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Tecniche e tecnologie della Diagnostica 1

Si lavora su un’enorme varietà di manufatti. Nei laboratorio ognuno ha il suo settore: restauratori, archeologi,
chimici, geologi, biologi, storici dell’arte, architetti. Più figure professionali che si confrontano tra di loro, che
utilizzano termini diversi per indicare la stessa cosa e che le loro basi culturali e competenze tecniche assai diverse
che danno luogo a problemi di incomprensione.

Nel 1979 venne istituita, su iniziativa dell’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) e del Consiglio Nazionale delle
Ricerche (CNR), la Commissione NorMaL (Normativa Manufatti Lapidei) con lo scopo di redigere metodi unificati
per lo studio delle alterazioni dei materiali lapidei e per il controllo dell’efficacia dei trattamenti conservativi di
manufatti di interesse storico-artistico.

Il 19 giugno 1996 il Ministero stipula una convenzione con l’UNI, unico Ente Nazionale di Normativa. I gruppi di
lavoro erano 11, i componenti della Commissione erano 250 ed erano costituiti da esperti scientifici del Ministero
dei Beni e le Attività Culturali, ricercatori del CNR, ricercatori e professori universitari, rappresentanti delle
Soprintendenze, restauratori, rappresentanti di industrie interessate al settore della conservazione del patrimonio
storico-artistico.

Il passaggio in ambito UNI si è reso necessario per il riconoscimento dell'attività di normativa e non più di
raccomandazione, al fine di avere una maggiore diffusione dei documenti e la possibilità di inserimento della
commissione NorMaL a livello di normativa Europea nei Beni Culturali. L’Italia è il primo paese, non solo in Europa
ma nel mondo, ad essersi dotata di una normativa specifica per la conservazione di quei beni che costituiscono il
patrimonio inalienabile di ogni paese.

Con il passaggio in ambito UNI la Commissione ha assunto il nome UNI Beni Culturali - NorMaL estendendo la sua
attività al settore della conservazione dei beni culturali (in ambiente confinato e non confinato). I lavori di
normazione della Commissione Beni Culturali UNI NorMaL attualmente sono affidati a 24 Gruppi di lavoro e gli
argomenti trattati riguardano: Normativa di legge, Restauro Beni Architettonici ed Ambientali, Restauro Beni
Archeologici, Restauro Beni Storico-Artistici, Diagnostica.

Rilievo del degrado: Materiali lapidei naturali ed artificiali - descrizione della forma di alterazione – termini e
definizioni UNI11182:2006 (ex NORMAL 1/88) → non c’è tanta differenza tra le due ma non si usano più le
raccomandazioni e qualche termine è cambiato.
Ogni operazione ha il suo prezzo identificabile con il Prezzario DEI
Scopo: la norma indica la scelta e la definizione dei termini utili per indicare le differenti forme di alterazione e
degradazione visibili ad occhio nudo
Campo di applicazione: materiali lapidei naturali (rocce) e materiali lapidei artificiali (malte, stucchi, prodotti
ceramici, etc.)
Alterazione: modificazione di un materiale che non implica necessariamente un peggioramento delle sue
caratteristiche sotto il profilo conservativo.
Degrado: modificazione di un materiale che comporta il peggioramento delle sue caratteristiche sotto il profilo
conservativo.

Alterazione cromatica: Variazione naturale, a carico dei componenti del materiale, dei parametri che definiscono il
colore. È generalmente estesa a tutto il materiale interessato; nel caso l’alterazione si manifesti in modo
localizzato è preferibile utilizzare il termine macchia.
Crosta nera: Modificazione dello strato superficiale del materiale lapideo. Di spessore variabile, generalmente
dura, la crosta è distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e spesso per il colore. Può
distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta disgregato e/o polverulento.
Efflorescenza: Formazione superficiale di aspetto cristallino o polverulento o filamentoso, generalmente di colore
biancastro.

Dopo aver individuato i problemi il passo successivo è il campionamento. Bisogna chiedere alla Soprintendenza e
alla proprietà.

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Campionamento: Metodologia per il campionamento dei materiali costituenti i Beni Culturali UNI EN 16085:2012
(ex NORMAL 3/80)
Campione: piccola quantità prelevata da un insieme maggiore al fine di accertarne le caratteristiche.
Tipologia di campioni: pellicola pittorica, frammento di materiale lapideo, lembo di tessuto, crosta di ruggine su
reperto archeologico, scheggia lignea, tampone di cotone utilizzato per pulitura, etc.
Localizzazione del punto di prelievo: annotare l’esatto punto di prelievo su mappa o disegno, effettuare
documentazione fotografica d’insieme e del particolare.

Prelievo dei campioni: le dimensioni del campione rappresentativo devono essere maggiori della grana e
dipendono dalla omogeneità/eterogeneità del materiale che si campiona (es. malte e lapidei).
Rappresentatività del campione: deve essere il più possibile indisturbato (es. successione stratigrafica delle
pellicole pittoriche, compattezza di materiale lapideo e aggregati artificiali, materiali organici non inquinati, etc.)
ATTENZIONE!! Chi mette insieme materiali prelevati da punti diversi a formare un unico “mucchio”, non preleva un
campione: ogni singolo prelievo è un campione!

Il numero dei campioni deve essere contestualizzato alle dimensione dell’opera. Richiede persone con abilità
manuali e conoscenza dei beni culturali. Bisogna evitare il deterioramento/danneggiamento, quindi in un punto
poco visibile. È da eseguire secondo i requisiti dell’indagine scientifica. Bisogna preparare un piano di
campionamento.

Scheda di campionamento
 Codice identificativo del campione = sigle con numeri per creare un codice univoco ed esclusivo per il
campione
 Obiettivo del campionamento = correlato specificatamente all’indagine scientifica del campione in questione
 Indagine scientifica = descrizione della tipologia prevista
 Identificazione del bene con numero di inventario, nome, autore, data/periodo, ubicazione, città/stato,
proprietario
 Identificazione del campione con data di campionamento, nome della persona e contatti, posizioni (con foto
d’insieme e del particolare includendo anche una scala metrica e un riferimento colorimetrico), descrizione,
fotografie (con obiettivo macro, videomicroscopio, ecc.), metodo di campionamento (bisturi, pinzette,
scalpelli, microscalpelli, tamponi), informazioni correlate (è importante indicare le condizioni dell’opera
perché consentono di comprendere il campione)

Il campione è rappresentativo per le campiture. Se c’è un mucchio/miscuglio non si riesce a caratterizzare e ad


interpretare correttamente i risultati.

Conservazione e invio dei campioni al laboratorio: utilizzare contenitori puliti, solo per i campioni biologici il
contenitore deve essere anche sterile se possibile, di preferenza in plastica con tappo (no vetro, potrebbe
rompersi nel trasporto). Inviare i campioni al laboratorio di fiducia confezionando un pacchetto possibilmente
imbottito con allegata la documentazione identificativa del campione.

Per materiale inorganico si necessitano contenitori puliti, per materiale biologico deve essere sterile. Si necessita
di un contenitore rigido in plastica, che non si rompa, fissato con lo scotch e pulito. Si sceglie il contenitore in base
al tipo di campione. Nel caso di materiale biologico meglio metterli in frigo/al fresco anche per monitorare
l’umidità. Si inumidisce la testa del tampone con una soluzione fisiologica (soluzione salina).

Dopo di che si spediscono e si hanno i risultati: è importante ricordare che tutte le analisi di laboratorio si
eseguono su campioni e che i risultati ottenuti si riferiscono solo ed esclusivamente ai campioni esaminati.
L’interpretazione complessiva viene comunemente effettuata in
collaborazione con il restauratore, l’architetto, lo storico dell’arte, etc.

La microscopia ottica: stereomicroscopio


 consente osservazioni a basso ingrandimento (max. 100x, impiego
ottimale tra 10x e 40x)
 elevata distanza focale
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 notevole profondità di campo e visione tridimensionale dei campioni
 descrizione del campione prima di effettuare qualsiasi indagine analitica.

Ogni oculare ha la sua messa a fuoco. Per mettere a fuoco prima uno e poi l’altro coprendone uno.

La microscopia ottica: microscopio polarizzatore in luce trasmessa e in luce riflessa


1 - sorgente luminosa per luce trasmessa
2 - sorgente luminosa per luce riflessa
3 - polarizzatore
4 - tavolino porta oggetti
5 - obbiettivi su tamburo rotante (vedo 10 volte in più quindi es. 5x = 50x)
6 - analizzatore
7 - oculare
8 - raccordo per dispositivo fotografico

A nikols paralleli con 2 polarizzatori posizionati nello stesso modo, a nikols incrociati
impediscono il passaggio di quella luce . Per mettere a fuoco si avvicina o si allontana.

Nello stereomicroscopio la luce necessaria per studiare il campione viene fornita da una lampada ed investe
direttamente il campione.
Nel microscopio a luce polarizzata tra la sorgente luminosa ed il campione e tra il campione e l’osservatore
vengono inseriti due “filtri” (polarizzatore ed analizzatore) che hanno la proprietà di selezionare la luce, che sono
in grado cioè di lasciarne passare solo una componente (luce polarizzata).
Tale fascio attraversa il preparato (sezione sottile) oppure può essere riflesso dal preparato (sezione lucida). Si
studiano caratteristiche morfologiche e ottiche del campione.

Ingrandimento massimo con microscopi ottici 2000x, ingrandimenti ottimali da 100x a 600x.

I materiali analizzati vengono caratterizzati dal punto di vista mineralogico, non chimico. In sezione sottile si
determinano i minerali che costituiscono le rocce e gli aggregati artificiali. In sezione lucida si studiano le
caratteristiche mineralogiche dei pigmenti. Il luce polarizzata si possono anche caratterizzare i materiali sciolti
(malta disgregata o pigmento incoerente), disperdendo il campione in opportuni oli ad indice di rifrazione noto e
simile. Es: pigmenti. Nelle sezioni sottili si riesce a definire l’epoca di produzione del pigmento e dell’opera.

Azzurrite = carbonato di rame; Blu verditer = azzurrite artificiale; Cinabro = solfuro di mercurio; Malachite =
carbonato di rame più idrato; Blu oltremare = silicato alluminato di sodio. I pigmenti artificiali hanno i cristalli più
piccoli perché hanno avuto meno tempo per aggregarsi.

Allestimento di sezioni lucide (Raccomandazioni NORMAL 14/83)


I campioni vengono inglobati con resine di tipo epossidico (trasparenti incolori ma con il tempo tendono ad
ingiallire, leggermente viscose, sono più dure, aderiscono bene al campione, ottima per manufatti duri) o di tipo
poliestere (trasparenti ma leggermente colorate in verde o in rosa, più fluide, meno dure, ottima per dipinti).
Devono essere trasparenti per non incidere e in base al tipo di campione.
Il taglio viene effettuato trasversalmente al campione inglobato con una opportuna troncatrice a lama diamantata
refrigerata ad acqua. L’acqua serve per evitare interferenze. La superficie così ottenuta viene successivamente
lappata (lucidata) utilizzando delle carte abrasive a grana sempre più sottile (15 - 7,5 - 3 micron). La sezione è
pronta per essere studiata al microscopio polarizzatore.
Lappatrice = piatto d’acciaio su cui si appoggia la carta abrasiva e lucida il campione. Sempre meglio muoversi così
da non far rimanere residui sulla carta e sul campione. È importante la pulitura delle carte dopo l’utilizzo.
ATTENZIONE!! La preparazione della sezione lucida, così come avviene per qualsiasi preparazione, comporta
sempre il rischio di modifiche strutturali o inquinamenti del campione. Attenzione perché la preparazione porta al
rischio di modifiche strutturali anche tra gli strati. Si rischia anche di solubilizzare parte del campione. Es: lamina
d’oro (in sezione spessore di qualche micron ma in realtà gli spessori sono pari a 0.1micron o addirittura
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0.06micron). Es: granuli e particelle di uno strato pittorico durante la lucidatura vengono staccati ed re-inglobati in
un altro strato.

Per preparare la resina per le sezioni lucide il rapporto è 30 ml di resina con 10 gocce di indurente. Meglio una
goccia in più che una in meno. Si necessitano almeno 24 h per la polimerizzazione. Se il campione è grande meglio
tagliarlo a metà per avere due parti speculari.

Allestimento di sezioni sottili (Raccomandazioni NORMAL 14/83)


La sezione sottile è costituita da un vetrino portaoggetti, che serve da supporto, sul quale è incollata una “fetta” di
campione di spessore pari a 30micron (0.03mm). Il campione viene ricoperto da un vetrino sottile chiamato
coprioggetti.
Prima del taglio il campione deve essere consolidato a T e atmosfera controllata (sottovuoto) con opportune
resine consolidanti (resine epossidiche e poliestere) che non modificano le caratteristiche strutturali e
mineralogiche del campione.
Viene effettuato il primo taglio trasversalmente alla superficie esterna. La superficie di taglio così ottenuta viene
levigata con carte e paste abrasive e viene incollata sul vetrino porta oggetti.
Con un microtomo si taglia la parte in eccesso fino ad ottenere una “fetta” di circa 0.1mm e successivamente si
porta a spessore di 0.03mm.
Dopo aver levigato accuratamente la superficie della sezione sottile il campione viene protetto incollandovi sopra
il vetrino copri-oggetto con del Balsamo del Canada.
La sezione sottile è il punto di partenza per lo studio petrografico dei materiali lapidei e per la caratterizzazione
composizionale degli aggregati artificiali.

Microscopio Elettronico a Scansione SEM e analisi alla microsonda elettronica EDS

 Tipo di indagine e Campo di applicazione: Analisi non distruttiva; qualitativa (identifica la tipologia del
materiale) per il SEM e semiquantitativa (si danno percentuali, strumentazione non in grado di vedere tutto)
per l’EDS. Si applica generalmente ai materiali di natura inorganica: minerali cristallini o amorfi e metalli;
particolarmente utile nello studio di materiali compositi dalla struttura complessa.
Nel campo delle opere d’arte può essere applicata a dipinti su tela e su tavola, ai materiali fittili e lapidei,
materiali metallici, materiali ceramici, materiali vetrosi, etc.
 Oggetto d’indagine: Qualsiasi campione solido inseribile nella camera da vuoto dello strumento; è possibile
l’indagine su microcampioni anche in sezione lucida.
 Quantità di campione: è sufficiente un piccolo frammento di materiale solido, anche molto al di sotto del
milligrammo.
 Metodi: Ingrandimento di un oggetto solido mediante l’impiego di onde elettroniche. Un sottile fascio di
elettroni (primari) colpisce il campione che emette almeno tre tipi di segnali diversi che vengono raccolti e
visualizzati da un tubo catodico, fotografati o digitalizzati:
- gli elettroni secondari che riforniscono un’immagine tridimensionale del campione e quindi la struttura
morfologica dello stesso;
- gli elettroni retrodiffusi (back scattering) che evidenziano la distribuzione degli elementi a diverso peso
atomico;
- i raggi X, emessi per fluorescenza, che permettono l’identificazione qualitativa e, con l’ausilio di opportuni
standard interni, anche quantitativa degli elementi chimici presenti nei diversi punti del campione. È
inoltre possibile ottenere delle mappe di distribuzione per ogni elemento.

Analisi quantitativa = possibilità di dosare quella quantità di materiale, si creare curve di taratura. Si può eseguire
su tutti i materiali organici, ovvero i pigmenti. Il materiale da
analizzare deve essere solido e non liquido.

Il cannone elettronico è costituito da un supporto in cui il


filamento ad incandescenza è inserito ad una certa distanza
dall’anodo e mantenuto ad elevato potenziale (qualche
decina di kV). Il filamento di tungsteno emette per effetto
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termoionico un fascio di elettroni, il cui numero è funzione dell’intensità della corrente applicata. Gli elettroni
emessi attraversano la griglia, che funziona da lente elettrostatica di focalizzazione ed è mantenuta ad un
potenziale negativo, e passano attraverso l’anodo (a potenziale positivo) ricevendo una forte accelerazione.

A questo punto un sistema di lenti elettromagnetiche focalizza il pennello elettronico con un diametro dell’ordine
dei 100Å. Tutta l’apparecchiatura viene tenuta sottovuoto al fine di minimizzare le possibili interazioni tra il
pennello elettronico e le molecole di aria che potrebbero determinare un allargamento del fascio elettronico.
Questo può essere focalizzato in un punto fisso o fatto muovere.

Tenendolo fermo è possibile fornirlo di una maggiore energia di impatto e quindi questo caso è indicato quando si
voglia, attraverso lo studio dei raggi X emessi, ottenere una risposta sul chimismo del campione. Volendo invece
ottenere un’immagine elettronica della superficie del campione, si ricorre ad un movimento continuo attraverso
un susseguirsi di linee dall’alto verso il basso (scansione). Il segnale ottenuto viene visualizzato su di un tubo
catodico e può essere modulato e comandato in modo da variare l’ingrandimento dell’immagine.

Il preparato da esaminare viene posto all’interno della camera porta campioni (sottovuoto) che è collegata alla
colonna; il porta campioni viene montato su di una slitta che può essere traslata secondo le tre posizioni
ortogonali e quindi spostato a piacimento sotto il fascio elettronico. Non occorre una particolare preparazione del
campione tranne rendere elettricamente conduttrice la sua superficie. Nel caso non lo sia naturalmente, è
necessario depositare sulla sua superficie un film di metallo. Tale operazione, detta metallizzazione, avviene
mediante evaporazione sotto vuoto di un metallo (i più usati sono oro e carbone) sino ad ottenere una copertura
sottile (qualche centinaia di Å) sulla superficie del campione. Il campione viene preventivamente montato su di
uno stub portacampioni utilizzando un collante conduttivo che potrà essere un nastro adesivo oppure una colla di
carbone/argento (colle conduttive).
 Metallizzazione con oro = all’interno del cilindro la testa presenta una pastiglia d’oro, la corrente elettrica
passa e libera le particelle dalla foglia al campione
 Metallizzazione con carbone = si utilizza un filo di cotone inumidito con carbone bloccato da stantuffi,
corrente elettrica passa, la parte organica si brucia e il carbone passa sul campione

Si sceglie di metallizzare con l’oro, che ha la conducibilità migliore quando si necessitano degli ingrandimenti
molto elevati e una bella immagine, mentre con il carbone per le microanalisi.

Si può fare una doppia metallizzazione per avere entrambe le tipologie di risultati = prima con il carbone e poi con
l’oro

Per quanto riguarda lo Spettrometro a Dispersione di Energia


(EDS), questo viene correntemente utilizzato per analizzare lo
spettro dei raggi X emessi dagli elementi che costituiscono il
campione. Si tratta di un cristallo analizzatore Si (Li) mantenuto
a bassa temperatura mediante azoto liquido, per ridurre
l’elevato rumore elettronico e la mobilità del Litio e del Silicio. Il
segnale, proporzionale all’energia, rivelato dal cristallo
analizzatore viene amplificato ed inviato ad un multicanale ove
viene immagazzinato per poi essere analizzato per qualificare e
quantificare gli elementi.

 Informazioni ricavabili: osservazioni morfologiche di particolari del campione; indagini su componenti in


traccia; mappatura degli elementi chimici in stratigrafie o provini eterogenei
 Sensibilità: Molto elevata: le moderne strumentazioni sono capaci di ingrandimenti fino a circa 100.000 volte
ed eseguono indagini microanalitiche per punti di diametro inferiore al micron. La sensibilità analitica dell’EDS
decresce con il numero atomico dell’elemento ricercato; nei moderni strumenti sono rilevabili gli elementi da
numero atomico 5 in su. La microsonda arriva ad una sensibilità di 0,05-1%. Per il sodio, ossigeno e carbonio è
necessaria un’alta quantità. Più bassa è il peso atomico, minore è la sensibilità.

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 Precisione ed accuratezza: Elevate per la microscopia elettronica. L’analisi alla microsonda ha un grado di
accuratezza buono per l’indagine qualitativa, molto meno per l’analisi di tipo quantitativo.
 Selettività e interferenze: Le immagini ricavate dal SEM non sono a colori quindi, specialmente per campioni
con composizione chimica simile (ad esempio molti composti organici) non è possibile differenziare i diversi
componenti. Raramente vi sono, per la microanalisi, difficoltà interpretative circa gli elementi chimici presenti
dato che le righe emesse dagli atomi, specie se pesanti, sono più di una.
 Vantaggi: Il SEM permette una visione molto ingrandita ed estremamente realistica dei campioni; la sua
tridimensionalità consente di penetrare entro le microcavità dei substrati porosi e di osservarne i fenomeni di
corrosione e di degrado fotografando i composti di neoformazione. La microanalisi EDS consente di effettuare
l’analisi elementare delle singole particelle di un campione eterogeneo o stratigrafico. I substrati ideali sia per
l’osservazione sia per la microanalisi sono quelli metallici.
 Svantaggi e limiti della tecnica: L’immagine al SEM è monocromatica e talvolta risulta difficile orientarsi fra i
diversi componenti del campione, specie se questi sono costituiti da elementi con un numero atomico simile.
In presenza di composti organici il fascio di elettroni può perturbare la struttura della superficie al punto che le
immagini risultano sfuocate. I composti organici, essendo costituiti perlopiù da carbonio, idrogeno e ossigeno,
sono di fatto non indagabili con tale metodica.
 Lettura ed interpretazione dei dati: L’immagine acquisita al SEM non è sempre di facile lettura in quanto è
necessario tenere conto degli ingrandimenti, della mancanza del colore e della diversa risposta dei composti al
“bombardamento” elettronico; serve quindi una lettura guidata e possibilmente comparata con le immagini al
microscopio ottico se queste hanno lo stesso ingrandimento.

Senza la metallizzazione l’interpretazione dei dati è incorretta. Con il SEM non si restituisce uno spettro.
Nell’immagine SEM Acc. V (corrente elettrica, kV), Magn (ingrandimento), Det (detector; BSE = back-scattering, SE
= elettroni secondari, visione superiore), WD (working distance, 10 mm è la posizione ottimale), target per
indicare le dimensioni
Biacca = carbonato di piombo
Nero di carbone = carbonio
Azzurrite = carbonato di rame

Si interpretano gli spettri perché ci possono essere delle


sovrapposizioni. Si vanno ad ottenere le informazioni derivate dalla
parte più profonda della “goccia”.
Maggiore l’intensità, maggiore dal punto di vista quantitativo sarà l’elemento che si va a leggere.

Per trovare lo strato turapori = con prove microchimiche, reagenti Red Doil per le proteiche / Black Doil per le
oleose, microscopio con luce trasmessa UV, FTIR.

Analisi in diffrattometria XRD (UNI EN 13925-2:2006)


Caratterizzazione delle sostanze cristalline sia organiche che inorganiche

Premessa
La formazione dei cristalli avviene in natura per il lento raffreddamento di masse fuse provenienti da eruzioni
vulcaniche o per sedimentazione da soluzioni sature di un dato sale in seguito ad evaporazione.
In entrambe i casi ioni, atomi e molecole si dispongono nello spazio con grande regolarità dando luogo ad una
struttura elementare caratteristica (detta reticolo spaziale) che si ripete in modo regolare e periodico nello spazio.
Il reticolo spaziale è quindi un parallelepipedo formato da famiglie di rette che si intersecano tra di loro. Man
mano che cresce si aggiungono e ciò vale per tutti i cristalli che si ripetono nello spazio in tre dimensioni. A
seconda del sistema cristallino si possono avere varie forme.

L’analisi permette di conoscere come gli elementi sono distribuiti nel reticolo cristallino. Ogni minerale avrà una
risposta unica, struttura simile ma distanze tra atomi differenti perché cambia l’attrazione tra di essi.

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I cristalli investiti dai raggi X deflettono questi raggi secondo determinate direzioni che dipendono dal tipo di
cristallo e cioè dalle distanze fra i piani reticolari. La diffrazione può compiersi per l’esistenza in un cristallo di tali
piani reticolari la cui distanza è dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda dei raggi X.

Legge di Bragg
n=2d sen
n=1, 2, 3,…
= lunghezza d’onda dei raggi X
d= distanza reticolare del cristallo
= angolo di incidenza dei raggi X

 Preparazione del campione


L’analisi diffrattometrica è distruttiva: infatti il campione (ne bastano pochi milligrammi) viene macinato fino a
diventare una polvere impalpabile, viene setacciato perché le particelle abbiano la stessa dimensione (se non
lo avessero possono dar luogo a dei picchi spostati) e steso uniformemente su di un portacampioni
appositamente predisposto avendo cura nello stendere il preparato che la superficie sia piana e a livello con il
portacampioni.
 Scopo dell’analisi
Identificare fasi cristalline, da sole o in miscela con altre, che compongono il campione. L’analisi permette di
identificare sostanze cristalline con identica composizione chimica.

I risultati dell’analisi vengono restituiti dallo strumento mediante


una tabella di dati e la loro rappresentazione grafica detta
diffrattogramma. I dati devono poi essere elaborati ed interpretati
attraverso il confronto con le schede che vengono riportate in
bibliografia (c.a. 40.000) di composti noti. Esistono anche delle
banche dati elettroniche che facilitano il riconoscimento. Si
studiano i picchi del diffrattogramma.

Si tratta di un’analisi qualitativa, perché viene identificato l’elemento, e semiquantitativa, perché identifica le
percentuali dei minerali. È una tecnica di tipo distruttivo ma esistono diffrattometri che lavorano a contatto come
l’analisi XRF.

Dosaggio dei Sali solubili (UNI11087:2003)


Analisi in cromatografia liquida ad alta pressione (HPLC) o cromatografia ionica (CI)

 Tipo d’indagine e campo di applicazione: l’analisi è sia qualitativa (si indica la specie del sale) sia quantitativa (si
indica il dosaggio e la percentuale assoluta) e viene effettuata su un estratto acquoso del campione. Vengono
ricercate sostanze inorganiche, come i sali di sostanze solubili, sia sostanze organiche quali proteine e zuccheri.
 Oggetto d’indagine: campioni, o frazioni selezionate dei campioni, ridotti in polvere, provenienti dai vari strati
della stesura policroma, o dall’insieme dei vari strati, o dal materiale costituente il supporto o da prodotti di
alterazione.
 Metodo: tecnica cromatografica che utilizza una fase fissa liquida ad alta pressione e un eluente anch’esso
liquido. Può essere utilizzata per la separazione di sostanze ioniche a diversa carica e mobilità disciolte in una
soluzione acquosa: a questo scopo i due liquidi di ripartizione dovranno essere definiti a seconda delle
caratteristiche delle sostanze da separare.
Infatti per la separazione di componenti proteici e di alcuni ioni metallici occorre utilizzare uno strumento che
abbia la possibilità di essere configurato con gradienti di pressione diversi. Anche il rivelatore è diverso a
seconda che si faccia l’analisi di ioni in soluzione o di altre sostanze.
Avviene la separazione a seconda dei gruppi funzionali. La colonna separa i diversi ioni e sono differenti per i
cationi e anioni. La soluzione acquosa viene iniettata nella colonna arriva ad un detector.

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La tecnica si basa sulla possibilità di separare le specie ioniche
in soluzione liquida mediante colonne contenenti resine
scambiatrici di ioni (resine positive per i cationi e negative per
gli anioni). Gli ioni o anioni separati entro le colonne, vengono
trasportati dal solvente che circola all’interno delle colonne,
verso il rivelatore che generalmente è un conducimetro
elettrico che, misurando la corrente elettrica, permette di
risalire alle specie ioniche presenti.

Ioni con peso ionico/molecolare più basso arriveranno al rivelatore prima di ioni a peso ionico/molecolare
maggiore.

Gli ioni in soluzione acquosa aumenta la conducibilità/conduttività. L’altezza e l’area del picco servono per
calcolare la concentrazione.

 Quantità di campione necessaria: per l’estrazione è sufficiente


avere 10mg di campione mentre per le analisi dei prodotti di
alterazione le normative specifiche danno come limite minimo
100mg.
In un becker si sciolgono 100 mg del campione in 100 ml di acqua
deionizzata poi su agitatore magnetico. Secondo la normativa
bisogna lasciare 72h perché i Sali hanno solubilità diverse e si
scioglieranno in tempi diversi.
La normativa richiede la misura della conduttività della soluzione e la determinazione qualitativa e quantitativa
di anioni e cationi.
Anioni: solfati, nitrati, nitriti, cloruri, fosfati, ossalati, Cationi: calcio, magnesio, sodio, potassio, ammonio (NH 4)
 Sensibilità: alta, l’analisi permette di determinare specie ioniche a bassissima concentrazione (ppm, parti per
milioni)
 Precisione e accuratezza: il metodo è molto accurato e preciso in quanto l’identificazione avviene per confronto
con degli adeguati standard trattati come il campione.
 Selettività e interferenze: il metodo è molto selettivo in quanto può essere graduato mediante la scelta degli
opportuni eluenti e pressioni per i sistemi a gradiente. Il sistema inoltre è calibrato e non prevede problemi di
interferenza non risolvibili con la semplice modifica delle condizioni di miscibilità o velocità dell’eluente.
 Vantaggi: identifica in modo inequivocabile il tipo di ione presente in soluzione
 Svantaggi: si deve effettuare un’estrazione dal campione prima dell’analisi
 Lettura e interpretazione dei dati: l’analisi fornisce una serie di picchi che hanno tempi di ritenzione (velocità di
uscita) fissi per ogni tipo di composto e la cui ampiezza, o meglio area, è direttamente proporzionale alla
quantità di composto. La concentrazione delle specie ioniche rilevate è data in ppm (parti per milione o mg/l);
per ottenere dei dati di riferimento, siano essi espressi percentualmente o come equivalenti chimici, sarà
necessario fare opportuni calcoli stechiometrici tenendo conto del grado di diluizione definito dalla quantità di
solvente utilizzata per l’estrazione.

Utilizzo della cromatografia


- Per la caratterizzazione delle sostanze grasse (olio o cera) si effettua un’analisi gas-cromatografica con
rivelatore di massa (GC-MS)
- Per la caratterizzazione delle resine naturali si effettua un’analisi in cromatografia liquida con rivelatore di
massa (LC-MS)
- Per la caratterizzazione delle resine sintetiche si effettua un’analisi gas-cromatografica con pirolizzatore
(sistema che permette di raggiungere temperature più elevate)
- Per la caratterizzazione di coloranti organici si effettua un’analisi in cromatografia liquida con rivelatore UV.

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