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LEZIONE DEL 13/04/2022 - ALIMENTI SENZA GLUTINE

Cos’è la celiachia?

La celiachia è una condizione permanente legata ad una grave forma di intolleranza al glutine. La
celiachia è una condizione permanente legata a una risposta immunitaria che presentano alcuni
soggetti in relazione all’assorbimento di alimenti che contengono glutine. Essendo una risposta
immunitari, essa è guidata da immunoglobuline ed è una condizione che vede come unica
alternativa non consumare prodotti contenenti glutine e, quindi, basarsi su una dieta dove non si
venga a contatto con il glutine. Questa risposta immunitaria dà vita ad una serie di alterazioni
piuttosto gravi legate all’assorbimento intestinale. In particolare, vi è una particolare alterazione dei
vili intestinali e, quindi, una mancata capacità di assorbimento dei soggetti colpiti. Questo altera lo
stato metabolico e nutrizionale delle persone colpite da questa patologia. Esiste anche una forma di
intolleranza dovuta allo sviluppo di sintomi non mediati da immunoglobuline e che sono legati al
contatto con il glutine all’interno degli alimenti. Per queste persone è consigliata una dieta in cui il
glutine sia contenuto ai minimi livelli o assente.

Per i celiaci è problematica una parte di una parte della catena amminoacidica di una delle
componenti del glutine, cioè delle gliadine, in particolare l’epitopo 56 - 75, il quale sviluppa
un’alterata manifestazione allergica mediata da immunoglobuline di tipo T e che colpiscono il 95%
delle persone che soffrono di celiachia. Circa il 5% di pazienti celiaci, invece, presentano una
risposta alterata a livello immonuglobulinico a partire dai residui della catena di gliadina tra il 203 e
il 220. Essere allergici al glutine non è corretto perché, in realtà, la vera e propria manifestazione
allergica si rappresenta soltanto verso una delle componenti che costituiscono il glutine, anche se
molti studi hanno messo in luce che le glutenine in qualche modo assistono le gliadine allo sviluppo
della manifestazione allergica, per cui anche loro ne partecipano anche se non in maniera ancora
chiara.

Le gliadine fanno parte delle prolamine, in particolare prolamine presenti nel frumento. Alle
persone che soffrono di celiachia, quindi, fa l’assoluto divieto il consumo di alimento che
contengono frumento, sia di grano duro che di grano tenero. In realtà, ci sono altri cereali che i
celiaci non possono assumere, tra cui l’orzo e la segale. Le prolammine contenuto nell’orzo e nella
segale, ovvero l’ordeina e la secalina, sono simili alle gliadine del frumento, per cui anche queste
possono sviluppare nell’organismo una risposta immunotossica. Un discorso a parte merita l’avena,
la quale contiene avenina, una prolamina che, tuttavia, non è così simile come struttura alle
prolamine del frumento. Infatti, è possibile per i celiaci consumare alimenti contenenti avena purché
ne contengano quantità minimali.

Dal punto di vista della terminologia non è assolutamente corretto dire che si è allergici al glutine
perché vi è una componente allergica legata solo a uno dei due componenti del glutine. Inoltre, vi è
da dire che il glutine in realtà è una cosa che non esiste vera e propriamente, ma è un prodotto che si
forma durante l’impastamento. Tant’è vero che vi sono dei prodotti come biscotti o wafer che, date
le caratteristiche dell’impasto, non vedono la formazione del glutine, eppure i celiaci non possono
consumare questo tipo di prodotto. È per questo motivo che sarebbe più corretto che si ha
un’allergia ad alcune proteine del frumento piuttosto che al glutine che è un prodotto che si forma
dopo l’impastamento e non in tutti i prodotti da forno. Chiaramente, in tutti i casi la manifestazione
della celiachia è molto grave e l’unica terapia è quella di non assumere prodotti contenenti glutine. I
sintomi sono molto gravi, soprattutto se si manifestano in età adulta quando la situazione intestinale
è già compromessa, ovvero quando vi l’ipoplasia dei vil intestinali, i quali sono stati completamente
consumati dalla patologia e, quindi, quando l’assorbimento di principi metabolici importanti è
molto compromesso. Più la scoperta è avanza nel senso dell’età, più i sintomi si aggravano e la
malattia si aggrava.
In Italia vi sono circa 600.000 celiaci potenziali. Ciò vuol dire che non tutti sono diagnosticati, anzi
la fetta di persone non diagnosticate è molto significativa, circa 400.000. Sono circa 1/3, quindi, le
persone che non sanno di soffrire di celiachia, inoltre, sono coinvolte più donne che uomini. LA
fetta delle persone che hanno una diagnosi certa è salita negli ultimi anni a circa 220.000 unità con
il fatto che ogni anno la popolazione celiaca aumenta del 10%. La prevalenza in Italia è di 1/100
persone, rapporto che è piuttosto elevato rispetto ad altri paesi. Queste informazioni hanno fatto
leva sul mercato dei prodotti senza glutine negli ultimi anni. Infatti, accanto a linee di distribuzione
molto importanti che esistono da quanto è nato il mercato di gluten free, come la vendita
direttamente nelle farmacie, esistono delle linee distributive nuove come l’apertura di negozi
specializzata. Negli ultimi anni è cresciuta notevolmente la distribuzione presso la GDO, soprattutto
al nord d’Italia. Ormai il canale di vendita delle farmacie è equiparabile a quello della grande
distribuzione. Inoltre, è cresciuto il numero di ristoranti e bar che prevedono nel loro menù una
linea di prodotti senza glutine. Vi sono circa 4.200 locali. La celiachia è riconosciuta come una
malattia sociale dal Ministero della Salute, per cui è previsto per le persone che acquistano questo
tipo di alimenti, i quali sono piuttosto costosi, dei limiti di spesa fissati dal Ministero. Questi limiti
sono riportati nel Decreto 199 nell’Agosto del 2018. Sono stati fissati nuovi limiti per la fascia di
popolazione tra i 18 e i 59 anni ed è stato stabilito un tetto di spesa di 110€ per uomini e di 90€ per
le donne. Il tetto è più basso pre le donne perché si stima che il fabbisogno energetico delle donne
sia minore.

Accanto alle persone che hanno una necessità di tipo fisiologico a un’alimentazione gluten free,
negli ultimi anni è anche apparsa una sorta di moda che ha portato consumatori non celiaci ad
avvicinarsi agli alimenti senza glutine. In una ricerca nell’ambito della popolazione UE per fascia di
età si vede la fascia di consumatori che segue un’alimentazione di prodotti senza glutine. Questo
tipo di alimentazione in genere è seguita da persone nella fascia di età tra i 16 e i 24 anni. Molte
persone, infatti, comprano prodotti gluten free perché pensano che facciano bene. Il mercato dei
prodotti gluten free è aumentato significativamente negli ultimi anni ed è molto particolare perché
all’inizio si sono avvicinati a questo mercato soprattutto delle aziende molto piccole che hanno
cercato linee commerciali che rispondessero alle esigenze di consumatori abbastanza importanti.
Accanto a questi vi sono stati dei marchi distribuitivi importanti nel settore, anche farmaceutico, ma
in particolare aziende che si sono occupate di alimenti con un carattere nutrizionale per andare in
contro a specifiche esigenze dei consumatori che sono stati coinvolti nella produzione di prodotti
gluten free. È il caso della Schaar, dei Giuliani e dei Plasmon, i quali erano soprattutto
commercializzati all’interno di farmaci. Negli ultimi anni sono aumentate sempre di più le
produzioni di multinazionali e addirittura delle aziende che fanno vendita porta a porta, dei discount
e delle private label. A partire dal 2005 fino ad oggi anche il mercato si è ingrandito sempre di più e
grandi gruppi che lavorano nel settore dei prodotti da forno hanno tirato nuove linee di produzione
nel mercato gluten free. Pensiamo alla Motta, alla Barilla, alla Bauli, alla De Cecco, ecc.
Addirittura, è stato stimato che dal 2010 al 2015 sono stati lanciati circa 5.000 prodotti con il claim
senza glutine.

Cereali e alimenti gluten free

Per quanto riguarda gli alimenti è assolutamente vietato per i celiaci consumare alimenti con
frumento duro o tenero, con orzo o con segale per le ragioni che abbiamo menzionato in
precedenza. Per quanto riguarda l’avena il discorso è particolare perché è permessa se certificato
come prodotto senza glutine. “Senza glutine” vuol dire che vi è un contenuto inferiore ai 20PPM.
L’avena è permessa perché l’avenina fa parte di quelle prolamine che non sono del tutto simili alla
gliadina del frumento. Chiaramente, i prodotti derivati da questi cereali sono anche vietati, così
come anche i loro sottoprodotti. I prodotti permessi sono quelli provenienti da cereali che non
contengono le proteine del glutine, ovvero cereali come riso e mais, ma anche miglio, sorgo, teff,
quinoa, sorgo e grano saraceno. Si parla, quindi, di cereali minori.
I cereali principalmente utilizzati, quindi, sono mais e riso. La presenza, invece, dei pseudocereali è
sostitutiva del mais o del riso perché la loro coltivazione non è tale da portare a una produzione così
importante come quella registrata per mais e riso. Altre farine che possono essere utilizzate sono
quelle di avena, castagna e soia. Vediamo elencate le farine che possono essere utilizzate in
sostituzione del grano. La farina di castagna può essere addizionata in percentuale non superiore al
30% perché, essendo una farina molto ricca di fibre, i prodotti di forno non si svilupperebbero in
maniera corretta. Negli ultimi anni è stata prevista anche la presenza delle farine di soia. In questo
caso vi è stato un po’ di diatriba perché a farina pretrattata, ovvero la farina che subisce un
trattamento che comporta un blocco delle attività enzimatiche legate alla presenza della
lipossigenasi, ha un impatto positivo sull’aroma nei prodotti gluten free. Infatti, questo trattamento
riduce l’aroma di fagiolo tipico di questa farina, ma il pane ha una minore qualità.

Accanto alle farine è moto importante considerare il particolato, soprattutto per mais e riso. Infatti,
questo particolato delle farine deve essere ristretto a range tra 80 e 100 micro perché i particolati più
bassi o elevati comportano problematiche nello sviluppo dei prodotti senza glutine. Tuttavia, si è
visto anche che migliori performance si hanno con le farine di riso nei prodotti da forno senza
glutine per cultivar che presentano bassi contenuti di amilosio. Questo non è solo un mercato legato
alle farine perché, in realtà, negli ultimi anni è sorto un mercato piuttosto importante di prodotti
senza glutine in relazione di amidi già gelatinizzati, soprattutto di mais e riso. La presenza di amido
pre-gelatinizzati ottenuti da questi cereali comporta degli effetti benefici in relazione alle
problematiche legate alla formulazione dei prodotti senza glutine. Chiaramente, non si è partiti
dall’amido pre-gelatinizzato perché all’inizio, quando è esploso il problema della celiachia e si è
cercato un sostituto del glutine, non si sapeva che queste farine non avevano le stesse proprietà
chimico-fisiche del glutine, infatti, tutt’oggi non esiste qualcosa di completamente in grado di
sostituire le proprietà che il glutine impartisce all’impasto. All’inizio, quindi, quando si è cercato
qualcosa che in qualche modo mimasse le proprietà del glutine all’impasto ci si era avviati verso
l’uso di amidi di frumento. In pratica, dalle farine di frumento viene tolto il glutine e si lascia
l’amido. Questo sistema in realtà ha avuto un certo successo all’inizio perché l’amido di frumento
attraverso la gelatinizzazione è in grado di impartire delle caratteristiche di coesività che sono simili
quelle del glutine all’interno dell’impasto, ma i consumatori dei prodotti senza glutine non
apprezzavano i derivati del frumento perché avevano, comunque, paura delle tracce che vi possono
essere nei derivati, per cui questa strada è stata subito abbandonata. L’indirizzo nuovo, quindi, è
stato quello di trovare cereali in cui il glutine non si formi.

Il regolamento 828 del 2014 chiarisce cosa vuol dire fare un alimento che contiene la dicitura senza
glutine o con contenuto in glutine molto basso. La dicitura su questi alimenti formulati è una
dicitura che distingue dagli alimenti che glutine non contengono quelli che sono specificamente
prodotti per i celiaci, cioè prodotti elaborati con la finalità di ridurre il contenuto di glutine, oppure
di sostituire ingredienti contenenti glutine con ingrediente che ne sono naturalmente privi. Tant’è
vero che la legge comporto due diverse diciture:

- Alimenti senza glutine


- Alimenti con glutine molto basso.

Negli alimenti senza glutine il contenuto in glutine dell’alimento non deve essere superiore a
20ppm. Negli alimenti che hanno un contenuto di glutine molto basso è presente un contenuto di
glutine che va dai 20 ai 100ppm, comunque, che non superi i 100ppm. Questa dicitura è riservata ad
alcuni ingredienti derivati dal frumento, come amidi, anche di segale, orzo o avena, lavorati per
ridurre il contenuto di glutine al di sotto di valori di 100ppm. Queste diciture sono soprattutto
indirizzate all’avena, cereale che trova spazio all’interno del gruppo dei prodotti senza glutine pur
avendo un tipo di prolamina che non ha una similarità a quella delle prolamine del frumento.
In Italia l’Associazione Italiana Celiachia sconsiglia per i celiaci il consumo di alimenti con
contenuto di glutine molto basso, ovvero quelli che hanno un contenuto tra i 20 e i 100ppm. In Italia
questi prodotti non sono reperibili in Italia, ma all’estero. L’associazione, quindi, sconsiglia il
consumo di questi prodotti ai celiaci; tant’è vero che questi prodotti non sono nemmeno ammessi
nel registro nazionali, per cui non sono erogabili dal servizio sanitario nazionale ne possono essere
utilizzati da ristoratori che aderiscono al programma dell’Associazione. L’associazione da alcuni
anni ha messo a punto un marchio, ovvero quello della spiga sbarrata, di cui è proprietario
esclusivo. Questo marchio può essere apposto ai prodotti dietetici senza glutine, ai prodotti
alimentari del libero commercio di categorie che possono contenere glutine pur che ne sia accettata
l’idoneità per il celiaco, ovvero purché il contenuto di glutine sia inferiore ai 20ppm. Per rilasciare
questo marchio alle aziende esse devono essere sottoposte a delle ispezioni e a dei controlli
dall’Associazione che vengono fatte in maniera continuativa e realizzate da ispettori ministeriali che
verificano se la pulizia degli impianti, i magazzini e tutte le fasi di produzione degli alimenti siano
tali da garantire l’assenza di glutine o il quantitativo inferiore a 20ppm. Tra l’altro, queste visite
vengono fatte continuamente, anche durante il periodo di concessione del marchio per verificare che
le procedure siano applicate in maniera corretta.

In fotografia vediamo riassunti i principali cereali gluten free. Riso e mais sono i due principali
cereali, anche perché sono le produzioni più abbondanti. Vi sono poi pseudocereali o cereali minori
come il sorgo e il miglio, l’avena con le caratteristiche particolari, il teff, l’amaranto e la quinoa e il
grano saraceno. La composizione delle farine che si ottengono da questo tipo di cereali o
pseudocereali è più o meno similare in grandi linee alla composizione della farina di frumento, nel
senso che vi è sempre una netta prevalenza dei carboidrati. Nel sorgo, ad esempio, il contenuto di
carboidrati sfiora l’80% o, comunque, ci manteniamo su valori intorno al 60% - 80%. Inoltre, vi è
una componente proteica che ha percentuali più o meno elevate, intorno al 5% fino a valori
superiori al 12-13%. Dall’altra parte vi è un quantitativo di grassi limitato, fatta eccezione per
l’avena, la quale ha un contenuto di grassi significativi. Fra le altre cose, vi è un tenore di umidità
della farina commercializzata mantenuto intorno al 13% - 14% per evitare fenomeni di
assorbimento di acqua. Quando ci si è trovati di fronte a questa sfida tecnologica i problemi sorti
sono stati molteplici.

- Mancanza di elasticità/coesività degli impasti.


- Impasti più fluidi, anche in relazione al maggior quantitativo di acqua inserito.
- Sbriciolosità dei prodotti.
- Mancanza di aromi e sapori caratteristici.
- Sensazione sensoriale “amidacea”.

Queste problematiche le possiamo evidenziare anche nelle fotografie successive. Vediamo la


differenza tra un pan carré prodotto con la farina di grano tenero e dei pan carré prodotti con brown
rise, fecola di patate e amido di tapioca. Sempre sulla scorta che abbiamo detto, anche in questo
caso vediamo il fenomeno della sbriciolosità che si ha nelle produzioni di prodotti in cui non si
utilizza il frumento. Vediamo una fetta di pane fatta con farine di sorgo, di riso e di avena. Anche se
dal punto di vista delle caratteristiche ci sono problematiche legata alla texture e al volume del
prodotto, bisogna dire che queste problematiche si rivestono anche sulla shelf life.
L’invecchiamento del pane, infatti, è ancora più accentuato nelle produzioni dei prodotti senza
glutine. Sulla sinistra vediamo il grafico con il contenuto di acqua che serve per impastare le farine
senza glutine, il quale è generalmente nettamente più elevato rispetto a quello che si utilizza per gli
impasti con farine di frumento. Addirittura, con la farina di riso si sfiora il 120%. Altra
problematica è legata all’aspetto sensoriale. Alcuni studi hanno sottolineato come soltanto la farina
di avena presenta un punteggio sensoriale che è simile a quello dei prodotti realizzati con farine di
frumento. Tuttavia, per il resto dei cereali mancano le caratteristiche note aromatiche impartite dal
frumento stesso.

Gli approcci che abbiamo per trovare dei sostituti del glutine sono approcci legati alla materia prima
e approcci di processo. Nel caso della materia prima bisogna trovare delle materie prime che diano
struttura all’alimento. Nel caso degli approcci di processo bisogna strutturare le materie prime
attraverso approcci tecnologici in modo che riescano a sostituire la struttura del glutine e le sue
proprietà negli impasti. Spesso si utilizzano entrambi gli approcci, ovvero trovare materie prime con
funzionalità strutturanti e allo stesso queste materie prime attraverso approcci tecnologici vengono
rese in grado di avere quell’attività strutturante tipica del glutine. Chiaramente, questo non può
essere realizzato con una materia prima sola, infatti, le formulazioni dei prodotti senza glutine sono
piuttosto complesse. Di solito, prevedono l’utilizzo di diverse tipologie di farine in miscela. È
necessario, quindi, trovare degli ingredienti che supportino il mais e il riso per dare una possibilità
di struttura questa base in modo da avere quelle caratteristiche tipiche del glutine.

Al di là della sostituzione vera e propria delle farine è importante il processo di coadiuvazione delle
farine per aiutare queste farine che non hanno le proprietà del glutine a svolgere il loro compito.
Alcuni additivi possono essere trovati all’interno dei prodotti senza glutine. Gli idrocolloidi sono
un gruppo di polisaccaridi di origine vegetale (alghe, batteri) e che sono utilizzati per la loro
caratteristica positiva nella formulazione dei prodotti senza glutine, soprattutto sulle caratteristiche
viscoreologiche dell’impasto, in quanto formano dei gel viscosi che hanno una consistenza diversa a
seconda della tipologia di idrocolloide e che possono stabilizzare e aiutare le farine a realizzare
questa capacità strutturante del glutine. Tra gli idrocolloidi maggiormente utilizzati nei prodotti
senza glutine vi sono i derivati della cellulosa, in particolare gli idrossipropilmetilcellulosa e la
carbossimetilcellulosa. L’altro idrocolloide molto utilizzato è lo xantana e lo psyllium, quest’ultimo
soprattutto per le sue proprietà nutrizionali legate all’attività anticostipante e al suo impatto sul
sapore.

In questa tabella vediamo un elenco degli idrocolloidi maggiormente utilizzati negli alimenti, la loro
origine e funzione. L’impatto degli idrocolloidi nei prodotti senza glutine si vedono in questa
fotografia, in cui è presente un alimento senza glutine in presenza e in assenza di
idrossipropilmetilcellulosa. In assenza di idrossipropilmetilcellulosa la formulazione si presenta con
un volume molto contratto, una struttura debole e una consistenza densa. La presenza di
idrossipropilmetilcellulosa impatta favorevolmente sulla porosità del prodotto, sul volume e sulla
ritenzione di gas. Infatti, se vediamo le funzioni di un idrocolloide all’interno di un impasto
vediamo che, quando non è aggiunto l’idrocolloide, i gas che si formano in seguito al processo di
lievitazione tendono facilmente ad allontanarsi dall’impasto e, quindi, si dà vita a un prodotto
denso, privo di volume, piuttosto pesante e privo di alveolature. L’aggiunta di un idrocolloide,
invece, migliora la situazione, in particolare, nel caso B è stato aggiunto della gomma di xantana, la
quale riesce a trattenere i granuli di amido, le cellule di lievito e le bolle di gas. Se si agisce con
l’idrossipropilmetilcellulosa si ha la presenza di un idrocolloide a superficie attiva. Questa attività
dell’idrocolloide è legata non soltanto alla possibilità di incrementare la viscosità dell’impasto e,
quindi, di mantenere in sospensione le bolle di gas, ma anche alla possibilità di stabilizzare le bolle
di gas, anche ad effetto emulsionante, all’interfaccia tra la parte liquida dell’impasto e le bolle di
gas. Questo dà vita a un ulteriore azione, ovvero all’azione emulsionante e, quindi, si forma
un’alveolatura migliore perché si ha una migliore sospensione delle bolle di gas all’interno
dell’impasto, le quali mantengono dimensioni uniforme e piccole.
All’interno delle formulazioni senza glutine si possono aggiungere anche proteine sotto forma di
proteine di soia, di lupino o di pisello, quindi, soprattutto proteine di origine vegetale. Fino a
qualche anno fa si utilizzavano anche proteine di carattere animale dal latte o dalle uova. Le
proteine hanno delle proprietà impattanti positivamente sulla consistenza del prodotto e sostengono
la struttura del prodotto da forno, per cui migliorano anche l’alveolatura e danno vita a una crosta
più scura perché esse partecipano alla reazione di Maillard e colorano i prodotti da forno senza
glutine, i quali spesso sono accusati di avere un colore troppo pallido.
Associate alle proteine vi sono gli enzimi. Gli enzimi, generalmente, migliorano l’aumento di
volume, la consistenza del prodotto, agiscono sul processo di raffermimento positivamente e sono i
classici enzimi che abbiamo citato anche nella produzione dei prodotti da forno con frumento. Tra
gli enzimi ricordiamo le amilasi, in particolare le å-amilasi, le quali hanno un effetto anti-
raffermimento, le pentosanasi, le quali migliorano volume e consistenza del prodotto e una serie di
enzimi che vanno dalle lipasi alle transglutaminasi e alle tirosinasi che in associazione con le å-
amilasi hanno un effetto sinergico nel ritardare il processo di raffermimento dei prodotti da forno
senza glutine. Pensiamo, inoltre, alle fitasi, le quali oltre tutto impattano positivamente anche a
livello nutrizionale perché bloccano l’attività anti-nutrizionale dell’acido fitico, per cui migliorano
l’assorbimento di molti ioni che sono importanti per le nostre attività metaboliche; alle proteasi, le
quali facilitano la miscelazione degli ingredienti, anche se a volte possono compromettere la
capacità di trattenere i gas; le emicellulasi e le xilanasi, le quali migliorano il volume dei prodotti da
forno e hanno un impatto positivo nella shelf life e sul raffermimento del pane.

Altri ingredienti aggiuntivi che possono essere addizionati nelle formulazioni dei prodotti gluten
free sono le fibre ed eventualmente arricchimenti nutrizionali costituiti da micronutrienti, vitamine
o Omega-3 che derivano dall’introduzione di farine particolari. Le fibre sono soprattutto solubili, in
particolare inulina e polidestrosio, le quali legano in maniera importante l’acqua. Ricordiamo che
nei prodotti gluten free l’acqua è presente in quantitativi più elevati rispetto ai prodotti dove è
previsto l’utilizzo di farine di frumento. Queste fibre solubili con la loro capacità di legare l’acqua
hanno un ruolo strutturale molto importante nelle formulazioni dei prodotti da forno, anche gluten
free. Ci sono anche grassi, i quali possono essere aggiunti anche come emulsionanti, ovvero come
mono e digliceridi degli acidi grassi. I grassi sono aggiunti per le loro capacità emulsionanti e,
quindi, per la possibilità di stabilizzare le bolle di gas all’interfaccia tra liquido e gas e permettere
l’espansione dell’impasto. Inoltre, aumentano la capacità dei prodotti da forno di resistere al
raffermimento grazie all’interazione con l’amilosio e formando questo complesso che permette la
gelatinizzazione ritardata dell’amido e un ritardo nel processo di raffermimento.

Processo produttivo

Anche dal punto di vista del processo produttivo ci sono differenze tra il processo che viene operato
su un prodotto da forno dove è presente il glutine e un processo che viene attuato su un prodotto da
forno senza glutine. Una prima differenza è la quantità di acqua richiesta dall’impasto di un
prodotto senza glutine, la quale è maggiore. I quantitativi superano anche il 100% di acqua. Questo
maggior quantitativo di acqua in assenza di glutine si riveste negativamente su buchi che creano una
alveolatura non corretta e non regolare e su scollamenti tra la crosta e la mollica, anche se il
maggior quantitativo di acqua comporta un maggior volume del prodotto finito. Anche il processo
produttivo è diverso, infatti, non vi è glutine e vi è più acqua, per cui è richiesta una cottura più
lunga, ma a temperature più basse. L’impastamento è più breve, anche se non troppo perché se no
non si favorisce l’ingresso di aria nell’impasto e non si favorisce l’aumento di volume del prodotto.

L’impastamento deve essere breve, ma non troppo, anche per non sfavorire la lievitazione. A
proposito di lievitazione, questa fase è critica perché le tempistiche vanno definite in base alla
materia prima, in base ai microrganismi utilizzati e in base alla temperatura di trasformazione. In
generale, la lievitazione deve essere breve, altrimenti di fronte a un eccesso di lievitazione,
l’impasto già in difficoltà per l’assenza del glutine si destruttura troppo. Allo stesso tempo l’impasto
potrebbe andare verso un collasso della struttura. Dall’altra parte, vi è anche il problema della
presenza di quantitativi di acqua piuttosto elevati. Una lievitazione troppo lunga impartirebbe in
maniera negativa sulla struttura del prodotto perché creerebbe volumi eccessivamente ridotti e una
mollica grossolana.
Tuttavia, la lievitazione non può essere troppo breve, altrimenti non si dà ai microrganismi la
capacità di svilupparsi e non si ha una corretta formazione del gas alla base del processo di
lievitazione. Questa fase, quindi, va tenuta sotto controllo e adattata al processo di produzione alle
materie prime. In generale, tutto è legato al maggior quantitativo di acqua. Tra l’altro, questo
impatta anche in fase di cottura. Questo sicuramente è il fenomeno o problema più importante che
ha dovuto superare chi ha dovuto aver a che fare con impasti in cui il glutine non era presente.

Un’innovazione che è stata introdotta nella formulazione dei prodotti senza glutine ha previsto
l’associazione della formulazione di questi prodotti, soprattutto nel caso di alcuni di loro, con
l’utilizzo della pasta madre o lievito naturale. In generale, abbiamo visto quali sono i vantaggi legati
all’utilizzo di questa lievitazione, i quali sono soprattutto legati al miglioramento delle
caratteristiche organolettiche del prodotto finito e a una riduzione del raffermimento.
L’associazione di questo metodo alla formulazione di prodotti senza glutine deve tener conto del
fatto che l’attività proteolitica e amilolitica dei microrganismi presenti in questi impasti, attività che
viene esaltata dall’acidificazione degli impasti e dal fatto che questi impasti hanno un pH <5, porta
alla formazione di un gel di amido più consistente e resistente durante il processo di cottura, per cui
questo comporta un generale miglioramento della consistenza del prodotto. A maggior ragione
questa attività può essere sfruttata in maniera positiva quando è assente il glutine e, quindi, quando
l’amido e la sua gelatinizzazione durante la cottura riveste un ruolo fondamentale per dare una certa
consistenza al prodotto.

Altra cosa interessante che si è vista durante l’associazione della lievitazione naturale con i prodotti
da forno è la possibilità di sfruttare alcuni ceppi di lattobacilli che producessero degli
epopolisaccaridi. Questi polisaccaridi complessi hanno un po’ la funzione degli idrocolloidi.
L’utilizzo di questi ceppi può essere positivo perché permette attraverso sistemi naturali di arrivare
a svolgere uguali funzioni che hanno delle molecole che, invece, devono essere considerati degli
additivi. Vista la contrarietà che molti consumatori manifestano nei confronti degli additivi stessi,
questa associazione all’interno della formulazione degli impasti acidi con ceppi produttori di
epopolisaccaridi, è stata vista di buon grado per chi fa prodotti senza glutine. Gli epopolisaccaridi
sono polisaccaridi, i quali possono essere omopolisaccaridi se composti dallo stesso polisaccaride e,
solito, sintetizzati da enzimi extracellulari; oppure degli eteropolisaccaridi se composti da diverse
tipologie di monosaccaridi e, di solito, sono prodotti intracellularmente. Vi sono alcuni ceppi di
lattobacilli che producono grandi quantitativi di epopolisaccaridi. Gli studi hanno portato alla
creazione di queste formulazioni di prodotti senza glutine con un effetto positivo che ha visto la
riduzione nel tempo del raffermimento. Tra l’altro vi è anche un impatto positivo sul volume e su
un’alveolatura più regolare. Gli studi hanno portato all’associazione di questa formulazione anche
con l’utilizzo di diverse farine senza glutine e si è visto che tutte le farine rispondo bene, per cui vi è
stato un miglioramento del profilo sensoriale, una riduzione del raffermimento e una riduzione della
durezza del pane, fatta eccezione per la farina di sorgo.

Tanto tempo fa vi è stata la riscoperta di alcune cultivar antiche di grano che hanno delle proprietà
assolutamente importanti nel loro settore. Tuttavia, alcuni siti e articoli avevano meso in luce la
possibilità che questi grani antichi fossero più salutari di quelli moderni nell’alimentazione di
soggetti celiaci perché si ritenevano che questi contenessero un minor quantitativo di glutine. Le
ricerche scientifiche hanno determinato che non vi è alcuna relazione diretta tra il consumo di
derivati di grani antichi e il rischio ridotto di sviluppo di patologie croniche come la celiachia.

Pasta senza glutine

Nel settore della pasta senza glutine un problema in meno è la fase di fermentazione. Tuttavia, si
deve sostituire il ruolo del glutine nel formare la maglia insolubile che trattiene il materiale
amidaceo che a contatto con l’acqua di cottura bollente aumenta di volume e tende, se la rete
glutinica se non è ben formulata, a fuoriuscire e dare collosità alla pasta. Questo è un problema
anche con l’utilizzo di grano tenero, per cui il problema è maggiore quando il glutine è proprio
assente. La struttura della pasta gluten free è particolare perché si è cercato di sostituire il glutine
direttamente con altro componente presente nella pasta, cioè con l’amido, in particolare attraverso
l’uso di amido o farine pre-gelatinizzate, quindi, farine che hanno subito un principio di
gelatinizzazione e in qualche modo riescono a formare una struttura che mima quella del glutine,
cercando di trattenere l’ingrossamento dei granuli di amido all’interno della pasta stessa. Vediamo
alcune caratteristiche del processo di gelatinizzazione dell’amido, soprattutto soffermandoci sul
ruolo dell’amilosio. Si parla di un contatto dell’amido con l’acqua in presenza di calore, per cui si
dà vita al processo di gelatinizzazione. Con il raffreddamento si forma quella struttura rigida
formata dall’amilosio. L’amilosio prima gelatinizza, per cui i granuli di amido si ingrossano e si
deformano, ma poi cristallizza e non retrograda. Forma, quindi, una struttura cristallina costituita da
doppie eliche di amilosio tenute insieme da legami idrogeno.

Questi fenomeni sono stati sfruttati nel processo di produzione della pasta senza glutine, dove si
sono cercate delle farine che avessero un alto contenuto di amilosio intorno al 25% - 30%. Più alta è
la percentuale di amilosio, maggiore è la consistenza del gel quando l’amido viene cotto e
raffreddato, meno appiccicoso è il gel, il quale diventa dopo raffreddamento molto consistente e,
quindi, non sviluppa collosità. Oltre al 30% in contenuto di amilosio sarebbe eccessivo perché si
potrebbe costituire una tenacità eccessiva. Le farine che presentano questo alto contenuto di
amilosio sono:

- Farina di riso. Il riso è l’ingrediente più utilizzato per la pasta gluten free. Si utilizzano
grani lunghi con un elevato grado di amilosio. La farina viene pre-gelatinizzata o
parboillizzata, per cui viene sottoposta a trattamenti di riscaldamento e raffreddamento
continuo in modo da gelatinizzare parzialmente l’amido. Questa struttura dell’amido a
reticolo che mima quella del glutine è in grado, al momento della cottura, di limitare la
fuoriuscita di amilosio dai granuli di amido e a limitare quella sensazione di collosità che si
può avere in una pasta senza glutine.

Oggigiorno si potrebbe andare in contro a una miscela di diversi cereali, per cui si possono
addizionare pseudocereali ai cereali classici come la farina di riso. Potrebbe essere utilizzato anche
il grano saraceno. Tuttavia, bisogna fare attenzione al fato che il grano saraceno è molto suscettibile
alla reazione di Maillard, soprattutto durante l’essiccazione della farina, per cui è importante che la
farina di pretrattata con processi di estrusione e cottura che pre-gelatinizza l’amido del grano
saraceno. Si può utilizzare anche il sorgo, in particolare varietà dure, il quale viene sottoposto a una
macinazione intensa che porta a granuli di amido danneggiati e un miglior funzionamento, magari
in seguito anche a pre-gelatinizzazione, come suo utilizzo nelle formulazioni delle paste gluten free.
Infine, vi è anche la farina di mais, in particolare quelle farine con un quantitativo di amilosio che
non superi il 40%. Varietà di mais con un valore superiore di amilosio potrebbero provocare una
pre-gelatinizzazione incompleta, per cui potrebbero presentarsi problemi durante la cottura della
pasta. Le farine, invece, con un quantitativo troppo basso danno vita a una farina di bassa qualità.

A questi ingredienti possono essere aggiunti degli additivi come idrocolloidi o emulsionanti con
proprietà varie. Sempre più negli ultimi anni si preferisce sostituire l’additivo con amidi pre-
gelatinizzati.

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