Sei sulla pagina 1di 10

ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE ALL’APOLLINARE

Cognome, nome e matricola


Lauria Francesco 20645

Titolo dell’elaborato
L’unità dell’essere umano: spiegare la speciale unità dell’uomo a partire dalla considerazione delle sue
operazioni.
Sommario

Introduzione

1. L’uomo e il fondamento della vita


2. La dignità dell’uomo
3. Il funzionamento dell’intelletto
4. L’unità dell’uomo nell’agire

Conclusione

Bibliografia

Introduzione

Il presente lavoro vuol fornire concetti basilari sulla realtà umana, per comprendere la
necessarietà della sua unità, concepita nella determinazione dei suoi atti. Per dimostrare ciò è
propedeutica l’analisi di aspetti come anima, corpo, persona, dignità, intelletto, volontà,
libertà.

1. L’uomo e il fondamento della vita

L’uomo è fondamento di studio dell’antropologia filosofica, che lo indaga nella sua


essenza, ricercandone le cause ultime, partendo da categorie esperienziali, con l’obiettivo di
capire perché sia effettivamente così come è, non altro.
L’uomo è un essere vivente, dotato di un corpo vivente assoggettato a leggi fisiche e
chimiche nel contesto in cui è inserito, caratterizzato da un organismo provvisto di proprietà
come metabolismo, riproduzione, omeostasi, (capacità degli organismi di autoregolazione
interna), costituito da organi, gerarchicamente strutturati, che simbioticamente espletano
funzioni vitali tendenti al suo benessere. Tra gli esseri viventi è quello con il grado di
perfezione più elevato: autocoscienza, decisionalità, linguaggio, ecc., sono dotazioni
strutturali riscontrabili solo in esso. In comune con il mondo animale, l’uomo ha un corpo
senziente, capace di sensazione, di relazione con gli altri enti corporei, sia essi animati che
inanimati1.
La concezione aristotelica costituisce un fondamento da cui partire per la comprensione
filosofica dell’ente uomo. Secondo Aristotele l’uomo è essere razionale, dotato di intelletto e
1
Cfr. M.A. FERRARI, Persona umana. Essere e compiutezza, Edusc, Roma 2022, pp.19-23.

1
di volontà, che gli consentono di agire liberamente: l’uomo agisce di per sé, le sue azioni
sono originate all’interno del suo essere, indirizzandosi a fini specifici. Essendo l’uomo
causa dei suoi atti si innesta qui la responsabilità e l’eticità del suo agire. Tramite le sue
capacità intellettive, l’uomo razionale trascende la materia accedendo alla realtà più completa
della immaterialità; rivolge la sua attenzione alla realtà circostante e a quella trascendente. È
un essere relazionale, che non confina la sua relazionalità all’ambiente in cui vive, ove potrà
distinguersi tra gli altri umani, facendo esperienza dell’unicità del suo io, ma costruisce un
ambiente interiore di virtù che lo indirizza verso fini di bene2.
La questione del perché l’uomo è vivo passa dal generico concetto di essere vivente.
Questi esprime caratteristiche operative che lo determinano: si muove autonomamente, ha
capacità di compiere operazioni vitali (nascita, riproduzione, nutrizione ecc.), operazioni
sensitive che implicano una certa conoscenza, operazioni intellettive (esclusive dell’uomo),
che esprimono volontà, linguaggio, perseguimento di specifici beni. Dall’esperienza
riscontriamo che alcuni enti sono vivi ed altri no e che sono ciò che sono e non altro3.
Secondo lo Stagirita ogni ente è strutturato da composizione ilemorfica di materia e
forma: la materia è mera potenza, la forma, da cui la materia dipende, è ciò che porta all’atto
la potenzialità della materia, rendendo evidenza della diversità degli enti. I viventi, inoltre,
sono indivisibili, conducono ad una speciale e connaturale unità, che determina un individuo.
L’autorealizzazione fa tendere il vivente al proprio bene, l’immanenza fa sì che tutte le sue
operazioni rimangano dentro di esso, per riflettere sui suoi atti in grado di modificarlo. Altra
sua caratteristica è la ciclicità, ossia movimenti ripetitivi, come nascere, nutrirsi, morire
(ciclo della vita). Partendo dall’assunto aristotelico che tutte le cose materiali sono costituite
da materia e da qualcosa di immateriale definito forma, le differenze tra le realtà materiali
dipendono da quattro tipi di cause: la causa agente (chi produce quella realtà), la causa
materiale (materia di cui è composta quella realtà), la causa finale (a quale fine è indirizzata
quella realtà), la causa formale (forma che determina quella realtà). Un ente vive non a causa
della sua materia, altrimenti ogni realtà materiale sarebbe viva, cosa esperienzialmente falsa.
Aristotele propone questa soluzione: scrivendo ABC e BCA notiamo che le lettere (materia)
sono uguali, il loro ordine (forma) è diverso. La forma è qualcosa di metafisico che esige una
astrazione: è sostanziale quando determina l’essere, è accidentale quando riferisce di attributi
dell’essere, soggetti a cambiamento. Il corpo è reso vivo dalla forma, che Aristotele definisce

2
ibidem, pp.19-23.
3
ibidem, pp.26-27.

2
anima, intesa come elemento immateriale, principio vitale del corpo, unita al corpo, che
rende vivo. Nell’uomo tale forma è l’anima razionale, in forza della quale vive, nella sua
unità composta da razionalità e materialità. L’anima è forma di corpo organizzato; così si
garantisce l’unità dell’uomo (al contrario di Platone e del suo dualismo anima-corpo); è
immateriale ed intrinseca: appartiene al vivente perché ne causa la vita. Da ciò deriva l’unità
anima-corpo i due co-principi della realtà vivente. L’anima è unica essendo l’essere di ogni
cosa unico, ma differisce a seconda dei viventi: anime vegetative per il mondo vegetale,
anime sensitive per quello animale, anime intellettive per quello umano. La più eccellente è
l’anima umana che contiene in sé l’operatività dell’anima sensitiva e vegetativa, con
conseguente diversità operativa tra i vari tipi di anime descritti. L’anima è incorruttibile ed
immortale. L’anima dell’uomo è capace di operazioni immateriali, dovute ad un principio
immateriale che permane dopo la morte del corpo.
La filosofia di Tommaso d’Aquino completò la definizione di anima, come forma che
conferisce sostanzialità. L’uomo è causa della sostanzialità di uno dei due co-principi che lo
costituiscono: l’anima intellettiva. Con la morte si corrompe il corpo, non l’anima. Tommaso
spiega la sostanzialità attraverso operazioni compiute dalle sostanze. Nell’uomo, essendoci
atti conoscitivi intellettivi, ci deve essere una causa -l’intelletto- che è principio della natura
umana. Attraverso l’intelletto l’uomo conosce la realtà; esso non è materiale altrimenti non
potrebbe conoscere nature diverse dalla propria. Le operazioni intellettive (comprendere,
pensare, ecc.) sono tipiche dell’anima razionale, che opera per sé ed essendo una forma
sussistente non può perdere il suo essere. L’Aquinate afferma che le operazioni umane
(sensibili ed intellettive) avvengono grazie alla forma sussistente del corpo umano, che
rappresenta l’anima razionale. In questa attività, indagando dati sensibili, l’uomo elabora
forme intellegibili, attraverso l’anima intellettiva, che ne determina l’unicità della sua
sostanza. Anima incorruttibile ed immortale che non può esercitare le sue funzioni
conoscitive senza il contributo materiale del corpo di cui l’uomo è dotato4.

2. La dignità dell’uomo

4
ibidem, pp.27-60.

3
Il tema della dignità umana passa dal concetto di persona termine derivante dal greco
prosopon (ciò che appare), riferito inizialmente alla maschera utilizzata nei riti religiosi
dionisiaci. Epitteto applicò tale termine non alla maschera ma all’attore, Cicerone lo usò per
indicare l’individuo della specie. In ambito latino-romano, il termine indicò il soggetto di
diritto, acquisendo dimensione giuridica (non per la donna). Per il cristianesimo l’accezione di
persona si lega al dato biblico: l’uomo immagine e somiglianza di Dio (Gn 1,26), non può
considerarsi individuo della specie, ma il vivente con maggiore dignità. Il concetto cristiano di
persona esprime, inoltre, singolarità, unicità e uguaglianza dell’essere umano davanti a Dio.
Tali accezioni del termine persona esulano dall’aspetto filosofico che invece ci interessa5.

Boezio in ambito filosofico definì persona come sostanza individuale (diversità delle
persone) di natura razionale, cioè è essere in sé, con un sostrato di accidenti, che quando
cambiano non incidono sull’essere in sé6.

Tommaso d’Aquino corresse la definizione di Boezio, ampliandola metafisicamente,


approfondendo il concetto di sussistenza (subsistens rationale), definendo persona l’essere
sussistente di natura razionale: un essere individuale sussistente in sé. La persona è il soggetto
del proprio bene quindi insostituibile, capace persino di tendere al sommo bene: Dio.
L’unicità della persona è dovuta dal bene insostituibile, che individua per sé stessa e per gli
altri e ne fanno l’essere vivente con spiritualità insondabile e incomunicabile. La sua
ontologica dignità deriva dall’essere un singolo di natura razionale. Tale dignità è uguale ed
inalienabile per tutte le persone, tanto da considerarla un territorio spirituale sacro. La
persona, però, non è capace di esprimere perfezione nel suo agire; può tendere a tale
perfezione attraverso l’esercizio della sua libertà, che attiva nel contesto di socialità, dove
dovrebbe realizzare il suo e l’altrui bene7.

La naturale tendenza di una persona è amare ed essere amati. Ciò è espresso nella
speciale unità corporale con l’atto sessuale dove uomo e donna sono dono reciproco di amore,
nel vivere relazioni di amicizia, valorizzando gli altri come persone con pari dignità. Quell’io
indissolubile, incomunicabile, che contraddistingue ogni essere umano, si apre al noi,
riconoscendo l’umanità dell’altro. Gli ambienti sociali in cui ogni uomo vive, -famiglia,

5
ibidem, pp.61-63.
6
ibidem, p.64.
7
ibidem, pp.65-73.

4
lavoro, società civile e politica- sono contesti in cui la persona esercita la sua naturale
tendenza ad amare8.

3. Il funzionamento dell’intelletto9

L’uomo, come spiega Aristotele all’esordio della sua Metafisica, tende a sapere,
attraverso l’uso dell’intelletto. La conoscenza è connaturale all’uomo, è attività che lo
coinvolge interamente, appartenendo sia alla sfera intellettiva che a quella sensitiva. I sensi
umani forniscono l’immagine sensibile dell’ente, una prima conoscenza, che produce una
mediazione verso la conoscenza dell’intelletto: il principio dell’ente sensorialmente osservato.

Le tre caratteristiche dell’umana conoscenza sono la completezza, cioè l’istantaneità del


conoscere, l’immanenza, cioè la conoscenza resta nel soggetto, l’immaterialità, cioè la
rappresentazione o fantasma della realtà esterna che conosciamo. L’immaterialità dell’atto
prevede quindi l’esistenza di una facoltà immateriale in grado di attuarlo.

Questo ultimo procedimento viene argomentato dall’Aquinate nella questione 85 della


Summa Theologiae, che tratta lo sviluppo della conoscenza intellettiva. Esistono nell’uomo
tre tipi conoscenza: quella che procede dalla realtà corporea (sensi esterni), che ha per oggetto
enti materiali con forme concrete, che acquisisce solo i singolari; quella attraverso l’intelletto
angelico, che conosce le forme separate dalla materia; quella dell’intelletto umano (intermedia
alle prime due) che è facoltà dell’anima, che conosce le cose materiali astraendo il cosiddetto
fantasma, l'immagine delle cose sensibili sprovviste della materia, la specie intelligibile,
raggiungendo così una certa conoscenza delle cose immateriali (Art.1). Nella conoscenza
tramite l’intelletto, l’oggetto, il termine dell’azione del soggetto, si identifica con l’oggetto
delle scienze: l’immagine di un oggetto visibile è il mezzo di cui l’organo visivo si serve per
vedere, così come l’idea di quello che il nostro intelletto vede è la forma di cui ci si serve per
intendere una realtà (Art.2). L’Aquinate spiega la conseguenzialità della conoscenza,
affermando che il sapere intellettivo scaturisce e sia preceduto da quello sensitivo. Ma se la
conoscenza sensitiva garantisce esclusivamente l’acquisizione dei singolari, possiamo dedurre
che questi precedono gli universali nella nostra conoscenza. L’obiettivo del nostro intelletto è
compiere un atto perfetto, che consenta di raggiungere una conoscenza chiara e distinta,
passando da uno stato intermedio che consente una prima conoscenza confusa della realtà, per
8
ibidem, pp.92-104.
9
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 85.

5
afferrare quella dei principi del nostro oggetto di intellezione. Tommaso sottolinea la
dipendenza dell’intelletto dai sensi e la conoscenza dei dati degli universali precede quella dei
dati meno universali (Art. 3). L’intelletto non può conoscere molte cose simultaneamente, ma
più cose di una stessa unità, perché conosce attraverso la forma, quindi, solo relativamente a
quell’unica specie intenzionale; può però indirizzare la propria ricerca rapidamente su altri
enti da conoscere (Art. 4). Inoltre, l’intelletto non riesce istantaneamente ad avere una
conoscenza perfetta dell’oggetto che analizza; si serve di una serie di raffronti e
contrapposizioni, per individuare sia la forma, sia le proprietà e gli accidenti dell’oggetto. Gli
intelletti angelico e divino, al contrario, giungono istantaneamente alla conoscenza perfetta
(Art. 5). L’Aquinate pone la questione se l’intelletto possa compiere errori, spiegando che i
sensi esterni non si ingannano circa l’oggetto proprio (es. la vista non si inganna sui colori),
ma possono ingannarsi per accidens, cioè per un impedimento del senso (es. danno all’organo
visivo), o nel giudicare grandezze. Ma, se l’intelletto ha come oggetto quella che Tommaso
definisce quiddità (essenza, forma) delle cose, che fa sì che una cosa sia quello che è, non
potrà ingannarsi. In presenza di forme complesse può sbagliare per accidens (Art. 6). Ancora,
il filosofo spiega che l’intelletto, lavorando per astrazione dai fantasmi, conduce verso
principi assoluti di conoscenza, in cui agisce anche la parte sensoriale. Dove esiste migliore
predisposizione dei sensi esterni si produrrà un maggior grado di conoscenza intellettiva, con
la conseguenza che tra i soggetti intelligenti esisterà una disparità di livello di conoscenza
della medesima realtà indagata (Art. 7). Infine, Tommaso, richiamando Aristotele, spiega
come l’intelletto conosca prima gli indivisibili che i divisibili. Un ente può essere indivisibile
in tre modi: pensando ad un continuo (il tempo) che è conosciuto prima dal nostro intelletto
prima che possa essere divisibile in potenza; un ente considerato secondo la sua specie
(l’uomo), che viene conosciuto prima come indivisibile e poi divisibile nelle sue parti
essenziali; infine attraverso un indivisibile che non può essere diviso nemmeno in potenza e in
atto come il punto, dove l’indivisibilità viene acquisita dall’intelletto come negazione della
divisibilità (Art. 8).

4. L’unità dell’uomo nell’agire

La sintesi di quanto fino espresso dovrà condensarsi nello spiegare l’unità umana
partendo dalle sue operazioni e cercando di comprendere perché un atto umano libero
coinvolga tutta la persona. Premesso che nell’uomo esiste l’anima immateriale in relazione

6
unitaria con la corporeità; avendo definito l’anima una forma sussistente, un soggetto di
essere, che esige un corpo in modo da formare un unico ente, come possiamo garantire tale
l’unità?

Anzitutto, è lo stesso soggetto che utilizza i sensi e conosce. L’intelletto ha l’obiettivo


di conoscere la forma di un ente, ma essendo la sua indagine fondata su una realtà sensibile,
ne consegue che il corpo umano diventa una esigenza imprescindibile per l’anima. Per la
relazione razionalità/sensibilità facciamo ricorso ancora all’Aquinate che ci spiega come
l’irascibile ed il concupiscibile obbediscano alla ragione. Nel co-principio umano più elevato,
dove troviamo ragione e volontà, si comandano gli appetiti sensitivi. La razionalità umana
regola tali appetiti, che attendono un comando della volontà per muoversi essendone
subordinati10.

L’uomo agendo liberamente, compie atti in cui partecipano unitariamente la ragione e la


volontà che esprimono la sua unità. Aver introdotto il concetto di libertà, fa scaturire ulteriore
questione: in ogni atto libero agiscono non solo ragione e volontà, ma anche le inclinazioni
psichiche della persona, dove si esprime la libertà, che si spera illuminata dalla coscienza, per
decisioni che rispettino la morale naturale e siano. L’atto umano, pertanto, è frutto delle
facoltà possedute dall’uomo (intelligenza, volontà), delle emozioni, delle passioni, della
spontaneità, dei tratti personali unici; esse collaborano con la volontà chiamata a scegliere il
bene di questi atti. Ciò determina un dinamismo che produce nella persona abiti buoni (virtù),
ed abiti cattivi (vizi), entrambi rapportati al fine ultimo dell’uomo bisognoso di amare ed
essere amato. Nella temporalità dell’esistenza, l’atto umano deve prevedere scelte morali
corrette, non solo per una crescita spirituale, ma per educare ad una corretta libertà, da
esercitare quindi, non in senso egoistico, ma in quello altruistico. Solo così l’uomo, essere
costitutivo razionale e relazionale, potrà trovare la sua piena e concreta realizzazione
temporale e spirituale. Per questo l’unità dell’uomo è garantita anche dalla sua dimensione
morale11.

Conclusione

10
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 81 a.3.
11
R. GARCÍA DE HARO, La vita cristiana, Ares, Roma 1992, pp. 209-212.

7
A conclusione di questa ricerca, considerando che il mistero veritativo sull’uomo, non
può essere affrontato senza l’utilizzo di categorie filosofiche, mi si manifesta un pericolo di
natura teologica. La moderna filosofia sembra svuotare il significato originario sul mistero
uomo. Una nuova antropologia impietosamente avanza verso una decostruzione dell’umano,
con l’obiettivo di scardinare il suo dinamismo, la sua libertà, la sua comunione con gli altri e
con Dio. La conseguenza catastrofica è che svuotando l’essere umano, si perde la rotta verso
il porto sicuro del bene eterno divino. Una società tecnicista, materialista, radicata nella
cultura mortale (aborto, eutanasia, gender, ecc.), è pronta per inaugurare un transumanesimo,
che vuole distruggere quella immagine e somiglianza divina. Ai profeti del nostro tempo, che
il Signore susciterà, toccherà difendere la verità sull’uomo, così come concepita dal volere
divino, cui ogni essere razionale, sussistente, per sua essenza, dovrebbe tendere e su cui
troverà giudizio divino inappellabile di condanna o salvezza.

Bibliografia

8
Studi

M.A. FERRARI, Persona umana. Essere e compiutezza, Edusc, Roma 2022.

R. GARCÍA DE HARO, La vita cristiana, Ares, Roma 1992.

TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 85.

TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 81 a.3.

Potrebbero piacerti anche