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Nutrizione del paziente neoplastico

Lo stato nutrizionale del paziente oncologico deve essere valutato all’esordio della malattia e regolarmente
monitorizzato durante l’iter terapeutico, per identificare i pazienti malnutriti o a rischio di malnutrizione,
che necessitano di un supporto nutrizionale. Il supporto nutrizionale non deve essere effettuato di routine
in pazienti candidati a chirurgia addominale, a chemioterapia o a radioterapia. Il supporto nutrizionale deve
essere effettuato: in pazienti candidati a trattamento chemio/radioterapico in cui uno stato di
malnutrizione o ipofagia precludono l’esecuzione di un trattamento oncologico corretto; in pazienti afasici o
con subocclusione intestinale che pur avendo esaurito ogni possibilità terapeutica oncologica, abbiano un
Karnofsky performance status superiore al 50% ed una prognosi di sopravvivenza maggiore di due mesi; in
pazienti liberi da malattia ma con esiti di trattamenti chirurgici o chemioterapici a livello delle prime vie
digestive o del tratto gastroenterico tali da limitare l’autonomia nutrizionale. I regimi nutrizionali e le vie di
somministrazione rispondono ai tradizionali criteri: calorie non proteiche 20-35 kcal/kg peso corporeo,
ripartizione glucosio:lipidi (%)= 70:30 o 60:40, 0,2-0,34 g azoto/kg peso corporeo, privilegiare la via
enterale.

Malattie della tiroide

Tiroidite

La tiroide è una delle principali ghiandole del nostro organismo, posta a livello del collo, abbracciando la
trachea, prende la forma di una farfalla. Sotto il diretto influsso dell’ipofisi e dell’ipotalamo questa produce
in base alla stimolazione dell’ormone TSH che viene secreto dall’ipofisi, ormoni tiroidei: T3 e T4 . Questi
ormoni svolgono moltissime funzioni: regolano la crescita e lo sviluppo sia nella fase fetale che nella
crescita dei bambini, regolano la temperatura corporea, regolano il metabolismo di tutti i nutrienti
(soprattutto glucidi e lipidi), sono importanti per lo sviluppo neuronale, regolano il sistema cardiovascolare
(battito cardiaco, gittata), regolano la fertilità femminile e influenzano l’andamento della gravidanza. Sono
quindi degli ormoni essenziali per quasi tutti i distretti corporei. Molto spesso la tiroide può essere affetta
da patologie che la rendono incapace di sintetizzare al meglio i suoi preziosi ormoni. Questo può portare a
problematiche di iperproduzione (ipertiroidismo) oppure ipoproduzione (ipotiroidismo). La tiroidite di
Hashimoto, o tiroidite cronica autoimmune o morbo di Hashimoto, è una patologia autoimmune nella quale
le cellule del sistema immunitario vanno a colpire quelle della tiroide stessa come fosse un nemico da
sconfiggere. Questo attacco si traduce ovviamente in un’infiammazione dei tessuti tiroidei che inizieranno a
funzionare male. Oltre ciò, visto che l’intento del sistema immunitario è proprio quello di distruggere le
cellule tiroidee, il primo degli effetti che avremo è l’ipotiroidismo, dovuto appunto dalla diminuzione delle
cellule attive. Questa diminuzione andrà a causare una serie di sintomi correlati all’attacco da parte
del sistema immunitario delle cellule tiroidee: temperatura corporea bassa, aumento di peso per
rallentamento del metabolismo, ritenzione dei liquidi corporei, stanchezza, calo del tono dell’umore.
lattosio e glutine (per ristabilire un benessere intestinale e limitare l’infiammazione a partire dal nostro
microbiota), lo iodio va limitato (potrebbe stimolare eccessivamente la tiroide, chi invece è in cura
Questi sintomi sono piuttosto subdoli: non compaiono all’improvviso e in maniera netta, ma
progressivamente e senza destare sospetti. Le cause della tiroidite di Hashimoto sono ancora del tutto
incerte: è stato visto che ci sia una sorta di ereditarietà da parte di madre per il fatto che determinati
anticorpi anti-tiroidei (anti TSH-R bloccanti) possano passare al feto durante la gravidanza. È stato inoltre
vista un’insorgenza preferenziale in persone già affette da altre patologie autoimmuni. L’eccesso di iodio ha
un ruolo nello scatenare la patologia latente: decisamente nella nostra alimentazione spesso sforiamo la
dose consigliata. Bisogna considerare che ci troviamo di fronte ad una patologia che come primo effetto ha
l’infiammazione dei tessuti, causati appunto dall’attacco immunitario verso la tiroide. Dovremo quindi
andare a privilegiare un tipo di alimentazione a basso indice di infiammazione e fortemente
antinfiammatoria. Bisogna evitare: gli alimenti ricchi di istamina (pesce, vino, formaggio, funghi, affettati,
cacao, solanaceae come la melanzana), ridurre ormonale sostitutiva della funzione tiroidea non ha
problemi collegati al consumo di iodio), limitare gli alimenti gozzigeni come le brasicaceae (cavolo,
cavolfiore, ravanello etc…). I cibi consigliati sono: avena (è un antigozzigeno), gli omega-3 (hanno attività
antinfiammatorie), selenio e zinco (sono nutrienti essenziali per il buon funzionamento della tiroide e
inoltre il selenio è un antiossidante).

Ipotiroidismo

Non esiste una dieta standard contro l'ipotiroidismo, prima di tutto a causa delle diverse origini di questo
disturbo caratterizzato da un'insufficiente sintesi di ormoni tiroidei. A livello mondiale, le severe carenze
alimentari di iodio sono una delle più comuni cause d'origine dell'ipotiroidismo; per contro, non dobbiamo
dimenticare che anche un eccessivo apporto del minerale può - alla lunga - sovvertire la
normale funzionalità tiroidea, istaurando quadri di iper ma anche di ipotiroidismo. Altrettanto spesso,
l'ipotiroidismo ha un'origine autoimmune, perché legata ad alterazioni del sistema
immunitario (vedi tiroidite di Hashimoto); più raramente, invece, la tiroide non funziona a causa
dell'inefficace stimolazione ipotalamica, o per una sua assenza congenita. Per quanto detto sinora,
nonostante l'utilizzo di integratori ricchi di iodio sia particolarmente utile nei casi di ridotto apporto
alimentare, quando l'ipotiroidismo NON ha un'origine dietetica, è bene evitare qualsiasi supplementazione
specifica, dato che un eccesso di iodio potrebbe addirittura far precipitare la condizione. Dato che il
disturbo riconosce diverse cause d'origine, diversa può essere la risposta alla supplementazione orale di
iodio. Sotto controllo medico, questa pratica può avere una certa utilità soltanto in quei casi in cui
l'ipotiroidismo è sostenuto da carenze alimentari, oggi più rare rispetto al passato per la diffusa pratica
di aggiungere iodio nel sale comune. L'apporto del minerale può essere aumentato anche attraverso la
semplice dieta, semplicemente scegliendo alimenti ricchi di iodio, come pesce di mare, alghe
marine, molluschi e sale marino integrale. Esistono poi dei particolari alimenti (come
cavoli, broccoli, cavolfiori, soia, semi di lino, rape, ravanelli, miglio e tapioca) che - specie se consumati
crudi - aumentano notevolmente il fabbisogno di iodio, perturbandone il metabolismo. Tali cibi,
detti gozzigeni, andrebbero pertanto consumati con moderazione, ma solo in caso di ipotiroidismo da
carenza iodica. Da alcuni anni sappiamo, che oltre al deficit di iodio, anche altri fattori ambientali, in
particolare la carenza di selenio, possono contribuire all'insorgenza di ipotiroidismo. Mentre lo iodio è
l'elemento fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei, triiodotironina (T3) e tiroxina (T4),
il selenio gioca un ruolo fondamentale nel loro metabolismo. I cereali, la carne ed il pesce sono fonti
importanti di selenio. Il fatto che la medicina ufficiale dia poca importanza alla dieta nel trattamento
dell'ipotiroidismo, deriva anche dal fatto che questo disturbo può essere agevolmente controllato
attraverso una terapia sostitutiva a base di levotiroxina, eventualmente affiancata da triodotironina. In
pratica, gli ormoni tiroidei, che risultano deficitarii in tutti i casi di ipotiroidismo, vengono assunti con una
semplice compressa di medicinale. Efficace, sicura ed in terapia da moltissimi anni,
la levotiroxina dev'essere assunta secondo le indicazioni mediche; generalmente, si consiglia di assumerla a
stomaco vuoto, a distanza di almeno 4-5 ore dall'assunzione di integratori di ferro o calcio, nonché
dei multivitaminici che li contengono. Analogo discorso per gli antiacidi a base di sali di alluminio
o magnesio, e per alimenti come farina di soia, noci, e vari farmaci (colestiramina, colestipolo, sucralfato).
In genere, anche l'eccesso di fibre può ridurre l'assorbimento intestinale degli ormoni tiroidei sintetici;
tuttavia, gli alimenti che ne sono ricchi risultano importantissimi per evitare problemi di stitichezza,
abbastanza comuni nelle persone che soffrono di ipotiroidismo. Frutta e verdura, quindi, vanno consumate
a sufficiente distanza dall'assunzione del medicinale, senza privarsi in alcun modo del loro prezioso apporto
nutrizionale. Il ruolo della dieta nel trattamento dell'ipotiroidismo è quindi rivolto, almeno secondo la
medicina ufficiale, soprattutto ad evitare possibili interazioni con i medicinali assunti.
Ipertiroidismo

È una condizione clinica causata da un’eccessiva produzione di ormoni tiroidei che, molto frequentemente,
provoca delle alterazioni a carico del metabolismo, del sistema nervoso e del cuore. Colpisce
prevalentemente le donne tra i 20 ed i 40 anni, ma può insorgere in qualsiasi età e sesso a causa di
iperplasia primitiva diffusa (il corpo va a produrre immunoglobine che stimolano la produzione ormonale),
gozzo nodulare o multinodulare, adenoma iperfunzionante o abuso di preparati tiroidei e iodio; pensate
che dopo il diabete, è la malattia endocrinologica più diffusa. La sintomatologia tipica prevede la comparsa
di ingrossamento tiroideo, stati di eccessiva stanchezza, calo ponderale non giustificato da una dieta o da
un cambiamento delle abitudini alimentari, forte sensibilità al caldo, iperidrosi e aumento degli stati di
ansia e di nervoso. L’alimentazione, nei soggetti colpiti da ipertiroidismo, gioca un ruolo molto importante
nella gestione della problematica. In generale, la dieta dovrà comprendere un’alimentazione di tipo
antinfiammatorio ed essere ricca di calcio e vitamina D, due componenti di vitale importanza per la salute
delle ossa, messa a dura prova da questa condizione. Considerando l’implicazione dello iodio nella
disfunzione della ghiandola tiroidea, la prima cosa da fare è di consumare alimenti che ne siano poveri
andando a ricavare l’apporto energetico e proteico da alimenti come legumi ed ortaggi. Anche la frutta
secca (noci, mandorle ed anacardi) ed i semi oleosi possono far parte della nostra alimentazione purché al
naturale e non nella versione con sale aggiunto. Sono ricchi di selenio, zinco e ferro: minerali preziosi per la
nostra salute. Le verdure crucifere, grazie ai loro glucosinolati, possono limitare l’assorbimento di iodio
pertanto sono un valido alleato da tenere in considerazione: via libera, quindi, a cavolfiori, cavolo
cappuccio, cavolini di Bruxelles, broccoli, cime di rapa, ravanelli e rucola. Sono tutti alimenti ricchi di fibre
ed antiossidanti, quindi aiuteranno e favoriranno la digestione ed il transito intestinale, oltre a contrastare i
danni da radicali liberi. Sono molto ricchi, inoltre, di micronutrienti che possono aiutare la salute tiroidea.
Oltre agli alimenti da tenere in considerazione, andrà curata anche la loro preparazione: esistono delle
metodologie che possono ridurre lo iodio presente negli alimenti, in particolar modo le modalità di cottura
come la bollitura, infatti nel brodo di cottura viene trasferito lo iodio che possiamo eliminare non
consumando l’acqua di cottura. Vanno evitati tutti gli alimenti contenenti iodio quindi pesce di mare,
insaccati e prodotti caseari. Molto importante evitare gli alimenti industrializzati dove viene ampiamente
utilizzato anche sotto forma di coloranti o conservanti che lo contengono: controllate sempre le etichette di
quello che volete acquistare e, se trovate tra gli ingredienti lo iodio, l’eritrosina o l’agar-agar, vanno evitati.
Evitare tutte le bevande con effetto eccitante come caffè, tè, bevande energetiche e bevande contenenti
caffeina in modo da non peggiorare eventuali stati di ansia o nervosismo spesso presenti in caso di
ipertiroidismo. Evitare o moderare il glutine.

Dieta e osteoporosi

L'osteoporosi è una malattia cronica caratterizzata da alterazioni della struttura ossea con conseguente
riduzione della resistenza al carico meccanico ed aumentato rischio di fratture. I fattori di rischio
modificabili sono: la malnutrizione (carenza di calcio, fosforo e vitamina D), l’inattività fisica, la mancata
esposizione al sole, il fumo di tabacco, l’abuso di caffe e bevande alcoliche. Ci sono poi fattori di rischio
parzialmente influenzabili come: il peso, la menopausa, le malattie endocrine e reumatologiche. Mentre i
fattori non influenzabili sono: sesso (femminile: le donne hanno un maggior rischio di ammalarsi di
osteoporosi rispetto agli uomini a causa della massa ossea inferiore, della maggiore longevità, e di una dieta
spesso povera di calcio), età, etnia, (bianca e asiatica), familiarità. Per lungo tempo, vista l'età di insorgenza,
si è pensato che l'osteoporosi fosse una malattia legata all'invecchiamento. Oggi, invece, gli specialisti
preferiscono parlare di malattia prevalentemente pediatrica, in quanto sembra che il fattore di rischio più
rilevante sia il mancato raggiungimento del picco di massa ossea. Per intenderci, un bambino che soffre di
una carenza nutrizionale (calcio, fosforo e vitamina D) o è afflitto da uno scompenso metabolico -
ormonale, tale per cui non sviluppa correttamente le ossa, ha una maggiore probabilità di
diventare osteoporotico in età adulta o geriatrica. Per favorire il raggiungimento e il mantenimento del
picco di massa ossea, è inoltre importante evitare di consumare eccessive quantità di fattori nutrizionali e
antinutrizionali che interferiscono con l'assorbimento del calcio o che ne promuovono l'escrezione renale
con le urine. Ad esempio: Non eccedere con il sodio: se in eccesso, oltre a favorire l'ipertensione, questo
minerale aumenta l'escrezione renale del calcio dal circolo sanguigno; Non eccedere con il fosforo: questo
minerale indispensabile per la sintesi di idrossiapatite (il minerale delle ossa), se proporzionalmente in
eccesso rispetto al calcio, ostacola l'assorbimento di quest'ultimo.  Non eccedere con le proteine: si è
ipotizzato che un apporto smodato di proteine, a causa del notevole residuo azotato, possa aumentare
anch'esso l'escrezione renale del calcio dal circolo sanguigno; Non eccedere con le fibre, con l'acido fitico,
con l'acido ossalico e con i tannini: le fibre sono indispensabili al corretto funzionamento dell'intestino, ma
se in eccesso ostacolano l'assorbimento intestinale dei nutrienti. L'acido ossalico, quello fitico e i tannini
hanno la tendenza a legarsi con certi minerali nell'intestino, tra cui il calcio, impedendone la captazione.
Non eccedere con il saccarosio e l'alcol etilico; sono considerati fattori negativi per il corretto metabolismo
del calcio e delle ossa. Non eccedere con gli stimolanti come la caffeina e la teofillina. Una dieta ricca
di calcio e fosforo, e sufficienti livelli di vitamina D vitamina K sono fondamentali per prevenire e
combattere l'osteoporosi. Bisogna favorire il consumo di cibi ricchi di calcio; soprattutto latte e
derivati. Promuovere il consumo di cibi ricchi di vitamina D; anche se questa vitamina viene sintetizzata
principalmente nella pelle in esposizione ai raggi solari, quantità più o meno rilevanti di vitamina D possono
essere assunte con la dieta. Di recente è stata avanzata l'ipotesi che il deficit di vitamina K possa correlarsi
ad una maggior predisposizione all'osteoporosi. Assicurarsi un apporto sufficiente di magnesio. Anche
questo minerale partecipa all'osseificazione, ragione per la quale una sua carenza cronica potrebbe anche
partecipare alla patogenesi dell'osteoporosi. Non eccedere con i consumi di alimenti fortemente proteici.
Non eccedere col sale. Consumare la giusta porzione di legumi e cereali integrali.

Categori Peso
a Età (anni)1 (kg)2 Apporto di Calcio (mg/die)

Lattanti 0,5-1 7-10 500

Bambini 1-3 9-16 800

  4-6 16-22 800

  7-10 23-33 1000

       

Maschi 11-14 35-53 1200

  15-17 55-66 1200

  18-29 65 1000

  30-59 65 800
  60+ 65 1000

       

Femmine 11-14 35-51 1200

  15-17 52-55 1200

  18-29 56 1000

  30-49 56 800

  50+ 56 1200-1500

       

Gestanti     1200

Nutrici     1200

Chirurgia cardiaca – trapianto del cuore e nutrizione

Numerose evidenze scientifiche supportano l’importanza che ha l’ottimizzazione del lo status nutrizionale
nel paziente trapiantato di cuore. I pazienti con trapianto di cuore sono, per una serie di fattori che vanno
dalle dalla CAV (vasculopatia da allotrapianto cardiaco) agli effetti della terapia di immunosoppressione,
particolarmente esposti al rischio di malattia cardiovascolare. Il paziente può andare incontro a: un
aumento della circonferenza addominale (maggiore di 102cm nell’uomo e 88cm nella donna),
peggioramento della dislipidemia, peggioramento o insorgenza dell’intolleranza glucidica e del diabete,
ipertensione arteriosa. Le principali condizioni che limitano la sopravvivenza post trapianto a medio- lungo
termine sono due: - lo sviluppo di CAV (vasculopatia da allotrapianto cardiaco); - gli effetti avversi della
terapia immunosoppressiva. La CAV, vasculopatia da allotrapianto cardiaco, è una complicanza del cuore
trapiantato. Poiché predispone all'infarto del miocardio, essa è il maggiore ostacolo al successo a medio-
lungo termine del trapianto cardiaco. Questa malattia consiste nell’interazione complessa tra fattori
immunitari (l’organo trapiantato è visto dal sistema immunitario come non self) , infettivi (CMV) e
metabolici, che alterano la funzione dell’endotelio vascolare e danno luogo ad una particolare vasculopatia
dei vasi venosi ed arteriosi del cuore trapiantato , risparmiando il tessuto autologo ( non ricevuto dal
donatore). Ad oggi, al di la di approcci farmacologici (ancora da validare a pieno) volti a diminuire
l’incidenza di CAV (Tacrolimus, Everolimus, statine) poiché caratterizzati da minore tossicità e maggiore
specificità, il controllo dei fattori di rischio metabolici, anche attraverso una dieta adeguata, costituisce il
principale approccio preventivo riguardo tale grave complicanza. Numerosi farmaci immunosoppressori
assunti dal ricevente trapianto cardiaco hanno effetti collaterali in gran parte ma non solo ascrivibili alla già
citata sindrome metabolica. Dopo il trapianto di cuore è più che mai necessario assicurare un adeguato
apporto di sostanze nutrienti, oltre che per LA PREVENZIONE delle complicanze metaboliche, anche per LA
RIABILITAZIONE (integrazione delle perdite, protezione contro le infezioni, migliore guarigione delle ferite) .
Tutto questo va parametrato in base alle esigenze e problematiche proprie del paziente, pregresse o
derivanti dalla terapia. Il giusto fabbisogno calorico deve essere mirato al raggiungimento di un peso ideale.
Non va dimenticato che una corretta igiene dell’alimentazione è fondamentale nel soggetto
immunodepresso, al fine di prevenire le infezioni. A tal proposito vanno tenuti a mente i seguenti
accorgimenti: - Evitare il consumo di cibi crudi (molluschi, frutta e verdura non adeguatamente lavate,
formaggi e latticini di incerta provenienza, carne cruda) - Sottoporre ad immediata refrigerazione gli
alimenti destinati a non essere consumati nell’immediato - Lavarsi accuratamente le mani durante la
preparazione dei cibi. la raccomandazione che va fatta al ricevente trapianto cardiaco è di evitare
assolutamente l’assunzione di pompelmo e melograno, in quanto interferiscono con i livelli plasmatici di
Ciclosporina A e di Tacrolimus. La carne va mangiata nella giusta quantità ma preferendo quella bianca
magra. Il pesce è un ottimo alimento ricco di acidi grassi essenziali omega-3 (EPA e DHA) che abbassa le LDL
e i trigliceridi e aumenta gli HDL (assunzione di almeno 1% delle calorie totali della dieta). Pane e pasta
vanno bene dando la preferenza alla versione integrale e vanno consumati con poco condimento. Latte e
latticini magri come i fiocchi di latte sono ottimi alimenti proteici ricchi di calcio. Le uova anche se ricche di
colesterolo sono una miniera di minerali, vitamine e aminoacidi e 2 uova a settimana sono concesse.
Legumi, frutta e ortaggi vanno assunti in abbondanza e come condimento preferire l’olio extravergine
d’oliva (ricco di monoinsaturi). Bisogna moderare il consumo di sale e alimenti ricchi di sodio (non più di 6g
di sale al giorno). Il paziente cardiotrapiantato deve spesso fare i conti con la possibile compresenza di
patologie quali obesità, ipertensione, dislipidemia, diabete o alterata tolleranza al glucosio, alterazione
della funzionalità renale, osteoporosi, che oltre ad essere potenzialmente indipendenti o dovuti ad altre
cause specifiche, sono anche il pegno da pagare alla terapia immunosoppressiva.

Infarto del miocardio e coronapatie, insufficienza cardiaca

Le malattie cardiovascolari sono patologie a carico del cuore e dei vasi sanguigni . Tra queste rientrano: Le
malattie cerebrovascolari , come l’ictus ischemico ed emorragico. Le malattie ischemiche del cuore ,
come l’infarto acuto del miocardio , l’angina pectoris (caratterizzate da dolore, senso di oppressione in
regione retrosternale o al braccio sinistro o tra le scapole) e la cardiopatia ischemica cronica , accomunate
tutte da uno scarso apporto di sangue al muscolo cardiaco. Le cardiomiopatie , patologie che colpiscono il
muscolo del cuore, modificandone la struttura e quindi la conformazione cardiaca. Possono essere primitive
(di origine genetica) o secondarie ad altre malattie dell’organismo o del cuore. Sia le malattie ischemiche
che le cardiomiopatie possono complicarsi o manifestarsi con l’ insufficienza cardiaca (il cuore inizia a non
pompare bene tutto il sangue) e/o le aritmie (disturbi del normale battito cardiaco). Le malattie
cerebrovacolari rappresentano una delle principali cause di morte nel nostro paese. Inoltre, sono malattie
spesso invalidanti che comportano alcune modifiche della qualità di vita . In particolare, la cardiopatia
ischemica (alterazione delle arterie coronarie, i vasi sanguigni che portano sangue al cuore) è la prima causa
di morte in Italia. L’ aterosclerosi è una delle principali cause dell’insorgere delle malattie del cuore. I vasi
sanguigni e gli strati interni delle pareti delle arterie diventano pian piano più spessi e irregolari , si
restringono a causa del deposito e della progressiva formazione della placca aterosclerotica , i cui
componenti principali sono lipidi ( grassi ), cellule muscolari infiammatorie e lisce, ma può anche contenere
tessuto connettivo e depositi di calcio. Di conseguenza, il sangue scorre con più difficoltà. Scorrendo
lentamente, si può formare un trombo o un coagulo , che può provocare un improvviso arresto del flusso
sanguigno. Inoltre, la placca aterosclerotica può rompersi e scatenare automaticamente un meccanismo di
riparazione il cui scopo è quello di richiudere le fratture che si sono formate, ma il coagulo che si viene a
creare può agire da tappo e occludere completamente l’arteria Nel caso dell’infarto, ciò accade a livello
delle coronarie, i vasi arteriosi che portano il sangue al cuore. Generalmente, le malattie cardiovascolari si
sviluppano lentamente nel tempo e spesso non danno alcun segno o sintomo (se non quando la malattia ha
già raggiunto uno stadio severo). Esistono tanti fattori di rischio diversi che contribuiscono (spesso tutti
insieme) allo sviluppo delle malattie ischemiche del cuore, come: l’età avanzata, il sesso (i maschi sono più
predisposti), pressione arteriosa elevata (ipertensione), l ivelli elevati di colesterolo (ipercolesterolemia),
diabete mellito di tipo 2, abitudine al fumo di sigaretta, obesità e sedentarietà, predisposizione genetica
(familiarità), livello di inquinamento, l’ apnea ostruttiva del sonno (nota come OSAS). Alcuni di questi fattori
sono modificabili attraverso cambiamenti dello stile di vita (es. l’astensione al fumo, una buona
alimentazione che controlli gli apporti di grassi, sale e zuccheri, la regolare attività fisica , ecc.) o mediante
l’assunzione di farmaci (prescritti dal medico), mentre su altri purtroppo non si può intervenire (età, sesso
maschile, storia familiare). È perciò importante, finché si è in tempo, intervenire sui fattori di rischio che
sono modificabili. Nella maggior parte dei casi (più del 90%), l’infarto miocardico rappresenta la
manifestazione più grave della cardiopatia ischemica ed è causato dall’occlusione totale di un’arteria
coronaria, con l’interruzione del flusso sanguigno e mancanza d’ossigeno alla cellula, con conseguente
necrosi miocardica. Il sintomo classico è rappresentato dal dolore toracico. Non esiste una dieta specifica
per chi è reduce da un evento cardiaco come l’infarto miocardico o soffre o ha sofferto di angina pectoris.
Tuttavia, è importante cercare di mangiare in modo equilibrato seguendo un regime alimentare che assicuri
un corretto apporto di grassi, di proteine, di carboidrati e che preveda l’astensione dalle bevande alcoliche.
La dieta mediterranea , che privilegia il consumo di acidi grassi monoinsaturi (come quelli dell’olio di oliva)
e omega 3 (come quelli del pesce o delle noci), è stata associata alla riduzione del rischio cardiovascolare .
Le linee guida raccomandano tuttora a coloro che sono stati colpiti da un attacco di cuore una dieta che
preveda, oltre a un minore apporto di colesterolo, una riduzione più ampia dell’introito di grassi totali.
Scegliere cibi con un basso contenuto di grassi saturi e colesterolo . Scegliere cibi ad elevato contenuto di
amido e fibre e basso tenore in zuccheri semplici . Cucinare senza grassi aggiunti. Preferire metodi di
cottura semplici, come la cottura a vapore, sulla griglia o piastra, in pentola a pressione, ecc., piuttosto che
la frittura, la cottura in padella o bolliti di carne. Mangiare con moderazione, suddividendo le calorie della
giornata tra colazione, spuntino, pranzo, merenda del pomeriggio e cena , invece di consumare tre pasti
(colazione, pranzo e cena) troppo abbondanti. In caso di sovrappeso o obesità, si raccomanda la riduzione
del peso e del “girovita”, ossia la circonferenza addominale , indicatrice della quantità di grasso depositata
a livello viscerale. Valori di circonferenza vita superiori a 94 cm nell'uomo e ad 80 cm nella donna si
associano ad un rischio cardiovascolare “moderato"; valori superiori a 102 cm nell'uomo e ad 88 cm nella
donna sono associati ad un "rischio elevato". Tornare ad un peso normale permette di ridurre tutti i fattori
di rischio, come diabete mellito tipo 2, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia,
malattie che aumentano il rischio cardiovascolare. Evitare le diete “fai da te”. In caso di sovrappeso e/o
obesità, è indispensabile seguire una dieta che verrà concordata con il medico specialista in base
all’evoluzione della malattia. Rendere lo stile di vita più attivo (abbandona la sedentarietà! Se puoi evita
l’uso dell’ascensore e fai le scale a piedi, parcheggia l’auto lontano dalla tua destinazione, fai la spesa con
un carrellino e cammina a piedi, ecc.). Praticare regolare attività fisica , che deve essere incrementata in
modo graduale nelle 3-6 settimane dopo la dimissione dall’ospedale e concordata con il medico specialista.
Leggere le etichette dei prodotti, soprattutto per accertarsi del loro contenuto in zuccheri, grassi idrogenati
e sale . Non fumare : il fumo aumenta il rischio di ipertensione arteriosa e anche il rischio di infarto
cardiaco, ictus cerebrale e altre malattie delle arterie . La probabilità per un fumatore di subire un ictus è
doppia rispetto a chi non fuma ed è 5 volte maggiore il rischio di avere problemi al cuore. Oltre al sale
(cloruro di sodio), il sodio si trova negli alimenti con altri nomi quali il glutammato di sodio (il principale
ingrediente dei dadi da brodo), benzoato di sodio (conservante nelle salse, nei condimenti e nelle
margarine) e il citrato di sodio (esaltatore di sapore dei dolci, gelatine e alcune bevande). Scegliere sughi
semplici, come il sugo al pomodoro o sughi di verdura per condire pasta o riso. Attenzione: se si assumono
un diuretico risparmiatore di potassio e/o farmaci antiaritmici, è consigliabile avvisare il medico prima di
apportare modifiche sostanziali alla propria dieta. Durante la terapia anticoagulante (farmaci Coumadin o
Sintrom) è importante non eccedere con l’apporto della vitamina K , la quale contrasta l’efficacia di questi
medicinali. Gli alimenti ricchi in vitamina K sono broccoli, cavolo, verza, crauti, cavolfiore, lattuga, insalate,
cavolini di Bruxelles, soia, maionese, fegato bovino, tè verde, lenticchie, spinaci e prezzemolo: limitare il
consumo di questi alimenti. Inoltre, si sconsiglia l’uso di bevande alcoliche durante la terapia
anticoagulante. Dopo un infarto, la terapia farmacologica può ridurre fino al 20% circa le recidive, ma le
modificazioni dello stile di vita e idonee abitudini alimentari rappresentano uno dei capisaldi per la
prevenzione secondaria dell’infarto del miocardio, ossia la riduzione del rischio di complicanze dopo
l’infarto, ma anche del rischio di un secondo infarto. Le recidive purtroppo sono frequenti e chi ha già avuto
un infarto ha un forte rischio di svilupparne un secondo. Nei primi due anni dopo un infarto, 6 pazienti su
10 rischiano di essere di nuovo ricoverati e nel 30% dei casi proprio per una nuova sindrome coronarica
acuta (dati ANMCO). È perciò importantissimo che i pazienti si attengano alla terapia farmacologica
prescritta dal medico curante per controllare i fattori di rischio quali colesterolo, pressione arteriosa,
frequenza cardiaca, compenso glicometabolico. Spesso i valori ottimali in questi pazienti sono più bassi
rispetto a quelli definiti per la popolazione generale, in particolare il colesterolo LDL. Infatti, la ESC (Società
Europea di Cardiologia) nel 2019 ha rivisto le linee guida per il post evento, consigliando di portare i livelli di
colesterolo LDL sotto la soglia di 55 mg/dl . Oltre a ciò, il paziente deve modificare il suo stile di vita
(astensione dal fumo, corretta alimentazione ed attività fisica).

Nutrizione e ictus

"Ictus" è il termine medico che indica un danno del tessuto cerebrale o la morte di una sua porzione, dovuti
a un'insufficiente afflusso di sangue a un'area del cervello. Persone di ogni età possono sviluppare un ictus;
tuttavia, le statistiche dicono che gli individui più a rischio di sviluppare la condizione cerebrovascolare in
questione sono gli anziani. L'ictus è la conseguenza di un'interruzione o di una riduzione dell'apporto di
sangue ossigenato a un'area più o meno estesa del cervello. Nella maggior parte dei casi, a compromettere
l'apporto di sangue al cervello è la presenza di un trombo o un embolo ostruttivo all'interno di un'arteria
cerebrale o di un vaso arterioso che precede le arterie cerebrali (esempi tipici sono le carotidi); più
raramente, la compromissione dell'afflusso di sangue al cervello è dovuta alla rottura di un'arteria del
cervello e all'emorragia che ne deriva. L'ictus riconosce diversi fattori di rischio. Quelli modificabili sono:
L'ipertensione cronica o pressione alta cronica (è patologico un livello di pressione arteriosa superiore a
120/80 mmHg); L'aterosclerosi; Il fumo e il fumo passivo; L'ipercolesterolemia (o colesterolo alto);
Il diabete mellito; Il sovrappeso e l'obesità; L'inattività fisica; Le malattie cardiovascolari e le aritmie
cardiache; L'abuso di alcolici; L'uso di droghe (es: amfetamine); L'uso della pillola anticoncezionale
estrogenica e la terapia ormonale estrogenica. Le cause non modificabili sono: L'età avanzata. A partire dai
55 anni, il rischio di ictus diviene rilevante e raddoppia ogni decade; La popolazione di appartenenza. Come
affermato in precedenza, sono maggiormente predisposti all'ictus gli Africani, i Caraibici e gli Asiatici; La
familiarità per l'ictus, il TIA o le patologie cardiache (es: attacco di cuore); Il sesso maschile. Gli uomini
soffrono di ictus con maggiore frequenza rispetto alle donne. La prevenzione primaria dell'ictus si fonda,
sostanzialmente, su comportamenti all'insegna della salute e del benessere, come per esempio adottare
una dieta sana ed equilibrata, non fumare, praticare attività fisica con regolarità, non eccedere con il
consumo di sostanze alcoliche ecc. Studi scientifici dimostrano come il consumo di olio d’oliva, frutta,
verdura e pesce azzurro possa ridurre il rischio di ICTUS fino al 20%. In particolare, consumare agrumi,
mele, pere e verdure a foglia contribuisce molto alla protezione. Per questo, gli esperti consigliano di
consumare almeno 3 porzioni di vegetali al giorno. Il rischio di incorrere nell’ictus aumenta linearmente al
consumo di grassi saturi, cereali raffinati, zuccheri ed alimenti industriali. Postumi di stroke o ictus: i
pazienti devono essere valutati durante il decorso dal punto di vista funzionale (disfagia) e nutrizionale. I
fabbisogni energetici non si discostano significativamente da quelli previsti per la popolazione normale. Se
possibile andrebbe eseguita una calorimetria indiretta per un’accurata determinazione delle richieste
nutrizionali. Nei soggetti con normale funzione deglutitoria, la supplementazione con integratori liquidi si è
dimostrata efficace. In caso di disfagia completa, la nutrizione enterale deve essere utilizzata. Non è
attualmente stabilito su base di evidenze il timing dell’inizio post-stroke della NE, ma è ragionevole indicare
un periodo massimo di attesa di 7 giorni negli individui normonutriti e di pochi giorni nei soggetti malnutriti.
L’eventuale insorgenza di reflusso gastro-esofageo di alimenti va attentamente monitorizzata, per evitare il
rischio di aspirazione, e provvedimenti adeguati devono essere attuati: posizione del tronco inclinata di 30°
durante la somministrazione della NE; valutazione periodica della presenza ed entità del ristagno gastrico,
che non deve essere superiore a 200 ml. Nei soggetti con disfagia persistente dopo 15 giorni dallo stroke, e
probabile sua durata >2 mesi, è consigliato il posizionamento della PEG (Gastrostomia Endoscopica
Percutanea) o, in caso di evidente rischio di aspirazione, di PEJ (Digiunostomia Endoscopica Percutanea).

Le ustioni

Le scottature e le bruciature sulla pelle possono essere causate da diversi fattori tra cui l'esposizione al sole
o a eccessivo calore, i prodotti chimici, l'elettricità, le radiazioni e altro. I tre tipi di ustioni che interessano la
cute sono di primo, secondo e terzo grado. Un'ustione di primo grado danneggia solo lo strato
superficiale della pelle; mentre quella di secondo grado provoca danni fino allo strato sottostante. Le
ustioni di terzo distruggono invece tutti gli strati della cute. In ogni caso, oltre a trattamenti specifici, è
possibile mangiare alimenti che aiutano ad alleviare e a guarire le scottature e le bruciature dall'interno. La
dieta è una componente fondamentale per facilitare la guarigione nel paziente ustionato. Si rende infatti
necessaria un'adeguata quantità di calorie e proteine nonché di antiossidanti per migliorare e facilitare il
risanamento delle ferite da scottatura e da bruciatura, mantenere il peso corporeo e prevenire le infezioni.
Nel paziente gravemente ustionato il catabolismo proteico muscolare è accelerato, e il consumo energetico
aumenta in proporzione all'estensione e alla profondità delle lesioni, così come lo stress ossidativo. Acqua,
calore, minerali, proteine e micronutrienti (vitamine, oligominerali) vengono inoltre persi attraverso le
lesioni superficiali. È fondamentale iniziare precocemente un trattamento nutrizionale, entro le prime 6 ore
dall'evento. La quantità di alimento dovrebbe essere gradualmente aumentata in quanto la risposta
ipermetabolica può essere aumentata dall'infiammazione, dal dolore, dall'ansia, dalle sopravvenute
infezioni (sepsi) e dall'abbassamento della temperatura corporea. Se il paziente può alimentarsi da solo va
impostata una dieta orale ipercalorica e iperproteica, eventualmente impiegando supplementi nutrizionali
completi con integrazione di vitamine e antiossidanti. Se ciò non è possibile la nutrizione enterale (risultata
più efficace rispetto alla via parenterale) dovrebbe essere iniziata entro le prime 24 ore successive al
trauma. È necessario incrementare l'apporto proteico finché non si ottiene una guarigione delle lesioni. I
carboidrati forniscono la maggior parte delle calorie. Le ustioni necessitano di glucosio, proveniente
soprattutto dai carboidrati, per la guarigione. I carboidrati impediscono inoltre il ricorso da parte
dell'organismo alle proteine come fonte di combustibile, evitando così anche una perdita a livello di massa
muscolare. I pazienti ustionati hanno esigenze molto alte di proteine a causa delle grandi perdite di tale
nutriente dovute alla bruciature profonde che possono intaccare anche i tessuti più interni. In
genere, coloro che presentano bruciature sulla pelle necessitano di introdurre circa il 20-25 per cento delle
loro calorie da proteine, oppure 1,5-2,0 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo. Un po'
di grasso è necessario nella dieta di tutti i giorni, se non altro per facilitare l'assorbimento di nutrienti, in
particolare delle vitamine liposolubili. In genere, circa il 30 per cento delle calorie dovrebbe derivare da
grassi, ma troppo grasso può indebolire il sistema immunitario quindi bisogna stare attenti a non esagerare.
Inoltre, si consiglia di consumare soprattutto alimenti contenenti grassi buoni, come per esempio gli omega
3 presenti in frutta secca, semi oleosi, oli vegetali, avocado, e pesce grasso. Gli antiossidanti sono necessari
per contrastare i danni provocati dai radicali liberi e facilitare la ricostruzione del tessuto cutaneo bruciato.
Gli antiossidanti naturali sono rappresentati proprio dalle vitamine e dai minerali, in particolare vitamina C,
betacarotene, e vitamina E. Il fabbisogno di vitamine e minerali aumenta da 5 a 10 volte nei pazienti
ustionati. Si consiglia quindi di consumare molta frutta e verdura di stagione, che è sempre la più ricca di
antiossidanti, soprattutto di vitamina C e betacarotene, necessarie per favorire la sintesi di collagene. La
vitamina E invece, molto utile per lenire la pelle scottata e rovinata facilitandone la guarigione, si trova
soprattutto negli oli vegetali.

Dieta e lipodistrofia HIV correlata

Le sindromi lipodistrofiche costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate dalla perdita più o
meno estesa di tessuto adiposo sottocutaneo, in assenza di uno stato di deprivazione nutrizionale o di
aumentato catabolismo. In base all’eziologia, le lipodistrofie vengono distinte in genetiche o acquisite e, in
base al grado di perdita del tessuto adiposo, in generalizzate o parziali. Le forme acquisite riconoscono di
solito una causa autoimmune con l’eccezione di quelle causate dalla terapia antiretrovirale, in pazienti HIV
positivi o quelle (estremamente) localizzate causate dalla iniezione sottocutanea di insulina o di altri
farmaci. Nei soggetti lipodistrofici l’espandibilità del tessuto adiposo, e la sua capacità di accumulare un
surplus energetico, viene superata anche per apporti calorici minimi. Questo comporta da un lato un
accumulo di lipidi in siti ectopici quali fegato, muscolo, rene e pancreas e dall’altro la cronica riduzione dei
livelli circolanti dell’ormone leptina. Bassi livelli di leptina stimolano il senso di fame, alimentando un circolo
vizioso che porta ad un progressivo accumulo ectopico di grasso. A livello periferico viene meno l’azione
che favorisce l'utilizzo del glucosio e degli acidi grassi da parte del muscolo scheletrico con conseguente
lipotossicità. L’accumulo ectopico di grasso intramuscolare ed epatico contribuisce allo sviluppo di
resistenza insulinica. Le sindromi lipodistrofiche sono quindi caratterizzate da molteplici alterazioni
ormonali e metaboliche, quali insulino-resistenza con precoce comparsa di diabete mellito,
ipertrigliceridemia grave, steatosi epatica non alcolica (NAFLD) ed un quadro analogo a quello dell’ovaio
policistico.  In alcuni pazienti tali complicanze possono condurre a nefropatia e retinopatia diabetica,
pancreatite acuta dovuta alla grave ipertrigliceridemia e chilomicronemia, cirrosi epatica e patologie
cardiovascolari ad insorgenza precoce. In alcuni sottotipi di lipodistrofia sono più frequenti cardiomiopatie e
nefropatie, anomalie della conduzione cardiaca, miopatie, alterazioni ossee ed un aumentato rischio di
neoplasia. Inoltre, il paziente lipodistrofico lamenta spesso sintomi somatici con dolore osseo ed un
aumentato rischio di neoplasia. Il trattamento delle lipodistrofie ha lo scopo di migliorare innanzi tutto le
complicanze metaboliche associate alla patologia, dato che mortalità e morbidità risultano attenuate da un
intervento precoce. La dieta ipocalorica a basso contenuto lipidico e l'esercizio fisico sono parte integrante
del piano terapeutico. La dieta può essere difficile da seguire perché i pazienti, in particolare nelle forme
generalizzate, sono in genere iperfagici a causa della carenza di leptina. L'esercizio fisico può migliorare la
sensibilità insulinica ma è controindicato in pazienti con grave cardiomiopatia. La metformina è il farmaco
di prima scelta nel trattamento del diabete e dell'insulino-resistenza. Infine, i cambiamenti estetici causati
dalla lipodistrofia possono portare a disagio psicologico, con la necessità di un supporto psicologico. La
chirurgia plastica può contribuire a migliorarne l'aspetto estetico ed i possibili interventi includono il
trapianto autologo di tessuto adiposo, fillers dermici o innesti per trattare la lipoatrofia facciale, la
liposuzione delle aree con eccessivo deposito adiposo (come il collo) e l'impianto di protesi mammarie nei
casi di ipoplasia.

Demenza e malattie neurologiche evolutive

Demenze: i fabbisogni energetici non si discostano dai valori teorici; la frequenza della malnutrizione
associata a una riduzione delle ingesta causata da disturbi funzionali della patologia, pone il problema del
supporto nutrizionale; la supplementazione orale con integratori liquidi si è dimostrata efficace
nell’incrementare il peso. L’indicazione all’utilizzazione della NE tramite PEG/PEJ è controversa, ma
rappresenta un presidio di sopravvivenza nei soggetti con disfagia totale o subtotale. Malattia di Parkinson:
i fabbisogni energetici non si discostano dai valori teorici; la malnutrizione è frequente durante la
progressione della terapia e lo stato di nutrizione va quindi monitorizzato. Non esistono evidenze ma è
ragionevole consigliare l’utilizzo di supplementi per via orale quando possibile e la NE tramite PEG o PEJ
quando la disfagia diventa sub-totale o totale. SLA o Sclerosi Laterale Amiotrofica: è dimostrato un
incremento di circa il 10% del fabbisogno energetico. La NE tramite PEG/PEJ è efficacie nel ridurre il
deterioramento nutrizionale e aumentare il tempo di sopravvivenza, va posizionata prima che la capacità
respiratoria si riduca del 50%.

Procedure nutrizionali non ortodosse: significa procedure nutrizionali non convenzionali, non provate, non
riconosciute per es la dieta del gruppo sanguigno non ha alcun fondamento scientifico

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