Sei sulla pagina 1di 8

6.

1: LE PROPRIETÁ TRASCENDENTALI DELL’ESISTENTE cammino, mangio, ma niente di tutto questo per me sarebbe
(cap. 6°) possibile se non fossi IO, nella mia profonda unità sul piano
Facciamo il punto della situazione: abbiamo chiarito la duplice dell’essere
polarità di atto d’essere ed essenza; poi abbiamo dovuto dar ragione  D’altro canto però ci accorgiamo di come il pensiero ed il
dell’esperienza della molteplicità e del divenire (livello basso). linguaggio tenda, senza che ce ne accorgiamo, ad unificare ciò che
Adesso diciamo qualcosa sull’ente in quanto tale, il livello alto in verità è diverso (pensiamo o parliamo di UN mare, UN bosco,
quando propriamente non esiste un mare ma esistono miliardi di
PREMESSA TERMINOLOGICA gocce d’acqua)
Si hanno 2 coppie fondamentali di termini:  Altro dato di evidenza comune è che ogni ente è irripetibile, dotato
☼ Trascendenti: cioè di carattere propri che lo rendono diverso da qualsiasi altro
a. In senso stretto: la realtà infinita di Dio  L’ultima premessa riguarda l’interrogativo sul primato dell’ente o
b. In senso ampio: lo spirito, l’uomo, la grazia… dell’uno. Da una parte, tutto ciò che ci circonda rientra nell’ambito
☼ Trascendentali: dell’esistente cui non può essere addizionata alcuna perfezione
a. In senso kantiano: le categorie a priori del entitativa. Dall’altro quando si dice che una cosa è “una” è chiaro
soggetto conoscente, condizioni soggettive, che ci si riferisce a qualcosa che non si riduce alla somma delle sue
pure, di possibilità del conoscere parti. Sembra che l’unità possa essere una proprietà che, dando
b. In senso scolastico: l’essere in quanto tale ed i all’essere carattere di unità e coesione, si possa fare produttrice di
suoi attributi fondamentali autentica novità entitativa

DIFFICOLTÁ DOVUTE A DATI CONTRASTANTI STORIA:


☺ L’EOF ci presenta subito la duplice polarità cui fa capo l’essere di  Atomisti: fautori del rigido collage fisico, per i quali la realtà non
ogni realtà: essenza ed atto d’essere; è altro che insieme di elementi quantitativi, diversamente
☺ La realtà ci mostra l’incredibile varietà di un universo che non si raggruppabili;
lascia ingabbiare da pretese unificatrici: ogni individuo rivendica  Kant: nega la valenza ontologica al carattere di unità dell’essere;
con forza la sua irripetibilità;  Parmenide e Plotino: sostengono il primato dell’uno sul’ente;
 Sorge la domanda: come conciliare l’esigenza di universalità con  Aristotele e Tommaso sostengono la reale identità dell’uno e
l’irripetibilità? dell’essere (cui spetta il primato) e l’esistenza di una semplice
Si risponde: accontentandosi, pur essendo doveroso farlo, di dire distinzione di ragione;
sui trascendentali lo stretto necessario, il minimale, che è molto
poco, ma quel poco dirlo tutto, perché è preziosissimo. TESI TEORETICA: “omne ens est unum” (ogni ente è uno)
NOTA PRELIMINARE 1; distinguiamo tra:
LE PROPRIETÁ TRASCENDENTALI IN GENERE  Unità predicamentale o numerica: è il carattere di unità che è
Mentre la concezione univocista annulla le differenziazioni legato con la categoria specifica della quantità, ed è specifica solo
considerandole marginali e fenomeniche (tutto e subito) e quella degli esseri che hanno “partes extra partes”
equivocista rende nominale ogni legame ontologico tra gli esistenti  Unità trascendentale è la dimensione di indivisione che
(niente), la soluzione analogica sancisce il carattere oggettivo della l’esistente in quanto tale rivendica; esclude inoltre ogni scissione
“somiglianza nella diversità” (poco e con fatica). Perché ha senso all’interno dell’esistente
trattare i trascendentali? Perché dispongo dell’analogia.
NOTA PRELIMINARE 2; l’unità al di fuori dell’essere non è. Non ha
6.2: L’ENUCLAZIONE DELLE PROPRIETÁ senso quindi affermare il primato dell’uno sull’ente. L’unità vincola
TRASCENDENTALI infatti tra loro non solo gli esseri fattuali, ma il mondo degli intelligibili
 S. Tommaso dice che l’essere può essere considerato in se stesso e dei possibili. Così come l’idea non fonda l’esistente, né il possibile
positivamente come una “res”, negativamente come un fonda il reale, così è l’essere a fondare l’unità e non viceversa.
“indivisum”, un “unum”, che esclude da sé ogni scissione; in
rapporto ad altro come “verum” se tale rapporto è di convenienza TRATTAZIONE DELLA TESI
con l’intelletto, come “bonum” se è convenienza con la tensione 1. “ogni ente è intrinsecamente indiviso”
appetitiva. a. O l’esistente è intrinsecamente semplice o è
 Si possono aggiungere anche altri trascendentali: pulchrum, composto. Nel primo caso è indiviso di fatto e indivisibile di
gratum… ma possiamo affermare che ultimativamente l’analisi si diritto
concentra su 3 aspetti, cui tutti gli altri possono essere ricondotti: b. Se consideriamo invece l’esistente come composto
1. Gli aspetti di unità ed irripetibilità (UNUM) è necessario distinguere 2 tipi di composizione:
2. La dimensione di intelligibilità (VERUM) 1. composizione integrante o quantitativa, di partes
3. L’attributo di bontà ontologica che l’esistente in extra partes, in cui le parti che lo compongono
quanto tale rivendica per sé (BONUM) costituiscono un unum indiviso ma non indivisibile,
 Che rapporto intercorre tra l’esistente in essendo le parti enti in potenza prossima all’atto (vedi tesi 2
quanto tale ed i suoi modi d’essere fondamentali (trascendentali)?. di filosofia della natura). Sono di diritto divisibili con un
Per rispondere è necessario distinguere le 2 prospettive da cui tale minimo di causa efficiente (l’immaginazione)
rapporto è considerato. Sul piano della realtà (quoad se) “unum, 2. composizione essenziale o metafisica di esistenti
verum et bonum convertuntur cum ente”, ossia sono coestensivi finiti, molteplici, contingenti. In questo caso ben sappiamo
dell’essere: dove c’è unità, verità e bontà, li c’è essere. Sul piano che la distinzione in base alla quale si possono rinvenire i
della conoscenza concettuale (quoad nos) invece, possiamo binomi di coprincipi metafisici (atto/potenza;
sostenere che esiste una distinzione di ragione tra l’essere ed i suoi materia/forma; essere/essenza; sostanza/accidenti/) non
attributi. Questi ultimi dicono novità noetica (di conoscenza) intacca la sostanziale unità dell’essere concreto. Il loro
rispetto alla nozione di essere e non ne sono semplice sinonimi. reciproco rapportarsi non permette infatti di considerarli
Per questo la nostra indagine non è sterile, ma fondata sulla come enti sussistenti separatamente.Gli enti finiti risultano
sproporzione tra la ricchezza indefinita della realtà e la limitata pertanto non solo di fatto indivisi, ma di diritto indivisibili,
capacità che il pensiero ha di coglierla. secundum quid, ossia relativamente alla loro
composizione metafisica.
6.3 : UNITÁ ED IRRIPETIBILITÁ DELL’ESISTENTE
(UNUM) 2.“ogni esistente è intrinsecamente irripetibile”
 L’esperienza ci comunica il dato di incontestabile UNITÁ
intrinseca di cui gode ogni coscienza. Io soffro, amo, spero,
1
a. L’esistente non può essere  dall’altro diventa sinonimo di intelligibilità, ossia di piena e
“indiviso” se non è in pari tempo “diviso da ogni altro”. Non limpida trasparenza dell’essere al pensiero, al quale si dà a
sarebbe in tal caso un nuovo esistente, non sarebbe un essere conoscere. Senza questo non si può avere corrispondenza tra
obiettivamente diverso reale e archetipo. Un vero uomo è un uomo che realizza in
b. Se due enti sono diversi, ciò pienezza l’ideale specifico di umanità.
comporta una DISTINZIONE che, riguardando l’essere in
quanto tale, non è solo di natura quantitativa, ma entitativa
c. Tale distinzione contrassegna ogni
realtà nella sua originalità e irripetibilità. In questo senso non
si dà clonazione d’essere!
* siccome l’unità e l’irripetibilità sono determinazioni proprie
congenite, intrinseche dell’essere in quanto tale e dal momento che STORIA:
tale essere (considerato nella sua formalità di esistente) trascende 1. TENDENZA A REIFICARE
ogni distinzione categoriale, anche l’unum è proprietà L’INTELLIGIBILITÀ fino a farne il fondamento ultimo
trascendentale dell’ente dell’essere
 Questa posizione trova una prima
VALORE ANALOGICO DELL’“UNUM” conferma nella dottrina platonica delle idee e nella
Le perfezioni espresse dall’unità e dell’irripetibilità si concezione metafisica di Plotino secondo le quali
realizzano concretamente nei singoli enti secondo un’analogia di l’intelligenza dice anteriorità e priorità rispetto all’essere.
proporzione, ossia in modo corrispondente al diverso grado con  Nell’istanza di Cartesio si assiste ad un
cui l’atto d’essere è partecipato nei singoli individui; progressivo assorbimento dell’essere nell’intelligibile (il
La sostanza ha l’unità in sé, mentre gli accidenti hanno l’unità primato del cogito come puro soggetto pensante, le idee
in ragione del soggetto cui ineriscono chiare e distinte come unico criterio valido di conoscenza)
L’unità vale in grado supremo per l’Essere Sussistente, che è
l’Unico per eccellenza (l’unicità metafisica dell’essere assoluto si 2. NIENTIFICAZIONE DELL’INTELLIGIBILITÀ
riflette in sede religiosa nel 1° comandamento: “non avrai altro  L’uomo non può ultimativamente
Dio all’infuori di me”). conoscere la realtà poiché il principio supremo delle cose si
pone al di là dell’intelligenza e dell’essere
Gli esseri angelici, non avendo il principio di individuazione  Secondo Schopenhauer il nucleo ultimo
materiale che li differenzia singolarmente l’uno dall’altro, trovano della realtà è da ricercarsi nella volontà cieca, in un principio
l’unità nella loro forma, ossia nella loro natura angelica, che è anteriore ed estrinseco ad ogni forma di razionalità. In questo
unica ed irripetibile per ciascuno. modo il reale in sé risulta un assurdo, mera rappresentazione
Per gli uomini invece è la natura umana ad essere unica e a apparente.
specificarsi nella “materia quantitate signata”
*ogni essere gode quindi di una propria specificità 3. AFFERMAZIONE DELL’INTELLIGIBILITÀ
autentica, ma non per questo univocamente realizzata. INTRINSECA DELL’ESISTENTE
 Già nel pensiero parmenideo ritroviamo
UNA DIFFICOLTÀ PERSISTENTE l’affermazione che sostiene l’equiparazione tra essere e
Resta però vero che a livello di realtà estese, quantificate, un essere si pensiero (stessa cosa è l’essere ed il pensiero)
rivela tanto più perfetto quanto più complessa è la sua struttura  Aristotele recupera anche il mondo
essenziale (pensiamo all’organizzazione del corpo umano). Questo non dell’esperienza e del divenire come appartenenti alla realtà e
esclude che invece a livello metafisico una realtà è tanto più ricca di dunque all’intelligibile
perfezioni quanto meno l’atto d’essere è limitato dall’essenza  S. Tommaso estende e approfondisce,
CONSEGUENZE: attraverso la dottrina biblica, la nozione di intelligibilità. Non
 Unità ed irripetibilità in quanto proprietà analoghe d’analogia di solo esistono vari gradi di verità così come si danno varie
proporzionalità presuppongono la molteplicità degli esistenti; misure nell’essere, ma Dio è vero, o piuttosto è la Verità
 In quanto analoghe di analogia di attribuzione fondano la stessa, in quanto in Lui l’essere coincide pienamente con il
“tensione verso l’unità piena” di tutti gli enti pensiero.
 La scuola scotista incrina questa visione,
6.4: INTELLIGIBILITÀ RADICALE DELL’ESISTENTE separando non solo concettualmente, ma formalmente l’ente
(VERUM) dal vero (all’ente si possono sottrarre tutte le sue perfezioni,
Il problema è quello del rapporto tra l’essere ed il pensiero e può essere ovvero le sue specificazioni intelligibili → univocità del
riassunto nell’interrogativo: “quid est veritas?” (cos’è la verità?) fondamento)
 Parliamo di verità a 3 livelli diversi: 1) quando ci riferiamo
ad affermazioni o giudizi che trovano corrispondenza nella TESI TEORETICA: “omne ens est verum” (ogni ente è vero)
realtà obbiettiva; 2) quando ci riferiamo all’autenticità della  Ritorniamo all’EOF: l’uomo prende coscienza di essere non
cosa in sé (es. vestita di vera seta); 3) quando ci riferiamo alla solo alla presenza dell’essere, ma di porsi egli stesso come
corrispondenza tra l’affermazione ed il soggetto che afferma esistente aperto. Quando l’io si percepisce “in atto di pensare”
senza sotterfugi si coglie al contempo “in atto di esistere”. Allo stesso modo
 Di conseguenza avrò 3 tipi di verità, tutti accomunati dalla quando l’uomo ama, agisce, desidera… fa l’esperienza di
conformità (adaequatio di essere e pensiero): come anche gli oggetti del suo amore, agire, desiderio, non
1. verità logica (gnoseologia) → adaequatio intellectus ad sono mai riducibili a pura costruzione soggettiva, ma sono
rem; anch’essi “in atto di esistere” come tali. Si può anche dire che
2. verità ontologica (metafisica) → adaequatio rei ad non potremmo essere aperti all’essere e pervenire alla
intellectum; conoscenza dell’esistente se l’esistere come tale non fosse
3. verità morale (etica) → adaequatio verbi exterioris ad intrinsecamente intelligibile
verbum internum  Chi, come Shopenhauer, afferma che l’“essere è assurdo” si
contraddice da se stesso. Se questa infatti fosse
Noi ci focalizziamo sulla verità n. 2, con un duplice aspetto: un’affermazione rivelativa di una verità profonda, i termini
 da un lato essa dice conformità del reale ad un archetipo che che la costituiscono dovrebbero essere concepibili e parlare
fa da paradigma (autenticità) all’intelletto. Quindi l’essere dovrebbe essere ammissibile
(schizofrenia teoretica)
2
 Il pensiero non è altro che essere. Se penso a qualcosa, è solo  Non può invece in alcun modo esistere falsità ontologica.
grazie al fatto che sono qualcosa! Non è l’idea né la coscienza Ogni ente in quanto tale è intrinsecamente vero. Non
ad assorbire in sé l’esistente, ma essa che fonda la consistenza contraddice questa affermazione l’esistenza, per esempio, di
entitativa del pensiero. Il pensiero non può dare nulla di falsi profeti, falso oro, false banconote. L’errore risiede
aggiuntivo all’essere che questo già non possieda come sempre nell’errata valutazione o nella bugia morale, non
perfezione nell’essere delle cose. Un falso profeta è infatti
 Si potrebbe obbiettare che l’intelligibilità non esclude ontologicamente parlando un vero “mistificatore”.
comunque un fondo oscuro e tenebroso dell’essere, quando si
cercano le sue profondità più viscerali. In realtà questa ipotesi 6.5 IL BONUM – bontà ed efficienza congenita dell’esistente
riposa su di un’errata comprensione dell’essere metafisico, ☺ I dati d’esperienza sono in questo caso ancor più difficilmente
che come tale non è più scomponibile, ossia non ci sono più componibili rispetto agli altri trascendentali (unum e verum).
strati di progressiva accessibilità. Esistono sì realtà molteplici che risultano “appetibili” all’essere
Altrettanto infondata è la possibilità che l’intelletto sia capace umano, ma di fronte a queste si pone l’esperienza drammatica della
di cogliere l’atto d’essere mentre è inabilitato ad attingere la natura negatività (homo homini lupus – mors tua vita mea – le lotte e le
(atto d’essere ed essenza non possiedono un’intelligibilità sopraffazioni)
isolabile) ☺ Distinzione tra bontà morale e ontologica dell’esistente:
1. BONTÀ MORALE: consiste nella conformità dell’agire
IL CARATTERE ANALOGICO E TRASCENDENTALE umano ai dettami della retta ragione o agli imperativi
DELL’INTELLIGIBILITÀ categorici che regolano l’attività etica;
 È evidente a questo punto che, se l’intelligibilità è irradiazione 2. BONTÀ ONTOLOGICA: connota la dimensione di dignità,
dell’“essere come tale”, essa spetta ad ogni esistente degno di valore, preziosità e apprezzabilità di ogni ente;
questo nome. Questo è logica conseguenza del carattere di
intrinsecità e necessità con il quale l’esistente si manifesta DOMANDA: che dire dunque di ogni ente, riferito ad un soggetto
intelligibile idoneo ad apprezzarlo?
 Di conseguenza, come l’essere si predica dei singoli enti in
maniera analoga (né totalmente identica, né totalmente differente), STORIA:
così anche l’intelligibilità si attribuisce in modo proporzionale. a) Tendenza reificante:
 Bisogna però distinguere 2 angolature: 1) Per Platone il bene corrisponde nel mondo
1. dal punto di vista dell’ordine della realtà in sé dell’essere a ciò che il sole è nel mondo materiale. Per Plotino
(QUOAD SE), intrinseca ed assoluta: ogni realtà è “per sé” il Bene è identico all’Uno e come tale, superiore all’essere e
intelligibile in proporzione all’atto d’essere di cui partecipa al pensiero stessi;
a. nel “Summum Intelligibile”, essere e pensiero 2) Il manicheismo fa del male un principio
coincidono contrapposto nella linea dell’essere al bene. Marcione sostiene
b. nelle sostanze angeliche l’intelligibilità in sé è maggiore che essendo il mondo anche “malvagio” non può essere stato
perché non sono frammistate con la materia creato da un Dio che è “Sommo Bene”;
c. tutti gli altri essere seguono per gerarchia 3) Valori: Scheler sostiene il bisogno di separare il
2. Dal punto di vista dell’intelligenza umana valore dall’essere, l’ontologia dall’assiologia e di proclamare
(QUOAD NOS) il primato del valore sull’essere (nel vissuto questo può anche
L’ordine è invertito; siccome la nostra intelligenza è limitata avere una sua logica: se io dono a te un fiore, quel fiore
strutturalmente ed ha quale oggetto adeguato le realtà sensibili, le acquista un valore ben superiore a quello che ha il fiore in sé
realtà soprasensibili risultano di fatto meno intelligibili (Dio e gli  non è più però una mentalità strettamente metafisica!).
angeli) Seguendo questa strada si scade nel misticismo e del
NOTA: la realtà è in sé pienamente intelligibile, ma le ricchezze culturalismo, per cui ognuno si vive e si costruisce il valore
dell’essere non sono mai pienamente accessibili. Il limite della delle cose per conto proprio;
nostra conoscenza non è oscurantismo, ma sano realismo 4)
b) Tendenza antropologizzante:
CONSIDERAZIONI FINALI 1) Protagora: uomo misura di tutte le cose, dunque
a. Le 3 verità non sono mondi a sé stanti, ma sono integrabili in una anche del bene. L’uomo è criterio di discriminazione di ciò
visione unitaria e armonica. che è vero, buono e giusto;
La verità logica si fonda su quella ontologica, perché un’affermazione è 2) Nietzsche vede invece la nascita dei “valori veri”
vera se rispecchia la realtà effettiva delle cose. La verità morale trova il nel momento in cui crollano tutte le certezze precedenti. La
suo fondamento nella verità sia logica che ontologica in modo molto volontà di potenza conferisce il bene alle cose che di per sé
evidente (vedi: fondamento metaetico dell’etica) non lo possiedono. Il valore viene da una condizione di a-
 in una prospettiva che vede nella verità l’obbiettiva conformazione moralità, al di là del bene e del male (il fanciullo)
dell’essere e del pensiero il primato spetta alla verità ontologica 3)
costituendo essa, al pari dell’essere di cui è irradiazione, il fondamento c) PROPOSTA DEL TRATTATO: “omne ens est bonum” (ogni
di ogni altra forma di adeguazione tra il reale e la sfera poetica. ente è buono)
b. Al di là della semplice adeguazione, la verità esprime anche la Il bene è essere e l’essere è bene. Il bene non è anteriore all’essere ma
consapevolezza della conformità che intercorre tra essere e ad esso immanente. S. Tommaso è il primo a formalizzare tale dottrina:
pensiero (verità formale). ogni realtà è perfetta nella misura dell’“esse” di cui partecipa, ma,
allo stesso tempo, nella misura in cui è perfetto, è capace
c. E l’errore, la falsità, come si spiegano? intrinsecamente di perfezionare (bontà operativa).
 L’errore logico è possibile e deriva da un inganno della Per lo pseudo-Dionigi il bene dice supremazia su ogni altra perfezione.
ragione che prende per sostanziale ciò che non lo è: si tratta Per Scoto invece distinguere il bene dall’ente equivale a separarlo
di un inganno di giudizio (es.: credo di riconoscere in una dall’essere.
persona lontana mio fratello in realtà è un perfetto
sconosciuto). IL CARATTERE CONGENITO DELLA BONTÀ
 La falsità morale è pure possibile per la reale capacità del DELL’ESISTENTE
singolo di travisare l’imperativo etico del “devi essere Passaggi
sincero” attraverso l’esercizio della propria responsabile 1) S. Tommaso dice: “la ragione per cui un ente è
volontà (l’inganno questa volta è voluto!: es. il peccato). buono sta nel fatto che in esso ci sia qualcosa di appetibile”. Il
fondamento di tale desiderabilità sta nel fatto che l’ente
3
incarna in qualche modo una certa perfezione, che è ciò che 3. non essendo quindi la bontà di ogni ente assoluta,
lega il valore all’essere (è necessario qui togliere i pregiudizi questa può produrre un effetto che costituisce una minaccia
di un’esperienza distorta: non c’entra il bene morale o il bene per altri enti;
per me, per es. il veleno della vipera in sé è buono) 4. ogni bontà, in quanto relativamente appetibile,
2) A fondare, a sua volta, la perfezione propria di ogni essendo sempre limitata, non è in grado di soddisfare
realtà è l’atto d’essere come attualità di tutte le attualità. determinati appetiti, ma solo quelli adeguati ed idonei a quel
3) Di conseguenza ogni id quod est (ogni ente) è livello di appetibilità. Non tutto è buono per tutti, ma tutto
intrinsecamente buono, cioè dotato di perfezione, dal è buono in sè. Infatti nulla di ciò che esiste è in sé negativo.
momento che è sempre meglio essere che non essere.
CRITICA: Ferrari sostiene invece che l’essere può essere più  Il problema del MALE:
appetibile del non essere, ma non sempre, perché l’essere può  per male morale si intende la dissociazione tra l’agire di un
anche essere sganciato dal proprio valore ed essere privo di esistente libero e responsabile e le norme etiche (vedi: libretto
perfezioni (ad es. se si tratta d’essere infelice, preferisco piuttosto di Maritain)
non-essere!). Questa posizione ritiene possibile sottrarre all’essere  per male metafisico si intende il limite congenito di ogni
le sue perfezioni, perché lo considera univocamente come Scoto, esistente. È un male in senso improprio: una realtà che
come una piattaforma indifferente a qualsiasi qualificazione (un possiede tutto ciò che risponde alle sue esigenze e alla sua
vuoto d’essere minimale) positiva o negativa natura non ha motivo di lamentarsi (è assurdo che io mi
CONFERME: l’essere in quanto tale non può non risultare lamenti perché non ho tre teste!).
intrinsecamente buono, conveniente, appetibile, per gli enti che  per male fisico si intende l’assenza, la privazione di una
sono anche loro tutti risolvibili in essere. perfezione dovuta. In questo caso il soggetto patisce
Ogni cosa tende all’essere, apprezza l’essere e non può desiderare un’“ingiustizia” dovuta all’assenza di qualcosa che di per sé
altro perché è esso stesso sostanziato di essere. Infine, essendo gli spetterebbe di diritto (es. un uomo senza un braccio)
perfezione radicale, dice intrinseca capacità di perfezione.  il male fisico è sempre una privazione relativa e
accidentale che fa del male un “modo d’essere”
ALCUNI RILIEVI ALLA FILOSOFIA DEI VALORI riscontrabile nell’essere finito. Questa privazione, pur
rivelandosi effettiva nell’ente, non scaturisce dall’ente,
 La tesi della bontà radicale dell’esistente ribadisce la anzi, deriva proprio dal fatto che per circostanze
necessità di ancorare il valore all’essere. La tesi secondo la quale è particolari, l’essere non si realizza in pienezza. Per
l’uomo a creare i valori non è ovviamente accettabile, anche se questo non è qualcosa di intrinseco, necessario,
l’uomo è veramente condizione ineliminabile per l’insorgere costitutivo dell’essere come tale, ma la possibilità
dei valori: li fa sorgere, li svela e li mette in luce, ma non li decide congenita di un essere di risultare parzialmente
in modo arbitrario compromesso (→ dissimetria con il bene, che è invece
 Essendo il carattere di bontà omnicomprensivo connaturato, coestensivo dell’essere)
dell’essere, possiamo estendere anch’esso per analogia a tutti gli  il male come tale non esiste, né può esistere, come non
enti, a partire dall’Ente Sussistente, che realizza in pienezza il può esistere come entità a sé stante il nulla;
bene e l’amore. In misura inferiore, tale perfezione risulta
partecipata a tutti gli altri enti. Anche il mondo dei possibili, che Il “bonum” è DIFFUSIVUM SUI, ossia dice capacità intrinseca di
pur non godono di valore entitativo e quindi di bontà autonoma, perfezionare la realtà che lo circonda, risultando sempre appetibile per
sono ordinabili secondo una gerarchia (es. un ragazzo che sta altro. Essendo, infatti, ancorato all’atto d’essere, che non è solo dato di
finendo gli studi ha di fronte due “possibilità”: carriera o famiglia. fatto, ma forza propulsiva (energheia), il bonum è principio dinamico.
Quale delle due ha il primato? Lo posso stabilire anche se consono
ancora realtà) “Agere squitur esse”: non va inteso nel senso che prima c’è l’essere,
 Perché allora un essere, che in sé è buono, può risultare poi l’agire. L’essere non precede l’agire come un’entità statica cui, poi,
nocivo? si dà semplicemente la carica. L’assioma dice invece che l’agire è
1. perché ogni realtà partecipa della perfezione irradiazione costitutiva, intrinseca dell’essere stesso. L’agire e la
dell’atto d’essere in forma limitata e parziale; capacità di perfezione che ne deriva non sono altro che l’essere
2. di conseguenza la bontà metafisica si può intendere considerato nella sua dimensione di dinamicità ed efficienza. Tutto ciò
sia formalmente (come grado di dignità o perfezione che che esiste è quindi capace di perfezionare, logicamente in maniera
ogni realtà incarna) sia attivamente (come capacità proporzionale all’atto d’essere di cui partecipa.
proporzionata di perfezione)

4
7.1 LE LEGGI TRASCENDENTALI DELL’ESSERE (cap. 7°)  Le critiche in difesa del divenire e della dialettica sono
Principi dichiarativi ed esplicativi insufficienti. Secondo Hegel infatti è necessario negare
Non vi è dicotomia tra i principi primi (piano ontologico) e le leggi l’identità e la non-contraddizione. Egli teorizza la
dell’essere (piano gnoseologico). contraddizione come principio costitutivo della realtà: una tesi
Dopo aver individuato i “modi d’essere essenziali” attraverso i quali è tale, è se stessa, solo in rapporto alla sua antitesi. La nascita
l’essere in quanto tale si esprime (sono i trascendentali), ci chiediamo spirituale (sintesi) si produce solo a partire dalla lacerazione
ora: come funzionano i trascendentali? Con quale logica interna dell’essere. Se anche così fosse, ogni istante del mutamento
funzionano? Rispondiamo trattando le leggi trascendentali. sarebbe, nella sua istantaneità, identico a sé e diverso da tutti gli
Alla domanda: “cos’è l’essere?” (che cosa è?) rispondiamo con la altri;
trattazione dei “principi dichiarativi dell’essere” (identità, non  L’arbitrarismo divino contraddice la stessa realtà dell’Assoluto
contraddizione, terzo escluso). Alla domanda: “perché (piena identità con se stesso e esclusione di ogni negatività e
l’essere?”(perché è cosa?) rispondiamo con i “principi esplicativi” contraddizione). Se Dio per assurdo potesse comandare il
(Ragion d’essere e di conseguenza i principi di causalità, finalità, contraddittorio non sarebbe più Lui, si smentirebbe, essendo
esemplarità) pura semplicità e identità assoluta per definizione;

I PRINCIPI DICHIARATIVI (come irraggiamento dell’unum) 7.2 I PRINCIPI ESPLICATIVI nella formulazione della ragion
ESSERE → principio d’identità: ogni esistente è se stesso (a=a) d’essere (come irraggiamento del verum)
CONOSCERE → principio di non contraddizione: è impossibile
essere e non essere “allo stesso tempo” e “sotto lo stesso rapporto” La nostra tesi si propone di argomentare che la legge non si riduce
ESPERIENZA → principio del terzo escluso: tra l’essere e il non ad un conoscere umano e soggettivo, ma si presenta (alla coscienza
essere non si dà nulla in mezzo; del soggetto singolo, certo), come un’autentica legge trascendentale
con una plausibilità oggettiva. L’insopprimibile domanda
CRITICHE E OBIEZIONI CONTRO TALI PRINCIPI protocritica : “Perché una cosa è?” se la pone il bimbo senza aver
Il principio d’identità viene accusato di essere monista (che ancora compreso l’importanza di dare un senso alle cose, perchè è
nega la molteplicità e la complessità del reale), fissista (che nega parte di lui.
il divenire), tautologico (che non dice nulla di nuovo);
Il principio di non contraddizione viene accusato di essere Dati storici riguardanti il principio di ragion sufficiente
divenierista dando un primato al divenire sull’essere come in - Platone lo applica spontaneamente nella sua
Eraclito. Per Cartesio non è un principio assoluto ma dipende dottrina delle idee, ed Aristotele in quella delle
dalla volontà di Dio. Per la visione empirista è frutto di una sostanze, senza formularlo esplicitamente.
generalizzazione delle osservazioni. Per Kant è limitato da due - S. Tommaso lo formula in termini di causalità;
prerequisiti vincolanti: “allo stesso tempo” e “sotto lo stesso - Cartesio parla di “causa sui” come causa
rapporto” che non permettono – secondo Kant – di ritenere il efficiente di Dio;
principio onnicomprensivo ed universalmente valido. - Leibniz è il primo a formularlo in modo rigoroso
come pilastro della sua logica;
Il principio del terzo escluso è indebito perché reifica il - Schopenhauer invece lo critica direttamente;
nulla. Tra essere e non essere sarebbe così escluso non solo il
terzo ma anche il secondo (il non-essere) che non essendo nulla Valore ontologico del principio di “ragion d’essere”
di positivo, non può costituire un’autentica alternativa all’essere.. Non è possibile negarlo senza affermarlo implicitamente.
La sua validità assume gradi proporzionali all’atto d’essere; infatti
VALIDITÀ ONTOLOGICA Dio non ha ragion d’essere ma è ragion d’essere
☺ Il principio di identità esplicita la necessità dell’autoidentità, La ragion d’essere si specifica in tre principi:
ossia di dire piena coerenza con se stesso, vale a dire di essere - principio di causalità
pienamente ciò che è. - principio di finalità
☺ La critica di Kant non è fondata: le due espressioni infatti non - principio di esemplarità
esclude ambiti di tempo, ma li include tutti, trascendendo il
tempo. La legge vale cioè in ogni istante, in ogni momento, 7.3 SPECIFICAZIONE INTERNA AL PRINCIPIO DI
quindi si dilata e non è per nulla limitata a delle condizioni RAGION SUFFICIENTE (causalità)
vincolanti (prescinde dall’anteriorità e dalla posteriorità). Significato
☺ Ogni dimostrazione li presuppone e li usa. Sono da mostrare, non I coprincipi di atto e potenza spiegano il “poter mutare”, ma non
da dimostrare, perché tanto evidenti da non chiedere l’effettivo mutamento. Resta irrisolta la questione del perché
dimostrazione; l’essere finito e contingente di fatto simpliciter sia e divenga.
☺ La loro portata ontologica è attestata dall’intuizione dell’EOF. Questa questione prende tradizionalmente il nome di “principio di
Nell’atto stesso in cui il cogito si coglie come esistente, prende causalità efficiente”
subito atto con evidenza assoluta che: Formulazione
- l’esistente nella misura in cui è, è: ossia esiste classica: il senso comune immediatamente avverte e
secondo i modi d’essere che gli competono e che semplicemente afferma che ogni effetto esige una causa.
lo fanno essere quel determinato ente, e non un Aristotele, che da buon greco non conosce il concetto di
altro; contingenza, afferma semplicemente che “tutto ciò che si
- è impossibile che l’esistente in quanto tale posa muove è mosso da altro”. In questo modo spiega il
nel medesimo istante “essere sì” ed “essere no”, passaggio dalla potenza all’atto di un esistente che già è,
essere quel determinato ente e non essere quel non il venire all’esistenza dell’esistente stesso.
determinato ente; S. Tommaso aggiunge tre nuove formulazioni:
- tra l’“essere qualcosa” e l’“essere non- - “ogni essere composto necessita di una causa”, che dia
qualcosa” non si dà via di mezzo; ragione del fatto che le parti stiano insieme e perché;
- “ogni ente per partecipazione presuppone un essere
La portata delle critiche è insufficiente : impartecipato”
 La critica del fissismo e del monismo perché la piena identità - “ogni essere contingente esige una causa”
non è da vedersi in modo univoco e statico ma analogo e moderna:
dinamico;  secondo Hume, la legge va formulata in questi
termini: “tutto ciò che incomincia ad esistere
5
esige una causa”. Duplice lo sbandamento di formalmente distinto da quello per cui è in potenza alla novità
Hume: egli vorrebbe fondarsi su quel “tutto”, ma d’essere.
nessuno può avere l’esperienza del tutto in
partenza. Dire “ogni cosa” è radicalmente diverso, Il principio di causalità si pone così come universalmente valido e
perché implica un arrestarsi laddove arriva la mia necessario per ogni “id quod est” che partecipi del’“esse”.
esperienza; delineo in questo modo un orizzonte Questo comporta alcune critiche storiche:
sempre ulteriormente estendibile, che però parte  In Aristotele, mancando il concetto di creazione,
dalla singola cosa. viene indagato solo il divenire e non la contingenza;
L’“incomincia” invece impoverisce l’esperienza: da un lato non  L’empirismo humiano non comprende il nesso
dà ragione di ciò chè è contingente e composto, dall’altro di ciò causale che è inferenza metaempirica;
che già sussiste senza avere avuto un cominciamento (es.:  Con il razionalismo di Spinosa si ha il primato della
angeli). ratio sull’essere: si diffonde così l’idea che tanto più
 Spinoza considera Dio “causa sui”, ossia causa di sé, una cosa è conosciuta, tanto meglio esiste. Dio è
anziché incausato. Pericolose qui le derive verso il perciò “causa sui”e non causa incausata;
determinismo ed il razionalismo, dove il piano  Solo con Agostino ed il concetto di “creatio ex nihilo
ontologico e quello gnoseologico sono confusi. sui et subiecti” si ristabilisce il primato dell’essere;

Contestazioni Rilevanti distinzioni terminologiche (per non ingenerare


 Sesto Empirico sottolinea che la causalità, confusioni)
dicendo relazione, ha consistenza solo  Diciamo causa secundum fieri quella che fa
all’interno dello spirito che la concepisce insorgere un nuovo modo di essere all’interno di
 Nominalisti. è solo flatus vocis una realtà già esistente. Diciamo causa
 Hume: la causa non è un dato empirico, ma secundum esse quella che opera il passaggio
solo il frutto dell’abitudine di pensare le cose all’esistenza di realtà che simpliciter non
non solo una dopo l’altra (hoc post hoc) ma esistevano;
la precedente causa della successiva (hoc  Diciamo causa prima quella che non dipende da
propter hoc). L’esperienza sensibile infatti altri nella sua azione, causa seconda se agisce in
non coglie in nessu modo il nesso causale. dipendenza da altri;
 Kant: seguendo Hume la ritiene un giudizio  Diciamo causa principale assimila a sé l’effetto
sintetico a priori delle categorie. agendo in virtù della propria forma. La causa
strumentale agisce invece in virtù della forma
Valore ontologico, universale e necessario del principio di della causa principale (pennello dell’artista);
causalità  Diciamo causa essenziale o “per se” quella che
Distinguiamo anzitutto la causalità fisica, che riguarda i fenomeni, produce l’effetto cui è propriamente ordinata.
dove “causa” diventa sinonimo di fatto antecedente ed “effetto” Diciamo causa accidentale o “per accidens”
sinonimo di fatto successivo, dalla causalità metafisica, dove il nesso quella che non produce l’effetto che dovrebbe;
causa-effetto indica invece il rapporto intrinseco, ontologico, che si  Si dice causa il principio che produce la novità
stabilisce tra due esistenti di cui almeno il secondo è contingente, vale d’essere, l’effetto (i polmoni), mentre condizione
a dire non ha in sé la ragione sufficiente del suo esistere. Hume e Kant è ciò che è assolutamente richiesto perché la
hanno mosso la loro critica nell’ambito della causalità fisica, Anche causa possa agire (l’aria) e l’occasione è ciò che
questa critica è sbagliata (qui contestiamo l’Alessi!), perché non si facilita l’agire della causa (la vicinanza al mare);
può privare l’esperienza come tale della sua componente razionale. Il N.B.: la grande confusione del razionalismo e poi del positivismo è
“perché” o c’è subito in linea di principio o lo perdo. L’esperienza stata quella di ritenere ad esempio la massa cerebrale come causa
non è mai riducibile a pura sensibilità, sradicabile e disgiungibile dalla produttrice di concetti e non condizione di possibilità
sua componente razionale (se muovo un braccio è perché ho deciso di dell’espressione della facoltà intellettiva, che è invece di ordine
muoverlo!): la razionalità mi accompagna sempre, quindi negare il trascendente il dato biologico ed organico.
polo metafisico è negare pure quello fisico.
Corollari: l’assioma “agere sequitur esse”
Argomentazione relativa alla contingenza 1) ogni agente agisce in quanto è in atto, ossia la
I passo: l’essere contingente è una realtà che, pur esistendo di fatto, realtà causante deve possedere in atto la
potrebbe anche non esistere perfezione che comunica. Attenzione: questa
II passo: proprio per questo l’essere contingente è in qualche modo preesistenza non è da intendersi in senso
“indifferente ad esistere”, non di valore (una volta posta in essere, materiale: Dio non deve possedere un corpo per
ogni realtà tende alla conservazione di sé), ma di principio (sta creare realtà materiali, né un uomo le ali per
tranquillo anche non esistendo) costruire un aereo. È da intendersi in senso
III passo: tale indifferenza indica una reale ambivalenza, ossia che eminente;
l’essere contingente non ha in sé la ragione sufficiente del proprio 2) ogni agente in quanto agisce non muta,
esistere. Non è lui il padrone del proprio essere. L’esistenza gli è stata l’effetto non modifica né logora la causa, né una
data, e non c’è nulla in esso che la reclami per necessità. parte dell’essere della causa migra e si
IV passo: non avendola in sé, deve avere necessariamente in altro la trasferisce da un essere all’altro (la madre resta
ragion sufficiente del proprio esistere. Questo “altro” è detto causa donna generando il figlio)
efficiente, ed è ciò che rende ragione adeguata dell’esserci effettivo 3) ogni agente produce un effetto a lui simile,
della realtà contingente. sostanziale nel processo generativo padre-figlio,
Per estensione, possiamo dire che il diveniente è un ente in cui insorge accidentale in quello creativo scultore-opera;
una novità d’essere (mutamento). Per esempio un ente può essere qui
o lì, indifferentemente. 7.4 IL PRINCIPIO DI FINALITA’
Conclusione: contingente e diveniente non trovano in sé la ragione di L’esperienza ci presenta un cosmo ordinato ad un fine, ad un
sé, ma in un “altro” detto “causa” progetto intelligente, anche se molte volte accadono fatti
apparentemente casuali, imprevedibili, dei quali non si sa
N.B.: la causalità dell’essere diveniente non è per forza estrinseca, ma determinare la causa. La finalità non è così evidente per gli eventi
nel caso dei viventi è essa stessa causa del proprio divenire. Ciò non naturali come lo è per l’agire umano che è intenzionale.
toglie che l’aspetto sotto il quale il soggetto è efficiente (in atto) sia
6
L’interrogativo teoretico si pone in questi termini: come capire l’ente (applicazioni interessanti: queste riflessioni scardinano il
che è buono come attivo, operativo, attraente? Perché suscita darwinismo radicale, che vorrebbe un’evoluzione casuale e
interesse? Risposta: per un fine in cui tutto riposa. progressiva; scardina lo scientismo di Martin Rees: l’universo è già
Ogni ente è appetibile, interessa un soggetto, è dinamico ed agisce. Ci cifrato in principio di una finalità ben precisa, i sei numeri).
si chiede: perché agisce? Chi glielo fa fare? Glielo fa fare un Dio non ha un fine, ma è il fine
finalismo, una causa finale da raggiungere e che promette di essere
appagata
E la casualità? Esiste?
I fautori del finalismo Certo, e l’esperienza lo conferma. Esiste relativa, non assoluta;
Platone ed Anassagora (primato della causa finale). Aristotele: “Dio e accidentale, non sostanziale. Infatti l’universo è costituito da enti che
la natura non fanno nulla invano”. S. Tommaso: “ogni agente agisce non possiedono la pienezza dell’atto d’essere che lascia perciò un
per un fine”. Leibniz sostiene che le monadi sono energie pensanti che certo margine di precarietà. Ogni esistente agisce in vista di un fine
tendono ad andare dal confuso al distinto (contro il meccanicismo del proprio: l’incontro di più enti può certamente risultare non
suo tempo) preordinato, non voluto né previsto: è l’incontro-scontro di attività di
I fautori del finalismo riduttivo realtà diversamente finalizzate.
- riduzionismo volontarista di Cartesio: l’arbitrio divino mette dentro Esistono dunque eventi casuali, ma unicamente nello spazio di un
la realtà dall’esterno il suo fine, che non riguarda quindi la natura mondo di enti finalizzati, subordinati cioè alla legge della finalità
degli esistenti che li regge.
- riduzionismo trascendentale di Kant: la finalità riflette un giudizio a-
priori del soggetto Riflessioni finali
- riduzionismo progressivo di Schopenhauer: la volontà di vivere Estremamente importante non confondere il fine con la meta.
acquista solo con una lenta realizzazione i fini concreti cui Il primo è ciò che spinge l’agente a produrre un effetto determinato
indirizzarsi. (ad es. ciò che spinge il chicco verso la spiga). In altre parole, è il
principio metafisico che rende ragione del fatto che la causa
efficiente produca un effetto specifico a preferenza di un altro. Il
I fautori dell’antifinalismo rigido secondo è invece il risultato concreto conseguito dall’agente con la
I filosofi ionici e Ockham optano per un meccanicismo fissista, dove sua attività. Spesso il confondere il fine con la meta ha portato al
la fattualità porta ad escludere qualsiasi dimostrabilità del finalismo. meccanicismo deterministico, convinto di poter ridurre la realtà ai
Spinoza lo ritiene proiezione antropomorfica in base alla quale l’uomo principi di azione-reazione (conosciute le variabili iniziali, posso
interpreta l’agire della natura sulla falsariga del comportamento degli predire con esattezza il risultato dell’azione): l’individuazione della
agenti intelligenti e liberi. Per Sartre invece esiste il caso assoluto. meta non spiega invece la finalità!

Valore ontologico, universale del principio di finalità 7.5 IL PRINCIPIO DI ESEMPLARITA’ (o idealità)
Distinguiamo (metafora del guantaio): L’esperienza ci mostra l’esistenza di somiglianze in gradazioni
- “finis operationis”: il progetto complessivo a cui diverse ma innegabili e di perfezioni non equiparabili in modo
sono destinate tutte le azioni; univoco; a livello operativo si hanno le tendenze ad agire secondo
- “finis operis”: le finalità specifiche per cui un natura per modelli determinati. La riflessione ci ha mostrato
oggetto è statoprodotto; l’analogia nonostante una certa eterogeneità, una gerarchia
- “finis operantis”: le motivazioni che dirigono nonostante un apparente caos e quindi anche una esemplarità oltre la
l’operazione; difformità (non imitazione pedissequa, non eccentricità). Perchè
Due sono le possibili formulazioni: dunque è così evidente la somiglianza dei viventi? Cosa chiede
- “ogni agente agisce per un fine”: ha il pregio ancora l’ente per essere capito in questa prospettiva? Risposta: un
dell’estensione universale ad ogni ente; principio di esemplarità
- “ogni essere ha un fine”: ha il rischio di limitare
il discorso ad un solo dei tre fini sopradistinti Posizioni storiche
- Platone: il demiurgo del Timeo ha le idee come
Precisazioni esempi cui ispirarsi;
o a livello fisico ci si limita a definire - Plotino: tutto è modellato a partire dal “nous”,
“effetto” l’evento antecedente che è l’Uno da cui fluiscono per emanazione tutti gli
prodotto dalla causa efficiente, e “fine” esistenti.
la meta concreta cui approda l’attività - Agostino e lo Pseudo-Dionigi: le idee esemplari
dell’agente; sono situate nel logos ed immesse lì da Dio (le
a livello metafisico la relazione causa- rationes seminales);
fine non si limita a rilevare la - S. Bonaventura e S. Tommaso: definiscono gli
successione spazio- temporale, ma si esemplari in termini di cause formative;
chiede il perché; In ogni caso, la maggior parte degli scolastici riconduce
o è sufficiente un’intenzione inconscia, un l’esemplarità al principio di causalità.
tendere-in (es.: l’istinto animale);

Argomentazioni circa l’universalità


Ogni “id quod est” agisce orientato verso un fine. Ci si chiede perché Chiarimenti
la materia informe, postulata all’inizio di tutte le cose, abbia Con il termine “causa esemplare” si fondono due visioni:
concretamente dato origine al nostro universo piuttosto che ad un l’esemplare è infatti ciò a somiglianza del quale l’agente produce
altro. L’interrogativo in realtà non ha significato, perché non ha senso l’effetto. Da qui le due formulazioni del principio:
supporre un materia pura, totalmente determinabile in principio: se - “ogni agente agisce in conformità ad un
così fosse varrebbe l’apologo dell’asino e della biada; se non c’è esemplare” (punto di vista della causa
nessuna ragione a spingere l’essere in una direzione piuttosto che in efficiente);
un’altra, l’essere semplicemente “morirebbe”, cioè perderebbe la - “ogni essere finito è prodotto in conformità di
ragion sufficiente di sé. Se fosse assolutamente indifferente orientarsi un esemplare” (punto di vista dell’effetto);
in un modo piuttosto che in un altro, il principio di ragion sufficiente
sarebbe negato. Valore ontologico del principio di esemplarità

7
Ogni agente produce per sé effetti comportanti effettiva somiglianza. intrinseco mentre per la causa esemplare agisce su altro. È
La causa efficiente partecipa le proprie perfezioni “remotamente” sul diversa anche da quella finale, che consiste nell’essere
fondamento dell’actus essendi ma “prossimamente” attraverso la desiderato, mentre qui nell’essere imitato.
forma che gli è propria. È la forma infatti che possiede la pregnanza
quidditativa dell’ente. Per dare completezza al discorso:
L’agente non comunica però la sua forma né trasmette le sue finalità IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITA’
attraverso il transito di determinazioni quidditative, ma fa emergere Esso trova giustificazione come irraggiamento dal “relationale” , che
nuovi aspetti formali conseguenti finalità attualizzandole. come gli altri tre trascendentali non è statico, ma in dinamismo.
La ragione della somiglianza intercorrente tra causa e causato sta nel Ne scaturisce, di conseguenza, che volenti o nolenti, ognuno di noi è
fatto che l’agente, pur non comunicando direttamente i propri modi di immerso in questa logica di relazionalità, cui non si può sottrarre
essere plasma gli effetti in consonanza con la sua forma. Assume cioè lavandosene le mani (ecco perché responsabilità). Di più: la
il proprio principio formale a modello, norma, archetipo, relatività cosmologica ci insegna che neanche il livello più basso
esemplare del proprio agire degli enti (i non-viventi) sono estranei a questa dinamica. L’
elettromagnetismo, il chinismo, confermano che non c’è nulla che
Considerazioni finali esista senza legame con altro, e che tutto è cifrato di comunionalità
1) L’esemplare è dunque principio autenticamente causativo, “responsabile”, che chiede il rispetto di leggi estrinseche a sé.
in quanto influisce positivamente sull’operato della causa Applicata la debita analogia di proporzione si può scoprire
efficiente e di quella finale l’affascinante mondo dei vincoli delle relazioni interpersonali,
2) È diversa dalla causa formale, che non è principio di straordinariamente più complesse e originali nelle loro
specificazione. È diversa da quella formale, dove l’agire è
manifestazioni.

Potrebbero piacerti anche