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La traduzione linguistica come modello di dialogo interculturale

◼ Perché ho scelto questo tema→ tesi triennale in cui ho tradotto un libro dal cinese all’italiano e l’ho
confrontato con la traduzione dal cinese all’inglese e dall’inglese all’italiano. Le maggiori differenze
stavano nell’ordine della frase e nella spiegazione di certi concetti, che letti direttamente in cinese
erano più crudi e realistici, mentre la traduzione che passa prima dall’inglese e poi all’italiano era più
edulcorata. Il risultato è essenzialmente che leggendo la sessa cosa in lingue diverse le sensazioni
che vengono trasmesse sono diverse perché ogni lingua ha il suo modo di raccontare i fatti ed
esprimere dei concetti, mentre leggerlo in originale poteva trasmettere malinconia e le altre
sensazioni provate dalla scrittrice, letto in italiano (passato dall’inglese), sentivo più freddezza e un
senso di distacco.
◼ Di cosa parlerò: prima sulle concezioni che diversi autori hanno sulla lingua in relazione alla nazione
di appartenenza, poi della traducibilità e intraducibilità, poi di come questo abbia creato una crisi
nell’identità europea e infine del dialogo interculturale.
◼ Introduzione su lingua e cultura:
Analizziamo le differenze di pensiero di tre grandi autori Humboldt, Fichte, Herder e Berman, i quali però
hanno in comune il fatto che la lingua rappresenta il luogo di formazione del carattere di un popolo e di una
nazione.
- Humboldt → nazione, lingua e cultura non sono la stessa cosa. La nazione crea la lingua, la lingua
conferisce alla nazione carattere e identità. Non c’è traccia del nazionalismo linguistico, del senso
della superiorità della lingua e cultura tedesca, anzi la pluralità e la diversità delle lingue è la
forma attraverso la quale si esprime l’universalità dello spirito umano.
Secondo lui la diversità delle lingue è analoga alla diversità che si riscontra tra gli individui. È solo
nell’esperienza della diversità e dell’alterità che l’individuo e le diverse lingue diventano sempre più
consapevoli di sé stessi → nessuna lingua nazionale può pretendere di esprimere tutto l’umano o il
linguaggio nella sua universalità. =!=
- Fichte → non sono gli uomini che formano la lingua, ma è la lingua a formare gli uomini, “tutto lo
sviluppo di un popolo dipende dalla lingua da lui parlata”, “soltanto il tedesco ha veramente un
popolo”.
Il carattere nazionale è impresso nel linguaggio, allora il nazionalismo viene proposto come un
progetto linguistico-culturale, il cui obiettivo è quello di realizzare un’educazione nazionale dei
tedeschi del tutto nuova. La vecchia educazione non formava l’uomo, e ha confessato spesso la sua
impotenza, pretendendo come condizione di riuscita un talento naturale o un genio. La nuova
educazione invece deve formare l’uomo stesso, senza fare di questa una dotazione esterna, com’è
stato finora, ma piuttosto una parte integrante della persona stessa dell’allievo, determinando in
modo certo, i moti vitali degli alunni.
La lingua, in quanto espressione di ciò che è più intimo e vitale nell’uomo, diventa dunque lo
specchio della nazione → il nazionalismo linguistico diventa una forma di “”sacralizzazione” della
propria lingua (tradurre significa solamente tradire, e non arricchirsi lasciandosi contaminare dalla
diversità, quindi intraducibilità). =!= Herder → è stato dio a volere la pluralità delle lingue per
abbellire il mondo di una pluralità di colori.
- Berman → contrapposizione tra: la finalità stessa della traduzione (aprire un rapporto con l’altro e
arricchire sé stessi grazie alla mediazione con l'altro) e la struttura etnocentrica di ogni cultura
(narcisismo in base al quale ogni società vorrebbe essere un tutto puro e non mescolato). Nella
traduzione è sempre possibile un margine di errore di intraducibilità, ma ciò non toglie che la
traduzione sia sempre possibile, perché abbiamo la certezza di avere a che fare con altri uomini che
sono uomini allo stesso modo in cui lo sono io, non un estraneo assoluto e lontano dalla mia specie,
quindi nulla è intraducibile.
◼ Traducibilità e intraducibilità
Quando si traduce è inevitabile parafrasare o “tradire” l’originale, specie se si tratta di una poesia o
letteratura. Questo perché le parole sono mobili, cambiano di significato a seconda di chi le usa, a seconda
del tempo e del contesto.
- Quine (filosofo americano)→ si spinge a sostenere che una traduzione che ipotizzi significati
mentali nascosti dietro a enti fisici sia strutturalmente indeterminata, imprecisa. Ogni
traduzione richiede l'intervento di un "principio di carità" che garantisca la comprensione in casi
ambigui. Il tema della traduzione è affrontato nello specifico in Parola e oggetto nel 1960. Quine
sostiene che la traduzione tra lingue imparentate viene grandemente facilitata dalla somiglianza delle
parole. Le questioni si complicano enormemente quando occorre tradurre linguaggi profondamente
diversi, come ungherese e inglese. Le cose si fanno ancora più difficili quando ci proponiamo di
tradurre dalla lingua e nella lingua di un popolo estraneo alla nostra civiltà. Quine si immagina
l’impresa di un linguista sul campo e cerca di comunicare con un indigeno. Le emissioni verbali che
in un caso del genere vengono tradotte per prime e nel modo più sicuro sono emissioni collegate a
eventi presenti ben visibili al linguista e al suo informatore. Un coniglio passa di corsa, l'indigeno
dice "Gavagai", e il linguista registra l'enunciato "Coniglio" (o "Guarda, un coniglio") come
traduzione provvisoria, suscettibile di controllo in casi ulteriori. Ma in realtà il linguista non sa se si
tratta veramente di un coniglio o se per caso significhi “bianco” oppure semplicemente “animale”.
La stessa cosa accade quando un adulto indica a un bambino una sedia e pronuncia la parola “sedia”,
il bambino non sa se viene indicato il colore della sedia, lo schienale oppure la gamba della sedia. →
il significato resta inaccessibile dietro ai segni verbali che convenzionalmente lo esprimono
→ e allora come si può sfuggire dalla strutturale indeterminatezza della traduzione?
- Husserl → nella sua Quinta meditazione cartesiana fa emergere il tema dell’inaccessibilità al
pensiero dell’altro. La coscienza e l’essenza dell’altro non si possono attingere in maniera
immediata e diretta e se così fosse, allora l’altro non sarebbe nient’altro che un momento della mia
essenza e quindi io e l'altro saremmo la stessa cosa→ Husserl fa appello a una specie di atto di co-
presenza o “appresentazione” (fa riferimento a ciò che, pur non essendo dato alla coscienza,
costituisce il possibile darsi di ulteriori momenti all'interno di cui il dato presente è parte,
contribuendo a costituire il significato dell’oggetto intenzionato). Esempio di appresentazione sul
piano degli oggetti sensibili: guardando una casa dalla strada, percepiamo solo la parte anteriore
della casa. Questo lato - lussureggiante o scarsamente arredato - ci permette di avere un'idea degli
altri lati non visti della casa. Si formano automaticamente delle aspettative su tutta la casa (che
possono essere vere o meno). Così, si verifica l'accoppiamento tra un lato appresentante e uno
appresentato. Il lato anteriore di una cosa presenta quindi necessariamente il suo lato posteriore e
abbozza così un'immagine (non necessariamente realmente esistente, ma soltanto una proiezione).
Così, per comprendere pienamente un'altra persona, l'empatia è necessaria da un lato, ma dall'altro
deve esserci anche un accoppiamento associativo in cui quest'altra persona è compresente come alter
ego. Appresentazione in questo contesto significa quindi rendere cosciente l'altro come compresente
e concependolo nello stesso tempo come l'Io di un'altra sfera. Da qui il concetto di empatia di
Husserl, da cui dipende la possibilità di una reciproca comprensione: per comprendere ciò che uno
mi dice io devo avere preventivamente accesso a lui per una strada diversa da quelle che mi indicano
le sue stesse parole.
Sia Quine che Husserl sottolineano che il linguaggio umano è la sola articolazione possibile di quei
significati mentali a cui si ha accesso soltanto in prima persona, i quali possono essere capiti o meno.
Il linguaggio umano è per sua natura intersoggettivo, serve a comunicare e trasmettere dei messaggi: i
significati non sussistono indipendentemente, non sono isolati da una loro possibile trasmissione. Il fatto
che non vediamo il pensiero dei nostri interlocutori, che ognuno può pensare quello che vuole e tenerlo
gelosamente per sé, non è un argomento per dire che le parole sono soltanto suoni dietro ai quali
bisognerebbe vedere i veri significati, né un argomento a favore dell’inaccessibilità dell’altro.
Come ci induce a pensare Quine, noi traduciamo non solo dalle altre lingue, ma in molti casi traduciamo
per comprendere ciò che viene detto nella nostra lingua madre, e non è detto che quest’ultima traduzione
sia più facile della prima (esempio della lista della spesa). Quando i significati sono evidenti la
comprensione è immediata e la comunicazione non ha problemi, quando non lo sono invece la
comunicazione si inceppa e quindi ci vuole uno sforzo traduttivo se si vuole comprendere l'altro → la
traduzione è sempre all’opera quando due persone vogliono comprendersi e soprattutto non è
“indeterminata” come dice Quine. D’altra parte, è vero che lingue sono realtà viventi che si sviluppano
in modi diversi nei diversi individui che le parlano, ecco perché anche nei contesti più banali le nostre
parole possono assumere un significato difficile da comprendere, figuriamoci quando si parla di poesia e
letteratura.
- Wittgenstein→ non condivide l'idea che il linguaggio sia qualcosa di privato. Il linguaggio funziona
come un sistema di regole, dominarlo significa dominare le regole del gioco → dimensione
pubblica delle regole che sovrintendono i giochi linguistici, regole che non sono interpretazioni. Il
fatto stesso che possiamo commettere errori significa che esiste un criterio esterno alle mie
interpretazioni, oggettivo e indipendente, una sorta di tribunale a cui appellarmi per ricevere una
risposta corretta (Cimmino).
Ciò non significa che il linguaggio rappresenti per chi lo parla una sorta di gabbia in cui i significati
sono già predeterminati, perché secondo Wittgenstein, nessun linguaggio è completo. È per questa
sua incompletezza e apertura che il linguaggio, oltre ad essere una pratica pubblica, è anche una
pratica originale e in certi casi unica, come ad esempio in una poesia, in cui le parole, soltanto se
messe in quella esatta posizione possono esprimere un significato irripetibile. L’esplicito riferimento
all’unicità di certe espressioni linguistiche è un po' la riprova del fatto che l’intraducibilità può
sempre insinuarsi nella comunicazione linguistica. La pubblicità del linguaggio non esclude l’unicità
di certe proposizioni, insostituibilità di certe parole per esprimere un determinato significato.
Esempio: “meriggiare pallido e assorto”→ nello zibaldone leopardiano si insiste sull’intraducibilità
di un verso, sull’inevitabile tradimento di ogni tentativo di separare le parole dalle idee.

◼ Crisi della cultura europea


Problemi dell’Europa: grave crisi economica, attentati terroristici dell’Isis, profughi che scappano dalle
guerre → minaccia non solo alla moneta, istituzioni, sicurezza ed equilibrio sociale, ma anche alla sua
identità culturale. → essiccamento delle energie culturali e spirituali necessarie a fronteggiare questi
problemi.
Questione immigrati→ emerge la crisi dell’uomo europeo e della sua capacità inclusiva→ xenofobia derivata
da fallimento delle strategie multiculturaliste e assimilazioniste→ ostentazione di identità aggressiva ed
escludente in Europa.
Si evince una contraddizione: spesso si confonde la crisi umanitaria dei profughi con gli attentati islamisti,
ma succede anche l’opposto, ovvero che non si chiama per nome la vera matrice degli attentati → crisi di
identità europea, anime morte. → contrapposizione tra Europa che si definisce libera, pluralista e aperta ma
che in realtà così non è.
- Plessner → caratteristica eccentricità dell’uomo (europeo), che si trascende, prende le distanze da
sé stesso e si mette al posto dell'altro: l’uomo non è riducibile alle condizioni materiali della sua
esistenza. → grazie a questa trascendenza, l’uomo crede che l'altro sia un suo elemento costitutivo→
dialettica hegeliana: ci specchiamo con gli occhi degli altri.
- Waldenfels → a nessuno è data la completa accessibilità ai propri sentimenti, impulsi e forme di
espressione linguistica, abitudini culturali.
Consapevolezza che porta con sé una certa inquietudine, ma costituisce la nostra apertura. Il nostro telos per
realizzarsi ha bisogno degli altri → questo è il principio antropologico universale che sta alla base
dell’identità europea, che ha consentito all’Europa di inglobare elementi più disparati e di pensarsi
come intrinsecamente plurale → indebolitosi questo principio diventa difficile riconoscere il valore della
pluralità, ridotta a un pericolo da combattere in nome di un’astratta unità nazionale.
◼ Traduzione linguistica e dialogo interculturale

- Humboldt→ identifica le lingue come prismi riflettenti la realtà. Queste corrispondono a diverse
visioni del mondo e si pongono in una relazione di reciproca dipendenza col pensiero: le lingue
costituirebbero uno strumento di strutturazione del pensiero. Egli rappresenta quindi la sintesi
perfetta di due impostazioni diverse, da una parte un'analisi di tipo "oggettiva-strutturale" del
linguaggio (attraverso una particolare lettura di Kant) dall'altro canto è erede di quell'impostazione
romantica che da Herder in poi identificava il linguaggio come prodotto di un popolo, e quindi come
manifestazione del vissuto e della cultura di quel determinato popolo. In questo senso si può parlare
di prisma, ogni popolo ha un proprio linguaggio e quindi una propria visione del mondo.
L'apprendimento di una nuova lingua, pertanto consisterebbe nell'acquisizione di un nuovo punto di
vista sul mondo. Questa acquisizione, tuttavia, risulta alterata dal punto di vista acquisito
precedentemente.
Sempre Humboldt dice che la lingua non solo struttura il pensiero, ma è trascendente, non riposa
mai, è un ininterrotto processo di sviluppo, sempre influenzato dalla forza spirituale dei parlanti.
→costringe i parlanti a una continua opera di traduzione, l’universalità umana mette in
comunicazione gli uomini e culture al plurale.
Ogni cultura porta con sé il principio della sua comunicazione universale, ed è in virtù di questo principio
che nessuna differenza tra le lingue può definirsi incolmabile. Anzi vale il contrario: questa trascendenza
che contraddistingue le lingue è la condizione che ci apre all’alterità e che ci arricchisce, che colma lo scarto
che c’è tra sia lingue diverse, sia tra parlanti la stessa lingua. → parlare è sempre tradurre, serve prendere le
distanze da sé stessi, senza sacralizzare mai la propria lingua. → ciò però non significa che bisogna
abbandonare il lessico dell’identità: c’è bisogno che l’Europa e l’Occidente riscoprano la loro identità,
un’identità aperta, inclusiva nei confronti dell’altro. Forza della nostra cultura: ideale antropologico
universale, in cui l’universalità dell’uomo si concilia con la particolarità dei modi di attuarla →
“universalismo sensibile alle differenze” di Habermas e “universalismo interattivo” di Benhabib→
relazionarci con ciò che è altro senza perdere la consapevolezza di ciò che siamo → ecco perché i
migliori traduttori sono quelli che hanno maggiore dimestichezza con la propria lingua: grazie all’altra lingua
veniamo forzati a trovare delle risorse traduttive alle quali magari non avremmo mai pensato prima, è
un’opportunità per arricchirci. Non dimenticandosi però che la possibilità di possibili conflitti e zone di
intraducibilità vanno sempre messe in conto nel rapporto con l’altro.
- MacIntyre → “le tradizioni, quando sono vitali, implicano continui conflitti” (al contrario di quelle
morte che possono passarsi a fianco senza avere frizioni).
Comunque, le diversità e i conflitti non impediscono la riuscita della traduzione. Per fare si che questo sia
possibile si deve essere disposti a farsi contaminare dalla lingua altrui, nella certezza che ciò porterà vantaggi
alla propria. La traduzione non è un processo meccanico ovviamente, e a volte si può essere presi dallo
sconforto, portandoci a pensare che alcune cose siano intraducibili.
- Pannwitz citato da Benjamin → dice che l’errore del traduttore è rimanere troppo attaccati alla
propria lingua, invece che renderla influenzabile dall’altra lingua, il traduttore, quando traduce da
una lingua molto remota, deve allargare la propria lingua mediante quella straniera.
Un mondo che mescola individui e popoli di ogni cultura ha bisogno in di traduttori-testimoni che conoscano
al meglio la propria lingua, e che abbiano abbastanza creatività per tradurre quella degli altri. → ecco cosa
Belardinelli intende per dialogo interculturale.

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