43: «quel che
fanno a me lo fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce» e VIII, 22: «[...]
col sangue mio come il sangue di Gesù Cristo che c’è nel calice della
messa»). – santo diavolone!: interiezione tipicamente siciliana, citata ad
esempio in una lettera del Nievo con la precisazione: «come dicono i
siciliani»; cfr. P.V. Mengaldo, L’epistolario di Nievo: un’analisi linguisti-
ca, Il Mulino, Bologna 1987, p. 181.
9. a casa del diavolo: ‘all’inferno’; cfr. poco prima «si guadagna il
paradiso». – poteva vedere: l’imperfetto segna il passaggio, senza solu-
zione di continuità, all’indiretto libero. – galloriare: ‘manifestare viva-
cemente la propria gioia’; registrato come verbo raro nel Fanfani che
rimanda a «far gallòria» («da gallo, calco su baldoria», cfr. G. Devoto,
Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, Milano 1979).

Letteratura italiana Einaudi 68


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

aspersorio sul cataletto, e mastro Cirino cominciava ad


andare attorno per spegnere i lumi colla canna. I confratelli
si affrettavano a scavalcare i banchi colle braccia in aria, per
cavarsi il cappuccio, e lo zio Crocifisso andò a dare una
presa di tabacco a padron ’Ntoni, per dargli animo, che infi-
ne quando uno è galantuomo lascia buon nome e si guada-
gna il paradiso, – questo aveva detto a coloro che gli doman-
davano dei suoi lupini: – Coi Malavoglia sto tranquillo, per-
ché son galantuomini e non vorranno lasciar compare
Bastianazzo a casa del diavolo; padron ’Ntoni poteva vede-
re coi suoi propri occhi se si erano fatte le cose senza rispar-
mio, in onore del morto; e tanto costava la messa, tanto i
ceri, e tanto il mortorio – ei faceva il conto sulle grosse dita
ficcate nei guanti di cotone, e i ragazzi guardavano a bocca
aperta tutte quelle cose che costavano caro, ed erano lì pel
babbo: il cataletto, i ceri, i fiori di carta; e la bambina,
vedendo la luminaria, e udendo suonar l’organo, si mise a
galloriare.
10 La casa del nespolo era piena di gente; e il proverbio dice:
«triste quella casa dove ci è la visita pel marito!». Ognuno
che passava, a veder sull’uscio quei piccoli Malavoglia col
viso sudicio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e diceva:
– Povera comare Maruzza! Ora cominciano i guai per la
sua casa!
11 Gli amici portavano qualche cosa, com’è l’uso, pasta, ova,

10. La casa… gente: è correzione in A su: «Nella casa del nespolo


c’era la visita del morto (prima la visita)». Il corsivo segnava il valore
idiomatico di «visita», traduzione del siciliano «visitu», che significa
più specificatamente ‘lutto, visita di condoglianza’ (nell’abbozzo M8:
«c’era il visito»); successiva l’aggiunta esplicativa: «del morto» (cfr.
anche XI, 33). Il sintagma, sempre marcato dal corsivo, ricompare poco
oltre, nella variante «visita pel marito». – «triste… marito!»: non si sono
trovati riscontri nel Pitrè. Il proverbio compare già in un abbozzo che
precede il manoscritto ultimo, con l’alternativa iniziale, lasciata irrisol-
ta, fra «triste» e «amara».
11. Gli amici portavano: è correzione nelle bozze della lezione ulti-

Letteratura italiana Einaudi 69


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

vino e ogni ben di Dio, che ci sarebbe voluto il cuor con-


tento per mangiarsi tutto, e perfino compar Alfio Mosca era
venuto con una gallina per mano. – Prendete queste qua,
gnà Mena, diceva, che avrei voluto trovarmici io al posto di
vostro padre, vi giuro. Almeno non avrei fatto danno a nes-
suno, e nessuno avrebbe pianto.
12 La Mena, appoggiata alla porta della cucina, colla faccia
nel grembiule, si sentiva il cuore che gli sbatteva e gli vole-
va scappare dal petto, come quelle povere bestie che teneva
in mano. La dote di Sant’Agata se n’era andata colla
Provvidenza, e quelli che erano a visita nella casa del nespo-
lo pensavano che lo zio Crocifisso ci avrebbe messo le
unghie addosso.
13 Alcuni se ne stavano appollaiati sulle scranne, e ripartiva-

ma di A: «Tutti portavano ( ➝ Ognuno portava)» a marcare una par-


tecipazione non unanime del villaggio al dolore dei Malavoglia. – com’è
l’uso: è il pranzo del cùnsulu (‘di consolazione’), preparato in occasione
di un lutto con le offerte dei parenti e amici. In una lezione rifiutata di
A si legge: «[…] i monelli del vicinato stavano a vedere la roba che por-
tavano ai Malavoglia pel consolo» – ci avrebbe voluto: dialettalismo; le
varianti in A rivelano l’indecisione nell’uso dell’ausiliare: «sarebbe” è
ricalcato su «avrebbe», successivamente recuperato nelle bozze; cfr.
anche I, 13. – gnà: forma aferetica dallo spagnolo «doña». – nessuno
avrebbe pianto: abbiamo corretto la lezione di Treves ’81: «nessuno
avrebbero pianto», che riproduce quello che riteniamo essere un erro-
re già presente in A, come conseguenza di un intervento correttorio
non completato. In un abbozzo del romanzo (M 8) il passo compare
infatti in questa forma: «Io non avrei fatto danno ad alcuno, e non mi
avrebbero pianto [...]»; riprendendo il testo nella nuova redazione,
l’autore introduce «nessuno», in sostituzione di «non mi», ma tralascia
di adeguare la concordanza verbale.
12. ci: sulla casa.
13. scranne: «sedia rozza e da povera gente» (Rigutini-Fanfani); pre-
senta nel romanzo la maggior frequenza (otto occorrenze, molto spes-
so nel ms come correzione di «seggiola»), rispetto a «sedia» (due) e
«seggiola» (una), forma quest’ultima di uso più comune nel fiorentino,
secondo il Rigutini-Fanfani. Cfr. T. Poggi Salani, La «forma» dei
Malavoglia, in “Annali della Fondazione Verga», n. 3, Catania 1986 (ma
1988), pp. 160-61. – baccalà: ‘stupidi’, ‘tonti’ (con questo significato,
due unici esempi nel Battaglia, tratti proprio dai Malavoglia) , ma anche

Letteratura italiana Einaudi 70


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

no senza aver aperto bocca, da veri baccalà che erano; ma


chi sapeva dir quattro parole, cercava di tenere uno scam-
polo di conversazione per scacciare la malinconia, e distrar-
re un po’ quei poveri Malavoglia i quali piangevano da due
14 giorni come fontane. Compare Cipolla raccontava che sulle
acciughe c’era un aumento di due tarì per barile, questo
poteva interessargli a padron ’Ntoni, se ci aveva ancora delle
acciughe da vendere; lui a buon conto se n’era riserbati un
centinaio di barili; e parlavano pure di compare
Bastianazzo, buon’anima, che nessuno se lo sarebbe aspet-
tato, un uomo nel fiore dell’età, e che crepava di salute,
poveretto!
15 C’era pure il sindaco, mastro Croce Callà, «Baco da seta»
detto anche Giufà, col segretario don Silvestro, e se ne stava
col naso in aria, talché la gente diceva che stava a fiutare il
vento per sapere da che parte voltarsi, e guardava ora que-
sto e ora quello che parlavano, come se cercasse la foglia
davvero, e volesse mangiarsi le parole, e quando vedeva
ridere il segretario, rideva anche lui.
16 Don Silvestro per far ridere un po’ tirò il discorso sulla

nell’accezione di ‘insensibili’, con probabile estensione dell’uso più fre-


quente in toscano del termine nel senso di ‘miscredente’ («detto soprat-
tutto dei protestanti, per il vestito austero dei loro pastori») o di ‘irreli-
gioso’ «quasi che l’acqua salata del battesimo non avesse operato altro
effetto che quello che opera il sale nel baccalà fresco» (Rigutini-
Fanfani). – piangevano… fontane: cfr. Cos’è il Re, p. 245: «sua moglie
piangeva come una fontana».
14. un uomo... poveretto!: in indiretto libero, i discorsi dei presenti,
con l’amara ironia di quel «crepava di salute». In A tutta la lezione
sostituisce un più neutro: «perchè era giov(ane)», immediatamente
superato.
15. Giufà: cfr. II, 29. – col naso in aria: risulta quindi evidente l’allu-
sività di espressioni spesso riferite a Croce Callà come «si lasciava
menare per il naso», «gli ridevano sotto il naso». – come se cercasse la
foglia davvero: cfr. VII, 29; vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi,
XXVII, p. 462: «dimenò la testa, come un baco da seta che cerchi la
foglia».
16. ci ficcò così: correzione nelle bozze della lezione «onde ripetere»

Letteratura italiana Einaudi 71


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

tassa di successione di compar Bastianazzo, e ci ficcò così


una barzelletta che aveva raccolta dal suo avvocato, e gli era
piaciuta tanto, quando gliel’avevano spiegata bene, che non
mancava di farla cascare nel discorso ogniqualvolta si trova-
va a visita da morto.
– Almeno avete il piacere di essere parenti di Vittorio
Emanuele, giacché dovete dar la sua parte anche a lui!
E tutti si tenevano la pancia dalle risate, ché il proverbio
dice: «Né visita di morto senza riso, né sposalizio senza
pianto».
17 La moglie dello speziale torceva il muso a quegli schia-
mazzi, e stava coi guanti sulla pancia, e la faccia lunga, come
si usa in città per quelle circostanze, che solo a guardarla la
gente ammutoliva, quasi ci fosse il morto lì davanti, e per
questo la chiamavano la Signora.
18 Don Silvestro faceva il gallo colle donne, e si muoveva

di A. – raccolta: in A su: «sentita». – la sua parte: di ‘eredità’, pagando


la tassa di successione. – «Nè visita… pianto»: cfr. «Nè visitu senza risu,
nè zitaggiu senza chiantu» (Pitrè, III, p. 84).
17. la chiamavano la Signora: cfr. Manzoni, I promessi sposi, IX, p.
148: «per questo la chiamano la signora».
18. faceva il gallo: ‘faceva lo spavaldo, il galante’; cfr. anche VII, 39.
Non sfugga l’ironia dell’espressione se letta in rapporto allo stereotipo
che solitamente accompagna il personaggio: «rideva come una gallina»
(cfr. II, 9). – scranne: in A: «seggiole»; cfr. IV, 13. – scricchiolare… ver-
niciate: «scarpe verniciate» in A: «scarpe lucide». Cfr. I, 25 (ma anche
II, 9: «dov’era venuto senza scarpe ai piedi»). Vedi la prefazione di Eva:
«Non predicate la moralità […] voi che vi meravigliate come altri possa
lasciare il cuore e l’onore dove voi non lasciate che la borsa, – voi che
fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini inverniciati dove folleg-
giano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti...» – abbruciare:
forma toscana, ma qui forse eco del siciliano «abbruciari». come... limo-
ni: col duplice valore presente nell’espressione siciliana «manciari agru
di lumìa», cioè «nel senso passivo di ‘essere inveleniti, masticar amaro’
e in quello causativo di ‘far inghiottire veleno, far rodere dentro gli altri
prima di concedere loro qualcosa’» (G. Alfieri, Innesti cit., p. 34). –
mangiacarte: ‘burocrati intriganti’; «dicesi di leguleio faccendone»
(Petrocchi). – «Bella... soldi»: cfr. «Bedda, nun vogghiu a tia, vogghiu a
li ninni» (Pitrè, I, p. 7).

Letteratura italiana Einaudi 72


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

ogni momento col pretesto di offrire le scranne ai nuovi arri-


vati, per far scricchiolare le sue scarpe verniciate. – Li
dovrebbero abbruciare, tutti quelli delle tasse! brontolava
comare Zuppidda, gialla come se avesse mangiato dei limo-
ni, e glielo diceva in faccia a don Silvestro, quasi ei fosse
quello delle tasse. – Ella lo sapeva benissimo quello che
volevano certi mangiacarte che non avevano calze sotto gli
stivali inverniciati e cercavano di ficcarsi in casa della gente
per papparsi la dote e la figliuola: «Bella, non voglio te,
voglio i tuoi soldi». Per questo aveva lasciata a casa sua figlia
Barbara. – Quelle facce lì non mi piacciono.
19 – A chi lo dite! esclamò padron Cipolla; a me mi scorti-
cano vivo come san Bartolomeo.
– Benedetto Dio! esclamò mastro Turi Zuppiddu, minac-
ciando col pugno che pareva la malabestia del suo mestiere.
Va a finire brutta, va a finire, con questi italiani!
– Voi state zitto! gli diede sulla voce comare Venera, ché
non sapete nulla.
– Io dico quel che hai detto tu, che ci levano la camicia di
dosso, ci levano! borbottò compare Turi, mogio mogio.
20 Allora Piedipapera, per tagliar corto, disse piano a padron

19. mogio mogio: cfr. il ritratto di Zuppiddu negli appunti prepara-


tori: «spaccamonti, un colosso, menato pel naso dalla moglie».
20. come un tacchino: corregge in A: «come un gamb(ero)» ➝
come un pomodoro» (che compare due volte poco oltre). – al giorno
d’oggi: marca evidente del discorso indiretto libero; corregge in A un
precedente: «oramai». – nessuno… più: donna Rosolina negli appunti
preparatori è definita: «zitellona arrabbiata» (per «arrabbiata» cfr. II,
18). – canne: antica unità di misura di lunghezza, corrispondente, in
Sicilia, a otto palmi, cioè a circa due metri. – Una casa... andare: proba-
bile variazione del proverbio: «Casa senza fimmina, ’mpuvirisci» (Pitrè,
II, p. 65); ma cfr. anche: «La mala mugghieri distruj ’na casa» (ibid., p.
93). – fraschette: nel senso di «ragazza vana e poco contegnosa»
(Rigutini-Fanfani). Cfr. anche VIII, 20. – «coi capelli... corto»: cfr.
«Capiddi longhi, ciriveddu curtu» (Pitrè, I, p. 163). – giorno segnalato:
in siciliano «jornu singaliatu», giorno cioè particolare (con valenza sia
positiva che negativa); in questo caso, oltre che per la sacralità della

Letteratura italiana Einaudi 73


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

Cipolla: – Dovreste pigliarvela voi, comare Barbara, per


consolarvi; così la mamma e la figliuola non si darebbero più
l’anima al diavolo.
– E’ una vera porcheria! esclamava donna Rosolina, la
sorella del curato, rossa come un tacchino, e facendosi vento
col fazzoletto; e se la prendeva con Garibaldi che metteva le
tasse, e al giorno d’oggi non si poteva più vivere, e nessuno
si maritava più. – O a donna Rosolina cosa gliene importa
oramai? sussurrava Piedipapera. Donna Rosolina intanto
raccontava a don Silvestro le grosse faccende che ci aveva
per le mani: dieci canne di ordito sul telaio, i legumi da sec-
care per l’inverno, la conserva dei pomidoro da fare, che lei
ci aveva un segreto tutto suo per avere la conserva dei pomi-
doro fresca tutto l’inverno. – Una casa senza donna non
poteva andare; ma la donna bisognava che avesse il giudizio
nelle mani, come s’intendeva lei; e non fosse di quelle fra-
schette che pensano a lisciarsi e nient’altro, «coi capelli lun-
ghi e il cervello corto», ché allora un povero marito se ne va
sott’acqua come compare Bastianazzo, buon’anima. – Beato
lui! sospirava la Santuzza, è morto in un giorno segnalato, la
vigilia dei Dolori di Maria Vergine, e prega lassù per noi
peccatori, fra gli angeli e i santi del paradiso. «A chi vuol
bene, Dio manda pene». Egli era un bravo uomo, di quelli

ricorrenza liturgica, anche per la dolorosa prefigurazione, nella realtà


della vicenda, del ruolo assunto da Maruzza. Cfr. anche Vagabondaggio,
p. 458: «la vigilia di Natale – giorno segnalato – »; Mastro-don
Gesualdo, III, IV, p. 360: «Appena tornò dalla santa Messa, quel gior-
no segnalato, trovò la casa sottosopra» (qui riferito alla festa della
Purificazione di Maria Vergine, che ricorre il 2 febbraio). – la vigilia...
Vergine: la celebrazione della festa di «Maria Vergine Addolorata» o dei
«Dolori di Maria Vergine» avviene nella terza domenica di settembre;
negli appunti sullo svolgimento dell’azione si precisa inoltre: «Sabato
21 sett(embr)e, vigilia della solennità dei Dolori di M(aria) V(ergine)»,
una condizione che però non si è verificata nel 1865, come è espressa-
mente indicato, ma nel 1867 e nel 1878. Cfr. inoltre I, 7 e 25. – «A chi...
pene»: cfr. «Diu manna li peni a cui voli beni» (Pitrè, III, p. 77).

Letteratura italiana Einaudi 74


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

che badano ai fatti loro, e non a dir male di questo e di quel-


lo, e peccare contro il prossimo, come tanti ce ne sono.
21 Maruzza allora, seduta ai piedi del letto, pallida e disfatta
come un cencio messo al bucato, che pareva la Madonna
Addolorata, si metteva a piangere più forte, col viso nel
guanciale, e padron ’Ntoni, piegato in due, più vecchio di
cent’anni, la guardava, e la guardava, scrollando il capo, e
non sapeva che dire, per quella grossa spina di Bastianazzo
che ci aveva in cuore, come se lo rosicasse un pescecane.
– La Santuzza ci ha il miele in bocca! osservava comare
Grazia Piedipapera.
– Per fare l’ostessa, rispose la Zuppidda, e’ s’ha da essere
così. «Chi non sa l’arte chiuda bottega, e chi non sa nuotare
che si anneghi».
22 La Zuppidda ne aveva le tasche piene di quel fare melato
della Santuzza, che perfino la Signora si voltava a discorre-

21. pallida… bucato: cfr. anche XIV, 33. Vedi anche Manzoni, I pro-
messi sposi, II, p. 33, dove, analogamente, la similitudine è preceduta da
una coppia aggettivale: «bianco e floscio, come un cencio che esca dal
bucato». – pareva... Addolorata: l’immagine, che possiede una sua giu-
stificazione esterna (cfr. IX, 32: «l’Addolorata che c’è sull’altare della
chiesetta»), acquista una più profonda ragion d’essere per il graduale
valore simbolico che l’accostamento assume (cfr. VII, 4), fino al punto
in cui, dopo la morte di Luca, la Longa verrà chiamata «la madre addo-
lorata» (IX, 32). – per quella... pescecane: sostituisce in A: «che si senti-
va una grossa spina in cuore, come ci avesse un pescecane che se lo man-
giasse, e le lagrime lo soffocavano». – ci ha il miele in bocca: la doppia
valenza dell’espressione si rivela nel proverbio siciliano: «Aviri lu meli
mmucca e lu diavulu in cori» (Mortillaro). Cfr. anche Pitrè, IV, p. 64. –
«Chi non sa... anneghi»: la fonte in questo caso è Rapisarda, p. 69: «Cui
non sa l’arti chiuda la putia | E cui non sa natari mi s’anneia»; nel Pitrè
(III, p. 290) compare: «Cui non sapi natari, cula ’n funno (o - s’annega)».
22. que’: in A: «quei». – con tutto: ‘nonostante’. – abitino color pulce:
lo scapolare delle Figlie di Maria di color marrone-grigio. – sul petto...
starci: sempre la Zuppidda (cfr. V, 18) insinuerà: «così si è fatta ricca la
Santuzza e onde gabbare il mondo si è messo sul petto l’abitino di
Figlia di Maria. Belle cose che copre quell’abitino!»; cfr. anche VII, 22.
– vendendo... oro: accomunate («l’arte è parentela») dal vendere bevan-
de e medicine («acqua sporca») a caro prezzo; cfr. III, 11: «la Santuzza
[...] vende l’acqua per vino».

Letteratura italiana Einaudi 75


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

re con lei, colla bocca stretta, senza badare agli altri, con
quei guanti che pareva avesse paura di sporcarsi le mani, e
stava col naso arricciato come se tutte le altre puzzassero
peggio delle sardelle, mentre chi puzzava davvero era la
Santuzza, di vino e di tante altre porcherie, con tutto l’abiti-
no color pulce che aveva indosso, e la medaglia di Figlia di
Maria sul petto prepotente, che non voleva starci. Già se la
intendevano fra di loro perché l’arte è parentela, e facevano
denari allo stesso modo, gabbando il prossimo, e vendendo
l’acqua sporca a peso d’oro, e se ne infischiavano delle tasse,
coloro!
– Metteranno pure la tassa sul sale! aggiunse compare
Mangiacarrubbe. L’ha detto lo speziale che è stampato nel
giornale. Allora di acciughe salate non se ne faranno più, e
le barche potremo bruciarle nel focolare.
23 Mastro Turi il calafato stava per levare il pugno e comin-
ciare: – Benedetto Dio!; ma guardò sua moglie e si tacque
mangiandosi fra i denti quel che voleva dire.
– Colla malannata che si prepara, aggiunse padron
Cipolla, che non pioveva da Santa Chiara, e se non fosse
stato per l’ultimo temporale in cui si è persa la Provvidenza,
che è stato una vera grazia di Dio, la fame quest’inverno si
sarebbe tagliata col coltello!
24 Ognuno raccontava i suoi guai, anche per conforto dei

23. si tacque... dire: cfr. IV, 19. – malannata: ‘condizioni avverse con
conseguente carestia’; cfr. Fantasticheria, p. 130: «Di tanto in tanto il
tifo, il colèra, la malannata, la burrasca, vengono a dare una buona
spazzata...» – Santa Chiara: la festa cade il 12 agosto. Nel Pitrè (III, p.
51) è riportato il proverbio catanese: «Pri Santa Chiara ogni stizza ’na
quartara», con la spiegazione: «Verso quei giorni ogni stilla di pioggia
riempirebbe una brocca (’na quartara), così sono grossi gli acquazzoni».
– che è stata... Dio: l’ambiguità sintattica dell’inciso accentua la mimesi
del parlato, ma contemporaneamente ribadisce l’estraneità al dolore dei
Malavoglia.
24. che non erano... averne: la presenza dell’indiretto libero è rivela-
ta dall’inserimento del «poi»; la frase da oggettiva constatazione si tra-

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

Malavoglia, che non erano poi i soli ad averne. «Il mondo è


pieno di guai, chi ne ha pochi e chi ne ha assai», e quelli che
stavano fuori nel cortile guardavano il cielo, perché un’altra
25 pioggerella ci sarebbe voluta come il pane. Padron Cipolla
lo sapeva lui perché non pioveva più come prima. – Non
piove più perché hanno messo quel maledetto filo del tele-
grafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via – Compare
Mangiacarrubbe allora, e Tino Piedipapera, rimasero a
bocca aperta, perché giusto sulla strada di Trezza c’erano i
pali del telegrafo; ma siccome don Silvestro cominciava a
ridere, e a fare ah! ah! ah! come una gallina, padron Cipolla
si alzò dal muricciuolo, infuriato, e se la prese con gli igno-
ranti, che avevano le orecchie lunghe come gli asini. – Che
non lo sapevano che il telegrafo portava le notizie da un
luogo all’altro; questo succedeva perché dentro il filo ci era
un certo succo come nel tralcio della vite, e allo stesso modo
si tirava la pioggia dalle nuvole, e se la portava lontano, dove
ce n’era più di bisogno; potevano andare a domandarlo allo
speziale che l’aveva detta; e per questo ci avevano messa la
legge che chi rompe il filo del telegrafo va in prigione. Allora
anche don Silvestro non seppe più che dire, e si mise la lin-
gua in tasca.
– Santi del Paradiso! Si avrebbero a tagliarli tutti quei pali
del telegrafo, e buttarli nel fuoco! incominciò compare
Zuppiddu, ma nessuno gli dava retta, e guardavano nell’or-
to, per mutar discorso.

sforma così nell’implicita autogiustificazione dei presenti per il loro


disinteresse. – «Il mondo... assai»: cfr. Pitrè, I, p. 268: «Munnu di guai,
cui nn’havi picca, cui nn’havi assai».
25. lo sapeva lui: la presenza del pronome rivela la presenza dell’in-
diretto libero, ma l’enfatizzazione che si determina costituisce anche l’i-
ronica anticipazione della saccenteria di padron Cipolla che si appresta
a fornire, con l’autorevolezza di chi sa, una balzana spiegazione. – si
tira: ‘attira’. – come una gallina: cfr. II, 9. – muricciuolo: in A: «muric-
ciolo». – come nel tralcio della vite: in A: «come il tallo della vite». –
domandarlo: in A: «domandarne». – Santi del Paradiso!: in A: «Signore
benedetto!» – pali del telegrafo: in A: «pali di forca».

Letteratura italiana Einaudi 77


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

– Un bel pezzo di terra! diceva compare Mangiacarrubbe;


quando è ben coltivato dà la minestra per tutto l’anno.
26 La casa dei Malavoglia era sempre stata una delle prime a
Trezza; ma adesso con la morte di Bastianazzo, e ’Ntoni sol-
dato, e Mena da Maritare, e tutti quei mangiapane pei piedi,
era una casa che faceva acqua da tutte le parti.
Infine cosa poteva valere la casa? Ognuno allungava il
collo sul muro dell’orto, e ci dava un’occhiata, per stimarla
così a colpo. Don Silvestro sapeva meglio di ogni altro come
andassero le cose, perché le carte le aveva lui, alla segreteria
di Aci Castello.
– Volete scommettere dodici tarì che non è tutt’oro quel-
lo che luccica! andava dicendo; e mostrava ad ognuno il
pezzo da cinque lire nuovo.
27 Ei sapeva che sulla casa c’era un censo di cinque tarì
all’anno. Allora si misero a fare il conto sulle dita di quel che
avrebbe potuto vendersi la casa, coll’orto, e tutto.
– Né la casa né la barca si possono vendere perché ci è su
la dote di Maruzza, diceva qualchedun altro, e la gente si
scaldava tanto che potevano udire dalla camera dove stava-
no a piangere il morto. – Sicuro! lasciò andare alfine don
Silvestro come una bomba; c’è l’ipoteca dotale.
28 Padron Cipolla, il quale aveva scambiato qualche parola
con padron ’Ntoni per maritare Mena con suo figlio Brasi,
scrollava il capo e non diceva altro.
– Allora, aggiunse compare Turi, il vero disgraziato è lo
zio Crocifisso che ci perde il credito dei suoi lupini.
29 Tutti si voltarono verso Campana di legno il quale era

26. una casa... parti: cfr. I, 2.


27. censo: ‘la tassa sull’immobile’. – cinque: in A corretto su: «quin-
dici». – ci è su la dote: cfr. poco oltre: «l’ipoteca dotale», che impediva
la vendita della casa, senza il consenso della Longa. Sostituisce in A: «è
stata comprata coi danari della dote».
29. colla bocca aperta... aria: cfr. IV, 15. – stesse contando… travicel-
li: rimotivazione letterale di un’espressione toscana dalla specifica

Letteratura italiana Einaudi 78


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

venuto anche lui, per politica, e stava zitto, in un cantuccio,


a veder quello che dicevano, colla bocca aperta e il naso in
aria, che sembrava stesse contando quante tegole e quanti
travicelli c’erano sul tetto, e volesse stimare la casa. I più
curiosi allungavano il collo dall’uscio, e si ammiccavano l’un
l’altro per mostrarselo a vicenda. – E’ pare l’usciere che fa il
pignoramento! sghignazzavano.
30 Le comari, che sapevano delle chiacchiere fra padron
’Ntoni e compare Cipolla, dicevano che adesso bisognava
farle passare la doglia, a comare Maruzza, e conchiudere
quel matrimonio della Mena. Ma la Longa in quel momen-
to ci aveva altro per capo, poveretta.
31 Padron Cipolla voltò le spalle freddo freddo, senza dir
nulla; e dopo che tutti se ne furono andati, i Malavoglia
rimasero soli nel cortile. – Ora, disse padron ’Ntoni, siamo
rovinati, ed è meglio per Bastianazzo che non ne sa nulla.
A quelle parole, prima Maruzza, e poi tutti gli altri torna-
rono a piangere di nuovo, e i ragazzi, vedendo piangere i
grandi, si misero a piangere anche loro, sebbene il babbo

valenza metaforica: «Contare i travicelli dicesi scherzevolmente o di chi


se ne sta ozioso in casa, od anche di chi è costretto a starsene a letto»
(Rigutini-Fanfani) e anche con più precisa indicazione gestuale: «star-
sene col viso all’aria senza far nulla» (Tommaseo-Bellini). Vedi anche
Rosso Malpelo, p. 187: «sembrava che badasse a contare quanti travi-
celli c’erano sul tetto». Nel nostro contesto l’atteggiamento ozioso del-
l’usuraio maschera la reale volontà di fare una stima della casa (cfr. G.
Alfieri, Lettera e figura cit., p. 105).
31. sebbene… giorni: l’apparentemente genericità dell’espressione
nasconde in realtà una precisa giustificazione proverbiale, cfr. infatti
Pitrè, IV, p. 121, sotto l’indicazione «Temperanza e moderazione» (da
cui si comprende il «sebbene»): «Di li morti si nni parra tri jorna» (cfr.
G. Alfieri, Il motto degli antichi, Fondazione Verga, Catania 1985, p.
243). – quasi non avesse… fare: la successiva battuta della Longa («Ora
non ho più niente da fare!») ne rivela il valore di indiretto libero. E cor-
rezione in A su un precedente: «come fosse urla statua». – «il galan-
tuomo... birbante»: cfr. «Lu galantomu ca ’mpuvirisci, addiventa birban-
ti» (Pitrè, I, p. 263). In A sostituisce: «La morte insegna a piangere».

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

fosse morto da tre giorni. Il vecchio andava di qua e di là,


senza sapere che facesse; Maruzza invece non si muoveva
dai piedi del letto, quasi non avesse più nulla da fare.
Quando diceva qualche parola, ripeteva sempre, cogli occhi
fissi, e pareva che non ci avesse altro in testa: – Ora non ho
più niente da fare!
– No! rispose padron ’Ntoni, no! ché bisogna pagare il
debito allo zio Crocifisso, e non si deve dire di noi che «il
galantuomo come impoverisce diventa birbante».
32 E il pensiero dei lupini gli ficcava più dentro nel cuore la
spina di Bastianazzo. Il nespolo lasciava cadere le foglie
vizze, e il vento le spingeva di qua e di là pel cortile.
– Egli è andato perché ce l’ho mandato io, ripeteva
padron ’Ntoni, come il vento porta quelle foglie di qua e di
là, e se gli avessi detto di buttarsi dal fariglione con una pie-
tra al collo, l’avrebbe fatto senza dir nulla. Almeno è morto
che la casa e il nespolo sino all’ultima foglia erano ancora
suoi; ed io che son vecchio sono ancora qua. «Uomo pove-
ro ha i giorni lunghi».
33 Maruzza non diceva nulla, ma nella testa ci aveva un pen-
siero fisso, che la martellava, e le rosicava il cuore, di sapere

32. Il nespolo... cortile: l’immagine anticipa lo sviluppo metaforico


nella successiva battuta di padron ’Ntoni e si fa presagio della disgre-
gazione che incombe sui Malavoglia, che nella casa del nespolo vedono
il segno della propria unità. Accurata indagine sul motivo in G.
Mazzacurati, Parallele e meridiane: l’autore e il coro all’ombra del nespo-
lo, in Atti cit., pp. 163-79. – buttarsi dal fariglione: cfr. II, 1. – «Uomo
povero… lunghi»: cfr. «Omu poviru e mischinu havi li jorna longhi»
(Pitrè, I, p. 269). Cfr. anche XV, 2 nella variante: «lo sfortunato ha i
giorni lunghi»; inoltre XV, 21.
33. Maruzza non diceva nulla, ma nella testa ci aveva...: con soluzio-
ne eccezionale, riservata a pochi personaggi ‘privilegiati’, il narratore
apre uno spiraglio sull’interiorità di Maruzza, seguendo, con un ampio
periodo dominato dal polisindeto, il libero fluire nella mente di imma-
gini e sensazioni della vita che inesorabilmente continua. – si udiva… a
piangere: costrutto (a + infinito in dipendenza da verbi di percezione)
frequente in area settentrionale, ma anche in molti dialetti meridionali
(cfr. Rohlfs, § 710). Cfr. Nedda, p. 22: «Come fa piacere a sentire» e p.
23: «la guardava a camminare».

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

cos’era successo in quella notte, che l’aveva sempre dinanzi


agli occhi, e se li chiedeva le sembrava di vedere ancora la
Provvidenza, là verso il Capo dei Mulini, dove il mare era
liscio e turchino, e seminato di barche, che sembravano
tanti gabbiani al sole, e si potevano contare ad una ad una,
quella dello zio Crocifisso, l’altra di compare Barabba; la
Concetta dello zio Cola, e la paranza di padron Fortunato,
che stringevano il cuore e si udiva mastro Turi Zuppiddu il
quale cantava a squarciagola, con quei suoi polmoni di bue,
mentre picchiava colla malabestia, e l’odore del catrame che
veniva dal greto, e la tela che batteva la cugina Anna sulle
pietre del lavatoio, e si udiva pure Mena a piangere cheta
cheta in cucina.
34 – Poveretta! mormorava il nonno, anche a te è crollata la
casa sul capo, e compare Fortunato se ne è andato freddo
freddo, senza dir nulla.
E andava toccando ad uno ad uno gli arnesi che erano in
mucchio in un cantuccio, colle mani tremanti, come fanno i
vecchi; e vedendo Luca lì davanti, che gli avevano messo il
giubbone del babbo, e gli arrivava alle calcagna, gli diceva:
– Questo ti terrà caldo, quando verrai a lavorare; perché
adesso bisogna aiutarci tutti per pagare il debito dei lupini.
35 Maruzza si tappava le orecchie colle mani per non sentire
la Locca che si era appollaiata sul ballatoio, dietro l’uscio, e
strillava dalla mattina, con quella voce fessa di pazza, e pre-
tendeva che le restituissero loro il suo figliuolo, e non vole-
va sentir ragione.
– Fa così perché ha fame, disse infine la cugina Anna;
adesso lo zio Crocifisso ce l’ha con tutti loro per l’affare dei
lupini, e non vuol darle più nulla. Ora vo a portarle qualche
cosa, e allora se ne andrà.

35. fessa: ‘stridula’. Cfr. Manzoni, I promessi sposi, XVIII, p. 316:


«con una vocina fessa, e una barbetta misera misera».

Letteratura italiana Einaudi 81


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto

36 La cugina Anna, poveretta, aveva lasciato la sua tela e le


sue ragazze per venire a dare una mano a comare Maruzza,
la quale era come se fosse malata, e se l’avessero lasciata sola
non avrebbe pensato più ad accendere il fuoco, e a mettere
la pentola, che sarebbero tutti morti di fame. «I vicini devo-
no fare come le tegole del tetto, a darsi l’acqua l’un l’altro».
Intanto quei ragazzi avevano le labbra pallide dalla fame. La
Nunziata aiutava anche lei, e Alessi, col viso sudicio dal gran
piangere che aveva fatto vedendo piangere la mamma, tene-
va a bada i piccini, perché non le stessero sempre fra i piedi,
come una nidiata di pulcini, ché la Nunziata voleva averle
libere le mani, lei.
– Tu sai il fatto tuo! le diceva la cugina Anna; e la tua dote
ce l’hai nelle mani, quando sarai grande.

36. «I vicini... l’altro»: cfr. Pitrè, I, p. 221: «Li vicini su’ comu li catu-
sa, si dùnanu acqua l’unu cu l’autru». – La Nunziata... piccini: Alessi e
Nunziata appaiono ancora una volta uniti (cfr. II, 21) e sempre più
chiaramente si pongono come espressione di valori positivi, quali la
solidarietà («aiutava anche lei») e la laboriosità («teneva a bada i picci-
ni»). – come una nidiata di pulcini: cfr. II, 21.

Letteratura italiana Einaudi 82


V

1 La Mena non sapeva nulla che volessero maritarla con


Brasi di padron Cipolla per far passare la doglia alla
mamma, e il primo che glielo disse, qualche tempo dopo, fu
compare Alfio Mosca, dinanzi al rastrello dell’orto, che tor-
nava allora da Aci Castello col suo carro tirato dall’asino.
Mena rispondeva: – Non è vero, non è vero – ma si confon-
deva, e mentre egli andava spiegando il come e il quando l’a-
veva sentito dire dalla Vespa, in casa dello zio Crocifisso,
tutt’a un tratto si fece rossa rossa.
2 Anche compare Mosca aveva un’aria stralunata, e veden-
do in quel modo la ragazza, con quel fazzoletto nero che ci
aveva al collo, se la prendeva coi bottoni del farsetto, si don-

1. per far... mamma: il narratore assume un’espressione che ormai fa


parte del linguaggio della comunità (cfr. IV, 30). Vedi anche Mastro-don
Gesualdo, IV, III, p. 418: «[...] aiutandolo a passar l’angustia». – rastrel-
lo: ‘cancello’ (cfr. VII, 46); in siciliano «rasteddu», «l’uscio fatto di stec-
coni» (Mortillaro). Cfr. anche Mastro-don Gesualdo, I, II, p. 38: «Dal
rastrello spalancato»; ibid., III, II, p. 334: «Dinanzi al rastrello del giar-
dino». – col suo carro... asino: cfr. II, 20. – confondeva: corregge in A:
«si faceva bianca bianca», lezione a cui si rinuncia, sebbene all’appa-
renza più in sintonia con le soluzioni espressive prevalenti nel testo, per
evitare l’accostamento non funzionale con il successivo: «si fece rossa
rossa».
2. farsetto: il giubbetto corto, tipico dell’abbigliamento dei popolani
(cfr. Manzoni, I promessi sposi, XI, p. 204: «un giorno in cui le cappe
s’inchinavano ai farsetti»). – temporale di Santa Chiara: cfr. IV, 23. –
quel servizio... lupini: Alfio fa proprie, senza valutarne in questo caso l’i-
nopportunità nei riguardi di Mena, le parole dello zio Crocifisso, che
giudica l’annegamento di Menico un cattivo servizio resogli. – nottoli-
no: piccolo saliscendi che serve ad aprire e chiudere il cancello. – bugie:
corregge in A (anche nei casi immediatamente seguenti): «fandonie».

Letteratura italiana Einaudi 83


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

dolava ora su di un piede e ora su di un altro, e avrebbe


pagato qualche cosa per andarsene. – Sentite, io non ci ho
colpa, l’ho sentito dire nel cortile di Campana di legno,
mentre stavo spaccando il carrubbo che fu schiantato dal
temporale di Santa Chiara, vi rammentate? Adesso lo zio
Crocifisso mi fa fare le faccende di casa, perché non vuol più
sentir parlare del figlio della Locca, dopo che l’altro fratello
gli fece quel servizio che sapete col carico dei lupini. La
Mena teneva in mano il nottolino del rastrello, ma non si
risolveva ad aprire. – E poi, se non è vero, perché vi fate
rossa? Ella non lo sapeva, in coscienza, e girava e rigirava il
nottolino. Quel cristiano lo conosceva soltanto di vista, e
non sapeva altro. Alfio le andava snocciolando la litania di
tutte le ricchezze di Brasi Cipolla, il quale, dopo compare
Naso il beccaio, passava pel più grosso partito del paese, e
le ragazze se lo mangiavano cogli occhi. La Mena stava ad
ascoltare con tanto d’occhi anche lei, e all’improvviso lo
piantò con un bel saluto, e se ne entrò nell’orto. Alfio, tutto
infuriato, corse a lagnarsi colla Vespa che gli dava a bere di
tali bugie, per farlo litigare colla gente.
3 – A me l’ha detto lo zio Crocifisso; rispose la Vespa. Io
non dico bugie!
– Bugie! bugie! borbottò lo zio Crocifisso. Io non voglio
dannarmi l’anima per coloro! L’ho sentito dire con quest’o-

3. borbottò lo zio Crocifisso: prende avvio (senza soluzione di conti-


nuità, ma semplicemente sulla base della citazione del nome e della
parola chiave «bugie») l’intermezzo ‘comico’ rappresentato dal batti-
becco fra lo zio Crocifisso e la Vespa, che risulta incorniciato dai due
momenti del dialogo di Alfio e Mena. Si realizza in questo modo una
struttura compositiva ad incastro che evidenzia i rapporti oppositivi
che caratterizzano le due coppie di personaggi. – L’ho sentito... orecchie:
l’espressione, che anticipa un motivo ripreso nel corso del dialogo
(«alle volte non ci sentiva» c. 4; «stavolta ci mise la mano dietro l’orec-
chio per sentirci» c. 6), acquista sapore ironico in bocca allo zio
Crocifisso, il cui nomignolo (Campana di legno) trae origine proprio
dalla sua presunta sordità (cfr. IV, 1).

Letteratura italiana Einaudi 84


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

recchie. Ho sentito pure che la Provvidenza è dotale, e che


sulla casa c’è il censo di cinque tarì all’anno.
– Si vedrà! si vedrà! un giorno o l’altro si vedrà se ne dite
o non ne dite delle bugie, – seguitava la Vespa, dondolan-
dosi appoggiata allo stipite, colle mani dietro la schiena, e
intanto lo guardava cogli occhi ladri. – Voi altri uomini siete
tutti d’una pasta, e non c’è da fidarsi.
4 Lo zio Crocifisso alle volte non ci sentiva, e invece di
abboccar l’esca seguitò a saltar di palo in frasca, e a parlare
dei Malavoglia che badavano a maritarsi, ma a quel discor-
so delle quarant’onze non ci pensavano neppure.
– Eh! saltò su infine la Vespa, perdendo la pazienza, se
dessero retta a voi, a maritarsi non ci penserebbe più nessu-
no!
– A me non me ne importa che si maritino. Io voglio la
roba mia. Ma del resto non me ne importa.
– Se non ve ne importa a voi, c’è a chi gliene importa! sen-
tite? Che non tutti pensano come voi, a rimandare le cose da
oggi a domani!
– E tu che fretta hai?
– Pur troppo. Voi ci avete tempo, voi; ma se credete che
gli altri vogliano far venire gli anni di San Giuseppe per
maritarsi!...
– L’annata è scarsa, diceva Campana di legno, e non è
tempo di pensare a queste cose.

4. quarant’onze: l’entità del debito dei lupini; in A: «500 lire». – des-


sero: seguiamo la lezione di A (cfr. II, 33); Treves ’81 reca «dassero». – E
tu che fretta hai?: in A segue cassato: «Io che son più vecchio dite non ho
fretta, io!»; più giustificato appariva quindi il «Pur troppo» che apre la
successiva battuta della Vespa. – gli anni di San Giuseppe: ‘la vecchiaia’;
ma come motivazione dell’immagine, cfr. anche il commento del Pitrè al
proverbio «San Gisippuzzu, aiutàti a li schetti (‘le ragazze da marito’) | Cà
li maritati s’ajutanu iddi» (II, p. 114): «Si sa che S. Giuseppe è il protet-
tore delle ragazze che cercano marito, e a lui esse si raccomandano, e
fanno preghiere e voti» (cfr. G. Alfieri, Innesti cit., p. 37).

Letteratura italiana Einaudi 85


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

5 La Vespa allora si appuntellò le mani sui fianchi, e sfoderò


la lingua come un pungiglione.
– Ora sentite, che questa voglio dirvela! Alla fin fine la
mia roba ce l’ho, e grazie a Dio non sono in istato di dover
mendicare un marito. O che credete? E se non fosse che mi
avevate messo quella pulce nell’orecchio, colle vostre lusin-
ghe, ne avrei trovati cento di mariti, e Vanni Pizzuto, e Alfio
Mosca, e il cugino Cola, che mi stava cucito alla gonnella,
prima di andar soldato, e non mi lasciava legare una calza.
Tutti che friggevano d’impazienza, e non mi avrebbero
menato tanto tempo pel naso, da Pasqua a Natale, come
avete fatto voi!
6 Lo zio Crocifisso stavolta si mise la mano dietro l’orec-
chio, per sentirci, e cominciò a lisciarla con buone parole. –
Sì, lo so che sei una ragazza di giudizio, per questo ti voglio
bene, e non sono come quelli che ti corrono dietro per
acchiapparti la chiusa, che poi se la mangerebbero all’oste-
ria della Santuzza.
– Non è vero che mi volete bene, seguitava ella, respin-
gendolo a gomitate, se fosse vero lo sapreste quel che dove-
te fare, e lo vedreste che non ci ho altro per il capo.
7 Ella gli voltava le spalle corrucciata, e senza avvedersene
andava stuzzicandolo coll’omero. – Ma di me a voi non ve

5. si appuntellò... fianchi: cfr. X, 92; inoltre Pentolaccia, in Vita dei


campi, p. 225: «Venera si cacciò i pugni sui fianchi». Vedi anche
Manzoni, I promessi sposi, I, p. 23: «disse Perpetua, ritta dinanzi a lui,
colle mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti». –
sfoderò... pungiglione: cfr. II, 3. – quella pulce nell’orecchio: corregge in
A: «altro in testa». – trovato: così in Treves ’84, ma in A: «trovati».
– non mi lasciava legare una calza: ‘non mi dava un attimo di tregua’.
7. come la pupilla degli occhi suoi: cfr. VII, 28. Inoltre Don Licciu
Papa, in Novelle rusticane, p. 247: «la tengo come la pupilla degli occhi
miei» e Amore senza benda, p. 385. Vedi anche Manzoni, I promessi
sposi, XXIII, p. 397: «de’ curati dovrebbe esserne geloso, come della
pupilla degli occhi suoi». – arrivare a cinquanta: in Treves ’81: «arriva-
re cinquanta», corretto sulla base di A: «arrivare a 600» (s’intende
«lire», poco prima infatti «quarant’onze» era correzione su «500 lire»).

Letteratura italiana Einaudi 86


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

ne importa! Lo zio si offese di quel sospetto ingiurioso. –


Questo lo dici per farmi far peccato! cominciò a lamentarsi.
Non gliene importava del sangue suo? perché infine ella era
sangue suo, come la chiusa, che era stata sempre della fami-
glia, e ci sarebbe rimasta, se suo fratello, buonanima, non
avesse pensato a maritarsi e a mettere al mondo la Vespa; e
perciò ei l’aveva tenuta come la pupilla degli occhi suoi, e
pensava sempre al suo bene. – Senti, le disse, ho pensato di
darti il debito dei Malavoglia in cambio della chiusa, che
sono quarant’onze, e colle spese e i frutti potrebbero arriva-
re a cinquanta, e c’è da papparsi la casa del nespolo, che per
te ti giova meglio della chiusa.
– La casa del nespolo tenetevela voi! saltò su la Vespa. Io
mi tengo la mia chiusa e so io cosa devo farne!
8 Allora lo zio Crocifisso monto in bestia anche lui, e le
disse che lo sapeva cosa voleva farne, che voleva farsela
mangiare da quel pezzente di Alfio Mosca, il quale le faceva
l’occhio di triglia per amor della chiusa, e non voleva veder-
selo più per la casa e nel cortile, che alla fin fine ci aveva san-
gue nelle vene anche lui!
– Sta a vedere che ora mi fate il geloso! esclamò la Vespa.
– Sicuro che son geloso! esclamò lo zio Crocifisso, geloso
come una bestia! e voleva pagar cinque lire per fargli rom-
pere le ossa ad Alfio Mosca.
9 Ma lui non lo faceva perché era un cristiano col timore di

8. e voleva pagar...: passaggio all’indiretto libero senza soluzione di


continuità, ma in A la battuta che precede è correzione su: «Sicuro che
lo zio Crocifisso era geloso! geloso come una bestia!»
9. il viaggio: il corsivo (che non compare in A) segna il valore idio-
matico del termine, traduzione dal siciliano «viaggiu» ‘pellegrinaggio’;
cfr. Cavalleria rusticana, p. 190: «tornava dal viaggio alla Madonna del
Pericolo». – i Morti: la data fissata per il pagamento del debito; in A è
correzione su «Natale» e questa in effetti era la scadenza stabilita, cfr.
I, 24: « – Là! pagateli a Natale» (corretto però su «Pasqua»).
L’incongruenza si spiega quindi con una svista dell’autore che ha pro-
gressivamente anticipato il termine di pagamento (Pasqua ➝
Natale ➝ i Morti) tralasciando però di adeguare la prima cita-
zione.

Letteratura italiana Einaudi 87


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

Dio, e al giorno d’oggi chi è galantuomo è gabbato, ché la


buona fede sta di casa in via dei minchioni, dove si vende la
corda per impiccarsi; la prova era che aveva un bel passare
e ripassare davanti la casa dei Malavoglia, che perfino la
gente si metteva a ridere, e diceva che ci faceva il viaggio alla
casa del nespolo come quelli che hanno fatto il voto alla
Madonna dell’Ognina. I Malavoglia lo pagavano a furia di
sberrettate; e i ragazzi, appena lo vedevano spuntare in
fondo alla stradicciuola, scappavano come se vedessero il
ba-bau; ma sinora nessuno di loro gli parlava di quei denari
dei lupini e i Morti eran lì che venivano, mentre padron
’Ntoni pensava a maritare la nipote.
10 Egli andava a sfogarsi con Piedipapera, il quale l’aveva
messo in quell’imbroglio, diceva agli altri; però gli altri dice-
vano che ci andava per fare l’occhiolino alla casa del nespo-
lo, e la Locca che gironzolava sempre da quelle parti, perché
le avevano detto che il suo Menico era andato nella barca
dei Malavoglia, e credeva che dovesse trovarlo ancora là,
appena vedeva suo fratello Crocifisso, levava le strida al pari
di un uccellaccio del malaugurio, e gli smuoveva la bile
anche lei. – Questa qui mi fa far peccato! borbottava
Campana di legno.
11 – I Morti, non sono ancora venuti, rispondeva
Piedipapera gesticolando; abbiate pazienza. Volete suc-
chiargli il sangue a padron ’Ntoni? Già non avete perso
nulla, perché i lupini eran tutti fradici, lo sapete!
Ei non sapeva nulla; sapeva soltanto che il sangue suo era

10. e la Locca che gironzava: i segni di una tragica follia caratterizza-


no dopo la prima comparsa (cfr. IV, 35), le apparizioni della Locca, che
insensatamente attende il ritorno del figlio (cfr. V, 27; X, 30; XI, 40;
XII, 27). – al pari... malaugurio: l’ambito della similitudine rivela che la
visione è filtrata dallo zio Crocifisso.
11. Ei non sapeva nulla: risposta in indiretto libero dello zio
Crocifisso, legata al precedente «lo sapete! » – il sangue suo: corregge
in A: «il suo credito».

Letteratura italiana Einaudi 88


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

nelle mani di Dio. E i ragazzi dei Malavoglia non osavano


giocare sul ballatoio quando egli passava davanti alla porta
di Piedipapera.
12 E se incontrava Alfio Mosca, col carro dell’asino, che gli
faceva di berretto anche lui, colla faccia tosta, si sentiva bol-
lire il sangue, per la gelosia della chiusa. – Mi uccella la
nipote per portarmi via la chiusa! borbottava con
Piedipapera. Un fannullone! che non sa far altro che anda-
re attorno col carro dell’asino, e non possiede altro. Un
morto di fame! Un birbante che le dà ad intendere d’essere
innamorato del suo grugno di porco, a quella brutta strega
di mia nipote, per amor della roba.
13 E quando non aveva altro da fare andava a piantarsi
davanti all’osteria della Santuzza, accanto allo zio Santoro,
che sembrava un altro poverello come lui, e non ci andava
per spendere un soldo di vino, ma si metteva a guaiolare
come lo zio Santoro, tale quale come se chiedesse la limosi-
na anch’esso; e gli diceva: – Sentite, compare Santoro, se
vedete da queste parti mia nipote la Vespa, quando Alfio
Mosca viene a portare il carico del vino a vostra figlia la

12. col carro dell’asino: cfr. V, 1. – faceva di berretto: «Fare di berret-


ta ‘cavarsi la berretta per atto di saluto, e di riverenza’; più comune-
mente Far di cappello» (Rigutini-Fanfani). – la gelosia della chiusa: pre-
gnanza del sintagma determinata dalla totale identificazione della nipo-
te con la «roba», da cui lo scambio e l’incrocio degli ambiti di riferi-
mento (gelosia per il presunto corteggiamento di Alfio e timore di per-
dere la chiusa). –Mi uccella la nipote: vengono qui fatti coesistere i due
potenziali significati del verbo (di ascendenza toscana), cioè ‘beffare’ e
‘amoreggiare’ (Fanfani); vedi anche X, 62. In A è correzione sull’uni-
voco: «Fa all’amore con mia nipote».
13. guaiolare: «guaire sommessamente; detto del cane [...]. E per
dispregio si dice anche degli uomini» (Rigatini-Fanfani). Cfr.
Fantasticheria, p. 133. «piangeva guaiolando, come fanno i vecchi». –
occhi spenti: lo zio Santoro è cieco; ma cfr. il gioco ironico con il prece-
dente «state a vedere». Cfr. X, 47. – non passava una mosca: locuzione
rimotivata dal gioco col nome del personaggio (Alfio Mosca) cui impli-
citamente ci si riferisce.

Letteratura italiana Einaudi 89


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

Santuzza, state a vedere cosa fanno fra di loro; – e lo zio


Santoro, col rosario in mano e gli occhi spenti, gli diceva di
sì, che non dubitasse, che era lì per questo, e non passava
una mosca che ei non lo sapesse; tanto che sua figlia
Mariangela gli diceva: – A voi cosa ve ne importa? Perché
state a mischiarvi nei fatti di Campana di legno? Già un
soldo, che è un soldo, non lo spende all’osteria, e sta davan-
ti all’uscio per niente.
14 Però Alfio Mosca non ci pensava nemmeno alla Vespa, e
se ci aveva qualcheduna per la testa, era piuttosto comare
Mena di padron ’Ntoni, che la vedeva ogni giorno nel corti-
le o sul ballatoio, o allorché andava a governare le bestie nel
pollaio, e se udiva chiocciare le due galline che le aveva rega-
lato si sentiva una certa cosa dentro di sé, e gli sembrava che
ci stesse lui in persona nel cortile del nespolo, e se non fosse
stato un povero carrettiere dal carro dell’asino, avrebbe
voluto chiedere in moglie la Sant’Agata, e portarsela via nel
carro dell’asino. Come pensava a tutto ciò si sentiva in testa
tante cose da dirle, e quando poi la vedeva non sapeva come
muover la lingua, e guardava il tempo che faceva, e le parla-
va del carico di vino che aveva preso per la Santuzza, e del-
l’asino che portava quattro quintali meglio di un mulo,
povera bestia.
15 Mena l’accarezzava colla mano, la povera bestia, ed Alfio

14. chiocchiare: così Treves ’81, che riproduce fedelmente A; la


forma non è attestata nelle fonti vocabolaristiche e nel testo compare
qui per l’unica volta, rispetto al più comune «chiocciare» (cfr. ad es.
XV, 47). Si tratta comunque di voce altrove impiegata da Verga (ad
esempio nell’abbozzo siglato M 8: p. 2 «all’udire il chiocchiare e lo
sbattere delle ali» e p. 17 «e se sentiva chiocchiare le galline»); potreb-
be nascere come «storpiatura onomatopeica» (Luperini) da «chiocco-
lare», «chiocchiolìo». – carro dell’asino: cfr. II, 20.
15 Mena... comare Mena!: valore allusivo del gesto che supplisce
all’incapacità di tradurre in parole sentimenti ed emozioni; per l’asino
come ‘intermediario d’amore’, cfr. Nedda, p. 27. – crollava: in A: «scrol-
lava». – «Il mare... mare»: il proverbio viene ripreso (cfr. II, 37) nella

Letteratura italiana Einaudi 90


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

sorrideva come se gliele facessero a lui quelle carezze. – Ah!


se il mio asino fosse vostro, comare Mena! – Mena crollava
il capo e il seno le si gonfiava pensando che sarebbe stato
meglio se i Malavoglia avessero fatto i carrettieri, ché il
babbo non sarebbe morto a quel modo.
– «Il mare è amaro, ripeteva, ed il marinaio muore in
mare».
16 Alfio che aveva fretta d’andare a scaricare il vino della
Santuzza, non sapeva risolversi a partire, e rimaneva a chiac-
chierare della bella cosa che era il fare l’oste, un mestiere col
quale si ha sempre il suo guadagno, e se aumenta il prezzo
del mosto basta crescere l’acqua nei barili. – Lo zio Santoro
si è fatto ricco in tal modo, ed ora chiede l’elemosina per
passatempo.
– E voi ci guadagnate bene, coi carichi del vino? domandò
la Mena.
– Sì, nell’estate, quando si può andare anche di notte; allo-
ra mi busco una bella giornata. Questa povera bestia se lo
guadagna il pane. Quando ci avrò messi da parte un po’ di
soldi comprerò un mulo, e potrò tirarmi su a fare il carret-
tiere davvero, come compare Cinghialenta.
17 La ragazza era tutta intenta a quello che diceva compare
Alfio, e intanto l’ulivo grigio stormiva come se piovesse, e
seminava la strada di foglioline secche e accartocciate. –
Ecco che se ne viene l’inverno, e tutto ciò non si potrà fare

sua forma completa; svanita la funzione di premonizione che aveva


assunto nella prima citazione di padron ’Ntoni, si fa ora per Mena
amara constatazione dell’avversità del destino.
16. a fare il carrettiere davvero: cfr. III, 4.
17. Mena cogli occhi... nella sua testa: con qualche analogia con la
fine del capitolo II, dove aspetti del paesaggio avevano offerto lo spun-
to per il monologo interiore di Mena (cfr. «così pensava Mena sul bal-
latoio... »). Qui il «correre “delle nuvole «per i campi» (con un plurale
che con suggestiva dilatazione spaziale, corregge in A: «per la strada»),
diventa il correlativo oggettivo del «correre» dei pensieri di Mena
(un’omologia resa esplicita in A grazie all’aggiunta interlineare di «così
correvano i pensieri nella sua testa»).

Letteratura italiana Einaudi 91


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

prima dell’estate, osservò compar Alfio. Mena cogli occhi


seguiva l’ombra delle nuvole che correva per i campi, come
fosse l’ulivo grigio che si dileguasse; così correvano i pensie-
ri della sua testa, e gli disse: – Sapete, compare Alfio, di quel-
la storia del figlio di padron Fortunato Cipolla non ce n’è
nulla, perché prima dobbiamo pagare il debito dei lupini.
– Io ci ho piacere, rispose Mosca, ché così non ve ne anda-
te dal vicinato.
– Ora poi che torna ’Ntoni da soldato, col nonno e tutti gli
altri, ci aiuteremo per pagare il debito. La mamma ha preso
della tela da tessere per la Signora.
– Bel mestiere anche quello dello speziale! osservò Mosca.
18 In questa spuntò nella viottola comare Venera Zuppidda,
col fuso in mano. – Oh! Dio! esclamò Mena, vien gente! e
scappò dentro.
Alfio frustò l’asino, e se ne voleva andare anche lui. – Oh,
compare Alfio, che fretta avete? gli disse la Zuppidda; vole-
vo domandarvi se il vino che portate alla Santuzza è della
stessa botte di quello della settimana scorsa.

18. col fuso in mano: cfr. II, 16. – così si è... abitino!: cfr. IV, 22. –
verso il Rotolo: il «Rotolo» è «una borgata marinara alla periferia di
Catania, nei pressi di Ognina» (Musumarra); qui comunque il sintag-
ma, nella sua apparente genericità individua un luogo specifico del lito-
rale nelle immediate vicinanze di Trezza; cfr., ad es., VIII, 16: «si udi-
rono delle fucilate verso il Rotolo»; XIII, 45 «verso il Rotolo [...] quan-
do vanno a passeggiare nella sciara»; XIII, 46: «gli scogli del Rotolo»;
XIII, 64, 65; XIV, 1: «all’angolo della sciara verso il Rotolo» (teatro
dello scontro fra don Michele e ’Ntoni e luogo «dove ’Ntoni andava a
ronzare, con Rocco Spatu, e Cinghialenta ed altri malarnesi»). – co’:
unico esempio, insieme al caso immediatamente seguente, di impiego
nel romanzo della preposizione nella forma apocopata; la lezione di A
in entrambi i luoghi è «coi»; non è da escludere un’impropria lettura
del proto, in seguito avallata implicitamente dall’autore. – nascondere il
sole colla rete: ‘nascondere l’evidenza’; è l’espressione proverbiale sici-
liana: «Ammucciari (‘nascondere’) lu suli cu la riti» (Mortillaro); cfr.
anche Rapisarda, p. 27. In A: «colla rete» è correzione su «collo stac-
cio» (‘setaccio’); cfr. La vocazione di suor Agnese, in Don Candeloro e
C.i, p. 819: «nascondere il sole collo staccio».

Letteratura italiana Einaudi 92


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

– Io non lo so; il vino me lo danno nei barili.


– Aceto da fare l’insalata! rispose la Zuppidda, un vero
veleno; così si è fatta ricca la Santuzza, e onde gabbare il
mondo si è messo sul petto l’abitino di Figlia di Maria. Belle
cose che copre quell’abitino! Al giorno d’oggi per andare
avanti bisogna fare quel mestiere là; se no si va indietro al
modo dei gamberi, come i Malavoglia. Ora hanno pescato la
Provvidenza, lo sapete?
– No, io non ci sono stato qui; ma comare Mena non sape-
va nulla.
– Hanno portato adesso la notizia, e padron ’Ntoni è corso
verso il Rotolo, per vederla che stanno rimorchiandola verso
il paese, e pareva che ci avesse le gambe nuove, il vecchio.
Adesso colla Provvidenza i Malavoglia potranno tirarsi su
un’altra volta, e la Mena sarà di nuovo un bel partito.
Alfio non rispose, perché la Zuppidda lo guardava fisso,
co’ suoi occhietti gialli, e disse che aveva fretta di andare a
consegnare il vino alla Santuzza. – A me non vuole dir nulla!
borbottò la Zuppidda. Come se non li avessi visti co’ miei
occhi. Vogliono nascondere il sole colla rete.
19 La Provvidenza l’avevano rimorchiata a riva tutta scon-
quassata, così come l’avevano trovata di là dal Capo dei
Mulini, col naso fra gli scogli, e la schiena in aria. In un
momento era corso sulla riva tutto il paese, uomini e donne,
e padron ’Ntoni, mischiato nella folla, guardava anche lui,
come gli altri curiosi. Alcuni davano pure un calcio nella
pancia della Provvidenza, per far suonare com’era fessa,
quasi non fosse più di nessuno, e il poveretto si sentiva quel
calcio nello stomaco. – Bella provvidenza che avete! gli dice-
va don Franco, il quale era venuto in maniche di camicia, e
col cappellaccio in testa, a dare un’occhiata anche lui,
fumando la sua pipa.

19. naso... schiena... pancia: ‘prora... poppa... fasciame’. – col naso...


schiena in aria: cfr. anche X, 26; sostituisce in A: «colla pancia in aria,
al par di un pesce morto». – Bella provvidenza che avete!: cfr. III, 17.

Letteratura italiana Einaudi 93


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

20 – Questa ora è buona da ardere, conchiuse padron


Fortunato Cipolla; e compare Mangiacarrubbe, il quale era
pratico del mestiere, disse pure che la barca aveva dovuto
sommergersi tutt’a un tratto, e senza che chi c’era dentro
avesse avuto tempo di dire «Cristo, aiutami!», perché il
mare aveva scopato vele, antenne, remi e ogni cosa; e non
aveva lasciato un cavicchio di legno che tenesse fermo.
– Questo era il posto del babbo, dove c’è la forcola nuova,
diceva Luca il quale s’era arrampicato sulla sponda, e qui
sotto c’erano i lupini.
21 Ma di lupini non ne rimaneva uno solo, ché il mare aveva
tutto lavato e ripulito. Per questo, Maruzza non si era mossa
di casa, e non voleva più vedere la Provvidenza finché ci
aveva gli occhi aperti.
– La pancia è buona, e se ne può ancora fare qualche cosa,
sentenziò alfine mastro Zuppiddu il calafato, e dava anche
lui dei calci coi suoi piedacci nella Provvidenza. Con quattro
lapazze ve la metto in mare un’altra volta. Non sarà più una
barca che potrà resistere al mare grosso, un’ondata di fian-
co la sfonderebbe come una botte fradicia. Ma per la pesca
di scoglio, e per la buona stagione potrà servire ancora.
Padron Cipolla, compare Mangiacarrubbe, e compare Cola
stavano ad ascoltare senza dir parola.

20. il mare aveva scopato... tenesse fermo: lezione maggiormente in


sintonia colle categorie espressive del narratore popolare, rispetto alla
primitiva versione di A, tecnicamente analitica: «si vedeva ancora un
pezzetto di fune legato all’anello, e l’antenna aveva dovuto schiantarsi
prima che avessero potuto serrare la vela» – cavicchio: zeppa di legno
con cui si turano i fori dello scafo. – forcola: scalmo di legno o di ferro
su cui si appoggia il remo.
21. lapazze: tavole poste come rinforzo del fasciame. – «Augura...
viene»: contrariamente a Treves ’81, ma in accordo con A, abbiamo vir-
golettato il proverbio. Cfr. Pitrè, I, p. 178: «Addisia beni a li vicini, ca si
nni grassanu boni li gaddini» e p. 189: «Quannu lu tò vicinu stà beni,
qualchi ciauru (‘profumo’) ti nni veni». Vedi inoltre Rapisarda, p. 125:
«Disìa beni a lu to vicinu, ca qualchi sciauru ti nni veni».

Letteratura italiana Einaudi 94


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

– Sì, conchiuse infine padron Fortunato gravemente.


Piuttosto che buttarla sul fuoco...
– Io ci ho piacere! diceva lo zio Crocifisso che era lì anche
lui a vedere, colle mani dietro la schiena. Siamo cristiani, e
bisogna godere del bene altrui; il proverbio dice: «Augura
bene al tuo vicino, ché qualche cosa te ne viene».
22 I ragazzi s’erano istallati nella Provvidenza insieme agli
altri monelli che volevano arrampicarvisi anche loro. –
Quando avremo rattoppata per bene la Provvidenza, diceva
Alessi, sarà come la Concetta dello zio Cola; e si davano un
gran da fare e sbuffavano e si affannavano a tirare e a spin-
gere anche loro la barca davanti alla porta di mastro
Zuppiddu il calafato, dove c’erano i sassi grossi per tener su
le barche e il ramaiouolo pel catrame, e una catasta di coste
e di fasciame appoggiata al muro.
23 Alessi era sempre accapigliato coi ragazzi che avrebbero
voluto montare sulla barca, e aiutare a soffiare nel fuoco
sotto la caldaia della pece anche loro, e quando le buscava
minacciava piagnucolando:
– Ora che viene mio fratello ’Ntoni da soldato!...
24 Infatti ’Ntoni s’era fatto mandare le carte, e aveva ottenu-
to il suo congedo, sebbene don Silvestro il segretario avesse
assicurato che se ci stava altri sei mesi fare il soldato, avreb-
be liberato suo fratello Luca dalla leva. Ma ’Ntoni non vole-
va starci più nemmeno sei giorni, ora che gli era morto il
padre; Luca avrebbe fatto come lui, che s’era pianta la sua

22. ramaiuolo pel catrame: «caldaia di ferro ove si strugge pece,


catrame, o altro, per ispalmare i bastimenti» (Tommaseo). In A (dove
compare nella forma: «ramajuolo») sostituisce: «caldaja colla pece»,
lezione che verrà recuperata poco oltre (cfr. c. 23), con l’aggiunta nelle
bozze di «sotto la caldaia della pece». – coste: archi trasversali che ten-
gono unito il fasciame.
24. le carte: in una precedente versione di A: «la fede di morte di suo
padre ( ➝ del genitore)». – liberato… dalla leva: ‘esonerato dal servi-
zio militare’.

Letteratura italiana Einaudi 95


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

disgrazia laggiù dove si trovava, e avrebbe voluto non far


più niente, quando gli recarono la notizia del babbo, se non
fosse stato per quei cani di superiori.
25 – Per me, disse Luca, ci vado volentieri a fare il soldato, in
cambio di ’Ntoni. Così come tornerà lui, potrete mettere in
mare la Provvidenza, e non ci sarà più bisogno di nessuno.
– Questo è proprio un Malavoglia nato sputato! osserva-
va padron ’Ntoni gongolante. Tutto suo padre Bastianazzo,
che aveva un cuore grande come il mare, e buono come la
misericordia di Dio.
26 Una sera, dopo che tornarono le barche dal mare, padron
’Ntoni arrivò a casa trafelato, e disse: – C’è qui la lettera; me
l’ha data or ora compare Cirino, mentre andavo a portare le
nasse in casa dei Pappafave. La Longa si fece bianca come
un fazzoletto, dalla contentezza, e corsero tutti in cucina a
veder la lettera.
27 ’Ntoni arrivò col berretto sull’orecchio e la camicia colle

25. Questo è proprio… misericordia di Dio: si sottolinea, come già


nella presentazione della famiglia nel capitolo I, la diversità fra ’Ntoni
e Luca («che aveva più giudizio del grande» c. 4); inoltre «Tutto suo
padre Bastianazzo» risponde a «tutto suo nonno colui! » (I, 4), riferito
ad Alessi; d’altra parte a più riprese si loda l’atteggiamento di Mena che
cerca di uniformarsi al modello della madre. Ne deriva che l’unica pro-
spettiva consentita sta nel perpetuare i valori proposti dal modello
familiare. In questo gioco di rapporti restano significativamente esclusi
’Ntoni e Lia.
26. nasse: ceste di vimini per la pesca, con apertura fatta in modo che
il pesce una volta entrato non possa più uscirne.
27. col berretto sull’orecchio: con l’esplicita connotazione, nel codice
gestuale rusticano, di spavalderia e, in questo caso, di ostentato senso
di superiorità «del paesano che ha fatto la sua esperienza cittadina»
(Nardi). Cfr. anche IX, 20: «questo cappello qui lo si può portare sul-
l’orecchio!»; inoltre Cavalleria rusticana, p. 194: «Compare Alfio era di
quei carrettieri che portano il berretto sull’orecchio». – stelle: le stellet-
te della divisa militare. – ci pensava più... vecchi: massima di valore uni-
versale, fatta propria dal narratore, che sostituisce nelle bozze la lezio-
ne di A: «nessuno ci pensava più, e soltanto i vecchi ci pensavano sem-
pre», più direttamente riferita al ricordo di Bastianazzo. – tanto che...
sentiva: il brano è in A interamente aggiunto. L’inesorabile apparizione

Letteratura italiana Einaudi 96


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto

stelle, che la mamma non sapeva saziarsi di toccargliela, e gli


andava dietro in mezzo a tutti i parenti e gli amici, mentre
tornavano dalla stazione; in un momento la casa e il cortile si
riempirono di gente, come quando era morto Bastianazzo,
tempo addietro, che nessuno ci pensava più. A certe cose ci
pensano sempre soltanto i vecchi, quasi fosse stato ieri –
tanto che la Locca era sempre lì davanti alla casa dei
Malavoglia, seduta contro il muro, ad aspettar Menico, e vol-
tava il capo di qua e di là per la straduccia, ad ogni passo che
sentiva.

della Locca, colta nell’atteggiamento di trepidante attesa di qualcuno


che in questo caso non può fare ritorno («voltava il capo di qua e di là»;
cfr. anche IX, 28, riferito alla Longa e XIII, 38, a Mena), tempera con
una nota grave il clima festoso per il ritorno di ’Ntoni, che si riproporrà
nell’avvio del capitolo successivo.

Letteratura italiana Einaudi 97


VI

1 ’Ntoni era arrivato in giorno di festa, e andava di porta in


porta a salutare i vicini e i conoscenti, sicché tutti stavano a
guardarlo dove passava; gli amici gli facevano codazzo, e le
ragazze si affacciavano dalle finestre; ma la sola che non si
vedesse era Sara di comare Tudda.
2 – Se n’è andata ad Ognina con suo marito, gli disse la
Santuzza. Ha sposato Menico Trinca, il quale era vedovo
con sei figliuoli, ma è ricco come un maiale. Si è maritata che
non era compiuto il mese dacché a Menico Trinca gli era
morta la prima moglie, e il letto era ancora caldo, Dio libe-
ri!
– Uno che è vedovo è come uno che vada soldato, aggiun-
se la Zuppidda. «Amore di soldato poco dura, a tocco di
tamburo addio signora». E poi, s’era persa la Provvidenza.

1. Sara di comare Tudda: la ragazza che era andata a salutare ’Ntoni


alla partenza per il servizio militare (cfr. I, 11).
2. Se n’è andata… Menico Trinca: evidenti le analogie con la novella
Cavalleria rusticana, che trae origine proprio da una parte rifiutata di
un abbozzo del romanzo (siglato M 3). – ricco come un maiale: la simi-
litudine (cfr. anche II, 4), rifatta su quella più comune «grasso come un
maiale», e ricorrente nella narrativa rusticana di Verga (cfr. ad es.
Cavalleria rusticana, p. 292; La roba, p. 280; Mastro-don Gesualdo, p.
432). – «Amore... addio signora»: implicitamente si chiama in causa
’Ntoni (è una battuta della maldicente per eccellenza). Risulta dall’in-
crocio di due proverbi, entrambi in Pitrè, I, p. 102: «Amuri di surdatu
pocu dura, in tuccari tammùru: addiu, signura!» e «Amicu di suldatu
pocu dura: A toccu di tammùru, addiu, signura!». In A sostituisce:
«Lontan dagli occhi lontan dal cuore», recuperato poco oltre. – E poi...
Provvidenza!: per questo ’Ntoni non era più un buon partito; in con-
trasto col proverbio citato dalla Zuppidda, sarebbe quindi ’Ntoni la vit-
tima della volubilità di Sara di comare Tudda.

Letteratura italiana Einaudi 98


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

3 Comare Venera, la quale era alla stazione, quando era par-


tito ’Ntoni di padron ’Ntoni, per vedere se Sara di comare
Tudda fosse andata a salutarlo, ché li aveva visti parlare dal
muro della vigna, voleva godersi la faccia che avrebbe fatto
’Ntoni a quella notizia. Ma era passato del tempo anche per
cotesto, e si suol dire «lontano dagli occhi lontano dal
cuore». ’Ntoni ora portava il berretto sull’orecchio. –
Compare Menico vuol morire becco! disse egli per conso-
larsi, e questo le piacque, alla Mangiacarrubbe, che l’aveva
chiamato «cetriolo» ed ora vedeva che era un bel cetriolo, e
l’avrebbe barattato volentieri con quel disutilaccio di Rocco
Spatu, il quale non valeva niente, e l’aveva preso perché non
c’era altri.
4 – A me non mi piacciono quelle fraschette che fanno
all’amore con due o tre per volta, disse la Mangiacarrubbe,
tirandosi sul mento le cocche del fazzoletto da testa, e facen-
do la madonnina. Se volessi bene ad uno, non vorrei cam-
biarlo nemmeno per Vittorio Emanuele, o Garibaldi, vede-
te!.
– Lo so a chi volete bene! disse ’Ntoni col pugno sul fian-
co.
– No che non lo sapete, compare ’Ntoni, e vi hanno detto

3. la quale... dal muro della vigna: cfr. I, 11. – «lontan... cuore»: cfr.
Pitrè, I, p. 114: «Luntanu d il’occhi, luntanu di lu cori». – berretto sul-
l’orecchio: cfr. V, 27. – «cetriolo»: cfr. I, 16. – disutilaccio: ‘fannullone’;
«si dice per ischerno, o per rimprovero, a persona oziosa, e che il tutto
opera poco acconciamente» (Rigutini-Fanfani).
4. tirandosi... testa: nel codice gestuale va letto come un ammicca-
mento malizioso, mascherato da un atteggiamento di riservatezza; cfr.
X, 81; XII, 13. Vedi inoltre Cavalleria rusticana, p. 191: «[...] disse Lola
tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto». Vedi anche III, 11,
ma nella variante: «col naso nella mantellina». – facendo la madonnina:
«se si vuole esprimere l’idea di leziosa, di poco sincera, si dice
Madonnina infilzata» (Fanfani); cfr. Manzoni, I promessi sposi, XXX-
VIII, p. 663: «questa madonnina infilzata». – la sarà… cugina Anna:
perché così la Mangiacarrubbe non cercherà più di «irretire» suo figlio
Rocco Spatu (cfr. II, 14: «Poi alla cugina Anna le era toccato di tirar su
quel fannullone per vederselo rubare dalla Mangiacarrubbe»).

Letteratura italiana Einaudi 99


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

delle chiacchiere. Se qualche volta poi passate dalla mia


porta, vi racconterò ogni cosa.
– Ora che la Mangiacarrubbe ha messo gli occhi addosso
a ’Ntoni di padron ’Ntoni, la sarà una provvidenza per la
cugina Anna, diceva comare Venera.
5 ’Ntoni se ne andò tutto borioso, dondolandosi sui fianchi,
con un codazzo di amici, e avrebbe voluto che tutti i giorni
fosse domenica, per menare a spasso la sua camicia colle
stelle; quel dopopranzo si divertirono a prendersi a pugni
con compare Pizzuto, il quale non aveva paura nemmeno di
Dio, sebbene non avesse fatto il soldato, e andò a rotolare
per terra davanti all’osteria, col naso in sangue; ma Rocco
Spatu invece fu più forte, e si mise ’Ntoni sotto i piedi.
– Per la madonna! esclamarono quellei che stavano a
vedere. Quel Rocco è forte come mastro Turi Zuppiddu. Se
volesse lavorare se lo buscherebbe il pane!.
– Io le mie devozioni so dirmele con questo qui! diceva
Pizzuto mostrando il rasoio, per non darsi vinto.
6 Insomma ’Ntoni si divertì tutta la giornata; però la sera,
mentre stavano attorno al desco a chiacchierare, e la
mamma gli domandava di questo e di quello, e i ragazzi,
mezzo addormentati, lo stavano a guardare con tanto d’oc-
chi, e Mena gli toccava il berretto e la camicia colle stelle,
per vedere com’eran fatti, il nonno gli disse che gli aveva
trovato d’andare a giornata nella paranza di compar Cipolla,
con una bella paga.
7 – Li ho presi per carità, diceva padron Fortunato a chi

5. quel dopopranzo si divertirono...: la sequenza (fino al c. 6: «tutta la


giornata») appare in A come significativa aggiunta; il ritratto di ’Ntoni,
che si va progressivamente delineando, si arricchisce di una serie di
indizi rivelatori: alla spavalderia si aggiunge ora una violenta irruenza.
– le mie devozioni... questo qui!: ‘so dargli quello che gli spetta impie-
gando il rasoio’.
7. «carcere... amistà»: cfr. Pitrè, I, p. 91: «Càrzari, malatii e nicissita-
ti Spròvanu lu cori di l’amici»; ma si tiene presente anche la versione

Letteratura italiana Einaudi 100


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

voleva sentirlo, seduto davanti alla bottega del barbiere. Li


ho presi per non dir di no, quando padron ’Ntoni è venuto
a dirmi, sotto l’olmo, se ci avessi bisogno di uomini per la
paranza. Di uomini io non ne ho mai bisogno; ma «carcere,
malattie e necessità, si conosce l’amistà»; con padron ’Ntoni
poi che è tanto vecchio, ci si perde quel che gli si dà!...
– E’ vecchio ma sa il mestiere, rispose Piedipapera; non ce
li perdete i danari; e suo nipote poi è un ragazzo che tutti ve
lo ruberebbero.
– Quando mastro Bastiano avrà messo in ordine la
Provvidenza, armeremo la nostra barca, e non avremo più
bisogno d’andare a giornata; diceva padron ’Ntoni.
8 La mattina quando egli andò a svegliare il nipote, ci vole-

toscana (citata sempre nel Pitrè): «Calamità scuopre amistà», che con-
sente di introdurre la rima necessità: amistà. Cfr. anche X, 6.
8. il tre bastoni: altrove denominata anche «i tre re» (cfr. ad es. XIII,
4); dovrebbe trattarsi della costellazione di Orione (cfr. II, 37), anche se
in un appunto fra le carte che accompagnano A si legge: «L’Aquila di
Giove – Il tre bastoni». – la Puddara: «modo popolare in Sicilia di chia-
mare les pleiades» (Verga), la costellazione delle Pleiadi cioè, denomi-
nata anche «Gaddineddi» (Mortillaro), così come in altre regioni
«Gallinelle» o «Chioccetta». Cfr. XV, 74. Nell’appunto citato alla nota
precedente si legge: «La chioma di Berenice – Puddara». Cfr. Jeli il
pastore, p. 252 e Malaria, in Novelle rusticane, p. 262. –formicolava:
‘brulicava’; l’effetto di ‘moto’, proprio del verbo, è dato qui dal lucci-
chìo, con accostamento presente anche in VI, 16: «Le reti formicolava-
no e scintillavano al sole» e XV, 74: «cominciavano a formicolare dei
lumi». Vedi anche Mastro-don Gesualdo, III, II, p. 326: «guardando il
cielo che formicolava di stelle [...]». In Manzoni, I promessi sposi, IV, p.
63: “i contorni del convento formicolavan di popolo curioso». Il verbo
è attestato anche in siciliano: «furmiculiari si dice di cose che hanno vita
e moto, e sono numerose e spesse a guisa delle formiche» (Mortillaro).
– monachine: «diconsi per similitudine quelle scintille di fuoco che si
vedono scorrere sopra la carta arsa e quasi incenerita, e che a poco a
poco si spengono, il che dicono i fanciulli Andare a letto le monachine»
(Rigutini-Fanfani). Attestato, col medesimo significato, anche in sicilia-
no: «Munaceddi», tradotto dal Mortillaro con «monachine». In A si
legge: «monacelle», corretto nelle bozze in favore del termine più
appropriato e forse anche per evitare l’insistenza: «stelle», «monacel-
le», «della», «padella». – diana: ‘sveglia’. – traponti: i corridai coperti

Letteratura italiana Einaudi 101


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

vano due ore per l’alba, e ’Ntoni avrebbe preferito starsene


ancora un po’ sotto le coperte; allorché uscì fuori nel corti-
le sbadigliando, il Tre Bastoni era ancora alto verso
l’Ognina, colle gambe in aria, la Puddara luccicava dall’altra
parte, e il cielo formicolava di stelle, che parevano le mona-
chine quando corrono sul fondo nero della padella.
– E’ la stessa cosa come quand’ero soldato, che suonava la
diana nei traponti, borbottava ’Ntoni. Allora non valeva la
pena di tornare a casa!
9 – Sta zitto, ché il nonno è lì a mettere in ordine gli attrez-
zi, e si è alzato un’ora prima di noi, gli rispose Alessi. Ma
Alessi era un ragazzo che somigliava tutto a suo padre
Bastianazzo, buon’anima. Il nonno colla lanterna andava e
veniva pel cortile; fuori si udiva passare la gente che andava
al mare, e passava a picchiare di porta in porta, per chiama-
re i compagni. Però, come giunsero sul lido, davanti al mare
nero, dove si specchiavano le stelle, e che russava lento sul
greto, e si vedevano qua e là le lanterne delle barche, anche
’Ntoni si sentì allargare il cuore.
– Ah! esclamò stirandosi le braccia. E’ una bella cosa tor-
nare a casa sua. Questa marina qui mi conosce. – Già
padron ’Ntoni diceva sempre che un pesce fuori dell’acqua
non sa starci, e chi è nato pesce il mare l’aspetta,
10 Nella paranza lo canzonavano perché la Sara l’aveva pian-

che mettono in comunicazione la poppa e la prua, adibiti all’alloggia-


mento dell’equipaggio.
9. Ma Alessi... buon’anima: cfr. V, 25. – anche ’Ntoni... cuore: è cor-
rezione in A su: «ognuno si sentiva allargare il cuore», con l’evidente
acquisto di attribuire a ’Ntoni un’emozione che prepara la battuta suc-
cessiva. – È una bella cosa… sua: poco prima: «Allora non valeva la
pena di tornare a casa»; dal rifiuto ancora confuso di un mondo immo-
bile, dominato dalla dura legge del lavoro, alla consolante sensazione di
appartenenza e di ‘reciproco’ riconoscimento: «Questa marina (corre-
zione in A da: “Questo mare») qui mi conosce». Sono i sentimenti con-
trastanti che innescheranno la progressiva ‘maturazione’ di ’Ntoni.
10. Nella paranza lo canzonavano...: ha qui inizio la sequenza della
pesca che termina al c. 16; in A appare come aggiunta (cfr. inizio c. 17).

Letteratura italiana Einaudi 102


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

tato, mentre serravano le vele, e la Carmela vogava in tondo


lenta lenta, lasciandosi dietro le reti come la coda di un ser-
pente. – «Carne di porco ed uomini di guerra durano
poco», dice il proverbio; per questo Sara ti ha piantato.
– «Allora la donna è fedele ad uno, quando il turco si fa
cristiano»; aggiunse lo zio Cola.
– Delle innamorate ne ho quante ne voglio, rispose
’Ntoni; a Napoli mi correvano dietro come cagnolini.
– A Napoli ci avevi il vestito di panno, e il berretto collo
scritto, e le scarpe ai piedi, disse Barabba.
– Che ci son delle belle ragazze come qui, a Napoli?
– Le belle ragazze di qui non sono degne di portargli le
scarpe, a quelle di Napoli. Io ne avevo una colla veste di
seta, e nastri rossi nei capelli, il corsetto ricamato, e le spal-
line d’oro come quelle del comandante. Un bel pezzo di
ragazza così, che portava a spasso i bambini dei padroni, e
non faceva altro.
– Bello stare deve essere da quelle parti! osservò Barabba.
11 – A voi di sinistra! fermi i remi! gridò padron ’Ntoni.

– serravano le vele: ‘arrotolavano le vele’, per far muovere la barca len-


tamente. – Carmela: la barca di padron Cipolla. – «Carne di porco...
poco»: cfr. Pitrè, II, p. 362: «Carni di porci ed omini di guerra duranu
picca». – «Allora la donna... cristiano»: cfr. Pitrè, II, p. 118: «Tannu la
donna stà firma cu unu, quannu lu turcu si fa cristianu». – berretto collo
scritto: quello della divisa da marinaio; in A: «berretto col nastro». – Un
bel pezzo di ragazza così: cfr. II, 17 e, per l’impiego del deittico, II, 25
(«una cassa grande così»). – Bello stare... parti: l’anticipazione enfatica
del predicato nominale (cfr. Rolhfs, § 987) e la posposizione del verbo
(«stare dev’essere») conferiscono in questo caso alla battuta una mar-
cata cadenza dialettale; il Rolhfs cita ad esempio per il siciliano: «iddu
bonu s’avia fatto» (‘era guarito’).
11. a fare il mestiere: corregge in A: «a lavorare». – maretta: «voca-
bolo marinaresco tecnico che dinota mare lievemente agitato ma che fa
le onde spesse e spumose» (Verga) (la definizione riprende, con qualche
modifica, quella del Rigutini-Fanfani). – ci accula: ‘ci fa indietreggiare’.
– Staglia: ‘datti da fare col remo’; manca però nelle fonti vocabolaristi-
che nell’accezione che sembra assumere nel nostro contesto. Compare
in un abbozzo (M 3, c. 78) evidenziato nel suo valore tecnico dal corsi-

Letteratura italiana Einaudi 103


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

– Sangue di giuda! che mi fate andare la paranza sulle


reti! cominciò a strillare lo zio Cola dal timone. La volete
finire colle chiacchiere; stiamo qui a grattarci la pancia, o a
fare il mestiere?
– E’ la maretta che ci accula; disse ’Ntoni.
– Staglia da quella parte, figlio di porco, gli gridò Barabba;
colle regine che ci hai in testa ci fai perdere la giornata!
– Sacramento! rispose allora ’Ntoni col remo in aria, se lo
dici un’altra volta, te lo do sulla testa.
– Che novità è questa? saltò su lo zio Cola dal timone, l’hai
imparato da soldato, che non si può dire più una parola?
– Allora me ne vado, rispose ’Ntoni.
– E tu vattene, che coi suoi denari padron Fortunato ne
troverà un altro.
– «Al servo pazienza, al padrone prudenza», disse padron
’Ntoni.
’Ntoni continuò a remare brontolando, perché non pote-
va andarsene a piedi, e compare Mangiacarrubbe, per met-
tere la pace, disse che era ora di far colazione.
12 In quel momento spuntava il sole, e un sorso di vino si
beveva volentieri, pel fresco che s’era messo. Allora quei
ragazzi si misero a lavorare di mascelle, col fiasco fra le

vo: «dal suo lato [riferito al vecchio padron ’Ntoni] bisognava marita-
no con un rematore robusto perchè la barca non stagliasse da quella
parte» (non potendo più remare con forza, padron ’Ntoni fa ‘piegare’
la barca dalla sua parte). – «Al servo... prudenza»: cfr. Pitrè, II, p. 380:
«A lo servo pacenza, a lu patruni prudenza».
12. mareggiava: ‘si dondolava’. – sugheri: «pezzetti di legno sughero
che si mettono da un lato delle reti, perchè galleggino in mare» (Verga).
– otri verdi… lavagna: «otri» (qui al femminile) sono recipienti fatti di
pelle animale usati per il trasporto dei liquidi. Tutta l’immagine insiste
descrittivamente su contrasti di colore (verdi… nero... color di lavagna),
ma in sintonia col sentire dei pescatori, che mai dimenticano le insidie
nascoste del mare. In A: «[si misero a guardare] le otri che venivano dal
largo, e si rotolavano senza spuma, che al sole sembravano verdi come
bottiglioni ( ➝ come un campo di trifoglio)». – fresco: ‘ventilato’.

Letteratura italiana Einaudi 104


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

gambe, mentre la paranza mareggiava adagio adagio fra il


largo cerchio dei sugheri.
– Una pedata per di dietro a chi parla per il primo! disse
lo zio Cola.
Per non buscarsi la pedata tutti si misero a masticare
come buoi, guardando le onde che venivano da largo, e si
rotolavano senza spuma, quelle otri verdi che in un giorno
di sole fanno pensare al cielo nero e al mare color di lava-
gna.
– Padron Cipolla le lascerà correre quattro bestemmie sta-
sera, saltò su lo zio Cola; ma non ci abbiamo che fare. Col
mare fresco non se ne piglia pesci.
13 Prima compare Mangiacarrubbe gli sferrò una pedata,
perché lo zio Cola che aveva fatta la legge aveva parlato per
primo; e poi rispose: – Intanto ora che siamo qui, aspettia-
mo a tirare le reti.
– La maretta viene dal largo, e a noi ci giova; aggiunse
padron ’Ntoni.
– Ahi! borbottava intanto lo zio Cola.
Ora che il silenzio era rotto, Barabba chiese a ’Ntoni
Malavoglia: – Me lo dai un mozzicone di sigaro?
– Non ne ho, rispose ’Ntoni, senza pensare più alla qui-
stione di poco prima, ma te ne darò mezzo del mio.
14 Gli uomini della paranza, seduti sul fondo, con la schiena

13. quistione: ‘lite, diverbio’.


14. banco: ‘sedili dei rematori’; vedi X, 14. – scoppiettare: ‘schiocca-
re’. – sguizzavano: in A: «saltavano al sole» ➝ «guizzavano». –Però...
affondare: contrariamente alle previsioni, la pesca si prospetta abbon-
dante; l’avversativa iniziale si giustifica in rapporto alla precedente bat-
tuta dello zio Crocifisso: «Col mare fresco non se ne piglia pesci». –
Capo: il capo dei Mulini. – dove c’è... d’oro: «l’occhio di sole» è la ‘luce
più intensa del sole che sorge’ (in siciliano «occhiu di suli» si usa per
‘luogo solatìo’). In A: «dove il sole fa la ruota sulle case bianche» ➝
«dove c’è l’occhiata del sole sulle case bianche»; cfr. il siciliano «ucchia-
ta di suli», «lo entrare dei raggi solari in un luogo per poco tempo»
(Mortillaro). Vedi Fantasticheria, p. 133: «eppure in quei momenti in
cui si godeva cheto cheto la sua “occhiata di sole” accoccolato sulla

Letteratura italiana Einaudi 105


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

contro il banco e le mani dietro il capo, cantavano delle can-


zoette ognuno per suo conto, adagio adagio, per non addor-
mentarsi, che infatti socchiudevano gli occhi contro il sole
lucente; e Barabba faceva scoppiettare le dita, come i cefali
sguizzavano fuori dell’acqua.
– Essi non hanno nulla da fare,diceva ’Ntoni e si diverto-
no a saltare.
– Buono questo sigaro! risposte Barabba, ne fumavi a
Napoli di questi?
– Si, ne fumavo tanti.
– Però i sugheri cominciano ad affondare, osservò com-
pare Mangiacarrubbe.
– Lo vedi dove si è persa la Provvidenza con tuo padre?
disse Barabba; laggiù al Capo, dove c’è l’occhio del sole su
quelle case bianche, e il mare sembra tutto d’oro.
– Il mare è amaro e il marinaro muore in mare; rispose
’Ntoni.
15 Barabba gli passò il suo fiasco, e dopo si misero a bronto-
lare sottovoce dello zio Cola, il quale era un cane per gli
uomini della paranza, quasi padron Cipolla fosse là presen-
te a vedere quel che facevano e quel che non facevano.
– Tutto per fargli credere che senza di lui la paranza non
andrebbe, aggiunse Barabba. Sbirro!
– Ora gli dirà che il pesce l’ha preso lui, per l’abilità sua,
con tutto il mare fresco. Guarda come affondano le reti, i
sugheri non si vedono più.
– O ragazzi! gridò lo zio Cola, vogliamo tirare le reti? per-
ché se ci arriva la maretta ce le strappa di mano.
– Ohi! oohi! cominciarono a vociare gli uomini della ciur-
ma passandosi la fune.

pedagna della barca»; Mastro-don Gesualdo, I, V, p. 138: «C’era un’oc-


chiata di sole che spandevasi [...]». – Il mare... in mare: cfr. V, 15.
15. con tutto: ‘nonostante’.

Letteratura italiana Einaudi 106


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

– San Francesco! esclamava lo zio Cola, ei non par vero


che abbiamo preso tutta questa grazia di Dio, colla maretta.
16 Le reti formicolavano e scintillavano al sole a misura che
s’affacciavano dall’acqua, e tutto il fondo della paranza sem-
brava pieno d’argento vivo. – Padron Fortunato ora sarà
contento, mormorò Barabba, tutto rosso e sudato, e non ci
rinfaccerà quei tre carlini che ci dà per la giornata.
– Questo ci tocca a noi! aggiunse ’Ntoni, a romperci la
schiena per gli altri; e poi quando abbiamo messo assieme
un po’ di soldi, viene il diavolo e se li mangia.
– Di che ti lagni? gli disse il nonno, non te la dà la tua
giornata compare Fortunato?
17 I Malavoglia si arrabbattavano in tutti i modi per far quat-
trini. La Longa prendeva qualche rotolo di tela da tessere, e
andava anche al lavatoio per conto degli altri; padron N’toni
coi nipoti s’erano messi a giornata, s’aiutavano come pote-
vano, e se la sciatica piegava il vecchio come un uncino,
rimaneva nel cortile a rifar le maglie alle reti, a raccomodar
nasse, e mettere in ordine degli attrezzi, ché era pratico di
ogni cosa del mestiere.
Luca andava a lavorare nel ponte della ferrovia, per cin-
quanta centesimi al giorno, sebbene suo fratello ’Ntoni

16. formicolavano e scintillavano: cfr. VI, 8. – carlini: cfr. IV, 2. –


viene il diavolo e se li mangia: cfr. anche IV, 4: «finiva che la barca si
mangiava tutto il guadagno, tanto che la chiamavano la barca del dia-
volo».
17. I Malavoglia si arrabbattavano: «arrabbattavano» con raddop-
piamento meridionale. Tutta la sequenza della pesca, a partire dal c. 10
(«Nella paranza lo canzonavano... ») fino a questo punto, appare in A
come aggiunta che, data l’ampiezza, si estende anche nel verso di due
carte, solitamente utilizzate solo sul recto. La sequenza gradua, quasi
colmando un ‘tempo’ mancante, il passaggio dalla scena del risveglio,
nella prima giornata di lavoro di ’Ntoni, alla ripresa narrativa dei ten-
tativi di riscatto economico da parte della famiglia. A riceverne maggior
luce, nel fitto scambio di battute, è il personaggio di ’Ntoni, il cui
‘ritratto’ va progressivamente arricchendosi. – rotolo: cfr. IV, 3.

Letteratura italiana Einaudi 107


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

dicesse che non bastavano per le camicie che sciupava a tra-


sportar sassi nel corbello, ma Luca non badava che si sciu-
pava anche le spalle, e Alessi andava a raccattar dei gambe-
ri lungo gli scogli, o dei vermiciattoli per l’esca, che si ven-
devano a dieci soldi il rotolo, e alle volte arrivava sino
all’Ognina e al Capo dei Mulini, e tornava coi piedi in san-
gue. Ma compare Zuppiddu si prendeva dei bei soldi, ogni
sabato, per rabberciare la Provvidenza, e ce ne volevano
delle nasse da acconciare, dei sassi della ferrovia, dell’esca a
dieci soldi, e della tela da imbiancare, coll’acqua sino ai
18 ginocchi e il sole sulla testa, per fare quarant’onze! I Morti
erano venuti, e lo zio Crocifisso non faceva altro che pas-
seggiare per la straduccia, colle mani dietro la schiena, che
pareva il basilisco.
– Questa è la storia che va a finire coll’usciere! andava
dicendo lo zio Crocifisso con don Silvestro e con don
Giammaria il vicario.
– D’usciere non ci sarà bisogno, zio Crocifisso, gli rispose
padron ’Ntoni quando venne a sapere quello che andava
dicendo Campana di legno. I Malavoglia sono stati sempre
galantuomini, e non hanno avuto bisogno d’usciere.
– A me non me ne importa; rispose lo zio Crocifisso colle
spalle al muro, sotto la tettoia del cortile, mentre stavano
accatastando i suoi sarmenti: Io non so altro che devo esser
pagato.
19 Finalmente, per intromissione del vicario, Campana di
legno si contentò di aspettare a Natale ad esser pagato,

18. I Morti erano venuti: cfr. V, 9. – basilisco: il mitico animale che,


secondo la credenza medievale, uccideva con lo sguardo; cfr. VIII, 25.
Vedi anche Pentolaccia, p. 225: «[…] aveva una faccia di basilisco che
nessuno gli conosceva»; Mastro-don Gesualdo, II, V, p. 274: «[...] rima-
sero a guardarsi un momento così, come due basilischi». – sarmenti:
tralci secchi delle viti impiegati come legna da ardere.
19. a Natale: cfr. V, 9. – ce la prende Campana di legno: cfr. VI, 16:
«viene il diavolo e se li mangia».

Letteratura italiana Einaudi 108


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

prendendosi per frutti quelle settantacinque lire che


Maruzza aveva raccolto soldo a soldo in fondo alla calza
nascosta sotto il materasso.
– Ecco com’è la cosa! borbottava ’Ntoni di padron
’Ntoni; lavoriamo notte e giorno per lo zio Crocifisso.
Quando abbiamo messo insieme una lira, ce la prende
Campana di legno.
20 Il nonno, colla Maruzza, si consolavano a far castelli in
aria per l’estate, quando ci sarebbero state le acciughe da
salare, e i fichidindia a dieci un grano, facevano dei grandi
progetti d’andare alla tonnara, o per la pesca del pesce
spada, dove si buscava una buona giornata, e intanto mastro
Turi avrebbe messo in ordine la Provvidenza. I ragazzi sta-
vano attenti, col mento in mano, a quei discorsi che si face-
vano sul ballatoio, e dopo cena; ma ’Ntoni che veniva da
lontano, e il mondo lo conosceva meglio degli altri, si

20. grano: moneta che equivaleva a un decimo di un carlino (cfr. VI,


16). Cfr. Nedda, p. 13. – tonnara: luogo dove, con un particolare siste-
ma di reti, si pratica la pesca del tonno. – si annoiava… chiacchiere: a
marcare la ‘diversità’ di ’Ntoni rispetto agli altri Malavoglia; cfr. poco
prima: «stavano attenti col mento in mano, a quei discorsi». Ma per la
prima volta si accenna alla ‘coscienza’ di questa diversità, attraverso il
punto di vista del personaggio stesso («il mondo lo conosceva meglio
degli altri»). – girandolare: variante meno comune (cfr. anche X, 49, 97;
XI, 19), secondo il Petrocchi, di «girondolare» (cfr. X, 78); «andare
attorno, girare qua e là senza fine determinato» (Rigutini-Fanfani). In
A: «gironzolare», che significa piuttosto: «andare attorno girando con
una certa precauzione e sospetto» (Petrocchi). Cfr. inoltre Primavera,
p. 35: «mentre egli girandolava [...]»; Jeli il pastore, p. 158: «[...] giran-
dolando (nel ms «andando») in mezzo alla folla che lo urtava»; Storia
dell’asino di San Giuseppe, in Novelle rusticane, p. 287; L’osteria dei
«Buoni amici», in Per le vie, p. 407. Vedi anche VIII, 13 per la variante
«gironzare». Vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi, X, p. 186: «avendo
veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio». – cal-
darotto: è una piccola caldaia, il «ramaiuolo» di V, 22. Abbiamo man-
tenuto la lezione di Treves ’81, ma in A compare il più comune «calde-
rotto». Cfr. Manzoni, I promessi sposi, XXIV, p. 409: «rimettendo stipa
sotto un calderotto, dove notava un buon cappone».

Letteratura italiana Einaudi 109


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

annoiava a sentir quelle chiacchiere, e preferiva andarsene a


girandolare attorno all’osteria, dove c’era tanta gente che
non faceva nulla, anche lo zio Santoro, i quale era il peggio
che ci potesse essere, faceva quel mestiere leggiero di sten-
dere la mano a chi passava, e biascicare avemarie; o se ne
andava da compare Zuppiddu, col pretesto di vedere a che
stato fosse la Provvidenza, per far quattro chiacchiere con
Barbara, la quale veniva a metter frasche sotto il calderotto
della pece, quando c’era compare ’Ntoni.
21 – Voi siete sempre in faccende, comare Barbara, le diceva
’Ntoni e siete il braccio destro della casa; per questo vostro
padre non vi vuol maritare.
– Non mi vuol maritare con quelli che non fanno per me,
rispondeva Barbara, «pari con pari e statti coi tuoi».
– Io ci starei anch’io coi vostri, per la madonna! se vole-
ste voi, comare Barbara!...
– Che discorsi mi fate, compare ’Ntoni. La mamma è a
filare nel cortile, e sta a sentirci.
– Dicevo per quelle frasche che sono verdi, e non voglio-
no accendere. Lasciate fare a me.
– Che è vero che venite qui per vedere la
Mangiacarrubbe, quando si affaccia alla finestra?
– Io ci vengo qui per tutt’altro, comare Barbara. Ci vengo
per vedere a che stato è la Provvidenza.
– E’ a buon stato, e il babbo ha detto che per la vigilia di
Natale la metterete in mare.
22 Come s’avvicinava la novena di Natale, i Malavoglia non

21. «pari… tuoi»: cfr. Pitrè, I, p. 241: «Pari cu pari, e joca cu li toi».
Cfr. anche la variante di II, 10. – si affaccia alla finestra: per la partico-
lare connotazione che l’espressione ha ormai assunto, cfr. II, 17.
22. il paese intero… accanto agli usci: le «cappellette colla luminaria»
sono gli altarini illuminati dalle candele e dai ceri, posti sulle facciate
delle case. La raffigurazione ricorre con immagini analoghe al c. 27. Cfr.
anche la novella Il Carnevale fallo con chi vuoi; Pasqua e Natale falli con
i tuoi, p. 916: «[...] e da per tutto, a ogni cantonata, gli altarini parati,
cogli aranci e le ostie colorate. Nelle case il suono delle cornamuse met-
teva allegria».

Letteratura italiana Einaudi 110


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

facevano altro che andare e venire dal cortile di mastro Turi


Zuppiddu. Intanto il paese intero si metteva in festa; in ogni
casa si ornavano di frasche e d’arance le immagini dei santi,
e i fanciulli si affollavano dietro la cornamusa che andava a
suonare davanti alle cappellette colla luminaria, accanto agli
usci. Solo in casa dei Malavoglia la statua del Buon Pastore
rimaneva all’oscuro, mentre ’Ntoni di padron ’Ntoni corre-
va a fare il gallo di qua e di là, e Barbara Zuppiddu gli dice-
va:
– Almeno ci penserete che ho squagliata la pece per la
Provvidenza, quando sarete in mare?
23 Piedipapera predicava che tutte le ragazze se lo rubavano.
– Chi è rubato sono io! piagnucolava lo zio Crocifisso.
Voglio un po’ vedere d’onde prenderanno i denari dei lupi-
ni, se ’Ntoni si marita, e se devono anche dare la dote alla
Mena, col censo che hanno sulla casa, e tutti quegli imbro-
gli dell’ipoteca che son saltati fuori all’ultimo. Il Natale
eccolo qua, ma i Malavoglia ancora non li ho visti.
24 Padron ’Ntoni tornava a cercarlo in piazza, o sotto la tet-

23. predicava: in A: «propalava». – chi è rubato: riprende, giocando


sul valore proprio e metaforico, il precedente «le ragazze se lo rubano»;
da accostare al siciliano «arrubbari» (cfr. ad es.: «Cui arrobba nni fa unu
(di peccato), cui è arrubbatu ni fa centu» Mortillaro). – piagnucolava: in
A: «piagnuccolava».
24. spremete il sasso... sangue: probabile rielaborazione di due pro-
verbi: «Vuliti sucu? sprimiti sta petra» (Pitrè, II, p. 172) e «Nun si pò
spremiri la petra» (Pitrè, III, p. 91). – ripicchiava: ‘ribatteva’, ma si noti
la pregnanza della scelta verbale in rapporto al nomignolo del perso-
naggio: «Campana di legno». Analogo procedimento per «rimbeccava»
riferito a Piedipapera (cfr. c. 25). – colle spalle al muro: epiteto, in que-
sto capitolo, quasi fisso per il personaggio; qui sta a indicare l’ostina-
zione a non concedere ulteriori dilazioni per il pagamento.
L’espressione viene però sfruttata a più livelli: ambiguamente impiega-
ta in senso letterale, grazie all’aggiunta della precisazione di luogo (VI,
18: «sotto la tettoia del cortile») o allusivamente in senso metaforico
(cfr. ad es. VI, 43) a suggerire di volta in volta irremovibilità, cocciu-
taggine, senso di sicurezza (cfr. VI, 44). Il dettaglio, seppur con diversa
valenza, era già anticipato nel ritratto dello zio Crocifisso: «per questo

Letteratura italiana Einaudi 111


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

toia, e gli diceva: – Cosa volete che ci faccia se non ho dena-


ri? Spremete il sasso per cavarne sangue! Aspettatemi sino a
giugno, se volete farmi questo favore, o prendetevi la
Provvidenza e la casa del nespolo. Io non ci ho altro.
– Io voglio i miei danari, ripicchiava Campana di legno
colle spalle al muro. Avete detto che siete galantuomini, e
che non pagate colle chiacchiere della Provvidenza e della
casa del nespolo.
25 Egli ci perdeva l’anima e il corpo, ci aveva rimesso il
sonno e l’appetito, e non poteva nemmeno sfogarsi col dire
che quella storia andava a finire coll’usciere, perché subito
padron ’Ntoni mandava Giammaria o il segretario, a
domandar pietà, e non lo lasciavano più venire in piazza, per
gli affari suoi, senza metterglisi alle calcagna, sicché tutti nel
paese dicevano che quelli erano denari del diavolo. Con
Piedipapera non poteva sfogarsi perché gli rimbeccava subi-
to che i lupini erano fradici, e che egli faceva il sensale. Ma
quel servizio lì potrebbe farmelo! disse a un tratto fra di sé
– e non dormiì più quella notte, tanto gli piacque la trovata
– e andò a trovare Piedipapera appena fatto giorno, che
ancora si stirava le braccia e sbadigliava sull’uscio. – Voi
dovreste fingere che mi comprate il mio credito, gli disse,
così potremmo mandare l’usciere dai Malavoglia, e non vi
diranno che fate l’usuraio, se volete riavere il vostro denaro,
né che è denaro del diavolo. – Vi è venuta stanotte la bella
idea? sghignazzò Piedipapera, che mi avete svegliato all’al-
ba per dirmela? – Son venuto a dirvi pure per quei sarmen-
ti; se li volete potete venire a pigliarveli. – Allora potete

stava tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossato al muro della
chiesa» (IV, 2). Vedi inoltre IX, 9: «colle spalle all’olmo della piazza».
25. tutti nel paese... danari del diavolo: cfr. VI, 16. In A è correzione
su: «tutta la gente lo pigliava per un usurajo». – fradici: ‘avariati’; «si
dice anche delle frutte che cominciano a marcire» (Rigutini-Fanfani). –
sensale: «colui che s’intromette tra i contraenti per la conclusione di un
negozio» (Rigutini-Fanfani).

Letteratura italiana Einaudi 112


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

mandare per l’usciere, rispose Piedipapera; ma le spese le


26 fate voi. – Quella buona donna di comare Grazia s’era affac-
ciata apposta in camicia per dire a suo marito: – Cosa è
venuto a confabulare con voi lo zio Crocifisso? Lasciateli
stare quei poveri Malavoglia, che ne hanno tanti dei guai! –
Tu va a filare! rispondeva compare Tino. Le donne hanno i
capelli lunghi ed il giudizio corto. – E se ne andò zoppican-
do a bere l’erbabianca da compare Pizzuto.
– Vogliono dargli il cattivo Natale a quei poveretti, mor-
morava comare Grazia colle mani sulla pancia.
27 Davanti a ogni casa c’era la cappelletta adornata di fra-
sche e d’arance, e la sera vi accendevano le candele, quando
veniva a suonare la cornamusa, e cantavano la litania che era
una festa per ogni dove. I bambini giocavano ai nocciuoli
nella strada, e se Alessi si fermava a guardare colle gambe
aperte, gli dicevano:
– Tu vattene, se non hai nocciuoli per giocare. – Ora vi
pigliano la casa.

26. va a filare: «Va fila, modo di far tacere, o desistere da una ope-
razione alcuna donna, che vuole prendere parte a certe cose, e per igno-
ranza non sa che si dice [...]» (Mortillaro). Cfr. G. Alfieri, Innesti cit.,
p. 38. – Le donne... corto: cfr. IV, 20. – erbabianca: «liquore a basso
prezzo, stillato di certa erba, un po’ fra l’acquavite e l’absynthe»
(Verga). Cfr. XIV, 35: «acquabianca». – cattivo Natale: cfr. Cavalleria
rusticana, scena IX: «Vuol dire che facciamo la mala Pasqua […]».
27. nocciuoli: ‘nocciuole’; «Verga traduce male (e non per la prima
volta) il siciliano i nuciddi, che sono i frutti del nocciuolo, con i quali,
appunto, si suole giocare per Natale» (G. Raya, La lingua di Verga, Le
Monnier, Firenze 1962, pp. 79-80). – Tu vattene… la casa: l’esclusione
di Alessi dai giochi degli altri bambini evidenzia crudamente la condi-
zione di isolamento dei Malavoglia. Vedi Pitrè, III, p. II: «A Natali pari
(‘può ben figurare’) cu’ havi beddi nuciddi», proverbio che Verga regi-
stra nell’elenco presente nelle carte preparatorie del romanzo con la
variante: «beddi nuciddi» ➝ «nuciddi». Con analogo valore di esclu-
sione (ma con riferimento ad altro personaggio) compare nel capitolo
VII, 21 l’espressione: «non lo volevano nemmeno per compagno alla
processione, quel cristiano», che il Nicotra spiega citando per analogia:
«Non volere alcuno al giuoco de’ nòccioli».

Letteratura italiana Einaudi 113


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

28 Infatti la vigilia di Natale venne apposta l’usciere in car-


rozza pei Malavoglia, talché tutto il paese si mise in sobbu-
glio; e andò a lasciare un foglio di carta bollata sul cantera-
no, accanto alla statua del Buon Pastore.
29 – L’avete visto l’usciere che è venuto per i Malavoglia?
andava dicendo comare Venera. Ora stanno freschi!
Suo marito, che non gli pareva vero di aver ragione, allo-
ra cominciò a gridare e a strepitare.
– Io l’avevo detto, santi del Paradiso! che quel ’Ntoni a
bazzicare per la casa non mi piaceva!
– Voi state zitto che non sapete nulla! gli rimbeccava la
Zuppidda. Questi sono affari nostri. Le ragazze si maritano
cosiì, se no vi restano sulla pancia, come le casseruole vec-
chie.
– Che maritare! ora che è venuto l’usciere!
Allora la Zuppidda gli piantava le mani sulla faccia.
– Che lo sapevate che doveva venire l’usciere? Voi abbaia-
te sempre a cose fatte, ma un dito, che è un dito, non lo
sapete muovere. Infine l’usciere non se la mangia la gente.
30 L’usciere è vero che non si mangia la gente, ma i

28. in carrozza: in una precedente versione di A: «in cabriolet». –


canterano... Pastore: cfr. I, 17.
29. Voi state… nostri: si ripropone il motivo della sottomissione (cfr.
IV, 19). Cfr. anche IX, 34, 57; XIV, 36. – come le casseruole vecchie: cfr.
IX, 51, 53 (nella variante «come casseruole appese»); XV, 57.
30. L’usciere… gente: il narratore riprende, in una sorta di dialogo a
distanza col personaggio, le ultime parole della Zuppidda. – come i pul-
cini... stoppa: «modo di dire siciliano per esprimere l’imbarazzo di chi
si trovi in un affare imbrogliato [...]» (Verga). L’espressione, sentita da
Verga come siciliana (cfr. anche VI, 34), è presente in Manzoni, I pro-
messi sposi, XXIV, p. 405: «è più impicciato che un pulcin nella stop-
pa»; ibid., III, p. 43: «Ho visto io più d’uno ch’era più impicciato che
un pulcin nella stoppa […]», in una sequenza che tra l’altro offre un’ul-
teriore analogia: Agnese ha infatti appena proposto a Renzo di recarsi
da Azzeccagarbugli; nel nostro caso, i Malavoglia vanno per avere con-
siglio dall’avvocato Scipioni. Vedi una variante del modulo proverbiale
in Mastro-don Gesualdo, III, II, p. 329: «Voialtri Trao siete tanti pulci-

Letteratura italiana Einaudi 114


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

Malavoglia erano rimasti come se li avesse presi un acciden-


te tutti in una volta, e stavano nel cortile, seduti in cerchio,
a guardarsi in viso, e quel giorno dell’usciere non si misero
a tavola, in casa dei Malavoglia.
– Sacramento! esclamò ’Ntoni Stiamo sempre come pulci-
ni nella stoppa, ed ora mandano l’usciere per tirarci il collo.
– Cosa faremo? diceva la Longa
31 Padron ’Ntoni non lo sapeva, ma infine si prese in mano
la carta bollata e andò a trovare lo zio Crocifisso coi due
nipoti più grandicelli, per dirgli di prendersi la Provvidenza,
che mastro Turi l’aveva rattoppata allora allora, e al pove-
raccio gli tremava la voce come quando gli era morto il figlio
Bastianazzo. – Io non so niente, gli rispose Campana di
legno. Io non c’entro più. Ho venduto il mio credito a
Piedipapera e dovete sbrigarvela con lui.
32 Piedipapera appena li vide venire in processione comin-
ciò a grattarsi il capo. – Cosa volete che ci faccia? rispose lui;
io sono un povero diavolo e ho bisogno di quei denari, e
della Provvidenza non so che farne, perché non è il mio
mestiere; ma se vuole lo zio Crocifisso vi aiuterò a venderla.
Or ora torno.
33 Quei poveracci rimasero ad aspettare seduti sul muriccio-
lo, e senza aver coraggio di guardarsi in faccia; ma gettava-
no occhiate lunghe sulla strada donde s’aspettava
Piedipapera, il quale comparve finalmente adagio adagio –
ma quando voleva sapeva arrancare speditamente colla sua
gamba storpia. – Dice che è tutta rotta come una scarpa vec-
chia; e non sa che farsene; gridò da lontano; mi dispiace, ma
non ho potuto far nulla.
Così i Malavoglia se ne tornarono a casa colla carta bolla-
ta in mano.

ni colla luna» (nell’abbozzo M 4 dei Malavoglia: «pulcino


bagnato» ➝ «pulcino lunatico»).
33. sapeva arrancare... storpia: cfr. II, 1. – come una scarpa vecchia: cfr.
I, 2.

Letteratura italiana Einaudi 115


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

34 Pure qualche cosa bisognava fare, perché quella carta bol-


lata lì, posata sul canterano, avevano inteso dire, si sarebbe
mangiato il canterano, la casa e tutti loro.
– Qui ci vuole un consiglio di don Silvestro il segretario,
suggerì Maruzza. Portategli quelle due galline là, e qualche
cosa vi saprà dire.
35 Don Silvestro disse che non c’era tempo da perdere, e li
mandò da un bravo avvocato, il dottor Scipioni, il quale
stava di casa in via degli Ammalati, di faccia allo stallatico
dello zio Crispino, ed era giovane, ma quanto a chiacchiere
ne possedeva da mettersi in tasca tutti gli avvocati vecchi
che pretendevano cinque onze per aprir la bocca, mentre lui
si contentava di venticinque lire.
36 L’avvocato Scipione stava facendo delle spagnolette, e li

34. Portategli... saprà dire: cfr. Manzoni, I promessi sposi, III, p. 43:
«Pigliate quei quattro capponi, poveretti! a cui dovevo tirare il collo,
per il banchetto di domenica, e portateglieli; perchè non bisogna mai
andare con le mani vuote da que’ signori».
35. in via degli Ammalati: l’odierna «via Maddem» a Catania
(Tellini); ma a prevalere sulla precisione topografica è probabilmente il
valore allusivo del nome. – stallatico: rimessa in cui venivano tempora-
neamente alloggiati i cavalli da traino; cfr. VIII, 31. Compare anche
nella forma «stallazzo» ad es. Malaria, p. 269; Mastro-don Gesualdo, II,
2, p. 224. – chiacchiere: in A il termine è sottolineato, con la volontà
quindi di marcarlo col corsivo. – mettersi in tasca: ‘superare’; cfr. II, 25.
– cinque onze: circa sessantacinque lire.
36. Scipione: manteniamo come in Treves ‘81 l’alternanza con la
forma «Scipioni» (cfr. c. 35). – facendo delle spagnolette: «rouler dei
cigarettes» (Verga). – due o tre volte: in A segue un’aggiunta interlinea-
re poi cassata: «pel decoro ( ➝ prestigio) della professione». – dar
loro pratica: ‘riceverli’. – il bello poi... processione: il narratore assume
un tono di divertito distacco, riscontrabile nella formula introduttiva
(«il bello poi era») e nella ripresa per l’ennesima volta di «andare/veni-
re in processione». Il registro ‘comico’ si estende successivamente a
«strappare colle tenaglie», «appollaiati», «senza sapere perchè». – per-
chè la casa è dotale... lupini: cfr. IV, 27. Diverse le fasi redazionali del
brano in A, tese a raggiungere una formulazione che concili il tecnici-
smo giuridico con una visione ‘bassa’. La prima versione: «Faremo la
restituzione della dote a vostra moglie, ci faremo entrare anche la ( ➝
così la padrona della barca s[ ]) barca». La seconda: «perchè la casa è

Letteratura italiana Einaudi 116


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

fece andare e venire due o tre volte, prima di dar loro prati-
ca; il bello poi era che andavano tutti in processione, l’un
dietro l’altro, e da principio ci si accompagnava anche la
Longa colla bimba in collo, per aiutare a dire le proprie
ragioni, e così perdevano tutti la giornata. Quando poi l’av-
vocato ebbe letto le carte, e poté capire qualche cosa dalle
risposte ingarbugliate che doveva strappare con le tenaglie a
padron ’Ntoni, mentre gli altri se ne stavano appollaiati sulle
loro scranne senza osare di fiatare, si mise a ridere di tutto
cuore, e gli altri ridevano con lui, senza sapere perché, per
ripigliar fiato. – Niente, risposte l’avvocato, non c’è da far
niente; – e siccome padron ’Ntoni tornava dire che era
venuto l’usciere, – l’usciere lasciatelo venire anche una volta
al giorno, così il creditore si stancherà più presto di rimet-
terci le spese. Non potranno prendervi nulla, perché la casa
è dotale, e per la barca faremo il reclamo in nome di mastro
Turi Zuppiddu. Vostra nuora non c’entra nella compera dei
lupini.
37 L’avvocato seguitò a parlare senza sputare, senza grattarsi
il capo, per più di venticinque lire, talmente che padron
’Ntoni e i suoi nipoti si sentivano venire l’acquolina in bocca
di parlare anche loro, di spifferare la loro brava difesa che si
sentivano gonfiare in testa; e se ne andarono intontiti,
sopraffatti da tutte quelle ragioni che avevano, ruminando e
gesticolando le chiacchiere dell’avvocato per tutta la strada.
38 Maruzza che stavolta non era andata, come li vide arrivare

dotale, e per la barca faremo la restituzione della dote a vostra moglie.


Vostra nuora non c’entra nella compera dei lupini ( ➝ non è interve-
nuta nella compera dei lupini e non potranno farlo l’esproprio)».
L’intervento nelle bozze modifica da un lato la strategia giuridica, ma
introduce dall’altro «faremo il reclamo», una soluzione ‘rozzamente
tecnica’ che ben si uniforma alla tendenza correttoria delle redazioni
precedenti.
38. colla faccia rossa e gli occhi lucenti: corregge in A: «così raggian-
ti». – un uomo coi baffi: ‘di gran valore’; l’espressione è attestata anche
nel Mortillato: «Omu cu li mustazzi intendesi ‘valente con superiorità’».

Letteratura italiana Einaudi 117


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

colla faccia rossa e gli occhi lucenti, si sentì sgravare di un


gran peso anche lei, e si rasserenò in viso aspettando che
dicessero qul che aveva detto l’avvocato. Ma nessuno apriva
bocca e stavano a guardarsi l’un l’altro.
– Ebbene domandò infine Maruzza la quale moriva d’im-
pazienza.
– Niente! non c’è paura di niente! rispose tranquillamen-
te padron ’Ntoni.
– E l’avvocato?
– Sì, l’avvocato l’ha detto lui che non ci è paura di niente.
– Ma cosa ha detto? insistè Maruzza.
– Eh, lui sa dirle le cose; un uomo coi baffi! Benedette
quelle venticinque lire!
– Ma infine cos’ha detto di fare?
39 Il nonno guardò il nipote, e ’Ntoni guardò il nonno.
– Nulla, rispose alfine padron ’Ntoni Ha detto di non far
nulla.
– Non gli pagheremo niente, aggiunse ’Ntoni più ardito,
perché non può prenderci né la casa né la Provvidenza...
Non gli dobbiamo nulla.
– E i lupini?
– È vero! e i lupini? ripetè padron ’Ntoni.
– I lupini?... Non ce li abbiamo mangiati, i suoi lupini;
non li abbiamo in tasca; e non può prenderci nulla lo zio
Crocifisso; l’ha detto l’avvocato, che ci rimetterà le spese.
Allora successe un momento di silenzio; intanto Maruzza
non sembrava persuasa.
– Dunque ha detto di non pagare?
’Ntoni si grattò il capo, e il nonno soggiunse:

39. Non ce li abbiamo mangiati: l’uso dell’ausiliare avere col verbo


riflessivo rimanda alla morfologia del parlato siciliano (ma è fenomeno
diffuso in molti dialetti dell’Italia meridionale; cfr. Rohlfs, § 731); cfr.
anche IV, 11. – si grattò il capo: si noti il richiamo oppositivo: «L’avvocato
seguitò a parlare senza sputare, senza grattarsi il capo» (VI, 37).

Letteratura italiana Einaudi 118


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

– È vero, i lupini ce li ha dati, e bisogna pagarli.


40 Non c’era che dire. Adesso che l’avvocato non era più là,
bisognava pagarli. Padron ’Ntoni, scrollando il capo, bor-
bottava:
– Questo poi no! questo non l’hanno mai fatto i
Malavoglia. Lo zio Crocifisso si piglierà la casa, e la barca, e
tutto, ma questo poi no!
Il povero vecchio era confuso; ma la nuora piangeva in
silenzio nel grembiule.
– Allora bisogna andare da don Silvestro; conchiuse
padron ’Ntoni
41 E di comune accordo, nonno, nipoti e nuora, persino la
bimba, andarono di nuovo in processione dal segretario
comunale, per chiedergli come dovevano fare per pagare il
debito, senza che lo zio Crocefisso mandasse dell’altre carte
42 bollate, che si mangiavano la casa, la barca e tutti loro. Don
Silvestro, il quale sapeva di legge, stava passando il tempo
costruendo una gabbia a trappola che voleva regalare ai
bambini della Signora. Ei non faceva come l’avvocato, e li
lasciò chiacchierare e chiacchierare, seguitando ad infilar
gretole nelle cannucce. Infine disse quel che ci voleva: –

40. ma questo poi no!: in A correzione su: «ma ladri no!»


41. si mangiavano... tutti loro: appena impiegata (cfr. c. 34), l’espres-
sione si è già cristallizzata in una formula che i Malavoglia fanno pro-
pria.
42. gabbia a trappola: una gabbia cioè che permette facilmente l’en-
trata dell’animale, ma ne impedisce l’uscita. Non sfugga la potenziale
allusività dell’atto in cui il personaggio viene colto, è una ‘trappola’
infatti quella che sta tendendo ai Malavoglia. – infilar gretole nelle can-
nucce: le «gretole» sono le stecche che, infilate nei regoli («cannucce»),
chiudono la gabbia. – disse quel che ci voleva: più esplicita la lezione di
base in A nell’anticipare la formula risolutrice: «la disse la parola». – ci
mette la mano: ‘provvede’, ‘rimedia’; in siciliano: «Mettiricci la manu»
(Mortillaro). In virtù della sfumatura quasi sacrale che il gesto presen-
ta, l’espressione acquisterà valore di formula fissa (cfr. VI, 45, 47; VII,
35; IX, 39, 49). – ogni cosa si sarebbe aggiustata: drastico passaggio
all’indiretto libero senza soluzione di continuità; cfr. anche V, 8.

Letteratura italiana Einaudi 119


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

Orbè, se la gnà Maruzza ci mette la mano, ogni cosa si


sarebbe aggiustata. La povera donna non sapeva indovinare
dove dovesse mettere la sua mano. – Dovete metterla nella
vendita, le disse don Silvestro, e rinunziare all’ipoteca della
dote, quantunque i lupini non li abbiate presi voi. – I lupini
li abbiamo presi tutti! mormorava la Longa, e il Signore ci
ha castigati tutti insieme col prendersi mio marito.
43 Quei poveri ignoranti, immobili sulle loro scranne, si
guardavano fra di loro, e don Silvestro intanto rideva sotto
il naso. Poi mandò a chiamare lo zio Crocifisso, il quale
venne ruminando una castagna secca, giacché aveva finito
allora di desinare, e aveva gli occhietti più lustri del solito.
Dapprincipio non voleva sentirne nulla, e diceva che lui non
ci entrava più, e non era affar suo. – Io sono come il muro
basso, che ognuno ci si appoggia e fa il comodo suo, perché
non so parlare con un avvocato, e non so dire le mie ragio-
ni; la mia roba par roba rubata, ma quel che fanno a me lo
fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce; e seguitava a bor-
bottare e brontolare colle spalle al muro, e le mani ficcate
nelle tasche; né si capiva nemmeno quel che dicesse, per
44 quella castagna che ci aveva in bocca. Don Silvestro sudò
una camicia per fargli entrare in testa che infine i Malavoglia
non potevano dirsi truffatori, se volevano pagare il debito, e
la vedova rinunziava all’ipoteca. – I Malavoglia si contenta-
no di restare in camicia per non litigare; ma se li mettete
colle spalle al muro, cominciano a mandar carta bollata
anche loro, e chi s’è visto s’è visto. Infine un po’ di carità

43. Quei poveri ignoranti: sembra dissolversi quel moto di parteci-


pazione che, seppur in forma attenuata, lasciava trasparire l’espressio-
ne «Quei poveracci» (c. 33). A prevalere ora è lo sprezzante punto di
vista di don Silvestro. Ma annullato nella pagina, il moto di comparte-
cipazione scatta, per contrasto, nel lettore. – scranne: cfr. IV, 53. – Io
sono... appoggia: cfr. Pitrè, I, p. 249: «A lu muru vàsciu ognunu si cci
appoja». Riecheggiata, in un sottile gioco di richiami interni, l’espres-
sione “colle spalle al muro», ormai ricorrente per lo zio Crocifisso (cfr.
VI, 24). – lo fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce: cfr. IV, 8.

Letteratura italiana Einaudi 120


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

bisogna averla, santo diavolone! Volete scommettere che se


contuate a piantare i piedi in terra come un mulo, non avre-
te niente?
45 E lo zio Crocifisso allora rispondeva: – Quando mi pren-
dono da questo lato non so più che dire; – e promise di par-
larne a Piedipapera. – Per riguardo all’amicizia io farei qua-
lunque sacrificio. – Padron ’Ntoni poteva dirlo, se per un
amico avrebbe fatto questo e altro; e gli offrì la tabacchiera
aperta, fece una carezza alla bimba, e le regalò una castagna.
– Don Silvestro conosce il mio debole; io non so dir di no.
Stasera parlerò con Piedipapera, e gli dirò di aspettare sino
a Pasqua; purche comare Maruzza ci metta la mano. –
Comare Maruzza non sapeva dove bisognava metterla, la
mano, e rispose che ce l’avrebbe messa anche subito. –
Allora potete mandare a prendervi quelle fave che mi avete
chiesto per seminarle; – disse poi lo zio Crocifisso a don
Silvestro, prima di andarsene.
– Va bene, va bene, rispose don Silvestro; lo so che per gli
amici avete il cuore grande quanto il mare.
46 Piedipapera davanti alla gente non voleva sentir parlare di
dilazione; e strillava e si strappava i capelli, che lo volevano
ridurre in camicia, e volevano lasciarlo senza pane per tutto

45. Quando mi prendono da questo lato: con l’ambiguità di questa


battuta (riferita al timido manifestarsi di un sentimento di carità o al
timore di non ottenere nulla) si apre un dialogo serrato che vede nel-
l’antifrasi la figura dominante; ad essere messa a nudo è l’ipocrisia del-
l’usuraio, che del resto aveva esplicitamente sentenziato: «coll’interesse
non c’è amicizia» (IV, 2). – io non so dir di no: cfr. I, 21. – dove biso-
gnava metterla, la mano: ripresa per l’ennesima volta, l’espressione
acquista ora, anche grazie alla pausa imposta dalla virgola dopo «met-
terla», una sfumatura maliziosa che fa entrare in gioco anche lo sguar-
do divertito dell’autore. – avete il cuore grande quanto il mare: a chiu-
dere la ‘commedia’ delle ambiguità, l’ironico (proprio perché antifra-
stico) commento di don Silvestro, che vede pagata la propria compli-
cità con un pugno di fave. In A sostituisce: «vi buttereste dal fariglione
grande». Vedi anche V, 25: «Tutto suo padre Bastianazzo, che aveva un
cuore grande come il mare».

Letteratura italiana Einaudi 121


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo sesto

l’inverno, lui e sua moglie Grazia, dopo che l’avevano per-


suaso a comprare il debito dei Malavoglia, e quelli erano
cinquecento lire l’una meglio dell’altra, che s’era levate di
47 bocca per darle allo zio Crocifisso. Sua moglie Grazia, pove-
retta, spalancava gli occhi, perché non sapeva di dove li
avesse presi quei denari, e metteva buone parole pei
Malavoglia, i quali erano brava gente, e tutti li avevano sem-
pre conosciuti per galantuomini nel vicinato. Lo zio
Crocifisso adesso prendeva anche lui la parte dei
Malavoglia. – Han detto che pagheranno, e se non potran-
no pagare vi lasceranno la casa. La gnà Maruzza ci metterà
la mano anche lei. Non lo sapete che al giorno d’oggi per
avere il fatto suo bisogna fare come si può? – Allora
Piedipapera s’infilò il giubbone di furia, e se ne andò via
bestemmiando, che facessero pure come volevano, lo zio
Crocifisso e sua moglie, giacché lui non contava per nulla in
casa.

47. avere il fatto suo: traduce il siciliano «Aviri lu fattu sò» nel senso
di «avere le cose necessarie alle comodità della vita» (M. Castagnola,
Fraseologia siculo-toscana, Catania 1863); cfr. anche VII, 22: «non mi
lascio mangiare il fatto mio»; inoltre X, 5: «ci avremo il fatto nostro» e
XI, 8. Vedi G. Alfieri, Innesti cit., p. 62.

Letteratura italiana Einaudi 122


VII

1 Quello fu un brutto Natale pei Malavoglia; giusto in quel


tempo anche Luca prese il suo numero alla leva, un numero
basso da povero diavolo, e se ne andò a fare il soldato senza
tanti piagnistei, che ormai ci aveva fatto il callo. Stavolta
’Ntoni accompagnando il fratello col berretto sull’orecchio,
talché pareva fosse lui che partisse, gli diceva che non era
nulla, e anche lui aveva fatto il soldato. Quel giorno piove-
va, e la strada era tutta una pozzanghera.
– Non voglio che mi accompagnate, – ripeteva Luca alla
mamma; – già la stazione è lontana. – E stava sull’uscio a
veder piovere sul nespolo, col suo fardelletto sotto il brac-

1. un brutto Natale: cfr. VI, 26. – prese: in A corregge: «andò a tira-


re ( ➝ prendere)». –da povero diavolo: povero, senza possibilità quin-
di di far ricorso a qualche scappatoia, e sfortunato; «a quel tempo, veni-
vano arruolati coloro che, per sorteggio, rientravano nel numero previ-
sto per la leva dell’anno. Quelli che estraevano un numero più alto
erano dunque esenti (Nardi). Se ne fa cenno anche in Salomone-
Marino a proposito dell’impiego di un talismano per combattere la
sfortuna: «Ho visto io una madre, accompagnante il figlio alla estrazio-
ne del numero per la leva militare, appuntargli nella manica destra della
giacca uno di questi aghi con la virtù, acciocchè il numero da sorteg-
giare riuscisse alto». – col berretto sull’orecchio: cfr. VI, 3. – Quel gior-
no: in A sostituisce: «Stavolta», che compare poco prima come aggiun-
ta interlineare. – a veder piovere sul nespolo: l’immagine traduce con la
consueta sobrietà, anche grazie all’articolata valenza simbolica del
nespolo, il senso di dolore che pervade la scena dell’addio. Il motivo
della pioggia, qui più volte direttamente o indirettamente richiamato,
diventerà tratto indelebile nel ricordo di Maruzza («le rimase quella
spina che l’aveva lasciato partire colla pioggia»). Vedi anche IX, 44.

Letteratura italiana Einaudi 123


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

cio. Poi baciò la mano al nonno e alla mamma, e abbracciò


Mena e i fratelli.
2 Così la Longa se lo vide partire sotto l’ombrello, accom-
pagnato da tutto il parentado, saltando sui ciottoli della stra-
dicciuola, ch’era tutta una pozzanghera, e il ragazzo, sicco-
me era giudizioso quanto il nonno, si rimboccò i calzoni sul
ballatoio, sebbene non li avrebbe messi più, ora che lo vesti-
vano da soldato.
3 – Questo qui non scriverà per denari, quando sarà laggiù,
pensava il vecchio; e se Dio gli dà giorni lunghi, la tira su
un’altra volta la casa del nespolo. Ma Dio non gliene diede
giorni lunghi, appunto perché era fatto di quella pasta; – e
quando giunse più tardi la notizia che era morto, alla Longa
le rimase quella spina che l’aveva lasciato partire colla piog-
gia, e non l’aveva accompagnato alla stazione.
4 – Mamma! disse Luca tornando indietro, perché gli pian-
geva il cuore di lasciarla così zitta zitta sul ballatoio, come la
Madonna addolorata; quando tornerò vi avviserò prima, e
così verrete ad incontrarmi tutti alla stazione. – E quelle
parole Maruzza non le dimenticò finché le chiusero gli
occhi; e sino a quel giorno si portò fitta nel cuore quell’altra

2. siccome... nonno: cfr. I, 4.


3. Questo qui... danari: la prima lettera di ’Ntoni (I, 15) conteneva
proprio una richiesta di denaro; ma tutta la scena della partenza va letta
in rapporto a quella di ’Ntoni del capitolo I, 11 (il rapporto del resto è
esplicitamente suggerito: «Stavolta», «Questo qui»). I tratti distintivi
accentuano le differenze fra i due personaggi: al bacio e all’abbraccio ai
familiari da parte di Luca, si oppone il saluto di ’Ntoni rivolto unica-
mente a Sara. – giorni lunghi: ‘lunga vita’; il sintagma compare nel pro-
verbio: «Omu poviru e mischinu havi li jorna longhi» (Pitrè, I, p. 269).
– la notizia che era morto: la prolessi accentua le tonalità patetiche della
scena: i gesti e le parole, alla luce di questa informazione, perdono quel
carattere di quotidianità che sembravano assumere, per diventare paro-
le e gesti definitivi. Vedi anche XI, 26.
4. come la Madonna addolorata: cfr. IV, 21. – per spazzar via i trucio-
li: l’immediatezza del dettaglio contrasta col tono mestamente elegiaco
della parte che precede e prelude al radicale mutamento di registro
della successiva scena di corteggiamento.

Letteratura italiana Einaudi 124


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

spina che il suo ragazzo non assisteva alla festa che si fece
quando misero di nuovo in mare la Provvidenza, mentre
c’era tutto il paese, e Barbara Zuppidda s’era affacciata colla
5 scopa per spazzar via i trucioli. – Lo faccio per amor vostro;
aveva detto a ’Ntoni di patron ’Ntoni; perché è la vostra
Provvidenza.
– Voi colla scopa in mano sembrate una regina: rispose
’Ntoni. – In tutta Trezza non c’è una brava massaia come
voi!
– Ora che vi portate via la Provvidenza non ci verrete più
da questa parti, compare ’Ntoni.
– Sì che ci verrò. E poi per andare alla sciara questa è la
strada più corta.
– Ci verrete per vedere la Mangiacarrubbe, che si mette
alla finestra quando passate.
– La Mangiacarrubbe gliela lascio a Rocco Spatu, ché ci
ho altro pel capo.
– Chissà quante ce ne avete in testa, delle belle ragazze di
fuori regno, non è vero?
– Qui ce n’è pure di belle ragazze, come Barbara, e lo so
io.
– Davvero?
– Per l’anima mia.
– O a voi che ve ne importa?
– Me ne importa, sì! ma ad esse non gliene importa di me,
perché ci hanno i zerbinotti che passeggiano sotto le fine-
stre, colle scarpe inverniciate.
– Io non le guardo nemmeno, le scarpe inverniciate, per
la Madonna dell’Ognina! La mamma dice che le scarpe

5. di fuori regno: ‘del continente’, con locuzione popolare. – scarpe


inverniciate: chiara allusione a don Silvestro (cfr. IV, 17). – rocca: arne-
se a forma di canna su cui si avvolge la lana da filare (cfr. II, 16). – fare
una commedia: cfr. XIII, 74.

Letteratura italiana Einaudi 125


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

inverniciate son fatte per mangiarci la dote e ogni cosa; e


qualche bel giorno vuole uscire fuori sulla strada, colla
rocca in mano, a fare una commedia con quel don Silvestro,
se non mi lascia in pace.
– Che lo dite sul serio, comare Barbara?
– Sì, davvero!
– Questa cosa mi piace! disse ’Ntoni.
– Sentite, andateci il lunedì alla sciara, quando mia madre
va alla fiera.
– Al lunedì il nonno non mi lascerà pigliar fiato, ora che
mettiamo in mare la Provvidenza.
6 Appena mastro Turi disse che la barca era in ordine,
padron ’Ntoni venne a pigliarsela con i suoi ragazzi, e tutti
gli amici, e la Provvidenza, mentre camminava verso la mari-
na, barcollava sui sassi come avesse il mal di mare, in mezzo
alla folla.
– Date qua! gli gridava più forte di tutti compare
Zuppiddu; ma gli altri sudavano e gridavano per spingerla
sui regoli; quando la barca inciampava nei sassi. – Lasciate
fare a me; se no me la piglio in braccio come una bambina,
e ve la metto nell’acqua tutta in una volta.
– Compare turi è capace di farlo, con quelle braccia! dice-
vano alcuni. – Oppure, – Adesso i Malavoglia si mettono di
nuovo a cavallo.
– Quel diavolo di compare Zuppiddu ci ha le fate nelle
mani! esclamavano. Guardate come l’ha ridotta, che prima
sembrava una scarpaccia vecchia addirittura!
7 E davvero adesso la Provvidenza sembrava tutt’altra cosa,

6. regoli: rulli che permettono di far scivolare la barca in mare. – ha


le fate nelle mani: ‘è un abile artigiano’; cfr. XII, 7: «mani benedette».
– scarpaccia vecchia: cfr. I, 2.
7. colla barba.. bambagia: ‘sembrava soffice come fosse vera’.
Corregge in A: «colla barba bianca che andava pel mare col mantello»,
che richiamava un elemento tradizionale dell’iconografia del santo, il
mantello cioè che San Francesco di Paola stese sul mare per permette-

Letteratura italiana Einaudi 126


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

lucente della pece nuova, e con quella bella fascia rossa


lungo il bordo, e sulla poppa il San Francesco con la barba
che sembrava di bambagia, talché persino la Longa si era
riconciliata con la Provvidenza, da quando era tornata senza
suo marito, e aveva fatto la pace per paura, ora che era venu-
to l’usciere.
– Viva San Francesco! gridava ognuno come vedeva pas-
sare la Provvidenza, e il figlio della Locca gridava più forte
degli altri, per la speranza che adesso padron ’Ntoni pren-
8 desse a giornata anche lui. Mena si era affacciata sul balla-
toio, e piangeva un’altra volta dalla contentezza, e fin la
Locca si alzò e andò con la folla anche lei, dietro i
Malavoglia.
– O comare Mena, questa dev’essere una bella giornata
per voi altri: le diceva Alfio Mosca dalla sua finestra dirim-
petto; dev’essere come quando potrò comprare il mio mulo.
– E l’asino lo venderete?
– Come volete che faccia? Io non sono ricco come Vanni
Pizzuto; se no, in coscienza, non lo venderei.
– Povera bestia!
– Se avessi a dar da mangiare a un’altra bocca prenderei
moglie, e non starei solo come un cane! disse Alfio ridendo.
Mena non sapeva che dire, ed Alfio aggiunse poi:
– Ora che ci avete in mare la Provvidenza, vi mariteranno
con brasi Cipolla.

re ai naufraghi il passaggio dello stretto di Messina. – riconciliata colla


Provvidenza: cfr. V, 21: «[...] non voleva più vedere la Provvidenza fin-
chè ci aveva gli occhi aperti». – Viva San Francesco! : di Paola, protet-
tore dei marinai. Il ritorno in mare della Provvidenza assume i toni della
festa religiosa cui partecipa tutto il villaggio.
8. il mio mulo: corregge in A: «un mulo, da mettere al carro in luogo
dell’asino»; evidente l’acquisto: l’uso dell’articolo determinativo e la
soppressione della precisazione esplicativa rivelano infatti la volontà di
riconnettersi al precedente dialogo fra Alfio e Mena (cfr. V, 16), che
continua quindi come se il tempo non fosse trascorso, col ricorso ai
medesimi elementi simbolici (cfr. l’asino come mediatore d’amore e
l’acquisto del mulo come segno di un miglioramento della condizione
sociale). – Piana: la Piana di Catania. – alla ferrovia: «fra il 1863 e il

Letteratura italiana Einaudi 127


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

– Il nonno non mi ha detto nulla.


– Ve lo dirà dopo. Ancora c’è tempo. Da ora a quando vi
mariterete chissà quante cose succederanno, e per quali
strade andrò col mio carro! Mi hanno detto che alla Piana,
di là della città, c’è da lavorare per tutti alla ferrovia.
– Ora la Santuzza s’è intesa con massaro Filippo, pel
mosto nuovo, e non avrò più nulla da far qui.
9 Padron Cipolla invece, malgrado che i Malavoglia si fos-
sero messi di nuova a cavallo, continuava a scrollare il capo,
e andava sentenzionando che era un cavallo senza gambe;
lui lo sapeva dove erano le magagne, nascoste sotto la pece
nuova.
Una Provvidenza rattoppata! – sogghignava lo speziale –
sciroppo d’altea, e mucillagine di gomma arabica, come la
Monarchia costituzionale. Vedrete che gli faranno pagare
anche la ricchezza mobile, a padron ’Ntoni.
– Fin l’acqua che si beve ci fanno pagare. Ora dice che
metteranno il dazio sulla pece. Per questo padron ’Ntoni si
è affrettato a far allestire la sua barca; con tuttoché mastro
Turi Zuppiddu avanza ancora cinquanta lire da lui.
– Chi ha avuto giudizio è stato lo zio Crocifisso, che ha
venduto a Piedipapera il credito dei lupini.
– Ora, se la ruota non gira pei Malavoglia, la casa del
nespolo se la piglia Piedipapera; e la Provvidenza torna da
compare Turi.

1870 fu costruita la linea ferroviaria Catania-Leonfonte, che attraversa-


va i terreni deserti e malarici della Piana di Catania» (Luperini).
9. sentenziando: cfr. II, 5: «Piedipapera non poteva soffrire quello
sputasentenze di padron Cipolla». – Una Provvidenza rattoppata!: sem-
pre lo speziale: «Bella provvidenza, eh!» (III, 17). – sciroppo... arabica:
qui, con ostentato tecnicismo, per ‘farmaci senza particolari proprietà
curative’, palliativi inutili quindi come la monarchia costituzionale, per
il repubblicano don Franco (l’altea è una pianta medicinale delle mal-
vacee; la mucillaggine è una sostanza viscosa che si ricava dalle radici e
dai semi di alcune piante; la gomma arabica viene usata come collante).
– ricchezza mobile: imposta introdotta nel gennaio del 1864.

Letteratura italiana Einaudi 128


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

10 Intanto la Provvidenza era scivolata in mare come un’ani-


tra, col becco in aria, e ci sguazzava dentro, si godeva il fre-
sco, dondolandosi mollemente nell’acqua verde, che le col-
pettava attorno ai fianchi, e il sole le ballava sulla vernice.
Padron ’Ntoni, se la godeva anche lui, colle mani dietro la
schiena e le gambe aperte, aggrottando un po’ le ciglia,
come fanno i marinai quando vogliono vederci bene anche
al sole, che era un bel sole d’inverno, e i campi erano verdi,
11 il mare lucente, e il cielo turchino che non finiva mai. Così
tornano il bel sole e le dolci mattine d’inverno anche per gli
occhi che hanno pianto, e li hanno visti del color della pece;
e ogni cosa si rinnova come la Provvidenza, che era bastata
un po’ di pece e di colore, e quattro pezzi di legno, per farla
tornare nuova come prima, e chi non vede più nulla sono gli
occhi che non piangono più, e sono chiusi dalla morte.
12 – Compare Bastianazzo non poté vederla questa festa!

10. Intanto la Provvidenza… mollemente: l’impiego del medesimo


ambito metaforico richiama la scena della partenza nel capitolo I, 25:
«la Provvidenza si dondolava [...] come un’anitroccola»). Simili anche
gli auspici positivi suggeriti dallo sfondo lieto, ma nel ciclico, e quasi
immutato, riproporsi degli eventi, più forte si avverte l’assenza di chi
«non vede più nulla». Cfr. sul motivo specifico (ma tutto il saggio è
ricco di osservazioni stimolanti) G. Guglielmi, Il mito nei «Malavoglia»,
in Ironia e negazione, Einaudi, Torino 1974, pp. 83-84. – colpettava: cfr.
II, 11.
11. le dolci mattine d’inverno: corregge in A: «i bei giorni» ➝ «le
belle mattine». – del color della pece: quest’immagine di forte rilievo
(racchiusa tra l’altro nella misura del settenario e poco oltre chiastica-
mente ripresa con accezione propria in «era bastata un po’ di pece e di
colore»), segna la dolorosa negatività di esperienze passate, in una for-
mulazione in sintonia coi pensieri di padron ’Ntoni e di Maruzza.
Significativa la correzione in A, dove il sintagma sostituisce un prece-
dente: «foschi e tristi».
12. orditoio: il cilindro su cui si avvolge l’ordito. – regoli… traverse:
parti della struttura di sostegno del telaio. – glieli: in Treves ’81: «glie-
le», che è lezione anche di A, dove però è conseguenza di una corre-
zione non completata: la precedente concordanza al femminile «gliele
aveva fatte tutte», quindi solo con l’ultimo dei due elementi («traver-
se»), viene parzialmente corretta («fatti tutti»), tralasciando però «glie-

Letteratura italiana Einaudi 129


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

pensava fra di sé comare Maruzza andando innanzi e indie-


tro davanti all’orditoio a disporre la trama, che quei regoli e
quelle traverse glieli aveva fatti tutti suo marito colle sue
mani, la domenica o quando pioveva, e li aveva piantati lui
stesso nel muro. Ogni cosa in quella casa parlava ancora di
lui, e c’era ancora il suo paracqua d’incerata in un cantuccio
13 e le sue scarpe quasi nuove sotto il letto. Mena, mentre
imbozzimava l’ordito, aveva il cuore nero anch’essa, pen-
sando a compare Alfio, il quale se ne andava alla Bicocca, e
avrebbe venduto il suo asino, povera bestia! ché i giovani
hanno la memoria corta, e hanno gli occhi per guardare sol-
tanto a levante; e a ponente non ci guardano che i vecchi,
quelli che hanno visto tramontare il sole tante volte.
– Ora che hanno rimesso in mare la Provvidenza, disse
infine Maruzza, vedendo la figliuola pensierosa, tuo nonno
ha ripreso ad andare con padron Cipolla; li ho visti insieme
anche stamattina dal ballatoio, davanti alla tettoia di Peppi
Naso.
– Padron Fortunato è ricco e non ha nulla da fare, e se ne
sta in piazza tutto il giorno, rispose Mena.

le» ➝ «glieli»; cfr. poco oltre: «li aveva piantati». – paracqua d’incera-
ta: ‘l’ombrello di tela cerata’ (cfr. IX, 44).
13. imbozzimava: ‘spalmava con bòzzima’, che è una sostanza collo-
sa, i filati per renderli più morbidi e fissarne la torsione. – cuore nero:
«Aviri cori niuru (‘nero’) ntra na cosa […] ‘presagir la mala ventura,
pronosticar disastri’» (Mortillaro). In A corregge: «cuore grosso»; cfr.
anche I, 23; VIII, 3. Cfr. Primavera, p. 41: «[…] forse perchè non aveva
la testa a casa, o il cuore troppo grosso [...]». Nell’abbozzo M 3 (p.
101): «si sentiva nel cuore un gran nero». – Bicocca: località nelle vici-
nanze di Catania. – a levante; e a ponente... volte: ‘al futuro e al passa-
to’, ma con immagine in consonanza con un mondo di pescatori; sep-
pure con diverso significato, cfr.: «Cui pigghia pri livanti e cui pigghia
pri punenti» (Mortillaro). Vedi inoltre V, 27: «A certe cose ci pensano
sempre soltanto i vecchi, quasi fosse stato ieri». – ci trarremo fuori dalla
stoppa anche noi: cfr. VI, 30: «Siamo sempre come i pulcini nella stop-
pa». – se le anime del Purgatorio ci aiutano: cfr. II, 36; III, 19 («pareva-
no le anime del purgatorio»). in A: «se coll’aiuto di Dio arriviamo» (cfr,
VII, 15).

Letteratura italiana Einaudi 130


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

– Sì, e suo figlio Brasi ne ha della grazia di Dio. Ora che


abbiamo la nostra barca, e i nostri uomini non dovranno
andare a giornata, ci trarremo fuori, dalla stoppa anche noi;
e se le anime del Purgatorio ci aiutano a levarci i debiti dei
lupini, si potrà cominciare a pensare alle altre cose. Tuo
nonno non ci dorme, sta tranquilla, e quanto a questo non
ve lo farà sentire che avete perso il padre, ché è come un
altro padre, lui.
14 Poco dopo arrivò padron ’Ntoni carico di reti, che pare-
va una montagna, e non gli si vedeva la faccia. – Son venu-
to a riprenderle dalla paranza, disse, e bisogna riveder le
maglie giacché domani armeremo la Provvidenza.
Perché non vi siete fatto aiutare da ’Ntoni, gli rispose
Maruzza tirando per un capo, mentre il vecchio girava in
mezzo al cortile come un arcolaio, per dipanare le reti che
non finivano più, e pareva un serpente colla coda. – L’ho
lasciato di là, da mastro Pizzuto. Povero ragazzo, ha da lavo-
rare tutta la settimana! E’ fa caldo anche in gennaio con
quel po’ di roba sulle spalle.
15 Alessi rideva del nonno, vedendolo così rosso e curvo
come un amo, e il nonno gli disse: – Guarda che qui fuori
c’è quella povera Locca; suo figlio è in piazza senza far nulla,
e non hanno da mangiare. – Maruzza mandò Alessi dalla
Locca, con quattro fave, e il vecchio, asciugandosi il sudore
colla manica della camicia, soggiunse: – Ora che ci abbiamo
la nostra barca, se arriviamo all’estate, coll’aiuto di Dio, lo
pagheremo il debito. – Ei non sapeva dir altro, e guardava
le sue reti, seduto sotto il nespolo, come se le vedesse piene.
16 – Adesso bisogna far la provvista del sale, prima che ci

14. arcolaio: strumento formato da stecche di legno che, girando su


un perno, permettono di dipanare le matasse.
16. barilotti: per conservare le acciughe dopo la salatura. – Anche
stanotte... gallina nera!: interpretato come segno di malaugurio; cfr.
Pentolaccia, p. 225: «[…] e la gallina nera, appollaiata sulla scala, non
finiva di chiocciare, come quando deve accadere una disgrazia». Vedi

Letteratura italiana Einaudi 131


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

mettano il dazio, se è vero, – andava dicendo colle mani


sotto le ascelle. Compare Zuppiddu lo pagheremo coi primi
denari, ed egli mi ha promesso che allora ci darà a credenza
la provvista dei barilotti.
– Nel canterano ci sono cinque onze della tela di Mena;
aggiunse Maruzza.
– Bravo! con lo zio Crocifisso non voglio farci più debiti,
perché non me lo dice il cuore dopo l’affare dei lupini; ma
trenta lire ce le darebbe per la prima volta che andiamo in
mare colla Provvidenza.
– Lasciatelo stare! esclamò la Longa, i danari dello zio
Crocifisso portano disgrazia! Anche stanotte ho sentito can-
tare la gallina nera!
– Poveretta! esclamò il vecchio sorridendo, al vedere la
gallina nera che passeggiava pel cortile colla coda in aria e la
cresta sull’orecchio, come se non fosse fatto suo. Essa fa
pure l’uovo tutti i giorni.
17 Allora mena prese la parola e si affacciò sull’uscio – Ce n’è
un paniere pieno, di uova, aggiunse, e lunedì, se compare
Alfio va a Catania, potete mandare a vederle al mercato.
– Sì, anche queste aiutano a levare il debito! disse padron
’Ntoni; ma voi altri dovreste mangiarvelo qualche uovo,
quando avete voglia.
– No, non ne abbiamo voglia, – rispose Maruzza, e Mena
soggiunse: – Se le mangiamo noi, compare Alfio non avrà
più da venderne al mercato; ora metteremo le uova di anitra
sotto la chioccia, e i pulcini si vendono otto soldi l’uno. Il
nonno la guardò in faccia e le disse:

anche «Figghiu di la gaddina niura (‘nera’)» riferito a chi «si crede poco
curato, e trattato da meno degli altri» (Mortillaro) e per opposizione:
«Essiri figghiu di la gaddina bianca» vale «essere il prediletto, il benia-
mino» (Nicotra). – in aria: corregge in A: «al ventaglio».
17. venderli: particolare la concordanza al maschile plurale, come
poco oltre «Se li mangiano», riferita a «uova» [ma cfr. poco oltre
«anche queste (in A: «questi») aiutano]. Cfr. anche VII, 38: «[...] non li
ha mai visti [...] cinquecento lire».

Letteratura italiana Einaudi 132


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

– Tu sei una vera Malavoglia, la mia ragazza!


18 Le galline starnazzavano nel terriccio del cortile, al sole, e
la chioccia, tutta ingrullita, colla sua penna nel naso, scute-
va il becco in un cantuccio; sotto le frasche verdi dell’orto,
lungo il muro, c’era appeso su dei piuoli dell’altro ordito ad
imbiancare, coi sassi al piede. – Tutta questa roba fa danari,
ripeteva padron ’Ntoni; e colla grazia di Dio, non ci mande-
ranno più via dalla nostra casa. «Casa mia, madre mia».
– Ora i Malavoglia devono pregare Dio e San Francesco
perché la pesca riesca abbondante, diceva intanto
Piedipapera.
– Sì, colle annate che corrono! esclamò padron Cipolla,
ché in mare ci devono aver buttato il colera anche per i
pesci!
19 Compare Mangiacarrubbe diceva di sì col capo, e lo zio
Cola tornava a parlare del dazio del sale che volevano met-
tere, e allora le acciughe potevano starsene tranquille, senza
spaventarsi più delle ruote dei vapori, che nessuno sarebbe
più andato a pescarle.
– E ne hanno inventato un’altra! aggiunse mastro Turi il
calafato, di mettere anche il dazio sulla pece. Quelli a cui
non gliene importava della pece non dissero nulla; ma lo

18. ingrullita: ‘stordita’; «[...] immobile o quasi, fra pesante e sciocca,


Toute bête?» (Verga) (il rimando è però, nella trascrizione del
Chiappelli, a «sgrullita»). Cfr. Certi argomenti, in Primavera ed altri rac-
conti, p. 69: «verso i suoi amici, che rimanevano mogi e ingrulliti»; Pane
nero, p. 303: «egli, ingrullito, rispondeva di sì col capo». – colla sua
penna nel naso: a indicare lo stato di quiete della chioccia. – ordito...
piede: l’ordito steso al sole a sbiancare, tenuto fermo dai sassi appesi
all’estremità. – «Casa mia, madre mia»: cfr. Pitrè, I, p. 217: «Casa mia,
matri mia».
19. senza spaventarsi... ruote dei vapori: cfr. II, 30: «Sono quei male-
detti vapori [...]. Cosa volete, i pesci si spaventano e non si fanno più
vedere». La costruzione «spaventarsi dalle» (Treves ’81) è probabile
conseguenza di un intervento in bozze non completato, in A infatti:
«lasciarsi spaventare dalle». – calafatare: ‘riparare’, cioè rendere imper-
meabili gli scafi, turandone con stoppa incatramata le fessure.

Letteratura italiana Einaudi 133


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Zuppiddu seguitò a strillare che egli avrebbe chiuso botte-


ga, e chi aveva bisogno di calafatare la barca poteva metter-
ci la camicia della moglie per stoppa. Allora si levarono le
20 grida e le bestemmie. In questo momento si udì il fischio
della macchina, e i carrozzoni della ferrovia sbucarono tutt’a
un tratto sul pendio del colle dal buco che ci avevano fatto,
fumando e strepitando come avessero il diavolo in corpo. –
Ecco qua! conchiuse padron Fortunato: la ferrovia da una
parte e i vapori dall’altra. A Trezza non ci si può più vivere,
in fede mia!
21 Nel villaggio successe una casa del diavolo quando vole-

20. i carrozzoni della ferrovia… fatto: «[…] il tratto ferroviario


Messina-Catania fu inaugurato nel giugno del 1866, quindi qualche
mese dopo questo episodio e oltre due anni dopo la partenza di ’Ntoni
per il servizio militare, che sarebbe avvenuta appunto in ferrovia dalla
stazione di Aci Castello» (Luperini).
21. un casa del diavolo: ‘un inferno, un putiferio’ (sulla base di A,
correggiamo Treves ’81: «un caso d. d.», come del resto faranno le suc-
cessive edizioni Treves, ad es. del 1907 e del 1919). Cfr. IX, 22; X, 50;
XIII, 23. Cfr. inoltre Guerra di santi, p. 211: «accadde un parapiglia, un
fuggi fuggi, un casa del diavolo [...]»; Il Reverendo, p. 236; Mastro-don
Gesualdo, I, III, p. 80. Impiegato anche nella forma «una casa d. d.»,
cfr. Pentolaccia, p. 224 (ma nel ms era «un casa d. d.»); Pane nero, p.
318 (corretto però in «un casa d. d.» nell’ed. 1920). – colla schiuma alla
bocca: motivo ricorrente nella raffigurazione (cfr. anche IX, 6) è la
deformazione ironica e grottesca dei personaggi, colti in atteggiamenti
da ‘rivoluzionari’, ma di una rivoluzione di paese (cfr. «le comari si
affacciarono sull’uscio colle conocchie in mano»), in cui anche le moti-
vazioni ‘ideologiche’ si riducono a pettegolezzo. Sui rapporti fra realtà
sociale rappresentata nel romanzo e fonti documentarie (soprattutto
l’Inchiesta in Sicilia di Franchetti e Sonnino, pubblicata nel 1876 e
riproposta da Vallecchi, Firenze 1974) si veda R. Luperini, Simbolo e
«ricostruzione intellettuale» nei «Malavoglia» in Simbolo e costruzione
allegorica in Verga, il Mulino, Bologna 1989. – non lo volevano… pro-
cessione: cfr. «Non vuliri ad unu mancu pri cumpagnu di prucissioni; vale
non volergli stare insieme […] ‘Non volere alcuno al giuoco de’ nòc-
cioli’, o ‘Non far con alcuno al giuoco de’ nòccioli’» (Nicotra); per
«gioco de’ nòccioli» cfr. VI, 27. – voleva… avrebbe fatto: in A: «avreb-
be voluto poi vedere come faceva la gente ( ➝ facevano gli altri)». –
che si sarebbero mangiati … : che polivalente, qui con valore consecuti-
vo. – dalla finestra... le mogli: la lezione, introdotta solo nelle bozze,

Letteratura italiana Einaudi 134


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

vano mettere il dazio sulla pece. La Zuppidda, colla schiu-


ma alla bocca, salì sul ballatoio, e si mise a predicare ch’era
un’altra bricconata di don Silvestro, il quale voleva rovinare
il paese, perché non l’avevano voluto per marito: non lo
volevano nemmeno per compagno alla processione, quel
cristiano, né lei né sua figlia! Comare Venera, quando par-
lava del marito che doveva prendere sua figlia, pareva che la
sposa fosse lei. Mastro Turi avrebbe chiuso bottega, diceva,
ma voleva vedere poi come avrebbe fatto la gente a mettere
le barche in mare, che si sarebbero mangiati per pane gli uni
cogli altri. Allora le comari si affacciarono sull’uscio colle
conocchie in mano a sbraitare che volevano ammazzarli
tutti, quelli delle tasse, e volevano dar fuoco alle loro car-
tacce, e alla casa dove le tenevano. Gli uomini, come torna-
vano dal mare, lasciavano gli arnesi ad asciugare, e stavano
a guardare dalla finestra la rivoluzione che facevano le
mogli.
22 – Tutto perché è tornato ’Ntoni di padron ’Ntoni, segui-
tava comare Venera, ed è sempre là, dietro le gonnelle di
mia figlia. – Ora gli danno noia le corna, a don Silvestro.

accentua il distacco ironico del narratore, già parzialmente presente in


A: «sull’uscio» ➝ «sull’uscio tutto il paese che era in rivoluzione dal
gridare che facevano le comari».
22. mastro Callà: il sindaco, mastro Croce Callà (in Treves ’81 erro-
neamente «Cola», ma in A: «Callà»). – l’ha visto: il motivo della cecità
riferito allo «spione del villaggio» viene a più riprese sfruttato ironica-
mente (cfr. ad es. poco oltre: «quel becco dello zio Santoro non vede
nulla»). – Giufà: cfr. II, 29. – il fatto mio: cfr. VI, 47. – che sono... por-
cherie: cfr. IV, 22. – coteste teste di pesce della malannata: la marcata sot-
tolineatura allitterativa, anticipata da «fargli festa a tutte» e accentuata
da una persistente assonanza, e la specificazione finale dal sapore di
un’imprecazione liberatoria traducono l’animosità tutta verbale della
Zuppidda. È un’espressività che si realizza appieno solo nelle bozze
(forse anche con riferimento al proverbio: «Di la testa feti la pisci»
Pitrè, II, p. 337), e che è possibile seguire in A nella sua progressione:
«cotesti consiglieri della malannata» ➝ «cotesti capi d. m.» ➝
«coteste teste d. m.».

Letteratura italiana Einaudi 135


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Infine se non lo vogliamo, cosa pretende? Mia figlia è roba


mia, e possa darla a chi mi pare e piace. Gli ho detto di no
chiaro e tondo a mastro Callà, quand’è venuto a fare l’am-
basciata in persona, l’ha visto anche lo zio Santoro. Don
Silvestro gli fa fare quel che vuole, a quel Giufà del sindaco;
ma io me ne infischio del sindaco e del segretario. Ora cer-
cano di farci chiudere bottega perché non mi lascio mangia-
re il fatto mio da questo e da quello! Che razza di cristiani,
eh? perché non l’aumentano sul vino il loro dazio? o sulla
carne, che nessuno ne mangia? ma questo non piace a mas-
saro Filippo, per amore della Santuzza, che sono in peccato
mortale tutto e due, e lei porta l’abitino di Figlia di Maria
per nascondere le sue porcherie, e quel becco dello zio
Santoro non vede nulla. Ognuno tira l’acqua al suo mulino,
come compare Naso, che è più grasso dei suoi maiali! Belle
teste che abbiamo! Ora vogliamo fargli la festa a tutte cote-
ste teste di pesce della malannata.
23 Mastro Turi Zuppiddu si dimenava sul ballatoio colla
malabestia e il patarasso in pugno, che voleva far sangue, e
non l’avrebbero trattenuto nemmen colle catene. La bile

23. malabestia: cfr. III, 4. – patarasso: propriamente nell’attrezzatura


navale indica ciascuno dei canapi che sostengono gli alberi; qui più pro-
babilmente lo scalpello, detto anche calcastoppa, per inserire la stoppa
nelle commessure delle barche. – La bile: corregge in A, con ricerca di
maggior espressività: «La collera» ➝ «L’indignazione». – colla pisto-
la... pancia: i moduli rappresentativi e gli epiteti fissi dei personaggi,
contestualizzandosi, assumono di volta in volta connotazioni più speci-
fiche; in questo caso la pistola (cfr. II, 33) si trasforma, nell’ottica di don
Franco, nell’inutile ostentazione di forza da parte di un potere che sta
per essere sopraffatto. – mettersi in collera: qui ‘eccitarsi vicendevol-
mente’, ma la locuzione compare anche in VIII, 18 («fingeva di mettersi
in collera»), col senso più generico di ‘adirarsi ; cfr. «Fingiri di mèntiri-
si ’ncôlira, ‘mostrare di essere adirato» (Nicotra). – il quale predicava...
sopra: cfr. II, 8. – casa nuova bisognava fare: ci voleva un mutamento
radicale, l’instaurazione cioè della repubblica; da notare la posticipa-
zione del predicato con scoperta mimesi del parlato siciliano (cfr.
Roblfs, § 981). – aveva ad essere: ‘doveva’; per avere costruito con a +
infinito cfr. Rohlfs, § 710.

Letteratura italiana Einaudi 136


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

andava gonfiandosi da un uscio all’altro come le onde del


mare in burrasca. Don Franco si fregava le mani, col cap-
pellaccio in capo, e diceva che il popolo levava la testa; e
come vedeva passare don Michele, colla pistola appesa sulla
pancia, gli rideva sul naso. Anche gli uomini, a poco a poco,
s’erano lasciati riscaldare dalle loro donne, e si cercavano
l’un l’altro per mettersi in collera; e perdevano la giornata a
stare in piazza colle mani sotto le ascelle, e la bocca aperta,
ad ascoltare il farmacista il quale predicava sottovoce, per-
ché non udisse sua moglie che era di sopra, di fare la rivo-
luzione, se non erano minchioni, e non badare al dazio del
sale o al dazio della pece, ma casa nuova bisognava fare, e il
24 popolo aveva ad essere re. Invece certuni torcevano il muso
e gli voltavano le spalle, dicendo: – Il re vuol essere lui. Lo
speziale è di quelli della rivoluzione, lui, per affamare la
povera gente! E se ne andavano piuttosto all’osteria della
Santuzza, dove c’era buon vino che scaldava la testa e com-
pare Cinghialenta e Rocco Spatu facevano per dieci. Ora
che si ricominciava la canzone delle tasse si sarebbe parlato
nuovamente di quella del pelo, come la chiamavano la tassa
sulle bestie da soma, e di aumentare il dazio sul vino. –
Santo diavolone! stavolta andava a finir male, per la madon-
25 na!

24. quella del pelo… da soma: la messa in evidenza del valore gerga-
le dell’espressione tramite il corsivo e la presenza della didascalia espli-
cativa segnano la presa di distanza del narratore, che riveste in questo
caso il ruolo di narratore esterno, in contraddizione con una tendenza
correttoria ormai consolidata (cfr. ad es. I, 1). Corregge in A: «quella
del pelo, che la chiamavano così la tassa».
25. portava il rasoio in tasca: come mezzo di difesa (vedi VII, 32); cfr.
inoltre VI, 5: «Io le mie devozioni so dirmele con questo qui! diceva
Pizzuto mostrando il rasoio per non darsi per vinto». Coloro che in
questa giornata partecipano alla ‘sommossa’ fanno ricorso agli stru-
menti del proprio lavoro trasformati in armi potenziali, esibite o, come
in questo caso, nascoste: dalle conocchie delle comari, alla malabestia e
al patarasso del calafato, al rasoio del barbiere. Questo vale anche, sep-
pure con diversa sfumatura, per coloro che si tengono in disparte:

Letteratura italiana Einaudi 137


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Il vino buono faceva vociare, e il vociare metteva sete,


intanto che non avevano aumentato il dazio sul vino; e quel-
li che avevano bevuto levavano i pugni in aria, colle maniche
della camicia rimboccate, e se la prendevano persin colle
mosche che volavano.
– Questa è come una festa per Santuzza! dicevano. Il
figlio della Locca, il quale non aveva denari per bere, grida-
va lì fuori dell’uscio che voleva farsi ammazzare piuttosto,
ora che lo zio Crocifisso non lo voleva più nemmeno a
mezza paga, per quel suo fratello Menico che s’era annega-
to coi lupini. Vanni Pizzuto aveva anche chiuso la bottega,
perché nessuno andava più a farsi radere, e portava il rasoio
in tasca, e vomitava improperi da lontano, e sputava addos-
so a coloro che se ne andavano pei fatti loro, coi remi in
26 collo, stingendosi nelle spalle.
– Quelli sono carogne, che non gli importa un corno della
patria! sbraitava don Franco, tirando il fumo della pipa
come se volessero mangiarsela. Gente che non muoverebbe
un dito pel suo paese.
– Tu lasciali dire! diceva padron ’Ntoni a suo nipote, il
quale voleva rompere il remo sulla testa a chi gli dava della
carogna: colle loro chiacchiere non ci danno pane, né ci
27 levano un soldo di debito dalle spalle.
Lo zio Crocifisso, il quale era una di quelli che badano ai
fatti propri, e quando gli cavavano sangue colle tasse si
masticava la sua bile dentro di sé, per paura di peggio, ades-
so non si faceva vedere più in piazza, addossato al muro del
campanile, ma stava rintanato in casa al buio, a recitare
paternostri e avemarie per digerire la collera contro quelli
che strillavano, ed era gente che voleva mettere a sacco e a
fuoco il paese, e andare a svaligiare chi ci aveva quattro soldi

«andavano pei fatti loro, coi remi in collo» (ma poco dopo a caratteriz-
zare l’esuberanza di ’Ntoni: «[...] voleva rompere il remo sulla testa
[...]»).
27. addossato al muro del campanile: cfr. IV, 2.

Letteratura italiana Einaudi 138


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

in casa. – Lui ha ragione, dicevano in paese, perché dei soldi


deve averne a palate. – Ora ci ha pure le cinquecento lire dei
28 lupini che gli ha dato Piedipapera!
Ma la Vespa, la quale aveva tutta la sua roba al sole, e non
temeva che gliela rubassero, andava gridando per lui, colle
mani in aria, nera come un tizzone, e coi capelli al vento, che
suo zio se lo mangiavano vivo ogni sei mesi, colla fondiaria,
e voleva cavargli gli occhi colle sue mani all’esattore, se tor-
nava da suo zio. – Adesso ella ronzava continuamente da
comare Grazia, dalla cugina Anna e dalla Mangiacarrubbe,
ora con un pretesto ed ora con un altro, per vedere come se
la intendessero compare Alfio colla Sant’Agata, ed avrebbe
voluto annichilire la Sant’Agata con tutti i Malavoglia; per-
ciò andava dicendo che non era vero che Piedipapera non le
aveva mai possedute cinquecento lire, e i Malavoglia aveva-
no sempre sul collo i piedi di suo zio Crocifisso, il quale
poteva schiacciarli come formiche, tanto era ricco, ed ella
aveva avuto torto a dirgli di no, pei begli occhi di uno il
quale non ci aveva che un carro da asino, mentre lo zio
Crocifisso le voleva bene come alla pupilla degli occhi suoi,
sebbene in quel momento non volesse aprirle l’uscio, per
29 timore che gli entrassero a fare sacco e fuoco.

28. roba al sole: la chiusa; cfr. «Aviri robba a lu suli» nel senso di
«possedere beni stabili” (Mortillaro). In A: «i suoi beni al sole». – colla
fondiaria: con l’imposta sulla proprietà dei terreni; l’indicazione viene
aggiunta nelle bozze. – ronzava: in sintonia col nomignolo (cfr. analo-
gamente riferito anche ad Alfio Mosca VIII, 20). Cfr. inoltre Cavalleria
rusticana, p. 190: «i monelli gli ronzavano intorno come le mosche». –
annichilire: ‘annientare, distruggere’ (cfr. Manzoni, I promessi sposi, X,
p. 167: «La misera ascoltatrice era annichilata [...]»). – come alla pupil-
la degli occhi suoi: cfr. V, 7.
29. baccalà: seguendo A, correggiamo Treves ’81 («bacalà»). Cfr. IV,
13; VIII, 2; XIII, 79. – I pesci grossi… durante la maretta: assimilabile a
un proverbio; in bozze si completa con l’aggiunta di «durante la maret-
ta». – teste di pesce: in A sostituisce «consiglieri» (cfr. VII, 22). Cfr. inol-
tre XII, 10: «massaro Filippo e qualche altro pesce grosso». – col naso...
foglia: cfr. IV, 15.

Letteratura italiana Einaudi 139


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Chi ci aveva da perdere qualcosa, come padron Cipolla o


massaro Filippo l’ortolano, stava tappato in casa, con tanto
di catenaccio, e non metteva fuori nemmeno il naso; per
questo Brasi Cipolla si era buscato un potente ceffone da
suo padre, quando l’aveva trovato sulla porta del cortile a
guardare in piazza come un baccalà. I pesci grossi stavano
sott’acqua durante la maretta, e non si facevano vedere,
anche quelli che erano teste di pesce, e lasciavano il sindaco
30 col naso in aria a cercar la foglia.
– Non lo vedete che si servono di voi come di un buratti-
no? gli diceva sua figlia Betta coi pugni sui fianchi. Ora che
vi hanno messo nell’impiccio, vi voltano le spalle, e vi lascia-
no solo a sgambettare nel pantano; ecco quel che vuol dire
farsi menare pel naso da quell’imbroglione di don Silvestro.
– Io non mi lascio menar per il naso da nessuno! saltava
31 su Baco da seta. Il sindaco lo faccio io, e non don Silvestro.
Don Silvestro diceva invece che il sindaco lo faceva sua
figlia Betta, e mastro Croce Callà portava i calzoni per isba-
glio. Così, fra tutt’e due, il povero Baco da seta stava fra l’in-
cudine e il martello. Adesso poi che era venuta la burrasca,
e tutti lo lasciavano a strigliare quella mala bestia della folla,
non sapeva più da che parte voltarsi.
– A voi che cosa ve ne importa? gli gridava Betta. Fate

30. burattino: corregge in A: «fantoccio». – coi pugni sui fianchi: cfr.


V, 5. In A: «colle mani sui fianchi», che sostituisce: «infuriata». – nel-
l’impiccio: corregge in A: «nell’imbroglio» ➝ «nell’imbarazzo» ➝
«nel pantano», lezione quest’ultima che, resasi disponibile, viene
aggiunta poco oltre in «sgambettare nel pantano» (cfr. XI, 24). – Io non
mi lascio menare per il naso: implicito il richiamo al soprannome (cfr.
IV, 15).
31. strigliare: qui nel senso di ‘tenere a bada’; l’ambito metaforico si
giustifica con l’appellativo di «mala bestia» riferito alla folla. – da che
parte voltarsi: sostituisce in A, con l’ennesimo gioco sul nomignolo (cfr.
IV, 15): «stava a fiutare il vento per sapere da che parte voltarsi»), l’e-
quivalente, ma neutro: «cosa fare».

Letteratura italiana Einaudi 140


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

anche voi come fanno gli altri; e se non vogliono il dazio


della pece, don Silvestro ci penserà lui a trovare qualche
32 altra cosa.
Don Silvestro, invece, era più fermo; continuava ad anda-
re attorno, con quella faccia tosta; e Rocco Spatu e
Cinghialenta, come lo vedevano, rientravano in fretta nell’o-
steria per non fare uno sproposito, e Vanni Pizzuto bestem-
miava forte toccando il rasoio dentro la tasca dei calzoni.
Don Silvestro, senza badarci, andava a fare quattro chiac-
chiere collo zio Santoro, e gli metteva due centesimi nella
mano!
– Sia lodato Dio! esclamava il cieco, questo è don
Silvestro il segretario, ché nessun’altri di tutti quelli che ven-
gono qui a gridare e a pestare i pugni sulle panche fa un cen-
tesimo di limosina per le anime del Purgatorio, e vengono a
dire che vogliono ammazzarli tutti, il sindaco e il segretario;
l’hanno detto Vanni Pizzuto, Rocco Spatu, e compare
Cinghialenta. Vanni Pizzuto s’è messo a andare senza scar-
pe, per non essere conosciuto; ma io lo riconosco egual-
mente, che striscia sempre i piedi per terra, e fa levar la pol-
33 vere come quando passano le pecore.
– A voi che ve ne importa? gli diceva sua figlia, appena
don Silvestro se ne andava. Questi non sono affari nostri.
L’osteria è come un porto di mare, chi va e chi viene, e biso-
gna essere amici con tutti, e fedeli con nessuno; per questo
l’anima l’abbiamo ciascuno la sua, e ognuno deve badare ai
suoi interessi, e non far giudizi temerari contro il prossimo.

32. toccando… calzoni: cfr. VII, 25. – limosina: «voce familiare»


(Rigutini-Fanfani); cfr. Nedda, p. 17: «la solita limosina dei poveri».
33. L’osteria… chi viene: cfr. anche XIV, 4. Puntuale la ripresa man-
zoniana: «Si starebbe freschi, con tanta gente che va e viene: è sempre un
porto di mare […]» (I promessi sposi, VII, p. 117). – amici con tutti, e
fedeli con nessuno: traduzione del proverbio siciliano: «Amico cu tutti, e
confidenti (o -fidili) cu nuddu» (Pitrè, Il, p. 257). – erbabianca: cfr. VI, 26.

Letteratura italiana Einaudi 141


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Compare Cinghialenta e Spatu spendono del denaro in casa


nostra. Non dico di Pizzuto che vende l’erbabianca e cerca
di levarci gli avventori.
Don Silvestro poi andava a fermarsi dallo speziale, il quale
gli piantava la barba in faccia, e gli diceva che era tempo di
34 finirla, e buttar tutto a gambe in aria, e far casanuova.
– Volete scommettere che questa volta va a finir male?
ribatteva don Silvestro, mettendo due dita nel taschino del
farsetto per cavar fuori il dodici tarì nuovo. Non c’è tasse
che bastano, e un giorno o l’altro bisognerà finirla davvero.
S’ha a mutar registro con Baco da seta che si lascia metter la
gonnella dalla figlia, e il sindaco lo fa lei; – a Massaro
Filippo poi non gliene importa un cavolo, e padron Cipolla
aveva la superbia di non voler fare il sindaco neanche se l’ac-
coppavano. – Tutti una manica di borbonici della consorte-
ria; dei minchioni che oggi dicono bianco e domani nero, e
l’ultimo che parla ha ragione lui. La gente fa bene a strillare
con questo governo che ci succhia il sangue peggio di una
mignatta; ma i denari devono venir fuori per amore o per
35 forza. Qui ci vorrebbe un sindaco di testa e liberale come
voi.
Lo speziale allora cominciava a dire quel che avrebbe
fatto lui, e come aggiustava ogni cosa; e don Silvestro stava
ad ascoltarlo zitto ed intento che pareva fosse alla predica.
Bisognava pensare anche a rinnovare il Consiglio; padron

34. si lascia metter la gonnella: cfr. VII, 31: «mastro Croce Callà por-
tava i pantaloni per isbaglio». – consorteria: insieme di persone legate
dalla volontà di difendere i propri interessi. – mignatta: ‘sanguisuga’. –
di testa: ‘avveduto’. In una precedente versione di A: «energico».
35. che pareva fosse alla predica: «predicare» infatti è un verbo spes-
so impiegato per don Franco. In A: «al pari di un ragazzo davanti al
maestro a scuola» ➝ «che pareva fosse alla scuola». – aveva la testa
stramba: ‘era uomo di poco giudizio, agiva senza discernimento’; in A:
«testa stramba» ➝ «testa storta». Cfr. per contrasto I, 6: «testa qua-
dra». – un uomo di giudizio colui: cfr. invece I, 4. – fatto mettere... nuora:
cfr. VI, 42.

Letteratura italiana Einaudi 142


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

’Ntoni non ce lo volevano, perché egli aveva la testa stram-


ba, ed era stato causa della morte di suo figlio Bastianazzo,
– un uomo di giudizio colui, se fosse stato vivo! – poi in
quell’affare dei lupini aveva fatto mettere la mano nel debi-
36 to a sua nuora, e l’aveva lasciata in camicia. Se gli interessi
del Comune li faceva a quel modo!...
Ma intanto se la Signora si affacciava alla finestra, don
Franco cambiava discorso, e gridava: – Bel tempo, eh? –
ammiccando di nascosto a don Silvestro, per fargli capire
quel che ci aveva nello stomaco da dire. – Andate a fidarvi
di quel che vuol fare uno che ha paura della moglie! pensa-
va fra di se don Silvestro. – Padron ’Ntoni era di quelli che
si stringevano nelle spalle e se ne andavano coi remi in collo;
e al nipote, il quale avrebbe voluto correre in piazza anche
lui, a vedere quel che si faceva, gli andava ripetendo:
– Tu bada ai fatti tuoi, che tutti costoro gridano ognuno
37 pel suo interesse, e l’affare più grosso per noi e quello del
debito.
Anche compare Mosca era di quelli che badavano ai fatti
propri, e se ne andava tranquillamente, insieme al suo carro,
in mezzo alla gente che gridava coi pugni in aria. – A voi non
ve ne importa se mettono la tassa del pelo? gli domandava
Mena, come lo vedeva arrivare coll’asino tutto ansante e
colle orecchie basse. – Sì che me ne importa, ma bisogna
camminare per pagarla, la tassa; se no si pigliano il pelo con
tutto l’asino, e il carro pure.
– Dice che vogliono ammazzarli tutti, Gesummaria! Il

36. Ma intanto… discorso: cfr. II, 8. – era di quelli… collo: cfr. VII,
25: «[Vanni Pizzuto] sputava addosso a coloro che se ne andavano pei
fatti loro, coi remi al collo, stringendosi nelle spalle».
37. tranquillamente… pugni in aria: l’opposizione di «tranquilla-
mente» e «coi pugni in aria» evidenzia la totale estraneità di Alfio,
costretto in una dimensione di povertà che non ammette riscatto.

Letteratura italiana Einaudi 143


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

nonno ha raccomandato di tener la porta chiusa, e non apri-


re se non tornan loro. Voi andrete ancora via domani?
– Io andrò a prendere un carico di calce per mastro Croce
Callà!
– O cosa ci andate a fare? non lo sapete che e il sindaco,
e vi ammazzeranno anche voi?
– Egli dice che non gliene importa a lui; che fa il murato-
re, e deve allestire quel muro della vigna per conto di mas-
38 saro Filippo, e se non vogliono il dazio della pece, don
Silvestro ci penserà lui a qualche altra cosa.
– Ve l’avevo detto io ch’è tutta roba di don Silvestro!
esclamava la Zuppidda, la quale era sempre lì, a soffiare nel
fuoco, colla conocchia in mano. E’ roba di ladri e di gente
che non ha nulla da perdere, e non paga nulla col dazio della
pece, perché non ha mai avuto nemmeno un pezzo di tavo-
la in mare. – La colpa è di don Silvestro, seguitava poscia a
sbraitare di qua e di là, per tutto il paese, e di quell’imbro-
glione di Piedipapera, il quale non ha barche, e vive alle
spalle del prossimo, e tiene il sacco a questo e a quello. –
Volete saperne una? Non è vero niente che ha comprato il
credito dello zio Crocifisso! E’ tutta una finzione fra lui e
39

38. sclamava: così in Treves ’81 (unica occorrenza), ma in A: «escla-


mava». La forma aferetica, definita nel Rigutini-Fanfani «forma volga-
re», compare anche in Nedda, in Novelle, Treves, Milano 1880 ed è suc-
cessivamente mantenuta in Vita dei campi, 1897: «Nedda! Nedda la
varannisa! sclamarono parecchie». – soffiare nel fuoco: corregge in A:
«gironzare». – colla conocchia in mano: cfr. II, 16. – qua: in A e in Treves
’81: «quà». – tiene il sacco: ‘è complice’; «aiutare qualcuno nel furto, ma
estendesi anche ad altre malvage opere» (Rigutini. Fanfani). – li ha mai
visti… lire: per la concordanza, cfr. anche VII, 17.
39. lui era «cristiano»… dentro: le virgolette avvertono della partico-
lare accezione dialettale del termine; cfr. infatti: «cristianu, per antono-
masia vale per ‘Savio, Prudente, che tiene il segreto e non arretra e non
paventa’» (Mortillaro), accezione specifica confermata da un’ulteriore
citazione sempre dal Mortillaro, relativa all’immagine seguente («con
uno stomaco fondo come un pozzo»): «Aviri tantu di stomacu si suol

Letteratura italiana Einaudi 144


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Campana di legno, per spogliare quei poveretti. Piedipapera


non li ha mai visti cogli occhi cinquecento lire!
Don Silvestro, per sentire quello che dicevasi di lui, anda-
va spesso a comprare qualche sigaro all’osteria, e allora
Rocco Spatu, e Vanni Pizzuto, uscivano fuori bestemmian-
do; o si fermava a chiacchierare collo zio Santoro, tornando
dalla vigna, e così venne a sapere tutta la storia della finta
compera di Piedipapera; ma lui era «cristiano» con uno sto-
maco fondo come un pozzo, e metteva tutto là dentro. Egli
sapeva il fatto suo, e come Betta l’accoglieva colla bocca
spalancata peggio di un cane arrabbiato, e mastro Croce
Callà s’era lasciato scappare il detto che a lui non gliene
importava rispose: – Volete scommettere che ora vi pianto?
– e non si fece più vedere in casa del sindaco; così ci avreb-
bero pensato loro a cavarsi d’impiccio, e la Betta non avreb-
be potuto più dirgli sul mostaccio che voleva rovinare suo
40 padre Callà, e i suoi consigli erano quelli di Giuda, che
aveva venduto Cristo per trenta denari, e così egli voleva rie-
scire a buttar giù il sindaco pei suoi fini, e fare il gallo in

dire da chi è consapevole di certi fatti, ed avventure, che la prudenza ha


vietato di palesare. ‘Mantener segreto’». Cfr. X, 98: «è un uomo che ha
stomaco». Vedi anche G. Alfieri, Innesti cit., pp. 45-49. – dirgli sul
mostaccio: in siciliano: «Diri ’na cosa ’ntra lu mustazzu vale ‘in faccia,
alla presenza di chicchessia’ – Dire una cosa sul muso» (Nicotra). Cfr.
VIII, 12: «gli rido sul mostaccio»; X, 30 e XIII, 77: «sghignazzava sul
mostaccio»; inoltre Reverendo, p. 236: «spifferargli sul mostaccio»;
Cos’è il Re, pp. 245 e 241; Vagabondaggio, p. 471: «Al sentirsi dire quel-
la mala parola sul mostaccio». – quelli di Giuda… denari: per la simili-
tudine di ambito biblico, cfr. II, 25. – fare il gallo: ‘spadroneggiare’, ma
l’espressione ha ormai assunto anche una connotazione implicitamente
ironica (cfr. IV, 18).
40. Guardia Nazionale: corpo armato costituito a Catania a difesa
dell’ordine pubblico dopo l’arrivo di Garibaldi; anche Verga ne fece
parte dal 1860 al 1864. Cfr. Fantasticheria, p. 131: «accoccolata sul
mucchietto di sassi che barricano il vecchio posto della guardia nazio-
nale». – filando al sole: in A, con progressiva riduzione del dettaglio
descrittivo: «sotto l’atrio, che il sole di marzo cominciava ad essere pun-
gente» ➝ «cercando il sole».

Letteratura italiana Einaudi 145


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

paese. Sicché la domenica in cui doveva radunarsi il


Consiglio, don Silvestro, dopo la santa messa, andò a ficcar-
si nello stanzone del municipio, dove c’era prima il posto
della Guardia Nazionale, e si mise tranquillamente a tempe-
rare le penne, davanti alla tavola d’abete, per ingannare il
41 tempo, mentre la Zuppidda e le altre comari vociferavano
nella strada, filando al sole, e volevano strappare gli occhi a
tutti loro.
Baco da seta, come corsero a chiamarlo dal muro della
vigna di massaro Filippo, s’infilò il giubbone nuovo, si lavò
le mani, si spolverò dalla calce, ma non volle muoversi se
prima non gli chiamavano don Silvestro. Betta aveva un bel
sgridarlo, e spingerlo per le spalle fuori del l’uscio, dicen-
dogli che chi l’aveva preparata la minestra l’avrebbe man-
giata, e lui doveva lasciare fare agli altri purché lo lasciasse-
ro star sindaco. Stavolta mastro Callà aveva visto quella folla
davanti al municipio, colle conocchie in mano, e puntava i
42 piedi in terra, restìo peggio di un mulo. – Non ci vado se
non viene don Silvestro! ripeteva con gli occhi fuori della
testa; – don Silvestro lo sa trovare un ripiego.
– Il ripiego ve lo trovo io, – rispondeva Betta. Non lo
vogliono il dazio sulla pece? E voi lasciatelo stare.
– Brava! e i denari di dove si prendono?
– Di dove si prendono? Fateli pagare a chi ne ha, allo zio

41. bel sgridarlo: la forma apocopata di «bel» o «gran» davanti a ‘s’


implicata compare anche in VIII, 22: «bel strillare»; I, 13: «gran sba-
lordimento»; VII, 54 «gran stento»; XI, 35: «gran squallore». – chi l’a-
veva… mangiata: ‘doveva far fronte alla situazione chi l’aveva provoca-
ta’, cioè don Silvestro; vedi anche IX, 39: «chi aveva fatto il pasticcio se
lo mangiasse». – colle conocchie in mano: le uniche armi di questa «rivo-
luzione delle mogli» (cfr. VII, 21). – puntava i piedi in terra, restìo:
soprascritto in A, con accentuazione grottesca, su un precedente: «ed
era restìo».
42. sebbene sputi sentenze: cfr. II, 5. In A: «che fa il filosofo! » ➝
«tuttochè faccia il filosofo!» – se li teneva tutti in tasca: cfr. II, 25.

Letteratura italiana Einaudi 146


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

Crocifisso, a mo’ d’esempio, o a padron Cipolla, o a Peppi


Naso.
– Brava! se sono loro i consiglieri!
– Allora mandateli via e chiamatene degli altri; già non
saranno loro che vi faranno restare sindaco quando tutti gli
altri non vi vorranno più. Voi dovete far contenti quelli che
sono in maggior numero.
– Ecco come discorrono le donne! Quasi fossero quelli
che mi tengono su! Tu non sai nulla. Il sindaco lo fanno i
consiglieri, e i consiglieri non possono essere che quelli e
non altri. Chi vuoi che facciano? i pezzenti di mezzo alla
strada?
– Allora lasciate stare i consiglieri e mandate via il segre-
tario, quell’imbroglione di don Silvestro.
– Brava, e chi lo fa il segretario? chi lo sa fare? Tu o io, o
padron Cipolla? sebbene sputi sentenze peggio di un filo-
sofo!
Allora la Betta non seppe più che dire, e si sfogò a scari-
43 care ogni sorta d’improperi alle spalle di don Silvestro, ch’e-
ra il padrone del paese, e se li teneva tutti in tasca.
– Brava, soggiunse Baco da seta. Ecco, se non c’è lui io
non so cosa dire. Vorrei vederci te nei miei panni!
Finalmente arrivò don Silvestro, colla faccia più dura del
muro, le mani dietro la schiena, e zufolando un’arietta. – Eh,
non vi perdete d’animo, mastro Croce, che non casca il
mondo per questa volta! – Mastro Croce da don Silvestro si
lasciò menar via e metter alla tavola d’abete del Consiglio,
col calamaio davanti; ma dei consiglieri non c’erano altri che
Peppi Naso, il macellaio, tutto unto e colla faccia rossa, che
non aveva paura di nessuno al mondo, e compare Tino
Piedipapera. – Quello lì non ha nulla da perdere! vociava

43. colla faccia più dura del muro: soprascritto in A su: «crucciato
come il Messia» (per «Messia» cfr. X, 38: «aspettavano il giorno come
il Messia»). – tiene il sacco: cfr. VII, 38.

Letteratura italiana Einaudi 147


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

44 dall’uscio la Zuppidda, e ci viene per succhiare il sangue alla


povera gente, peggio di una sanguisuga, perché vive alle
spalle del prossimo, e tiene il sacco a questo e a quello per
fare le birbonate! Razza di ladri e di assassini!
Piedipapera, sebbene volesse far l’indifferente, pel deco-
ro della carica, finì col perdere la pazienza, e si rizzo sulla
gamba storta, gridando a mastro Cirino, l’inserviente comu-
nale, il quale era incaricato del buon ordine, e per questo ci
aveva il berretto col rosso quando non faceva il sagrestano:
– Fatemi tacere quella linguaccia là.
– Eh, a voi vi piacerebbe che nessuno parlasse, eh! com-
45 pare Tino?
– Come se tutti non lo sapessero il mestiere che fate, che
poi chiudete gli occhi quando ’Ntoni di padron ’Ntoni viene
a parlare con vostra figlia Barbara.
– Gli occhi li chiudete voi, becco che siete! quando vostra
moglie fa il comodino alla Vespa, la quale viene tutti i gior-
ni a mettersi sulla vostra porta per cercare Alfio Mosca, e voi
altri tenete il candeliere. Bel mestiere! Ma compare Alfio
non vuol saperne, ve lo dico io; ci ha pel capo Mena di
padron ’Ntoni, e voi altri ci perdete l’olio della lucerna, se la
Vespa ve l’ha promesso.
– Ora vengo a romperti le corna! minaccio Piedipapera, e
comincio ad arrancare dietro la tavola d’abete.

44. Si rizzò sulla gamba storta: cfr. III, 1. – linguaccia: corregge in A:


«ruffianaccia» ➝ «donnaccia».
45. fa il comodino: «dicesi quando altri, abusando della dabbenaggi-
ne d’una persona, se ne serve a comodi, a servigj poco onesti» (Rigutini-
Fanfani). – tenete il candeliere: ‘siete complici’; cfr. anche VIII, 8.
«Portare o reggere il candeliere, ‘far da mezzano in cose disoneste’»
(Rigutini-Fanfani); anche in siciliano con analoga accezione: «teniri lu
cannileri”. Corregge in A: «le fate lume» («Reggere o tenere il lume ‘aiu-
tare alcuno, senza saperlo, in qualche faccenda amorosa», Rigutini-
Fanfani), un’immagine che si legava più strettamente, ma forse con una
parvenza di registro più alto, a quella immediatamente successiva: «ci
perdete l’olio della lucerna» (‘non ne avrete un tornaconto’). – comin-
ciò ad arrancare: cfr. II, 1.

Letteratura italiana Einaudi 148


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

46 – Oggi va a finir male! borbottava mastro Croce Giufà.


– Ohè! ohè! che maniere son queste, vi par d’essere in
piazza! urlava don Silvestro. – Volete scommettere che vi
caccio fuori tutti a calci? Ora l’aggiusto io questa faccenda.
La Zuppidda non voleva sentirne affatto d’aggiustarla, e si
batteva contro don Silvestro il quale la spingeva fuori tiran-
dola pei capelli, e poi se la menò in disparte dietro il rastrel-
lo della chiusa.
– Infine che volete? le disse come furono soli, a voi che ve
ne importa se mettono il dazio sulla pece? forse che lo paga-
te voi o vostro marito? o non debbono pagarlo piuttosto
quelli che hanno bisogno di far accomodare le loro barche?
Sentite a me: vostro marito è una bestia ad essere in collera
col municipio, e a far tutto questo chiasso. Ora si devono
fare gli assessori nuovi, in cambio di padron Cipolla e di
massaro Mariano, che non valgono niente, e si potrebbe
metterci vostro marito.
– Io non ne so nulla, rispose la Zuppidda, calmatasi tutt’a
un tratto. – Io non me ne immischio negli affari di mio mari-
47 to. So che si mangia le mani dalla collera. Io non posso far
altro che andare a dirglielo, se la cosa è certa.

46. rastrello: cfr. V, 1. – Sentite a me: cfr. XII, 6. – si mangia le mani:


cfr. «XIV, 56; inoltre X, 5: «mangiarsi i gomiti».
47. stava rincantucciato... santo Dio!: ostentazione di coraggio e di
forza («gridando che gli facevano fare qualche sproposito”) che
maschera in realtà atteggiamenti da pauroso («rincantucciato», «palli-
do come un morto», «non voleva escire per tutto l’oro del mondo»);
questi i tratti distintivi del personaggio (uno «spaccamonti, un colosso,
menato pel naso dalla moglie» così lo definisce Verga negli appunti pre-
paratori), qui riproposti con marcata sottolineatura ironica, in sintonia
coi motivi ricorrenti di tutta la rappresentazione. Più neutra la primiti-
va versione in A: «stava tranquillamente a cardare della stoppa nel
fasciame di una barca e non voleva lasciare il suo mazzuolo per tutto
l’oro del mondo, e gridava che la pece non aspettava altri che lui, ad
essere spalmata».

Letteratura italiana Einaudi 149


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

– Andate a dirglielo, è certo come è certo Dio, vi dico!


Siamo galantuomini o no? santissimo diavolo!
48 La Zuppidda partì correndo a prendere suo marito, il
quale stava rincantucciato nel cortile a cardar stoppa, palli-
do come un morto, e non voleva escire per tutto l’oro del
mondo, gridando che gli facevano fare qualche sproposito,
santo Dio!
Per aprire il sinedrio, e vedere che pesci si pigliavano, ci
mancava ancora padron Fortunato Cipolla, e massaro
Filippo l’ortolano, i quali non spuntavano mai, sicché la
gente incominciava ad annoiarsi, tanto che le comari s’era-
no messe a filare lungo il muricciuolo della chiesa.
Infine mandarono a dire che non venivano perché aveva-
no da fare; e il dazio, se volevano, avrebbero potuto metter-
lo senza di loro. – Il discorso di mia figlia Betta tale e quale!
brontolava mastro Croce Giufà.
49 – Allora fatevi aiutare da vostra figlia Betta! esclamò don
Silvestro. Baco da seta non fiatò più e continuò a masticarsi
fra i denti il suo brontolìo. – Ora, disse don Silvestro, vedre-

48. sinedrio: la riunione del consiglio comunale, ma con allusione al


principale tribunale degli antichi Ebrei; in serie con le frequenti imma-
gini di ambito sacrale-religioso; nell’uso comune «suol dirsi più spesso
ironicamente per ‘adunanza di gente di qualità, ma d’animo e di pro-
positi non buoni’» (Rigutini-Fanfani); «un conciliabolo» (Petrocchi).
Vedi anche X, 98. – ci mancava: così Treves ’81, con concordanza ad
sensum; ma in A: «ci mancavano». Cfr. I, 20: «se la mangiava inutil-
mente il sole e l’acqua»; X, 28: «arrivò correndo don Michele, Rocco
Spatu, Vanni Pizzuto...»; XIII, 36: «Là veniva anche a stirarsi le braccia
Rocco Spatu, e Vanni Pizzuto [...] ed anche Piedipapera»; XV, 27:
«quando non ci sarà in casa la Mena e Alessi».
49. leste leste: corregge nelle bozze, con evidente sottolineatura iro-
nica, la lezione di A: «ad una ad una»; basta infatti l’annuncio del mez-
zogiorno («in questo mentre era suonato mezzogiorno» in A è aggiun-
ta interlineare) a disperdere rapidamente il gruppo delle comari più
accanite, protagoniste di una «rivoluzione» che si spegne, com’era ini-
ziata, nel pettegolezzo («chiacchierando degli improperi che s’erano
detti Piedipapera e la Zuppidda»).

Letteratura italiana Einaudi 150


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

te che i Zuppiddi verranno loro stessi a dire che mi danno


la Barbara, ma voglio farmi pregare, io.
La seduta fu sciolta senza concludere nulla. Il segretario
voleva un po’ di tempo per prendere lume; in questo men-
50 tre era suonato mezzogiorno e le comari se n’erano andate
leste leste. Le poche che erano rimaste, come videro mastro
Cirino chiudere la porta e mettersi la chiave in tasca, se ne
andarono anch’esse pei fatti loro di qua e di là, chiacchie-
rando degli improperii che s’erano detti Piedipapera e la
Zuppidda.
La sera ’Ntoni di padron ’Ntoni seppe quelle chiacchiere,
e sacramento! voleva fargli vedere che era stato soldato, a
Piedipapera! Lo incontrò giusto che veniva dalla sciara vici-
51 no alla casa dei Zuppiddi, con quel suo piede del diavolo, e

50. sacramento… era stato soldato: anche qui, come nei capitoli V, 27
e VI, 5, l’irruenza e la spavalderia di ’Ntoni sono accostate all’esperien-
za del servizio militare. – con quel suo piede del diavolo: cfr. II, 29.
Richiamato, poco oltre, da «ne sapeva più del diavolo» (c. 51).
Corregge in A: «che andava a gironzare sempre da quelle parti».
51. Alle grida... si azzuffarono: la presenza degli spettatori rende ine-
vitabile lo scontro (opportunamente Guglielmino fa notare a questo
proposito la particolarità del nesso causale-consecutivo stabilito dalla
congiunzione «sicchè»), «lo esige l’etica locale, la difesa del prestigio e
dell’onore alla quale ognuno dei due è tenuto». Dimensione questa
progressivamente raggiunta in A, dove la prima versione dell’intero
passaggio è ridotta a: «Così si azzuffarono»; quindi: «Alle grida la gente
si era affacciata sugli usci, sicchè si azzuffarono», cui viene aggiunto,
infine, per accentuare il tratto fondamentale ormai individuato della
presenza di un pubblico che condiziona le reazioni dei personaggi: «e
si era radunata una gran folla». – avvoltolarono nel fango: l’ambito
metaforico animalesco (cfr. Nedda, p. 12: «in una pozzanghera dove
s’avvoltolavano voluttuosamente dei maiali»), rafforzato poco oltre da
«mordendosi come i cani di Peppi Naso» (correzione in A su «m. come
due cani gelosi»), offre la chiave di lettura dell’intero passaggio: non
episodio marginale, ma tessera significativa nella rappresentazione del
progressivo pervertimento di ’Ntoni (vedi anche VI, 5), che in una sorta
di climax raggiungerà il culmine col ferimento di don Michele (cfr. XIV,
30). – come Lazzaro: il Petrocchi riporta «Pare un San Lazzaro»nel
senso di «molto malconcio e piagato». Per l’ambito della metafora, vedi
II, 25.

Letteratura italiana Einaudi 151


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

comincio a dirgli il fatto suo, che era una carogna, e si guar-


dasse bene dal dir male dei Zuppiddi e di quel che faceva-
no, che lui non ci aveva nulla a vedere. Piedipapera non
aveva la lingua in tasca. – O che ti pare che sei venuto da
lontano a fare lo spaccamontagne, qui?
– Son venuto a rompervi le corna, se aggiungete altro. –
Alle grida la gente si era affacciata sugli usci, e si era radu-
nata una gran folla; sicché si azzuffarono perbene, e
Piedipapera, il quale ne sapeva più del diavolo, si lascio
cadere a terra tutto in un fascio con ’Ntoni Malavoglia, che
52 così non valevano a nulla le gambe buone, e si avvoltolaro-
no nel fango, picchiandosi e mordendosi come i cani di
Peppi Naso, tanto che ’Ntoni di padron ’Ntoni dovette fic-
carsi nel cortile dei Zuppiddi, perché aveva la camicia tutta
stracciata, e Piedipapera lo condussero a casa insanguinato
come Lazzaro.
– Sta a vedere! strepitava ancora comare Venera, dopo
che ebbero chiusa la porta sul naso ai vicini, sta a vedere che
in casa mia non sono padrona di fare quello che mi pare e
piace. Mia figlia la do a chi vogl’io.
La ragazza, tutta rossa, s’era rifugiata in casa, col cuore
53 che gli batteva come un pulcino.
– Ti ha mezzo strappata quest’orecchia! diceva compare
Turi versando adagio adagio dell’acqua sulla testa di ’Ntoni.
Morde peggio di un cane corso, compare Tino!
’Ntoni aveva ancora il sangue agli occhi, e voleva fare un
precipizio.
– Sentite, comare Venera, disse allora davanti a tutto il
mondo, per me se non mi piglio vostra figlia non mi marito

52. cane corso: «designa una specie di cani assai grossi e feroci»
(Rigutini-Fanfani). Il sintagma è attestato anche nel Mortillaro. Tutta
l’espressione («Morde peggio di un cane corso») sostituisce in A un ben
più neutro: «Guarda che morso!» – precipizio: qui nel senso di ‘spro-
posito’.
53. Vittorio Emanuele: cfr. II, 16.

Letteratura italiana Einaudi 152


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo settimo

54 più. – E la ragazza sentiva dalla camera. – Questi non son


discorsi da farsi ora, compare ’Ntoni; ma se vostro nonno
dice di sì, io per me non vi cambio per Vittorio Emanuele.
– Compare Zuppiddu intanto stava zitto e gli dava un pezzo
di salvietta per asciugarsi; dimodoché ’Ntoni quella sera se
ne andò a casa tutto contento.
Ma i poveri Malavoglia, come avevano saputo della sua
rissa con Piedipapera, si aspettavano di momento in
momento l’usciere che venisse a scacciarli dalla casa, giac-
ché Pasqua era lì vicina, e dei denari del debito, a gran sten-
to, ne avevano raccolto appena una metà.
– Vedi quel che vuol dire bazzicare dove ci son ragazze da
marito! diceva a ’Ntoni la Longa. Ora tutta la gente parla
dei fatti vostri. E mi dispiace per la Barbara.
– Ed io me la piglio! disse allora ’Ntoni.
– Te la pigli? esclamò il nonno. – Ed io chi sono? e tua
madre non conta per nulla? Quando tuo padre prese
55 moglie, ed è quella che vedi là, me lo fece dire a me prima.
– Allora viveva tua nonna, e venne a parlarmene nell’orto,
sotto il fico. Ora non si usano più queste cose, e i vecchi non
servono a nulla. Un tempo si soleva dire «ascolta i vecchi e
non la sbagli». Prima deve maritarsi tua sorella Mena; lo sai
questo?
– Maledetta la mia sorte! cominciò a gridare ’Ntoni strap-
pandosi i capelli e pestando i piedi. Tutto il giorno a lavora-
re! all’osteria non ci vado! e in tasca non ho mai un soldo!
Ora che mi son trovata la ragazza che mi ci vuole, non posso
prenderla. Perché son tornato dunque da soldato?

54. a gran stento: per la forma apocopata cfr. VII, 41. – «ascolta i vec-
chi e non la sbagli»: cfr. Pitrè, II, p. 292: «Ascuta a li vecchi, ca ’un cci la
sgarri». – Prima... Mena: l’espressione, ricreata sulla struttura del pro-
verbio, di cui mantiene l’autorevolezza nella fissità della formula (cfr.
VIII, 2; IX, 5; X, 37; XII, 21) rappresenta una manifestazione di quel-
la legge degli antichi a cui ’Ntoni si sente ormai sempre più estraneo.
55. Mio fratello... soldato!: la battuta finale chiude circolarmente il
capitolo, che si era aperto con la scena dell’addio di Luca, e anticipa
l’avvio del successivo.

Letteratura italiana Einaudi 153


VIII

1 Luca, poveretto, non ci stava né meglio né peggio; faceva


il suo dovere laggiù, come l’aveva fatto a casa sua, e si con-
tentava. Non scriveva spesso, è vero – i francobolli costava-
no venti centesimi – né aveva ancora mandato il ritratto,
perché da ragazzo lo canzonavano che aveva le orecchie d’a-
sino; e invece di tanto in tanto metteva nella lettera qualche
biglietto da cinque lire, che trovava modo di buscarsi ser-
vendo gli ufficiali.
2 Il nonno aveva detto: «Prima deve maritarsi la Mena».
Ancora non ne parlava, ma ci pensava sempre, e adesso che

1. Luca… peggio: cfr. VII, 55: «Mio fratello Luca sta meglio di me a
fare il soldato!» Particolare impiego del procedimento della concatena-
zione fra capitoli (vedi ad es. anche IV, 1; X, 1; XI, 1; XIII, 1; XIV, 1;
XV, 1), che si realizza nel caso particolare tramite un legame ancora più
stretto fra le parti; per una piena comprensione del testo, infatti, il rin-
vio alla fine del capitolo precedente diventa qui indispensabile. – «Non
scriveva… ufficiali: chiari richiami che segnano il contrasto col com-
portamento di ’Ntoni: cfr. «[...] arrivò da Napoli la prima lettera [...]»
(I, 15); «Ma dopo un po’ di tempo ’Ntoni aveva pescato un camerata
che sapeva di lettere, e si sfogava a lagnarsi [...]» (I, 18); «’Ntoni aveva
mandato anche il suo ritratto» (I, 17); «Mandiamogli dei soldi per com-
prarsi le pizze […]» (I, 15); «[...] avrebbe voluto non far più niente [...]
se non fosse stato per quei cani di superiori» (V, 24).
2. «Prima... Mena»: cfr. VII, 54. – far torto: ‘venir meno’; sull’es. di
«Far torto a sè. ‘Mancare al proprio decoro, dignità, onore’»
(Petrocchi). – come un baccalà che era: cfr. IV, 13: «da veri baccalà che
erano»; VII, 29. – «L’uomo... corna»: l’uomo si lega per la parola data,
il bue per le corna; cfr. «L’omu pri la parola, lu voi pri li corna» (Pitrè
III, p. 282); cfr. anche VIII, 22. Il Nicotra cita il proverbio nella varian-
te col verbo espresso: «L’omini s’attaccanu pri la lingua e li voi pri li
corna».

Letteratura italiana Einaudi 154


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

tenevano nel canterano qualcosuccia per pagare il debito,


aveva fatto il conto che colla salatura delle acciughe si sareb-
be pagato Piedipapera, e la casa restava libera per la dote
della nipote. Perciò erano stati qualche volta a chiacchiera-
re sottovoce con padron Fortunato, sulla riva, mentre aspet-
tavano la paranza, o seduti al sole davanti la chiesa, quando
non c’era gente. Padron Fortunato non voleva far torto alla
sua parola, se la ragazza aveva la dote, tanto più che suo
figlio Brasi gli dava sempre dei grattacapi, a correre dietro le
ragazze che non avevano nulla, come un baccalà che era.
– «L’uomo per la parola, e il bue per le corna», tornava a
ripetere.
3 Mena aveva spesso il cuore nero mentre tesseva, perché le
ragazze hanno il naso fine, ed ora che il nonno era sempre a
confabulare con compare Fortunato, e in casa parlava spes-
so dei Cipolla, ci aveva sempre la stessa cosa davanti agli
occhi, come se quel cristiano di Compar Alfio fosse incolla-
to sui panconi del telaio, colle immagini dei santi. Una sera
aspettò sino a tardi per veder tornare Alfio insieme al carro
dell’asino, colle mani sotto il grembiale, perché faceva fred-
do e tutte le porte erano chiuse, e per la stradicciuola non si
vedeva anima viva; così gli diede la buona notte dall’uscio.
4 – Che ve ne andate alla Bicocca al primo del mese? gli
disse finalmente.
– Ancora no; ci ho più di cento carichi di vino per la
Santuzza. Dopo ci penserà Dio. – Ella non sapeva più che

3. cuore nero: in A: «cuore grosso»; cfr. VII, 13: «Mena, mentre


imbozzimava l’ordito, aveva il cuore nero ( ➝ grosso)». – cristiano:
qui nel senso di ‘pover’uomo’; ma cfr. anche IV, 3 e VII, 39. – colle mani
sotto il grembiale, perchè faceva freddo: anche se accompagnato da una
didascalia che sembra azzerare il valore ‘comunicativo’ con una giusti-
ficazione puramente strumentale, il gesto mantiene una sua potenziale
allusività, oltre che di riposo e inoperosità, anche di trepidazione nel-
l’attesa, come attenuazione del ben più carico simbolicamente «colle
mani sul ventre» (cfr. ad es. III, 23). Vedi G. Alfieri, ‘Ethnos’ rusticano
cit., pp. 43 sgg.

Letteratura italiana Einaudi 155


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

dire, intanto che compar Alfio si affaccendava nel cortile a


staccar l’asino, e ad appendere gli arnesi al piuolo, e porta-
va la lanterna di qua e di là. – Se ve ne andate alla Bicocca
chi sa quando ci vedremo più! disse infine Mena che le man-
cava la voce.
– O perché? Ve ne andate anche voi?
5 La poveretta stette un pezzetto senza rispondere, sebbene
fosse buio e nessuno potesse vederla in viso. Di tanto in
tanto si udivano i vicini parlare dietro gli usci chiusi, e pian-
gere i bambini, e il rumore delle scodelle, dove stavano
cenando, sicché nessuno poteva udire. – Ora dei denari che
ci vogliono per Piedipapera ne abbiamo la metà, alla salatu-
ra delle acciughe pagheremo anche il resto.
6 Alfio a quel discorso lasciò l’asino in mezzo al cortile, e
venne sulla strada. – Allora vi maritano dopo Pasqua?
Mena non rispose. – Ve l’avevo detto io! aggiunse com-
pare Alfio. – Li ho visti parlare io padron ’Ntoni con padron
Cipolla.
– Sarà come vuole Dio! disse poi Mena. A me non impor-
ta di maritarmi, purché mi avessero lasciata stare qui.
– Che bella cosa, aggiunse Mosca, quando uno è ricco

5. stette un pezzetto senza rispondere: corregge in A: «non poteva


rispondere perchè temeva che si sentisse come le batteva il cuore».
Nella versione definitiva rimane un silenzio carico di tensione emotiva,
che il narratore non si propone di indagare esplicitamente, come avve-
niva nella prima redazione: gli effetti esterni, i gesti vengono privilegia-
ti rispetto alla mediazione analitica del narratore. – sebbene... viso: non
si fa menzione del rossore che, per dare senso alla frase, si deve sup-
porre si dipinga in viso a Mena, quasi ormai fosse la prevedibile reazio-
ne del personaggio alla domanda di Alfio (cfr. ad es. V, 1: «tutt’a un
tratto si fece rossa rossa»).
6. dopo Pasqua: corregge nelle bozze la lezione di A: «dopo (su a)
San Giovanni» ➝ «a S. Alfio». – abboccando le ortiche pel muricciolo:
sostituisce in A: «brucando le ortiche pel cortile». Abboccare: «prende-
re con la bocca, e dicesi propriamente delle bestie» (Rigutini-Fanfani);
cfr. I, 15; V, 4. Cfr. inoltre Mastro-don Gesualdo, I, IV, p. 108: «la mula
che abboccava anch’essa avidamente nella bica dell’orzo».

Letteratura italiana Einaudi 156


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

come il figlio di padron Cipolla, che può prendersi la moglie


che vuole, e può stare dove gli piace!
– Buona notte, compar Alfio; disse poi Mena, dopo esse-
re stata un altro pezzetto a guardare la lanterna appesa al
rastrello, e l’asino che andava abboccando le ortiche pel
muricciolo. Compare Alfio diede la buona notte anche lui,
e se ne tornò a mettere l’asino nella stalla.
7 – Quella sfacciata di Sant’Agata, – brontolava la Vespa, la
quale era a tutte l’ore dai Piedipapera, col pretesto di farsi
prestare dei ferri da calza, o per venire a regalare qualche
pugno di fave che aveva raccolto nella chiusa, – quella sfac-
ciata di Sant’Agata è sempre a stuzzicare compare Mosca.
Non gli lascia un momento per grattarsi il capo! Vergogna!
– e brontolava ancora per la strada, mentre Piedipapera
chiudeva l’uscio, tirandole dietro tanto di lingua. – La Vespa
è infuriata come fossimo in luglio! sghignazzava compare
Tino.
8 – A lei che gliene importa? chiese comare Grazia.

7. a tutte l’ore: in A: «sempre» ➝ «a veglia». – raccolti: abbiamo


mantenuto la lezione di Treves ’81, che si giustifica, se non si tratta di
una svista del proto, come concordanza ad sensum; del resto non man-
cano casi di incertezza nella concordanza da parte di Verga, riscontra-
bili ad es. nell’epistolario (cfr. G. Raya, La lingua di Verga cit., pp. 65-
66). La lezione «qualche pugno di fave che aveva raccolti» viene rag-
giunta in bozze; in A: «qualche pugno di verdura che aveva raccolta».
– tirandole dietro tanto di lingua: indica un gesto di irrisione (cfr. XIII,
72), ma forse, come suggerisce anche Luperini, va tenuto presente un
modo proverbiale siciliano, attestato nel Mortillaro: «Nesciri (‘mandar
fuori’) dui parmi di lingua, vale ‘parlare con petulanza, insolentire con
parole proterve e pungenti’». – come fossimo in luglio: quando cioè le
vespe sono più aggressive; per il gioco metaforico sul soprannome, cfr.
anche III, 11.
8. tenere il candeliere: in A su: «tenere la candela». Cfr. VII, 45 – va
spargendo: in senso assoluto anche in siciliano: «spargiri, per divulgare»
(Mortillaro). – conto: ‘vantaggio, tornaconto’. – questo mestiere: correg-
ge in A: «questo brutto mestiere». – fanno il diavolo: prima in A: «fanno
un casa del diavolo». – col pretesto... pei cefali: sostituisce in A: «per (su
col pretesto di) andare a fare (su cogliere) un fascio di ginestre per la
sera». – scapperemo insieme: «accenna all’usanza della fuitìna», cui si

Letteratura italiana Einaudi 157


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

– Gliene importa perché ce l’ha con tutti quelli che si


maritano, e ora sta covando cogli occhi Alfio Mosca.
– Tu dovresti dirglielo, che a me non mi piace di tenere il
candeliere. Come se non si vedesse che sta qui per compare
Alfio, e poi la Zuppidda va spargendo che noi ci troviamo il
nostro conto a fare questo mestiere.
– La Zuppidda farebbe meglio a grattarsi la sua testa, per-
che ci è da grattare! Con quella porcheria di tirarsi in casa
’Ntoni di padron ’Ntoni, mentre il vecchio e tutti fanno il
diavolo, e non ne vogliono sapere. Chiudi la finestra. Oggi
sono stato mezz’ora a godermi la commedia che facevano
’Ntoni con la Barbara, che mi dolgono ancora le reni dallo
stare chinato dietro il muro, per sentire quello che dicevano.
’Ntoni era scappato dalla Provvidenza, col pretesto di anda-
re a pigliare la fiocina grande pei cefali; e le diceva: – Se il
nonno non vuole, come fareno? – Faremo che scapperemo
insieme, e poi quando la cosa è fatta dovranno pensarci loro
a maritarci, e saranno costretti a dir di sì per forza, rispon-
deva lei; e sua madre era lì dietro ad ascoltare, ci giuocherei
tutt’e due questi occhi! Bella la parte che rappresenta quel-
la strega! Ora voglio far ridere tutto il paese. Don Silvestro,
come gliela raccontai, disse che scommetteva di fare cascare
la Barbara coi suoi piedi, come una pera matura. Non ci
mettere il saliscendi all’uscio, perché aspetto Rocco Spatu
che deve venire a parlarmi.
9 Don Silvestro, per far cascare comare Barbara coi suoi

ricorreva per vincere l’opposizione al matrimonio da parte dei genitori;


«dopo il fatto compiuto il consenso veniva concesso e il matrimonio si
celebrava ufficialmente» (Musumarra). – Bella la parte che rappresenta:
correzione in bozze, con implicita ripresa del precedente: «godermi la
commedia», della lezione di A: «Bel mestiere che fa». – fare cascare...
pera matura: il senso viene chiarito nella successiva battuta di don
Silvestro (cfr. c. 9). L’espressione si trasformerà in modulo fisso: cfr.
VIII, 9; X, 60, 62, 70; XII, 42; XV, 19, 48. Ampia analisi in G. Alfieri,
Lettera e figura cit., pp. 58-62.
9. far... piedi: cfr. nota precedente. – il frate... lotto: l’immagine, rife-

Letteratura italiana Einaudi 158


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

piedi ne aveva almanaccata una, che il frate il quale dà i


numeri del lotto, non l’avrebbe trovata. – Voglio levarmi
davanti, aveva detto, tutti quelli che cercano di prendermi la
Barbara. Quando non avrà più nessuno da sposare, allora
dovranno pregarmi loro, e farò i patti grassi, come s’usa alla
fiera, quando i compratori sono scarsi.
10 Fra quelli che cercavano di prendersi la Barbara c’era
stato Vanni Pizzuto, allorché andava a far la barba a mastro
Turi che aveva la sciatica, ed anche don Michele, il quale si
annoiava a passeggiare colla pistola appesa alla pancia,
senza far nulla, quando non era dietro il banco della
Santuzza, e faceva l’occhietto alle belle ragazze, per ingan-

rita a una figura caratteristica della realtà paesana di Trezza, sostituisce


in A il più generico: «il diavolo in persona». Un passo del Pitrè, citato
in G. Alfieri, Innesti cit., p. 50, illustra la figura di questa specie di ‘frate
indovino’ (in siciliano: «polaccu»): «Il polacco è ordinariamente un frate
oblato od anche un finto frate, uno di quelli che si dicono ‘eremiti’, e
veste saio come i frati cappuccini. Egli porta sempre un bastone per
appoggiare, anche quando non ne abbia bisogno, lo stanco corpo». –
farò i patti grassi: ‘detterò le condizioni per me più favorevoli’. Cfr.
Manzoni, I promessi sposi, XXXVIII, p. 671: «patti più grassi non si
sarebbero potuti sperare».
10. colla pistola... pancia: cfr. II, 33. – mangiapani: in A: «mangiapa-
ne». – i forestieri vanno frustati: è il proverbio: «Frûsteri, frùstili», cioè
‘mettili alla berlina’, come spiega il Pitrè (III, p. 146); cfr. anche XV, 50.
– attorcigliandosi i baffi, e col berretto sugli occhi: gesti e atteggiamenti
(cfr. anche XIII, 39: «tirandosi i mustacchi, col berretto gallonato
messo alla sgherra»; XIII, 41: «si stirava i baffi, guardandola come il
basilisco») che rivelano la compiaciuta spavalderia di don Michele
(analogamente cfr. V, 27: «berretto sull’orecchio» riferito a ’Ntoni). Ad
assumere simbolicamente il ruolo di potenziale mezzo di seduzione è il
dettaglio della divisa, qui inserito in una finissima rete di riprese, che ne
arricchiscono, con sottili variazioni legate alla pluralità dei punti di
vista, la connotazione di fondo (cfr. c. 11: «si arricciava i baffi, e si met-
teva il cappello davanti allo specchio»; ibid.: «ci vuol altro che cappelli
colla penna»; c. 12: «se non fosse pel cappello colla penna»; ibid.: «col
berretto gallonato»; ibid.: «la gente se ne impipa di lui e del suo ber-
retto»; ibid.: «non si lascia portar via il suo berretto»; ibid.: «se non
fosse stato pel cappello colla penna»; c. 13: «quel benedetto cappello
colla penna»).

Letteratura italiana Einaudi 159


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

nare il tempo. La Barbara da principio aveva risposto all’oc-


chietto; ma poi, dopo che sua madre le aveva detto che quel-
li eran tutti mangiapani a ufo, più birri che altro, e i fore-
stieri vanno frustati, gli aveva sbattuto la finestra sul naso,
così baffuto e col berretto gallonato com’era, e don Michele
se n’era mangiato il fegato, e per dispetto seguitava a passa-
re e ripassare per la via, attorcigliandosi i baffi, e col berret-
to sugli occhi. La domenica poi si metteva il cappello colla
piuma, e andava a scaricarle un’occhiataccia dalla bottega di
Vanni Pizzuto, mentre la ragazza andava a messa colla
11 mamma. Don Silvestro prese ad andare a farsi radere anche
lui, fra quelli che aspettavano la messa, e a scaldarsi al bra-
ciere per l’acqua calda, e scambare le barzellette. – Quella
Barbara gli lascia addosso gli occhi, a ’Ntoni Malavoglia,
andava dicendo. Volete scommettere dodici tarì che se la
piglia lui? Lo vedete che s’è messo ad aspettarla, colle mani
nelle tasche?
Vanni Pizzuto allora lasciò don Michele colla saponata
sulla faccia, e si affacciò all’uscio:
– Che pezzo di ragazza, per la madonna! E come cammi-
na col naso nella mantellina, che pare un fuso! Pensare poi
che deve papparsela quel cetriolo di ’Ntoni Malavoglia!
– Se Piedipapera vuol esser pagato, ’Ntoni non se la
pappa; ve lo dico io. I Malavoglia avranno altro da grattarsi,
se Piedipapera si piglia la casa del nespolo.

11. Che pezzo di ragazza: sostituisce in A il meno colorito: «Bella


ragazza». – col naso nella mantellina: cfr. III, 11. Nell’elenco di prover-
bi che accompagna l’autografo compare: «Facci ammucciata (‘nasco-
sta’), facci disiata» (Pitrè, I, p. 16). – pare un fuso: «dicesi di persona che
sia assai diritta della persona» (Rigutini-Fanfani). – cetriolo: cfr. I, 16. –
prendere pel naso: nel doppio senso di ‘fare la barba’ e ‘canzonare’. –
che fa mangiare agro di limone: ‘non si concede facilmente’; corregge in
A, con progressivo superamento della locuzione più consueta: «fatta
apposta per far mangiare il fegato ( ➝ limoni)»; un intervento resosi
necessario anche per la concomitanza con una precedente variante (c.
10): «don Michele non se n’era dato pace» ➝ «don Michele se n’era
mangiato il fegato».

Letteratura italiana Einaudi 160


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

Vanni Pizzuto tornò a prendere pel naso don Michele. –


Eh? che ne dite, don Michele? Anche voi le avete fatto il
cascamorto. Ma quella è una ragazza che fa mangiare agro
di limone.
Don Michele non diceva nulla, si spazzolava, si arricciava
i baffi, e si metteva il cappello davanti allo specchio. – Ci
vuol altro che cappelli colla penna per quella lì! sogghigna-
va Pizzuto.
12 Finalmente una volta don Michele disse.
– Santo diavolone! se non fosse pel cappello colla penna,
gli farei tenere la candela io, a quel ragazzaccio di
Malavoglia. Don Silvestro ebbe la premura di andare a rac-
contare ogni cosa a ’Ntoni, e che don Michele il brigadiere
era un uomo il quale non si lasciavi posare le mosche sul
naso; e doveva avercela con lui.
– Io gli rido sul mostaccio, a don Michele il brigadiere!
rispose ’Ntoni. Lo so perché ce l’ha con me; ma stavolta può
pulirsi la bocca, e farebbe meglio a non sciuparsi le scarpe
per passare e ripassare davanti alla Zuppidda, col berretto
gallonato, come se ci avesse la corona in capo; che la gente
se ne impipa di lui e del suo berretto.
E se lo incontrava lo guardava bene in faccia, ammiccan-
do gli occhi, come deve fare un giovanotto di fegato che è
stato soldato, e non si lascia portar via il suo berretto in

12. farei tenere la candela io: ‘lo ridurrei al ruolo di spettatore,


mostrandogli qual è il comportamento di un vero seduttore’; variante
del più frequente: «far tenere il candeliere» (cfr. VII, 45). – mostaccio:
cfr. VII, 39. – pulirsi la bocca: cfr. II, 3. – ammiccando gli occhi: con inso-
lito impiego transitivo del verbo. Cfr. II, 36. – portar via il suo berretto
in mezzo alla folla: la locuzione, che s’inscrive, con tutta l’espressività
del parlato, nella ricca serie di iterazioni segnalate al comma 10, è
ricreata sul proverbio siciliano: «Omu avvirtenti (’avveduto’) nun perdi
la birritta ’ntra la fudda» (Pitrè, III, p. 295) ed è significativa correzio-
ne in A di un ben più neutro: «portar via l’innamorata». Cfr. inoltre:
«Fimmina e birritta, tènila stritta» (Pitrè, II, p. 82).

Letteratura italiana Einaudi 161


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

mezzo alla folla. Don Michele continuava a passare dalla


straduccia per puntiglio, per non darla vinta a lui, ché se lo
sarebbe mangiato come il pane, se non fosse stato pel cap-
pello colla penna.
13 – Si mangiano! diceva Vanni Pizzuto a tutti coloro che
andavano a farsi radere la barba, o venivano a comprare dei
sigari, o delle lenze, o degli ami da pescare, o dei bottoni
d’osso di quelli da cinque un grano. – Don Michele e ’Ntoni
Malavoglia un giorno o l’altro si mangiano come il pane! E’
quel benedetto cappello colla penna che gli lega le mani a
don Michele. Egli pagherebbe qualche cosa a Piedipapera
se glielo levasse davanti, quel cetriolo di ’Ntoni. – Tanto che
il figlio della Locca, il quale era sempre a gironzare tutto il
giomo, colle braccia penzoloni, allorché li incontrava si met-
teva loro alle calcagna, per vedere come finiva.
Piedipapera, quando andava a farsi la barba, e sentiva che
don Michele gli avrebbe dato qualche cosa per levargli

13. gironzare: variante di ‘gironzolare’ (non attestato nel romanzo);


cfr. IX, 68; XII, 15. Vedi inoltre VI, 20 («girandolare») e XI, 1 («andar
gironi/girelloni»). – gallo d’India: ‘tacchino’ (Rigutini-Fanfani). – quel-
la storia... ’Ntoni: cfr. VII, 50-51.
14. levar le castagne... zampino di Piedipapera: rifatta sulla locuzione
proverbiale: «Cavare la castagna dal fuoco con la zampa del gatto», nel
senso di «Fare alcuna cosa difficile o pericolosa con sicurezza propria e
con pericolo degli altri, della cui opera accortamente ci serviamo»
(Rigutini-Fanfani). Non sfugga l’allusione ironica della variante:
«zampa del gatto» ➝ «zampino di Piedipapera», se rapportata al
soprannome del personaggio e agli epiteti che solitamente lo accompa-
gnano (ad es. «piede del diavolo», «gamba storta»); cfr. II, 1. Vedi
Mastro-don Gesualdo, II, 1, p. 210: «E spiegò meglio la sua idea: cavar
le castagne dal fuoco con le zampe del gatto» – far l’asino: ‘corteggia-
re’, ‘fare il cascamorto’, come estensione di ‘comportarsi in modo goffo
e grossolano’; ad es. Rigutini-Fanfani, che però non registra «far l’asi-
no», spiega: «‘carezze asinine’ carezze fatte senza garbo nè grazia».
Presente in vari dialetti (cfr. ad es. il milanese «fa l’asen») l’espressione
è attestata anche in siciliano: «Fari l’asinu», riportata nel Mortillaro col
senso di ‘amoreggiare’. Con qualche attinenza cfr. Nedda, p. 27: « – Sai
perchè ragliano gli asini? [...] ragliano perchè sono innamorati».

Letteratura italiana Einaudi 162


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

davanti agli occhi ’Ntoni Malavoglia, si gonfiava come un


gallo d’India, ché così lo tenevano da conto nel paese.
Vanni Pizzuto tornava a dirgli: – Il brigadiere pagherebbe
qualunque cosa per avere in pugno i Malavoglia come li
tenete voi. O perché gliel’avete fatta passar liscia quella sto-
ria dei pugni che vi ha dato ’Ntoni?
14 Piedipapera alzava le spalle e seguitava a scaldarsi le mani
sul braciere. Don Silvestro si metteva a ridere e rispondeva
per lui;
– A mastro Vanni gli piarebbe levar le castagne dal fuoco
collo zampino di Piedipapera. Già sapete che comare
Venera non vuole né forestieri né berretti gallonati; così
quando si sarebbe levato d’attorno ’Ntoni Malavoglia, reste-
rebbe lui solo a far l’asino alla ragazza.
Vanni Pizzuto non disse nulla, ma ci pensò su tutta la
notte.
– Non sarebbe poi una cosa sbagliata! ruminava fra di sé;
tutto sta a prendere Piedipapera per il collo, e in un giorno
buono.
15 Il giorno buono venne a proposito, che una sera Rocco
Spatu non si era fatto vivo, Piedipara era venuto due o tre
volte, ad ora tarda, a chieder di lui, colla faccia bianca e gli
occhi stravolti, e le guardie doganali s’erano viste correre di
qua e di là, tutte in faccende, col naso a terra come cani da
caccia e don Michele insieme a loro colla pistola sulla pan-
cia, e i calzoni infilati negli stivali. – Voi potreste fargli un
gran servizio a don Michele, col levargli davanti ’Ntoni
Mavoglia – tornò a dire Pizzuto a compare Tino, mentre
costui per comprare un sigaro andava a cacciarsi nell’ango-

15. colla pistola... stivali: cfr. II, 33. – un famoso servizio: la partico-
lare accezione dell’aggettivo (qui per ‘memorabile’, ‘da non dimentica-
re’) è attestata nel Petrocchi: «una famosa risciacquata», «un famoso
schiaffo». Corregge in A: «un gran piacere». Vedi P.V. Mengaldo,
L’epistolario di Nievo cit., pp. 146-47.

Letteratura italiana Einaudi 163


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

lo più oscuro della botteguccia. Gli rendereste un famoso


servizio, e ve lo fareste amico per davvero!
– Magari! sospirò Piedipapera, ché gli mancava il fiato
quella sera, e non aggiunse altro.
16 Nella notte si udirono delle fucilate verso il Rotolo, e
lungo tutta la spianata, che pareva la caccia alle quaglie. –
Altro che quaglie! mormoravano i pescatori rizzandosi sul
letto ad ascocoltare. E’ son quaglie a due piedi, di quelle che
portano lo zucchero e il caffè, e i fazzoletti di seta di con-
trabbando. Don Michele ieri sera andava per la strada coi
calzoni dentro gli stivali e la pistola sulla pancia!
17 Piedipapera stava nella bottega di Pizzuto a bere il bic-
chierino, prima dell’alba, che c’era ancora il lanternino
davanti all’uscio; ma stavolta aveva la faccia di un cane che
ha rotto la pentola; non diceva le solite barzellette, e doman-
dava a questo e a quello cos’era stato quel diavolìo, e si
erano visti Rocco Spatu e Cinghialenta, e si sberrettava con
don Michele, il quale aveva gli occhi gonfi e gli stivali pol-
verosi, e voleva pagargli per forza il bicchierino. Ma don
Michele era già stato all’osteria, dove la Santuzza gli diceva,
mescendogliene di quello buono:
– Dove siete stato a rischiar la pelle, santo cristiano? Non
lo sapete che se chiudete gli occhi voi, vi portate nella fossa
anche degli altri?
18 – E il mio dovere dove lo lasciate? Se li coglievo colla

16. verso il Rotolo: cfr. V, 18. – pescatori: in A corregge: «Trezzoti».


– E’: la forma apocopata, che si alterna con ei/egli, corregge nelle
bozze: «Ei» di A. – quaglie a due piedi: con evidente allusione ai con-
trabbandieri; cfr. XIII, 48. – coi calzoni... pancia: cfr. c. 15.
17. aveva la faccia... pentola: con l’espressione cioè di chi si sente col-
pevole. Sostituisce in A (ma «pignatta» ➝ «pentola» solo in bozze):
«con una faccia da cane che ha rovesciato la pignatta sul fuoco».
18. colla pasta in mano: inusuale per ‘in flagrante’, ‘sul fatto’; la locu-
zione è frutto di un’originale contaminazione tra «colle mani in pasta»
(in A appare tra l’altro come soluzione iniziale), cui concordemente il
Rigutini-Fanfani e il Mortillaro («aviri li mani ’mpasta») attribuiscono

Letteratura italiana Einaudi 164


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

pasta in mano stanotte c’era un bel guadagno per noi, san-


gue di un cane!
– Se vogliono farvi credere che egli era massaro Filippo,
che tentava di far entrare il suo vino di contrabbando, non
ci credete, per quest’abito benedetto di Maria che ci ho sul
petto, indegnamente! Tutte bugie di gente senza coscienza,
che si danna l’anima a volere il male del prossimo.
– No, lo so cos’era! erano tutti fazzoletti di seta, e zuc-
chero e caffè, più di mille lire di roba, corpo della madon-
na! che mi son sgusciati di mano come anguille; ma li ho
sott’occhio tutti quelli della combriccola, e un’altra volta
non mi scapperanno!
Piedipapera poi gli diceva: – Bevetelo un bicchierino, don
Michele, che vi farà bene allo stomaco, col sonno che avete
perso.
Don Michele era di cattivo umore e sbuffava.
– Giacché vi dice di prenderlo, prendetelo, aggiungeva
Vanni Pizzuto. Se compare Tino paga lui vuol dire che ne ha
da spendere. Denari ne ha, il furbaccio! tanto che ha com-
prato il debito dei Malavoglia; ed ora lo pagano a bastona-
te.

piuttosto il significato di ‘ingerirsi’ o comunque ‘maneggiare uffici


pubblici o privati’, e le locuzioni «Aviri pasta a manu, ‘aver parte o
incumbenza in checchessia’» (Mortillaro) e «Aviri na cosa a manu,
‘Esser dietro a far checchessia’» (Nicotra). – per quest’abito... indegna-
mente!: sottile il gioco ironico, infatti l’interessata e non richiesta dife-
sa vien fatta per un personaggio come massaro Filippo che realmente
pratica il contrabbando di vino, inoltre quell’«indegnamente» finale,
qui tipica espressione di pseudo-umiltà da formulario pietistico, rispec-
chia il reale giudizio che, a dispetto del soprannome, la comunità espri-
me sulla Santuzza (cfr. IV, 22). – mettersi in collera: cfr. VII, 23. – A
Roma... penitenza!: qui nel senso di ‘riceverà la penitenza direttamente
da me’; è la locuzione proverbiale siciliana: «Nun ti cci mannu a Roma
pri pinitenza», che si impiega quando «si minaccia altrui perchè si
emendi» (Montillaro). Cfr. anche Cavalleria rusticana, p. 194:
«Sull’anima mia non voglio mandanti a Roma per la penitenza». – farmi
ridere sul naso: corregge in A: «essere la favola».

Letteratura italiana Einaudi 165


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

Don Michele si lasciò tirare a ridere un po’.


– Sangue di Giuda! esclamò Piedipapera, battendo il
pugno sul banco, e fingeva di mettersi in collera davvero. A
Roma non voglio mandarlo, quel ragazzaccio di ’Ntoni, a
fare penitenza!
– Bravo! appoggiò Pizzuto. – Io non me la sarei lasciata
passar liscia di certo. Eh? don Michele?
Don Michele approvò con un grugnito. – Ci penserò a
ridurre come si deve ’Ntoni e tutta la sua parentela! minac-
ciava Piedipapera. – Non voglio farmi ridere sul naso da
tutto il paese. Potete star tranquillo, don Michele!
19 E se ne partì zoppicando e bestemmiando come se non ci
vedesse più dagli occhi, mentre andava dicendo fra di sé:
«Convien tenerseli amici tutti, questi birri qui!»; e ruminan-
do come potesse fare a tenerseli amici andò all’osteria, dove
lo zio Santoro gli disse che non s’erano visti né Rocco Spatu
né Cinghialenta, e passò dalla cugina Anna, la quale pove-
retta non aveva dormito, e stava sulla porta guardando di
20 qua e di là, colla faccia pallida. Lì davanti incontrò pure la

19. come se non ci vedesse più dagli occhi: sostituisce nelle bozze:
«come se ci avesse una gran collera» di A (cfr. «’Na gran colira pò
ammazzari», Pitrè, II, p. 379). – cugina Anna: la madre di Rocco Spatu.
20. ronzare: qui in stretta relazione col nome del personaggio
(Mosca); analogamente cfr. VII, 28, dove è riferito alla Vespa. Cfr. anche
Amore senza benda, p. 387: «Intanto cominciarono a ronzarle attorno i
mosconi... »; Il Carnevale fallo con chi vuoi, p. 919: «Ma quando Vito
Scanna tornava a ronzarle attorno, vestito di nuovo, come un mosco-
ne...» Inoltre Manzoni, I promessi sposi, XXXVIII, p. 662: «E lei signo-
ra, non hanno principiato a ronzarle intorno de’ mosconi?» –
«Amare… non si fa viaggio»: cfr. «Amari la sò vicina è gran vantaggiu,
spessu si vidi e nun si fa viaggiu» (Pitrè, I, p. 101). – Bella santa… muro:
espressione rifatta sul modo proverbiale: «Pari un santu appizzatu a lu
muru, di chi esternamente dà ad intendere essere un santerello –
‘Parere una madonna o una monachina infilzata’» (Nicotra). – fraschet-
ta: così anche in siciliano, riferito «più comunemente a donna vana e
leggiera, quasi piccola frasca movibile al vento» (Mortillaro). Cfr. IV,
20; X, 12. – nessuno ci tiene le unghie addosso: cfr. VII, 28. In Treves
’81: «adosso». – il vento… frasche: l’immagine, che si rifà al proverbio

Letteratura italiana Einaudi 166


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

Vespa, la quale veniva a vedere se comare Grazia ci avesse


un po’ di lievito, per caso.
– Ho incontrato or ora compare Mosca; disse allora lui
per far quattro chiacchiere. – Era senza il carro, e scommet-
to che andava a ronzare nella sciara, dietro l’orto della
Sant’Agata. «Amare la vicina è un gran vantaggio, si vede
spesso e non si fa viaggio».
– Bella santa da attaccarsi al muro, quella Mena! comin-
ciò a sbraitare la Vespa, la vogliono dare a Brasi Cipolla, e
seguita a civettare con questo e con quello! – Puh! che por-
cheria!
– Lasciatela fare! lasciatela fare! così gli altri conosceran-
no che roba è, e apriranno gli occhi. Ma non lo sa compare
Mosca che vogliono darle Brasi Cipolla?
– Sapete come sono gli uomini, se c’è una fraschetta che li
guarda, le corrono tutti dietro per divertirsi. Ma poi, quan-
do vogliono far sul serio, cercano una come m’intendo io.
– Compare Mosca dovrebbe prendere una come voi.
– Io non ci penso per ora a maritarmi; ma certo che da me
ci troverebbe quel che ci vuole. A buon conto il mio pezzo
di chiusa ce l’ho, e nessuno ci tiene le unghie addosso, come
la casa del nespolo, che se soffia la tramontana se la porta
via. Questa sarebbe da vedere, se soffia la tramontana!
– Lasciate fare! lasciate fare! che non è sempre bel tempo,
e il vento se le porta all’aria le frasche. Oggi ho da parlare con
vostro zio Campana di legno, per quell’affare che sapete.
21 Campana di legno era proprio ben disposto per parlare di

«Li tinti (‘cattive’) fraschi si nni vannu cu la ventu» (Pitrè, I, p. 262),


s’inscrive nel campo metaforico precedentemente impiegato («se soffia
la tramontana»), richiamando inoltre allusivamente «fraschetta».
21. «e le cose... serpi»: cfr. Pitrè, III, p. 378: «Li cosi longhi addiven-
tanu serpi». – Padron ’Ntoni gli cantava sempre...: tutti i motivi in qual-
che modo connessi col pagamento del debito dei Malavoglia rientrano
in un’ampia sequenza in indiretto libero che occupa tutto il comma; il
punto di vista è quello dello zio Crocifisso e l’effetto di progressiva dila-
tazione, con l’accumulo prodotto dall’insistente ricorso alla costruzio-

Letteratura italiana Einaudi 167


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

quell’affare che non la finiva più, e «le cose lunghe diventa-


no serpi». Padron ’Ntoni gli cantava sempre che i
Malavoglia ero galantuomini, e avrebbero pagato, ma ei
voleva vedere di dove li avrebbero scavati i denari. Già nel
paese si sapeva quel che possedeva ciascuno, fino all’ultimo
centesimo, e quei galantuomini dei Malavoglia, magari a
vendersi l’anima al turco, non avrebbero potuto pagare
nemmeno la metà, di lì a Pasqua; e per prendersi la casa del
nespolo ce ne voleva della carta bollata, e delle altre spese,
questo lo sapeva, e avevano ragione don Giammaria e lo
speziale quando parlavano del Governo ladro; lui, com’è
vero che si chiamava zio Crocifisso, ce l’aveva non solo con
quelii che mettevano le tasse, ma anche con quelli che non
le volevano, e mettevano talmente in subbuglio il paese che
un galantuomo non era più sicuro di starsene in casa sua
colla sua roba, e quando erano venuti a domandargli se
voleva fare il sindaco, egli aveva risposto: – Bravo! e i miei
22 affari chi me li fa? Io bado ai fatti miei. Intanto padron

ne polisindetica, suggerisce oltre alla concitazione del personaggio, l’i-


nestricabile groviglio di interessi in «un affare che non finiva più», ma
sembra anche voler tradurre, nel sinuoso svolgersi della sintassi, il
potenziale ‘suggerimento’ presente nel proverbio che immediatamente
precede: «le cose lunghe diventano serpi». – e quando erano venuti... Io
bado ai fatti miei: in A fa parte di un’aggiunta interlineare; il passo è
esplicitamente citato negli appunti preparatori sullo «Svolgimento del-
l’azione», in Appendice, IV, p. 388.
22. l’aveva visto: si ripropone il gioco ironico sulla cecità dello zio
Santoro; cfr. VII, 22: «quel becco dello zio Santoro non vede nulla». –
serviva di comodino: cfr. VII, 45. – arraffarsi: cfr. II, 14. – gli gridava…
orecchio: cfr. IV, 1: «non ci sentiva di quell’orecchio»; IV, 5: «era sordo
e per di più scarso di cervello». – bel strillare: cfr. VII, 41. – Io voglio…
della messa: nella totale identificazione con la roba, che in questo caso
giunge all’esasperata commistione di sacro e profano (cfr. IV, 8), zio
Crocifisso anticipa il Mazzarò della novella La roba (cfr. ad es. p. 282:
«Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e con la sua testa...»).
Molto blanda la versione di base in A: «Io voglio il fatto mio, voglio i
miei denari. Tutti una manica di ladri, compare Mosca, la Vespa...» –
«l’uomo... corna»: cfr. VIII, 2.

Letteratura italiana Einaudi 168


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

’Ntoni pensava a maritare la nipote, che l’avevano visto


andare attorno con compare Cipolla – l’aveva visto lo zio
Santoro – e aveva visto anche Piedipapera che faceva il mez-
zano alla Vespa, e serviva di comodino a quello spiantato di
Alfio Mosca, il quale voleva arraffarsi la sua chiusa. – Ve lo
dico io che ve l’arraffa! gli giridava Piedipapera nell’orec-
chio per persuaderlo. – Avete un bel strillare e fare il diavo-
lo per la casa. Vostra nipote è cotta come una pera per colui,
e gli sta sempre alle calcagna. Io non posso mica chiudergli
l’uscio sul muso, quando viene a far quattro chiacchiere con
mia mogiie, per riguardo vostro, che infine è sempre vostra
nipote e sangue vostro.
– Bel riguardo che mi avete! Così mi fate perdere la chiu-
sa, col riguardo!
– Sicuro che la perdete! Se la Malavoglia si marita con
Brasi Cipolla, compare Mosca non avrà più che fare, e si
prende la Vespa e la chiusa, per mettersi il cuore in pace.
– Che se la pigli anche il diavolo! esclamò alfine lo zio
Crocisso stordito dalle chiacchiere di compare Tino. – A me
non me ne importa nulla; son più i peccati che mi ha fatto
fare, quella scomunicata, che altro. – Io voglio la roba mia,
che l’ho fatta col sangue mio come il sangue gi Gesù Cristo
che c’è nel calice della messa, e par roba rubata, che tutti
fanno a chi piglia piglia, compare Alfio, la Vespa e i
Malavoglia. Ora incomincio la lite e mi piglio la casa.
– Voi siete il padrone. Se dite di far la lite la faccio subito.
– Ancora no. Aspettiamo a Pasqua; «l’uomo per la parola
e il bue per le corna»; ma voglio esser pagato sino all’ultimo
centesimo, e non darò più retta a nessuno per accordare
dilazioni.
23 La Pasqua infatti era vicina. Le colline erano tornate a

23. La Pasqua infatti era vicina...: prende avvio un’ampia sequenza


lirico-descrittiva (commi 23-24) che acquista rilievo proprio per l’inso-
lita dilatazione, e che assolve la duplice funzione di mediare da un lato
lo stacco temporale fra le sequenze che precedono e quelle che seguo-
no («Era passato del tempo...»), dall’altro di creare, quasi in contro-

Letteratura italiana Einaudi 169


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

vestirsi di verde, e i fichidindia erano di nuovo in fiore. Le


ragazze avevano seminato il basilico alla finestra, e ci si veni-
vano a posare le farfalle bianche; fin le povere ginestre della
sciara avevano il loro fiorellino pallido. La mattina, sui tetti,
fumavano le tegole verdi e gialle, e i passeri vi facevano gaz-
zarra sino al tramonto.
24 Anche la casa del nespolo sembrava avesse un’aria di
festa; il cortile era spazzato, gli arnesi in bell’ordine lungo il
muricciuolo e appesi ai piuoli, l’orto tutto verde di cavoli e
di lattughe, e la camera aperta e piena di sole che sembrava
contenta anch’essa, e ogni cosa diceva che la Pasqua si avvi-
cinava. I vecchi si mettevano sull’uscio verso mezzogiorno,
e le ragazze cantavano al lavatoio. I carri tornavano a passa-
re nella notte, e la sera si udiva un’altra volta il brusio della
gente che chiacchierava nella stradicciuola.
– Comare Mena la fanno sposa, si diceva. Sua madre ha
tutta la roba dei corredo per le mani.

canto, un’implicita contrapposizione fra la festosità della natura e la


condizione non lieta dei personaggi. Dei due momenti che compongo-
no la sequenza, il primo, inscritto nella duplice indicazione dell’ap-
prossimarsi della festa («La Pasqua era vicina»... «ogni cosa diceva che
la Pasqua si avvicinava»), che rappresenta però anche l’ultima scaden-
za per il pagamento del debito, è dominato da insistite notazioni colo-
ristiche che mirano a produrre un effetto rasserenante legato al rinno-
varsi della natura («erano tornate»... «erano di nuovo»); anche l’imma-
gine della casa del nespolo, una delle poche nel romanzo, sembra festo-
samente in sintonia col quadro generale. Alle immagini visive della
prima parte si aggiungono quelle prevalentemente sonore della secon-
da, in cui al confortante riproporsi («a mezzogiorno»... «a notte»... «la
sera») di suoni familiari si unisce (aggiunta interlineare in A) un’imma-
gine di grande densità lirico-simbolica nel mondo verghiano («I carri
tornavano a passare nella notte»), che attraverso l’implicita evocazione
di ampi spazi, prelude qui alla percezione dell’inarrestabile trascorrere
del tempo. – gazzara: in Treves ’81, come nel ms; la forma è attestata
anche nel Mortillaro; inoltre cfr. Pitrè, I, p. 281: «Veni lu jornu chi sana
a gazzara» . Vedi Jeli il pastore, p. 160: «attorno a lui la gente faceva gaz-
zara» (ed. Treves ’80, successivamente corretto nel 1897: «era allegra»).

Letteratura italiana Einaudi 170


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

25 Era passato del tempo, e il tempo si porta via le cose brut-


te come le cose buone. Adesso comare Maruzza era tutta in
faccende a tagliare e cucire della roba, e Mena non doman-
dava nemmeno per chi servisse; e una sera le avevano con-
dotto in casa Brasi Cipolla, con padron Fortunato suo
padre, e tutto il parentado. – Qui ci è compare Cipolla che
è venuto a farvi una visita; disse padron ’Ntoni, facendoli
entrare, come se nessuno ne sapesse niente, mentre nella
cucina c’era preparato il vino e i ceci abbrustoliti, e i ragaz-
zi e le donne avevano i vestiti della festa. Mena sembrava
davvero Sant’Agata, con quella veste nuova e quel fazzolet-
to nero in testa, talchè Brasi non le levava gli occhi d’addos-
so, come il basilisco, e stava appollaiato sulla scranna, colle
mani fra le gambe, che se le fregava di tanto in tanto di
nascosto dalla contentezza. – È venuto con suo figlio Brasi,
il quale adesso si è fatto grande – seguitava padron ’Ntoni.
– Sicuro, i ragazzi crescono, e ci spingono per le spalle
nella fossa, rispose padron Fortunato.
– Ora bevete un bicchier di vino che è di quello buono –
aggiunse la Longa, e questi ceci qui li ha abbrustoliti mia
figlia. Mi dispiace che non sapevo niente, e non vi ho fatto
trovare cose degne del vostro merito.
– Eravamo qui vicino di passaggio, rispose padron
Cipolla, ed abbiamo detto: andiamo a vedere comare
Maruzza.
Brasi si riempì le tasche di ceci, guardando la ragazza, e
dopo i monelli diedero il sacco al tondo, che invano la
Nunziata colla bambina in collo cercava di trattenerli, par-

25. Qui ci è compare Cipolla...: ha inizio la sequenza della visita di


canuscenza (fino al c. 28: «... il riso con i guai vanno a vicenda») che
Verga descrive attenendosi agli aspetti fondamentali di un preciso ceri-
moniale popolare (cfr. c. 27: «com’è l’uso»): gli accordi presi esclusiva-
mente da parte degli anziani, la finta casualità dell’incontro (ma in
realtà la ‘solennità’ dei preparativi), la disposizione a cerchio degli invi-
tati, la distribuzione di scàcciu o della càlia, cioè dei ceci abbrustoliti

Letteratura italiana Einaudi 171


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

26 lando basso come se fosse in chiesa. I vecchi in questo


tempo si erano messi a discorrere fra di loro, sotto il nespo-
lo, colle comari che facevano cerchio e cantavano le lodi
della ragazza, com’era brava massaia, che teneva quella casa
meglio di uno specchio. «La figliuola com’è avvezzata, e la
stoppa com’è filata».
– Anche la vostra nipote è cresciuta, osservò padron
Fortunato, – e sarebbe tempo di maritarla.
– Se il Signore le manda un buon partito noi non voglia-
mo altro, rispose padron ’Ntoni.
– «Matrimonii e vescovadi dal cielo sono destinati»
aggiunse comare la Longa.
– «A buon cavallo non gli manca sella» – conchiuse
padron Fortunato; ad una ragazza come vostra nipote un
buon partito non può mancare.
27 Mena stava seduta accanto al giovanotto, com’è l’uso, ma
non alzava gli occhi dal grembiule, e Brasi si lamentava con
suo padre, quando se ne andarono, che ella non avesse
offerto il piatto con i ceci.

(vedi ad es. Salomone-Marino, pp. 246 sgg.). Tutta la scena viena


aggiunta in A su una precedente stesura che esauriva in poche righe la
visita di Brasi e Fortunato Cipolla («Le avevano portato in casa Brasi
Cipolla col padre e tutto il parentado ed ora Brasi non faceva altro che
passare e ripassare per la stradicciuola col vestito nuovo come se fosse
nella sua vigna»). All’intento di conferire maggior consistenza a un
capitolo che progressivamente stava acquistando la propria autonomia
(in origine non si distingueva infatti dal VII), si aggiunge la volontà di
lasciar spazio a una scena che contribuisce a una maggior credibilità
‘storica’ della ricostruzione ambientale. – come il basilisco: cfr. VI, 18.
– diedero il sacco al tondo: ‘ripulirono avidamente il piatto’.
26. cantavano le lodi: richiama il precedente “parlando basso come
se fosse in chiesa». – «La figliuola... filata»: cfr. II, 11. – «Matrimonii...
destinati»: cfr. «Matrimonii e viscuvati, di lu celu su’ calati (o distinati)»
(Pitrè, II, p. 103). – «A buon... sella»: cfr. «A bon cavaddu nun cci
manca sedda» (Purè, III, p. 188).
27. com’è l’uso: corregge in bozze: «com’era l’uso». – gli diè sulla
voce: ‘lo rimproverò’ (in A corregge: «lo sgridò»), ma il Rigutini-
Fanfani spiega: «Contradire alcuno mentre che egli parla».

Letteratura italiana Einaudi 172


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

– Che ne volevi ancora! Gli diè sulla voce padron


Fortunato, quando furono lontani; se non si sentiva rosica-
re altri che te, come ci fosse una mulo davanti a un sacco
d’orzo! Guarda che ti sei lasciato cascare il vino sui calzoni,
Giufà! e mi hai rovinato un vestito nuovo!
28 Padron ’Ntoni tutto contento si fregava le mani, e diceva
alla nuora:
– Non mi par vero d’essere in porto, coll’aiuto di Dio! La
Mena non avrà nulla da desiderare, ed ora aggiusteremo
tutte le altre nostre cosuccie, e potrete dire «Lasciò detto il
povero nonno, il riso con i guai vanno a vicenda».
Quel sabato, verso sera, la Nunziata venne a prendere un
pugno di fave per i suoi bambini e disse: – Compare Alfio se
ne va domani. Sta levando tutta la sua roba.
Mena si fece bianca e smise di tessere.
29 Nella casa di compar Alfio c’era il lume, e ogni cosa sot-
tosopra. Egli venne a picchiare all’uscio poco dopo, e aveva
la faccia in un certo modo anche lui, e faceva e disfaceva dei
nodi alla frusta che teneva in mano.
– Sono venuto a salutarvi tutti, comare Maruzza, padron
’Ntoni, i ragazzi, e anche voi, comare Mena. Il vino di Aci
Catena è finito. – Ora la Santuzza ha preso quello di massa-
ro Filippo. – Vado alla Bicocca, dove c’è da fare col mio
asino.

28. «Lasciò detto… vicenda»: ripresa e trasformazione, grazie all’at-


tribuzione a se stesso in una sorta di «autowellerismo», del proverbio:
«Lassau pri dittu la povira nanna: Lu risu cu li quai vannu a vicenna»
(Pitrè, III, p. 78). Vedi A. M. Cirese, Verga e il mondo popolare: un pro-
cedimento stilistico nei «Malavoglia», in Intellettuali, folklore, istinto di
classe, Einaudi, Torino 1976, pp. 18-19 (il saggio citato è del 1955). –
venne a prendere un pugno di fave: cfr. VIII, 7: «per venire a regalare
qualche pugno di fave che aveva raccolti nella chiusa».
29. in un certo modo: corregge in A: «strana strana». – faceva e disfa-
ceva... mano: cfr. V, 2: «se la prendeva coi bottoni del farsetto». – Aci
Catena: località sulle pendici dell’Etna, a nord-ovest di Trezza. –
Bicocca: cfr. VII, 13.

Letteratura italiana Einaudi 173


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

30 Mena non diceva nulla; sua madre sola aprì la bocca per
rispondere: – Volete aspettarlo padron ’Ntoni? che avrà pia-
cere di salutarvi.
Compar Alfio allora si mise a sedere in punta allo scran-
no, colla frusta in mano, e guardava in torno, dalla parte
dove non era comare Mena.
– Ora quando tornate? domandò la Longa.
– Chi lo sa quando tornerò? Io vado dove mi porta il mio
asino. Finché dura il lavoro vi starò; ma vorrei tornar presto
qui, se c’è da buscarmi il pane.
– Guardatevi la salute, compare Alfio. Alla Bicocca mi
hanno detto che la gente muore come le mosche, dalla mala-
ria.
Alfio si strinse nelle spalle, e disse che non poteva farci
nulla. – Io non vorrei andarimene, ripeteva, guardando la
candela. – E voi non mi dite nulla, comare Mena?
31 La ragazza aprì la bocca due o tre volte per dire qualche
cosa, ma il cuore non le resse.
– Anche voi ve ne andate dal vicinato, ora che vi marita-
no, aggiunse Alfio. Il mondo è fatto come uno stallatico, che
chi viene e chi se ne va, e a poco a poco tutti cambiano di
posto, e ogni cosa non sembra più quella. – Così dicendo si
fregava le mani e rideva, ma colle labbra e non col cuore.
– Le ragazze, disse la Longa, vanno come Dio le ha desti-
nate. Ora son sempre allegre e senza pensieri, e com’entra-
no nel mondo cominciano a conoscere i guai e i dispiaceri.

30. guardando la candela: già prima: «guardava intorno, dalla parte


dove non era Mena».
31. Il mondo... non sembra più quella: il ruolo di ‘coscienza’ del
perenne mutamento delle cose è assunto dal carrettiere Alfio, da un
personaggio cioè che pur appartenendo all’immobile microcosmo di
Trezza costituisce, proprio per la sua attività, una sorta di tramite col
mondo tout court, e in virtù di questa duplice appartenenza ben gli si
addice la percezione del trascorrere del tempo e quindi del mutevole
divenire del mondo. – che chi viene: così in A e in Treves ’81. – ma colle
labbra e non col cuore: correzione in bozze della lezione di A: «per
forza» – «col cuore triste».

Letteratura italiana Einaudi 174


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

32 Compar Alfio, dopo che furono tornati a casa padron


’Ntoni e i ragazzi, e li ebbe salutati, non sapeva risolversi a
partire, e rimaneva sulla soglia, colla frusta sotto l’ascella, a
stringere la mano a questo e a quello, anche a comare
Maruzza, e ripeteva, come si suol fare quando uno se ne va
lontano, e non si sa bene se ci si rivede più: – Perdonatemi
se ho mancato qualche volta. La sola che non gli strinse la
mano fu Sant’Agata, la quale stava rincantucciata vicino al
telaio. Ma le ragazze si sa che devono fare così.
33 Era una bella sera di primavera, col chiaro di luna per le
strade e nel cortile, la gente davanti agli usci, e le ragazze che
passeggiavano cantando e tenendosi abbracciate. Mena uscì
anche lei a braccetto della Nunziata, ché in casa si sentiva
soffocare.
– Ora non si vedrà più il lume di compar Alfio, alla sera,
disse Nunziata, e la casa rimarrà chiusa.
34 Compar Alfio aveva caricato buona parte delle sue cosuc-
ce sul carro, e insaccava quel po’ di paglia che rimaneva
nella mangiatoia, intanto che cuocevano quelle quattro fave
della minestra.
– Partirete prima di giorno, compar Alfio? gli domandò
Nunziata sulla porta del cortile.
– Sì, vado lontano, e quella povera bestia bisogna che si
riposi un po’ nella giornata.
Mena non diceva nulla, e stava appoggiata allo stipite a
guardar il carro carico, la casa vuota, il letto mezzo disfatto
e la pentola che bolliva l’ultima volta sul focolare.
– Siete là anche voi, comare Mena? – Esclamò Alfio appe-
na la vide, e lasciò quello che stava facendo.
Ella disse di sì col capo, e Nunziata intanto era corsa a
schiumare la pentola che riversava, da quella brava massaia
che era.

32. Sant’Agata... telaio: il ricorso al soprannome, in stretta relazione


coll’atteggiamento in cui vien colto il personaggio, segna l’inevitabile
accettazione di un ruolo che le circostanze e la tradizione impongono.

Letteratura italiana Einaudi 175


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

– Così son contento, che posso dirvi addio anche a voi!


disse Alfio.
– Sono venuta a salutarvi, – disse lei, e ci aveva il pianto
nella gola. – Perché ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?
35 Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore,
come quando era andato a dirle addio.
– O bella! perché ci vado? e voi perché vi maritate con
Brasi Cipolla? Si fa quel che si può, comare Mena. Se aves-
si potuto fare quel che volevo io, lo sapete cosa avrei fatto!...
– Ella lo guardava e lo guardava, cogli occhi lucenti. – Sarei
rimasto qui, che fino i muri mi conoscono, e so dove metter
le mani, tanto che potrei andar a governare l’asino di notte,
anche al buio; e vi avrei sposata io, comare Mena, chè in
cuore vi ci ho da un pezzo, e vi porto meco alla Bicocca, e
dappertutto ove andrò. Ma questi ormai sono discorsi inuti-
li, e bisogna fare quel che si può. Anche il mio asino va dove
lo faccio andare.
36 – Ora addio, conchiuse Mena; anch’io ci ho come una
spina dentro... ed ora che vedrò sempre quella finestra chiu-
sa, mi parrà di averci chiuso anche il cuore, e d’averci chiu-

35. lo guardava e lo guardava: reduplicazione intensiva dal sapore di


‘ingenua’ notazione psicologica; sostituisce in A: «lo guardava intenta».
36. chiusa sopra... porta di palmento: l’immagine nella sua funzione
così ruvidamente concretizzante, evidenziata anche dalla sottolineatura
allitterativa, fa eco alla precedente: «ci ho come una spina qui dentro...»
Il «palmento» (cfr. anche X, 93) è il luogo dove sono collocati i frantoi
per la pigiatura dell’uva; «la porta di palmento è proverbialmente
pesante per la protezione delle uve pigiate e dei mosti [...] nel tempo di
vendemmia» (Russo). Cfr. anche Mastro-don Gesualdo, I, 1, p. 10: «[…]
una trave di palmento che non si era mai potuta vendere»; ibid., III, 1,
p. 319: «le camere del palmento». – a pianger sotto il nespolo, al chiaro
di luna: ad arricchire la carica simbolica di cui è investito, il nespolo
appare anche come il ‘testimone’ delle vicende dei personaggi: compa-
re nella scena della partenza di Luca (VII, 1), ‘assiste’ ai discorsi fra
padron ’Ntoni e padron Cipolla per il fidanzamento di Mena con Brasi,
e ora al pianto sommesso di Mena.

Letteratura italiana Einaudi 176


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo ottavo

so sopra quella finestra, pesante come una porta di palmen-


to. – Ma così vuol Dio. Ora vi saluto e me ne vado.
La poveretta piangeva cheta cheta, colla mano sugli occhi,
e se ne andò insieme alla Nunziata a piangere sotto il nespo-
lo, al chiaro di luna.

Letteratura italiana Einaudi 177


IX

1 Né i Malavoglia, né alcun altro in paese sapevano di quel


che stavano almanaccando Piedipapera collo zio Crocifisso.
Il giorno di Pasqua padron ’Ntoni prese quelle cento lire
che ci erano nel canterano, e si mise il giubbone nuovo per
andare a portarle allo zio Crocifisso.
– Che sono tutte qui? disse costui.
– Tutte non ci possono essere, zio Crocifisso; voi lo sape-
te quel che ci vuole a far cento lire. Ma «meglio poco che
nulla» e «chi dà acconto non è cattivo pagatore». Ora viene
l’estate, e coll’aiuto di Dio pagheremo ogni cosa.
– A me perché venite a contarmela? Sapete che non cen-
tro, ed è affare di compare Piedipapera.
– E tutta una cosa, perché il debito mi pare di avercelo
sempre con voi, quando vi vedo. A voi compare Tino non vi
dirà di no, per aspettare sino alla Madonna dell’Ognina.
– Queste qui non bastano per le spese! ripeteva Campana
di legno, facendo saltare i denari nella mano. Andate a dir-
glielo voi se vuole aspettarvi; perché non è più affar mio.
2 Piedipapera cominciò a bestemmiare e a buttare il berret-

1. «meglio poco che nulla» cfr. «Megghiu picca e gòdiri, che assai e tri-
vulari» (Pitrè, I, p. 305). – «chi dà acconto... pagatore»: cfr. «Cui tarda e
nun manca, nun si chiama malu pagatuni» (Pitrè, II, p. 50), ma anche
«Cui paga parti (o Cui duna ’na parti) nun po’ jiri ’n priciuni» (Pitrè, II,
p. 45). – Madonna dell’Ognina: nella chiesa di Ognina l’8 di settembre
si celebra la festa della Madonna del Bambino.
2. Piedipapera... bestemmiare: la citazione del nome nelle battute
precedenti coinvolge immediatamente nel dialogo il personaggio. –
Ascensione: la festa si celebra quaranta giorni dopo la Pasqua. In A:

Letteratura italiana Einaudi 178


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

to per terra, al solito suo, dicendo che non aveva pane da


mangiare, e non poteva aspettare nemmeno sino
all’Ascensione.
– Sentite, compare Tino, gli diceva padron ’Ntoni colle
mani giunte come dinanzi al Signor Iddio, se non mi volete
aspettare sino a San Giovanni, ora che sto per maritare mia
nipote, è meglio che mi diate un colpo di coltello addirittu-
ra.
– Santo diavolone! gridò compare Tino, mi fate fare quel-
lo che non posso, maledetto sia il giorno e il minuto in cui
mi misi in quest’imbroglio! e se ne andò stracciando il ber-
retto vecchio.
3 Padron ’Ntoni tornò a casa ancora pallido, e disse alla
nuora: – Ce l’ho tirato, ma ho dovuto pregarlo come Dio, –
e tremava ancora il poveretto. Però era contento che padron
Cipolla non ne sapesse nulla, e il matrimonio della nipote
non andasse in fumo.
4 La sera dell’Ascensione, mentre i ragazzi saltavano attor-
no ai falò, le comari si erano riunite di nuovo dinanzi al bal-
latoio dei Malavoglia, ed era venuta anche comare Venera la
Zuppidda a sentir quello che si diceva, e a dir la sua. Oramai

«Ascenzione» (cfr. I, 13: «anzimando»). – San Giovanni: il 24 giugno. –


stracciando il berretto vecchio: riprende il precedente «buttare il berret-
to per terra», con un’accentuazione della teatralità del gesto («strac-
ciando»), resa possibile, si fa notare ironicamente, per il fatto che si
tratta del «berretto vecchio».
3. Ce l’ho tirato: ‘l’ho convinto’.
4. attorno ai falò: quelli che si accendono appunto in occasione della
festa dell’Ascensione (la «sceusa» in siciliano) per «la fumata», che
«procura sanità e prosperità agli animali e alle piante e abbondanza e
bellezza delle produzioni campestri» (Salomone-Marino, p. 181). –
come: ‘siccome’. – s’era rimessa in gambe: ‘era stata riparata’; cfr. VII,
9: «malgrado che i Malavoglia si fossero rimessi a cavallo [...] andava
sentenziando che era un cavallo senza gambe». — ci avesse niente di
male nello stomaco: corregge in A: «come non ci fosse niente», richia-
mando il precedente «quel che ci aveva nello stomaco»; cfr. «Aviri malu
stomacu [...] vale ‘covare tristizie e ribalderie’» (Mortillaro).

Letteratura italiana Einaudi 179


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

come padron ’Ntoni maritava la nipote, e la Provvidenza


sera rimessa in gambe, tutti tornavano a far buon viso ai
Malavoglia, che non sapevano nulla di quel che ci aveva
nello stomaco Piedipapera, nemmeno comare Grazia, sua
moglie, la quale chiacchierava con comare Maruzza quasi
suo marito non ci avesse niente di male nello stomaco.
5 ’Ntoni andava ogni sera a far quattro chiacchiere colla
Barbara e le aveva confidato che il nonno aveva detto: Prima
deve maritarsi la Mena. – E dopo vengo io! – conchiuse
’Ntoni. La Barbara perciò aveva mandato in regalo alla
Mena il vaso del basilico, tutto ornato di garofani, e con un
bel nastro rosso, che era l’invito di farsi comare; e tutti le
facevano festa, a Sant’Agata, persino sua madre s’era levata
il fazzoletto nero, perché dove ci sono sposi è di malaugurio
portare il lutto; e avevano scritto anche a Luca, per dargli la
notizia che Mena si maritava.
6 Ella sola, poveretta, non sembrava allegra come gli altri, e

5. « – Prima... Mena»: cfr. VII, 54. – il vaso del basilico... comari: «in
Sicilia ci sono le cosiddette ‘comari di basilico’, e questo comparatico
lo si stringe inviando precisamente un vaso di basilico alla persona con
la quale si vuole annodare uno speciale vincolo, che è poi sempre
rispettato nel discorso quotidiano» (Russo).
6. il cuore le parlasse: cfr. il siciliano «Parrari lu cori» nel senso di
«prevedere, presagire, indovinare» (Mortillaro). Cfr. anche XIV, 32. –
vedere ogni cosa in nero: in evidente contrasto con la gioiosa raffigura-
zione del paesaggio («stelline d’oro e d’argento»); analogamente al
capitolo VIII, 32. – i ragazzi... finestre: i commi iniziali del capitolo (1-
6) sono l’esito in A di un’ampia rielaborazione che sviluppa, dramma-
tizzandola attraverso il dialogo, una versione iniziale ridotta a poche
righe di semplice enunciazione degli eventi. La dilatazione descrittiva è
già presente comunque nella lezione di base, che qui diamo nelle due
versioni, alleggerite degli incidenti interni: «Intanto veniva la ‘Pasqua
dei fiori’ [la domenica delle Palme] e Maruzza appese le ultime ghir-
lande di margherite gialle e bianche all’uscio e alle finestre, e i ragazzi
accesero il falò nel cortile del nespolo» ➝ «Era arrivata la ‘Pasqua
delle rose’ [la Pentecoste] e i campi erano seminati di stelline d’oro e
d’argento, e fin le povere ginestre della sciara ci avevano il loro fiorelli-
no giallo. I ragazzi accesero il falò nel cortile, e quella fu l’ultima volta
che Maruzza appese le ghirlande di margherite all’uscio e alle finestre».

Letteratura italiana Einaudi 180


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

pareva che il cuore le parlasse e le facesse vedere ogni cosa


in nero, mentre i campi erano tutti seminati di stelline d’oro
e d’argento, e i ragazzi infilavano le ghirlande per
l’Ascensione, ed ella stessa era salita sulla scala per aiutare
sua madre ad appendere le ghirlande all’uscio e alle finestre.
Mentre tutte le porte erano fiorite, soltanto quella di com-
pare Alfio, nera e sgangherata, stava sempre chiusa, e non
c’era più nessuno che vi appendesse i fiori dell’Ascensione.
– Quella civetta di Sant’Agata! andava dicendo la Vespa
colla schiuma alla bocca, tanto ha detto e tanto ha fatto che
ha mandato via dal paese compar Alfio!
7 Intanto a Sant’Agata le avevano messa la veste nuova, e
aspettavano la festa di San Giovanni per toglierle la spadina
dargento dalle trecce, spartirle i capelli sulla fronte, prima
d’andare in chiesa, sicché ognuno al vederla passare diceva:
– Beata lei!

I termini della rappresentazione ricalcano quelli che compaiono in


Nedda (p. 28): «Venne la Pasqua, la gaia festa dei campi, coi suoi falò
giganteschi, colle sue allegre processioni fra i prati verdeggianti e sotto
gli alberi carichi di fiori, colla chiesuola parata a festa, gli usci delle casi-
pole incoronati di festoni, e le ragazze colle belle vesti nuove d’estate».
– colla schiuma alla bocca: cfr. VII, 21; inoltre X, 69; XII, 43; XIII, 27,
44, 53; XV, 33. Cfr. anche Mastro-don Gesualdo, III, IV, p. 360: «Lui,
paonazzo dalla collera, colla schiuma alla bocca [...]». Vedi inoltre
Manzoni, I promessi sposi, XII, p. 219: «Parole da non ripetersi diceva,
con la schiuma alla bocca, un altro […]».
7. veste nuova: cfr. Nedda, p. 28: «le ragazze colle belle vesti nuove
d’estate». – toglierle la spadina... fronte: la «spadina (spatuzza in sicilia-
no) d’argento» era un fermaglio che le ragazze portavano fra i capelli e
che veniva tolto dopo la cerimonia del fidanzamento (vedi IX, 52:
«s’era rimessa la spadina d’argento»). Questa usanza è più ampiamen-
te descritta nell’abbozzo M 3: «... le tolse dalle trecce lo spadino, com’e-
ra d’uso, la pettinò colla riga in mezzo alla fronte, e le annodò in capo
il fazzoletto di seta, in questo mentre tutte le maritate facevano circolo,
in aria greve, colle mani sul ventre e le dita cariche d’anelli». Vedi anche
Manzoni, I promessi sposi, II, p. 44: «I neri e giovanili capelli, spartiti
sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgeva, die-
tro il capo, in cerchi molteplici di trecce... »

Letteratura italiana Einaudi 181


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

La mamma invece, poveretta, si sentiva dentro tutta in


festa, perché la sua ragazza andava in una casa dove non le
sarebbe mancato nulla, e intanto ella era sempre in faccen-
de a tagliare e cucire. Padron ’Ntoni voleva vedere anche
lui, quando tornava a casa la sera, e teneva la tela e la matas-
sa del cotone, e ogni volta che andava alla città portava qual-
8 che cosuccia. Il cuore tornava ad aprirsi col bel tempo, i
ragazzi guadagnavano tutti, chi più chi meno, e la
Provvidenza si buscava il pane anch’essa, e facevano il conto
che coll’aiuto di Dio a San Giovanni si sarebbero cavati
d’imbarazzo. Padron Cipolla allora stava delle sere intere
seduto sugli scalini della chiesa con padron ’Ntoni, a discor-
rere di quel che aveva fatto la Provvidenza. Brasi girandola-
va sempre per la straduccia dei Malavoglia, col vestito
nuovo; e poco dopo si seppe per tutto il paese che quella
domenica comare Grazia Piedipapera andava lei a spartire i
capelli della sposa, e a levarle la spadina d’argento, perché
Brasi Cipolla era orfano della madre, e i Malavoglia avevano
invitato lo zio Crocifisso, e tutto il vicinato, e tutti gli amici
e i parenti, senza risparmio.
9 – Io non ci vengo! borbottava lo zio Crocifisso a compa-
re Tino, colle spalle all’olmo della piazza. Ho mangiato trop-
pa bile e non voglio dannarmi l’anima. Andateci voi che non
ve ne importa niente, e non si tratta della roba vostra.
Ancora c’è tempo per mandare l’usciere; l’ha detto lavvoca-
to.
– Voi siete il padrone, e farò come dite voi. Adesso non ve
ne importa più perché Alfio Mosca se ne è andato. Ma

8. Il cuore... bel tempo: in contrasto con IX, 6: «pareva che il cuore


le parlasse e le facesse vedere ogni cosa in nero». La prima versione in
A: «Ora che era tornata l’estate il cuore tornava ad aprirsi di nuovo
come la stagione». – girandolava: correzione in A su: «gironzava»; cfr.
VI, 20.
9. colle spalle... della piazza: varia: «colle spalle al muro» (VI, 24).

Letteratura italiana Einaudi 182


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

10 vedrete che appena si marita Mena, egli torna qui e si piglia


vostra nipote.
Comare Venera la Zuppidda faceva il diavolo perché ave-
vano invitato comare Grazia a pettinare la sposa, mentre
sarebbe toccato a lei, che stava per diventare parente dei
Malvoglia, e la sua figliuola s’era fatta comare di basilico con
la Mena, tanto che aveva fatto cucire alla Barbara in fretta e
furia la veste nuova, ché non se l’aspettava quell’affronto.
’Ntoni ebbe un bel pregarla e scongiurarla di non attaccarsi
a quel pelo, e lasciar correre. Comare Venera, tutta pettina-
ta, e colle mani intrise di farina, che sera messa apposta ad
11 impastare il pane, per far vedere che non le importava più
d’andare al convito dei Malavoglia, rispondeva:
– Avete voluto la Piedipapera? tenetevela! O lei o io!
Tutte e due al mondo non possiamo starci.
I Malavoglia lo sapevano bene di aver preferito comare
Grazia per amore di quei denari che dovevano a suo marito.
Adesso erano tutti una cosa con compare Tino, dopo che
padron Cipolla gli aveva fatto fare la pace con ’Ntoni di
padron ’Ntoni nell’osteria della Santuzza, per quell’affare
dei pugni.
– Gli leccano le scarpe perché gli devono quei soldi della
casa! andava borbottando la Zuppidda.

10. diventare parente: per l’intenzione di ’Ntoni di sposare sua figlia


Barbara. – attaccarsi a quel pelo: cfr. il siciliano: «Attaccarisi ad un pilu,
modo proverbiale, che vale ‘mettere difficoltà ove ella non è»
(Mortillaro).
11. di aver preferito comare Grazia: è correzione in bozze di una più
ampia lezione di A: «che la parentela di comare Grazia coi Cipolla era
più lontana della sua, ed era come quella delle anche d’Anchise, ma l’a-
vevano voluta»; in questa versione faceva macchia una locuzione
metaforica che, pur attestata nel Mortillaro («Discinni di l’anchi
d’Anchisi, si dice di ‘persona che spaccia gran nobiltà’»), appariva, per
il rimando colto, dissonante rispetto al registro ‘rusticano’ (cfr. ad es. I,
8 la soppressione di «come il David di Michelangiolo»).

Letteratura italiana Einaudi 183


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

12 – Anche a mio marito gli devono più di cinquanta lire per


la Provvidenza. Domani voglio farmele dare.
– Lasciate stare, mamma! lasciate stare! supplicava la
Barbara. Ma anch’ella aveva tanto di muso, perché non
aveva potuto mettere la veste nuova, e quasi quasi si penti-
va dei soldi spesi pel basilico che aveva mandato a comare
Mena; e ’Ntoni il quale era venuto a prenderle, lo rimanda-
rono mogio mogio, che il giubbone nuovo gli cascava di
13 dosso. Madre e figlia poi stavano a guardare dal cortile,
mentre infornavano il pane, la babilonia che c’era a casa dei
Malavoglia, tanto che le voci e le risate si udivano fin là, per
farle arrabbiare maggiormente. La casa del nespolo era
piena di gente, come quando era morto compare
Bastianazzo; e Mena, senza spadina d’argento e coi capelli
spartiti sulla fronte, pareva tutt’altra, talché tutte le comari
le facevano ressa intorno, e non si sarebbe sentita una can-
nonata dal cicaleccio e dalla festa. Piedipapera sembrava
che facesse il solletico alle donne, tante ne diceva, mentre
l’avvocato stava preparando le carte, giacché a mandare l’u-
sciere c’era tempo, aveva detto lo zio Crocifisso; persino
padron Cipolla si lasciò andare a dire delle barzellette, alle
quali rideva soltanto suo figlio Brasi; e tutti parlavano in una
volta, mentre i monelli si disputavano le fave e le castagne
fra le gambe della gente. La stessa Longa, poveretta, aveva
14 dimenticato i suoi guai dalla contentezza; e padron ’Ntoni,

12. babilonia: corregge in A: «baldoria», con intensificazione spre-


giativa che rivela il punto di vista della Zuppidda; a conferma, cfr. IX,
22: «guardava la casa del nespolo dove facevano baldoria». cfr.
Manzoni; I promessi sposi, XIV, p. 240: «Pensate poi che babilonia di
discorsi».
13. La casa... Bastianazzo: cfr. V, 27: «la casa e il cortile si riempiro-
no di gente, come quando era morto Bastianazzo, tempo addietro, che
nessuno ci pensava più». – aveva dimenticato... contentezza: corregge in
A: «si sentiva il sangue nella testa per la contentezza».
14. fasola: danza popolare, «una specie di carmagnole» (Verga), così
denominata, secondo un’etimologia corrente, dalle note fa-sol-la, che vi
sarebbero continuamente ripetute; secondo invece un’ipotesi di

Letteratura italiana Einaudi 184


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

seduto sul muricciuolo, diceva di sì col capo, e rideva tutto


solo.
– Bada a non dar da bere ai tuoi calzoni, come laltra volta,
che non hanno sete, diceva al figlio compar Cipolla; e dice-
va pure che si sentiva in gamba meglio della sposa e voleva
ballare la fasola con lei.
– Allora io non ho più nulla da far qui, e me ne posso
andare! rispondeva Brasi il quale voleva dire le sue barzel-
lette anche lui, e gli seccava che lo lasciavano in un cantuc-
cio come un minchione, e non gli dava retta nemmeno
15 comare Mena.
– La festa si fa per comare Mena, diceva la Nunziata, ma
essa non è contenta come tutti gli altri.
Allora la cugina Anna finse che le scappasse di mano il
boccale, nel quale c’era ancora più di un quartuccio di vino,
e cominciò a gridare:
– Allegria! allegria! «Dove ci sono i cocci ci son feste», e
il vino che si spande è di buon augurio.
16 – Un altro po’ me lo versava sui calzoni anche questa

Salomone-Marino (p. 429), che nega ogni validità alla spiegazione


comune, il nome potrebbe essere riconducibile al musicista Giovan
Battista Fasolo da Asti, monaco francescano che visse a Palermo nella
prima metà del XVII secolo. – La festa... altri: l’accenno al dolore di
Mena, introdotto con estrema sobrietà e subito bilanciato dal tono con-
trastante delle battute successive, spetta a Nunziata, al personaggio cioè
che è stato testimone degli incontri di Mena con Alfio e che assiste al
pianto sommesso della ragazza, sotto il nespolo al chiaro di luna, dopo
l’addio di Alfio (VIII, 36).
15. «Dove...feste»: nel Pitrè (II, p. 114) compare il proverbio: «Resti
(qui per ‘cocci’), boni festi», con la seguente spiegazione: «Nella Contea
di Modica pria che gli sposi novelli entrino in casa, spargesi del vino
sull’uscio, rompendone il recipiente, e dicendo queste parole». – dacchè
gli era accaduta quella disgrazia sul vestito: con accentuazione comica
rispetto alla prima versione di A: «dacchè aveva il vestito nuovo».
16. meglio assai: l’uso di «assai» per «molto» è dialettalismo meri-
dionale, qui accentuato dalla posposizione (si noti che «assai» è aggiun-
to solo nelle bozze). Cfr. anche XII, 20: «guai assai»; XIII, 28: «grossi

Letteratura italiana Einaudi 185


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

volta! brontolò Brasi, il quale dacché gli era accaduta quel-


la disgrazia sul vestito stava guardingo.
Piedipapera s’era messo a cavalcioni sul muro, col bic-
chiere fra le gambe, che sembrava il padrone, per quell’u-
sciere che poteva mandare, e disse: – All’osteria non cè nem-
meno Rocco Spatu, oggi tutta l’allegria è qui, e pare di esse-
re dalla Santuzza.
– Qui è meglio assai! osservò il figlio della Locca, il quale
era venuto in coda alla folla, e l’avevano fatto entrare per
dare da bere anche a lui. Dalla Santuzza se ci andate senza
denari non vi danno niente.
Piedipapera dal muro stava guardando un piccolo croc-
chio di persone che discorrevano fra di loro vicino alla fon-
tana, colla faccia seria come se fosse per cascare il mondo.
Alla spezieria cerano i soliti sfaccendati, che si dicevano le
orazioni, col giornale in mano, o si piantavano le mani sulla
faccia, chiacchierando, quasi volessero accapigliarsi; e don
Giammaria rideva e ci tirava su una presa, che si vedeva di
là il piacere che gli faceva.
– O perché non sono venuti il vicario e don Silvestro?
domandò Piedipapera.
– Gliel’ho detto anche a loro, ma vuol dire che hanno da
17 fare, rispose padron ’Ntoni.

assai». Inoltre Il Reverendo, p. 23: «inghiottir della bile assai». Vedi


Rohlfs, §§ 954-55 – Piedipapera dal muro stava guardando...: il compito
di guidare la ‘panoramica’, facendo entrare nel ‘campo visivo’ del let-
tore lo spazio circostante, è affidato al personaggio di Piedipapera, che
assume così il ruolo di tramite nel trapasso di sequenza, con conse-
guente giustificazione tra l’altro della tonalità ironica presente nella raf-
figurazione. – dicevano le orazioni: qui ‘leggevano il giornale, commen-
tando le notizie’; ma cfr. X, 56: «ci aveva massaro Filippo per aiutarla a
dire le orazioni». – presa: di tabacco da fiuto. – quello dei numeri del
lotto: cfr. VIII, 9.
17. malanuova: «infausta, trista, lugubre, funesta notizia»
(Mortillaro); cfr. XIV, 58. – senza osare d’accostarsi: nel c. 17 avviene un
trapasso graduale, tutto giocato sul tono di tragico preannuncio («stril-
lando… si strappava i capelli... malanuova»), frammisto a ironico

Letteratura italiana Einaudi 186


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

– Son là, alla spezieria, che sembra ci sia quello dei nume-
ri del lotto. O cosa diavolo è successo?
Una vecchia andava strillando per la piazza, e si strappa-
va i capelli, quasi le avessero portato la malanuova; e davan-
ti alla bottega di Pizzuto c’era folla come quando casca un
asino sotto il carro, e tutti si affollano a vedere cos’è stato,
talché anche le donnicciuole guardavano da lontano colla
18 bocca aperta, senza osare d’accostarsi.
– Io, per me, vado a vedere cos’è successo; disse
Piedipapera, e scese dal muro adagio adagio.
In quel crocchio, invece dell’asino caduto, c’erano due
soldati di marina, col sacco in spalla e le teste fasciate, che
tornavano in congedo. Intanto si erano fermati dal barbiere
a farsi dare un bicchierino d’erbabianca. Raccontavano che
si era combattuta una gran battaglia di mare, e si erano
annegati dei bastimenti grandi come Aci Trezza, carichi
zeppi di soldati; insomma un mondo di cose che parevano

distacco («quando casca l’asino sotto il carico»), che prelude a una


sequenza nella quale verrà rivelata la morte di Luca. Più marcata in uno
degli abbozzi (M 3) l’insistenza sul registro ‘comico’, nella parte che
immediatamente seguiva: «Insomma un’aria di musoneria da far mori-
re l’allegria in bocca, se avessero avuto la testa di badarci. Cos’era
stato? era morto il vitello del sindaco?»
18. gran battaglia di mare: la battaglia di Lissa, avvenuta il 20 luglio
1866, nel corso della terza guerra di indipendenza; vennero affondate
due corazzate italiane, la Re d’italia e la Palestro. Significativa la svista
dell’autore (già segnalata da Luperini): la cerimonia del fidanzamento è
da porre, con ogni probabilità, a San Giovanni (24 giugno), il che rende
impossibile la coincidenza dell’arrivo della notizia della morte di Luca
avvenuta a Lissa. La volontà di sfruttare gli effetti drammatici derivan-
ti dall’accostamento di due eventi di tonalità così contrastante prevale
sullo scrupolo storico. A riprova vedi (qui a p. 382) gli appunti sullo
svolgimento dell’azione (dove però è Alessi che muore a Lissa): «GIU-
GNO […] Nozze di Mena – Arriva all’osteria la notizia della morte di
Alessi a Lissa [...]». – quelli... Catania: i cantastorie che in prossimità
del porto di Catania intrattenevano il pubblico con le storie dei paladi-
ni, seguendo una tradizione popolare largamente diffusa in Sicilia (si
pensi ad es. al Teatro dei pupi). Vedi, ma riferito a Napoli: «[...] sul
molo c’era il teatro di Pulcinella [...]» (I, 15).

Letteratura italiana Einaudi 187


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

19 quelli che raccontavano la storia d’Orlando e dei paladini di


Francia alla Marina di Catania, e la gente stava ad ascoltare
colle orecchie tese, fitta come le mosche.
– Il figlio di Maruzza la Longa ci era anche lui sul Re
d’Italia, osservò don Silvestro, il quale si era accostato per
sentire.
– Ora vado a dirlo a mia moglie! saltò su mastro turi
Zuppiddu, così si persuaderà ad andarci da comare
Maruzza, ché i musi lunghi non mi piacciono fra vicini ed
20 amici.
Ma intanto la Longa non ne sapeva nulla, poveraccia! e
rideva ed era in festa coi parenti e gli amici.
Il soldato non finiva di chiacchierare con quelli che vole-
vano ascoltarlo, giocando colle braccia come un predicato-
re. – Sì, c’erano anche dei siciliani; ce n’erano di tutti i paesi.
Del resto, sapete, quando suona la generale nelle batterie,
non si sente più né scìa né vossìa, e le carabine le fanno par-
lar tutte allo stesso modo. Bravi giovanotti tutti! e con del
fegato sotto la camicia. Sentite, quando si è visto quello che
21 hanno veduto questi occhi, e come ci stavano quei ragazzi a
fare il loro dovere, per la madonna! questo cappello qui lo
si può portare sull’orecchio.
Il giovanotto aveva gli occhi lustri, ma diceva che non era

20. giocando colle braccia: corregge in A: «e gesticolava». – la gene-


rale nelle batterie: l’adunata generale sul ponte dove sono posti i can-
noni. – nè scìa nè vossìa: nella generale confusione, cioè, non si distin-
guono più le varie parlate; vossìa è in siciliano «voce composta e con-
tratta da vostra signoria, vossignoria, che [...] si dà a qualunque perso-
na cui competa il lei» (Pitrè); scìa, che dovrebbe rappresentare l’equi-
valente del vossìa nella parlata settentrionale, è ricavato forse dal geno-
vese scià, con modificazione di accento per ragioni di rima. Cfr. G.
Alfieri, innesti cit., pp. 57-60. Vedi inoltre, anche se con diversa acce-
zione, Mastro-don Gesualdo, III, II, p. 332: «s’era messa a far la sapien-
te anche lei, a parlare col squinci e linci [...]»; cfr. «squinci e linci parra-
ri dicesi del parlar ricercato e affettato, imitando la favella toscana,
Toscanizzare» (Mortillaro). – cappello… sull’orecchio: cfr. V, 27.

Letteratura italiana Einaudi 188


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

nulla, ed era perché aveva bevuto. – Si chiamava il Re


d’Italia, un bastimento come non ce neerano altri, colla
corazza, vuol dire come chi dicesse voi altre donne che avete
il busto, e questo busto fosse di ferro, che potrebbero spa-
rarvi addosso una cannonata senza farvi nulla. E andato a
22 fondo in un momento, e non l’abbiamo visto più, in mezzo
al fumo, un fumo come se ci fossero state venti fornaci di
mattone, lo sapete?
– A Catania cera una casa del diavolo! aggiunse lo spezia-
le.
– La gente si affollava attorno a quelli che leggevano i
giornali, che pareva una festa.
– I giornali son tutte menzogne stampate! sentenziò don
Giammaria.
– Dicono che è stato un brutto affare; abbiamo perso una
gran battaglia, disse don Silvestro.
Padron Cipolla era accorso anche lui a vedere cos’era
quella folla.
– Voi ci credete? sogghignò egli alfine. Son chiacchiere
per chiappare il soldo del giornale.
– Se lo dicono tutti che abbiamo perso!
– Che cosa? disse lo zio Crocifisso mettendosi una mano
dietro l’orecchio.
– Una battaglia.
– Chi l’ha persa?
– Io, voi, tutti insomma, lItalia; disse lo speziale.
– Io non ho perso nulla! rispose Campana di legno strin-
23 gendosi nelle spalle; adesso è affare di compare Piedipapera

23. Ve n’entra… s’arrischiò a dire qualcheduno: il passo appare in A


come sviluppo di un’unica battuta, attribuita in una primitiva versione
allo speziale («Brutti selvaggi! e tante mamme che piangono? gridò lo
speziale»). Nella versione finale il tono sprezzante dello speziale trova,
con maggior coerenza psicologica rispetto al ruolo del personaggio, una
diversa giustificazione (significativo in questo senso il passaggio: «sel-
vaggi» ➝ «bestie»); non scaturisce infatti da un suo improbabile coin-
volgimento emotivo, ma dal concitato rilievo sull’ottusità dei compae-

Letteratura italiana Einaudi 189


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

e ci penserà lui; e guardava la casa del nespolo, dove face-


vano baldoria.
– Sapete com’è? conchiuse padron Cipolla, è come quan-
do il Comune di Aci Trezza litigava pel territorio col
Comune di Aci Castello. Cosa ve n’entrava in tasca, a voi e
a me?
– Ve n’entra! esclamò lo speziale tutto rosso. Ve n’entra...
che siete tante bestie!...
24 – Il guaio è per tante povere mamme! s’arrischiò a dire
qualcheduno; lo zio Crocifisso che non era mamma alzò le
spalle.
– Ve lo dico io in due parole comè; raccontava intanto lal-
tro soldato. E come all’osteria, allorché ci si scalda la testa,
e volano i piatti e i bicchieri in mezzo al fumo ed alle grida.
L’avete visto? Tale e quale! Dapprincipio, quando state sul-
l’impagliettatura colla carabina in pugno, in quel gran silen-
zio, non sentite altro che il rumore della macchina, e vi pare
che quel punf! punf! ve lo facciano dentro lo stomaco: nul-
l’altro. Poi, alla prima cannonata, e come incomincia il

sani, incapaci di cogliere la portata storica della sconfitta italiana a


Lissa; la nota patetica («Il guaio è per tante povere mamme») è quindi
affidata a un anonimo personaggio del gruppo. – alzò le spalle: correg-
ge in A: «fece spallucce».
24. impagliettatura: il rivestimento protettivo applicato ai parapetti
delle navi a difesa dai colpi delle artiglierie nemiche. – quel punf!
punf!... stomaco: riecheggia I, 13: «pensava a quel bum bum della mac-
china» (in A: «pensava ai colpi di stantuffo»). Il ricorso all’onomatopea
(si noti che «punf! punf! » corregge in A: «gran rumore») e l’impiego
del presente storico mirano a un più diretto coinvolgimento dell’udito-
rio in un racconto dal tono tendenzialmente epico, ma costantemente
mantenuto entro i limiti della cultura di chi se ne fa portavoce (cfr.
anche IX, 24: «pinf panf delle fucilate») – incomincia il parapiglia: in A:
«incomincia il casa del diavolo» ➝ «l’odore della polvere vi fa il sol-
letico nel naso, e incomincia il casa del diavolo». – come quando suona
il violino all’osteria: aggiunto solo in bozze. – Un bersagliere: durante la
terza guerra di indipendenza il corpo dei bersaglieri (creato nel 1836)
aveva partecipato alla battaglia di Custoza (24 giugno 1866). – sartiame:
l’insieme delle corde a sostegno degli alberi della nave.

Letteratura italiana Einaudi 190


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

parapiglia, vi vien voglia di ballare anche voi, che non vi ter-


rebbero le catene, come quando suona il violino all’osteria,
dopo che avete mangiato e bevuto, e allungate la carabina
dappertutto dove vedete un po di cristiano, in mezzo al
fumo. In terra è tutt’altra cosa. Un bersagliere che tornava
con noi a Messina ci diceva che non si può stare al pinf panf
delle fucilate senza sentirsi pizzicar le gambe dalla voglia di
buttarsi avanti a testa bassa. Ma i bersaglieri non sono mari-
nari, e non sanno come si fa a stare nel sartiame col piede
fermo sulla corda e la mano sicura al grilletto, malgrado il
rollìo del bastimento, e mentre i compagni vi fioccano d’at-
25 torno come pere fradicie.
– Per la madonna! esclamò Rocco Spatu. Avrei voluto
esserci anch’io a far quattro pugni.
Tutti gli altri stavano ad ascoltare con tanto docchi aper-
ti. L’altro giovanotto poi raccontò pure in qual modo era sal-
tata in aria la Palestro, – la quale ardeva come una catasta di
legna, quando ci passò vicino, e le fiamme salivano alte sino
alla penna di trinchetto. Tutti al loro posto però, quei ragaz-
26 zi, nelle batterie o sul bastingaggio. Il nostro comandante
domandò se avevano bisogno di nulla. – No, grazie tante,
risposero. Poi passò a babordo e non si vide più.
– Questa di morire arrostito non mi piacerebbe, conchiu-
se Spatu; ma pei pugni ci sto. E la Santuzza come tornò
all’osteria, gli disse: – Chiamateli qua, quei poveretti, che
devono aver sete, dopo tanta strada che hanno fatto, e ci
vuole un bicchiere di vino schietto. Quel Pizzuto avvelena la

25. penna di trinchetto: l’estremità superiore (penna) dell’albero di


prora (trinchetto). – bastingaggio: la protezione per il combattimento
ravvicinato posta lungo la parte interna dei fianchi della nave. – a babor-
do: ‘a sinistra’ (per chi guarda verso la prora della nave).
26. adagio adagio: corregge in A: «con cautela perchè non sentissero
quei due arrabbiati ( ➝ nuovi arrivati) ». – Poveracci: corregge in
bozze: «Poveretti» (cfr. poco prima «poveretti loro»). – beccafico: pic-
colo uccello dalle carni pregiate, ritenuto dannoso all’agricoltura per-
ché si ciba di frutti.

Letteratura italiana Einaudi 191


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

gente colla sua erbabianca, e non va a confessarsene.


Certuni la coscienza l’hanno dietro le spalle, poveretti loro!
– A me mi sembrano tanti pazzi costoro! diceva padron
Cipolla, soffiandosi il naso adagio adagio. che vi fareste
ammazzare voi quando il re vi dicesse: fatti ammazzare per
conto mio?
– Poveracci, non ci hanno colpa! osservava don Silvestro.
Devono farlo per forza, perché dietro ogni soldato ci sta un
caporale col fucile carico, e non ha a far altro che star a
27 vedere se il soldato vuole scappare, e se il soldato vuol scap-
pare il caporale gli tira addosso peggio di un beccafico.
– Ah! così va bene! Ma è una bricconata bell’e buona!
Tutta la sera si rise e si bevette nel cortile dei Malavoglia,
con un bel chiaro di luna; e sul tardi poi, quando tutti erano
stanchi, e ruminavano lentamente le fave abbrustolite, e
alcuni anche canterellavano sottovoce, colle spalle al muro,
vennero a raccontare la storia che avevano portato in paese
i due congedati. Padron Fortunato se n’era andato di buo-
nora, e aveva condotto via Brasi col vestito nuovo.
– Quei poveri Malavoglia, diceva incontrando sulla piaz-
za Campana di legno, Dio gliela mandi buona! Hanno la iet-
tatura addosso!
28 Lo zio Crocifisso stava zitto e si grattava la testa. Lui non

27. iettatura: ‘malasorte’; in siciliano: «Jittatura, voce napoletana


passata nel nostro famigliare, malìa, fattucchieria, incantamento»
(Mortillaro).
28. colle mani sotto il grembiule: aggiunta interlineare in A. Nel codi-
ce gestuale ‘rusticano’ si associa spesso (cfr. ad es. III, 23: «colle mani
sul ventre») ad atteggiamenti di solidarietà femminile nella disgrazia,
trasformandosi però, quando questa non è ancora esplicitamente indi-
cata, in un suo potenziale presagio. Vedi anche poco oltre: «comincia-
va a star sempre sulla porta, come ogni volta che succedeva una disgra-
zia». – voltando la testa di qua e di là: corregge in A: «guardando inquie-
ta». – mina: di registro apparentemente arcaico e letterario, il termine
(introdotto solo in bozze) è attestato in siciliano nel senso di «danno,
disfacimento, sterminio, eccidio, violenza» (Mortillaro). In A (anche se
in un diverso contesto): «in quella storia (su quel combattimen(to) ➝

Letteratura italiana Einaudi 192


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

centrava più, se n’era lavate le mani. Ora era affare di


Piedipapera; ma gli dispiaceva, in coscienza.
Un giorno dopo cominciò a correre la voce che nel mare
verso Trieste ci era stato un combattimento tra i bastimenti
nostri e quelli dei nemici, che nessuno sapeva nemmeno chi
fossero, ed era morta molta gente; chi raccontava la cosa in
un modo e chi in un altro, a pezzi e bocconi, masticando le
parole. Le vicine venivano colle mani sotto il grembiule a
domandare se comare Maruzza ci avesse il suo Luca laggiù,
e stavano a guardarla con tanto d’occhi prima d’andarsene.
La povera donna cominciava a star sempre sulla porta, come
ogni volta che succedeva una disgrazia, voltando la testa di
qua e di là, da un capo all’altro della via, quasi aspettasse più
presto del solito il suocero e i ragazzi dal mare. Le vicine le
domandavano pure se Luca avesse scritto, o era molto che
non riceveva lettera di lui. – Davvero ella non ci aveva pen-
sato alla lettera; e tutta la notte non poté chiudere occhio, e
aveva sempre la testa là, nel mare verso Trieste, dov’era suc-
cessa quella ruina; e vedeva sempre suo figlio, pallido e
29 immobile, che la guardava con certi occhioni sbarrati e
lucenti, e diceva sempre di sì, come quando l’avevano man-
dato a fare il soldato – talché sentiva anche lei una sete,
un’arsura da non dirsi. – In mezzo a tutte le storie che cor-
revano pel villaggio, e che erano venuti a raccontarle, le era
rimasto in mente di uno di quei marinari, che l’avevano
pescato dopo dodici ore, quando stavano per mangiarselo i

quel conf(litto)) che le avevano detto». – talchè... non dirsi: il curioso


rapporto di consequenzialità risulta comprensibile solo alla luce della
successiva spiegazione. Il sovvertimento dell’ordine logico, che nella
versione di A appare molto più attenuato («e sentiva anche una sete,
un’arsura da non dirsi»), traduce lo stato di ossessiva trepidazione della
madre per la sorte del figlio. Vedi anche nell’Amante di Gramigna, p.
206: « […] ella seguitava a dire che non lo conosceva neanche di vista
quel cristiano; ma la notte lo vedeva in sogno, e alla mattina si levava
colle labbra arse quasi avesse provato anch’essa tutta la sete ch’ei dove-
va soffrire».

Letteratura italiana Einaudi 193


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

pescicani, e in mezzo a tutta quell’acqua moriva di sete.


Allora la Longa, come pensava a quell’uomo che moriva di
sete in mezzo a tutta quell’acqua, non poteva stare dall’an-
30 dare ad attaccarsi alla brocca, quasi ce l’avesse avuta dentro
di sé quell’arsura, e nel buio spalancava gli occhi, dove ci
aveva sempre stampato quel cristiano.
Coll’andare dei giorni però, nessuno parlava più di quel-
lo che era successo, ma come la Longa non vedeva spuntare
la lettera, non aveva testa né di lavorare né di stare in casa:
era sempre in giro a chiacchierare di porta in porta, quasi
andasse cercando quel che voleva sapere. – Avete visto una
gatta quando ha perso i suoi gattini? dicevano le vicine. La
lettera non veniva però. Anche padron ’Ntoni non s’imbar-
31 cava più e stava sempre attaccato alle gonnelle della nuora
come un cagnolino. Alcuni gli dicevano: – Andate a Catania,
che è paese grosso, e qualcosa sapranno dirvi.
Nel paese grosso il povero vecchio si sentiva perso peggio
che a trovarsi in mare di notte, e senza sapere dove drizzare
il timone. Infine gli fecero la carità di dirgli che andasse dal
capitano del porto, giacché le notizie doveva saperle lui.
Colà, dopo averlo rimandato per un pezzo da Erode a
Pilato, si misero a sfogliare certi libracci e a cercare col dito
sulla lista dei morti. Allorché arrivarono ad un nome, la
Longa che non aveva ben udito, perché le fischiavano gli
orecchi, e ascoltava bianca come quelle cartacce, sdrucciolò
pian piano per terra, mezzo morta.
32 – Son più di quaranta giorni, – conchiuse l’impiegato,

30. come: ‘siccome’. – una gatta... gattini: cfr. I, 18.


31. rimandato… da Erode a Pilato: l’espressione popolare è attestata
oltre che nel Petrocchi e nel Rigutini-Fanfani, anche nel Mortillaro col
senso di «mandare alcuno da una persona ad un’altra con apparenza di
giovargli, ma senza concludere». Per l’ambito metaforico cfr. anche II,
25. – mezzo morta: in A: «come fosse morta».
32. per l’Addolorata… chiesetta: IV, 22.

Letteratura italiana Einaudi 194


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

chiudendo il registro. Fu a Lissa; che non lo sapevate anco-


ra?
La Longa la portarono a casa su di un carro, e fu malata
per alcuni giorni. D’allora in poi fu presa di una gran devo-
zione per l’Addolorata che c’è sull’altare della chiesetta, e le
pareva che quel corpo lungo e disteso sulle ginocchia della
madre, colle costole nere e i ginocchi rossi di sangue, fosse
il ritratto del suo Luca, e si sentiva fitte nel cuore tutte quel-
le spade d’argento che ci aveva la Madonna. Ogni sera le
donnicciuole, quando andavano a prendersi la benedizione,
33 e compare Cirino faceva risuonare le chiavi prima di chiu-
dere, la vedevano sempre lì, a quel posto, accasciata sui
ginocchi, e la chiamavano anche lei la madre addolorata.
– Ha ragione – dicevano nel paese. – Luca sarebbe torna-
to fra breve, e i suoi trenta soldi al giorno se li sarebbe gua-
dagnati. «A nave rotta ogni vento è contrario».
– Avete visto padron ’Ntoni? aggiungeva Piedipapera;
dopo la disgrazia di suo nipote sembra un gufo tale e quale.
34 – Adesso la casa del nespolo fa acqua davvero da tutte le
parti, come una scarpa rotta, e ogni galantuomo bisogna che
pensi ai suoi interessi.
La Zuppidda era sempre con tanto di muso, e borbottava
che ora tutta la famiglia rimaneva sulle braccia di ’Ntoni!

33. «A nave… contrario»: cfr. «A navi rutta ogni ventu è cuntrariu»


(Pitrè, I, p. 249). – sembra un gufo tale e quale: (in A: «s. un vero gufo»);
detto di persona «che se ne vive ritirata e non ama la conversazione»
(Petrocchi). Ma si uniscono connotazioni legate all’immagine funerea e
di malaugurio tradizionalmente associata al gufo; vedi Vagabondaggio,
p. 483: «E si fece il nido come un gufo»; inoltre Mastro-don Gesualdo,
I, VII, p. 273: « – Sembrava che piangessero il morto, quando siamo
andati a prendere la sposa! ... due gufi, tale e quale». – come una scar-
pa rotta: cfr. I, 2.
34. Voi tacete... affari vostri: cfr. VI, 29. Inoltre cfr. IX, 57. – malabe-
stia di dieci rotoli: l’attrezzo del calafato (cfr. III, 4) del peso di circa
otto chili (il rotolo corrispondeva a circa 800 grammi).

Letteratura italiana Einaudi 195


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

Questa volta una ragazza ci penserà prima di pigliarselo per


marito.
– Cosa ci hai con quel povero giovane? domandava
mastro Turi.
35 – Voi tacete, ché non sapete nulla; gli gridava la moglie. I
pasticci non mi piacciono! Andate a lavorare che non sono
affari vostri: – e lo mandava fuori dell’uscio colle braccia
penzoloni e quella malabestia di dieci rotoli in mano.
Barbara, seduta sul parapetto del terrazzo, a strappare le
foglioline secche dei garofani, colla bocca stretta anche lei,
faceva cascare nel discorso che «maritati e muli vogliono
star soli» e che «fra suocera e nuora ci si sta in malora».
– Quando Mena si sarà maritata, rispondeva ’Ntoni, il
nonno ci darà la camera di sopra.
– Io non ci sono avvezza a star nella camera di sopra,
come i colombi! tagliava corto la Barbara; tanto che suo
padre, ch’era suo padre! diceva a ’Ntoni, guardandosi attor-
no, mentre se ne andavano per la straduccia: – Verrà tutta
sua madre, la Barbara; pensa a non farti mettere il basto da
principio, se no ti succede come a me.

35. colla bocca stretta: «dir qualcosa colla bocca stretta, ‘con stizza mal
celata’» (Petrocchi); ma cfr. anche il siciliano «cô mussu strittu» impie-
gato «a denotare l’atteggiamento di superba degnazione con cui alcuni
si rivolgono a chi ritengono ‘inferiore’» (vedi IV, 22: «Si voltava a
discorrere con lei, colla bocca stretta»), ma anche riferito a «chi parla
con reticenza e malanimo [...] mascherando l’intenzione di parlar male
di qualcuno» (G. Alfieri, Innesti cit., pp. 34-35). – «maritati… malora»:
i due proverbi trovano attestazione nel Pitrè (II, p. 95: «Mariti e muli
vonnu stari suli» e II, p. 233, in una versione còrsa: «Tra sociara e nora
c’è spessu malora»), ma comparivano, ravvicinati e nella medesima suc-
cessione, in uno dei primi abbozzi del romanzo (M 3, p. 209), in una
fase cioè certamente anteriore alla pubblicazione dell’opera del Pitrè e
in cui scarsissima è la presenza del proverbio. – mettere il basto: cfr.
«era l’asino da basto di tutta la cava» (Rosso Malpelo, in Vita dei campi,
p. 174). Per opposizione: «Quell’elefante di mastro Turi Zuppiddu»
(III, 4). – Venera: in Treves ’81, erroneamente: «Barbara».

Letteratura italiana Einaudi 196


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

36 Però comare Venera aveva dichiarato: – Prima che mia


figlia vada a dormire nella stanza dei colombi bisogna sape-
re a chi resta la casa, e voglio stare a vedere dove finisce que-
sto affare dei lupini.
Andava a finire che Piedipapera stavolta voleva essere
pagato, santo diavolone! San Giovanni era arrivato, e i
Malavoglia tornavano a parlare di dare degli acconti, perché
non avevano tutti i denari, e speravano di raggranellare la
somma alla raccolta delle ulive. Lui se l’era levati di bocca
quei soldi, e non aveva pane da mangiare, com’è vero Dio!
37 non poteva campare di vento sino alla raccolta delle ulive.
– A me mi dispiace, padron ’Ntoni; gli aveva detto: ma
che volete? Bisogna che pensi ai miei interessi. San
Giuseppe prima fece la sua barba e poi quella di tutti gli
altri.
– Presto compie l’anno! aggiungeva lo zio Crocifisso,
quand’era solo a brontolare con compare Tino, – e non si è
visto un grano d’interessi – quelle duecento lire basteranno
appena per le spese. Vedrete che al tempo delle ulive vi
diranno di aspettarli sino a Natale, e poi sino a Pasqua. Così
vanno in rovina le case. Ma io la roba mia l’ho fatta col sudo-
re della fronte. Adesso uno è in paradiso, l’altro vuole la
Zuppidda; non possono menare innanzi quella barca rotta,
e cercano di maritare la ragazza. – Costoro non pensano ad
altro che a maritarsi, hanno la rabbia come mia nipote la

36. San Giovanni era arrivato: seguiva in una prima versione di A:


«colle mele amare e le prime mandorle». – alla raccolta delle ulive: in
autunno inoltrato. – San Giuseppe... altri: variante del proverbio: «Lu
Signuri sifici prima la sò varva, e poi chidda di l’autri» (Pitrè, II, p. 31,
con un’ampia attestazione nei vari dialetti; come personaggio, di volta in
volta «Cristo», «san Francesco», «san Pietro»). Vedi ripresa in IX, 41.
37. grano: moneta di rame di scarso valore (cfr. VI, 20). – in paradi-
so: corregge in A: «morto». – menare innanzi… rotta: cfr. I, 2. – rabbia:
cfr. «ci ha la rabbia del marito» (II, 18).

Letteratura italiana Einaudi 197


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

Vespa. Adesso che Mena si marita, vedrete che compare


Mosca torna qui, per chiapparsi la chiusa della Vespa.
38 In conclusione se la prendevano coll’avvocato, il quale
non finiva mai di scrivere le sue carte prima di mandare l’u-
sciere.
– Ci sarà stato padron ’Ntoni a dirgli di andare adagio;
soggiungeva Piedipapera; con un rotolo di pesce se ne com-
prano dieci di avvocati.
Stavolta egli l’aveva rotta sul serio coi Malavoglia, perché
la Zuppidda era andata a togliere la roba di comare Grazia
dalla sponda del lavatoio, e ci aveva messa la sua: di quelle
39 soperchierie che fanno montare la mosca al naso; la
Zuppidda si fidava perché le dava di spalla quel cetriolo di
’Ntoni Malavoglia, il quale faceva il bravaccio. Una manica
di carogne, quei Malavoglia, e non voleva vederli più nel
battesimo porco che quell’altro porco di don Giammaria gli
aveva messo in fronte.
Le carte bollate allora cominciarono a piovere, e
Piedipapera diceva che l’avvocato non doveva esser rimasto

38. le dava di spalla: ‘la incoraggiava, la sosteneva’. In A: «le dava


spalla». – vederli più nel battesimo... in fronte: in siciliano «battisimu»
significa popolarmente anche «fronte» (Mortillaro), l’espressione vale
quindi ‘guardarli in faccia’ (cfr. anche XIII, 10), ma giocando sul dop-
pio senso si chiama in causa don Giammaria, con un’associazione dis-
sacrante che manifesta tutto il risentimento di Piedipapera.
39. stitici: ‘avari’ (Fanfani), ‘restii a pagare’; il Mortillaro rimanda,
per il senso figurato, direttamente a «spilorciu». – se ci era… pagato: col
valore esclamativo di ‘figurarsi se...’. Sostituisce in A: «se uno doveva
spendere il battesimo per riavere il sangue suo», con evidente perdita
di espressività, ma col chiaro intento di evitare una ripetizione qui non
funzionale (cfr. c. 38: «battesimo porco»). – «chi è... casa»: cfr. Pitrè, III,
p. 288: «Cu’ è minchiuni resta a sò casa». – lasciarvi... nuora: cfr. VI, 42.
– aveva fatto il pasticcio... mangiasse: cfr. il siciliano «pastizza», «specie
di focaccia», ma in senso figurato «sproposito» (Mortillaro). Vedi
anche VII, 41. – «Guai... aiuto!»: cfr. Pitrè, I, p. 271: «Tintu cui cadi pri
circari (o chiamari) ajutu», cui fa seguito il corrispondente toscano:
«Guai a quella casa che ha bisogno di puntelli».

Letteratura italiana Einaudi 198


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

contento del regalo di padron ’Ntoni per lasciarsi compra-


re, e questo provava che razza di stitici essi fossero; se ci era
40 da fidarsi quando promettevano che avrebbero pagato.
Padron ’Ntoni tornò a correre dal segretario e dall’avvocato
Scipioni; ma questi gli rideva sul naso, e gli diceva che «chi
è minchione se ne sta a casa», che non doveva lasciarvi met-
tere la mano alla nuora, e poiché aveva fatto il pasticcio se
lo mangiasse. «Guai a chi casca per chiamare aiuto!».
– Sentite a me, gli suggerì don Silvestro, piuttosto dategli
41 la casa, se no se ne va in spese perfino la Provvidenza e i
capelli che ci avete in testa; e ci perdete anche le vostre gior-
nate, coll’andare e venire dall’avvocato.
– Se ci date la casa colle buone, gli diceva Piedipapera, vi
lasceremo la Provvidenza, che potrà guadagnarvi il pane, e
resterete padroni, e non verrà l’usciere colla carta bollata.
Compare Tino non aveva fiele in corpo, e andava a parla-
re a padron ’Ntoni come se non fosse fatto suo, passandogli
42 il braccio attorno al collo, e gli diceva: – Scusatemi, fratello
mio, a me mi dispiace più di voi, di cacciarvi fuori della
vostra casa, ma che volete? sono un povero diavolo; quelle
cinquecento lire me le son levate dalla bocca, e San
Giuseppe prima fece la sua barba. Fossi ricco come lo zio
Crocifisso non ve ne parlerei nemmeno, in coscienza mia!
Il povero vecchio non aveva il coraggio di dire alla nuora
che dovevano andarsene colle buone dalla casa del nespolo,

40. Sentite a me: cfr. XII, 6.


41. non aveva fiele in corpo: cfr. Manzoni, I promessi sposi, I, p. 20:
«Non è però che non avesse anche lui il suo po’ di fiele in corpo». – San
Giuseppe... barba: cfr. IX, 36.
42. come andarsene... tornati più: la partenza, in quanto rottura di
un’armonia, in un mondo come quello di Trezza che si configura come
microcosmo, immancabilmente si associa al tema della disgregazione e
della morte, ma qui con valenze ancor più profonde: l’abbandono della
casa del nespolo equivale infatti per i Malavoglia («quelli della casa del
nespolo e della Provvidenza») anche a una irrimediabile perdita di iden-
tità. – spatriare: segue in A: «ch’è la cosa più dura». Vedi anche XI, 9.

Letteratura italiana Einaudi 199


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

dopo tanto tempo che ci erano stati, e pareva che fosse come
43 andarsene dal paese, e spatriare, o come quelli che erano
partiti per ritornare, e non erano tornati più, che ancora
c’era lì il letto di Luca, e il chiodo dove Bastianazzo appen-
deva il giubbone. Ma infine bisognava sgomberare con tutte
quelle povere masserizie, e levarle dal loro posto, che ognu-
na lasciava il segno dov’era stata, e la casa senza di esse non
sembrava più quella. La roba la trasportarono di notte, nella
casuccia del beccaio che avevano presa in affitto, come se
non si sapesse in paese che la casa del nespolo ormai era di
Piedipapera, e loro dovevano sgomberarla; ma almeno nes-
suno li vedeva colla roba in collo.
Quando il vecchio staccava un chiodo, o toglieva da un
cantuccio un deschetto che soleva star lì di casa, faceva una
scrollatina di capo.
Poi si misero a sedere sui pagliericci ch’erano ammontic-
chiati nel mezzo della camera, per riposarsi un po’, e guar-
davano di qua e di là se avessero dimenticato qualche cosa;
44 però il nonno si alzò tosto ed uscì nel cortile, all’aria aperta.

43. deschetto: cfr. I, 13. – soleva star lidi casa: ‘era sempre stato in
quel luogo’; ma il contesto risemantizza un’espressione comune.
44. e la stradicciuola... in quella casa: nella versione primitiva di A
così appariva il testo indicato: «e Mena inoltre guardava pure (aggiun-
ta interlineare) la finestra di compare Alfio, che era sempre chiusa.
Ognuno aveva qualcosa da guardare in quella casa [...]». La versione
finale, con indubbio acquisto, dilata la tensione evocativa con l’inseri-
mento di dettagli puntualmente riscontrabili nella scena della partenza
di Luca (cfr. VII, 2), ormai trasformati però dalla morte del figlio in
immagini e gesti fissati indelebilmente nella memoria di Maruzza. Viene
espunta l’esplicita presenza di Mena (certo per evitare la monotona
struttura ad elenco: «Maruzza guardava»... «e Mena inoltre guarda-
va»... «Ognuno aveva qualcosa da guardare»...), anche se in modo più
suggestivamente ambiguo si lascia intendere che potrebbe essere suo lo
sguardo che si posa sulla finestra chiusa di Alfio Mosca. In un contesto
come quello che si determina, nel quale le cose rivelano un così inten-
so potere evocativo, acquista infine particolare valore la variante
«paracqua d’incerata» ➝ «ombrello». La prima versione era ripresa
testuale dalla scena della partenza di Luca («se lo vide partire sotto

Letteratura italiana Einaudi 200


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

Ma anche lì c’era della paglia sparsa per ogni dove, dei


cocci di stoviglie, delle nasse sfasciate, e in un canto il
nespolo, e la vite in pampini sull’uscio. – Andiamo via! dice-
va egli. Andiamo via, ragazzi. Tanto, oggi o domani!... e non
si muoveva.
Maruzza guardava la porta del cortile dalla quale erano
usciti Luca e Bastianazzo, e la stradicciuola per la quale il
figlio suo se ne era andato coi calzoni rimboccati, mentre
pioveva, e non l’aveva visto più sotto il paracqua d’incerata.
Anche la finestra di compare Alfio Mosca era chiusa, e la
45 vite pendeva dal muro del cortile che ognuno passando ci
dava una strappata. Ciascuno aveva qualche cosa da guar-
dare in quella casa, e il vecchio, nell’andarsene, posò di
nascosto la mano sulla porta sconquassata, dove lo zio
Crocifisso aveva detto che ci sarebbero voluti due chiodi e
un bel pezzo di legno.
46 Lo zio Crocifisso era venuto a dare un’occhiata insieme a

l’ombrello»), ma «paracqua d’incerata» rimanda espressamente a


Bastianazzo («Ogni cosa in quella casa parlava ancora di lui, e c’era il
suo paracqua d’incerata in un cantuccio... » VII, 12); variante quindi di
valore non esclusivamente lessicale, ma segno del sovrapporsi, nel
ricordo, delle due persone accomunate dalla tragica fine. – un bel pezzo
di legno: corregge in A: «una bella lapazza» (cfr. V, 21).
45. le parole: in A: «le voci» ➝ «i loro passi». – durarla a campare
d’aria: sono in indiretto libero, le parole di Piedipapera; lo rivela l’in-
tenzione autogiustificativa (per mascherare la sua complicità nella
trama ordita dallo zio Crocifisso) che si manifesta grazie alla sottoli-
neatura enfatica (cfr. la presenza del pronome enclitico, l’impiego della
particolare locuzione figurata e non da ultimo l’insistenza sulla medesi-
ma vocale tonica, a suggerire quasi la vivezza della dizione).
46. passandogli... collo: cfr. IX, 41. La ripresa, espressamente ricer-
cata in quanto inserita in parti che compaiono in A come aggiunte
interlineari (e si noti che «il braccio» corregge nelle bozze «la mano»
del manoscritto), evidenzia la volontà di conferire al gesto valore
emblematico: un ostentato e paternalistico atteggiamento di finta solle-
citudine, che, come apparirà poco oltre sempre sulla scorta dell’indica-
zione gestuale, padron ’Ntoni non gradisce affatto («non poteva soffri-
re di andare così per la casa, col braccio di Piedipapera al collo»). – mi

Letteratura italiana Einaudi 201


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

Piedipapera, e parlavano a voce alta nelle stanze vuote, dove


le parole si udivano come se fossero in chiesa. Compare
Tino non aveva potuto durarla a campare d’aria sino a quel
giorno, e aveva dovuto rivendere ogni cosa allo zio
Crocifisso, per riavere i suoi denari.
– Che volete, compare Malavoglia? gli diceva passandogli
il braccio attorno al collo. Lo sapete che sono un povero
diavolo, e cinquecento lire mi fanno! Se voi foste stato ricco
ve l’avrei venduta a voi. – Ma padron ’Ntoni non poteva sof-
frire di andare così per la casa, col braccio di Piedipapera al
collo. Ora lo zio Crocifisso ci era venuto col falegname e col
muratore, e ogni sorta di gente che scorrazzavano di qua e
di là per le stanze come fossero in piazza, e dicevano: – Qui
ci vogliono dei mattoni, qui ci vuole un travicello nuovo, qui
47 c’è da rifare l’imposta, – come se fossero i padroni; e dice-
vano anche che si doveva imbiancarla per farla sembrare
tutt’altra.
Lo zio Crocifisso andava scopando coi piedi la paglia e i

fanno: ‘mi fanno comodo’, ‘mi premono’; cfr. anche Nedda, p. 13: «A te
non ti fanno nulla tre o quattro soldi, non ti fanno! », con epanalessi del
verbo che accentua la mimesi del parlato.
47. Il nespolo intanto stormiva...: il breve intermezzo, all’apparenza
semplicemente descrittivo, indotto, forse per contiguità spaziale della
scena, ma certamente in forte opposizione tonale, dal gesto brutale di
padron Crocifisso, che getta «nell’orto dove sarebbe servito all’ingras-
so» il pezzo di cappello di Bastianazzo, svela tutto il suo potenziale allu-
sivo, anche grazie alle spie rappresentate dal «tuttora» (in relazione con
IX, 6), ma soprattutto da quell’«ancora», che indica una continuità nel
tempo, rispetto però a una ben precedente rappresentazione: «Il nespo-
lo lasciava cadere le foglie vizze... » (IV, 32). L’oscuro presagio della
rovina della casa, là presente, ora si è fatto realtà, e il nespolo si fa testi-
mone del mutamento. In sintonia colla volontà di raggiungere un’im-
plicita allusività, va letta la variante introdotta in bozze, dove «adagio
adagio» sostituisce «grave grave». – Pasqua delle Rose: qui
l’Ascensione, ma propriamente la Pentecoste (Pascha rosarum), in sici-
liano «Pasqua di ciuri (‘fiori’), Pentecoste, Pasqua rosata» (Mortillaro).
A conferma dello scambio, cfr. IX, 6, dove nelle varianti riportate si
assiste al passaggio: «Pasqua dei fiori» ➝ «Pasqua delle rose» ➝
«Ascensione».

Letteratura italiana Einaudi 202


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

48 cocci, e raccolse anche da terra un pezzo di cappello che era


stato di Bastianazzo, e lo buttò nell’orto, dove avrebbe ser-
vito all’ingrasso. Il nespolo intanto stormiva ancora, adagio
adagio, e le ghirlande di margherite, ormai vizze, erano tut-
tora appese all’uscio e le finestre, come ce le avevano messe
a Pasqua delle Rose.
La Vespa era venuta a vedere anche lei, colla calzetta al
collo, e frugava per ogni dove, ora che era roba di suo zio. –
Il «sangue non è acqua» – andava dicendo forte, perché
udisse anche il sordo. A me mi sta nel cuore la roba di mio
zio, come a lui deve stare a cuore la mia chiusa. Lo zio
49 Crocifisso lasciava dire e non udiva, ora che dirimpetto si
vedeva la porta di compare Alfio con tanto di catenaccio. –
Adesso che alla porta di compare Alfio c’è il catenaccio, vi
metterete il cuore in pace, e lo crederete che non penso a
lui! diceva la Vespa all’orecchio dello zio Crocifisso.
– Io ci ho il cuore in pace! rispondeva lui: sta tranquilla.
D’allora in poi i Malavoglia non osarono mostrarsi per le
strade né in chiesa la domenica, e andavano sino ad Aci

48. La Vespa era venuta...: l’intero comma, che varia drasticamente il


tono dopo la parentesi lirico-evocativa che precede, appare in A come
aggiunta interlineare. Ben diversa la primitiva versione del ms che ten-
deva piuttosto a dilatare con un esplicito commento una nota dolente
già implicitamente allusa: «Quello fu un colpo terribile pei Malavoglia.
Non osavano mostrarsi nemmeno in chiesa, la domenica... » – «Il san-
gue... acqua»: cfr. Pitrè, II, p. 219: «Lu sangu nun si pò fari acqua». –
mista nel cuore: con un’interessata sfumatura di ‘affettività’ in più,
rispetto allo «stare a cuore», riferito a zio Crocifisso. – e non udiva:
aggiunta interlineare in A. Cfr. il precedente: «perchè udisse anche il
sordo» e il successivo «diceva la Vespa all’orecchio». Vedi anche IV, I.
49. partaccia: ‘sgarbo’, ‘affronto’; «usato quasi sempre nella maniera
‘Fate una partaccia a uno’... » (Rigutini-Fanfani). Vedi anche IX, 53
«quel tiro ( ➝ partaccia) che compare Tino aveva fatto ai
Malavoglia». – mettere la mano… nuora: cfr. VI, 42. – non ne vogliono
nemmeno i cani: cfr. IX, 66: «non troverete un cane che vi voglia»; XIII,
17: «non lo vogliono nemmeno i cani»; XIII, 63: «di tesori come noi
non ne vogliono neppure i cani».

Letteratura italiana Einaudi 203


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

Castello per la messa, e nessuno li salutava più, nemmeno


padron Cipolla, il quale andava dicendo: – Questa partaccia
50 a me non la doveva fare padron ’Ntoni. Questo si chiama
gabbare il prossimo, se ci aveva fatto mettere la mano di sua
nuora nel debito dei lupini!
– Tale e quale come dice mia moglie! aggiungeva mastro
Zuppiddu. Dice che dei Malavoglia adesso non ne vogliono
nemmeno i cani.
Però quello scimunito di Brasi pestava i piedi e voleva la
Mena, che gliel’avevano promessa, come fa un ragazzo
davanti alle baracche dei balocchi alla fiera.
– Ti pare che io l’abbia rubata la tua roba, bietolone! gli
diceva il babbo, per andarla a buttare con chi non ha nien-
te!
Gli avevano ripreso persino il vestito nuovo a Brasi, ed ei
si sfogava ad andare a stanare le lucertole nella sciara, o a
mettersi a cavalcioni sul muricciolo del lavatoio, e giurava di
non far più nulla, neanche se l’ammazzavano, ora che non
volevano dargli la moglie, e gli avevano ripreso persino il
vestito nuovo delle nozze; per fortuna la Mena non poteva
51 vederlo più così vestito com’era, perché i Malavoglia stava-
no sempre colla porta chiusa ancor essi, poveretti, nella
casuccia del beccaio che avevano presa in affitto nella stra-
da del Nero, vicino ai Zuppiddi, e se accadeva di vederli da
lontano, Brasi correva a nascondersi dietro il muro, o tra i
fichidindia.
La cugina Anna, che scopriva ogni cosa dal greto dov’era
52 a stendere la tela, diceva con comare Grazia: – Ora quella

50. pestava i piedi e voleva: corregge in A: «s’incocciava a voler». –


davanti alle baracche... fiera: sostituisce in A: «davanti ai balocchi da
due soldi alla fiera».
51. peggio di una casseruola appesa al muro: in A: «peggio di» ➝
«come». Cfr. VI, 29.
52. s’era rimessa la spadina d’argento nelle trecce: anche per il prece-
dente «le avevano perfino spartito i capelli», cfr. IX, 7. – la sentiva nelle
viscere: ricreata, con pregnante intensificazione, sulle locuzioni più neu-

Letteratura italiana Einaudi 204


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

povera Sant’Agata resta in casa, peggio di una casseruola


appesa al muro, tale e quale come le mie figliuole che non
hanno dote.
– Poveretta! rispondeva comare Grazia, e le avevano per-
fino spartito i capelli!
Mena però era tranquilla, e s’era rimessa la spadina d’ar-
gento nelle trecce da se stessa, senza dir nulla. Adesso aveva
tanto da fare nella casa nuova, dove bisognava mettere ogni
cosa a un altro posto, e non si vedeva più il nespolo e la
porta della cugina Anna e della Nunziata. Sua madre la
covava cogli occhi, mentre lavorava accanto a lei, e l’acca-
rezzava col tono della voce, quando le diceva, – dammi la
forbice, o, tienmi la matassa – che se la sentiva nelle viscere,
la sua figliuola, ora che tutti le voltavano le spalle; ma la
ragazza cantava come uno stornello, perché aveva diciotto
anni, e a quell’età se il cielo è azzurro vi ride negli occhi, e
gli uccelli vi cantano nel cuore. Per altro il cuore non ce lo
53 aveva mai avuto per quel cristiano, lo disse all’orecchio della
mamma, mentre ordivano la trama. La madre era la sola che
le aveva letto in cuore, e che ci avesse lasciata cascare una
buona parola in quell’angustia. – Almeno se ci fosse compar

tre: «sentite nel cuore»; per metonimia viscere vale anche «l’intimo del
cuore» (Fanfani), e «viscere materne» per ‘profondo amore di madre’.
– cantava come uno stornello: insolita raffigurazione gioiosa di Mena
(che ora, dopo la rottura del fidanzamento, può segretamente sperare
di rivedere Alfio) in evidente antitesi con la dolorosa condizione in cui
versa la famiglia; si ripropone il contrasto presente, ma in termini rove-
sciati, nella scena della festa del fidanzamento con Brasi. – aveva diciot-
to anni: cfr. I,19 «entrava nei diciasett’anni». – lasciata cascare… angu-
stia: corregge in A: «lasciata cascate una parola soave in quel che aveva
letto». – voltate le spalle: corregge in A: «abbandonati».
53. non avevano voltato le spalle ai Malavoglia: corregge in A: «non
avevano voltato loro le spalle» ➝ «non le avevano abbandonate». –

peggio di casseruole appese: cfr. IX, 51. In A: «peggio di» ➝ «come».


– ma anche lei: in A seguiva: «poverina» ( ➝ «poveret-
ta»), soppresso, per attenuare un eccesso di pietismo, in concomitanza

Letteratura italiana Einaudi 205


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

Alfio, non ci avrebbe voltate le spalle anche lui. Ma quando


sarà il tempo del vino nuovo tornerà qui.
Le comari, poverette, non avevano voltato le spalle ai
Malavoglia. Ma la cugina Anna era sempre in faccende, con
tutto quello che aveva da fare per tirare innanzi con le sue
figliuole, che le erano rimaste in casa peggio di casseruole
appese; e comare Piedipapera si vergognava dl farsi vedere,
per quel tiro che compare Tino aveva fatto ai poveri
54 Malavoglia. Ella aveva il cuore buono, la gnà Grazia, e non
diceva come suo marito: Lasciali stare coloro, che non
hanno più né re né regno. Cosa te ne importa? – La sola che
si vedesse di tanto in tanto era la Nunziata, col piccino in
collo, e tutti gli altri dietro, ma anche lei doveva badare ai
fatti suoi.
Così va il mondo. – Ciascuno deve badare ai fatti suoi:
quello che diceva a ’Ntoni di padron ’Ntoni comare Venera.
– Ciascuno deve pensare alla sua barba prima di pensare a
quella degli altri. Tuo nonno non ti dà nulla, dunque che
obbligo hai verso di loro? Se ti mariti, vuol dire che fai casa
55 da te, e quel che guadagni, lo guadagni per la tua casa.
«Cento mani Dio benedisse, ma non tutte in un piatto!» –
Bella cosa! rispondeva ’Ntoni. Ora che i miei parenti sono
in mezzo alla strada mi dite di piantarli anch’io! Come se la
caverà il nonno a far andare la Provvidenza e dar da man-
giare a tanti, se lo lascio solo?

con l’aggiunta in bozze di «poveri», nel sintagma «ai poveri


Malavoglia» di poche righe prima.
54. Così va il mondo: cfr. III, 13 e XI, 8: «Lo so anch’io che il mondo
va così». Vedi anche Manzoni, I promessi sposi, VIII, p. 128: «Così va
spesso il mondo... » – Ciascuno… degli altri: cfr. IX, 36. – «Cento
mani… piatto!»: sancisce il prevalere degli interessi particolari sul bene
altrui. Cfr. Pitrè, I, p. 245: «Centu manu Diu li binidissi, e centu vucchi
li scumunicau», proverbio fuso con «Tanti manu Diu li binidissi, ma fora
di la mè piattu». Nel Rapisarda: «Centu manu Diu binidissi ma fora di
la miu piattu».
55. voltandogli le spalle: in virtù dell’insistito gioco iterativo (cfr. IX,

Letteratura italiana Einaudi 206


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

– Allora sbrigatevela tra voi altri! esclamava la Zuppidda,


voltandogli le spalle per andare a frugare nei cassetti, o in
cucina, buttando in aria ogni cosa per darsi da fare, onde
non guardarlo in faccia. Mia figlia io non l’ho rubata! Si
potrebbe chiudere gli occhi se non avete nulla, perché siete
giovane, e ci avete sempre la salute da lavorare, e siete del
56 mestiere, tanto più che adesso i mariti sono scarsi, con que-
sta leva del diavolo che si scopa via tutti i giovinotti del
paese; ma se devono darvi la dote per papparvela con tutti i
vostri, è un’altra cosa! Marito voglio dargliene uno solo alla
mia figliuola, e non cinque o sei, e metterle sulle spalle due
famiglie.
Barbara nell’altra stanza fingeva di non udire, e seguitava
a far girare l’arcolaio lesto lesto. Ma appena ’Ntoni si affac-
ciava sull’uscio chinava gli occhi sui cannelli, e allungava il
57 muso anche lei. Talché il poveraccio si faceva giallo e verde
e di cento colori, e non sapeva che fare, perché Barbara lo
teneva invischiato come un passerotto, con quegli occhioni
neri, e gli diceva poi: Vuol dire che a me non mi volete bene
come ai vostri! e si metteva a piangere nel grembiule quan-
do non c’era la mamma.
– Sacramento! esclamava ’Ntoni, vorrei tornare a fare il
soldato! – E si strappava i capelli e si dava dei pugni nella
58 testa, ma non sapeva risolversi a pigliare la soluzione che si

52, 53) l’espressione, che ha qui una sua plausibilità immediata, assume
connotazioni più specifiche. Vedi anche I, 11.
56. cannelli: cfr. II, 12.
57. « ’Ntrua... sua! »: cfr. II, 10. – Te l’avevo… non sapete nulla:
Zuppiddu, con evidente effetto umoristico, rifà il verso alla moglie (cfr.
IX, 34: «I pasticci non mi piacciono!») nella speranza di trovarla alme-
no una volta concorde, ma la perentoria risposta della Zuppidda non
lascia dubbi sul ruolo che deve rivestire il marito.
58. tanto di grugno: prelude, con maggior evidenza rispetto alla pri-
mitiva versione di A: «musi lunghi», al clima di astioso risentimento
rivelato dalle successive battute, e chiaramente leggibile nella successi-
va variante: «gli rinfacciava ogni volta» ➝ «si rammentava bene». –
bella pettinatura... Bambino: in indiretto libero (già annunciato dall’in-

Letteratura italiana Einaudi 207


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

voleva, da vero cetriolo che era. – Allora, diceva la


Zuppidda; «’Ntrua, ’Ntrua! ciascuno a casa sua!» E suo
marito le ripeteva: – Te l’avevo detto che a me i pasticci non
mi piacciono! – Voi andatevene a lavorare! rispondeva lei,
che non sapete nulla.
’Ntoni, ogni volta che andava dai Zuppiddi, trovava tanto
di grugno, e la gnà Venera gli rinfacciava ogni volta che i
Malavoglia avevano invitato la Piedipapera a pettinare la
Mena, bella pettinatura che le aveva fatto!, per leccare le
ciabatte a compare Tino, a motivo di quei quattro soldi della
casa; che poi la casa se l’era presa egualmente, e li aveva
lasciati in camicia come Gesù Bambino.
– Vi pare che non io sappia cosa ha detto vostra madre
59 Maruzza in quei tempi in cui portava il naso in sù, che la
Barbara non era quella che ci voleva per suo figlio ’Ntoni,
perché era avvezza come una signorina, e non sapeva quel
che ci vuole ad essere una buona moglie di marinaro. Me
l’hanno raccontato al lavatoio, comare Mangiacarrubbe e la
gnà Cicca.
– Comare Mangiacarrubbe e la gnà Cicca sono due caro-
60 gne, rispondeva ’Ntoni, e parlano per l’invidia che non ho
sposato la Mangiacarrubbe.
– Per me pigliatevela pure! Bel guadagno che ci fa la
Mangiacarrubbe!
– Allora, comare Venera, se mi dite questo è come se mi
diceste: in casa mia non ci mettete più piede.
’Ntoni voleva far l’uomo, e non si lasciava vedere per due
o tre giorni. Ma la piccola Lia, che non sapeva tutte quelle
61 chiacchiere, continuava a venire a giocare nel cortile di
comare Venera, come l’avevano avvezzata, quando la
Barbara le dava i fichidindia e le castagne, perché voleva

tensificazione dell’esclamativo) si riportano le parole della Zuppidda


(cfr. IX, 11), ma ora con accresciuta animosità: «gli leccano le scarpe»
➝ «per leccare le ciabatte»; «quei soldi della casa» ➝ «quei quattro
soldi della casa». – portava il naso in sù: corregge in A: «portava il naso
in aria».

Letteratura italiana Einaudi 208


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

bene a suo fratello ’Ntoni, ed ora non le davano più nulla; la


Zuppidda le diceva: – Che vieni a cercare tuo fratello qui?
Tua madre ha paura che vogliano rubartelo tuo fratello?
Comare la Vespa veniva anche lei nel cortile dei Zuppiddi,
colla calzetta al collo, a dire roba di fuoco degli uomini, che
62 sono peggio dei cani. E la Barbara rinfacciava alla ragazzina:
– Lo so che non sono brava massaia come tua sorella! E
comare Venera conchiudeva: – Tua madre che fa la lavan-
daia, invece di stare a ciarlare dei fatti altrui al lavatoio,

61. colla calzetta al collo: cfr. IX, 48.


62. la indettava: ‘l’istruiva’, ‘le dava l’imbeccata’. – far le spie: è cor-
rezione in bozze, con approdo, grazie all’impiego del plurale, a una
soluzione di coloritura dialettale (si veda ad es. la locuzione «tiniri li
spii» attestata nel Mortillaro), che deriva in A da «far la spia» ➝ «far
la spiona», sentite comunque come espressioni particolari, tanto da
essere in questo caso segnate dal corsivo (ma cfr. II, 16: «a far la spia»
e II, 33). Il caso va segnalato anche perché è uno dei rari esempi nei
Malavoglia, se si escludono alcuni nomi propri e i soprannomi nella
loro prima occorrenza, di impiego del corsivo per rivelare l’ascendenza
dialettale dell’espressione (ad es. motti, antichi) , laddove invece era di
uso corrente ad esempio in Nedda e negli abbozzi più antichi del
romanzo. – Cetriolo: la maiuscola iniziale testimonia che il soprannome
(in A è virgolettato e con l’iniziale minuscola, come l’occorrenza di
poche righe più avanti) è ormai divenuto ‘ufficiale’; cfr. I, 16. – si vol-
tavano la schiena: variante rispetto a «voltarsi le spalle» (cfr. IX, 53). –
metter fuori le scope: sporgere cioè dalla porta di casa e tirare a sé parec-
chie volte una scopa bagnata o anche più semplicemente esporre la
scopa «fuori dell’uscio, colla barba in aria» era inteso come un vero e
proprio gesto di scherno e di disprezzo, che il narratore stesso si inca-
rica di illustrare nel comma successivo (cfr. anche la nota iniziale del c.
63). Vedi inoltre l’abbozzo M 3 (pp. 113-14): «Ma la Lia la quale seb-
bene non avesse ancora sei anni conosceva tutte le usanze del paese, ed
era cocciuta e rissosa come una buona Trezzota, fece trovare il giorno
dopo la sua brava scopa fuori dell’uscio, colla barba in aria, dal lato
della casa dei Cipolla, e quella della Grazia, la più sporca e vecchia che
potè trovare, non tardò a comparire sulla porta del cortile, dalla parte
dove stavano i Piedipapera». Spiega il Pitrè (in Usi e costumi, credenze
e pregiudizi del popolo siciliano, in «Biblioteca delle tradizioni popolari
siciliane», ristampa anastatica presso Arnaldo Forni): «È un’offesa

Letteratura italiana Einaudi 209


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

farebbe bene a dare una risciacquata a quei quattro soldi di


vestina che hai indosso.
La bambina molte cose non le capiva; ma quel po’ che
rispondeva faceva montare la mosca al naso alla Zuppidda,
e le faceva dire ch’era sua madre Maruzza che la indettava e
la mandava apposta da quelle parti per stuzzicarle la bile,
tanto che finalmente la piccina non ci andò più, e la gnà
Venera disse che era meglio, così non venivano in casa a far
le spie, che temevano sempre volessero quel tesoro di
Cetriolo.
63 Le cose arrivarono al punto che comare Venera e la Longa
non si parlavano più, e se si vedevano in chiesa si voltavano
la schiena.
– Vedrete che arriveranno a metter fuori le scope! diceva
la Mangiacarrubbe gongolando. Non mi chiamo la
Mangiacarrubbe se non ci arrivano! Bell’affare che ha fatto
la Zuppidda con Cetriolo!
Di solito gli uomini non s’immischiano in quelle liti di
donne, se no le questioni s’ingrosserebbero e potrebbero
andare a finire a coltellate; invece le comari, dopo che
hanno messo fuori la scopa, e si sono voltate le schiene, e si
64 sono sfogate a dirsi improperi, e a strapparsi i capelli, si

grave perchè la scopa fuori di casa viene mostrata alle donne disoneste,
degne soltanto d’essere spazzate come immondizia».
63. Di solito... come prima: questa la versione del brano in uno dei
primi abbozzi del romanzo (M 3, p. 114): «Di solito gli uomini non
s’immischiano in quelle cose da donne, perché allora le cose andrebbe-
ro a finire a coltellate, e perciò dopo che le donne si sono mostrate le
scope, e si sono scagliati i più grossi improperii (qualche volta anche
dopo che si sono graffiati il viso), vanno insieme a bere all’osteria, per
finirla, e ci tirano anche le loro donne, che così si ragionano e tornano
più amiche di prima». – nè re nè regno: l’espressione diventa formula;
cfr. IX, 53.
64. quel cristiano: corregge in A: «’Ntoni». – davanti alla sua porta
come un cane: sostituisce in A: «davanti ( ➝ attorno) a seccare». – for-
tuna: ‘occasione’. – «I pesci... mangiare»: vedi Pitrè, III, p. 82: «Li pisci
di lu mari su’ distinati cui si l’havi a manciari». Sostituisce in A:

Letteratura italiana Einaudi 210


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

riconciliano subito, e si abbracciano come prima. ’Ntoni


poi, stregato dagli occhi della Barbara, era tornato quatto
quatto a piantarsi sotto la finestra, per metter pace, che la
gnà Venera voleva buttargli sulla testa la broda delle fave,
qualche volta, ed anche la figliuola si stringeva nelle spalle,
ora che i Malavoglia non avevano più né re né regno.
E glielo disse anche in faccia, alla fine, onde levarsi d’ad-
dosso quella noia, perché quel cristiano stava sempre davan-
ti alla sua porta come un cane, e le avrebbe fatto perdere la
fortuna, se mai qualcun altro avesse avuto l’intenzione di
passare di là per lei.
– Orbè, compare ’Ntoni, «I pesci del mare son destinati a
chi se l’ha da mangiare»; mettiamoci il cuore in pace voi ed
io, e non ci pensiamo più.
– Voi potete mettervelo il cuore in pace, comare Barbara,
ma per me, «Amare e disamare non sta a chi lo vuol fare».
– Provate, che ci riuscirete anche voi. A provare non si
65

«Matrimoni e vescovati son dal ciel destinati», che compare nel testo
base (cfr. VIII, 26). – «A mare...fare»: cfr. Pitrè, I, p. 101: «Amari e disa-
mari, nun stà a cui lu voli fari». – ventidue anni: evidente svista dell’au-
tore; Barbara e Mena infatti sono coetanee (cfr. II, 20, dove la
Zuppidda, riferendosi a Mena, afferma: «Oramai deve compire diciot-
to anni a Pasqua, lo so perchè è nata l’anno del terremoto, come mia
figlia Barbara»); in questo stesso capitolo IX (c. 52) si dice però che
Mena ha diciotto anni (negli appunti preparatori si dà come data di
nascita per Mena il 1848, che è appunto l’«anno del terremoto»). – vol-
tano le spalle: cfr. IX, 55.
65. aveva il cuore grosso: a denotare un sentimento di commozione
misto a disappunto. Nel Fanfani è attestato: «Prender grosso cuore» nel
senso di «adirarsi»; più vicina sembra l’espressione siciliana: «Aviri lu
cori chinu (‘pieno’), vale ‘provar cruccio, dispetto, umor malinconico
con voglia di piangere’» (Mortillaro). – Ma ella doveva andare...: tutta la
sequenza dell’addio tra Barbara e ’Ntoni (fino alla fine del c. 66: « –
Che hai? gli domandava»), ci permette di scoprire dall’interno, attra-
verso un mirabile esempio di indiretto libero, le ragioni dell’insofferen-
za di ’Ntoni per un lavoro senza prospettive, sentito come avvilente
punizione («come un galeotto»....«una vera galera».) Si presentava
nella sua sciatta semplicità nella versione primitiva in A: «Ma ella gli

Letteratura italiana Einaudi 211


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

perde nulla. Io vi auguro ogni bene e ogni fortuna, ma


lasciatemi badare ai fatti miei, ché ho già ventidue anni.
– Io lo sapevo che dovevate dirmi così quando ci hanno
preso la casa, ora che tutti ci voltano le spalle.
– Sentite, compare ’Ntoni, mia madre può venire da un
momento all’altro, e non è bene che mi trovi qui con voi.
66 – Sì, sì, è vero; ora che ci hanno tolto la casa del nespolo
non è giusto. Egli aveva il cuore grosso, il povero ’Ntoni, e
non voleva lasciarla così. Ma ella doveva andare a riempir la
brocca alla fontana, e gli disse addio, correndo lesta lesta, e
dimenando i fianchi con bel garbo – ché Zuppidda la chia-
mavano perché il nonno di suo padre s’era rotta la gamba in
uno scontro di carri alla festa di Trecastagni, ma Barbara le
sue brave gambe ce le aveva tutte e due.
– Addio, comare Barbara! rispose il poveraccio, e così ci
mise una pietra su quel che era stato, e se ne tornò a rema-
re come un galeotto, che già quella era una vera galera, dal
lunedì al sabato, ed egli era stanco di rompersi l’anima per
niente, perché quando non si ha nulla è inutile arrabbattar-
si da mattina a sera, e non trovare un cane che vi voglia; per
67 questo egli ne aveva le tasche piene di quella vita; preferiva

disse: Addio, ed ei dovette risponderle: – Addio, comare Barbara. / Il


poveraccio se n’era andato mogio mogio, colla coda fra le gambe e non
ebbe cuore di mangiare quella sera. D’allora in poi il lavoro gli riesciva
più pesante e brontolava sempre. Il nonno gli diceva: – Che hai? » – alla
festa di Trecastagni: come in A e anche I, 10; in Treves ’81 erroneamen-
te: «dei Trecastagni». Vedi III, 1: «fiera di Sant’Alfio».
66. ci mise una pietra su: cfr. X, 30. – arrabbattarsi: col rafforzamen-
to di ‘b’ intervocalica, tipico delle parlate centro meridionali; la forma
prevale con tre occorrenze (anche in VI, 17; XI, 14), contro le due con
la scempia (cfr. XI, 24). Cfr. Serianni, I, § 95 – fregata: nave da guerra.
– Nulla ho: sostituisce in A, con posposizione del verbo di sapore dia-
lettale: «Nulla nulla». – Bisogna vivere… nati: si configura chiaramente
il rapporto oppositivo che d’ora innanzi si trasformerà in fondamenta-
le leit-motiv: all’irrequietudine e al rifiuto del nipote si contrappone la
fatalistica accettazione di una condizione di vita ritenuta immutabile,
da parte del nonno.
67. «Chi cade... bagni»: cfr. Pitrè, III, p. 75: «Cui cadi all’acqua, è
forza chi si vagna». Cfr. anche XV, 1. – abbaierai: cfr. il siciliano «abbaja-

Letteratura italiana Einaudi 212


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo nono

piuttosto di non far niente davvero, e starsene in letto a fare


il malato, come quando era seccato dal servizio militare, e il
nonno poi non stava a cercare il pelo nell’uovo come il dot-
tore della fregata. – Che hai? gli domandava.
– Nulla ho. Ho che sono un povero diavolo.
– E che vuoi farci se sei un povero diavolo? Bisogna vive-
re come siamo nati.
Egli si lasciava caricare svogliatamente degli attrezzi
meglio di un asino, e lungo la giornata non apriva bocca che
per bestemmiare o brontolava: «Chi cade nell’acqua è forza
68 che si bagni». Se suo fratello si metteva a cantare, mentre
stavano alla vela, – Sì, sì, canta pure. Quando sarai vecchio
poi abbaierai come il nonno.
– Ad abbaiare adesso non ci guadagni nulla nemmeno;
rispondeva il ragazzo.
– Hai ragione, perché la vita è bella!
– Bella o no, non l’abbiamo fatta noi così com’è, conchiu-
deva il nonno.
69 La sera mangiava ingrugnato la sua minestra, e la dome-
nica andava a gironzare attorno all’osteria, dove la gente
non aveva altro da fare che ridere e spassarsi, senza pensare
che il giorno dopo si tornava a fare quel che si era fatto in
tutta la settimana; oppure stava delle ore intere seduto sugli
scalini della chiesa, col mento in mano, a veder passare la
gente, almanaccando su quei mestieri in cui non ci era nulla
da fare.
La domenica almeno si godeva quelle cose che si hanno
senza quattrini, il sole, lo star colle mani sotto le ascelle a
non far nulla, e allora gli seccava anche quella fatica di pen-
sare al suo stato, di desiderare quelle cose che aveva visto da
soldato, col ricordo delle quali ingannava il tempo nei gior-
ni di lavoro. Gli piaceva stendersi come una lucertola al

ri, dicesi anche d’uomo che manda grida per la veemenza del dolore,
‘Guaire, Urlare’» (Mortillaro). Vedi X, 13; XIII, 30; XV, 22.

Letteratura italiana Einaudi 213


X

1 ’Ntoni andava a spasso sul mare tutti i santi giorni, e gli


toccava camminare coi remi, logorandosi la schiena. Però
quando il mare era cattivo, e voleva inghiottirseli in un boc-
cone, loro, la Provvidenza e ogni cosa, quel ragazzo aveva il
cuore più grande del mare.
Il sangue dei Malavoglia! diceva il nonno; e bisognava
vederlo alla manovra, coi capelli che gli fischiavano al vento,
mentre la barca saltava sui marosi come un cefalo in amore.
2 La Provvidenza si avventurava spesso al largo, così vecchia

1. andava a spasso sul mare: ripresa con la tecnica della concatena-


zione della fine del capitolo precedente; attraverso il reimpiego con
valore antifrastico della locuzione «andare a spasso» si evidenzia
soprattutto il forte contrasto fra il piano del desiderio di ’Ntoni e quel-
lo della dura realtà della fatica quotidiana. – aveva il cuore più grande
del mare: vedi l’espressione siciliana «Aviri un cori quantu un mari» col
valore di «essere coraggioso, animoso» (Mortillaro). Prima ancora che
con l’esplicita esclamazione che segue («Il sangue dei Malavoglia!»),
l’apprezzamento del nonno si rivela indirettamente attraverso l’esten-
sione a ’Ntoni del medesimo attributo che aveva caratterizzato sia
Bastianazzo che Luca (cfr. V, 25: «Tutto suo padre Bastianazzo, che
aveva un cuore grande come il mare...»). – coi capelli… vento: con
curiosa inversione rispetto al più comune «col vento che fischiava tra i
capelli»; cfr. X, 15: «Si udiva il vento sibilare ( ➝ fischiare) nella
vela». L’immagine anticipa il registro ‘epico’ che caratterizzerà molti
momenti del capitolo, precisandosi immediatamente nella sua variante
popolaresca con la similitudine impiegata poco oltre per la barca che
«salta» sui marosi, «come un cefalo in amore». – marosi: «ondata vio-
lenta del mare […] è voce dello stile nobile» (Rigutini-Fanfani), ma
attestata anche in siciliano «marusu» (Mortillaro). In A, prima dell’op-
zione finale, forte indecisione fra «ondate» e «marosi», che si alternano
più volte.
2. La Provvidenza… nuvole erano basse: la primitiva redazione in A:

Letteratura italiana Einaudi 214


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

e rattoppata com’era, per amore di quel po’ di pesca, ora


che nel paese c’erano tante barche che spazzavano il mare
colla scopa. Anche in quei giorni in cui le nuvole erano
basse, verso Agnone, e l’orizzonte tutto irto di punte nere al
levante, si vedeva sempre la vela della Provvidenza come un
fazzoletto da naso, lontano lontano nel mare color di piom-
bo, e ognuno diceva che quelli di padron ’Ntoni andavano
a cercarsi i guai col candeliere.
3 Padron ’Ntoni rispondeva che andava a cercarsi il pane, e
quando i sugheri scomparivano ad uno ad uno, nel mare

«E questo alla Provvidenza accadeva più sovente delle altre barche, per-
chè padron ’Ntoni si spingeva più lontano assai che uno il quale avesse
un po’ di giudizio non osasse avventurarsi, quando si vedevano le nuvo-
le basse […]». – Agnone: località marinara a sud della Piana di Catania;
cfr. Malaria, p. 262: «torno torno alle montagne che la chiudono, da
Agnone al Mongibello». –orizzonte tutto irto di punte nere: immagine
non usuale («irto» nell’accezione di «coperto, pieno, ingombro di cose
acute, sporgenti in fuori», Rigutini-Fanfani) per indicare le nubi all’o-
rizzonte che preannunciano la tempesta. Si noti tra l’altro la marcata
sottolineatura allitterativa (in dentale e in vibrante). – cercarsi i guai col
candeliere: ricreata forse sull’espressione più comune «cercare i guai
colla lanterna» (cfr. XIII, 70) o «col lumicino» per «chi sfida le disgra-
zie […] coll’imprudenze ostinate» (Petrocchi). Candeliere compare,
con diversa accezione, in altre locuzioni: cfr. VII, 45.
3. Padron ’Ntoni rispondeva...: inizia qui una parte (fino al comma II
compreso) che in A si presenta come un’ampia aggiunta (e proprio per
la sua estensione occupa nel manoscritto il verso di più carte che Verga
lasciava appositamente in bianco per eventualità di tal genere). Il
‘passo’ della narrazione viene rallentato, quasi a preparare, con un
indugio di notevolissima qualità, la rappresentazione della tempesta,
che è l’evento chiave del capitolo e della seconda parte del romanzo. –
i sugheri scomparivano: segno che la pesca si prospettava abbondante.
–mare largo: il motivo è ripreso poco oltre («intorno a loro non c’era
che acqua»). – verde come l’erba: un analogo accostamento in una pri-
mitiva lezione di A, poi superata, in VI, 12: «le otri [metafora per
‘onde’] […] sembravano verdi come un campo di trifoglio». – come
fosse d’argento: cfr. VI, 16: «il fondo della paranza sembrava pieno d’ar-
gento vivo». – rotolo: cfr. IV, 3. – pestavano il sale: perla salatura delle
acciughe. – gettare... chiusi: valutando approssimativamente il peso e il
prezzo; cfr. IV, 3: «Comprava anche la pesca tutta in una volta, con
ribasso [...]».

Letteratura italiana Einaudi 215


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

largo che era verde come l’erba, e le casucce di Trezza sem-


bravano una macchia bianca, tanto erano lontane, e intorno
a loro non c’era che acqua, si metteva a chiacchierare coi
nipoti dalla contentezza, che poi alla sera la Longa e tutti gli
altri li avrebbero aspettati sulla riva, quando vedevano la
vela far capolino tra i fariglioni, e sarebbero stati a guardare
anche loro la pesca che saltellava nelle nasse e riempiva il
fondo della barca come fosse d’argento; e padron ’Ntoni
soleva rispondere prima che nessuno avesse aperto bocca –
Un quintale, o un quintale e venticinque – che non si sareb-
be sbagliato di un rotolo; e poi se ne parlava tutta la sera,
mentre le donne pestavano il sale fra i ciottoli, e quando
contavano i barilotti ad uno ad uno, e lo zio Crocifisso veni-
va a vedere quel che avevano fatto, per gettare la sua offer-
ta a occhi chiusi, e Piedipapera gridava e bestemmiava per
dire il prezzo giusto, che’ allora facevano piacere le grida di
Piedipapera, gia’ a questo mondo non bisogna restare in
collera colla gente, e la Longa poi si contava a soldo a soldo
davanti al suocero i denari che portava Piedipapera nel faz-
zoletto, e diceva: – Questi sono per la casa! Questi altri sono
4 per la spesa. La Mena aiutava anch’essa a pestare il sale, e a
mettere in ordine i barilotti, e ci aveva un’altra volta la veste
turchina e la collana di corallo che avevano dovuto dare in
pegno allo zio Crocifisso; ora le donne potevano tornare ad
andare alla messa del paese, che se qualche giovinotto get-
tava gli occhi sulla Mena, gliela stavano facendo, la sua dote.
5 – Per me, diceva ’Ntoni, menando il remo adagio adagio

4. ora le donne… paese: cfr. IX, 49: «D’allora in poi i Malavoglia non
osarono mostrarsi per le strade nè in chiesa la domenica, e andavano
sino ad Aci Castello per la messa».
5. derivare: ‘deviare dalla rotta giusta’. In A: «la corrente non li faces-
se derivare dal cerchio delle reti» ➝ «la barca non uscisse dal cerchio
delle reti». Ma in XI, 19: «per non fare deviare la barca». – mangiare i
gomiti: ‘rodersi dalla rabbia’; cfr. anche XIII, 65. Nel Mortilaro: «man-
ciàrisi li guvita» e «pigghiàrisi li guvita a muzzicuni» nel senso di «mor-
dersi di rabbia». Vedi anche Mastro-don Gesualdo, I, IV, p. 112: «gli

Letteratura italiana Einaudi 216


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

perché la corrente non li facesse deviare dal cerchio delle


reti, mentre il nonno pensava a tutte quelle cose: – per me
desidero questo soltanto, che quella carogna della Barbara
s’abbia a mangiare i gomiti quando ci avremo il fatto nostro
anche noi, e s’abbia a pentire d’avermi chiusa la porta in fac-
cia.
– «Il buon pilota si conosce alle burrasche»; rispondeva il
vecchio. Quando saremo un’altra volta quel che siamo sem-
pre stati, ognuno ci farà buon viso, e torneranno ad aprirci
la porta.
– Chi non ce l’ha chiusa in faccia, aggiunse Alessi, è stata
la Nunziata, ed anche la cugina Anna.
6 – «Carcere, malattie e necessità, si conosce l’amistà». Per
questo il Signore le aiuta, costoro, con tutte quelle bocche
che hanno in casa.
– Quando la Nunziata va a far legna nella sciara, o il fagot-
to della tela è troppo pesante per lei, l’aiuto anch’io, pove-
retta, disse Alessi.
– Adesso aiuta a tirare da questa parte, ché San Francesco
stavolta ha mandata la grazia di Dio! Il ragazzo tirava e pun-
tava i piedi, e sbuffava che pareva facesse tutto lui. Intanto
’Ntoni cantava, sdraiato sulla pedagna e colle braccia sotto
il capo a veder volare i gabbiani bianchi sul cielo turchino
che non finiva mai, e la Provvidenza si dondolava sulle onde

faceva mangiare i gomiti sin d’allora». In XIV, 56: «mangiarsi le mani


dalla gelosia»; cfr. anche VII, 46. – fatto nostro: cfr. VI, 47. – «Il buon
pilota... burrasche»: cfr. Pitrè, II, p. 15: «Lu bon pilotu si canusci a li bur-
raschi». Cfr. anche XI, 18. – ci farà buon viso… porta: sostituisce in A:
«ci farà festa, e non ci chiuderanno la porta» (cfr. poco prima: «avermi
chiusa la porta in faccia»).
6. «Carcere... amistà»: cfr. VI, 7. – Quando...Alessi: cfr. II, 21. – Il
ragazzo... tutto lui: in A appare come aggiunta interlineare con l’evi-
dente intento di accentuare la contrapposizione fra Messi e ’Ntoni, di
cui immediatamente dopo si dirà: «Intanto ’Ntoni cantava...» –pedagna:
cfr. I, 23. – la Provvidenza si dondolava… verdi: cfr. II, 25: «la
Provvidenza si dondolava sulle onde rotte dai fariglioni come un’ani-
troccola».

Letteratura italiana Einaudi 217


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

verdi, che venivano da lontano lontano fin dove arrivava la


vista.
7 – Che vuol dire che il mare ora è verde, ed ora è turchino,
e un’altra volta è bianco, e poi nero come la sciara, e non è
sempre di un colore come dell’acqua che è? chiese Alessi.
– E’ la volontà di Dio, rispose il nonno, così il marinaio sa
quando può mettersi in mare senza timore, e quando è
meglio non andarci.
– Quei gabbiani hanno una bella sorte, che volano sempre
in alto, e non hanno paura delle ondate, se il mare è in tem-
pesta.
– Allora non hanno da mangiare nemmeno loro, povere
bestiole.
– Dunque tutti hanno bisogno del bel tempo, tale e quale
come la Nunziata che non può andare alla fontana se piove,
conchiuse Alessi.

7. Che vuoi dire... chiese Alessi: nell’insistita sequela paratattica, tutta


la stupefatta semplicità della domanda di Messi, accentuata anche dalla
curiosa clausola finale: «non è sempre di un colore come dell’acqua che
è» (non è sempre di un unico colore, come quello dell’acqua, dell’ele-
mento cioè che costituisce il mare). Le parole di Alessi sembrano sca-
turire per analogia dalla suggestione coloristica della precedente raffi-
gurazione («gabbiani bianchi»... «cielo turchino»... «onde verdi»),
ripresa in ordine inverso e con l’aggiunta del «nero», il colore della
tempesta e della morte. Vedi analogamente, ma in versione ‘pastorale’,
Jeii il pastore, p. 140: «conosceva come spira il vento quando porta il
temporale, e di che colore sia il nuvolo quando sta per nevicare. Ogni
cosa aveva il suo aspetto e il suo significato, e c’era sempre che vedere
e che ascoltare in tutte le ore del giorno». – il marinaro sa... non andar-
ci: il mare manda ‘messaggi’, che l’esperto marinaio sa riconoscere.
Nelle parole di padron ’Ntoni, un’eco di un proverbio che rientra nel
suo repertorio: «Scirocco chiaro e tramontana scura, mettiti in mare
senza paura» (cfr. I, 25). –tutti hanno bisogno... Alessi: con una senten-
ziosità più consona, rispetto alla primitiva versione di A: «e’ sono come
il pescatore tale e quale, conchiuse Alessi», alla ‘saggezza’ pur sempre
infantile di Alessi, che vivendo in ‘simbiosi’ col personaggio di
Nunziata non perde occasione per evocarla. – «Buon tempo... tempo»:
cfr. Pitrè, I, p. 276: «Bon tempu e malu tempu, nun dura tuttu un
tempu». Cfr. anche X, 66.

Letteratura italiana Einaudi 218


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

– «Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo!»,


osservò il vecchio.
8 Ma quando era mal tempo, o che soffiava il maestrale, e i
sugheri ballavano sull’acqua tutto il giorno, come se ci fosse
chi suonava il violino, o il mare era bianco al pari del latte,
o crespo che sembrava che bollisse, e la pioggia si rovescia-
va sino a sera sulle loro spalle che non ci erano cappotti che
bastassero, e il mare friggeva tutto intorno come il pesce
nella padella, allora era un altro par di maniche, e ’Ntoni
non aveva voglia di cantare, col cappuccio sul naso, e gli toc-
cava vuotare dall’acqua la Provvidenza, che non si finiva più,
e il nonno badava a ripetere: «Mare bianco, scirocco in
campo» o «mare crespo, vento fresco» come se fossero là
per imparare i proverbi; e con quei benedetti proverbi,
mentre la sera stava a guardare il tempo dalla finestra col
naso in aria, diceva pure: «Quando la luna è rossa fa vento,
quando è chiara vuol dir sereno; quando è pallida, pioverà».

8. i sugheri ballavano sull’acqua...: la raffigurazione è condotta secon-


do un modello già riscontrato (e curiosamente sempre relativo a un’im-
magine di tempesta) (cfr. III, 1): alle similitudini, che spesso si pongo-
no come espansione rispetto a forme verbali già metaforicamente con-
notate (ad es. «ballavano», «friggeva»), è attribuita la funzione di ricon-
durre il piano descrittivo nei termini di una visione ‘bassa’ del paesag-
gio («i sugheri ballavano… come se ci fosse chi suonava il violino»;
«mare bianco… al pari del latte»; «il mare friggeva... come il pesce nella
padella»). Vedi anche XIV, 18: «davanti alla pioggia che scrosciava
come il pesce nella padella». – cappotti: in A si alterna più volte con
«tabarri». –era un altro par di maniche: cfr. Manzoni, I promessi sposi,
XVII, p. 303: ««È un altro par di maniche», disse Bortolo». – «Mare
bianco... campo»: cfr. Pitrè, III, p. 40: «mari biancu, sciroccu ’n campu».
– «Mare crespo, vento fresco»: cfr. II, 5 «ventu friscu, propriamente dice-
si dai marinai ‘vento gagliardo, ma favorevole’» (Mortillaro). Nel Pitrè
fa immediatamente seguito al proverbio citato nella nota precedente. –
«Quando la luna… pioverà»: cfr. Pitrè, III, p. 55: «Quannu la luna è pal-
lita, chiovi; quannu è russa, fa ventu; e quannu è chiara fa sirinità». In A
si nota come in un primo tempo Verga avesse iniziato con la traduzio-
ne diretta dal proverbio siciliano: «Quando la luna è pallida vuol dire
che pioverà […]», subito però corretta con la diversa disposizione che
troviamo a testo.

Letteratura italiana Einaudi 219


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

9 – Se lo sapete che pioverà perché torniamo ad andare in


mare oggi? gli diceva ’Ntoni. Non era meglio restarci in letto
un altro par d’ore?
– «Acqua di cielo, e sardelle alle reti!» rispondeva il vec-
chio.
’Ntoni si dava l’anima al diavolo, coll’acqua a mezza
gamba. – Stasera, gli diceva il nonno, la Maruzza ci farà tro-
vare una bella fiammata e ci asciugheremo tutti.
10 E la sera, sull’imbrunire, come la Provvidenza, colla pan-
cia piena di grazia di Dio, tornava a casa, che la vela si gon-
fiava come la gonnella di donna Rosolina, e i lumi delle case
ammiccavano ad uno ad uno dietro i fariglioni neri, e pare-
va che si chiamassero l’un l’altro, padron ’Ntoni mostrava ai
suoi ragazzi il bel fuoco che fiammeggiava nella cucina della
Longa, in fondo al cortiletto della straduccia del Nero, che
c’era il muro basso e dal mare si vedeva tutta la casa, colle
quattro tegole sotto cui si appollaiavano le galline, e il forno
11 dall’altro lato della porta. – Lo vedete che la Longa ce l’ha

9. «Acqua di cielo... reti!»: cfr. Pitrè, III, p. 4: «Acqua di celu e sardi


a la màgghia». –fiammata: «accensione di legna minute che levin fiam-
ma, a fine di riscaldare persone o stanze, asciugar panni e simili»
(Fanfani). Cfr. anche Mastro-don Gesualdo, I, IV, p. 93: «Santo piutto-
sto voleva fare una fiammata […]»; ibid., I, V, p. 138: «dinanzi a una
fiammata di strame». Ma il termine, che presenta altre due occorrenze
a distanza ravvicinata (nel c. 11) e viene richiamato espressamente,
come testimonia il manoscritto, in «bel fuoco che fiammeggiava ( ➝
si vedeva dalla porta) nella cucina», si carica di particolari connotazio-
ni, divenendo quasi l’emblema della rassicurante unità familiare, in una
sequenza che precede l’evento che segnerà l’inizio della disgregazione.
10. colla pancia piena: con un’eco del proverbio: «La gallina che
cammina torna a casa colla pancia piena» (XII, 32). – tornava a casa:
sostituisce in A, con un supplemento di affettività (ma cfr. anche nota
precedente) che meglio si uniforma al contesto dell’intero comma, il
più denotativamente tecnico: «faceva vela verso il paese». – come la
gonnella... Rosolina: corregge in A: «come una gonnella sciorinata sulla
pertica». – ammiccavano: cfr. II, 36. – neri: in A: «neri neri».
11. giulivo: corregge in A: «gongolante». – non avevano voglia di
ciarlare: corregge in A: «[vuote] com’erano venute, era una brutta
cosa». – con tutti i suoi pulcini dietro: i suoi fratellini (cfr. XX, 21).

Letteratura italiana Einaudi 220


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

fatta trovare la fiammata! – diceva tutto giulivo; e la Longa


li aspettava sulla riva colle ceste pronte, che quando dove-
vano riportarsele indietro vuote non avevano voglia di ciar-
lare, ma invece se le ceste non bastavano, e Alessi doveva
correre a casa a prenderne delle altre, il nonno si metteva le
mani alla bocca per chiamare – Mena! oh Mena! – E Mena
sapeva cosa voleva dire, e venivano tutti in processione, lei,
la Lia, ed anche la Nunziata, con tutti i suoi pulcini dietro;
allora era una festa, né si badava più al freddo, o alla piog-
gia, e davanti alla fiammata stavano a chiacchierare sino a
tardi della grazia di Dio che aveva mandato San Francesco,
e quel che si sarebbe fatto dei denari.
12 Ma a quel giuoco da disperati si arrischiava la vita per

12. a quel giuoco da disperati: andando cioè a pescare in mare aper-


to, in una giornata di «mal tempo» e con una barca «rattoppata». – il
vento soffiava a ondate…: da questo punto fino a tutto il c. 15 (cfr.
«Taglia! taglia subito!») il testo appare profondamente modificato
rispetto alla primitiva versione di A, che quasi ‘precipitava’ verso l’e-
vento cardine della tempesta senza la ‘necessaria preparazione’, senza
cioè quell’indugio, di grande intensità per la premonizione del dramma
imminente, costituito nella versione finale dallo scambio di battute fra
i componenti l’equipaggio, intervallate da notazioni descrittive che in
climax ci portano al momento chiave della situazione («Il mare era del
color della sciara» c. 13; «Tutta un tratto si era fatto scuro che non ci si
vedeva più neanche a bestemmiare» c. 14; «Si udiva il vento sibilare...»;
«il vento si mise a fischiare»; «arrivò un’ondata» c. 15). La prima ver-
sione nel manoscritto era: «il mare tutto intorno sembrava che bollisse.
Padron ’Ntoni quel giorno era rotto in due dai suoi dolori nella schie-
na e guaiva come un cagnolino raggomitolato nel suo cappotto, in
fondo alla barca. Però di tanto in tanto non lasciava di dire – Il timone
sempre a levante, Alessi, e tu ’Ntoni tieni bene gli occhi aperti, e serra
più che puoi lontano dalla riva, che il mare oggi è traditore. Tutt’a un
tratto il vento si mise a fischiare come la macchina della ferrovia, quan-
do esce dal buco del monte sopra Trezza e (aggiunta interlineare) arrivò
un’ondata che non si era vista da dove fosse venuta, la quale fece scric-
chiolare la Provvidenza come un sacco di noci, e la sbalzò in aria. – Giù
la vela, giù la vela – gridò padron ’Ntoni rizzandosi sui ginocchi; chè in
quel momento il vecchio si scordava di abbaiare (soprascritto a se no
sbandiamo). Taglia! taglia subito!» – peggio... fraschetta: il vento muta
continuamente direzione, è instabile quindi come una donna volubile.

Letteratura italiana Einaudi 221


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

qualche rotolo di pesce, e una volta i Malavoglia furono a un


pelo di rimettercela tutti la pelle, per amor del guadagno,
come Bastianazzo, mentre erano all’altezza dell’Agnone,
verso sera, e il cielo era tanto fosco che non si vedeva più
neppure l’Etna, e il vento soffiava a ondate che pareva aves-
se la parola.
– Brutto tempo! diceva padron ’Ntoni. Il vento oggi gira
peggio della testa di una fraschetta, e il mare ha la faccia
come quella di Piedipapera quando vuol farvi qualche brut-
to tiro.
13 Il mare era del color della sciara, sebbene il sole non fosse
ancora tramontato, e di tratto in tratto bolliva tutt’intorno
come una pentola.
– Adesso i gabbiani devono essere tutti a dormire: osservò
Alessi.
– A quest’ora avrebbero dovuto accendere il faro di
Catania, disse ’Ntoni, ma non si vede niente.
– Tieni sempre la sbarra a greco, Alessi, ordinò il nonno,
fra mezz’ora non ci si vedrà più, peggio di essere in un
forno.
– Con questa brutta sera e’ sarebbe meglio trovarsi all’o-
steria della Santuzza.
– O coricato nel tuo letto a dormire, non è vero? rispose
il nonno; allora dovevi fare il segretario, come don Silvestro.
Il povero vecchio aveva abbaiato tutto il giorno pei suoi
dolori. – E’ il tempo che muta! diceva lui, lo sento nelle ossa
io.
14 Tutt’a un tratto si era fatto oscuro che non ci si vedeva più

Corregge in A una versione frammentaria precedente: «come la bande-


ruola di […]». Fraschetta: «ragazza vana e poco contegnosa» (Rigutini-
Fanfani). Cfr. anche VIII, 20.
13. la sbarra a greco: la barra (o manovella) dei timone rivolta a nord-
est, la direzione cioè del vento di greco o grecale. – aveva abbaiato: cfr.
IX, 67.
14. oscuro: corregge nelle bozze: «scuro»; le due forme si alternano
nel romanzo (6 occorrenze di «scuro», contro le 4 di «oscuro»). – nean-

Letteratura italiana Einaudi 222


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

neanche a bestemmiare. Soltanto le onde, quando passava-


no vicino alla Provvidenza, luccicavano come avessero gli
occhi e volessero mangiarsela; e nessuno osava dire più una
parola, in mezzo al mare che muggiva fin dove c’era acqua.
– Ho in testa, disse a un tratto ’Ntoni, che stasera dovre-
mo dare al diavolo la pesca che abbiamo fatta.
– Taci! gli disse il nonno, e la sua voce li fece diventare
tutti piccini piccini sul banco dov’erano.
15 Si udiva il vento sibilare nella vela della Provvidenza e la
fune che suonava come una corda di chitarra.
All’improvviso il vento si mise a fischiare al pari della mac-
china della ferrovia, quando esce dal buco del monte, sopra
Trezza, e arrivò un’ondata che non si era vista da dove fosse
venuta, la quale fece scricchiolare la Provvidenza come un
sacco di noci, e la buttò in aria.
– Giù la vela! giù la vela! gridò padron ’Ntoni. Taglia!
taglia subito!
16 ’Ntoni, col coltello fra i denti, s’era abbrancato come un

che a bestemmiare: sostituisce in A: «quasi fossero in un forno, come


diceva il nonno» (cfr. c. 13: «peggio di essere in un forno»). – come
avessero gli occhi: visione quasi animistica degli elementi naturali; cfr.
poco oltre: «il mare muggiva» (vedi anche III, 1) e c. 12: «il vento sof-
fiava a ondate che pareva avesse la parola». Vedi anche X, 21: «quando
il mare parla a quel modo». – dare al diavolo: ‘perdere’; ma cfr. anche
IV, 6: «quei lupini che se l’era mangiati il diavolo»; VI, 16: «viene il dia-
volo e se li mangia». – banco: cfr. VI, 14.
15. Si udiva il vento... nella vela: in A: «sibilare» ➝ «fischiare» (cfr.
poco oltre «il vento si mise a fischiare»). Vedi X, 1: «coi capelli che gli
fischiavano al vento». Inoltre X, 19: «nel fischiare del vento». – a
fischiare... buco del monte: cfr. VII, 20: «si udì il fischio della macchina,
e i carrozzoni della ferrovia sbucarono tutt’a un tratto sul pendio del
colle dal buco che ci avevano fatto». – Taglia! taglia subito!: tagliando
le corde che tenevano tesa la vela si sarebbe opposta minor resistenza
alla violenza del vento.
16. s’era abbrancato... contrappeso: reggendosi all’asta trasversale che
sostiene la vela e sporgendosi fuori dalla sponda della barca, ’Ntoni
cerca di controbilanciare la forza del vento, evitando così di tagliare le
corde che tengono la vela.

Letteratura italiana Einaudi 223


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

gatto all’antenna e ritto sulla sponda per far contrappeso, si


lasciò spenzolare sul mare che gli urlava sotto e se lo voleva
mangiare.
– Tienti forte; tienti forte! g]i gridava il nonno in quel fra-
casso delle onde che lo volevano strappare di là, e buttava-
no in aria la Provvidenza e ogni cosa e facevano piegare la
barca tutta di un lato, che dentro ci avevano l’acqua sino ai
ginocchi. – Taglia! taglia! ripeteva il nonno.
– Sacramento! esclamò ’Ntoni. Se taglio, come faremo poi
quando avremo bisogno della vela?
– Non dire sacramento! che ora siamo nelle mani di Dio!
17 Alessi s’era aggrappato al timone, e all’udire quelle paro-
le del nonno comincio a strillare: – Mamma! mamma mia!
– Taci! gli gridò il fratello col coltello fra i denti. Taci o ti
assesto una pedata!
– Fatti la croce, e taci! ripeté il nonno. Sicché il ragazzo
non osò fiatare più.
Ad un tratto ]a vela cadde tutta di un pezzo, tanto era
tesa, e ’Ntoni la raccolse in un lampo e l’ammainò stretta.
– Il mestiere lo sai come tuo padre, gli disse il nonno, e sei
Malavoglia anche tu.
18 La barca si raddrizzò e fece prima un gran salto; poi
seguitò a far capriole sulle onde.
– Dà qua il timone; ora ci vuole la mano ferma! disse
padron ’Ntoni; e malgrado che il ragazzo ci si fosse aggrap-
pato come un gatto anche lui, arrivavano certe ondate che
facevano sbattere il petto contro la manovella a tutt’e due.
– Il remo! gridò ’Ntoni, forza nel tuo remo, Alessi! che a
mangiare sei buono anche tu. Adesso i remi valgono meglio
del timone.

17. l’ammainò stretta: ‘l’avvolse strettamente all’antenna’.


18. come un gatto: aggiunta interlineare in A; cfr. c. 16. – manovella:
cfr. c. 13.

Letteratura italiana Einaudi 224


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

19 La barca scricchiolava sotto lo sforzo poderoso di quel


paio di braccia. E Alessi ritto contro la pedagna, ci dava l’a-
nima sui remi come poteva, anche lui.
– Tienti fermo! gli gridò il nonno che appena si sentiva da
un capo all’altro della barca, nel fischiare del vento. – Tienti
fermo, Alessi!
– Sì, nonno, sì! rispose il ragazzo.
– Che hai paura? gli disse ’Ntoni.
– No, rispose il nonno per lui. Soltanto raccomandiamoci
a Dio.
– Santo diavolone! esclamò ’Ntoni col petto ansante, qui
ci vorrebbero le braccia di ferro come la macchina del vapo-
re. Il mare ci vince.
20 Il nonno si tacque e stettero ad ascoltare la burrasca.
– La mamma adesso dev’essere sulla riva a vedere se tor-
niamo; disse poi Alessi.
– Ora lascia stare la mamma, aggiunse il nonno, è meglio
non ci pensare.
– Adesso dove siamo? domandò ’Ntoni dopo un altro bel
pezzo, col fiato ai denti dalla stanchezza.
– Nelle mani di Dio, rispose il nonno.
– Allora lasciatemi piangere! esclamò Alessi che non ne

19. di quel paio di braccia: quasi a compensare verso il ‘basso’ il pre-


cedente «sforzo poderoso», corregge in A: «delle sue braccia robuste».
– pedagna: cfr. I,23. – ci dava l’anima sui remi: sostituisce in A: «faceva
forza coi due remi». – nel fischiare del vento: corregge in A: «nel sibilo
acuto che faceva il vento». – col petto ansante: corregge nelle bozze la
lezione di A: «col fiato ai denti» (cfr. c. 20) ➝ «anelante».
20. stettero… burrasca: sostituisce in A: «lasciarono parlare la burra-
sca per loro». – col fiato ai denti dalla stanchezza: la lezione, resasi
disponibile dopo un precedente intervento (cfr. c. 19), sostituisce in
bozze: «che le braccia non gli andavano più». – alla volontà di Dio: di
fronte al prevalere delle forze della natura non resta che affidarsi al
cielo (cfr. c. 16: «ora siamo nelle mani di Dio»; c. 19: «Soltanto racco-
mandiamoci a Dio»; c. 20: «Nelle mani di Dio»). Curiosa la consonan-
za con un proverbio riportato dal Pitrè, III, p. 247: «Chiddu chi voli
Diu! Dissi lu monacu quannu s’annigau».

Letteratura italiana Einaudi 225


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

poteva più. E si mise a strillare e a chiamare la mamma ad


alta voce, in mezzo al rumore del vento e del mare; né alcu-
no oso sgridarlo più.
– Hai un bel cantare, ma nessuno ti sente, ed è meglio
starti cheto, gli disse infine il fratello con la voce mutata che
non si conosceva più nemmeno lui. Sta zitto, che adesso non
è bene far così, né per te né per gli altri.
– La vela! ordinò padron ’Ntoni; il timone al vento verso
greco, e poi alla volontà di Dio.
21 Il vento contrastava forte la manovra, ma in cinque minu-
ti la vela fu spiegata, e la Provvidenza cominciò a balzare
sulla cima delle onde, piegata da un lato come un uccello
ferito. I Malavoglia si tenevano tutti da un lato, afferrati alla
sponda; in quel momento nessuno fiatava, perché quando il
mare parla in quel modo non si ha coraggio di aprire bocca.
22 Padron ’Ntoni disse soltanto: – A quest’ora laggiù dicono
il rosario per noi.
E non aggiunsero altro, correndo col vento e colle onde,
nella notte che era venuta tutt’a un tratto nera come la pece.

21. contrastava forte alla: corregge in bozze: «contrastava f. la». Nel


Rigutini-Fanfani si consiglia l’impiego intransitivo del verbo, ma si
ammette anche quello transitivo. – come un uccello ferito: la similitudi-
ne compariva in A fra le lezioni superate, nella descrizione iniziale del
capitolo III, 1: «quando si vedeva qualche vela sbrindellata passare
nella nebbia dell’orizzonte come un uccello ferito» (nella versione fina-
le: «quando si vedeva passare in lontananza qualche vela sbrindellata,
in mezzo al vento e alla nebbia che pareva ci avesse il diavolo in
poppa»). – nessuno fiatava: corregge in A: «tutti tacevano». – il mare
parla in quel modo: cfr. X, 14; in A: «parla» ➝ «minaccia». – non si ha
coraggio: sostituisce in A il meno appropriato: «nessuno ha fiato», ma
determinante deve essere stata anche la ripetizione venutasi a creare per
l’introduzione poco prima di «nessuno fiatava».
22. correndo col vento… come la pece: con cadenza tra l’epico e il
favoloso. In A: «come la pece» ➝ «come un forno» (cfr. X, 13). –
serra: ‘ammaina, arrotola la vela’. – scatta: il cavo della parte inferiore
della vela che serve a distenderla al vento. Sostituisce in A il più gene-
rico: «corda».

Letteratura italiana Einaudi 226


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

– Il fanale del molo, – gridò ’Ntoni, – lo vedete?


– A dritta! gridò ’Ntoni, a dritta! Non e il fanale del molo.
Andiamo sugli scogli. Serra! serra!
– Non posso serrare! rispose ’Ntoni colla voce soffocata
dalla tempesta e dallo sforzo, la scotta è bagnata. Il coltello,
Alessi, il coltello.
– Taglia, taglia, presto.
23 In questo momento s’udì uno schianto: la Provvidenza,
che prima si era curvata su di un fianco, si rilevò come una
molla, e per poco non sbalzò tutti in mare; l’antenna insie-
me alla vela cadde sulla barca, rotta come un filo di paglia.
Allora si udì una voce che gridava: Ahi! come di uno che
stesse per morire.
– Chi è? chi è che grida? domandava ’Ntoni, aiutandosi
coi denti e col coltello a tagliare le rilinghe della vela, la
quale era caduta coll’antenna sulla barca e copriva ogni
cosa. Ad un tratto un colpo di vento la strappò netta e se la
porto via sibilando. Allora i due fratelli poterono sbrogliare
24 del tutto il troncone dell’antenna e buttarlo in mare. La
barca si raddrizzò, ma padron ’Ntoni non si raddrizzò, lui,
e non rispondeva più a ’Ntoni che lo chiamava. Ora, quan-
do il mare e il vento gridano insieme, non c’è cosa che fac-
cia più paura del non udirsi rispondere alla voce che chia-
ma. – Nonno, nonno! gridava anche Alessi, e al non udir più
nulla, i capelli si rizzarono in capo, come fossero vivi, ai due
25 fratelli. La notte era così nera che non si vedeva da un capo
all’altro della Provvidenza, tanto che Alessi non piangeva
più dal terrore. Il nonno era disteso in fondo alla barca,
colla testa rotta. ’Ntoni finalmente lo trovo tastoni e gli

23. rilinghe: «corde di cui è orlata la vela perchè il vento non la lace-
ri» (Verga).
24. Ora… voce che chiama: una considerazione di carattere generale
che rivela la presenza del narratore nelle vesti del ‘testimone’ che rac-
conta.

Letteratura italiana Einaudi 227


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

parve che fosse morto, perché non fiatava e non si muoveva


affatto. La stanga del timone urtava di qua e di là, mentre la
barca saltava in aria e si inabissava.
26 – Ah, san Francesco di Paola! Ah! san Francesco bene-
detto! strillavano i due ragazzi, ora che non sapevano più
che fare.
San Francesco misericordioso li udì, mentre andava per la
burrasca in soccorso dei suoi devoti, e stese il suo mantello
sotto la Provvidenza, giusto quando stava per spaccarsi
come un guscio di noce sullo scoglio dei colombi, sotto la
guardiola della dogana. La barca saltò come un puledro
sullo scoglio, e venne a cadere in secco, col naso in giù. –
Coraggio, coraggio! gridavano loro le guardie dalla riva, e
correvano qua e là colle lanterne a gettare delle corde. –
27 Siam qui noi! fatevi animo! – Finalmente una delle corde

26. San Francesco... Provvidenza: all’invocazione fa seguito l’inter-


vento risolutore del santo, secondo i canoni più tipici dell’agiografia
popolare. Il salvataggio della Provvidenza si trasforma nel racconto
dello stesso da parte di un narratore popolare che scorge nell’evento la
presenza del miracoloso; opportunamente Fontana parla di «ex voto di
gusto popolare» (in Coscienza storico-esistenziale e mito nei
«Malavoglia» p. 39, cfr. bibliografia). – guscio di noce: cfr. X, 15: «come
un sacco di noci» (sempre riferito alla Provvidenza). – come un puledro:
in serie con precedenti immagini: «come un cefalo in amore» (c. 1),
«come un uccello ferito» (c. 21). Cfr. anche I, 25: «come un’anitrocco-
la». – in secco, col naso in giù: ‘sulla riva colla prora in giù’; l’ambito
metaforico è quello dell’essere vivente (cfr. anche le similitudini alla
nota precedente). Corregge in A: «a naso in giù in secco ( ➝ fra i due
scogli sotto il posto della dogana ➝ dentro quel piccolo
riparo che ci è dietro la scogliera)». Cfr. anche V, 19.
27. tremava come una foglia: si gioca volutamente sull’ambiguità; pur
essendo impiegata quasi esclusivamente nel senso di «tremare assai, più
spesso per paura» (Rigutini-Fanfani), potrebbe anche alludere a un
reale movimento della barca. Sostituisce in A l’esplicito, e forse ecces-
sivo nel suo processo di umanizzazione: «tremava tutta dalla paura».
Cfr. anche, riferito a Mena, XI, 29: «tremava come una fronda». Vedi
Manzoni, I promessi sposi, VIII, p. 131: «Il garzoncello trema come una
foglia […]». – meglio di una carezza: qui terminava lo stralcio del capi-
tolo apparso col titolo Poveri pescatori! sulla «Nuova Antologia» (1°

Letteratura italiana Einaudi 228


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

venne a cadere a traverso della Provvidenza, la quale trema-


va come una foglia, e batté giusto sulla faccia a ’Ntoni peg-
gio di un colpo di frusta, ma in quel momento gli parve
meglio di una carezza.
– A me! a me! gridò afferrando la fune che scorreva rapi-
damente e gli voleva scivolare dalle mani. Alessi vi si
aggrappò anche lui con tutte le sue forze, e così riescirono
ad avvolgerla due o tre volte alla sbarra del timone, e le
guardie doganali li tirarono a riva.
28 Padron ’Ntoni però non dava più segno di vita, e allorché
accostarono la lanterna si vide che aveva la faccia sporca di
sangue, sicché tutti lo credettero morto, e i nipoti si strap-
pavano i capelli. Ma dopo un paio d’ore arrivò correndo
don Michele, Rocco Spatu, Vanni Pizzuto, e tutti gli sfac-
cendati che erano all’osteria quando giunse la notizia, e col-
l’acqua fresca e le fregagioni gli fecero riaprir gli occhi. Il
povero vecchio, come seppe dove si trovava, che ci voleva
meno di un’ora per arrivare a Trezza, disse che lo portasse-
ro a casa su di una scala.
29 Maruzza, Mena, e le vicine, che strillavano sulla piazza e

gennaio 1881). – scivolare dalle mani: in A segue cassato: «come quan-


do si butta in mare la grossa pietra che serve d’ancora».
28. si strappavano i capelli: cfr. anche III, 23. – arrivo: costruzione ad
sensum (il gruppo dei soccorritori quasi come un collettivo) con accen-
tuata mimesi del parlato (di cui non mancano esempi: vedi VII, 48).
Permane comunque qualche dubbio che possa in questo caso trattarsi
di una svista; l’intervento correttorio dell’autore infatti, che modifica la
primitiva versione di A («arrivò correndo Don Michele dopo che si
venne a sapere che al posto dei colombi c’era bisogno di lui, e Rocco
Spatu, e Vanni Pizzuto...»), avrebbe dovuto probabilmente estendersi
anche al verbo («arrivò» ➝ «arrivarono»), dopo la soppressione del-
l’inciso temporale («dopo che... bisogno di lui, e»), che distanziando il
primo dagli altri soggetti (legati dalla copulativa), rendeva ammissibile
sottintendere, nella prima versione, un verbo al plurale. – fregagioni:
‘massaggi’. – su di una scala: usata come rudimentale barella; vedi
Nedda, p. 29: «vide [...] Janu disteso su di una scala a piuoli [...]».
29. l’aceto dei sette ladri: «specie di aceto aromatico molto rinomato
nelle basse classi siciliane» (Verga). Cfr. Mastro-don Gesualdo, II, III, p.
244.

Letteratura italiana Einaudi 229


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

si battevano il petto, lo videro arrivare in tal modo, disteso


sulla scala, e colla faccia bianca, come un morto.
– Niente! niente! – andava assicurando don Michele in
capo alla folla, – una cosa da nulla! – e corse dallo speziale
30 per l’aceto dei sette ladri. Don Franco venne in persona
tenendo colle due mani la boccetta, e accorsero anche
Piedipapera, comare Grazia, i Zuppiddi, padron Cipolla e
tutto il vicinato, nella strada del Nero, ché in quelle occa-
sioni si mette un sasso su ogni quistione, ed era venuta
anche la Locca, la quale andava sempre dove c’era folla,
quando sentiva del brusìo pel paese, di notte o di giorno,
quasi non chiudesse più gli occhi, e aspettasse sempre il suo
Menico. Sicché la gente si accalcava nella stradicciuola
davanti alla casa dei Malavoglia, come se ci fosse il morto,
tanto che la cugina Anna dovette chiuder l’uscio sul mostac-
cio a tutti.
– Lasciatemi entrare! gridava la Nunziata picchiando coi
pugni sull’uscio, che era accorsa mezzo svestita. Lasciatemi
vedere cos’è successo da comare Maruzza!
– Allora era inutile mandarci per la scala, che dopo non ci
lasciano entrare in casa per vedere cos’è! strepitava il figlio
della Locca.
31 La Zuppidda e la Mangiacarrubbe avevano dimenticato

30. si mette un sasso su: rifatta sulla locuzione più comune ‘metterci
su una pietra’ (cfr. IX, 66), «riferita a cose passate e spiacenti, e special-
mente a colpe commesse da altri [...] vale ‘Non ne far più caso’»
(Rigutini-Fanfani). La lezione di A è: «si mette un piede su». –aspettasse
sempre il suo Menico: cfr. V, 10. – mandarci per: ‘mandarci a prendere’.
31. gente di mare: cfr. I, 1. – se non fosse... don Michele: un apprez-
zamento tanto ingiustificato (don Michele era arrivato, seppur «cor-
rendo», «dopo un paio d’ore»), quanto interessato (può essere infatti
un buon partito per la figlia Barbara). – semenza: in A: «sementa». –
grasso e grosso meglio di un canonico: cfr. XIII, 19. – gli faceva tanto di
cappello… nero: una variante che precede di poco («lisciavano» ➝
«gli facevano di cappello»), rende qui disponibile la locuzione che con-
sente il sottile e compiaciuto gioco ironico con «cappellaccio nero»:
l’atto di deferenza a don Michele, espressione del potere costituito, da

Letteratura italiana Einaudi 230


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

tutti gli improperi che si erano detti, e cianciavano davanti


alla porta, colle mani sotto il grembiule. – Già quel mestie-
re lì è fatto in tal modo, e si finisce col lasciarci la pelle. Una
che mariti la figlia con gente di mare, diceva la Zuppidda,
un giorno o l’altro se la vede tornare a casa vedova, e cogli
orfani per giunta, ché se non fosse stato per don Michele,
dei Malavoglia quella notte non restava nemmeno la semen-
za. Il meglio era fare come quelli che non fanno nulla, e si
guadagnano la loro giornata egualmente, come don
Michele, a mo’ d’esempio, il quale era grasso e grosso
meglio di un canonico, e andava sempre vestito di panno, e
si mangiava mezzo paese, e tutti lo lisciavano; anche lo spe-
ziale, il quale voleva mangiarsi il re, gli faceva tanto di cap-
pello, col cappellaccio nero.
32 – Non è nulla, venne a dire don Franco, gli abbiamo fatta
la fasciatura; ma se non viene la febbre, se ne va.
Piedipapera volle andare a vedere anche lui, perché era di
casa, e padron Fortunato, e chi d’altri poté entrare, a furia
di gomitate.
– La faccia non mi piace niente affatto! sentenziava

parte del repubblicano e ‘rivoluzionario’ don Franco (vedi «voleva


mangiarsi il re»), si realizza proprio grazie a quello che può essere con-
siderato l’emblema del ‘cospiratore’, quel «cappellaccio nero» che
ormai è attributo inscindibile dal personaggio dello speziale (cfr. III, 6;
V, 20; VII, 23; XIV, 48).
32. se non viene la febbre, se ne va: non casuale il gioco di parole,
per lo scarto fra l’effetto ‘comico’ che si determina e il contenuto in
realtà tragico della battuta; si noti anche il contrasto fra il minimizzan-
te «Non è nulla» di apertura e la drammatica perentorietà della chiusa.
Il gioco è rincalzato a distanza da «la febbre era venuta […] ma era
venuta così forte che stava per portarsi via il malato» (X, 33), anche qui
con insistita sottolineatura allitterativa in fricativa. – Per questo: per i
rischi cui è esposta la «gente di mare». – «Chi ha roba… nulla»: cfr.
Pitrè, I, p. 314: «Cu’ havi robba a mari, havi nenti». – Ci vuole… vuole:
corregge in A: «Ci vogliono i sassi al sole». – tutte le disgrazie... notte:
come nel naufragio della Provvidenza del capitolo III e nell’abbandono
della casa del nespolo (cfr. IX, 43).

Letteratura italiana Einaudi 231


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

padron Cipolla, scrollando il capo; come vi sentite, compa-


re ’Ntoni?
– Per questo padron Fortunato non gli ha voluto dare il
figlio alla Sant’Agata, diceva intanto la Zuppidda, che l’ave-
vano lasciata sulla porta. Ha il naso fine quell’omaccio!
E la Vespa aggiungeva:
– «Chi ha roba in mare non ha nulla.» Ci vuole la terra al
sole, ci vuole.
– Che notte è venuta pei Malavoglia! esclamava comare
Piedipapera.
– Avete visto, che tutte le disgrazie in questa casa arrivano
di notte? osservò padron Cipolla, uscendo dalla casa con
don Franco e compare Tino.
– Per buscarsi un pezzo di pane, poveretti! aggiungeva
comare Grazia.
33 Per due o tre giorni padron ’Ntoni fu più di là che di qua.
La febbre era venuta, come aveva detto lo speziale, ma era
venuta così forte che stava per portarsi via il malato. Il pove-
raccio non si lagnava più, nel suo cantuccio, colla testa
fasciata e la barba lunga. Aveva solo una gran sete, e quan-
do Mena o la Longa gli davano da bere afferrava il boccale
con le mani tremanti, che pareva volessero rubarglielo.
Don Ciccio veniva la mattina, medicava il ferito, gli tasta-
va il polso, voleva vedere la lingua, e poi se ne andava scrol-
lando il capo.
34 Una notte persino lasciarono accesa la candela, quando

33. Per due o tre... di qua: in A: «Padron ’Ntoni era stato assai male
per due o tre giorni». – cantuccio: in A segue cassato: «immobile, con
tanto d’occhi sbarrati e luccicanti». – Don Ciccio: definito negli appun-
ti preparatori «medico girovago».
34. Nella casa... vegliare il malato: associato al «silenzio di malaugu-
rio» che sembra preannunciare la morte imminente del malato, il leit-
motiv del passaggio dei carri per via si arricchisce, rispetto a preceden-
ti occorrenze (cfr. II, 6), di nuove connotazioni. Corregge in A: «Nella
casa c’era ( ➝ regnava) un silenzio di malaugurio, sicchè i carri pas-
sando dalla strada lontano, rimbombavano (facevano saltare in aria

Letteratura italiana Einaudi 232


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

don Ciccio aveva dimenato il capo più forte; la Longa ci


aveva messo accanto l’immagine della Madonna, e dicevano
il rosario davanti al letto del malato, il quale non fiatava più
e non voleva nemmeno dell’acqua, e nessuno andò a dormi-
re, tanto che la Lia si rompeva le mascelle dallo sbadigliare,
pel gran sonno. Nella casa c’era un silenzio di malaugurio,
sicché i carri passando per la strada facevano ballare i bic-
chieri sulla tavola, e trasalire coloro che stavano a vegliare il
malato; così passò anche tutta la giornata, e le vicine stava-
no sulla porta, cianciando a voce bassa fra di loro, e guar-
dando pel vano dell’uscio cosa succedeva. Verso sera
padron ’Ntoni volle vedere tutti i suoi ad uno ad uno, cogli
occhi spenti, e domandava cosa aveva detto il medico.
’Ntoni era accanto al capezzale e piangeva come un ragazzo,
ché il cuore l’aveva buono, quel giovane.
– Non piangere così! gli diceva il nonno. Non piangere.
Ora tu sei il capo della casa. Pensa che ci hai tutti gli altri
sulle spalle, e fa come ho fatto io.
35 Le donne si mettevano a gridare colle mani nei capelli,
udendo discorrere a quel modo, persino la piccola Lia, giac-
ché le donne non hanno giudizio in quelle circostanze, e non
si accorgevano che il poveretto si turbava in volto al veder-
le disperarsi, come se stesse per morire. Ma egli continuava
con voce fioca: – Non fate tante spese quando non ci sarò
più. Il Signore lo sa che non possiamo sperdere, e si con-
tenterà del rosario che mi diranno Maruzza e la Mena. Tu,

quelli che stavano a vegliare il malato» (il «trasalire» della versione fina-
le è aggiunto in bozze, per evitare che «saltare in aria», modificato poi
in «ballare», si riferisse, con indesiderato effetto ‘comico’, oltre che ai
bicchieri sulla tavola anche ai presenti alla veglia del malato).
35. si mettevano a gridare: corregge in A, con abbassamento di regi-
stro che non rinuncia comunque alla drammaticità del tono: «levavano
le strida». – colle mani nei capelli: cfr. III, 23. – le donne... circostanze:
analogamente: «Ma le donne hanno il cuore piccino» (I, 22). –come fa
la chioccia... pulcini: cfr. II, 21. A rinforzare l’immagine, vedi il prece-
dente «sotto le ali», che deriva in A da «sotto gli occhi».

Letteratura italiana Einaudi 233


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

Mena, fai sempre come ha fatto tua madre, che è stata una
santa donna, e dei guai ne ha visti anche lei; e ti terrai sotto
le ali tua sorella, come fa la chioccia coi suoi pulcini. Finché
vi aiuterete l’un l’altro, i guai vi parranno meno gravi. Ora
’Ntoni è grande, e presto Alessi sarà in grado di aiutarvi
anche lui.
36 – Non dite così! supplicavano le donne singhiozzando,
come se egli avesse voluto andarsene di sua volontà. – Per
carità non dite così. Egli scuoteva il capo tristamente, e
rispondeva:
– Adesso che vi ho detto quello che volevo dirvi, non me
ne importa. Io sono vecchio. Quando non c’è più olio il
lume si spegne. Ora voltatemi dall’altra parte che sono stan-
co.
37 Più tardi chiamò ancora ’Ntoni, e gli disse:
– Non la vendete la Provvidenza, così vecchia come è, se
no sarete costretti ad andare a giornata, e non sapete com’è
dura, quando padron Cipolla o lo zio Cola vi dicono: – Non
ho bisogno di uno per lunedì. – E quest’altra cosa voglio
dire a te, ’Ntoni, che quando avrete messo insieme qualche
soldo, dovete maritare prima la Mena, e darle uno del
mestiere che faceva suo padre, e che sia un buon figliuolo; e
voglio dirti anche che quando avrete maritato pure la Lia, se
fate dei risparmi metteteli da parte e ricomperate la casa del
nespolo. Lo zio Crocifisso ve la venderà, se ci avrà il suo

36. Quando non c’è... spegne: nel Pitrè (IV, p. 30) è attestato: «Si cc’è
ògghiu a la lampa lu malatu campa». Cfr. anche X, 73 («– Vuol dire che
c’è olio ancora alla lucerna...»).
37. così vecchia come è: ‘nonostante sia vecchia’. – lunedì: per la pros-
sima settimana. –dovete... Mena: cfr. VII, 54. – perchè è stata sempre...
Luca: l’ambigua disposizione della causale, che non si lega a ciò che
immediatamente precede, ma a «ricomprate la casa», accentua il con-
trasto fra la visione di padron ’Ntoni che fa della casa del nespolo il sim-
bolo stesso dell’identità della famiglia e quella puramente dettata da
interessi economici dello zio Crocifisso. – serio… uomo: sostituisce in
A: «con tanto d’occhi sbarrati».

Letteratura italiana Einaudi 234


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

guadagno, perché è stata sempre dei Malavoglia, e di là sono


partiti vostro padre e la buon’anima di Luca.
– Sì! nonno! sì! prometteva ’Ntoni piangendo. Alessi
ascoltava anche lui, serio serio come fosse già un uomo.
Le donne credevano che il malato avesse il delirio, uden-
dolo chiacchierare e chiacchierare, e gli mettevano delle
pezze bagnate sulla fronte. – No, diceva padron ’Ntoni,
sono in sensi. Voglio finire tutto quel che devo dirvi prima
di andarmene.
38 Intanto cominciavano ad udirsi i pescatori che si chiama-
vano da un uscio all’altro, e i carri cominciavano a passare
di nuovo per la via. – Fra due ore sarà giorno, disse padron
’Ntoni, e potrete andare a chiamare don Giammaria.
Quei poveretti aspettavano il giorno come il Messia, e
andavano ogni momento a socchiudere la finestra per veder
se spuntasse l’alba. Finalmente la stanzuccia cominciò a farsi
bianca, e padron ’Ntoni tornò a dire: – Ora chiamatemi il
prete, che voglio confessarmi.
39 Don Giammaria venne quando il sole era già alto, e tutte

38. Intanto… per la via: i ‘consueti strepiti’ della vita che riprende,
attraverso motivi ricorrenti: vedi VI, 9: «fuori si udiva passare la gente
che andava al mare, e passava a picchiare di porta in porta, per chia-
mare i compagni»; XV, 74: «fin quando cominciarono ad udirsi certi
rumori ch’ei conosceva, e delle voci che si chiamavano dietro gli usci».
Per il motivo dei carri, vedi c. 34. – come il Messia: ‘con vivo desiderio
e con trepidazione’. Ma la locuzione è attestata anche nell’accezione di
«aspettare invano una persona» (Rigutini-Fanfani) e «aspettare una
cosa che non verrà» (Petrocchi). Per l’ambito della metafora, cfr. IV, 8.
39. come udirono il campanello: che annunciava il passaggio del via-
tico. Cfr. Mastro-don Gesualdo, II, III, p. 241: «Talchè in quell’aria di
festa suonò più malinconico il campanello del viatico». – viatico: l’eu-
caristia impartita ai moribondi. – perchè dove va: la lezione si richiama
ad «andava dai Malavoglia» e, quasi con gioco etimologico in un con-
testo marcatamente allitterante, a «viatico»; corregge in A: «che come
entra». Cfr. anche XI, 39. – San Giuseppe... quella barba lunga: immagi-
ne generata dal proverbio: «San Giuseppe fece prima la sua barba e poi
quella di tutti gli altri» (IX, 36). – come una cornacchia! – diceva lo spe-
ziale: introdotto in A su: «Beato lui!», a far da controcanto ironico al

Letteratura italiana Einaudi 235


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

le vicine, come udirono il campanello per la stradicciuola


del Nero, accorrevano a vedere il viatico che andava dai
Malavoglia, ed entravano tutte, perché dove va il Signore
non si può chiudere l’uscio in faccia alla gente, tanto che
quei poveretti al vedersi la casa piena non osavano nemme-
no piangere e disperarsi, mentre don Giammaria borbotta-
va fra i denti, e mastro Cirino gli metteva il cero sotto il naso
al malato, giallo e stecchito come un altro cero anche lui.
– E’ sembra il patriarca San Giuseppe addirittura, su quel
letto e con quella barba lunga! beato lui! esclamava la
Santuzza, che piantava i boccali e ogni cosa, e andava sem-
pre dove sentiva il Signore – come una cornacchia! – diceva
lo speziale.
40 Don Ciccio arrivò che c’era ancora il vicario coll’olio
santo, tanto che voleva voltare la briglia dell’asinello e tor-
narsene indietro. – Chi vi ha detto che c’era bisogno del
prete? Chi è andato a chiamare il viatico? Quello dobbiamo
dirvelo noi altri medici, quando è l’ora; e mi meraviglio del
vicario che è venuto senza la polizza del viatico. Ora volete
saperlo? non c’è bisogno del viatico. Se sta meglio, vi dico!
41 – E’ il miracolo della Madonna Addolorata! esclamava la
Longa; la Madonna ci ha fatto il miracolo, perché il Signore
ci è stato troppe volte in questa casa! – Ah! Vergine bene-
detta! esclamava Mena colle mani giunte. Ah! Vergine

linguaggio devozionale della Santuzza («cornacchia» è riferito a ‘perso-


na petulante e di cattivo augurio’). Vedi L’ultima giornata, in Per le vie,
p. 450: «corso sin là all’odore del morto come un corvo».
40. polizza del viatico: l’autorizzazione del medico che certificando la
gravità del malato permetteva l’intervento del prete. Vedi anche
Mastro-don Gesualdo, II, III, p. 238: «Corro dal dottore... almeno per
la ricetta del viatico, che diavolo!»
41. il Signore... casa!: ‘troppe disgrazie hanno colpito questa casa’.
Vedi le parole di padre Cristoforo dopo la «dolorosa relazione» di
Agnese in Manzoni, I promessi sposi, V, p. 72: «poverette! – disse: – Dio
vi ha visitate. Povera Lucia!».

Letteratura italiana Einaudi 236


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

Santa, che ci avete fatta la grazia! – E tutti piangevano dalla


consolazione, come se l’infermo fosse già stato in grado di
tornare ad imbarcarsi sulla Provvidenza.
Don Ciccio se ne andava borbottando: – Così mi ringra-
ziano! Se campano, la Madonna ha fatto la grazia. Se muoio-
no, son io che li ammazzo!
42 Le comari aspettavano sulla porta per veder passare il
morto, che dovevano venirselo a prendere da un momento
all’altro. – Poveretto! brontolavano anch’esse.
– Quel vecchio ha il cuoio duro; se non batte il naso per
terra come i gatti, non muore. State attenti a quel che vi dico
oggi, – predicava la Zuppidda. – Siamo qui da due giorni ad
aspettare: muore, non muore? Vi dico che egli ci sotterrerà
tutti. – Le comari fecero le corna. «Lontano sia ché son

42. cuoio: «usasi famigliarmente e con certo dispregio anche per


pelle del corpo umano, e per il corpo stesso o la vita» (Rigutini-
Fanfani); cfr. X, 44: «lasciarci il cuoio». – se non batte... non muore: cfr.
anche X, 76. Corregge in A: «è difficile a morire come i gatti», con
intensificazione, in parte anticipata dalla scelta immediatamente prece-
dente di «cuoio» rispetto al più corrente «pelle», di una similitudine già
di per sè impietosa. – «Lontano sia... Maria!»: non si è trovata attesta-
zione nel Pitrè e neppure nella lista di proverbi fra le carte preparato-
rie. Da rilevare, per il carattere di eccezionalità (ma cfr. anche nota
seguente), che la prima versione nel testo base di A è in dialetto sicilia-
no: «Arrassu di mia ca sugnu figghia di Maria!» Una primitiva versione
si legge in uno degli abbozzi più antichi (M 3, p. 87): «Voi siete un
uomo e vi piace scherzare – Ma io son figlia di Maria, e Gesuzzu lonta-
no di Mia – a sto giuoco non ci giocare, se ragazza onesta ti vuoi serba-
re». Il proverbio compare anche nella novella Gli orfani, in Novelle
rusticane, p. 272. – «Sciatara... solforoso!»: formula di scongiuro, di cui
non si è trovata attestazione nel Pitrè; chiude invece, sotto la rubrica
«Imprecazioni», la citata lista di proverbi fra le carte preparatorie:
«Sciàtara e màtara! Tronu di l’ariu (‘cielo’) e vinu sulfurusu». Come per
il proverbio della nota precedente la prima versione in A è eccezional-
mente in dialetto (le due parole dello scongiuro però compaiono senza
accento e si legge «di l’aria» al posto di «di l’ariu»). «Sciàtara e màtara:
interiezione ammirativa o sprezzante, ‘Oibò, Capperi, Deh, Oh’; e simi-
li» (Mortillaro); «esclamazione plebea siciliana. Intraducibile – bisogna
lasciarla tale e quale o levarla di peso» (Verga). – la colonna: corregge
in A: «il timone». – cetriolo: cfr. IX, 62.

Letteratura italiana Einaudi 237


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

figlia di Maria!» e la Vespa baciava anche la medaglia che ci


aveva sull’abitino. «Sciatara e matara! Tuono dell’aria, e
vino solforoso!» La Zuppidda soggiunse: – Voi almeno non
avete figli da maritare, come li ho io, che farei gran danno se
andassi sotterra. – Le altre ridevano, perché la Vespa non ci
aveva che lei stessa da maritare, e non ci arrivava anche. –
Quanto a questo, padron ’Ntoni fa più danno di tutti, per-
ché è la colonna della casa, – rispose la cugina Anna. Quel
cetriolo di ’Ntoni ora non è più un ragazzo. – Ma tutte si
strinsero nelle spalle. – Se muore il vecchio, la vedrete come
casca quella casa!
43 In questa arrivo la Nunziata, lesta lesta, colla brocca sul
capo. – Largo! largo! che aspettano l’acqua da comare
Maruzza. E i miei ragazzi se si mettono a giocare mi lascia-
no la roba in mezzo alla strada.
Lia s’era messa sulla porta, tutta pettoruta a dire alle
comari: – Il nonno sta meglio. Ha detto don Ciccio che il
nonno per adesso non muore; e non le pareva vero che tutte
le comari stessero ad ascoltarla come una donna fatta.
Venne anche Alessi e disse alla Nunziata:
– Ora che sei qui, in due salti vado a vedere che n’è della
Provvidenza.
– Questo qui ha più giudizio del grande! diceva la cugina
Anna.
– A don Michele gli daranno la medaglia per aver buttato
la corda alla Provvidenza, diceva lo speziale. E ci è anche la
pensione. Così li spendono i denari del popolo!
44 Piedipapera per difendere don Michele andava dicendo

43. come una donna fatta: cfr. XI, 36.


44. buttato all’acqua... gamba: corregge in A: «buttato in mare». Il
tentativo di trasformare in atto eroico l’intervento piuttosto tardivo e
senz’altro non risolutore di don Michele deve comunque lasciar traspa-
rire ironicamente la reale portata della sua azione («sino a mezza
gamba») – lasciarci il cuoio: cfr. X, 42: «cuoio duro»; uniche due occor-
renze in questa accezione. – uniforme nuovo: al maschile come in sici-
liano. – gli lasciavano… addosso: corregge in bozze la lezione di A: «lo
guardavano».

Letteratura italiana Einaudi 238


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

che se l’era meritata, la medaglia e la pensione, per questo si


era buttato sull’acqua sino a mezza gamba, con tutti gli sti-
valoni, per salvare la vita ai Malavoglia, vi par poco? tre per-
sone! ed era stato a un pelo di lasciarci il cuoio anche lui,
tanto che se ne parlava dappertutto, sicché la domenica,
quando si metteva l’uniforme nuova, le ragazze gli lasciava-
no gli occhi addosso per vedere se ci avesse la medaglia.
45 – Barbara Zuppidda, ora che si è levato di mente quel
ragazzaccio di Malavoglia, non gli volterà più le spalle a don
Michele, andava dicendo Piedipapera. L’ho vista io col naso
fra le imposte quando egli passa per la strada.
E don Silvestro, sentendo questo, diceva a Vanni Pizzuto:
– Bel guadagno che ci avete fatto, a levarvi d’addosso
’Ntoni di padron ’Ntoni, ora che la Barbara ha messo gli
occhi addosso a don Michele!
– Se ce li ha messi li leverà, ché sua madre non può vede-
re né sbirri, né mangiapane, né forestieri.
– Vedrete, vedrete; la Barbara ha ventitré anni, e se si
mette in testa che ad aspettare ancora il marito comincia a

45. Se ce li ha messi... forestieri: si innesta riprendendo a distanza rav-


vicinata, e variandola, una locuzione della battuta precedente secondo
un procedimento frequente: «ha messo gli occhi addosso» (anticipata
da «levarvi d’addosso»), che produce «non può vedere» e il successivo
«Vedrete, vedrete». La battuta presenta inoltre un’allusione non casua-
le a don Silvestro, che è appunto un «forestiero», da parte di Pizzuto
che ricambia così, facendo ricorso alla medesima formula, un’analoga
stoccata del segretario comunale rivolta a lui (cfr. VIII, 14: «Già sapete
che comare Venera non vuole nè forestieri nè berretti gallonati; così
quando si sarebbe levato d’attorno ’Ntoni Malavoglia, resterebbe lui
solo [Pizzuto] a far l’asino alla ragazza». – ventitrè anni: cfr. IX, 64. –
far la muffa: ‘invecchiare inutilmente’. Nel Mortillaro è attestato: «Fari
fari la muffa dicesi anche in senso figurato per menare per le lunghe
senza ragione’». Vedi anche Guerra di santi, p. 213: «Per me la Saridda
può far la muffa!» – Volete scommettere dodici tarì: la posta fissa delle
scommesse di don Silvestro (cfr. IV, 26; VII, 34; VIII, 11). – pezzo da
cinque lire: l’equivalente di dodici tarì, dopo la riforma monetaria segui-
ta all’annessione della Sicilia (1861). Cfr. anche I, 21.

Letteratura italiana Einaudi 239


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

far la muffa, se lo piglia, colle buone o colle cattive. Volete


scommettere dodici tarì che si parlano dalla finestra? – E
tirò fuori il pezzo da cinque lire nuovo.
– Io non voglio scommettere niente! rispose Pizzuto,
stringendosi nelle spalle. A me non me ne importa un corno.
46 Quelli che stavano a sentire, Piedipapera e Rocco Spatu,
si scompisciavano dalle risa. – Ve lo faccio per niente, –
aggiunse don Silvestro, messo di buon umore; e se ne andò
cogli altri a chiacchierare con lo zio Santoro, davanti all’o-
steria. – Sentite, zio Santoro, volete guadagnarvi dodici tarì?
e cavò fuori la moneta nuova, sebbene lo zio Santoro non ci
vedesse. – Mastro Vanni Pizzuto vuol scommettere dodici
tarì che ora don Michele il brigadiere va a parlare colla
Barbara Zuppidda, la sera. Volete buscarveli voi quei dodi-
ci tarì?
47 – O anime sante del purgatorio! esclamò baciando il rosa-
rio lo zio Santoro, il quale era stato ad ascoltare tutto inten-
to, cogli occhi spenti; ma egli era inquieto, e muoveva le lab-
bra di qua e di là, come fa delle orecchie un cane da caccia
che sente la pedata.
– Sono amici, non temete, – aggiunse don Silvestro sghi-
gnazzando.
– Sono compare Tino, e Rocco Spatu, aggiunse il cieco,
dopo essere stato attento un altro po’.
48 Egli conosceva tutti quelli che passavano, al rumore dei
loro passi, fossero colle scarpe o a piedi nudi, e diceva: – Voi
siete compare Tino, oppure: siete compare Cinghialenta. E
siccome era sempre là, a dir delle barzellette con questo e

46. Ve lo faccio per niente: il servizio di informarvi.


47. esclamò… spenti: cfr. V, 13: «lo zio Santoro, col rosario in mano
e gli occhi spenti, gli diceva di sì». – pedata: ‘l’avvicinarsi della selvag-
gina’.
48. Egli conosceva... nudi: cfr. VII, 32: «Vanni Pizzuto s’è messo ad
andare senza scarpe, per non essere conosciuto...»

Letteratura italiana Einaudi 240


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

con quello, sapeva ciò che accadeva in tutto il paese, e allo-


ra per buscarsi quei dodici tarì, come i ragazzi andavano a
prendere il vino per la cena, li chiamava: – Alessi, o
Nunziata, o Lia, – e domandava pure: Dove vai? d’onde
vieni? che hai fatto oggi? oppure: L’hai visto don Michele?
ci passa dalla strada del Nero?
49 ’Ntoni, poveretto, finché c’era stato bisogno, era corso di
qua e di là senza fiato, e s’era strappati i capelli anche lui.
Adesso che il nonno stava meglio, girandolava pel paese,
colle mani sotto le ascelle, aspettando che potessero portare
un’altra volta la Provvidenza da mastro Zuppiddu per rab-
berciarla; e andava all’osteria a far quattro chiacchiere, giac-
ché non ci aveva un soldo in tasca, e raccontava a questo e a
quello come avevano visto la morte cogli occhi, e così pas-
sava il tempo, cianciando e sputacchiando. Quando gli
pagavano poi qualche bicchiere di vino, se la prendeva con
don Michele, che gli aveva rubata l’innamorata e andava
ogni sera a parlare colla Barbara, li aveva visti lo zio Santoro,
che aveva domandato alla Nunziata se don Michele ci pas-
sava per la strada del Nero.
– Ma sangue di Giuda! non mi chiamo ’Ntoni Malavoglia,
se non mi taglio questo corno, sangue di Giuda!

49. girandolava: ‘andava girando qua e là senza una meta’. È corre-


zione in bozze da: «andava un po’ girelloni» di A, che a sua volta aveva
come precedente: «gironzava» ( ➝ «andava a spasso» ➝ «andava a
zonzo). Cfr. VI, 20. Vedi anche fra le possibili varianti Fantasticheria, p.
31: «ed io girellando col sigaro in bocca...» – rabberciarla: corregge in
A: «accomodarla» ( ➝ «aggiustarla»). – cianciando e sputacchiando: la
progressiva assunzione da parte di ’Ntoni del ruolo di «fannullone»
(cfr. X, 97) si rivela anche con l’acquisizione di attributi che pertengo-
no al personaggio di Rocco Spatu, che nel villaggio incarna quel ruolo
per antonomasia: cfr. II, 14: «quel fannullone»; II, 35: «laggiù all’oste-
ria […] si udiva il vociare di Rocco Spatu»; II, 38: «Rocco Spatu si sgo-
lava sulla porta dell’osteria»; III, 4: «vociava e sputava per dieci»; XIV,
4: «Rocco Spatu [...] diceva sputacchiando»; XV, 75 «... Rocco Spatu
colle mani nelle tasche che tossiva e sputacchiava». – mi taglio questo
corno: ‘mi vendico di questa offesa’. Cfr. XIV, 50.

Letteratura italiana Einaudi 241


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

50 La gente ci si divertiva a vedergli mangiare l’anima, e per-


ciò gli pagavano da bere. La Santuzza, mentre risciacquava
i bicchieri, si voltava dall’altra parte, per non sentire le
bestemmie e le parolacce che dicevano; ma all’udir discor-
rere di don Michele, si dimenticava anche di questo e stava
ad ascoltare con tanto d’occhi. Era diventata curiosa anche
lei, e stava tutta orecchi quando ne parlavano, e al fratellino
della Nunziata, o ad Alessi, allorché venivano pel vino, rega-
lava delle mele e delle mandorle verdi, per sapere chi s’era
visto nella strada del Nero. Don Michele giurava e spergiu-
rava che non era vero, e spesso la sera, quando l’osteria era
già chiusa, si udiva un casa del diavolo dietro la porta. –
Bugiardo! gridava la Santuzza. Assassino! ladro! nemico di
Dio!
Tanto che don Michele non si fece più vedere all’osteria,
e si contentava di mandare a prendere il vino e berselo nella
bottega di Pizzuto, solo col suo fiasco, per amor della pace.
51 Massaro Filippo, invece di essere contento che si fosse
tolto così un altro cane da quell’osso della Santuzza, mette-
va buone parole e cercava di rappattumarli, che nessuno ci
capiva più nulla. Ma era tempo perso. – Non vedete che
voga al largo e non si fa più vedere? esclamava la Santuzza.
– Questo è segno che la cosa è vera com’è vero Iddio! No!

51. si fosse tolto... Santuzza: si adombra il proverbio: «Quannu cc’è


tanti cani supra un ossu, fa di bisognu di vucari arrassu» (Pitrè, II, p.
373), registrato anche nella lista più volte citata, sotto la rubrica
«Gelosia». Il «voga al largo» di qualche riga più sotto è traduzione di
«vucari arrassu» (cfr. anche XIV, 17 e Mastro-don Gesualdo, II, III, p.
248: «Ma ciascuno vogava al largo»), una locuzione del gergo marina-
resco già metaforizzata nel proverbio che risulta quindi nella sua inte-
rezza assunto e fuso nel discorso senza segni distintivi. –rappattumarli:
‘riconciliarli’. Cfr. anche L’ultima giornata, p. 453: «si misero in mezzo
a rappattumare due pezzi di giovanotti». – la cosa è vera: l’intesa fra don
Michele e Barbara. –dovessi chiuder l’osteria: la tresca con don Michele
permette alla Santuzza di mascherare il contrabbando di vino di
Massaro Filippo (cfr. VIII, 18). – far calzetta: cfr. anche X, 70: «La
Signora, che faceva la calzetta».

Letteratura italiana Einaudi 242


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

non voglio sentirne parlar più, dovessi chiudere l’osteria, e


mettermi a far calzetta!
52 Massaro Filippo allora si faceva la bocca amara dalla col-
lera e andava a pregare don Michele come un santo nel
posto delle guardie, o nella bottega di Pizzuto, perché la
finisse quella lite con la Santuzza, dopo che erano stati
amici! ed ora avrebbe fatto chiacchierare la gente, – e lo
abbracciava e lo tirava per la manica. Ma don Michele
appuntava i piedi in terra come un mulo, e diceva di no. E
chi era là presente, a godersi la scena, osservava che massa-
ro Filippo faceva una bella figura com’è vero Dio! –
Massaro Filippo ha bisogno di aiuto, diceva Pizzuto. Non lo
vedete? Quella Santuzza si mangerebbe anche il Crocifisso!
53 La Santuzza allora un bel giorno si mise la mantellina e

52. bocca amara: cfr. I,12. – come un santo: corregge in A: «come


Dio» ( ➝ «tutto sottosopra come se avesse perso la lite»). – appunta-
va i piedi in terra: corregge in A: «era ostinato». – massaro Filippo...
figura: sostituisce in A una lezione appena avviata: «era l’opera di
Pulcinella […]»; cfr. Guerra di santi, p. 211: «la festa finì come le com-
medie di Pulcinella». – si mangerebbe... Crocifisso!: in evidente contra-
sto col nomignolo.
53. col naso alla graticola: espressione rifatta sul sintagma ricorrente
«col naso nella mantellina» (qui implicitamente richiamato dal prece-
dente «si mise la mantellina»). La graticola è «la latta o lamiera buche-
rellata che è ai lati dei confessionarj, tra ’l viso del prete e quello del
penitente, postavi perchè si possano ascoltare, ma non vedere l’un con
l’altro» (Rigutini-Fanfani). Vedi anche Guerra di santi, p. 216: «–
Padre! – diceva la Saridda col naso alla graticola del confessionario». –
confessionario: forma comunemente impiegata da Verga; l’unica atte-
stata nel Rigutini-Fanfani, ma data come meno comune rispetto a «con-
fessionale» dal Petrocchi. In siciliano: «cunfissunariu» (Mortillaro). – a
risciacquarsi... bicchieri; nel Rigutini-Fanfani è attestata la locuzione:
«fare un bucato alla coscienza» impiegata «scherzando per andarsi a
confessare»; cfr. ad es. Cavalleria rusticana, p. 194: «Lola stava facendo
il bucato dei suoi peccati». Nel Petrocchi si registra anche la locuzione
«risciacquare un bucato a uno», che può aver fatto da tramite ad es. per
«[...] dallo sportellino del confessionario, dopo che s’erano risciacqua-
ta la coscienza» (Il Reverendo p. 230). Nel nostro caso la metafora si
specializza ulteriormente, ritagliandosi in modo specifico sul personag-

Letteratura italiana Einaudi 243


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

andò a confessarsi, sebbene fosse lunedì, e l’osteria fosse


piena di gente. La Santuzza andava a confessarsi ogni dome-
nica, e ci stava un’ora col naso alla graticola del confessio-
nario, a risciacquarsi la coscienza, che amava tenerla pulita
meglio dei suoi bicchieri. Ma quella volta donna Rosolina,
che era gelosa di suo fratello il vicario, e si confessava spes-
so anche lei per tenergli gli occhi addosso, restò colla bocca
aperta, là dov’era ad aspettare ginocchioni, che la Santuzza
ci avesse tanta roba nello stomaco, e osservò che suo fratel-
lo il vicario si soffiò il naso più di cinque volte.
54 – Cosa aveva oggi la Santuzza che non finiva più?
domandò perciò a don Giammaria quando furono a tavola.
– Niente, niente, – rispondeva suo fratello stendendo la
mano verso il piatto. Ma ella che gli conosceva il debole
lasciava il coperchio sulla zuppiera e lo tormentava a furia di
domande, sicché infine il poveretto dovette dire che c’era il
sigillo della confessione, e sinché fu a tavola rimase col naso
sul piatto, e ingozzava i maccheroni come se non avesse
visto grazia di Dio da due giorni, tanto che gli andarono in
veleno, e borbottava fra di sé perché non lo lasciavano mai

gio («[coscienza] pulita meglio dei suoi bicchieri»). Cfr. anche G.


Alfieri, Lettera e figura cit., p. 55.
54. Ma ella... zuppiera: un’eco del passo manzoniano in cui Perpetua
usa come arma di ricatto, per indurre don Abbondio a parlare, il tanto
sospirato bicchiere di vino: «[…] disse Perpetua, empiendo il bicchie-
re, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio
della confidenza che si faceva tanto aspettare» (I promessi sposi, I, pp.
22-23). – il sigillo della confessione: il vincolo del segreto, cui è tenuto
il sacerdote che ha ricevuto la confessione; cfr. Il Reverendo, p. 232:
«sotto suggello di confessione». – tanto che gli andarono in veleno: cor-
regge in bozze la lezione di A: «si strozzava, tossiva». – ferraiuolo: man-
tello a ruota, largo e senza maniche, indossato solitamente dai preti. –
sotto il sigillo della confessione: appena pronunciata da don Giammaria,
«l’espressione canonica è già diventata un modulo, una sorta di caden-
za (o di ritornello se si vuole)» (cfr. X, 55, 59, 60; XII, 36). «Nel modu-
lo si condensa tutta l’eccezionalità, la sigolanità, l’importanza emotiva
dell’avvenimento» (A.M. Cinese, Verga e il mondo popolare cit., p. 25).

Letteratura italiana Einaudi 244


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

quieto. Dopo pranzo prese il cappello e il ferraiuolo, e andò


a fare una visita alla Zuppidda. – Ci dev’essere sotto qualche
cosa! borbottava dal canto suo donna Rosolina. Ci dev’esse-
re qualche sudiceria fra suor Mariangela e la Zuppidda,
sotto il sigillo della confessione. – E si mise alla finestra per
vedere quanto ci stava suo fratello, nella casa di comare
Venera.
55 La Zuppidda saltò su tutte le furie all’udire quello che le
mandava a dire suor Mariangela con don Giammaria, e si
mise sul ballatoio a gridare che lei non ne voleva roba degli
altri, aprisse bene le orecchie la Santuzza! che se vedeva pas-
sare don Michele per la sua strada voleva cavargli gli occhi
con la conocchia che teneva in mano, in barba alla pistola
che portava sulla pancia, giacché ella non aveva paura né di
pistole né di nessuno, e sua figlia non l’avrebbe data a uno
che si mangiava il pane del re e faceva lo sbirro, ed era nel
peccato mortale colla Santuzza per giunta, glielo aveva detto
don Giammaria sotto sigillo di confessione, ma ella se lo
teneva nelle ciabatte, il sigillo della confessione, quando ci
andava di mezzo la sua Barbara, – e ne disse tanti e tanti
degli improperi, che la Longa e la cugina Anna dovettero
chiudere la porta perché non udissero le ragazze; e mastro
Turi suo marito, onde non restare indietro, sbraitava anche
lui: – Se mi toccano la coda mi fanno fare qualche sproposi-
to benedetto Dio! Io non ho paura di don Michele, e di
massaro Filippo, e di tutta la ciurma della Santuzza!

55. sul ballatoio: la ‘tribuna’ abituale della Zuppidda, quando vuol


dare risonanza alle sue parole; cfr. VII, 21. – roba degli altri: un uomo
cioè che avesse già un legame con un’altra donna. – con la conocchia...
mano: cfr. II, 16. – alla pistola... pancia: cfr. II, 33. –sotto sigillo di con-
fessione: qui il modulo (cfr. X, 54) si presta, nelle diverse riprese con
variazione, al gioco ironico per la palese contraddizione: gliel’aveva
detto / sotto il sigillo. –teneva nelle ciabatte: corregge in A: «teneva nelle
scarpe».

Letteratura italiana Einaudi 245


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

56 – State zitto! gli dava sulla voce comare Venera; non avete
inteso che massaro Filippo non c’entra più colla Santuzza?
Gli altri invece continuavano a dire che la Santuzza ci
aveva massaro Filippo per aiutarla a dire le orazioni, l’aveva
visto Piedipapera. – Bravo! Massaro Filippo ha bisogno
d’aiuto anche lui! ripeteva Pizzuto. Non l’avete visto che è
venuto a pregare e strapregare don Michele per aiutarlo?
57 Nella spezieria don Franco chiamava la gente apposta per
schiamazzare sull’avventura.
– Ve l’avevo detto, non è vero? Tutti così, quei leccasanti!
col diavolo sotto le gonnelle! Bel lavoro, eh? due alla volta,
per fare il paio! Ora che gli danno la medaglia a don
Michele l’appenderanno insieme a quella di Figlia di Maria
che ci ha la Santuzza. E sporgeva il capo fuori dall’uscio per
vedere se ci fosse sua moglie alla finestra di sopra. – Ehi! la
chiesa e la caserma! Il trono e l’altare! sempre la stessa sto-
ria, ve lo dico io!
58 Egli non aveva paura della sciabola e dell’aspersorio; e se
ne infischiava di don Michele, tanto che gli leggeva le corna
quando la Signora non era alla finestra, e non poteva udire
quello che si diceva nella spezieria; ma donna Rosolina
diede una buona lavata di capo a suo fratello, appena venne

56. State zitto... Venera: cfr. VI, 29 e VII, 23. – aiutarla a dire le ora-
zioni: cfr. II, 34: «aspetta che la Santuzza gli faccia segno di andarla a
raggiungere nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario».
57. E sporgeva… alla finestra di sopra: tratto distintivo del personag-
gio (il timore della moglie) che costituisce il costante controcanto iro-
nico alla smania rivoluzionaria. Vedi poco oltre c. 58 e soprattutto II, 8.
58. della sciabola e dell’aspersorio; il più trito frasario propagandisti-
co (vedi anche: «la chiesa e la caserma! Il trono e l’altare!»), nel lin-
guaggio del ‘rivoluzionario’ don Franco. Corregge in A, per mettersi in
serie con le coppie precedenti: «della sciabola, e dei soldati». –leggeva
le corna: in siciliano l’espressione «lèggiri li corna» vale «dire in faccia
altrui i suoi vizi, le sue imperfezioni, i suoi mancamenti» (Mortillaro).
Corregge in A un avvio di lezione dal registro ben più neutro: «diceva
di lui [...]»

Letteratura italiana Einaudi 246


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

a sapere che si era messo in quel pasticcio, perché quelli


della sciabola bisogna tenerseli amici.
59 – Amici un corno! rispondeva don Giammaria. Con quel-
li che ci hanno levato il pan di bocca? Io ho fatto il debito
mio. Io non ho bisogno di loro! Sono loro piuttosto che
hanno bisogno di noi altri.
– Almeno dovreste dire che vi ci ha mandato la Santuzza,
sotto sigillo di confessione; sosteneva donna Rosolina; così
non l’acchiappereste voi l’inimicizia.
60 Però in aria misteriosa andava ripetendo che era una cosa
sotto sigillo di confessione, a tutte le comari e i vicini che
venivano a ronzarle attorno per sapere come s’era venuto a
scoprire quell’imbroglio. Piedipapera, dacché aveva sentito
dire a don Silvestro che voleva far cadere la Barbara coi suoi
piedi, come una pera matura, andava sussurrando: – Questa
è tutta manovra di don Silvestro, che vuol far cadere la
Zuppidda coi suoi piedi.
61 E tanto lo disse che arrivò all’orecchio di donna Rosolina,
mentre cuoceva la conserva dei pomidoro, colle maniche
rimboccate, e si sbracciava a difender don Michele davanti
alla gente, perché si sapesse che, loro come loro, non gli
volevano male a don Michele, sebbene ei fosse di quei del
governo; e diceva che l’uomo è cacciatore, e la Zuppidda
doveva pensarci lei a guardarsi la figliuola, e se don Michele
ci aveva degli altri intrighi cotesto riguardava lui e la sua
coscienza.

59. ci hanno levato... Io ho fatto: con soppressione di una nota mali-


ziosa presente nella prima versione in A: «ci hanno levato il pan di
bocca, e dormono nei nostri letti. Io feci». –sotto sigillo di confessione:
ripreso anche poco dopo; cfr. X, 54.
60. voleva… matura: cfr. VIII, 8. – sussurando: corregge in A: «pro-
palando» («divulgare, far nota una cosa a più persone che si può»,
Rigutini-Fanfani).
61. la conserva: corregge in A: «l’estratto». – loro come loro: redupli-
cazione con funzione rafforzativa, con spiccata mimesi del parlato (cfr.
Rohlfs, § 945). – l’uomo è cacciatore: cfr. Pitrè, II, 99: «l’omu è cacciatu-
ri».

Letteratura italiana Einaudi 247


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

62 – Questa è opera di don Silvestro, che vuol la Zuppidda,


e ha scommesso dodici tarì che la farà cascare coi suoi piedi;
– venne a dirle comare la Vespa, mentre aiutava donna
Rosolina a fare la conserva dei pomidoro; ella ci veniva a
pregare don Giammaria che facesse entrar gli scrupoli in
testa a quel birbante dello zio Crocifisso, il quale ci aveva la
testa più dura di un mulo. – Non lo vede che ha i piedi nella
fossa? diceva. Che vuol portarsi anche questo scrupolo sulla
coscienza?
63 Ma all’udire la storia di don Silvestro, donna Rosolina di
botto cambiò registro, e si mise a predicare col mestolo in
aria, rossa come la conserva dei pomidoro, contro gli uomi-
ni che lusingano le ragazze da marito, e quelle pettegole le
quali stanno alla finestra ad uccellarli. Già si sapeva che

62. questo scrupolo sulla coscienza: di esser venuto meno alle sue pro-
messe di matrimonio.
63. rossa come... pomidoro: in A appare come aggiunta interlineare
che riprende in similitudine: «mentre cuoceva la conserva dei pomido-
ro» (X, 61). – ragazze da marito: corregge in A: «donne nubili». – uccel-
larli: ‘accalappiarli’ (cfr. V, 12); analogamente II, 12: «Certune però
collo stare alla finestra un marito se lo pescano». L’appellativo di «civet-
ta» («donna che si abbiglia e si mette in mostra [...] per lusingare gli
uomini», Petrocchi) attribuito poco oltre a Barbara, si genera proba-
bilmente dalla locuzione «uccellare colla civetta», illustrata (al lemma
«civetta») come «specie di caccia con panioni o paniuzze, la civetta
ammaestrata e una gruccia dov’essa monta e scende e richiama gli
uccelli, specialmente i pettirossi» (Petrocchi). – cascasse: sostituisce in
bozze «desse dentro» di A, con ricorso sottilmente ironico al medesimo
verbo ormai cristallizzatosi nella formula (cfr. X, 60) che indica i pro-
positi di conquista di don Silvestro: il cacciatore si è trasformato, agli
occhi di donna Rosolina, in preda. – uomo di proposito: ‘assennato’; cfr.
anche XV, 50: «gente di proposito». Corregge in A: «uomo di giudi-
zio»(cfr. X, 66: «vi ho avuto finora per giudizioso»). – Al giorno d’og-
gi... sale: cfr. Pitrè, I, p. 97: «Pri canusciri un amicu riali, si cci baci a
manciari ’na sarma di sali» (e con lieve variante, Pitrè, II, p. 263), con-
taminato con la versione toscana, riportata nel Pitrè e trascritta da
Verga nella lista di proverbi presente nelle carte preparatorie: «Prima
di scegliere un amico bisogna averci mangiato il sale sett’anni». Vedi
anche Guerra di santi, p. 216.

Letteratura italiana Einaudi 248


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

razza di civetta fosse la Barbara; ma faceva specie che ci


cascasse anche uno come don Silvestro, il quale sembrava
un uomo di proposito, e nessuno si sarebbe aspettato da lui
un tradimento simile; invece poi andava a cercarsi i guai con
la Zuppidda e con don Michele, mentre ci aveva la sorte in
mano e se la lasciava scappare. – Al giorno d’oggi per cono-
scere un uomo bisogna mangiare sette salme di sale.
64 Però don Silvestro si faceva vedere a braccetto con don
Michele, e nessuno osava dir parola in faccia a loro di quei
discorsi che correvano. Ora donna Rosolina gli sbatteva la
finestra sul naso, allorché il segretario stava a guardare in
aria dalla porta dello speziale, e non voltava nemmeno il
capo quando metteva al sole sul terrazzino la conserva dei
pomidoro; una volta poi volle andare a confessarsi ad Aci
Castello, perché ci aveva un peccato che non poteva dire a
suo fratello, e tanto fece che incontrò per caso don Silvestro,
giusto mentre tornava dalla vigna.
65 – Oh! beato chi vi vede! cominciò a dirgli, fermandosi a
prender fiato, perch’era tutta rossa e scalmanata. Ci avete
gran roba pel capo, che non vi ricordate più degli amici
antichi.
– Io non ci ho nulla pel capo, donna Rosolina.
– A me mi hanno detto che ce l’avete, ma è una bestialità,
che vi farebbe venire il capo grosso davvero.
– Chi ve l’ha detto?

64. quei discorsi che correvano: corregge in A: «quel che c’era in


aria». – pomidoro: seguendo A, ma in Treves ’81: «pomodori»; cfr. X,
61 e 63. – tanto fece... per caso: nel contrasto ironico, un preannuncio
del tono che dominerà il dialogo successivo.
65. Ci avete gran roba pel capo...: l’espressione, sottoposta a continua
variazione in un crescendo di allusività («nulla pel capo», «il capo gros-
so davvero», «la testa pesante»), sarà il malizioso filo conduttore del
dialogo fino alla rivelazione finale nel proverbio: «chi piglia bellezze
piglia corna» (c. 66), avvalorato nella sua comprovata saggezza anche
dai tre proverbi che lo precedono in rapida sequenza. – io... mi piace a
me... cibo da pensar io: enfatizzazione pronominale che suggerisce
anche un’implicita sottolineatura gestuale.

Letteratura italiana Einaudi 249


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

– Lo dice tutto il paese. – Lasciatelo dire. E poi, volete


saperla? io faccio quel che mi piace a me; e se ci avrò la testa
pesante ci ho da pensar io.
66 – Buon pro vi faccia, – rispose donna Rosolina col viso
rosso. – Vuol dire che cominciate ad avercela d’adesso, se mi
rispondete in questo modo, tanto che non me l’aspettavo, e
vi ho avuto sinora per giudizioso; scusate se mi sono sba-
gliata. Vuol dire che «acqua passata non macina più», e
«buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo».
Pensateci che il proverbio dice: «Chi cambia la vecchia per
la nuova, peggio trova», e «chi piglia bellezze piglia corna».
Godetevi la Zuppidda in santa pace, perché a me non me ne
importa. E per tutto l’oro del mondo non vorrei che si dices-
se di me tutto quello che si dice della vostra Zuppidda.
67 – State tranquilla, donna Rosolina, ché ormai non si può
dir più nulla di voi.
– Almeno non si dice che mi mangio mezzo paese; avete
inteso, don Silvestro?
– Lasciateli, dire, donna Rosolina, «chi ha bocca mangia,
e non mangia se ne muore».
– E non si dice pure quel che si dice di voi, che siete un
truffatore! seguitò donna Rosolina, verde come l’aglio. Mi
avete inteso, don Silvestro? e di tutti non si può dire la stes-
sa cosa! Quando non vi servono più, poi, datemele quelle

66. «acqua passata non macina più»: versione toscana, riportata dal
Pitrè (I, p. 11) e trascritta da Verga nella lista citata, del proverbio:
«Acqua passata ’un macina mulinu». – «buon tempo... tempo»: cfr. anche
X, 7. – «Chi cambia… peggio trova»: cfr. Pitrè, II, p. 175: «Cui cància la
vecchia pri la nova, peju trova». Cfr. anche XI, 18. – «chi piglia... corna»:
cfr. Pitrè, I, p. 165: «Cui pigghia biddizzi, pigghia corna».
67. «chi ha bocca... muore»: ormai in là con gli anni e senza mezzi di
seduzione, a donna Rosolina non resterà che impersonare il ruolo di
zitella. Cfr. Pitrè, I, p. 14: «Cu’ havi vacca voli manciari». – verde come
l’aglio: con analogo campo metaforico: «rossa come la conserva dei
pomidoro» (X, 63). Corregge in A, per meglio graduare il crescere della
tensione e del risentimento: «colla schiuma alla bocca», lezione impie-
gata poco oltre in sintonia col verbo «gli sputava in faccia» (c. 69).

Letteratura italiana Einaudi 250


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

venticinque onze che vi ho prestate. Io non li rubo i denari,


come certa gente.
68 – Non dubitate, donna Rosolina, io non l’ho detto che le
avete rubate le vostre venticinque onze, e non andrò a dir-
glielo a vostro fratello don Giammaria. A me non me ne
importa di sapere se gliele avete rubate sulla spesa o no; so
che non ve le devo io. Mi avevate detto di metterle a frutto,
per farvi la dote, se qualcuno vi avesse voluta, ed io li avevo
messi in una Banca per conto vostro, sotto il mio nome, per
non far scoprire la cosa a vostro fratello il quale vi avrebbe
domandato di dove vi erano venuti quei denari. Ora la
Banca è fallita. Che colpa ce ne ho io?
69 – Imbroglione! gli sputava in faccia donna Rosolina colla
schiuma alla bocca. Truffatore! Io non avevo dato quei
denari per andare a metterli in una Banca che falliva. Io ve
li avevo dati per tenerci gli occhi addosso come se fosse stata
roba vostra!...
– Si! ho fatto come se fosse stata roba mia! – rispondeva
il segretario con la faccia tosta, tanto che donna Rosolina gli
voltò le spalle per non crepare dalla rabbia, e se ne tomò a
Trezza sudata come una spugna, nell’ora calda, collo scialle
sulla schiena. Don Silvestro rimase li fermo a sogghignare,
davanti al muro dell’orto di massaro Filippo, finché ella non
ebbe scantonato, e si strinse nelle spalle, borbottando fra di
sé: – A me non me ne importa nulla di quel che dicono.
70 Ed aveva ragione di non curarsi di quel che dicevano.
Dicevano che se don Silvestro si era messo in testa di far

69. colla schiuma alla bocca: cfr. VII, 21; XIII, 44; inoltre, con abbi-
namento al medesimo verbo, XV, 33: «gli sputava in faccia colla schiu-
ma alla bocca».
70. far cascare... piedi: cfr. X, 60. – fare il bucato... società: ‘rinnovare
dalle radici la vecchia società’. L’espressione va ad arricchire il frasario
più tipico di don Franco, finalizzato qui all’esaltazione della spregiudi-
catezza di don Silvestro (cfr. anche «bel prepotente»; «vero feudata-
rio»; «uomo fatale»).
75. lo mettevano sull’uscio: a segnare la completa passività di padron

Letteratura italiana Einaudi 251


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

cascar la Barbara coi suoi piedi, ci sarebbe caduta, tal bric-


cone matricolato egli era! Però gli facevano di berretto, e gli
amici gli accennavano col capo, sogghignando, quando
andava a chiacchierare nella spezieria. – Siete un bel prepo-
tente! gli diceva don Franco accarezzandolo sulle spalle. –
Un vero feudatario! Siete l’uomo fatale, mandato in terra
per provare come quattro e quattr’otto che bisogna fare il
bucato alla vecchia società. – E allorché veniva ’Ntoni a
prendere il medicamento pel nonno: – Tu sei il popolo.
Finché sarai paziente come il somaro ti toccheranno le
bastonate. – La Signora, che faceva la calzetta dietro il
banco, per mutar discorso domandava: – Come sta ora il
nonno? ’Ntoni non osava aprir bocca davanti la Signora, e
se ne andava brontolando, col bicchiere nelle mani.
71 Il nonno ora stava meglio, e lo mettevano sull’uscio, al
sole, avvolto nel tabarro, e col fazzoletto in testa, che sem-
brava un morto risuscitato, tanto che la gente andava a
vederlo per curiosità; ed il poveraccio chinava il capo a que-
sto e a quello, come un pappagallo, e sorrideva, tutto con-
tento di trovarsi là, nel suo cappotto, accanto all’uscio, con
Maruzza che gli filava accanto, il telaio della Mena che si
udiva nelle stanze, e le galline che razzolavano nella strada.
72 Ora che non aveva altro da fare aveva imparato a conoscere
le galline ad una ad una, e stava a vedere quello che faceva-

’Ntoni; cfr. anche «lo mettevano contro il muro dirimpetto» (c. 72). –
come un pappagallo, e sorrideva, tutto contento: è correzione nelle bozze
della lezione di A: «ed era contento». Per la componente straniante, del
resto già anticipata da «sembrava un morto risuscitato», l’immagine è
in serie con quella che chiude la raffigurazione: «somigliava al cane di
mastro Turi».
72. l’ombra delle case che si allungava: l’ascendenza letteraria del-
l’immagine (cfr. anche Il bastione di Monforte, p. 361: «La sera giunge,
e l’ombra s’allunga malinconica»), con la dimensione contemplativa
che la caratterizza, lascia trasparire nella raffigurazione di padron
’Ntoni la presenza di un diverso punto di vista, in cui la partecipazione
affettiva del narratore attenua lo sguardo impietoso (cfr. nota prece-
dente) della «gente che andava a vederlo per curiosità».

Letteratura italiana Einaudi 252


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

no, e passava il tempo ad ascoltare le voci dei vicini, dicen-


do: – Questa è comare Venera che strapazza suo marito. –
Questa è la cugina Anna che torna dal lavatoio. Poi se ne
stava a vedere l’ombra delle case che si allungava; e quando
non c’era più il sole sulla porta lo mettevano contro il muro
dirimpetto, ch’egli somigliava al cane di mastro Turi, il quale
cercava il sole, per sdraiarsi.
73 Infine, cominciò a stare sulle gambe, e lo portarono sulla
riva, reggendolo sotto le ascelle, perché gli piaceva dormic-
chiare accoccolato sui sassi, in faccia alle barche, e diceva
che l’odore dell’acqua salata gli faceva bene allo stomaco; e
si divertiva a vedere le barche, e sentire com’era andata la
giornata per questo e per quello. I compari, mentre atten-
devano alle loro faccende, gli regalavano qualche parola, e
gli dicevano per consolarlo: – Vuol dire che c’è olio ancora
alla lucerna, eh, padron ’Ntoni!
74 La sera, quando tutti i suoi erano in casa, coll’uscio chiu-
so, mentre la Longa intonava il rosario, se la godeva a veder-
seli vicini, e li guardava in faccia ad uno ad uno, e guardava
i muri della casa, e il cassettone colla statuetta del buon
Pastore, e il deschetto col lume sopra; e ripeteva sempre: –
Non mi par vero di essere ancora qui, con voialtri.
75 La Longa diceva che lo spavento le aveva messo un gran
rimescolio nel sangue e nella testa, ed ora le pareva di non
averci più davanti agli occhi quei due poveretti che erano
morti, e sino a quel giorno le eran rimasti come due spine

73. l’odore dell’acqua salata: corregge in A: «l’aria del mare». –Vuol


dire… lucerna: «Essiricci ogghiu a la lampa, metaforicamente vale ‘esser-
ci ancora speranza, e propriamente di vita’» (Mortillaro). Cfr. X, 36.
74. statuetta del Buon Pastore: l’immancabile arredo dell’interno
popolare; cfr. I, 17; VI, 22, 28. – deschetto: cfr. I, 13.
75. le aveva messo... nella testa: sostituisce in A una prima stesura
appena abbozzata: «le aveva raddolcito la doglia ( ➝ la pena ➝ il
dolore) [ ] altri due [ ]». «Rimescolìo» («Del sangue, ‘turbarsi per
qualche paura’», Petrocchi) è correzione in bozze da «tramestìo».

Letteratura italiana Einaudi 253


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

dentro il petto, tanto che era andata a confessarsene con


don Giammaria. Però il confessore le aveva data l’assoluzio-
ne, perché coi disgraziati succede così, che una spina scac-
cia l’altra, e il Signore non vuole ficcarcele tutte in una volta,
perché si morirebbe di crepacuore. Le erano morti il figlio e
il marito; l’avevano scacciata dalla casa; ma adesso era con-
tenta che fosse riescita a pagare il medico e lo speziale, e non
doveva più niente a nessuno.
76 A poco a poco il nonno era arrivato a dire: – Datemi da
fare qualche cosa, così non so starci, senza far nulla.
Rattoppava delle reti; e intrecciava delle nasse; poi cominciò
ad andare col bastoncello sino a cortile di mastro Turi a
vedere la Provvidenza, e stava lì a godersi il sole. Infine era
tornato a imbarcarsi coi ragazzi.
– Tale e quale come i gatti! diceva la Zuppidda; che se non
danno il naso per terra son sempre vivi.
77 La Longa aveva pure messo la porta un panchettino, ci
vendeva arancie, noci, ova sode ed ulive nere.
– State a vedere che a poco a poco arrivano a vendere
anche il vino! diceva la Santuzza. Io ci ho piacere, perché

76. Tale e quale... vivi!: brusco mutamento di registro che fa riaffio-


rare l’ottica del villaggio (per l’immagine cfr. X, 42) in una sequenza in
cui lo sguardo partecipe del narratore ha seguito la lenta ripresa dei
Malavoglia dopo l’ennesima disgrazia.
77. La Longa... ulive nere: richiama un passo di Fantasticheria, p.
131: «mi son rammentato del vostro capriccio un giorno che ho rivisto
quella povera donna cui solevate far l’elemosina col pretesto di com-
prar le sue arancie messe in fila sui panchettino dinanzi all’uscio». Il
dettaglio compare anche in uno dei primi abbozzi del romanzo (M 3, p.
77): «’Ntoni dormiva in cucina, accanto alle nasse e alle reti, e fra il
fumo e l’odor degli attrezzi, sebbene ci fosse avvezzo sapeva di baccalà,
diceva per celia. Però siccome ci si abitua a tutto a poco a poco l’uscio,
meno timido, rimase socchiuso, poi fu aperto a metà, e fece capolino il
panchettino colle arancie e colle ova sode». – son gente col timore di
Dio!: corregge in bozze: «son prossimo! » – fare i negozianti: riprende
un analogo giudizio di padron Cipolla, cfr. III, 3: «– Adesso tutti
vogliono fare i negozianti, per arricchire!»

Letteratura italiana Einaudi 254


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

son gente col timore di Dio! E padron Cipolla si stringeva


nelle spalle quando passava per la strada del Nero, davanti
alla casa dei Malavoglia, che volevano fare i negozianti.
78 Il negozio andava bene perché le uova erano sempre fre-
sche, tanto che la Santuzza, ora che ’Ntoni bazzicava all’o-
steria, mandava da comare Maruzza a prendere le ulive,
quando c’erano dei bevitori che non avevano sete. Così a
soldo a soldo avevano pagato mastro Turi Zuppiddu, e ave-
vano rattoppato un’altra volta la Provvidenza, che adesso
pareva davvero una ciabatta; eppure si metteva da parte
qualche lira. Avevano comprato anche una buona provvista
di barilotti, e il sale per le acciughe, se San Francesco man-
dava la provvidenza, la vela nuova per la barca, e messo un
po’ di denaro nel canterano. – Facciamo come le formiche,
diceva padron ’Ntoni; e ogni giorno contava i denari, e
andava a girandolare davanti la casa del nespolo, a guarda-
79 re in alto, colle mani dietro la schiena. La porta era chiusa,
i passeri cinguettavano sul tetto, e la vite si dondolava ada-
gio adagio sulla finestra. Il vecchio si arrampicava sul muro

78. una ciabatta: vedi I, 2. – canterano: corregge in A: «cassettone»


(una sola occorrenza nel ms, contro le undici di «canterano») Cfr. I, 17.
– Facciamo come le formiche: qui a indicare la caparbietà e la laboriosità
dei Malavoglia, ma l’immagine acquista una valenza più ampia se rap-
portata al passo di Fantasticherza (p. 131), dove si fa metafora della con-
dizione esistenziale degli umili, per spiegare il «ripullulare» della
vita«sempre nel medesimo luogo», anche se «il tifo, la malannata, la
burrasca, vengono a dare una buona spazzata in quel brulicame». Vedi
anche nell’abbozzo M 3: «avete visto quelle formiche che si affaticano
a tirar su un fuscellino troppo pesante per le loro zampine?» Cfr. anche
VII, 28; XI, I8, 34; XII, 34. – girondolare: in bozze corregge: «gironza-
re» di A; cfr. V, 20.
79. correva dietro: corregge nelle bozze: «gironzava anche intorno».
– è stata sempre dei Malavoglia: cfr. X, 37. – «ad ogni uccello… bello»:
cfr. Pitrè, I, p. 224: «Ad ogni oceddu la sò nidu pari beddu». Cfr. anche
XI, 16. – «Beato... letto»: cfr. Pitrè, I, p. 216: «Biatu cui mori a la sò
lettu». – cazzolata: «la quantità di calce che può prendere la cazzuola,
che è quell’arnese di ferro grande quasi come la mano, col manico di
legno, di cui si servono i muratori» (Verga).

Letteratura italiana Einaudi 255


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dell’orto, dove ci avevano seminato delle cipolle che faceva-


no come un mare di pennacchi bianchi, e poi correva dietro
allo zio Crocifisso, per dirgli cento volte: – Sapete, zio
Crocifisso, se giungiamo a metterli insieme, quei denari
della casa, dovete venderla a noi, perché è stata sempre dei
Malavoglia; «ad ogni uccello il suo nido è bello» e desidero
morire dove son nato. «Beato chi muore nel proprio letto».
80 Lo zio Crocifisso grugniva di sì, per non compromettersi; e
alla casa ci faceva mettere una tegola nuova, od una cazzo-
lata di calcina al muro del cortile, per far crescere il prezzo.
Lo zio Crocifisso lo rassicurava così: – Non dubitate, non
dubitate. La casa è là che non scappa. Basta tenerci gli occhi
addosso. Ognuno tiene gli occhi addosso a quel che gli
preme. – E una volta aggiunse: – Che non la maritate più la
vostra Mena?
– La mariterò quando vorrà Dio! rispose padron ’Ntoni.
Per me vorrei maritarla anche domani.
– Io se fossi in voi, le darei Alfio Moscha, che è un buon
ragazzo, onesto e laborioso; e cerca moglie di qua e di là,
non ha altro difetto. Ora dicono che tornerà in paese, e par
fatto apposta per vostra nipote.
– O se dicevano che volesse pigliarsi vostra nipote la
Vespa?
– Anche voi! anche voi! cominciò a gridare Campana di
legno. Chi lo dice? Son tutte chiacchiere; vuol papparle la
chiusa a mia nipote, ecco cosa vuole! Bella cosa eh? Che
direste voi se la vostra casa la vendessi a un altro?
81 Piedipapera il quale era sempre là per la piazza, appena

81. senseria: «la mercede dovuta al sensale» (Rigutini-Fanfani); cfr.


VI, 25. – con questi occhi: sostituisce in A: «io». Cfr. I, 11: «li aveva visti
lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i vermi». – la civetta!:
aggiunto in bozze. – colle cocche... bocca: cfr. VI, 4. Corregge in A: «col
naso nella mantellina» (cfr. III, 11). Cfr. anche Cavalleria rusticana, p.
191: «tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto». – ci ho qui: sul
petto; cfr. «e gli lasciava toccare la medaglia, sapete dove la tiene?»;

Letteratura italiana Einaudi 256


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

c’erano due che discorrevano, a cercare di buscarsi la sense-


ria, si ficcò nel discorso anche lui. – La Vespa ora ci ha per
le mani Brasi Cipolla, dopo che andò in aria il matrimonio
della Sant’Agata, li ho visti con questi occhi, che andavano
insieme per la viottola del torrente; io ci ero andato a cerca-
re due ciottoli lisci per l’intonaco dell’abbeveratoio che non
tiene l’acqua. E gli faceva la smorfiosa, la civetta! colle coc-
che del fazzoletto sulla bocca, e gli diceva: – Per questa
medaglia benedetta che ci ho qui, non è vero niente. Puh!
che mi fate stomaco quando mi parlate di quel vecchio bar-
82 bogio di mio zio! – Parlava di voi, zio Crocifisso; e gli lascia-
va toccare la medaglia, sapete dove la tiene! Campana di
legno faceva il sordo, e dimenava il capo, come Tartaglia.
Piedipapera continuava: – e Brasi disse: – Allora che faccia-
mo? – Io non lo so quel che volete fare – rispondeva la
Vespa, – ma se è vero che mi volete bene, in questo stato
non mi lascerete, ché quando non vi vedo mi pare che il
cuore l’abbia diviso in due, come due spicchi d’arancia, e se
vi maritano con qualchedun’altra vi giuro per questa meda-
glia benedetta che ci ho qui, sentite, che vedrete qualche
cosa di grosso nel paese, e mi butterò in mare bella e vesti-
ta come sono. Brasi si grattava il capo, e seguitava: Per me,
io vi voglio; ma mio padre poi che farà? – Andiamocene via

«per questa medaglia benedetta che ci ho qui, sentite» (c. 82). – mi fate
stomaco: «cagionare tanto fastidio, tanta nausea da turbare lo stomaco»
(Rigutini-Fanfani). – barbogio: ‘sciocco brontolone’; detto «di vecchio
che sia alquanto svanito di mente» (Rigutini-Fanfani).
82. Tartaglia: maschera della Commedia dell’Arte che rappresenta
un vecchio presuntuoso, sciocco e balbuziente (da cui il nome). – due
spicchi d’arancia: corregge in A: «uno spicchio d’arancia» ( ➝ «una
piccia d’arancia»). Piccia: «più pani, comunemente due, o altre cose
mangerecce attaccate» (Petrocchi). – andiamocene via del paese: per
l’impiego della preposizione «del», cfr. ad es.: «Cui nesci fora di lu paisi:
cu’ è Conti, cui Baroni e cui Marchisi» (Pitrè, III, p. 155); ma cfr. anche
XV, 21: «se ne andrà via dal paese». – quando la frittata sarà fatta: nel
Petrocchi è attestato il detto proverbiale: «Quando la frittata è fatta, la
si rivolta. ‘Il fatto compiuto bisogna accettarlo’».

Letteratura italiana Einaudi 257


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dal paese, diceva lei, come se fossimo marito e moglie, e


quando la frittata sarà fatta, vostro padre dovrà dir di sì per
forza. Già non ha altri figliuoli, e la roba non sa a chi lasciar-
83 la.
– Che gente, eh! cominciò a strillare lo zio Crocifisso,
dimenticandosi che era sordo. Quella strega ha il diavolo
che la pizzica sotto la gonnella! E dire che tengono la meda-
glia della Madonna sul petto! Bisognerà dirlo a padron
Fortunato, bisognerà! Siamo galantuomini o no? Se padron
Fortunato non sta in guardia, quella strega di mia nipote gli
fa il tiro di rubargli il figlio, poveretto!
E correva per la strada come un pazzo.
– Mi raccomando, non dite che vi ho visti io! gridava
Piedipapera andandogli dietro. Non voglio mettermi in
84 bocca a quella vipera di vostra nipote.
Lo zio Crocifisso in un attimo mise sottosopra tutto il
paese, che voleva mandare perfino le guardie e don Michele
a mettere sotto custodia la Vespa; la quale, infine, era sua
nipote, e doveva pensarci lui; e don Michele era pagato per
questo, per guardare gli interessi dei galantuomini. La gente
si divertiva a veder padron Cipolla correre di qua e di là
anche lui con tanto di lingua fuori, e ci aveva gusto che quel
bietolone di suo figlio Brasi fosse andato a cascare nella
Vespa, mentre pareva che per lui non fosse buona nemme-

83. dimenticandosi che era sordo: cfr. «Campana di legno faceva il


sordo» (c. 81); cfr. anche V, 3. Sulla presunta sordità dello zio
Crocifisso, vedi IV, 1. – Quella strega… sotto la gonnella: cfr. X, 57:
«Tutti così, quei leccasanti! col diavolo sotto le gonnelle!» – vipera: cor-
regge in A: «strega».
84. correre di qua e di là... fuori: corregge in A: «correre di qua e di
là col suo pancione, lasciando stare la prosopopea». – cascare nella: ‘si
fosse lasciato irretire dalla’; cfr. X, 63. –la figlia... Emanuele: cfr. II, 16.
– senza dire: vi saluto!: la primitiva versione in A: «il giorno in cui aveva
avuto la disgrazia, e la gente ci aveva gusto anche per questo».

Letteratura italiana Einaudi 258


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

85 no la figlia di Vittorio Emanuele, ché aveva piantato la


Malavoglia senza dire: vi saluto!
Mena però non s’era messa il fazzoletto nero, quando
Brasi l’aveva piantata; anzi ora tornava a cantare mentre
86 stava al telaio, o aiutava a salare le acciughe, nelle belle sere
d’estate. Stavolta San Francesco l’aveva proprio mandata, la
provvidenza. C’era stata una passata di acciughe come mai
se n’erano viste; una ricchezza per tutto il paese; le barche
tornavano cariche, colla gente che cantava e sventolava i
berretti da lontano, per far segno alle donne che aspettava-
no coi bambini in collo.
I rigattieri venivano in folla dalla città, a piedi, a cavallo,
87 sui carri, e Piedipapera non aveva tempo di grattarsi il capo.
Verso l’avemaria, sulla riva c’era una fiera addirittura, e
grida e schiamazzi d’ogni genere. Nel cortile dei Malavoglia
il lume stava acceso sino a mezzanotte, che pareva una festa.
Le ragazze cantavano, e venivano anche le vicine ad aiutare,
le figlie della cugina Anna e la Nunziata, perché c’era da
guadagnare per tutti, e lungo il muro si vedevano quattro
file di barilotti già belli e preparati, coi sassi di sopra.
– Adesso vorrei qui la Zuppidda! esclamava ’Ntoni, sedu-
to sui sassi a far peso anche lui, colle mani sotto le ascelle. –
88

85. non s’era… nero: ‘non si era disperata’; cfr. IX, 52. – l’aveva pro-
prio mandata, la provvidenza: abbiamo corretto, sulla base del mano-
scritto, la lezione di Treves ’81: «aveva» con «l’aveva», indotti anche
dalla presenza, tra il verbo e il complemento oggetto, della virgola, che
si giustifica solo con la costruzione che abbiamo ripristinato. La frase
richiama X, 7: «San Francesco stavolta ha mandata la grazia di Dio!»
86. passata: il passaggio stagionale di branchi di pesci; termine del
linguaggio dei pescatori, evidenziato nel suo valore gergale dal corsivo.
– rigattieri: nella specifica accezione del siciliano «rigatteri» che «pro-
priamente vale [...] pescivendolo di quei che non sono proprietari di
barche e di attrezzi da pescare, ma comprano i pesci da altri per riven-
derli» (Mortillaro). Cfr. anche XI, 27.
87. coi sassi di sopra: per pressare le acciughe.
88. Ognissanti: a novembre, in previsione di un aumento di prezzo

Letteratura italiana Einaudi 259


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

Adesso lo vedrebbe che abbiamo il fatto nostro anche noi, e


ce ne infischiamo di don Michele e di don Silvestro!
I rigattieri correvano dietro a padron ’Ntoni coi denari in
mano. Piedipapera lo tirava per la manica dicendogli:
Questo è il tempo d’approfittare. Ma padron ’Ntoni teneva
duro a rispondere: – Ne parleremo ad Ognissanti; allora le
acciughe avranno il loro prezzo. No, non voglio caparra,
non voglio legarmi le mani! So io come vanno le cose. – E
picchiava i pugni sui barili, dicendo ai nipoti: Qui c’è la
89 vostra casa e la dote di Mena. «La casa ti abbraccia e ti
bacia». San Francesco mi ha fatto la grazia di lasciarmi chiu-
dere gli occhi contento.
Nello stesso tempo avevano fatte tutte le provviste per
l’inverno, il grano, le fave, l’olio; e avevano data la caparra a
massaro Filippo per quel po’ di vino della domenica.
90 Ora erano tranquilli; suocero e nuora tornavano a conta-
re i danari nella calza, i barilotti schierati nel cortile, e face-
vano i loro calcoli onde vedere quello che ci mancasse anco-
ra per la casa. La Maruzza conosceva quei denari soldo per

delle acciughe. – «La casa… bacia»: cfr. Pitrè, I, p. 220: «La casa ti strin-
ci e ti vasa». «Ti abbraccia» corregge in A: «ti stringe», diretta traspo-
sizione dal proverbio siciliano.
89. i danari nella calza: cfr. Cos’è il Re, p. 245: «andò a metterli [i
danari] in fondo alla calza sotto il pagliericcio».
90. Non ve l’avevo… altro?: cfr. I, 3. – «perchè non aveva... volontà»:
‘ubbidiva sempre senza chieder mai nulla’. La virgolettatura ne segna
l’origine proverbiale che si rivela tra l’altro anche per la presenza non
comune del termine «volontà», che appartiene al lessico del romanzo
quasi esclusivamente nel sintagma «volontà di Dio» (in sei casi sulle
complessive otto occorrenze; in un solo caso il riferimento è a un per-
sonaggio: «come se egli avesse voluto andarsene di sua volontà», X, 36).
– quando udiva… smetteva di cantare: il leit-motiv del rumore dei carri
che sul finire del capitolo II compariva nel monologo interiore di Mena
a evocare un indistinto senso di vastità, riappare qui, ma con un accen-
to più intimo: dopo la partenza di Alfio è il suo carro ad essere evoca-
to nella vastità del mondo. «Andava pel mondo chissà dove» corregge
nelle bozze la lezione di A: «era chissà dove», recuperando l’immagine
di movimento, strettamente legata alla suggestione sonora che del moti-
vo costituisce l’avvio.

Letteratura italiana Einaudi 260


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

soldo, quelli delle arancie e delle uova, quelli che aveva por-
tati Alessi dalla ferrovia, quelli che Mena s’era guadagnati
col telaio, e diceva: – Ce n’è di tutti – Non ve l’avevo detto
che per menare il remo bisogna che le cinque dita della
mano si aiutino l’un l’altro? rispondeva padron ’Ntoni. –
Oramai pochi ce ne mancano. E allora si mettevano in un
cantuccio a confabulare colla Longa, e guardavano
Sant’Agata, la quale se lo meritava, poveretta, che parlasse-
ro di lei «perché non aveva né bocca né volontà» e badava a
lavorare, cantando fra di sé come fanno gli uccelli nel nido
91 prima di giorno; e soltanto quando udiva passare i carri, la
sera, pensava al carro di compare Alfio Mosca, che andava
pel mondo, chi sa dove; e allora smetteva di cantare.
Per tutto il paese non si vedeva altro che della gente colle
reti in collo, e donne sedute sulla soglia a pestare i mattoni;
e davanti a ogni porta c’era una fila di barilotti, che un cri-
stiano si ricreava il naso a passare per la strada, e un miglio
prima di arrivare in paese si sentiva che San Francesco ci
aveva mandata la provvidenza; non si parlava d’altro che di
sardelle e di salamoia, perfino nella spezieria dove aggiusta-
vano il mondo a modo loro; e don Franco voleva insegnare
una maniera nuova di salare le acciughe, che l’aveva letta nei
libri. Come gli ridevano in faccia, si metteva a gridare: –
Bestie che siete! e volete il progresso! e volete la repubbli-
92 ca! – La gente gli voltava le spalle, e lo piantava lì a strepi-

91. Per tutto il paese: formulazione ricorrente (cfr. II, 1; VII, 38; IX,
8; X, 86; XV, 70, 71). – pestare i mattoni: nella salatura delle acciughe,
al sale veniva mischiata polvere di mattoni (cfr. X, 91: «Da che il mondo
è mondo le acciughe si son fatte col sale e coi mattoni pesti»). – ricrea-
va: corregge in A: «ristorava». – San Francesco… provvidenza: cfr. X, 85.
– Come: ‘siccome’.
92. a proposito... quattr’occhi: sui progetti dello speziale di rinnova-
mento del consiglio comunale con l’inserimento di «uomini nuovi» (cfr.
VII, 35). – caspitina!: unica occorrenza nel romanzo (in A appare come
aggiunta interlineare, cassata e riscritta); registrata anche dal Mortillaro
e dal Nicotra (in quest’ultimo come lemma autonomo, non come dimi-

Letteratura italiana Einaudi 261


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

tare come un pazzo. Da che il mondo è mondo le acciughe


si son fatte col sale e coi mattoni pesti.
– Il solito discorso! Così faceva mio nonno! seguitava a
gridare loro dietro lo speziale. – Siete asini che vi manca sol-
tanto la coda! Con gente come questa cosa volete fare? e si
contentano di mastro Croce Giufà, perché il sindaco è stato
sempre lui; sarebbero capaci di dirvi che non vogliono la
repubblica perché non l’hanno mai vista! – Questi discorsi
poi li ripeteva a don Silvestro, a proposito di certo ragiona-
mento che avevano fatto a quattr’occhi, sebbene don
Silvestro non avesse aperto bocca, è vero, ma era stato zitto
ad ascoltare. Si sapeva poi che era in rotta colla Betta di
mastro Croce, perché il sindaco voleva farlo lei, e suo padre
s’era lasciato mettere la gonnella al collo, talché oggi diceva
bianco e domani nero, come voleva la Betta. Egli non sape-
93 va dir altro che: – Il Sindaco son io, caspitina! – come glie-
lo aveva insegnato a dire a sua figlia, la quale appuntava i
pigni sui fianchi parlando con don Silvestro, e gli rinfaccia-
va:
– Vi pare che vi lasceranno menar sempre pel naso quel
buon uomo di mio padre, per fare gli affari vostri e mangia-
94 re a doppio palmento? che perfino donna Rosolina va pre-

nutivo di caspita): «esclamazione di maraviglia, ammirazione o sde-


gno».
93. menar sempre pel naso: cfr. II, 29 e VII, 30. Per il rapporto col
nomignolo cfr. IV, 15. – mangiare a doppio palmento: «si dice prover-
bialmente per ‘Masticare da ambedue i lati allo stesso tempo’,
‘Mangiare ingordamente’» (il palmento è l’edifizio che contiene le maci-
ne e gli altri ordigni per macinare; cfr. anche VIII, 36); metaforicamen-
te vale «guadagnare nello stesso tempo e sulla stessa cosa per due versi,
o doppiamente» (Rigutini-Fanfani). – rosicate: corregge in A: «mangia-
te». – smania di maritarmi: come donna Rosolina (cfr. II, 18: «ci ha la
rabbia del marito»).
94. servitore del pubblico: è correzione in bozze di «servitore a que-
sto e a quello». – colla barba in aria... ci vogliono uomini nuovi: la prima
versione in A di tutto il passo era: «colla barba in aria, uomini colle idee
del loro tempo». La camarilla è il consiglio privato dei monarchi spa-

Letteratura italiana Einaudi 262


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

dicando che vi rosicate tutto il paese! Ma me non mi man-


gerete, no! che non ci ho la smania di maritarmi, e bado agli
interessi di mio padre.
Don Franco predicava che senza uomini nuovi non si
faceva nulla, ed era inutile andare a cercare i pezzi grossi,
come padron Cipolla, il quale vi diceva per per grazia di Dio
ci aveva il fatto suo, e non aveva bisogno di fare il servitore
del pubblico per niente; oppure come massaro Filippo il
quale non pensava ad altro che alle sue chiuse e alle sue
vigne, e solo ci aveva prestato orecchio quando s’era parla-
to di levare il dazio sul mosto.
– Gente vecchia! – conchiudeva don Franco colla barba
in aria. – Gente buona pel tempo della camarilla. Al giorno
d’oggi ci vogliono uomini nuovi.
– Adesso manderemo dal fornaciaio per farli fare apposta,
– rispondeva don Giammaria.
– Se le cose andassero come dovrebbero andare si nuote-
rebbe nell’oro! – diceva don Silvestro: non diceva altro.
– Sapete cosa ci vorrebbe? – suggeriva lo speziale sotto-
voce, e lasciando correre un’occhiata nella retrobottega. –
Ci vorrebbe gente come noi!
95 E dopo aver soffiato loro quel segreto nel buco dell’orec-

gnoli; per estensione indica una consorteria che esercita un’illegale


ingerenza politica. – dal fornaciaio: «chi esercita il mestiere di cuocere
nella fornace» (Rigutini-Fanfani); corregge in A: «alla fornace» ( ➝
«alla fabbrica»). – fare: corregge in A: «cuocere» (cfr. nota precedente).
– come noi!: corregge in A: «colle idee del nostro tempo». – soffiato loro
quel segreto: corregge in A: «buttato loro quelle parole». – sballottan-
dosi: qui ‘saltellando’, ma con parziale riduzione dell’articolata accezio-
ne del verbo (il Fanfani spiega: «tenere fra le braccia una persona, spe-
cialmente un bambino, e baciarlo, facendolo saltellare […]»), su cui
prevale la ricerca di un effetto caricaturale, garantito in questo caso
oltre che dalla deformazione infantile dell’atteggiamento, anche dalla
componente fonica del verbo, non a caso presente anche nella primiti-
va versione di A: «ballonzandosi».
95. Favignana: una delle isole Egadi, sede di un penitenziario. In
bozze aggiunge con chiara funzione esplicativa: «o nelle altre galere». –

Letteratura italiana Einaudi 263


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

chio, correva in punta di piedi a piantarsi sull’uscio, colla


barba in aria, sballottandosi in cima alle gambette colle
mani dietro la schiena.
– Brava gente che sarebbe! – borbottava don Giammaria.
– A Favignana, o nelle altre galere, ne trovate quanti ne vole-
te, senza andare dal fornaciaio. Andate a dirlo a compare
Tino Piedipapera, o a quell’ubriacone di Rocco Spatu, che
96 loro ci stanno colle idee del vostro tempo! Io so che mi
hanno rubato venticinque onze di casa mia, e in galera, a
Favignana, non ci è andato nessuno! Questi sono i tempi e
gli uomini nuovi!
In quel momento entrò nella bottega la Signora, colla
calza in mano, e lo speziale mando giù in fretta quello che
stava per dire, seguitando a borbottare nella barba, mentre
fingeva di guardare la gente che andava alla fontana. Don
Silvestro finalmente, vedendo che nessuno fiatava più, disse
chiaro e tondo che di uomini nuovi non c’erano altri che
’Ntoni di padron ’Ntoni e Brasi Cipolla, perché lui non
97 aveva suggezione della moglie dello speziale.
– Tu non ti c’immischiare; – rimbrottò allora la Signora a
suo marito; questi sono affari che non ti riguardano. – Io
non sto parlando; – rispose don Franco lisciandosi la barba.
E il vicario, ora che aveva il disopra, e la moglie di don
Franco era là, che ei poteva tirare le sassate dietro il muro,
si divertiva a far arrabbiare lo speziale. – Belli, quei vostri

mi hanno rubato... onze: la somma consegnata da donna Rosolina a don


Silvestro (cfr. X, 67).
96. mandò giù... stava per dire: cfr. II, 8. – lisciandosi la barba: cfr. I, 7.
97. aveva il disopra: ‘aveva il sopravvento’ su don Franco, intimorito
dalla presenza della Signora. – come un ragazzaccio: aggiunto in bozze.
– pollini: i pidocchi dei polli. – girandolare: cfr. X, 49. – e davanti…
come Rocco Spatu: tutto il passo sostituisce in A: «come un fannullone».
Nella versione finale si instaura ormai esplicitamente il rapporto di
identificazione di ’Ntoni con chi impersona ‘ufficialmente’ nel villaggio
il ruolo del fannullone. Vedi anche X, 49 (nota a «cianciando e sputac-
chiando).

Letteratura italiana Einaudi 264


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

uomini nuovi! Sapete cosa fa Brasi Cipolla, adesso che suo


padre va cercandolo per tirargli le orecchie a causa della
Vespa? corre a nascondersi di qua e di là come un ragazzac-
cio. Stanotte ha dormito nella sagrestia; e ieri mia sorella
dovette mandargli un piatto di maccheroni, nel pollaio
dov’era nascosto, perché quel bietolone non mangiava da
ventiquattr’ore, ed era tutto pieno di pollini! E ’Ntoni
98 Malavoglia! altro bell’uomo nuovo! Suo nonno e tutti gli
altri sudano e si affannano per tirarsi su un’altra volta; e lui,
quando può scappare con un pretesto, va a girandolare pel
paese, e davanti all’osteria, tale e quale come Rocco Spatu.
Il sinedrio si sciolse come tutte le altre volte, senza con-
chiudere nulla, che ognuno restava della sua opinione, e
quella volta inoltre c’era presente la Signora, talché don
Franco non poteva sfogarsi a modo suo.
Don Silvestro rideva come una gallina; e appena si sciolse
la conversazione se ne andò anche lui, colle mani dietro la
schiena e la testa carica di pensieri. – Non vedi don Silvestro

98. sinedrio: cfr. VII, 48. – questa volta... Silvestro rideva: l’intero
passo così si presenta nella prima versione in A: «per questo si scam-
biavano delle insolenze, lo speziale si prendeva del giacobino e ridendo
di soddisfazione ei dava del gufo e del reazionario a don Giammaria,
che se ne andava sbraitando, e solo Don Silvestro stavolta non rideva».
– come una gallina: cfr. II, 9. – ha stomaco: qui nel senso di ‘non rivela
quello che sa’; cfr. VII, 39. – uno di quei grulli: il toscanismo sostituisce
in bozze la lezione di A: «uno di quelli». – abbaiano alla luna: locuzio-
ne comune in toscano nel senso di «gridare od anche affaticarsi invano
contro qualcuno» (Rigutini-Fanfani), ma attestata anche in siciliano:
«Abbajari a la luna ‘cicalare invano’» (Mortillaro); vedi inoltre «Cani e
pueti abbajanu a la luna» (Pitrè, II, 453). – ho detto: è stato corretto l’e-
vidente refuso di Treves ’81: «ha detto». – va girelloni a quest’ora pel
paese!: «a quest’ora pel paese!» corregge in A: «per la strada». Il capi-
tolo si chiude riprendendo circolarmente l’inizio: «’Ntoni andava a
spasso sul mare tutti i santi giorni»; ora però l’espressione «va girello-
ni» rispecchia una reale scioperataggine, a differenza dell’«andare a
spasso» dell’inizio, che alludeva, antifrasticamente, al duro lavoro del
marinaio.

Letteratura italiana Einaudi 265


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo decimo

che ha più giudizio di te? – diceva la Signora a suo marito,


mentre egli chiudeva la bottega. – Quello è un uomo che ha
stomaco, e se ha da dire qualche cosa ce la chiude dentro e
non parla più. Tutto il paese sa che ha truffato le venticin-
que onze a donna Rosolina, ma nessuno va a dirglielo in fac-
cia, a un uomo come quello! Tu poi sarai sempre uno scioc-
co che non saprai fare gli affari tuoi; uno di quei grulli che
abbaiano alla luna! un chiacchierone! – Ma infine cosa ho
detto? piagnucolava lo speziale, andandole dietro per la
scala col lume in mano. – Lo sapeva lei quel che aveva
detto? Ei non si azzardava a dire davanti a lei le sue corbel-
lerie senza capo e senza coda. Sapeva solo che don
Giammaria se n’era andato facendosi la croce per la piazza,
e borbottando: – Bella razza d’uomini nuovi, come quel
’Ntoni Malavoglia là, che va girelloni a quest’ora pel paese!

Letteratura italiana Einaudi 266


XI

1 Una volta ‘Ntoni Malavoglia, andando girelloni pel paese,


aveva visto due giovanotti che s’erano imbarcati qualche
anno prima a Riposto, a cercar fortuna, e tornavano da
Trieste, o da Alessandria d’Egitto, insomma da lontano, e
spendevano e spandevano all’osteria meglio di compare
Naso, o di padron Cipolla; si mettevano a cavalcioni sul
desco; dicevano delle barzellette alle ragazze, e avevano dei
fazzoletti di seta in ogni tasca del giubbone; sicché il paese
era in rivoluzione per loro.
2 ‘Ntoni, quando la sera tornava a casa, non trovava altro

1. andando gironi: corregge in bozze la lezione di A: «andando girel-


loni» (come in XI, 19, dove la locuzione compare di nuovo). Si ripren-
de, secondo la tecnica della concatenazione, la fine del capitolo prece-
dente («va girelloni a quest’ora pel paese»), riproponendo il motivo
della scioperataggine di ’Ntoni in apertura di un capitolo che lo vedrà
protagonista. – tornavano...Egitto: non da una generica lontananza, ma
da luoghi che assumono una forte valenza simbolica nel romanzo; sono
infatti indicazioni «collegate all’idea di non ritorno, di morte: Luca era
morto «nel mare verso Trieste» (cfr. IX, 28) e il padre della Nunziata
non era più tornato dopo essere partito per «andare a cercar fortuna ad
Alessandria d’Egitto» (cfr. II, 14)» (Guglielmino). Vedi a conferma
anche XV, 61, dove con allusione alla morte di padron ’Ntoni si dice
che «aveva fatto quel viaggio lontano, più lontano di Trieste e
d’Alessandria d’Egitto, dal quale non si torna più». Agli occhi di ’Ntoni
quindi i «due giovanotti» sono la prova vivente della possibilità di
infrangere il ‘divieto’ della partenza senza necessariamente andare
incontro a un esito fallimentare (cfr. XI, 19), destino fatale invece
secondo l’opposta visione di padron ’Ntoni (cfr. X, 4) e di Maruzza (cfr.
ad es. X, 5). – era in rivoluzione: cfr. I, 15: «mise in rivoluzione tutto il
vicinato». Cfr. anche Cos’è il Re, p. 240: «metteva in rivoluzione tutto
lo stallatico».
2. buoni pei ragazzi: è il giudizio di ’Ntoni, già rivelatosi in «non tro-

Letteratura italiana Einaudi 267


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

che le donne, le quale mutavano la salamoia nei barilotti, e


cianciavano in crocchio colle vicine, sedute sui sassi; e intan-
to ingannavano il tempo a contare storie e indovinelli, buoni
pei ragazzi, i quali stavano a sentire con tanto d’occhi inton-
titi dal sonno. Padron ’Ntoni ascoltava anche lui, tenendo
d’occhio lo scolare della salamoia, e approvava col capo
quelli che contavano le storie più belle, e i ragazzi che
mostravano di aver giudizio come i grandi nello spiegare gli
indovinelli.
3 – La storia buona, disse allora ’Ntoni, è quella dei fore-
stieri che sono arrivati oggi, con dei fazzoletti di seta che
non par vero; e i denari non li guardano cogli occhi, quan-
do li tirano fuori dal taschino. Hanno visto mezzo mondo,
dice, che Trezza ed Aci Castello messe insieme, sono nulla
in paragone. Questo l’ho visto anch’io; e laggiù la gente
passa il tempo a scialarsi tutto il giorno, invece di stare a
salare le acciughe, e le donne, vestite di seta e cariche di
anelli meglio della Madonna dell’Ognina, vanno in giro per
le vie a rubarsi i bei mannari.
4 Le ragazze sgranavano gli occhi, e padron ’Ntoni stava

vava altro» e parzialmente in «ingannavano ( ➝ «passavano» in A) il


tempo». Alle «storie e agli indovinelli» delle donne ’Ntoni opporrà «la
storia buona» dei due «forestieri».
3. dice: ‘dicono’; aggiunto in bozze con valore di inciso, non di ver-
bum dicendi che regge la frase seguente. – scialarsi: ‘divertirsi’; cfr. il
siciliano: «Scialarisìlla ‘far vita allegra e senza pensieri’» (Nicotra) e
«Scialàrisi un’anca» nel senso di «divertirsi solennemente» (Mortillaro).
Si mette in relazione oppositiva attraverso un gioco paronomastico,
marcato anche dall’insistita sottolineatura fonica del contesto, col suc-
cessivo «salare»: a confronto sono due visioni del mondo. Cfr. anche
Mastro-don Gesualdo, I, V, p. 139: «c’è poco da scialarla in quella casa».
4. manca il fiato... file di case: vedi Manzoni, I promessi sposi, VIII,
p. 544: «le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade,
pare che gli levino il respiro»; una sensazione questa in parte mitigata
nell’«emigrante» manzoniano dal pensiero «che, un giorno, tornerebbe
dovizioso». Nella successiva battuta del nostro testo, a conferma della
vicinanza dei due passi: «[...] è in quei paesi là che s’è fatto ricco. Ma
non è più tornato a Trezza». – è in quei paesi là... a Trezza: cfr. X, 1.

Letteratura italiana Einaudi 268


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

attento anche lui, come quando i ragazzi spiegavano gli


indovinelli: – Io, disse Alessi, il quale vuotava adagio adagio
i barilotti, e li passava alla Nunziata, – io quando sarò gran-
de, se mi marito voglio sposar te.
– Ancora c’è tempo, rispose Nunziata seria seria.
– Devono essere delle città grandi come Catania; che uno
il quale non ci sia avvezzo si perde per le strade; e gli manca
il fiato a camminare sempre fra le due file di case, senza
vedere né mare né campagna.
– E’ c’è stato anche il nonno di Cipolla, aggiunse padron
’Ntoni, ed è in quei paesi là che s’è fatto ricco. Ma non è più
tornato a Trezza, e mandò solo i denari ai figliuoli.
– Poveretto! disse Maruzza.
5 – Vediamo se mi indovini quest’altro, disse la Nunziata:
Due lucenti, due pungenti, quattro zoccoli e una scopa.
– Un bue! rispose tosto Lia.
– Questo lo sapevi! ché ci sei arrivata subito; esclamò il
fratello.
– Vorrei andarci anch’io, come padron Cipolla, a farmi
ricco, aggiunse ’Ntoni.
– Lascia stare! gli disse il nonno, contento pei barilotti che
vedeva nel cortile. Adesso ci abbiamo le acciughe da salare.
Ma la Longa guardò il figliuolo col cuore stretto, e non disse

5. – Vediamo se mi indovini… esclamò il fratello: il breve intermezzo


costituito dall’episodio dell’indovinello (attestato in Pitrè, Usi e costu-
mi cit.) appare in A come aggiunta interlineare proprio a evidenziare,
attraverso il contrasto tonale che introduce, la posizione di ’Ntoni, solo
distrattamente coinvolto dalle «storie e indovinelli, buoni pei ragazzi»,
mentre si abbandona sempre più ai sogni di ricchezza. – guardò il
figliuolo col cuore stretto: corregge la primitiva versione in A: «gli gettò
gli occhi addosso», trasformando una sfumatura di implicito rimprove-
ro, già parzialmente attenuata dall’aggiunta successiva di «col cuore
stretto» (‘pieno d’angoscia’; cfr. XII, 3; XV, 66), nello sguardo pieno di
trepidazione della madre per il doloroso presentimento di una nuova
sciagura. – «Nè testa... ventura»: ‘nè tra i primi, nè tra gli ultimi’, secon-
do un ideale di mediocrità; cfr. Pitrè, I, p. 223: «Nè testa, nè coda, ch’è
megghiu vintura».

Letteratura italiana Einaudi 269


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

nulla perché ogni volta che si parlava di partire le venivano


davanti agli occhi quelli che non erano tornati più.
E poi soggiunse: «Né testa, né coda, ch’è meglio ventura».
6 Le file dei barilotti si allineavano sempre lungo il muro, e
padron ’Ntoni, come ne metteva uno al suo posto, coi sassi
di sopra, diceva: – E un altro! Questi a Ognissanti son tutti
danari.
’Ntoni allora rideva, che pareva padron Fortunato quan-
do gli parlavano della roba degli altri. – Gran denari! bor-
bottava; e tornava a pensare a quei due forestieri che anda-
vano di qua e di là, e si sdraiavano sulle panche dell’osteria,
e facevano suonare i soldi nelle tasche. Sua madre lo guar-
dava come se gli leggesse nella testa; né la facevano ridere le
barzellette che dicevano nel cortile.
7 – Chi deve mangiarsi queste sardelle qui, cominciava la
cugina Anna, deve essere il figlio di un re di corona bello
come il sole, il quale camminerà un anno, un mese e un gior-
no, col suo cavallo bianco; finché arriverà a una fontana

7. Chi deve mangiarsi... : i commi 7-10 (ma più esattamente a parti-


re dalla fine del c. 6: «nè la facevano ridere...»), che presentano il rac-
conto della fiaba da parte della cugina Anna e il dialogo che ne conse-
gue, costituiscono un’ampia aggiunta in A, in sostituzione della seguen-
te versione di base: «e infine quando il nonno tornava a mostrare i bari-
li egli diceva: –Domani lavoreremo da capo, e poi doman l’altro, e così
tutti i giorni ( ➝ Poi, quando avremo comprato la casa, torneremo da
capo a lavorare dal lunedì al sabato). – E tu cosa vorresti fare?
L’avvocato? – Io non voglio fare l’avvocato! brontolò ’Ntoni di malu-
more e se ne andò a dormire». L’aggiunta nella versione finale di una
«storia» (cfr. XI, 2: «storie e indovinelli, buoni pei ragazzi») costruita
secondo i moduli più tipici della fiaba di magia non costituisce una
parentesi folclorica o una generica dilatazione decorativa, ma si colloca
nel contesto simbolico della narrazione con piena legittimità, assumen-
do nel registro favoloso, e successivamente sviluppando nel dialogo,
uno dei motivi più intensi che percorrerà fino alla fine tutto il capitolo,
quello della partenza-morte. – il figlio di un re di corona... sole: cfr.
Cavalleria rusticana, p. 192: «La gnà Lola ha sposato un re di corona,
ora!»; La Lupa, p. 198: «Te voglio! Te che sei bello come il sole, e dolce
come il miele!» Cfr. anche Manzoni, I promessi sposi, VII, p. 106: «fos-
s’anche il figlio del re».

Letteratura italiana Einaudi 270


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

incantata di latte e di miele; dove, scendendo da cavallo per


bere, troverà il ditale di mia figlia Mara, che ce l’avranno
portato le fate dopo che Mara l’avrà lasciato cascare nella
fontana empiendo la brocca; e il figlio del re col bere che
farà nel ditale di Mara, si innamorerà di lei; e camminerà
ancora un anno, un mese e un giorno, sinché arriverà a
Trezza, e il cavallo bianco lo porterà davanti al lavatoio,
dove mia figlia Mara starà sciorinando il bucato; e il figlio
del re la sposerà e le metterà in dito l’anello; e poi la farà
montare in groppa al cavallo bianco, e se la porterà nel suo
regno.
8 Alessi ascoltava a bocca aperta, che pareva vedesse il figlio
del re sul suo cavallo bianco, a portarsi in groppa la Mara
della cugina Anna. – E dove se la porterà? domandò poi la
Lia.
– Lontano lontano, nel suo paese di là del mare; d’onde
non si torna più.
– Come compar Alfio Mosca, disse la Nunziata. Io non
vorrei andarci col figlio del re, se non dovessi tornare più.
– La vostra figlia non ha un soldo di dote, perciò il figlio

8. E dove… la Lia: in A la battuta era originariamente attribuita alla


Nunziata; la versione finale vuole evidenziare, con sottile notazione psi-
cologica, una diversa reazione di fronte al clima favoloso creato dalla
fiaba: solamente Lia, che in seguito si «perderà» dopo essere fuggita da
Trezza, ne viene coinvolta; Nunziata invece, fedele al suo ruolo di
‘ragazza saggia’, oppone un netto rifiuto («Io non vorrei andarci col
figlio del re»). Vedi le interessanti pagine di R. Melis, I viaggi, il deside-
rio: le giovani donne Malavoglia e gli spazi dell’attesa, in I Malavoglia –
Atti cit., pp. 209 sgg. – d’onde non si torna più: cfr. XI, 1. – le volteran-
no... non ha più nulla: una sentenza generale sul ruolo determinante del
fattore economico nei rapporti sociali, che ’Ntoni innesta sulla fiaba,
con chiara allusione alla sua personale esperienza; cfr. IX, 64: « – Io lo
sapeva che dovevate dirmi così quando ci hanno preso la casa, ora che
tutti ci voltano le spalle», inoltre IX, 55. Anche per ’Ntoni quindi, come
per Lia e Nunziata, la fiaba si fa strumento d’indagine psicologica. – il
mondo va cosi: cfr. III, 13: «così vanno le cose di questo mondo»; IX,
54: «Così va il mondo». – fatto suo: cfr. VI, 47.

Letteratura italiana Einaudi 271


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

del re non verrà a sposarla; rispose ’Ntoni; e le volteranno le


spalle, come succede alla gente, quando non ha più nulla.
– Per questo mia figlia sta lavorando qui adesso, dopo
essere stata tutto il giorno al lavatoio, per farsi la dote. Non
è vero Mara? Almeno se non viene il figlio del re, verrà qual-
chedun altro. Lo so anch’io che il mondo va così, e non
abbiamo diritto di lagnarcene. Voi, perché non vi siete inna-
morato di mia figlia, invece d’innamorarvi della Barbara che
è gialla come il zafferano? perché la Zuppidda aveva il fatto
suo, non è vero? E quando la disgrazia vi ha fatto perdere il
fatto vostro, a voi altri, è naturale che la Barbara v’avesse a
piantare.
9 – Voi vi accomodate a ogni cosa, rispose ’Ntoni imbron-
ciato, e hanno ragione di chiamarvi Cuor contento.
– E se non fossi Cuor contento, che si cambiano le cose?
Quando uno non ha niente, il meglio è di andarsene come
fece compare Alfio Mosca.
– Quello che dico io! esclamò ’Ntoni.
– Il peggio, disse infine Mena, è spatriare dal proprio
paese, dove fino i sassi Vi conoscono, e dev’essere una cosa
da rompere il cuore il lasciarseli dietro per la strada. «Beato
quell’uccello, che fa il nido al suo paesello».
10 – Brava Sant’Agata! conchiuse il nonno. Questo si chiama
parlare con giudizio.

9. spatriare: sostituisce in bozze: «andarsene» di A, che riprendeva il


precedente: «il meglio è di andarsene». Cfr. IX, 42. – dove fino i sassi vi
conoscono: affiora nella battuta di Mena il ricordo di Alfio Mosca, attra-
verso la citazione quasi letterale («dove» è correzione in bozze da
«che») delle parole da lui pronunciate al momento di abbandonare il
villaggio: «Sarei rimasto qui, che fino i muri mi conoscono» (cfr. VIII,
35). L’immagine compare anche in XI, 18: «guardati dall’andare a mori-
re lontano dai sassi che ti conoscono». Vedi inoltre Fantasticheria, p.
133: «là, nella città grande, lontana dai sassi che l’avevano vista nasce-
re e la conoscevano». – «Beato... paesello»: cfr. Pitrè, I, p. 216: «Biatu
chiddu oceddu, chi fa lu nidu a in sò paiseddu».
10. panico: «pianta che fa spighe assai grosse con seme minutissimo
gialliccio, che ha l’istesso nome, e serve di cibo agli uccelli» (Rigutini-

Letteratura italiana Einaudi 272


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

– Sì! brontolò ’Ntoni, intanto, quando avremo sudato e


faticato per farci il nido ci mancherà il panìco; e quando
arriveremo a ricuperar la casa del nespolo, dovremo conti-
nuare a logorarci la vita dal lunedì al sabato; e saremo sem-
pre da capo!
– O tu, che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare?
I’avvocato?
– Io non voglio fare l’avvocato! brontolò ’Ntoni, e se ne
andò a letto di cattivo umore.
11 Ma d’allora in poi non pensava ad altro che a quella vita
senza pensieri e senza fatica che facevano gli altri; e la sera,
per non sentire quelle chiacchiere senza sugo, si metteva sul-
l’uscio colle spalle al muro, a guardare la gente che passava,
e digerirsi la sua mala sorte; almeno così si riposava pel gior-
no dopo, che si tornava da capo a far la stessa cosa, al pari
dell’asino di compare Mosca, il quale come vedeva prende-
re il basto, gonfiava la schiena, aspettando che lo bardasse-
ro! – Carne d’asino! borbottava; ecco cosa siamo! Carne da
lavoro! E si vedeva chiaro che era stanco di quella vitaccia,
e voleva andarsene a far fortuna, come gli altri; tanto che sua
madre, poveretta, l’accarezzava sulle spalle, e l’accarezzava
pure col tono della voce, e cogli occhi pieni di lagrime, guar-

Fanfani). L’assonanza con «nido» conferisce all’intera frase il tono e la


struttura di un proverbio. – logorarci la vita: corregge in bozze: «rom-
perci l’anima» di A.
11. a guardare la gente... era stanco di quella vitaccia: tutto il passo,
che attraverso l’indiretto libero (evidenziato dall’esclamativo che chiu-
de la similitudine con l’asino di compare Mosca) e le citazioni in discor-
so diretto rivela dall’interno la crescente insofferenza di ’Ntoni, svilup-
pa, dando corpo e incisività attraverso la pregnanza dell’immagine, la
primitiva versione di A: «a borbottare che era stanco di quella vitaccia».
Si noti a conferma di una tendenza correttoria che anche l’inciso «per
non sentire quelle chiacchiere senza sugo», che immediatamente pre-
cede il passo indicato, appare in A come aggiunta interlineare. – toc-
cargli il cuore: cfr. XIII, 2. Attestata anche in siciliano: «Tuccari lu cori è
l’effetto della grazia nel ricondurre al buon sentiero i traviati. E si usa
ancora nel senso di persuadere, convincere ecc.» (Mortillaro). – cappe-
lietta: cfr. VI, 22.

Letteratura italiana Einaudi 273


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

dandolo fisso per leggergli dentro e toccargli il cuore. Ma ei


diceva di no, che sarebbe stato meglio per lui e per loro; e
quando tornava poi sarebbero stati tutti allegri. La povera
donna non chiudeva occhio in tutta la notte, e inzuppava di
lagrime il guanciale. Infine il nonno se ne accorse, e chiamò
il nipote fuori dell’uscio, accanto alla cappelletta, per
domandargli cosa avesse.
12 – Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno, dillo!
’Ntoni si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad
accennare di sì col capo, e sputava, e si grattava il capo cer-
cando le parole.
– Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa
che non c’era prima. «Chi va coi zoppi, all’anno zoppica.»
– C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!
– Bè! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo
padre, e quel che è stato tuo nonno! «Più ricco è in terra chi
meno desidera.» «Meglio contentarsi che lamentarsi.»
– Bella consolazione!
13 Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si
sentiva il cuore sulle labbra:
– Almeno non lo dire davanti a tua madre.
Mia madre... Era meglio che non mi avesse partorito, mia
madre.
– Sì, accennava padron ’Ntoni, sì, meglio che non t’aves-
se partorito, se oggi dovevi parlare in tal modo.
14 ’Ntoni per un po’ non seppe che dire: – Ebbene! esclamò

12. «Chi va... zoppica»: «coi», in A: «con»; «all’anno» ‘in breve


tempo’. Cfr. Pitrè, I, p. 233 «Cui va (o prattica) cu li zoppi, supra l’annu
(o all’annu) zuppìa (o zuppicchia)». Vedi anche XIII, 9. – «Più ricco...
desidera»: cfr. Pitrè, I, p. 302: «Cchiù riccu ’n terra è cui menu disìa». –
«Meglio... lamentarsi»: cfr. Pitrè, I, p. 305: «Megghiu cuntintàrisi, chi
lamintàrisi».
13. trovò subito... il cuore sulle labbra: corregge in A: «trovò subito
le parole spedite, e si fece triste e severo in viso». – Almeno... madre: cfr.
VII, 55: «Questi discorsi non dovresti farceli mai davanti a tua madre!»
14. andranno: corregge in bozze: «saranno». – stato: ‘condizione
sociale’.

Letteratura italiana Einaudi 274


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

poi, lo faccio per lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca,
mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci arrabattiamo colla
casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po’ che le
annate andranno scarse staremo sempre nella miseria. Non
voglio più farla questa vita. Voglio cambiare stato, io e tutti
voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi, Mena, Alessi e
tutti.
15 Padron ’Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminan-
do quelle parole, come per poterle mandar giù. – Ricchi!
diceva, ricchi! e che faremo quando saremo ricchi?
’Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercar anche lui cosa
avrebbero fatto. – Faremo quel che fanno gli altri... Non
faremo nulla, non faremo!... Andremo a stare in città, a non
far nulla, e a mangiare pasta e carne tutti i giorni.
16 – Va, va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove
son nato; – e pensando alla casa dove era nato, e che non era
più sua si lasciò cadere la testa sul petto. – Tu sei un ragaz-
zo, e non lo sai!... non lo sai!... Vedrai cos’è quando non
potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più
dalla tua finestra!... Lo vedrai; te lo dico io che son vecchio!

16. Per me... dove son nato: cfr. Fantasticheria, p. 133: «Ma se avesse
potuto desiderare qualche cosa egli avrebbe voluto morire in quel can-
tuccio nero vicino al focolare». – e non lo sai!... non lo sai!... : si fa stra-
da un motivo che acquisterà successivamente rilievo, cfr. XV, 71:
«Anch’io allora non sapevo nulla, e qui non volevo starci, ma ora che
so ogni cosa devo andarmene». – il sole... dalla tua finestra!... : sostitui-
sce in bozze «non potrai vedere più il sole dalla tua finestra!...», forse
per attenuare la connotazione di morte, qui impropria, che l’immagine
può suscitare, ma anche per evitare una ripetizione non funzionale con
il precedente «Vedrai cos’è» e il seguente «Lo vedrai!» – tossiva che
pareva soffocasse: ad accentuare una dominante patetica presente in
tutto il comma e ben visibile nelle studiate simmetrie, nelle opposizio-
ni, nelle numerose esclamative seguite dai punti di sospensione e non
da ultimo nelle calcolate sottolineature gestuali: «si lasciò cadere la
testa sul petto», «col dorso ricurvo, e dimenava tristamente il capo».
Corregge in A: «era sopraffatto dalla tosse, e mentre tossiva a scosse».
– «Ad ogni uccello... bello»: cfr. X, 79.

Letteratura italiana Einaudi 275


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

– Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso


curvo, e dimenava tristamente il capo: – «Ad ogni uccello,
suo nido è bello». Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto
il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono
andarsene.
17 – Io non sono una passera. Io non sono una bestia come
loro! rispondeva ’Ntoni. Io non voglio vivere come un cane
alla catena come l’asino di compare Alfio, o come un mulo
da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di
fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.
18 – Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e
guardati dall’andare a morire lontano dai sassi che ti cono-
scono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova».
Tu hai paura del lavoro, hai paura della povertà; ed io che
non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura,
vedi! «Il buon pilota si prova alle burrasche». Tu hai paura
di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos’hai!
Quando la buon’anima di tuo nonno mi lasciò la
Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io ero più giovan
di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere senza
brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a
farlo sempre sinché ci avrò gli occhi aperti, come l’ha fatto
tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto! che non ha avuto
paura di andare a fare il suo dovere. Tua madre l’ha fatto
anche lei il suo dovere povera femminuccia, nascosta fra

17. mulo da bindolo: il mulo legato alla ruota che, messa in movi-
mento, permette di attingere acqua da un pozzo. – finire... pescicani:
corregge in A: «lasciarci la pelle».
18. morire... conoscono: cfr. XI, 9. In A: «dai sassi» ➝ «dalle pie-
tre». – «Chi cambia... trova»: cfr. X, 66. – «Il buon pilota... burrasche»:
cfr. X, 5. In A: «si prova alle burrasche» ➝ «alla fortuna pare» (nel
Pitrè, II, p. 15 è attestato anche: «Bonu pilotu a la fortuna pari»). –aiu-
tarmi a farlo: corregge in bozze la lezione di A: «darmi la salute di
farlo». – femminuccia: in siciliano «fimminedda» (Mortillaro). – come
una povera formica: cfr. X, 78.

Letteratura italiana Einaudi 276


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

quelle quattro mura; e tu non sai quante lagrime ha pianto,


e quante ne piange ora che vuoi andartene; che la mattina
tua sorella trova il lenzuolo tutto fradicio! E nondimeno sta
zitta e non dice di queste cose che ti vengono in mente; e ha
lavorato e si è aiutata come una povera formica anche lei;
non ha fatto altro, tutta la vita, prima che le toccasse di pian-
gere tanto, fin da quando ti dava la poppa, e quando non
sapevi ancora abbottonarti le brache, che allora non ti era
venuta in mente la tentazione di muovere le gambe, e andar-
tene pel mondo come uno zingaro.
19 In conclusione ’Ntoni si mise a piangere come un bambi-
no, perché in fondo quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono
come il pane; ma il giorno dopo tornò da capo. La mattina
si lasciava caricare svogliatamente degli arnesi, e se ne anda-
va al mare brontolando:Tale e quale l’asino di compare
Alfio! come fa giorno allungo il collo per vedere se vengono
a mettermi il basto. Dopo che avevano buttato le reti, lascia-
va Alessi a menare il remo adagio adagio per non fare devia-
re la barca, e si metteva le mani sotto le ascelle, a guardare
lontano, dove finiva il mare, e c’erano quelle grosse città
dove non si faceva altro che spassarsi e non far nulla; o pen-
sava a quei due marinai ch’erano tornati di laggiù, ed ora se
n’erano già andati da un pezzo; ma gli pareva che non aves-
sero a far altro che andar girelloni pel mondo, da un’osteria
all’altra, a spendere i denari che avevano in tasca. La sera, i
suoi parenti, dopo aver messo a sesto la barca e gli attrezzi,
per non vedergli quel muso lungo, lo lasciavano andare a
girandolare come un cagnaccio, senza un soldo m tasca.
20 – Che hai, ’Ntoni? gli diceva la Longa guardandolo timi-
damente nel viso, cogli occhi lustri di lagrime; perché la

19. Tale e quale l’asino di compare Alfio: cfr. XI, 11. – menare... devia-
re la barca: cfr. X, 5. In A: «derivare». – tornati di laggiù: cfr. XI, 1. –
andar gironi: in A: «andar girelloni»; cfr. XI, 1. – girandolare: cfr. VI, 20.
20. la poveretta: aggiunto in bozze.

Letteratura italiana Einaudi 277


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

poveretta indovinava quel che avesse. – Dimmelo a me che


son tua madre! Egli non rispondeva; o rispondeva che non
aveva niente. E infine glielo disse cosa aveva, che il nonno e
tutti gli altri ne volevano la pelle di lui, e non ne poteva più.
Voleva andare a cercarsi la fortuna, come tutti gli altri.
21 Sua madre lo ascoltava, e non aveva coraggio di aprir
bocca, cogli occhi pieni di lagrime, tanto gli faceva pena
quello che ei diceva, piangendo e pestando i piedi, e strap-
pandosi i capelli. La poveretta avrebbe voluto parlare, e but-
targli le braccia al collo, e piangere anche lei per non lasciar-
selo scappare; ma quando voleva dir qualche cosa, le labbra
le tremavano e non poteva proferir parola.
– Senti, disse alfine, tu te ne andrai, se vuoi andartene, ma
non mi troverai più; ché ora mi sento vecchia e stanca, e mi
pare che non potrei reggere a quest’altra angustia.
’Ntoni cercava di rassicurarla, che sarebbe tornato presto,
e carico di denari, e sarebbero stati allegri tutti. Maruzza
scuoteva il capo tristamente, guardandolo sempre negli
occhi, e diceva dl no, di no, che lei non l’avrebbe trovata
più.
22 – Mi sento vecchia! ripeteva, mi sento vecchia! guardami

21. e non aveva coraggio: corregge in A: «senza osare». – ma non mi


troverai: in A: «ma a me non mi troverai».
22. la forza di piangere... prima non era così: tutto il passo sostituisce,
con intensificazione del registro patetico, la prima versione di A: «la
forza di fare le lunghe giornate che facevo al lavatojo». – quando fu:
quando avvenne la morte; ma la parola nella sua drammatica evidenza
viene sottaciuta; cfr. il precedente «quando mi hanno portato la notizia
di tuo padre e di tuo fratello» e il seguente (c. 23) «quando se n’erano
andati e non s’eran più visti». – Il cuore si stanca anche lui: corregge in
A: «Il cuore si stanca a brano a brano» ( ➝ «si stanca a poco a poco»
➝ «se ne va a poco a poco»). – e se ne
va a pezzo a pezzo: in A è aggiunta interlineare dopo il superamento
delle lezioni indicate alla nota precedente; cfr. anche «glielo strappava-
no a pezzetti» (c. 26). – nel bucato: corregge in A: «nella saponata». –
bevermi il cuore: ‘essere sopraffatta dall’ansia’; in A la locuzione, a mar-
carne la particolarità, appare virgolettata. Per la forma verbale, cfr.
anche XIII, 56: «beverci nei bicchieri».

Letteratura italiana Einaudi 278


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

in faccia! Ora non ho più la forza di piangere tanto, come


quando mi hanno portato la notizia di tuo padre e di tuo fra-
tello. Se vado al lavatoio, la sera torno a casa stanca che non
ne posso più; e prima non era così. No, figlio mio, non son
più quella! Allora, quando fu di tuo padre e di tuo fratello,
ero più giovane e forte. Il cuore si stanca anche lui, vedi; e
se ne va a pezzo a pezzo, come le robe vecchie si disfanno
nel bucato. Ora mi manca il coraggio, e ogni cosa mi fa
paura; mi pare di bevermi il cuore, come l’onda vi passa
sulla testa, se siete in mare. Tu vattene, se vuoi; ma prima
lasciami chiudere gli occhi.
23 Ella aveva il viso tutto bagnato; ma non s’accorgeva che
piangesse, e le pareva di averci davanti agli occhi suo figlio
Luca, e suo marito, quando se n’erano andati e non s’erano
più visti.
– Così non ti vedrò più! gli diceva. – Ora la casa va vuo-
tandosi a poco a poco; e quando se ne andrà anche quel
povero vecchio di tuo nonno, in mano di chi resteranno
quei poveri orfanelli! Ah! Maria Addolorata!
24 Ella se lo teneva abbracciato, colla testa sul petto, quasi il
suo ragazzo volesse scapparle subito; e l’andava tastando
sulle spalle e per la faccia colle mani tremanti. Allora ’Ntoni

24. Allora ’Ntoni... colla bocca nella bocca: aggiunta interlineare in A,


a segnare l’apice del patetico. – come l’asino... in un fosso: la progressi-
va identificazione di ’Ntoni con l’asino di compare Mosca (cfr. IX, 67;
XI, 14) raggiunge qui il suo culmine nella rappresentazione enfatizzata
della fine che attende entrambi, come dolorosa accettazione di un desti-
no ineluttabile. La volontà di conferire pregnanza all’immagine si legge
anche nel superamento in A di una primitiva, e appena avviata, versio-
ne assolutamente neutra: «[seguiterò a fare] quel che ho sempre fatto,
e la [ ]». – arrabattato... arrabatta: in A: «arrabbattato... arrabbatta»,
come del resto frequentemente anche in Treves ’81 (cfr. VI, 17; IX, 66;
XI, 54). – tirarsi fuori dal pantano: corregge in A: «tirarsi fuori dai
guai». Cfr. VII, 30: «vi lasciano solo a sgambettare nel pantano». Vedi
anche la variante «ci siamo tirati su dal fosso» (XIII, 3).

Letteratura italiana Einaudi 279


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

non ne poté più, e si mise a baciarla e a parlarle colla bocca


nella bocca.
– No! no! non partirò se non volete voi! Guardate! Non
mi dite così, non mi dite! Bene, seguiterò a fare come l’asi-
no di compare Mosca, che quando non ne può più di tirar
la carretta lo butteranno a crepare in un fosso. Siete conten-
ta ora? Ma non piangete più così! Lo vedete il nonno come
si è arrabattato tutta la vita? ed ora che è vecchio si arrabat-
ta ancora come se fosse il primo giorno, a tirarsi fuori dal
pantano! Ecco come siamo destinati!
25 – E tu credi che dei guai non ne abbiano tutti? «Ogni
buco ha il suo chiodo, chi l’ha vecchio e chi l’ha nuovo!»
Guarda padron Cipolla che corre dietro il suo Brasi, perché
non vada a buttar il ben di Dio, pel quale ha sudato e lavo-
rato tutta la vita, nel grembiule della Vespa! E massaro
Filippo, così ricco com’è, che guarda il cielo, e recita ave-
marie per la sua vigna ad ogni nuvola che passa! E lo zio
Crocifisso che si leva il pan di bocca per mettere da parte i
soldi, ed è sempre a litigare con questo e con quello! E tu
credi che quei marinai forestieri non abbiano i loro guai

25. «Ogni buco... nuovo!»: cfr. Pitrè, III, p. 76: «Ogni pirtusu havi lu
sò chiovu, cui l’havi vecchiu e cui l’havi novu». – il ben di Dio: ‘le sue ric-
chezze’; corregge in A: «tutto quel ben di Dio». – graticcio: la cesta di
vimini per conservare i viveri; vedi anche nel senso di ‘stuoia’, Mastro-
don Gesualdo, I, II, p. 39: «[...] mucchi di fave e di orzo riparati dai gra-
ticci». –sottoterra: sostituisce in A: «morta» (vedi poco oltre: «quel
povero vecchio sarà morto»). – lo comprenderai: ricompare il motivo
del «non sapere» (cfr. XI, 16), qui accompagnato dalla certezza che si
trasformerà in tardiva consapevolezza dopo la morte del nonno e della
madre. – Allora non ti basterà... domenica: il legame con la casa e col
paese appare in Maruzza costantemente filtrato e giustificato dal ‘culto
dei morti’ (tutto il passo appare in A come aggiunta interlineare).
«Sotto quel marmo»: «i morti erano ancora seppelliti in chiesa (e sarà
così sino alla legge del 1888 che lo vieterà)» (Luperini). Per «tanti ci si
sono inginocchiati» seguiamo la lezione di A, che però ha «tanto» inve-
ce di «tanti». In Treves ’81: «tanti ci sono inginocchiati».

Letteratura italiana Einaudi 280


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

anche loro? Chi sa se ci troveranno ancora le mamme, quan-


do torneranno alle loro case?...E noi, se arriviamo a ricom-
prare la casa del nespolo, quando ci avremo il grano nel gra-
ticcio, e le fave per l’inverno, e avremo maritata Mena, che
cosa ci mancherà? Dopo che io sarò sottoterra, e quel pove-
ro vecchio sarà morto anche lui, e Alessi potrà buscarsi il
pane, allora vattene dove vuoi. Ma allora non te ne andrai
più, te lo dico io! ché lo comprenderai quello che ci aveva-
mo tutti qua dentro il petto, quando ti vedevamo ostinato a
voler lasciare la tua casa, eppure si continuava a fare le soli-
te faccende senza dirti nulla! Allora non ti basterà il cuore
di lasciare il paese dove sei nato e cresciuto, e dove i tuoi
morti saranno sotterrati sotto quel marmo, davanti all’altare
dell’Addolorata che si è fatto liscio, tanti ci si sono inginoc-
chiati sopra, la domenica.
26 ’Ntoni, da quel giorno innanzi, non parlò più di diventar
ricco, e rinunziò alla partenza, ché la madrè lo covava cogli
occhi, quando lo vedeva un po’ triste, seduto sulla soglia
dell’uscio; e la povera donna era davvero così pallida, stan-
ca, e disfatta, che quel momento in cui non aveva nulla da
fare, si metteva a sedere anche lei, colle mani in mano, e il
dorso di già curvo come quello del suocero, che stringeva il
cuore. Ma non sapeva che doveva partire anche lei quando

26. Ma non sapeva che doveva partire anche lei... : prende avvio una
prolessi in cui domina un’intensa nota patetica (vedi anche VII, 3; XI,
32). «La voce narrante è tesa anzitutto a evocare i tempi e i modi in cui
è venuta meno la protettiva unità familiare [...]. Una prova evidente è
fornita dalla serie di anticipazioni sugli sviluppi del racconto: a deter-
minarle è sempre la piena dei sentimenti di fronte a una separazione
[…]. L’onda patetica si alza ogni qual volta l’organismo domestico
viene menomato» (V. Spinazzola, Legge del lavoro e legge dell’onore nei
«Malavoglia», in Verismo e positivismo Garzanti Milano 1977, pp. 167-
68). – sotto il marmo liscio: in A aggiunta interlineare, che riprende:
«sotto quel marmo […] che si è fatto liscio» (XX, 25). – quelli cui vole-
va bene: corregge in bozze: «quelli che voleva bene». – glielo strappava-
no a pezzetti: cfr. XI, 22: «se ne va a pezzo a pezzo».

Letteratura italiana Einaudi 281


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

meno se lo aspettava, per un viaggio nel quale si riposa per


sempre, sotto il marmo liscio della chiesa; e doveva lasciarli
tutti per via, quelli cui voleva bene, e gli erano attaccati al
cuore, che glielo strappavano a pezzetti, ora l’uno e ora l’al-
tro.
27 A Catania c’era il colèra, sicché ognuno che potesse scap-
pava di qua e di là, pei villaggi e le campagne vicine. Allora
a Trezza e ad Ognina, era venuta la provvidenza, con tutti
quei forestieri che spendevano. Ma i rigattieri torcevano il
muso, se si parlava di vendere una dozzina di barilotti d’ac-
ciughe, e dicevano che i denari erano scomparsi, per la
paura del colèra. – Che non ne mangia più acciughe la
gente? – diceva loro Piedipapera. Ma a padron ’Ntoni, e a
chi ne aveva da vendere, per conchiudere il negozio, diceva
invece che col colèra la gente non voleva guastarsi lo stoma-
co con le acciughe, e simili porcherie; piuttosto mangiava
pasta e carne; perciò bisognava chiudere gli occhi, ed essere
28 correnti pel prezzo. Questa non ce l’avevano messa nel
conto i Malavoglia! Quindi per non andare indietro a mo’
dei gamberi, la Longa andava a portare le ova e il pane fre-
sco di qua e di là per le casine dei forestieri, mentre gli
uomini erano in mare, e così si faceva qualche soldo. Ma

27. A Catania c’era il colèra... : è l’epidemia scoppiata nel 1867,


durante la quale anche la famiglia di Verga dovette rifugiarsi in campa-
gna a Vizzini per sottrarsi al contagio. Analogo avvio di sequenza nel-
l’abbozzo M 3: «In queI tempo a Catania infieriva il colera, e le fami-
glie agiate cercavano scampo di quà e di là pei villaggi vicini, e per le
campagne». Vedi Mastro-don Gesualdo, III, I, p. 314: «Intanto incalza-
vano le voci di colèra. A Catania c’era stata una sommossa». – rigattie-
ri: cfr. X, 86. – essere correnti pel prezzo: ‘non impuntarsi sul prezzo’.
28. casine: ‘ville’. Cfr. Mastro-don Gesualdo, III, II, p. 320: «Quella
che chiamavano la casina, a Mangalavite, era un gran casamento anni-
dato in fondo alla valletta». – Andando... muricciuoli: «anche nella
Milano spopolata e squallida che il Manzoni descrive «ognuno cercava
di stare in mezzo alla strada, per timore d’altro sudiciume […] per
timore delle muraglie, che potevan esser unte» (I promessi sposi,
XXXIV, p. 595)» (Carnazzi). Vedi anche Quelli del colèra, in
Vagabondaggio.

Letteratura italiana Einaudi 282


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

bisognava guardarsi bene dai cattivi incontri, e non accetta-


re nemmeno una presa di tabacco da chi non si conosceva!
Andando per la strada bisognava camminare nel bel mezzo,
e lontano dai muri, dove si correva rischio di acchiapparsi
mille porcherie; e badare di non mettersi a sedere sui sassi,
29 o lungo i muricciuoli. La Longa una volta, mentre tornava
da Aci Castello, col paniere al braccio, si sentì così stanca
che le gambe le tremavano, e sembrava fossero di piombo.
Allora si lasciò vincere dalla tentazione di riposare due
minuti su quelle quattro pietre lisce messe in fila all’ombra
del caprifico che c’è accanto alla cappelletta, prima d’entra-
re nel paese; e non si accorse, ma ci pensò dopo, che uno
sconosciuto, il quale pareva stanco anche lui, poveraccio,
c’era stato seduto pochi momenti prima, e aveva lasciato sui
sassi delle gocce di certa sudiceria che sembrava olio.
Insomma ci cascò anche lei, prese il colèra e tornò a casa che
non ne poteva più, gialla come un voto della Madonna, e
colle occhiaie nere; talché la Mena che era sola in casa, si
mise a piangere al solo vederla, e la Lia corse a cogliere del-
l’erba santa, e delle foglie di malva. Mena tremava come una
fronda, mentre faceva il letto; eppure l’ammalata, seduta
sulla scranna, stanca morta, col viso giallo e le occhiaie nere,

29. caprifico: ‘fico selvatico’. – e non si accorse... olio: così il brano


nell’abbozzo M 3: «e non dovette accorgersi, ma se ne sovvenne dopo,
che uno sconosciuto, il quale sembrava un mendicante, c’era stato
seduto prima di lei, e che i sassi erano sparsi di stille grasse, come se ci
avessero sgocciolato dell’olio». – gialla come... Madonna: come gli ex
voto di cera, dal tipico colore giallastro. – erba santa: «o anche nicozia-
na è la pianta del tabacco, utilizzata allora nella terapia di numerose
malattie» (Ghidetti); in siciliano «erva santa» (con rimando a «tabbac-
cu» nel Mortillaro). Secondo Luperini: «nome popolare del
Chrysanthemum balsamita». – tremava come una fronda: corregge in A:
«t. come una foglia»; cfr. X, 27. Vedi Jeli il pastore, p. 146: «tremava
come fanno le foglie in novembre». – scranna: corregge in A:
«segg(iola)»; cfr. IV, 13. – viso giallo: corregge in A: «viso livido».

Letteratura italiana Einaudi 283


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

badava a dirle: – Non è nulla, non vi spaventate: quando mi


sarò messa in letto ogni cosa passerà, – e cercava di aiutare
anche lei, ma ogni mornento le mancavano le forze, e torna-
va a sedersi.
– Vergine santa! balbettava Mena. Vergine santa! E gli
uomini che sono in mare! – Lia si sfogava a piangere.
30 Mentre padron ’Ntoni tornava a casa coi nipoti, e vide l’u-
scio socchiuso, e il lume dalle imposte, si mise le mani nei
capelli. Maruzza era già coricata, con certi occhi, che visti
così nel buio, a quell’ora, sembravano vuoti come se la
morte se li avesse succhiati, e le labbra nere al pari del car-
bone. In quel tempo non andavano intorno né medico né
speziale dopo il tramonto; e le vicine stesse si sprangavano
gli usci, per la paura del colèra, e ci incollavano delle imma-
gini di santi a tutte le fessure. Perciò comare Maruzza non
poté avere’ altro aiuto che dei suoi, poveracci, i quali corre-
vano per la casa come pazzi, al vederla andarsene in tal
modo, in quel lettuccio, e non sapevano che fare, e davano
della testa nelle pareti. Allora la Longa, vedendo che non
c’era più speranza, volle che le mettessero sul petto quel
soldo di cotone coll’olio santo che aveva comperato a

30. Mentre padron... carbone: l’ausiliare avere coi verbi pronominali


(«se li avesse succhiati») è fenomeno molto diffuso nei dialetti
dell’Italia meridionale (cfr. Rohlfs, § 731). In A: «le labbra nere al pari
del carbone» ➝ «le labbra nere come il carbone» ➝ «le labbra nere
nere». L’intero passo così appare nell’abbozzo M 3: «Quando padron
’Ntoni e i ragazzi tornarono sull’imbrunire la trovarono in letto, diggià
presa dai crampi, con certi occhi che visti così nella penombra sembra-
vano vuoti come se le avessero bucate [riferito a un implicito
«occhiaie»] con un succhiello». – si mite... capelli: cfr. III, 23. – In quel
tempo non andavano intorno... : con movenze analoghe al proverbio:
«In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina
buona» (cfr. La Lupa, p. 199). – davano della testa nelle pareti: «in senso
figurato ‘Darebbe del capo nel muro’, per disperazione» (Petrocchi). In
siciliano «Darisi la testa pri li mura» (Mortillaro). – mettessero sul
petto... comperato a Pasqua: cfr. Il Mistero, in Novelle rusticane, p. 260:
«Il ferito, col cotone benedetto sullo stomaco [...]».

Letteratura italiana Einaudi 284


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

Pasqua, e disse pure che lasciassero la candela accesa, come


quando stava per morire padron ’Ntoni, ché voleva veder-
seli tutti davanti al letto, e saziarsi di guardarli ad uno ad
31 uno con quegli occhi sbarrati che non ci vedevano più. La
Lia piangeva in modo da spezzare il cuore; e tutti gli altri,
bianchi come un cencio, si guardavano in faccia quasi chie-
dendosi aiuto l’un l’altro; e si stringevano il petto per non
scoppiare a piangere davanti alla moribonda, la quale non-
dimeno se ne accorgeva bene, sebbene non ci vedesse più, e
nell’andarsene le rincresceva di lasciare così desolati quei
poveretti. Li andava chiamando per nome ad uno ad uno,
colla voce rauca; e voleva alzare la mano, che non la poteva
più muovere, per benedirli, come se sapesse dl lasciare loro
un tesoro. – ’Ntoni! ripeteva, colla voce che già non si sen-
tiva più, ’Ntoni! A te che sei il maggiore raccomando questi
orfanelli! – E sentendola parlar così, mentre era ancora viva,
tutti gli altri non potevano trattenersi di scoppiare a piange-
re e singhiozzare.
32 Così passarono tutta la notte davanti al lettuccio, dove
Maruzza non si muoveva più, sin quando la candela comin-
ciò a mancare e si spense anch’essa, e l’alba entrava dalla
finestra, pallida come la morta, la quale aveva il viso disfat-
to e affilato al pari di un coltello, e le labbra nere. Ma pure
Mena non si stancava di baciarla nella bocca, e parlarle,
come se potesse sentirla. ’Ntoni si picchiava il petto sin-
ghiozzando: – O mamma! che ve ne siete andata prima di
me! e volevo lasciarvi! – Alessi non se la levò più davanti
agli occhi, la sua mamma, con quei capelli bianchi, e quel

31. bianchi come un cencio: cfr. IV, 21.


32. Alessi... anche lui: sulla prolessi, vedi XI, 26. Chiara la volontà di
accentuare il tono patetico nella versione finale raggiunta in bozze:
«[non se la levò più davanti agli occhi] la sua mamma, con quei capel-
li bianchi, e quel viso», rispetto alla lezione di A: «[non se la levò più
davanti agli occhi] con quel viso».

Letteratura italiana Einaudi 285


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

viso giallo e affilato come un coltello, nemmeno quando


arrivò ad avere i capelli bianchi anche lui.
33 Sul tardi vennero a pigliarsi la Longa in fretta e in furia, e
nessuno pensò a fare la visita del morto; che ciascuno pen-
sava alla pelle, e lo stesso don Giammaria rimase sulla soglia,
quando spruzzò l’acqua santa coll’aspersorio, tenendo rac-
colta e sollevata la tonaca di San Francesco, – da vero frate
egoista che era! – predicava lo speziale. Lui invece, se gli
avessero portato la ricetta del medico per qualche medicina,
avrebbe aperto la spezieria anche di notte, che non aveva
paura del colèra; e diceva pure che era una minchioneria di
credere che il colèra lo buttassero per le strade e dietro gli
usci. – Segno che è lui che sparge il colèra! – andava sof-
fiando don Giammaria. Per questo nel paese volevano fargli
la festa allo speziale; ma lui si metteva a ridere come una gal-
lina, preciso come faceva don Silvestro, e diceva: – Io che
sono repubblicano! Se fossi un impiegato, o qualcuno di

33. la visita del morto: cfr. IV, 10. – la tonaca di San Francesco: la pre-
cedente lezione di A: «la sottana» (cfr. XI, 39); l’aggiunta della precisa-
zione «di San Francesco» segna con maggior evidenza il contrasto fra
gli oneri imposti dall’abito che indossa e il comportamento sbrigativo
di don Giammaria. – Segno che è lui... fargli la festa allo speziale: cfr. Il
Reverendo, p. 232: «la gente lo accusava di spargere il colèra, e voleva
fargli la festa». – Ma i Malavoglia... lettuccio vuoto: il rilievo dell’avver-
sativa iniziale (correzione in bozze da un precedente «E i
Malavoglia...», che sembrava suggerire piuttosto una concomitanza
temporale) conferisce un tono quasi ‘polemico’ alla frase che evidenzia
la condizione di emarginazione dei Malavoglia, grazie al marcato con-
trasto fra l’insulsa schermaglia di don Giammaria con lo speziale e la
composta rappresentazione del dolore senza parole dei Malavoglia.
Divagante, proprio per volontà di esplicitare, e tonalmente incerta per
l’ascendenza ‘comico-ariostesca’ della similitudine, appariva al con-
fronto la primitiva versione dell’intero passo in A: «Intanto quei pove-
ri Malavoglia erano rimasti come quando vi casca il fulmine davanti ai
piedi, che rimanete a guardarlo». Vedi anche nel passo relativo alle ese-
quie di Bastianazzo, IV, 31: «dopo che tutti se ne furono andati, i
Malavoglia rimasero soli nel cortile».

Letteratura italiana Einaudi 286


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

quelli che fanno i tirapiedi al Governo, non direi!... – Ma i


Malavoglia rimasero soli, davanti a quel lettuccio vuoto.
34 Per un pezzo non aprirono più l’uscio, dopo che n’era
uscita la Longa. Fortuna che ci avevano in casa le fave, la
legna e l’olio, perché padron ’Ntoni aveva fatto come la for-
mica nel buon tempo, se no morivano di fame, e nessuno
andava a vedere se erano morti o vivi. Poi, a poco a poco,
cominciarono a mettersi il fazzoletto nero al collo, e ad usci-
re nella strada, come le lumache dopo il temporale, colla
faccia pallida e ancora sbalorditi. Le comari da lontano
domandavano come fosse accaduta la disgrazia; ché comare
Maruzza c’era capitata una delle prime. E quando passava
don Michele o qualcun altro di quelli che mangiavano il
pane del re, e portavano il berretto col gallone, li guardava-
35 no cogli occhi lustri, e correvano a chiudersi in casa. Nel
paese era un gran squallore, e per le strade non si vedevano
nemmeno le galline; persino mastro Cirino non si faceva più
vivo, e lasciava stare di suonare mezzogiorno e l’avemaria,
ché mangiava il pane del Comune anche lui, per quei dodi-
ci tarì al mese che gli davano di bidello comunale, e temeva
che gli facessero la festa come tirapiedi del Governo.
36 Adesso don Michele era padrone della strada, dacché

34. come la formica nel buon tempo: cfr. X, 78. – uscire nella strada,
come le lumache... temporale: cfr. II, 20. Vedi anche Quelli del colèra, p.
594: «si tiravano dietro la loro casa al par della lumaca, passato il tem-
porale, tornarono a metter fuori le corna ad uno ad uno, appunto come
fa la lumaca». – guardavano cogli occhi lustri: corregge in bozze la lezio-
ne di A: «guardavano cogli occhi torvi» ( ➝ «guardavano torvi»); cfr.
XIII, 14: «dacchè guardava cogli occhi torvi [...]». – correvano ... in
casa: è l’effetto dell’insinuazione dello speziale, che cioè la diffusione
del colera fosse da attribuire agli agenti del governo.
35. gran squallore: cfr. VII, 41.
36. la sorellina... anche lei: il passo manca in una prima versione di
A, nella quale la sola Mena era oggetto dell’interesse di don Michele
(«[...] don Michele non avendo che fare, lanciava lunghe occhiate, per-
chè la Mena, così pallida e col fazzoletto nero era proprio simpatica»).
Il dettaglio, successivamente introdotto, è in serie con precedenti indi-

Letteratura italiana Einaudi 287


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

Pizzuto, don Silvestro, e tutti gli altri, erano andati a rinta-


narsi come conigli, e non c’era che lui a passeggiare davanti
all’uscio chiuso della Zuppidda. Peccato che lo vedessero
soltanto i Malavoglia, i quali adesso non avevano più nulla
da perdere, e perciò se ne stavano a vedere chi passava,
seduti sulla soglia, immobili, e col mento in mano. Don
Michele per non perdere la sua gita, guardava la Sant’Agata,
ora che tutti gli altri usci erano chiusi; e lo faceva anche per
far vedere a quel ragazzaccio di ’Ntoni che lui non aveva
paura di nessuno al mondo. E poi la Mena, così pallida,
pareva tutta Sant’Agata davvero; e la sorellina, con quel faz-
zolettino nero, cominciava a farsi una bella ragazzina anche
lei.
37 Alla povera Mena pareva che tutt’a un tratto le fossero
caduti venti anni sulla schiena. Adesso faceva colla Lia come
la Longa aveva fatto con lei; le pareva di doversela tenere
sotto le ali come una chioccia, e di averci tutta la casa sulle
spalle. S’era abituata a rimaner sola colla sorellina, quando
gli uomini andavano in mare, e a stare con quel lettuccio
vuoto sempre dinanzi agli occhi. Se non aveva nulla da fare,
si metteva a sedere colle mani in mano, guardando quel let-
tuccio vuoto, e allora sentiva che la mamma l’aveva lasciata
davvero; e quando dicevano nella strada: – E morta la tale;
è morta la tal’altra; pensava: – Anche così hanno sentito dire
– E morta la Longa! – la quale l’aveva lasciata sola con quel-
la povera orfanella che aveva il fazzoletto nero come lei.

cazioni (cfr. I, 4: «Lia [...] ancora nè carne nè pesce»; X, 43: «Lia s’era
messa sulla porta tutta pettoruta [...] le comari stessero ad ascoltarla
come una donna fatta») e costituisce un indizio significativo, come
implicita anticipazione del ruolo che progressivamente assumerà il per-
sonaggio di Lia. Vedi anche XIII, 15: «si era fatta una bella ragazza
anche lei»; XIII, 37: «parlava come una donna fatta»; XIII, 16: «era
vanerella peggio di suo fratello ’Ntoni».
37. sotto le ali come una chioccia: secondo il preciso monito del
nonno, cfr. X, 35: «e ti terrai sotto le ali tua sorella, come fa la chioccia
coi suoi pulcini».

Letteratura italiana Einaudi 288


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

38 La Nunziata, o la cugina Anna, venivano di tanto in tanto,


col passo leggero e il viso lungo, senza dir nulla; e si mette-
vano sulla porta a guardar la strada deserta, colle mani sotto
il grembiule. Quelli che tornavano dal mare andavano in
fretta, guardinghi, colle reti in collo, e i carri non si ferma-
vano nemmeno all’osteria.
39 Chissà dove andava il carro di compar Alfio? e se in quel
momento moriva di colèra buttato dietro una siepe, quel
poveretto che non ci aveva nessuno al mondo? Passava
anche qualche volta Piedipapera, con una faccia di affama-
to, guardandosi intorno; o lo zio Crocifisso, che ci aveva la
sua roba di qua e di là, e andava a toccare il polso ai suoi
debitori, ché se morivano gli rubavano il debito. Il viatico
andava anch’esso di fretta, nelle mani di don Giammaria,
colla sottana rimboccata, e un ragazzo scalzo che suonava il
campanello, perché mastro Cirino non si vedea più. Quel
campanello, nelle strade deserte, dove non passava nemme-
no un cane, e perfino don Franco teneva chiusa metà della
sua porta, faceva stringere il cuore.
40 La sola persona che si vedesse andare di qua e di là gior-
no e notte, era la Locca, coi capelli bianchi e arruffati, che si
metteva a sedere davanti alla casa del nespolo, o aspettava le
barche alla riva, e nemmeno il colèra la voleva, poveretta.

39. Chissà dove... mondo?: in A il passo è aggiunto nell’interlinea.


Immediato il salto all’indiretto libero che riporta il pensiero di Mena,
citata soltanto al c. 38; basta l’accenno ai «carri che non si fermavano
nemmeno all’osteria» per far scattare l’associazione col carro di Alfio
(cfr. anche X, 90). – Il viatico andava: quasi una figura etimologica come
in X, 39 –colla sottana rimboccata: cfr. XI, 33: «tenendo raccolta e sol-
levata la tonaca». – non si vedeva più: corregge in A: «non aveva voluto
saperne di fare il sagrestano con il colera».
40. La sola... poveretta: un personaggio, quello della Locca, colto
nella fissità allucinata dei suoi atteggiamenti, manifestazione di una fol-
lia che ha oramai assunto connotazioni tragiche (vedi V, 10). Il passo è
aggiunto nell’interlinea in A (ma nelle bozze viene modificato l’avvio,
che nella prima versione suonava: «Soltanto sino a notte, si vedeva di
qua e di là andare la Locca...»).

Letteratura italiana Einaudi 289


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

41 I forestieri erano fuggiti anch’essi, come gli uccelli quan-


do viene l’inverno; e il pesce non trovava chi lo comprasse.
Sicché diceva ciascuno: – Dopo il colèra verrà la fame.
Padron ’Ntoni avea dovuto metter mano ai denari della
casa, e li vedeva assottigliare a soldo a soldo. Ma ei non pen-
sava ad altro se non che Maruzza era morta fuori della sua
casa, e cotesto non gli poteva uscir di mente. – ’Ntoni come
vedeva spendere i denari tentennava il capo anche lui.
42 Finalmente, quando il colèra finì, e dei denari raccolti con
tanto stento ne restarono appena la metà, tornò a dire che
così non poteva durare a quella vita, di fare e disfare; che era
meglio di tentare un colpo solo per levarsi dai guai tutti in
una volta, e che là, dove era morta sua madre in mezzo a
tutta quella porca miseria, non voleva più starci.
– Non ti rammenti che tua madre ti ha raccomandato la
Mena? gli diceva padron ’Ntoni.
– Che aiuto posso darci alla Mena se resto qui? ditelo voi!
43 Mena lo guardò cogli occhi timidi, ma dove ci si vedeva il
cuore, tale e quale come sua madre, e non osava proferir
parola. Ma una volta, stringendosi allo stipite dell’uscio, si
fece coraggio per dirgli:
– A me non me ne importa dell’aiuto, purché tu non ci
lasci soli. Ora che non c’è più la mamma mi sento come un
pesce fuori dell’acqua, e non m’importa più di niente. Ma
mi dispiace per quell’orfanella che resta senza nessuno al

43. come un pesce... il padre: in una prima versione tutto il brano era:
«come persa in mezzo al mare». Nella versione finale, oltre ad un più
coerente adeguamento del registro della similitudine al personaggio, si
suggerisce un raffronto tra Lia e Nunziata, e di conseguenza fra ’Ntoni
e il padre della Nunziata, potenzialmente già accomunati, nella pro-
spettiva di Mena, dal medesimo destino di morte (cfr. XI, 46: «piange-
va come se non dovesse vederlo più»). – «aiutati che t’aiuto»: cfr. Pitrè,
III, p. 190: «Ajùtati chi t’ajutu, dici Diu». Il proverbio è uno dei pochi
a comparire nel testo base di A.

Letteratura italiana Einaudi 290


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

mondo, se tu vai, come la Nunziata quando l’è partito il


padre.
– No! diceva ’Ntoni, no! Io non posso aiutarti se non ho
nulla. Il proverbio dice «aiutati che t’aiuto». Quando avrò
guadagnato dei denari anch’io, allora tornerò, e staremo
allegri tutti.
44 La Lia e Alessi spalancavano gli occhi, e lo guardavano
sbigottiti; ma il nonno si lasciava cadere la testa sul petto. –
Ora non hai più né padre né madre, e puoi fare quello che
ti pare e piace, gli disse alfine. – Finché vivrò a quei ragazzi
ci penserò io, quando non ci sarò più, il Signore farà il resto.
45 La Mena, poiché ’Ntoni voleva andarsene a ogni costo, gli
metteva in ordine tutta la roba, come avrebbe fatto la
mamma, e pensava che laggiù, in paese forestiero, suo fra-
tello non avrebbe avuto più nessuno che pensasse a lui,
come compare Alfio Mosca. E mentre gli cuciva le camicie,
e gli rattoppava i panni, la testa correva lontano lontano, a
tante cose passate, che il cuore ne era tutto gonfio.
– Dalla casa del nespolo non posso passarci più – diceva
quando stava a sedere accanto al nonno, – me la sento nella
gola, e mi soffoca, dopo tante cose che sono avvenute dac-
ché l’abbiamo lasciata!
46 E mentre preparava la roba del fratello, piangeva come se
non dovesse vederlo più. Infine, quando ogni cosa fu in
ordine, il nonno chiamò il suo ragazzo per fargli l’ultima
predica, e dargli gli ultimi consigli per quando sarebbe stato
solo, che avrebbe dovuto far capitale soltanto della sua testa,
e non avrebbe avuti accanto i suoi di casa per dirgli come
doveva fare, o per disperarsi insieme, e gli diede anche un
po’ di denaro, caso mai ne avesse bisogno, e il suo tabarro

45. come compar Alfio Mosca: manca nella prima versione in A. – la


testa correva lontano lontano: corregge in bozze la lezione di A: «corre-
va colla testa lontano lontano». Ricorda V, 17: «così correvano i pen-
sieri della sua testa».

Letteratura italiana Einaudi 291


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

foderato di pelle, che ormai lui era vecchio, e non gli servi-
va più.
47 I ragazzi, vedendo il fratello maggiore affaccendarsi nei
preparativi della partenza, gli andavano dietro pian piano
per la casa, e non osavano dirgli più nulla, come fosse dig-
già un estraneo.
– Così se ne è andato mio padre, – disse infine la Nunziata
la quale era andata a dirgli addio anche lei, e stava sull’uscio.
Nessuno allora parlò più.
48 Le vicine venivano ad una ad una a salutare compare
’Ntoni, e poi stettero ad aspettarlo sulla strada per vederlo
partire. Egli indugiava col fagotto sulle spalle, e le scarpe in
mano, come all’ultimo momento gli fossero venuti meno il
cuore e le gambe tutt’a un tratto. E guardava di qua e di là
per stamparsi la casa e il paese, ogni cosa in mente, e aveva
la faccia sconvolta come gli altri. Il nonno prese il suo basto-
ne per accompagnarlo sino alla città, e la Mena in un can-
tuccio piangeva cheta cheta. – Via! diccva ’Ntoni, orsù, via!
Vado per tornare alla fin fine! e sono tornato un’altra volta
49 da soldato. – Poi, dopo ch’ebbe baciata Mena e la Lia, e

47. come fosse diggià un estraneo: l’aggiunta del «diggià» lascia pre-
sagire che, con l’infrazione al principio della coesione familiare, «estra-
neo» comunque lo sarebbe diventato. È la prima delle due occorrenze
del vocabolo nel romanzo; cfr. anche, sempre riferito a ’Ntoni, XIII, 4:
«come ei fosse un estraneo». – Così se n’è andato... parlò più: prima di
una serie ternaria di battute (cfr. anche c. 49 e c. 50), che riproponen-
do ossessivamente le parole cariche di oscuri presagi della Nunziata,
fissate quasi in una formula, ritmano la chiusura del capitolo fino a
siglarne drammaticamente la fine.
48. venute: così in Treves ’81; in A: «venuti» (ma –ti su -te). – la casa
e il paese: aggiunta in bozze. – sconvolta: corregge in A: «bianca». – alla
città: corregge in A: «a Riposto».
49. più fitto nella mente... volere andarsene: nella prima versione di
A (di cui si riporta solo l’avvio, perché la parte implicata in variante è
più ampia): «[quello che le era rimasto] più fitto nella mente, del colpo
( ➝ dell’angustia) che era stato quell’altra volta per tutti la risoluzio-
ne che aveva fatto ’Ntoni di andarsene lontano [...]». – trovava il len-
zuolo tutto fradicio: cfr. XI, 12: «inzuppava di lagrime il guanciale».

Letteratura italiana Einaudi 292


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Undicesimo

salutate le comari, si mosse per andarsene, e Mena gli corse


dietro colle braccia aperte singhiozzando ad alta voce, quasi
fuori di sé, e dicendogli: – Ora che dirà la mamma? ora che
dirà la mamma? – Come se la mamma avesse potuto vedere
e parlare. Ma ripeteva quello che le era rimasto più fitto
nella mente, quando ’Ntoni aveva detto un’altra volta di
volere andarsene, e aveva vista la mamma piangere ogni
notte che all’indomani trovava il lenzuolo tutto fradicio, nel
rifare il letto.
– Addio, ’Ntoni! gli gridò dietro Alessi facendosi corag-
gio, come il fratello era già lontano; e allora la Lia cominciò
a strillare. – Così se n’è andato mio padre, disse infine la
Nunziata, la quale era rimasta sulla porta.
50 ’Ntoni si voltò prima di scantonare dalla strada del Nero,
cogli occhi lagrimosi anche lui, e fece un saluto colla mano.
Mena allora chiuse l’uscio, e andò a sedersi in un angolo
insieme alla Lia, la quale piangeva a voce alta. – Ora ne
manca un altro della casa! disse lei. E se fossimo nella casa
del nespolo parrebbe vuota come una chiesa.
Come se ne andavano ad uno ad uno tutti quelli che le
volevano bene, ella si sentiva davvero un pesce fuori del-
l’acqua. E la Nunziata, là presente, colle sue piccine in collo,
tornava a dire: – Così se ne è andato mio padre.

50. scantonare: sostituisce in bozze la lezione di A: «uscire» ( ➝


«scomparire»). –Ora ne manca... fuori dell’acqua: la prima redazione
dell’intero passo in A: «Ora la casa le pareva davvero vuota, e si senti-
va persa nel mondo come fosse in mezzo al mare» (cfr. l’analogo pas-
saggio, e a questo correlato, al c. 43: «come un pesce fuori dell’acqua»
➝ «come persa in mezzo al mare»). «Parrebbe vuota come una chie-
sa», cfr. IX, 45: «nelle stanze vuote, dove le parole si udivano come se
fossero in chiesa». – Così... padre: clausola finale che ripropone per la
terza volta (cfr. c. 47), quasi a sancirne ritualmente l’ineluttabilità, il
motivo partenza –morte, chiudendo circolarmente un capitolo che si era
aperto proprio con l’illusoria prospettiva per ’Ntoni che fosse possibi-
le infrangere quella fatale connessione.

Letteratura italiana Einaudi 293


XII

1 Padron ’Ntoni, ora che non gli era rimasto altri che Alessi
pel governo della barca, doveva prendere a giornata qual-
cheduno, o compare Nunzio, che era carico di figliuoli, e
aveva la moglie malata, o il figlio della Locca, il quale veni-
va a piagnucolare dietro l’uscio che sua madre moriva di
fame, e lo zio Crocifisso non voleva dargli nulla, perché il
colèra l’aveva rovinato, diceva con tanti che erano morti e
gli avevano truffati i denari, talché aveva preso il colèra
anche lui, ma non era morto, aggiungeva il figlio della
Locca, e scuoteva il capo tristamente. – Adesso ci avremmo
da mangiare io e mia madre e tutto il parentado, se fosse
morto. Siamo stati a curarlo due giorni colla Vespa, che
pareva avesse ad andarsene da un momento all’altro, ma poi
non è morto!
2 Però, quel che i Malavoglia guadagnavano non bastava

1. piagnuccolare: in Treves ’81: «piangnuccolare» (con refuso già pre-


sente in A: «piangnuccolarli»). Nell’edizione a stampa, caso unico, sulle
complessive 12 occorrenze del verbo, di impiego della doppia, ma è
forma molto frequente in A. – scuoteva... tristamente: c’è tutto il ram-
marico per la mancata eredità (la Locca è sorella dello zio Crocifisso);
vedi anche: «ma non era morto»; «se fosse morto»; «ma poi non è
morto!»
2. la calza sotto la materassa: cfr. VI, 19: «quelle settantacinque lire
che Maruzza aveva raccolto soldo a soldo in fondo alla calza nascosta
sotto il materasso» (unico caso in Treves ’81, sulle otto occorrenze com-
plessive, di impiego al maschile di «materasso»). Il Petrocchi lo registra
fra le forme fuori uso, rispetto al più comune «materassa» (presente nel
romanzo con sette occorrenze tutte derivate dalla forma «materasso» di
A); in siciliano è attestato il maschile «matarazzu» (Mortillaro). Vedi
inoltre Nedda, p. 30: «Quei pochi soldi raccolti in fondo alla calza».

Letteratura italiana Einaudi 294


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

spesso a pagare lo zio Nunzio, o il figlio della Locca, e si


doveva metter mano a quei soldi raccolti con tanta fatica per
la casa del nespolo. Ogni volta che Mena andava a pigliare
la calza sotto la materassa, lei e il nonno sospiravano. Il
povero figlio della Locca non ci aveva colpa; avrebbe volu-
to farsi in quattro per guadagnarsi la sua giornata; era il
pesce che non voleva farsi prendere. E quando tornavano
mogi mogi, sbattendo i remi e colla vela allentata, il figlio
della Locca diceva a padron ’Ntoni:Fatemi spaccar della
legna, o legar dei sarmenti; io posso lavorare sino a mezza-
notte se credete, come facevo collo zio Crocifisso. Non
voglio rubarvela, la giornata.
3 Allora padron ’Ntoni, dopo averci pensato su un pezzo,
col cuore stretto, si decise a parlare colla Mena di quel che
doveva farsi oramai. Ella era giudiziosa come sua madre, e
non c’era altri in casa per parlarne, di tanti che c’erano
prima! Il meglio era vendere la Provvidenza, che non rende-
va nulla, e si mangiava le giornate di compare Nunzio e del
figlio della Locca; se no quei soldi della casa se ne sarebbe-
ro andati tutti a poco a poco. La Provvidenza era vecchia e
aveva sempre bisogno che ci spendessero dei denari per
metterle delle toppe, e farla stare a galla. Più tardi, se torna-
va ’Ntoni e spirava un po’ di fortuna in poppa, come quan-
do avevano messo insieme quei denari della casa, avrebbero
comprato un’altra barca nuova, e l’avrebbero chiamata di
nuovo la Provvidenza.
4 La domenica andò sulla piazza a parlarne a Piedipapera
dopo la messa. Compare Tino scrollava le spalle, dimenava

3. col cuore stretto: cfr. XI, 6. – era giudiziosa come sua madre: cfr. XI,
43: «tale e quale come sua madre».
4. sotto la pentola: corregge in A: «nel focolare»; vedi V, 10: «Questa
ora è buona da ardere». – certe donnaccie: corregge in A: «quelle vec-
chie donnacce». – col piede zoppo: dal tono spregiativo della notazione
traspare il punto di vista di ’Ntoni; cfr. anche v, 21: «dava anche lui dei
calci coi suoi piedacci nella Provvidenza».

Letteratura italiana Einaudi 295


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

il capo, diceva che la Provvidenza era buona da mettere


sotto la pentola, e così parlando lo tirava sulla riva; là si
vedevano le toppe, sotto la impeciatura nuova, era come
certe donnacce che sapeva lui, colle rughe sotto il corsetto;
e tornava a darci dei calci nella pancia, col piede zoppo. Del
resto il mestiere andava male; piuttosto che comprare, tutti
avrebbero voluto vendere le loro barche, e più nuove della
Provvidenza. Poi, chi avrebbe potuto comprarla? Padron
5 Cipolla non voleva di quei vecchiumi. Quello era affare
dello zio Crocifisso. Ma in quel momento lo zio Crocifisso
aveva altro per la testa, con quell’ossessa della Vespa che gli
faceva dannare l’anima, correndo dietro a tutti gli uomini
che c’erano da maritare nel paese. Infine, per la santa ami-
cizia, sarebbe andato a parlarne allo zio Crocifisso, nel buon
momento, se padron ’Ntoni voleva vendere ad ogni costo la
Provvidenza per un pezzo di pane; perché egli, Piedipapera,
gli faceva fare quello che voleva lui, allo zio Crocifisso.
6 Infatti, quando gliene parlò, tirandolo in disparte verso
l’abbeveratoio, lo zio Crocifisso rispondeva a spallate, e
dimenava il capo come Peppinino, e voleva scappargli dalle
mani. Compare Tino, poveraccio, lo afferrava pel giubbone,

5. per un pezzo di pane: è l’anticipazione del piano di Piedipapera:


proporre allo zio Crocifisso «un affare d’oro» (XII, 6), convincendo
padron ’Ntoni ad abbassare il prezzo. –faceva fare quello che voleva
lui... Crocifisso: cfr. II, 1: «a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perchè
egli era il mestolo della pentola [...] Campana di legno non sapeva sof-
fiarsi il naso senza di lui».
6. dimenava il capo come Peppinino: cfr. I, 21: «gli finiva sempre così,
che gli facevano chinare il capo per forza, come Peppinino»; II, 25:
«con quell’aria da Peppinino». – muoiono di fame: alla logica spietata
del sensale, tutta tesa al guadagno («verrebbero a lavorare per niente»),
si oppone il senso di solidarietà di padron ’Ntoni che ‘prende a giorna-
ta’ proprio compare Nunzio, perché «era carico di figliuoli, e aveva la
moglie ammalata» o il figlio della Locca, perché «veniva a piagnuccola-
re dietro l’uscio che sua madre moriva di fame» (cfr. XI, 1). – sentite a
me: cfr. poco oltre XII, 7 e 10; inoltre II, 30; VII, 46; IX, 4o; costruzio-
ne tipica dei dialetti meridionali con complemento oggetto retto dalla
preposizione a (vedi Rohlfs, § 632 e Serianni, II, 39).

Letteratura italiana Einaudi 296


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

perché stesse a sentire per forza; gli dava delle scrollate; lo


abbracciava stretto per parlargli nell’orecchio.Sì, siete una
bestia se vi lasciate scappare quell’occasione! per un pezzo
di pane! padron ’Ntoni la vende proprlo perche non può
tirare innanzi, ora che suo nipote l’ha piantato. Ma voi
potreste darla in mano a compare Nunzio, o al figlio della
Locca, che muoiono di fame, e verrebbero a lavorare per
niente. Tutto quello che buscheranno ve lo papperete voi.
Siete una bestia, vi dico! La barca è ben conservata, come se
fosse nuova. Padron ’Ntoni se ne intendeva quando l’aveva
fatta fare. Questo è un affare d’oro, come quello dei lupini,
sentite a me!
7 Ma lo zio Crocifisso non voleva sentir parlare di niente,
che quasi quasi gli spuntavano le lagrime, con quella faccia
gialla, ora che aveva preso il colèra; e tirava per andarsene,
e voleva lasciargli il giubbone nelle mani. – Non me ne
importa! ripeteva. Non me ne importa niente. Voi non sape-
te cosa ci ho qui dentro, compare Tino! Tutti vogliono suc-
chiarmi il sangue come le sanguisughe, e prendersi il fatto
mio. Ora v’è anche Pizzuto che corre dietro la Vespa, tutti
come cani da caccia!
– E voi prendetevela, la Vespa! O infine non è sangue
vostro, lei e la sua chiusa? Non sarà una bocca di più, no!
che ha le mani benedette quella donna, e non lo perderete il
pane che gli darete da mangiare! Ci avrete una serva in casa,
senza darle salario, e vi prederete anche la chiusa. Sentite a
me, zio Crocifisso, questo è un altro affare come quello dei
lupini!
8 Padron ’Ntoni intanto aspettava la risposta davanti alla

7. cosa ci ho qui dentro: corregge in A: «che angustie ci ho qui den-


tro». – mani benedette: «manu biniditti, diconsi quelle che si adattano
a ogni lavoro, e tutto riesce loro bene» (Mortillaro). Vedi anche VII, 6:
«ci ha le fate nelle mani!» – Sentite a me: cfr. XII, 6.
8. tirandosi... storta: cfr. II, 1. – tavola sull’acqua: vedi anche «aveva-
no sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole» (I, 1).

Letteratura italiana Einaudi 297


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

bottega di Pizzuto, e guardava come un’anima del


Purgatorio quei due che pareva si azzuffassero, per cercare
di indovinare se lo zio Crocifisso diceva di sì. Piedipapera
veniva a dirgli quel che aveva potuto ottenere dallo zio
Crocifisso, e poi tornava a parlare con lui; e andava e veni-
va per la piazza come la spola nel telaio, tirandosi dietro la
sua gamba storta, finché riescì a metterli d’accordo. –
Benone! – diceva a padron ’Ntoni; e allo zio Crocifisso: –
Per un pezzo di pane! – così combinò anche la vendita di
tutti gli attrezzi, ché i Malavoglia non sapevano che farsene,
ora che non possedevano più una tavola sull’acqua, ma a
padron ’Ntoni gli parve che gli strappassero le budella dallo
stomaco, come si portavano via le nasse, le reti, le fiocine, le
canne, e ogni cosa.
9 – Ci penserò io a trovarvi d’andare a giornata, voi e vostro
nipote Alessi, non dubitate; – gli diceva Piedipapera. –
Bisogna che vi contentiate di poco, sapete! «Forza di giova-
ne e consiglio di vecchio». Per la mia senseria poi mi rimet-
to al vostro buon cuore.
– «In tempo di carestia pane d’orzo», rispondeva padron
’Ntoni. «Necessità abbassa nobiltà».
10 – Va bene, va bene, siamo intesi! conchiuse Piedipapera,

9. a trovarvi d’andare a giornata: sostituisce in A: «ad allogarvi». –


«Forza di giovane… vecchio»: cfr. Pitrè, II, p. 297: «Forza di giuvini e
cunsigghi di vecchi». – buon cuore: in A correzione da «bel cuore» (cfr.
Mortillaro: «Beddu cori attribuito a persona vale ‘buona, affettuosa,
compassionevole, generosa’»). – «In tempo... d’orzo»: cfr. Pitrè, I, p.
197: «A tempu di caristia pani d’oriu (‘orzo’)»; nella lista di proverbi
derivata dallo spoglio del Pitrè, Verga registra anche: «A tempu di
malannata pani di jermanu (‘segale’)» (Pitrè, I, p. 302). – «Necessità...
nobiltà»: cfr. Pitrè, I, p. 200: «La nicissità sbàscia ogni nubiltà»; cfr.
anche XV, 40.
10. pesce grosso: cfr. VII, 29: «I pesci grossi stavano sott’acqua
durante la maretta». –son proprio senza pane: ‘sono allo stremo’. E
lezione raggiunta in bozze da: «son proprio in mezzo alla strada» ➝
«è proprio per terra quel poveraccio»; la versione finale si pone come
elemento di una catena costruita sulle varie accezioni metaforiche lega-
te al termine «pane», che si trasforma in filo conduttore della sequen-

Letteratura italiana Einaudi 298


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

e andò davvero a parlarne con padron Cipolla, nella spezie-


ria, dove don Silvestro era riuscito a tirarli un’altra volta, lui,
massaro Filippo e qualche altro pesce grosso, per discorre-
re degli affari del Comune, che infine erano denari loro, ed
è una minchioneria non contare per nulla nel paese quando
si è ricchi, e le tasse si pagano peggio degli altri. – Voi che
siete tanto ricco, potreste dargli del pane a quel poveraccio
di padron ’Ntoni, – soggiungeva Piedipapera. – A voi non vi
farebbe nulla di prenderlo a giornata con suo nipote Alessi;
sapete che ne sa più di ogni altro del mestiere, e si conten-
terebbe di poco, ché son proprio senza pane. Fareste un
affar d’oro, sentite a me, padron Fortunato.
11 Padron Fortunato, preso così in quel momento, non
seppe dir di no, ma dopo che ebbero tirato e stiracchiato un
po’ sul prezzo; giacché i tempi erano magri, gli uomini non
avevano da lavorare, padron Cipolla faceva proprio un atto
di carità a prendersi padron ’Ntoni.
– Sì, lo prendo se viene a dirmelo lui! Lo credereste che
mi porta il broncio dacché mandai in aria quel matrimonio
di mio figlio colla Mena? Eh? bell’affare che ci avrei fatto!
Ed hanno il coraggio di portarmi il broncio per giunta!
12 Don Silvestro, massaro Filippo, ed anche Piedipapera,
tutti, s’affrettavano a dire che padron Fortunato aveva
ragione. Brasi non gli lasciava più pace, dopo che gli aveva-
no fatto venire il pensiero di maritarlo, e correva dietro a
tutte le donne come un gatto in gennaio ch’era una solleci-
tudine continua pel povero padre. Ora era entrata in ballo
anche la Mangiacarrubbe, la quale s’era messa in testa di
pigliarselo lei, Brasi Cipolla, giacché era di chi se lo pigliava;

za: «per un pezzo di pane» (‘con pochissima spesa’); «non lo perderete


il pane» (‘i soldi che spenderete per mantenerla’); «pane d’orzo» (‘con-
dizione disagiata da accettare in caso di bisogno’); «dargli del pane»
(‘del lavoro’). –sentite a me: cfr. XII, 6.
11. broncio: corregge in A: «muso».
12. come un gatto in gennaio: ‘come un gatto in amore’.

Letteratura italiana Einaudi 299


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

lei almeno era una bella ragazza con tanto di spalle, e non
vecchia e spelata come la Vespa. Ma la Vespa aveva la sua
chiusa, e la Mangiacarrubbe non ci aveva altro che le sue
trecce nere, dicevano gli altri.
13 La Mangiacarrubbe sapeva quel che doveva fare se si
voleva pigliare Brasi Cipolla, ora che suo padre se l’era
rimorchiato di nuovo in casa pel colèra, e non andava a
nascondersi più nella sciara, o per le chiuse, o dallo speziale
e nella sacristia. Ella gli passava davanti lesta lesta, colle
scarpette nuove; e passando si faceva urtare nel gomito, in
mezzo alla folla che veniva dalla messa; oppure lo aspettava
sulla porta, colle mani sul ventre, e il fazzoletto di seta in
testa, e gli lasciava andare un’occhiata assassina, di quelle
che rubano il cuore, e si voltava ad aggiustarsi le cocche del
fazzoletto sul mento per vedere se le veniva dietro o scap-
pava in casa com’ei compariva in capo alla straduccia, e
andava a nascondersi dietro il basilico ch’era sulla finestra,
con quegli occhioni neri che se lo mangiavano di nascosto.
Ma se Brasi si fermava a guardarla come un bietolone, gli
voltava le spalle, col mento sul petto tutta rossa, e gli occhi
bassi, masticandosi la cocca del grembiuie, che ognuno se la
14 sarebbe mangiata per pane. Infine, poiché Brasi non sapeva
risolversi a mangiarsela per pane, dovette acciuffarlo lei pei
capelli, e gli disse: – Sentite compare Brasi, perché volete
togliermi la pace? Io lo so che non sono per voi. Ora è
meglio che non ci passiate più di qua, perchè più vi vedo e

13. ad aggiustarsi le cocche del fazzoletto sul mento: uno dei gesti tipi-
ci del rituale di seduzione, come poco oltre (c. 14) «masticandosi la
( ➝ accartocciando fra le dita una) cocca del grembiule»; cfr.
Cavalleria rusticana, p. 191: «Se c’è la volontà di Dio! rispose Lola
tirandosi sul mento le due cocche del fazzoletto». – con quegli occhioni
neri… nascosto: vedi La Lupa, p. 201: «mangiandoselo con gli occhi
neri». – bietolone: cfr. II, 12. – masticandosi… grembiule: cfr. XII, 13.
14. non sapeva risolversi a mangiarsela per pane: corregge in A: «non
si risolveva», con ripresa della locuzione fortemente connotata che pre-
cede («ognuno se la sarebbe mangiata per pane»).

Letteratura italiana Einaudi 300


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

più vorrei vedervi, e ormai sono la favola del paese; la


Zuppidda si mette sulla porta ogni volta che vi vede passa-
re, e poi va a dirlo a tutti; ma farebbe meglio a tener d’occhi
quella civetta di sua figlia Barbara, che l’ha ridotta come una
piazza questa strada, tanta la gente che ci tira, e non va a
dirlo quante volte passa e ripassa don Michele, per vedere la
Barbara alla finestra.
15 Con queste chiacchiere Brasi non si moveva più dalla stra-
duzza, che non l’avrebbero mandato via neanche a bastona-
te, ed era sempre là intorno, a gironzare colle braccia pen-
zoloni, il naso in aria e la bocca aperta, come Giufà. La
Mangiacarrubbe dal suo canto stava alla finestra e cambiava
ogni giorno fazzoletti di seta, e collane di vetro, come una
regina. – Tutto quello che aveva lo metteva alla finestra, –
andava dicendo la Zuppidda, e quel bietolone di Brasi pren-
deva tutto per oro contante, ed era imbestialito, che non
aveva paura nemmeno di suo padre, se fosse venuto a pren-
derlo a scapaccioni. – Questa è la mano di Dio per castiga-
re la superbia di padron Fortunato, – diceva la gente. – Per
lui sarebbe stato cento volte meglio dare a suo figlio la
Malavoglia, la quale almeno ci aveva quel po’ di dote, e non
16 la spendeva in fazzoletti e collane. – Mena invece non ci

15. come Giufà: cfr. VIII, 27: «Guarda che ti sei lasciato cascare il
vino sui calzoni, Giufà!» Per il soprannome, solitamente riferito al sin-
daco Croce Callà, vedi II, 29. – stava alla finestra… come una regina: cfr.
Cavalleria rusticana, p. 191: «la domenica si metteva sul ballatoio, colle
mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d’oro che le aveva
regalati suo marito». Vedi inoltre VII, 5: « – Voi colla scopa in mano
sembrate una regina». –oro contante: non comune (manca attestazione
nel Battaglia) per «oro colato» (forse per influenza del francese «argent
comptant») ; ma cfr. XII, 37: «d’oro e d’argento colato». –scapaccioni:
sulla base del ms abbiamo corretto «scappaccioni» di Treves ’81. Vedi
Rosso Malpelo, p. 173: «gli faceva la ricevuta a scapaccioni».
16. non ci metteva neppure il naso alla finestra... aveva il fazzoletto
nero: in contrasto con «stava alla finestra e cambiava ogni giorno faz-
zoletti di seta» riferito alla Mangiacarrubbe; immagini e locuzioni che
ormai entrano nel tessuto testuale con specifiche connotazioni (cfr. XII,
13, 15 e soprattutto II, 12; inoltre XI, 34).

Letteratura italiana Einaudi 301


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

metteva neppure il naso alla finestra, perché non ci stava


bene, adesso che le era morta la mamma, e aveva il fazzolet-
to nero; e poi doveva anche badare a quella piccina, e farle
da mamma, e non aveva chi l’aiutasse nelle faccende di casa,
tanto che doveva andare anche al lavatoio, e alla fontana, e
a portare il pane agli uomini, quando erano a giornata; sic-
chè non era più come Sant’Agata, quando nessuno la vede-
17 va, e stava sempre al telaio. Adesso aveva poco tempo da
stare al telaio. Don Michele, dal giorno che la Zuppidda
s’era messa a predicare sul ballatoio, colla conocchia in
mano, che voleva cavargli gli occhi con quella conocchia, se
tornava a bazzicar da quelle parti per la Barbara, passava e
ripassava per la strada del Nero dieci volte al giorno, onde
mostrare che non aveva paura della Zuppidda né della sua
conocchia; e quando arrivava alla casa dei Malavoglia, ral-
lentava il passo e guardava dentro, per vedere le belle ragaz-
ze che crescevano nella casa dei Malavoglia.
18 La sera gli uomini, tornando dal mare, trovavano ogni
cosa preparata; la pentola che bolliva, e la tovaglia sul desco;
oramai quel desco era troppo grande per loro, e ci si perde-
vano. Chiudevano l’uscio e mangiavano in santa pace. Poi si
mettevano a sedere sulla porta, coi ginocchi fra le braccia, e
si riposavano della giornata. Almeno non mancava nulla, e
19 non toccavano più i denari della casa. Padron ’Ntoni aveva
sempre la casa davanti agli occhi, là vicino, colle finestre
chiuse, e il nespolo che si affacciava sul muro del cortile.
Maruzza non aveva potuto morire in quella casa; né egli
forse vi sarebbe morto; ma i denari cominciavano a raggra-
nellarsi, e i suoi ragazzi ci sarebbero tornati un giorno, ora
che Alessi cominciava a farsi uomo anche lui, ed era un
buon figliuolo della pasta dei Malavoglia. Quando poi

17. colla conocchia in mano: cfr. VII, 38: «la Zuppidda, la quale era
sempre lì, a soffiare nel fuoco, colla conocchia in mano». Vedi inoltre
II, 16.

Letteratura italiana Einaudi 302


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

avrebbero maritato le ragazze e ricomperata la casa, se pote-


vano metter su anche la barca, non avevano più nulla a desi-
derare, e padron ’Ntoni avrebbe chiuso gli occhi contento.
20 La Nunziata e la cugina Anna venivano anche loro a
sedersi lì accanto sui sassi, a chiacchierare dopo cena con
quei poveretti, che erano rimasti soli e derelitti anch’essi,
talché sembrava fossero parenti. La Nunziata pareva che
fosse a casa sua, e ci conduceva i suoi piccini, come la chioc-
cia. Alessi, seduto accanto a lei le diceva: – O che l’hai fini-
ta oggi la tua tela? – oppure: – Lunedì ci andrai a vendem-
miare da massaro Filippo? Ora che viene il tempo delle
ulive avrai sempre da buscartela la tua giornata, anche se
non hai roba da lavare; e potrai condurvi il tuo fratellino,
che ora glieli daranno due soldi al giorno. – La Nunziata,
seria seria, gli raccontava tutti i suoi progetti, e gli doman-
dava dei consigli, e ragionavano insieme in disparte, come se
avessero già i capelli bianchi. – Hanno imparato presto per-
ché hanno visti guai assai! diceva padron ’Ntoni: il giudizio
viene colle disgrazie. – Alessi, coi ginocchi fra le braccia, al
pari del nonno anche lui, domandava alla Nunziata:
21 – Mi vorrai per marito quando sarò grande?
– Ancora c’è tempo; rispondeva lei.
– Sì, c’è tempo, ma è meglio pensarci adesso, così saprò
quel che devo fare. Prima bisogna maritare la Mena, e la Lia,
quando sarà grande anche lei. Lia comincia a voler le vesti
lunghe e i fazzoletti colle rose, e tu pure ci hai i tuoi ragazzi
da situare. Bisogna arrivare a comprare la barca; la barca poi

20. e derelitti: aggiunto in bozze. – come la chioccia: cfr. II, 21. – guai
assai: cfr. IX, 21. – al pari del nonno: sostituisce in A: «come un gran-
de»; l’esplicito accostamento del nipote al nonno prelude al dialogo
successivo nel quale Alessi facendo propri i dettami di padron ’Ntoni
ne assume sempre più il ruolo di erede.
21. situare: corregge in A, come nella successiva occorrenza al c. 24:
«mettere a posto»; in siciliano «situari» nel senso di «dare collocamen-
to»(Mortillaro).

Letteratura italiana Einaudi 303


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

ci aiuterà a comprare la casa. Il nonno vorrebbe avere un’al-


tra volta quella del nespolo, e anche a me mi piacerebbe, ché
saprei dove andare a occhi chiusi, o di notte, senza battere
il naso; e c’è il cortile grande per gli attrezzi, e in due salti s’è
22 al mare. Poi, quando le mie sorelle saranno maritate, il
nonno verrà a stare con noi, e lo metteremo nella stanza
grande del cortile, che c’entra il sole; così quando non potrà
più venire sul mare, povero vecchio, se ne starà accanto
all’uscio nel cortile, e nell’estate ci avrà lì vicino il nespolo
per fargli ombra. Noi prenderemo la camera dell’orto, ti
piace? e ci avrai accanto la cucina: così avrai ogni cosa sotto
la mano, non è vero? Quando poi tornerà mio fratello
’Ntoni gliela daremo a lui, e noi andremo a stare sul solaio.
Tu non avrai che a scendere la scaletta per essere in cucina
o nell’orto.
23 – In cucina vuol essere rifatto il focolare, disse Nunziata.
L’ultima volta che ci cuocevo la minestra, quando la povera
comare Maruzza non aveva animo di far nulla, la pentola
bisognava tenerla su coi sassi.
– Sì, lo so! rispondeva Alessi, col mento sulle mani, e
approvando colla testa. Aveva gli occhi incantati, quasi
vedesse la Nunziata davanti al focolare, e la mamma che si
disperava accanto al letto. – Anche tu potresti andare al
buio per la casa del nespolo, tante volte ci sei stata. La
mamma diceva sempre che sei una buona ragazza.
– Ora ci hanno messo le cipolle nell’orto, e son venute
grosse come arancie.

22. nella stanza grande del cortile...: unica, e alquanto contenuta, raf-
figurazione della casa del nespolo, dove trovano comunque parziale
unità indicazioni sparse nei capitoli precedenti (cfr. ad es. VII, 24). Ma
a prevalere sullo scrupolo di una minuziosa documentazione è il poten-
ziale simbolico legato alla casa del nespolo.
23. vuol essere rifatto il focolare: sostituisce in A: «ci mettiamo il
forno»; per la costruzione «vuol essere rifatto» (‘dev’essere rifatto’), cfr.
IV, 4. – cavolifiori: più raro rispetto a ‘cavolfiori’.

Letteratura italiana Einaudi 304


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

– Che ti piacciono a te le cipolle?


– Per forza mi piacciono. Aiutano a mangiare il pane e
costano poco. Quando non abbiamo denari per la minestra
ne mangiamo sempre coi miei piccini.
– Per questo se ne vendono tante. Allo zio Crocifisso non
gliene importa di aver cavoli e lattughe, perché ci ha l’altro
orto di casa sua, e l’ha messo tutto a cipolle. Ma noi ci met-
teremo pure i broccoli, e i cavolfiori... Buoni, eh?
24 La ragazzetta, accoccolata sulla soglia, coi ginocchi fra le
braccia, guardava lontano anche lei; e poi si mise a cantare,
mentre Alessi stava ad ascoltare, tutto intento. Infine disse:
– Ma ancora c’è tempo.
– Sì, affermò Alessi, prima bisogna maritare la Mena, ed
anche la Lia, e situare i tuoi piccini. Ma è meglio pensarci
adesso.
– Quando canta la Nunziata, disse Mena, affacciandosi
sull’uscio, è segno che il giorno dopo farà bel tempo e potrà
andare al lavatoio. – La cugina Anna era nello stesso caso,
perché la sua chiusa e la sua vigna erano il lavatoio, e la sua
festa era quando aveva della roba per le mani, tanto più ora
che suo figlio Rocco faceva festa all’osteria da un lunedì
all’altro, per smaltire il malumore che gli aveva ficcato in
corpo quella civetta della Mangiacarrubbe.
25 – Ogni male non viene per nuocere, – le diceva padron
’Ntoni. – Forse in tal modo metterà giudizio, il vostro

24. guardava lontano anche lei: corregge in A: «e gli occhi incantati»,


che riprendeva «Aveva gli occhi incantati» (c. 23), riferito ad Alessi. –
situare: cfr. XII, 22.
25. Ogni male... nuocere: cfr. Pitrè, I, p. 281: «Ogni mali nun ceni pri
nociri». – ci avete viste tutte le facce care... la chiave in tasca per sempre:
la primitiva versione (non conclusa) in A era: «ci avete viste tante cose,
e sentire per la strada tutti quelli che conoscete, e che vi conoscono e
che quando li incontrate lontani dal vostro paese vi sembrano dei fra-
telli. [ ]». Dal nostalgico e consolante ricordo di persone e luoghi cono-
sciuti, della primitiva versione, al tono dolorosamente elegiaco nella rie-
vocazione di coloro «che non tornano più», della versione finale.

Letteratura italiana Einaudi 305


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

Rocco. Anche al mio ’Ntoni gli gioverà stare lontano da casa


sua; così quando tornerà, e sarà stanco di girare il mondo,
ogni cosa gli sembrerà buona, e non si lamenterà più di
tutto, e se arriviamo un’altra volta ad avere delle barche sul-
l’acqua, e a mettere i nostri letti laggiù, in quella casa, vedre-
te che bello starsi a riposare su quell’uscio, la sera quando si
toma a casa stanchi, e che la giornata è andata bene; e veder
il lume in quella camera dove l’avete visto tante volte, e ci
avete viste tutte le facce care che avete avuto al mondo. Ma
ora tanti se ne sono andati, ad uno ad uno, che non tornano
più, e la camera è buia e colla porta chiusa, come se quelli
che se ne sono andati avessero portato la chiave in tasca per
sempre.
26 – ’Ntoni non doveva andarsene! soggiunse il vecchio
dopo un pezzetto. Doveva saperlo che son vecchio, e se
muoio io quei ragazzi non hanno più nessuno.
– Se compreremo la casa del nespolo mentre egli è lonta-
no, non gli parrà vero quando tornerà, disse Mena, e verrà
a cercarci qui.
Padron ’Ntoni scosse il capo tristamente.
– Ma ancora c’è tempo! disse infine anche lui, come la
Nunziata; e la cugina Anna soggiunse:
– Se ’Ntoni torna ricco la comprerà lui la casa.
27 Padron ’Ntoni non rispondeva nulla; ma tutto il paese
sapeva che ’Ntoni doveva tornare ricco, dopo tanto tempo
ch’era andato a cercar fortuna, e molti già lo invidiavano, e
volevano lasciar ogni cosa e andarsene a caccia della fortu-
na, come lui. Infine non avevano torto, perché non lasciava-
no altro che delle donnicciuole a piagnucolare; e solo chi
non gli bastava l’animo di lasciare la sua donnicciuola, era
quella bestia del figlio della Locca, che aveva quella sorta di

27. quella sorta di madre che sapete: caso unico nel romanzo in cui il
narratore si rivolge esplicitamente al suo ‘pubblico’. Sostituisce in A:
«la madre in quello stato che sapete».

Letteratura italiana Einaudi 306


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

madre che sapete, e Rocco Spatu, il quale ce l’aveva alla


taverna, l’animo.
28 Ma per fortuna delle donnicciuole, tutt’a un tratto si
venne a sapere che era tornato ’Ntoni di padron ’Ntoni, di
notte, con un bastimento catanese, e che si vergognava di
farsi vedere senza scarpe. Se fosse stato vero che tornava
ricco, i denari non avrebbe avuto dove metterli tanto era
lacero e pezzente. Ma il nonno e i fratelli gli fecero festa
ugualmente, come se fosse venuto carico di denari, e le
sorelle gli si appesero al collo, ridendo e piangendo che
’Ntoni non conosceva più la Lia, tanto s’era fatta grande e
gli dicevano: – Ora non ci lascerai più, non è vero?
Il nonno si soffiava il naso anche lui, e brontolava: –
Adesso posso morire tranquillo, ora che quei ragazzi non
rimarranno più soli e in mezzo a una strada.
29 Ma per otto giorni ’Ntoni non ebbe il coraggio di metter
piede nella strada. Come lo vedevano tutti gli ridevano sul
naso, e Piedipapera andava dicendo: – Avete visto le ric-
chezze che ha riportato ’Ntoni di padron ’Ntoni? E quelli
che ci avevano messo un po’ di tempo a fare il fagotto, colle
scarpe e le camicie, prima di avventurarsi a quella minchio-
neria di lasciare il paese, si tenevano la pancia dal ridere.
30 Quando uno non riesce ad acchiappare la fortuna è un

28. Ma per fortuna... si venne a sapere che era tornato ’Ntoni: apertu-
ra di sequenza tutta giocata sulla ripresa di termini già presenti nel
comma precedente: «fortuna», «donnicciuole», «tornare», «sapere».
Più marcata la sottolineatura di ironico distacco nella prima stesura in
A: «Ma per fortuna delle donnicciuole che piagnuccolavano, tutt’a un
tratto, che è che non è, si seppe che era tornato ’Ntoni». – con un basti-
mento catanese... ricco: la prima versione in A: «che un bastimento l’a-
veva ricondotto da Trieste lacero e senza scarpe, e se si fosse arricchi-
to». – tanto s’era fatta grande: unico indizio per valutare approssimati-
vamente il tempo trascorso dalla partenza di ’Ntoni (negli appunti pre-
paratori sullo «Svolgimento dell’azione» l’assenza dura dal gennaio
1867 all’agosto 1869).
30. perchè quelli... rifarlo da capo: la causale lascia trasparire la rispo-
sta di ’Ntoni agli ironici commenti del villaggio, attraverso un discorso

Letteratura italiana Einaudi 307


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

minchione, questo si sa. Don Silvestro, lo zio Crocifisso,


padron Cipolla, e massaro Filippo non erano minchioni, e
tutti facevano loro festa, perché quelli che non hanno nien-
te stanno a guardare a bocca aperta i ricchi e i fortunati, e
lavorano per loro, come l’asino di compare Mosca, per un
pugno di paglia, invece di tirar calcl, e mettersi sotto i piedi
il carretto, e sdraiarsi sull’erba colle zampe in aria. Aveva
ragione lo speziale che bisognava dare un calcio al mondo
come era fatto adesso, e rifarlo da capo. Anche lui, colla sua
barbona, che predicava di cominciar da capo, era di quelli
che avevano acchiappato la fortuna, e la teneva negli scara-
battoli, e si godeva il ben di Dio stando sulla porta della bot-
tega, a chiacchierare con questo o con quell’altro, e quando
aveva pestato quel po’ d’acqua sporca nel mortaio, aveva
fatto il suo lavoro. Che bel mestiere gli aveva insegnato suo
padre a colui, di far denari coll’acqua delle cisterne! Ma a
’Ntoni suo nonno gli aveva insegnato il mestiere di romper-
si le braccia e la schiena tutto il giorno, e arrischiare la pelle,
e morir di fame, e non aver mai un giorno da sdraiarsi al sole
31 come l’asino di Mosca. Un ladro di mestiere che si mangia-
va l’anima, per la Madonna! e ne aveva fino al naso, che pre-

indiretto libero che si dilaterà anche nel successivo c. 31 e che si rivela


inizialmente anche per la presenza della similitudine «come l’asino di
compare Mosca» (cfr. anche XII, 31), che è motivo ricorrente nei
discorsi di ’Ntoni (cfr. XI, 24) e qui determina tra l’altro l’ambito
metaforico della successiva immagine: «dare un calcio al mondo». In A
«lavorano» deriva da «tirano la carretta» ( ➝ «sgobbano»). – colla sua
barbona: cfr. I, 7. – scarabattoli: «foggia di stipo munito di cristalli, dove
si conservano oggetti minuti, ma di qualche rarità» (Rigutini-Fanfani).
Cfr. XIV, 48: «[...] gli rompeva le scarabattole dover comparire […]».
– aveva pestato... nel mortaio: qui formula denigratoria con allusione
secondo l’ottica di ’Ntoni, al lavoro del farmacista, che garantisce lauti
guadagni con poca fatica. Già parzialmente anticipata (IV, 22), l’imma-
gine si trasformerà in un modulo ricorrente legato, anche se con diver-
se sfumature di significato, allo speziale (cfr. XII, 34, 39, 45; XIII, 14,
53; XV, 36, 48, 51).
31. si mangiava l’anima: esito finale di cui è possibile seguire la pro-
gressiva intensificazione in A: «stancava» ➝ «rompeva l’anima».

Letteratura italiana Einaudi 308


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

feriva fare come Rocco Spatu, il quale almeno non faceva


nulla. Già adesso non gliene importava più della Zuppidda
e della Sara di comare Tudda e di tutte le ragazze del
mondo. Esse non cercano che di pescare un marito il quale
lavori peggio di un cane per dar loro da mangiare, e com-
prarle dei fazzoletti di seta, quando si mettono sull’uscio la
domenica, colle mani sulla pancia piena. Piuttosto voleva
starci lui, colle mani sulla pancia, la domenica e il lunedì ed
anche gli altri giorni, giacché è inutile affaticarsi per nulla.
32 Così ’Ntoni faceva il predicatore, come lo speziale; alme-
no aveva imparato questo nel viaggio, ed ora aveva aperto
gli occhi, come i gattini dopo i quaranta giorni che son nati.
«La gallina che cammina torna a casa colla pancia piena». Se
non altro egli se l’era riempita di giudizio, la pancia, e anda-
va a raccontare quello che aveva imparato sulla piazza, nella
bottega di Pizzuto, ed anche all’osteria della Santuzza. Ora
non ci andava più di nascosto all’osteria della Santuzza, che
s’era fatto grande, e il nonno non gli avrebbe tirato le orec-
chie alla fin fine; ed egli avrebbe saputo rispondere il fatto
suo se gli rimproveravano di andare a cercarsi quel po’ di
bene che poteva.
33 Il nonno, poveraccio, invece di prenderlo per le orecchie,
lo prendeva colle buone. – Vedi, gli diceva, ora che sei qua

32. aveva aperto gli occhi, come i gattini... che son nati: in A è corre-
zione, con sviluppo dell’immagine, di: «almeno i viaggi hanno di buono
che fanno aprire gli occhi ai gattini». Vedi «Apreru l’occhi li gattareddi,
proverbio solito dirsi di chi avendo messo senno e acquistate nuove
cognizioni non è facile a ingannarsi più o a lasciarsi aggirare»
(Mortillaro). Cfr. anche XII, 39 e XIII, 32: «siete come i gattini con gli
occhi chiusi». – «La gallina… pancia piena»: cfr. Pitrè, I, p. 16:
«Gaddina chi camina, s’arricogghi (‘torna a casa’) cu la vozza china (‘col
gozzo pieno’)». In A: «colla pancia piena» è correzione su «col gozzo
pieno». Il proverbio nella versione a testo (ripreso anche in XII, 39) si
inserisce in una fitta trama di rimandi: anticipato da «colle mani sulla
pancia piena» al c. 31 (e poco oltre «colle mani sulla pancia») e, dopo
la sua introduzione, ripreso e fuso nel discorso: «se l’era riempita di giu-
dizio, la pancia».

Letteratura italiana Einaudi 309


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

tu ci arriveremo presto a fare i denari della casa, – gli canta-


va sempre la canzone della casa. – Lo zio Crocifisso ha detto
che non la darà ad altri. Tua madre, poveretta, non ha potu-
to morirci, lei! Sulla casa potremo anche dare la dote a
Mena. Poi, coll’aiuto di Dio, metteremo su un’altra barca;
perché, devo dirtelo, alla mia età l’è dura andare a giornata,
e vedersi comandare a bacchetta, quando si è stati padroni.
Anche voialtri siete nati padroni. Vuoi che compriamo
prima la barca coi denari della casa? Ora sei grande, e devi
dirla anche tu la tua parola, perché devi avere più giudizio
di me, che son vecchio. Cosa vuoi fare?
34 Nulla voleva fare, lui! Che gliene importava della barca e
della casa? Poi veniva un’altra malannata, un altro colèra, un
altro guaio, e si mangiava la casa e la barca, e si tornava di
nuovo a fare come le formiche. Bella cosa! E poi quando si
aveva la casa e la barca, che non si lavorava più? o si man-
giava pasta e carne tutti i giorni? Mentre laggiù, dov’era
stato lui, c’era della gente che andava sempre in carrozza,
ecco quello che faceva. Gente appetto dei quali don Franco
ed il segretario lavoravano come tanti asini a sporcar cartac-
ce, e a pestare l’acqua sporca nel mortaio. Almeno voleva
sapere perché al mondo ci doveva essere della gente che se
la gode senza far nulla, e nasce colla fortuna nei capelli, e
degli altri che non hanno niente, e tirano la carretta coi denti
per tutta la vita?
35 Poi quella storia d’andare a giornata non gli andava affat-

34. guaio: in Treves ’81: «guajo», senz’altro sfuggito all’autore nella


correzione delle bozze alla sistematica eliminazione del grafema ‘j’, che
si riscontra nel passaggio dal ma alla stampa. – appetto: ‘a paragone’. –
a pestar l’acqua sporca nel mortaio: qui nell’accezione più comune (cfr.
XII, 30) di ‘affaticarsi senza profitto’; vedi «Pistari l’acqua ntra lo mur-
taru modo proverbiale, vale ‘perdere il tempo e la fatica in cosa che non
sia per sortire buono effetto’» (Mortillaro). – colla fortuna nei capelli:
cfr. «La furtuna lu pigghia pri li capiddi dicesi di ‘colui a cui tutte le cose
vanno prospere’» (Mortillaro).
35. soprastante: «colui che ha cura e soprantendenza delle posses-
sioni altrui, custode, guardiano» (Mortillaro)

Letteratura italiana Einaudi 310


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

to, a lui ch’era nato padrone, I’aveva detto anche il nonno.


Vedersi comandare a bacchetta, da gente che erano venuti
su dal nulla che tutti lo sapevano, in paese, come avevano
fatto i loro denari a soldo a soldo, sudando ed affaticando-
si! A giornata ci andava proprio perché il nonno ve lo con-
duceva, e non gli bastava ancora l’anima di dir di no. Ma
quando il soprastante gli stava addosso come un cane, e gli
gridava dalla poppa: – Oh! laggiù, ragazzo! che facciamo?
gli veniva voglia di dargli del remo sulla testa, e preferiva
starsene ad aggiustare le nasse, e rifare le maglie delle reti,
seduto sulla riva, colle gambe distese, e la schiena appoggia-
ta ai sassi; che allora se pure stava un momento colle mani
sotto le ascelle nessuno diceva nulla.
36 Là veniva anche a stirarsi le braccia Rocco Spatu, e Vanni
Pizzuto, quando non aveva che fare, fra una barba e l’altra,
ed anche Piedipapera, che era il suo mestiere di chiacchie-
rare con questo e con quello per cercare le senserie. E si
discorreva di ciò che succedeva in paese, di quello che
donna Rosolina aveva raccontato a suo fratello, sotto il sigil-
lo della confessione, quando era stato il tempo del colèra,
che don Silvestro le aveva truffato le 25 onze, e non poteva
andare dal giudice, perché le 25 onze donna Rosolina le
aveva rubate a suo fratello il vicario, e si sarebbe saputo il
motivo per cui aveva dato in mano a don Silvestro quel
denaro, per sua vergogna.
– Poi, osservò Pizzuto, donde l’erano venute le 25 onze a
donna Rosolina? «Roba rubata non dura».

36. Là veniva... Rocco Spatu, e Vanni Pizzuto... ed anche Piedipapera:


accordo del verbo al singolare con più soggetti; cfr. I, 20. In A: «Là
venivano a trovarlo Vanni Pizzuto...» – sotto il sigillo della confessione:
cfr. X, 54. – dato: in Treves ’81, per evidente refuso: «date», concorda-
to con «onze», ma non corretto quando in bozze si introduce il nuovo
complemento oggetto: «quel denaro». – «Roba rubata non dura»: cfr.
Pitrè, II, pp. 281-82: «La robba arrubbata nun fa lustru» e «La robba
d’autru poco dura». – glieli: in Treves ’81 erroneamente: «gliele».

Letteratura italiana Einaudi 311


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

– Almeno erano sempre nella casa, diceva Spatu; se mia


madre avesse 12 tarì, e glieli prendessi, che passerei per
ladro?
37 Di ladro in ladro vennero a parlare di zio Crocifisso, il
quale aveva perso più di trenta onze, dicevano, con tanta
gente che era morta di colèra, e gli erano rimasti i pegni. Ora
Campana di legno, per non saper che fare di tutti quegli
anelli e di tutti quegli orecchini rimastigli in pegno, si mari-
tava con la Vespa; la cosa era certa, che l’avevano visto per-
sino andare a farsi scrivere al Municipio, presente don
Silvestro. – Non è vero che se la piglia per gli orecchini,
diceva Piedipapera, il quale poteva saperlo. Gli orecchini e
le collane alla fin fine sono d’oro e d’argento colato, e avreb-
be potuto andare a venderli alla città; anzi ci avrebbe gua-
dagnato il tanto per tanto sui denari che ha dati. Se la piglia
perché la Vespa gli fece vedere e toccare con mano che stava
per andare dal notaio, con compare Spatu, ora che la
Mangiacarrubbe s’è tirato in casa Brasi Cipolla. Scusate
veh! compare Rocco.
38 – Niente niente, compare Tino; – rispose Rocco Spatu. –
A me non me ne importa; perché chi si fida di quelle cana-
glie di femmine, è un porco. Per me la mia innamorata è la
Santuzza, che mi fa credenza quando voglio; e ne vuol due
delle Mangiacarrubbe nella sua bilancia! con quel petto, eh!
compare Tino!
– «Ostessa bella conto caro!» disse Pizzuto sputacchian-
do.
– Cercano il marito per farsi mantenere da lui! aggiunse
’Ntoni. Tutte le stesse! – E Piedipapera seguitò: – Lo zio

37. a farsi scrivere al Municipio: per le pubblicazioni di matrimonio.


– stava per andare dal notaio: per stipulare il contratto di nozze.
38. quelle canaglie: corregge in A: «queste carogne»; cfr. XII, 44. –
«Ostessa bella conto caro!»: cfr. Pitrè, I, p. 312: «Bedda ostissa, caro
cuntu». –ricco come un maiale: cfr. VI, 2. –alla sua barba: anche in sici-
liano: «A la varva mia, tua, ecc. [...] vagliono ‘a malgrado, in danno, in
dispetto’» (Mortillato).

Letteratura italiana Einaudi 312


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

Crocifisso allora corse trafelato dal notaio, che aveva il fiato


ai denti. Così se la piglia la Vespa.
– Bella sorte, eh? quella della Mangiacarrubbe! esclamò
’Ntoni.
– Brasi Cipolla, da qui a cent’anni che muore suo padre,
se Dio vuole, sarà ricco come un maiale, disse Spatu.
– Adesso suo padre fa il diavolo, ma col tempo chinerà il
capo. Non ha altri figli, e non gli resta altro che maritarsi se
non vuole che la sua roba se la goda la Mangiacarrubbe alla
sua barba.
– Io ci ho gusto, conchiuse ’Ntoni. – La Mangiacarrubbe
non ha niente. O perché padron Cipolla deve essere ricco
soltanto lui?
39 Qui prese parte al discorso lo speziale, il quale veniva a
fumare la sua pipa sulla riva, dopo desinare, e pestava l’ac-
qua nel mortaio che così il mondo non andava bene, e biso-
gnava buttare in aria ogni cosa, e rifar da capo. Ma con quel-
la gente lì, era proprio come pestar l’acqua nel mortaio. Il
solo che ne capisse qualche cosa era ’Ntoni, che aveva visto
il mondo, e aveva aperto un po’ gli occhi come i gattini; da
soldato gli avevano insegnato a leggere, perciò andava anche
lui sulla porta della spezieria, a sentire quello che diceva il

39. pestava l’acqua nel mortaio… era proprio come pestar l’acqua nel
mortaio: ripresa a distanza ravvicinata, ma con diversa accezione, di
un’espressione che ha ormai assunto valore di modulo (cfr. XII, 30): nel
primo caso riflette il giudizio del villaggio sui discorsi dello speziale,
che appaiono come la monotona rassegna di luoghi comuni, nel secon-
do caso, attraverso l’impiego dell’indiretto libero, la formula è fatta
propria dallo speziale, con allusione all’improba fatica della sua opera
di ‘educatore politico’. – aveva aperto... gattini: cfr. XII, 32. – a sentire
quello che diceva il giornale...: la primitiva versione del brano (fino alla
fine del c. 40: «... avrebbe dovuto andare come era scritto là») era in A:
«a parlar di politica, che lo speziale era sinceramente democratico, e
non aveva i fumi che aveva sua moglie se ci stava a discorrere con della
gente a piedi nudi, purchè non li mettessero sui regoli delle scranne – e
stava a seguire la politica sillaba per sillaba, coll’indice sui giornali vec-
chi che lo speziale gli prestava». – i fumi: ‘la superbia’.

Letteratura italiana Einaudi 313


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

giornale, e a chiacchierare collo speziale, il quale era un


buon diavolaccio con tutti, e non aveva pel capo i fumi di
sua moglie, la quale lo sgridava: – O tu perché t’immischi
negli affari che non ti riguardano?
40 Le donne bisogna lasciarle dire, e far le cose di nascosto;
diceva don Franco appena la Signora se ne saliva nelle sue
stanze. Lui non aveva difficoltà di starsene in sinedrio anche
con quelli senza scarpe purché non mettessero i piedi sui
regoli delle scranne, e spiegava loro parola per parola quel-
lo che diceva il giornale, mettendoci il dito, che il mondo
avrebbe dovuto andare come era scritto là.
41 Don Franco, arrivando sul greto quando gli amici teneva-
no quei discorsi, ammiccava a ’Ntoni Malavoglia, il quale
rimendava le maglie delle reti colle gambe distese e la schie-
na appoggiata ai sassi, e gli faceva dei cenni col capo, scuo-
tendo la barbona in aria. – Eh! bella giustizia che certuni
abbiano a rompersi la schiena contro i sassi, e degli altri stia-
no colla pancia al sole, a fumar la pipa, mentre gli uomini
dovrebbero essere tutti fratelli, l’ha detto Gesù, il più gran
rivoluzionario che ci sia stato, e i suoi preti al giorno d’oggi
fanno i birri e le spie! Non lo sapevano che l’affare di don
Michele colla Santuzza l’aveva scoperto don Giammaria,
nella confessione?
42 – Altro che don Michele! La Santuzza ci ha massaro
Filippo e don Michele ronza sempre per la via del Nero,
senza nessuna paura di comare Zuppidda e della sua conoc-
chia! Lui ci ha la pistola.
– Tutte e due vi dico! Coteste che si confessano ogni
domenica hanno il sacco grande da metterci i peccati; per
questo la Santuzza porta la medaglia sul petto! per coprire
le porcherie che ci stan sotto.

40. Le donne… nascosto: cfr. II, 8. – sinedrio: cfr. X, 98. – regoli delle
scranne: le traverse tra le gambe delle sedie.
41. scuotendo la barbona in aria: cfr. I, 7.
42. farla cascare... matura: cfr. VIII, 8.

Letteratura italiana Einaudi 314


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

– Don Michele perde il tempo colla Zuppidda; il segreta-


rio ha detto che vuol farla cascare coi suoi piedi come una
pera matura.
– Ma sì! Intanto don Michele si diverte colla Barbara, e
con le altre che stanno nella via. – Lo so io – e ammiccava di
soppiatto a ’Ntoni. – Non ha niente da fare, e ogni giorno
ha i suoi quattro tarì di soldo.
43 – Quello che dico sempre! ripeteva lo speziale tirandosi la
barba. – Tutto il sistema è così; pagar degli sfaccendati per
non far niente, e farci le corna, a noi che li paghiamo! ecco
cos’è. Della gente che ha quattro tarì al giorno per stare a
passeggiare sotto le finestre della Zuppidda; e don
Giammaria che si pappa la lira al giorno per confessare la
Santuzza, e sentire le porcherie che gli racconta; e don
Silvestro che... so io! e mastro Cirino che è pagato per rom-
perci gli stivali colle sue campane, ma i lumi poi non li
accende, e si mette in tasca l’olio, ché, lì, al municipio poi ci
son altre porcherie! in fede mia! E volevano far casa nuova
di tutti nella baracca, ma poi si sono intesi un’altra volta,
don Silvestro e gli altri, e non ne hanno parlato più... Tale e
quale come quegli altri ladri del Parlamento, che chiacchie-
rano e chiacchierano fra di loro: ma ne sapete niente di quel
che dicono? Fanno la schiuma alla bocca, e sembra che

43. farci le corna: ‘prendersi gioco di noi’, ma anche nel senso più
comune di ‘corteggiare le nostre donne’, con implicito riferimento a
don Michele. – romperci gli stivali colle sue campane: le varianti del ms
evidenziano il progressivo acquisto di espressività: «romperci la testa
colle sue campane» ➝ «suonare le campane». – far casa nuova…
baracca: ‘togliere di mezzo quelli della consorteria’; baracca secondo la
spiegazione del Petrocchi, vale in senso figurato «istituzione che non
può durare» o meglio «sistema in cui non si ha fiducia, perchè non si
vedono elementi di stabilità e di durata» (Fanfani). Cfr. anche XIII, 55.
– vesciche: ‘chiacchiere inutili, apparenze’. Cfr. anche il proverbio sici-
liano «Vinniri (‘vendere’) vissichi pri lanterni» nel senso di «dare ciarle,
ingannare mostrando una cosa per un’altra» (Mortillaro). Corregge in
A: «lustre», cioè «apparenze per nascondere il vero» (Rigutini-
Fanfani).

Letteratura italiana Einaudi 315


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo dodicesimo

vogliano prendersi per capelli di momento in momento, ma


poi ridono sotto il naso dei minchioni che ci credono. Tutte
vesciche pel popolo che paga i ladri e i ruffiani, e gli sbirri
come don Michele.
44 – Che bella cosa, disse ’Ntoni, quattro tarì al giorno per
andare a passeggiare di qua e di là. Io vorrei essere guardia
doganale.
– Ecco! ecco! esclamò don Franco cogli occhi che schiz-
zavano dalla testa. – Vedete la conseguenza del sistema! La
conseguenza è che tutti diventano canaglie. Non vi offende-
te compare ’Ntoni. «Il pesce puzza dalla testa». Anch’io
sarei come voi, se non avessi studiato, e non avessi quel
mestiere da guadagnarmi il pane.
45 Infatti dicevano che era un bel mestiere quello che gli
aveva insegnato suo padre allo speziale, di pestare nel mor-
taio, e di far denari coll’acqua sporca; mentre c’era gente
che doveva cuocersi le corna al sole, e cavarsi gli occhi colle
maglie delle reti, e prendersi il granchio alle gambe e alla
schiena per guadagnarsi dieci soldi; e così lasciarono le reti
e le chiacchiere, e se ne tornarono all’osteria sputacchiando
per la strada.

44. La conseguenza... canaglia: la primitiva versione era in A: «La


conseguenza è di prostituire proprio noi gli uomini; ( ➝ di corrom-
pere gli uomini, di abbassare il carattere [ ]) diventano come le don-
nacce, quando cominciano a ruzzolare non si fermano più». Questa
lezione viene sostituita da «Le consequenze sono che tutti diventano
carogne»; in bozze poi avverrà la correzione «carogne» ➝ «canaglia»
(secondo la definizione del Rigutini-Fanfani: «Gente della plebe, senza
principi di civiltà e pronta alle ribalderie»). – «Il pesce... testa»: ‘il cat-
tivo esempio viene dall’alto’; cfr. Pitrè, II, p. 337: «Di la testa feti lo
pisci».
45. pestare... sporca: cfr. XII, 30. – cuocersi... sole: ‘lavorare dura-
mente sotto il sole’; cfr. per contrasto XII, 41: «Eh! bella giustizia che
certuni abbiano a rompersi la schiena contro i sassi, e degli altri stiano
colla pancia al sole, a fumar la pipa». – granchio: ‘crampo’, «contrazio-
ne dolorosa dei muscoli» (Petrocchi).

Letteratura italiana Einaudi 316


XIII

1 Padron ’Ntoni, come il nipote gli arrivava a casa ubbria-


co, la sera, faceva di tutto per mandarlo a letto senza che gli
altri se ne avvedessero, perché questo non c’era mai stato
nei Malavoglia, e gli venivano le lagrime agli occhi. La notte,
quando si alzava e chiamava Alessi per andare al mare,
lasciava dormire l’altro; tanto non sarebbe stato buono a
nulla. ’Ntoni da prima se ne vergognava, e andava ad aspet-
tarli sulla riva appena tornavano, colla testa bassa. Ma a
poco a poco ci fece il callo, e diceva fra di sé: – Così doma-
ni faremo ancora domenica!
2 Il povero vecchio cercò tutti i mezzi di toccargli il cuore e
di nascosto gli fece persino esorcizzare la camicia da don
Giammaria, e spese tre tarì. – Vedi! Gli diceva, questo non
c’è mai stato nei Malavoglia! Se tu prendi la mala strada di
Rocco Spatu, tuo fratello e le tue sorelle ti verranno dietro.
«Una mela fradicia guasta tutte le altre», e quei soldi che

1. gli arrivava... ubbriaco: il tema del progressivo traviamento di


’Ntoni è annunciato fin dall’apertura di capitolo, che riprende la fine
del XII («se ne tornarono all’osteria sputacchiando per la strada»).
2. toccargli il cuore: cfr. XIII, 4, 9. Un leitmotiv nel capitolo, antici-
pato da XI, 11. –«Una mela... altre»: cfr. Pitrè, I, p. 240: «Lu pomo frà-
diciu guasta tutti l’autri». – andranno in fumo: in Treves ’81: «anderan-
no in fumo»; ma in A: «andranno in fumo» ( ➝ «sfumeranno»). –
«Per un pescatore... barca»: cfr. Pitrè, I, p. 243: «Pri un piccaturi si perdi
la navi»; in questa versione il proverbio è trascritto da Verga nella lista
che compare fra gli appunti di lavoro; con il duplice intervento dell’au-
tore («peccatore» ➝ «pescatore»; «nave» ➝ «barca») il proverbio si
adegua allo specifico contesto, forse anche per analogia con «Un mona-
co fa perdiri un cunventu», che nel Pitrè precede immediatamente.

Letteratura italiana Einaudi 317


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

abbiamo messo insieme con tanto stento se ne andranno in


fumo. «Per un pescatore si perde la barca», e allora che fare-
mo?
3 ’Ntoni restava a capo chino, o brontolava fra i denti; ma
l’indomani tornava da capo, e una volta glielo disse: – Che
volete? almeno quando non sono più in sensi non penso alla
mia disgrazia.
– Che disgrazia! Tu hai la salute, sei giovane, sai il tuo
mestiere, che ti manca? Io che son vecchio, e tuo fratello che
è ancora ragazzo, ci siamo tirati su dal fosso. Ora se tu voles-
si aiutarci, torneremo ad essere quelli che eravamo, se non
più col cuore contento, perché quelli che sono morti non
tornano più, almeno senza altre angustie; e tutti uniti, come
devono stare le dita della mano, e col pane in casa. Se io
chiudo gli occhi come resterete voi altri? Adesso, vedi, mi
tocca d’aver paura, ogni volta che c’imbarchiamo per andar
lontano. E son vecchio!...
4 Quando il nonno riesciva a toccargli il cuore, ’Ntoni si
metteva a piangere. I fratelli, che sapevano tutto, si rincan-
tucciavano, appena lo sentivano venire, come ei fosse un
estraneo, o quasi avessero paura di lui; e il nonno, col rosa-
rio in mano, borbottava: – O anima benedetta di
Bastianazzo! O anima di mia nuora Maruzza! fatelo voi il
miracolo! – Come Mena lo vedeva arrivare colla faccia pal-
lida e gli occhi lustri, gli diceva: – Entra da questa parte, che

3. non sono più in sensi: ‘sono ubriaco’ (cfr. XIII, 1); cfr. X, 37:
«sono in sensi». – tirati su dal fosso: locuzione che varia «tirarsi fuori dal
pantano» (XI, 24); vedi per contrasto il siciliano «Jiri a lu fossu» che
serve «ad indicare una pessima posizione, dalla quale non è agevole
uscire» (Mortillaro). – senza altre angustie... dita della mano: ripresa del
proverbio di I, 3. In A è correzione di: «tranquilli, tutti insieme». – col
pane in casa: cfr. XII, 10: «si contenterebbe di poco, chè son proprio
senza pane». – Se io chiudo gli occhi... altri?: corregge in A: «E se io
morissi come restereste?»
4. toccargli il cuore: cfr. XIII, 2. – come ei fosse un estraneo: cfr. XI,
47.

Letteratura italiana Einaudi 318


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

ci è il nonno! – E lo faceva entrare dalla porticina della cuci-


na; poi si metteva a piangere cheta cheta accanto al focola-
re; tanto che ’Ntoni disse alla fine: – Non voglio andarci più
5 all’osteria, neanche se m’ammazzano! E tornò a lavorare di
buonavoglia come prima; anzi, si alzava prima degli altri, e
andava ad aspettare il nonno alla marina, che ci volevano
due ore a far giorno, i Tre Re erano ancora alti sul campani-
le del villaggio, e i grilli si udivano trillare nelle chiuse come
se fossero lì accanto. Il nonno non ci capiva più nella cami-
cia dalla contentezza; andava chiacchierando con lui onde
provargli come gli volesse bene, e fra di sé diceva: – Son l’a-
nime sante di sua madre e di suo padre che hanno fatto il
miracolo.
6 Il miracolo durò tutta la settimana, e la domenica ’Ntoni
non volle nemmeno andare in piazza, per non vedere l’oste-
ria da lontano e gli amici che lo chiamavano. Ma si rompe-
va le mascelle a sbadigliare tutto quel giorno in cui non
aveva nulla da fare, e non finiva più. Oramai non era un
ragazzo per passare il tempo ad andare per le ginestre nella
sciara, cantando come suo fratello Alessi e la Nunziata, o a
spazzare la casa come Mena, e nemmeno un vecchio come il
nonno per divertirsi ad accomodare i barilotti sfondati, e le

5. buonavoglia: a prevalere in questo caso è senz’altro il senso pro-


prio, ma non va tralasciata la ricchezza di risonanze che il termine sug-
gerisce, innanzitutto per il gioco col nomignolo della famiglia, e con
antifrasi opposta a quella presente in ‘Malavoglia’, può indicare ironi-
camente «chi non ha voglia di far nulla» (Petrocchi); inoltre è anche
termine specifico del linguaggio marinaresco riferito a un «uomo che
serve al remo non forzato, ma per mercede» (Fanfani). – che ci voleva-
no... villaggio: cfr. VI, 8: «ci volevano due ore per l’alba, e ’Ntoni avreb-
be preferito starsene ancora un po’ sotto le coperte; allorchè uscì fuori
nel cortile sbadigliando, il tre bastoni era ancora alto verso l’Ognina,
colle gambe in aria, la Puddara luccicava dall’altra parte». – non ci capi-
va più nella camicia: ‘non entrava più nella camicia’; cfr. Jeli il pastore,
p. 166: «non capiva nei panni nuovi dalla contentezza».
6. passare il tempo: corregge in A: «trastullarsi». – andare per: ‘anda-
re a raccogliere’.

Letteratura italiana Einaudi 319


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

7 nasse sfasciate. Egli restò seduto accanto alla porta nella


strada del Nero, che non ci passava nemmeno una gallina, e
sentiva le voci e le risate all’osteria. Tanto che andò a dor-
mire per non sapere che fare, e il lunedì tornò a fare il muso
lungo. Il nonno gli diceva: – Per te sarebbe meglio che non
venisse la domenica; perché il giorno dopo sei come se fossi
malato. Ecco quello che era meglio per lui, che non venisse
mai la domenica! e gli cascava il cuore per terra a pensare
che tutti i giorni fossero dei lunedì. Sicché, quando tornava
dal mare, la sera, non aveva voglia nemmeno d’andare a dor-
mire, e si sfogava a scorrazzare di qua e di là colla sua disgra-
zia, tanto che infine venne a capitare di nuovo all’osteria.
8 Prima, allorché tornava a casa malfermo sulle gambe, si
ficcava dentro mogio mogio, facendosi piccino e balbettan-
do delle scuse, o almeno non fiatava. Ma ora alzava la voce,
litigava colla sorella se l’aspettava sull’uscio, colla faccia pal-
lida e gli occhi gonfi, e se gli diceva sottovoce d’entrare dalla
cucina che in casa c’era il nonno. – A me non me ne impor-
ta! rispondeva. Il giorno dopo si levava stravolto e di catti-
vo umore; e cominciava a gridare e bestemmiare dalla mat-
tina alla sera.

7. cascava... terra: analoga all’espressione siciliana: «cadiri la facci


nterra» nel senso di «venir meno l’ardite» (Mortillaro). Cfr. anche XIII,
17: «le Cascavano le braccia […]». –scorazzare: così Treves ’81; cfr. Jeli
il pastore, pp. 141 e 146; Vita dei campi ed. 1880: «scorazzavano» ➝
«scorrazzavano» ed. 1897. – tanto che infine... osteria: la parola chiave
«osteria» chiude sintomaticamente un paragrafo che si era aperto con
«miracolo»: è l’inesorabile ricaduta nella tentazione dopo un suo appa-
rente superamento iniziale. I tempi psicologici sono scanditi all’interno
di un mirabile paragrafo (commi 6 e 7) dalla triplice iterazione di «oste-
ria»: dapprima intesa luogo di perdizione da evitare («per non vedere
l’osteria»), luogo che continua comunque a esercitare su ’Ntoni una
forte attrazione («e sentiva le voci e le risate all’osteria»), infine, ritar-
data e sospinta sempre più in là quasi a suggerire il desiderio di non
cedere alla tentazione, compare in clausola di periodo a segnare il pre-
vedibile superamento di ogni resistenza.

Letteratura italiana Einaudi 320


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

9 Una volta successe una brutta scena. Il nonno, non sapen-


do più che fare per toccargli il cuore, l’aveva tirato nell’an-
golo della cameruccia, ad usci chiusi, perché non udissero i
vicini, e gli diceva, piangendo come un ragazzo, il povero
vecchio: – Oh ’Ntoni! non ti rammenti che qui c’è morta tua
madre? Perché vuoi darle questo dolore a tua madre, di
vederti fare la riescita di Rocco Spatu? Non lo vedi come
stenta e si affatica la povera cugina Anna per quell’ubbria-
cone di suo figlio? e come piange alle volte, allorché non ha
pane da dare agli altri suoi figliuoli e non le basta il cuore di
ridere? «Chi va col lupo allupa» e «chi pratica con zoppi
all’anno zoppica». Non ti rammenti quella notte del colèra
che eravamo qui tutti davanti a quel lettuccio, ed ella ti rac-
10 comandava Mena e i ragazzi? – ’Ntoni piangeva come un
vitello slattato, e diceva che voleva morire anche lui; ma poi
adagio adagio tornava all’osteria, e la notte, invece di venire
a casa, andava per la via, fermandosi dietro gli usci, colle
spalle appoggiate al muro, stanco morto, insieme a Rocco
Spatu e a Cinghialenta; e si metteva a cantare con loro, per
scacciare la malinconia.

9. il povero vecchio: chiude circolarmente con valore appositivo il


periodo iniziatosi con «Il nonno», rivelando nella sottolineatura pateti-
ca la presenza del narratore-autore (cfr. anche l’iniziale «Una volta suc-
cesse una brutta scena»). – la riescita di Rocco Spatu: il personaggio è
ormai assunto per antonomasia come esempio negativo; corregge in A:
«la rovina tua e dei tuoi fratelli». – non le basta il cuore di ridere: impli-
cito il richiamo all’appellativo legato al personaggio: «Cuor contento»
(cfr. XI, 9). – «Chi va... allupa»: cfr. Pitrè, I, p. 232: «Cui va cu li lupi,
allupa (‘diventa simile a un lupo’)». – «chi pratica... zoppica»: cfr. Pitrè,
I, p. 233: «Cui prattica cu li zoppi, all’annu zuppìa».
10. vitello slattato: ‘svezzato’. In A: «vitello orfano», che rimanda al
siciliano «gridari comu un viteddu orfanu», nel senso di «mettere strilli
acuti e disperati» (Mortillaro). In uno dei primi abbozzi del romanzo
(M 3, p. 79) compariva un’immagine analoga: «allorchè i dolori lo pren-
devano più forti del solito pareva di avere a bordo un cagnolino svez-
zato che si conducesse a spasso». Vedi anche XV, 63: «vitello vagabon-
do» e Mastro-don Gesualdo, I, IV, p. 119: «simile a un vitello infuriato».

Letteratura italiana Einaudi 321


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

11 Infine il povero padron ’Ntoni non osava più mostrarsi


per le strade dalla vergogna. Il nipote invece, per evitare le
prediche, veniva a casa colla faccia scura; così non gli rom-
pevano la devozione con le solite prediche. Già le prediche
se le faceva da se stesso, a voce bassa, ed era tutta colpa della
sua disgrazia che l’aveva fatto nascere in quello stato.
12 E andava a sfogarsi collo speziale e con altri di quelli che
avevano un po’ di tempo per chiacchierare dell’ingiustizia
sacrosanta che ci è a questo mondo in ogni cosa; che se uno
va dalla Santuzza, per dimenticare i suoi guai, si chiama
ubbriacone; mentre tanti altri si ubbriacano a casa di vino
buono non hanno guai per la testa, né nessuno che li rim-
proveri o faccia loro la predica di andare a lavorare, giacché
non hanno nulla da fare, e son ricchi per due; eppure tutti
siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognuno dovrebbe
avere la sua parte egualmente. – Quel ragazzo lì ha del talen-
to! diceva lo speziale a don Silvestro, e a padron Cipolla, e
a chi voleva sentirlo. – Vede le cose all’ingrosso, così alla car-

11. veniva a casa colla faccia scura: corregge in A: «le preveniva [le
prediche] mostrandosi burbero». Cfr. XIII, 64: «a discorrere sottovoce
fra di loro, colla faccia scura». –rompevano la devozione: «traduce un’e-
spressione tipicamente siciliana, registrata dal Trama: «Nun mi rumpiri
la divuziuni» , modo basso per dire, ‘non mi seccare’ «(Carnazzi).
12. sfogarsi: corregge in A: «sbavazzare» ➝ «predicare». – dell’in-
giustizia sacrosanta che ci è...: l’opera di ‘educazione politica’ dello spe-
ziale dà i suoi frutti, nelle parole infatti di ’Ntoni, riportate in indiretto
libero, si avverte in trasparenza l’uso di un linguaggio mutuato dallo
speziale, fatta salva ovviamente la diversa ‘intonazione’ che distingue il
maestro dall’allievo: «tutti siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognu-
no dovrebbe avere la sua parte egualmente» / «gli uomini dovrebbero
essere tutti fratelli, l’ha detto Gesù il più grande rivoluzionario che ci
sia stato...» (XII, 41). – Quel ragazzo lì ha del talento... lascia nell’igno-
ranza: l’apprezzamento di don Franco non può mancare per chi rivela
di aver assimilato la sua ‘lezione’. La primitiva versione del passo in A:
«’Ntoni Malavoglia ha del talento, diceva lo speziale a Don Silvestro, e
a padron Cipolla, e a chi voleva sentirlo, ma non vede che gli interessi
materiali, ai grandi principi, all’idea non ci arriva ancora, tutta colpa del
governo che lo lascia nell’ignoranza».

Letteratura italiana Einaudi 322


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

lona, ma il sugo c’è; non è colpa sua se non sa esprimersi


meglio; è colpa del governo che lo lascia nell’ignoranza.
13 Per istruirlo gli portava il Secolo e la Gazzetta di Catania.
Però ’Ntoni si seccava a leggere; prima di tutto perché era
una fatica, e quand’era soldato gli avevano insegnato a leg-
gere per forza; ma adesso era libero di fare quello che gli
pareva e piaceva, e aveva un po’ dimenticato come si cucio-
no inisieme le parole nello scritto. Poi tutte quelle chiac-
chiere stampate non gli mettevano un soldo in tasca.
Che gliene importava a lui? Don Franco glielo spiegava
lui perché avrebbe dovuto importargliene; e quando passa-
va don Michele per la piazza, glielo indicava colla barbona,
ammiccando, e gli spifferava sottovoce che passava per
donna Rosolina anche quello, ora che aveva sentito come
donna Rosolina avesse dei denari, e li dava alla gente per
farsi sposare.
14 – Bisogna cominciare dal levarci dai piedi tutti costoro col
berretto gallonato. Bisogna far la rivoluzione. Ecco quello
che bisogna fare!
– E voi cosa mi date per fare la rivoluzione?
Don Franco allora si stringeva nelle spalle, e se ne andava
indispettito a pestare l’acqua sporca nel mortaio; giacché

13. Secolo... Gazzetta di Catania: «Il Secolo» era un quotidiano mila-


nese di tendenze democratiche e repubblicane, fondato nel 1866 dal-
l’editore Edoardo Sonzogno; ebbe un notevole successo di pubblico,
tanto che tra il 1875 e il 1880 (gli anni che tra l’altro coincidono con la
stesura del romanzo) il giornale raddoppiò la propria tiratura, impo-
nendosi progressivamente come il più diffuso quotidiano su scala
nazionale. «La Gazzetta di Catania», di analoga tendenza politica, era
invece un giornale a diffusione locale. «Il Secolo» viene citato anche
nella novella Il canarino del n. 15, in Per le vie, p. 382: «La sora Carolina
disse che bisognava andare pel prete, e il babbo che quelle minchione-
rie le aveva sempre disprezzate col Secolo, se ne andò all’osteria in
segno di protesta». – cacciano: corregge in A: «cuciono».
14. a pestare... era proprio pestar l’acqua nel mortaio: cfr. XII, 39. –
guardava... Cinghialenta: perché sospettati di essere coinvolti nel con-
trabbando.

Letteratura italiana Einaudi 323


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

con gente siffatta era proprio pestar l’acqua nel mortaio,


diceva. E Piedipapera, appena ’Ntoni voltava le spalle, sog-
giungeva sottovoce:
– Se volesse ammazzare don Michele, dovrebbe ammaz-
zarlo per qualche altra cosa; ché gli vuol rubare la sorella;
ma ’Ntoni è peggio d’un maiale, tanto che si fa mantenere
dalla Santuzza. Piedipapera se lo sentiva sullo stomaco don
Michele, dacché guardava cogli occhi torvi lui e Rocco
Spatu e Ginghialenta quando li incontrava; perciò voleva
levarselo davanti.
15 Quelle povere Malavoglia erano arrivate al punto che
andavano per le bocche di tutti, per colpa del fratello, tanto
i Malavoglia erano caduti in bassa fortuna. Ora tutto il paese
sapeva che don Michele passava e ripassava per la strada del
Nero, onde far dispetto alla Zuppidda, la quale stava a guar-
dia di sua figlia colla conocchia in mano. Intanto don
Michele per non perdere i suoi passi, aveva gettato gli occhi
su di Lia, la quale si era fatta una bella ragazza anche lei, e
non aveva nessuno che le stesse a guardia, tranne la sorella
che si faceva rossa per lei, e le diceva: – Rientriamo in casa,
Lia. Sulla porta non ci stiamo bene ora che siamo orfane.
16 Ma la Lia era vanerella peggio di suo fratello ’Ntoni, e le
piaceva starsene sulla porta a far vedere il fazzoletto colle
rose, che ognuno le diceva: – Come siete bella con quel faz-
zoletto, comare Lia! e don Michele se la mangiava cogli
occhi.

15. tanto... bassa fortuna: corregge in A: «tanto pareva a tutti che i


Malavoglia fossero diventati come il muro basso, che ognuno si appog-
gia nel passare» (cfr. VI, 43). – colla conocchia in mano: cfr. II, 16. – si
era fatta... anche lei: cfr. XI, 36.
16. vanerella... ’Ntoni: negli appunti preparatori: «vanerella […] si
avvilisce pel cattivo esempio del fratello e si lascia sedurre da Don
Michele». – starsene sulla porta... fazzoletto colle rose: segni ormai
inconfondibili (pur con la variante: «stare alla finestra» / «stare sulla
porta») di civetteria; cfr. XII, 15: «La Mangiacarrubbe dal canto suo
stava alla finestra, e cambiava ogni giorno fazzoletti di seta».

Letteratura italiana Einaudi 324


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

17 La povera Mena, mentre stava là sulla porta, ad aspettare


il fratello che tornava a casa ubbriaco, si sentiva così stanca
ed avvilita che le cascavano le braccia quando voleva tirare
in casa la sorella, perché passava don Michele, e Lia le
rispondeva: – Hai paura che mi mangi? Già, nessuno ne
vuole di noi altri, ora che non abbiamo più niente. Non lo
vedi come è andato a finire mio fratello, che non lo voglio-
no nemmeno i cani!
– Se ’Ntoni avesse fegato, andava dicendo Piedipapera, se
lo leverebbe dinanzi quel don Michele.
18 ’Ntoni invece voleva levarsi dinanzi don Michele per
un’altra cosa. La Santuzza, dopo che l’aveva rotta con don
Michele, aveva preso a ben volere ’Ntoni, per quel modo di
portare il berretto sull’orecchio, e di dondolare le spalle
camminando che aveva preso da soldato; e gli metteva in
serbo sotto il banco tutti i piatti coi resti che lasciavano gli
avventori; e un po’ di qua e un po’ di là gli riempiva anche
il bicchiere. In tal modo lo manteneva per l’osteria grasso e
19 unto come il cane del macellaio. Al bisogno poi ’Ntoni si

17. La povera Mena... aspettare il fratello: a segnare l’opposizione fra


Mena e Lia, un’analoga raffigurazione («le piaceva starsene sulla
porta»...«stava là sulla porta»), che però immediatamente si specifica
nella sua diversa valenza («ad aspettare il fratello che tornava a casa
ubbriaco»).
18. come il cane del macellaio: in serie con precedenti immagini e
similitudini animalesche che evidenziano il progressivo abbrutimento
di ’Ntoni: «peggio di un maiale» (c. 14); «non lo vogliono nemmeno i
cani» (c. 17). Per l’immagine in particolare, cfr. XV, 18: «andava bighel-
lonando per la piazza come un cane di macellaio».
19. con quegli avventori... prima di pagare: la prima versione in A:
«con qualche avventore turbolento e restio a pagare». – malocchio: sulla
base del ms abbiamo corretto «mal’occhio» di Treves ’81. Cfr. anche
XIII, 66: «lo vedevano di malocchio». Cfr. inoltre Mastro-don
Gesualdo, I, IV, p. 107: «Il mal d’occhio, sissignore! Io dico che è pas-
sato di qui qualcheduno che portava il malocchio!» – come un canoni-
co: «star come un canonico, ‘con tutta l’agiatezza’» (Petrocchi); poco
oltre: «grasso come un canonico». Cfr. X, 31: «come don Michele, a
mo’ d’esempio, il quale era grasso e grosso meglio di un canonico».
Nell’estensione dell’immagine a ’Ntoni resta implicito il riferimento a
don Michele che si palesa in XIII, 21.

Letteratura italiana Einaudi 325


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

disobbligava facendo a pugni con quegli avventori della


malannata, che cercano il pelo nell’uovo all’ora del conto, e
gridano e bestemmiano prima di pagare. Cogli amici della
taverna invece era allegro e chiacchierone, e teneva d’occhio
anche il banco, allorché la Santuzza andava a confessarsi.
Sicché, tutti colà gli volevano bene come se fosse a casa sua;
tranne lo zio Santoro il quale lo guardava di malocchio, e
borbottava, fra un’avemaria e l’altra, contro di lui, che vive-
va alle spalle di sua figlia, come un canonico; la Santuzza
rispondeva che era la padrona, se voleva far vivere alle sue
spalle ’Ntoni Malavoglia, grasso come un canonico; segno
che ei aveva il suo piacere, e non aveva più bisogno di nes-
suno.
20 – Sì, sì! brontolava lo zio Santoro, quando poteva
acchiapparla un momento a quattr’occhi. Di don Michele
ne hai sempre bisogno. Massaro Filippo m’ha detto dieci
volte che è tempo di finirla, che il vino nuovo non può
tenerlo più nella cantina, e bisognerebbe farlo entrare in
paese di contrabbando.
– Massaro Filippo pensa al suo interesse. Ma io, vedete,
dovessi pagare il dazio due volte, e il contrabbando, don
Michele non lo voglio più, no e poi no!
21 Ella non voleva perdonare a don Michele quella partaccia
che gli aveva fatta colla Zuppidda, dopo tanto tempo ch’era
stato trattato come un canonico nell’osteria, per l’amore dei
suoi galloni; e ’Ntoni Malavoglia, senza galloni, valeva dieci
volte don Michele; a lui, quello che gli dava, glielo dava di
tutto cuore. ’Ntoni si guadagnava il pane in tal modo, e
quando il nonno gli rimproverava il suo far nulla, e la sorel-
la lo guardava tristamente, cogli occhi fissi, rispondeva: –
Forse che vi costo qualche cosa? Dei denari della casa non
ne spendo, e il mio pane me lo guadagno da me. – Meglio

20. chiapparla: corregge in A: «capitarle». – contrabando: così in A e


in Treves ’81; ma cfr. poco prima «contrabbando».

Letteratura italiana Einaudi 326


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

sarebbe che tu morissi di fame, gli diceva il nonno, e che


22 avessimo a morire tutti oggi stesso! – Infine nessuno parla-
va più, seduti dov’erano, e voltandosi le spalle. Padron
’Ntoni era ridotto a non aprir bocca, per non litigare col
nipote; e ’Ntoni poi, quand’era stanco della predica, pianta-
va lì tutti della paranza, a piagnucolare, e se ne andava a tro-
var Rocco o compare Vanni, coi quali si stava allegri e se ne
trovava sempre una nuova da inventare.
23 Una volta inventarono di fare la serenata allo zio
Crocifisso, la notte in cui s’era maritato colla Vespa, e con-
dussero sotto le finestre di lui tutti coloro cui lo zio
Crocifisso non voleva prestare più un soldo, coi cocci, e le
pentole fesse, i campanacci del beccaio e gli zufoli di canna,
a fare il baccano e un casa del diavolo sino a mezzanotte, tal-
ché la Vespa l’indomani s’alzò più verde del solito, e se la
prese con quella canaglia della Santuzza, nella taverna della
quale s’era macchinata tutta quella birbonata, per gelosia
che lei se l’era trovato il marito, onde stare in grazia di Dio,
mentre le altre erano sempre nel peccato mortale, e faceva-
no mille porcherie, sotto l’abitino della Madonna.
24 La gente gli rideva sul muso allo zio Crocifisso, come lo

22. a non aprir bocca... nipote: con calibrato abbassamento di regi-


stro, corregge in A: «a non fiatare più per evitare ogni giorno delle
dispute violente». – tutti della paranza: espressione del gergo marinare-
sco (la paranza è un’imbarcazione per la pesca costiera) che sta per ‘tutti
quelli della famiglia’.
23. fare la serenata...: con intenti ironici, come rivela il catalogo degli
‘strumenti’ impiegati, che sembra richiamare piuttosto una rappresen-
tazione di sapore carnevalesco. –pentole fesse: cfr. Nedda, p. 18: «avea
fiorito dentro una pentola fessa». – canaglia: corregge in bozze la lezio-
ne di A: «carogna»; cfr. analoga correzione in XII, 44; XIV, 17, 73.
24. lo vide sposo: è correzione in bozze della lezione di A: «lo vede-
va». ➝ «comparve» ➝ «si vide lo sposino» ➝ «si vide lo sposo»,
nella quale si osserva l’attenuazione del tono ironico che si avverte nel
diminutivo «lo sposino», per lasciare spazio (cfr. nota successiva) alla
più incisiva ironia sulla figura del vecchio avaro terrorizzato dall’idea
che la moglie sperperi il suo patrimonio. – dalla paura... costava denari:
con significativa accentuazione (cfr. nota precedente) sostituisce in A:

Letteratura italiana Einaudi 327


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

vide sposo sulla piazza, vestito di nuovo, e giallo come un


morto dalla paura che gli aveva fatto la Vespa con quel vesti-
to nuovo che costava denari. La Vespa era sempre a spen-
dere e spandere, che se l’avessero lasciata fare avrebbe vuo-
tato il sacco in una settimana; e diceva che la padrona ades-
so era lei, tanto che tutti i giorni c’era il diavolo dallo zio
25 Crocifisso. Sua moglie gli piantava le unghie sulla faccia, e
gli gridava che voleva aver le chiavi lei, e non voleva star
sempre a desiderare un pezzo di pane e un fazzoletto nuovo
peggio di prima; perché se avesse saputo quel che doveva
venire dal matrimonio, con quel bel marito che le era tocca-
to, si sarebbe tenuta la chiusa e la medaglia di Figlia di
Maria, piuttosto; già, tanto e tanto avrebbe potuto portarla
26 ancora, la medaglia di Figlia di Maria! E lui strillava che era
rovinato; che non era più padrone del fatto suo; che v’era
tuttora il colèra in casa, e volevano farlo morire di crepa-
cuore prima del tempo, per scialacquarsi allegramente la
roba che egli aveva stentato tanto a raggranellare! Lui pure,
se avesse saputo tutto questo, avrebbe mandato al diavolo la
chiusa e la moglie; ché già lui di moglie non ne aveva biso-
gno, e l’avevano preso per il collo, facendogli credere che la
Vespa avesse acchiappato Brasi Cipolla, e stesse per scap-
pargli insieme alla chiusa, maledetta chiusa!
27 Giusto in quel punto si seppe che Brasi Cipolla s’era

«che quei panni gli mettevano l’uggia addosso». –avrebbe vuotato il


sacco: qui ‘avrebbe dilapidato il patrimonio’, ma alla luce del discorso
indiretto libero che segue, non si esclude del tutto il senso che più
comunemente assume l’espressione, attestata anche nel siciliano «sdi-
vacari (‘aprire’) la saccu», cioè quello di «rivelare senza rispetto e rite-
gno quanto, per discrezione, normalmente si tace» (Mortillaro).
25. già, tanto... Maria: alla confraternita potevano accedere solo le
donne nubili (cfr. III, 11), evidente quindi la sarcastica allusione della
Vespa che ritiene di poter far parte della confraternita, a tutti gli effet-
ti, anche dopo il matrimonio (cfr. anche XIII, 28: «la Vespa […] gli
faceva soffrire le pene del purgatorio, notte e giorno»).
27. la Mangiacarrubbe l’aveva rovinato... settimana prima: se la
Mangiacarrubbe avesse «rubato» Brasi una «settimana prima», lo zio

Letteratura italiana Einaudi 328


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

lasciato rubare dalla Mangiacarrubbe, come un bietolone, e


padron Fortunato li andava cercando per la sciara, e pel val-
lone, e sotto il ponte, colla schiuma alla bocca, giurando e
spergiurando che se li trovava voleva dar loro tante di quel-
le pedate, e farsi venire le orecchie di suo figlio nelle mani.
Lo zio Crocifisso a quel discorso si cacciava le mani nei
capelli anche lui, e diceva che la Mangiacarrubbe l’aveva
rovinato a non rapire Brasi una settimana prima. – Questa è
stata la volontà di Dio! andava dicendo picchiandosi il
petto; – la volontà di Dio è stata che io m’avessi a pigliare la
28 Vespa per castigo dei miei peccati! – E dei peccati doveva
avercene grossi assai, perché la Vespa gli avvelenava il pane
in bocca, e gli faceva soffrire le pene del purgatorio, notte e
giorno. Per giunta poi si vantava di essergli fedele, che non
avrebbe guardato in faccia un cristiano, fosse giovane e
bello come ’Ntoni Malavoglia o Vanni Pizzuto, per tutto
l’oro del mondo; mentre gli uomini le ronzavano sempre
attorno a tentarla come ci avesse il miele nelle gonnelle. – Se
fosse vero andrei a chiamarglielo io stesso colui! borbottava
lo zio Crocifisso; – purché me la levasse davanti! E diceva
pure che avrebbe pagato qualche cosa a Vanni Pizzuto o a
’Ntoni Malavoglia perché gli facessero le corna, giacché
’Ntoni faceva quel mestiere. – Allora potrei mandarla via,
quella strega che mi son cacciata in casa!
29 Ma ’Ntoni il mestiere lo faceva dove era grasso, e ci man-

Crocifisso non sarebbe stato indotto a sposare la Vespa, per timore che
fosse lei a sposare il figlio di padron Cipolla. Abbiamo corretto Treves
’81 che al posto di «Mangiacarrubbe» ha, per evidente svista (presente
anche in A), «Zuppidda»; cfr. XIII, 26.
28. grossi assai: cfr. IX, 15. – come... gonnelle: corregge in A: «come
i mosconi d’agosto», legato al precedente «ronzavano» (cfr. VIII, 20).
29. dove era grasso: cfr. «essere grasso di una cosa, ‘averne abbon-
danza’»(Fanfani). –qualche parola... torto fosse suo: corregge in A, ren-
dendo implicita l’indicazione psicologica: «qualche parola colla voce
tremante di scoraggiamento […]». ➝ «qualche parola a bassa voce, e
facendosi piccino lui ora, come il torto fosse suo».

Letteratura italiana Einaudi 329


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

giava e beveva, che era un piacere a vederlo. Ora portava la


testa alta, e se la rideva se il nonno gli diceva qualche paro-
la a bassa voce; adesso era il nonno che si faceva piccino,
quasi il torto fosse suo. ’Ntoni diceva che se non lo voleva-
no in casa sapeva dove andare a dormire, nella stalla della
Santuzza; e già non spendevano nulla a casa sua per dargli
30 da mangiare. Padron ’Ntoni, e Alessi, e Mena, tutto quello
che buscavano alla pesca, col telaio, al lavatoio, e con tutti
gli altri mestieri, potevano metterlo da parte, per quella
famosa barca di San Pietro, colla quale si guadagnava di
rompersi le braccia tutti i giorni per un rotolo di pesce, o
per la casa del nespolo, nella quale si sarebbe andati a cre-
pare allegramente di fame! tanto lui un soldo non l’avrebbe
voluto; povero diavolo per povero diavolo, preferiva goder-
si un po’ di riposo, finché era giovane, e non abbaiava la
31 notte come il nonno. Il sole c’era lì per tutti, e l’ombra degli
ulivi per mettersi al fresco, e la piazza per passeggiare, e gli
scalini della chiesa per stare a chiacchierare, e lo stradone
per veder passare la gente e sentir le notizie, e l’osteria per
mangiare e bere cogli amici. Poi quando gli sbadigli vi rom-
pevano le mascelle, si giocava alla mora, o a briscola; e quan-
do infine si aveva sonno, ci era lì la chiusa dove pascevano i
montoni di compare Naso, per sdraiarsi a dormire il giorno,
o la stalla di comare suor Mariangela quando era notte.

30. quella famosa... Pietro: ironicamente per indicare la Provvidenza,


ossessivamente presente nei discorsi di padron ’Ntoni. – non abbaiava
la notte come il nonno: cfr. IX, 67: «Quando sarai vecchio poi abbaie-
rai come il nonno». Vedi inoltre XV, 22.
31. mora: o anche morra, «giuoco plebeo che si fa in due o più,
alzando le dita d’una delle mani, o cercando d’apporsi che numero
siano per alzare tra tutti e due» (Rigutini-Fanfani). Vedi Manzoni, I pro-
messi sposi, VII, p. 117: «due bravacci, che seduti a un canto della tavo-
la, giocavano alla morra». – ci era lì la chiusa dove pascevano... quand’e-
ra notte: alla connotazione iniziale di ‘polemica scelta di libertà’ si
sovrappone il senso di degradazione animalesca, come testimonia il
confronto con la primitiva, e più contenuta, versione di A: «c’era lì il
prato per sdraiarsi a dormire».

Letteratura italiana Einaudi 330


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

32 – Che non ti vergogni di far questa vita? gli disse alfine il


nonno, il quale era venuto apposta a cercarlo colla testa
bassa e tutto curvo; e piangeva come un fanciullo nel dir
così, tirandolo per la manica dietro la stalla della Santuzza,
perché nessuno li vedesse. – E alla tua casa non ci pensi? e
ai tuoi fratelli non ci pensi? Oh, se fossero qui tuo padre e
la Longa! ’Ntoni! ’Ntoni!...
– Ma voi altri ve la passate forse meglio di me a lavorare,
e ad affannarvi per nulla? E’ la nostra mala sorte infame!
ecco cos’è! Vedete come siete ridotto, che sembrate un arco
di violino, e sino a vecchio avete fatto sempre la stessa vita!
Ora che ne avete? Voi altri non conoscete il mondo, e siete
come i gattini cogli occhi chiusi. E il pesce che pescate ve lo
mangiate voi? Sapete per chi lavorate, dal lunedì al sabato,
e vi siete ridotto a quel modo che non vi vorrebbero nean-
che all’ospedale? per quelli che non fanno nulla e che hanno
denari a palate, lavorate!
33 – Ma tu non ne hai denari, né io ne ho! Non ne abbiamo
avuti mai, e ci siamo guadagnato il pane come vuol Dio; è
per questo che bisogna darsi le mani attorno, a guadagnarli,
se no si muore di fame.
– Come vuole il diavolo, volete dire! Che è tutta opera di
Satanasso la nostra disgrazia! Ora sapete quel che vi aspet-

32. a lavorare... per nulla: in A: «a lavorare colla lingua fuori» ➝ «a


rompervi la schiena». – come i gattini... chiusi: cfr. XII, 32.
33. darsi le mani attorno: cfr. il siciliano «jittari li mani a tutti cosi»
nel senso di «affaccendarsi» (Mortillaro). – vallone: con accezione più
vicina al siciliano «vadduni», «luogo scosceso, dove quando che sia,
scorra acqua, torrente, Barra Forra» (Mortillaro). In A corregge: «riga-
gnolo», assolutamente privo delle risonanze insite invece in «vallone»,
che potenzialmente richiama anche un ‘luogo di morte’. Ricorre anche
in XIII, 27: «padron Fortunato li andava cercando per la sciara, e pel
vallone, e sotto il ponte, colla schiuma alla bocca»; inoltre in Jeli il
pastore, p. 138: «saliva la costa di là dal vallone»; «gingillandosi colle
macchie del vallone»; «si lavava anche da sè colla creta del vallone». –
tutto giulivo: cfr. X, 11: « – Lo vedete che la Langa ce l’ha fatta trovare
la fiammata! – diceva tutto giulivo […]».

Letteratura italiana Einaudi 331


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

ta quando non potrete più darvele attorno le mani, perché i


reumatismi le avranno ridotte come una radica di vite? Vi
aspetta il vallone sotto il ponte per andare a creparvi.
– No! no! esclamò il vecchio tutto giulivo, e gettandogli al
collo le braccia rattratte come radiche di vite. I denari per la
casa ci son già, e se tu ci aiuti...
34 – Ah! la casa del nespolo! Credete che sia il più bel palaz-
zo del mondo, voi che non avete visto altro?
– Lo so che non è il più bel palazzo del mondo. Ma non
dovresti dirlo tu che ci sei nato, tanto più che tua madre non
ci è morta.
– Nemmeno mio padre non ci è morto. Il nostro mestiere
è di lasciare la pelle laggiù, in bocca ai pescicani. Almeno,
finché non ce la lascio, voglio godermi quel po’ di bene che
posso trovare, giacché è inutile logorarmi la pelle per nien-
te! E poi? quando avrete la casa? e quando avrete la barca?
E poi? e la dote di Mena? e la dote di Lia?... Ah! sangue di
Giuda ladro! che malasorte è la nostra!
35 Il vecchio se ne andò desolato, scuotendo il capo, col
dorso curvo, ché le parole amare del nipote l’avevano
schiacciato peggio di un pezzo di scoglio piombatogli sulla
schiena. Adesso non aveva più coraggio per nulla, gli casca-
vano le braccia, e aveva voglia di piangere. Non poteva pen-
sare ad altro, se non che Bastianazzo e Luca non ci avevano
mai avuto pel capo quelle cose che ci aveva ’Ntoni, e aveva-
no sempre fatto senza lamentarsi quello che dovevano fare;
e mulinava pure che era inutile pensare alla dote di Mena, e
di Lia, giacché non ci sarebbero arrivati mai.

34. che malasorte è la nostra: corregge in A: «che vita infame faccia-


mo».
35. mulinava: ‘rimuginava’; corregge in bozze: «pensava» di A, con
acquisto di espressività determinato anche dalla necessità di evitare la
ripetizione col successivo: «pensare alla dote». Cfr. Manzoni, I promes-
si sposi, XVIII, p. 312: «dovettero stare [...] in una tale incertezza, a
mulinare sul come [...]».

Letteratura italiana Einaudi 332


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

36 La povera Mena pareva che lo sapesse anche lei, tanto era


avvilita. Le vicine ora tiravano di lungo dinanzi alla porta
dei Malavoglia, come durasse il colèra, e la lasciavano sola,
accanto alla sorella col fazzoletto colle rose, o insieme alla
Nunziata, e alla cugina Anna, quando esse facevano la carità
di venire a cianciare un po’; giacché la cugina Anna ci aveva
anche lei, poveretta, quell’ubbriacone di Rocco, e oramai
tutti lo sapevano; e la Nunziata era troppo piccola quando
quel bel mobile di suo padre l’aveva piantata per andarsene
37 a cercare fortuna altrove. Le poverette s’intendevano fra di
loro appunto per questo, quando discorrevano a bassa voce,
col capo chino, e le mani sotto il grembiule, ed anche quan-
do tacevano, senza guardarsi in viso, pensando ognuna ai
casi suoi. – Quando si è ridotti allo stato in cui siamo, dice-
va la Lia che parlava come una donna fatta, bisogna aiutar-
si da sé, e che ognuno pensi ai suoi interessi.
38 Don Michele di tanto in tanto si fermava a salutarle o a dir
qualche barzelletta; tanto che le donne si erano addomesti-
cate col berretto gallonato, e non ne avevano più paura; anzi
la Lia s’era lasciata andare a dire anche lei le barzellette, e ci
rideva sopra; né la Mena osava sgridarla, o andarsene in
cucina e lasciarla sola, ora che non avea più la madre; e
restava lì anche lei accasciata su di se stessa, guardando di
39 qua e di là della strada con gli occhi stanchi. Oramai come

36. bel mobile: «si dice ironicamente per dare a uno del tristo»
(Rigutini-Fanfani).
37. Quando si è ridotti... Don Michele: la battuta si inscrive come
momento importante nel ‘ritratto’ che via via si va facendo del perso-
naggio, rivelandoci, a conferma degli indizi precedenti (cfr. XI, 8, 36),
che Lia è accomunata sempre più a ’Ntoni, nella non adesione al senso
di solidarietà che è garanzia dell’unità familiare. La primitiva versione
di tutto il passo era in A: «Ma del resto chi altri avrebbe voluto andare
a mettersi con quelle derelitte. Non c’era altri che Don Michele il quale
[...]». Vedi anche XIII, 63.
38. stanchi: sostituisce in A: «stanchi di piangere».
39. con tutto... gallonato: nonostante fosse il brigadiere delle guardie

Letteratura italiana Einaudi 333


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

si vedeva che i vicini li avevano abbandonati, le si gonfiava


il cuore di riconoscenza ogni volta che don Michele con
tutto il suo berretto gallonato non sdegnava di fermarsi sulla
porta dei Malavoglia a fare quattro chiacchiere. E se don
Michele trovava la Lia sola, la guardava negli occhi, tiran-
dosi i mustacchi, col berretto gallonato messo alla sgherra, e
le diceva: – Che bella ragazza che siete, comare Malavoglia!
Nessuno le aveva detto questo; perciò ella si faceva rossa
come un pomodoro.
40 – Come va che non vi siete maritata ancora? le diceva
anche don Michele.
Ella si stringeva nelle spalle, e rispondeva che non lo sape-
va.
– Voi dovreste avere la veste di lana e seta, e gli orecchini
lunghi; ché allora, in parola d’onore, gli fareste tenere il can-
deliere a molte signore della città.
– La veste di lana e seta non fa per me, don Michele!
rispondeva Lia.
– O perché? La Zuppidda non l’ha? e la Mangiacarrubbe,
ora che ha acchiappato Brasi di padron Cipolla, non l’avrà
anche lei? e la Vespa, se la vuole, non se la farà come le
altre?
– Loro son ricche, loro!
– Sorte scellerata! esclamava don Michele battendo col
pugno sulla sciabola. Vorrei pigliare un terno al lotto, vorrei
pigliare, comare Lia! per farvi vedere cosa son capace di
fare!
41 Alle volte don Michele aggiungeva: – Permettete? – colla

doganali. – messo alla sgherra: ‘con spavalderia’; «galantemente»


(Rigutini-Fanfani). Cfr. V, 27: «col berretto sull’orecchio»; XIII, 79 «col
berretto di traverso». – rossa... pomodoro: cfr. X, 63: «rossa come la
conserva dei pomidoro»; inoltre IV, 20 (nota a «rossa come un tacchi-
no») e Mastro-don Gesualdo, I, I, p. 13.
40. fareste tenere il candeliere: ‘le superereste, costringendole al
ruolo di spettatrici’; cfr. con diversa accezione VII, 45.
41. basilisco: cfr. VI, 18.

Letteratura italiana Einaudi 334


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

mano nel berretto, e si metteva a seder lì vicino sui sassi,


mentre non aveva da fare. Mena credeva che volesse stare lì
per comare Barbara, e non gli diceva nulla. Ma don Michele
alla Lia le giurava che non era per la Barbara, e non ci aveva
mai pensato, sulla santa parola d’onore! Pensava a tutt’altro
lui, se non lo sapeva comare Lia!...
E si fregava il mento, o si tirava i baffi guardandola come
il basilisco. La ragazza si faceva di mille colori e si alzava per
andarsene. Però don Michele la prendeva per la mano, e le
diceva: – Perché volete farmi questa offesa, comare
Malavoglia? Restate lì, che nessuno vi mangia.
42 Così, mentre aspettavano gli uomini dal mare, passavano
il tempo; ella sulla porta, e don Michele sui sassi, sminuz-
zando qualche sterpolino per non sapere che fare, e le
domandava: – Che ci verreste a stare nella città?
– Quello è il posto per voi! Voi non siete fatta per star qui,
fra questi villani, in parola d’onore! Voi siete una roba fine
e di prima qualità, e siete fatta per stare in una bella casetta,
e andare a spasso alla Marina e alla Villa, quando c’è la
musica, vestita bene, come m’intendo io. Con un bel fazzo-
letto di seta in testa, e la collana d’ambra. Qui par di stare in
mezzo ai porci, parola mia d’onore! e non vedo l’ora di esse-
re traslocato, che mi hanno promesso di richiamarmi alla
città coll’anno nuovo.
43 Lia si metteva a ridere della burla, e scrollava le spalle, che
lei non sapeva nemmeno come fossero fatte le collane d’am-
bra e i fazzoletti di seta. Una volta poi don Michele tirò fuori

42. sminuzzando… sapere che fare: cfr. XV, 52: «a sminuzzare gli
sterpolini della siepe per ingannare il tempo». – alla Marina e alla Villa:
la Marina è il lungomare di Catania, la Villa (Villa Bellini) è il giardino
pubblico nel centro della città.
43. colla sua brava carta: modulo (possessivo + bravo) con valore
rafforzativo tipico del parlato; in questo caso sfruttato anche con effet-
to ironico quando verrà poco oltre implicitamente richiamato: «E
dovette avvolgere un’altra volta il fazzoletto nella carta e metterselo in
tasca». – se mi ammazzate: ‘neanche se mi ammazzate’.

Letteratura italiana Einaudi 335


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

in gran mistero un bel fazzoletto giallo e rosso, colla sua


brava carta, che lo aveva avuto da un contrabbando, e vole-
va regalarlo a comare Lia.
– No! no! diceva lei tutta rossa. Non lo piglio se mi
ammazzate! – E don Michele insisteva: – Questa non me l’a-
spettavo, comare Lia. Non me lo merito, vedete! – E dovet-
te avvolgere un’altra volta il fazzoletto nella carta e metter-
selo in tasca.
44 D’allora in poi, quando vedeva spuntare il naso di don
Michele, Lia correva a ficcarsi in casa, per paura che voles-
se darle il fazzoletto. Don Michele aveva un bel passare e
ripassare, e far brontolare la Zuppidda colla schiuma alla
bocca, e aveva un bell’allungare il collo dentro l’uscio dei
Malavoglia, che non vedeva più nessuno, talché alla fine si
decise di entrare. Le ragazze, come se lo videro dinanzi,
rimasero a bocca aperta, tremando quasi avessero la terza-
na, e senza saper che fare. – Voi non l’avete voluto il fazzo-
letto di seta, comare Lia, diss’egli alla ragazza, la quale s’era
fatta rossa come un papavero, ma io sono tornato pel bene
che voglio a voi altri. Che cosa fa vostro fratello ’Ntoni?
45 Anche Mena si faceva rossa, quando le domandavano che
cosa facesse suo fratello ’Ntoni, perché non faceva nulla. E
don Michele continuò: – Ho paura che vi dia qualche
dispiacere, a tutti voi altri, vostro fratello ’Ntoni. Io vi sono
amico e chiudo gli occhi; ma quando verrà qui un altro bri-
gadiere in vece mia, vorrà sapere che cosa va a fare vostro
fratello con Cinghialenta, la sera, verso il Rotolo, e con quel-
l’altro buon arnese di Rocco Spatu, quando vanno a passeg-

44. spuntare il naso: corregge in A: «comparire». – terzana: febbre


malarica che si manifesta con forti brividi ogni tre giorni.
45. il Rotolo: cfr. V, 18. – buon arnese: con rafforzamento antifrasti-
co di ‘arnese’, che «detto d’uomo, vale ‘di mala qualità’» (Fanfani). Cfr.
XIV, 1: «’Ntoni andava a ronzare, con Rocco Spatu, e Cinghialenta, ed
altri malarnesi»; XIV, 38: «è un malarnese, come Malavoglia»; XIV, 39:
«quel malarnese di suo nipote».

Letteratura italiana Einaudi 336


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

giare nella sciara, come se avessero delle scarpe da buttar


46 via. Aprite bene gli occhi anche voi a quel che vi dico ora,
comare Mena; e ditegli pure che non bazzichi tanto con
quell’imbroglione di Piedipapera, nella bottega di Pizzuto,
che si sa tutto, e nei guai poi ci resterà lui. Gli altri sono
volpi vecchie, e sarebbe bene che vostro nonno non lo faces-

46. Aprite bene gli occhi anche voi a quel che vi dico: corregge in A il
più prevedibile: «Tenete bene in mente anche voi quel che vi dico»;
esplicita la volontà di mantenersi, giocando sulla variazione di senso, in
una fitta rete di relazioni sul nucleo fondamentale aprire / chiudere gli
occhi: «chiudo gli occhi» c. 45; «vedono anche senza cannocchiale»,
«son tenuti d’occhio» c. 46; «sbarrava gli occhi» c. 47; «non chiudeva-
no occhio» c. 48. Vedi inoltre, a proposito del contrabbando sulle coste
della Sicilia orientale (ma curiosamente in questo caso anche per l’im-
piego della medesima locuzione), Franchetti-Sonnino, Inchiesta in
Sicilia cit., vol. I, p. 54: «Tutti lo sapevano meno gl’impiegati di doga-
na; o piuttosto lo sapevano anch’essi, ma chiudevano un occhio, oppu-
re venivano a transazioni vere e proprie coi contrabbandieri per salvar-
si la pelle». – ditegli pure che non bazzichi: la prima versione in A: «sarà
bene che gli facciate aprire gli occhi, a vostro nonno, e dirgli...»; cfr.
nota precedente. – volpi vecchie: ‘astuti e vecchi del mestiere’, operano
cioè senza esporsi; cfr. XIV, 17. Vedi Manzoni, I promessi sposi V, p. 84:
«il conte duca e una volpe vecchia». – a pescar pipistrelli: la sottolinea-
tura allitterativa marca doppiamente l’assoluta evidenza che non si trat-
ta di barche di pescatori. Cfr. XIV, 1: «pescar merluzzi a mezzanotte».
– il quale vi vuol bene: significativa correzione di A: «il quale gli vuol
bene»; consiglio non disinteressato quindi nella versione finale, ma più
coerentemente con la situazione e con l’atteggiamento del personaggio,
ulteriore strumento per superare le ritrosie di Mena e di Lia. Vedi inol-
tre c. 47: «Io mi giuoco il mio berretto gallonato, per il bene che vi
voglio a voi altri Malavoglia». – il tanto per cento sui contrabbandi: una
percentuale sulla merce sequestrata. – dar la parte... cantare: pagare uno
dei contrabbandieri per indurlo a rivelare il nome dei complici. – Gli
disse... guàrdatene!» cfr. Pitrè, I, p. 165: «Cci dissi Gesù Cristu a San
Giuvanni: Di li singaliati (‘segnati’, cioè con qualche difetto fisico) guar-
datìnni» (cfr. II, 29: «Quello là ha il piede del diavolo!»). È un «welle-
rismo»(cfr. VIII, 28) parzialmente camuffato nel discorso; le virgolette
evidenziano infatti, a differenza della versione diA più fedele alla tra-
scrizione del Pitrè, solo una parte del proverbio, come se la restante
rientrasse nel discorso del personaggio; cfr. anche la ripresa al c. 49. –
il proverbio: corregge in bozze: «il detto dell’antico» (cfr. I, 5). Vedi
inoltre XIII, 49: «Sai il detto dell’antico...»

Letteratura italiana Einaudi 337


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

se andare a passeggiare nella sciara, perché la sciara non è


fatta per andarci a passeggiare, e gli scogli del Rotolo ci sen-
tono come se avessero orecchie, ditegli, e vedono anche
senza cannocchiale le barche che vanno costeggiando quat-
te quatte verso l’imbrunire, come se andassero a pescar pipi-
strelli. Ditegli questo, comare Mena, e ditegli pure che chi
gli dà quest’avvertimento è un amico il quale vi vuol bene.
Quanto a compare Cinghialenta e Rocco Spatu, ed anche
Vanni Pizzuto, son tenuti d’occhio.
Vostro fratello si fida di Piedipapera, e non sa che le guar-
die doganali hanno il tanto per cento sui contrabbandi, e
per sorprenderli bisogna dar la parte a uno della combric-
cola, e farlo cantare per chiapparla. Di Piedipapera questo
solo rammentategli: – Gli disse Gesù Cristo a San Giovanni,
«degli uomini segnati gu·rdatene!». Lo dice pure il prover-
bio.
47 Mena sbarrava gli occhi, e impallidiva, senza capir bene
quel che ascoltava; ma sentiva già la paura che suo fratello
avesse a fare con quelli del berretto gallonato. Don Michele
allora la prese per mano onde farle animo, e seguitò.
– Se si sapesse che son venuto a dirvi tutto questo, sarei
fritto. Io mi giuoco il mio berretto gallonato, per il bene che
vi voglio a voi altri Malavoglia. Ma non mi piace che vostro
fratello patisca qualche guaio. No! non vorrei incontrarlo di
notte in qualche brutto posto, nemmeno per acchiappare un
contrabbando di mille lire, parola mia d’onore!
48 Le povere ragazze non ebbero più pace, dacché don
Michele ebbe messo loro quella pulce nell’orecchio. Non

47. per il bene che vi voglio a voi altri Malavoglia: cfr. c. 46 («il quale
vi vuoi bene»). In A «a voi altri Malavoglia» è aggiunto nell’interlinea.
48. della combriccola: corregge in A: «di quella risma». – la caccia
delle quaglie a due piedi: cfr. VIII, 16: «E’ son quaglie e due piedi, di
quelle che portano lo zucchero e il caffè, e i fazzoletti di seta di con-
trabbando».

Letteratura italiana Einaudi 338


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

chiudevano occhio nella notte, aspettando il fratello dietro


l’uscio sino a tardi, tremando di freddo e di paura, mentre
egli andava cantando per le strade con Rocco Spatu ed altri
della combriccola, e alle povere ragazze pareva sempre di
udire delle grida e delle schioppettate, come quando aveva-
no detto che c’era stata la caccia delle quaglie a due piedi.
– Tu va a dormire, ripeteva Mena alla sorella. Tu sei trop-
po giovane, e certe cose non devi saperle.
49 Al nonno non diceva nulla per non dargli quest’altro cre-
pacuore; ma a ’Ntoni, quando lo vedeva un poco calmo, che
si metteva a sedere tristamente sulla porta, col mento in
mano, si faceva coraggio per chiedergli: – Cosa vai a fare
sempre con Rocco Spatu e Cinghialenta? Guardati che ti
hanno visto sulla sciara e verso il Rotolo. Guardati di
Piedipapera. Sai il detto dell’antico che gli disse Gesù Cristo
a San Giovanni: «Degli uomini segnati gu·rdatene!».
– Chi te l’ha detto? domandava ’Ntoni, saltando su come
un diavolo. Dimmi chi te l’ha detto?
– Don Michele me l’ha detto! rispondeva lei colle lacrime
agli occhi. M’ha detto di guardarti di Piedipapera, che per
acchiappare un contrabbando bisogna dar la parte ad uno
della combriccola.
– E non ti ha detto altro?
– No, non mi ha detto altro.
50 ’Ntoni allora giurava che non era vero niente, e non lo

49. crepacuore: corregge in A: «dispiacere». – Sai il detto.. guàrdate-


ne!»: cfr. XIII, 46.
50. frettoloso: nella prima versione: «tutto frettoloso e rannuvolato
( ➝ sottosopra)». –uggia: «noja, inquietezza di animo; tedio congiun-
to a un principio di tristezza e di avversione alla persona e alla cosa»
(Fanfani). Unica occorrenza nel romanzo, ma compare in una lezione
rifiutata, cfr. XIII, 24: «che quei panni gli mettevano l’uggia addosso».
– nel battesimo: ‘in faccia’; cfr. IX, 38. – bizza: ‘rancore’.
51. da fuori regno: ‘da un paese straniero’ o più semplicemente,
secondo l’opinione popolare che faceva coincidere il «regno» con la
Sicilia, ‘da un’altra regione italiana’; cfr. V, 5. – Ma rubare... peccato: cfr.
Pitrè, II, p. 277: «Arrubbari a li latri’ un è piccatu». Cfr. anche XIV, 24.

Letteratura italiana Einaudi 339


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

dicesse al nonno. Poi si levava di là frettoloso, e se ne anda-


va all’osteria a smaltire l’uggia, e se incontrava quelli del
berretto gallonato, faceva il giro più lungo per non vederli
neanche nel battesimo. Già don Michele non sapeva nulla, e
parlava a casaccio, onde fargli paura, per la bizza che ci
aveva contro di lui dopo l’affare della Santuzza, la quale l’a-
veva messo fuori della porta come un cane rognoso. Alla fin
fine egli non aveva paura di don Michele e dei suoi galloni,
che era ben pagato per succhiare il sangue del povero. Bella
cosa! Don Michele non aveva bisogno di cercare di aiutarsi
in qualche maniera, così grasso e pasciuto! e non aveva altro
da fare che metter le mani addosso a qualche povero diavo-
lo, se si industriava a buscarsi come poteva un pezzo di
51 dodici tarì. E quell’altra prepotenza che per sbarcare la roba
di fuori regno, bisognava pagare il dazio, come fosse roba
rubata! e doveva metterci il naso don Michele coi suoi sbir-
ri! Loro erano padroni di mettere le mani su ogni cosa, e
prendere quello che volevano; ma gli altri, se cercavano a
rischio della pelle di fare come volevano per sbarcare la loro
roba, passavano per ladri, e li cacciavano peggio dei lupi
colle pistole e le carabine. – Ma rubare ai ladri non è stato
mai peccato. Lo diceva anche don Giammaria nella bottega
dello speziale. E don Franco approvava col capo e con tutta
la barba, sogghignando, che quando si faceva la repubblica
non se ne vedevano più di quelle porcherie. – E di quegli
impiegati di Satanasso! – aggiungeva il vicario. A don
Giammaria gli cuoceva tuttora delle venticinque onze che
gli erano scappate di casa.
52 Ora donna Rosolina aveva perso anche la testa, colle ven-
ticinque onze, e correva dietro a don Michele, per farsi man-
giare il resto. Come lo vedeva andare nella strada del Nero,
credeva ci andasse per veder lei sul terrazzino, e stava sem-

52. al terrazzino: in A: «al poggiuolo»; cfr. XIII, 72. – montura: «divi-


sa de’ soldati: francesismo d’uso comune» (Fanfani).

Letteratura italiana Einaudi 340


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

pre al poggiuolo colla conserva dei pomidoro, e colle bocce


dei peperoni, per far vedere di che era capace; poiché non
glielo avrebbero levato dalla testa colle tenaglie che don
Michele, colla sua pancia, ora che si era levato dal peccato
mortale colla Santuzza, non cercasse una donna di casa e di
giudizio, come intendeva lei; perciò lo difendeva, se suo fra-
tello diceva corna del Governo e dei mangiapane, e rispon-
deva: – Dei mangiapane come don Silvestro sì! che si man-
giano un paese senza far nulla; ma i dazii ci vogliono per
pagare i soldati, che fanno bella vista colla montura, e senza
soldati ci mangeremmo come lupi fra di noi.
53 – Dei fannulloni pagati per portare il fucile, e non altro!
sogghignava lo speziale; come i preti, che prendono tre tarì
per messa. Dite la verità, don Giammaria, che capitale ci
mettete voi nella messa che vi pagano tre tarì?
– E voi che capitale ci mettete in quell’acqua sporca che
vi fate pagare a sangue d’uomo? rimbeccava il vicario colla
schiuma alla bocca.
54 Don Franco aveva imparato a ridere come don Silvestro,
per far dannare l’anima a don Giammaria; e continuava
senza dargli retta, ché aveva sperimentato il mezzo migliore
per fargli perdere la tramontana: – In mezz’ora si guada-
gnano la loro giornata, e poi sono a spasso tutto il giorno;
tale e quale come don Michele il quale sembra un uccellac-
cio perdigiorno, sempre là per i piedi, dacché non va più a
scaldare le panche della Santuzza.
55 – Per questo ce l’ha con me, entrava a dire ’Ntoni; è arrab-

53. in quell’acqua sporca: corregge in A: «in quei bicchieri di acqua


sporca»; cfr. XII, 30. – colla schiuma alla bocca: corregge in A: «furi-
bondo».
54. Don Franco... don Silvestro: cfr. XII, 33: «[…] ma lui si metteva
a ridere come una gallina, preciso come faceva don Silvestro». – uccel-
laccio perdigiorno: «uccellaccio familiarmente, ‘Uomo scempiato, scioc-
co, minchione’» (Fanfani); cfr. anche V, 10: «uccellaccio di malaugu-
rio»; XV, 1: «uccellaccio di camposanto».
55. quella canaglia della baracca: i funzionari dello Stato; cfr. XII, 43.

Letteratura italiana Einaudi 341


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

biato come un cane, e vuol fare il prepotente perché ci ha la


sciabola. Ma, sangue della Madonna! una volta o l’altra
voglio dargliela sul muso la sua sciabola, per fargli vedere
che me ne infischio, io!
– Bravo! esclamava lo speziale, così va fatto! Bisogna che
il popolo mostri i denti. Ma lontano di qua, ché non voglio
pasticci nella mia spezieria. Al Governo non parrebbe vero
di tirarmi nell’imbroglio pei capelli; ma a me non mi piace
aver che fare coi giudici e con tutta quella canaglia della
baracca.
56 ’Ntoni Malavoglia levava i pugni al cielo, e giurava e
sacramentava per Cristo e per la Madonna che voleva finir-
la, avesse dovuto andare in galera; già egli non aveva niente
da perdere. La Santuzza non lo guardava più dello stesso
occhio, tante gliene aveva dette quel paneperso di suo
padre, piagnucolando fra un’avemaria e l’altra, dopo che
massaro Filippo non mandava più il vino all’osteria! Le
diceva che gli avventori cominciavano a diradare come le
mosche a Sant’Andrea, dacché non ci trovavano più il vino
di massaro Filippo, al quale erano avvezzi come il bambino
alla poppa. Lo zio Santoro ogni volta ripeteva alla figliuola:
– Che vuoi farne di quell’affamato di ’Ntoni Malavoglia?
Non vedi che ti mangia tutta la roba senza frutto? Tu lo
ingrassi meglio di un maiale, e poi va a fare il cascamorto
colla Vespa e colla Mangiacarrubbe, ora che sono ricche. E

56. levava i pugni: corregge in A: «squadernava i pugni». – non lo


guardava più dello stesso occhio: corregge in A: «cominciava a fare giu-
dizio». – paneperso: «pane perduto, e più spesso ora pan perso, si dice di
‘uomo che non sia buono a nulla’» (Fanfani); col medesimo senso è
attestato in siciliano «pani persu» (Mortillaro). Cfr. Jeli il pastore, p. 155:
«Levati di lì, paneperso!» – a Sant’Andrea: col sopraggiungere cioè
della stagione fredda (la festa di Sant’Andrea cade il 30 di novembre).
Corregge in A: «dove arriva l’ombra». Vedi Pitrè, III, p. 20: «A
Sant’Andria, ogni musca morta sia». – da dirti una barzelletta: corregge
in A: «da farti un pizzicotto». – beverci: corregge in A: «berci» ➝
«bere»; cfr. XI, 22.

Letteratura italiana Einaudi 342


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

le diceva pure: – Gli avventori se ne vanno perché egli ti sta


sempre alla gonnella, e non ti lascia un momento da dirti
una barzelletta. Oppure: – Così lacero e sudicio è una por-
cheria avercelo per la bettola; che sembra tutta una stalla, e
57 la gente ha schifo di beverci nei bicchieri. Don Michele sì
che ci stava bene sulla porta, coi galloni nel berretto. La
gente che paga il vino, vuol berselo in santa pace, ed è con-
tenta di vedere uno colla sciabola lì davanti. Poi tutti gli
facevano di berretto, e nessuno ti avrebbe negato un soldo
se te lo doveva, quando era segnato col carbone sul muro.
Ora che non c’è più lui, non viene nemmeno massaro
Filippo. L’altra volta è passato di qua, ed io volevo farlo
entrare; ma ei dice che è inutile venirci, giacché il mosto non
può farlo passare più di contrabbando, ora che sei in colle-
ra con don Michele. Una cosa che non è buona né per l’ani-
ma né pel corpo. La gente comincia perfino a mormorare
che a ’Ntoni gli fai la carità pelosa, giacché massaro Filippo
non ci viene più, e vedrai come andrà a finire! Vedrai che
arriverà all’orecchio del vicario, e ti leveranno la medaglia di
Figlia di Maria.
58 La Santuzza teneva duro ancora, perché in casa sua vole-
va essere sempre la padrona; ma cominciava ad aprire gli

57. la carità pelosa: «quella di coloro che, sotto specie di aiutare il


prossimo, cercano di avvantaggiarsi per sè, o mediante atti di carità
finta cercano di corrompere altrui» (Rigutini-Fanfani). Vedi Manzoni, I
promessi sposi, XVIII, p. 319: «una canta... non dico pelosa, ma una
carità molto gelosa».
58. quello... santo evangelio: cfr. II, 16: «[la Zuppidda] diceva sem-
pre la verità come il santo evangelio». – fare il viso lungo: corregge in A:
«brontolare» (cfr. poco oltre, XIII, 59: «brontolando»). – lei e suo padre
se lo guadagnavano il pane: cfr. XIII, 56: «tante gliene aveva dette quel
paneperso di suo padre». – sputacchiare... mettere i piedi: parallelamen-
te al degrado che in maniera sempre più evidente caratterizza ’Ntoni, si
accentuano, qui iperbolicamente, anche i tratti che ne avevano prean-
nunciato il primo manifestarsi (cfr. X, 49).

Letteratura italiana Einaudi 343


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

occhi anche lei, giacché tutto quello che le diceva suo padre
era il santo evangelio, e non trattava più ’Ntoni come prima.
Se c’era un rimasuglio da riporre in serbo nel piatto, non lo
dava più a lui, e gli metteva dell’acqua sporca nei fondi di
bicchiere; sicché ’Ntoni alla fine cominciò a fare il viso
lungo, e la Santuzza gli rispose che i fannulloni non le pia-
cevano, e lei e suo padre se lo guadagnavano il pane, così
pure avrebbe dovuto far lui, e aiutare un po’ nella casa, a
spaccar legna o a soffiare nel fuoco, invece di starsene come
un lazzarone a vociare e dormire colla testa fra le braccia o
a sputacchiare per terra dappertutto, che faceva un mare e
non si sapeva più dove mettere i piedi.
59 ’Ntoni un po’ andò a spaccar legna, brontolando, o a sof-
fiar nel fuoco, per fare meno fatica. Ma gli era duro lavora-
re tutto il giorno come un cane, peggio di quello che faceva
un tempo a casa sua, per vedersi trattare peggio di un cane
a sgarbi e parolacce, in grazia di quei piatti sporchi che gli
60 davano da leccare. Una volta finalmente, mentre la Santuzza
tornava dal confessarsi col rosario in mano, le fece una sce-
nata, lagnandosi che questo avveniva perché don Michele
era tornato a girandolare davanti all’osteria, che l’aspettava
anche sulla piazza, quando andava a confessarsi, e lo zio
Santoro gli gridava dietro per salutarlo, quando sentiva la
sua voce, e andava a cercarlo fin nella bottega di Pizzuto,

60. girandolare: in A: «gironzare»; cfr. X, 49. – cominciò a fare il dia-


volo: giocando sul contrasto rispetto al precedente: «tornava dal con-
fessarsi col rosario in mano». – ci hanno il truogolo... il maiale: dopo
una vantaggiosa sistemazione col matrimonio hanno ora la possibilità di
mantenersi anche un amante. Riprende, ma con rovesciamento del
significato, il proverbio «Canciari lu porcu pri lu schifu», che vale
«rinunziare al più, per avere il meno» (Mortillaro). La primitiva versio-
ne di A, riportata in discorso indiretto libero, era: «[...] cercavano uno
che voleva mettersi al truogolo di casa come un maiale». Il truogolo
(«schifu» in siciliano) è «il vaso per lo più di pietra [...] dove si tiene il
mangiare per i maiali e talora acqua per usi diversi» (Rigutini. Fanfani);
cfr. anche XV, 51.

Letteratura italiana Einaudi 344


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

tastando i muri col bastone per trovar la strada. La Santuzza


allora cominciò a fare il diavolo, e rispondergli che era venu-
to apposta per farle fare peccati, mentre aveva l’ostia in
bocca, e farle perdere la comunione. – Se non vi piace anda-
tevene! gli diceva. Io non voglio dannarmi l’anima per voi;
e non vi ho detto nulla quando ho saputo che correte dietro
le donnacce come la Vespa e la Mangiacarrubbe, ora che
sono malmaritate. Correte a trovarle, che ora ci hanno il
truogolo in casa, e cercano il maiale. – Ma ’Ntoni giurava
che non era vero, e a lui non gliene importava di queste
cose; alle femmine non ci pensava più, e avrebbe potuto
sputargli in faccia se lo vedeva parlare con un’altra donna.
61 – No, così non te lo levi dai piedi, ripeteva intanto lo zio
Santoro. Non vedi come è attaccato al pane che ti mangia?
Bisogna rompere la pentola per aggiustarla. Bisogna farlo
mettere fuori a pedate. Massaro Filippo mi ha detto che il
mosto non può tenerlo più nelle botti, e lo venderà ad altri
se tu non fai la pace con don Michele, e non ti riesce di farlo
entrare di contrabbando come prima! – E tornava a cercare
massaro Filippo nella bottega di Pizzuto, tastando i muri col
bastone. Sua figlia faceva la sdegnosa, protestando che non
avrebbe mai piegato il capo a don Michele dopo la partac-
cia che colui le aveva fatto. – Lascia fare a me che l’aggiusto
io! assicurava lo zio Santoro. – Farò le cose con giudizio.
Non ti lascerei fare la figura di tornare a leccare gli stivali a
don Michele; sono tuo padre o no, santo Dio?
62 ’Ntoni, dacché la Santuzza gli faceva degli sgarbi, biso-

61. Bisogna rompere... aggiustarla: in siciliano è attestato: «Si un si


rumpi, un si sana, modo proverbiale per esprimere che in certe circo-
stanze non bisogna dissimulare, anzi levando rumore si ottiene buon
effetto» (Mortillaro). «Pentola» è correzione in bozze di «pignatta». –
tastando i muri col bastone: cfr. XIII, 60: «tastando i muri col bastone
per trovare la strada». – leccare gli stivali: vedi, ma con adeguamento al
ruolo del personaggio, «leccare le ciabatte a compare Tino» (IX, 58).
62. pensavano... senza appetito: sostituisce in A: «mangiavano trista-
mente la loro minestra pensando a lui».

Letteratura italiana Einaudi 345


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

gnava che pensasse come pagare il pane che gli davano all’o-
steria, giacché a casa sua non osava comparire, e quei pove-
retti intanto pensavano a lui quando mangiavano la loro
minestra senza appetito, come se anch’egli fosse morto, e
non stendevano nemmeno la tovaglia, sparpagliati per la
63 casa, colla scodella sulle ginocchia. – Questo è l’ultimo
colpo, per me che sono vecchio! – ripeteva il nonno; e chi lo
vedeva passare colle reti in spalla, per andare a giornata,
diceva: – Questa è l’ultima invernata per padron ’Ntoni.
Poco ci vorrà che tutti quegli orfani rimangono sulla strada.
– E la Lia, se la Mena le diceva di ficcarsi dentro quando
passava don Michele, rispondeva con tanto di bocca:
– Sì! bisogna ficcarsi in casa, quasi fossi un tesoro! Sta
tranquilla che di tesori come noi non ne vogliono neppure i
cani!
– Oh! se tua madre fosse qui, non diresti così! mormora-
va Mena.
– Se mia madre fosse qui, non sarei orfana, e non dovrei
pensarci da me ad aiutarmi. E nemmeno ’Ntoni andrebbe
per le strade, che è una vergogna sentirsi dire che siamo sue
sorelle, e nessuno vorrà prendersi in moglie la sorella di
’Ntoni Malavoglia.
64 ’Ntoni, ora che era in miseria, non aveva più ritegno di
mostrarsi insieme a Rocco Spatu e a Cinghialenta per la scia-
ra e verso il Rotolo, e a discorrere sottovoce tra di loro, colla
faccia scura, a guisa di lupi affamati. Don Michele le torna-
va a dire alla Mena: – Vostro fratello vi darà qualche dispia-
cere, comare Mena!

63. non dovrei... aiutarmi: cfr. XIII, 37.


64. verso il Rotolo: cfr. XIII, 45. – colla faccia scura: vedi, a segnare il
contrasto, XIII, 65: «ripeteva Mena colla faccia pallida». Cfr. anche
XIII, 2. – a guisa di lupi affamati: cfr. XIII, 51: «li cacciavano peggio dei
lupi»; l’immagine trae origine dal proverbio: «Chi va coi lupi allupa»
(XIII, 9).

Letteratura italiana Einaudi 346


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

65 Mena era ridotta ad andare a cercare il fratello sulla scia-


ra anche lei, e verso il Rotolo, o sulla porta dell’osteria; e
piangeva e singhiozzava, tirandolo per la manica della cami-
cia. Ma egli rispondeva:
– No! E’ don Michele che mi vuol male, te l’ho detto. Sta
sempre a macchinar birbonate contro di me collo zio
Santoro. Li ho sentiti io nella bottega di Pizzuto, che lo sbir-
ro gli diceva: – E se tornassi dalla vostra figlia, che figurac-
cia ci farei? – E lo zio Santoro rispondeva: – Oh bella! se vi
dico che tutto il paese si mangerebbe i gomiti dall’invidia!
– Ma tu cosa vuoi fare? ripeteva Mena colla faccia pallida.
Pensa alla mamma, ’Ntoni, e pensa a noi che non abbiamo
più nessuno!
– Niente! Voglio svergognare lui e la Santuzza davanti a
tutto il paese, quando vanno alla messa! Voglio dir loro il
fatto mio, e far ridere la gente. Già non ho paura di nessu-
no al mondo; e mi sentirà anche lo speziale lì vicino.
66 Mena infatti aveva un bel piangere e un bel pregare, egli
tornava a dire che non aveva nulla da perdere, e dovevano
pensarci gli altri più di lui; che era stanco di fare quella vita,
e voleva finirla – come diceva don Franco. E siccome all’o-
steria lo vedevano di malocchio, andava a girandolare per la
piazza, specialmente la domenica, e si metteva sugli scalini
della chiesa per vedere che faccia facevano quegli svergo-

65. sulla sciara... e verso il Rotolo: ormai trasformato in modulo (cfr.


XIII, 64; XIV, 1), a indicare il luogo della ‘perdizione’ (analogamente
all’osteria nelle sequenze iniziali del capitolo, e anche qui richiamata: «o
sulla porta dell’osteria»), da cui Mena cerca allontanare il fratello (cfr.
poco oltre «tirandolo per la manica della camicia»), contrapponendosi
in questo al ruolo di tentatori’ svolto da Rocco Spatu e Cinghialenta
(cfr. XIII, 75: «tirandolo pel braccio verso la sciara»). – si mangerebbe i
gomiti: cfr. X, 5. – colla faccia pallida: corregge in A: «spaurita» – mi
sentirà... lì vicino: per il proprio ‘atto di coraggio’ ’Ntoni vuole avere
come spettatore lo speziale, l’unico di cui ora ricerchi l’approvazione.
66. girandolare: in A: «gironzare»; cfr. XIII, 60.

Letteratura italiana Einaudi 347


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

gnati che venivano lì a gabbare il mondo, e far le corna al


Signore e alla Madonna sotto i loro occhi stessi.
67 La Santuzza, dacché incontrava ’Ntoni che faceva la sen-
tinella sulla porta della chiesa, se ne andava ad Aci Castello
per la messa, di buon mattino, onde sfuggire la tentazione di
far peccati. ’Ntoni vedeva passare la Mangiacarrubbe, col
naso nella mantellina, senza guardar più nessuno, ora che
aveva acchiappato il marito. La Vespa, tutta in fronzoli, e
con tanto di rosario in mano, andava a pregare il Signore a
liberarla di quel castigo di Dio di suo marito; e ’Ntoni sghi-
gnazzava loro dietro: – Ora che l’hanno pescato il marito
non hanno più bisogno di nulla. Ci è chi deve pensare a dar
loro da mangiare!
68 Lo zio Crocifisso aveva persa anche la devozione, dacché
si era messa la Vespa addosso, e non andava nemmeno in
chiesa, per stare lontano dalla moglie almeno il tempo della
messa; così si dannava l’anima.
– Questo è l’ultimo anno per me! andava piagnucolando;
e adesso correva a cercare padron ’Ntoni, e gli altri disgra-

67. col naso nella mantellina: il modulo ha ormai assunto nel codice
gestuale ‘rusticano’ la connotazione di atteggiamento malizioso (cfr. III,
11), il suo impiego con diversa valenza necessita quindi di un’esplicita
precisazione: «senza guardar più nessuno, ora che aveva acchiappato il
marito». Vedi Pentolaccia, p. 222: «Ma lui ci aveva sempre pel capo
quella scarpetta e quegli occhi ladri che cercavano il marito fuori della
mantellina».
68. si era messa: le varianti in A rivelano l’incertezza nell’impiego
dell’ausiliare: «si era (su aveva) messa» ➝ «si aveva (su era) messa»;
cfr. anche IV, 11. – così si dannava l’anima: prevale l’accezione di ‘com-
mettere peccato, in serie con precedenti espressioni di ambito religio-
so, che convive però con quella più comune di ‘tormentarsi’ (cfr. XIII,
70: «con tutte le altre donne che sono al mondo per farci dannare l’a-
nima»). Vedi anche La Lupa, p. 197: «Padre Angiolino di Santa Maria
di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei». –Nella mia
vigna... arrivo di certo: col valore metaforico di ‘è avvenuta una disgra-
zia irreparabile’, confermato anche da un proverbio riportato dal Pitrè
(III, p. 76): «Cui picca i cu’ assai tutti avemu li grànnuli (‘la grandine’) a
la vigna».

Letteratura italiana Einaudi 348


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

ziati al pari di lui. – Nella mia vigna ci ha grandinato, e alla


vendemmia non ci arrivo di certo.
– Sapete, zio Grocifisso, rispondeva padron ’Ntoni; quan-
do vogliamo andare dal notaio per quell’affare della casa io
son pronto, e ci ho qui i denari. – Colui non pensava ad altro
che alla sua casa, e non gliene importava un corno degli affa-
ri degli altri.
– Non mi parlate di notaio, padron ’Ntoni! Quando sento
parlare di notaio, mi rammento del giorno in cui mi ci lasciai
trascinare dalla Vespa, maledetto sia il giorno che ci misi i
piedi!
69 Ma compare Piedipapera che fiutava la senseria, gli dice-
va: – Quella strega della Vespa, se morite voi, è capace di
dargliela per un pezzo di pane la casa del nespolo; ed è
meglio che li facciate voi i vostri affari, finché ci avete gli
occhi aperti.
Allora lo zio Crocifisso rispondeva: – Sì, sì, andiamo pure
dal notaio; ma bisogna che mi facciate guadagnare qualche
cosa su questo affare. Vedete quante perdite ho fatte! – E
Piedipapera aggiungeva, fingendo di parlare con lui: –
Quella strega di vostra moglie se sa che avete ripreso i dena-
ri della casa, è capace di strozzarvi, per comprarsene tante
collane e fazzoletti di seta. – E diceva pure: – Almeno la
Mangiacarrubbe non ne compra più collane e fazzoletti di
seta, ora che ha acchiappato il marito. La vedete come viene
a messa con una vesticciuola di cotonina!
70 – A me non me ne importa della Mangiacarrubbe, ma
avrebbero dovuto bruciarla viva anche lei, con tutte le altre

69. vesticciuola di cotonina: vestito con tessuto di poco pregio; anche


in siciliano «cutuneddu» nel senso di «tessuto ignobile» (Mortillaro).
70. leva il lume: della ragione; vedi Pitrè, I, p. 347: «Quannu Diu voli
castigari all’omu, cci leva lu lumi». – con tanto di pancia: corregge in A:
«non gli mancava nulla»; cfr. XIII, 52: «non glielo avrebbero levato
dalla testa colle tenaglie che don Michele, colla sua pancia, [...] non cer-
casse una donna di casa [...]». – colla lanterna: corregge in A: «col lumi-
cino»; cfr. X, 2: «cercarsi i guai col candeliere».

Letteratura italiana Einaudi 349


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

donne che sono al mondo per farci dannare l’anima. Che ci


credete che non compra più nulla? Tutta impostura per
minchionare padron Fortunato, il quale va gridando che
vuole pigliarsi una di mezzo alla strada, piuttosto che lasciar
godere la roba sua a quella pezzente la quale gli ha rubato il
figliuolo. Io per me gli regalerei la Vespa, se la volesse! Tutte
le stesse! e guai a chi ci capita, per sua disgrazia! che il
Signore leva il lume. Vedete don Michele, che va nella stra-
da del Nero, per far l’occhietto con donna Rosolina; cosa gli
manca a costui? Rispettato, ben pagato, con tanto di pan-
cia!... Ebbene! corre dietro alle donne anche lui per cercar-
si i guai colla lanterna; per la speranza di quei quattro soldi
del vicario.
71 – No, egli non ci viene per donna Rosolina, no! diceva
Piedipapera ammiccandogli di nascosto. – Donna Rosolina
può farci le radiche sul terrazzino in mezzo ai suoi pomido-
ro, a fargli l’occhio di pesce morto. A don Michele non glie-
ne importa nulla dei denari del vicario. Lo so io cosa va a
fare nella strada del Nero!
– Dunque cosa pretendete per la casa? tornò a dire
padron ’Ntoni.
– Ne parleremo, ne parleremo quando saremo dal notaio,
rispose lo zio Crocifisso. Adesso lasciatemi ascoltare la santa
messa; e in tal modo lo mandava via mogio mogio.
72 – Don Michele ci ha altro per la testa, – ripeteva
Piedipepera, cacciando fuori tanto di lingua dietro le spalle
di padron ’Ntoni, e accennando coll’occhio a suo nipote, il
quale andava ad appollaiarsi sui muri, con un pezzo di giub-
bone sulle spalle, saettando delle occhiatacce sullo zio
Sanroro, il quale aveva preso a venire alla messa, per sten-

71. sul terrazzino... pomidoro: corregge la prima versione di A:


«seduta su quella sedia»; analogamente a XIII, 52, «sul terrazzino»
sostituisce «sul poggiuolo».
72. andava ad appollaiarsi sui muri: è correzione in bozze della lezio-
ne di A: «gironzava lì vicino lungo i muri».

Letteratura italiana Einaudi 350


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

dere la mano ai fedeli, borbottando avemarie e gloriapatri, e


conosceva tutti ad uno ad uno, come la folla usciva dalla
chiesa, dicendo all’uno: – Il Signore vi dia la provvidenza! e
a quell’altro: – Tanta salute! – e come gli passò accanto don
Michele gli disse pure: – Andateci che vi aspetta nell’orto
dietro la tettoia. Santa Maria, ora pro nobis! Signore Iddio
perdonatemi!...
73 La gente, appena don Michele tornò a bazzicare dalla
Santuzza, diceva: – Fecero pace cani e gatti! Vuol dire che
ci era sotto qualche cosa per tenersi il broncio. E come mas-
saro Filippo era pure tornato all’osteria: – Anche quell’al-
tro! Che non sa starci senza don Michele? E’ segno che è
innamorato di don Michele, piuttosto che della Santuzza.
Certuni non sanno star soli neppure in paradiso.
74 Allora ’Ntoni Malavoglia masticava bile, vedendosi scac-
ciato a pedate fuori della bettola peggio di un cane rognoso,
senza un baiocco in tasca per andare a bere sul mostaccio a
don Michele, e piantarsi là tutto il giorno, coi gomiti sul
desco, a far loro mangiare il fegato. Invece gli toccava star
sulla strada come un cagnaccio, colla coda fra le gambe e il

73. Fecero pace cani e gatti!: alleanza fra ‘nemici’, per tendere ingan-
ni; cfr. Pitrè, I, p. 151: «Ficiru paci lu cani e lu lupu (o li cani e li lupi):
povira picuredda, afflitta crapa (‘capra’)!» (il proverbio compare sotto la
rubrica: «Astuzia, Inganno»). – Certuni... paradiso!: corregge in A:
«certuni non sanno far le cose da soli». In bozze: «non sanno star
soli» ➝ «soli non ci sanno stare».
74. sul mostaccio: cfr. VII, 39. – come un cagnaccio: il progressivo
abbrutimento di ’Ntoni si legge anche attraverso l’intensificarsi dell’ac-
centuazione spregiativa delle similitudini: «grasso e unto come il cane
del macellaio» XIII, 18; «per vedersi trattare peggio di un cane» XIII,
59 «peggio di un cane rognoso» XIII, 74 (cfr. anche c. 50, ma riferito a
don Michele). – succederà... succederà!: un esempio di discorso ‘fascia-
to’ (con ripresa cioè in chiusura di un elemento già impiegato) che si
ripropone al c. 75. «Commedia» qui nel senso di ‘qualcosa di grave, che
farà scalpore’. Vedi inoltre VII, 5: «fare una commedia con quel don
Silvestro».

Letteratura italiana Einaudi 351


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

muso a terra, borbottando: – Sangue di Giuda! un giorno o


l’altro succederà una commedia, succederà!
75 Rocco Spatu, e Cinghialenta, che avevano sempre qualche
soldo, gli ridevano sul naso, dalla porta della taverna, facen-
dogli le corna; e venivano a parlargli sottovoce, tirandolo pel
braccio verso la sciara e parlandogli nell’orecchio. Egli ten-
tennava sempre a dir di sì, come un minchione che era.
Allora gli rinfacciavano: – Ti sta bene a morir di fame, lì
davanti, e a vederti far le corna sotto agli occhi tuoi stessi da
don Michele, carogna che sei!
– Sangue di Giuda! non dite così! gridava ’Ntoni col
pugno in aria, – che un giorno o l’altro faccio succedere una
commedia, faccio succedere!
76 Ma gli altri lo piantavano lì, alzando le spalle, sghignaz-
zando; tanto che infine gli fecero montare la mosca al naso;
e andò a piantarsi proprio nel bel mezzo dell’osteria, giallo
come un morto, col pugno sul fianco, e il giubbone vecchio
sulle spalle, che pareva ci avesse un vestito di velluto, giran-
77 do gli occhiacci intorno per stuzzicare chi sapeva lui. Don
Michele, per amore dei galloni, fingeva di non vederlo, e
cercava di andarsene; ma ’Ntoni ora che don Michele face-
va il minchione si sentiva crescere il fegato, e gli rideva e gli
sghignazzava sul mostaccio, a lui e alla Santuzza; e sputava
sul vino che beveva, dicendo che era tossico di quello che

75. tirandolo pel braccio verso la sciara: cfr. XIII, 65. – come un min-
chione che era: in indiretto libero il giudizio di Rocco Spatu e
Cinghialenta, che giudicano ’Ntoni uno sciocco per la sua esitazione a
unirsi a loro.
77. fingeva di non vederlo: corregge in A: «voleva evitare una qui-
stione». – cuocere il fegato: intensificazione di «mangiarsi il fegato»
(XIII, 74). – mostaccio: cfr. XIII, 74. –sputava sul vino: ambito metafo-
rico dire gistro ‘basso’ (in A: «disprezzava il vino» ➝ «disprezzando il
vino» ➝ «diceva [ ]»), in sintonia col tratto
caratterizzante del personaggio, cfr. XIII, 58: «starsene [...] a sputac-
chiare per terra dappertutto […]». – tossico...sacramentato! – E battez-
zato: cfr. II, 25.

Letteratura italiana Einaudi 352


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

avevano dato a Gesù sacramentato! – E battezzato per giun-


ta, che la Santuzza ci aveva messa l’acqua, ed era una vera
minchioneria venire a lasciarsi rubare i soldi in quella betto-
78 laccia; per questo ei non ci veniva più! – La Santuzza, toc-
cata nel debole, non seppe più contenersi, e gli disse che
non ci veniva più perché erano stanchi di mantenerlo per
carità, che erano stati costretti a cacciarlo fuori dell’uscio
colla scopa, tanto era affamato. Allora ’Ntoni cominciò a
fare il diavolo, gridando e rompendo i bicchieri, che l’ave-
vano messo fuori per tirarsi in casa quell’altro baccalà col
berretto gallonato; ma gli bastava l’anima di fargli uscire il
vino dal naso, se voleva, perché lui non aveva paura di nes-
suno. Don Michele, giallo anche lui, col berretto di traver-
so, balbettava: – Per la santa parola d’onore, stavolta finisce
brutta! – intanto che la Santuzza faceva piovere i bicchieri e
79 le mezzette addosso a tutti e due. Così finalmente si azzuf-
farono e cominciarono a darsi dei pugni, e a rotolarsi sotto
le panche, che volevano mangiarsi il naso, mentre la gente li
prendeva a calci e a pugni per separarli; e ci riescì infine
Peppi Naso colla cinghia di cuoio che s’era levata dai calzo-
ni, e dove arrivava levava il pelo.

78. toccata nel debole: corregge in A: «presa nel debole» ➝ «attac-


cata nel vivo». – col berretto di traverso: inequivocabile segno di spaval-
deria del codice ‘rusticano (cfr. V, 27) ed esplicito indizio quindi che,
dopo i tentativi per evitare la rissa, don Michele raccoglie la provoca-
zione. – mezzette: boccali della capacità di circa mezzo litro; in A:
«misure». Vedi Manzoni, I promessi sposi, XVI, p. 280: «chiese un boc-
cone e una mezzetta divino»; ibid., p. 282: «guardando la mezzetta che
l’oste aveva posata».
79. che volevano... levava il pelo: la prima redazione in A era: «men-
tre la gente che volevano separarli, li pestavano, e infine Peppi Naso
( ➝ Cinghialenta ➝ Piedipapera) per dividerli si levò la cinghia di
cuojo dei calzoni e cominciò a far piovere una gragnuola di scudisciate
che ognuna levava il pelo […]». «Levare il pelo» è locuzione presente
anche in siciliano: «Botti, Vastunati a leva pilu; ‘fortissime e dolorose’»
(Nicotra).

Letteratura italiana Einaudi 353


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Tredicesimo

80 Don Michele si spolverò la montura, andò a raccattare la


sciabola che aveva persa, e se ne uscì borbottando fra i
denti, senz’altro, per amor dei galloni. Ma ’Ntoni
Malavoglia, il quale mandava un fiume di sangue dal naso,
vedendolo sgattaiolare, non lo potevano tenere dal gridargli
dietro un mare d’improperi dalla porta dell’osteria,
mostrandogli il pugno, e asciugandosi colla manica il sangue
che gli colava dal naso; e gli prometteva che voleva dargli il
resto quando l’incontrava.

80. il sangue che gli colava dal naso: cfr. poco prima: «mandava un
fiume di sangue dal naso»; l’insistenza sul dettaglio evidenzia il contra-
sto con la minaccia lanciata da ’Ntoni: «gli bastava l’anima di fargli
uscire il vino dal naso» (XIII, 78).

Letteratura italiana Einaudi 354


XIV

1 Quando ’Ntoni Malavoglia incontrò don Michele per dar-


gli il resto fu un brutto affare, di notte, mentre diluviava, ed
era scuro che non ci avrebbe visto neppure un gatto, all’an-
golo della sciara verso il Rotolo, dove bordeggiavano quatte
quatte le barche che facevano finta di pescare merluzzi a
mezzanotte, e dove ’Ntoni andava a ronzare, con Rocco
Spatu, e Cinghialenta, ed altri malarnesi, con la pipa in
bocca, che le guardie le conoscevano ad una ad una quelle
punte di fuoco delle pipe, mentre stavano appiattate fra gli
scogli con le carabine in mano.
2 – Comare Mena, – aveva detto don Michele un’altra volta,
passando dalla strada del Nero; – ditegli a vostro fratello di

1. Quando ’Ntoni Malavoglia incontrò don Michele...: avvio di singo-


lare efficacia che si concatena al finale del capitolo precedente, prean-
nunciando nello stesso tempo scenari e atmosfere che attendono il let-
tore, coinvolto nel clima di sospensione che si crea grazie ad anticipa-
zioni («brutto affare»), a sapienti incisi («di notte, mentre diluviava, ed
era scuro che non ci avrebbe visto neppure un gatto...»), calati in una
sintassi che progressivamente si dilata seguendo, in un solo ampio
periodo, l’entrata in scena dei vari protagonisti. – dargli il resto: il
Mortillaro registra l’espressione «Daricci lu restu» nel senso di «torna-
re a bastonare». –all’angolo della sciara verso il Rotolo: cfr. XIII, 65. –
quatte quatte: reduplicazione intensiva che si ripropone nel corso del
capitolo ben quattro volte (commi 8, 20, 25) ed è anticipata da: «le bar-
che che vanno costeggiando quatte quatte verso l’imbrunire» (XIII,
46). – facevano finta... mezzanotte: il ricorso alla metafora di sapore iro-
nico-gergale, con forte sottolineatura allitterativa (facevano finta...mer-
luzzi a mezzanotte), richiama, con analoga allusione alle barche dei con-
trabbandieri, «come se andassero a pescar pipistrelli» (XIII, 46). – punte
di fuoco: corregge in A: «scintille».

Letteratura italiana Einaudi 355


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

non andarci di notte al Rotolo, con Rocco Spatu e


Cinghialenta.
3 Ma ’Ntoni aveva fatto il sordo perché «ventre affamato
non sente ragione»; e don Michele non gli faceva più paura,
dopo che si erano rotolati a pugni e a cazzotti sotto le pan-
che all’osteria; inoltre gli aveva promesso di dargli il resto
quando l’incontrava, e non voleva passare per canaglia e per
spaccone agli occhi della Santuzza e di tutti quelli che erano
stati presenti alla minaccia. – Gli ho detto che gli darò il
rimanente dove l’incontrerò; e se l’incontro al Rotolo glielo
dò al Rotolo! – ripeteva coi suoi amici, e ci avevano tirato
4 anche il figlio della Locca. Avevano passato la sera all’oste-
ria, a bere e schiamazzare, che la bettola è come un porto di
mare, e la Santuzza non avrebbe potuto mandarlo via, ora
che ci aveva dei soldi in tasca e li faceva ballare nella mano.
Don Michele era passato a far la ronda, ma Rocco Spatu,
che sapeva la legge, diceva sputacchiando: – Finché c’è il
lume sulla porta abbiamo il diritto di star qua! – e si appog-
giava al muro per star meglio. ’Ntoni Malavoglia se la gode-
va anche a far sbadigliare la Santuzza, la quale dormicchia-
va dietro i bicchieri, colla testa posata su quei cuscini che

3. «ventre affamato... ragione»: cfr. Pitrè I, p. 204: «Panza vacanti


nun senti raggiuni» (nella traduzione toscana riportata dal Pitrè:
«Ventre digiuno non ode nessuno»). – per canaglia e per spaccone: cor-
regge in bozze la lezione di A: «per carogna e chiacchierone»; la varian-
te è in relazione con un ulteriore intervento sempre in bozze: «vino
chiacchierone» ➝ «vino ciarliero» (XIV, 4). – Rotolo: insistenza osses-
siva (se ne osservi anche un’eco in «rotolati» c. 3) sul nome del luogo
che sarà teatro della vicenda, ma che entra nella pagina col valore di
funesto presagio, grazie alle particolari connotazioni negative che ha
assunto (cfr. XIII, 65).
4. come un porto di mare: cfr. VII, 33. – ci aveva dei soldi in tasca:
indizio che, vinte le ultime resistenze (cfr. XIII, 75), si è lasciato coin-
volgere nel contrabbando. – sputacchiando: cfr. X, 49. – su quei cuscini:
con accentuazione caricaturale (cfr. poco oltre «meglio che su di un
fascio d’erba fresca») rispetto a «[…] e la medaglia di Figlia di Maria
sul petto prepotente, che non voleva starci» (IV, 22). – vino chiacchie-
rone: è correzione in bozze di «vino ciarliero»; cfr. XIV, 3.

Letteratura italiana Einaudi 356


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

portavano la medaglia di Figlia di Maria. – E ci sta sul mor-


bido meglio che su un fascio d’erba fresca! – diceva ’Ntoni,
il quale aveva il vino chiacchierone; mentre Rocco, pieno
come una botte, non fiatava più, colle spalle al muro.
5 Lo zio Santoro intanto, a tastoni, aveva ritirato il lume e
chiudeva la porta. – Ora andatevene che ho sonno; disse la
Santuzza.
– Io non ho mica sonno io! Massaro Filippo a me mi lascia
dormire la notte.
A me non me ne importa se vi lascia dormire; ma non
voglio che mi prendano la multa per amor vostro, se mi tro-
vano l’uscio aperto a quest’ora.
– Chi ve la piglia la multa? quello sbirro di don Michele?
Fatelo venire qui che gliela dò io la multa! ditegli che c’è qui
’Ntoni Malavoglia, sangue della Madonna!
6 La Santuzza intanto lo aveva preso per le spalle e lo spin-
geva fuori dell’uscio. – Andate a dirglielo voi stesso; e anda-
te a cercarvi i guai fuori di qui. Io non ne voglio chiacchie-
rare colla polizia pei vostri begli occhi.
7 ’Ntoni, vistosi cacciare in guel modo sulla strada, nel
fango, e coll’acqua che veniva giù come Dio la mandava, tirò
fuori tanto di coltello, e giurava e sacramentava che voleva
pungerli tutti quanti, lei e don Michele! Cinghialenta era il
solo che stesse in sensi per tutti, e lo tirava pel giubbone, e
gli diceva: – Lascia stare per stasera! Non lo sai quello che
abbiamo da fare?
Al figlio della Locca allora gli venne una gran voglia di
mettersi a piangere, al buio.
– E’ ubbriaco, – osservò Rocco Spatu, messo sotto la
gronda – portatelo qui che gli farà bene.

5. Io non ho mica sonno io!: reduplicazione del pronome, rincalzata


da «a me mi lascia dormire», con effetto maliziosamente allusivo. – mi
prendano: ‘mi facciano pagare’; cfr. poco oltre «Chi ve la piglia la
multa?» – gliela dò io la multa: in A: «glielo dico sul mostaccio» ➝
«gli rido sul mostaccio».

Letteratura italiana Einaudi 357


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

8 ’Ntoni, un po’ calmato dall’acqua che gli pioveva dalla


gronda, si lasciò condurre da compare Cinghialenta, segui-
tando a sbuffare, mentre sguazzava nelle pozzanghere, e
sacramentava che se incontrava don Michele voleva dargli
quello che gli aveva promesso. Tutt’a un tratto si trovò dav-
vero naso a naso con don Michele, il quale ronzava lì intor-
no anche lui, colla pistola sulla pancia e i calzoni dentro gli
stivali. Allora ’Ntorni si calmò di botto, e tutti e tre si allon-
tanarono quatti quatti, verso la bottega di Pizzuto. Arrivati
dietro l’uscio, adesso che don Michele era ben lontano,
’Ntoni volle a forza che si fermassero per udire quello che
diceva.
9 – Lo vedete dove andava don Michele? e la Santuzza che
diceva d’aver sonno! Adesso come faranno se c’è tuttora
massaro Filippo nella stalla?
– E tu lascia stare don Michele, – gli disse Cinghialenta,
così ci lascerà andare pei fatti nostri.
– Voi altri siete tante carogne! – disse ’Ntoni, – che avete
paura di don Michele.
– Stasera sei ubbriaco! ma ti farei vedere se ho paura di
don Michele! Ora che ho venduto il mulo non voglio che
nessuno venga a vedere come mi guadagno il pane, sangue
di un cane!
10 Là si misero a cianciare a voce bassa a ridosso del muro,

8. sbuffare: corregge in A: «minacciare». – naso a naso: corregge in


A: «faccia a faccia», richiamando un termine che sembra indissolubil-
mente legato allo scontro fra i due personaggi: «gli fecero montare la
mosca al naso» (XIII, 76), «fargli uscire il vino dal naso» (c. 78), «vole-
vano mangiarsi il naso» (c. 79), «mandava un fiume di sangue dal
naso» (c. 80), «il sangue che gli colava dal naso» (c. 80). – colla pistola...
stivali: cfr. II, 33 – quatti quatti: cfr. XIV, 1.
9. canaglie: in A: «carogne». – ho venduto il mulo: corregge in A: «mi
è morto il mulo». – il pane: il termine, rafforzato poco dopo all’interno
dell’imprecazione dalla rima con «cane», a giustificazione dell’atto, in
realtà illegale, che stanno compiendo.
10. Ad un tratto... ascoltare: il battere delle ore nella notte (qui in una
rappresentazione che l’insistita allitterazione in dentale e la nota tenuta

Letteratura italiana Einaudi 358


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

intanto che lo scroscio della pioggia copriva i loro discorsi.


Ad un tratto suonarono le ore, e tacquero tutti e quattro per
stare ad ascoltare.
– Entriamo da compare Pizzuto, – disse Cinghialenta. –
Egli è padrone di tenere la porta aperta sino che vuole, e
senza lume fuori.
– E’ scuro che non ci si vede! – disse il figlio della Locca.
– Bisogna bere qualche cosa, col tempo che fa; – rispose
Rocco Spatu. – Se no ci romperemo il naso nella sciara.
Cinghialenta si mise a brontolare: – Come se andassimo a
giuocare! Ora vi farò dare dell’acqua col limone da mastro
Vanni.
– Io non ho bisogno dell’acqua col limone! – saltò su
’Ntoni; – e vedrete se il fatto mio lo saprò fare meglio di voi
altri!
11 Compare Pizzuto non voleva aprire a quell’ora, e rispon-
deva che era in letto; ma siccome continuavano a picchiare,
e minacciavano di svegliare tutto il paese e di far correre la
guardia a mettere il naso nei fatti loro, si fece dare la voce e
venne ad aprire in mutande.
– Che siete pazzi a picchiare in questo modo? – esclama-
va. – Or ora ho visto passare don Michele.
– Sì, l’abbiamo visto anche noi; adesso sta recitando il
rosario colla Santuzza.
– Che lo sai donde viene don Michele? – gli domandò
Pizzuto guardandolo negli occhi: ’Ntoni fece una spallata; e

sulla ‘a’ rendono quasi onomatopeica), è motivo ricorrente a suggerire


attesa e tensione. – ci romperemo il naso: cfr. XIV, 8, 11, 13.
11. mettere il naso: cfr. nota precedente. – dare la voce: ‘chiamare (in
siciliano «dari vuci» Mortillaro) ad alta voce’, per assicurarsi che fosse-
ro persone conosciute. – venne ad aprire in mutande: con un ricordo
forse dell’Ambrogio manzoniano, svegliato nel cuore della notte dalle
grida di don Abbondio (I promessi sposi, VIII, p. 129). – sta recitando
il rosario: cfr. II, 3, 34.

Letteratura italiana Einaudi 359


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

Vanni, mentre si faceva da parte per lasciarli entrare,


ammiccò a Rocco e a Cinghialenta:
12 – E’ stato dalle Malavoglia, – soffiò loro nell’orecchio. –
L’ho visto escire io!
– Buon prò, rispose Cinghialenta; ma bisognerebbe dire a
’Ntoni che raccomandi a sua sorella di trattenere don
Michele tutta la notte, quando abbiamo da fare...
– Che cosa volete da me? – chiese ’Ntoni colla lingua
grossa.
– Niente, non è affare per questa sera.
– Se non è affare per questa sera perché mi avete fatto
lasciar l’osteria, che son tutto fradicio dalla pioggia? – disse
Rocco Spatu.
– E’ un altro discorso che stavamo facendo con compare
Cinghialenta.
E Pizzuto aggiunse:
13 – Sì, è venuto l’uomo dalla città, e ha detto che per que-
sta sera la roba è là, ma sarà un affare grosso sbarcarla con
questo tempo.
– Tanto meglio; così nessuno ci vede a sbarcarla.
– Sì, ma le guardie hanno l’orecchio fino; e badate che m’è
parso di vederle ronzare qui davanti, e guardare dentro la
bottega.
Allora successe un momento di silenzio, e compare Vanni,
per finirla, andò a riempire tre bicchieri di erbabianca.
– Me ne impipo delle guardie! – esclamò Rocco Spatu
dopo che ebbe bevuto. – Peggio per loro se vengono a met-
tere il naso nei fatti miei: ho qui il mio temperino che non fa
tanto chiasso come le loro pistole.
– Noi ci buschiamo il pane come possiamo, e non voglia-

12. colla lingua grossa: a causa dell’ubriachezza; corregge in A: «colla


voce grossa», che suggeriva piuttosto risentimento e aggressività.
13. e guardare dentro la bottega: sostituisce in A: «con certe facce».
– vengono a mettere il naso: corregge in A: «s’immischiano»; cfr. XIV,
11. – ci buschiamo il pane come possiamo: cfr. XIV, 9.

Letteratura italiana Einaudi 360


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

mo far male a nessuno! – aggiunse Cinghialenta. – O che


uno non è più padrone di farsi sbarcare la roba dove vuole?
14 – Loro stanno a spasso come i ladri, per farsi pagare il
dazio di ogni fazzoletto da naso che volete portare a terra, e
nessuno li prende a schioppettate; – aggiunse ’Ntoni
Malavoglia. – Sapete che cos’ha detto don Giammaria? che
rubare ai ladri non è peccato. E i primi ladri son quelli coi
galloni, che ci mangiano vivi.
– Vogliamo farne tonnina! – conchiuse Rocco Spatu, cogli
occhi lucenti al pari di un gatto.
15 Ma a quel discorso il figlio della Locca posò il bicchierino
senza accostarlo alla bocca, giallo come un morto.
– Che sei già ubbriaco? – gli chiese Cinghialenta.
– No, – rispose lui, – non ho bevuto.
– Esciamo fuori che l’aria aperta farà bene a tutti. Buona
notte a chi resta.
16 – Un momento! – gridò Pizzuto colla mano sul battente.
– Non è pei soldi dell’erbabianca; questa ve l’ho data per
niente, come amici che siete; ma vi raccomando, eh! La mia

14. come i ladri: con rovesciamento dei ruoli, di cui ’Ntoni cercherà
di fornire una pseudo-giustificazione ‘ideologica’. – fazzoletto da naso:
la specificazione (non casuale, vista la serie in cui s’inscrive, cfr. XIV,
13) quasi a minimizzare l’entità del traffico, in contrapposizione ad es.
al fazzoletto di seta, «avuto da un contrabbando», che don Michele
offre a Lia, cfr. XIII, 43. – rubare ai ladri non è peccato: cfr. XIII, 51. –
farne tonnina: la locuzione è attestata anche in siciliano: «Farinni tun-
nina», nel senso di «malmenare, fare quasi a pezzi» (Mortillaro).
Tonnina è un «salume fatto della schiena del pesce tonno» (Rigutini-
Fanfani). Cfr. anche XV, 31.
16. ci mette il naso: cfr. XIV, 13. – siamo come pane e cacio: «detto di
due persone, vale ‘esserci tra loro piena concordia’» (Rigutini-Fanfani).
– don Silvestro: ricettatore anche lui al pari di Vanni Pizzuto. – tutte
queste bricconate: la lunga battuta di Pizzuto svela i retroscena del con-
trabbando, che si realizza grazie a complicità insospettabili. La situa-
zione trova puntuale conferma nell’Inchiesta in Sicilia di Franchetti e
Sonnino (1876) cit., opportunamente indicata da Luperini come pro-
babile fonte.

Letteratura italiana Einaudi 361


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

casa è qui per voi altri, se l’affare va bene. Sapete che ci ho


lì dietro una camera dove ci starebbe un bastimento di roba,
e nessuno ci mette il naso, ché con don Michele e le sue
guardie siamo come pane e cacio. Di compare Piedipapera
non mi fido, perché l’altra volta mi fece le corna, e andò a
portare la roba in casa di don Silvestro. Don Silvestro non si
contenterebbe, mai di quel che gli dareste di sua parte, col
prestesto che arrischia di perdere il posto: ma con me non
avete questo timore, e mi darete quel ch’è giusto. E sì che a
compare Piedipapera non gli ho mai negato la senseria, e gli
do il bicchierino ogni volta che viene qui, e la barba gliela
faccio per niente. Ma santo diavolone! se mi fa le corna
un’altra volta non voglio passare per minchione, e andrò a
contare a don Michele tutte queste bricconate.
17 – No, no! compare Vanni; non c’è bisogno d’andarle a
raccontare a don Michele! E Piedipapera s’è visto stasera?
– Neanche sulla piazza; era lì nella spezieria a fare la
repubblica collo speziale. Ogni volta che si fa il colpo egli
voga al largo, per provare che lui non ci entra in tutto quel
che può succedere. E’ volpe vecchia e le palle delle guardie
non lo coglieranno mai, sebbene sia zoppo come il diavolo,
Poi domattina, a cose fatte, verrà a riscuotere la senseria,
colla faccia tosta. Ma le palle le lascia per gli altri.
– Piove sempre! – disse Rocco Spatu. – Che non vuol fini-
re stanotte?
– Con questo tempaccio, non ci sarà nessuno al Rotolo, –
soggiunse il figlio della Locca, – ed è meglio tornarsene a
casa.

17. a fare la repubblica: ‘discutere animatamente di politica’. – voga


al largo: qui nel senso di ‘evita luoghi e persone che potrebbero com-
prometterlo’ (per la locuzione, cfr. X, 51); si rivela così la pretestuosità
dei suoi discorsi ‘politici’. – volpe vecchia: cfr. XIII, 46. –zoppo come il
diavolo: cfr. II, 29. – pegli: in A: «agli».

Letteratura italiana Einaudi 362


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

18 ’Ntoni, Cinghialenta e Rocco Spatu, che erano sulla


soglia, davanti alla pioggia che scrosciava come il pesce nella
padella, rimasero un momento zitti, guardando nel buio.
– Minchione che sei! – esclamò Cinghialenta per fargli
coraggio; e Vanni Pizzuto adagio adagio chiuse l’uscio, dopo
di aver detto sottovoce:
– Sentite, veh! se vi accadesse qualche disgrazia, voi non
m’avete visto stasera! Il bicchierino ve l’ho dato per l’amici-
zia, ma in casa mia non ci siete stati. Non mi tradite, che non
ho nessuno al mondo.
19 – Gli altri se ne andarono mogi mogi, sotto la pioggia,
rasente i muri, – E anche costui! – masticava fra i denti
Cinghialenta, – che sta a sparlare di Piedipapera, e dice che
non ha nessuno al mondo. Almeno Piedipapera ci ha la
moglie. E ci ho moglie anch’io! Ma io son di quelli delle
palle!...
20 In quel momento passavano quatti quatti dietro l’uscio
della cugina Anna, e Rocco Spatu disse che anche lui ci
aveva la mamma, la quale a quell’ora stava dormendo, beata
lei.
– Chi può starsene fra le lenzuola, con questo tempaccio,
non va in giro di certo; – conchiuse compare Cinghialenta.
’Ntoni fece segno di star zitti, e di scantonare per la viot-

18. scrosciava come il pesce nella padella: corregge in A: «cadeva»;


immagini analoghe in X, 8: «il mare friggeva […] come il pesce nella
padella»; X, 13: «il mare […] bolliva tutt’intorno come una pentola». –
rimasero un momento... buio: motivo ricorrente nel capitolo: c. 10: «tac-
quero […] per stare ad ascoltare»; c. 13: «Allora successe un momento
di silenzio [...]»; c. 20: «fece segno di star zitti»; c. 25: «stettero ad ori-
gliare [...]». In A «momento» corregge «pezzetto», anche per evitare
l’incontro a distanza ravvicinata con «zitti».
19. son di quelli delle palle: destinati cioè a rischiare; cfr. XIV, 17: «le
palle le lascia agli altri».
20. quatti quatti: cfr. XIV, 1. In A: «a passo di lupo»; vedi «La notti
è fatta pri li lupi» e «Li lupi caminanu di notti» (Pitrè, II, p. 289). – si
trovava: ‘cercava’. – quistionare: ‘litigare’.

Letteratura italiana Einaudi 363


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

tola, onde evitare di passare davanti alla sua casa, ché Mena
o il nonno potevano stare ad aspettarlo, e li avrebbero uditi.
– Non sta ad aspettar te, no, tua sorella; – gli diceva quel-
l’ubbriacone di Rocco Spatu. – Se mai, aspetta don Michele!
’Ntoni allora voleva mangiargli l’anima, mentre si trovava
il coltello in tasca, e Cinghialenta chiese loro se erano
ubbriachi, a volersi quistionare per delle sciocchezze, men-
tre andavano a fare quello che sapevano.
21 Mena infatti aspettava il fratello dietro l’uscio, col rosario
in mano, ed anche Lia, senza dir nulla di guello che sapeva,
ma pallida come una morta, E meglio sarebbe stato per tutti
che ’Ntoni fosse passato per la strada del Nero, invece di
scantonare per la viottola. Don Michele c’era stato davvero
verso un’ora di notte, e aveva picchiato all’uscio.
22 – Chi è a quest’ora? – disse Lia, la quale orlava di nasco-
sto un fazzoletto di seta che don Michele infine era riuscito
a farle prendere.
– Son io, don Michele; aprite che devo parlarvi di premu-
ra!
– Non apro perché tutti sono in letto e mia sorella è di là
ad aspettare ’Ntoni dietro l’uscio.
– Se vostra sorella vi sente ad aprire non fa nulla. Si trat-
ta appunto di ’Ntoni, ed è affare di premura. Non voglio che

21. E meglio sarebbe stato... per la viottola: la prolessi anticipa allusi-


vamente, creando un clima di sospensione, l’esito negativo della vicen-
da. Nel corso del capitolo si evidenzia una volontà costruttiva affidata
a tecniche narrative tradizionali di sicuro effetto; alla prolessi che
abbiamo indicato infatti fa seguito un’ampia analessi (completamente
aggiunta in A nella fase di revisione del testo), che descrive la scena del-
l’incontro fra don Michele e Lia e che si chiuderà riconnettendosi cir-
colarmente al punto di avvio (cfr. c. 25: «Ma il Signore non ve lo
mandò» che riprende il precedente «pregava il Signore che lo mandas-
se da quelle parti»). –un’ora di notte: cfr. II, 32.
22. orlava... prendere: il rapporto fra Lia e don Michele è dunque
mutato; cfr. XIII, 44: «la Lia correva a ficcarsi in casa, per paura che
volesse darle il fazzoletto». – perdo il pane: corregge in A: «perdo il
posto».

Letteratura italiana Einaudi 364


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

vada in galera vostro fratello. Ma apritemi, che se mi vedo-


no qui perdo il pane.
– Oh vergine Maria! – cominciò a dire allora la ragazza. –
Oh vergine Maria!
– Chiudetelo in casa, stanotte, vostro fratello, come torna.
Ma non gli dite che ci sono stato io. Ditegli che è meglio che
stia in casa. Diteglielo!
– Oh vergine Maria! Oh vergine Maria! – ripeteva Lia
colle mani giunte.
– Adesso è all’osteria, ma deve passar di qua. Voi aspetta-
telo sull’uscio, che è meglio per lui.
23 Lia piangeva sottovoce, perché non udisse sua sorella, col
viso nelle mani, e don Michele la vedeva piangere, colla
pistola sulla pancia e i calzoni dentro gli stivali. – Per me sta-
sera non c’è nessuno che stia inquieto, o che si metta a pian-
gere, comare Lia, ma anch’io sono in pericolo come vostro
fratello. Allora, se mi accade qualche disgrazia, pensateci
che son venuto ad avvertirvi ed ho arrischiato di perdere il
pane per voi!
24 Allora Lia alzò il viso dalle mani, e lo guardò cogli occhi
pieni di lacrime. – Dio ve la paga, don Michele, la carità!
– Io non voglio esser pagato, comare Lia; l’ho fatto per voi
e pel bene che vi voglio.
– Ora andatevene, che tutti dormono! andatevene, per
l’amor di Dio, don Michele!
Don Michele se n’andò, ed ella rimase dietro l’uscio a dire

23. colla pistola... stivali: cfr. II, 33. Abbiamo corretto «colle pistole»
di Treves ’81. –disgrazia: corregge in bozze: «cosa», accentuando il
senso di oscura premonizione.
24. comare Lia... vi voglio: la primitiva versione in A: «brontolò.
Sentite comare Lia da principio ho cominciato a guardarvi per capric-
cio, ma ora...» – a dire il rosario... parti: sostituisce in A: «a tremare
udendo la pioggia che scrosciava, e i tuoni che brontolavano; [...]»
➝ «a dire avemarie perchè il Signore mandasse presto ’Ntoni da
quelle parti».

Letteratura italiana Einaudi 365


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

il rosario per suo fratello; e pregava il Signore che lo man-


dasse da quelle parti.
25 Ma il Signore non ve lo mandò. Tutti e quattro, ’Ntoni,
Cinghialenta, Rocco Spatu e il figlio della Locca, filavano
quatti quatti lungo i muri della viottola, e come furono sulla
sciara si cavarono le scarpe, e stettero ad origliare un po’,
inquieti e colle scarpe in mano.
– Non si sente nulla, – disse Cinghialenta.
La pioggia continuava a cadere, e dalla sciara non si udiva
altro che il brontolare del mare là sotto.
– Non ci si vede nemmeno a bestemmiare, – disse Roccco
Spatu. – Come faranno ad afferrare lo scoglio dei colombi
con questo scuro?
– Sono tutti gente pratica, – rispose Cinghialenta. – cono-
scono le coste, palmo a palmo, ad occhi chiusi.
– Ma io non sento nulla! – osservò ’Ntoni.
– E’ vero, non si sente nulla! – rispose Cinghialenta. – Ma
devono essere laggiù da un pezzo.
26 – Allora è meglio tornarsene a casa, – aggiunse il figlio
della Locca.
– Tu ora che hai mangiato e bevuto non pensi ad altro che
a tornartene a casa; ma se non stai zitto ti butto in mare con
una pedata! – gli disse Cinghialenta.
– Il fatto è, – brontolò Rocco, – che mi secca passar qui la
notte, senza far nulla.
– Ora sapremo se ci sono o no; – e si misero a fare lo stri-
do della civetta.
– Se sentono le guardie di don Michele, – disse ’Ntoni, –

25. quatti quatti: cfr. XIV, 20. – stettero ad origliare un po’: cfr. XIV,
18. – il brontolare del mare là sotto: cfr. III, 20: «dare un’occhiata verso
il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone».
– lo scoglio dei colombi: è il luogo del secondo naufragio della
Provvidenza; vedi X, 26.
26. mi secca: corregge in bozze: «non è una bella cosa». – della civet-
ta: nella primitiva versione di A: «di un uccello notturno».

Letteratura italiana Einaudi 366


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

correranno qui subito, perché con una notte come questa le


civette non vanno in giro.
– Allora è meglio andarcene, – piagnucolò il figlio della
Locca, – giacché nessuno risponde.
27 Tutti e quattro si guardarono in volto, sebbene non si
vedessero, e pensarono a quel che aveva detto ’Ntoni di
padron ’Ntoni.
– Che facciamo? – tornò a dire il figlio della Locca.
– Scendiamo sulla strada, – propose Cinghialenta; – se
non c’è nessuno nemmeno là, vuol dire che non son venuti.
’Ntoni, mentre scendevano sulla strada disse:
– Piedipapera è capace di venderci tutti per un bicchiere
di vino.
– Ora che non hai più il bicchiere dinanzi, – gli disse
Cinghialenta, – hai paura anche tu.
– Andiamo, sangue del diavolo! Vi farò vedere se ho
paura.
28 Nello scendere adagio adagio per gli scogli, tenendosi
bene per non rompersi il collo, Spatu osservò sottovoce:
– Vanni Pizzuto a quest’ora è nel suo letto, lui che se la
prendeva con Piedipapera perché si acchiappa la senseria
senza far nulla.
– Orbè! – conchiuse Cinghialenta, – se non volete rischiar
la pelle, dovevate restare a casa a dormire.
29 Nessuno fiatò più, e ’Ntoni andava pensando, mentre

28. a dormire: sostituisce in A: «a morir di fame».


29. ’Ntoni andava pensando .. sonnecchiava dietro l’uscio: in discorso
indiretto libero il pensiero di ’Ntoni, suggerito anche grazie all’irruzio-
ne, nel contesto di una riflessione di carattere generale («a ciascuno in
quei frangenti gli viene in mente...»), dell’immagine di «Mena che son-
necchiava». L’effetto manca nella prima versione in A: «’Ntoni rumina-
va che compare Cinghialenta aveva avuto torto a dire quelle parole, e
gli venivano davanti agli occhi la sua casa, col letto e la Mena che son-
necchiava dietro l’uscio».

Letteratura italiana Einaudi 367


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

metteva le mani avanti per vedere dove posava i piedi, che


compare Cinghialenta avrebbe potuto fare a meno di dir
così, perché a ciascuno in quei frangenti gli viene davanti
agli occhi la sua casa, col letto e la Mena che sonnecchiava
dietro l’uscio.
Quell’ubbriacone di Rocco Spatu disse infine:
– La nostra pelle non vale un baiocco.
– Chi va là! – udirono gridare a un tratto dietro il muro
della trada. – Fermi! fermi tutti!
– Tradimento! tradimento! – cominciarono a gridare,
mettendosi a fuggire per la sciara, senza badare più dove
mettevano i piedi.
30 Ma ’Ntoni che aveva già scavalcato il muro si trovò a naso
a naso con don Michele, il quale aveva la pistola in pugno.
– Sangue della Madonna! – gridò Malavoglia tirando
fuori il coltello; – voglio farvi vedere se ho paura della pisto-
la!
La pistola di don Michele parti in aria, ma eglì stramazzò
come un bue, colpito al petto. ’Ntoni allora voleva fuggire,
saltando meglio di un capriolo, però le guardie gli furono
addosso, intanto che piovevano le schioppettate come la
grandine, e lo gettarono a terra.
– Ora come farà la mia mamma! – piagnucolava il figlio
della Locca, mentre lo legavano peggio di Cristo.

30. si trovò naso a naso: cfr. XIV, 8. – La pentola... lo gettarono a


terra: il momento cruciale dello scontro, fatto attendere con un cre-
scendo di tensione fin dall’avvio del capitolo, si concentra in un breve
paragrafo che nella rapidità incalzante dell’azione traduce la dramma-
ticità dell’evento, il cui esito è condensato nelle due opposte immagini:
«stramazzò come un bue» (aggiunta solo in bozze) e «saltando meglio
di un capriolo». La prima redazione in A era: «Il colpo di don Michele
partì in aria, ed egli cadde colpito al petto;) la lanterna [ ] ’Ntoni allo-
ra saltando come un capriolo tentò di fuggire anche lui, approfittando
del barlume che gettava la lanterna caduta a terra, ma le (prima cinque)
guardie gli furono addosso, intanto che fra gli scogli piovevano le
schioppettate come la grandine». – lo legavano peggio di Cristo: cfr. II,
25. – boccate di carabina: ‘a colpi di canna di carabina nella schiena’.

Letteratura italiana Einaudi 368


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

– Non stringete tanto forte, sangue della Madonna! –


urlava ’Ntoni; – lo vedete che non posso più muovermi!
– Va là, va là, Malavoglia! – gli rispondevano. – Il tuo conto
è bello e aggiustato! – e lo spingevano a boccate di carabina.
31 Mentre lo conducevano in caserma, legato peggio di
Cristo anche lui, e gli portavano dietro don Michele, sulle
spalle delle guardie, andava cercando cogli occhi dove fos-
sero Cinghialenta e Rocco Spatu – L’hanno scampata! –
diceva fra di sé; – non hanno a temere più niente, come
Vanni Pizzuto e Piedipapera che dormono fra le lenzuola a
quest’ora. Soltanto a casa mia non dormono più, dacché
hanno udito le schioppettate.
32 Infatti quei poveretti non dormivano, e stavano sulla
porta, sotto la pioggia, come se avesse parlato loro il cuore;
mentre i vicini si voltavano dall’altra parte, e tornavano a
domire, sbadigliando: – Domani sapremo cos’è stato.
Sul tardi, appena principiò a rompere l’alba, la gente si
affollava davanti alla bottega di Pizzuto, che c’era ancora il

31. peggio di Cristo anche lui: riprende l’immagine usata poco sopra
(XIV, 30) per il figlio della Locca, da qui la necessità della correzione,
che avviene in bozze, della lezione di A: «come Cristo», a sua volta
significativa sostituzione di un precedente «come un salame», qui
tonalmente dissonante. – L’hanno scappata: ‘l’hanno scampata’; per
l’impegno del verbo, cfr. Appunti preparatori sui personaggi
(Appendice IV, p. 390): «se la scappa […] con un alibi».
32. avesse parlato loro il cuore: cfr. IX, 6; corregge in A: «avessero
sentito la loro disgrazia». Cfr. anche XIV, 33. – i vicini... Sul tardi: non
improbabile una suggestione manzoniana: «[...] i poltroni come se si
arrendessero alle preghiere, ritornan sotto [...]» (I promessi sposi, VIII,
p. 129); «Tornata questa deserta e silenziosa, i discorsi continuaron
nelle case, e moriron negli sbadigli, per ricominciar poi la mattina»
(ibid., p. 137). – principiò a rompere l’alba: ‘incominciò ad albeggiare’;
cfr. Jeli il pastore, p. 152: «Poco può passare a romper l’alba». Vedi
«Ecco il sereno | Rompe là da ponente [...]» (G. Leopardi, La quiete
dopo la tempesta, vv. 4-5); inoltre «Rompere dell’aurora, del sole.
‘Spuntare’» (Petrocchi). – diavolìo: «gran quantità di persone o cose
che fanno strepito» (Petrocchi); cfr. VIII, 17: «domandava a questo e a
quello cos’era stato quel diavolìo».

Letteratura italiana Einaudi 369


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

lumicino; e lì si faceva un gran chiacchierare di quel che era


successo, in quel diavolìo della notte.
33 – Hanno sorpreso il contrabbando e i contrabbandieri; –
raccontava Pizzuto, – e don Michele ci ha buscato una col-
tellata. – La gente guardava verso la porta dei Malavoglia, e
faceva segno col dito. Infine venne la cugina Anna, tutta
spettinata, bianca come un cencio, e non sapeva che dire.
Padron ’Ntoni, come se gli parlasse il cuore domandò: – E
’Ntoni? Sapete dov’è ’Ntoni? – L’hanno arrestato stanotte
nel contrabbando, insieme al figlio della Locca! – rispose la
cugina Anna, la quale aveva perduto la testa. – Hanno
ammazzato don Michele!
– Ah! mamma mia! – gridò il vecchio cacciandosi le mani
nei capelli; ed anche la Lia si era cacciate le mani nei capel-
li. Padron ’Ntoni, sempre colle mani in testa, non faceva
altro che dire – Ah! mamma mia! Ah! mamma mia!
34 Sul tardi venne Piedipapera, colla faccia angustiata, pic-
chiandosi la fronte: – Avete sentito, eh, padron ’Ntoni, che
disrazia! Io son rimasto di sale quando l’ho saputo. –
Comare Grazia, sua moglie, piangeva davvero, poveretta,
vedendo come le disrazie fioccavano nella casa dei
Malavoglia. – Tu che ci vieni a fare? – gli diceva sottovoce

33. ci ha buscato: cfr. I, 14. – bianca come un cencio: cfr. XI, 31; «bian-
ca» è correzione in A di: «pallida» ➝ «gialla». – come se gli parlasse il
cuore: cfr. XIV, 32. – Hanno ammazzato… Ah! mamma mia! Ah!
mamma mia!: vedi la battuta finale di Cavalleria rusticana (opera teatra-
le): «Hanno ammazzato compare Turiddu! Hanno ammazzato compare
Turiddu!»; inoltre il finale di Cavalleria rusticana, p. 196: «Ah! mamma
mia!» Per «cacciarsi le mani nei capelli», vedi III, 23. La primitiva ver-
sione dell’intero brano era in A: «Hanno ucciso don Michele! / Il vec-
chio dapprincipio non rispondeva, la guardava stralunato, colla bocca
aperta, e poi si cacciò le mani nei capelli e rientrò in casa, senza dire una
parola. I ragazzi, tutti in coro si misero a strillare; ma padron ’Ntoni non
diceva nulla, sempre colle mani in testa e gli occhi stralunati».
34. colla faccia angustiata: corregge in A: «col viso lungo». – son
rimasto di sale: «di stucco, stupito» (Petrocchi). – piangeva davvero: a
sottolineare indirettamente l’ipocrita ostentazione di dolore del marito.

Letteratura italiana Einaudi 370


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

suo marito, tirandola vicino alla finestra. – Tu non ci entri.


Adesso a bazzicare in questa casa si tira addosso gli occhi
degli sbirri.
35 La gente perciò non si affacciava nemmeno all’uscio dei
Malavoglia. Solo la Nunziata, appena sentita la notizia,
aveva affidato i ragazzi al più grandicello, e raccomandata la
sua casa alla vicina, ed era corsa da comare Mena, a piange-
re con lei, come una che non aveva ancora gli anni del giu-
dizio. Gli altri stavano a godersi la vista da lontano, sulla
strada, o si affollavano come le mosche davanti alla caserma,
per vedere come sembrava ’Ntoni di padron ’Ntoni dietro
la grata, dopo che aveva dato la coltellata a don Michele;
oppure correvano nella bottega di Pizzuto, il quale vendeva
acquabianca, e faceva la barba, e raccontava ogni cosa
com’era stata, parola per parola.
36 – I minchioni! – sentenziava lo speziale. – Vedete chi si
lascia prendere? i minchioni!
– Sara un affare brutto! – aggiungeva don Silvestro; – la
galera non gliela levano nemmeno col rasoio.
E don Giammaria andava a dirgli sul mostaccio: – In gale-
ra non ci vanno quelli che dovrebbero andarci!
– Sicuro! non ci vanno! – rispondeva don Silvestro colla
faccia tosta.
– AI giorno d’oggi – aggiungeva padron Cipolla, giallo

35. come una che non aveva... giudizio: nell’indiretto libero traspare
la distorta opinione della collettività. – acquabianca: unica occorrenza
rispetto a «erbabianca», il liquore venduto da Pizzuto (cfr. VI, 26); non
si può escludere un riferimento ironico ad un’erbabianca ‘adulterata’,
un’allusione cioè alla dubbia ‘genuinità’ del racconto di Pizzuto.
36. I minchioni... i minchioni!: la prima versione in A: «Un minchio-
ne! sentenziava lo speziale, un minchione che si è lasciato cogliere come
un merlo»; più marcata l’allusione, nella versione finale, a coloro che
pur essendo colpevoli riescono comunque a farla franca. –di mezzo-
giorno: corregge in A: «di mansalva». – Voi state... niente: cfr. VI, 29.

Letteratura italiana Einaudi 371


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

dalla bile, – i veri ladri vi rubano il fatto vostro di mezzo-


giorno, e in mezzo alla piazza. Vi si ficcano in casa, per
forza, senza rompere né porte né finestre.
– Come voleva fare in casa mia ’Ntoni Malavoglia, –
aggiungeva la Zuppidda, venendo a filare la sua canapa nel
crocchio.
– Io te l’ho sempre detto, pace degli angeli! – cominciava
suo marito.
– Voi state zitto, che non sapete niente! Guardate che
giornata sarebbe venuta adesso per mia figlia Barbara, se
non stavo all’erta!
37 Sua figlia Barbara stava alla finestra, per vedere passare
fra gli sbirri ’Ntoni di padron ’Ntoni quando l’avrebbero
portato alla città.
– Di là non n’esce più – dicevano tutti. – Sapete cosa c’è
scritto alla Vicaria di Palermo? «Corri quanto vuoi che qui
t’aspetto!» e «il malo ferro se lo mangia la mola». Poveri
diavoli!
– La buona gente non ci si mette a quel mestiere! – sbrai-
tava la Vespa. – I guai li ha chi li cerca. Vedete chi ci si mette
a queste cose? chi non fa altro mestiere, ed è un malarnese,
come Malavoglia, e il figlio della Locca! – Tutti dicevano di
sì, che quando capita un figlio di quella fatta è meglio che gli
38 caschi la casa addosso. La sola Locca andava cercando suo

37. Vicaria di Palermo: il carcere di Palermo. – «Corri quanto vuoi


che qui t’aspetto»: presto o tardi la giustizia arriva a punire i colpevoli;
cfr. Pitrè, I, p. 337: «Dici la Vicaria di Palermu: Curriquantu vôi, cà ccà
t’aspettu». – il malo ferro... mola: cfr. Pitrè, I, p. 342: «Lu malu ferru si
nni va prila mola». – quel mestiere: il contrabbando.
38. La sola Locca... ragione: l’accanirsi della sorte sul personaggio
della Locca ne accentua i tratti allucinati. Implacabilmente la situazio-
ne si ripete: all’attesa del figlio morto nel naufragio della Provvidenza,
si aggiunge ora la ricerca del figlio catturato dalle guardie. –coi capelli
bianchi che svolazzavano: corregge in A: «imbacuccata nella mantelli-
na» ➝ «senza muoversi, senza dir nulla».

Letteratura italiana Einaudi 372


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

figlio, e si piantava davanti alla caserma delle guardie, stre-


pitando che glielo dessero, senza voler sentir ragione; e
quando andava a seccare suo fratello Campana di legno, e si
piantava sugli scalini del ballatoio per delle ore intere, coi
capelli bianchi che svolazzavano, lo zio Crocifisso gli diceva:
– La galera ce l’ho in casa! Vorrei esserci io al posto di tuo
figlio! Cosa vuoi da me? Già il pane non te lo portava nem-
meno lui!
39 – La Locca ci guadagna! – osservava don Silvestro. – Ora
che non ha più quel pretesto di averci chi la mantiene, la
metteranno all’Albergo dei poveri, e mangerà pasta e carne
tutti i giorni. Se no resta a carico del Comune.
E come tornavano a conchiudere che «il malo ferro se lo
mangia la mola», padron Fortunato soggiungeva:
– E’ un buon affare anche per padron ’Ntoni. Credete che
non gliene mangi dei soldi quel malarnese di suo nipote? Io
lo so quel che vuol dire un figlio che vi fa questa riuscita!
Ora glielo manterrà il re.
40 Ma padron ’Ntoni invece di pensare a risparmiare quei
soldi, adesso che il nipote non glieli mangiava più, seguitava
a buttarglieli dietro, con avvocati e mangiacarte, quei soldi
che costavano tanto, e che erano destinati alla casa del
nespolo. – Ora non abbiamo più bisogno della casa, né di
nulla! – diceva egli col viso pallido come quello di ’Ntoni,
quando l’avevano condotto in città fra gli sbirri, e tutto il
paese era andato a vederlo colle mani legate e il fagotto delle

39. pretesto... mantiene: il figlio. – Albergo dei poveri: ‘l’ospizio’. –


mangerà... tutti i giorni: cfr. XI, 15: «a mangiare pasta e carne tutti i
giorni»; XI, 27: «piuttosto mangiava pasta e carne»; inoltre XII, 34. – a
carico del Comune: «il criterio di obbligatorietà dell’assistenza ai pove-
ri fu sancito con la legge n. 2248 del 20 marzo 1865. Esso spettava ai
comuni e riguardava coloro che erano inabili al lavoro e privi di mezzi
di sussistenza» (Luperini). – «il malo... mola»: cfr. XIV, 37. – manterrà
il re: in prigione.
40. glieli: sulla base del ms emendiamo la lezione «gliele» di Treves
’81.

Letteratura italiana Einaudi 373


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

camicie sotto il braccio, che glielo aveva portato piangendo


41 Mena, di sera, quando nessuno poteva vederla. Il nonno era
andato a cercare l’avvocato, quello delle chiacchiere, ché
adesso, dopo aver visto passare anche don Michele, mentre
lo portavano all’ospedale, in carrozza, colla faccia gialla lui
pure, e la montura sbottonata, il povero vecchio aveva
paura, e non stava a cercare il pelo nell’uovo colle chiac-
chiere dell’avvocato, purché gli sciogliessero le mani a suo
nipote e lo lasciassero tornare a casa; giacché gli pareva che
’Ntoni dopo quel terremoto dovesse tornare a casa e starse-
ne sempre con loro, come quando era ragazzo.
42 Don Silvestro gli fece la carità d’andar con lui dall’avvo-
cato, perché diceva che quando a un cristiano accade una
disrazia come quella dei Malavoglia, bisogna aiutare il pros-
simo colle mani e coi piedi, fosse pure un birbante da gale-
ra, e fare il possibile per levarlo di mano alla giustizia, per
questo siamo cristiani e dobbiamo aiutare i nostri simili.
L’avvocato, dopo che ebbe udito ogni cosa, e si fu raccapez-
zato per merito di don Silvestro, disse che era una bella
causa, da buscarsi sicuro la galera, se non c’era lui, e si fre-
gava le mani. Padron ’Ntoni diventava molle come un min-
chione al sentir parlare di galera; ma il dottor Scipioni gli
batteva sulla spalla, e gli diceva che non era dottore se non
gliela facevano cavare con quattro o cinque anni di prigio-
ne.
43 – Cosa ha detto l’avvocato? – domandò Mena appena
vide comparire il nonno con quella faccia; e si mise a pian-

41. quello delle chiacchiere: cfr. VI, 35: «ma quanto a chiacchiere ne
possedeva da mettersi in tasca tutti gli avvocati vecchi».
42. diventava molle come un minchione: corregge in A: «si sentiva
mancare le ginocchia».
43. come la camicia: corregge in A: «un fazzoletto». – citazione per
testimonianza: l’atto di comparizione per testimoniare in tribunale. –
non voleva... Accidenti a ’Ntoni: accentuando la presenza dell’indiretto
libero, corregge la versione di A: «non voleva averci che fare colla giu-
stizia, e mandava accidenti a ’Ntoni».

Letteratura italiana Einaudi 374


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

gere prima di udire la risposta. Il vecchio si strappava quei


pochi capelli bianchi, e andava come un pazzo per la casa,
ripetendo: – Ah! perché non siamo morti tutti! – Lia, bian-
ca come la camicia, piantava tanto d’occhi in faccia a cia-
scuno che parlava, senza potere aprir bocca. Poco dopo
arrivò la citazione per testimonianza a Barbara Zuppidda, a
Grazia Piedipapera, a don Franco lo speziale, e a tutti quel-
li che chiacchieravano nella piazza e nella bottega di
Pizzuto; sicché il paese intero si mise in subbuglio, e la gente
si affollava colla carta bollata in mano, e giurava che non
sapeva nulla, com’è vero Dio! perché non voleva averci a
che fare colla giustizia. Accidenti a ’Ntoni e ai Malavoglia
che li tiravano pei capelli nei loro imbrogli. La Zuppidda
strillava come un’ossessa: – Io non so niente; io all’avemaria
mi chiudo in casa, e non sono come loro che vanno in giro
per fare quello che fanno, o che stanno sull’uscio per cicala-
re con gli sbirri.
– Alla larga col Governo! – aggiungeva don Franco. –
Sanno che sono repubblicano, e sarebbero contenti di
acchiappare un pretesto per farmi sparire dalla faccia della
terra.
44 La gente si logorava il cervello a sapere che cosa potesse-
ro dire in testimonianza la Zuppidda e comare Grazia e gli
altri, che non avevano visto niente, e le schioppettate l’ave-
vano udite dal letto, mentre dormivano. Ma don Silvestro si
fregava le mani come l’avvocato, e diceva che lo sapeva lui
perché li avevano citati, ed era meglio per l’accusato. Ogni
volta che l’avvocato andava a parlare con ’Ntoni Malavoglia,
don Silvestro l’accompagnava alla prigione, quando non
aveva nulla da fare; al Consiglio adesso non ci andava nes-
45 suno, e le ulive erano raccolte. Anche padron ’Ntoni avea

45. si era sentito male allo stomaco: sostituisce in A: «gli era manca-
to il cuore».

Letteratura italiana Einaudi 375


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

tentato d’andarci due o tre volte; ma com’era arrivato


davanti a quelle finestre colle inferriate, e i soldati col fucile
che le guardavano, e guardavano tutti coloro che entravano,
si era sentito male allo stomaco, ed era rimasto ad aspettare
lì davanti, seduto sul marciapiedi, in mezzo a quelli che ven-
devano castagne e fichidindia, e non gli pareva vero che il
suo ’Ntoni fosse là, dietro a quelle grate, coi soldati a guar-
dia. L’avvocato poi tornava dal chiacchierare con ’Ntoni fre-
sco come una rosa, fregandosi le mani; e gli diceva che suo
nipote stava bene, anzi era ingrassato. Adesso al povero vec-
chio gli pareva che suo nipote fosse dei soldati.
46 – Perché non me lo lasciano andare? – domandava ogni
volta come un pappagallo, o come un ragazzo che non sente
ragione, e voleva anche sapere se lo tenevano colle mani
legate. – Lasciatelo stare dov’è, – gli rispondeva il dottor
Scipioni. – In queste cose è meglio farci passare del tempo
sopra. Già non gli manca nulla, ve l’ho detto, e ingrassa
come un cappone. Le cose vanno bene. Don Michele è quasi
guarito della sua ferita, e anche questo per noi è una cosa
buona. Non ci pensate, vi dico, e tornatevene nella barca
ché questo è affar mio.
47 – Non ci posso tornare nella barca, ora che ’Ntoni è car-
cerato; non ci posso tornare. Ognuno ci guarderebbe dove
passiamo, e poi non ho più la testa al suo posto, ora che
’Ntoni è carcerato.
E tornava a ripetere sempre la stessa cosa, intanto che i
denari se ne andavano come l’acqua, e tutti i suoi passavano
le giornate rincantucciati in casa, coll’uscio chiuso.
48 Finalmente arrivò il giorno della citazione, e bisognava

48. il cappellaccio nero: il capo d’abbigliamento che avrebbe rivelato


la sua fede ‘rivoluzionaria’; cfr. X, 31. – a fare: corregge in A: «che fare».
– gli rompeva le scarabattole: ‘gli seccava’; versione adeguata al perso-
naggio (cfr. XII, 30) della locuzione più comune «rompere le scatole»
(Petrocchi). – manica di giudici e di sbirri: «manica» corregge in A:
«canaglia». Vedi II, 27: «manica di protestanti»; II, 33: «manica di
ladri»; Vn, 34: «manica di borbonici»; IX, 38: «manica di carogne».

Letteratura italiana Einaudi 376


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

che quelli che ci erano scritti andassero al tribunale coi loro


piedi, se non volevano andarci coi carabinieri. Ci andò per-
sino don Franco, il quale lasciò il cappellaccio nero per
comparire davanti alla giustizia, ed era pallido peggio di
’Ntoni Malavoglia che stava dietro la grata come una bestia
feroce, coi carabinieri allato. Don Franco non ci aveva avuto
mai a fare con la giustizia, e gli rompeva le scarabattole
dover comparire per la prima volta davanti a quella manica
di giudici e di sbirri che uno ve lo mettono dietro la grata
come ’Ntoni Malavoglia in un batter d’occhio.
49 Tutto il paese era andato a vedere che faccia ci avesse die-
tro la grata ’Ntoni di padron ’Ntoni, in mezzo ai carabinie-
ri, e giallo come una candela, che non ardiva soffiarsi il naso
per non vedere tutti quegli occhi d’amici e di conoscenti che
se lo mangiavano, e voltava e rivoltava nelle mani il suo ber-
retto, mentre il presidente, col robone nero e la tovaglia
sotto il mento, gli spifferava tutte le birbonate che aveva
fatto, ed erano scritte senza che vi mancasse una parola sulla
carta. Don Michele era là, giallo anche lui, seduto sulla
sedia, di faccia ai giudei che sbadigliavano e si facevano
vento col fazzoletto. L’avvocato intanto chiacchierava sotto-
voce col suo vicino, come se non fosse stato fatto suo.
– Per stavolta, – mormorava la Zuppidda all’orecchio

49. ardiva soffiarsi il naso: per l’espressione, cfr. I, 4: «non si sareb-


be soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «soffiati il naso»».
Corregge in A: «osava voltarsi». – col robone nero e la tovaglia sotto il
mento: «la toga diventa il robone nero; e le cosiddette ‘facciole’ (quelle
due strisce di tela bianca inamidata che i magistrati portano al collo)
sono per i paesani di Trezza una molto prosaica tovaglia» (Carnazzi).
«Robone» traduce il siciliano «rubbuni», popolarmente impiegato per
la toga dei magistrati o «la veste talare nera comune ai preti»
(Mortillaro). – spifferava: corregge in A: «diceva». – giudei: ‘giurati’; nel
medesimo campo metaforico (motivato anche dal richiamo allitterativo
con «giurati», «giudici»), di «legato peggio di Cristo» (XIV, 31). Vedi
anche Manzoni, I promessi sposi, XVI, p. 285: «i giudei della Via crucis
non ci son per nulla».

Letteratura italiana Einaudi 377


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

della vicina, udendo tutte quelle porcherie che ’Ntoni aveva


fatto, – la galera non gliela levano di certo. -
50 C’era anche la Santuzza, per dire alla giustizia dove era
stato ’Ntoni e dove aveva passata quella sera.
– Guardate cosa vanno a domandare alla Santuzza – bor-
bottava la Zuppidda. – Son curiosa di sentire cosa rispon-
derà, per non spiattellare alla giustizia tutti i fatti suoi.
– Ma da noi che vogliono sapere? – domandò comare
Grazia.
– Vogliono sapere se è vero che la Lia se la intendeva con
don Michele, e che suo fratello ’Ntoni abbia voluto ammaz-
zarlo per tagliarsi le corna; me l’ha detto l’avvocato.
– Che vi venga il colera! – soffiò loro lo speziale facendo
gli occhiacci, – Volete che andiamo tutti in galera? Sappiate
che colla giustizia bisogna dir sempre di no, e che noi non
sappiamo niente.
Comare Venera si rincantucciò nella mantellina, ma
segutò a borbottare, – Questa è la verità. Li ho visti io cogli
occhi miei, e lo sa tutto il paese.
51 Quella mattina nella casa dei Malavoglia c’era stata una
tragedia, che il nonno, come aveva visto partire tutto il
paese, per andare a sentir condannare ’Ntoni, aveva voluto
correre cogli altri, e Lia, coi capelli arruffati, gli occhi pazzi
e il mento che le ballava, avrebbe voluto andare anche lei, e
cercava la mantellina per la casa senza dir nulla, ma colla

50. tagliarsi le corna: ‘vendicarsi dell’affronto subito’; cfr. X, 49.


Corregge in A: «segarsi le corna». – Li ho visti io cogli occhi miei: cfr. I,
11: «[…] li aveva visti lei, con quegli occhi che dovevano mangiarseli i
vermi».
51. una tragedia: unica occorrenza; vedi invece VII, 5: «fare una
commedia»; VIII, 8: «godermi la commedia»; XIII, 74: «succederà una
commedia», XIII, 75: «faccio succedere una commedia». – correre cogli
altri: in A: «andare anche lui». – coi capelli arruffati, gli occhi pazzi e il
mento che le ballava: è correzione in bozze della lezione di A: «come
una pazza, che le tremava il mento». – colla faccia stravolta e le mani tre-
manti: in A: «colla faccia pallida e risoluta».

Letteratura italiana Einaudi 378


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

faccia stravolta e le mani tremanti. Mena però l’aveva affer-


rata per le mani, pallida anche lei, e le diceva: – No, tu non
ci devi andare! tu non ci devi andare! – e non le diceva altro.
Il nonno aggiungeva che loro dovevano stare in casa, a pre-
gare la Madonna; – e il piagnisteo si udiva per tutta la stra-
da del Nero. Il povero vecchio appena fu alla città, nascosto
dietro una cantonata, vide passare suo nipote in mezzo ai
carabinieri, e colle gambe che gli si piegavano ad ogni passo
andò a sedersi sulla scala del Tribunale in mezzo alla gente
52 che saliva e scendeva pei fatti suoi. Poi al pensare che tutta
quella gente andava a sentir condannare suo nipote, là in
mezzo ai soldati, davanti ai giudici, gli parve come se l’aves-
se abbandonato in mezzo a una piazza, o in un mare in bur-
rasca, e salì anche lui colla folla, levandosi sulla punta dei
piedi, per vedere la grata in alto, coi cappelli dei carabinie-
ri, e le baionette che luccicavano. ’Ntoni però non si vede-
va, in mezzo a tutta quella gente, e il povero vecchio pensa-
va sempre che adesso suo nipote era dei soldati.
53 Intanto l’avvocato chiacchierava e chiacchierava che le
parole andavano come la carrucola di un pozzo. Diceva di
no, che non era vero che ’Ntoni Malavoglia avesse fatto tutte
quelle birbonate. Il presidente era andato a scavarle fuori
per cacciare nei guai un povero gliuolo, poiché questo era il

52. come se l’avesse abbandonato... in un mare in burrasca: con qual-


che analogia, vedi XI, 43: «come un pesce fuori dell’acqua», correzio-
ne di «come persa in mezzo al mare»; XV, 3: «Adesso la casa era gran-
de come il mare, e ci si perdevano dentro». – il povero vecchio... dei sol-
dati: cfr. XIV, 45: «al povero vecchio gli pareva che suo nipote fosse dei
soldati».
53. chiacchierava che le parole andavano come la carrucola: «che le
parole andavano» è in A necessaria aggiunta interlineare. – scavarle
fuori: cfr. II, 29: «per scavare cosa stesse macchinando». – povero
figliuolo: corregge in bozze la lezione di A: «povero figlio di mamma».
– «Alla casa... ragione»: cfr. Pitrè, I, p. 248: «A la casa di lu povir’omu,
ognunu havi raggiuni». – «La forca... disgraziato»: cfr. Pitrè, I, p. 260:
«La furca è pri lu poviru» e «La furca nun è fatta pri 1u riccu».

Letteratura italiana Einaudi 379


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

suo mestiere. Ma infine come poteva dirlo il presidente?


L’aveva visto lui forse ’Ntoni Malavoglia quella notte, col
buio che faceva? «Alla casa del povero ognuno ha ragione»
e «La forca è fatta pel disgraziato». Il presidente senza dar-
sene per inteso lo guardava cogli occhiali, e i gomiti appog-
54 giati sui libracci. Il dottor Scipioni tornava a dire che voleva
sapere dov’era il contrabbando! e da quando in qua un
galantuomo non potesse andare a spasso all’ora che gli pare-
va e piaceva, massime se ci aveva un po’ di vino in testa, per
smaltirlo. Padron ’Ntoni allora affennava col capo, e diceva
di sì! di sì! colle lagrime negli occhi, ché avrebbe abbraccia-
to in quel momento l’avvocato il quale diceva che ’Ntoni era
55 un ubbriacone. Ad un tratto rizzò il capo. Questa era
buona! questa che diceva l’avvocato valeva da sola cinquan-
ta lire: diceva che poiché volevano metterlo colle spalle al
muro, e volevano provargli come quattro e quattr’otto che
’Ntoni l’avevano acchiappato proprio sul fatto, col coltello
in mano, e gli avevano portato don Michle là davanti, colla
faccia da minchione per tanto di coltellata che s’era presa
nello stomaco: – Chi dice che gliel’ha data ’Ntoni
Malavoglia? – predicava l’avvocato. – Chi lo può provare? e
chi lo sa se don Michele non se l’era data da sé la coltellata,
apposta per mandare in galera ’Ntoni Malavoglia? Ebbene
volevano saperlo? Il contrabbando non ci entrava proprio
per nulla! Fra don Michele e ’Ntoni di padron ’Ntoni c’era
56 della ruggine vecchia per affar di donne. – E padron ’Ntoni
tornava a far segno col capo, che se l’avessero fatto giurare
davanti al Crocifisso l’avrebbe giurato, e la sapeva tutto il

55. affar di donne: corregge in A: «affari di donne» ➝ «gelosia».


56. mangiava le mani: cfr. VII, 46; cfr. anche X, 5: «mangiare i gomi-
ti». – incapriccita: ‘invaghita’, «ma s’intende sempre con quell’eccesso
che viene da leggerezza d’animo» (Rigutini-Fanfani). Corregge in
bozze: «incapricciata», registrato nel Petrocchi fra i termini fuori d’uso.
– per la ragazza... coltellata!: corregge in A: «e anche quella notte!» ➝
«e anche quella notte l’avevano visto».

Letteratura italiana Einaudi 380


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

paese, la storia della Santuzza con don Michele, il quale si


mangiava le mani dalla gelosia, dopo che la Santuzza s’era
incapricciata di ’Ntoni, e s’erano incontrati di notte con don
Michele, e dopo che il ragazzo aveva bevuto; si sa come suc-
cede quando non ci si vede più dagli occhi. L’avvocato con-
tinuava: – Potevano domandarlo un’altra volta alla
Zuppidda, e a comare Venera, e a centomila testimoni, che
don Michele se la intendeva con la Lia, la sorella di ’Ntoni
Malavoglia, e ronzava là da quelle parti della strada del
Nero tutte le sere per la ragazza. L’avevano visto anche quel-
la notte della coltellata!
57 Allora padron ’Ntoni non udi più nulla, perché le orec-
chie gli si misero a zufolare, e vide per la prima volta ’Ntoni,
il quale s’era alzato anche lui nella gabbia, e strappava il ber-
retto colle mani, facendo certi occhi da spiritato, e voleva
parlare, accennando col capo di no, di no! I vicini portaro-
no via il vecchio, credendo che gli fosse venuto un acciden-
te; e i carabinieri lo coricarono giusto nella camera dei testi-
58 moni, sul tavolaccio, e gli buttarono l’acqua sulla faccia. Più
tardi, mentre lo facevano scendere per le scale, barcollante,
reggendolo sotto le ascelle, la folla usciva anch’essa come
una fiumana, e si sentiva dire: – L’hanno condannato ai ferri,
per cinque anni. – In quel momento ’Ntoni usciva dall’altra

57. strappava: sostituisce in A: «spiegazzava».


58. come una fiumana: sostituisce in A: «come uno sciame di pec-
chie». – come un Cristo: cfr. XIV, 31. – la malanuova la porta l’uccello:
cfr. «La malanuova la porta l’oceddu» (Mortillaro); cfr. anche IX, 17.
Vedi inoltre Nedda, p. 7: «la cattiva nuova dovrebbe recartela proprio
l’uccello». – come un’anima del purgatorio: cfr. III, 19: «parevano le
anime del purgatorio»; XII, 8: «guardava come un’anima del
Purgatorio»; XIV, 58: «aspettava sull’uscio, come un anima del
Purgatorio»; XV, 61: «li aspettava come un’anima del purgatorio». Vedi
inoltre II, 36: «dicono che son le anime del Purgatorio»; VII, 13: «se le
anime del Purgatorio ci aiutano [...]»; VII, 32: «per le anime del
Purgatorio»; X, 47: «O anime sante del purgatorio!»; XIII, 28: «gli
faceva soffrire le pene del purgatorio»; XV, 29: «per non fargli avere il
purgatorio prima che muoia».

Letteratura italiana Einaudi 381


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Quattordicesimo

porticina anche lui, pallido, in mezzo ai carabinieri, amma-


nettato come un Cristo.
La gnà Grazia si mise a correre verso il paese, arrivò
prima degli altri, con tanto di lingua fuori, perché la mala-
nuova la porta l’uccello. Appena vide Lia la quale aspettava
sull’uscio, come un’anima del purgatorio, le disse prenden-
dole le mani, e tutta sottosopra anche lei:
– Cosa avete fatto, scellerata! che al giudice hanno detto
che ve l’intendete con don Michele, e a vostro nonno gli è
venuto un accidente!
59 Lia non disse nulla, come non avesse udito, e non gliene
importasse niente. Rimase a guardarla cogli occhi sbarrati e
la bocca aperta. Infine adagio adagio cadde sulla sedia, e
parve che le avessero rotto le gambe in un colpo. Poi, dopo
che fu stata un gran pezzo a quel modo, senza muoversi e
senza dire una parola, che comare Grazia le gettava l’acqua
sulla faccia, cominciò a balbettare: – Voglio andarmene!
non voglio starci più qui! – e l’andava dicendo al canterano,
e alle seggiole, come una pazza, che invano sua sorella le
andava dietro piangendo: – Te l’aveva detto! te l’aveva
detto! – e cercava di afferrarla un’altra volta per le mani. La
sera, come portarono il nonno sul carro, e Mena era corsa
ad incontrarlo, che oramai non si vergognava più della
gente, Lia uscì nel cortile e poscia nella strada, e se ne andò
davvero, e nessuno la vide più.

59. Rimase a guardarla: corregge in bozze: «La guardava fiso». –


Infine adagio adagio... cominciò a balbettare»: la precedente versione in
A: «Poi si cacciò le mani nei capelli, e mentre la sorella piangeva in un
angolo andava dicendo per la casa colle mani in testa ( ➝ come una
pazza)». – Te l’aveva detto: per la prima persona dell’imperfetto in –a,
vedi II, 21. – La sera... la vide più: il capitolo si chiude con l’evento chia-
ve della partenza di Lia, che grazie alla dislocazione privilegiata acqui-
sta maggior rilievo. Dilazionato da una serie di subordinate che si frap-
pongono tra l’indicazione temporale («La sera») e l’azione principale,
l’evento viene scandito da membri in serie ternaria di uguale ampiezza
legati dalle copulative (ma «e poscia nella strada» è aggiunto solo in
bozze), che ne rallentano l’esito, preparando la perentoria clausola fina-
le («e nessuno la vide più»).

Letteratura italiana Einaudi 382


XV

1 La gente diceva che la Lia era andata a stare con don


Michele; già i Malavoglia non avevano più niente da perde-
re, e don Michele almeno le avrebbe dato il pane. Padron
’Ntoni adesso era diventato del tutto un uccellaccio di cam-
posanto, e non faceva altro che andare intorno, rotto in due,
e con quella faccia di pipa, a dir proverbi senza capo e senza

1. giù: in A: «oramai». – adesso era diventato… camposanto: la prima


versione in A: «era imbecillito del tutto»; cfr. anche XIII, 54. – faccia di
pipa: con riferimento al volto grinzoso di vecchio spesso raffigurato nel
fornello delle pipe. L’immagine, impietosamente irridente, è in serie
con «uccellaccio di camposanto» (più avanti si dirà «di lui non voleva-
no saperne, ora che era ridotto in quello stato»). Negli appunti prepa-
ratori sul carattere dei personaggi, il sintagma, a evidenziarne il valore
idiomatico, compare virgolettato: «Patriarca, onesto e laborioso, la
smania dei proverbi, piccolo, ‘faccia di pipa’». – a dir proverbi senza
capo e senza coda: è ancora il giudizio della collettività; anche il ricorso
al proverbio (poco oltre se ne contano sei in poche righe) non è più
manifestazione del ruolo di custode della sapienza degli antichi che
padron ’Ntoni ha incarnato in precedenza, ma ripetizione ossessiva di
formule insulse, da parte di un personaggio che può ormai essere ogget-
to di derisione. – «Ad albero... accetta!»: con allusione all’accanirsi della
sorte sui più deboli; cfr. Pitrè, II, p. 19: «Ad arvulu caduta accetta accet-
ta». Il proverbio compare già nel capitolo IV (cc. 28-31), in una por-
zione di testo aggiunta al testo base, ma successivamente espunta, con
la variante: «accetta accetta!» ➝ «scure!». – «Chi cade… bagni»: cfr.
Pitrè, III, p. 75 «Cui cadi all’acqua, è forza chi si vagna»; cfr. anche IX,
67. – «A cavallo magro, mosche»: cfr. Purè, I, p. 247: «A cavadda magra,
muschi», sotto la rubrica «Condizioni e sorti disuguali». Vedi anche
Pitrè, III, p. 247: «Cavaddu mortu è manciatu di li muschi». – «la fame
fa uscire il lupo dal bosco»: cfr. Pitrè, I, p. 199: «La fami fa nèsciri la serpi
(o lu lupu; o lu surci) di la tava»; l’equivalente toscano, sempre riporta-
to dal Pitrè, è «La fame caccia il lupo dal bosco». – «cane affamato non
teme bastone»: cfr. Pitrè, I, p. 198: «Cani affamata nun timi vastuni».

Letteratura italiana Einaudi 383


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

coda: «Ad un albero caduto accetta! accetta!» – «Chi cade


nell’acqua è forza che si bagni» – «A cavallo magro,
mosche». – E a chi gli domandava perché andasse sempre in
giro, diceva che «la fame fa uscire il lupo dal bosco», e
«cane affamato non teme bastone»; ma di lui non volevano
2 saperne, ora che era ridotto in quello stato. Ognuno gli dice-
va la sua, e gli domandava cosa aspettasse colle spalle al
muro, lì sotto il campanile, che pareva lo zio Crocifisso
quando aspettava d’imprestare dei denari alla gente, seduto
a ridosso delle barche tirate in secco, come se ci avesse in
mare la paranza di padron Cipolla; e padron ’Ntoni rispon-
deva che aspettava la morte, la quale non voleva venire a
prenderselo, perché «lo sfortunato ha i giorni lunghi». Della
Lia nessuno parlava pi˙ in casa, nemmeno Sant’Agata, la
quale se voleva sfogarsi andava a piangere di nascosto,
davanti al lettuccio della mamma, quando in casa non c’era
3 nessuno. Adesso la casa era grande come il mare, e ci si per-
devano dentro. I denari se n’erano andati con ’Ntoni; Alessi
era sempre lontano, per guadagnarsi il pane, di qua e di là;
e la Nunziata faceva la carità di venire ad accendere il fuoco,
quando la Mena doveva andare a prendere il nonno per
mano, verso l’avemaria, come un bambino, perché di sera
non ci vedeva più, peggio di una gallina.
4 Don Silvestro, e gli altri del paese, dicevano che Alessi

2. colle spalle al muro… denari alla gente: cfr. IV, 2: «addossato al


muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero [...] e se qualcuno
andava a chiedergli dodici tarì […]». – la quale non voleva venire a
prendersela, perchè: lezione aggiunta in bozze. – «lo sfortunato ha i gior-
ni lunghi»: «lo sfortunato» è in A correzione di «il disgra(ziato)»; cfr.
IV, 32. Vedi anche XV, 21.
3. peggio di una gallina: in A: «come le galline»; la correzione in
bozze accentua la sfumatura grottesca già insita nella similitudine (cfr.
XV, 1: «uccellaccio di camposanto»; «faccia di pipa»).
4. cucco: «dicesi familiarmente per ‘balordo, sciocco’» (Rigutini-
Fanfani); col medesimo senso il siciliano «cuccu» (Mortillaro). Cfr.
Mastro-dan Gesaaldo, I, 1, p. 20: «accompagnato da Dan Ferdinando
allampanato che pareva un cucco». – La morte non viene mai!: cfr.
Pitrè, III, p. 108: «Morti addisiata ’ un veni mai».

Letteratura italiana Einaudi 384


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

avrebbe fatto meglio a mandare il nonno all’Albergo dei


poveri, ora che non era pi˙ buono a nulla; ma questa era la
sola cosa che facesse paura al poveraccio. Ogni volta che la
Mena andava a metterlo al sole, conducendolo per mano, e
ci stava per tutta la giornata ad aspettare la morte, credeva
che lo portassero all’Albergo, talmente era diventato un
cucco, e balbettava: – La morte non viene mai! – tanto che
certuni andavano a chiedergli ridendo dove fosse arrivata.
5 Alessi tornava a casa il sabato, e gli veniva a contare i
denari della settimana, come se il nonno avesse ancora il giu-
dizio. Egli rispondeva sempre di sì, col capo; e bisognava
che andasse a nascondere il gruzzoletto sotto la materassa, e
gli diceva, per farlo contento, che ci voleva poco a mettere
insieme un’altra volta i denari della casa del nespolo, e fra
un anno o due ci sarebbero arrivati.
6 Ma il vecchio scrollava il capo, colla testa dura, e ribatte-
va che adesso non avevano pi˙ bisogno della casa; e meglio
che non ci fosse mai stata al mondo la casa dei Malavoglia,
ora che i Malavoglia erano di qua e di là.
7 Una volta chiamò in disparte la Nunziata, sotto il man-

5. la materassa: in A: «il materasso»; cfr. XII, 2.


6. erano di qua e di là: corregge in A: «non ci erano più». Il sintag-
ma «di qua e di là» ricorre con insistenza fin dalle pagine iniziali del
romanzo («Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri
Malavoglia...»), ma si intensifica nel capitolo finale trasformandosi in
uno stilema che «si carica di significato lirico e va più che mai a carat-
terizzare il tema della diaspora e del mutamento, contrapposto a quel-
lo della stabilità e continuità consolatrice incarnata nella casa e nel vil-
laggio» (E. Giachery, in I Malavoglia di G. Verga 1881-1981 – Letture
critiche cit., pp. 239-40).
7. si metteva a sedere al telaio: il particolare acquista una sua più
profonda ragion d’essere se si tien conto che in una primitiva versione
dell’intreccio le vicende successivamente attribuite a Lia, avevano come
protagonista Mena (vedi gli appunti preparatori). Un gesto quindi
come quello di padron ’Ntoni, che ora sembra assumere una sfumatu-
ra di gratuità, acquistava ben diversa valenza; col telaio infatti Menu, la
Sant’Agata, era identificata.

Letteratura italiana Einaudi 385


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

dorlo, nel momento in cui non ci era nessuno, e pareva


dovesse dirle qualcosa di grosso; però muoveva le labbra
senza parlare, e stava cercando le parole guardando di qua
e di là. – E’ vero quella cosa che hanno detto di Lia? – chie-
se infine.
– No! – rispondeva Nunziata, colle mani in croce, – no!
per la Madonna dell’Ognina, non è vero!
Egli si mise a tentennare il capo, col mento sul petto. –
Allora perché se n’è fuggita anche lei? perché se n’è fuggi-
ta?
E l’andava cercando per la casa, fingendo di aver perso il
berretto; toccava il letto e il canterano, e si metteva a sedere
al telaio, senza dir nulla. – Lo sai? – chiese infine; – lo sai
dove se n’è andata? – Ma alla Mena non disse nulla.
La Nunziata non lo sapeva, in coscienza, né nessun altro
del paese.
8 Una sera si fermò nella strada del Nero Alfio Mosca, col
carro, che ci aveva attaccato il mulo adesso, e per questo
aveva acchiappato le febbri alla Bicocca, ed era stato per
morire, tanto che aveva la faccia gialla e la pancia grossa
come un otre; ma il mulo era grasso e col pelo lucente.
– Vi rammentate quando sono partito per la Bicocca? –
diceva lui, – che stavate ancora nella casa del nespolo? Ora
ogni cosa è cambiata, ché «il mondo è tondo, chi nuota e chi
va a fondo». – Stavolta non potevano dargli nemmeno un
9 bicchiere di vino, pel ben tornato. Compar Alfio lo sapeva

8. per questo... Bicocca: cfr. VII, 13: «pensando a compare Alfio, il


quale se ne andava alla Bicocca, e avrebbe venduto il suo asino, povera
bestia!» – «il mondo… fondo»: cfr. Pitrè; I, p. 264: «Accussì va lu
munnu, cui nata (‘nuota’) e cui va ’nfunnu».
9. dove non c’era nulla… a mangiare la sera: ben diversa la risonan-
za della versione finale, che con semplicità di mezzi riesce a tradurre il
senso di povertà, l’isolamento e la disgregazione della famiglia, rispetto
alla primitiva lezione di A (in parte recuperata alla fine del c. 8): «senza
che pensassero a offrirgli un bicchiere di vino».

Letteratura italiana Einaudi 386


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

dov’era la Lia; l’aveva vista coi suoi occhi, ed era stato come
se avesse visto comare Mena quando stavano a chiacchiera-
re da una finestra all’altra. Perciò guardava di qua e di là i
mobili e le pareti, come se ci avesse il carro carico sullo sto-
maco, e sedette anche lui senza dire una parola accanto al
desco dov’e non c’era nulla, e nessuno sedeva pi˙ a mangia-
re la sera.
– Ora me ne vado, – ripeteva lui, vedendo che non gli
dicevano nulla. – Quando uno lascia il suo paese è meglio
che non ci torni pi˙, perché ogni cosa muta faccia mentre
egli è lontano, e anche le facce con cui lo guardano son
mutate, e sembra che sia diventato straniero anche lui.
10 Mena continuava a star zitta. Intanto Alessi gli raccontò
che voleva pigliarsi la Nunziata, quando avrebbe raccolto
un po’ di denari, ed Alfio gli rispose che faceva bene, se la
Nunziata aveva un po’ di denari anche lei, ché era una
buona ragazza, e tutti la conoscevano in paese. Così anche i
parenti dimenticano quelli che non ci sono pi˙, e ognuno a
questo mondo è fatto per pensare a tirare la carretta che gli
ha data Dio, come l’asino di compar Alfio, che adesso face-
va chissà cosa, dopo che era andato in mano altrui.
11 La Nunziata ci aveva la sua dote anche lei, dacché i suoi
fratellini cominciavano a buscarsi qualche soldo, e non
aveva voluto comprarsi né oro né roba bianca, perché dice-
va che quelle cose son fatte per i ricchi, e la roba bianca non
era bene di farsela intanto che cresceva ancora.

10. Così anche i parenti... in mano altrui: il trascorrere del tempo


attenua anche i legami affettivi più profondi e la legge a cui tutti devo-
no sottostare consiste nell’accettazione fatalistica del proprio destino di
sofferenza. L’impiego del tempo presente conferisce valore generale a
una riflessione fatta propria dal narratore-autore.
11. roba bianca: la biancheria del corredo. Cfr. L’amante di
Gramigna, p.208: «La povera madre di Peppa dovette vendere ‘tutta la
roba bianca’ del corredo» (la virgolettatura ne segna il valore idiomati-
co); Pane nero, p. 301: «qual po’ di roba bianca ho dovuto levarmela di
bocca».

Letteratura italiana Einaudi 387


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

12 Era cresciuta infatti una ragazza alta e sottile come un


manico di scopa, coi capelli neri, e gli occhi buoni buoni,
che quando si metteva a sedere sulla porta, con tutti quei
monelli davanti, pareva che pensasse ancora a suo padre nel
giorno che li aveva piantati, e ai guai in mezzo ai quali aveva
sgambettato sino allora, coi suoi fratellini appesi alle gon-
nelle. Al vedere come se n’era tirata fuori dai guai, lei e i suoi
fratellini, così debole e sottile al pari di un manico di scopa,
ognuno la salutava e si fermava volentieri a far quattro
chiacchiere con lei.
13 – I denari ce li abbiamo, – disse a compar Alfio, il quale
era quasi parente, da tanto che lo conoscevano. – A
Ognissanti mio fratello entra garzone da massaro Filippo, e
il minore prenderà il suo posto da padron Cipolla. Quando
avrò collocato anche Turi, allora mi mariterò; ma bisogna
aspettare che io abbia gli anni, e che mio padre mi dia il con-
senso.
– O che tuo padre pensa pi˙ che sei al mondo! – disse
Alfio.

12. Era cresciuta… buoni buoni: il registro ‘basso’ della similitudine


(«come un manico di scopa» ripreso poco oltre) e la reduplicazione
intensiva di «buoni buoni», rendono assimilabile al contesto della prosa
rusticana un istituto narrativo come il ‘ritratto’ (e l’avvio in questo caso
specifico sembrava dei più tradizionali: «Era cresciuta...»), che ne sem-
brava bandito. Il progressivo superamento del modello tradizionale è
leggibile anche nel raffronto con la prima versione di A: «Era cresciuta
infatti una ragazza alta e magrolina ( ➝ bruna ➝ alta e sottile ➝
alta e vigorosa), con lunghi capelli neri, e gli ( ➝ un po’ magra e triste
[ ]) occhi grigi e dolci».
13. e che mio padre mi dia il consenso: poco prima si era detto: «pare-
va che pensasse ancora a suo padre nel giorno che li aveva piantati» e
Nunziata implicitamente non accetta che l’abbandono sia definitivo, lo
rivela la fiduciosa attesa di un consenso paterno per le nozze quanto
mai improbabile. Indubbio l’acquisto della versione finale raggiunta in
bozze, ma progressivamente preparata dalle lezioni di A: «o che mio
padre mi abbia dato il consenso» ➝ «perchè mio padre non può
darmi il consenso».

Letteratura italiana Einaudi 388


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

– S’egli tornasse ora, – rispose Nunziata con quella voce


dolce, e cosi calma, colle braccia sulle ginocchia, – ei non se
ne andrebbe pi˙, perché adesso i denari li abbiamo.
Allora compar Alfio tornò a dire ad Alessi che faceva bene
a prendersi la Nunziata, se ci aveva quel po’ di denari.
Compreremo la casa del nespolo, – aggiunse Alessi; – e il
nonno starà con noi. Quando torneranno gli altri ci staran-
no pure; e se tornerà il padre della Nunziata ci sarà posto
anche per lui.
Di Lia non fecero parola; ma ci pensavano tutti e tre, men-
tre stavano a guardare il lume, colle braccia sui ginocchi.
14 Finalmente compare Mosca si alzò per andarsene, perché
il suo mulo scuoteva la sonagliera, quasi l’avesse conosciuta
anch’esso colei che compar Alfio aveva incontrata per la
strada, e che adesso non l’aspettavano pi˙ nella casa del
nespolo.
15 Lo zio Crocifisso invece aspettava da un pezzo i
Malavoglia per quella casa del nespolo che nessuno la vole-
va, come se fosse scomunicata, e gli era rimasta sulla pancia;
sicché appena seppe che era tornato in paese Alfio Mosca,
quello cui voleva far rompere le ossa a bastonate, quand’era
geloso della Vespa, andò a pregarlo che s’intromettesse coi
Malavoglia per fargli conchiudere il negozio. Adesso quan-
do l’incontrava per le strade lo salutava, e cercava di man-
dargli anche la Vespa per parlargli di quell’affare, chissà che
non si fossero rammentati dell’amore antico, nello stesso
tempo, e compare Mosca non riescisse a levargli quella

14. colei: Lia. – e che adesso non l’aspettavano più... nespolo: correg-
ge in A una prima lezione diametralmente opposta: «e che quei pove-
retti aspettavano nella casa del nespolo».
15. gli era rimasta sulla pancia: ‘non era riuscito a venderla’. Cfr.
anche VI, 29: «se no vi restano sulla pancia, come le casseruole vec-
chie». – fossero rammentati: corregge in A: «sarebbero rammentati»
➝ «fossero rammentati». – levargli quella croce: con implicita allusio-
ne al nome (Crocifisso).

Letteratura italiana Einaudi 389


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

16 croce di su le spalle. Ma quella cagna della Vespa non vole-


va sentir parlare di compare Alfio, né di nesssuno, adesso
che ci aveva il suo marito ed era padrona in casa, e non
avrebbe cangiato lo zio Crocifisso con Vittorio Emanuele in
carne ed ossa, neanche se l’avessero tirata pei capelli. – Mi
toccano tutte a me, le disgrazie! – si lamentava lo zio
Crocifisso; e andava a sfogarsi con compare Alfio, e si pic-
chiava il petto come davanti al confessore, di aver pensato a
pagare dieci lire per fargli rompere le ossa a bastonate.
17 – Ah! compare Alfio! se sapeste che rovina è capitata
nella mia casa, che non dormo né mangio pi˙, e non faccio
altro che della bile, e non sono pi˙ padrone di un baiocco del
fatto mio, dopo aver sudato tutta la vita ed essermi levato il
pan di bocca per raggranellarlo a soldo a soldo. Ora mi
tocca vederlo in mano di quella serpe, la quale fa e disfà
come vuole lei! e non mi riesce nemmeno di levarmela d’ad-
dosso per via del giudice, che non si lascerebbe tentare
neanche da Satanasso! e mi vuol tanto bene che non me la
leverò d’addosso prima di crepare, se non chiudo gli occhi
dalla disperazione!
18 – Quello che stavo dicendo qui a compare Alfio, – segui-

16. Vittorio Emanuele in carne ed ossa: cfr. II, 16; in A: «in carne e
ossa» sostituisce: «in persona».
17. baiocco: corregge in A: «grano», «la piccola moneta di rame che
era la ventesima parte del tarì» (Mortillaro). – serpe: riprende «cagna»
(c. 16), di cui del resto è correzione in A. – per via del giudice: ‘neppu-
re per via legale’, attraverso una separazione con accusa di adulterio.
18. come un cane di macellaio: qui nel senso che può «bighellonare»
proprio perché ben nutrito; una spiegazione questa che sembrerebbe
confermata da «grasso e unto come il cane del macellaio» (XIII,18). La
locuzione non compare nel Battaglia, mentre è attestata («can da macel-
laro»), ma senza spiegazione, nel Petrocchi. Nel Pitrè invece è riporta-
to il proverbio: «Cani di vucciria è lordu di sangu e mortu di fami»,
seguito da una spiegazione della locuzione: «Cani di vucciria, ‘cane da
mercato, o da ammazzatoio’; si dice sempre di ‘un brutto cane e malan-
dato’», che contrasterebbe con l’impiego che ne fa Verga. – come il
furetto col coniglio: il furetto è «una sorta di animale domestico, poco

Letteratura italiana Einaudi 390


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

tava lo zio Crocifisso vedendo accostarsi padron Cipolla, il


quale andava bighellonando per la piazza come un cane di
macellaio, dacché gli era entrata in casa quell’altra vespa
della Mangiacarubbe. – Non possiamo pi˙ stare nemmeno in
casa per non schiattare dalla bile! Ci hanno scacciato fuori
di casa nostra, quelle carogne! hanno fatto come il furetto
col coniglio. Le donne son messe al mondo per castigo dei
nostri peccati. Senza di loro si starebbe meglio. Chi ce l’a-
vrebbe detto, eh? padron Fortunato! Noi che avevamo la
pace degli angeli! Guardate com’è fatto il mondo! C’è gente
che va cercando questo negozio del matrimonio colla lan-
terna, mentre chi ci si trova vorrebbe levarsene.
19 Padron Fortunato stette un po’ a fregarsi il mento, e poi
lasciò andare: – Il matrimonio è come una trappola di topi;
quelli che son dentro vorrebbero uscire, e gli altri ci girano
intorno per entrarvi.
– A me mi sembrano pazzi! Vedete don Silvestro, cosa gli
manca? e s’è messo in testa di far cascare la Zuppidda coi
suoi piedi, vanno dicendo; e se comare Venera non trova di
meglio, bisogna che la lasci cascare.
20 Padron Cipolla continuò a fregarsi il mento e non disse
altro. Sentite, compare Alfio, – seguitò Campana di legno, –
fatemelo conchiudere quel negozio della casa coi
Malavoglia, finché ci hanno quei soldi, che vi regalerò poi
da comprarvi le scarpe, per i passi che farete.

maggiore della donnola, e nemico dei conigli, ai quali dà la caccia»


(Mortillaro). – Le donne… peccati: nella prima versione in A la senten-
za appare virgolettata. – la pace degli angeli: ‘la serenità del paradiso’;
vedi Pentolaccia, p. 224: «Ora avvenne che questa pace degli angeli si
tramutò in una casa del diavolo». – va cercando questo negozio del matri-
monio colla lanterna: originale variazione della locuzione ‘cercare i guai
colla lanterna’ (cfr. XIII, 70), come testimoniano le varianti in A, dove
l’espressione corregge: «va cercando questo negozio colla lanterna»
➝ «va cercando i guai colla lanterna».
19. far cascare la Zuppidda coi suoi piedi: cfr. VIII, 8.
20. per i passi che farete: ‘per il vostro interessamento’; corregge in
A: «per le pedate che farete».

Letteratura italiana Einaudi 391


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

21 Compare Alfio tornò a parlare ai Malavoglia; ma padron


’Ntoni ora scuoteva il capo e diceva di no. – Adesso della
casa non abbiamo che farne, perché Mena non si può pi˙
maritare, e dei Malavoglia non ci è nessuno! Io ci sono anco-
ra perché gli sfortunati hanno i giorni lunghi. Ma quando
avrò chiuso gli occhi, Alessi piglierà la Nunziata e se ne
andrà via dal paese.
22 Anch’egli stava per andarsene. Il pi˙ del tempo lo passava
in letto, come un gambero sotto i ciottoli, abbaiando peggio
di un cane: – Cosa ci ho a far qui io? – balbettava; e gli pare-
va di rubare la minestra che gli davano. Invano Alessi e la
Mena cercavano di dissuaderlo. Ei rispondeva che rubava
loro il tempo e la minestra, e voleva che gli contassero i
denari messi sotto la materassa, e se li vedeva squagliare a
poco a poco, borbottava: – Almeno se non ci fossi io non
spendereste tanto. Ora non ho pi˙ niente da far qui, e potrei
andarmene.
23 Don Ciccio, il quale veniva a tastargli il polso, confessava
che era meglio lo portassero all’ospedale, perché lì dov’era
si mangiava la carne sua e quella degli altri, senza utile.
Intanto il poveraccio stava a vedere quello che dicessero gli
altri, cogli occhi spenti, e aveva paura che lo mandassero
all’Albergo. Alessi non voleva sentirne parlare di mandarlo
all’Albergo, e diceva che finché ci era del pane, ce n’era per
tutti; e la Mena dall’altra parte, diceva di no anch’essa, e lo
conduceva al sole, nelle belle giornate, e si metteva accanto
a lui colla conocchia, a raccontargli delle fiabe, come ai

21. gli sfortunati hanno i giorni lunghi: cfr. XV, 2.


22. come un gambero sotto i ciottoli: sostituisce in A: «rattratto ( ➝
raggomitolato) come un gambero sotto le coperte»; negli appunti pre-
paratori sul carattere dei personaggi: «attratto». – abbaiando: cfr. IX,
68; X, 13; XIII, 30.
23. fiabe, come ai bambini: cfr. XI, 2: «ingannavano il tempo a con-
tare storie e indovinelli, buoni per i ragazzi». – San Sebastiano: la festa
cade il 20 gennaio.

Letteratura italiana Einaudi 392


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

bambini, e a filare, quando non aveva da andare al lavatoio.


Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arriva-
va un po’ di provvidenza, per fargli allargare il cuore; gli
diceva che avrebbero comprato un vitellino a San
Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l’erba e il mangime
24 per l’inverno. A maggio si sarebbe venduto con guadagno; e
gli faceva vedere pure le nidiate di pulcini che aveva messo,
e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnaz-
zando nella polvere della strada. Coi denari dei pulcini
avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le
bucce dei fichidindia, e l’acqua che serviva a cuocere la
minestra, e a fin d’anno sarebbe stato come aver messo dei
soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone,
approvava del capo, guardando i pulcini. Ci stava così atten-
to, poveretto, che arrivava fino a dire che se avessero avuto
la casa del nespolo si poteva allevarlo nel cortile, il maiale,
giacché quello era un guadagno sicuro con compare Naso.
25 Nella casa del nespolo c’era pure la stalla pel vitello, e la tet-
toia pel mangime, e ogni cosa; se ne andava ricordando a
poco a poco, cercando qua e là cogli occhi morti e col mento
sul bastone. Poi domandava sottovoce alla nipote: – Cosa ha
detto don Ciccio dell’ospedale? – Mena allora lo sgridava

24. per non perdere... fichidindia: usate come mangime. – approvava


del capo: costrutto, per il complemento di mezzo, definito «antiquato»
da Serianni (p. 336), che riporta da A. Fogazzaro, Piccolo mondo anti-
co: «il barcaiuolo negò del capo, sorridendo». – allevarlo nel cortile, il
maiale... con compare Naso: la prima versione in A: «allevarli [riferito ai
pulcini] nel cortile, e non c’era bisogno di venire nella strada dove cor-
revano pericolo di essere schiacciati dai carri e mangiati dai cani».
«Compare Naso» è il macellaio.
25. Non mi mandate... avvezzo: motivo ricorrente nelle parole di
padron ’Ntoni, cfr. XV, 4: «avrebbe fatto meglio a mandare il nonno
all’Albergo dei poveri […] ma questa era la sola cosa che facesse paura
al poveraccio»; XV, 23: «aveva paura che lo mandassero all’Albergo».
Vedi nel romanzo Eva: «Di’ che son morto di tifo, di miliare, in una
buona casa – chè in Sicilia l’idea dell’ospedale stringe il cuore – e che
sono stato assistito dagli amici sino all’ultimo momento […]».

Letteratura italiana Einaudi 393


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

come si fa coi bambini, e gli rispondeva: – Perché pensate a


quelle cose? – Egli stava zitto, e ascoltava cheto cheto tutto
quello che diceva la ragazza. Ma poi tornava a ripetere: –
Non mi ci mandare all’ospedale, perchè non ci sono avvez-
zo.
26 Infine non si alzava pi˙ dal letto, e don Ciccio disse che era
proprio finita, e non ci era pi˙ bisogno di lui, ché là in quel
letto dove era, poteva starci anche degli anni, e Alessi o la
Mena ed anche la Nunziata dovevano perdere le loro gior-
nate a far la guardia; se no se lo sarebbero mangiato i porci,
come trovavano l’uscio aperto.
27 Padron ’Ntoni intendeva benissimo quello che si diceva,
perchè guardava tutti in viso ad uno ad uno, con certi occhi
che facevano male a vedere; ed appena il medico se ne fu
andato, mentre stava a parlare ancora sull’uscio con Mena
che piangeva, e Alessi il quale diceva di no e batteva i piedi,
fece segno alla Nunziata di accostarsi al letto, e le disse
piano:
– Se mi mandate all’ospedale sarà meglio; qui ve li man-
gio io i denari della settimana. Mandami via quando non ci

26. Infine non si alzava più dal letto: corregge in A: «Infine il vecchio
si allettò»; anche in siciliano è attestato «allitticàrisi», nel senso di
«infermarsi in modo tale che non si levi mai da letto» (Mortillaro). – a
far la guardia; se no: corregge in A: «per stare a guardarlo, che». – se lo
sarebbero mangiato i porci: si accentua impietosamente la crudezza delle
immagini riferite a padron ’Ntoni (cfr. «uccellaccio di camposanto»;
«faccia di pipa»; «peggio di una gallina»). La soluzione di filtrare la rap-
presentazione attraverso il punto di vista deformante della gente di
Trezza permette all’autore di evitare i rischi del patetismo troppo sco-
perto che la situazione avrebbe incoraggiato.
27. che facevano male a vedere: da cui traspare un velo di pietà, total-
mente assente nella prima lezione di A: «ben aperti». – ci sarà in casa la
Mena e Alessi: per la concordanza al singolare del verbo, cfr. I, 20. In A
è chiara comunque la volontà di concordanza al plurale: quando infat-
ti si aggiunge anche il nome di Mena a quello di Alessi (il solo ad esse-
re indicato nella primitiva versione), «sarà» viene corretto con «saran-
no»; se ulteriore correzione c’è stata, dev’essere quindi avvenuta in
bozze.

Letteratura italiana Einaudi 394


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

saranno in casa la Mena e Alessi. Direbbero di no perché


hanno il buon cuore dei Malavoglia; ma io vi mangio i soldi
della casa, e poi il medico ha detto che posso starci degli
anni qui dove sono. E qui non ci ho più nulla da fare. Però
non vorrei camparci degli anni, laggi˙ all’ospedale.
28 La Nunziara si metteva a piangere anch’essa e diceva di
no, tanto che tutto il vicinato sparlava di loro che volevano
fare i superbi senza aver pane da mangiare. Si vergognavano
di mandare il nonno all’ospedale, mentre ci avevano tutti gli
altri di qua e di là, e dove poi!
29 E la Santuzza baciava la medaglia che portava sul petto,
per ringraziare la Madonna che l’aveva protetta dal perico-
lo dove era andata a cascare la sorella di Sant’Agata, come
tante altre. – Quel povero vecchio dovrebbero mandarlo
all’ospedale, per non fargli avere il purgatorio prima che
muoia, – diceva. Almeno lei non gli faceva mancar nulla a
suo padre, adesso che era invalido, e se lo teneva sull’uscio.
– E vi aiuta anzi! – aggiungeva Piedipapera. – Quell’invalido
lì vale tant’oro quanto pesa! Par fatto apposta per la porta
di un’osteria così cieco e rattrappito com’è. E dovreste pre-
gare la Madonna che vi campi cent’anni. Già, cosa vi costa?
30 La Santuzza aveva ragione di baciare la medaglia; nessu-
no poteva dire nulla dei fatti suoi; dacché don Michele se
n’era andato, massaro Filippo non si faceva veder pi˙ nem-
meno lui, e la gente diceva che colui non sapeva stare senza
l’aiuto di don Michele. Ora la moglie di Cinghialenta veni-
va di tanto in tanto a fare il diavolo davanti all’osteria, coi

28. volevano fare i superbi... il nonno all’ospedale: sostituisce in A:


«volevano fare i signori, come se quello non l’avessero fatto tanti altri,
e gente che stava assai meglio di loro. Già si vergognavano di far dire
che avevano mandato il nonno all’ospedale».
29. fargli avere il purgatorio: cfr. XIV, 58. – rattrappito: in bozze sosti-
tuisce la lezione di A: «rattratto»; cfr. XV, 22.
30. si buscava... cavezza: con implicito richiamo al soprannome
(Cinghialenta).

Letteratura italiana Einaudi 395


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

pugni sui fianchi, strillando che la Santuzza le rubava il


marito, e perciò quando costui tornava a casa ella si busca-
va delle frustate colle redini della cavezza, dopo che
Cinghialenta aveva venduto il mulo, e non sapeva che farse-
ne delle redini, che la notte i vicini non potevano chiuder
occhio dalle grida.
31 – Questo non va bene! diceva don Silvestro, – la cavezza
è fatta per il mulo. Compare Cinghialenta è un uomo gros-
solano. – Egli andava a dir queste cose quando c’era coma-
re Venera, la Zuppidda, la quale dopo che la leva si portava
via i giovanotti del paese, aveva finito per addomesticarsi un
po’ con lui.
– Ognuno sa gli affari di casa sua, – rispondeva la
Zuppidda; – se lo dite per ciò che vanno predicando le male
lingue, che io metto le mani addosso a mio marito, vi rispon-
do che non sapete un corno, tuttoché sapete di lettera. Del
resto ognuno in casa sua fa quel che gli pare e piace. Il
padrone è mio marito.
– Tu lasciali dire, – rispondeva suo marito. – Poi lo sanno
che se vengono a toccarmi il naso ne faccio tonnina!
32 La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era
suo marito, ed egli era il padrone di maritare la Barbara con
chi gli piaceva, e se voleva darla a don Silvestro voleva dire
che gliela aveva promessa, e aveva chinato il capo; e quando
suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.
– Già! – sentenziava don Franco colla barba in aria, – ha
chinato il capo perché don Silvestro è di quelli che tengono
il manico nel mestolo.

31. grossolano: corregge in A: «ordinario». – sapete di lettera: cfr. II,


8. – ne faccio tonnina: cfr. XIV, 14.
32. ha chinato il capo... il manico del mestolo: sostituisce in A: «anche
i più fieri si lasciano influenzare dal potere». Per «manico del mestolo»
(che corregge in A: «m. della mestola»), cfr. II, 1: «a lui lo zio Crocifisso
gli dava retta, perchè egli era il mestolo della pentola».

Letteratura italiana Einaudi 396


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

33 Dacché era stato al tribunale in mezzo a tutti quegli sbir-


ri, don Franco era pi˙ arrabbiato di prima, e giurava che non
ci sarebbe tornato più neanche in mezzo ai carabinieri.
Allorché don Giammaria alzava la voce per discutere, ei gli
piantava le unghie negli occhi, rizzandosi sulle gambette,
rosso come un gallo, e lo cacciava in fondo alla bottega. – Lo
fate apposta per compromettermi! – gli sputava in faccia
colla schiuma alla bocca; e se due quistionavano nella piaz-
za, correva a chiudere l’uscio acciò non lo chiamassero per
34 testimonio. Don Giammaria era trionfante; quell’asparagio
verde aveva del coraggio quanto un leone, perché ci aveva la
tonaca sulle spalle, e sparlava del Governo, pappandosi la
lira al giorno, e diceva che se lo meritavano quel Governo,
giacché avevano fatto la rivoluzione, e ora venivano fore-
stieri a rapire le donne e i denari della gente. Ei sapeva di chi
parlava, che gli era venuta l’itterizia dalla collera, e donna
Rosolina era dimagrita dalla bile, massime dopo che se n’era
andato don Michele, e s’erano sapute tutte le porcherie di
quest’altro. Adesso non faceva che andare a caccia di messe
e di confessori, di qua e di là, sino all’Ognina e ad Aci
Castello, e trascurava la conserva dei pomidoro e il tonno
sott’olio, per darsi a Dio.
35 Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come
una gallina, all’uso di don Silvestro, rizzandosi sulla punta

33. arrabbiato di prima: sostituisce in A: «invelenito del solito». – riz-


zandosi sulle gambette: cfr. XV, 35: «rizzandosi sulla punta dei piedi»;
inoltre II, 9.
34. asparagio verde: con ironico riferimento alla magrezza di don
Giammaria, definito negli schemi preparatori sul carattere dei perso-
naggi: «macilento». – ci aveva: corregge in A: «indossava». – la lira al
giorno: ‘la congrua’, la rendita cioè assicurata dallo stato agli ecclesia-
stici. – dimagrita: corregge in bozze: «diventata la metà».
35. mettendosi a ridere... Silvestro: cfr. XI, 33. – rizzandosi sulla punta
dei piedi: corregge in bozze: «sballonzandosi sulla soglia». Cfr. XV, 33.
– trinciando: in A: «menando». – arsi: corregge in A: «bruciati».

Letteratura italiana Einaudi 397


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

dei piedi, coll’uscio spalancato a due battenti, che per que-


sto non c’era pericolo d’andare in prigione; e diceva che fin-
ché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e biso-
gnava fare tavola rasa, s’intendeva lui, trinciando colla mano
in giro.
– Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don
Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava.
36 Ora lo speziale non teneva pi˙ cattedra; e quando veniva
don Silvestro, andava a pestare i suoi unguenti nel mortaio,
per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano col
Governo, e mangiano il pane del re, son tutta qente da guar-
darsene. E si sfogava soltanto con don Giammaria, e con
Ciccio il medico, quando lasciava l’asinello alla spezieria per
andare a tastare il polso a padron ’Ntoni, e ricette non ne
scriveva, perché diceva che erano inutili, con quella povera
gente che non aveva denari da buttar via.
– Allora perché non lo mandano all’ospedale, quel vec-
chio? tornavano a dire gli altri, – e perché se lo tengono in
casa a farselo mangiare dalle pulci?
37 Tanto che, pesta e ripesta, il medico ripeteva che andava
e veniva per niente, e faceva il viaggio del sale, e allorché c’e-
rano le comari davanti al letto del malato, comare
Piedipapera, la cugina Anna o la Nunziata, predicava sem-
pre che se lo mangiavano le pulci. Padron ’Ntoni non osava
pi˙ fiatare, colla faccia bianca e disfatta. E come le comari
cinguettavano fra di loro, e fino alla Nunziata cascavan le
braccia, un giorno che Alessi non c’era, disse infine: –

36. a pestare... nel mortaio: in A: «a pestare i fiori di malva nel mor-


taio», variazioni del modulo base: «pestare l’acqua sporca nel mortaio»,
cfr. IV, 22. – a farselo mangiare dalle pulci: cfr. XV, 26: «se no se lo
sarebbero mangiato i porci».
37. il viaggio del sale: nel senso di ‘fatica inutile, che non dà guada-
gno’; data la grande abbondanza, il sale era infatti venduto in Sicilia a
basso prezzo.

Letteratura italiana Einaudi 398


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

Chiamatemi compare Mosca, che lui me la farà la carità di


portarmi all’ospedale sul suo carro.
38 Così padron ’Ntoni se ne andò all’ospedale sul carro di
Alfio Mosca, il quale ci aveva messo la materassa ed i guan-
ciali, ma il povero malato, sebbene non dicesse nulla, anda-
va guardando dappertutto, mentre lo portavano fuori reg-
gendolo per le ascelle, il giorno in cui Alessi era andato a
Riposto, e avevano mandato via la Mena con un pretesto,
che se no non l’avrebbero lasciato partire. Sulla strada del
Nero, nel passare davanti alla casa del nespolo, e nell’attra-
versare la piazza, padron ’Ntoni continuava a guardare di
qua e di là per stamparsi in mente ogni cosa. Alfio guidava
il mulo da una parte, e Nunziata, la quale aveva lasciato in
custodia a Turi il vitello, i tacchini, e le pollastre, veniva a
piedi dall’altro lato, col fagotto delle camicie sotto il brac-
39 cio. Al veder passare il carro ognuno si affacciava sulla
porta, e stava a guardare; e don Silvestro disse che avevano
fatto bene, per questo il Comune pagava la sua rata all’o-
spedale; e don Franco avrebbe anche spifferata la sua pre-
dica, che ce l’aveva in testa bella e fatta, se non ci fosse stato
lì presente don Silvestro. – Almeno quel povero diavolo va
a stare in pace, – conchiuse lo zio Crocifisso.
40 – «Necessità abbassa nobiltà», – rispose padron Cipolla;
e la Santuzza disse un’avemaria pel poveretto. Solo la cugi-
na Anna e comare Grazia Piedipapera si asciugavano gli

38. materassa: cfr. XII, 2. – guanciali: in A: «cuscini». – il povero


malato: leggibile nelle varianti di A il progressivo manifestarsi di parte-
cipazione affettiva: «il vecchio» ➝ «il poveretto». – per stamparsi in
mente ogni cosa: corregge in A: «sebbene non ci vedesse quasi più».
39. spifferata: sostituisce in A: «fatto».
40. «Necessità... nobiltà»: cfr. XII, 9. – rimbeccò: corregge in bozze:
«disse». – piagnisteo: sostituisce in A: «trivolo»; cfr. il siciliano «Jittari
lu trivulu» che significa «dolersi, rammaricarsi piagnecolando a dilun-
go, mettere querimonie moleste» (Mortillaro); inoltre vedi Pitrè, I, p.
201: «Trivulu ’mpara a chianciri».

Letteratura italiana Einaudi 399


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

occhi col grembiule, come il carro se ne andava lentamente


sobbalzando sui sassi. Ma compare Tino rimbeccò alla
moglie: – O perché mi fai il piagnisteo? Che son forse morto
io? A te che te ne importa?
41 Alfio Mosca, mentre guidava il mulo, andava raccontando
alla Nunziata come e dove avesse vista la Lia, ch’era tutta
Sant’Agata, e ancora non gli pareva vero a lui stesso che l’a-
vesse vista coi suoi occhi, tanto che la voce gli mancava nella
gola, mentre ne parlava per ingannare la noia, lungo la stra-
da polverosa. – Ah Nunziata! chi l’avrebbe detto, quando
stavamo a chiacchierare da un uscio all’altro, e c’era la luna,
e i vicini discorrevano lì davanti, e si udiva colpettare tutto
il giorno quel telaio di Sant’Agata, e quelle galline che la
conoscevano soltanto all’aprire che faceva il rastrello, e la
Longa che la chiamava pel cortile, che ogni cosa si udiva da
casa mia come se fosse stato proprio là dentro! Povera
42 Longa! Adesso, vedi, che ci ho il mulo, e ogni cosa come
desideravo, che se fosse venuto a dirmelo l’angelo del cielo
non ci avrei creduto, adesso penso sempre a quelle sere là,
quando udivo la voce di voialtre, mentre governavo l’asino,
e vedevo il lume nella casa del nespolo, che ora è chiusa, e

41. la voce gli mancava nella gola: corregge in A: «la voce si soffoca-
va in gola». – e si udiva colpettare... Sant’Agata: cfr. anche XV, 47. Cfr.
II, 11: «e ognuno che passava per la stradicciuola a quell’ora, udendo il
colpettare del telaio di Sant’Agata diceva che l’olio della candela non lo
perdeva, comare Maruzza». Vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi,
XVII, p. 303: «quando si passava da quella casuccia, sempre si sentiva
quell’aspo, che girava, girava, girava».
42. se fosse venuto… avrei creduto: corregge in A: «allora mi pareva
persino un sogno». – la voce di voialtre: corregge in A: «chiacchierare».
– colle orecchie... povera bestia: sostituisce in A: «e le orecchie più
dimesse, a misura che si sente più vecchio e stanco, poveretto!»
Evidente l’acquisto della versione definitiva, con l’intensa immagine
dell’asino «che fiuta col naso la terra che deve raccoglierlo», dramma-
tica ‘figura’ della sorte dell’uomo, che con implicito legame analogico
introduce la visione successiva di padron ’Ntoni ormai prossimo alla
morte.

Letteratura italiana Einaudi 400


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

quando son tornato non ho trovato pi˙ niente di quel che


avevo lasciato, e comare Mena non mi è parsa pi˙ quella.
Uno che se ne va dal paese è meglio non ci torni pi˙. Vedi,
ora penso pure a quel povero asino che ha lavorato con me
tanto tempo, e andava sempre, sole o pioggia, col capo
basso e le orecchie larghe. Adesso chissà dove lo cacciano, e
con quali carichi, e per quali strade, colle orecchie pi˙ basse
ancora, ché anch’egli fiuta col naso la terra che deve racco-
glierlo, come si fa vecchio, povera bestia!
43 Padron ’Ntoni, disteso sulla materassa, non udiva nulla, e
ci aveva vano messo sul carro una coperta colle canne, sic-
ché sembrava che portassero un morto. – Per lui è meglio
che non oda pi˙ nullla, seguitava compare Alfio. – L’angustia
di ’Ntoni già l’ha sentita, e un giorno o l’altro gli tocchereb-
be anche di sentire come è andata a finire la Lia.
– Me lo domandava spesso, quando eravamo soli, – rispo-
se la Nunziata. – Voleva sapere dove fosse.
44 – E’ andata dietro a suo fratello. Noi poveretti siamo
come le pecore, e andiamo sempre con gli occhi chiusi dove
vanno gli altri. Tu non glielo dire, né lo dire a nessuno del
paese, dove ho visto la Lia, ché sarebbe un colpo di coltello
per Sant’Agata. Ella mi riconobbe di certo, mentre passavo
davanti all’uscio, perché si fece bianca e rossa nella faccia,
ed io frustai il mulo per passare presto, e son certo che quel-
la poveretta avrebbe voluto piuttosto che il mulo le fosse
camminato sulla pancia, e la portassero distesa sul carro
come portiamo adesso suo nonno. Ora la famiglia dei
Malavoglia è distrutta, e bisogna rifarla di nuovo tu e Alessi.

43. sulla materassa: in A: «sul materasso»; cfr. XV, 5. – una coperta


colle canne: una coperta distesa su un graticcio di canne.
44. È andata dietro a suo fratello: ‘ha seguito il cattivo esempio del
fratello’; cfr. XIII, 16: «Ma la Lia era vanerella peggio di suo fratello
’Ntoni».

Letteratura italiana Einaudi 401


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

45 – E denari per la roba ci sono già; a San Giovanni vende-


remo anche il vitello.
– Bravi! così, quando ci avrete i denari da parte, non c’è
pericolo che vi sfumino in un giorno, come accadrebbe se il
vitello venisse a morire, Dio liberi! Ora siamo alle prime
case della città, e tu potrai aspettami qui, se non vuoi venire
sino all’ospedale.
– No, voglio venire anch’io; così almeno vedrò dove lo
mettono, ed egli pure mi vedrà sino all’ultimo momento.
46 Padron ’Ntoni poté vederla sino all’ultimo momento, e
mentre la Nunziata se ne andava via con Alfio Mosca, ada-
gio adagio, pel camerone che pareva d’essere in chiesa al
camminare, li accompagnava cogli occhi; poi si voltò dall’al-
tra parte e non si mosse pi˙. Compar Alfio e la Nunziata risa-
lirono sul carro, arrotolarono la materassa e la coperta, e se
ne tornarono senza dir nulla, per la lunga strada polverosa.
Alessi si dava i pugni nella testa e si strappava i capelli,
come non trovò pi˙ il nonno nel suo letto, e vide che gli
riportavano la materassa arrotolata; e se la prendeva colla
Mena, quasi fosse stata lei a mandarlo via. Ma compar Alfio
gli diceva: – Che volete? La casa dei Malavoglia ora è
distrutta, e bisogna che la facciate di nuovo voi altri.
47 Egli voleva tornare a fargli il conto della roba e del vitel-
lo, di cui avevano chiacchierato lungo la strada colla ragaz-
za; ma Alessi e Mena non gli davano retta, colla testa nelle
mani e gli occhi fissi e lucenti di lagrime, seduti sulla porta
della casa dove oramai erano soli davvero. Compar Alfio in
questo mentre cercava di confortarli col rammentar loro

45. San Giovanni: il 24 giugno.


46. pel camerone che pareva d’essere in chiesa al camminare: sostitui-
sce in A: «pel camerone sonoro». – la materassa: in A: «il materasso»;
cfr. XV, 43. – per la lunga strada polverosa: la sequenza si chiude circo-
larmente, con la ripresa della medesima notazione con cui si era aper-
ta: «ne parlava per ingannare la noia, lungo la strada polverosa» (c. 41).
– la materassa arrotolata: in A: «il materasso arrotolato».
47. si udiva... Sant’Agata: cfr. XV, 41.

Letteratura italiana Einaudi 402


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

com’era prima la casa del nespolo, quando stavano a chiac-


chierare da un uscio all’altro, colla luna, e si udiva tutto il
giorno il colpettare del telaio di Sant’Agata, e le galline che
chiocciavano, e la voce della Longa che aveva sempre da
48 fare. Adesso tutto era cambiato, e quando uno se ne va dal
paese, è meglio che non ci torni pi˙, perché la strada stessa
non sembrava pi˙ quella, dacché non c’era pi˙ quel passeg-
gio per la Mangiacarrubbe, e don Silvestro non si faceva
veder nemmeno lui, aspettando che la Zuppidda cascasse
coi suoi piedi, e lo zio Crocifisso s’era chiuso in casa a guar-
darsi la sua roba, o ad accapigliarsi colla Vespa, e persino
non si udiva quistionar tanto nella spezieria, dacché don
Franco aveva visto la giustizia nel mostaccio, ed ora andava
a rincantucciarsi per leggere il giornale, e si sfogava a pestar
nel mortaio tutto il giorno per passare il tempo. Anche
padron Cipolla non ci stava pi˙ a schiacciare gli scalini
davanti la chiesa, dacché aveva perso la pace.
49 Un bel giorno corse la notizia che padron Fortunato si
maritava, perché la sua roba non se la godesse la
Mangiacarrubbe, alla barba di lui; per questo non ci stava
pi˙ a schiacciare gli scalini, e si pigliava la Zuppidda. – E mi
diceva che il matrimonio è come una trappola di topi! –
andava brontolando allora lo zio Crocifisso. – Ora state a
fidarvi degli uomini?
50 Le ragazze invidiose dicevano che la Barbara sposava suo
nonno. Ma la gente di proposito, come Peppi Naso, e
Piedipapera, ed anche don Franco, mormoravano: – Questa

48. quando uno… non ci torni più: cfr. XV, 42. – cascasse coi suoi
piedi: cfr. VIII,8. – aveva visto la giustizia nel mostaccio, ed ora: aggiun-
to in bozze. – a pastare... passare il tempo: cfr. XII, 30.
49. schiacciare gli scalini: abbiamo corretto, sulla base di A, la lezio-
ne «schiacciare i scalini» di Treves ’81; cfr. poco prima «gli scalini». –
trappola di topi: cfr. XV, 19.
50. la gente di proposito: ‘le persone assennate’; cfr. X, 63: «il quale
sembrava un uomo di proposito». – i forestieri, frustali: cfr. VIII, 10.

Letteratura italiana Einaudi 403


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

l’ha vinta comare Venera contro don Silvestro; è un gran


colpo per don Silvestro, ed è meglio che se ne vada dal
paese. Già i forestieri, frustali! e qui non ci hanno messo mai
radici i forestieri. Con padron Cipolla non ardirà mettercisi
a tu per tu don Silvestro.
51 – O che credeva? – sbraitava comare Venera colle mani
sui fianchi – di prendersi mia fiqlia colla carestia? Stavolta
comando io! e gliel’ho fatta capire a mio marito! Chi è buon
cane mangia al trogolo; forestieri non ne vogliamo per la
casa. Una volta in paese si stava meglio, quando non erano
venuti quelli di fuori a scrivere sulla carta i bocconi che vi
mangiate, come don Silvestro, o a pestar fiori di malva nel
mortaio, e ingrassarsi col sangue di quei del paese. Allora
ognuno si conosceva, e si sapeva quel che faceva, e quel che
avevano sempre fatto suo padre e suo nonno, e perfino quel
che mangiava, e quando si vedeva passare uno si sapeva
dove andava, e le chiuse erano di quelli che c’erano nati, e il
pesce non si lasciava prendere da questo e da quello. Allora
la gente non si sbandava di qua e di là, e non andava a mori-
re all’ospedale.
52 Giacché tutti si maritavano, Alfio Mosca avrebbe voluto

51. colla carestia: approfittando della mancanza di altri buoni partiti


in paese. – Chi è buon cane... trogolo: come il buon cane si accontenta
del cibo che gli offre il padrone, così la persona saggia deve accettare,
senza cercare altrove, ciò che è a portata di mano. Nel romanzo il pro-
verbio è introdotto a giustificare la diffidenza verso i «forestieri», con
una sfumatura di significato quindi diversa rispetto al Pitrè, dove com-
pare sotto la rubrica «Economia parsimonia, prodigalità»; cfr. Pitrè, II,
p. 130: «Cu’ è bonu cani, mancia a lu schifu (‘trogolo’)» (per «trogolo»
cfr. XIII, 60). – o a pestare fiori... mortaio: cfr. XV, 36.
52. Giacchè tutti si maritavano...: la sequenza che qui inizia (e si con-
cluderà solo al c. 60) in A è completamente aggiunta (per la sua
ampiezza occupa in buona parte il verso, lasciato solitamente bianco, di
carte già impiegate nel recto). Giunge così a compimento, con le tristi
note della rinuncia, della rassegnazione e del sacrificio, la ‘vicenda’ di
Alfio e Mena, con un intervento correttorio resosi ‘necessario’, dopo un
significativo mutamento nell’intreccio: in una prima versione, leggibile
nel testo base di A, era Mena che, sopraffatta dalla tragica sequela degli

Letteratura italiana Einaudi 404


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

prendersi comare Mena, che nessuno la voleva pi˙, dacché la


casa dei Malavoglia s’era sfasciata, e compar Alfio avrebbe
potuto dirsi un bel partito per lei, col mulo che ci aveva; così
la domenica ruminava fra di sé tutte le ragioni per farsi
animo, mentre stava accanto a lei, seduto davanti alla casa,
colle spalle al muro a sminuzzare gli sterpolini della siepe
per ingannare il tempo. Anche lei guardava la gente che pas-
sava, e così facevano festa la domenica: – Se voi mi volete
ancora, comare Mena – disse finalmente; – io per me son
qua.
53 La povera Mena non si fece neppur rossa, sentendo che
compare Alfio aveva indovinato che ella lo voleva, quando
stavano per darla a Brasi Cipolla, tanto le pareva che quel
tempo fosse lontano, ed ella stessa non si sentiva pi˙ quella.
– Ora sono vecchia, compare Alfio, – rispose, – e non mi
marito pi˙.
– Se voi siete vecchia, anch’io sono vecchio, ché avevo
degli anni più di voi, quando stavamo a chiacchierare dalla

eventi, fuggiva dal paese, non Lia. Si vedano in fase di progettazione le


possibili alternative in Padron ’Ntoni – Note e richiami per coordinare il
manoscritto (riportato in Appendice V): «Lasciare buona e casta la
Mena, sacrificandosi, e far cascare la Lia, pel cattivo esempio del fra-
tello [...] – oppure viceversa caduta la Mena far venir buona e pura la
Lia. – Oppure infine la Mena, casca dopo la morte della Lia»).
L’opzione definitiva impose la revisione del manoscritto con la sistema-
tica sostituzione: Mena ➝ Lia, a partire almeno dalla fine del capito-
lo XIV, ma con interventi anche in punti precedenti, per conferire mag-
gior consistenza psicologica a un personaggio secondario come Lia, che
per il ruolo nuovo che si trovava ora ad assumere richiedeva una messa
a fuoco più mirata. Il mutamento non poteva però di conseguenza non
interessare, narrativamente e soprattutto ‘poeticamente’, anche Mena,
un personaggio di ben altro spessore nel romanzo, che quindi ‘esigeva’
un’uscita di scena degna delle emozioni che aveva saputo suscitare nel
corso della storia. – a sminuzzare gli sterpolini: cfr. anche XV, 56: «smi-
nuzzando gli sterpolini della siepe anche lei», «rimanevano in silenzio a
sminuzzare sterpolini». Vedi inoltre XIII, 42: «sminuzzando qualche
sterpolino per non sapere che fare».

Letteratura italiana Einaudi 405


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

finestra, e mi pare che sia stato ieri, tanto m’è rimasto in


cuore. Ma devono esser passati più di otto anni. E ora quan-
do si sarà maritato vostro fratello Alessi, voi restate in mezzo
alla strada.
54 Mena si strinse nelle spalle, perché era avvezza a fare la
volontà di Dio, come la cugina Anna; e compare Alfio,
vedendo cosi, riprese:
– Allora vuol dire che non mi volete bene, comare Mena,
e scusatemi se vi ho detto che vi avrei sposata. Lo so che voi
siete nata meglio di me, siete figlia di padroni; ma ora non
avete pi˙ nulla, e se si marita vostro fratello Alessi, rimarrete
in mezzo alla strada. Io ci ho il mulo e il mio carro, e il pane
non ve lo farei mancare giammai, comare Mena. Ora per-
donatemi la libertà!
55 – Non mi mi avete offesa, no, compare Alfio; e vi avrei
detto di sì anche quando avevamo la Provvidenza e la casa
del nespolo, se i miei parenti avessero voluto, che Dio sa
quel che ci avevo in cuore quando ve ne siete andato alla
Bicocca col carro dell’asino, e mi pare ancora di vedere quel
lume nella stalla, e voi che mettevate tutta la vostra roba sul
carretto, nel cortile; vi rammentate?
– Sì, che mi rammento! Allora perché non mi dite di sì,
ora che non avete pi˙ nulla, e ci ho il mulo invece dell’asino
al carretto, e i vostri parenti non potrebbero dir di no?
56 – Ora non son pi˙ da maritare; – tornava a dire Mena col
viso basso, e sminuzzando gli sterpolini della siepe anche lei.
– Ho ventisei anni, ed è passato il tempo di maritarmi.

56. Ho 26 anni... maritarmi: l’indicazione offre un elemento utile per


determinare lo svolgimento cronologico degli eventi: siamo nel 1874,
dal momento che «devono essere passati più di otto anni» (cfr. c. 53)
dalla partenza di Alfio da Trezza, avvenuta nei giorni del fidanzamento
di Mena, che «aveva diciotto anni» (IX, 51), con Brasi; un evento que-
sto riconducibile al 1866, grazie all’accenno alla battaglia di Lissa. Vedi
Pitrè, II, p. 79: «Sunnu boni li cavaddi d’ottu, li fimmini di dicidottu e li
omini di vintottu»; «Fimmina trintina, jèttala a la marina».

Letteratura italiana Einaudi 406


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

– No, che non è questo il motivo per cui non volete dirmi
di sì! – ripeteva compar Alfio col viso basso come lei. – Il
motivo non volete dirmelo! – E così rimanevano in silenzio
a sminuzzare sterpolini senza guardarsi in faccia. Dopo egli
si alzava per andarsene, colle spalle grosse e il mento sul
petto. Mena lo accompagnava cogli occhi finché poteva
vederlo, e poi guardava al muro dirimpetto e sospirava.
57 Come aveva detto Alfio Mosca, Alessi s’era tolta in moglie
la Nunziata, e aveva riscattata la casa del nespolo.
– Io non sono da maritare, – aveva tornato a dire la Mena;
– maritati tu che sei da maritare ancora; – e cosi ella era sali-
ta nella soffitta della casa del nespolo, come le casseruole
vecchie, e s’era messo il cuore in pace, aspettando i figliuoli
della Nunziata per far la mamma. Ci avevano pure le galline
nel pollaio, e il vitello nella stalla, e la legna e il mangime
sotto la tettoia, e le reti e ogni sorta di attrezzi appesi, il tutto
come aveva detto padron ’Ntoni; e la Nunziata aveva ripian-
tato nell’orto i broccoli ed i cavoli, con quelle braccia deli-
cate che non si sapeva come ci fosse passata tanta tela da
imbiancare, e come avesse fatti quei marmocchi grassi e
rossi che la Mena si portava in collo pel vicinato quasi li
avesse messi al mondo lei, quando faceva la mamma.
58 Compare Mosca scrollava il capo, mentre la vedeva pas-
sare, e si voltava dall’altra parte, colle spalle grosse. – A me
non mi avete creduto degno di quest’onore! – le disse alfine

57. tolta in moglie: cfr. I, 4: «s’era tolta in moglie la Longa». – riscat-


tata: ‘ricomprata’. – come le casseruole vecchie: cfr. VI, 29 «Le ragazze
si maritano così, se no vi restano sulla pancia, come le casseruole vec-
chie». – come avesse fatti... vicinato: nello spazio di poche righe sono
riassunti eventi cronologicamente lontani tra loro (il matrimonio di
Alessi e Nunziata e la nascita dei loro figli), determinando un inganne-
vole, ma suggestivo effetto di continuità per un dialogo, quello fra Alfio
e Mena, che in realtà avviene in momenti molto diversi e lontani nel
tempo.
58. col cuore più grosso delle spalle: poco prima: «colle spalle gros-
se»; cfr. XV, 56: «colle spalle grosse». Vedi anche IX, 64.

Letteratura italiana Einaudi 407


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

quando non ne poté più, col cuore pi˙ grosso delle spalle. –
Io non ero degno di sentirmi dir di sì!
– No, compar Alfio! – rispose Mena la quale si sentiva
spuntare le lagrime. – Per quest’anima pura che tengo sulle
braccia! Non è per questo motivo. Ma io non son pi˙ da
maritare.
59 – Perché non siete pi˙ da maritare, comare Mena?
– No! no! – ripeteva comare Mena, che quasi piangeva. –
Non me lo fate dire, compare Alfio! Non mi fate parlare!
Ora se io mi maritassi, la gente tornerebbe a parlare di mia
sorella Lia, giacchè nessuno oserebbe prendersela una
Malavoglia, dopo quello che è successo. Voi pel primo ve ne
pentireste. Lasciatemi stare, che non sono da maritare, e
mettetevi il cuore in pace.
– Avete ragione, comare Mena! – rispose compare Mosca;
a questo non ci avevo mai pensato. Maledetta la sorte che ha
fatto nascere tanti guai!
60 Così compare Alfio si mise il cuore in pace, e Mena
seguitò a portare in braccio i suoi nipoti quasi ci avesse il
cuore in pace anche lei, e a spazzare la soffitta, per quando
fossero tornati gli altri, che c’erano nati anche loro, – come
se fossero stati in viaggio per tomare! – diceva Piedipapera.
61 Invece padron ’Ntoni aveva fatto quel viaggio lontano,
più lontano di Trieste e d’Alessandria d’Egitto, dal quale
non si ritorna più; e quando il suo nome cadeva nel discor-

61. quel viaggio lontano… non si ritorna più: cfr. XI, 1. – all’ombra
del nespolo: cfr. VIII, 36. – le chiacchiere morivano di botto: in A il testo
continuava con: «e le mascelle andavano più lente», che con provvi-
denziale ispirazione viene espunto per non intaccare, con un dettaglio
che distraeva per un eccesso di visualizzazione, il tono di dimessa, ma
intensa semplicità, con cui si rappresenta l’affiorare in tutti del ricordo
di padron ’Ntoni. – d’avere il povero vecchio: corregge in A: «d’aver-
lo» ➝ «d’avere il povero nonno». – come un’anima del purgatorio: cfr.
XIV, 58. – con quella pena... la poteva dire: sostituisce in A: «con quel-
la faccia smunta e disfatta, che non diceva nulla, e si mangiava dentro
di sè tutta la sua pena».

Letteratura italiana Einaudi 408


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

so, mentre si riposavano, tirando il conto della settimana e


facendo i disegni per l’avvenire, all’ombra del nespolo e
colle scodelle fra le ginocchia, le chiacchiere morivano di
botto, che a tutti pareva d’avere il povero vecchio davanti
agli occhi, come l’avevano visto l’ultima volta che erano
andati a trovarlo in quella gran cameraccia coi letti in fila,
che bisognava cercarlo per trovarlo, e il nonno li aspettava
come un’anima del purgatorio, cogli occhi alla porta, seb-
bene non ci vedesse quasi, e li andava toccando, per accer-
tarsi che erano loro, e poi non diceva pi˙ nulla, mentre gli si
vedeva in faccia che aveva tante cose da dire, e spezzava il
cuore con quella pena che gli si leggeva in faccia e non la
62 poteva dire. Quando gli narrarono poi che avevano riscatta-
ta la casa del nespolo, e volevano portarselo a Trezza di
nuovo, rispose di sì, e di sì, cogli occhi, che gli tornavano a
luccicare, e quasi faceva la bocca a riso, quel riso della gente
che non ride più, o che ride per l’ultima volta, e vi rimane
fitto nel cuore come un coltello. Così successe ai Malavoglia
quando il lunedì tornarono col carro di compar Alfio per
riprendersi il nonno, e non lo trovarono pi˙.
63 Rammentando tutte queste cose lasciavano il cucchiaio

62. e non lo trovarono più: un’uscita di scena in sordina, ma prece-


duta dalla toccante intensità della rievocazione dell’ultimo incontro
all’ospedale, dove più scoperta si fa la presenza partecipe del narrato-
re-autore. In Fantasticheria, p. 133: «Ora è morto laggiù all’ospedale
della città, il povero diavolo, in una grande corsìa tutta bianca, fra dei
lenzuoli bianchi, masticando del pane bianco, servito dalle bianche
mani delle suore di carità, le quali non avevano altro difetto che di non
saper capire i meschini guai che il poveretto biascicava nel suo dialetto
semibarbaro».
63. Rammentando... nespolo: immagine ricca di valenze simboliche
(vedi IV, 32; VIII, 36; IX, 47), l’ombra del nespolo si trasforma qui in
una sorta di ‘correlativo oggettivo’ dell’‘oscurità’ del destino che ha
determinato la trama dolorosa degli eventi (cfr. XV, 66: «come fu nel
cortile sotto il nespolo, che era scuro»). La mirabile densità della ver-
sione finale ha come punto di partenza una lezione che nell’accumulo
degli elementi appariva dispersiva e divagante: «In quei pensieri lascia-
vano il cucchiaio nella scodella e camminavano ( ➝ Quei pensieri

Letteratura italiana Einaudi 409


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

nella scodella e pensavano e pensavano a tutto quello che


era accaduto, che sembrava scuro scuro come ci fosse sopra
l’ombra del nespolo. Ora, quando veniva la cugina Anna a
filare un po’ con le comari, aveva i capelli bianchi, e diceva
che aveva perso il riso della bocca, perchè non aveva tempo
di stare allegra, colla famiglia che aveva sulle spalle, e Rocco
che tutti i giorni bisognava andare a cercare di qua e di là
per le strade e davanti la bettola, e cacciarlo verso casa come
un vitello vagabondo. Anche dei Malavoglia ce n’erano due
vagabondi; e Alessi si tormentava il cervello a cercarli dove
potevano essere, per le strade arse di sole e bianche di pol-
vere, che in paese non sarebbero tornati pi˙, dopo tanto
tempo.
64 Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio

facevano andar via l’appetito e quasi non [ ]), colla testa indietro,
indietro che l’ombra del nespolo sembrava più folta, com’era tanti anni
prima, e il sole più allegro, e il cielo più azzurro, e i passeri dal tetto can-
tavano la canzone allegra del tempo ( ➝ maggio) passato, quando
andavano a caccia dei nidi, e Nunziata udiva colpettare il telajo di
Sant’Agata, quando veniva tutta allegra nel cortile a portarle l’ordito
imbiancato, e la Longa lo prendeva sorridendo, perchè la Nunziata lo
portava ben bianco, e la sera tornavano tutti che la casa era piena, e il
lume non ardeva per niente». – aveva perso il riso della bocca: il tema del
mutamento, uno dei leit-motiv del capitolo, si riflette anche nel vanifi-
carsi del valore stesso del nomignolo (Cuorcontento), costante elemen-
to di individuazione per il personaggio (vedi II, 18 e XI, 9). – come un
vitello vagabondo: cfr. per l’analogia dell’ambito metaforico, pur nella
diversità del significato, XIII, 10: «[piangeva] come un vitello slattato».
– per le strade arse di sole e bianche di polvere: non spazio reale, ma indi-
stinte lontananze evocate dalla parola-tema «vagabondi», in un inciso
sottolineato sul piano formale dalla costruzione binaria e dal gioco delle
assonanze («strade arse di sole e bianche di polvere»). Vedi inoltre XV,
41: «lungo la strada polverosa»; XV, 46: «per la lunga strada polvero-
sa». Quando ’Ntoni improvvisamente comparirà, «coperto di polvere,
e colla barba lunga» (c. 64), sembrerà riemergere da quella stessa miti-
ca lontananza.
64. fino il cane gli abbaiava, chè non l’aveva conosciuto mai: cfr. poco
prima: «il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio». Vedi Pitrè, I, p. 130:
«Li cani abbajanu a chiddi ch’ ’un canuscinu». – perchè aveva fame e sete:
con movenza di sapore biblico (vedi anche poco oltre «quando si fu sfa-

Letteratura italiana Einaudi 410


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

del cortile, e lo stesso Alessi, che andò ad aprire, non rico-


nobbe ’Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio,
tanto era mutato, coperto di polvere, e colla barba lunga.
Come fu entrato e si fu messo a sedere in un cantuccio, non
osavano quasi fargli festa. Ei non sembrava pi˙ quello, e
andava guardando in giro le pareti, come non le avesse mai
viste; fino il cane gli abbaiava, ché non l’aveva conosciuto
mai. Gli misero fra le gambe la scodella, perché aveva fame
e sete, ed egli mangiò in silenzio la minestra che gli diedero,
come non avesse visto grazia di Dio da otto giorni, col naso
nel piatto; ma gli altri non avevano fame, tanto avevano il
cuore serrato. Poi ’Ntoni, quando si fu sfamato e riposato
alquanto, prese la sua sporta e si alzò per andarsene.
65 Alessi non osava dirgli nulla, tanto suo fratello era muta-
to. Ma al vedergli riprendere la sporta, si senti balzare il
cuore dal petto, e Mena gli disse tutta smarrita: – Te ne vai?
– Sì! – rispose ’Ntoni.
– E dove vai? – chiese Alessi.

mato e riposato alquanto»), che si evidenzia anche nell’accostamento


non improprio dell’intera situazione col ritorno del «figliol prodigo»
alla casa del padre, dopo essere partito «per un paese lontano» e dopo
aver scialacquato «tutto il suo patrimonio vivendo dissolutamente»
(Luca 15,13). Per ’Ntoni non si sacrificherà il «vitello grasso» della
parabola, perchè il «vitello grasso e lucente» (c. 68) comperato dalla
Nunziata è il segno di una prosperità legata alla ricostituzione dell’unità
familiare, da cui ’Ntoni è ormai irrimediabilmente escluso. – cuore ser-
rato: corregge in A: «la gola stretta».
65. tanto suo fratello era mutato: sostituisce in bozze la lezione di A:
«chè così mutato com’era gli faceva sempre soggezione ( ➝ gli incu-
teva sempre rispetto) perchè era il maggiore»; la soppressione della
dilatazione esplicativa, che giustificava l’esitazione di Alessi, conferisce
maggior evidenza al termine «mutato», che si riconnette con un tema-
chiave dell’intero capitolo. – Venni: corregge in A: «Son venuto». «In
Sicilia e nella metà meridionale della Calabria il passato remoto è l’uni-
co tempo perfettivo popolare, e viene usato anche nei casi in cui tosca-
no e lingua letteraria sogliono usare il passato prossimo: anche, dunque,
quando si tratti d’un fatto che s’estende fino all’immediato presente»
(Rohlfs, § 672).

Letteratura italiana Einaudi 411


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

– Non lo so. Venni per vedervi. Ma dacché son qui la


minestra mi è andata tutta in veleno. Per altro qui non posso
starci, ché tutti mi conoscono, e perciò son venuto di sera.
Andrò lontano, dove troverò da buscarmi il pane, e nessuno
saprà chi sono.
66 Gli altri non osavano fiatare, perché ci avevano il cuore
stretto in una morsa, e capivano che egli faceva bene a dir
così. ’Ntoni continuava a guardare dappertutto, e stava sulla
porta, e non sapeva risolversi ad andarsene. – Ve lo farò
sapere dove sarò; – disse infine e come fu nel cortile, sotto il
nespolo, che era scuro, disse anche: – E il nonno?
Alessi non rispose; ’Ntoni tacque anche lui, e dopo un
pezzetto:
– E la Lia, che non l’ho vista?
67 E siccome aspettava inutilmente la risposta, aggiunse colla
voce tremante, quasi avesse freddo:
– E’ morta anche lei?
Alessi non rispose nemmeno; allora ’Ntoni che era sotto il
nespolo colla sporta in mano, fece per sedersi, poiché le
gambe gli tremavano ma si rizzò di botto, balbettando:

66. il cuore stretto in una morsa: cfr. c. 64: «tanto avevano il cuore
serrato». – sotto il nespolo, che era scuro: vedi c. 63.
67. Addio addio!: in A il testo continuava: «Egli stava per stendere la
mano al fratello, ma in quel momento la tirò indietro, ranniechiando il
capo nelle spalle ( ➝ ma la ritrasse rabbrividendo). Alessi gli buttò le
braccia al collo. – Addio, ripetè ’Ntoni. Vedi che avevo ragione d’an-
darmene, qui non posso starci. Addio, perdonatemi tutti». Con questa
battuta di ’Ntoni terminava il romanzo nella versione affidata al mano-
scritto autografo. Solo nella fase di revisione delle bozze viene rielabo-
rato il finale nella versione che oggi leggiamo. Rispetto al primo finale,
che indulgeva, collo struggente saluto dei due fratelli, a toni più sco-
pertamente patetici, l’elaborazione definitiva configura il distacco dap-
prima come graduale abbandono della casa, che si trasforma in doloro-
sa ‘perlustrazione’ di uno spazio oramai estraneo e contempraneamen-
te in ‘viaggio’ nella memoria, in seguito come distacco dal villaggio, con
la riproposta di temi, motivi e personaggi che hanno percorso tutto il
romanzo e che ora siglano il testo, fornendone la più profonda chiave
di lettura.

Letteratura italiana Einaudi 412


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

– Addio addio! Lo vedete che devo andarmene?


68 Prima d’andarsene voleva fare un giro per la casa, onde
vedere se ogni cosa fosse al suo posto come prima; ma ades-
so, a lui che gli era bastato l’animo di lasciarla, e di dare una
coltellata a don Michele, e di starsene nei guai, non gli basta-
va l’animo di passare da una camera all’altra se non glielo
dicevano. Alessi che gli vide negli occhi il desiderio, lo fece
entrare nella stalla, col pretesto del vitello che aveva compe-
rato la Nunziata, ed era grasso e lucente; e in un canto c’era
pure la chioccia coi pulcini; poi lo condusse in cucina, dove
avevano fatto il forno nuovo, e nella camera accanto, che vi
dormiva la Mena coi bambini della Nunziata, e pareva che
69 li avesse fatti lei. ’Ntoni guardava ogni cosa, e approvava col
capo, e diceva – Qui pure il nonno avrebbe voluto metterci
il vitello, qui c’erano le chiocce, e qui dormivano le ragazze,
quando c’era anche quell’altra... – Ma allora non aggiunse
altro, e stette zitto a guardare intorno, cogli occhi lustri. In
quel momento passava la Mangiacarrubbe, che andava sgri-
dando Brasi Cipolla per la strada, e ’Ntoni disse: – Questa
qui l’ha trovato il marito; ed ora, quando avranno finito di
quistionare, andranno a dormire nella loro casa.
70 Gli altri stettero zitti, e per tutto il paese era un gran silen-
zio, soltanto si udiva sbattere ancora qualche porta che si
chiudeva; e Alessi a quelle parole si fece coraggio per dirgli:
– Se volessi anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il
letto per te.
71 – No! – rispose ’Ntoni. – Io devo andarmene. Là c’era il
letto della mamma, che lei inzuppava tutto di lagrime quan-

68. starsene nei guai: il valore idiomatico dell’espressione è esplicita-


mente indicato in Fantasticheria, p. 134: «un colpo divento funesto, che
avea trasportato uno dei suoi fratelli fin nelle carceri di Pantelleria: ‘nei
guai!’ come dicono laggiù».
69. quell’altra: Lia.
71. Ti rammenti le belle chiacchierate... tutti una famiglia?: cfr. XI, 2.

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Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

do volevo andarmene. Ti rammenti le belle chiacchierate


che si facevano la sera, mentre si salavano le acciughe? e la
Nunziata che spiegava gli indovinelli? e la mamma, e la Lia,
tutti lì, al chiaro di luna, che si sentiva chiacchierare per
tutto il paese, come fossimo tutti una famiglia? Anch’io
allora non sapevo nulla, e qui non volevo itarci, ma ora che
so ogni cosa devo andarmene.
In quel momento parlava cogli occhi fissi a terra, e il capo
rannicchiato nelle spalle. Allora Alessi gli buttò le braccia
al collo.
– Addio, – ripeté ’Ntoni. – Vedi che avevo ragione d’an-
darmene! qui non posso starci. Addio, perdonatemi tutti.
72 E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi, quan-
do fu lontano, in mezzo alla piazza scura e deserta, che tutti
gli usci erana chiusi, si fermò ad ascoltare se chiudessero la
porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava
dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo
al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì
sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese
nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare,
di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza
ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al
gorgogliare che fa tra quegli scogli nei quali si rompe e par
la voce di un amico.
73 Allora ’Ntoni si fermò in mezzo alla strada a guardare il
paese tutto nero, come non gli bastasse il cuore di staccar-
sene, adesso che sapeva ogni cosa, e sedette sul muricciuo-
lo della vigna di massaro Filippo.
74 Così stette un gran pezzo pensando a tante cose, guar-

72. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia: poco oltre «e par la
voce di un amico»; cfr. III, 20: «per dare un’occhiata verso il mare, e
vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone».
74. Sulla riva… come l’aveva vista tante volte: cfr. II, 37: «Le stelle
ammiccavano più forte, quasi s’accendessero, e i tre re scintillavano sui
fariglioni colle braccia in croce, come Sant’Andrea. Il mare russava in
fondo alla stradicciuola, adagio adagio [...]»; VI, 8: «il tre bastoni era

Letteratura italiana Einaudi 414


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

dando il paese nero e ascoltando il mare che gli brontalava


lì sotto. E ci stette fin quando cominciarono ad udirsi certi
rumori ch’ei conosceva, e delle voci che si chiamavano die-
tro gli usci, e sbatter d’imposte, e dei passi per le strade
buie. Sulla riva, in fondo alla piazza, cominciavano a formi-
colare dei lumi. Egli levò il capo a guardare i Tre Re che luc-
cicavano, e la Puddara che annunziava l’alba, come l’aveva
vista tante volte. Allora tornò a chinare il capo sul petto, e a
75 pensare a tutta la sua storia. A poco a poco il mare comin-
ciò a farsi bianco, e i Tre Re ad impallidire, e le case spunta-

ancora alto verso l’Ognina, colle gambe in aria, la Puddara luccicava


dall’altra parte, e il cielo formicolava di stelle [...]».
75. tossiva e sputacchiava: cfr. X, 20. – il mare, che s’era fatto ama-
ranto: nella notazione coloristica (unica occorrenza di «amaranto»)
quasi un’eco («il mare s’era fatto amaranto») del proverbio «Il mare
amaro e il marinaro muore in mare», come ha notato Giachery. Non più
lo sguardo trepidante del marinaio, che del mare conosce e teme le insi-
die, ma la visione di chi nel suo «brontolare» sente la «voce di un
amico»; d’ora in poi la vita di ’Ntoni «non sarà più sul mare o nel mare,
ma come il mare, che «non ha paese nemmen lui»» (Cecchetti). – Ma il
primo... Rocco Spatu: a un personaggio tutto sommato minore, ma in
qualche modo assimilabile a ’Ntoni da diversi punti di vista (cfr. ad es.
X, 20), la funzione di chiudere il romanzo, col rilievo aggiuntivo che
deriva dal fatto che la clausola finale è inattesa e in parte ambigua,
soprattutto per la particolare connotazione assunta dall’espressione «a
cominciar la sua giornata», che sembrerebbe in contrasto col ruolo di
«fannullone» incarnato per eccellenza nel romanzo da Rocco Spatu.
L’impiego dell’avversativa, all’apparenza non immediatamente giustifi-
cabile in rapporto a ciò che precede, acquista una sua plausibilità se si
tiene conto che sono parole di ’Ntoni. La battuta risulta infatti essere la
testimonianza dell’avvenuta presa di coscienza, da parte di un perso-
naggio che avverte in sé i profondi segni del mutamento, della sostan-
ziale immutabilità di un mondo nel quale una nuova giornata comincia
all’insegna però di un evento che ne conferma l’identità con tutte le
altre. Rocco Spatu, iniziando anche lui la «sua giornata», che non sarà
certo di lavoro, si rivela comunque parte, a modo suo, di quel mondo
che ormai ’Ntoni sente come altro da sé, proprio quando ne ha com-
preso le ragioni più profonde. In questa coscienza della propria irrime-
diabile esclusione, evidenziata proprio dall’emblematica presenza di
Rocco, sta il segno della sconfitta di ’Ntoni.

Letteratura italiana Einaudi 415


Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quindicesimo

vano ad una ad una nelle vie scure, cogli usci chiusi, che si
conoscevano tutte, e solo davanti alla bottega di Pizzuto
c’era il lumicino, e Rocco Spatu colle mani nelle tasche che
tossiva e sputacchiava. – Fra poco lo zio Santoro aprirà la
porta – pensò ’Ntoni, – e si accoccolerà sull’uscio a comin-
ciare la sua giornata anche lui. – Tornò a guardare il mare,
che s’era fatto amaranto, tutto seminato di barche che ave-
vano cominciato la loro giornata anche loro, riprese la sua
sporta, e disse:
– Ora è tempo d’andarsene, perché fra poco comincerà a
passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giorna-
ta è stato Rocco Spatu.

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