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Ricerche di Pedagogia e Didattica - Journal of Theories and Research in Education 16, 2 (2021). Numero speciale.

Intersezioni tra
Scienze umane e scienze naturali nel pensiero e nell'opera di Maria Montessori. A cura di Manuela Gallerani e Tiziana Pironi.
ISSN 1970-2221.

Il pensiero e l'opera di Maria Montessori tra passato e


presente1

Tiziana Pironi
Università di Bologna

Manuela Gallerani
Università di Bologna

Astratto
Tiziana Pironi e Manuela Gallerani aprono il numero speciale con le introduzioni agli articoli che seguono.
La Pironi considera il rapporto tra natura e cultura nell'approccio montessoriano sviluppatosi tra il XIX e il
XX secolo. Sottolinea come si sia distanziato dal determinismo positivista e analizza i risultati innovativi
della teoria e della pratica montessoriana nelle scuole, che hanno avuto un impatto significativo sugli
approcci odierni in campo educativo e neuroscientifico. Gallerani osserva come l'opera di Maria Montessori
abbia incontrato non poche resistenze e critiche negli anni del primo e secondo dopoguerra da parte di
accademici italiani che tendevano a interpretare il suo innovativo approccio educativo in modo piuttosto
semplicistico, come un mero sistema di insegnamento dotato di un certo grado di efficacia. Tuttavia, le
critiche non impedirono la diffusione dell'approccio Mon- tessori in molti altri Paesi, dove fu apprezzato,
adottato e sfruttato per la sua efficacia e originalità. Infatti, i suoi principi chiave si ritrovano ancora oggi,
rivisti e applicati in nuovi metodi come l'Universal Design for Learning e l'Embodied Education.

Tiziana Pironi e Manuela Gallerani aprono lo Special Issue con un'introduzione che presenta e anticipa i conte-
nuti dei successivi contributi. Pironi prende in considerazione il rapporto tra natura e cultura nella prospettiva
montessoriana che si sviluppa a partire tra Otto e Novecento; mette in luce la sua presa di distanza rispetto
al determinismo di matrice positivistica, fino ad analizzare i riscontri innovativi della sua teoria e prassi in
campo scolastico, con esiti significativi nelle prospettive attuali nel campo pedagogico e neuro-scientifico.
Gallerani

1Questo saggio introduttivo è stato concepito dai due autori. Tuttavia, in conformità con i requisiti della valutazione nazionale
della ricerca, riconosciamo che la prima sezione è stata scritta da Tiziana Pironi e la seconda da Manuela Gallerani.

Tiziana Pironi, Manuela Gallerani - Il pensiero e l'opera montessoriana tra passato e presente
DOI: https://doi.org/10.6092/issn.1970-2221/13469

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Ricerche di Pedagogia e Didattica - Journal of Theories and Research in Education 16, 2 (2021). Numero speciale. Intersezioni tra
Scienze umane e scienze naturali nel pensiero e nell'opera di Maria Montessori. A cura di Manuela Gallerani e Tiziana Pironi.
ISSN 1970-2221.

rileva come la ricezione dell'innovativa proposta educativa di Maria Montessori abbia incontrato non
poche resistenze e critiche, nel primo e secondo dopoguerra, da parte degli accademici italiani inclini a
interpretarla, riduttivamente, come un apparato didattico piuttosto efficace. Critiche che non hanno impedito
all'approccio montessoriano di diffondersi nel mondo, per la sua originalità e validità. Alcuni dei suoi
principi-cardine si ri- trovano, infatti, declinati e rivisitati in recenti metodologie, tra cui l'Universal Design for
Learning e l'Embodied Education.

Parole chiave: Insegnamento Montessori; formazione degli insegnanti; osservazione; prima infanzia;
apprendimento; ambiente

Parole chiave: insegnamento montessoriano; formazione degli insegnanti; osservazione; prima infanzia; am-
biente

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Ricerche di Pedagogia e Didattica - Journal of Theories and Research in Education 16, 2 (2021). Numero speciale. Intersezioni tra
Scienze umane e scienze naturali nel pensiero e nell'opera di Maria Montessori. A cura di Manuela Gallerani e Tiziana Pironi.
ISSN 1970-2221.

1. Pedagogia Montessori, passato e presente


Questo numero speciale rientra nelle iniziative legate al progetto Prin, giunto al suo secondo anno di attività,
che ho coordinato. Si tratta di un progetto di ricerca nazionale italiano, finanziato dal MIUR (Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca), dal titolo Maria Montessori dal passato al presente. Ricezione e
applicazione del suo metodo educativo in Italia nel 150th anniversario della sua nascita, e coinvolge le seguenti
quattro università: Bologna, Milano Bicocca, Lumsa di Roma e Aosta. L'obiettivo è quello di ricostruire la
storia e la situazione attuale della pedagogia montessoriana: Maria Montessori e la sua opera, la ricezione
del suo metodo educativo in Italia e la sua vitalità educativa, dalla scuola materna alla secondaria di primo grado,
soprattutto in risposta alle attuali emergenze educative. La sua validità sarà verificata in contesti oggi totalmente
diversi e alla luce della conferma del metodo scientifico ed educativo montessoriano da parte delle
neuroscienze e delle nuove teorie sull'intelligenza umana.
La popolarità del metodo Montessori in Italia ha attraversato varie vicissitudini dovute a diversi periodi storici,
circostanze politiche e ambienti culturali. È quindi necessario capire le ragioni delle posizioni favorevoli o
contrarie nel nostro Paese, quando invece il metodo ha avuto un notevole e continuo sviluppo in altri Paesi.
Alla luce degli intenti della ricerca che vengono qui brevemente descritti, questo numero speciale, intitolato
Intersezioni epistemologiche tra scienze umane e scienze della natura nel pensiero e nelle opere di Maria
Montessori, è il risultato di un bando aperto a tutti gli studiosi interessati ad analizzare la prospettiva
montessoriana, considerata nel quadro delle diverse espressioni del sapere pedagogico (storico-teorico, speciale,
sperimentale, didattico).
Nel suo saggio di apertura, Andrea Bobbio evidenzia come, tra il 19th e il 20th secolo, il pensiero e l'opera di
Maria Montessori abbiano segnato una svolta non solo per l'educazione del bambino, ma anche per le
implicazioni relative agli sviluppi epistemologici delle scienze dell'educazione, tenendo conto delle
convergenze interdisciplinari tra sapere medico e pedagogico. Gli studi sperimentali di Maria Montessori
segnano infatti un netto distacco dalle posizioni innatiste di ispirazione lombrosiana, facendo emergere la
natura interattiva e dinamica del rapporto tra natura e cultura. Bobbio sottolinea giustamente l'importanza di
due saggi da lei pubblicati nel 1904: Influenza delle condizioni di famiglia sul livello intellettuale degli scolari
e Sui caratteri antropometrici in relazione alle gerarchie intellettuali dei fanciulli nelle scuole. Ricerche di
antropologia pedagogica (Sui caratteri antropometrici in relazione alle gerarchie intellettuali dei fanciulli
nelle scuole. Ricerche di antropologia pedagogica), in cui è possibile notare il distacco dal modello
essenzialmente organico-biologico, ponendo l'accento sulla forte influenza dei fattori ambientali (culturali,
familiari, sociali, etnologici) nei processi di apprendimento.
Proprio a proposito di questi due saggi, che segnano una svolta fondamentale nel percorso scientifico di Maria
Montessori, vorrei ricordare che furono scritti pochi anni dopo l'inizio dell'insegnamento di Antropologia
pedagogica all'Istituto superiore femminile di Magistero di Roma. Era decisa a conseguire il titolo di

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Scienze umane e scienze naturali nel pensiero e nell'opera di Maria Montessori. A cura di Manuela Gallerani e Tiziana Pironi.
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ben consapevole di poter in qualche modo giocare un ruolo, anche se indiretto, nell'operare un reale cambiamento
nel campo dell'insegnamento. Questo perché le ragazze del Magistero femminile, essendo future insegnanti
della Scuola Normale universitaria, sarebbero diventate a loro volta formatrici delle future maestre
elementari (Pironi, 2014, p. 54). In effetti, la Montessori fece partecipare i suoi studenti a un'indagine
condotta in tre scuole elementari romane tra il 1903 e il 1904, coinvolgendo un gruppo di alunni di età
compresa tra i 9 e gli 11 anni, appartenenti alle classi superiori, medie e popolari. L'obiettivo era verificare -
sulla scia di uno studio analogo condotto da Alfred Binet a Parigi - se gli alunni più intelligenti avessero un
cranio più sviluppato rispetto a quelli meno intelligenti. L'approccio alla misurazione dello sviluppo
dell'intelligenza era per lei molto problematico, poiché si doveva tener conto di condizioni sociali e culturali
estremamente diversificate. Infatti, le conclusioni a cui giunse andavano contro la tendenza antropometrica
dell'epoca, perché dimostravano l'interdipendenza tra sviluppo cerebrale, rendimento scolastico e contesto
sociale e culturale. Dall'analisi dei dati biografici raccolti, la Montessori notò che tra gli alunni giudicati
peggiori dai loro insegnanti "la maggior parte sono bambini poverissimi - che vivono in case troppo ristrette
(affollamento di persone, fino a 11 in una stanza!) - quasi abbandonati, e che vivono per strada dopo la scuola"
(Montessori, 1904, p. 280). Ma ciò che era ancora più grave, affermava, era che la scuola assumeva un ruolo
repressivo e mortificante con i bambini più svantaggiati: "come se in una gara tra paralitici e agili corridori,
imponesse gli stessi obiettivi e gli stessi premi e punizioni, senza considerare se fosse possibile fornire a tutti
le stesse condizioni di partenza" (Ivi, pp. 283-284). L'autrice sostiene quindi che la scuola contribuisce solo a
peggiorare le condizioni sociali ingiuste, punendo il bambino per la sua povertà, malattia e sfortuna: "e
come la bellezza del corpo è indipendente dal merito individuale [così] le condizioni biologiche e sociali
della nascita sono involontarie" (Ivi, p. 283). E concludeva:

"Evidentemente la scuola, in cui dovrebbe esistere il massimo coefficiente di progresso sociale, è di un


livello scientifico ed etico inferiore all'ambiente della società moderna. Mentre fuori, con il soffio
della nuova vita, ogni espressione di fratellanza e di solidarietà umana si chiama giustizia, lì dentro,
nell'ambiente educativo dei bambini, risuona ancora l'antica forma di giustizia, scavando sempre più in
profondità l'abisso tra uomini che sono stati posti dal caso in diverse condizioni di nascita" (Ivi, p.
280).

Per questo riteneva che non fosse possibile dare un fondamento scientifico alla pedagogia, che fino ad allora era
stata pensata solo in termini speculativi, dotandola semplicemente di un approccio misurativo e quantitativo.
Nel Metodo della pedagogia scientifica applicato alle Case dei Bambini (1909), ci sono impliciti riferimenti
a Binet, che aveva sperimentato test mentali nelle scuole francesi, ritenendo possibile misurare
oggettivamente i quozienti di intelligenza degli alunni: "la pedagogia sperimentale, con i suoi test mentali e
altri test, quando fu introdotta nelle scuole elementari, non riuscì a influenzare la pratica della scuola stessa e i
suoi metodi; come logica conseguenza si poteva solo immaginare la possibilità di cambiare gli esami, cioè
le prove degli alunni" (Montessori, 2000a, p. 352).
Si trattò di un vero e proprio cambiamento di rotta, poiché Maria Montessori riteneva che una scienza
sperimentale non potesse limitarsi a descrivere un fenomeno - in questo caso il bambino "represso", ridotto in
condizioni di dipendenza

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e passività - senza cambiare l'ambiente scolastico. La sua dura critica alla scuola dell'epoca la portò a
riconoscere le insufficienze del positivismo pedagogico, che si limitava a un approccio scientifico esterno,
cambiando la struttura dei banchi e introducendo lezioni "oggettive", ma senza trasformare radicalmente
l'ambiente scolastico (Pironi, 2014, p. 76). Maria Montessori espresse queste considerazioni ai suoi studenti
del corso di Antropologia pedagogica, sottolineando come nella scuola il livellamento uniforme degli alunni
fosse considerato l'unico criterio di "giustizia":

"Un'uguaglianza astratta che fa convergere tutte le individualità infantili verso un tipo che non si può
chiamare ideale, perché non rappresenta un esempio di perfezione, ma che è invece un'astrazione
filosofica inesistente: il bambino. Gli educatori sono preparati alla loro pratica con i bambini dalle
conoscenze apprese sulla base di questa personalità astratta del bambino; ed entrano nel campo
scolastico con il preconcetto di dover trovare più o meno l'incarnazione di questo tipo in tutti gli alunni, e
così per anni credono illusoriamente di aver conosciuto ed educato il bambino" (Montessori, 1910,
p.12).

Come scrisse ancora, nel suo libro del 1909:

"Non serve a nulla preparare un nuovo insegnante senza trasformare la scuola, una scuola in cui i
bambini sono soffocati nelle espressioni spontanee della loro personalità, come esseri morti; e fissati
nei loro rispettivi posti, ai loro banchi, come farfalle attaccate a uno spillo, mentre le ali del sapere
desolatamente acquisito si allargano, e quel sapere può essere simboleggiato da quelle ali, che
rappresentano l'inutilità" (Montessori, 2000a, p. 88).

Lo stereotipo del bambino instabile per natura aveva sempre giustificato un sistema educativo basato
sull'obbedienza e la sottomissione. Con l'avvento del positivismo, affermava che "l'adagio di Salomone era
stato solo mitigato", limitandosi ad alleggerire il lavoro scolastico, con l'inserimento di rimedi esterni (gioco,
ginnastica, ricreazione, ecc.), senza però intaccare lo stato di dipendenza e adattamento impersonale. Anche
l'introduzione del metodo di insegnamento herbartiano nelle scuole non aveva prodotto alcun cambiamento.
Gli insegnanti dovevano seguire una serie di regole per "rendersi artificialmente interessanti: cioè,
interessanti per coloro che non hanno alcun interesse per noi; ecco un compito difficile!" (Montessori, 2000b,
p. 41). Di conseguenza, affermava, la tanto dibattuta questione della fatica mentale dei bambini non era stata
risolta a livello pedagogico; anzi, i vari tentativi di alleviarla erano tutti falliti. Era quindi necessario, a suo
avviso, far convergere la ricerca scientifica con i mezzi didattici, non più considerati supporti al lavoro
dell'insegnante, ma far sì che l'apprendimento diventasse finalmente una conquista personale dell'alunno.
La Montessori individuò i punti critici della formazione degli insegnanti, rendendosi conto che le varie
iniziative sorte all'inizio del secolo scorso per fornire agli insegnanti una maggiore preparazione scientifica non
incidevano realmente sul loro modo di insegnare. Così, concentrò i suoi studi sulla Carta biografica, redatta
dal suo maestro Giuseppe Sergi. A differenza di pagelle e registri, che si limitano a certificare gli effetti,
essa si propone di studiare le cause dei comportamenti e delle prestazioni scolastiche. Si rivela quindi uno
strumento importante per individuare le difficoltà di apprendimento dei bambini e per intervenire in modo
adeguato: "la storia biografica fa

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uno studio specifico dell'individuo e prepara una diagnosi; fondendo in questo intento il lavoro della
scuola con quello della famiglia [...] la carta biografica sarà, per ogni individuo, un documento capace di
guidarlo nella sua continua autoeducazione" (Montessori, 1910, p. 391).
La tabella biografica fu utilizzata fino al 1907 nella prima Casa dei Bambini, poiché la "Casa" era stata concepita
come una sorta di laboratorio sperimentale, dove i bambini potevano essere osservati mentre lavoravano con
vari materiali, in un ambiente esteticamente attraente e in proporzione alle loro capacità. È interessante notare
come la Montes- sori si sia allontanata sempre di più da un approccio deterministico, poiché nel corso di
quell'esperienza ha sviluppato la ferma convinzione che la mente del bambino sia dotata di "un impulso
interno che nessuno può creare" (Mon- tessori, 2000a, p. 240), un potenziale misterioso che non possiamo
scoprire completamente, ma che deve essere fatto emergere, fornendogli il supporto di un ambiente adatto.
In Autoeducazione (1916), si spinge a criticare l'approccio della psicologia associazionista e, riferendosi a
William James, afferma che
"Le attività interne agiscono come causa; non reagiscono o esistono come effetto di fattori esterni" (Montessori,
2000b, p. 141).
Una scoperta che rappresenta il punto di partenza della "pedagogia della libertà" di Maria Montessori:

"Se si tratta di una forza spirituale che agisce nel bambino e grazie alla quale egli può aprire le
porte della sua attenzione, invece di essere un problema di arte pedagogica nella costruzione della sua
mente, ciò che emerge necessariamente è un problema di libertà. Fornire oggetti esterni come nutrimento
per i bisogni interni e imparare a rispettare la libertà di sviluppo nel modo più perfetto: queste sono le
basi che devono essere logicamente approfondite per costruire una nuova pedagogia" (Montessori,
2000b, p. 142).

I materiali scientifici strutturati sono la chiave per far sì che il processo cognitivo dell'individuo possa
rivelarsi. Per conoscere veramente un organismo vivente, scriveva la Montessori, "dobbiamo farci da parte,
cercare di dargli i suoi mezzi di vita e osservarlo" (Montessori in Scocchera, 2002, p. 225).
L'importanza attribuita all'ambiente e ai materiali non solleva, infatti, l'insegnante da importanti
responsabilità per quanto riguarda lo stile e il comportamento didattico, in quanto l'attesa piena di aspettative
e mai giudicante sembra essere una delle sue peculiarità fondamentali: "l'attesa ansiosa di chi ha preparato
un esperimento in attesa della sua scoperta" (Montessori, 2000a, p. 80). Un insegnante Montessori deve
infatti imparare a osservare:

"Osservare significa soffermarsi anche su ciò che non sembra interessante e non allontanarsi appena
si crede di essersene fatti un'idea. Questo è uno dei vecchi legami che bisogna spezzare perché
l'attitudine all'osservazione non è fatta di intelligenza, ma di umiltà, di pazienza [...];
un'osservazione prolungata che va oltre ciò che si crede di aver capito" (Montessori in Scocchera,
2002, p. 227).

Si tratta di un percorso di ricerca senza fine che produce un cambiamento interiore nell'insegnante,
nell'esercizio di un continuo controllo sulle proprie emozioni, stati d'animo e atteggiamenti. È un percorso
autoriflessivo molto intenso e difficile, tale da non potersi risolvere in una preparazione di tipo culturale
(Corda, 1996, p. 56).

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In questo senso, appare decisamente calzante il racconto di un'insegnante intervistata da Maria Grazia Corda,
che rileva analogie con il lavoro dell'etologa Diane fossey, che aveva imparato a diventare "albero, foglia, a non
esserci, ma a vedere e poi entrare poco a poco, senza essere invasiva, mai invasiva, altrimenti l'altro si
mette sulla difensiva e la situazione cambia subito" (Corda, 1996, p. 58).
Da qui il carattere - potremmo dire - "iniziatico" della formazione degli insegnanti montessoriani, che attorno
alla figura carismatica di Maria Montessori hanno progressivamente costituito un movimento fatto di
"ragnatele di relazioni", caratterizzato da una certa difficoltà a diffondersi tra gli insegnanti comuni, proprio
perché un'insegnante deve liberarsi completamente "dai legami che la tengono imprigionata e stretta in
qualcosa che è più forte di quello che pensa" (Montessori in Scocchera, 2002, p. 225).
L'aspetto formativo è certamente quello che ha pesato molto sullo scarso successo delle scuole Montessori in
Italia, in contrapposizione alla diffusa presenza delle scuole Agazzi. Oltre a essere più facilmente attuabili,
queste ultime erano considerate - prima dal ministro Luigi Credaro e poi da Giuseppe Lombardo Radice -
più in linea con la tradizione. Questa storiografia ha messo in luce il clima di generale ostilità con cui Maria
Montessori fu accolta dalla pedagogia accademica nella prima metà del 20th secolo, venendo sostanzialmente
accusata di non avere solide basi teorico-filosofiche e di ignorare i pensatori precedenti che avevano già
teorizzato una filosofia basata sulla libertà del bambino. Proprio a questo proposito, è emblematico il colloquio
che Montes- sori ebbe con il ministro Luigi Credaro:

"Un grande professore di pedagogia italiana mi aveva detto: 'Nuova libertà? Per favore, legga Comenio; ne ha
già parlato'. Io risposi: "Sì, molti ne parlano, ma questa è una forma di libertà che si realizza".
Sembrava non capire la differenza. "Non crede", dovetti aggiungere, "che ci sia una differenza tra
chi parla di milioni e chi li ha?". (Montessori, 2000b, p. 232).

Il nocciolo dell'intera questione risiedeva, infatti, nella radicalità della proposta montessoriana, basata sul
principio della libertà vissuta come pratica quotidiana. Inoltre, nel 1914 il ministro Credaro emanò le
Istruzioni volte a instaurare, negli asili esistenti, il metodo Froebel rivisitato alla luce dell'esperienza delle
sorelle Agazzi.
Il saggio presentato da Andrea Lupi tratta della ricezione della pedagogia montessoriana da parte dei neoidealisti
(Croce, Prezzolini, Gentile, Lombardo Radice), sostanzialmente uniti nel sottolineare la mancanza di una solida
struttura filosofica nella didattica montessoriana. Esistevano tuttavia alcune differenze, evidenziate da
Lupi, in particolare per quanto riguarda le posizioni di Giuseppe Lombardo Radice: dapprima d'accordo con
l'ambiente creato nelle Case dei Bambini, poi di netto rifiuto del "montessorianesimo ortodosso" e, infine, di
scelta di esperienze scolastiche serene, come quelle dell'infanzia rustica di Muzzano e Mompiano.
Si tratta ovviamente di due premesse teoriche profondamente diverse: Giuseppe Lombardo Radice si
rifaceva ad una concezione della natura del bambino che la collegava all'infanzia dell'umanità: l'idea
cioè di un bambino che, come l'uomo primitivo, non è in grado di arrivare ad una spiegazione scientifica
della realtà ed è quindi at-traversato dall'immaginario e dall'irrazionale. dal canto suo, Maria Montessori non
condivideva affatto l'idea che la mente del bambino fosse legata allo stadio primitivo dell'umanità, idea che,
mutuata da Spencer, veniva

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popolare all'interno dei circoli attivisti europei. L'autrice affermava che se "questo stato selvaggio" era vero,
"essendo transitorio e da superare, l'educazione deve aiutare il bambino a superarlo; non deve sviluppare lo
stato selvaggio o trattenere il bambino al suo interno" (Montessori, 2000b, p. 224). Condurre il bambino a
una spiegazione immaginaria degli eventi significava sostanzialmente, a suo avviso, mantenerlo in uno
stato di subalternità e impotenza; egli deve invece "superare noi stessi" e diventare così interprete della civiltà
del suo tempo. Occorre quindi offrirgli "il meglio che abbiamo [...]: le grandi opere dell'arte, le costruzioni
civilizzatrici della scienza; e questi prodotti dell'immaginazione superiore rappresentano l'ambiente in cui
l'intelligenza del nostro bambino è destinata a formarsi" (Ivi, p. 224).
Basato su una prospettiva essenzialmente culturalista, il modello didattico da lei elaborato sarebbe stato
ulteriormente confermato dalle teorie di Vygotskij e ancora dal campo delle neuroscienze. La qualità plastica e
costruttiva della mente umana rende possibile l'interiorizzazione degli "strumenti" della cultura. Di
conseguenza, i "mezzi", gli strumenti che troviamo nei materiali strutturati, rappresentano quei "passi di
sostegno" (Ivi, p. 99) su cui il bambino costruisce il suo modo di pensare.
Secondo la Montessori, la vita psichica si manifesta con un fenomeno caratteristico di attenzione di fronte a un
problema (controllo dell'errore), la cui natura non è meccanica, ma psicologica:

"Se il bambino non ha uno scopo intelligente nel suo movimento, non c'è una guida in lui, quindi il
movimento lo stanca. Molti uomini sentono il vuoto, a volte spaventoso, di doversi muovere senza uno
scopo. Una delle crudeli pene inventate per punire gli schiavi era quella di far loro scavare buche
profonde nel terreno e poi riempirle di nuovo, più e più volte, facendoli lavorare senza scopo" (Ivi, p.
132).

Tenendo conto di queste fondamentali premesse teoriche su cui si basa la prospettiva montessoriana, che
non precludono ulteriori sviluppi della ricerca pedagogica e didattica, il saggio di Stefano Scippo e fabio
Ardolino è il risultato di uno studio condotto in una scuola primaria che attua la didattica differenziata
montessoriana (IC, Grottaferrata). Nella scuola sono stati introdotti ausili tecnologici coerenti con i principi
originari alla base del materiale montessoriano: libertà di scelta, controllo dell'errore, estetica, autonomia d'uso,
interattività manuale, ripetizione delle esercitazioni, limitazione delle quantità di materiali a disposizione,
collaborazione tra gli alunni. Questo studio condotto presso la Scuola Montessori di Grottaferrata ha
dimostrato che i materiali tecnologici possono essere integrati con quelli classici per lo sviluppo, poiché è stato
dimostrato empiricamente che il loro utilizzo da parte dei bambini stimola la loro motivazione e il senso di
comunità e cooperazione.
Nelle scuole Montessori, lo spirito di cooperazione si realizza attraverso "i contatti tra i diversi gruppi di età,
le differenze di sviluppo, gli interessi e le capacità dei singoli individui" (Montessori, 2000b, p. 84). I piccoli si
interessano al lavoro dei grandi e imparano da loro, consentendo a tutti di aiutare e di essere aiutati. La
Montessori, infatti, riteneva che "i gruppi omogenei accentuano il confronto, esasperando le difficoltà di chi ha
ritmi di apprendimento più lenti" (Ibidem). È proprio su questo punto che si concentra il saggio di
Rosaria Capobianco, sulla base di uno studio da lei condotto presso le scuole miste delle comunità montane
della provincia di Caserta, dal quale è emerso che il metodo Montessori offre una valida ed efficace
ispirazione. Gli insegnanti intervistati hanno dichiarato di aver sperimentato la validità del metodo
Montessori

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nelle classi miste, nel permettere la personalizzazione dei processi di apprendimento e la collaborazione tra
gruppi di età diverse, in un clima di libertà, senza autoritarismo o coercizione.
La prospettiva montessoriana è ancora oggi un validissimo punto di riferimento per un tipo di insegnamento
non più trasmissivo, ma basato sulla costante conquista dell'autonomia dell'alunno. Come ci mostra il saggio di
Adriana Schiedi, è una delle principali fonti di ispirazione della cosiddetta "Scuola senza zaino". Questa
esperienza nasce a Lucca nel 1998, come iniziativa promossa dal direttore didattico Marco Orsi, che ne
sottolinea lo stretto legame con l'approccio scientifico montessoriano. Lo scopo del modello "senza zaino"
è, infatti, quello di dimostrare che i bambini, in spazi opportunamente strutturati e con materiali adeguati,
sono in grado di organizzarsi in modo autonomo, sulla base dell'aiuto reciproco e della costruzione condivisa
del sapere. Per Orsi lo zaino rappresenta simbolicamente la scuola come esperienza pesante, basata sul
controllo e sulla paura, a cui contribuisce anche la disposizione dell'aula tradizionale. Come non trovare nelle
parole della Montessori un forte richiamo a una scuola profondamente rinnovata, come antidoto efficace contro
una logica di competizione, abuso di potere e controllo?

"La paura di non passare impedisce [ai bambini] di fuggire e li lega a un lavoro monotono e costante
[...]. Se la società è malata e la corruzione dilaga, è per aver spento la grandezza dell'uomo nella
coscienza del lavoratore, e per aver ristretto la sua visione a quelle piccole cose vicine a lui che possono
essere considerate ricompense e punizioni" (Montessori, 2000a, p. 75).

2. La ricezione critica dell'opera di Maria Montessori e la sua eterodossia senza tempo


Quando ci si avvicina ad autori ormai considerati classici, sembra opportuno evitare la ridondanza e non usare
aggettivi come intramontabile. Parafrasando le parole di Italo Calvino, definiamo classico un autore (come
la Montessori) che non ha mai finito di dire quello che aveva da dire, nel senso che il suo pensiero continua a
provocare, a essere riletto, reinterpretato, discusso criticamente. In questo modo l'autore diventa il proprio
classico (un classico per il lettore), suscitando una risposta appassionata alle sue opere che favorisce una
migliore definizione delle proprie idee in relazione o addirittura in contrasto con quelle dell'autore. In questo
modo, l'autore è un classico, perché è coinvolto in un dialogo continuo con l'attualità (Calvino, 1981).
È quindi possibile definire la Montessori un classico, perché alcuni principi fondamentali della sua proposta
educativa rappresentano una visione dell'infanzia e dell'educazione che è senza tempo, ma che era eterodossa ai
suoi tempi, non al suo tempo. Questo assunto è espresso con un'originale interpretazione pedagogica del
termine italiano "inattuale" (Bertin, 1977), letteralmente "non attuale", in riferimento all'opera di Friedrich
Nietzsche Unzeitgemässe Betrachtungen (1873-1876). È interessante notare che questo titolo è stato
comunemente tradotto in inglese solo con aggettivi e connotazioni alquanto negative, come ad esempio.
Untimely Meditations, Thoughts Out of Season, Untimely Reflections, or Unmodern Observations (nella
traduzione di William Arrowsmith, 2011), mentre dall'italiano (l'aggettivo inattuale) è stato talvolta
tradotto in inglese come untimely nella traduzione e interpretazione di Giorgio Agamben (Agamben,
2008: saggio intitolato What Is the Contemporary? in cui afferma che la contemporaneità è l'inattuale). In
questa prospettiva la Montessori può essere considerata un classico (pioniera e "inattuale"), perché la sua

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Scienze umane e scienze naturali nel pensiero e nell'opera di Maria Montessori. A cura di Manuela Gallerani e Tiziana Pironi.
ISSN 1970-2221.

Le sue proposte educative sono ancora oggi utilizzate, adottate e aggiornate nelle scuole montessoriane (e in
altre istituzioni) di molti Paesi del mondo, così come le sue idee sono ancora una fonte inesauribile di
ispirazione per ricercatori, pedagogisti, educatori e altri professionisti della cura.
Giovanni Maria Bertin (1912-2002), illustre filosofo dell'educazione italiano della fine del XXth secolo che ha
dato vita alla corrente del "problematicismo pedagogico" in Italia, è tornato più volte nei suoi scritti sul tema
dei classici - che continuano a provocare, essendo riletti - e sull'importanza del ruolo svolto dal tempo
assegnato al pensiero (Bertin, 1987). Tra questi, in particolare, l'opera successiva intitolata Nietzsche.
L'inattuale, idea pedagogica (Nietzsche: The Unmodern, a Pedagogical Idea, pubblicato nel 1977), dove rileva il
rifiuto da parte di Nietzsche di ogni forma di inautenticità che pervade la società e la cultura (nelle varie
epoche storiche), e indica la prospettiva eterodossa - sul significato di cosa significhi essere contemporaneo,
eterodosso o inattuale, si veda una raffinata analisi di Agamben (Agamben, 2008) - di un'umanità rinnovata.
Un'umanità in cui le istanze di una ragione creativa e proteiforme - per dirla con Bertin - sono le tre virtù
nietzschiane: la libertà di creare nell'orizzonte del possibile; la nobiltà d'animo che rifiuta tutto ciò che
svilisce e degrada l'essere umano; la leggerezza, sperimentata e vissuta nella dimensione estetica, cioè nei
momenti ludici e poetici. Nell'interpretazione di Bertin, la validità di una proposta pedagogica basata sul
ragionamento concettuale si sposa con l'aspirazione a superare le crisi socioculturali e ideali (valoriali,
ecologiche, ambientali e climatiche) di ogni epoca, ipotizzandone la trasformazione e prefigurando il
cambiamento possibile nel futuro. Così, nelle pagine di questo saggio, la parola italiana "inattuale" assume
un'accezione ampiamente positiva, descrivendo qualcuno o qualcosa che non aderisce o si identifica con
le tendenze prevalenti del proprio tempo, e che quindi è anticonformista ed eterodosso. Se da un lato
rivelano e denunciano le contraddizioni, le incoerenze e/o la retorica del loro tempo, dall'altro propongono
idee innovative alter- native a quelle insoddisfacenti o ingannevolmente travisate di oggi. In questo
senso, le tre istanze nie- tzscheane di libertà, nobiltà e leggerezza erano concetti di un'eterodossia pionieristica
ai loro tempi, ma oggi possono essere considerate senza tempo.
Pertanto, nel reinterpretare i principi e i temi alla base del pensiero montessoriano alla luce del
problematicismo pedagogico, non possiamo fare a meno di riconoscere la sua attualità. E questo
nonostante Bertin abbia espresso diverse riserve sulla pedagogia montessoriana, come verrà affrontato nelle
pagine seguenti.
Maria Montessori è oggi considerata in ambito accademico (e non solo) un'autorevole pedagogista di
levatura internazionale, per aver concepito un approccio originale e innovativo sia dal punto di vista
pedagogico che didattico. Diffuso in tutto il mondo, ha ispirato scuole di ogni ordine e grado a partire dalla
prima infanzia (come testimoniano le esperienze italiane descritte nei saggi di Nicoletta Rosati e Andrea
Ceciliani e il caso studio di Valeria Rossini).
La Montessori ha l'innegabile merito di aver portato al centro dei processi di insegnamento-apprendimento
la centralità dell'infanzia (con le sue esigenze, i suoi tempi, i suoi ritmi, i suoi stili interpretativi),
sottolineando al contempo il ruolo cruciale di un'educazione emancipatrice, "pro-vita", di tipo pacifista,
incentrata sui valori umani universali e sui temi ecologico-ambientali, nel profondo rispetto della natura e
di tutto ciò che la circonda.

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che ci circonda (tema affrontato nel saggio di Fabrizio Bertolino e Manuela Filippa). Riguardo a quest'ultimo
aspetto, la Montessori afferma che:

"Mentre la salvezza di una vita individuale può essere acquistata al prezzo di provvedere alla vita
igienica di tutta l'umanità, quella della specie si ottiene seguendo rigorosamente le 'leggi della salute', le
'leggi della vita'. [...] il vizio e la pigrizia sono tutte cause di degenerazione" (Montessori, 1916, p. 208).

Tuttavia, facendo un passo indietro e superando il velo imposto da un'interpretazione convenzionale, è


possibile mettere a fuoco il percorso estremamente tortuoso della ricezione dell'opera montessoriana in Italia.
Dire che la sua proposta di una "pedagogia scientifica" e la creazione di un patrimonio specifico di materiali
didattici hanno incontrato non poche critiche - soprattutto da parte di accademici italiani che tendevano a
ridurre semplicisticamente la sua proposta educativa a un mero, seppur efficace, sistema di insegnamento - è
quantomeno eufemistico.
La Montessori, anticonformista, femminista (Babini & Lama, 2000; Catarsi, 1995), "pedagogista
complessa", fu a lungo considerata dall'establishment accademico e politico italiano una figura "scomoda"
(Cives, 1994). La sua forte personalità la portò a scontrarsi con gli ambienti accademici italiani ancora
fortemente tradizionalisti, idealisti e sessisti (Buttafuoco, 1988; foschi, 2008) che, da un lato, vedevano con
sospetto le relazioni portate avanti dalla Montessori con gli ambienti massonici e teosofici (De Giorgi, 2012;
Trabalzini, Moretti & foschi, 2019), nonostante la sua fosse più che altro un'inclinazione politica laico-liberale,
seppur tinta di una religiosità non confessionale e pacifista ispirata a ideali universali (Cives, 2008; frierson,
2014; Cives & Trabalzini, 2017). D'altra parte, le sue idee rivoluzionarie sull'infanzia (Metelli Di Lallo, 1966;
Gallerani, 2010b) e su come educare alla vita (Montessori, 1916) piuttosto che all'obbedienza e all'immobilità -
idee sviluppate a partire dai suoi studi di medicina e corroborate dalle intuizioni derivanti dalle nuove scienze
come la psicologia e la psicoanalisi - incontrarono una buona dose di resistenza, e persino una malcelata ostilità,
da parte dei pedagogisti accademici laici italiani e dei filosofi dell'educazione. Ciò ha influito notevolmente nel
determinare la tiepida accoglienza e la conseguente diffusione della pedagogia montessoriana nelle scuole del
nostro Paese negli anni del secondo dopoguerra. Per descrivere i bambini obbedienti e immobili seduti sui
pesanti banchi delle opprimenti scuole tradizionali, la Montessori utilizzò un'efficace metafora, affermando
che assomigliavano a "[...] farfalle attaccate a uno spillo" (Montessori, 2000a, p. 108). inoltre, per porre
rimedio a questa situazione opprimente, suggerì che:

"[...] la scuola e gli insegnanti devono tutti intraprendere la strada delle scienze sperimentali. La salvezza
mentale dei bambini si basa sui mezzi e sulla libertà di vivere; e questo deve diventare un altro dei 'diritti
alla vita' riconosciuti alle nuove generazioni e deve sostituire l'odierno sistema educativo e la sua
obbligatorietà come 'concetto filosofico e sociale'" (Montessori, 1916, p. 94).

Alla base di questa resistenza all'approccio montessoriano deve esserci stato il giudizio espresso da eminenti
studiosi. Oltre ai nomi citati nelle pagine precedenti (sulla ricezione della pedagogia montessoriana da
parte dei neoidealisti Benedetto Croce, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Gentile, Giuseppe Lombardo
Radice), basti ricordare solo alcune tra le più significative interpretazioni di

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Il pensiero e l'opera montessoriana sono stati trattati da studiosi di alto livello accademico e di grande
intelligenza come Lamberto Borghi, Luigi Volpicelli, Mauro Laeng, Remo Fornaca, Roberto Mazzetti,
Salvatore Valitutti, Carmela Metelli Di Lallo e Giacomo Cives, solo per citarne alcuni a titolo di esempio.
Sarebbe impossibile dare un resoconto esaustivo delle numerose prese di posizione critiche nei confronti della
pedagogia montessoriana, che comunque esula dagli scopi di questa analisi e di questo saggio. Per di più, il
loro pensiero e i loro scritti sono stati studiati a lungo ed esiste già una bibliografia critica, sincronica e
diacronica completa su di loro. Tra questi spicca Francesco De Bartolomeis (professore emerito di
Pedagogia all'Università di Torino ed eminente studioso), per la sua critica sintetica espressa nel libro Maria
Montessori e la pedagogia Scientifica, pubblicato nel 1953 e seguito da un'edizione riveduta e ampliata nel
1961. Egli scrive:

"È vero che nei suoi ultimi scritti mostra segni di liberazione dal suo fanatismo metodologico, ma il
problema non era tanto quello di scuotere una fede dogmatica nel metodo, quanto quello di delineare un
nuovo metodo adeguato alle nuove visioni psicologiche che stava sviluppando [...]" (De Bartolomeis,
1961, p. 96).

Più avanti, afferma:

"non abbiamo difficoltà a riconoscere che, con tutti i suoi limiti, l'opera montessoriana è l'unica per cui
esista una pedagogia italiana nel mondo [...] ma la portata non deve essere esagerata e, soprattutto, è
necessario convincersi della scarsa modernità delle tecniche montessoriane" (Ivi, p. 154).

In un'altra battuta, scrive:

"[...] ma proprio la sua natura di nobile propaganda, di appassionata apologia - l'opera della Montessori, pur
sembrando ispirata a un criterio scientifico sperimentale, precludeva la possibilità di subordinare il metodo
alla ricerca educativa. Non è azzardato dire che è in virtù del suo lato mistico e non, come si potrebbe credere,
della sua formazione scientifica, che la Montessori si affida così candidamente al 'metodo'" (Ivi, p. 155).

E ancora più avanti aggiunge:

"Oggi una scuola materna Montessori non è più, come quarant'anni fa, una posizione avanzata di
educazione infantile" (Ibidem).

Il giudizio di De Bartolomeis appare severo ed espressioni come "la sua natura di nobile propaganda" danno
un'impressione piuttosto ingenerosa del pensiero e dell'opera della Montessori. In altre parole, egli
conclude che l'opera della Montessori appare "superata" e "obsoleta", se pretende di essere da sola
l'educazione infantile o il metodo del futuro. In effetti:

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"Ciò che colpisce maggiormente nell'opera montessoriana è il suo scarso dinamismo, la sua incapacità di
riesaminarsi [...] e quindi una generale mancanza di apertura mentale che le impedisce di stare al passo con
il progresso pedagogico degli ultimi quarant'anni" (Ibidem).

Tuttavia, la stessa Montessori scrive ne Il segreto dell'infanzia (1936):

"Non vedete il metodo; vedete il bambino. Si vede lo spirito del bambino che, libero da ostacoli, agisce
secondo la propria natura. Le qualità dell'infanzia che si intravedono appartengono semplicemente alla vita
come i colori degli uccelli e i profumi dei fiori; non sono affatto il risultato di un 'metodo educativo'" (Montes-
sori, 1999, p. 187).

Secondo Giacomo Cives Il Metodo della Pedagogia Scientifica Applicata all'Educazione del Bambino
nelle Case dei Bambini è un'opera costantemente in divenire: rivista e integrata nelle sue varie edizioni,
presenta una continuità in progress che attesta l'evoluzione della proposta metodologica e concettuale
sviluppata dalla Montessori:
"nel corso di una sequenza continua di duro lavoro impegnato, ma pieno di arricchimenti e di nuovi
approcci coraggiosi" (Cives, 2001, p. 13).
In un interessante scambio epistolare tra me e Francesco De Bartolomeis (nell'ottobre 2019), in cui si
discuteva del suo severo giudizio sulla Montessori (e sulla sua opera), egli ribadiva pacatamente di non
essere stato né influenzato né attratto da lei. Apprezzava invece la pedagogia progressista dell'im- mediato
secondo dopoguerra e, in particolare, l'attività del Centro Educativo Italo Svizzero (CEIS, di Rimini) con cui
aveva collaborato pubblicando nel 1968 il saggio Il bambino dai 3 ai 6 anni e la nuova scuola infantile. Nel
tempo si è interessato alla psicologia clinica e si è dedicato alla ricerca sul campo e alla collaborazione con
architetti e designer, formando un punto di vista personale che non si è mai legato totalmente a un particolare
Autore. Come si evince dalle sue parole, la critica di De Bartolomeis si concentra principalmente sul metodo e
sulla "rigidità metodologica" delle scuole montessoriane. È una critica alla Montessori che viene anche dal
filosofo dell'educazione Giovanni Maria Bertin (uno degli allievi della "Scuola di Milano" di Antonio
Banfi), dove ammette che alla Montessori va riconosciuto il merito di:

"[...] come è noto, la più importante e riuscita realizzazione contemporanea, sperimentata in tutto il mondo, sul
tema della scuola materna. A lei va anche attribuita la rappresentazione del bambino laborioso,
impegnato, [...] 'serio' [...] nel cui modello la società del nostro tempo si riconosce [...] e il profondo bisogno di
una rinnovata e virile coscienza etico-civile" (Bertin, 1963, p. 11).

In altre parole, egli tende a riconoscere più l'efficacia "pratica" del metodo Montessori, piuttosto che il suo
più alto valore scientifico e pedagogico. Come, del resto, afferma in seguito:

"Il riferimento a Maria Montessori sarebbe però pericoloso se non fosse accompagnato dalla consapevolezza
dei limiti dottrinari del pensiero montessoriano, poiché solo tale consapevolezza può impedire all'educatore di
ipotizzare intuizioni e idee, valide all'interno della cornice pragmatica dell'esperienza montessoriana, in

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principi dogmatici che finirebbero inevitabilmente per deformare e arrestare il processo stesso del pensiero
pedagogico" (Ibidem).

invece, ha un'intrinseca funzione logico-critica: cioè il compito di esaminare, riflettere su se stesso e


rinnovarsi continuamente.
Il giudizio di Bertin appare evidente già nella scelta delle parole e dei verbi che utilizza (considerando la
precisione nell'uso delle parole, mai disgiunta dall'intenzionalità), partendo dal presupposto che deformare
e arrestare appaiono piuttosto in- flessibili e netti rispetto al pensiero montessoriano. Sebbene Bertin si
opponga principalmente alla "rigidità" degli educatori montessoriani sia nell'uso dei materiali
montessoriani sia nella gestione della Casa dei Bambini (ovvero "montessoriano ortodosso"), rilevando
comunque un certo elitarismo esplicito nelle scuole montessoriane, non trascura di criticare il lavoro
indipendente, individuale e solitario del bambino (Bertin, 1963, pp. 69-89) a scapito di una più ampia
educazione alle relazioni sociali, tanto cara a Bertin (Bertin, 1962; Bertin, 1963, pp. 29-46, 58-68). Egli
rileva, innanzitutto, un deficit epistemologico e strutturale complessivo della teoria montessoriana (Bertin, 1963,
pp. 47-58, 98-109), sottolineando la mancanza di adesione a una filosofia dell'educazione più autentica e
convincente come supporto teorico alle sue pratiche.
Di diverso avviso è Giacomo Cives (professore emerito di Storia dell'educazione all'Università di Roma) che si
distingue per aver scritto - tra i numerosi e raffinati saggi composti in tanti anni di studio e ricerca - due opere
originali intitolate La pedagogia scomoda. Da Pasquale Villari a Maria Montessori (Pedagogia scomoda: da
Pasquale Villari a Maria Montessori, pubblicato nel 1994) e Maria Montessori pe- dagogista complessa
(Maria Montessori, Pedagogista complessa, pubblicato nel 2001). Questi studi fanno emergere la figura di una
Montessori un po' "inedita", vista come una studiosa complessa e problematica, perché difficilmente
inquadrabile a livello scientifico e politico e per quanto riguarda le sue scelte di vita (per la biografia della
Montessori, si veda, ad esempio, Kramer, 1988; Schwegman, 1999; Scocchera, 2002 e 2005; Lillard, 2008; Gutek
& Gutek, 2016). Proprio per cercare di comprendere al meglio come e in che termini la Montessori appaia
complessa e problematica - richiamando l'azzeccata intuizione di Cives - si è deciso di utilizzare come lente di
indagine le voci (interpretazioni) "non conformiste" di De Bartolomeis e Bertin. Due esponenti "laici" che hanno
saputo esprimere un giudizio tra episteme e politeia, dove l'aspetto politico è inteso nel senso più alto del
termine: relativo a politiche culturali, educative e formative concepite sia come incentivo alla promozione
culturale e civile dei singoli, sia come strumento di emancipazione di una comunità più ampia e, in senso
lato, dell'umanità intera. In altre parole, utilizzando un linguaggio più moderno, si tratta di una prospettiva
incentrata sullo sviluppo di una "cultura dell'educazione" (Bruner, 1996), nonché di un'emancipazione sia
individuale che sociale.
Critiche simili al metodo montessoriano sono state mosse a livello internazionale sia dal filosofo inglese Rob-
ert R. Rusk in The Doctrines of the Great Educators (la prima edizione è del 1918) sia dall'eminente
filosofo americano John Dewey. Dewey fa osservazioni (o accenni) significativi sul metodo in Democracy
and Edu- cation (capitolo XII: Thinking in Education) pubblicato nel 1916 e in altri due saggi: Interest
and Effort in Education, scritto nel 1913, e The Schools of Tomorrow, scritto in collaborazione con la
figlia.

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Evelyn nel 1915. Quest'ultimo si occupa delle esperienze educative più innovative che si stavano allora
diffondendo negli Stati Uniti, tra cui le scuole Montessori (Bellatalla, 2020). Nella sua analisi Dewey apprezza
l'idea di libertà proposta dalla Montessori (ma non l'apprendimento basato sulla ripetizione di esercizi) e,
inoltre, considera i suoi assunti psicologici e teorici piuttosto obsoleti e non trasponibili ad altri contesti non
italiani. John Dewey, infatti, propone una scuola-laboratorio incentrata sullo sviluppo sia dell'intelligenza che
delle capacità di socializzazione degli alunni, facendo loro risolvere compiti e problemi della vita reale
(cioè imparare facendo), con l'obiettivo di guidarli verso un "apprendimento per scoperta" per stimolare
l'intera mente, dalle emozioni al pensiero riflessivo, dalla logica alla creatività, dall'immaginazione alla
memoria.
Pertanto, questa scelta (di analizzare le voci "non conformiste") è stata fatta non solo per recuperare pensieri
au- torizzati e originali, ma anche per poter riflettere su queste posizioni critiche e verificare se le loro
obiezioni sono state accolte in tutto o in parte, oppure rese obsolete dagli sviluppi introdotti dalla pedagogia
montessoriana nella scuola contemporanea (Polk Lillard, 1972; Tornar, 2007; Gallerani, 2010a; Lillard &
Else, 2006; Lillard, Heise, et. al. 2017). Di questi si vedranno diverse espressioni nei saggi che seguiranno, tra cui
quello di Nicoletta Rosati con un rapido riepilogo del metodo Montessori, soffermandosi su alcuni principi ed
esercitazioni che - in un ambiente educativo strutturato con materiali didattici adeguati - facilitano lo
sviluppo sensoriale e motorio, le abilità di vita pratica e lo sviluppo del linguaggio nella prima infanzia o,
meglio, di una più ampia competenza comunicativa che coincide oggi con l'alfabetizzazione e la capacità di
calcolo. La proposta avanzata consiste nel mettere a confronto il metodo Montessori e il metodo Universal
Design for Learning, al fine di trovare un modo per tracciare le loro possibili continuità e discontinuità (tra
passato, presente e futuro), con l'obiettivo di creare un curriculum efficace e inclusivo attento
all'individualizzazione dell'apprendimento.
Tuttavia, ciò non può prescindere dall'atteggiamento di un educatore attento alla modulazione delle parole (e
della voce) dette non per premiare o punire, ma piuttosto per offrire ai bambini il controllo sicuro e il
sostegno di un adulto significativo e non invadente a cui rivolgersi per chiedere aiuto e supporto. Questo
adulto deve incoraggiare l'autonomia, la fiducia e la resilienza, preparando un ambiente educativo
organizzato per lo sviluppo di competenze specifiche. inoltre, un lavoro serio e coinvolto richiede, da un lato,
il mantenimento del silenzio e, dall'altro, l'attenzione all'ordine (Gallerani, 2015). Queste sono le condizioni
primarie (silenzio e ordine) per lo sviluppo dell'attenzione e della concentrazione, intese nella loro duplice
valenza formativa come silenzio e ordine esterni e interni (intimo) (Gallerani, 2007b), poiché riguardano sia
la capacità di pensare (e sentire) e fare (agire) in autonomia, con competenza e autodisciplina - ad esempio,
parlando a turno - sia la capacità di autocontrollo e autovalutazione (Gallerani, 2012). A questo proposito,
e sul significato dell'educazione, la Montessori scrive:

"Una vera educazione [...] è necessaria per [...] dominare e superare se stessi, per creare un rapporto con il
mondo esterno e apprezzarne i valori. [...] Saper stare con tutta la precisione intorno a un progetto che ha
uno scopo apparentemente minimo, è veramente una pietra miliare per chi vuole andare avanti nella scienza"
(Montessori, 1916, p. 98).

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Per quanto riguarda il ruolo dell'educatore e dell'ambiente nelle scuole per la prima infanzia, Valeria Rossini
propone un caso di studio in una Casa dei Bambini pugliese che evidenzia come il metodo Montessori
introduca un modo di essere e di stare con gli altri basato sull'autodisciplina e sull'autoapprendimento.
L'attenzione si concentra sull'atteggiamento dell'insegnante (a partire dalle sue opinioni) che funge da
scaffolding - cioè da aiuto senza essere invadente - e da tutore affinché l'ambiente sia il più inclusivo
possibile per tutti i bambini.
Va ricordato che nella prospettiva educativa montessoriana l'osservazione e la comunicazione hanno un
ruolo centrale. L'educatore che osserva i bambini durante le loro attività libere interviene con parole e gesti
silenziosi solo quando gli viene richiesto (o quando è necessario), in modo non invasivo e nel pieno rispetto
dei principi di autoeducazione, educazione indiretta e autocorrezione. Saper osservare e comunicare
efficacemente sono competenze essenziali per ogni educatore che non solo agisce come esempio, ma promuove
anche uno stile relazionale democratico, prosociale e collaborativo tra i bambini (Gallerani, 2007a). Queste
sono anche due competenze che permettono, fin dalla prima infanzia, di imparare a scoprire e co-costruire
autonomamente narrazioni e significati condivisi (Bruner, 2002), necessari per lo sviluppo delle più
complesse competenze comunicativo-relazionali relative sia al mondo interiore del bambino sia al mondo
sociologico esterno. Del resto, la caratteristica fondamentale di una comunicazione efficace e discreta
(Gallerani, 2015) consiste nel non essere giudicante, nel favorire l'ascolto attivo e la scoperta autonoma,
all'interno di un ambiente che rispetta i bisogni, i ritmi e i tempi di apprendimento di ogni bambino e che
è quindi un vero e proprio "ambiente di apprendimento" (Wenger, 1999). Si capisce quindi perché la
Montessori abbia pensato a una Casa dei bambini invece che a una scuola, un luogo educativo rivoluzionario
e un ambiente accurato che mira a favorire una metamorfosi nella vita dei bambini (e dei loro genitori): la vita
degli adulti di domani. Una Casa che educa alla vita e al vivere, con l'obiettivo di educare alla pace e alla
libertà attraverso lo sviluppo di una disciplina interiore, dell'autocontrollo e della formazione del carattere
(Montessori, 1916). Un ambiente formativo dove è possibile coltivare un pensiero critico, riflessivo e plurale:
una scuola di "vita sociale sperimentale" (Montessori, 1948). A ben vedere, è possibile trovare una sorta di
continuità ideale tra il pensiero montessoriano e quello di Edgar Morin, che parla di conoscenza della
conoscenza, di etica della comprensione, propone una riforma dell'educazione per una civiltà planetaria, non
disgiunta da una riforma della conoscenza e del pensiero necessaria per insegnare a "conoscere-vivere-pensare-
agire", e usa, come la Montessori, il termine "metamorfosi" (Morin, 2015, p. 107).
Un pensiero profondo e intimo della Montessori sul suo sentire, percepire e interpretare la complessità della
natura (e del mondo che ci circonda) è racchiuso in poche, essenziali parole: "tutto è strettamente connesso su
questo pianeta e ogni dettaglio è interessante perché è connesso con gli altri" (Montessori, 1949, p. 60). E
il saggio preparato da Fabrizio Bertolino e Manuela Filippa tratta proprio del significato che la natura
assume nell'approccio montessoriano, fino a tradursi in Educazione cosmica: ovvero la prospettiva
sistemica che ha la sua formulazione più completa in Come educare il potenziale umano (1948). L'articolo
riferisce di uno studio tuttora in corso e preannuncia che uno degli obiettivi è proprio quello di verificare come il
contatto con la natura e la sostenibilità siano adottati, interpretati e discussi - anche alla luce di

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ISSN 1970-2221.

Le intuizioni montessoriane - in diversi contesti educativi come le scuole all'aperto, gli asili nido, le scuole
dell'infanzia e le scuole del bosco.
L'ipotesi che l'ambiente giochi un ruolo fondamentale nell'educazione è spiegata dalla Montessori, nelle
pagine de L'autoeducazione (1916):

"Nessun ornamento sarebbe in grado di 'distrarre' un bambino che si concentra su un progetto; al


contrario, la bellezza sia ispira la riflessione, sia permette allo spirito stanco di riposare. [...] Il linguaggio
sembrerà certamente strano, ma se vogliamo riferirci ai principi della scienza, si potrebbe dire che il
luogo adatto alla vita dell'uomo è un luogo artistico: e, quindi, se la scuola vuole diventare un 'laboratorio
di osservazione della vita umana', deve raccogliere al suo interno la bellezza [...]" (Montessori, 1916, p.
108).

e allo stesso modo di qualsiasi altro elemento essenziale per un laboratorio di ricerca. E ancora di più. Il
contatto con la bellezza della natura (dell'arte, degli oggetti e, in generale, con tutto ciò che genera
bellezza) educa i bambini al bene e al benessere, in quanto favorisce uno stato d'animo sereno, incentrato sulla
ricerca dell'armonia, ed è addirittura in grado di alleggerire la tensione (surménage, fatica scolastica) percepita
come una delle potenziali minacce per l'apprendimento stesso.
A conclusione di questo numero speciale, le riflessioni di Andrea Ceciliani sull'Embodied Education
permettono di affermare con certezza che i principi dell'approccio montessoriano sono adottati ed espressi in
modo valido, anche all'interno delle teorie più attuali. Attraverso una revisione della recente letteratura che
studia il rapporto tra corpo, movimento e apprendimento in età prescolare (0-6 anni), si conferma che le
dinamiche cognitive, emotive e fisiche sono strettamente interconnesse, per cui è dalle loro interazioni che
dipendono le condizioni di benessere (o meno) a scuola e con gli altri. Perciò, avendo cura di rafforzare
queste interazioni, si può favorire un benessere che è essenziale per la vita e che dovrebbe essere alimentato
già durante gli anni della scuola dell'infanzia, attraverso pratiche efficaci come la mindfulness. Si tratta di
consapevolezza di sé, di attenzione al mondo reale, nel tempo presente e con un atteggiamento il più possibile
obiettivo, distaccato e non giudicante. Si tratta di argomenti e questioni che, a ben vedere, sono già presenti
in nuce, in sintesi, negli scritti della Montessori:

"la via scelta dai nostri bambini per seguire il loro sviluppo naturale è la "meditazione", perché è questo il loro
soffermarsi a lungo su ogni singola cosa, ottenendo una graduale maturazione interiore. [...] È
l'atteggiamento per cui organizzano e arricchiscono la loro intelligenza a poco a poco. Meditando, iniziano
quel cammino di progresso che continuerà senza fine" (Montessori, 1916, p. 161).

e in qualche modo anticipando con queste parole anche la competenza trasversale dell'imparare a imparare
(Bruner, 1996). Dato che:

"[...] il bambino che sceglie gli oggetti e si sofferma su di essi con tutta l'intensità della sua attenzione, come si
vede dalle contrazioni muscolari che creano le sue espressioni facciali, prova evidentemente piacere, e il piacere
è segno di un funzionamento sano; esso accompagna sempre l'esercizio utile ai meccanismi del corpo"
(Montessori, 1916, p. 116).

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Altrettanto essenziale è la riflessione sul silenzio (Gallerani, 2009) interpretato sia come atteggiamento al
servizio della concentrazione del bambino nelle sue attività, sia come dimensione o momento di riflessione
e di cura per stare bene insieme agli altri, in una comunità educante e democratica (Gallerani, 2015) come le
scuole montessoriane.

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Tiziana Pironi è professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze dell'Educazione "G.M. Bertin".
È autrice e curatrice di numerose pubblicazioni tra cui: Percorsi di Pedagogia al femminile. Dall'Unità
d'Italia al secondo dopo guerra (Carocci editore, Roma 2014); Femminismo ed educazione in età
giolittiana. Conflitti e sfide della mo- dernità (Edizioni ETS, Pisa 2010); Cambiare gli occhi al mondo intero
(Unicopli, Milano 2006) con A. Cagno- lati; Rodolfo Mondolfo. Educazione e socialismo (Lacaita, Manduria
2005); Roberto Ardigò, il positivismo e l'iden- tità pedagogica del nuovo unitario (Clueb, Bologna 2000).
Contatto: tiziana.pironi@unibo.it

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Manuela Gallerani è dottore di ricerca, docente di Filosofia dell'Educazione presso l'Alma Mater Studiorum -
Università di Bologna e coordinatore scientifico del Centro Studi e Ricerche in Educazione e Apprendimento
Permanente (Cestriell - Università di Bologna). È autrice di numerose pubblicazioni tra cui: Mediazione
narrativa e storie di malattia: Prendersi cura dei malati richiede un ascolto attivo, in Laura Formenti & Linden
West (Eds.), Storie che fanno la differenza. Esplorare il potenziale collettivo, sociale e politico delle narrazioni
nella ricerca sull'educazione degli adulti (Pensa MultiMedia, Lecce 2016, pp. 341-347). Monografie selezionate:
L'abitare etico. Per un'etica problematicista dell'abitare (Loffredo, Napoli 2011); L'impegno lieve. Il
razionalismo critico e l'ideale estetico (Loffredo, Napoli 2012); Prossimità inattuale. Un contributo alla
filosofia dell'educazione problematicista (franco Angeli, Milano 2015); L'abitare come progetto, cura e
responsabilità. Aspetti epistemologici e progettuali (Zeroseiup, Bergamo 2019) con C. Birbes (a cura di).
Contatto: manuela.gallerani@unibo.it

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