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Steve Sasson e la camera digitale

Si è già visto, come la scoperta stessa della fotografia sia stata una esigenza messa in atto in campo
scientifico e solo successivamente sia diventata mezzo di comunicazione artistica.
Non diversamente è accaduto per la tecnologia digitale.
L’origine della fotografia digitale risale alle esplorazioni spaziali e alla necessità di trasmettere a
lunghissima distanza le immagini riprese dai satelliti artificiali nelle missioni militari. Ma
chiaramente questo tipo di apparecchiature avevano ben poco a che fare con il concetto di fotografia
digitale come bene di consumo di massa.

Fu Steve Sasson, ingegnere alla Kodak dal 1973, a fare il primo passo verso quella che sarà
considerata la più grande scoperta in campo tecnologico del 1900.
Gli fu affidato il compito di capire se un “Charged Coupled Device” (C.C.D.) avesse un qualche
tipo di applicazione pratica. Due anni più tardi realizzò un’invenzione che avrebbe potuto cambiare
la storia: la fotocamera digitale.
Solo che la storia non cambiò grazie a Kodak, e relativamente poco grazie a Steve Sasson. La
macchina pesava 3,6 chilogrammi e aveva una risoluzione di “soli” 0,01 megapixel. L’immagine di
100X100 pixel veniva scattata in 50 millisecondi, registrata su una cassetta durante un periodo di
tempo di 23 secondi, per poi essere visualizzata su schermo mediante un registratore che impiegava
30 secondi per elaborare i dati.
Sasson ovviamente specificò che, con ingenti investimenti e con un po’ di tempo, la qualità delle
immagini sarebbe drasticamente migliorata, il processo di visualizzazione sarebbe diventato molto
più veloce e il mercato avrebbe certamente apprezzato l’idea.
Ma i vertici della Kodak furono decisamente contrariati dall’invenzione, sopratutto a causa del fatto
che questa non faceva in nessun modo uso dei rullini analogici. La Eastman-Kodak era l’azienda
più grande al mondo che produceva pellicole, con 145.000 dipendenti e 16 miliardi di dollari di
fatturato.
Basandosi sulla legge di Moore, Steve Sasson, valutò in 15-20 anni i tempi della rivoluzione
tecnologica in campo fotografico e teorizzò anche la possibilità di inviare le immagini ovunque
attraverso le linee telefoniche. Nonostante questo, e nonostante fosse chiaro che il sistema fosse un
nuovo paradigma in campo fotografico, la reazione dei vertici Kodak fu, a essere generosi, tiepida.
Non che bocciarono il progetto, ma una prospettiva temporale del genere non interessava granché a
manager che volevano risultati immediati e che 20 anni dopo sarebbero stati chissà dove.
Nel 1978 Sasson depositò il brevetto ma ci vollero alcuni anni di studi e ricerche affinché la qualità
dell’immagine divenisse accettabile.
La prima fotocamera digitale disponibile sul mercato uscì il 24 agosto 1981, era la Sony Mavica
FD5, che utilizzava un floppy come supporto di memorizzazione principale, le immagini da essa
prodotta avevano una risoluzione di 570 × 490 pixels. Ma non aveva il classico display di anteprima
che noi oggi tutti apprezziamo.
La vera rivoluzione della fotografia digitale consiste nel poter vedere immediatamente dopo lo
scatto le immagini ottenute sul display; inoltre il vantaggio di scaricare le fotografie scattate sul
computer evita le spese di pellicola e sviluppo e consente all’utente di ottenere un numero maggiore
di immagini a un prezzo pari a zero dopo l’investimento iniziale per la fotocamera.
Nonostante questi grandi vantaggi, l’accettazione dei nuovi apparecchi fotografici da parte dei
fotografi non fu immediata. Inizialmente infatti le fotocamere digitali non disponevano delle
raffinatezze meccaniche e ottiche caratteristiche di più di un secolo di fotografia: niente ottiche
intercambiabili, poche regolazioni manuali e un display da tenere a distanza elevata dagli occhi al
posto del mirino. Lo stile personale dello scatto fotografico non poteva in tal modo essere
realizzato, e la versatilità delle impostazioni variabili di apertura e tempi veniva negata.
Lo scetticismo verso la fotografia digitale da parte dei fotografi professionisti crebbe con la
consapevolezza che la nuova tecnologia riduceva l’esclusività delle loro competenze in quanto,
soprattutto grazie all’utilizzo di software per la rielaborazione digitale dell’immagine, il più noto dei
quali è Photoshop sviluppato a partire dal 1990: creare l’immagine perfetta era ormai cosa alla
portata di uno studente liceale.

Con il passare del tempo la qualità della fotografia digitale continua a migliorare e nascono gli
apparecchi reflex digitali, con cui torna possibile agire su tempi e diaframmi; sono disponibili
obiettivi sofisticati ed intercambiabili, che consentono al fotografo un’espressività e delle scelte non
standardizzate.
Nel 1991 viene introdotta dalla Kodak la prima reflex digitale, la DCS-100. Si tratta di una Nikon
assolutamente standard con un dorso contenente il sensore da 1,3 Megapixel ed una unità esterna
collegata via cavo denominata DSU (Digital Storage Unit) contenente l’hard disk e un display da
4″.
Un anno dopo Kodak introduce la DSC-200 costituita da un corpo macchina Nikon F801 e un dorso
digitale che, a differenza del modello precedente, incorpora l’hard disk.
La prima Leica digitale risalente al 1996 aveva 26 Megapixel, ma solo nel 2006 la Leica presenterà
la sua prima fotocamera digitale a telemetro.
Sempre nel 1996 viene lanciata la Kodak DC20, la prima di una serie di fotocamere digitali
tascabili.
Dal 1995 ci si rende conto di quanti progressi abbia fatto la tecnologia negli ultimi 20 anni, il 1995
è stato l’anno in cui sono arrivate sul mercato le prime macchine fotografiche digitali professionali.
Apple in quel periodo stava ancora producendo le fotocamere digitali consumer, la Apple
QuickTake è stata prodotta tra il 1994 e il 1997, ed è considerata la prima fotocamera digitale
dedicata al grande pubblico.
Nel 1999 la Nikon presenta la reflex D1, la prima SLR digitale progettata non come rielaborazione
di un modello per pellicola, pur integrandosi pienamente nel corrisponde sistema 35mm di ottiche
ed accessori.
Ma è solo nel 2003 con la Canon 300D che il sistema Reflex digitale diventa più accessibile al
pubblico scendendo a un prezzo di circa 1000 euro.

La camera chiara. Nascita di photoshop

Nel 1987 i fratelli Thomas e John Knoll iniziano il loro lavoro per la progettazione del software Photoshop. I
due sono figli di un fotografo di nome Glenn Knoll, per questo il primordio del programma fu messo appunto
dai due fratelli grazie alle conoscenze acquisite in campo fotografico e dalla forte preparazione informatica.
La primissima versione, era “Display” e venne ideata nel 1987 per operare essa venne realizzata su un Mac
Plus e visualizzava immagini costruite in scala di grigio su monitor in bianco e nero.
John Knoll inoltre lavorava inizialmente all’ “Industrial of Light & Magic”, una società che era stata fondata
da George Lucas nel 1975 e che si era occupata della realizzazione di effetti speciali per Star Wars e Star
Trek. John in particolare si occupava della cura dell’editing delle immagini sul computer per utilizzarle
successivamente negli effetti speciali, spingendo così il fratello Thomas a migliorare Display. Anche per
questo John decise di acquistare un Macintosh II, il primo modello a colori, il quale successivamente avrebbe
consentito al fratello di potenziare questa prima cellula di Photoshop e di renderla a colori.
Così mentre Thomas lavorava per rendere il software compatibile con vari formati, John ancora si occupava
degli editing che successivamente si sarebbero trasformati in filtri. Thomas in questa fase che a noi potrebbe
sembrare molto primitiva aveva già implementato le funzioni che noi oggi conosciamo come regolazioni per
la correzione della luminosità, saturazione, bilanciamento del bianco e tinta. Inoltre era già possibile
utilizzare pennelli e operare con selezioni dai bordi non netti. Insomma un prodotto estremamente avanzato
per il 1988, che cominciò a far riflettere i fratelli Knoll sulla possibilità di poterlo commercializzare.
John riuscì anche ad avere un incontro con gli ingegneri della Apple. Lasciò qualche copia, che però venne
condivisa con una certa ingenuità, cominciarono così i problemi di pirateria per Photoshop. Il nuovo incontro
con Adobe segnò però la svolta.
Grazie all'incontro con un nuovo personaggio chiave, Russell Brown. Direttore creativo di Adobe, Brown fu
molto colpito da Photoshop e credette seriamente nel suo potenziale. Adobe si era messa in contatto anche
con altri sviluppatori per cercare un programma di grafica, ma Brown ormai aveva deciso. I mesi successivi
servirono per gli accordi legali, i fratelli, molto in gamba, decisero di non vendere completamente Photoshop
ma di avere delle royalty in base alla sua distribuzione.
Nel 1990, dopo mesi di ottimizzazione e nuove funzioni aggiunte, Adobe Photoshop 1.0 venne distribuito.
Semplice da usare, e ben programmato, Photoshop ebbe subito successo. Proprio nel momento in cui i
sistemi desktop stavano cominciando a moltiplicarsi (parliamo esclusivamente di Apple). Adobe pubblicizzò
Photoshop come un software alla portata di tutti
Lo sviluppo di Photoshop sotto l'ala di Adobe proseguì nel migliore dei modi, la versione 2.0 di Photoshop
aggiungeva il supporto CMYK .
Parliamo ancora di un software esclusivo per Apple. Il supporto per Windows arrivò solo con la versione
successiva, curiosamente la 2.5. Ma la versione 3.0 veniva già sviluppata, e portava una certa novità, i livelli
(settembre 1994).
Per quanto sembrasse che Photoshop potesse essere già un programma maturo e non ci fosse molto altro da
fare, ignegneri, visionari e creativi non si lasciarono trasportare dal successo. Continuando a lavorare,
ricostruirono l'intera interfaccia grafica per renderla compatibile esteticamente, e non solo, con gli altri
prodotti Adobe. Il successo della versione 4.0 fu planetario e Adobe si decise, alla fine, di acquistare
completamente la licenza del software dai fratelli Knoll.
L’ennesimo cambio radicale di business model di Adobe viene annunciato al pubblico nel 2011. Si sarebbe
passati da un modello di licenze “tradizionale”, in cui si acquistava una versione del software che sarebbe
stata propria ed utilizzabile per quanto tempo si voleva, ad una a sottoscrizione. In cui il software si può
utilizzare finché si paga, appena i pagamenti mensili si interrompono, non si potrà più aprire Photoshop.
Le critiche furono numerose e potenti. Chi scrive crede che furono anche spesso irrazionali. Dire che
acquistare con il vecchio modello avrebbe lasciato la proprietà di una versione di Photoshop per sempre è
vero, ma anche inutile, visto che Adobe ogni anno e mezzo di media rilasciava aggiornamenti importanti, e
che il digitale non permette di utilizzare, anche se lo si possiede, un software sviluppato dieci anni prima.
L’ennesimo cambio radicale di business model di Adobe viene annunciato al pubblico nel 2011. Si sarebbe
passati da un modello di licenze “tradizionale”, in cui si acquistava una versione del software che sarebbe
stata propria ed utilizzabile per quanto tempo si voleva, ad una a sottoscrizione. In cui il software si può
utilizzare finché si paga, appena i pagamenti mensili si interrompono, non si potrà più aprire Photoshop.
Quella più interessante di tutte comunque è forse "Jennifer in Paradise", una fotografia che ritrae le moglie di
Thomas Knoll. Fu lui a inventare Photoshop e creò quell'immagine per mostrare le potenzialità del
programma. Era il 1990 e la fotografia originale fu scattata nel 1988 a Bora Bora.

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