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Spesso si fa confusione tra pianta spontanea e pianta infestante. Infatti, non tutte le piante
spontanee sono infestanti. Una pianta diventa infestante nel momento in cui diventa un problema
per la coltura principale diminuendo la sua resa e qualità. Tutte le piante definite infestanti sono
autotrofe, ovvero hanno la capacità di fotosintetizzare, tranne alcune piante come la cuscuta e
l’orobanche, che sono piante parassite che non hanno la capacità di fotosintetizzare, ma con degli
organi preposti si nutrono dalle piante coltivate autotrofe e assorbono la linfa elaborata e, quindi,
tutti i fotosintetati che sopperiscono alla loro incapacità di fotosintetizzare. L’ideotipo di pianta
infestante può essere definito secondo alcune caratteristiche:
- Hanno la capacità di produrre semi con un’elevata germinabilità, per cui possono germinare
in condizioni avverse.
Come abbiamo detto, una delle caratteristiche più importanti delle infestanti è che hanno la capacità
di produrre tanti semi longevi. I semi delle infestanti possono essere dispersi in maniera naturale
tramite il vento, l’acqua, gli animali, ecc., oppure attraverso l’attività antropica dell’uomo:
- Attraverso l’acquisto di semi con bassa purezza. Quando l’agricoltore acquista i semi per la
coltura, all’interno della confezione vi sono anche semi di infestanti, per cui nel momento in
cui l’agricoltore semina si ritrova anche queste specie.
- I semi delle infestanti possono derivare anche dalle irrigazioni, infatti, essi sono molto
resistenti anche all’acqua derivante dalle irrigazioni, soprattutto quelle che prevedono corpi
d’acqua a pelo libero (sommersione o scorrimento) che favoriscono la dispersione dei semi.
Inoltre, anche con il letame si possono diffondere i semi dato che è costituito da deiezioni
solide e liquide degli animali misti alla lettiera, dove in entrambi in componenti possono
essere presenti semi che possono germinare nel momento in cui il letame venga distribuito
quando ancora non è maturo, rappresentando così un problema per la coltura principale.
- I semi possono essere dispersi con le macchine e le attrezzature agricole non ben pulite.
Le piante infestanti si riproducono per seme principalmente. In realtà, esiste una quota significativa
di piante infestanti che si riproducono anche per propagazione agamica, come è il caso di stoloni,
rizomi, bulbi, bulbilli, tuberi, ecc. è per questo motivo che i metodi per il controllo ed eliminazione
delle piante infestante devono valutare tali aspetti, proprio perché in base al metodo di riproduzione
l’agricoltore deve scegliere il metodo di difesa più adatto.
Le piante infestanti possono essere sia monocotiledoni che dicotiledoni. In questo senso, le piante
si differenziano per tante caratteristiche, ma un aspetto a cui dobbiamo fare particolare attenzione è
la differenza nella tipologia di foglia perché determina i metodi di lotta contro le infestanti. Le
monocotiledoni hanno foglie strette ed erette, mentre le dicotiledoni hanno foglie larghe ed
orizzontali. Questa distinzione è utile per stabilire delle distinzioni fra la pianta coltivata e la pianta
infestante e per stabilire i migliori metodi di lotta. Fra le altre cose, le piante infestanti possono
essere:
- Annuali. Si moltiplicano per semi e completano il loro ciclo vitale in una stagione.
- Poliennali. Si possono distinguere due tipi, ovvero quelle poliennali vere, in cui la parte
vegetativa dissecca ma dall’apparato radicale si sviluppa un apparato vegetativo nuovo
l’anno successivo. Riguarda alcune piante arbustive che possono essere infestanti. Oppure
poliennali perennanti, che hanno un sistema di diffusione sotterraneo, come è il caso dei
rizomi, bulbi, ecc., che rimangono vitali nel sottosuolo mentre la parte vegetativa dissecca di
anno in anno.
Di seguito vediamo una lista di alcune delle principali piante infestanti. Vediamo, inoltre, la
quantità di semi, misura che ci indica il livello di infestazione che possono provocare. Inoltre,
vediamo anche la loro longevità, la quale arriva a svariate decina di anni.
- Abutilon theophrasti o Cencio molle. Pianta erbacea che ha come frutto una capsula. La
capsula produce setti con semi molto piccoli, come è il caso del papavero, anch’essa una
pianta infestante. Queste piante infestanti possono contaminare la mietitrebbiatrice e
rimanere sugli organi lavoranti della macchina contribuendo alla dispersione.
- Sorghum halepense o Sorghetta. Pianta infestante che presenta un apparato rizomatoso, per
cui risulta dannosa, in particolare per il mais. Questa caratteristica è da considerare perché
pratiche come la fresatura contribuiscono al taglio dei rizomi e alla loro distribuzione sul
terreno, contribuendo alla crescita della pianta infestante.
Un aspetto importante che dobbiamo considerare è il tipo di necessità che hanno i semi delle piante
infestanti. Infatti, è fondamentale sapere se germinano in tutte le condizioni oppure se hanno
bisogno di condizioni particolare, come la profondità di interramento. Alcuni di questi semi,
infatti, hanno bisogno di rimanere in superficie per germinare, come è il caso della camomilla o del
papavero. Se questi semi vengono interrati con l’aratura risulta difficile la loro germinazione. Altre
specie possono germinare anche se vengono interrate a profondità maggiori, per cui il loro controllo
è più difficile.
Alcune delle piante infestanti, invece, si propagano per propagazione vegetativa. Queste piante
sono ancor più difficili da controllare perché utilizzano entrambe le loro possibilità di riproduzione
per garantirsi la massima diffusione possibile. Per le lunghe distanze utilizzano i semi, i quali
vengono distribuiti tramite il vento, gli animali, ecc.; mentre per le corte distanze possono
colonizzare il territorio accrescendo apparati come stoloni o rizomi. In quest’ultimo caso è
importante conoscere le piante infestanti, perché in base al loro metodo di riproduzione bisognerà
individuare metodi migliori per controllarle. Nel caso delle piante che si moltiplicano per rizoma, è
il caso di evitare lavorazioni come la fresatura o la sarchiatura che tagliano il rizoma e
contribuiscono alla diffusione della pianta.
La presenza delle infestanti può provocare diversi danni alle colture principali:
- Sono necessarie più lavorazioni meccaniche, per cui si ha un maggior danno alla struttura
del terreno.
- Sono un habitat di parassiti delle piante. Trovano ricovero nelle infestanti ma colpiscono la
coltura principale.
- Alcune piante possono essere tossiche perché sintetizzano sostanze che provocano dei
malesseri nel bestiame o anche la morte.
- Se la presenza delle infestanti non viene presa in considerazione per molto tempo, esse
possono prendere il sopravvento e, quindi, possono risultare veramente difficili da debellare.
- Determinano un abbassamento delle rese unitarie perché si sviluppa una competizione per la
luce, per l’acqua, per gli elementi nutritivi, ecc. In alcuni casi le piante infestanti possono
soffocare la coltura principale.
- La qualità della produzione peggiora perché la semente risulta contaminata. Infatti, una volta
effettuata la raccolta si raccoglie anche il seme dell’infestante, il quale è di scarsa qualità. I
semi delle piante infestanti sono più umidi, per cui possono innescare problemi legati alla
presenza di funghi e aflatossine che rendono la semente non commercializzabile.
Competizione
La competizione che si stabilisce tra le piante infestanti e la coltura principale è interspecifica, tra
individui di specie diverse o intraspecifica, tra individui appartenenti alla stessa specie. La
modalità di competizione più difficile da debellare è la competizione interspecifica perché riduce le
rese della coltura principale e, di conseguenza, determina minori entrate per l’agricoltore. I fattori
per i quali la pianta coltivata e la pianta infestante entrano in competizione sono diversi.
- Luce. La luce diventa fattore di competizione quando le piante infestanti, poiché hanno una
capacità di accrescimento maggiore, ombreggiano la pianta coltivata impedendo
l’intercettazione della radiazione luminosa riducendo l’efficienza fotosintetica. Il livello di
competizione per la luce dipende dal tasso di crescita delle infestanti, dal loro habitus
vegetativo, dalla loro densità e dall’epoca in cui la loro crescita inizia rispetto alla coltura. In
genere, la competizione è maggiore in primavera quando l’infestante germina a temperature
più basse rispetto alla coltura principale. L’habitus vegetativo è importante perché, ad
esempio, se l’infestante è strisciante è più difficile che competa per la luce perché non riesce
a ombreggiare. Al contrario, come è il caso della barbabietola, le piante infestanti
ombreggiano la coltura e riduce l’efficienza fotosintetica e, di conseguenza, la produzione.
- Acqua. In questo caso la competizione dipende da quanta efficienza hanno le specie
nell’uso dell’acqua. L’uso dell’acqua dipende dal RGR o Relative Growth Rate, un indice
che spiega quanto la pianta riesce a crescere sull’acqua utilizzata.
È un indice, quindi, che spiega come la pianta cresce in dipendenza dei fattori della
produzione e dipende dalla tipologia di apparato radicale delle due piante. Una pianta con
una radice fittonante arriverà più in profondità nel terreno e, quindi, riuscirà a esplorare
quote maggiori ottenendo un accesso maggiore all’acqua rispetto ad una pianta con un
apparato radicale fascicolato che rimane in superficie. Le piante infestanti, dato che nascono
come piante spontanee adattate sull’ambiente, sono anche piante più resistenti ad avversità
di tipo abiotico. Le colture, invece, sono piante selezionate in ambienti diversi per cui hanno
sempre bisogno di apporti esterni di acqua ed elementi nutritivi.
I fattori che influenzano la capacità competitiva delle piante infestanti rispetto alla coltura
principale sono diversi. In realtà, come abbiamo detto tante volte, i fattori non agiscono
individualmente, ma è la loro interazione che determina un effetto significativo. Segnaliamo:
- La specie coltivata. Non tutte le specie reagiscono allo stesso modo agli stress. Infatti,
alcune specie sono più resistenti all’azione competitiva delle specie infestanti, mentre altre
subiscono di più il danno. Ad esempio, la barbabietola, in presenza di piante infestanti
potrebbe non produrre.
- La varietà. Nell’ambito della stessa specie bisogna individuare la varietà che è più
resistente ad un’infestante particolarmente presente in un ambiente. Anche in questo caso,
bisogna conoscere bene l’ambiente di coltivazione in modo da individuare la varietà da
coltivare che abbia il minor bisogno di interventi esterni e sia più resistente alle piante
infestanti in modo da ridurre al minimo gli interventi di controllo.
- La densità della coltura. Chiaramente, più la distanza è limitata fra le piante coltivate,
meno spazio avrà la infestante per svilupparsi. La densità d’impianto viene stabilita in base
alla disponibilità dei fattori della produzione. Infatti, anche se in questo modo si controlla
meglio lo sviluppo delle infestanti, è anche vero che la coltivazione principale potrebbe
andare in contro a carenze se vi è scarsa disponibilità dei fattori della produzione.
Un aspetto che dobbiamo prendere in considerazione è la densità delle piante infestanti. Intanto,
queste specie producono moltissimi semi che hanno elevata germinabilità. Inoltre, aumentando la
densità delle malerbe diminuisce con un andamento sigmoidale la produzione per il loro vantaggio
competitivo. Il danno costituito dalle infestanti è strettamente legato alla loro densità, per cui ciò
significa che queste specie non nascono infestanti, ma lo diventano soltanto nel momento in cui
cominciano a recare un danno alla coltura principale. Al di sotto di una certa densità le piante non
vengono considerate infestanti e non devono essere esercitate azioni di contenimento. Per le piante
infestanti, quindi, al di sotto della soglia d’intervento l’agricoltore non deve intervenire, mentre al di
sopra di tale soglia l’agricoltore deve intervenire con metodi di lotta idonei. La soglia viene stabilita
in base a quanto il danno esercitato dalle infestanti si traduce in una riduzione della resa. Si
interviene nel momento in cui la presenza delle piante infestanti riduce la resa e quando il danno è
superiore al costo che dovrebbe sostenere l’agricoltore per controllare la pianta infestante.
Chiaramente, anche l’ambiente e la tecnica colturale influenzano l’intensità del danno esercitato
dalle piante infestanti. Più le condizioni colturali sono ideali in termini di disponibilità di acqua,
elementi nutritivi, ecc., più le piante infestanti proliferano. Altro aspetto importante è la durata. La
pianta infestante può non rappresentare un danno al di sotto di una certa soglia, la quale può essere
superata soltanto in alcuni periodi dell’anno, ovvero quando l’acqua diventa un fattore limitante in
zone non particolarmente ricche d’acqua o in fasi in cui la coltura principale è particolarmente
sensibile. Anche in questo caso è importante conoscere i bisogni della coltura e l’ambiente di
coltivazione per individuare il momento in cui eliminare le piante infestanti. Il timing è
fondamentale perché ogni intervento in campo rappresenta dei costi per l’agricoltore in termini di
carburante, manodopera, manutenzione e danni alla struttura del terreno.
In alcuni casi si può pensare di effettuare il diserbo poco prima della raccolta per favorire le
operazioni oppure poco prima che le infestanti vadano a fiore e producano frutti e semi che poi
possono rappresentare un problema per l’annata successiva. In alcuni casi il problema non sono i
semi o l’intensità dell’infestazione, ma è il fatto che alcune piante sono velenose, peggiorano la
qualità dei foraggi e possono essere pericolose per la salute degli animali. Le piante infestanti si
combattono attraverso diversi metodi di lotta. Distinguiamo fra:
Possono definirsi anche metodi preventivi, sono accorgimenti addottati per evitare che le piante
infestanti rappresentino un problema. Nei metodi moderni vengono favoriti i metodi di lotta
preventivi per ridurre l’impatto ambientale del diserbo, ridurre l’utilizzo della chimica e ridurre gli
interventi sul campo. Basta adottare accorgimenti che riducono l’entità dell’infestazione
mantenendola al di sotto della soglia di intervento. Tra i metodi di lotta indiretta sottolineiamo:
- Letame maturo. Nel letame possono essere presenti semi di piante infestanti perché
presenti nelle deiezioni o nella lettiera. È importante che il letame fermenti per 9 – 10 mesi
in modo che le alte temperature e le sostanze complesse che si sviluppano inattivino i semi
delle piante infestanti una volta che esso si distribuisca sul terreno.
Vengono praticati nel momento in cui le piante infestanti rappresentano un problema e devono
essere debellate. I metodi di lotta diretta sono diversi e si dividono in:
- La pacciamatura. Consiste nel ricoprire il terreno con materiale plastico o residui materiali
che evitano la germinabilità delle piante infestanti. Anche quei semi che germinano poi
rimangono bloccati al di sotto del telo e muoiono.
- Pirodiserbo. Consiste nel debellare le piante infestanti ricorrendo all’uso del fuoco
controllato. Questo mezzo si utilizzava in passato su piccole estensioni di terreno, ma non
più oggi perché può essere pericoloso e provoca danni alla fertilità.
2. Lotta meccanica
La lotta meccanica viene fatta ricorrendo all’utilizzo di organi lavoranti trainati, come gli erpici,
la sarchiatrice, la strigliatrice, ecc.; o organi lavoranti rotanti che servono a estirpare le piante
infestanti, le quali vengono lasciate in superficie e interrate per incrementare la quota di sostanza
organica.
3. Lotta biologica
La lotta biologica prevede il ricorso a microrganismi o insetti patogeni che controllano la presenza
delle piante infestanti. Si utilizzano, ad esempio, insetti, acari, funghi, nematodi, ecc. che si nutrono
soltanto delle piante infestanti. La lotta biologica è un metodo sostenibile che sfrutta la capacità
intrinseca di alcune specie di controllare le specie infestanti nutrendosi di loro, ma chiaramente ha
dei limiti.
- A volte il controllo non è immediato, per cui può capitare che la pianta infestante abbia già
ridotto le rese della coltura.
- Non si può programmare con assoluta certezza nessun tipo di lotta biologica per la limitata
differenza tra piante infestanti o coltivate.
4. Diserbo chimico
Il metodo più utilizzato in assoluto è il diserbo chimico, il quale fa ricorso a principi attivi che
determinano la morte delle piante infestanti. Il diserbo chimico si basa sull’utilizzo di erbicidi,
ovvero prodotti chimici fitotossici che controllano lo sviluppo delle piante infestanti. L’ideotipo
dell’erbicida deve presentare le seguenti caratteristiche.
- Essere molto selettivo, ovvero saper distinguere tra la pianta infestante e la pianta coltivata.
- Avere ampio spettro d’azione, ovvero la capacità di colpire più specie infestanti
contemporaneamente.
- Non essere dannoso né per l’uomo né per l’ambiente, senza lasciare residui né sul terreno
né sul prodotto vegetale né sulle acque.
Gli erbicidi si possono presentare sotto forma di diverse formule commerciali, ovvero come
emulsioni, granuli, microgranuli, polveri, ecc. In tutti i casi, la caratteristica importante è la
presenza del principio attivo, molecola che esercita la sua azione contro lo sviluppo della pianta
infestante. Oltre al principio attivo sono presenti dei co-formulanti e coadiuvanti che
contribuiscono ad aumentare l’efficienza del principio attivo. I co-formulanti servono a diluire il
principio attivo e, quindi, a ridurne la concentrazione, mentre i coadiuvanti aumentano l’efficacia.
Vengono aggiunti, ad esempio, degli attivanti che aumentano l’azione del principio attivo
aumentandone la penetrazione all’interno degli organi della pianta infestante, degli adesivanti, che
contribuiscono a rendere più resistente l’erbicida sulla pianta infestante, dei tensioattivi, che
riducono la tensione superficiale ed evitano che il prodotto scivoli facilmente con le piogge o il
vento e degli stabilizzanti, che servono a mantenere uniforme la miscela tra il principio attivo e i
co-formulanti. Il diserbo chimico può essere di due tipi:
- Diserbo totale. Fatto in caso in cui bisogni eliminare tutta la vegetazione presente in un
determinato luogo. Non si applica mai per l’agricoltura ma sui marciapiedi, negli ambienti
urbani, nelle strade ferrate, nei canali, ecc.
L’azione svolta dal diserbante è diversa e può essere regolata in dipendenza di quando il diserbo
venga praticato. Il diserbo può essere fatto in antesemina o in pre-impianto, quindi, quando ancora
la coltura non è presente, ma può essere presente la specie spontanea che potenzialmente potrebbe
diventare pianta infestante. Si fanno pretrattamenti per eliminare le piante spontanee sia sotto forma
di piantina che di semi. I trattamenti si possono applicare anche in pre-emergenza, cioè nel
momento in cui è stata già seminata la coltura e l’infestante è presente sotto forma di seme o
piantina e, quindi, si applica il trattamento con l’erbicida in modo da aspettare il momento in cui la
coltura si svilupperà e la pianta infestante non sarà più presente. Il trattamento in pre-emergenza si
divide in:
- Pre-emergenza residuale. In questo caso si tratta il terreno nudo e l’azione viene fatta sui
semi o sugli apparati radicali che sono rimasti nel sottosuolo e poi ributtano l’anno
successivo, per cui magari non è presente la vegetazione, ma le radici sono vitali.
- Erbicidi per contatto. Erbicidi che agiscono nel momento in cui entrano in contatto con la
pianta infestante. Determinano la morte e bruciature degli organi con cui entrano in contatto,
come le foglie o le radici. Questo metodo consente di avere un’azione localizzata
sull’infestante schermando la pianta coltivata.
- Erbicidi ad azione sistemica o endoterapica. Agiscono dall’interno della pianta, per cui
vengono assorbiti dalle radici o foglie dell’infestante, entrano nel sistema ed applicano la
loro azione colpendo processi fisiologici della pianta, bloccandoli e determinandone la
morte. La selettività in questo caso varia in dipendenza della capacità di assorbire l’erbicida
selezionato.
Chiaramente, gli erbicidi per contatto agiscono rapidamente, per cui la loro azione è immediata.
Tuttavia, nel momento in cui l’erbicida viene distribuito soltanto sulle foglie l’apparato radicale
potrebbe rimanere vitale e nell’annata successiva potrebbe ributtare e riformare l’apparato
vegetativo. L’effetto degli erbicidi per contatto, quindi, sono rapidi ma limitati nel tempo. L’effetto
degli erbicidi sistemici, invece, hanno necessità di un po’ più di tempo, ma ha un effetto definitivo,
infatti, muore sia la parte epigea e ipogea della pianta. È importante, oltre alla tipologia di erbicida,
anche la sua quantità. Anche in questo caso la dose da distribuire dipende dalla specie infestante,
dalla capacità di assorbire il principio attivo e dalla capacità del principio attivo di effettuare la sua
azione. Un aspetto importante è la selettività dell’erbicida, ovvero la capacità dell’erbicida di
distinguere la pianta infestante e la pianta coltivata. La selettività è legata alla dose, alla
formulazione, all’epoca di distribuzione, alla modalità di trattamento, ecc.
Per la selettività di contatto si possono sfruttare diverse caratteristiche che hanno le piante
coltivate e infestanti. È il caso nella presenza di cerosità, rugosità o zone meristematiche. Se
la pianta coltivata ha una cerosità delle foglie maggiore rispetto all’infestante, esse vengono
meno colpite dall’erbicida e non lo assorbiranno. Se la pianta coltivata ha zone
meristematiche più protette, come è il caso delle graminacee, sarà più difficile che l’erbicida
arrivi in queste zone delicate. Se l’infestante, invece, è una dicotiledone, ha le foglie più
aperte e i meristemi sono più esposti, per cui sarà più facile che l’erbicida li colpisca.
- Selettività di ritenzione. In questo caso si punta sulla diversa capacità delle piante di
trattenere l’erbicida. Questo dipende dalla conformazione delle foglie. Le dicotiledoni hanno
foglie orizzontali, per cui è più facile che l’erbicida si trattenga su di esse rispetto ad una
foglia verticale monocotiledone nella quale potrebbe scivolare. Inoltre, la presenza di peli o
pubescenze favorisce la formazione di goccioline che possono essere disperse col vento.
Oltre ai fattori ambientali, vi sono anche fattori intrinseci legati ai prodotti impiegati e alla loro
capacità di essere efficaci nel momento e di potersi degradare in tempo per non avere effetti
negative sulle colture. È importante tener conto dei fattori relativi alle piante trattate e
individuare il miglior momento in cui effettuare il trattamento con l’erbicida per danneggiare
l’infestante quando questa risulta più sensibile. In alcuni casi le piante infestanti sono più sensibili
quando si trovano nello stadio di plantula appena sviluppate, mentre in altri casi durante la fioritura.
Chiaramente, bisogna evitare che la pianta infestante produca i frutti e poi i semi perché sarà più
difficile controllarla.
Un aspetto fondamentale è il comportamento dei diserbanti nel terreno. Devono avere una certa
persistenza di azione in modo che agiscono durante l’annata colturale. Tuttavia, la persistenza
d’azione deve essere limitata in modo che il principio attivo venga degradato. La persistenza
d’azione può essere limitata da fenomeni di ruscellamento a causa dell’acqua irrigua o di
precipitazioni. Questo può essere dannoso per i corpi d’acqua dove finisce il principio attivo. Altro
problema è la volatilizzazione. In alcuni casi il principio attivo può volalizzarsi e può essere
disperso nell’ambiente perdendo efficacia dell’erbicida e contribuendo all’inquinamento
dell’ambiente. Altra questione riguarda l’assorbimento, il dilavamento e la decomposizione del
principio attivo una volta che questo arriva nel terreno. La degradazione del principio attivo deriva
anche dalla tipologia di terreno, ovvero dalla tessitura e struttura. A seconda del terreno il principio
attivo viene più o meno trattenuto. Se più pesante il principio attivo viene trattenuto, mentre se più
sciolto viene favorita l’ossidazione e l’inattivazione del principio attivo. La degradazione può
essere:
- Chimica, derivante dagli enzimi presenti nella soluzione circolante o nelle piante.
- Fotochimica, derivante dall’azione della luce e dell’acqua.
- Biologica, degradato dai microrganismi presenti nel terreno.
Chiaramente, la persistenza d’azione fa riferimento alla quantità di principio attivo che viene
assorbito dalle piante. Altro aspetto fondamentale sono gli effetti residuali. Si fa riferimento a
quanto del principio attivo rimane nel terreno e quanto può risultare dannoso per le piante. Se vi
sono poche piogge, manca l’irrigazione, vi è poca fertilità del terreno, l’erbicida rimane sul terreno
e gli effetti si mantengono nel tempo con tutto ciò che comporta. Gli erbicidi possono essere tossici
per l’uomo, gli animali e l’ambiente in dipendenza delle quantità. Si è visto che la quantità di
principio attivo presente nelle colture è veramente limitato per diversi motivi.
- I trattamenti con gli erbicidi vengono fatti in periodi lontani dalla raccolta. Quando i prodotti
vengono immersi sul mercato i residui sono minimi.
Per quanto riguarda gli animali che si nutrono di questi alimenti, sono ridotte le possibilità di
intossicazione, anche se si è visto un’azione incisiva sulle api. Questo poi si ripercuote sulla salute
dell’agroecosistema. Fra tutti i fattori della produzione che vengono utilizzati in agricoltura gli
erbicidi sono quelli che vengono considerati meno dannosi. Il problema derivante dall’utilizzo di
erbicidi poco selettivi è la diminuzione delle piante spontanee, creando la cosiddetta flora di
sostituzione, cioè l’imporsi di poche piante infestanti difficili da controllare dagli erbicidi.