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Almeno in area mediterranea ed europea, ma non solo, il primo luogo sacro fu il bosco, in latino lucus,

plurale luci. Il bosco è misterioso, pieno di vita, ma anche di pericoli, lì la natura, che un tempo riempiva
quasi tutta l'area di boschi, si esprimeva col suo lato accogliente per le bacche, le erbe e la legna per il fuoco
e le capanne, ma anche col suo lato oscuro per le belve, il perdere la strada, i temporali e quella penombra
dove il sole penetra con difficoltà.

Il lucus era come gli Dei della natura, benevolo ma a volte ostile o indifferente, dunque si doveva rendergli
omaggio per ingraziarseli. Così gli si offrivano cibo, erbe odorose, preghiere, canti e danze. Le sacerdotesse
furono le prime a contattare il mondo magico del bosco, e la loro religione fu un misto di scienza e magia,
perchè dal bosco trassero le erbe da mangiare ma anche quelle medicamentose, nonchè i segni per i
vaticini.

Successivamente il sacerdozio divenne preponderantemente maschile, e la popolazione aumentò si che una


vasta area del bosco divenne profana, atta cacciare animali, raccogliere legna ed abbattere alberi per
coltivare. Il bosco sacro era detto anche Nemus, e si pensa che l'antico tempio di Diana a Nemi avesse il suo
bosco sacro che ha dato il nome al paese, mentre col nome lucus si intese un bosco che aveva una parte
sacra, in genere recintata, detta Incus.

Quella separazione segnò la separazione di un'idea. Mentre nei primordi la natura era tutta sacra, poi
divenne in parte sacra e in parte profana. Col cristianesimo perse ogni sacralità essendo ritenuta una
materia senza vita da utilizzare a piacimento. Un tempo i romani chiedevano al Genius loci, o al Nume del
bosco il permesso di cacciare o tagliare legna, col cristianesimo tutto era stato fatto da dio per l'uomo, che
poteva distruggere la natura come poteva, perchè era solo profana. Un tempo i boschi erano abitati da
Numi, genii, Ninfe a Satiri, ora la natura è vuota e disanimata. Il Lucus Angitiae, conosciuto anche più
semplicemente come Angizia, dal nome della Dea sorella della maga Circe, è un sito archeologico, all'epoca
Bosco Sacro e Santuario, riconosciuto oggi come monumento nazionale, posto nei pressi della sponda
meridionale della Conca del Fucino, vicino alla contemporanea cittadina di Luco dei Marsi in provincia
dell'Aquila.

Sembra che gli abitanti (o almeno le sacerdotesse) sapessero preparare antidoti contro i veleni di serpenti.
In realtà si trattava di un'antica Dea dei serpenti, pertanto Grande Madre e Trina. Il suo nome peligno era
Anaceta. La forma Lucu si ricava dall’etnico Lucenses (abitanti di Luco) usato da Plinio. Nell'Età del ferro
esisteva già un'area fortificata sviluppata su oltre 14 ettari recintati con opere poligonali che presentavano
due porte d'accesso all'area. Secondo la leggenda gli abitanti erano abili preparatori di antidoti contro i
veleni di serpenti e conoscitori delle erbe dei monti circostanti, a cominciare da Umbrone, che fu ucciso da
Enea nella guerra fra italici e troiani, come è narrato nell'Eneide.

In età preromana il sito era occupato, come l'intero Fucino, dal popolo italico dei Marsi, per i quali
costituiva un bosco sacro dedicato alla Dea. Secondo alcuni autori vi si praticava la ierodulia, cioè la
prostituzione sacra nel santuario.
Certe usanze che oggi potrebbero far inorridire erano invece di grande rispetto per la donna, primo perchè
per il sacro lavoro compiuto da sacerdotesse le donne, finito il tempo della ierodulia, tornavano alle loro
case rispettate e onorate, si che spesso facevano matrimoni superiori al loro rango. Secondo e non meno
importante non avevano l'obbligo della verginità che assillò le donne in generale fino alla metà del '900,
cioè per circa 2400 anni.

Sulle rive del lago del Fucino sorgeva un'antica città chiamata Angizia (Anxa), era situata dove ore sorge il
cimitero e le sue rovine sono visibili in tanti posti. La citta, preromanica, era abitata dai marsi, e i suoi abitati
si opposero con forza alla dominazione e conquista dei romani.

Però, dopo l'accordo con Roma gli abitanti di Angizia divennero fieri alleati dell'impero romano e si
distinsero sia in battaglia ( La citta' Angizia è citata anche nell'Eneide) che in pace, essi infatti erano ottimi
curatori, e pare che fossero specializzati nel curare i morsi dei serpenti. L'area ha svolto le funzioni di
municipio fino all'alto medioevo. Il nome "Angizia" del lucus deriva dalla Dea che gli abitanti adoravano, alla
quale era stato edificato un tempio del quale si conosce con esattezza l'ubicazione. L'area sacra, risalente al
III secolo a.c., è nota anche come Anxa, nome romano derivato dal toponimo in lingua marsa Actia (ovvero
Angizia). La città santuario è sovrastata dall'acropoli di monte Penna, dove il centro fortificato venne
inglobato dalla sottostante città durante il periodo delle Guerre sannitiche attraverso opere murarie che
coprirono un'area di circa 30 ettari e che furono dotate di cinque porte.

Il sito è caratterizzato dalla presenza di un tempio di epoca italica situato in località Il Tesoro e di un tempio
di epoca augustea. Sono visibili il muro di terrazzamento dell'area sacra di Angizia e le tracce dell'ampia
recinzione muraria dell'età del ferro, i ruderi delle tre porte di accesso ai templi, le tracce del foro e del
quartiere artigiano.

Molti reperti venuti alla luce casualmente o durante lavori pubblici e privati testimoniano l'importanza del
sito archeologico, con statue, sculture a bassorilievo, monete ecc. ora custoditi presso il museo storico di
Chieti. Anche se solo con Servio (IV sec. d.c.) si fa per la prima volta riferimento ai serpenti connessi col
culto della Dea, il nome Angitia riporta al termine anguis ‘serpente’ ed ogni Dea Madre ed in ogni latitudine
ha il simbolo del serpente. Esso è infatti simbolo della Terra (perchè striscia, perchè ha la tana sottoterra e
perchè muta la pelle), cioè della natura, coi suoi lati di madre di nutrice e di morte.

Come Dea trina la Dea è protettrice delle nascite, degli animali, delle messi ed ha anche il carattere di
divinità ctonia, sotterranea ed infera, pertanto addetta pure al culto dei morti.

I MITI

Nel IV sec. a.c., i Marsi incontrarono la cultura greco-etrusca della Campania, da cui appresero i miti del
ciclo apollineo che metteva in secondo piano le grandi Madri Mediterranee. Secondo il mito greco Apollo
inseguì il serpente o drago Pitone e lo uccise proprio dinanzi al sacro crepaccio che serviva per i responsi
della Pizia nel famosissimo santuario di Delfi nella Focide.
Contemporaneamente fece passare al suo servizio le Muse e si fregò l'oracolo. Infatti Plutarco si lamenta
non poco perchè da quando ci sono i sacerdoti di Apollo le pitia non oracola più e balbetta solo cose senza
senso come inebetita, mentre prima, quando le sacerdotesse oracolavano per il tempio della Madre Terra
(abbattuto dai sacerdoti di Apollo), le pitie addirittura oracolavano in versi.

Dunque Apollo uccide il serpente Pitone e lo lascia disseccare al sole e la divinazione scompare.

Angizia sarebbe la sorella della maga Circe figlia del Sole oppure della maga Medea, figlia di Eeta, fratello a
sua volta di Circe. Gli scavi archeologici per riportare alla luce il sito sono partiti nei primi anni settanta ad
opera dell'Archeoclub della Marsica, poi hanno ripreso nel 1998, a spese dell'amministrazione comunale,
ed hanno portato alla luce un tempio italico composto di due celle e un tempio di eta' augustea a tre
ambienti. Sono state scoperte colonne doriche, fornaci e sepolture.

Nel 2003 opere di ricerca condotte dall'Università degli Studi dell'Aquila hanno permesso di svelare altri
importanti reperti, in particolare nell'area denominata Sagrestia sono tornate alla luce le tre statue: quella,
che secondo alcuni studiosi sarebbe ricollegabile alla figura della Dea Angizia, è in terracotta e risale al III
secolo a.c.; le altre due statue in marmo sono invece databili al II secolo a.c. Non era facile nè utile dare alle
fiamme tutti i boschi sacri, che erano anche un tesoro di legna e di animali, nonchè erbe selvatiche e
bacche, per cui S. Agostino suggerì alla chiesa cattolica di consacrare a Dio tutti i boschi sacri e di sostituire
le divinità pagane con i santi cristiani. I santi, una grande invenzione, senza di loro il culto pagano non
sarebbe mai stato estirpato, neppure con la forza.

Così S. Domenico ha preso i poteri di Angizia, e dispensa ancora oggi nella Marsica la protezione divina che
fu sua sugli uomini e sulle serpi.

E' nata così la festa dei serpari, a Cocullo: incantatori di serpi che ripetono oggi le nenie insegnate ai loro avi
da Angizia. Si tiene la prima settimana di maggio festa che oggi, scanso equivoci è dedicata alla Madonna,
hai visti mai. I reperti sono venuti alla luce casualmente e tramite lavori pubblici. Si tratta di statue, sculture
a bassorilievo, monete, bronzetti, ex voto, frammenti architettonici, teste ecc. in parte esposti nella sezione
archeologia del museo d'arte sacra della Marsica e in parte conservati presso il museo Paludi a Celano.

G. Ramires - Servio - Commento al libro IX dell'Eneide di Virgilio; con le aggiunte del cosiddetto Servio
Danielino - Bologna - Patron Editore - 1996 -- Giuseppe Ragone - Dentro l'àlsos. Economia e tutela del bosco
sacro nell'Antichità Classica in Il sistema uomo-ambiente tra passato e presente - Bari - 1998 -

- Giuseppe Grossi - La città di Angitia, il Lucus Angitiae e le origini di Luco dei Marsi - Luco dei Marsi - G.A. -
1981 -

- Julien Ries - Saggio di definizione del sacro - in Grande dizionario delle Religioni (a cura di Paul Poupard) -
Assisi - Cittadella-Piemme -

- Arch. Carlo Scoccia - Sulle rive dell'antico lago del Fucino -

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