Sei sulla pagina 1di 4

La digitalizzazione del mezzo fotogra co:

storia, esiti e controcorrenti


Oggi la fotogra a è uno dei mezzi di comunicazione più di usi e accessibili in assoluto:
basta guardare la classi ca dei social media più utilizzati al mondo (YouTube, Facebook,
Instagram) per accorgersi subito che l’immagine - ferma o in movimento - è ormai il modo più
popolare di comunicare. Questo si deve a due principali motivi: la velocità della sua
creazione e l’accessibilità del mezzo con cui si la crea, il più delle volte lo smartphone. Tutti
hanno un telefono e tutti i telefoni hanno la fotocamera, dunque tutti possiedono una
fotocamera e tutti possono essere fotogra . O, almeno, questa è la concezione che
sempre di più di sta facendo strada tra chi del settore non sa molto, con il risultato che chi
nel settore c’è davvero ha sviluppato uno snobismo assoluto nei confronti della fotogra a
telefonica. Se questa avversione sia giusti cata o meno risponderemo più avanti, ma intanto
è bene ricordare, considerando che una fetta inevitabilmente crescente della popolazione è
nata dopo l’avvento del digitale, che le cose non sono sempre state come oggi.
Prima delle macchinette digitali, per fare il fotografo dovevi volerlo davvero: bisognava
imparare la tecnica, compare la macchina, comprare i rullini, scattare, far sviluppare,
sbagliare, comprare altri rullini e via dicendo. Era un processo costoso e, soprattutto,
intenzionale. Tutto questo discorso è valso dal 1888 (anno di nascita dei rullini), no al 1994,
anno in cui la Apple lanciava la Apple Quicktake, la prima macchina fotogra ca digitale con
un prezzo accessibile al consumatore. In realtà la sperimentazione sulla fotogra a digitale era
già avviata da un pezzo: la prima immagine digitale fu
registrata nel 1957. Se si vogliono ripercorrere però gli
albori della fotogra a digitale, ci sono una manciata di altre
date importanti.

La prima è il 1975, anno in cui Steve Sasson, ingegnere


della Kodak, creò il primo prototipo di una macchina
digitale “portatile”, che montava un sensore Fairchild CCD
(predecessore degli odierni CMOS, i sensori presenti oggi in
moltissime macchine fotogra che e nella maggior parte degli
smartphone), e poteva immagazzinare no a 30 immagini
digitali su una cassetta a nastro. Scattava solo in bianco e
nero, con un tempo di 23 secondi, una risoluzione di 0.01
MegaPixel (un iPhone oggi arriva a 12MP) e di portatile non
1975, Steve Sasson con la
aveva molto: pesava poco meno di quattro chili.

prima macchina digitale


Da quel momento in poi, tutte quelle che oggi sono le case

1 di 4


fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
ff
fi
fi
fi
fi
fi
produttrici di macchine fotogra che più conosciute iniziarono a lavorare per lanciare sul
mercato le loro prime DSRL, ovvero delle re ex con sensore digitale. In particolare nel 1986
vediamo già schierate sul campo Canon, Sony e Nikon, raggiunte poco dopo da Fuji lm,
che nel 1989 conquistava il mercato giapponese. Si trattava di macchine con una risoluzione
che raramente superava un paio di MegaPixel, e dai prezzi elevatissimi: una macchina
arrivava a costare no a 40.000 dollari.

Interessante è notare come le case fotogra che non cercassero di creare dei design
completamente innovativi, ma ci tenessero a restare il più possibile fedeli all’aspetto delle
macchine tradizionali. Questo per due motivi. Il primo fu pensato in termini economici
rispetto alle scelte dei clienti: se qualcuno già possedeva una macchina e tutti gli accessori,
di cilmente avrebbe cambiato e ricomprato tutto. Serviva dunque la retrocompatibilità
degli apparecchi. Il secondo motivo fu invece il ne di dare una sensazione di familiarità ai
clienti che si approssimavano a fare il salto da analogico a digitale: sarebbe stato meno
traumatico se la user experience fosse rimasta simile. Addirittura Minolta arrivò a formulare
il proprio sensore digitale come un semplice ricambio allo sportello di una vecchia
macchina a pellicola, e una cosa simile fece anche Hasselblad: sfruttando la possibilità di
cambiare il dorso della macchina, creò un dorso digitale, che nì per sostituire il dorso
polaroid, utilizzato no ad allora per ottenere immagini a sviluppo immediato da mostrare
subito al cliente.

Ma il vero punto di svolta fu con le macchine digitali compatte, la prima delle quali fu
presentata da Ion nel 1989. L’anno dopo nacque Photoshop, che mise in seria crisi il
settore dei fotogra professionisti: con l’aiuto degli automatismi e del fotoritocco, infatti, la
fotogra a diventava accessibile a un pubblico sempre più vasto, e così il raggiungimento
dell’immagine perfetta. Ed è un po’ quello che sta
accadendo oggi. Il primo telefono dotato di
fotocamera viene commercializzato da Sharp nel 2000,
con una risoluzione di 0,1MP. Nei successivi vent’anni la
risoluzione degli smartphone è diventata talmente buona
che questi si sono imposti come il mezzo
numericamente più utilizzato per catturare
un’immagine. Vediamo pubblicità di telefoni con una
quantità di MP che fa sembrare le prime macchine digitali dei giocattoli; cartelloni pubblicitari
enormi con fotogra e nitidissime, e sotto lo slogan: “scattata con iPhone”. L’implemento di
lenti di buona qualità, non più di plastica economica come nei primi telefoni ma di materiali
molto più costosi e curati, e l’implemento di complessi algoritmi elettronici per migliorare la
stabilizzazione, il colore, la nitidezza e la precisione della messa a fuoco dell’immagine nale,
hanno portato la fotogra a smartphone a prendere sempre più piede, e a migliorare
incredibilmente la propria qualità. È comoda, economica, semplice; non meraviglia che il

2 di 4

ffi

fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fl
fi
fi
fi
fi
fi
mercato si stia muovendo in questa direzione. Eppure in questa transizione si è perso
qualcosa che non ha nulla a che vedere con i MP o il costo degli apparecchi.

Le foto ai bambini, alla famiglia, agli amici, e in generale tutta quella branchia di fotogra a
amatoriale legata alla conservazione di un ricordo si è ormai assestata sulla fotogra a
tramite smartphone. Ne è il risultato di avere migliaia di fotogra e sul telefono, scattate senza
pensare in una quantità eccessiva, e che niscono il loro ciclo di vita sul dispositivo su cui
sono state scattate. Questo già succedeva con le macchinette digitali, ma lì la di erenza
stava che nel guardarle, le fotogra e venivano almeno scaricate sul computer, cosa che con
gli smartphone accade raramente. La domanda che viene spontaneo porsi è se tutte queste
immagini digitali arriveranno a chi ci seguirà come a noi sono pervenute le immagini
stampate dei nostri genitori in vacanza, dei bisnonni degli amici di famiglia; o se invece
saranno perse nel cambio tra uno smartphone e l’altro, o dimenticate nella cartella di un hard
disk e mai più ritrovate, o ancora se il fatto di averne una quantità così massiccia non le
svaluterà, relegandole al ruolo di un’eredità troppo ingombrante e senza valore.

È questa enorme quantità di informazioni prodotte, la frenesia del tutto e subito, e il fatto che
scattare una fotogra a o scattarne diecimila abbia lo stesso costo, che ha determinato un
sovra ollamento di immagini e di aspiranti fotogra , tanto che per muoversi nel mondo
dell’immagine c’è bisogno di sgomitare, di farsi largo in un mare di contenuto privo di valore,
specialmente online. Non stupisce dunque che una fetta di giovani fotogra sempre più
numerosa abbia cominciato ad a ancare alla pratica digitale anche quella analogica, o
addirittura a rimpiazzarla del tutto. Ogni fenomeno di massa presuppone una successiva
antitesi, qualcuno che verrà dopo e che si opporrà. In questo caso è interessante notare
come questa corrente che si contrappone alla fotogra a digitale, trovi il suo palco proprio sui
social media, e specialmente su Instagram e YouTube. Si sta sviluppando un’ibridazione tra
analogico e digitale che da un lato ri ette l’inso erenza giovanile verso il mondo
dell’istantaneità, del “troppo”; mentre dall’altro si fa portatore di un linguaggio sviluppatosi
per venire incontro alla popolazione più giovane. Ed è così che troviamo il ritorno del rullino e
dei negativi, le cui fotogra e però non vengono stampate, ma scansionate per poter
essere condivise sui social.

Ogni tempo ha il suo mezzo, e la fotogra a digitale, rappresentazione perfetta per un’epoca
caratterizzata dalla velocità, dai numeri enormi, dal bisogno di immediatezza dei risultati. La
fotogra a analogica viene usata oggi dagli artisti spesso nella ricerca personale, ed è
manifestazione di un evidente bisogno di decelerare, di produrre immagini che siano appunto
personali, che solo il fotografo possa vedere attraverso il mirino, senza bisogno di proiettarle
subito su uno schermo dove il cliente possa vederle. Si avverte il bisogno di pensare più alle
singole immagini, di tornare a un processo in cui la manualità abbia anch’essa un ruolo.
Concludo citando Stanley Donwood, l’artista che ha realizzato le copertine dei Radiohead, e
le sue parole riguardo il lavoro puramente digitale: “I computer non mi danno una sensazione

3 di 4


ff
fi
fi
fi
ffi
fi
fi
fi
fl
fi
fi
ff
fi
fi
ff
fi
fi
di realtà perché c’è una lastra di vetro tra me e quello che sto facendo. Non hai mai la
possibilità di toccare ciò che stai facendo, a meno che non lo stampi”.

Bibliogra a e sitogra a:
https://www.youtube.com/watch?v=X0ed4VO3m4I&list=WL&index=3

https://www.youtube.com/watch?v=O3aDuKmh178

https://www.youtube.com/watch?v=Gd9rovdMNNo

https://marcocrupi.it/2013/09/la-storia-della-fotogra a-applicata.html

https://www.youtube.com/watch?v=wfnpVRiiwnM&t=11s

https://st.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2013-03-29/2000-primo-cellulare-fotocamera-191751.shtml?
uuid=AbwkKqiH&refresh_ce=1

https://pitchfork.com/features/take-cover/8640-take-cover-radiohead-artist-stanley-donwood/

Kleon, Austin, Steal Like an Artist, Workman Publishing, New York, 2012

4 di 4


fi
fi
fi

Potrebbero piacerti anche